iiiiiii®®i GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI TOMO XIII DELLA NUOVA SERIE ROMA Tipografia delle Belle Arti 1859 Piazza Poli num. 91 dentro il Palazzo. i^.nq^ GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI TOMO CLIX DELLA NUOVA SERIE XIII GENNAIO E FEBBRAIO 1859 ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1859 DIRETTORE DEL GIORNALE Commendatore PIETRO ERCOLE VISCONTI, commissario del- le antichità romane , presidente del collegio filologico e professore di archeologia nell'università, presidente ono- rario del museo capitolino , segretario perpetuo e socio ordinario della pontifìcia accademia di archeologia, mem- bro della commissione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, e di quella di archeologia sacra, corrispondente dell'imperiale istituto di Francia ec. COMPILATORI BETTI cav. SALVATORE , presidente della pontificia acca- demia di archeologia, professore di storia e mitologia e segretario perpetuo dell'insigne e pontificia accademia di san Luca , membro del collegio filologico dell' università romana, e della commissione governativa deputata al pre- mio delle opere teatrali, accademico della crusca. BORGHESI cav. BARTOLOMEO , accademico della crusca , corrispondente della pontificia accademia romana di ar- cheologia e dell'imperiale istituto di Francia, membro delle RR. accadèmie delle scienze di Berlino, Torino ec. MAGGIORANI dott. CARLO , membro del collegio medico- chirurgico e professore di medicina politico-legale nel- l'università romana, socio ordinario della pontificia acca- demia dei nuovi lincei. POLETTI coni. LUIGI, consigliere e professore di architettura teorica nell'insigne e pontificia accademia di s. Luca, in- gegnere ispettore del consiglio d'arte, professore onorario della R. accademia delle belle arti di Modena, architetto direttore della riedificazione della basilica di s. Paolo , consigliere della commissione consultiva di antichità e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, aggre- gato architetto al collegio filosofico dell'università romana, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia. Pietro Biolcuini Segretario IV ONORARI CA.RPI cav. PIETRO, professore di mineralogia, membro del collegio medico-chirurgico e direttore del gabinetto mine- ralogico dell'università romana, socio ordinario della pon- tificia accademia de' nuovi lincei. DE-CROLLIS cav. DOMENICO, presidente del consiglio sani- tario militare, professore di medicina clinica nell'univer- sità romana. GERARDI dott. FILIPPO. COLLABORATORI ANGELINI padre Antonio, della compagnia di Gesù, profes- sore nel collegio romano, consultore della sacra congre- gazione dell'indice, in Roma. BARTOLINI monsignor Domenico, uditore della segnatura di giustizia, consultore delle sacre congregazioni dell'indice e delle sacre indulgenze e reliquie, membro della com- missione di archeologia sacra, socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, in Roma. BELLONI dott. Pio, medico, in Roma. BELLUCCI Giuseppe, a Cervia. BTANCniNI Antonio, in Roma. BIOLCIIINI Pietro, segretario del giornale, in Roma. BONCOMPAGNI S. E. don Baldassare, socio ordinario della pontificia accademia de' nuovi lincei e di quella di archeo- logia, in Roma. BORGOGNO padre don Tommaso, somasco, professore nel col- legio dementino, in Roma. BRIGIIENTI cav. Maurizio , ingegnere ispettore emerito , a Rimini. BUSTELLI Giuseppe, in Roma. CAPOZZI Francesco, a Firenze. CATALANI dolt. Vincenzo, medico, in Roma. V CHELINl padre Domenico, delle scuole pie, professore nel- l'università, a Bologna. CHIMENS doti. Baldassare, medico, in Roma, CIALDl commendatore Alessandro , socio onorario dell'acca- demia de' nuovi lincei, in Roma. CICCONETTI avv. Felice, giureconsulto, in Roma. COPPI ab. cav. Antonio, segretario del pontificio istituto agra- rio, socio ordinario delle pontificie accademie di archeo- logia e de' nuovi lincei, in Roma. DE RIGNANO padre Antonio, ex-procuratore generale de'mi- nori osservanti, consultore delle sacre congregazioni del sant'uffizio e dell'indice , esaminatore de' vescovi , socio onorario della pontificia accademia d'archeologia, in Roma. DE-FERRARI padre maestro Giacinto , dell'ordine de' predi- catori, commissario generale del sant'uffizio , consultore delle sacre congregazioni dell'indice, dei vescovi e rego- lari, di propaganda e del concilio, socio ordinario e cen- sore della pontificia accademia di archeologia, in Roma. DE-MINICIS avv. Gaetano, corrispondente della pontificia ac- cademia romana di archeologia, a Fermo. DE-ROSSI cav. Giambattista , membro del collegio filologico dell'università, scrittore di lingua latina nella biblioteca vaticana , membro della commissione consultiva d' anti- chità e belle arti e di quella di archeologia sacra, socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeo- logia, in Roma. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. FARI de' conti MONTANI monsignor Francesco, cameriere se- greto soprannumerario di Sua Santità, canonico della pa- triarcale basilica di s. Maria maggiore , consultore delle sacre congregazioni dell'indice e di propaganda fide, mem- bro del collegio teologico della università fiorentina, socio onorario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. FERRUCCI cav. Luigi Crisostomo, bibliotecario laurenziano e marucelliano , socio corrispondente della pontificia acca- demia romana di archeologia, a Firenze. VI FERRUCCI cav. Michele, professore e bibliotecario dell'univer- sità, a Pisa. FIORINI MAZZANTI Elisabetta , socia ordinaria della ponti- ficia accademia de' nuovi lincei, in Roma. FOLCHI commendatore Clemente, architetto di Sua Santità, consigliere dell'insigne e pontificia accademia di S. Luca, ingegnere ispettore emerito membro del consiglio d'arte, aggregato ingegnere al collegio filosofico della università romana, socio ordinario della pontificia accademia di ar- cheologia, consigliere della commissione consultiva di an- tichità e belle arti presso il ministero del commercio e belle arti, in Roma. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Pisa. GIACOLETTI padre Giuseppe, delle scuole pie, a Pesaro. GIULIANI padre don Giambattista , somasco , professore di eloquenza sacra nell'università, a Genova. GORI prof. Fabio, in Roma. GRIFI cav. Luigi, segretario generale del ministero del com- mercio, belle arti ec, socio ordinario e conservatore per- petuo dell'archivio della pontificia accademia di archeo- logia, in Roma. MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù , consul- tore della sacra congregazione delle indulgenze e sacre re- liquie, membro del collegio filologico dell'uuiversità e della commissione di archeologia sacra , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. MASETTI monsignor Celestino, professore, a Fano. MERCURI Filippo, in Roma. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore, a Osimo. NARDUCCI Enrico, in Roma. PERETTI Pietro, professore emerito di farmacia nell'univer- sità, in Roma. PIANCIANI padre Giambattista , della compagnia di Gesù , presidente del collegio filosofico dell'università, socio or- dinario della pontificia accademia de'uuovi lincei, in Roma. PONZI Giuseppe , professore d'anatomia e fisiologia compa- VH rata nell'università, socio ordinario della pontificia acca- demia de' nuovi lincei, in Roma. PUCCINOTTl cav. Francesco, professore nella università, ac- cademico della crusca, a Pisa. RÀMBELLl Gio. Francesco, professore, a Persicelo. RANGHIASCI-BRANCALEONI marchese Francesco, a Gubbio. RAVIOLI cav. Camillo, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Bologna. SASSOLI avv. Enrico, membro del collegio filologico dell'uni- versità, a Bologna, SPEZI Giuseppe, membro del collegio filologico e professore di lingua greca nella università romana, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. TORTOLINI ab. Barnaba, membro del collegio filosofico e pro- fessore di calcolo sublime nella università, professore di fisica matematica nel collegio urbano di propaganda e nel seminario romano, socio ordinario della pontificia acca- demia de' nuovi lincei, in Roma. VANZOLINI Giuliano, a Pesaro. VERCELLÒNE padre don Carlo, procuratore generale de'chie- rici regolari di san Paolo, consultore della sacra congre- gazione dell'indice, socio ordinario e censore della pon- tificia accademia di archeologia, in Roma. VESCOVALI cav. Luigi, socio ordinario della pontificia acca- demia di archeologia, in Roma. VISCONTI cav. Carlo Lodovico, coadiutore al commissario delle antichità,segretario generale dell'insigne congrega- zione artistica de'virtuosi al Panteon, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI cav. Paolo , membro del collegio filosofico e professore di fisica sperimentale nella università, direttore del gabinetto fisico, segretario della pontificia accademia > dei nuovi lincei, in Roma. ZANELLI canonico Domenico, direttore del giornale politico, socio onorario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. Sul moderno litiguaggio della Toscana. Lettere di Giambattista Giuliani somasco. Seconda serie. I. AL CAV. SALVATORE BETTI Segretario dell'Accademia di S. Luca in Roma. Sanmai'cello, il luglio 1858. Ija lettera, onde vi piacque di crescermi la delizia di questo soggiorno , mi fu carissima , perchè mi rende una chiara immagine della vostra bontà , e m'assicura della benevolenza, di che voi non ces- sate di rallegrarmi la vita. Ed io ricordo sempre gli eccitamenti e i consigli che amoroso porgeste al mio timido ingegno , né ho parole per ringra- ziarvenc in degna maniera : sì mi contento della gratitudine che vi tiene ognora presente al mio cuore. Né m' era punto dubbio che a voi , maestro delle pili fine eleganze, non dovessei'o gradire i saggi del fiorito linguaggio che a sé or tutto mi richiama. Certo che io non l'ascolto mai , senza invidiare ai toscani la facoltà grande, che ottengono da natura, a ottimamente discorrere dove il talento li guida. Or chi potrebbe avanzarli , trattando di cose ru- sticali? 1 libri a ciò non aiutano, siccome fa il po- polo con la sua virtuosa e animata favella. Dal quale G.A.T.CLVIX. 1 2 fluiscono incessanti le parole tutte proprie della mente; tanto son belle per il suono e '1 significato e per essere una evidente rappresentazione delle cose. Se io n'avessi sortito Tinclinazione e non mi mancasse la scienza conveniente, forse che mi ba- sterebbe r animo di prendere da questi montanini lingua e stile per iscrivere d'agricoltura nella forma più dicevole ed esemplare. Vo'darvene una prova manifesta e fuori d'ogni contrasto , e son di credere che voi stesso ne fa- rete le meraviglie. Guardate un po' ghiribizzo che m'è girato pel capo! Nientemeno, ch'io ho voluto compilar un trattato Della coltivazioìie de'castagni ; e si me ne sono spedito subito e con leggera fatica. Giacché, disegnato che l'ebbi per capitoli formati a brevissime interrogazioni , di queste non altronde mi procurai risposta, se non dagli esperti e ama- bili contadini, che sovente mi traggono a veglia con loro. Ed il raccolto sovrabbondava all'uopo ; ond'è che mi diede agevolezza ad eleggerne il fiore e di- sporlo in ordine di dottrina- Soltanto mi presi li- cenza di frammettere qua e colà alcuna particella, non perchè la stimassi necessaria a supplire le omes- se dimande, sì bene per rendere il discorso meglio unito e di piij chiarezza. Non però credetti di dover appieno conformare lo scritto alla pronunzia : che mi sarebbe per poco impossibile, oltre che non im- porla al mio proposito. Poi sembra a medi rispettar il vero,]anche se mi permetto di sostituire tiiUavitty ■paese, conoscere, gioia, in luogo di tavia, pavese, co- gnoscere, gioglia, e va dicendo col volgo. M'ingegnerò peraltro di raffigurare intero il suono di quo' vo- 3 caboli, che oggidì variano negli scritti , ma si ri- scontrano del tutto eguali presso gli antichi nostri autori. Anche per la docilità pronta al consiglio di valentuomini, avrei prescelto la forma del dialogo; se non che , smessa ogni arte lusingatrice de' let- tori, mi parve di concedere alla verità che si rac- comandasse di per se medesima, semplice e nuda. La buona gente, cui io rileggeva lo scritto, che mai non s'accorsero d'avermi dettato , si tenevan con- tente d'approvarmelo con dir libero e schietto: sia bene, gli è proprio così; oh bellal quesCè il modo che fra noi si costuma ; e' si vede che tulio '/ mondo è paese. Comunque i costoro giudizi mirassero pur alle cose e niente al modo che eran dette, io molto ne godeva , persuadendomi che solo mediante il lor preciso linguaggio ei m'avessero compreso. Del resto hanno essi l'abito, non la coscienza, del bene par- lare; tanto che invitati a ripetersi, facile vi corri- spondono in frasi diverse alle prime , dove sempre sospettano di qualche abbaglio. Or volentieri inten- derò da voi, savio amico, se per vivacità, energia e robustezza nell' esprimere ciò che sanno , questi generosi uomini della montagna debbano temere il paragone di Pier Vettori, del Soderini, anzi dell'u- nico Davanzali. Troppo selvaggia bellezza veramente io v'offro a contemplare ; ma com' è sì ingenua e d'un soave attraimcnto, saprà mostrarsi graziosa a chi negli squisiti lavori dell'arte si assuefece a ri- trarre e vie più amar la natura- Addio. Vi riserbi il cielo all'onore d'Italia. Della coltivazione de'castagni secondo Vespresse parole de' montanini del Pistoiese. Puntazione oc'castacnf, vivaio, innesto. Il castagno è un frutto che vien quasimente da se (1); non ha mestiero di molla lavorazione. Delle castagne, quando si raccattano [raccolgono], ne resta sempre qualcuna disparte; nascono poi de'piantoni, si sbarbano e ripiantano. Se ne fa de'vivai, e se il terreno gli dice, i novelli mettono bene. Ma è da tenerli riguardati dalle bestie che li offendono: quel morso gli è un veleno. Dopo du'o tre anni vigori- sce la gioventù [i novelli), che se ne rifanno le selve. Nel piantarli s'ha da por mente la condizione della terra, vedere la qualità enno i castagni; bisogna poi fare a modo che possano pigliar aria e venir su prosperi e gagliardi. Si fa una buca un po'fonda, e vi si pianta il castagnuolo colle, barbe, si rincalza e riempie di terra buona. La terra meglio è la sta- gnola [del color dello stagno) : ma dov'è più sasso che terra, vengon tardo e fruttano pochino i casta- gni : vogliono il sasso dolce ; se è sasso forte , lo sdegnano. Reggono al piano come al poggio; vege- tano molto ne'luoghi freschi; in altura calda gli si dà pili grasso , un po'di terriccio , ma la castagna vien meglio granita Bisognano molte diligenze per avviarli bene i castagni: e chi non l'adopera, ò caso che veggia le selve in rigoglio: il più restano mor- tificate. 5 I piantoni vengono tuttavia silvani, e coll'ìnnosto si riducono a domestico. Tutti s'hanno d'annestare i castagni. Noi s'annesta a bucciuolo o anello; si storce il ramo domestico, poi si taglia per cavarne l'anello che s'adatta sul novello silvano : se combaciano e son fasciati a buon modo, la ferita risarcisce presto. L'umore dell'anello domestico ricola un pochino e s'immette nel ramo silvano e l'addimestichisce. Ma bisogna che l'anello vada per l'appunto; se è troppo stretto, non corre; se è lento, non s'accosta e non prova. Quando l'occhiolino del piantone domestico si confronta coll'altro silvano, che s'impone in sul- l'altro (2), allora è meglio; l'innesto va a perfezione; di cento non ne falliscono due. Un vecchio mi con- segnò questo segreto, e quante volte l'operai, tante mi disse bene (*)• Importa peraltro di pigliare il suo tempo e che la stagione vadia in favore. Come non è preso al suo punto e la stagione s'inasprisce , il bocciolino si perde, che non s'attacca. Badi, se l'uno o l'altro [dé'rami da cui si leva e dove si riporta V innesto) non è in succhio, l'innesto non fa presa. A volte non riesce, perchè non s'ha pratichezza [nel fare Vinne- sio): ci vuol anche passione: come non si piglia pas- sione a un lavoro, non viene bene ninna cosa. Se scoppia un tallo a pie d'un novello insetato [annestato), si leva: che porterebbe via della forza , sperderebbe l'umore della pianticina. L'innesto vuol essere fatto a occhio vivo [che sia chiuso): di set- tèmbre s'annesta a occhio morto, ma non è buono insetamesto, e non prova in quell'anno. Han de'ca- prìcoi anco le piante : e chi ne capisce nulla ? È 6 come noi cristiani, 'na cosa fatta oggi, torna; do- mani , non più 0 alla diascola; tutto a tempo ; se no, male. Quassù. i castagni vengon di tutte sorta, silvani, pastiflesi, cai'pinesi. Marroni se n'ha pochi da noi: in Casentino è il luogo loro. Se la stagione corre di buon filo, i carpinesi si caricano di più, ma son difficoltosi al caldo {reggon male): il diacciore non lì fa tanto male: lo comportano ragionevole. Ripulitura de'caslagnii scamozzalura, 0 scapezzatura^ cataste. Bisogna scattivarli i castagni, levarli di dosso ì rami bruschi, seccaioli, morti, che trattengono gli altri dal frutto. La ripulitura il meglio è di verno, che non gira l'umore della pianta, la buccia si tien serrata al legno e non si perde nulla. Di marzo, quando la pianta è in sul muovere , indebolisce a ripulirla : e se più in là , c'è pericolo che finisca. Si pareggiano i rami, perchè il sugo corra ben re- golato; e crescono che è una bellezza. Ci vuol oc- chio per ripulirli a modo i castagni, se non gli si toglie quel seccume della pianta , i polloni non si spiegano e non sfondano: poi vien su qualche ramo non bene attaccato , e si scoscia appena un ci va sopra col piede. Il sucidume dà affanno alla pianta e la sfrutta, se non gli si leva di dosso (3). Si la- sciano i rami che han più verde , il meglio della pianta , e fanno una cacciata [messa] lunga , bella assai. La ripulitura li rifa giovani i castagni , che tornan lieti, vengono più forti a produrre. Non im- 7 porta che le piante abbiano di molta frasca: si leva più roba da una pianta che non è ammagliata [or- nata di molte frasche). Quando poi un castagno comincia a perdere, che si vuota e invecchia, compariscono de'novelli a piede e gli piglian l'umore: allora o si taglia a piana terra, o si scamozza. Se il castagno lo scapezzate giovane, tanto si rifa: ma come lo scapezzato grosso, gli si fa male a'piedi e non può bastare {durare). Piuttosto che il dimozzo, torna prendere de'polloni al piede, tagliarli fra due terre. Nello scapezzo non s'è avver- tito questo danno, che le piante si vanno a perdere presto. Meglio è aver la gioveatù al piede: se no, la pianta non ha vigore da reggere. Quelli de'castagni che si taglian fra due terre , pareggiati a terra rimettono che bastano eterno , in secolo de'secoli (4). Una selva ancor vergine, che non sia mai stata messa al taglio, è da rifarla, ta- gliendola a' piedi , anco se avesse ducent' anni. Le selve rade portano di più frutto. I vecchi antichi le tenevan rade le selve; a'tempi d'oggi non si co- stuma più tanto , e non si pensa che molta selva dà poco di castagne- Dove c'è troppe piante, che vi son fitte, non gira l'alimento per tutte. Si scamoz- zano a mezz'aria i castagni, o'n sulla vetta, o anco pari a terra (a piana terra), secondo che porta la seccatura (o seccagione) de' rami : se non dan più frutto, si recidono. Ildimozzo, se non è fatto a re- gola, dopo un par d'anni le piante un pò di vento le sfianca: ponno ringiovanire co'novelli che rimet- tono al piede. 8 Nel ripulir i castagni si fii di molto legname da bruciare; serve anco a farne delle capanne, de'tetti, ciocchi da seccar le castagne, mille lavori. Vede là quelle calaste? è tutto legno della ripulitura. Ma le cataste l'è una bellezza a vederle, quando si dimozza una selva, che s'abbattono le piante maggiori; se ne fanno delle cataste spropositate, erte erte che l'oc- chio manco può arrivare la cima. A questi anni scomparvero delle selve: si vuol fare tutto un gua- dagno: ma si fa allegrezza un anno, e poi si piange: non e' è più selve , né roba e danari- Tutti se ne soffre , perchè lagliate le crine dei monti , adesso passa il vento tanto crudele , che non e' è tratte- nenza; siam dirimpetto all'Apennino, e i venti qui possono di molto: ci rimangon di casa- Noi poveri si trema a ogn'ora; e'si sa, chi ha poco pane, pare che un soffio se l'abbia a portar via. Fioritura de" castagni, carcloy spiccolatura delle foglie. Di maggio non si toccano pili le selve, perchè s'avvia la fioritura e vien fuori il cardino (5), che scoppia come un bocciuolo di rosa al caldo sole. Unguanno e' è una buona provvisione di cardini , se vengono in acquisto. Come la stagione li ac- compagni , che abbiano luogo a prender l'anima , e' se ne spera una dovizia; 'na raccolta in abbon- danza, speriamo (6). Sfiorito il castagno, spunta il cardino. Se il cardo s'inanimisce, si ha più speranza del frutto: ma se non la prende l'anima, vuol dire che è vuoto, rie- a sce a nulla. Qui corre il dettato: « Quel che fa mag- gio , fa settembre »: perchè quando sfioriscono a tempo, i castagni noi insegnano la buona raccolta. Enno gelose le castagne , vogliono certi tempetti regolati, proprio lì lì, per l'appunto. Ma se il mag- gio infilano delle brutte giornate, burrascose, troppe piogge , ventacci , allora si sta molto impensieriti della raccolta: anco che risponda, l'è tuttavia una piccolezza. L'anima adesso non l'hanno ancor presa i cardini; come non siamo a Santa Maria {il dì delV Assunta) la castagna non è in anima. Se i tempi vanno ragionevoli, il proverbio non falla: « A san Vito {il 15 di giugno) il castagno incardito; a Santa Maria, inanimito )>. Tra '1 luglio e il settembre si va per le selve a far la frasca: se ne portano in capanna de' fasci spropositati. Poi la gente di casa tutti corrono a spiccolare le foglie da porre in serbo pel verno : s'usano quando si cuoce i necci {pane di castagne). L'è una allegrezza que' giorni, si canta, si va sal- tando pe' campi delle selve. Anni passati si portava anco in giro la fiasca : torni {mi dicevano) '1 set- tembre alla spiccolatura delle foglie, venga a veglia e vedrà la bella festa: da contadini , si sa. Basta che la furia de' tempi non sciupi ogni cosa. Danni de' castagni^ venti, brina, bruscello, seccareccitty grandine, bruchi, topi. Venne un grosso vento che stror>cò de' casta- gni: oh, che puoi essere ? 'na quindicina di giorni. Anche ier l'altro soffiò una ventata che diede alle 10 macchie (su pe' boschi), ma non prese le nostre selve: tutti eiamo [eravamo) in paura: poi rovinò un'acqua, che parca un subisso (7). La troppa frasca non fa buono a'castagni : un albero con tanto fogliame è come un ombrello; gii dà il vento e lo fracassa. Vede que' castagni, son rossi, enno come arsi; la buffiera li flagellò dal cimolo a' piedi. Il vento libeccio annebbia i castagni, li avvampa: porta più cattivezza [più danno), invelenisce di mollo, guasta ogni cosa, grani, castagne, roba nera {lenticchie, fa- ve ecc.); è piìi tanto forte degli altri venti. L'ab- biam per dettato « A vento libeccio, né pane né neccio »• Spariscono le castagne , non si sa dove vanno , cascano vizze , morte. Come vengon delle temperate [rinfrescale d'acqua) è buono a' castagni; ma se il vento li abbocca , le castagne cascano a vendetta. Il meglio vento è la tramontana: non gua- sta mai, rimena sempre abbondanza. « Tramontana pane e vino alla Toscana »: si dice per lutto in pro- verbio: ed è la sperimentazione che lo insegna. A volte la brinata fa restare i castagni; rovina la fioritura e '1 frutto. I castagni amano pioggia e caldo , non li vogliono i mezzi tempi. Han paura del freddo: una brinata tra l'aprile e il maggio basta a riarderli. Se poi viene il bruscello, che la piog- gia resti diacciata sui rami, le castagne son belle e perdute : quelle piogge ghiacciate mortificano il frutto, son la peggio maledizione per i poveri con- tadini. Gesù ce se scampi- Anco la seccareccia, l'alidore , fa danno a' ca- stagni. Ogni tanto una rinfrescata è il meglio che li tocchi. Il caldo tanto delle volte vien fuori tempo: Il di settembre fa seccare il cardo. « Settembre toglie, non rende » diciamo noi contadini: i tempi a tempo. Se batte la grandine , i castagni s' avviliscono. La grandine, dove passa, fa de' poveri: non porta ca- restia per tutto, di vero; parecchi de' luoghi li ri- spetta, perchè la mano di su versa dove vuole. C'è i bruchi che divorano tutte le foglie a' ca- stagni. Questo castigo è molti anni che non com- parisce più, grazia di Dio. Tempi a dreto, me he rammento io, che i bruchi le spogliarono tutte quelle selve di contro: parea ci avesser dato fuoco. Eran tanta moltitudine, che fin di quassù si sentiva ro- dere le foglie, far tri tri: sa quel rumore che fanno i bachi nel trinciare la foglia: era lo stesso, anco più forte in quella confusione. Si spera non ven- gano più di quelle maledizioni : se ci mancano le castagne, non s' ha più modo di campamento : le castagne son la nostra ricchezza , tutto il nostro pane. A volte i topi , se non ci si bada , pigliano le castagne pel fìoncino di cima , e ne fanno delle rimesse , che le so dir io. N' ammucchiano fi- nanco 'na quarticina [un quarto di misiti^a) , e ne fanno tutto pasto: appena riman la semola. Portano di gran danni, non parrebbe mai tanto. Castagnatura o sia raccoglitura delle castagne. Le castague cascano da sé volontarie: non e' è da scotere la pianta; e poi, non si dubiti, la scrol- lano i venti. Più presto le cascano e più bella vien la raccolta, se non cascano forzate ; perchè allora 12 {che si fanno cascare) vien giù anche il cardino : e questo vuol dire che non son al punto della ma- turazione, non son perfette mature (8). Se cascano sgranate {fuor del cardo o riccio), un uomo ne rac- catta insin a tre sacca: se col cardino, nemmanco uno {ne raccoglie, delle sacca)- Se la castagna tocca la maturazione , il cardo s'apre facilissimo da se , intende ? scoppia l'epa, quando la castagna è fatta. Si raccolgono sui primi d'ottobre o più in là, se- condo l'occasione de'tempi. Come il settembre corre umido, il cardino tanto si lascia pigliare, gli è age- vole a trattarlo; ma se vien l'asciuttore, il cardino buca tutte le mani, punge terribilmente, e le casta- gne si sgusciano a stento. Anno {passato) le castagne erano strale strale ; manco si bastava a coglierle tutte: era un bel cantare: Viva, viva la castagna! Frutto dolce e saporito Che da tutti è riverito, Come re della montagna. È dovizia delle -selve, Fa bellezza nei giardini, Non la cede ai faggi, ai pini, Come re della montagna. Viva, viva ec. (9). Della qualità delle castagne- La castagna carpinese è la più che abbia di pos- sanza ; pende nel rosso , fa bella comparita , è di pasta più morbida , ma tien la buccia dura. Dove che la pastinese tira al nero, ha buccia gentile, si 13 monda meglio; dentro è salda e sfarina benissimo. Le castagne silvane sono un pò ruvide, di scorza pelosa, « a mangiarle fanno sentire più dell'amaro. Come si riducono in farina , si mischiano con le pastinesi e le carpinesi che son le meglio castagne, e se ne fa una buona mescolanza. È una farina non bianca nò rossa; 'na cosa gmsta, al suo punto. Del modo di concjliieUurare Vetà de'castagni. Quelle dirimpetto, su per que' poggi, miri, son delle selve di più tempo: ci ha de' castagni che pas- sano i mille anni. Si può conoscere l'età d'un ca- stagno ; basta reciderlo a piana terra ; si trova di che tempo è, dalle vene del legno che corrono dal mezzo in giro. Quando poi è di gran tempo , gli anni non si contano più al castagno. Anco noi , quando se n' ha tanti addosso degli anni , non se ne tien più conto. E chi le potrebbe scernere quelle vene ? son tante tante e minute- Fanno tanti giri e rigiri, che valle a pigliare, se puoi: non c'è verso; si segue un pò a contare, poi scoppia la pazienza e addio il conto; non si raccapezza più nulla. (1) Nullis homimm cogcnUbus ipsae — Sponte sua ve- niunt. Virg. Georg. II. 10. (2) Glebaqiie versis — aetenmm frangenda bidentibus. Ib. 11.398. — « Ed io eterno duro »: Dante così vide scritto sulla porta d'inferno. Inf. 111. 8. (3) Omne levandum — fronde nemus. II). H, 399. (4) ÌNec modus insercre atque oculos imponere simplex. Georg. II, 73. 14 (*) Affinchè meglio si vegga che tutta Toscana è pur la stessa patria della nostra lingua, io sottoporrei qui in no- ta le varie e sempre leggiadre maniere con che mi fu par- lato de' castagni nel Casentino , da que' di Montamiata , a Montescudaio in vai di Cecina, e sulla montagnola di Siena. Ma per non crescere tedio accennerò solamente quella piccola parte che tocca dell'innesto, aggiungendo quanto in proposito si legge nella Coltivazione toscana del Davanzati. Indi cia- scuno potrà fare gli utili raffronti : a me basta che lo spec- chio sia sincero. « L'anello vi si pon entro {al ramo selvatico) che com- baci, e s'attacca di certo: se non vi si combacia a perfezione, che vada proprio al verso, non prova ». Casentino. « Si sbuccia un pochino il piantone che si vuole anne- stare: vi s' inanella dritto la buccia colla marza della pianti- cina domestica, e in poco vedrà che mette su bene ». Montamiata. « Bisogna che spunti fuori l'umore, se no l'anello si sciupa, non vien bene. In un penierino si pone di molte marze : si trasceglie quella che vada al verso della rama che si vuol innestare; come non risponde appunto, è opera gittata ». Montescudaio. « Per annestare i castagni si cava un bell'allevo {allievo, novello de' pistoiesi) che sia in succhio, s'attorcono le marze d'un anno, la buccia viene a dilontanarsi dal legno: si spunta il castagno selvatico e vi s' infilza questo boccio .domestico. Se non vi si commette precisamente , se è lento , non s'at- taca, e fallisce », Montagnuola di Siena. « k bucciuolo è modo di annestare il più malagevole , perchè bisogna corlo molto appunto: ma il più sicuro, perchè combaciando per tutto, meglio rammargina, né per vento né per maneggiamento si fiacca ; e fassi così. Scegli una bella marza e grossa del frutto buono che aver vuoi, e tagliane un pezzo lungo un dito, dove un occhio sia, e pigni l'osso fuor 15 della buccia , la quale rimarrà come un bocciuolo di canna: trova un' altra marza nel frutto cattivo , grossa come quella appunto : sbucciane un dito altresì , e dove sia un occhio , mettile il bucciuol buono indosso , non capovolto; e l'occhio sopra l'occhio, tocchi il legno per tutto e non si fenda: lega sotto e sopra, come a scudicciuolo: cuopri di pampani, e lutto nel medesimo tempo. Non s'annesta in altro modo il castagno ». Davanzati. Ecco or come al proposito si esprime l'Alamanni: " Chi della scorza intera spoglia un ramo « In guisa di pastor ch'ai nuovo tempo « Faccia zampegne a risonar le valli; « E ne riveste un altro, in forma tale « Che qual gonna nativa il cinga e copra. Colt. C. 4, (5) L'irsuta corteccia , entro cui sta la castagna , dicesi rtccio in Casentino, e cardo dai montanini pistoiesi: derivata la metafora da quella specie di cardo che fa sulla cima una pannochia spinosa , o forse dallo strumento a punte di ferro col quale si carda la lana. In Montamiata invece si chiama lappa dalla stessa voce latina, che significa lappola. Quest'è wn' erba che nella sua sommitade ha certi capitelli , i quali molto s'appiccano alle vestimenta. Volg. di PierCresc. VI, 70. Quindi viene che, se in Montagna dicono sgranellare o sgra- nare le castagne per cavarle dai ricci , quei di Casentino e di Montamiata sogliono dir meglio diricciare o slappolare le castagne. Or qui s'ammiri l'accorto ingegno che tutti costoro mostrano nel coniare vocaboli e adattarli all'uopo. (6) Il cardo si dice che è in anima, quando la castagna eomincia ad essere. In Montamiata il cardo inanimito lo chia- mano lappa animata o criata; ed ò poi notabile che dan nome di cria aWanima della lappa. Quand'è ingiallita e maturata, la dicono lappa crociata o a bocca aperta. (7) In Montagna chiamano bosco o macchia ogni luogo piantato di alberi diversi dal castagno, riserbando il nome di selve ai soli castagneti. 16 (8) « Le castagne si colgono allora che la lor niaturilade farà cascare i loro ricci in terra ». Volg. dì Pier Creso. VI. 7. (9) Questo canto risuona anche pe monti di Serravezza e di Vallorabrosa, ma sempre con alcune variazioni. II. AL CAV. SALVATORE BETTI Mio dolce ed onorando amico, Sanmarcello, il luglio 1858. Vedeste naturai bontà e valore di favella! Dove chiaro si mostra che tutti costoro usano specchiar l'animo, se già noi diffondono, nella circostante na- tura: la quale parrebbe a sua volta riflettersi ne'lor- pensieri e nel discorso. Assidui alla coltivazione de' campi e delle selve, quivi per tutto e in ogni cosa e'veggono se stessi. Ponete che si rompa un castagno, ed eccovelo scosciato , sfiancato, spallato, scollato o altro simile ; se poi al caldo o gelo ri- ceve danni, ei subito vel rappresentano quasi sen- tisse noia , offesa , sdegno da intristirsi e rimaner afflitto o mortificato. E bene ancora vi chiariranno come a quell' arbore prediletto sappiano applicare le vicende medesime della nostra età e la variabile complessione de' corpi. Senza che, i moti onde si tempera e guida la vita delle piante, per essi di- vengono sentimenti, desiderio, volere, amore, capricci: tutta insomma ritraggono l'indole e la forza degli animi umani. 17 Per contrario, quand'entrano in discorso su ciò che li risguarda nella persona, v'accorgerete che pi- glian giuste e continue le immagini da quanto più specialmente accade o si ritrova nelle natie selve. Né per avventura mai vi diranno mi s'è rollo un braccio^ sì veramente /' ho Ironco, mi si è slron- calo o svelto; e impotenti al lavoro, vi si rac- comandano quasi avessero Ironche le braccia- Un'en- fiagione, che pigli varietà d'apparenze in una parte del corpo, sarà un boccinolo che fiorisce, scopila, ma- tura , ha radicato forte e non si può sbarbare. Anche gli stessi affetti, che s'avvicendano e trasfor- mano entro alcuor loro, sono una prima fioritura, una castagna in anima, un novello senza radice , un ramo mal annestato, talli che rimessi sid vec- chio sono incapaci a portare buon frutto. Certo qui la parola è tutto l'uomo, che si raffronta ed anco s'immedesima cogli obbietti che ognora gli esercita- no il senso e l'immaginativa. Parola spirata dall'ani- ma e d'un acceso colore, sovrabbondante d'imma- gini, tale che nulla meglio si desidera, non che ad abbellire un poema didascalico , a dargli essere e forma. Nò diverso linguaggio adoperarono Esiodo nelle Giornale e lavori , Virgilio nelle Georgiche , nella Coltivazione l'Alamanni, e quanti mai appre- sero lingua dal popolo a nobilmente poetare sulla vita de' campi. Sia pur umile e fuori degli usi civili l'argomento di che mi sono impigliato a discorrere : non per questo vuoisi meno pregiare la sì elegante e pur naturale maniera, onde si dovrebbero veder trattate le cose più rilevanti e degne- Ma e voi eziandio G.A.T.CLIX. 2 18 mi richiedete almeno un dialogo in simile materia, quasi a compensarne la rusticità col diletto. Oggi io ve ne voglio contentare, perchè m'è tornato fa- cile di raffazzonarlo, essendomi a lungo trattenuto presso una famiglia di contadini. Non però vi date a credere che quassù prosperi solitario il castagno; ad ornare le selve spuntano qua e colà de'fiori, che è una delizia a vagheggiarli, son tanto semplici e belli. E quanto se ne dilettano questi montagnuoli! Tanto, che solo dall'amore che hanno pe'fiori ap- parisce ammirabile la gentilezza de' loro costumi. Un giovanettino che testé n' avea raccolto un bel mazzo, forse a disegno dì presentarlo alla sua da- ma, vedendo che io l'adocchiava con piacere, gen- tilmente me l'offerse; e ammirate com'egli mi fece conoscere tutti que' fiori ad uno ad uno. Così fosse a voi dato di riposare sotto la cortese ombra di queste selve , ed inebbriarvi alla soavità di suoni non più uditi né possibili a figurarsi per iscritto ! « Guardi {mi diceva il gentile mon/anaro) com'è bellino il mughetto selvatico; a me piace manco la rosa: gli gaiba ? Questo {ed intanto lo spiccava dal mazzo) è il primo fiore, vien col sole di primave- ra.... dà un odore che par proprio di giardino. Ci dev'essere anco il fiore del pensiero: ohi eccoìol che vaghezza! graziosa d'assai. Le ragazze se ne fan bel- lezza a'capelli.... a talune s'addice, altre le sfigura: l'abbiam per dettato: « Un fiore vale un quattrino, ma non sta bene a tutti ». {Che sapienza in tanto semplici parole]) «( Meglio la viola del pensiero ; color bianco e celeste fa un bel contrasto, gli è un fiore che noi 19 si chiama suocera e nuora. [Oh perchè? diss'' io:) Già si sa, suocera e nuora stanno male insieme: il sorcio fugge, se il miccio viene- Senta la sambuchella odo- rosa! è un fiore che se no fa una medicina a gua- rire il caldo di stomaco- Per le tagliature o scalfìture si mettono in dell'olio le foglie del j^mco, s'unge le ferite, e la guarigione viene in men d'otto giorni. Vede, quest'è il fiore di san Giovanni: ha le foglio un po'crespe, tirano al rosso , s'aprono che è una bellezza. Ma il più bello per me è questo fiorellino: lo diciamo mani di Gesìi; miri grazia, se si può dar come questa: le foglie sono tirate come le dita delia mano, gentili gentili sono, paiono fatte per arte- Anco questo (e mei porgeva a vedere) è bello sì, ma gli è un tristo fiore: si dice vilucchio: guai se s' attorce alle piante degli altri fiori, le strizza che non han più fiato a vivere! Troppi ce n'ha de'fiori per le selve: c'è il fiore spino, lo specchio de' belli [un fiore rosso, fallo a modo di campanelle), il pepolino selvatico, il radicchio, V ovina, tanti che non me li rammento- Noi contadini, fiori, erbe, se ne fa ogni cosa: non c'è bisogno di tante spezierie: nelle selve più al solatìo non si vede altro che fiori: son belli e il bello garba a tutti.-., poi noi si legge tante cose ne' fiori )>. E per verità ne' fiori ei simboleggiano le più care affezioni, e dai fiori prendono inspirazione al canto, che indi meglio può insinuarsi nel cuore: Sotto la mia finestra c'è un bel fiore, Tutte le sere lo vengo annaffiare: Più che l'annaflìo e più bello mi viene- 20 Così il damo va cantando, mentre che gli passa di- nanzi la ragazza a lui fidanzala: e questa risponde sollecitamente: Quando nasceste voi nacque un giardino, L'odore si sentiva di lontano, La rosa s'accostava al gelsomino, E venian gli altri fiori a mano a mano- Di che allegro l'uno s'ode ripigliare: Se tu ti vuoi veder quanto sei bella. Levati la mattina a ciel sereno. Mira quanto riluce quella stella: Quanto riluci tu né più né meno: Mira quanto riluci fra le dame. Quanto può far la rosa al primo sole. E l'altra soggiunge con eguale tenore: Giovanettino di su'i vent'anni, Quando li vedo, mi par nato il sole: Quando ti metti in que'civili panni, Credimi, sembri un mazzo di viole: Un mazzo di viole a ciocchettine: Il nostro amor non de'più mai finire. Oh! egli è certo da ben promettersi della civiltà di un popolo che alla modestia dell'afTetto contem- pera il canto, e questo confonde insieme coi fiori. Vengano pure quelle feste, a cui il cuore suol pren- dere sì gran parte , e questi amorevoli montanini 21 non è mai che si dimentichino d'offerirsi a vicenda, e cantando far vieppiù gradire un qualche fiore, spon- taneo augurio di prosperità e per dolce memoria. E di fiori spargono la stanza nuziale, le culla e le tombe, e ne intrecciano corona sull'altare di Maria. Triboli e spine produce una terra maledetta , ma questa che vi rallegra con tanti fiori è viva bellezza di natura, una benedizione di che il Creatore sembra la volesse privilegiata. Fra così dilettosi pensieri m'avrete per iscusato , o mio ottimo Betti , se or più non mi si consente di soddisfare alla promessa. Me ne sdebiterò altra volta. Che volete? i fiori del campo m' attraggono tanto e mi mettono in capo tante fantasie, che e'fanno me a me uscire di mente- Anche già arida foglia , non vi dispiaccia uno di questi fiori del pensiero, e basti a ricordarvi com'io vi tengo nel desiderio dell'anima- Svaniscono presto i fiori , ma dura immortale il vero amore che li consacra. Addio. III. AL PADRE D. TOMMASO BORGOGNO Professore di reltorica nel collegio dementino a Boma. Sanmarcello, il luglio 1858. Io m' era obbligato al nostro degnissimo Betti di trasmettergli un dialogo, tanto per conchiudere piacevolmente un a>*iclo trattato Si/i/a coltivazione dei castagni- Ora che io l'ho sott'occhio , mi apparisce assai povera cosa , nò certo degna d'occupare pur un briciolo di tempo al valoroso uomo che ci con- forta della sua leale amicizia. Però mi affido nella vostra benevola cortesia, che saprà farglielo gradire, non fosse altro , in grazia del popolo che ci con- serva il tesoro della lingua. Davvero ch'io non mi sarei pur dato una minima cura di tanto umili di- scorsi, se non mi raffigurassero al vivo quell'antica semplicità e parsimonia, da cui ognor più si dilun- gano i costumi- del mondo civile. Ben mi pare di vedervi già sorridere del mio letterario trastullo ; ma qpanto a me, desidero che il bisognevole ozio e 1' ore del passeggio mi scorrano sempre così frut- tifere e consolate. Nohi& placeani ante omnia silvae: qui la natura s'appresenta qual è vivida e schietta, ornata solo di se stessa , tutto spirante letizia dai cuori innocenti. Gli uomini del villaggio {pagi iii- colae) sono poi tenacissimi delle vecchie usanze, e sdegnano qualsiasi novità , forse perchè loro non basta la conoscenza a farne la debita stima. Onde furono essi gli ostinati nella superstizione e i piiì in- docili alla verità del cristianesimo, a segno che il nome stesso di pagano dura tuttavia a significarci la cantraria credenza. Ma questa pertinacia, che fu vinta dalla soave forza del Vangelo, si continua nel linguaggio, rimasto fino ad ora saldo e sincero dalla infezione de' corruttori d' ogni maniera. Rallegria- moci per l'uno e l'altro benefìcio, dacché religione e favella sembrano puranche ordinale a stringere con vincolo fraterno le genti d' Italia- Addio- Non 23 tardateci più a lungo il vostro poetico volgarizza- mento de'sablimi canti d'Isaia, persuadendovi che se n'aspettano pregio ed onore le nostre lettere. V'au- guro felicità di vita, e in pegno d'affetto siavi caro il saluto del mio cuore. Della coUivazione de^castagni secondo Vespresse parole de'montanini del Pistoiese. Dialogo sugli usi delle castagne (*). — Buon giorno , Gasperino : vi trovo sempre allegro che è un piacere: state bene, eh ? Gasperino-— benissimo, se è ben di lei. L'aspet- tavamo a veglia; e' de' giorni l'avea promesso. — Sarei venuto prima, se il tempo non durava tanto piovoso. Gasperino — Anco stamani passeggiavano di certi nuvoloni: parca volesse tornare la pioggia; ma ora si sono sparti e il sole ha ripreso possanza ... Di state per solito l'aria si schiara presto; la burrasca viene e passa. Quassù in montagna il caldo non può molto : ogni tanto vengono delle rinfrescate e l'arsione non ci fa trafelare. Ci abbiamo una dovi- zia d'acque: fredde fredde, che tagliano la lingua : sono un diaccio ; guai a traccannarle ! lo stomaco si torce, che non le patisce. E questi castagni, che beli' ombra ci fanno ! futa fitta, che non ci passa neanco la spera del sole. — Oh! a proposito de'castagni , quest'anno mi sembra che abbiano bella apparenza. 24 Gasperino — Promettono bene, ma il vonto li battè questi giorni passati; si tremava che li vo- lesse finir tutti; fu un soffio, ma se era di durata li sbarbicava a terra ; tanto non sono tornati nel su' essere i castagni- Il vento è la peggio rovina che li venga addosso: li sfrutta e sfianca. Anno ce n'era una bellezza di castagne: un ventaccio gagliar- do precipitò ogni cosa: noi contadini c'è quasimente mancato il pane. Se unguanno ci toccasse ancora questo castigo, per noi è bella e ita: ci ha a pen- sare Quel di lassiì. — Dio provvede, confidatevi; vedrete la grande abbondanza! che festa in qne'giorni! Or ditemi un po' , raccolte che siano le castagne , si ripongono sui cannicci , non è vero ? e come vi regolate nel farle seccare ? Gasperino — Si riversano a sacca sui cannicci del melalo (o seccatoio, slama nel cui mezzo è il fuoco) per farle seccare- 1 cannicci si fanno radi, tanto che [ira Vilna canna e Vallra) vi cappia un dito. Come il canniccio è accecato ( ripieno , che non vi passa più luce; tulio im molo di castagne) gli si dà il fuo- co a modo; se gli è un pochino ^m ardilo, le ca- stagne piglian subito il rosso. Quando le castagne enno riscaldate e gocciolano , si lasciano asciut- tare. Ne'primi giorni il fuoco vuol essere non tanto grosso, regolato secondo l'ertezza de'cannicci : poi s'accresce, che la mano fugge dai muri del melato. Anco si rallenta per due e tre giorni, tanto che si rivoltino le castagne e possano tutte investirsi del caldo. Dopo si lascia il fuoco in bollore: e in venti giorni, meglio un mese, le castagne si ritirano belle e secche (1). 25 — Tanto ci vuol diligenza molta intorno a'can- nicci; ma voi m'avete fatto venire una gran curio- sità di sapere come si mondano le castagne. Gasperino — Appena seccate, le castagne si pon- gono ne'bigonci , e co'pigioni si pestano per isgu- sciarle- Prima si sgusciavano co'sacchetti , perco- tendoli su d' un ceppo a sbracciate. Ora è venuto l'usanza di pestarle co'pigioni, che son ferri a mo' d'una vanga; vi si appunta sopra col piede e si grat- tano le castagne per dispiccare la buccia. Le ca- stagne si ventolano colla vasoia [U che dicono vas- soiare o avvassoiare) per levargli da dosso il ven- tolacchio [la pellicola che le ricopre, della quale la sanza è pft/'f e}. Le ventola tore (2) lavorano a mon- darle dall'.» buccia, che le surrodono dalla sansa (3). Di verno alla ventolatura delle castagne, i giovinotti cantano in ballo torno a torno a' metati o sull'aia alla bella Diana, se il tempo non irrigidisce di troppo- — E delle castagne che usi ne fate? Parecchi, credo; già sono il vostro pane. Gasperino — La si figuri! Mille usi. Le castagne si rompono in farina: secche e ripulite, vien il mugnaio e gli si danno a macinare. La farina poi si ripone nel soppediano ( o arcile , specie di cassa ) e si tien in serbo tutta V annata- Quando s' incalca nel soppe- diano e non piglia influenza di fuori, basta anni la farina dolce [per questa intendono sempre la farina di castagne ). Bisogna pestar vela per bene, che venga soda soda; se no intarlisce e dinerba. E questo il nostro nutrimento: la povera gente non cibano altro. Della farina di castagne se ne condiziona molte vi- vande: oh! dillo tu? Betta , lo sai meglio di me. 26 In queste faccende di casa son le donne che se n'in- tendono, c'è la massaia a posta. Dì'su, che questo forestiero n'è curioso. Betta — Che ho a dir io? La farina dolce noi il più ci serve per la pulenda e i necci. Com' è '1 verno la pulenda torna meglio; a quel caldo lo sto- maco si rifa tutto. I necci poi son buoni d' ogni tempo: è il nostro pane cotidiano, che ce Io manda il Signore. L'altra roba non se ne fa caso, consiste in poco , e serve per companatico. . • . Spenta la farina in un vaso, a cucchiaiate si mette nella padella a friggere, e se ne fanno delle frittelle , de' frasca- relli, dei gnocchi . . . sono d'una squisitezza, bisogna gustarli. Volendo fare il castagnaccio , s'impasta la farina con pignoli, rosmarino e altre bontà, e poi si manda al forno . . . — Davvero, Gasperino, che la vostra Betta è una buona massaia, proprio una maestra di casa . . . Gasperino — Sì, ma quando si mette in corpo la paura , trema come 'na foglia. Ne vuol sentire una buffa? Una notte di marzo, sarà du'anni, te ne rammenti Betta, quando lasciasti aperta la flnestrina del pollaio. E nella mezzanotte la briccona d' una volpe fece presto a entrarvi, e tirò col grifo tre gal- lino: le spennò senza manco ferirle. Noi che si dorme sopra [nel piano superiore della casa) si sentì le pe- core spagliare [sparpagliarsi] per la stalla, e il cam- pano del guidarello sonare (4), A quel buscarìo , subito saltai il letto e dico: Andiamo a vedere che c'è- La mia donna s'affagottò il vestito addosso : corriamo la scala. Principio subito a guardare qua e là, non vedo niente, altro che una pecora sta- 27 va fissa fìssa inverso una bucheltina ov'era fuggita la vojpe. lo con il lummamano vado dietro al muro; quando mi vide, ogni passo che faceva , zompava nel palco della stalla: le pecore saltavano, si but- tavan addosso Tuna all'altra, su giù per la greppia, una furia, una confusione, parca vi ci fosse il fol- letto a batterle. La volpe s'accovava spaurosa; in- somma, presi un forcone, e botte che l'ammazzai: glielo feci assaggiar io le galline ! . . — Voi n'avete ognora delle nuove a contare ; bravo il nostro poeta! Almanco s'intende che i tristi sogliono talvolta capitar male del fatto loro. Che ne dite, Betta? ho ragione io? . . . Or via dunque torniamo a noi; vogliate anco insegnarmi come si fanno i necci. Sono una novità pei nostri paesi, ed io ci ho gusto a saperla. Betta — Con un po' di farina dolce si lavora una pasta: poi se ne pone una cucchiaiata fra due testi (5) con suoli di foglie del castagno. I testi bi- sogna sieno caldi , infocati ; se ne fa una testata (o levala) ben erta: e in un quarticino d'ora, i necci arrivano al punto della cottura. Freschi, son gustosi di molto* Venga domattina a edizione, li saggerà, che son buoni! — Certo verrò, e di buon grado; ma e delle castagne intere costassù non s'usa di cuocerne mai, in ninna maniera? Betta — Ce n' ha tante maniere di cuocerle. Belle e fresche colla buccja s'allessano nell' acqua, e se ne fa (6) de^ballotti. Per le bruciale (o frugiate) si arrostiscono sulla padella a una fiamma di fuoco, si ritirano e si lasciano un tantino impolpare: poi 28 si rimettono al fuoco vivo, ed eccole a perfezione. Se un vuole far le tigliatOy si mondano dalla buccia, e si rimettono a bollire nell' acqua infinoccbiata. Quand'hanno la buccia diseccata, cotte si chiamano vecchierelle: sono aggrinzite (7)- Ma volta e rivolta son tuttavia castagne, e, grazia, averne; se ne con- diziona or in un mo' ora in altro, perchè non gusta sempre la stessa vivanda: piace la variazione. — Dite bene: ogni cosa, per bella e buona che sia, dà noia a sentirla di continuo. Anche una gra- ziosa canzone, ne converrete, Gasperino, che finisce di stuccare, se è sempre quella? Gasperino — Sicuro! E ne conosco io di certuni, si mettono a stornellare che è una sazietà; non sanno trovarne un nuovo de'stornelli, che abbia un po'di garbo. Ci vuol anco il su'ingegno, lo so io, che tante volte mi stillo il cervello, e non mi riesce bene una sola rima. — Ma intanto, caro mio, s'è fatto buio , e la strada per queste selve non la saprei indovinare. Gasperino — Non pensi , vengo io ad accom- pagnarlo. Le pare ch'io voglia lasciarlo ir solo! — Vi ringrazio della cortesia. Addio, Betta, fe- lice notte, statemi bene. Bella — Faccia il simile anco lei , ci racco- mandi al Signore: torni a veglia da noi, ci fa grazia... (*) In montagna case s'intendono per i luoghi dove abi- tano i contadini, e ciascuna ha il suo proprio nome; tale sa- rebbe la Trebisonda, Pian de termini, casa di Bellavista, casa Benedetta. In quest' ultima io mi trovai spesse volte a con- versare con un rusticano poeta, detto il Gasperino: ma il più 29 de'nostri discorsi volgeva su cose d' agricoltura: di che egli, per esserne molto esperto, suol parlare acconciamente e pas- sionato. Con lui e colla sua moglie Betta tenni questo dialogo, dove la vivace parola è sufficiente scusa all' umiltà del sog- getto. (1) Un di Cavinana mi disse anche: « Gli si dà il fuoco moderato; il fuoco ha da essere a regola , che non vengano troppo arrostite le castagne. Quando i cannicci sono erti di molto, gli si dà fuoco di battaglione ». Questa è la sola frase che m'è sembrata un po'strana in Montagna, e mi par nota- bile, tanto più che non l'intesi altrove che in Cavinana, dove accadde la battaglia in cui rimase disfatto il magnanimo Fer- ruccio. (2) Le donne applicate a quel lavoro si chiamano ven- tolatore, dalla ventola o vassoia che usano all'uopo. (3) Dicono sanza quel po'di pellicola , che rimane sulle castagne dopo la ventolatura. (4) Guidarello è il capro posto a guida delle pecore. (5) Testi sono certe piastre di sasso gentile, che non si spezza al fuoco. (6) Della farina coll'acqua, mestata di molto e cotta, se ne fa àtmanufattoli. A volte si cuoce la farina dolce mesco- lata con vino e aceto, si lascia indurire al fuoco, e così fanno la schiacciata o farinata, e (ìe'tortacciiioli. " (7) Anche le bruciate, levata la loro buccia, si fanno bol- lire nell'acqua col sale- e queste sono le mondine che si man- giano tutte insieme col brodo. Dicono castagne cotte quelle secche e mondate, che si mettono a cuocere nell'acqua. 30 Memorie per servire alla storia della incisione com- pilate nella descrizione e dichiarazione delle slam- pe che trovansi nella biblioteca corsiniana da Francesco Cerroti bibliotecario- Tomo primo. In- cisori antichi italiani. 4. Roma 1858 dallo sta- bilimento tipografico via del corso n. 387- (Sono pagine 63.) V « JJ abate Pietro Zani (dice il eh. Cerroti nella let- tera dedicatoria aireccellenza di D. Tommaso Corsini duca di Casigliano) autore della Enciclopedia metodica delle belle arti, opera insigne o si riguardi l'ampiezza della dottrina ond' è afforzala , o l'infinito numero di conoscenze artistiche delle quali è abbellita , o finalmente il buon senno dello scrittore da cui è governata, dopo avere attentamente esaminato tutte le pili cospicue raccolte di stampe di cui adornavasi l'Europa al suo tempo, affermava nel 1802 nell'altra sua opera Materiali per servire alla storia dell' incisione pag. 97, che quella della biblioteca Corsini in Roma era la più ricca di quante ne potesse vantare l'Italia, anzi l'Europa, eccettuate le imperiali di Parigi e di Vienna, e la elettorale di Dresda. Ebbe essa comin- ciamento dal marchese Neri Corsini, poi cardinale, nipote di Clemente XII, ne' suoi viaggi in Francia, in Olanda ed in Inghilterra, allorché dal granduca di Toscana fu spedito suo ambasciatore in que' luo- ghi dal 1716 al 1725. Egli stesso poi la crebbe con la compera delle stampe possedute dal cardinal Guai- 31 tiei'i, dì quelle che furono del cardinale Francesco de Medici, di molte altre che aveva messe insieme in Roma un certo Francesco Andreolì libraio , che molto di tali lavori si dilettava , e finalmente con l'acquisto della pregevolissima raccolta fatta dal car- dinale Camillo Massimo. Ned egli poi nò gli altri della vostra famiglia, che han vissuto dopo di lui, hanno risparmiato danari e cure per farne maggiore il numero e il pregio, procacciando le stampe più rare di che difettava , o quelle più insigni che di mano in mano sonosi date sino a' nostri giorni alla luce. Per la qual cosa la raccolta corsiniana, anche dal tempo in che lo Zani la chiamava prima d'Italia, è stata grandemente accresciuta: ed in ispecial modo per la generosità del principe Tommaso vostro nonno, il quale nell'aumento di essa, ed in altri ornamenti e vantaggi arrecati a questa biblioteca, ha speso , senza tener conto degli altri danari prima impiega- tivi, negli ultimi venti anni della sua vita più che ventimila scudi: e per sua larghezza è stato fatto tesoro nel tempo medesimo delle collezioni Saettone, Boni e Guidi, e di molte stampe appartenenti alla casa Caetani. (i Ma siffatta preziosa raccolta (segue l'autore), siccome quella de'libri, rimanevasi al netto sprovvi- sta d'ordinamento: conciossiachè si vedessero fram- misti antichi a recenti autori , incisioni in rame a quelle in legno, intagli fregiati del nome dell'ar- tefice a quelli d'artefici sconosciuti, alcune stampe disposte in volumi secondo il nome de' pittori, altre secondo quello degl'incisori, ed altre da ultimo per materie: e perciò non essendovi, per giunta di danno, 32 catalogo aliiuno, rendevasi impossibile fia tanta mol- titudine di riti'ovai'le quando ne fosse stata fatta richiesta. Riparò in grandissima parte a siffatto di- sordine il professore D. Luigi Maria Rezzi, da circa due anni con gravissimo danno de'buoni studi tolto ai viventi: poiché appena fu scelto a bibliotecario, dato a me suo compagno il carico di porre in as- setto per materie e per sesto i cinquantamila volumi di opere impresse dalla origine della tipografìa sino a' giorni nostri, de' quali è ricca la biblioteca: egli tutto si mise ad ordinare le stampe, il cui numero aggiugne a sessanta mila o in quel torno, senza com- putare gli intagli che sono frammessi a' libri stam- pati. Ed a fine di conseguire il suo intendimento, partì tutta intera la collezione per incisori , sepa- parando gli anonimi degli artefici conoscmti o pel loro stile o pel loro nome , sia esso interamente scritto, 0 per marche, sigle, cifre ed iniziali notato, le incisioni operate in rame od altro metallo da quelle condotte sul legno , e le prime in diverse classi a bulino finito, a mezza macchia , a punti , all'acquaforte, a colori, a fumo. Nel qual lavoro, che certo può dirsi erculeo riguardando all'immensa mol- titudine delle stampe , ed alle gravissime difficoltà che sono in tale ordinamento da superare, egli im- piegò tutto iJ tempo che presiedette alla biblioteca medesima, non potendo poi dare effetto, essendone impedito da morte, a ciò che aveva nell'animo, di compilarne un catalogo : senza il quale ognuno di leggieri comprende quanto sì renda, anche dopo co- tale ordinamento, grandemente penoso e malagevole ritrovare ad ogni richiesta ne'detti volumi le stampe 33 anche u colui che pel lungo uso di molti anni ne abbia conoscenza. Per ciò, tostochè io fui per volere del principe vostro zio, e del marchese di Laiatico padre vostro , scelto a succedergli, posi l'animo a compiere ciò ch'egli non aveva potuto, compilando non uno, ma tre cataloghi: dei quali il primo faccia vedere disposti per alfabeto i nomi degl'incisori pre- messi alle loro onere; l'altro quelli dei disegnatori, pittori, scultori , architetti , a cui segua la notizia del soggetto da essi disegnato, dipinto, scolpito, ar- chitettato; e il terzo annoveri i vari soggetti accom- pagnati da' nomi e di coloro che gli hanno prima- mente inventati e secondo loro arte eseguiti, e di coloro che gli hanno col bulino ritratti: avvertendo talune volte, anzi il piiì spesso, che si faccia ricerca di un quadro di tale o tal pittore , ignorando il nome di colui che l'ha inciso; e talune altre di tale o tal soggetto, non avendo conoscenza di colui che l'ha di colori avvivato, ne dell'artefice che l'ha in- tagliato. La qual cosa può affermarsi come della pittura, così di tutte le altre arti. « Ora nel dare cominciamento sul finire del pas- sato anno a questo lavoro mi corse alla mente il pensiero di allargare alquanto il mio concetto: e sta- bilii, tessendo il triplice catalogo che è detto di so- pra, di formare il primo per incisori, non indicando solamente le stampe da loro eseguite, ma descriven- dole , e alla loro descrizione premettere la notizia de' singoli artefici, e all'una e alle altre aggiungere alcune dichiarazioni e note: talché si abbia per esso non pur la piena conoscenza delle stampe che si contengono ne'volumi accolti nella vostra biblioteca, G.A.T.CLIX. 3 34 ma sì bene altre notizie che riguardano l'arte della incisione e le altre arti sorelle. Ed avvegnaché io creda che il. lavoro condotto a questo modo possa essere vantaggioso sì a colui che cercar voglia i delti volumi, e sì agli amatori e cultori di quelle, ho fermato di pubblicarlo. Voi ne avete in questo volume, che con lieto e grato animo in sì ben'av- venturosa occasione m'attento d'intitolarvi, un primo saggio ». Così l'egregio signor Cerroti: e ninno certo più chiaramente avrebbe saputo darci le notizie della sì doviziosa raccolta corsiniana delle stampe , e dei molti lavori fattivi sopra dal Rezzi e da lui. Giovi ora aggiungere intorno al presente volume, e agli altri che seguiranno, ciò ch'egli ne tocca nella pre- fazione dottissima, in cui con fino giudizio discor- rendo i principii dell'arte dell'intagliare le stampe fra noi, n'assicura il primato agl'italiani anziché ai tedeschi, per la famosa opera da Maso Finiguerra fiorentino condotta nel 1452, quando le più antiche tedesche non sono che del 1466 )). In questo volume (sono parole dell'autore) mi ristringerò a discorrere ed annoverare i lavori di quelli, le cui stampe tro- vansi nella Corsiniana, che vissuti od intera la loro vita , o la maggior parte di essa, nel secolo XV , adoperarono sui metalli il bulino prima che il no- vello artifìcio fosse pel senno e per la mano del Raimondi fatto migliore. Ne' volumi seguenti dirò di coloro, che dettero opera all'incisione nel seco- lo XVI, ed innanzi tutto di Marcantonio e de' suoi scolari : e così di mano in mano fino a quegl'ita- liani che a' giorni nostri attendono a siffatta arte 35 nobilissima ed utilissima. Al novero delle stampe tratte dalle incisioni fatte dal rame o altro metallo aggiungerò quello delle stampe prodotte dalle inci- sioni sul legno, e finalmente descriverò e dichiarerò le stampe anonime, ordinando anch'esse seconda i diversi secoli dell'arte ; eccettuate quelle iche sono copia di qualche incisione di antico e celebre autore, delle quali farò narrazione appresso alla stampa origi- nale. Le stampe poi di ciascun artefice, di qualunque natura esse sieno, saranno da me poste secondo la varia qualità de' soggetti per esse rappresentati, co- minciando sempre da quelle in cui veggasi effigiata alcuna storia sacra o profana; appresso alcun sog- getto-mitologico ec. Compiuto con siffatto processo il catalogo degl'italiani, porrò mano a quello degl'in- cisori delle altre nazioni, cominciando dai tedeschi. Nel compilare poi questo mio lavoro, e nel notare le prove delle stampe, le quali trovansi nella raccolta che imprendo a descrivere e dichiarare, accennerò soltanto lo stato e le qualità di quelle prove che sono o freschissime o deboli: mi tacerò delle qualità delle altre, che sono di freschezza convenevole )>. Noi ben di cuore ci rallegriamo di quest'opera col sig. Cerroti: opera di polso sia pel criterio del- l'arte, sia per la critica, sia per l'erudizione, sia per l'accuratezza delle descrizioni: non potendo esser dubbio che non debba sommamente giovare alla storia dell'intaglio e de'suoi maestri, ed aggiungersi nobil- mente in Itaha ai lavori insigni del Zani. Né solo ci rallegriamo coU'autore, ma sì col signor principe Corsini, il cui tesoro di stampe, cotanto celebre in Italia e fuori, viene (ìnalmennte con bel metodo ed 36 acconcia dottrina illustrato, secondo ch'era il voto di tanti professori ed amatori delle arti. Gl'intagliatori, le cui vite ed opere s'illustrano in questo primo tomo, sono i seguenti: Baccio Bal- dini, Sandro Botticello, Girolamo Mocetto, Andrea Mantegna, Nicoletto Rosa da Modena, Zuan Andrea, Gio. Antonio e Gio. Maria da Brescia , Benedetto Montagna , Giulio Campagnola , Domenico Campa- gnola e Robetta. Giovino per saggio le notizia della persona e delle opere di Gio. Antonio e di Gio. Maria da Bre- scia, che sono delle piiì brevi. « GIO. ANTONIO E GIO. MARIA DA BRESCIA. « Anche di questi due artefici non v'hanno si- cure notizie- Secondo il Malpè, Gio. Antonio nacque nel 1461. Alcune «tampe di lui sono tratte dai di- segni e dalle pitture di Gio. Maria, siccome è quella in cui si rappresenta una danza di cinque fanciulli, ove trovansi i nomi dell'uno e dell'altro. V'ha chi crede esser fratelli e carmelitani ambedue- Niccola Cristiani bresciano , nella vita del pittore Lorenzo Gambara, dice essere Barbarossa il nome della loro famiglia. Giovanni Maria ha lavorato fino all' an- no 1512, com'è aperto dalla carta da lui intagliata, ove sono effigiati la B. Vergine ed il bambino Gesù col Battista, con san Girolamo e tre frati carmeli- tani. Lo Zani afferma esservi delle stampe di Gio. Antonio segnate con gli anni 1505-1509. Quanto ciò sia vero, non so: mentre nel novero di tutte le 37 stampe di questo artefice fatto dal Bartsch in nes-' suna avvi la data. Gio. Maria era ancora orefice , coni' è manifesto da una sua pittura ove leggesi : Fratris Ioannis Maria Brix. sacerdotis opus ex argen- tario pictor. (Zani, Enciclop. metod- t- V pag. 154.) « LA PRESENTAZIONE DI MARIA VERGINE AL TEMPIO, in fol « A destra il tempio, a cui si ascende per quin- dici scaglioni , sull'ultimo de' quali diritto in piedi vedesi il gran sacerdote , die con le mani giunte sta in attesa della fanciulla , la quale si è già avanzata al settimo grado, su cui ha posto il piede destro. Dietro a lei una grande fabbrica con sei pi- lastri. In basso, alla sinistra, quattro figure che sem- brano riguardarla: alla destra , un vecchio, barbuta che siede appoggiando la gamba destra su d' una gruccia: gittate sul terreno scorgonsi un'altra gruc- cia ed una scodella. Sotto al piede sinistro di que- sto vecchio seminudo sono le lettere R VR, ed in una fascinola IO. A- BX [Ioannes Anlonius Brixien- sis). Il Bartsch dice leggersi alfa sinistra: Rappre-^ seiitatio della madonna. Forse ch'egli avrà veduto qualche prova posteriore alla nostra , nella quale , tuttoché interissiina , non è quivi alcuna scrittura. M Prova freschi sf:i ma. È da osservarsi , che in questa composizione le colonne del tempio, ove vedesi il sacerdote, sono fatte alla stessa foggia di quelle, che circa due secoli dopoy nella decadenza delle arti, pose il Bernina nella con- fessione al Vaticano. Il disegno^ ond'è tratta questa 38 slampa^ creded di Raffaele- Uincisione poi non è di siile mantegnesco, come le altre, ma tulle informale di quel nuovo modo, che aveva nelVarte delV intagliar e introdotta il Raimondi. « LA B. VERGINE COL BAMBINO, in « A sinistra, la Vergine (mezza figura) con le mani giunte, rivolta della persona verso la destra, riguarda devotamente il bambino Gesù, che seduto a destra, tiene fra le mani un uccello- Su d'una tavoletta, che vedesi a sinistra, è scritto IOAN. BX. (( Lo stile di questa incisione alquanto piti trozza delle altre di Gio. Antonio, e il vedere che il nome; IOAN è scritto senza interruzione di punto tra V 0 e VA, come si avvera in tutte le altre carte ove tro- vasi, segnato , mi mettono nelV animo il sospetto, che essa debba, pili tosto che al medesimo Gio. Antonio, essere attribuita a Giovanni da Brescia, di cui VHei- necke cita un altra Vergine col bambino Gesw, e con la data 1502. « GIJ ELEFANTI che portano de' candelabri, in fol. traverso. (( Copia dello stesso soggetto inciso dal Mantegna. Vedine la descrizione in quell' autore. Si riconosce particolarmente questa copia dall' esservi solo otto piccoli tondi, invece di undici , fra le due teste di montone nel piedistallo del candelabro, alla cui fiam- mella un giovane montato in alto abbrucia un ba- stoncello- 39 « Prova mb'abilmente fresca. Da alcuni si pone in dubbio che Antonio da Bre- scia abbia fatta questa copia; e veramente a giudi- care dalla condotta de" tagli , e dal metodo de' con- ' tornii mi pare che detto dubbio non sia irragio- nevole. « ERCOLE e ANTEO, in fol. pie. « II gruppo è nel mezzo. Ercole strigne nelle reni Anteo con ambe le braccia: pende ad Ercole dalla spalla destra la pelle del leone: ha egli fra'piedi la clava: lo scudo e l'arco sono appoggiati ad un tronco d'albero disseccato ch'è verso la destra, ad un ramo del quale è appesa una tavoletta, su cui è scritto: IO. AN. BX. Fra '1 tronco e il margine è scritto verticalmente: DIVO HERCVLI INVIGTO. « Incisione operata forse da un disegno del Man- tegna ». B. 40 Secondo saggio di poesie dell'avvocato Luigi Mazzolani cervese. t^uando alcuni de'miei concittadini ebbero letto in questo giornale il primo saggio di poesie dell'avvo- calo Luigi Mazzolani, furono sì lieti della cosa , e si porsero così cortesi di parole verso di me, che ve lo avea fatto inserire, che ciò mi die animo a pro- curare con un piccolo altro saggio di onorarmi del loro benigno gradimento, soddisfacendo in pari tem- po al vivissimo mio desiderio di vedere vie più co- nosciuto ed onorato il suo nome da quanti si pre- giano di amatori de'begli studi. Ecco pertanto questi pochi versi , che danno anch' essi l' idea de'primi , cioè fanno sempre conoscere nell'avv. Mazzolani il poeta gentile, tenero, elegante e terso, tutto cuore; tutto affetto, tutta bella natura, senza i lisci e fioc- chi, e le altre caricature moderne- La sua maniera in una parola è quella de'classici, ch'ebbero in ogni età di molli seguaci ; n>a assai pochissimi furono poi meritevoli di quella fronda, che viva è mai sem- pre nella fronte di solo quegli eletti e privilegiati» che sentirono profondamante il bello , ed esprimer lo seppero con diletto e meraviglia degli intelligenti. Giuseppe Bellucci. 41 1. In lode di sua eccellenza il sig. don Federico Guarini dei duchi di Poggiardo intendente della provincia d'Aquila. EGLOGA. Mopso sulmonese, Menalca della Marsia^ Licida popolese, pastori. Mopso. Or che Favonio spira, e di fresc'ombra Offron stanza ospitai queste selvette, 0 mìo Menalca, ogni pensier disgombra. Siedi, e cantiam; su le romite vette Pascon l'agne a ìov grado erbe novelle, Che fuor la pingue terra intorno mette. Menalca- Presto son'io; ma che cantar? le belle Trecce della tua Lidia, o Coribanto Che ad una ad una sa nomar le stelle? Mopso. Scegli che più ti piace: al nostro canto Presiederai tu, Licida, che hai colto Di primiero cantor si spesso il vanto. Licida. Tutto ai versi è materia, o Mopso; il follo Lanuto gregge, le selvette, il prato, E amor che nasce in noi da un vago volto. Ma pili degno argomento e più laudato, Sceglier vi piaccia, che non agne, o amori; Troppo i boschi ascoltar del canto usato. Grata la terra al suo cultor, e fiori. Ed erbe, e spiche, e grato vin gli dona, E piante, asilo ne'cocenti ardori. , 42 E noi quale darem laude o corona Al benefico padre, cui si forte Amor del nostro ben Tanimo sprona? Egli è che a'iieti giorni aprì le porte, E a noi legando le disgiunte genti Di opimo cambio preparò la sorte. Mopso. Ben parli, amico: ma campestri accenti Lodar non sanno che campestri cose, Colline amene, limpid'acque, e armenti. Ma per noi parla quest'altar che impose La nostra mano, ove pregando ai numi Rechiam candido latte e scelte rose. Pur se i ruscelli al paragon de'fiumi Oggi vuoi porre, né al cammin riguardi Sparso di acute selci ed aspri dumi; Tu primiero comincia; a passi tardi Noi dietro ti verrem, come coloro Cui fatica e dolore il pie ritardi. Licida. Fin che a Febo sia grato il sacro alloro, 11 citiso alle agnello, ai pesci l'onda, E del sonno al cultor dolce il riposo, Di Dafni il nome non sarà che asconda Oblio nemico; i nostri figli a gara Lo faranno echeggiar di sponda in sponda. Qua] prò se a noi natura non avara Desse ricco lesor d'irrigue fonti, Onde al gregge ampio cibo si prepara? Chiusi intorno da balze ed ardui monti, Ahi! nostra vita in povertà scorrea, E squallide de'fìgli eran le fronti. 43 Che quando al soffio aquilonar cadea La neve, e piena l'alpe era e la valle, Chi l'agne alla città vender potea? Non via sicura, non sentici', non calle S'ofFi'ia d'Intorno; vano ogni ardimento Era, e i pastor seguìa morte alle spalle. Ahi! che tuttor col pianto mi rammento li dì che i miei giovenchi io stesso vidi (Mentre il monte salìan con passo lento, Ne sentieri apparian se non infidi) Giti per dirupi traboccare, ahi lasso! Né far altro io potea che metter gridi. Sparse del sangue loro ad ogni passo Lasciar l'acute selci, e senza vita Giacquer della fiUal montagna al basso. Numi, se pura prece è a voi gradita, D'ogni vostro favor Dafni colmate, Dafni che voi, beneficando, imita- Simile la sua prole a lui deh fate! Viva lungh'anni con pace e letizia, E con noi sia in stabile amistate. Ogni ben nostro sol da lui s'inizia; ' Ei dell'aspro cammin tolse il periglio; Ei de'fonti ne aprì l'ampia dovizia, Che dove l'erto rovinoso ciglio Della rupe metteva al cor spavento. Sol sparso d'orme di ferigno artiglio. Or d'arte son mirabile portento Splendida via l'industre ferroaprio, E corron cocchi al paragon del vento. 44 Mopso. Dolce, come il Favonio, o il mormmio D'un fìumicel, fu, Licida, il tuo canlo, Nò mai l'eguale fra i pastor s'udìo. Certo sventura fu degna di pianto Pei'der giovenchi così amati e belli, Tihe di fortezza avean su gli altri il vanto. Ma dieci hai tu bellissimi vitelli, Che presto diverran giovenchi anch'essi, E cento capre pasci e mille agnelli. lo sì fra quanti son miseri e oppressi 11 piij misero son, che piango ancora 11 miglior figlio, in cui sperar potessi! Licida. Deh se ridire il caso non t'accuora, A noi fa chiaro quel che un grido incerto Or del figlio spargeva, or della suora! Mapso. S'alza non lungi da Sulmona un erto Monte, ed un pian si estende alla sua vetta, Che a Partenope il calle rende aperto. In men che un arco scocca la saetta Venne da Borea un nembo in su la sera; Ed io col cuor dicea: Figlio, t'affretta. Ma più crescendo ognor l'empia bufera, Tutta in neve si sciolse, e in un momento Piena intorno ne fu la via quant'era. Ahi che ravvolto da neve e da vento, Smarrita del cammin la fida traccia. Ivi il misero figlio giacque spento! E quel che più mi duol, stender le braccia. Ed aiutarlo, ahi lasso! io non potei, E piangendo bagnar la smorta faccia. 45 In van tre giorni lo richiesi a'dei, Invano il ricercai con man pietosa, Empiendo l'aure di singulti e omci. Ma torni or pure l'ira tempestosa Del vento aquilonari il cuor d'un padre Spoglio d'ogni timor lieto riposa. Che come nelle notti umide ed adre Dicon che i fuochi delle torri al porto Guidan sicure le smarrite squadre; Così securo il passeggiero è scorto Nel fatale cammin da chiari segni, Che i nembi a non temer danno conforto. Oh fra quanti vi son pietosi ingegni Dafni pietoso! niun labbro potria Dir quanti del tuo amor dato n'hai segni! Menalca. Il marsico pastor, che già solìa Stretto da monti trar sua vita in doglie. Né avea, misero! aperta una sol via, Or per ampio cammin reca le spoglie Del gregge alla cittade, e benedice Dafni, ed infiora di serti le soglie. E se il futuro presagir ne lice. Terra non vi sarà, che più de'marsi Ricca sia tutta e d'ogni ben felice. Questo sarà quando vedrem scacciarsi L'acque nemiche, e tolto ai pesci il regno, U'pria le spiche già solean mirarsi. Altri dirà con chiaro carme e degno Le vio, onde il Piceno, e Roma fassi A noi congiunta; o come accolta a un segno 46 L'acque volgendo van rotondi massi In vorticoso moto, onde il frumento Perde sua forma, e in polve avvien che passi. Oh quant'altre laudar sue cose io sento, Quando nella città reco le agnelle, Che a ben ridirle mancami ardimento? Dicon d'un luogo, ove le donne bello Assise ascoltan de'poeti il canto, E che fra quante son prische e novelle Opre null'altra mai fu bella tanto: Colonne, oro, cristalli e tele pinte Risplcndon sì che fanno agli occhi incanto. Dicon^ che industri giovinette accinte All'opra della spola intesson tele Sì belle le che strane omai son vinte. Ma se tutte ridir lingua fedele Vorrà l'opre di Dafni, anco ridire Potria da quanti fior sugge ape il mele. Licida. Basta, compagni; ora conviene unire Le agnelle: che già il sol troppo è focoso: Uiman, se uguale il vostro è al mio desiro. Ci rivedremo in questo luogo ombroso- Per Varrivo di mi vescovo alla sua sede. IDILLIO Il Pastore allegorico. in quell'ora che Felx) il cocchio alfrctta Salutando la terra, e va ncironde 47 A nasconder sua luce, un venerando Veglio, che il crine avea qual neve bianco. Bianca la veste ed una veiga in mano, Si assise in atto di parlare: e mille Figli, che de'suoi pie venian su l'orme, Taciti e riverenti aprir l'orecchio Per udir sue parole, onde son vinti Nella soavità dell'Ibla i favi. 0 figli, 0 benedette agne del gregge Di quel Signor che vi fé monde e bianche, Non coll'acque di limpidi ruscelli. Ma sì nel sangue che da cinque fonti Largo versava, onde pur mo bagnati Fino al settimo sol portaste i rai (1), Salvete, o figli, e me seguite; io vengo Nel suo nome a guidarvi alle salubri Piagge, che timo ognor crescente infiora, E fonti irrigan di purissim'acque. Ecco la verga che di me fa fede, E a voi schiude il sentiero, ondo si sale A' paschi eterni nell'eterno giorno. Di qui non lungo una campagna ride Lieta d'ombre e di fiori, ove ingannate Erran letiziando e senza freno Altre indocili agnello, a cui tormento Son questi paschi e del pastor la voce. 0 agnello mie, deh non v'alletti il verde Dell'ingannevol terra ! ivi l'erbette (1) Due giorni innanzi all'accademia ebbe termine la set- timana santa. 48 Celano tosco, e dan moi'te i ruscelli. Verrà stagion, nò fia quest'ora antica, Verrà stagion che pestilenza tetra Struggerà quelle infide: austro cocente, Austro vendicator dell'ira eterna, Volgerà in polve i fior, l'acque in vapori; E dall'alvo de' boschi a bocca aperta Verran lupi affamali, e a lor fian pasto Le poche che non fur di morte preda. AUor tutta vedrem d'ossa insepolte Biancheggiar quella terra, ove parca Durar di primavera eterno il riso, Eterno il gregge, già sì pingue e lieto. Deh i fidi paschi non fuggite, o agnelle, I paschi ove il pastor vostro vi guida! Qui non vedrete inaridir per vento L'erbe, o de' rivi polveroso il letto. Un'aura, che da ciel movendo spira, Questa terra governa, e al suo tepore Van pieni i fonti, e si feconda il timo. Qui lupi non verranno a far satolle Le ingorde zanne: a voi mia verga ò scudo; Ed è la verga mia terror di belve. Qui sarò vosco all'apparir del giorno. Qui all'apparir dell'ombre, onde dar laude A chi fé bello il ciel dell'alma luce, E dolci l'ombre della notte cheta. E qui piegate le ginocchia a terra Seguì dicendo: D'esti figli in petto Manda, o Signor, della tua pace il dono, Onde abbian segno, che son questi i paschi, Queste, e non altre, l'acque vive, u' debbe 49 Dissetarsi l'agnella. A questi detti Arrise il cielo folgorando a inanca, E d'oriente venne una dolce aura, Che d'eletta fragranza empio quel loco- L'acque sostaro, e si fer belli i fiori. Allor tutti sorgendo, o benedetto, Gridar, che vieni del Signor nel nome. Chi fìa che chiuda a tue parole il petto, 0 seguirti ricuvsi ? A noi lucerna Tu se' che l'ombra dell'error disgombri; A noi tu padre, che gl'incerti passi Del fìgliolin sorregge, onde in acuta Selce, cadendo, non offenda il volto. E in men che il dico, ad uno ad uno intorno A quel padre si strinsero, simili Ai nati di colomba, allor che il cibo Tarda la madre a dispensare apparve. IH. - La morte del giusto. Chi è costui che par non senta in petto Doglia del telo, che a lui morte vibra ? Chi è costui che con asciutto ciglio Alla madre, alla sposa, ai dolci nati Dice l'ultimo vale, e pure anela Sciorsi dei lacci del suo fral caduco? 0 giovinetti, in lui vedete il Giusto, Cui morte è fin d'una prigione oscura, Cui la speme avvalora, e cui la Fede Impenna l'ali per volare a Dio. C.A.T.CLIX. à 50 IV. La morte di Catone in Ulica. Sonetto improvvisato in nn caffè di Ravenna a rime obbligale. Petti non troverai da maccheroni, Cesare, o l'alma in noi d'una cicala; Ove spira Caton, non s'aizan troni: Qui l'augel di Quirin distende Vaia- Venite intorno a me, voi fidi e buoni; Rocca di libertà sia questa sala^ Serbi chi vuol la vita a danze e suoni. Che il morire da forte a gloria è scala. Cosi dicea Caton piiì ch'altri fiero; Poi fé le carni sue lacere e peste CoH'acciar che imbrandia feroce e altero. Furon del suo morir l'anime meste, Si rinchiuse il guerrier nel suo cimiero, E l'alma a Dite andò ver l'ore seste. Traduzione di un epigramma di Marziale. Se ben ricordo, avevi Sol quattro denti in bocca, Elia, e tossendo ne sputasti due; Due ti svelse da poi un'altra tosse. Ora tu puoi tossir liberamente: La terza tosse non può farti niente. 51 Impressioni degli oggetti terrestri prodotte dalla fol- gore- (Dalla Gazette de France). 1 più straordinari effetti della folgore sono per fer- mo le impronte d'immagini terrestri che stampa sugli oggetti fulminati. Non pochi di simili fatti sono stati riferiti in diversi tempi; ed il signor Pney, direttore dell'osservatorio meteorologico della Navarra, reca un certo numero di fenomeni elettrici che potranno interessare i nostri lettori. Narra Casaubono che quindici anni incirca prima del 1610 la cattedrale di Wells nel Sommersetshire (Inghilterra) venne col- pita dal fulmine. Ebbene: si trovarono croci impresse sulla persona di coloro che erano nella chiesa. Il vescovo di Wells ne aveva una sopra un braccio ; anche sua moglie aveva sopra di sé l'immagine d'una croce: altri l'avevano sulla spalla, sul petto, sul dorso 0 sopra altre parti del corpo. Lo stesso signor Poey ha trovato un altro ri- cordo della formazione di croci al tempo dell'eru- zione del Vesuvio nel 1660, segnalata dal P. Kirchcr. Dopo r eruzione di quel vulcano si manifestarono croci sulle vesti di lino, sulle maniche delle camicie, sui grembiali delle donne e sulle lenzuola ch'erano state sciorinate durante la eruzione- Si contarono sino trenta croci ^opra una tovaglia da altare , e quindici sopra la manica d'una camicia. Il colore , la dimensione e la forma di cotali croci variavano in grande maniera Nondimeno, slu- 52 dialo avendo profondamente V opera pubblicala a questa proposilo dal P. Kircher, il signor Poey in- clina a credere che le croci del Vesuvio non si deb- bano attribuire all'azione foto-elettrica della folgore vulcanica, ma probabilmente ad alcuni depositi chi- mici delle emanazioni del vulcano sopra le vesti di lino, la cui tessitura, che è di fili incrociati ad an- golo retto, prestasi alla formazione d'immagini che hanno apparenza d"una croce piiì o meno esatta. Oltre la formazione di queste croci, egli ha tro- vato altre impronte del fulmine che non sono meno meravigliose delle prime. Per esempio, essendo caduto il fulmine , il 18 luglio 1689, sul campanile della chiesa di San Sal-p valore a Lagny , esso improntò in un momento , sulla tovaglia dell'altare, le sacre parole della con- secrazione, cominciando dsiqyiesle: Qui pìidie qiiam paterelur , ecc- sino a quest' altre inclusivamente : Haec quoliesciirnqne fecevilis, in mei memoriam fa- cielis: non essendo state omesse che quelle parole che di solito si scrivono in caratteri piiì visibili de-? gli altri e che sul cartone erano stampate con in- chiostro rosso, cioè: Hoc est enim ecc. Hic est san- guis ec le quali non rimasero improntate sulla to- vaglia dell'altare. È notevole che l'impressione pro- dotta sulla tovaglia dal fulmine era identica con la stampa ordinaria del cartone, con la sola differenza chp le lettere erano rovesciate da destra a sini- stra (1). (1) Avendo noi comunicalo quest'articolo (dice il sig.F.B. nella Gazzetta di Parma degli 11 dicembre 1858) ad un 53 E credibile per nitro che questa il produzioni^ d' una parte del canone della messa non sia delia nostro amico, il quale con singolare amore e con molto buon successo coltiva gli studi fotografici, nel restituircelo ha vo- luto esserci cortese della seguente nota: « I colori rosso, giallo e verde sono chiamati dai foto- « grafi colori antifotogenici , perchè la luce non riproduceli « come gli altri sulla superficie sensibile. Ciò dimostrerebbe « clic i caratteri rossi della tabella dell' altare non rimasero « impressi sulla tovaglia, come i neri, pel motivo suddetto : « ritenendo io che tutti i fenomeni delle impressioni prodotte a dal fulmine sui corpi sieno efletti dipendenti dalla forte cor- « rente o vortice di luce impressa prima nei corpi, dai quali « poi per emanazione o radiazione vengono stampali gl'im- « pronti sulle superfìcie meglio adatte a ricevere l'impressione. « Le scoperte fatte di recente dal signor Niepce di Saiul- « Victor sopra una nuova azione della luce potrà dare qual- « che schiarimento sulle impronte prodotte dal fulmine; laonde « credo non afl'atto inutile il darne qui un cenno. « Un corpo, dic'egli, dopo di essere stalo esposto al Sole, « conserva nelle tenebre una proprietà trasmissiva dei raggi « luminosi. Alcuni corpi, come la carta, il legno, la pelle, « esposti parimente al Sole senza il preventivo apparecchio « di veruna sostanza, e rimessi tosto nell'oscurità, vestono le « qualità di poter produrre la propria immagine mediante i « processi fotografici. « Prendete un disegno od un'incisione che sia stata pri- « ma per qualche tempo nell'oscurità, ed esponetela in que- « sta condizione un quarto d' ora ai raggi del Sole. Finita « quest'operazione, ponete ancora allo scuro il medesimo di- « segno, e soprapponetegli un foglio di carta preparata fólO' " graficamente : ed in breve spazio di tempo avrete l'esatta a riproduzione di quel disegno. L'effetto è prodotto dalla luce « impressa sui bianchi e sui neri del disegno, i quali si Ira- « smettono sulla carta bianca a mo' di radiazione; perchè se « coprite una parte del disegno con un cartone, la parte co- « perla non produce più immagine. Il contatto però non ènep- « pur necessario in tal maniera di riproduzione, perchè l'ini- 5i stessa natura delle immagini foto-eleltiichc prodot- te dal fulmine; e che agito avendo l'elettiicilà come corpo dissolvente dell'inchiostro, la riproduzione dei caratteri si sarà fatta per compressione al momento che il cartone fu rovesciato sulla tovaglia dell' al- « pronta del disegno si riproduce sulla carta sensibile anche « alia distanza di un centimetro dal disegno alla carta. Cotal " particolarità, che acquista un disegno esposto al Sole, può « trasmettersi sopra un'altra superficie bianca; e da questa si « può parimente ottenere la riproduzione d'un disegno su carta " sensibile , senza la presenza del disegno slesso. A conse- « guir ciò, basta in prima insolare il disegno, o l'incisione che « si vuol riprodurre: in appresso mettetelo in luogo tenebro- « so: soprapponetevi un cartone levigato, e il contatto duri « per 24 ore. Dopo dolevate il disegno, e a contatto del solo « cartone ponete la carta sensibile, ed essa riceverà la ripro- « duzione esalta del diseguo medesimo. « Un'ultima esperienza ancor più mirabile rende notevole « questa proprietà che ha la luce di potersi conservare ne'suoi « effetti in certe sostanze e di agire dopo qualche tempo. « Guarnite nell'interno di carta bianca un lungo tubo di latta, « ed esponetelo al Sole sì che i raggi vi penetrino nell'inter- « no per circa un' ora. Se in questa condizione si collochi " l'orificio del tubo sopra un foglio di carta sensibile, ottiensi « esattamente il disegno della circonferenza del tubo mede- " Simo. Posto un disegno fra il tubo eia superficie sensibile, « si ottiene 1' esatta riproduzione di tal disegno. Finalmente « il tubo chiuso può conservare per assai lungo tempo la pro- « prietà che ha la luce d'improntare le superficie sensibili: e « basterà soltanto di aprirlo e di soprapporlo ad una super- be iicie preparata per ottenere la riproduzione della parte che « vi è in contatto. Ecco quanto posso dire intorno all'articolo « che mi hai comunicato. Io ritengo che il fenomeno delle « folgori, se non del tutto, sia almeno in parte analogo agli « effetti delle sperienze fatte dal signor Niepce di Saint-Yictor ». 55 tare, nella stessa maniera che si riproducono i ca- ratteri da stampa. Nel 1786 Leroy, membro dell' accademia delle scienze di Parigi, annunziò che Franklin gli aveva pili volte ripetuto che quarant'anni prima un uomo, stando di pie fermo davanti ad una porta durante un temporale, vide il fulmine cader sopra un albero che gli era di contro e che, per una specie di pro- digio, videsi poi l'impronta dell'albero sul petto di quell'uomo. Nel 1825 cadde il fulmine sul brigantino II Buon Sen;o ancorato nella baia d'Amirero. Un marinaio se- duto appiè dell'albero di trinchetto ne venne ucciso, e si osservò sul suo dorso un leggero segno giallo e nero, che cominciava dal collo e finiva alle reni, ed ivi era impresso un ferro da cavallo perfetta- mente distinto e della stessa grandezza di quello in- chiodato sull'albero. Il trinchetto d' un altro brigantino venne col- pito dal fulmine nella rada di Zante. Sotto la mam- mella sinistra d'un marinaio videsi il numero 4-4, che tutti i suoi compagni attestavano non esservi prima. Queste due cifre, grandi, ben formate, con un punto in mezzo, erano identiche con lo stesso numero di metallo attaccato ad un attrezzo del bastimento , posto tra l'albero e il letto del marinaio , il quale era addormentato quando fu colto dal fulmine. Nel 1836 la folgore cadde presso Zante ed uc- cise un giovane. 11 cadavere aveva , in mezzo alla spalla destra, sei cerchietti che conservavano il colore di carne, e che tanto piìi risaltavano in quanto che erano improntati sopra una cute fosca- Questi cer- 56 chìetti, l'uno di seguilo all'allro che si toccavano in un punto , erano di tie diverse grandezze e cor- rispondevano esattamente a quella delle monete d'oro che il giovane aveva al lato destro della sua cintura, come fu avverato dal giudice istruttore e dai testimoni. Questo caso ha molta analogia con quello della riproduzione del canoae della messa. INel 1831 un magistrato del dipartimento d'Indre e Loira fu colpito dalla folgore- Si osservò con istu- pore che aveva sul petto alcune macchio che somi- gliavano perfettamente a foglie di pioppo. Quelle impronte si cancellarono gradualmente mano mano che si ripristinava la circolazione. Nel 1847 la signora Morasa di Lugano, durante un temporale , essendo seduta presso una finestra, sentì una certa scossa che, a suo detto, non le fece alcun male: ma un fiorey che si trovò nella corrente elettrica, disegnossi perfettamente sopra una sua gam- ba, e quest'immagine si mantenne pel resto di sua vita. 11 signor Poey aveva già segnalato nella sua Me- moria sulle tempeste elettriche, e sulla quantità di vit- time fatte ogni anno dalla folgore negli Stati Uniti d'America e nell'isola di Cuba, un fatto di questa natura che avvpnne in quell'isola. Il 24 luglio 1852 cadde il fulmine in una piantagione di caffè a San Vincenzo, sopra una palma e sulle foglie secche di essa incise l'immagine dei pini circostanti, come se fosse stata fatta col bulino. Nel 1853 il giornale 1' Intelligenza degli Stati Uniti d'America ha riferito 11 fatto seguente: Tro- vandosi una fanciulla davanti ad una finestra, in fac- 57 eia ad un albero, l'immagine di questo, dopo una sca- rica elettrica, venne riprodotta sul suo corpo; e Io stesso giornale soggiunge non essere il primo fatto di tal natura. Il sig. Raspali ha segnalato il penultimo caso di questa lunga enumerazione delle immagini elettro-fo- tografiche del fulmine. « Ho cento volte udito rac- contare, dice questo scienziato , nella mia infanzia un fatto di simil genere, di cui aveva potuto essere testimonio tutto il paese. Un fanciullo era salito so- pra di un pioppo per levarvi un nido d'uccelletti : scoppia "la folgore e getta il fanciullo al suolo: l'in- felice recava sul petto 1' impronta del pioppo , sur un ramo del quale scorgevasi benissimo il nido de- siderato ». Nello stato attuale delle nostre cognizioni è dif- ficile il cnettere innanzi una teorica che possa ren- dere ragione , in modo soddisfacente , di tutte le circostanze che accompagnano la formazione di que- ste singolari impronte della folgore. Nulladimeno è credibile che abbiano strettissima relazione di causa e di effetto con impressioni analoghe ottenute col mezzo dei raggi solari, come nella fotografia ordi- naria, 0 col mezzo della scarica elettrica d'una bat- teria, o anche per un'azione termo-elettrica, com'è il caso nelle immagini ottenute da Moser, Riess, Kar- sten, Frove, Fox-Tablot, e da altri scienziati. In tutte queste impressioni elettriche, come in quelle della folgore, il corpo che riceve l'impronta soggiace ad una modificazione molecolare più o meno pronun- ciata, che occasiona un mutamento di polarità negli atomi che si polarizzano all'immagine del modello 58 per l'azione della forza dinamica che agisce sopra di lui, sia poi questa dell'elettricità, della luce, del ca- lore 0 d'un'azione chimica. Oltracciò, evvi trasporto di materia ponderahile, staccata dal primo condut- tore e portata sul secondo conduttore, dove la fol- gore si neutralizza, o, in altri termini, dal polo po- sitivo al polo negativo, come nelle operazioni gal- vano-plastiche. Nelle impronte del ferro da cavallo, nel numero 44 e ne'sei cerchietti menziocali di so- pra, ebbevi certamente di particelle metalliche stac- cate dalla folgore e portate sui corpi dei fulminati, dove sarebbesi fatto il deposito a somiglianza del modello. 59 Intorno ad un lavoro di maiolica in Palermo , rap- presentante la Beala Vergine col Bambino^ mo- dellalo da Luca della Robbia fiorentino. A oichè siamo nella stagione delle scoperte, e chi vantasi di aver trovato una nuova cometa , e chi alti rilievi del Gagini non visti pria da nessuno, co- me se lutti gli uomini fossero stati talpe per tre secoli, anch'io vò arrogarmene una singolare arti- stica; ma prevengo il pubblico che dalla fine del se- colo XVI è stata esposta agli occhi di tutti in Pa- lermo, benché nessuno ne abbia riconosciuto il pre- gio, nò detto che era opera bellissima del celebre Luca della Robbia, scultore fiorentino, contempo- raneo del famoso Donatello, col quale talvolta riva- leggiò. Luca acquistò pria celebrità in Italia, come scul- tore in marmo o in bronzo, e più per una sua leg- giadra ed utilissima invenzione , come ci assicura il Vasari, e il suo annotatore^ segnato colle lettere iniziali F. G. D. (1). Il biografo aretino così espri- mesi : « Luca considerando che la terra si lavora <( agevolmente e con poca fatica , e che mancava « solo trovare un modo, mediante il quale l'opere (1) Vite dei pittori scultori ed architetti. Siena 1791, tom. 3 p. n e seg. 60 « che di quella si facevano si potessono lungo tempo « conservare andò tanto ghiribizzando , che trovò (i modo da difenderle dall'ingiurie del tempo: per- « che dopo avere molle cose esperimentate, trovò « ohe il dar loro una coperta d'invetriata addosso, u fatta con stagno, terraglietta,'anlimonio ed altri mi- « nerali e misture cotte al fuoco d'una fornace ap- « posta, faceva benissimo quell'effetto, e faceva 1 ope- « re di terra quasi eterne. Nel qual modo di fare, co- « me quegli che ne fu inventore, riportò lode gran- « dissima, e glie ne avranno obbligo tntti i secoli « che verranno ». I primi saggi di questa specie di smalto vitreo da lui adoperato sull'argilla cotta furono fatti nella sua patria pel tempio - sotuoso di Santa Maria del Fiore, 0 sopra l'arco della porta di bronzo dalla parte dell'organo presso all' ingresso della sagrestia , ove rappresentò nell'esterno la resurrezione di Cristo* che fu, secondo il detto del Vasari : « cosa vera- ce mente rara ed ammirata: onde fece le altre figure (c dell'ascensione di Cristo in cielo sulla porta del- (( l'altra sagrestia, che furon riguardate come opere f( molto belle (1) ». Quella speculazione del della Robbia divulgossi indi in Italia per mezzo dei suoi fratelli Ottaviano ed Agostino , ed in seguilo dei suoi nipoti. Onde nel (l) Vasari par che si contraddica; perocché avendo detto che Luca della Robbia, nato neiri388 e morto circa il 1438, fu inventore della pittura a smalto , dice poi ch'essa rimonti all'anno 1338 quando Ugolino Vieri fece di tali opere per la cattedrale di Orvieto. 61 ducato di Urbino, secondo ci attcsta il Vassari in una disseitazione, sorsero poi tante fabbriche di si- mili lavori, sia di vasi dipinti a vari colori con or- nati e figure, sia di lastre con rappresentazioni tal- volta di quadri, ridotti in piccola dimensione , sia anche di figure di tutto tondo, come quelle del della Robbia, e dei suoi fratelli e nipoti ed altri (1). (1) Nel 1835 pubblicai , nel giornale dell'Indagatore Si- ciliano , una mia illustrazione di una pittura sopra maiolica smaltata , eseguita da un Francesco Mezarix nell' anno 1544, come si legge sulla medesima. Essa era posseduta dal conte Corrado Yentimiglia, ed ora dal chiaris. Domenico Lo Faso, duca di Serradifalco e Pietrasanta. Sopra una lastra di terra cotta invetriata di circa un palmo quadrato scorgeasi a vari colori rappresentata una deposizione di Gesù Cristo dalla croce fra i due ladroni. La composizione e il buon disegno nelle figurine, se non il colore troppo monotono inclinante al gial- lognolo , rendeano assai pregevole quella maiolica. L' autore ignoto nell'istoria dell' arte è da me primieramente aunun- nunziato, perchè sia stato un imitatore di Michelangelo Buo- narroti, 0 di qualche suo scolare; perocché nelle figure di la- droni sente lo stile robusto di Michelangelo per 1' anatomia ben espressa dei muscoli. Sebbene la composizione sia rac- cozzata dalle altre deposizioni di croce di Daniello da Vol- terra e di Federico Barocci. Io giudicai dal cognome Mezarix, che l'autore provenisse da una delle tante famiglie spagnuole stabilite in Sicilia dopo la dominazione di Carlo V , sotto il quale visse : e che egli abbia potuto apprender 1' arte in Italia , e il meccanismo di dipinger le maioliche in Casteldurante, in Urbino o in Faenza, ove erano diverse fabbriche di quella industria : e forse di ritorno in Sicilia l'abbia qui esercitata; perocché, come accen- nai, nel secolo XVI in Palermo erano anche fabbriche di ma- iolica. 62 Luca dapprima intendeva imitare il marmo , e quindi faceva in bianco le sacre immagini invetriate; ma poi spinse innanzi la sua industria e vi appose i colori locali; talché apparvero statue dipinte di mezzo 0 di tutto rilievo. Ma il merito principale di quello scultore fio- rentino non sta, a mio avviso, nell' invenzione che gli attribuisce il Vasari, e che io appresso proverò di essere più antica, e sol da lui ripristinata, ov- vero producente lo stesso effetto con altri mestrui; ma dell'essere stato un artista, come dice il Vasari, di buonissimo e grazioso disegno. E veramente si av- vicina egli nelle sue immagini alla grazia, alla sem- plicità, e specialmente in quelle sacre di Madonne e dell'infante Gesù , e nell'aggruppare le figure , e nell'espressione, al massimo Reffaello Sanzio, sicché Io crederesti uno dei suoi scolari nel disegno. Ep- pure egli fu contemporaneo , come dissi , di Dona- tello, del quale ho pur vedute in Italia opere sì belle per le qualità indicate, che non sembrano apparte- nere al suo secolo- E qui é da osservare, sì per la pittura e sì per la scultura, che mentre procedevano esse lentamente verso la perfezione , alcuni grandi ingegni, eccitati dalla scintilla del genio, lottavano col secolo e lo superavano. E fra questi, come Do- natello, Ghiberti, Luca della Robbia, Masaccio, voglio annoverare anche Antonello degli Antoni da Mes- sina , non già pel servigio reso alla Italia di aver diffuso il dipingere ad olio (la cui invenzione è at- tribuita a torto dal Vasari a Giovanni da Bruges , e che si è provato dagli eruditi di esser un'antica pratica conosciuta in Italia , e poi dimessa non si 63 sa perchè); principalmente vò lodare il nostro Anto- nello per una certa eleganza , graziosa espressione , e bel piegheggiare delle vesti delle sue figure, co- me potei scorgere ed ammirare ne' suoi dipinti in S. Gregorio di Messina, che ora riduce a bulino Saro Cucinotta di quella città , allievo di alte speranze nell'incisione dell'egregio suo concittadino Tommaso Aloisio Juvara , il quale ha raggiunto il suo gran maestro Toschi nell'arte dell'intaglio. Il Vasari giudica del merito pittorico del nostro Antonello , non già dai quadri di sacro o profano argomento, di cui forse pochissimi avea veduti, ma dai suoi ritratti che son in vero ammirevoli per la diligenza e finezza , come ho potuto osservare in Italia, e in quello della real galleria di Napoli, la- sciato in testamento a S. M. dal dotto marchese Giuseppe Haus. Però Antonello nei suoi quadri in S. Gregorio in Messina ha i pregi accennati per gli artisti surriferiti italiani , che lo rendono superiore al suo secolo ; e così pur Luca della Robbia nelle figure in creta cotta, coverte di smalto. Ed io che ho potuto a mio bell'agio contemplarne le opere a Firenze e in altre parti di Toscana, non posso ftu' eco al giudizio del mio amico Filippo de Boni , il quale nella biografìa degli artisti scrisse: « Che Luca « è uno dei prodigi più straordinari d'Italia, e che (( bisogna dire che il suo cuore si mantenesse ver- « gine per vedere così divinamente le immagini della a Vergine, di Cristo e dei santi ». Ma in buona co- scienza non potrei attribuirgli, sull'autorità del Va- sari, l'invenzione di smaltare le figure in terra cotta; perocché essa conosceasi assai prima del suo tempo: 64 e, vedi lemeritcà, un certo Palisses nel secolo XVI se ne vantava scopritore! L' arte dello smaltare sia in cristalli colorati , che sono una specie di smalto (1) , sia in creta colta invetriata, fu speculata dagli arabi, i quali Tin- trodussei'o nei paesi conquistati- l^ppure Cesare Cantù attribuisce in un suo opuscolo da me confutato Tin- vonzione dello smalto ai francesi , laddove è anti- chissima , anzi fu recata in Plancia da Benvenuto Cellini a tempo di Francesco I. Degli smalti a cristallo abbiamo noi infiniti mo- numenti deirXI secolo nei nostri musaici; ed altri del tempo degli arabi andarono in rovina, quando Roberto Guiscardo e il conte Ruggero suo fratello abbatterono le moschee dei musulmani in Sicilia che eran ripiene, se non di figure umane , vietate dal corano , in gran parte di ornati e di animali. Nell'epoca normanna , col rifiorire dell'arte dei musaici , rivolta a storie di nostra religione e ad ornati leggiadrissimi, rifiorì quella dello smaltare i vetri a vari colori. Non pnò mettersi in dubbio, che gli arabi abbiano applicato lo smalto alla creta colta: il che fu attribuito molti secoli dopo a Luca della Robbia. Perocché possiamo noi mostrare due vasi, già posseduti dall' erudito cavaliere D. Berardo di Ferro in Trapani, ed or dai suoi eredi. Quei vasi son di bella forma e invetriati di smalto a color tar- li) Leggi la dissertazione XXIV del Muratori nell'erudi- tissiraa sua opera delle antichità italiane. 65 chino, con vari fregi e iscrizioni antiche, e ben con- testano di esser lavoro degli arabi di Sicilia (1). Ma essi fecer più che posteriormente Luca della Robbia; perocché ornarono talvolta le loro maioliche a vari colori di leggiadri rabeschi in oro, che si con- servano coi colori sotto la lucidissima invetriatura a smalto sino ai nostri giorni. Io ho veduto presso l'antiquario Sanfilippo in Palermo, alquanti anni ad- dietro, due piatti, uno assai grande, e l'altro meno, lavorati in quel modo mirabilmente, e sì bizzarri per la forma da non dubitarsi che fossero delle no- stre fabbriche arabe. Alcuni vasi da farmacia di epoca molto posteriore osservai pure presso lo stesso, i quali per 1' aquila dipintavi, emblema proprio di Palermo, accennavano d'essere usciti d'una fabbrica di questa capitale: e quei lavori appartenevan forse al declinare del secolo XVI. Sul cadere del secolo XIX sorse poi alle falde dei vicino Monreale la fabbrica del barone Malvica di maioliche smaltate, e talvolta dorate, di vasi e di piatti, e anche di busti e statuette imitanti il marmo bianco. Colla morte del Malvica cessò la fabbrica ; ma vari busti bianchi ancor si osservano sul prospetto della sua casina, comechè esposti all'intemperie da molti anni, lo ne serbo due statuette , una secer- dotessa, ed una Melpomene, che son pregevoli. (1) Leggine la descrizione del suddetto cavalier Berardo di Ferro nella Guida per gli stranieri in Trapani pag. 304. - Trapani per Mennone e Solino 182S. G.A.T.CLIX. 5 66 Conosceasi dunque dai musulmani di Sicilia l'arte di smaltare a colori la creta cotta, circa cinque se- coli prima di Luca della Robbia. Quanto agli smalti sopra rame, argento od oro, possiamo mostrarne ìnfìniti dell' epoca normanna , sveva e aragonese, e basterebbe osservare il paliotto che si conserva nella nostra cattedrale con tante sagre figurine, ch'ò un prezioso monumento di quei tempi finora non illustrato , né pubblicato con incisioni , come meriterebbe : e chi sa quanti altri lavori di smalto si troverebbero nelle nostre antiche chiese sui sacri vasi! Non vò dire pertanto che Luca della Robbia venne in Sicilia a imparare il segreto di smaltare, comu- nicato a noi dagli arabi. Egli potea leggerlo bensì in qualche antica scrittura, o, come è piiì proba- bile, incontrarsi nella stessa invenzione. Però de- vesi sempre a lui dar lode d'averlo il primo divul- gato in Italia, come ad Antonello da Messina il me- todo di dipingere ad olio. Multa renascentur quae iam cecidere^ scrisse Orazio. Or mi si chiederà perchè questo lungo preambolo sullo scultor fiorentino e figulista smaltatore, del quale ogni artista ed amalor letto avea la vita scritta dal Vasari ? Con questo preambolo io intesi aprirmi la via per condurre i miei concittadini al vestibolo interno , che precede Io scala del convento di S. Domenico in Palermo, onde ammirare un egregio monumento dell'ingegno e della mano di Luca della Robbia. In una nicchietta nella parete siiAÌstra entrando nel vestibolo si scorge V immagine a mezza figu- 67 ra, quasi in tutto rilievo , in bianco smallo, della Beata Vergine che ha in braccio il bambino Gesù, amendue pressocchè al naturale- Lo smalto ne ha reso lucida la superficie , e durevole la creta sot- toposta, come nella porcellana. La Madonna è fino ai ginòcchi, alla due palmi e dieci once. È seduta su sedia a bracciuoli con volute, ha sulle ginocchia un cuscino, ov'è adagiato il fanciullo GesiJ, cui so- stiene con la man destra, mentre distende la manca sino al pie del medesimo. Il volto di lei in terzo sfugato piegasi e s'avvicina a quello rialzalo del fi- glio , il quale quasi ricerca ansiosamente i di lei sguardi, e vorrebbe imprimerle un bacio sulla gota, ma si sforza invano a raggiungerla: stende intanto la sua manina e carpisce il lembo del velo che le scende dal capo, come se volesse toglierle quell'im- paccio per baciarla. La Vergine è coverta della so- lita tunica , stretta da una cintura. Il manto, che cuopre le spalle, le passa sull'omero e sul braccio sinistro in larghe ed acconce pieghe- Cinque sera- fini le stanno in giro alla testa, e in centro pende lo Spirito Santo nella forma di piccola colomba. lo salii sopra una scala, e fatto aprir lo sportello, ricoverto da cristallo, volli osservar da presso quel lavoro singolaie. A giudicar del merito artistico dell' opera dirò innanzi tratto, che non ha la secchezza di stile, che era da aspettarsi da un modellator del primo scorcio del secolo XV; talché conferma quel che dissi, ch'egli fu superiore alla sua età. La composizione ha un insieme bene armonizzalo, che si contrappone ot- timamente nelle parti. Le figure, che corrispondonsi 68 nell'unico sentimento di amor tenero e innocente, toccano il cuore dei riguardanti , eccitato altronde dalla sacra rappresentazione, e dall'influenza religio- sa. L'elemento cristiano vi trionfa e consegue il suo scopo. Di fatti quel gruppo ha molti devoti, che la sera vi recitano coi monaci le sacre preci. Il bello puramente naturale predomina, è certo, nel disegno, e richiamando i riguardanti al vero produce un maggior effetto , che il freddo, ma sublime ideale dei greci. Il volto della Vergine è lunghetto , se- condo il tipo fiorentino, e di gran lunga inferiore in bellezza a quello dell'altra in marmo del Gagìni nella chiesa della Gancia, che io già descrissi. Il della Robbia copiò esattamente la natura , e lo scultor palermitano avvicinossi all'antico ideale, non isce- gliendo solo il vero, ma insieme qualche antica sta- tua per modello: persuaso, che con quella soltanto avrebbe fatto una copia di copia men naturale. Il fiorentino die un'aria alla sua Vergine di con- templazione, mista ad una certa mestizia, quasi che presagisse e riflettesse che il suo amato figliuolo esser dovea straziato e crocifisso fra pochi anni per redimere il genere umano. La bocca di lei con l'estremità delle labbra abbassate ne accenna il ram- marico. Le sue pupille, e quelle del bambino e dei serafini, fur dipinte in nero, credo io, posteriormente, e scemaron dolcezza ed armonia a quelle figure. 11 corpicciuolo di Gesù, comechè ben disegna- to e corrispondente al vero , è sul fare di Pietro Perugino, e non già nel nobile stile del putto della celebre Madonna della seggiola di Raffaello, e de- gli altri nel quadro dello stesso presso gli Olivetani 69 di Palermo. Non pertanto quel volto ha molta e-^ spressione e leggiadria, e il concetto di ricercar gli sguardi e i baci della madre è grazioso e commo- vente oltre ogni dire, come pure l'atto di alzar il velo della testa della madre. Le due figure poi si contrappongono nel movimento e nella varietà delle linee e delle parti, rientranti e sporgenti, e dell'a- zione vera, affettuosa, ed animata. E ciò produce appunto un effetto sorprendente. I serafini, sebbene accessorii e disposti in bella co- rona, son però meschinamente modellati, forse per far trionfar le figure principali; ma l'artista pur do- veasi ricordare d'esser essi di razza celeste. Quel monumento prezioso ò sì ben conservato, come se fosse uscito or ora dello stecco di Luca della Robbia; essendo stato, sin da principio, col- locato in quella nicchia e custodito da cristallo. Però il telaio occulta una parte delle ginocchia e di una mano ; talché a vie meglio osservarsene la bellezza dovrebbe esserne sgombro , e posto più basso e in miglior luce. 11 perchè io consiglierei quei buoni e intelligenti padri (della cortesia dei quali ho fatto esperimento nell' aver secondato il mio progetto di accogliere nel loro tempio le tom- be degli uomini illustri principalmente siciliani, dopo l'esempio dato da me di avervi innalzato quelle del pittore Pietro Novelli, del poeta ed oratore Miche- langelo Monti, ed or del sommo scienziato Scinà) a far diligentemente staccar quelle due sacre im- magini e gli angioli, e riporli in miglior sito e luce nel loro magnifico tempio, come fecero i frati della (iancia pei bellissimi alti rilievi del Gagini, che da 70 un corridoio, ove giaceano inosservali, li trasferi- rono a consiglio dell'architetto professor Basile nella lor chiesa. E così pur fecero, nnolti anni or sono, a mia insinuazione, gli stessi padri domenicani delle altre due figure in marmo della Vergine Addolorata e del Cristo morto, sculture pregevoli del secolo XV, che or si osseVvano nella cappella sinistra presso a quella maggiore centrale dell'abside di lor chiesa. Ma donde e quando pervenne ai detti padri il monumento di Luca della Robbia ? Certo che da Firenze , ove l'artista ordinariamente soggiornava , ed avea il suo studio insieme coi suoi fratelli e nipoti , inviando da quella città per tutta Italia e sino in Francia i suoi modelli coperti di smalto , già divenuti famosi. Nel vestibolo di S. Domenico, ove sta questo della Madonna col Bambino, è scritto l'anno della ristorazione 1 569. Forse allora si cre- dette di collocarlo in quel sito, lo ho pregato uno dei padri di farne indagini nel loro archivio. Sup- pongo bensì che fu acquistato dai nostri domeni- cani 0 vivendo l'artista, o dopo la sua morte per mezzo di qualche intelligente amatore appartenente alla loro religione, che qui recollo ritornando da Firenze, e che l'abbia per sua devozione ritenuto, e alla sua morte sia rimasto in proprietà del con- vento, come spoglio monastico. Ma certo che fino ad ora nessuno ne avea os- servato con attenzione il pregio , e riconosciuta qual opera insigne del della Robbia: né recami me- raviglia che sia sfuggita agli occhi dei nostri ama- tori ed artisti, si per non essere collocata in buon sito e in miglior luce , e sì perchè non trovan- 71 dosene altre del detto scultore, per quello che mi sappia, a Palermo, non poteano farne il paragone: il che è riuscito a me facile dopo di averne ve- dute diverse in Toscana, e riconosciuto in questa, di cui ragioniamo, il suo consueto artifizio e il suo disegno. Quest' opera insomma è degna di essere posta in un museo per istudio e diletto , ovvero nella sontuosa chiesa degli stessi padri per essere meglio osservata , come dissi , e vie più eccitare la devozione dei fedeli. Imperocché le belle sa- cre immagini, mentre onorano l'arte e i loro au- tori, giovano pure al fervor della religione. E sul proposito riferirò un fatto dell'ultimo cardinal Pi- gnatelli, arcivescovo di Palermo, al quale fu pre- sentata, a nome di una dama, una meschina sa- cra immagine per ottenerne quaranta giorni d'in- dulgenza. Egli la guardò attentamente , e disse : Non voglio accordarli, perchè è brutta, e non pro- muove la devozione: ne concederò il doppio, se altra mi sarà presentata dipinta dal celebre Patania- E veramente rappresentando la Beata Vergine e Gesiì Cristo , esseri celestiali , la bellezza nobile e contegnosa, superiore all'umana, è lor propria e caratteristica; e chi ne riguarda le immagini da valoroso artista dipinte od effigiate, si eleva col pensiero al tipo dell'essere sovrumano che rappre- sentano: il che non può avvenire, ove siano con- dotte ed affigurate meschinamente , secondo e al disotto dell'ordinaria condizione umana. Ed ecco in tal caso l'assoluta necessità di avvicinarsi l'ar- tista al bello ideale dei greci. E difatti gli ar- tisti greci riserbavano quel bello particolarmente 72 pei loi'o numi, e il pretto naturale per gli eroi o per gli altri uomini. Or che diremo dei nostri di- pintori, e di quelli della scuola attuale napolitana, che non fanno la debita distinzione per l'applica- bilità delle due specie di bello ? e non guardano più i capolavori dell' arte greca, e son divenuti imitatori , anzi servi sino alla più meschina pe- danteria, del vero, e, quel ch'ò più, senza scelta? Al vero è talvolta frammisto il brutto e lo scon- cio; laonde abbandonando l'altra specie di bello, anzi escludendolo, come ho già osservato pel bando dato da' loro studi alle statue greche e alle mi- gliori romane , che ormai son divenute soltanto lusso di musei ed oggetto di curiosità, l'arte do- vrà per necessità gradatamente intristire: laddove con l'esempio del gran Camuccini , colla saggia pratica di Velasques , di Patania e di Riolo , nostri solenni dipintori, i quali, oltre di appiccare a soggetti divini o divinizzati, ovvero umani, giu- diziosamente la qualità del bello lor competente, sposavano nel disegno quello ricavato dal vero, e consociavano al medesimo l'eleganza delle statue antiche ; talché sapeano farne risultare un bello misto, che secondo la figura da rappresentare or si elevava quasi al bello ideale dei greci , ed or si riteneva a quello naturale, ma sempre scelto; menochè in alcune figure, che per il loro carattere erano destinate alla pubblica esecrazione, come dia- voli , manigoldi , e simili. Questo metodo segui il Velasques nel quadro dell'Assunta della Vergine nella nostra cattedrale,unode'capolavori dell'arte moderna, che può stare a paragone dei migliori, che ho os- 73 servato in Italia. La madre di Dio è qual dev'es- sere in tutto Io splendore del/a sua bellezza: e gii apostoli sottostanti mostrano negli svariati aspetti più o meno senili, uomini di forme regolari, degni di essere stati eletti dal lor divino maestro. E così dicasi del Patania nel suo Cristo flagellato , che è di forme bellissime, e superiore alle ordinarie, co- me può osservarsi nella chiesa della Magione in Palermo. 11 Cristo primeggia per bellezza singolare fra le altre figure del quadro ; e così pure V altro Cristo morto, e la Religione che l'offre in olocausto a Dio padre, nella tela della chiesa di Sant'Orsola, comechè fosse debole nell'effetto del chiaro oscuro. Alcuni quadri da chiesa del Riolo condotti con un disegno e colorito; più vigoroso, e maggior ef- fetto di chiaro oscuro , che si ammirano in varie città dell'isola nostra, palesan pure, secondo l'oppor- tunità, il bello ideale o naturale. Ma il Della Robbia si attenne al miglior bello naturale, come dissi, per mancanza di statue antiche, che al suo tempo non eransi ritrovale e raccolte nei musei. Agostino Gallo. 74 Ode inedita di Bernardo Tasso. N. lei codice autografo delle rime di B. Tasso pos- seduto da G. Vanzolini sta quest'oda dopo un so- netto inedito ad Ippolita Pallavicini che comincia: Se quella donna dispietata e ria: e innanzi all'oda, già edita, pel natale dell'autore che comincia: Poi che di vaghi fiori. Non le sta scrìtte in fronte altro che oda terza. Varie sono le correzioni che l'A. ci ha fatto- Il Vanzolini ha scelto la lezione che ha creduto prescelta dallo stessos^Tasso. Antiniana è il finto nome di qualche donna amata d'onesto amore da Bernardo; ma né dai biografi del Tasso, nò da altri segni, si può chiaramente intendere chi sotto quel pseudonimo stiasi nascosta. Da un luogo del- l'ode che nell'edi/.ione di Bergamo 1749 è la XVII rilevasi, che quest'Antibiana abitava sul Sebeto, pic- colo fiume della Campania vicin di Napoli. Ma que- sta è ben picciola scoperta- Che concluder dunque? Che il poeta non ha voluto farci sapere i fatti suoi. . ODA Aure liete e felici, Che dal ciel più sereno, Da le pili dilettose alte pendici, Che bagnino le stelle Con le rugiade mattutine e belle, 75 Con l'ampio grembo pieno Di vaghi fior, venite A questo di Liguria almo terreno, Ditemi se per sorte ^ Avete vista la mia dolce morte Errar per le fiorite E verdeggianti rive Con quelle grazie rare et infinite, Facendo fiorir l'erba Col gentil piede, e con la pianta acerba: 0 se fra l'altre dive, Qual fra le stelle il sole. Col foco de le luci ardenti e vive Infiammar d'onestade Il ciel di quelle ricche alme contrade: 0 con dolci parole E con voci onorate Cantar talor, come sovente suole, Al lieto canto intenti Rendendo il ciel, la terra, il mare e i venti. Dite se mai beltate Vedeste a quella eguale Con un sol guardo far l'alme beate; E co gli ardenti lumi Arder de l'amor suo montagne e fiumi. Deh ! se '1 vostro fatale E benigno destino Vi fa spiegar in quelle parti l'ale, Ditele che pensoso Vive da lei lontano e lagrimoso Dafni, e col volto chino Bagn'or di pianto i fiori; 76 Or coi caldi sospir l'aere vicino Percote si ohe l'onda Risponde al suo martir alta e profonda. Né stan ne' salsi umori Di questo ondoso nrjare. Che bagna a Genoa i pie', ninfe o pastori In questi colti colli, Che sovente co gli occhi umidi e molli Non l'abbin visto errare Per li lidi arenosi, E con languida voce alto chiamare Antiniana intorno, Rendendo del suo duol doglioso il giorno. K che ne' poggi ombrosi Di questo almo paese Non è arbuscel, ch'amico a'suoi riposi Non mostri di sua mano Scritto nel tronco il nome alto e sovrano. Tal ch'ogn''alma cortese, Cui scalda Amor il core, Seco si duol de le sue gravi offese; E con caldi sospiri Accompagna sovente i suoi martiri. E se non che '1 dolore Tempra la cara spene, Che di tornar a lei le dona amore. Già fumo, polve od ombra Saria la carne che l'anima ingombra. E lo spirto, che tiene Ali veloci e preste, N'andrebbe a lei, com'al suo sommo bene, Del suo leggiadro viso Facendo o de' begli occhi il paradiso. 77 Aure, se mai aveste Nel cor dolci radici D'amor, se del suo bene unqua godeste, Ditele quel ch'io dico: Così vi sia mai sempre il cielo amico! 78 Le più notabili iscrizioni ostiensi , mandate in luce dalle annali escavazioni^ scelte ed illustrate in me- moria deirauspicalissimo giorno del MDCCCLIX, in cui la Santità di N. S. Papa Pio IX si recava in Ostia ad osservare le medesime escavazioni, e il felice proseguimento dei lavori della società Pio Ostiense, per V asciugamento dello stagno e il mi- glioramento delle saline. - Le pubblica e dichiara il cav. Carlo Lodovico Visconti , socio ordinario della pontificia accademia romana di archeologia. 1. SILVANO S A N C . S A C DOROTHE VS . AVG . LIB PROC MASSAE M ARIAN S. D . D I scrizione votiva, scolpita in una basetta quadrata, che sostenne già 1' immagine del nume, cui ella è dedicata. Fu rinvenuta lungo la via dei sepolcri. Le sigle dell'ultima linea si debbono spiegare: signum, o sigillum, dono dat. Frequenti esempi ne offre la epigraiia di simili dedicazioni fatty dai coloni a Silvano, o come a dio 79 terminale, o come a dìo agreste, nella cui tutela si poneva la coltivazione dei campi o i loro confini , artefatti o naturali che si fossero. Della natura e delle attribuzioni di questo nume, che fu in sostanza una cosa stessa col dio Pan degli arcadi, tratta co- piosamente il Reinesio , illustrando alcune lapidi a lui dedicate; e nota ancora la sua triplice invocazione di Silvano agreste, terminale e domestico, testificata dai marmi, e ch'ebbe origine dal credere gli antichi, che tutte le loro sostanze immobili fossero sotto- poste a quel dio della materia (1). Accade appena rammentare, che il Silvano agreste , qual' è quello cui fu posta l'iscrizione, si rappresentò dagli antichi nudo, ocreato, con ispida e corta barba, coronato di pino; con una piccola falce, o ronca nella dritta, e un ramo di pino o di cipresso nella sinistra, col qual braccio sostiene ancora una pelle colma di frutta e di uve , che tiene dall'un capo annodata intorno al collo ; un cane o lupo gli sta presso , dal lato dritto (2). 1 pili notabili tipi che siano in Roma di questo nume , li troviamo in un bassorilievo del palazzo Panfili, descritto dal Marini nelle iscrizioni albane (3), ed in un'ara del museo Chiaramonti (4); (1) Synt. inscr. antiq. clas. I. n. CI. pag. 318. (2) Gli espositori del museo Chiaramonti propendono a credere che l'animale che accompagna Silvano sia un cane an- ziché un lupo, e ne allegano le ragioni. Mus. Chiar. pag. 176. (3) Pag. 10. Questo bassorilievo esiste tuttora a piedi della scala di detto palazzo. (4) // museo Chiaramonti descritto ed illustrato da F. A. Vi- sconti e G. A. Guattani, pag. 149. 80 ma sopra tatto in una pregevole statua della villa Pacca, fuori la porta Cavalleggeri , proveniente da Ostia e non ancor pubblicata, ch'è forse il miglior simulacro che abbiamo di detto nume (1), La nostra iscrizione fu posta a Silvano da un tal Doroteo, liberto imperiale, amministratore della massa mariana. Si vuole in primo luogo avvertire, che la paleografia di questo monumento non per- mette di assegnarlo ad un tempo, che sia posteriore alla prima metà del secolo terzo dell'era volgare. Don- de nasce il primo pregio del medesimo; perocché la parola massa, col significato di un tratto indefinito di paese ; ovvero di un complesso di più campi e poderi adiacenti , che vadano sotto un medesimo nome ; od anche in senso equivalente , secondo il glossario al greco crJvxTyjaig, cioè patrimonio, si avea per vocabolo d'infima latinità, non si trovando mai adoperato dagli scrittori antichi; anzi lo si sarebbe creduto introdotto nella lingua latina non prima del IX secolo , quando comincia ad occorrere negli atti pubblici e nelle bolle , senza la testimonianza di due marmi scritti, venuti a luce nel passato se- colo, che la dimostrano in qualche uso fin dal secolo quarto. E sono l'epitaffio di Valeria Massima, rin- venuto fra Vicovaro e Cantalupo, presso a san Co- (1) Questa statua fu rinvenuta nelle escavazioni che lece in Ostia, negli anni 1834 e 35, il card. Bartolomeo Pacca, al- lora vescovo ostiense; e si conserva nel suburbano di cotesta illustre famiglia, insieme con altri rarissimi oggetti antic|^^i, per cura dell' esimio prelato monsig. Bartolomeo Pacca , ihaestro di camera di S. S. 81 sinialo , ed ora esistente nel palazzo Bolognelti a Vicovai'o; epitaffio spettante almeno al quarto secolo, e dato dal Desantis (1), dallo Chaupy (2), dal Nib- by (3), dairOrelli (4) e dai moderni lessicografi; nel quale la defunta si dice sepolta : in praediis suis massae mandelanae j e la insigne base di Postumio Giuliano, rinvenuta nel foro di Preneste, la cui nota consolare segna l'anno dell'E. V. 385, data dal Fog- gini nei fasti di Verrio Fiacco (5) e forse più esat- tamente dall'espositore del museo Pio dementino (6); sebbene tale edizione non sia conosciuta dall'Orelli che rapporta ancora la detta iscrizione (7), notevo- lissima per la inserita particola del testamento di Giuliano, che lega ai suoi concittadini alcuni fondi ex massa praenestina : cioè del suo patrimonio pre- nestino , come spiegò Ennio Quirino. Or «eco un terzo monumento, che ratifica il predetto uso di co- t€sta parola: EI\MISSV . M CVRATORIS.a/ve^.ef R\P\mmJiberis . . POMP (l) Un altro Solonio, diverso da questo sposto fra 1a via laureutina e l'ostiense, dovea trovarsi non lungi da Anzio e da Ardea: intorno a che è da vedere il Nihby nel Viaggio anti- quario da Roma ad Ostia. 84 Pregevolissimo frammento, che non credo poste- riore ai tempi di Adriano, sì per la forma dei ca- ratteri e sì per gli accenti che avi si trovano. Le note di Tirone e un passo di Seneca ne aveano ap- preso l'uso della parola vigiliarium, in senso di un luogo atto a ricevere chi facesse guardia vegliando: significazione che viene confermata da un cippo ter- minale, rinvenuto nel 1837 sulla ripa del Tevere, circa due miglia fuori della porta portese , dotta- mente illustrato dal Biondi negli atti della ponti- fìcia accademia di archeologia (1) : e per analogia da due lapidi ostiensi, date Tuna dal Melchiorri (2), dall'Amati (3), dal prelodato Biondi (4), e dall' 0- relli (5), l'altra da me nella relazione dell' escava- zioni ostiensi (6) : e di questa avrò a parlare più sotto, indagando il significato di detta parola vùji- liarium^ quand'ella si riferisce a monumento sepol- crale, La qual parola nella nostra iscrizione ha, sic- come ognun vede, il suo primo e genuino signifi- cato, e sembra denotare il luogo, in cui si doveano trattenere alcuni di codesti barcaiuoli, addetti al tra- gitto di Lucullo , aspettando il momento di met- tersi all'opera , e fors'anche perchè si sapesse ove trovarli in caso di bisogno. La restituzione della seconda linea è messa in chiaro dalla nota base ostiense ci Cneo Sentio Fe- (1) Tom. IX. pag. 467. - Orci. 6660. (2) Àntol. di Firenze 182S. (3) Giorn. arcad. tom. XXVIIL pag. 337 (4) Loc. cit. pag. 503, (5) 4857. (6) Annali dell'istituto di corrisp. archeol. aa. 1837. 85 lice, data dal Fabbretti (1), dal Gori (2), dalI'Orelli {^ e da altri. Nota era da questa la corporazione dei lemmcidarii detti del tragitto di Lucullo; ma niuna s'è occopato di ricercare , che cosa s'abbia ad in- tendere probabilmente pel nominato tragitto. Il Volpi dice semplicemente , che poteva essere nn piccolo luogo marittimo, o fluviale , vicino ad Ostia, dove quei barcaiuoli trasportassero la gente- Ma dal- l'un canto parmi poco probabile , che non sia ri- masta veruna memoria d'un luogo s'i frequentato , che diede origine ad una corporazione di battel- lieri; massime se detto luogo appartenne al famo^so Lucullo, come sembra indubitatamente aversi a de- durre dalla denominazione di quel tragitto: e dall'altro canto non sappiamo che Lucullo possedesse alcuna villa vicino ad Ostia; e s'egli ve l'avesse avuta, non lo avremmo certo ignorato; tanta era la rinomanza delle ville lucullane appresso gli antichi! Per queste ragioni punto non inclino ad ammettere l'opinione del Volpi; ma fatta più accurata indagine, mi sem- bra poterne propone una spiegazione migliore. Io credo pertanto che il tragitto più volte menzio- nato fosse un viaggio di mare , che facesse capo presso ad una delle famose ville marittime di Lu- cullo, situate lungo la riviera del Tirreno; sia quella del promontorio Circeo , o quella del Miseno , sia quella di Baia, o quella di Napoli: fra i quali porti (1) Gap. X. pag. nt. (2) I. E. p. 308 n. 30. (3) 4109. 86 ed Ostia, non solo a cagione dell'attivila del com- mercio, ma eziandio pei* le ville amenissime ond'era- no sparse le ridenti costiere della Campania, si deve supporre che fossero grandissime comunicazioni e passaggio di navi numeroso e continuo. Chi non rammenta , per addurne un esempio , quanto fosse frequentato il soggiorno dì Baia, prediletto agli an- tichi fra tutte le spiagge d' Italia, ornato di ville magnifiche dai principi e dai più nobili personaggi di Roma; ove traeva, nelle propizie stagioni, molti- tudine pressoché infinita di genti d'ogni paese, PRO- PTER AQVAS CALIDAS DEL.CIASQVE MARIS , come si legge in un raro titolo ostiense (1) ? Se tanto dunque dagli antichi erano frequentati quei luoghi, mi sembra cosa probabilissima, non pur ve- risimile, che si fosse formata in Ostia alcuna società di navi, sia per conto ed a profitto del comune istes- so , sia per la industria di privati speculatori , le quali periodicamente facessero il tragitto dal porto ostiense ad uno dei porti anzidetti, nelle cui vici- nanze era posta la villa di Lucullo (2) : dal porto ostiense, ond' era il passaggio più comodo e breve alle delizie marittime della Campania. Che se mi si chiedesse, per qual ragione cotesto viaggio si fosse '''''•'1* '•• ni'r , ■•:; .... '^■'{t) Fea, Viaggio antiquario da Roma ad Ostia. (2) Io rainiuento benissimo, che il Bianchini in cerio luogo del suo Anastasio mostra di tenere presso a poco il medesimo avviso; perocché parlando delle pronte comunicazioni che Roma potea avere per mezzo del mare , ne cita ancora per prova la base di Cneo Sentio col tragitto di Lucullo: ma non mi è più venuto fatto di rinvenire quel j)asso. 87 dimandato imieclus LiiciiUi; non esiterei foise a li- spondeie, che siffatta denominazione dovea essergli derivata dalia fortuita circostanza, che dette navi, arrivate ai termine del corso loro, si dovessero an- corare in vicinanza del luogo, donde partiva il ca- nale di mare, che mettea nella villa di Lucullo; il quale si dovea dire latinamente Traiectus Luculìi, come tiene il Porcellini, che citando la prefata base di Cneo Senti o, spiega: Locus ubi Lucullus amicon traiicere solebal: sapendosi attimamente, questa es- sere stata una dell'esquisite comodità, che Tuoni prò- fusissimo volle introdotte nelle sue ville marittime, a costo d'incredibili spese ; massime in quella che fu presso Napoli, nel luogo dov'è adesso Castel del- l'Uovo, dove spianò una montagna per dare adito al mare; di che impariamo che fu proverbiato da Pom- peo Magno col titolo di Serse togato (1). Pertanto la rinomanza di quei canali e delle ville di Lucullo sarà stata probabilmente la cagione, per cui taluno di quei viaggi di mare avrà tratto la denominazione dalla circostanza testé accennata, anziché dal porto e dalla città , presso alla quale le navi facevano scala. Ma dunque un tratto di mare dal porto ostiense ad uno dei porti della Campania si faceva egli con barche sì piccole, quali furono quelle, che gli anti- chi dimandavano lenuncuU ? No certo ; ma questa ombra di difficoltà è dileguata interamente da un passo di Strabone (2), il quale narra, come il porto (1) Plin. lih. IX. {'!) Geof^raph. lib. S. cap. S. 88 (li Ostia, formato dall'alveo del Tevere presso alla foce , avendo 1' entrata pericolosa e difficile per le navi che si attentassero di varcarla, gravate da so- verchio peso, s'era ovviato agl'inconvenienti che po- tevano risultarne, con mettere in acqua un gran nu- mero di barchette a remi, che si facevano incontro ai navigli, come quelli si accostavano al porto , e con alleggerirli di una parte del carico, li rendeano abili ad affrontare senza pericolo la imboccatura del Tevere, lo stimo pertanto, che i nostri lenunciilarii prestassero cotesto servigio alle navi del tragitto di Lucullo; e l'essersi i medesimi eretti in corporazione dà ad intendere quanto fossero numerosi, e quanto fosse in voga il prefato tragitto. Dalle quali cose e da quanto si vedrà più sotto intorno al significato della parola vigiliariiim, quando si riferisce a sepol- cro, apparisce , che il vigiliario , cui appartenne la nostra iscrizione, dovea essere probabilmente un pic- colo edifizio di un solo piano, in cui si trattenes- sero di notte tempo alcuni di cotesti battellieri aspet- tando l'arrivo delle navi, al cui servizio erano ad- detti , e per darne prontamente avviso ai compa- gni; fors'anco per iscorgere da lungi l'appressare di dette navi, onde trovarsi più presti nel momento di accorrere. Di fatti, che il nostro vigiliario si tro- vasse sulla ripa del fiume, si conosce dal dirsi nella iscrizione , che fu fabbricato con permissione del curatore dell'aveo e delle ripe del Tevere; donde si vede che stava sull'agro pubblico assegnato alle ripe, cadendo per conseguenza sotto la giurisdizione di quei magistrati; giurisdizione la quale si dovea sup- 89 porre che si estendesse fino ad Ostia , siccome il presente frammento espressamente dichiara. Nella quinta linea, dopo il PERMISSV, si scor- gono le tracce di una M, che fu senza fallo il pre- nome Marco del curatore: il cui gentilizio non po- tendo mancare in iscrizione di questo tempo, è da credere che fosse abbreviato , per esempio : AYR. o AEL., onde lasciar posto al cognome, che altri- menti non vi potrebbe capire par la strettezza del marmo. Nell'ultima linea delle rimaste panni riconoscere le vestigio del nome POMPilius, o POMPonius, che sarà stato il maestro o patrono di questa corpora- zione, il quale fece edificare il vigiliario in quistione. III. introeunt- IBVS IN PARTE DE XTERIOR VBI CVBI CVLVS ES T . AEDICV LA CVOL LIS . ET . CO NDITIVO ET . COLAT BARIS . N . II . ET . IN FRONT 90 E . CVBICV LI . N . XI . ESOLA RV ET CVBIC VLI. ET. VI CILIARI PARTEM mi E la seconda lapide sepolciale ostiense, in cui occoira la parola vigiliarium col significato di se- polcro, o parte di sepolcro; il che non si trova in altra iscrizione. Né questa è la sola considerazione che la renda notabile. Sciolti i nessi e le abbreviature vi si legge inlvoeiinlilms in parte dexleriori , uhi cubicuhim est^ aediculam ciim ollis et condiiivo et columbariis, nu- mero II: et in fronte cubiculi, numero X/; et sola- rium et cubicidi et vigiliarii, partem quartam. Pongo nel quarto caso aediculam, in grazia della sintassi, per farla concordare con solarium e parlem quartam, tutti accusativi retti da un verbo, che la frattura di questo raro iatercolo ne lascia ignorare. Credo però che il senso fosse presso a poco il se- guente, tranne i nomi, che sostituisco a capriccio : Herenmdeia A. lib. Primilla, emit, ovvero, donalio- nis caussa acc epit ab Cada C. lib. Evhodia, intro- euntibus parte dexleriori, aediculam cum ollis, cet. E intendo che la persona, che fece porre l'iscrizione, possedesse in cotesto sepolcro, a mano dritta, un'e- dicola colle sue olle, cioè un sepolcro fatto in guisa 91 di edicola , i cui vasi cinerari si collocavano nel piano della nicchia (1) ; forse un sarcofago e due colombai, cioè due de'noti loculi incavati nelle pa- reti; ed undici dei medesimi nel lato della camera ch'era dirimpetto all'ingresso. E di piiì, solarium et cubiculi et vigiliarii parlem IIII. Il solarium , che significa un luogo elevato ed esposto al sole, ossia una loggia scoperta, credo che formasse l'ultimo piano del monumento e fosse so- vrapposto al cubiciiliim. Che poi per vigiliarimn s'in- tenda talvolta un edifizio sepolcrale aderente al suolo, parmi dimostrato dalla iscrizione da me citata pili sopra ed illustrata dal Biondi (2), in cui si legge : HOC . VIGILIARIVM PERTINET . AT . HEREDEM AELIAE . HEVRESIDIS L . GETTIVM . AMANDVM IS. (3) L.GETTIO.HILARI ANO . FILIO . ET . HEREDI ET . LIB . LIB . POST . IN . F . P . XXVi . IN . AG . P . XXIIS Perocché la indicazione dello spazio occupato dal vi- giliario lungo la via e nel campo, mi sembra sicuro (1) Una di siffatte edicole sepolcrali è stata rinvenuta in Ostia nel monumento, che si trova segnato col n. II nella pianta delineata dal eh. Rosa, di cui ho corredato la mia re- lazione dell'escavazioni ostiensi. (Ann. dell'lnst. 1857.) (2) Atti dell'accad. di archeol. Tom. IX pag. 509. (3) Sottintendi cessit donavit. 92 indizio che il medesimo piantasse immediatamente sui suolo; giacché , quand'anche il sepolcro avesse avuto più piani, la indicazione dello spazio che mi- surava, riferendosi specialmente al terreno , si co- stumava sempre di notarla nel piano ch'era a con- tatto col medesimo. Dalla quale osservazione po- trebbe nascere il sospetto, che nel monumento di cui trattiamo si chiami vigiliario il piano inferiore, cubiculo quello di mezzo , e solario la loggia sco- perta che ne formava la sommità; loggia ch'era pos- seduta per intero da chi volle registrati nel marmo i suoi dritti su quel sepolcro ; mentre del cubiculo e del vigiliario non gli aspettava che la quarta par- te. Vero è peraltro che per vigiliario si potrebbe anco intendere una parte dell' edifizio aderente bensì al suolo , ma non sottoposta al cubiado, ne ad altro piano, ma che stesse da se, quantunque avesse di- pendenza dal medesimo sepolcro e ne formasse parte. Comunque si sia, egli è certo che cotesta denomi- nazione si diede talvolta , per analogìa almeno in Ostia, a certi monumenti sepolcrali; ed è probabi- lissimo che ciò accadesse , perchè i medesimi per la loro costruttura dovessero somigliare a que'pic- coli edifizi, ne'quali le guardie notturne vegliavano a custodia di alcuna cosa, o per accorrere al bi- sogno in aiuto di alcuno: nel modo istesso che si chiamavano aedes ì sapolcri edificati in guisa di tem- pietti, come c'insegnano i marmi. E siccome le due sole lapidi antiche, nelle quali occorra il vocabolo vigiliarium col significato di luogo da farvi la sen- tinella, cioè il cippo terminale illustrato dal Biondi e l'iscrizione dei lenuncularii del tragitto di FjUcuIIo 93 illustrato dianzi da noi, sono ambedue provenienti dalle ripe del Tevere, perciò se ne potrebbe con- cludere con qualche ragionevolezza, che vigiliarii si dimandassero particolarmente alcuno casette di una certa forma, destinate a ricoverare le persone che stessero in guardia lungo le ripe del fiume, per le occorrenze dei legni che lo navigavano. Rimarrebbe allora spiegato in qualche modo , come in Ostia specialmente si fosse introdotto l'uso di nominare per metafora vigiliarii i sepolcri di una particolare struttura; poiché una città edificata sul fiume e sul mare dovea continuamente avere sott'occhio edifizi di quella specie. Oltre la parola vigiliarium, usata una sola volta da Seneca fra gli scrittori latini, come notammo a suo luogo, si vuole anche avvertire nel nostro la- tercolo il raro vocabolo conditivum nel senso tra- slato di sepoltura , adoperato pure una sola volta dallo stesso autore, mentre in tal senso è più ov- via assai la voce conditorium . Io credo che nel caso nostro condilivum significhi un sarcofago, una cassa da contenere il corpo umano disteso: poiché s'era già parlato nella iscrizione di edicola, olle e colom- bai, e chiamandosi d'ordinario ossuaria e cineraria le umetto dì marmo destinale a ricevere le reliquie dei bruciati cadaveri. E certo una cosa singolare che pur questa voce , che si legge una sola volta in un solo scrittore, abbia trovato un opportuno ri- scontro nell'epigrafia ostiense. Ma l'epigrafia ne serba le più certe ed incorrotte vestigie del favellare de- gli antichi. 94 IV. © Q EN0AAE . ÌVEIA02 KEITAIANHPnRO$EPE2TAT02 ANAPQNPHTOPIKOIMErAGAYMA $EPMN2HMEI0NEAYTM H2rXI02KEA]V02KAlMEIAIX02 HAE2O0I2TH2 .0 Q 'EvSccSe NaXcj Kenoct, avvjp n.pc(pspiaxa.rog àv^pcdv. Pi^zopixóg, ixiya. ^ocvfJioc fipoìv arjixfiov i

1 Ioni. XXII pag. 154. (2) Grut. 462. 1. (3) C. Th. VIV. Vò. l.-XIV. 4. 0. 105 navi fossero tanti , da formare una corporazione : corporazione di cui ne hanno confermata, anzi am- pliata, la notizia questi pregevoli frammenti ostiensi delle iscrizioni di Caio Cranio Maturo. Di costui e- siste nel museo valicano un' altra lapide onoraria inedita, da cui nuovamente apparisce la di lui en- trata gratuita nel senato ostiense: C . G R A N I O C . F 1 L . Q V I R M A T V R O I) . D . DECVRIONI - ADLEC evi . ORDO GRATVITVM DECVRIONATVM . ET . STATVAM OBMVNIFICIENTIAMEIVS DECREVIT C . CRANIVS , RVIVS L . CRANIVS . CELSVS Ed esiste ancora nella villa Pacca il titolo delia sua consorte, scolpito sopra un cinerario di palom- bino, con formola che reca alla mente l'iscrizione di Cecilia Metella: D M. H 0 R A T I A E C . F FORTVNATAE MATVll Si conosce dalla paleografìa delle recate lapidi che C. Cranio dovè vivere circa i tempi di Traia- no o di Adriano. 106 ilui'li)} e' - i{n|;| <> Sul genio. Discorso di monsignor Giuseppe Crispi ve- scovo di Lampsaco , professore di lellere greche nell'università di Palermo. Che cosa ne intesero gli antichi, e specialmente i greci. Che ne intendono i moderni. Che intender se ne debba. I 1 vocabolo Genio ai giorni nostri va per le boc- che di tutti ed ha preso tale impero sopra gli uo- mini, che non solo tra i letterati, ma sibbene tra il volgo va campeggiando- E come nei tempi prima di noi tutto era spirato, e pieno di forze invisibìli, che pur Geni s'addimandavano , così ora , mutato seggio , essi non più tra l'aere, tra le nubi, tra i venti e le tempeste, né per terra, né per mare si van raggirando , ma veggonsi camminare in forma umana, e mangiano, e beono, e dormono, e vestono panni. Ed è a dir vero uno spettacolo vederli spun- tare in una notte come i funghi nei ragazzi e nei giovanotti senza stento e senza disciplina. Ma par- liamo sul serio- Veramente i tempi nostri abbondano d'uomini di Genio, e ne scarseggiarono gli antichi, 0 è piuttosto questo un pregiudizio odierno nato da superbia? Sì vero ogni secolo ha avuto la sua ma- lattia; ed il nostro tra le altre ha quella del Genio, 107 clie occupa tulle le menti; laddove tra gii antichi, e massime tra i greci, che pur di Genio vantar si poteano, poca o niuna pompa si menava di un tal nome che si desse in particolare a persona. Or io son d'avviso che [)er intender bene il significato di una voce, di cui si fa tanto remore, debbasi esa- minare in prima qual senso le abbian dato gli an- tichi , e poi quale le ne attribuiscono i moderni ; perchè così se ne formi la vera idea , stabilendosi per tutti ciò che per la parola Genio sentir si debba. La qual cosa, com'io penso, saia di giova- mento a coloro, che poiché n'avran formato chiaro il concetto, non vadan più immaginando in se una forza invisibile, che li guida senza dubbio e senza direzione; e non guardin più con disprezzo e com- passione quei, che per lungo travaglio all'onore di Geni cercan d'aspirare, e quegli altri che la mede- sima strada battendo se l'han meritato- Trascorrendo le mamorie vetuste troviamo vari e moltiplici pensamenti sulla materia che impreso abbiamo di trattare. Gli uomini si sono quasi sem- pre lasciati trascinare dalla immaginazione; perchè osserviamo d'aver essi dato all' ingegno umano di- vine forze , quando hanno veduto questo produrre opere, che sembravano saperare le umane. Ma gli an- tichi si sono attenuti anzi al genere delle cose, che al particolare, dando alle discipline forme sopran- naturali ed assistenze divine. Quindi è nata tra i greci l'idea di Musa , per denotare la forza d'inve- stigazione (1), 0 secondo altri quella d' insegnare, ed (l) M«w. w qiiaero. Fiat, nel Cralil. Snida, Eustazio. 108 istruire (1): o sibbene dalle discipline, le quali tutte hanno tra di loro un leganne ed un nesso, e come sorelle stanno insieme e si amano (2), è nata l'idea delle muse. Or se ad un ultimo risultamento siffatti pensieri condur si vogliano, non è difficile il com- prendere , come allora s' intendeva essere un Dio che regolava il sapere, ed un Genio che agitava le menti, cui un sacro fuoco accendeva (3)- Le scienze e le arti venivan chiamate potenze, come sarebbe avere una gran potenza, cioè un grande ingegno (che oggi si appellerebbe Genio), a ridir bre- vemente in versi quelle cose , che sonosi dette da molti scrittori , che si potrebbe anche esprimere avere grandmarle o scienza (4). Eia definito colla voce di buon naturale l'acre ingegno e sagace: e chi n'era fornito, godeva del nome d'uomo dotato di buon in- gegno: e si faceva uso di superlativo qualora l'alta meta se ne toccava (5). Uno spirito di previdenza (1) Yìocpoc. Tov y.svtv StSaaxetv x«£ ciajSsucfv. Eusebio. (2) Plutarco nel lib. aspe (pàa^elfìocg, dice ixupcòv . . . dg oiXGu Sf euvofavàsjxaj (ptXoc^elfiag ovaxg ouTwgwvc/^xa^ov /xi5i»'(jag. (3) Est Deus in nobis, agitante calescimus ilio. Ovidio. (4) Aristotile in Topicis lib. 2 chiama §uW/Jt£jg le" arti e facoltà. E Budeo dice , che §vv(X[j.tg non solo significa forza e facoltà , ma scienza ed arte. Ved. il Tesoro della lingua greca di Enrico Stefano, voce Sì)va/xt5. Nella descrizione della Grecia di Dicearco si legge ««sp éariv tv.ocv<>>g Wvc^p.iv taxypxv è/^cv, a ridir brevemente in versi quelle cose, ec. (5) sy^uVa, naturalis ingenii ad omnia dexteritas, bona in- doles — tJfvr.g iog, ò x«' vj, naturali ad omnia ingenii dex- 109 tlicevasi Genio (1), e Genio era l'inclinazione ed il pendio ad una cosa, alla quale credevansi gli uomini sovranamente trasportati; od anche una specie di condottiero interno e non veduto, o sia angelo, cui si facevano libazioni di vino , ed offerte di fiori e di placente; voti e preghiere gli si dirizzavano. Donde nacquero le espressioni di giorno geniale, cioè lieto e natalizio, in cui al Genio si festeggiava, abban- donandosi gli uomini alle gozzoviglie ed alla ubbria- chezza. Era Genio quello che si dava dal Fato ad ognuno, giusto nell'ora del nascimento, che gl'in- dovini coW oroscopo solevano osservare: ed era vario e diverso , sicché varie e diverse nascevano negli uomini le inclinazioni (2), e si credeva al buono ed al cattivo Genio. Sapienti di natura (3) ancor da taluni si dice- vano coloro che mostravano sagacità naturale senza disciplina ; ma erano stimati presuntuosi , e si di- teritate paeditus, ingeniosus: eJfUJ:'?, amoeno et acri praeditus ingenio, x«t' Tcjv à.vOpi-Jòvjiv roig zv'fvtai -ncxXoviiivotg . Ateneo, Deipnos. lib. VI 131 iv(pvsGro(.rog ingeniosissimus. (1) Nemo malheraalicus genium indemnatus habebit. Giov. Sai. VI, V. 562; h. e. nemo creditur Genium, et animumprae- scium habere. Farnab. (2) Funde merum Genio . . . Pers. Sai. II , v. 3; h. e. Angelo, quem credebat antiquilas una genilum paedagogum , cui lautius indulto natali quoque diesacrilicabant, preces et vola concipiebantur. Farnab .... Genialis agatur iste dies. Giov. sat. IV. 65, 66. . . Varo producit Genio, Pers. sat. VI v. 19. (3) QuiioGCKpot oì s'^' iavTOdV zvfvzig, Christ. schol. Ari- sloph. in Vespis. 110 sprezzavano (I), appunto perchè non può darsi vera sapienza senza esercizio e senza travaglio. Avvici- niamoci però pili al particolare del Genio delle let- lettere e delle scienze, onde conoscer vie meglio la marca che gli ha impresso l'antichità, per l'oggetto cui tende il nostro discorso. La parola Genio ed ingegno contiene il mede- simo tipo di cosa ingenita e naturale (2). Quindi è che fu impiegata ad esprimere un'attitudine di na- tura a fare e ad adoprare, ed una forte inclinazione ed un trasporto, il quale non suppone studio o di- sciplina, ma è fondamento di ambi questi esercizi, quando si voglion coltivare le arti e le scienze, per giungere al possesso delle stesse. Ma il genio oggi ha avuto una maggiore estensione nel significato , come di una forza soprannaturale avente del divino, e che spinge gli uomini a cose grandi, movendoli senza lor saputa. Gii antichi greci però si fermarono nella voce nalura o bitona nulnra (3) per significare l'ingegno; ed i latini coWingenium, comechè questa nella sua etimologia fosse greca, pure intendevano la medesima cosa che i greci. Laonde ciò che dei primi dirò sull'assunto, si attiene ancora ai secondi. Voleano dunqne quei saggi che l'ingegno precedesse l'istruzione, ma nulla esser quello opinavano senza di questa; anzi, secondo il mio sentimento, eglino in ciò non altro ammettevano che un semplice prin- (1) Aristoph, 1. e. (2) ysyc geno, in-genium, quasi ingenitimi: e Genio; 2 9'Jajg, o pure su'^vVsc. Xonoph. Ili cipio d'una tal disposizione, o direi nneglio volontà, che forse in rigor di termine al lalenlo (1) nostro corrispondeva. Sia però ciò che si voglia di questo parere, io osservo che si pensava allora cosi neces- sario esser lo studio, che credevasi tanto più doversi alla istruzione quegli ingegni assoggettare, quanto più al sommo grado di vigore si appropinquavano; come i cavalli se più fossero acri di natura, animosi, e di alto valore, più bisognerebbe domarli da pol- iedri, perchè più utili divenissero ed ottimi nella fa- tica; e delle cagne le migliori di natura, e le più inchinevoli al travaglio ed alla caccia , addestrate riuscir valentissime ; ma quelli lasciati a se stessi indomabili restare pessimi, e sordi al freno, e queste senza ammaestramento vane, maniache, e disubbien- lissime (2). 1 grandi uomini della Grècia , e precisamente quei di Alene, venivano a gloria, qualora valenti era- no nel dire e nell'operare ; ma erano persuasi non poter giungere al subliuìe posto di forti dicitori, e (1) Talento in volgare significa anche volontà, inclina- zione, genio ad una cosa qualunque. — Si quistionava tra gli antichi: « Quonaui paclo virtus pariatur, an rationc, an usa. — ■ Virtutem doctrina paret, natura ne donet? Hor. Episl. XVIIl lib. l V. 100. » Aristotile scioglie la quistione, nel libro del- l'Etica a Nicomaco , dicendo che le virtù morali, che prendon principio dalla natura, si perfezionano colla dottrina e l'eser- cizio. Questo principio morale può applicarsi alle operazioni intellettuali. — La natura dà l'inizio nella volontà nel talento, lo studio il perfezionamento, perchè si meriti alla fine il glo- rioso nome di Genio. (2) Socrate presso Senofonte nei Memorabili lib. 4. k 112 di esperti nel maneggio degli affari della repubblica, se prima non si fossero esercitati collo studio e colla conversazione de'sapienti. Essere una cosa stolta sti- mavano , che mentre si tiene le arti di poco mo- mento non potersi pienatnente acquistare senza op- portuni maestri, si potesse poi delle scienze fare co- pia seguendo la sola natura. Temistocle fu sommo, non per solo ingegno, ma per esercizio fatto nella scuola della sapienza. Ed in vero insensato si sti- merebbe chi senza studio volesse esercitar la me- dicina , e peggio se si desse il vanto di non aver avuto giammai maestri, ma d'avere appresa quell'arte da sé stesso per forza d'ingegno e vigoria di mente (1). Che se per diventar valente sonatore di musicali strumenti si stenta e si fatica per lungo tempo: se per 'altri corporali e meccanici esercizi studio con-» tinuo si richiede , perchè si giunga alla meta: sa- rebbe soverchia dabbenaggine, anzi direi meglio som- ma stoltezza, il credere potersi 1' arti liberali e le sublimi naturalmente possedere (2). 1 romani nu- triti nella sapienza sentivan pressoché lo stesso. Al- l'ingegno esortavano si aggiungesse lo studio, sì però che consideravan questo quasi il tutto al compi- mento dell'opera; e ciò che più merita di essere notato, della poesia così pensavano, la quale par che sia prodotto solo d'ingegno e di Genio. Io mi con- tento di accennar qui al proposito gli avvertimenti di Fiacco, che sono in sostanza un compendio della (1) Socrate 1. e. come sopra. (2) Lo stesso I. e. 113 filosofia de' rctoi'i greci. Non meritare il nome di poeta l'ignorante (1). Non doversi lui vergognar di apprendere, piuttosto che d'ignorare. Si lagna, che chi non sa un'arte corporale, se n'astiene; mentre poi osa far versi chi far non li sa. Esorta, che non si faccia cosa a dispetto di Minerva. Ove bisogna osservare che essendo Minerva la dea della sapienza, s'intende nulla doversi tentare senza studio e senza sapere: e non già, come solamente si spiega, senza che s'abbia naturale ingegno. 11 che viene confer- mato dall'idea che avevasi della dea della sapienza, la quale istruiva ammonendo , a perciò detta Mi- nerva (2) ; e dall'adagio far cosa grassa Minerva , cioè rozzamente, senza istruzione e senza dottrina; e dall' altro sus Minervam , con che motleggiavasi taluno, allorquando ignorante pretendeva insegnare (1) Cur ego si nequeo ignoroque, poeta salutor? — Cur nescire, pudens prave , quani discere malo? — Qui nescit, versus audet Ungere ... Tu nihil invita diccs faciesve Mi- nerva. — Ingeniani misera quia fortunatius arte. — Credit et excludit sanos Helicone poetas — Democritus etc. Multa dies et multa litura ... — limae labor et mora. — Si quid taraen olim — scriptoris in Metii descendat iudicis aures, — Et pa- tris, et nostras, nonunique prematur in annum. — Ilio et mare transit, — Et longum noto scriptori prorogai aevura. — Graiis ingenium, graiis dedit ore rotando — Musa loqui, practer lau^ dem nullis avaris. — Romani pueri longis rationibus assem — Discunt in partes centum diducere . . . etc. Non quivis videt immodulata pocraata index. — Et data romanis venia est in- digna poelis. (2) Minerva dieta, quod bene moneat. Feslus. G.A.T.CLIX. 8 ÌU un uomo istruito (1). Così un uomo dotto si diceva tutto Minerva (2); non già solamente perchè dotato d'ingegno, ma perchè molto istruito. Già Democrito opinava bastare il solo naturale ingegno per esser poeta; ma perchè taluno un nome così rispettabile ottenga esser necessario lo studio , poiché e ricca vena e studio è d' uopo che s'uniscano ; capendosi però che VingegnOf o sia il genio, è il fondamento della perfetta poesia. Non pertanto lungo tempo e spesse correzioni la perfezionano; oltreché è neces- sario il giudizio de'più savi ed esercitati per prof- ferirne sentenza : e così, chi scrisse, assicurarsi del merito delle sue scritture, perchè le stesse passino i mari e gli procaccino eterna la fama. Ma perchè si scorga meglio quale conto dello studio facevano gli antichi, parmi opportuno qui ri- flettere come si dava la preferenza ai greci sopra i romani nello ingegno e nella dolcezza del dire: avvegnacchè questi applicati al guadagno non pote- vano far versi degni d'esser consecrati all'eternità. Imperciocché i greci erano ingegnosi ed accurati nello scrivere , e perchè trasportati per la gloria , a non altro studiavansi , se non se all'eleganza sì nei pensieri , come nelle voci ; ed avevano anche l'orecchio così esercitato, che eran gran maestri nel- le armoniche cadenze ; conciossiachè il ritmo , di cui eglino facevano alta stima, consistente nell'or- (1) Veni igitur et disce iam àpoXiyoiiivoc?- quasquaeris, etsi sus Minervam. Cic. Fara. 9 ep. 18. (2) Omnis Minerva homo. Petron. in fragni. 115 dine del movimento, produceva una certa armonia, detta poi modus dai latini. Ma perchè questi poco studio vi facevano, poco anche potevanlo discernere; laddove il popolo tutto della Grecia, e massimamente di Atene, come quello ch'era ingegnoso, e l'ingegno colle opportune applicazioni dirette allo scopo del perfezionamento assai coltivava, era giudice severo delle produzioni de' letterati. Onde si disse essere una meraviglia trovare un popolo tutto istruito; fe- nomeno singolare, mentre in tutte le nazioni uomini di lettere e di gusto sononsi bensì veduti, ma non mai intera una popolazione (1); e là dove raro è il giudizio da profferirsi nelle opere di gusto, comune era in Atene. Né questo è tutto. Gli ateniesi non solo dei lavori della immaginazione e del sentimento erano giudici, ma di quegli altri che vengon pro- dotti dallo intelletto. In somma il popolo di Atene era colto, letterato insieme e filosofo, per effetto di una comune cultura d'ingegno e di studio ben re- golato, e rivolto al fine d'incivilire intera una na- zione proporzionatamente ai sistemi politici e reli- giosi allora dominanti. Or assurdo sarebbe il con- cepire ch'eglino erano tutti geni, inteso il genio nel senso di un essere privilegialo, che sopra gli altri elevandosi crea nuove cose ed in un nuovo ordine le dispone. Passiamo ora ad esaminare il senso che i nostri hanno dato al genio, acciocché confrontando i loro divisamenti con quei degli antichi, secondo ciò che (1) Cesarotti in una orazione inaugurale per apertura di studi. 116 abbiamo di sopra divisato, conducessimo allo scopo già proposto il nostro discorso. Cercberò d'esporre in breve quanto si è detto sullo assunto. (( Il genio, si va spacciando, è una specie d'i- spirazione frequente, ma passaggiera, ed il suo attri- buto è il dono di creare (l)-Si distingue dai taleìito, che è una disposizione particolare ed abituale di riii' scire in una cosa; va in prima classe il genio della invenzione- « Quell'impulso involontario, che forza a scegliere il bello , è ciò che si chiama genio. Esso è dono della natura (2). « 11 genio è quella forte volontà , che presto elegge uno scopo, e ad esso rivolge tutte le potenze dell'intelletto. È un impelo dell'ingegno (3)- » Tralascio altre definizioni , che a un di presso alle cose riferite si riducono ; e soggiungo che la voce Canio ai nostri giorni ha eccitato l'entusiasmo a segno, che se n'è parlato e scritto con istile su- blime. L'uomo di genio non s'è veramente definito, né si sono analizzate le idee formate sullo stesso, ma si è descritto con tratti di pompa, e bene spesso, tronfi ed ampollosi. Se n'è fatta piuttosto una descri- zione poetica; la quale quanto più brillante, tanto più ha scosso l' immaginazione dei giovani e 1' ha fatta traviare, credendosi tutti geni ; poiché essen- (1) Marmontel. (2) Giovanni Gherardini , Elementi di poesia ad uso delle scuole. (.3) G. B. Niccolini , Del sublime di Michelangelo. 117 dosi ridotto ad una ispirazione , ad un istinto che dice segnimi (1) senza studio e senza istruzione, è divenuto una cieca divinità, cui ognuno stima avervi diritto , e tanto più quanto più favorisce la infìn- gardagine- L'uomo di genio s'eleva e s'abbassa^ se- condo che l'ispirazione Vanima o V abbandona; Vuo- mo di genio ha una maniera di vedere , di sen- tire, di pensare che gli è propria- L'uomo di genio è quei , cui la natura rivela i suoi secreti. Egli agita, egli scuote, egli ravviva , egli impelle , ma ntdla resiste ai suoi impulsi. Stordisce, percuote, è toccante, stupendo, nuovo, singolare, sorprendente (2). Insomma egli è un demone superiore all'uomo stes- so; e perchè invaso dallo spirito che internamente Io scompiglia , opera per l'istinto della natura di- vina che r ha occupato , e ch'ei segue ciecamente. Ecco in poche linee l'idea moderna di Genio; dalle quali chiunque può scorgere la poca , anzi nulla esattezza del concetto , che se n'ò formato. Ed io forte mi maraviglio, come a' nostri tempi , in che l'ideologia vuol far progressi analizzando, si è così male discorso sull'idea eh' eccita una parola cotanto interessante. Gli antichi , secondo che a me pare , sono stati in questo più saggi. Parlarono del Ge- nio, ma sotto la veduta di uno spirito, che li as- sistesse, e conducesse nella via troppo scabrosa della vita. Erano i geni tutelari , che dirigevano le loro inclinazioni, regolavano i loro piaceri, la loro fortu- (1) Niccolini 1. e. (2) Marmontel. 118 na, le loro famiglie, le città, i regni, gli stali, co- me di sopra l'abbiamo veduto. Erano per altro tali divisaiiienli pregiudizi volgari, ed attinenti alla loro religione. Che se parlavano di forze divine che as- sistevano alle arti ed alle scienze, come le muse , era questa una veduta generale che si voleva dare alla cosa , quasiché volessero significare essere le arti e le scienze una divina emanazione; e per que- sto credevano Minerva nata dal cerebro di Giove , per far veduto che la sapienza era parto di Dio. Ma non ammettevano uomini, che nelle arti, nelle scienze, e nelle lettere avessero un genio partico- lare, ossia un cieco istinto che dicesse seguimi ^ e che fossero ispirati- Né mi si dica che il Demone di Socrate (1) era di questa sorta; perciocché era quello un nume che il filosofo faceva credere che lo ammaestrava ispirandolo nei sacrosanti dettami della morale, non già nelle lettere: e ciò per im- por maggiormente sul cuore degli uomini all'og- getto d'insinuar loro maggiormente l'amore della virtiì. Ed all'incontro è celebre ciò che si rapporta di Zopiro famoso fisionomista: il quale come vide Socrate, disse che questi era stupido e tardo d'in- gegno, e nello stesso tempo, amante di donne. Al- lora, come l'indovino fu dagli astanti deriso, e so- prattutto da Alcibiade che gliene fece una risata , il filosofo ristaurandolo dalla beffa, rispose, eh' ei veramente aveva avuto quei difetti, ma che cor- retto li aveva per la ragione ed i precetti della (1) ^Ciitxwf, genius, sors. 119 filosofìa (1). Socrate adunque divenne filosofo di primo nome mercè dello studio , vale a dire fu un genio, secondo il linguaggio dei moderni, intan- tochè Tullio (Tuscul. I. 5, e- 4') ebbe a dire ch'ei fé' scendere da cielo la filosofia morale , laddove, all'inverso di quanto si suppone dai nostri, la na- tura non aveagli fatto alcun dono. Sappiamo an- cora che Demostene, quell' oratore che si è fatto da tutti i secoli ammirare, cui i nostri non pos- sono affatto secondo i loro divisamenti negare il genio, giunse all'alto grado di eloquenza studian- do, travagliando, e sinanche correggendo un vizio organico di scilinguamento, e di più la debolezza naturale della voce. Otto volte trascrisse di pro- prio pugno la storia di Tucidide , dalle cui par- late soprattutto attinse la forza dello stile, che gli fa tanto onore. Racchiudevasi in una cava per ela- borare le orazioni da perorare al popolo; e perchè non avesse occasione di uscire, radevasi la testa, costretto a permanervi sino a che gli fossero un* (1) Quid ? Socratera nonne legimus quemadmodum notarli Zopyrus physiognomon stupidum esse Socratem dixit, et bardum.... addidit etiam, nìulierosum: in quo Alcibiades ca- chinnum dicitur sustulisse. Sed haec ex naturalibus causis vitia nasci possunt: extirpari autem, et funditus tolli , ut is ipse , qui ad ea propcnsus fuerit, a tantis vitiis avocetur, non est id positum in naturalibus causis, sed in voiuntate, studio, di- sciplina - Cic. De Fato, e. 5. - Cum multa in conventu vitia coUegisset in eum Zopyrus, qui se naturam cuiusque ex for- ma perspicere profitebatur; derisus est a caeteris, qui Illa in Socrate vitia non agnoscerent: ab ipso autem Socrate suble- vatus, quum illa sibi insita, sed ratione a se deiecta, diceret. Id. Cic. Tuscul. Disp. lib. IV, cap. XXXYH. altra volta cresciuti i capelli- Quinci nacque il mot- teggio che gli emuli suoi gli facevano dicendo, che le aringhe di Demostene puzzavano dì olio. Siccome di sopra accennai, Vimparar da sé sles- so (1), e molto meno il far cosa naturalmente per dotta natura (2), era stimata stolta; e gli uomini d'animo sapientissimi (3) , che sarebbero i sommi geni naturali, venivano canzonati, avvegnaché per meritare un tal nome bisognavano gravi e lunghi sludi, severe e serie meditazioni, con un corredo di altre circostanze sì private , come pubbliche , perchè il fenomeno in tutta la sua pompa s'av- verasse e si manifestasse. Così è: la natura non dà se non il solo principio ; e quindi , poiché il grand'uomo dopo una carriera ha fatto la sua com- parsa, è stato denominato di buon naturale, d'ot- timo naturale, di grande e di grandissimo natura- le (4), d'ingegno, di talento, di grandissimo in- gegno, di grandissimo talento, di spirito, e final- mente di genio , secondo le produzioni che se ne vedono, e le opere che se ne ammirano, diverse e varie a tenore delle trattate materie. Così Aristotele fu detto Demonios (5) con una voce che in greco esprime un uomo avente un de- mone, ch'oggi si direbbe un (fenio. Eppure si sa che (1) ' Avr óixaTov Jx/JLaSsiV. * . (2) 'Ano aofYJg ^voK^g. (3) QviJ.oao'^tv.6xaxoi. Aristoph. in Vespis. (4) 'Euipvvjg , £Ù(pu£(7T£p(35 , £Ù(puioTa.rog , ^s.yocXcfvtji; , ixV'ioCkofviaTZQog, [xv/ocXoifvscrocroc, iùcpv'coc, [^z'^/oCkc^ta. (5) Aot.iiióviog. 121 quel grande aveva una eccessiva passione per lo studio, a segno che situava un bacino di rame ac- canto del suo letto, e stretta alla mano una palla di ferro, stendeala fuori, onde cadendo la palla nel bacino, collo strepito ne lo svegliasse tosto ch'era per addormentarsi (1).E Platone, non meno del suo discepolo della meditazione e dello studio amantis- simo, fu chiamato soltanto divino (2); ma Cicerone si contentò di nominare Aristotele uomo di singo- lare ingegno e quasi divino (3) colla parola inge- nium usata dai latini, accrescendola solamente cogli aggiunti di singolare e pressoché divino^ e Platone fu decorato col soprannome tìieos dai primi padri della Chiesa , i quali trovarono che le di lui dot- trine e quelle di nostra religione si assomigliava- no: Demostene, che pur tanto si studiò per diven- tar grande, vien distinto da Longino col nome di grandissimo ingegno (4) , che un moderno direbbe altissimo genio. E chi de' moderni negherebbe que- sto nome a Cartesio ed a Leihnizio ? Eppure chi non sa lo spirito ardente dell' uno e dell'altro per gli studi severi e per la continua meditazione? Car- li) "Evrof, x«J àaxjcv B^piiov klociov intztOévoct àvròv tw (jTc/Jt.a/w 9«(7!"xaj onore xcj^wtc cfoclpocv ^aXxvjv ^ofklc(j9(xt aura sig T>jy '/zìpa., Xcxav>jg vno-iizt[j.ivY]g, iva i-xmcoutr/jg Tvjg qffixtpixg scg v/jV IsxdvYjv, uno zoxJ ipo'ys i^èypoizo. Diog. Laert. lib. V, n. 277, edit. Amsler, in Vit. Arisi. Amniiano Marcellino narra ciò di Alessandro Magno. (2) Qzìog. (.3) De divinatione lib. 1, e. 23. (4) '0 §£ loc^àv zov /xeyaXcgjUcorTocTou.... zóvov. Dio- nys. Long. De sublimi genere dicendi. 122 tesio in età di 19 anni rinunciò affatto a' piaceri della vita per consacrarsi interamente alle scienze. Fissò la sua dimora in Olanda, perchè ivi vivesse oscuro; e da nessuno turbato, avesse l'agio d' ab- bandonarsi pacificamente alla filosofia ed alla ma- tematica: donde, per non rammentar qui altro, ab- biamo l'analisi fatta da lui nell'età di 25 anni, tanto famosa quanto il calcolo dell'infinito di Newton (1). Leibnizio era così ostinato nello studio, che sovente stavasi mesi interi nel suo gabinetto dormendo nella sedia medesima ove studiava. Illustrò pressoché tutte le arti e le discipline tutte , ed anche le accrebbe , cosicché parve un portento di sapere che a naturali forze non convenisse. E come- ché prodigiosa fosse la memoria di costoro, e piiì di Leibnizio , e facile la percezione, non pertanto eglino non arrivarono all'apice delle dottrine, cui é dato giungere a forze umane, che per via di stra- ordinarie applicazioni, le quali al solo rammentarle paiono intollerabili ad umana natura ; e gli effetti se ne aggiudicano a forze occulte e divine (2). Per lo che noi, secondo a me pare, travolgiamo le idee attribuendo in massa al Genio tutto il grande , e qualche volta anche lo straordinario che in uomo scorgiamo dopo le fatiche sostenute, supponendolo un invisibile spirito che opera ciecamente: laddove, a mio credere, il talenio, cioè la volontà spiegata , (1) Nelle annotazioni dell'elogio che ne fa Thomas si tro- vano queste notizie. (2) Fontenelle, Elogio di Leibnizio: e Brucherò, Character Leibnitii . I 123 che le circostanze accompagnano , è il solo su di cui tutto redifìzio s'innalza. E siccome non sempre si riesce in una impresa, perchè non sempre le cir- costanze sono favorevoli , così a chi si arresta si niega il talento , e si dà a chi progredisce ; e poi si fanno gradazioni secondo 1' avanzamento sino al sommo. Donde è nata oggi la distinzione di talento, d'ingegno, di spirito, d'entusiasmo , d'estro, di ge- nio: mentre non sono altro che il solo talento, che secondo la volontà di ognuno, e molto piìj a tenore degli amminicoli di tempo, dì luogo, d'incoraggia- mento , di spinta , e direi anche di fortuna , o si ferma affatto, o gradatamente si avanza, sino che alla fine, verificate tutte le circostanti fortunate posizio- ni, tocca l'ultima meta, cui arrivar possa l'uomo , il quale si acquista il nome di Genio , che in so- stanza è il talento messo in alta luminanza, trasfor- mato da noi in uno spirito celeste che supponiamo esser duce che guida per canali occulti e ciechi , perchè ignoriamo tutta la serie del metodo da lui tenuto, e delle opportunità che l'han favorito: ed ascriviamo ad una ignota divina forza ciò che deb- besi pili allo studio , alle indefesse applicazioni ed ai travagli ben diretti, fortunati, e favoriti. Pure, mi si direbbe , non vediamo noi uomini sommi contraddetti e bersagliati sì dagli uomini , come dalla fortuna e dai tempi , elevarsi così che superano tutti gli ostacoli e trionfano ? Non v' ha dubbio succeder questo ; xna anche in tal caso è una decisa volontà , o forte inclinazione , il talento insomma che vuole perchè vuole, e vince qualun- que intoppo che gli si attraversa, e diventa Genio. 124 Ed il talento solo appunto è che si trasforma in mille e cento maniere, distinto poscia dagli uomini in varie classi, e con diversi nomi riconosciuto, ed attribuito dopo il fatto ai soggetti, come esistente originalmente in essi svariato ed esclusivo. Quindi si è creduto esservi uno spìrito p. e. d'invenzione , un altro generativo^ un altro giudicatorio^ o di gustOy quando bene si giudica nelle cose belle , e va di- cendo. E pensato si è che non potrebbe apparte- nere ad uno ciò che in altri si vede, se variate si fossero le circostanze: non riflettendo esser divenuto il tale grande nelle scienze perchè in esse ha im- piegato il talento ed il tempo, e bene e felicemente le fatiche, ed il tal altro in altri rami del sapere. Così discorrendo , colui che fa gran comparsa in poesia avrebbe potuto farla in astronomia, in fisica ed in altra qualunque siasi dottrina. Chi sa se Ome- ro, posto dove fu Archimede, non sarebbe stato un sommo fisico, matematico, meccanico, e viceversa; Archimede, se fosse vissuto ai tempi del gran pit- tor delle memorie antiche, non sarebbe stato un gran- de epico? Le scoperte che fece il filosofo di Sira- cusa nel regno fisico e nelle meccaniche le avrebbe fatte il poeta greco , ed all' incontrario quello sa- rebbe divenuto il padre dell'epica poesia. Qual ra- gione v' ha che Galileo e Newton debbansi circo- scrivere nella fisica e nella matematica, e Milton e Tasso nella poesia ? Alfieri disse di se stesso che aveva una testa antigeometrica , mentre poi fu un gran tragico. Ma chi può metter limiti al talento che si voglia applicare ad una piuttosto che ad un' altra materia ? 11 tragico volle consacrarsi alla 125 tragedia e vi riuscì, avvalorato da mille circostanti ragioni: ed egli sarebbe stato un gran geometra se r avesse voluto , posto in diverse ragioni. I poeti stessi, gli oratori, gli storici di grido, perchè mai eglino sono così differenti? Forse perchè l'uno ha avuto minor o maggior genio dell'altro? No certo: ma perchè Eschilo, Sofocle ed Euripide, Lisia, De- mostene, Eschine, Iperide, Erodoto, Tucidide, Se- nofonte , hanno diversamente diretto i loro studi, oltre alla varietà de' tempi in cui vissero. Se Pla- tone , secondo il sentimento di Tullio (1) , avesse voluto esercitarsi nel foro , sarebbe divenuto un grande oratore; ed all'opposto se Demostene si fosse occupato in ciò che aveva appreso da Platone, ed esprimer l'avesse voluto, eseguito l'avrebbe con tutto quello splendore e quella eleganza che fu propria del maestro. La stessa cosa ei sente di Aristotele e d'Isocrate; l'uno e l'altro de' quali piacendosi del suo studio dispregiò l'altro; e così ognuno dei due si fermò e divenne grande in quello , in che ebbe diletto e si applicò. Lo stesso può dirsi .de' mo- derni, se si vogliano considerare il volere, i tempi, i luoghi e le circostanze di ognuno. 11 genio, dice un moderno scrittore (2), non s'im- para , ma si alimenta colle ottime impressioni. II (1) Equidem et Platonem existimo, si genus forense di- cendi tractarevoluisset, gravissime et copiosissime potuisse di- cere; et Demosthenem si illa quae a Platone didicerat tenuis- set, et pronuntiare voluisset, ornate splendideque facerepo- luisset. Eodemque modo de Aristotele et Isocrate indico, quo- rum utcrque, suo studio delectalus, contempsit alterum. Cic. De officiis, proem. (2) Girolamo Veneziano, Della Calofilia lib. 3. 126 genio è la speciale attitudine dell* uomo, prodotta dalla eccellenza dei suoi organi , di ben percepire e di sentir fortemente siffatta bellezza ; ed il con- cetto è immediato effetto di questa attitudine , e l'atto di questa potenza. In sostanza ciò non altro vuol dire se non se, essere neWuomo organi di ben percepire, e quindi attitudine ai concetti, che quan- do vuole, ed è assistito da tutto ciò che lo attor- nia, produce cose grandi- Un altro parlando di Dan- te dice (1): « Egli ò nato con le medesime facoltà degli altri: non differisce da loro che per l'attività, l'ardore, e il movimento, di cui queste facoltà sono dotate ». Ma questa attività, quest'ardore ec, di- co io, nascono dal talento, dalla volontà come prin- cipio del movimento, e dagli obbietti circostanti , come incentivo al movimento stesso- Così l'Alighieri « offresi come simbolo terribile del medio evo », siccome Omero rappresenta la beltà ellenica nella sua originale purità. Ora ridotta la cosa a questi semplicissimi termini, a che ingarbugliar poi il tutto con le espressioni di emozioni, d'ispirazioni, di ar- dore, di attività, di creazione ispirata? Dicasi piut- tosto, ed allora si dirà bene , ed in breve , che il talento è unico in tutti , ma che poi trasformasi per le circostanze e gli obbietti svariati. Ma tutti senton della stessa maniera? Non tutti; preso il termine nel senso non di uniformità, ma di varietà originata dalle differenti disposizioni di cia- scuno, ed attitudine di sentire modificata e diretta da tutti gli amminicoli necessari e dalla volontà (3) Ugo Foscolo. 127 che vai'ia in ciascuno: poiché non tutti vogliono le stesse cose , né tutti vengono o vogliono essere a cose grandi incitati; cosicché il principio é unico, ina diventa poi svariato negli etfetti, secondo la di- versa direzione ed inclinazione derivata da mille e cento divergenze di tempo, di luogo, di studio, dì metodo , di opportunità ed altro riferito di sopra, che danno diversi risultati , comechè provenienti da unica e sola fonte. Si dice di Mctastasio, ch'egli era solito di rinchiudersi entro il suo gabinetto, e Vestro ubbidiva bene spesso al suo volere (1). Ecco Veslro soggetto al talento di quel poeta. « L'attuale disposizione a ricevere le impres- « sioni del bello, ed a significarle coi mezzi del- (i l'arte, è ciò che si chiama estro- Questa dispo- (( sizione dipende dallo stato dell' anima ; nessuna « forza ha potere diretto sopra di essa; la sola vo- li lenta può talora suscitarla e prolungarne la dura- « ta (2))). Ecco qui la volontà; cioè un semplice atto, che replicandosi costituisce l'abito di poter volendo suscitare l' estro poetico. Laonde non è necessa- rio ricorrere a vane idee d' ispirazioni, né ad ele- vazioni di potenze quasi soprannaturali, che mo- vono l'intelligenza a cose straordinarie: ma basta riguardar le vie ordinarie deli' intelletto e della volontà. Il gusto é stato considerato come una operazione dell'intelletto, meno impetuosa, ma più riflessiva di .(1) Seriola, Osservazioni sopra Metastasio. (2) Gherardini, Elementi di poesia compihiti ad uso delle scuole. 128 quella del genio; e che modera il genio slesso , e n'è il giudice (l). Dunque, secondo questo intendi- mento, sono ambe coleste operazioni dello intelletto, sebbene in minore o maggior graduazione, in mi- nore o maggiore attivila, ed intantochè si riducono ad unico principio, cioè al talento, il quale si mo- difica a tenore della volontà e delle posizioni in cui l'operante si rinviene. In questa maniera discor- rendo, le poesie d'Orazio, di Pope, di Voltaire ri- conoscono la medesima fonte, il talento, che è quello di tutti i poeti primitivi, che a preferenza diconsi di genio; poiché Omero, Pindaro, Dante, non hanno cantato per istinto (ch'è cieco), nò per obbedire al movimento della loro anima (che sono espressioni vuote di senso), ma per volontà spinta dall'impo- nenza degli obbietti che li circondavano , diversi da quelli che attorniarono Grazio, Pope, Voltaire , ed altri di simil tempra- Ed in vero, così spìegansi con unico e semplice divisamento gli svariali or- dini di talenti, che, perchè diversificati oltremodo, sono siali distinti in vari gradi, ma ciò ch'è peggio, gli ultimi di loro sonosi perduti di vista; e non già più riconosciuti, sono stati detti, ispirazioni, istinti, emoùoni interne deWanima, convulsioni, evoluzioni , senza che l'autore medesimo sappia quel che si fac- cia senza studio e senza travaglio; mentre sono in effetto il risultamenlo di severe e lunghe medita- zioni, di serie e prolungate osservazioni per toccare (1) Gherardini come sopra. 129 la desiata meta (1): le quali, perchè poscia l'abitu- dine ha rese naturali , addiconsi ad una forza in- terna, cieca, ed invisibile , e sono state con tratti poetici, e non già filosoficamente, espresse dagli e- slelici dei nostri giorni. Ritlettete infatti che De- mostene, il quale bombiva, tonava, e fulminava dalla bigoncia, che tutto in un colpo rapidamente ac- cendeva ed inceneriva (2), che quasi ispirato ed oc- cupato da febèo furore fece quel celebre giura- mento sclamando : Non avete errato , o aleniesi , non avete errato noy io lo giuro per quegli eroi che perirono in Maratona (3) : che colla sua eloquenza faceva la guerra al piiì potente re della Mace- donia, e lo debellava, e l'avrebbe interamente scon- fitto , se il popolo presso cui egli perorava non fosse molto da quello di pria degenerato; Demo- stene, io dico, le notti studiando vegliava; ed i giorni anche passava faticando e meditando sopra le materie, che doveva trattare e presentare, per-^ che Atene la libertà propugnasse- Tullio (4), quel grande oratore, che dai roghi quale ampio incen- dio in ogni dove aggirandosi tutto ardeva e con- sumava, avente in sé molta e costante forza di (1) Qui cupit optalam studio contingere metani - Multa tulit fecitque puer, sudavil et alsit, - Abstinuit Venere et vino. Hor. de Arte poet. (2) OTcy xocdiv zs. Dionys. Long. Op. cit. (3) 'AIX IttsjSjÌ KaOocmp kixnv£va9sìg i^oci'fvng vnò Osov, v.a.i otovzl (poi^ohinxo^ yzvófxi'jog, ròv t^Zv àptaréov ,aà -uovg iv MocpoiBwi T:po>iwvòiVGa.vzoci;. (4) Lo stesso L. e. sopra. C.V.T.CLIX. ^ 130 bruciare, distribuita in sé stessa da tutte le parti, e successivamente sempre nutricata, non da altro riconobbe cotanto valore , se non se dallo studio fatto su' greci; da Lisia, da Iperide, da Demostene, da Isocrate, dai quali contrasse quella virtù ora- toria. Or chi niega che Demostene e Cicerone sieno i primi due grandi oratori del mondo, e due Geni? E giacché si è parlato dell' orator romano , che sommo divenne imitando i greci, e bilicando su quelli , è a proposito qui accennare , come gli scrittori latini tutti l'apice di grandezza toccarono perchè ellenisti (1). Basta rammentar Virgilio, il quale seguendo 1' orme di Omero si sublimò ne' primi posti dell'epica poesia, e come egli slesso diceva , quando gli si rimproverava d'esser troppo omerista, tolse la clava ad Ercole a fatica e lot- tando; ed a lui finalmente la ritolse il novello ita- liano Marone (2). Ma io preveggo che possa insorgere contra la mia opinione una forte difficoltà; ponendosi mente alle invenzioni maravigliose de' grandi uomini. Chi avrebbe potuto, dirassi , rinvenire nel bagno quel gran principio, che un corpo tuffato nell'acqua e- sclude un volume uguale al suo , se non il genio di Archimede? Quanti prima di lui eransi immersi in acqua per bagnarsi? Eppure l'invenzione di una ve- rità cosi feconda d' effetti era serbala al gran si- racusano. E che diremo di Empedocle , dal cui (1) Vos cxemplaria gracca - Nocturna versale nianu, ver- sale diurna. Hor. Ari. Pool. (2) Tasso. 131 divino petto uscivan versi che sì andavan cantando, versi che rivelavan misteri prima sconosciuti, co- sicché r agrigentino pareva appena nato da umana genia? Galileo dall'oscillazione d'una lampada stabilì la legge dei pendoli. Tutti quanti erano entrati in chiesa prima del filosofo fiorentino avevano con indifferenza veduto oscillare e lampade e lampadari, ma il genio ch'elevava dal rango comune di uomo quel grande sorprese la natura, e ne scoprì una legge. Newton, passeggiando in un giardino, da una mela cadutagli sulla testa fondò la legge dei gravi ; logge eterna che scoprì secreti dell' univer- so, e per la quale tutti i fenomeni si spiegano, si concatenano, s'uniscono in un tutto, e noi siamo, direi , i padroni della terra e del cielo , passando dall'una all'altro, come oggi facilmente i mari e le terre, non già camminando, ma volando si percor- rono. A chi non era caduta non una, ma mille mele sul capo ? Pure ad una mente celeste era dato, pei"- una scintilla impercettibile alla razza terrena, susci- tare un incendio ed illuminare le genti. E passando dai reperii, che derivano direttamente dall'intelletto, a quelli che dall'immaginazione hanno l'origine; quali non sono le stupende maraviglie, che noi vediamo sbucare da talune teste d'uomini vera- mente divini, che possonsi dir creatori? Omero e Dante sono i due soli sufficienti a mostrare questa verità; ed incominciando dal primo, qual cosa più rara e più stupenda nella natura, che scorgere un uomo, cui il Genio poche volte abbandona, produrre pro- digi, e presentare spettacoli sempre nuovi e sem- pre maravigliosi , e nel cielo entro le magioni di 132 Giove, ed in terra infra eroi e numi, ed in Averiio tra orrende divinità , ed uomini che per miracolo ivi discendono? Ed il secondo non è veramente uno stupore in vedendolo discendere nelle tenebre degli abissi, salire alla casa di Dio, e gir nelle slazióni che sono tra quelle e questa ? Che se il greco ha ab- bracciato col suo vasto genio il mare, la terra, il cielo; l'italiano ha percorso in persona , anche dal suo Genio guidato, le regioni più pure dell'Empireo, le più oscure delle bolge infernali, e quelle che miste di tenebre e di luce scostano le creature dal crea- tore sino a che la loro veste tutto acquisti l'albor della neve. Omero, mi sento dire da coloro cui dei geni il Genio spira, è un Dio, Dante è un Dio. Anzi la voce va echeggiando, e dice; Dei sono Archimede, Empedocle, Newton, Gahleo. (o concedo che i grandi uomini meritano il nome di divini: proseguo a so- stenere però che il solo talento e la volontà espressa, e poi circostanze opportune, li hanno sospinti a quel- l'alto grado che dagli uomini ordinari li hanno al- lontanali. Imperciocché Archimede esercitato nelle materie da lui studiate e profondamente meditate , stretto da Gerone a cercar la mistura del rame tra l'oro della regia corona , percosso vivamente dalla gloria di soddisfare un monarca, dovette naturalmente far degli sforzi per giungere allo scopo, cui giunse in effetto. Qualunque altro ancorché dotato di ta- lento , non avendo la mente diretta a ciò cui di- rigevasi il siracusano , non poteva mai scoprire quella verità. Suppongasi che in vece di Archimede si fosse tuffato nell' acqua Omeio ; avrebbe cer- tamente cantalo sulla soavità del bagno, e ci avrebbe 1 m Sull'assunto lasciiito qualche bellissimo poema. Ein-^ pedocle del pari, volta l'attenzione su'fenomeni dellii natura , ed alla filosoHa pitagorica , accompagnato dalla opportunità dei tempi, in che quella filosofia dominava, e di piiì favorito dal gusto di scrivere in versi e non in prosa, produsse quei poemi che gli hanno procacciato l'immortalità; mentre il suo ta- lento e la sua volontà a quelle materie lo circo- scrissero, d'essere cioè un fisiologo, come lo chiama Aristotile, e non già un poeta. Così il gran Galileo, così Newton avevano il pensiero rivolto a materie che per associazione d'idee là li conducevano dove per accidente furono condotti; e dal talento, e dalla volontà loro inclinata alle scienze che avevano stu- diate, vennero quelle scoperte tanto utili all'umanità. Sì vero , lo studio prolungato , il voler veramente progredire, forma il grand'uomo in quel branco di sapere, in cui si è consumato, ed ivi ancora potrà scoprire nuove cose e nuovi rapportÌ5 purché vi con- corra non meno la fortuna. Ed incuti si osserva che poiché un uomo si è consacrato ad una scienza, ad una dottrina qualunque , in quella spicca ed è grande, in altre non mai. Newton, così maraviglioso in fisica ed in matematica , fu povero teologo al- lorché volle interpretar l'Apocalisse (1). Ma Galileo (1) Newton nell'ultimo periodo di sua vita imprese a scri- veve sopra argomenti di divinità. — Si volle cimentare nelle interpretazioni delle profezie di Daniele e specialmente in quelle contenute nell'Apocalisse. — L'opera è intitolata; Osservazioni sulle profezie della Sacra Scrittura : Profetis of loly Script. ^ part. 1, cap. 2. 134 e Newton sarebbero stati poeti ? E pei'cbò no, se invece di essersi applicati alle scienze avessero ri- volto tutto il loro talento e la volontà loro alle muse? Newton, uscito dal teatro dopo d'essere stato presente ad un dramma, doveva senza dubbio dire ad un suo amico, cbe il dramma ora mancato di di- mostrazione (1). Nulladimeno sareltbe stato un gran poeta teatrale se avesse studiato come Altieri : e questi sarebbe stato un Newton, se si fosse rivolto alle scienze e le avesse veramente volute apprendere, inteso sempre però favorito da tutto ciò che per riuscir v'abbisogna. Forse si converrà meco in quanto si è detto per gli uomini di scienze, non così per li poeti: con- ciossiacchè a questi, oltre al talento e alla volontà, è necessaria una immaginazione viva, ed una ec- cellenza di organi di ben percepire e di sentire fortemente. Non v'ha dubbio che la poesia ha di bi- sogno immaginazione e forza di percezione. Pure anche l'eloquenza ne abbisogna; nondimeno Demo- stene per via di studio e d'improba fatica diventò il primo di tutti gli oratori- E per altro , siccome si è da noi detto di sopra , 1' estro viene eccitato dalla volontà. Metastasio ne ha porto l'esejnpio; ed Eschilo, padre della tragedia greca, si sforzava a risve- gliarlo col vino qualora il voleva: donde il motteggio di Sofocle che gli diceva non esser lui l'autore delle sue tragedie, ma piuttosto il vino che abbondante be- (1) Se anche non fosse vero quanto su di ciò se ne dice, pure il discorso di Newton sarebbe congruente alle abitudini dei suoi studi. 135 vevn. Nonpertanto Kscliilo poteva rispondere che vo- leva il vino, e voleva le tragedie, allorquando pieno di Bacco faceva i suoi versi biecamente guardando a guisa d'un toro (1). La poesia ditiramibica abbi- sognava di vino per esser ben trattata. Diceva Epi- carmo non darsi ditirambi là dove bevevasi acqua. Anche Platone riconobbe lo stilo ditirambico, di cui poteva farsi uso scrivendo anche in prosa, eccitan- done l'estro. Ed allora Socrate dovendo dir cose al- tissime, arcane, e diffìcili ad esser comprese, come da un nume percosso, prendeva il tuono ditirambico. Celebre ò un passo di Platone nel Fedro, ove So- (1) T«Uj3vj5òv £"/3).£7r£. Arisi, parlando di Eschilo. Diceva Didimo Chierico , ch'Eschilo era un bel rovo infocato sopra un monte deserto, e Shakspeare una selva incendiata, che fa- ceva bel vedere di notte, e che mandava fumo noioso di giorno. Or l'uno e l'altro di questi due grandi uomini pose grande studio a divinir tragico di una sublime tempra. — Né è vero quanto taluni asseriscono di Shakspeare, essere stato un uomoT rozzo, e rude ingenium secondo la espressione di Orazio: ma era, al dir di Schlegel , sufficientemente istruito nelle lettere sapendo anche di greco e di latino. Soprattutto egli era ver- satissimo nella letteratura inglese, ed era altresì, quanto ba- stava, pratico della mitologia, servendosene all'uopo come ar- gomento allegorico. — Oltreché conosceva lo spirito della storia romana, e profondamente la storia del proprio paese , che avea studiato sin nelle più minute circostanze ed in tutti i suoi minimi particolari. In somma Shakspeare era un uomo addottrinato e conoscitore insieme del cuore umano , su cui avea indefessamente meditato, intantochè a ragione vien detto lo scrutatore de'cuori. Laonde le sue poetiche invenzioni non sono, come pensano taluni, il prodotto di un genio selvaggio ed irriflessivo , ma di un sommo pensatore , il quale combi- nava le sue opere non a caso , ma con matura e ponderata riflessione. V. Schlegel, Corso di lett. dranim. Lez. XIII. 136 era te (^osì sì espriiiìe: .Se procedendo nel discoi\'io ap- paio preso da ìinfalico furore^ non te ne dèi maravi- gliare, poiché adesso non parlo piti fuori dello stile ditirambico (1). Era il ditirambico un inno che si can- tava al dio del vino. Volendo dunque, suscitavasi una specie d'estro per dir cose, che poi sembravano al volgo ispirate. Questa è la vena ricca, l'estro di cui parla Orazio (2), il quale mentre lo ricerca per la perfetta poesia, raccomanda poi moltissimo lo studio. Eppure quella ricca vena non è altro che Pestro , il quale volendo puossi eccitare nelle opportunità in che l'uomo si trova. Si dirà: Omero fu un ignorante (3) che per sola ispirazione partorì i suoi prodigiosi poemi, ed Ali- (1) 'Eàv àpu -JDij/fol-tìKTog npo^óvrog lóyou '/s'vw/Jiaj /xvj, ©aujuàjvjg , là vuv yàp ovy. ìzc nóyorjì ^iOupot[j.^o)v cpOiy- yoiioci. (2) Ego nec studium sine divile vena — Nec cude quid prosit video ingenium .... \rl. poet. (3) Alcuni hanno credulo che Omero fosse slato un poeta idiota: ed havvi pur chi opina esser lui sialo soggetto ideale. Che Omero sia stalo ignorante , si pretende provare per la ragione che ai tempi, in che egli visse, Varte di scrivere non si era ancora introdotta. La qual cosa, ancor che fosse vera, nulla conclude, potendo star bene che Omero fosse stato un uomo dolio ed istruito senza scrittura; dettando i versi e ri- tenendoli, e facendoti ritenere a meuìoria da tulli, come suc- cesse sino ai tempi di Pisislralo , quando furono raccolti ed ordinati Ma che diremo de'pooti anteriori? Furon dessi igno- rantissimi, perchè più probabilmente allora non si conosceva r arte di scrivere? Un'arte costituisce il sapere e la dottrina? Non entriamo in questo ginepraio, donde ancora distrigandoci uon avrcm colto fruito. — L'esistenza del gran poeta fu messa: 137 ghiei'i visse in tempi più rozzi di quelli del cantor d'Achille. Fui'on dunque poeti solamente di genio- in dubbio nel secolo XVII, mentre per lo innanzi non se n'era affatto dubitato. In Francia Perault negò l'esistenza della per- sona di Omero. In Italia Giambatista Vico sostenne la stessa opinione. Ma come si può questa sostenere, se sette città con- tesero a vicenda tra loro per attribuirsi la gloria di aver dato, anzi l'una che l'altra, i natali a sì grand'uomo? Se pur non ci fossero altre prove , tirate principalmente dallo stile dei poemi sempre uniforme, basterebbe questa sola a far vedere quanto sia strano ed insussistente il negarne la esistenza. Conciossiachè non è affatto verisimile, che quelle sette città avessero contrastato tanto se Omero non fosse stato mai, come da taluni sofisticando si è voluto dare a credere in quest'ultimi tempi. — Si aggiunga a questo la grave autorità di Tucidide, il quale riferisce come autentico l' inno di Omero in lode di Apollo Delio : e in un verso di qucst' inno si ricava essere Omero abitatore di Chio, che viene interpretato come nativo di quest' isola. Dal che si vede che l'istorico greco riteneva il poeta cosi esistente, che gli dà una patria tra le contrastate.'- oltrechè riferisce come Omero fa menzione di se stesso nei versi rapportati. Ma quando ragionamenti troppo metafisici voglionsi introdurre nella storia delle nazioni, la politica non che la scienza delle stesse va a rovesciarsi. Per amor di novità (vizio molto comune dei nostri tempi) si spargono pa- radossi, che soli per gusto dei nostri secoli fanno colpo, e pro- caccian fama a'promotori. LeMenier nel 1785 riprodusse questa ricerca che erasi sopita, tenendo presso a poco lo stesso ra- gionamento che tennero gli autori sopra citali. — Grazie però al buon senso, gli assennati, benché sempre in minor numero, san valutare le opinioni distorte ed attenersi alla costante tra- dizione , che ci dà Omere per un uomo particolare , e non per un carattere, il quale ci rappresenti la nazione dei greci. Ma del rimanente, e poi vero che in quella stagione era sconosciuta l'arte di scrivere? Nella Iliade vi sono due passi che, secondo l'avviso di parecciii, fan vedere il contrario. — 138 Ma chi non sa che ii greco visse allora che vari poemi s'erano fatti sopra l'eccìdio ili Troia? I poeti ciclici furono di quel cerchio che noi diremmo col- lana, i quali pressoché tutti trattarono lo stesso ar- gomento. È quindi molto probabile che il grande epico li avesse studiati ; e come Dante non fu il primo poeta de'suoi tempi, ma ebbe dei modelli cui II P è nel lib. YIl, v. 175, dove si parla delle sorti che tras- sero i greci , quando provocati da Ettore a singoiar tenzone con lui, volenterosi s' offersero nove guerrieri, tra' quali uscì Aiace. — Ma in questo luogo, a dir vero, non si scorge con- trassegno di scrittura ; e perciò male a proposito si adduce come prova di questa. — Non così però è da dire dell'altro luogo che è nel lib. VI, v. 168. — Preto volendosi disfare di Bellerofonte, senza ch'ei ne pigliasse sospetto, lo mandò ad Acrisio re di Lidia, ch'era suo suocero, e gli die'per consegnare allo stesso una tavoletta compiegata, e piena di note. . . . . ndpzv ^'ó'yé arip^octcx, \vypci rpd^ag kv 7xiva.xt tttuxtw $v^c(p$òpu r.cWu. Wolf, intento a sostenere non esservi scrittura, crede che neanco questo luogo provi di esser nota 1' arte di scrivere. Ma il marchese Lucchcsini, confutando la opinione di quell'au- tore con scnnale e giudiziose osservazioni, fondate nella sana logica d'ogni diritto ragionare maestra, si avvale anche del riferito passo mostrando come non si possa intendere che in esso si accenni ad un segno inciso nella tavola, come il Wolf pretende , ma chiaramente si parli di lettere o scrittura. Imperocché nella tavola ch'era compiegata, tituxtm, erano incise 0 scritte molte cose : il che esclude la idea di con- tener la stessa un semplice segno. —Laonde il Lucchesini ne conclude, che 1' avviso del Wolf viene smentito dalle parole stesse di Omero : oltreché il suo argomento non si regge al crogiuolo della buona logica. V. Lucchesini, Congetture intorno al primivo alfabeto greco. ( 139 potè mirai'e, cosi Omero neanclie fu il primo; ed è una pazzia il solo pensare che un uomo, il qua- le fa mostra di tanto sapere ne'suoi poemi, sìa slato un ignorante e senza lettere (1). Quindi a m'e pare cosa da non potersi concepire, che opere sì (1) UDa serie di antichissime favole, di cui l'una si rat- laccava con l'altra, finiva nella guerra troiana, e poi nei ri- torni {vcarot) e così componevasi tutto il ciclo epico. I poeti anteriori alla guerra di Troia, vale a dire prima del giudizio di Paride e del ratto di Elena , formavano la prima serie. Gli argomenti riferivansi alla guerra troiana dal giudizio di Paride, e dal rapimento di Elena sino alla morte di Ulisse co- stituivano la seconda. Siagro, il quale si mette avanti di Omero (o al tempo di questo poeta) , avea composto xà xpwKdi*)- Stasino di Cipro, o secondo altri Egesia daSalamina, fu autore dei versi detti Ciprii (rà y.vnpiot. ìn'n) in undici libri, cominciando dalle nozze di Peleo e di Teli sino a che Giove si dichiara suscitare contese tra Achille ed Agamennone, dove comincia- r Iliade di Omero. Si rapporta ancora Antipatro di Darete , che prima di Omero scrisse la guerra troiana. Corinno troiano, discepolo di Palamede, secondo l'autorità di Suida, trattò del- l'Iliade prima di Omero cui apprestò l'argomento. Cotesti ed altri sono i poeti ciclici anteriori, che uniti ai po- steriori fanno quel cerchio detto cjc/jco, che noi diremmo quasi collana intera di poeti anteriori e posteriori (**). Or il gran cantor di Achille e di Ulisse è da riporsi nella seconda serie, che potè aver presenti i poeti della prima. Oltre a ciò , secondo la testimonianza di Tolomeo Efe- stione, riferito da Fozio, egli fe'uso nella Iliade e nell'Odissea de'poemi di una certa Fantasia, la quale pur essa scrisse la guerra di Troia, ed i viaggi di Ulisse : i quali poemi Omero veduti aveva, secondo che asserisce lo stesso Tolomeo. Pure un certo Naucrate, che racconta lo stesso fatto, dice chiara- ramente ch'ei non acquistò, ma rubò, gli scritti di Fantasia che l uo maravigliose non fossero il prodotto di lungo studio e di profonda meditazione sì per le cose esposte, come per la maniera della espressione. Ed a vero dire ; troviamo in Dante vastità di dottrine, va- rietà di concetti , e forza di veiseggiare da farci stupire: che sono appunto il prodotto di fatiche im- mense, e di studi non interrotti. 11 talento, la vo- lontà de'due poeti, l'accidente d'esser nati nei tempi in cui nacquero , che attirarono la loro attenzione e colpirono le loro menti, diedero alla luce quei di- vini poemi- Noi che ci fermiamo soltanto nei ri- trovavansi conservati nella biblioteca del tempio di Vulcano a Memfi (oggi il gran Cairo) come riferisce Eustazio (in proem. in Odysseam). (V. Andres e. It sugli antichi poeti). Or se esistevano questi scritti conservati in biblioteca , ed Omero se ne giovò, come si può dire che a' tempi di lui era ignota l'arte di scrivere, e che egli era un ignorante? Questo fatto anzi mostra non solamente che la scrittura sì conosceva in tempi anteriori ad Omero, ma sì conferma in conseguenza quel che si è detto nella nota antecedente circa il passo del- l'Iliade, cioè che ivi si tratta non già di semplice segno, ma di lettere incise o scritte in una tavola. Tra le donne ancora celebri per dottrina si annovera Dafne figlia di Tiresia , eccellente nel corapor versi, dalla quale si crede avesse Omero attinto non poco per abbellire i suoi poemi. (V. Coel. Rodig. Mb. 14, cap. I). (*) 'H Ss' vjffTOjOf'a napx Izxc^vcòTta toc Kvnptocnmo' lYff.óti eìnovri oÙTcog SchoT. Hora. II. A. 5. (**) Lo Scriplor cycUcus di Orazio fu probabilmente una del ciclo epico (Causab.) 141 sultamenti delle cose senza analizzare il filo ed il progredimento, che non vediamo donde il prodotto sia derivato, attribuiamo a cause occulte, e soprat- tutto in poesia, ciò che nasce da puro e semplice principio- Dal che io ne concludo, essere in noi sol- tanto un intelletto che dai greci fu chiamato buon naturale, ed ingegno dai latini, che unito alla vo- lontà, allo studio, alla meditazione, alle circostanze, effettua gran cose negli uomini; che scorte alla fine, e non già nell' origine e nelPandamento, invece di venire addette all'unico e solo talento, ne fan fare gradazioni, con dare al genio il più alto posto che s'avvicini alle potenze divine ed invisibili. Quindi ne viene che si assegnano gradi inferiori all'estro, all'in- gegno, al talento, allo spirito, al gusto: laddove tutti si riducono ad uno, al talento volente, aiutato dalle posizioni circostanti , e principalmente allo studio", che profondo, ben diretto, e toccante poi la meta^_ produce maraviglie. Si lascino dunque le vane idee d'ispirazioni di- vine e spontanee di Geni occulti e soprannaturali; e rimossa l'infingardaggine nata dalla fantasia di cre- dere erser guidati da potenze interne ed arcane, per cui spesso si urta in paradossi, assurdità, stra- vaganze, spropositi , nuovi solamente perchè spro- positi, volgasi l'attenzione all' unico germe delPin- tellelto, e poscia allo studio, che , confortati dalle opportunità , sono i veri operatori dell' umana sa- pienza, e fanno portenti. 142 APPENDICE al discorso sul Genio. Compiuto il discorso sul Genio in quel modo ed in quella veduln, in che ho creduto di presentarlo, scostandomi dalle tracce comunemente tenute, in- sorse un dubbio contro le dottrine da me esposte, che , perchè restino ferme le basi su cui V edifizio si è innalzato, dileguarsi bisogna. L'esperienza c'insegna, mi è stato detto, esservi creature evidentemente privilegiate , le quali senza studio e senza ammaestramento alcuno fan mostra di saper ciò che altri dopo lunghe meditazioni a stento van palesando. Vaglian di esempio que' ra- gazzi prodigiosi nati tra noi, che la natura ha fatto matematici; che appena giunti agli anni della ragione, o come direbbe Gali allo sviluppo delle fibre dell'in- lelligenza, han fatto arrossire i provetti e consumali nello studio, facendo calcolazioni che secondo il me- todo della scienza richiedono studio e tempo; e che veri degni del nome di Geni , ci hanno finalmente convinti essere il naturale ingegno , secondo disse Democrito, dell'arte miserabile più fortunato (I). Per maggiore insistenza al dubbio, tralasciando quc'sog- getti , che delle arti pure meccaniche s' adducono come naturalmente valorosi (perchè del Genio nello (l) Ingenium misera quia forlunalius arte — Credit et excludit saiios llelicone poelas. — Deaiocrilus . . . Hor. Art. Poet. 143 intelletto ho inteso soltanto parlare), aggiungo altre due creature, che nella prima età apparvero due ma- raviglie di natura, Giovan Pico dalla Mirandola , e Biagio Pascal. Pico essendo ancor fanciullo faceva maravigliar gli ascoltanti per le risposte acute ch'ei dava, effetto di un grande ingegno, e per una me- moria non ordinaria (1). Pascal, anch'ei in tenera età, avendo inteso che la matematica fornisce mezzi per formar figure infallibilmente giusle^ vi si mise a ri- flettere, e giunse da sé a tanto che con linguaggio proprio suo ehbe a dimostrare, senza che ne fosse stato affatto prima istruito , la trentesima seconda proposizione del primo libro di Euclide. Ora ammettendo nell'uomo la facoltà di percepire come unico principio d'intelligenza, ch'io sostituendo direi naturale talento, qual unico fonte del sapere, ben si comprenderà non doversi confondere col sa- pere medesimo, che accumulato e ben diretto al suo scopo, quando sarà mediante le fatiche perfettamente" asseguito, costituisce l'uomo di genio nell'ultimo ri- sultamento e nella riuscita. Prima non è che un germe piìi o meno efficace , il quale non conduce l'uomo alla cieca per vie occulte ed oscure, ma per mezzo della riflessione e dello studio al compimento dell'opera ; anzi se quel germe non venga , diciam (1) Giovan Pico dalla Mirandola giovinotlo frequentò le l'università d'Italia. Collo studio , al quale era ardentemente trasportato , divenne così dotto in ogni genere d' erudizione, che sembrava per le sue cognizioni vecchio, non avendo allora che ventitré anni. Fanciullo ripeteva in ordine retrogrado i versi che ascoltava. — Tiraboscbi. U4 così, inaffiato tla studi, da metodi esatti, e da buone istituzioni, o resteià infruttuoso , o produnà frutti inutili, ad alle volle dannosi. Facevano calcolazioni i nostri; ma pure tali cal- colazioni non avanzavano il problema di 1° grado, e qualche volta di secondo, di quelli fatti secondo le scuole; e s'arrestarono in questi principi!, perche mancarono loro gli studi lunghi e indefessi. Pico non^ diede che risultamenti di poca o di ninna impor- tanza: perchè, attesi i pregiudizi d'allora, il suo ta- lento fu male diretto alla magìa naturale, sebbene i 12 libri contro l'astrologia giudiziaria sieno la mi- glior opera di lui ede'tempi. Pascal stordì suo padrà, con sua la dimostrazione: ma ei diventò poi grande collo studio, che fu così forte che gli produsse cro- nica malattia nel cervello- Sono dovute alle immense sue applicazioni la macchina di aritmetica, ed il trattato delle sezioni coniche. In età di anni 24 si diede a leggere alcuni scritti di pietà, donde poi di- ventò grande e singolare anche in teologia. Mi si dica per poco qui : furono due geni che lo con- dussero ciecamente per due diverse strade, strasci- nandolo a loro posta ora per Tuna, ora per l'altra? 0 fu il solo e stesso talento , eh' ei pose in opera per giungere allo scopo che ebbesi prefisso, onde ineritare in seguito il nome di Genio? Ma penetriamo un po' pili addentro la materia per soddisfar meglio coloro che serbano ancor me- moria de'nostri ragazzi come prodigi di natura. L'oc- casione si è presentata di parlarne adesso , che , spento quell'entusiasmo ch'era divenuto manìa , ne dà l'agio di assumere le parti di freddo ragionatore; U5 che allora le grida, le quali d'ogni dove come d'io triumplie risonavano, assorda van la ragione, e davan luogo alla sola fantasia. La percezione può avere i suoi gradi, ed essere meno facile, o più facile. La memoria, che non è altro se non se o prolungata percezione, o reiterata, può del pari o meno o piiì facilmente prolungarsi o reiterarsi. Così in Pico, il quale fanciullo ripeteva in ordine retrogrado i versi che ascoltato aveva, la percezione facile si prolungava, ed era tenace a segno che riteneva il verso d'ambo i lati. Da ciò bene si scorge la facilità di percepire comune a tutti gli uomini, salvochè non siano stupidi, essere la base dell'intelletto, o sia naturale talento, che operando il tutto eseguisce; unico germe, ripetiamolo, unico principio. Ma allora vuoisi chiamare Genio quando facile si ha la percezione, e vieppiù allorché nell'età puerile si ritrova? E perchè, io dico, innalzarla a que- sto grado, ch'è il sommo, mentre sta nell'imo? E anche così ed in questo primo grado può dirsi ispi- razione, ed avere esclusivamente e sola il dono di creare? Può chiamarsi impulso volontario che forza a scegliere, ed essere impelo cieco dell'ingegno? L'il- lusione è nata appunto perchè si è veduta in fan- ciulli, e si è esagerata; mentre in adulti, che unita allo studio, ha ftitto veramente cose stupende , ha scosso meno le menti ; e quando ha già eretto e finito l'edifizio, meno si è stimata. Archimede, Ga- lileo, Cartesio, Leibnizio, Newton, Laplace godevano senza dubbio il dono della facile e pronta perce- zione; però della loro fanciullezza nulla noi sappia- piamo. Ma perchè eglino in età giusta dimostrarono G.A.T.GLIX. 10 U6 i loro portenti , meno agitarono le fantasie degli uomini , che i ragazzetti i quali non altro fecero , se non se appalesare buona e pronta percezione ; laddove i primi, che dovettero certamente esserne ben dotati, furono creatori e veri Geni in matema- tica. Non v'ha dubbio, la fantasia sempre va al di là della ragione, e travolge i ragionamenti. Ondechè si disse, che i nostri fanciulletli comincerebbero in matematica di là dove avea finito Archimede: qua- siché per la sola povera mostra della loro perce- zione fossero già passati per tutto lo stadio , che aveva percorso il grande di Siracusa. Eppure ne- anche ciò si avrebbe potuto asserire di Pascal, quan- tunque avesse pubblicato opere degne di Archimede stesso e di Euclide- L'analisi di Cartesio, ed i cal- coli di Leibnizio e di Newton, non si mette in qui- stione essere stati prodotti che si attribuiscono a Geni ; pure non si nega che costarono loro lun- ghe meditazioni; anzi ognun si persuade esser do- vuto così andar la cosa, giacché quanto pili cogni- zioni studiando si acquistano nelle date materie , tanto più rapporti vi si scorgono, e così nuove idee succedono alle prime, e si scuoprono nuovi mondi. La sola buona e pronta percezione che farà senza materiali? Che si aspetterà dalla sola intelligenza , dal solo talento? Si aspetterà ciò che potrà ei so- lamente dare nel ristretto suo cerchio , come fece ne'nostri fanciulletli nelle pompose mostre che essi diedero, dei quali nessuno poi in matematica riuscì, comechè avessero avuto per maestri i migliori nostri matematici, tra'quali io, che ne fui testimonio, cito Gaetano Batà professore di calcolo sublime in questa 147 nostra università di Palermo. E giacche ho citato me stesso per testimone, dico in ossequio della ve- rità che il primo dei tre , il quale più degli altri menò grido, era svogliatissimo nello studio, ed av- verso alle matematiche a segno che un giorno chia- mato in esame , in cui io fui presente, non seppe affatto dimostrare la 47 proposizione del 1° libro di Euclide, dopo anni di studio di matematica sotto la guida dell'illustre professore- Il secondo proseguì a studiare ed ascese al sacerdozio : ma sebbene ei desse indizi di buon ingegno, pure dava nello strano, e vagava fuori la linea dritta delle matematiche di- scipline. Il terzo finalmente piiì sobrio degli altri due, e più amante dello studio, riuscirà come in altre materie, così nella matematica, applicandovi quella facilità di percepire , di cui abbiamo a ribocco di sopra ragionato. Ma io voglio ancora far vedere pra- ticamente in che consisteva la valenza de'ragazzi di cui abbiamo tenuto discorso, perchè si scorga esser ciò che eglino facevano proprio di tutti, colla dif- ferenza della facile e pronta percezione istante e reiterata di cose, i cui elementi nascono con noi, come quelli del linguaggio e del raziocinio naturale. U8 IM{ 0 B L E M A DETTO NELLE SCUOLE DI 1" GRADO. Mettete dei (jettoni nelle vostre mani ; se ne farete passare uno dalla man destra alla sinistra , ne avrete tanti nelVuna quanti nelV altra; e se ne fa- rete passare uno dalla sinistra alla destra, ne avrete in questa il doppio. Si domanda quale è il numero dei gettoni posto da bel principio nelle vostre mani. Questo numero si trova naturalmente ragionando. Dalla proposta si scorge chiaro esser due le con- dizioni nella domanda ; il passaggio di uno dalla destra ne darà tanti nell'una quanti nell'altra: il pas- saggio di uno dalla sinistra alla destra, in questa ne darà il doppio. Una mente qualunque, cui non manca il dono di percepire, dalla situazione chiara del que- sito andrà senza stento a trovarne il numero ri- chiesto così. 1° Se la destra scemata di uno pareggiar dee la sinistra accresciuta di uno, dunque la destra tutta senza scemamento sarà pari alla sinistra accresciuta di due; giacche nel primo caso l'uno meno fa che la destra sia pari alla sinistra, accresciuta di uno; nel secondo tutta la destra dee essere pari alla si- nistra accresciuta di due; perchè aumentata l'una , cui si restituì l'uno, dee crescere 1' altra anche di uno. 2" La destra aumentata di uno è doppia della sinistra diminuita di uno; vuol dire, che la destra 149 è due sinistre diminuite di due; perchè una sinistra fu diminuita di uno che passò alla destra, la quale essendo doppia, le sinistre sono due , e perciò di- minuite di due. Ma la destra divenne doppia della sinistra, perchè cresciuta di uno; dunque la destra sola senza l' aumento dell' uno debbe pareggiar la sinistra, perchè cresciuta di uno; dunque la destra sola senza l'aumento dell'uno debbe pareggiar la si- nistra diminuita di tre; poiché prima aumentata di uno pareggiava la sinistra diminuita di due, la quale sinistra dee ora esser diminuita di tre, stante- che uno di più unito alla destra doveva pareggiar la sinistra diminuita di due ; ed ora uno di meno debbe pareggarla diminuita di tre- 3" Destra intera pari alla sinistra aumentata di due. Destra intera pari a due sinistre diminuite di tre. Dunque la stessa destra è pari alla sinistra au- mentata di due, e la stessa destra è pari a due si- nistre diminuite di tre. Donde chiaro emerge, essere la sinistra aumentata di due, uguale alla destra , e le due sinistre diminuite di tre anche uguali. Perciò, la sola sinistra senza l'aumento di due è uguale a due sinistre diminuite di cinque; giacché essendo rimasta la sinistra senza due, deve esser pari a due sinistre diminuite del tre, propria diminuzione delle due sinistre, e del due, diminuzione d'una sinistra. Or se una sinistra è uguale a due sinistre meno cinque, una sinistra resta uguale a cinque. Dunque la sinistra avrà cinque gettoni. 150 Ecco sciolto il problema: giacche la destra, pas- sandone uno dalla sinistra, conterrà, secondo le con- dizioni, il doppio della sinistra stessa. Passato uno alla destra, da cinque restano quattro, il cui dop- pio è otto, meno uno sette; meno uno, perchè uno appartiene alla sinistra passato alla destra per con- dizione. Dunque la destra avrà sette gettoni. Si potrebbe proseguire il ragionamento, volgen- dolo e rivolgendolo da tutti i lati. Trovato cinque il numero della sinistra, il suo doppio è dieci; così che se si dovessero raddoppiare tutti i gettoni della sinistra, nella destra sarebbero dieci; ma per con- dizione debbe venir minorato di uno, che deve pas- sare all'altra; dunque resteranno quattro meno uno che bisogna aggiungere alla dèstra , la quale così avrà il doppio de'gettoni; ondechè uno non è suo, e però tolto l'aggiunto restano sette. Restringiamo il raziocinio Posizione. — Uno dalla destra alla sinistra, gettoni uguali in ambe Uno dalla sinistra alla destra, il doppio di questa. — Quanti furono i gettoni posti nelle mani? — Destra meno uno pari alla sinistra più uno- — Destra piiì uno doppia della sinistra più due. — Dunque la de- stra è due sinistre meno due. — Destra intera pari alla sinistra più due. — Destra intera pari a due sinistre meno tre. — Dunque destra stessa pari a si- nistra più due e a due sinistre meno tre. — Dun- que sinistra più due uguale a due sinistre meno tre. — Sinistra uguale a due sinistre meno cin- que. — Sinistra uguale a cinque, destra uguale a sette. 151 In segni algebrici: x destra — , y sinistra. ^ -H 1 = 2y — 2 X = IJ -H 2 X = 2y — 3 a; -H 2 = 2y — 3 y = 2y ~ 5 1/ = 5, oj = 7. Tutto cotesto ragionamento è riposto in un discor- so naturale; così che facendosi senza segni algebrici venta comune a tutti, purché siavi pronta percezione a concepire le proposte, vi si applichi l'attenzione e siavi rivolto il talento, e la volontà decisa a pe- netrarvi. In tal guisa considerando la cosa, se l'al- gebra è scienza (1) è scienza pari alla logica (detta arte di ragionare); e perciò arte di ragionare è an- che l'algebra, sebbene il suo metodo per l'esattezza del linguaggio rende ancora più esatto e più sin- (Ij La matematica vien detta così dalla voce ixcSrìiiiitliM pnrluri^ d^ litui <:»% ilnllp tunnMiiirtnoiii (Ii^IIp luelp . o(iii«itl(Mnlo i oiiin unii eliiiiiii'iilf» . in (Ili l'/oióMfi tu \(^ tìiii^ ii|inrh^i(>iii ('.(•':) |ioii<:niiil(!. (iMiiiiiM|im niNiK M iiviiHfiiit ttittm ili Mm\ . ft nonipro fitrmii oliit, i>i4«n'= lift ^ u/^ filiirilo) un) *puitufiu tumintf, tnnip itliM»ii(» i iiir^ l(ili. i|iifliiliiiii|iit> non "n iir iMipsn 1 (i|iir» rinifinsmii iiilliiniiKH Ir» iliu» uosliilKi? •!• lori* iiiiluiit ilici^fui'ìli 160 Sulle lingue italiana , francese , inglese e spagnuolut ragionamento letto alla pontificia accademia Tibe- rina nella tornata ordinaria del giorno 14 mar- zo 1859 da Paolo lamer dottore in legge^ socio della detta accademia. 0. 'ccupando le lingue italiana , francese , inglese e spagnuola il più onorevole posto fra le moderne lin- gue europee, sì per la perfezione di loro organismo, sì per la importanza delle rispettive letterature, cui danno forma, ò mio divisamento nel presente discorso tratteggiare le genuine fattezze di ciascheduna, rin- tracciandone dalla storia 1' origine , lo sviluppo , il perfezionamento; e dalla filologia l'indole, la pro- prietà, le bellezze. A raccorre pertanto sì ubertosa materia nei più discreti limiti della brevità , senza iattura dell'ordine e della chiarezza, divido l'intero ragionare in due parti, serbando alla prima quanto concerne considerazioni storiche , ed alla seconda quanto spetta a filologiche investigazioni. E pi'imieramente sulla lingua italiana. A rinvergare la originaria lingua di nostra pe- nisola farebbe d'uopo immergersi nel buio della più rimota antichità , conoscerne i primi abitatori, se- guirne le trasmigrazioni: in una parola, ad aver il bandolo per rintracciare il linguaggio, sarìa mestieri aver fissate con certezza le origini italiche. Ma quanta 161 luce siasi diffusa in tale materia , lo dicano i vari sistemi contraddiltoiii avvicendatisi gli uni agli altri. Tra i moderni il Micali , scrittore di sana critica, parve aver finalmente superate le difìicoltà , e su stabili basi fondato un sistema lagionevole. Ei dalle storie degli antichi popoli, e specialmente di quelli ch'ebber commercio coi primi italiani, vale a dire greci e romani, stabilisce gli aborigeni in Italia a tempo antichissimo (1). Dal tronco di questi abo- rigeni fa discendere una serie injmensa di popoli , che benché di medesimo sangue , dividendosi ed allargandosi in territorio acquistano diversi nomi. Tra i primi i siculi', gli umbri; i ra-seni (dai greci detti tirreni , e dai romani elruschi o Insci) ; gli osci 0 opici, dai <|uali sabini, piceni, casci , o pri- schi latini , rululi , ernici , equi , volsci , aurunci , campani, sanniti; liguri, iberi, fenicii, cartaginesi , greci. In quanto alla lingua due idiomi si parlavano massimamente da questi popoli; l'osco e V etrusco ; lingue da gran tempo perdute nell'obblivione, e che diseppellite dipoi ne' monumenti , hanno esercitato più o meno fruttuosamente gli sforzi de' filologi ed antiquari. Lo stesso Micali fondandosi sulle sco- perte osserva, che « Tosco volgare antichissimo in « alcuni particolari era affine all'etrusco; in ambedue « la scrittura da destra a sinistra; che l'elemento prin- « cipale della lingua osca si rinviene chiaramente nel « prisco latino. Voci o elocuzioni direttamente osche « porgono i frammenti di Ennio, o le commedie in (1) Full cnini gens anliqiiissima Italiae . . . Fcslits. G.A.T.CLIX. 11 162 « dialetto osco si capivano anche da'romani.In quanto « all'etrusco, dice l'autore medesimo, radici, o ana- « logie più dirette, o primitive, dovrebbonsi cercare « nell'antico illirico, tiilt'altro che nella lingua slava, « e di cui par vero , che l'idioma degli shippetars « conservi ancora temi originali o derivati: essendo « fatto indubitato e certo , che ora sotto il nome a generico di pelasghi, ora d'illirici , e di liburni , « razze straniere giuntevi di più lontano, passarono « dall'altra sponda dell'Adriatico, dandovi cagione a « quei movimenti e scorrimenti di popoli che ab- M biamo per avanti considerato qual massimo evento (( delle nostre storie (1) ». A'nostri giorni però avendo il eh. P. Camillo Tarquini d. C. d. G, con replicati sperimenti veri- ficato, che le iscrizioni monumentarie etrusche, che colla versione greco-latina davano un significato nullo 0 inadequato, danno per mezzo della lingua ebraica una versione completa, e rispondente alle circostan- ze artistiche de' monuu)enti medesimi , è venuto a produrre un nuovo, e secondo tutte le ragioni un vero sistema, per il quale scoperto la chiave della lingua etrusca esser l'ebraica , e questa secondo il Gesenio esser affine alla lingua fenicia, si deduce , che la natura della lingua etrusca si rinviene nella lingua fenicia, e che nella classificazione de' popoli italiani debbano in conseguenza le colonie fenicie ottenere il luogo principale. Da prima dunque que- (1) Micali, Storia degli antichi popoli ilaliani. Gap. XXIX »as, 353. ì 163 sle (lue lingue con altri affini dialetli si parlarono in Italia, più lardi s' introdusse la lingua greca , e fu ne' due primi secoli dell'era romana quando co- lonie cretesi , achcc , e doriche, venute dall' antica Eliade, s'impadronirono di quella parte dell'Italia in- feriore che dalla Campania si stende al mar siciliano, e vi fondarono la Magna Grecia, portandovi la lingua e la cultura greca d'oltremare. Da poi si perdettero, o in parte si trasfusero nella nuova lingua de'con- quistatori. Infatti Roma, non avendo una stirpe pro- pria , fu da principio un accozza(nento di latini , etruschi e sabini ; e quindi 1' eIea)ento informante il linguaggio fu un mescuglio d' osco e d'etrusco , finche lo schiavo greco Livio Andronico , Nevio , Ennio, Pacuvio, Plauto, Terenzio, ed altri dotti pro- satori e poeti non lo rivestirono di forme elleni- che ed coliche. Quando poi i romani divenuti con- quistatori dilatarono il dominio verso la bassa Italia circa il principio del quinto secolo, la lingua Ialina diventò la lingua d'Italia; ma rozzo essendo il lin- guaggio de' vincitori , si perfezionò ed ingentilì col contatto principalmente degli etruschi e degli ita- lioti. Così il latino abbellendosi sempre più , sino ad attingere il suo splendore al tempo di Cesare ed Augusto, in cui fiorirono Cicerone, Virgilio, Ora- zio, Ovidio, Catullo, fu il linguaggio predominante dell'Italia sino alla caduta dell'impero, in cui sorse la nuova lingua , cioè la nostra italiana. Ma qui è difficile lo spiegare in qual modo formossi questo nuovo linguaggio; da che vari scrittori scindendosi in opposte sentenze hanno lasciata indeterminata la questione- Però in succinto può osservarsi, che al- 164 cuni, come il Bruni, il Quadrio, e ij Bembo, per aver rinvenuto in Plauto e Terenzio alcune frasi e vo- caboli di natura italiana, si diedero a credere l'ita- liana favella antica al pari della latina; e opinarono", fosse parlata dal volgo nell'uso famigliare. Altri poi, e fra questi il Tiraboscbi (1), sostennero essersi for- mato l'italiano posteriormente al latino , mediante il mescolamento colla lingua teutonica succeduto nell'invasione de'barbari in Italia. A mio avviso que- sta opinione è la più plausibile, sia perchè rispon- dente alla analogìa degli altii linguaggi, che allora si corruppero, e si foggiarono a nuove forme quando vi s'interpose un elemento straniero, sia perchè con- fermata dall'analisi filologica che lascia visibile que- st' epoca di transizione da latino a nuova lingua negli scritti italiani de' secoli Xll e XllI : come può rilevarsi in questo brano, riportato dal nomi- nato Tiraboscbi (2), scritto nel 1264: Como Deo a facto lo mondo Et corno de tei'ra fo lo homo forma Cum' el descendé de cel in terra In la vergene regal polzella Et cum el sostenc passion Per la nostra grande salvation Et cum vera el dì del ira La o sera la grande roina (1] Storia della Icllcratura italiana. Tom. HI. Prefazione (2) Loc. cit. 165 Al peccato!' darà granieza Lo lusto avrà grande alcgreza Ben è. raxon ke l'homo intenda De que traita està legenda. In fine del codice si legge: In mille duxento sexanta et quatro Questo libro si fo facto Et de iunio si era lo prumer dì Quando questo dito se fenì. Petro de Barsegapè ke era un Fanton Si a facto sto sermon Sì il compillio et sì la scriplo Ad honor de Jhu-Xpo. Ora perchè non attenerci a questa seconda opi- nione , quando la storia ci addita come e quando avvenne tal decadimento avvertito dalla filologia ?^ Furono le falangi de' goti , e poi de' longobardi , che smantellato l'impero d'occidente ne rovinarono eziandio la lingua; ed abbenchè il sentimento na- zionale italiano opponesse una lunga e continua reazione al vincitore, sì che il rozzo idioma di que- sti non- prevalesse interamente alla dolce ed ar- moniosa favella nativa, luttavolta accadde di neces- sità una decomposizione e ricostruzione d'ambedue i linguaggi, donde formossi l'embrione di quell'ita- liano , che quando toccò l'apice dello sviluppo ot- tenne il primato tra le vulgari favelle. Un senso di curiosità peraltro ci fa investigare come sì lento ed incerto procedesse il dirozzamento del nuovo 166 idioma. Tre cause mi piace riconosceie fra le al- tre. La prima, lo stalo di continua guerra tra gli stessi barbari, e l'invadere di essi a vicenda il suolo italico. L'altra, i moltiplici dialetti che si formaron nella penisola. La terza, il rovescio e la sconfitta che s'ebber le lettere in quei secoli di ferro. E per verità quel rimescolamento continuo di genti straniere ren- deva più difficile la coalizione del linguaggio; ed il numero rimarchevole de' dialetti, che immantinente si generarono, lo suddividea indefinitamente. Riinontando infatti alle origini, abbiamo rinve- nuto in Italia una moltitudine di popoli , che ab- benchè discendenti da' piimitivi stipiti osco ed e- trusco aveano differenti nomi e dialetti. Però la stessa lingua latina, che si diffuse per le varie Pro- vincie italiche, non fu da tutte ricevuta egualmente, ma il sabino , 1' umbro , il campano la innestò e modificò all'originario dialetto, mescendovi i favo- riti idiotismi; e nella sintassi, come nella pronun- zia, discriminandola di molto dalla pura lingua di Roma. Ora il medesimo processo ebbe luogo nel nuovo informarsi della lingua alla scuola nortica ; che questi rispettivi dialetti, ricomponendosi all'ele- mento straniero, conservavano tuttavia gran parie dell'antiche tradizioni, e rendevano così impossibile la unità della lingua. Al secolo XIV fu dato rischia- rare l'orizzonte letterario producendo i tre grandi maestri della lingua italiana Dante, Petrarca, Boc- caccio , che col loro sommo genio prepararono i confini a quel rigonfio fiume di barbarismi, devian- done le acque impure, e dando ai posteri ne' loro scritti eccellenti modelli da inìilare. Ma come potò I 167 Dante sopra tutti nobilitare per modo la lingua , da esserne meritamente riputato il padre e il fon- datore ? Trasse egli dal proprio cervello gli ele- menti acconci a tant'opera, o si servì d' altri ma- teriali ? La risposta a tali domande si rinviene negli scritti dello stesso Dante, e specialmente nel suo trattalo « De viilgan eloquio » dove ei dice che esaminando lo stato della lingua , la trovava mol- teplice , divisa in dialetti , in guisa che si poteva dire ogni città d'Italia aver la sua lingua munici- pale; ma la vera lingua aulica, ìnagnifica, aurea, co- m' ei si esprime, non riposava in alcuna di esse. Quindi ei concepì il grande ed insieme l'arduo di- segno di trarre da tutti quei dialetti, o almeno dal maggior numero, la parte più nobile ed espressiva, e spogliatosi d'ogni pregiudizio municipale s'accinse a fondare una lingua nazionale che servisse alla in- tera Italia ; giacché avea osservato che gli sforzi del suo maestro Brunetto Latini , di Gino da Pi- stoia, e di Guittone d'Arezzo erano riusciti incompleti appunto perchè si restringevano al solo dialetto to- scano. A Dante dunque la gloria di avere con franca arditezza fissata e formala una e nazionale quella lingua, che resa municipale dai Ghislieri e Guiniz- zelli in Bologna, dai Giorgi in Venezia , dai Calvi e Doria in Genova , dai Sordelli in Mantova , dai Brandini in Padova , dai Bonaggiunla in Lucca , dai lacoponi in Todi, dai Pier delle Vigne in Capua, progrediva indefinitamente divisa e imperfetta. Ma esiste realmente un termine fisso, oltre il quale non possa la lingua perfezionarsi maggiormente? Mi gio- va risolvere questa difticolià applicabile a tutti iìin- 168 gunggi , pria di passare a traceiai-e la slaiia della lingua francese , con quella brevità che la predile- zione nazionale mi ha fatto alquanto dimenticare nella italiana. Si opina generalmente che le lingue dalla roz- zezza piimitiva giungano per gl'adi ad un punto di sviluppo massimo, che non possono oltrepassare sen- za viziarsi, lo peraltio porto o[)inione , che come la maggior parte delle cose quaggiù tende alia per- fettibilità , così anche il linguaggio ; e che volerlo incatenale in una ceichia, da cui non debba allon- tanarsi, sia come inceppare il pensiero e l'idea, di cui esso è Tospressione, la traduzione , o la forma estrinseca. Infatti le scienze e le arti hanno fatto tanti progressi, che naturalmente le idee correlative hanno acquistato una circonferenza altrettato mag- giore, e quindi si è aumentato il numero delle voci e delle frasi a lappresentar quelle. Nò ciò riguar- da solo la parte tecnica , ma altresì quella parte della lingua, che concerne il socievole conversare; che la moderna civiltà dista buondato dalla sem- plicità primitiva ; gli agi , i comodi , il lusso , la squisitezza del tratto hanno di necessità introdotto nuovi vocaboli; e come da un lato esiste quest'in- cremento, così da un altro deve esistere un decre- imento ; vale a dire una infinità di voci deve ca- dere in desuetudine, sia perchè il consenso generale le lascia invecchiare, sia perchè l'idea che esse rap- presentano disgusta per la sua stranezza, lohnson autore del dizionario inglese dice essere i suoni di natura così volubile e sottile, che sfuggono ad ogni precauzione; e il porsi in ca})o d'incatenar le sillabe 169 esser follia eguale a quella di percuotere il vento colla sferza. Gli accademici della Crusca ad impe- dire nuova corruzione nel linguaggio tentarono di fissarlo; ma poco dopo il Monti nella sua Proposta appuntò il dizionario mancante d'una notevole ap- pendice. Concludo dunque dicendo , che nel senso in cui lo considera il filologo, ogni linguaggio debba dirsi progressivo; nel senso letterario poi possa dirsi epoca d'oro d'una lingua quella, in cui ottimi scrit- tori pel consenso universale ne raggiunsero la mag- gior possibile perfezione; e, parlando in specie di nostra favella, può dirsi il trecento l'aureo secolo della lingua, siccome il cinquecento l'aureo secolo della letteratura italiana. Volendo ora rintracciare la originaria lingua delle Gallio, mi riporto a quell'epoca d'incerta data quan- do alcuni popoli incolti chiamati galli, o celli, ab- bandonate le antiche foreste si gettarono coi loro sacerdoti Druidi nel territorio delle Gallie disputan- done agli aborigeni il possesso > e fondandovi il loro linguaggio celtico rozzo e conciso. La storia de' galli e loro lingua finisce col primo secolo del- l'era romana , e ne' quattro secoli seguenti la Cal- ila non è che una provincia dell' impero romano ; giacché Giulio Cesare con una potente armata ro- mana soggiogò le Gallie, anzi quasi le distrusse co- m'ei vanamente s'esprime (I); e così la lingua la- tina si fuse colla celtica , formando il così detto romanum rusiicum, ossia il romanzo, di cui si ha qual- che vestigio anche oggi nel cantone de' Grigioni (t) Tul. Caes. Coiìimonl. de lidio gallico cap. <'29, pI pas- sim. no 0. nel Valese (I). Nel quinto secolo vennero i Iran- chi, gente germanica , a combattere coi gallo-ro- mani, coi quali incorporatisi indi a poco, riuscirono a formare una sola nazione. Ma la loro lingua te- desca pochissimo si fuse col romanzo, restando in certo modo isolala nella corte ove parlossi sino al tempo di Carlo il Calvo. Il trattato di Verdun nel 843 cangiò le condizioni della lingua, siccome ri- formò politicamente la nazione: dappoiché i tre fratelli Carlo il Calvo, Luigi il germanico, e Lotario figli di Luigi il Buono, posero col detto trattato un fine alle loro contese, fondando la divisione finale dell'impero di Carlo Magno. A Carlo toccò esclu- sivamente la Francia, a Luigi la Germania, e a Lo- tario l'Italia; sicché la lingua, come la nazione, re- fi) Un saggio di lingua romanza si ha nel giuramento d'alleanza tra Luigi e Carlo il Calvo. « Pro Deo amur , et prò Christian poblo , et nostro « coramun salvament, dist di en avant in quant Deus savir, « et podir me dunat , si salvarai eo cist meon fradre Karlo « et in adjuhda, et in cadunha cosa , si cum hom per dreit « son fradra salvar dist in o quid il mi altresì fazit , et ab « Ludher nul plaid nuraquam prindrai, qui meon voi cist mon « fradre Karlo in damno sit ». Che nel francese moderno vuol dire: « Pour l'amour de Dieu, et du peuple chrétien, et notre « commun salut, de ce jour en avant, en lant que Dicu me « donne savoir et pouvoir , ainsi sauverai-je ce mon frère « Charles et en aide et en chaque chose comme on doit pour « droil sauver son frère en ce qu'il en ferait autant à moi. « Et de Lothaire je ne prendrai jamais aucun plaid qui à ma « volente soit en dommage de ce mon frère Charles, 171 slò indipendente, e segregata dagli alemanni e da- gli italiani. Tolta dunque la parte tedesca divenuta lingua esclusiva della Germania, il francese venne ingentilendosi , e acquistando forma regolare circa il decimo secolo (1) , e al principio dell'undecimo elevossi con qualche decoro all'onore de' libri. Nel secolo duodecimo la lingua s' accrebbe ed arricchì nelle scienze mediche e filosofiche del greco parlatosi già in- Mai-siglia, ove i focesi, colonia gre- ca , s' introdussero circa 600 anni avanti G. C. ; e dopo Carlo Vili acquistò eziandio una parte di voci italiane. Siccome però gli scrittori facevan uso nelle loro opere piuttosto della lingua latina uni- versale , che della nazionale , avveniva che questa procedesse irregolare ed imperfetta ; e peiò Fran- cesco 1 vi porse rimedio , ordinando che nel foro e nella giudicatura si adoperasse il francese: per lo che molti scrittori fecero opera di coltivarlo- Ma siccome lo spirito sociale s'informava alle frivolez- ze e a' piaceri più che ai forti e severi studi, così il linguaggio del pari fu fecondo di voci lepide e burlesche, e mancante di parole nobili ed elevate : e quindi i due scrittori di quel tempo Marol ed Amyot poco riuscirono nello stile serio- Montaigne nei suoi scritti accrebbe e rafforzò la lingua , e Ronsard la rese quindi armoniosa nella sua lirica, ove apparisce imitatore, diiei quasi, servile de'no- stri poeti italiani , massime dal Petrarca e del Bembo. (1) Il romanzo di Filomena, scritto in quest'epoca, riticiie ancora le radici Ialino, celtiche, e tedesche. 172 Il Malhei'be fé progiedire il linguaggio sceve- randolo dalle voci composte alla greca introdotte dal Ronsard, le quali non affacendosi alla natura del linguaggio francese, lo guastavano invece d'abbel- lirlo. Istituita finalmente nel 1635 l'accademia fran- cese sotto gli auspici del cardinal Richelieu, la lin- gua ottenne incremento e riforma, e nel secolo di Luigi XIV toccò la sua epoca d'oro per gli scritti de' Fenelon , de' Bossuet, de' Bourdalouo e di tanti altri sommi letterati. Colla medesima concisione attingendo dalla sto- ria d'Inghilterra i vari stadi del linguaggio inglese dai suoi primordi al suo perfezionamento, si rileva che la prima colonia de'bretoni fu costituita ezian- dio dai galli 0 celti. Parimenti Giulio Cesare l'an- no 55 avanti G. C, vinte le Calile, si portò a con- quistare la Bretagna più per amor di fama , che di ricchezze, mentre queste isole distantissime dal- l'impero erano quasi sconosciute ai romani , e ri- putavansi un nuovo mondo. Questa conquista pe- raltro fu più nominale , che reale ; poiché Cesare fu presto costretto a ritornare in Roma per sedare le interne turbolenze. Gli altri imperatori non si curarono di riprendere quelle isole. Claudio riportò l'insigne vittoria del re Caractaco; e finalmente sotto Vespasiano la Bretagna fu sottomessa all'impero; e dopo un lasso di quattro secoli i romani le dettero il finale addio l'anno 448, quando avvicinandosi la caduta dell'impero, furono chiamate a difenderlo tutte le romane legioni, che erano nelle più remole Provincie- 173 li linguaggio latino, che si eia innestato abba- stanza al celtico da formarne la parte principale, ora scompare , perchè la Bretagna diviene scena di altri barbari, che ne tolgono quasi ogni vestigio, I sassoni, o anglo-sassoni (feroce e valorosa tribiì germanica che dal nord dell'Alemagna e del Cher- soneso Cimbrio si era estesa nella lutlandia e Nor- vegia) , trovando quasi spopolata la Bretagna , se ne impadronirono circa il 500 costiingendo i bretoni a rifugiarsi nelle montagne di Galles e di Cambria. Fugato pertanto co' bretoni anche il loro linguaggio , il sassone predominò per ben cinque secoli nella Bretagna modificato accidentalmente dalle scorrerle de' danesi , e dalla vicinanza degli stessi bretoni. Ma una alterazione profonda e quasi totale distruzione subì il sassone nel 1066, quando Guglielmo 1 duca di Normandia, invasa co' suoi nor- manni la Bretagna, fece ogni sforzo a porre in onore il linguaiì'2;io francese, ordinando che s' insegnasse nelle scuole (la qua! consuetudine si mantenne sin dopo Edoardo HI) e' che si usasse nelle leggi, negli editti , e nelle cause. Allora fu che nella corte si parlò solo questa lingua, mentre i genllcmoi, ver- gognandosi quasi del loro avvilito paese, gareggia- vano di emergere nell'idioma straniero. E avvenne in pari tempo, che una massa di voci francesi ot- tenne la cittadinanza a scapito di molte voci sas- soni, che caddero in desuetudine; la qual cosa andò progredendo, secondo il dottor Swift, quando i fran- cesi sotto Enrico II cominciarono a possedere sul continente britannico grandi territori paterni e dotali che aprirono un più lai'go commercio tra la Francia 174 0. V Inghilterra. Dalki fusione pertanto del sassone col normanno si ha da ripetere h formazione del- l'inglese n)oderno, il quale mediante le negoziazioni si è arricchito di altri dialetti stranieri, e dietro gli sforzi di sommi scrittori, massime di quelli che sotto la regina Anna ne fissarono 1' epoca d' oro , come Addison e Sleele, è giunto a porsi nel numero de' pili pregevoli linguaggi. Infine prima di passare allo spagnuolo mi piace notare che la lingua inglese ò nel senso filologico eminentemente progressiva. La lingua italiana del Petrarca è intesa nel nostro se- colo da ognuno senza la menoma difficoltà; ma la lingua inglese del Chaucer, contemporaneo di quel grand'uo.'DO, il primo che scrivesse con purezza e regolarità , a mala pena si legge e s'intende al dì d'oggi. La ragione, a mio avviso, ò latente nella or- toepia che coll'incertezza e volubilità de' suoni sol- lecita lo sviluppo forzato della lingua; che una emis- sione di voce più 0 meno esatta altera il signifi- cato de' vocaboli ; e 1' alterazione della pronunzia porta seco quella dell'ortografìa e della parola scrit- ta. Alla qual peculiare ragione se aggiungiamo la colluvie di voci nuove introdotte da molti scrittori, specialmente romanzieri, che abusarono senza limiti del vezzo di loro lingua che si presta a meraviglia alla composizione de' vocaboli, conosceremo perchè l'inglese sia divenuto oggimai colossale ed inesau- ribile , e perchè non siano riusciti a fissarlo Ben lohnson, Milton, Cowley, Tillotson e Waller. Rintracciando la lingua spagnuola con analisi sto- rica, siccome ho fatto delle precedenti, trovo esser essa un composto di ceìlico, ialino ed arabo- I pri- 175 mi abitatoli della Spagna chiamati iberi parlavano la lingua viscaina o canlahrica, della quale s'iianno appena i frammenti conservati dal Merula. Si per- dette massimamente perchè avvenute forti siccità e pestilenze, restando spopolata la Spagna, vennero i celti ad imparentarsi co' sopravvissuti iberi , donde formaronsi i celtiberi (1); e la lingua divenne un dialetto celtico. Ma ecco, che la Spagna cade sotto il dominio de'cartaginesi, e diviene in seguito il teatro delle guerre puniche , quando i romani vengono a guerra con quelli. Finalmente cede alle armi vitto- riose de'romani, e quindi la lingua latina v'entra con passo gigante; che tutti gli imperatori, da Ottaviano ad Augustolo , furono tutti signori della Spagna. Il linguaggio primitivo fu in conseguenza disperso, 0 secondo alcuni rifugiossi nella parte maestrale della Spagna, ove alcune famiglie cantabriche difese dai Pirenei poterono conservare gli antichi costumi e la lingua. Dall' esser pertanto soggiornata tanto tempo la lingua latina in Ispagna quasi assoluta do- minatrice,si spiega la prevalenza che ha ottenuto nel linguaggio spagnuolo sopra le altre fusioni e misture che succedettero di poi, operatesi in minor lasso di tempo, e con una reazione altrettanto maggiore. Il secondo periodo della lingua spagnuola è nella metà del secolo quinto, quando dalle Gallie e dall'Italia (1) . . . . profugique a gente vetusta Galloruin cellae miscentes noraen iberi. • Lucan. 1. 4. Phars. e Marziale 1. 4 epigr. 55: Nms cellis jj:enili el ex ibcris. 176 gettatisi nella Spagna vandali, alani, svevi, silingi, e goti , e fondatovi un impero di più di trecento anni , 1' elemento nortico serpeggiò nella lingua e divenne attivo nella coalizione : donde spiegasi la sorellevole simiglianza che ha lo spagnuolo colTita- liano e francese anche in quelle voci che non sono di radice latina, appunto perchè il medesimo ele- mento, che alterò quelle , corruppe il latino degli spagnuoli. Il terzo periodo, che occupa un luogo pili distìnto nella storia di Spagna, e l'invasione de'mori od arabi. Entrarono essi nel 713 per la prima volta in Siviglia , e con replicale e fiere battaglie ven- nero impadronendosi delle più belle città di quella penisola , e vi soggiornarono per quasi otto secoli. Allora il linguaggio , eh' era un misto di latino e celtico , acquistò la parte araba copiosa e bella ; ma feconda di aspirazioni e di gutturali , per cui si vennero ad udire con strano mescuglio parole pronunziate con accento dolce e sonoro ; altre con aspro e scilinguato- Ad esempio V j che si pronunzia (hhota), ed il g (hhi), hanno avanti le vocali e i un suono di h aspiralo fortemente : così la z e il e avanti e i hanno un suono scilinguato mollo somi- gliante al ih duro degl'inglesi; le quali anomalìe, non essendo nell' armoniosa favella latina, debbono dirsi acquistate dall'arabo; tanto più che la parte celtica cominciò a perdere in ragione che guadagnava la lingua dei mori. Da questo stato pertanto d'informe composizione dirozzandosi a gradi la favella spa- gnuola, venne nella metà del secolo duodecimo a fare la prima comparsa nella raccolta di leggende j popolari , nelle romanze , e nelle cronache rimate. 177 come 1' epoca cavalleresca di Alessandro iMagno; e nel poema del Cid (voce araba che significa signore), ove con sutficente proprietà sono descritte le gloriosa geste e gl'infortuni dell'illustre guerriero spagnuolo Don Rodrigo , o Ruy Diaz conte di Bivar. Arric- chitasi poscia nel secolo XIV, per gli scritti dello storico Fernando Perez de Guznian, di luan de la Encina, e di Fernando Roias, giunse in fine al suo secolo d'oro sotto Carlo V e Filippo II mercè gli sforzi di Vincenzo Espinel , dei due Figueroa , di Guevara, di de Solis, di Mariana e di D. Miguel Cer- vantes de Saavedra a tutti noto pel suo famoso Hi- dalgo D. Quixote de la Mancha, parodia ingegnosis- sima de' romanzi cavallereschi precedenti de'Palme- lini e dc'Primalconi. Dallo studio finquì fatto nella storia sulla for- mazione e vicissitudini di questi idiomi, potremmo ottenere un filo quasi sicuro per le investigazioni etimologiche ; che consci de' vari elementi compo- nenti il linguaggio, facilmente si rinvengono le ra- dici e le derivazioni delle voci; ma gl'inutili sforzi d'ottimi linguisti ci devono convincere, che la mera analisi storica è insufficiente a stabilire le etimolo- gie, avendo nella costituzione de'vocaboli una parte somma l'arbitrio e l'uso, a testimonianza dello stesso Orazio (1). Quindi, omessa la parte etimologica, fac- ciamo piuttosto alcune osservazioni di filologia sulla (1) .... Si volet usus. Quelli pencs arl)itriuni est , et ius el norma loqucndi. G.A.T.CLIX. 12 178 sintassi e sull'indole degli esposti linguaggi , onde formare un discreto giudizio sul loro rispettivo va- lore. E siccome abbiamo veduto, che la favella ita- liana, francese e spagnuola, ed in parte la inglese, si sono informate massimamente dal latino, parrebbe che anche nella sintassi a questo dovesser avvici- narsi ; ma si scorge chiaramente , che le orde del sellentrione ottennero la preponderanza anche nol- l'intcrna costituzione di questi idiomi; e mentre ne corruppero i vocaboli , del pari ne travisarono la sintassi, infondendovi il proprio genio, e il proprio modo di veder le cose, e di esprimerle. Che se ciò fu manifesto immantinenti al primo formarsi di tali favelle, maggiormente ottenne e si consolidò quando vennero alla loro perfetta organizzazione. Allora que- ste figlie si protestarono indipendenti dalla loro ma- dre, e ciascuna fieramente chiudendosi nella sua na- zionalità, condannò cotne ribelle chi tentavasi rifog- giarla nelle latine sembianze. Di qui è , che non ostante l'alta riverenza e il grande amore pel sommo Boccaccio, i posteri ne riprovarono unanimi la scon- torta costruzione, la quale abbenchè non pecchi con- tro la vera sintassi (che ei ne fu maestro), tuttavia siccome si affa all'indole latina fu delta da evitarsi, e a tal uopo le fu appiccato il titolo di siile boc- caccevole^ condannato poi acremente in quegli scrit- tori del cinquecento , che ne abusarono. Di qui è parimenti che nella Spagna nel secolo decimosesto biasimo ottennero i due fratelli Argcnsola, che non contenti d' imitare i classici italiani, adulteravano i loro carmi aila scuola d'Orazio; e Stefano di Villcgas, che poetò le sue Erotiche dietro il modello di Ana- 179 Creonte, conservando gli antichi metri classici. Che se poi vogliamo analizare in che massimamente que- ste vulgari favelle si differenzino dal latino , può dirsi, per tacere d'altro, in due capi specialmente: negli arlicoli e ne'verbi ausiliari. La lingua latina, dotta e filosofica nel suo meccanismo , nell* enun- ciare il nojne p. es. rex includeva tre idee , ossia lo riguardava in tre modi diversi : illimitatamente re; indeterminatamente un re; definitamente il re; i quali sensi venivano spiegati dal contesto e dal re- gime. Le lingue vulgari, sia ad imitazione de' greci, sia per addarsi allo spirito nortico, distinsero queste tre maniere , e per dare un valore determinato al nome introdussero l'articolo definito (articolo signi- ficando quasi piccolo membro, o giuntura). In quanto poi ad esprimere le dipendenze, o relazioni del nome, ovvero i casi, i latini li distinguevano dalla termi- nazione , o modo in che cade la voce ( casus a cadendo), mentre le lingue vulgari da certe partii celle 0 segni de'casi uniti all'articolo; la qual'unione delle particelle all'articolo, che chiamasi contrazione, ha luogo nell'italiano , francese e spagnuolo ; non nell'inglese. Ad esempio, invece di dire in italiano di il coltello si dice del coltello; in francese, invece di de le couteau, du couteau; in spagnuolo, invece di de ci cuchillo, del cuchillo ; ma in inglese of ihe kniftì segnacaso ed articolo non contratto. Che se il genitivo fosse un essere intelligente, allora usa l'in- glese la contrazione alla maniera tedesca, mettendo il genitivo con un s preceduto da apostrofo avanti il nome che lo regge: come Boccaccio 's Decameron, il Dccamerone di Boccaccio; Ihjron's works, le opere 180 di Byion. In inglese poi rarticolo è affatto (o?to , quando il nome sia preso astrattamente , o deno- tante tutto il genere , o tutta la specie: p« es. la bellezza è un dono, beauty is a gifl. Il tempo è da- naro (proverbio inglese), time is money. E gli spa- gnuoli pongono talvolta l'articolo dove gli altri non usano : P' es. nosostros los espanolesy noi spaghuoli; lodo lo piisieron à fuego y a sangre^ tutto misero a ferro e a fuoco. Le quali brevi ' osservazioni mo- strano esser stato l'articolo introdotto dagli stranieri; e quanto all'inglese si rileva esser tolto dal tedesco diey p« es- die band in tedesco, the hand in inglese (la mano); e lo spagnuolo el può derivarsi dall'ara- bo al. Ma quanto all' italiano e francese alcuni filologi pensano abbiano tolto il loro articolo defi- nito dal latino ìlle illa illud, per accorciamento di- venuti le la pel francese, e ilio la per l'italiano; la qual'opinione, comechò speciosa per la derivazione filologica, non varrà a provare che queWille illa illtid facesse in latino funzione di vero articolo, ma sì di pronome dimostrativo; e quindi non osta a quanto ho asserito , 1' articolo non essere di latina prove- nienza. Mollo meno sono di latina origine i verbi an- siliari. 1 latini a differenza de'greci, che ad espri- mere il tempo passato hanno anche gli aoristi, si servono di un solo tempo dixi, vidi; vale a dire non adoperano i verbi ausiliari: parimenti ne'passivi dicij videri. In questo punto adunque senza alcuna ob- biezione le lingue moderne differenziano dalla loro madre ; ma non tutte egualmente- In primo luogo gli spagnuoli, abbenchò abbiano gli ausiliari, prefe- 181 l'ìscono i tempi semplici ai composti, mentre i fran- cesi fanno più uso di questi: p. es. // y a qualre ann fai élé à Naples. ~ Hace cuatro anos esluve cn Nd- poles, e non heeslado. Oltre a ciò v'è diversità nella formazione del passato composto dell'ausiliare essere tra la lingua italiana e le altre. In italiano dicesi io sono slato; nelle altre Io ho sialo: fai élé; he sido; i have been. E infine liavvi gran differenza nell'uso di questi ausiliari co'verbi neutri- Dappoiché alcuni prendono il verbo avere; altri il verbo essere , ma a capriccio; su di che secondo i grammatici fa d'uopo rimettersi al solo uso. V'ha peraltro una regola co- stante tra l'italiano e l'inglese ne'verbi neutri pas- sivi, altrimenti delti riflessivi o reciproci; cioè che in italiano prendono sempre il verbo essere, e in in- glese il verbo avere. Ora sarebbe pregio del discorso lo addentrarmi nei penetrali di questi singoli idiomi» e notomizzarne per così dire le parti; ma presen- tendo che tal minuta diceria riuscirebbe noiosa anzi- chenò, mi terrò sulle generali, e dirò poi incidente- mente degli idiotismi. Essendo la parola, o il discorso, la espressione e svolgimento delle id8e;e queste essen- do comuni a tutti gli uomini: ne conseguita , che comune parimenti ed eguale sia il modo d'esternar- le. Il clima e varie altre circostanze influiranno sull'ar- ticolazione de'suoni; ma l'idea annessa, come risul- tato d' un giudizio della mente, sarà la stessa per tutti. Quindi è, ch'esiste una grammatica generale^ che non e altro che l'analisi del pensiero, e delle ope- razioni della mente; e però logica e fdosofica; e in questo senso dice Quintiliano: « Grammatica plus ha- het in recessu, qiiam in fronte promitlit, » Ma poi 182 ogni nazione lia modi vari di vedere; forma, rap- porti 0 relazioni fra gli oggetti a sua voglia, seguendo l'indole propria o il capriccio; quindi sorgono le gram- maliche particolari, che presuppongono il linguaggio costituito ed autorizzato dall'uso, ed in conseguenza sono aiialiliche. Tutte cotesle sono simili in ciò che prendono dalla grammatica generale: quindi tutte hanno il nome, il verbo, l' avverbio . . . Sono di- scordanti nella parte, la quale esprime le dipendenze e le relazioni ; ossìa nella sintassi , la quale è du- plice di concordanza e di reggimento. La prima con qualche limitazione ò la medesima in tutte quattro: p. es. r aggettivo accorda col sostantivo in genere e numero. Nell'inglese peraltro l'aggettivo è come l'articolo invariabile , e serve a lutti i generi e a tutti i numeri. Così è anche riguardo al participio passivo; senonchè gli spagnuoli si allontanano da- gli italiani e francesi nel participio attivo, il quale resta invariabile, mentre presso quelli accorda col pronome: p. es. Ilio veduto , e Vlio veduta: je Vai vuj je l'ai vue, in spagnuolo le he visto, la he vi- sto. Ma la disparità grande esiste nella sintassi di reggimento, la quale essendo generalmente arbitraria viene stabilita dall'uso. Così vi sono dei sostantivi che in italiano vogliono il genitivo o ablativo, e in francese il dativo : p. es. Una fanciulla dagli, o degli occhi azzurri: Une fìlle aux yeux bleus (1). In quanto al reggime de'verbi,gli spagnuoli hanno un modo par- ticolarissimo, ed è di porre l'oggetto del verbo indif- (1) In inglese si adoprerebbe la preposizione con: le girl with blue eyes. 183 ferenlemenlc in dativo o in accusativo, ma meglio nel primo: p. es. Matar a los hombres: uccidere gli uomini. Gl'inglesi son molto incostanti nel reggime de'verbi: diranno i ikink of you col genitivo, mentie in francese je pense à voust e in italiano penso a voit col dativo, e così via discorrendo. Le quali parti- colarità, studiate sulle rispettive grammatiche, som- ministrano la vera idea dello spirito e meccanismo d'una lingua, e pongono in grado di darne un ade- quato giudizio. Seguendo pertanto ciascheduna lin- gua la sua indole e il suo talento nella organizza- zione, avviene che ciascheduna possegga un fondo di frasi e modi di dire caratteristici, che quasi piante esotiche se si traducono in lingua straniera non ve- getano se non sotto certe condizioni. Questi dai gram- matici sono chiamati idiotismi da làco^, proprio, pe- culiare: vale a dire sono frasi o maniere di parlare peculiari ad una lingua; né possono tradursi verbo a verbo in un' altra ; e secondo la lingua, cui son propri, acquistano nome speciale di gallicismi, an- glicismi , italianismi. Così in francese ad esprimere un'azione recentemenlo fatta , ovvero una da farsi suir istante, si usano i verbi venir e aller, piut- tostochè il tempo passato e il futuro. Quindi ab- biamo ora finito di studiare traducesi: noiis venons d'étiidier; parimenti: partiremo alV istante ; nous al- lons partir: i quali modi essendo gallicismi rispetto al nostro idioma, non vi si possono trasportare alla lettera senza svisarlo ed offenderlo. In inglese poi sonovi delle maniere sì strane e difficili per noi , che talvolta appena vi si discifra il senso: p. es, lo wear ueUy alla lettera portar bene, significa aver 184 buona dumta; lo ivliip into good manners, alla lettera frustare dentro buoni costumi^ vuol dire frustare per far divenire migliori; e possono eziandio riguardarsi come altrettanti idiotismi inglesi i verbi seguiti da preposizioni, le quali hanno forza di mutare ed al- terare il significato primo del verbo, e di formare talora una fraseologìa intricatissima. Uno spagnuolo parimenti dirà: Acaban de dar las dos, corrispondente alla maniera francese il vieni de sonner deuxheuresi son sonate le due. Sarà in fine un italianismo per un francese ed un inglese il dire Non vedo Coì'adi'.., ovvero Mi par mille anni di . . . dicendo il primo il me tarde de. - . . • e il secondo i long lo . • . e per uno spagnuolo dar un occhiata: echar de ver. Ora se questi idiotismi formano il vezzo e la bellezza della lingua cui appartengono, appunto per- chè consentanei all' indole e spirito di quella , di- vengono per lo contrario sconci e deformi se tra- piantati nelle medesinìe sembianze in una lingua di natura diversa. Lo che pur troppo in varie epoche si è sperimentalo? Come nella seconda mela del se- colo decimo ottavo, in cui la nostra favella corse il prossimo pericolo d' imbastardire co' gallicismi ', se non che trovò fortunatamente la potente reazione d'un Alfieri, d'un Parini , e d'un Caleani Napione- Guastasi generalmente una lingua pel contatto di gente straniera, e per le cattive traduzioni. Queste se eseguite da persone non abbastanza dotte sì nella propria , sì nella straniera lingua , sono il veicolo della corruzione. Oh quante traduzioni, specialmente dal francese, muovono a dispetto per la servilità non- ché della sintassi, delle parole! Quanto trascurasi il 185 precetto oraziano « Nec verbnm verbo curabis red- deve fidus huerpres »! La traduzione, riputata lavoro da tutti, è a mio credere opera da pochi per le difficoltà ch'offre la lingua, ed eziandio per gli svantaggi che ha il traduttore sopra l'autore. 11 rit- mo, la venustà de' modi , la disposizion delle voci che vestono e colorano un linguaggio, a mala pena si trasporteranno medesimamente in un altro. La nostra fiìvella più delle altre è gelosa di sue bel- lezze, e nella sua letteratura specialmente, là dove campeggia la forma e lo stile, non permette nò al franco, né al britanno di porre la mano con felice riuscita. 11 gran Chaucer nelle sue novelle di Can- terbury [Canterbury tales) imitò il Decamerone di Boccaccio; ma non lo tradusse. Volle tradurre ben- sì il canto dell'Ugolino di Dante; ma sì infelicemente da farlo credere una parodìa. Lo tradusse in prosa con fedeltà il sig, Riccardo Ceroni ne'suoi Frasta- gli (1). È innegabile pertanto che i pregi di un au- (1) « E un giorno avvenne, che in quell'ora m cut sole- « van portargli la carne (è il poeta che racconta, non Ugo- « lino) il carceriere chiuse le porle alla torre: egli udì , ma « si stette zitto. Gli venne in cuore un pensiero che il vo- « lessero far perire di fame. Ah, disse egli, perchè fui mai « creato ! E le lagrime gli cadeano, ciò dicendo, dagli occhi. « Il giovinetto suo liglio , che appena conlava tre anni: Pa- ce dre, gli disse: e perchè piangi? Quando ci porterà il car- « ceriere la minestra ? Non avete in serbo un morsellino di « pane per me? Ho tanta fame, che dormir non posso. Oh « il ciel volesse (prosegue il fanciullo di tre anni) che io m'ad- « dormissi per sempre ! La fame allor non slrisceria pel ven- « tre! Di giorno in giorno così si querelava il fanciullo, fin- « che nel grembo di suo padre ei cadde e disse: 0 padre, io 186 lorc originale, il cui merito consiste specialmente in fatto di lingua, scemano e divengono quasi irrico- noscibili, tolta quella forma, e indossatane la pro- pria al linguaggio in cui si tiaducC' E in ciò, oltre la natura della lingua, ha parte eziandio il genio della nazione, come dirò in seguito. Ciò non esclude peraltro, che si possano avere buone traduzioni. Se l'ostacolo precipuo sono gì' idiotismi della lingua , e lo stile peculiare dell'autore, un ingegno elevato che penetrando lo spirilo di quella , e il carattere di questi, fedelmente li riproduca nel proprio idioma non in sembiante peregrino, ma indigeno, avrà ben soddisfatto al suo incarico: se pur non diasi talvolta, siccome nella pittura, che la copia gareggi coll'ori- ginale. Noi italiani possiamo smentire il detto francese che nella nostra lingua Iradultore suonai traditore (forse perchè nella sola nostra favella si presta il giuoco di parole); dappoiché vantiamo più di altri superbe traduzioni onore di nostra lingua; le poesie di Os- sian tradotte dal Cesarotti; il Sofocle dal Belletti ; l'Iliade dal Monti; l'Eneide da Annibal Caro; le Me- tamorfosi da Gianandrea dell'Anguillara; la Natura delle cose da Alessandro Marchetti; e tante altre , « ti saluto, e muoio ». E baciò il padre, e morì in quel gior- « no istesso. E allorché il padre ciò vide , ambe le braccia « per dolor si morse, e disse: Ah fortuna va là, va! La tua « falsa ruota!.. E quei credendo che per fame ei manicasse « le jdue braccia, e non per duolo, esclamarono: « Padre, non « far cosi, non farlo ! » Sia ne' medesimi racconti di Canterbury sotto il titolo « UgoUne of Pise ». 187 senza dire del cavalier Maffei, che con penna im- pareggiabile ci ha riportati gli Amori degli angeli di Moore ; la Maria Stuarda di Schiller ; la Danza de' morti di Goèihe. Se adunque le traduzioni fosser sempre parti di sì grandi uomini, pieni di dottrina e di amor patrio, certamente la lingua, anziché pe- ricolo di guasto , avrebbe propugnacolo di difesa. Lo stesso infatti si verifica presso gli stranieri: che splendore, piuttostochè corruzione, si ebbe la lingua inglese dall'Iliade di Pope; la francese dalle Geor- giche di Delille ; e la tedesca dalle traduzioni dì Goethe. A completare da ultimo questo mio qualunque discorso slimo opportuno ed insieme aggradevole , avendo bastantemente esaminati quest' idiomi nella loro parte interna, gettare uno sguardo complessivo sui loro pregi e bellezze estrinseche, dalle quali mi argomento far discendere alcune osservazioni fisio- logiche sul tipo morale delle rispettive nazioni- Forse l'amor soverchio « Del bel paese là dove il sì suona » mi farà credere pregiudicato nella mia assertiva; ma io sostengo per convinzione,epel consenso degl'intelli- genti, l'italiana favella esser una delle pili perfette; e messa a paraggio coll'emule sorelle, anziché ceder loro, vincerle nelle bellezze e ne' vantaggi. Taccio aver ella il dono esclusivo di pronunziarsi come è scritta; e nella ortoepìa esser scevra da suoni aspri, gutturali, e aspirati ; talché l'uomo del nord , che dalle nebbie e dai geli nativi si porti in questo nostro giardino, attonito da prima all'azzurro de'cieli, alla mitezza del clima e al profumo de'fìori, udendo poscia sì armonioso linguaggio, è costretto a diman- 188 iìiìv a se stesso se sia stato o no inventato espres- samente pei' la musica ; dirò solo, che quasi per- fetta fin dal suo nascere, uscita a guisa di Minerva tutta armata dal cervello di Giove, come dice l'Al- fieri , la lingua italiana conta inoltre sei secoli di fiorente letteratura, ne' quali uomini di vaglia con- sci appunto non esser il linguaggio per noi un og- getto indifferente siccome alle altre nazioni, ma sì uno de' più stimabili tesori che abbellino il nostro paese, hanno sempre fatto opera, nonché di conser- varla, ma di arricchirla, sì che corrispondesse alla riputazione che gode presso d' ognuno. Non evvi quindi oggetto vuoi d'arte, vuoi di scienza, o d'uso famigliare, che essa a dovizia di termini non espri- ma. Ogni concetto della mente trova nella lingua onde colorirsi, non in una sola foggia, ma in sva- riate, in molteplici da allettare col dir semplice, da persuadere col nerboruto e veemente, da rapire col sublime ed elevalo. E siccome stimo ragione, e non stiracchiamento, dedurre dall'indole d'una lingua l'in- dole di chi la parla, quando la parola sia la vera espressione del pensiero ; da quella abbondanza di voci piane, lunghe, e talvolta prolungate di sover- chio, m'appare il tipo dell'italiano pensoso, medi- tabondo, che non parla all'avventata; ma nel prof- ferire quelle lunghe voci riflette ad ogni sillaba , quasi temendo che il pensiero gli sfugga troppo presto, non abbastanza pesato sulle bilance del cri- terio. Ma mentre per questa parte esso ci si mostra grave, assennato, e più amante del solido che del frivolo, non già difetta di vivacità, d'argutezza , e di brio: che sì le voci tronche e sdrucciole, sì la 189 sintassi ellittica, sì i modi equivoci, si prestano mi- rabilmente al lepido ed al gioviale. Sventuratamente però là dove noi accenniamo un pregio, i francesi appuntano un difetto. A scusare la nudità di loro lingua in confronto degli ornamenti della nostra , dicono che gli italiani parlano sol per esser ammi- rati ; e osano paragonare 1' italiana favella a vana femmina che attira gli altrui sguardi mostrando so- verchiamente le sue forme. Poco ci cale di que- st'accusa, la quale invero non fa che porci in troppa luce la meschinità del loro idioma. Sia pure un pregio incontrastabile, impareggiabile di loro lingua la semplicità e la chiarezza ; ma appunto questa semplicità, o mediocrità, che impedendole di slan- ciarsi , e di volgersi in tutti i sensi le pone una catena di servitù a' piedi, e le dice: Non oltrepas- sare questo passo obbligato, monotono, uniforme ; la rende inferiore, inferiorissima alla nostra. Infatti, benché perfezionata da tanti buoni scrittori, la lin- gua francese trovasi in moltissimi casi priva de'giu- sti termini ad esprìmere i concetti, ed è costretta a ravvolgeì'si, e ricori'fere alle circonlocuzioni. Non v^ ha dubbio , che il genio della lingua francese è la chiarezza e l'ordine. Disponendo essa le parole, e costruendo le sue frasi nell'ordine naturale delle idee , senza trasposizioni o inversioni, è in conse- guenza una lingua facile e dolce; e perciò piacevole a tutti i popoli. Sin dal suo principio fu in lei ri- conosciuta tal dote, e perciò la ritroviamo usata an- che da alcuni stranieri in preferenza del proprio lin- guaggio. Trovo per esempio un certo Martino da Canale che nel 1267 scriveva la cronaca de' vini- 190 zìani in francese piuttostochè in italiano, e dà egli stesso questa ragione: a Por ce qiie lengiie franceise cori parmi le monde, et est plus delitable à lire, et à oir que nule autre »• Parole che corrispondono a quelle di Brunetto Latini nel suo Tesoro: « Perciò che la parlatura francesca è più dilettevole , e più. comune che tutti gli altri linguaggi ». Ed oggi e- ziandio per queste medesime ragioni è stata adot- tata per lingua universale nel commercio; ma ò vero altresì, che la sua veste disadorna la rende infeli- cissima in ciò che noi abbiamo di più superbo e prezioso, nella poesia. Lo stesso Voltaire lo con- fessa, dicendo che in questa paite ha meno risorse dell'italiano e dell'inglese (1). Sebbene soggiunga in Gnor delle sue tragedie, che la schiavitù e tortura della sintassi la rendono atta alla tragedia e alla commedia più di qualunque altra lingua d'Europa; lo che sarebbe peraltro da esaminarsi. Che se dal- l'analisi della lingua francese ne vogliamo indagare eziandio il tipo del cittadino, troveremo, che le voci quasi tutte con l'accento sull'ultima sillaba produ- cendo una pronunzia rapida e viva; e le molte sil- labe nasali, aggiungendo un non so che di impetuoso e di concitato, dipingono e svelano quel tutto brio e tutto fuoco nazionale. Di più il fiancesc ha un (1) Elle a moins de ressources en ce (fenre que l' italien et l'anglais. Enciclop. inol. Francais. Mais cette (jène, et cet esclavage ìnéme, la rendent plus pro- pre à la . tragedie et à la comédie quaucune langue de l'Eu- rope. Loc. cit. 191 repertorio inesauribile di motti lepidi e frivoli ; di oggetti di mode e di ghiribizzi ; mentre è nelle strettezze intorno a vocaboli e modi gravi e seri. Quindi si manifesta la sua tendenza e superiorità a molte nazioni in fatto di galanteria^ cortesia , e giocondità; e di qui infine il buon successo che ottengono in Francia quei romanzi che per noi sa- rebbero un accozzamento di smancerie e di scipi- tezze; e quelle commedie, che riprodotte talora nelle scene italiane , in cambio de' romorosi plausi che riscossero da' nazionali , s'ebber da noi 1' onor dei fischi. Osserviamo lo spagnuolo. Ecco un caballero che parla- Seguitelo dal suo bnenos dias, senor, sino al- Và Dios. II suo discorso vi avrà suscitato strane im- pressioni. Se non l'assomigliate ad un vulcano che erutta, sarete almeno compreso da stupore all'udire quell'accozzamento di voci gonfie , lunghe e stre- pitose. E per vero la natura della lingua spagnuola rifugge dalla semplicità; non sa dipingere un pen- siero con tinte modeste, ma si nei termini, sì ne' concetti cerca la pom[>a e 1' ammirazione. Che se la nostra lingua nel delirante seicento colle ecces- sive metafore e fantasticaggiw si allontanava dalla natura, gli scrittori spagnuoli per vezzo indispensa- bile di loro favella perennemente e costantemente la oltrepassano. Quindi non possiamo negare , che l'indole dell'idioma spagnuolo ci dipinge al vivo il carattere nazionale che distinguesi per l'orgoglio e la ostentazione. Ma in quanto alle bellezze della lingua essa ò una delle più pregevoli favelle , co- piosa, sonora, energica, maestosa, ed eminentemente 192 poetica. Peraltro non arriva a superare il nostro idioma. Anzi a trionfo del veio si ha da confessare, che una parte de' suoi pregi li ha derivali dalla lin- gua italiana. Ed invero quando nel secolo decimo- sesto gli spagnuoli acquistarono il dominio sulla maggior parte d'Italia , allora fa che specialmente in Napoli ed in Milano la loro lingua attinse molto dalla nostra letteratura. E nella poesia si adottò la misura de' versi italiani , endecasillahi e settenari ; le forme del sonetto , delle ottave , delle terzine , delle canzoni ; e il gusto italiano si sparse nello spagnuolo cogli scritti di Boscan , di Garcilaso de la Vega, di Diego Hurtado de Mendosa, e di tanti altri , e minacciò di troppo adulterarlo ; senonchè sorse Castilleio e la sua scuola , che con energìa si sforzò di porre nuovamente in fiore lo stile e la forma nazionale. Da ultimo l' inglese è il linguaggio che merita qualche investigazione più profonda. Se lo conside- riamo dalla parte della pronunzia, ha piuttosto di- fetto che pregio; poiché le molte aspirazioni, l'in- certezza e varietà de' suoni, lo scilinguamento del ihf i eh (cci) e sh (sci) che s'incontrano sì spesso, e che assomigliano al cinguettìo degli uccelli, lo rendono imperfetto se non dissi disgustoso. Ma se lo miriamo dal lato della grammatica , pochi idiomi possono stargli in paragone. Il suo meccanismo è semplicis- simo. Un solo articolo definito per tutti generi e numeri: addiettivi, pronomi (1), e participi invaria- bili. Un solo tipo per tutti i verbi regolari- Gli ir- (1) A meno del pronome possessivo his, her, iis. 193 regolari lo sono solainenle nelFimperfello, e parti- cipio passato. Le doti poi e perfezioni di questa lingua sono di gran momento. Posta al parallelo colla nostra viene acremente alle prese, e minaccia sopraffarla. Assistiamo brevemente a questo boxìng (partita pugillistica), ed avremo la consolazione di non veder la nostra lingua cedere alla lotta. In pri- mo luogo l'inglese è conciso; imperocché la massa principale de' vocaboli tratti specialmente dal sas- sone è composta di monosillabi. Ora essendo questi molto espressivi e concettosi (mentre racchiudono talvolta in una sillaba un' idea che abbisogna di molte voci in un'altra lingua, come to shriig scuoter le spalle in segno di dispregio) fanno sì che l'in- glese esprima felicemente i suoi pensieri con esat- tezza e brevità , e insieme con grazia ed energia. Dice Voltaire che gl'inglesi guadagnano due ore al giorno sui francesi per la rapidità delle loro parole; noi italiani dovremmo dire quattro ore al giorno. Ma ciò non si riguardi nò come pregio nò come difetto, poiché sì quei che corre, sì quei che va a rilento arriva in egual modo alla meta: quello che è pregio sì è la forza ed energìa , che da questi monosillabi e da questa concisione risulta- Si leg- gano Robertson, Hume, e Gibbon, quei tre storici su- blimi , e si vedrà come vive e forti appaiano le loro espressioni sotto il manto de' monosillabi. Si leggano i poeti Spencer, Shakspeare, Dryden e Mil- ton, e molto più patenti si rileveranno i detti van- taggi; che se la frase prolissa snerva la poesia, la concisa le dà vigore e maestà- Lo stesso verso di Creech tutto monosillabi G.A.T.LIX. 13 194 « Nor could the ivoeld have hornr so (ierce a (lame » è bello senza durezza, e dà una idea di quel verso virgiliano di gran forza appunto perchè tutto spondei: Luctantes ventos, tempestatesque sonoras. Ad accrescere poi questa energia e concisione han- no una gran parte le voci composte sul modello delle greche, e prese direttamente dai tedeschi. Per loro mezzo si evitano i giri di parole, e il discorso procede naturale e stringato. A dare un'idea di que- sto vezzo della lingua traduco in inglese « una fan- ciulla col cappello di paglia ». A slratv-hatted girl. Alla lettera n ima paglia-cappellata fanciidla )ì . Vale a dire quel qualificativo della fanciulla mediante la voce composta diviene un vero addiettivo , lo che è conciso ed eminentemente logico- A fronte di que- ste prerogative però non indietreggia la nostra lìn- gua quasi si reputasse da meno; poiché se non ha questi medesimi pregi , per altra via ottiene i ri- sultati medesimi. Chi negherà la forza, l'energìa, la maestà alla Divina Commedia, che descrive fondo a tutto lo universo; o alle prose del Certaldese sì vivo ed energico, che lo stesso Byron lo chiama il bardo della prosa italiana ? E il Davanzali con qual concisione e vivezza non scrisse la coltivazione to- scana, la storia dello scisma d'Inghilterra; e il vol- garizzamento di Tacito suo capolavoro, che dall'Al- garotti fu detto « miracolo di nostra lingua » la i 195 quale avendo saputo riprodurre inirabihiiente il breve e stringato stile dello storico latino, farà mai sempre fede che essa non difetta neppure nella concisione? In mancanza poi delle voci composte noi abbiamo gli accrescitivi e diminutivi, de' quali mancano gl'in- glesi e i francesi. Non ostante la sua grande con- cisione non può l'inglese spaziare con un solo vo- cabolo per quelle direi quasi ombreggiature di vez- zeggiativo, di affettuoso, di dispregio , d'ingrandi- mento- Quando l'italiano dice « un fiorellino » con una voce esprime tre idee. Fiore, fiore piccolo, fiore bello; ma l'inglese e il francese è obbligato a dare a ciascuna idea una voce: A pretty little flower: Une jolie petite fleur. Non sarà questo un argomento, che se non superi, compensi almanco l'anzidetto svantaggio ? Altro pregio della lingua inglese si e 1' abbon- dare immensamente di vocaboli. Appunto perchè ha preso da tanti dialetti, può riprodurre una stessa idea con molte voci sinonime. Il sig. di Greenwood ci porge parecchi esempi; per la voce striking (percossa, o percuotere) più di trenta espressioni equivalenti; e per la voce anger (collera) quaranta. Così il verbo cuocere ha varie voci secondo la materia che bolle, p. es, to seelh ovvero to boil meat, cuocer la carne; lo stew mushrooms, bollire i funghi; to poach eggs, bollire uovi. In questa parte ancora non iscapita la nostra lingua; giacche per la soprabbondanza di si- nonimi può una espressione italiana riprodursi come 196 Proteo in svariatìssime forme; e per testimonianza degli stessi inglesi, che apparano il nostro bell'idioma, è questo per essi il lato più difficile e scabroso dì nostra lingua. Finalmente il sig. Welstead chiama l'inglese superiore a tutte le lingue moderne nelle doti poetiche, vuoi per la varietà degli accenti, in guisa che non vi sarebbe bisogno di rima a dar bel- lezza alla versificazione: tanto la sola forza de'nu- meri e della quantità la sostiene e le dà armonia, come ò a vedersi ne'blank ver3es{\evsi sciolti); vuoi per le molte misure di cui è suscettiva, avendo in comune col latino e greco il giambico e il trocheo, le cesure e le trasposizioni; e vuoi in fine per la spontaneità con cui si presenta ad ogni passo la rima. Per verità se il francese si ponesse al pa- reggio con questi veri meriti della poesia inglese cadrebbe come corpo morto cade; ma la lingua no- stra discende volonterosa alla lotta, sicura di vincere: che non solo possiede tutti questi vanti, ma in grado superlativo. Tasso nel Mondo creato; Alamanni nella Coltivazione ; Rucellai nelle Àpi', Parini nel Mezzo- giorno, non ci porgono saggi di versi sciolti sublimi, forti, e nel tempo stesso dolci, ai quali la rima nulla potrebbe aggiungere di meglio? Qual prosodia più perfetta della nostra , che dal verso binario con- duce all'endecasillabo con tal venustà e magistero, da emulare gli antichi Pindari ed Anacieonti? Co- noscendosi pertanto abbastanza le condizioni del pa- rallelo, vediamo di trarre in sul finire una idea del carattere nazionale britannico dall' idioma istesso. Se la lingua inglese, come abbiamo osservato , ha jiel suo totale prerogative distintissime, che le danno 197 un posto elevalo tra le moderne , ha però il suo lato debole; e questo è la mancanza della dolcezza e delicatezza che abbiamo rinvenuto nelle altre, la quale abbenchè dal sig. Svvift si spieghi col dire che le altre favelle più meridionali furono addolcite dal latino, che dimorato più lungamente tra quelle potè più agevolmente incorporarsi ed agire, mentre nel suolo britannico fu presto fugato dalle orde germa- niche; tuttavia a me piace farla discendere dal ca- rattere morale dell'inglese, il quale ha trasfuso nel- l'idioma la sua freddezza ed impassibilità, la sua af- fettata indipendenza, e soverchio disprezzo per gli ornamenti; donde è che difficilmente l'inglese gusta nell'originale istesso quei classici italiani da noi te- nuti in conto per fatto di lingua, mentre scambia sovente ciò che è vezzo ed eleganza in iscipitezza e verbosità. Esaurite pertanto le proposte condizioni,^ se il tedio, che suol esser quasi indispensabile in simili materie, fosse stato da me vinto per le utili ri- flessioni sparse nello sterile campo , terreimi aver conseguito lo scopo, come promise il poeta: a. Omne tulil pimctmn qui misciiil utile diilci ». 198 Discorso siilVinfluenza della letteratura nella società^ tenuto all'accademia Tiberina nel giorno 1 1 mag- gio 1857 da monsig. Francesco Tavani cameriere secreto sopranumerario di Sua Santità. N on è meraviglia , o signori , se non avvisandosi dal più di coloro che l'animo intendono allo studio della umana letteratura, quanto sia dignitosa ed utile la missione che venne a questa fidata dalla civil so- cietà, scadendo quasi dalla primiera altezza in che Kavean collocata i padri nostri, sia poi divenuta a quella noncuranza e disistima che noi indarno forse a lunga pezza deploreremo. Infatti quando il magi- stero di lei a nulla più dovesse valere che a for- nirci il mezzo onde compatire con luuga e stem- perata trenodia agli angosciosi affanni di un amante sventurato; od alla esposizione di qualche romantica storiella, dalla quale se ne eccettui le bastarde e- spressioni, non so dove razzolate, ma certo più de- gne dell'oltramontano che del nostro applauso, nulla l'avvien di lodare; mi disgraderei quasi (comunque ne sia riuscito il successo) d'aver logorato in essa alcun tempo della mia vita, ne la riterrei certo tale da tenerne discorso in sì rispettabile consesso. Ma rechiamcel pure a fortuna, che non è dessa poi quello studio di così piccolo momento, onde gli ignoranti sfacciatamente la disconoscono , gli spirti leggieri la vilipendono. Stolti! i primi 1' hanno in conto di nulla , ed essi stessi non ne sanno per facil guisa 199 il perchè; la dicono inutile ornamento dell' umana civiltà, e forse non ebbero mai il bene d'accostarla; la dichiarano una occupazion giovanile, e non sono a lei sufficienti anche in età piii che adulta. Vor- rebbero per questa guisa dare a credere agli altri, che tutto il loro ingegno resti assorto dalla severità delle scienze, e non si accorgono di far piuttosto conoscere d' essere probabilmente come di quella , così di queste, insipienti. Che la letteratura non ha fatto mai divorzio dalla scienza; né la scienza dalla vera e sobria e grave letteratura; ma aiutandosi di vicendevole conforto , se la prima prese il nerbo , l'impronta, l'erudizion dalla seconda; la seconda ap- parò quasi dalla prima , come 1' adito od il varco ad entrar nell'animo dell'uomo, così il mezzo istesso che le procacciava la manifestazione e la vita. Gli altri poi lo studio delle belle lettere vilipendono , in quantochè o coH'usare troppo alla dimestica con esse, 0 coH'andar meno che cauti nel giudicarle di agevole apprendimento, messo in non cale quello dell'illustre Menzini, cioè: Che la parte lasciar terrestre ed ima Sol quegli può che per natura ed arte Sovra degli altri il suo pensier sublima : sciorinandoti poco meno che ad ogni pie sospinto, e per qualsivoglia ciscostanza diasi loro innanzi, non so se un profluvio, od una tempesta di produzioni, le strappano a viva forza quella gravità e posatezza di che peculiarmente la improntarono i nostri sommi italiani a costo di tanti sparsi sudori e di tante notti 200 veglialo. Distruggono in pochi istanti quello clic fu già coir opera di molti secoli edificato, e gettano, a così dire, nella prostrazione e nell'avvilimento le lettere naufraganti in un oceano di parole . • . Ma le parole, quantunque peraltro degne di ogni studio e riguardo, non sono però l'unico scopo della let- teratura , non ne costituiscono 1' essenza. Essa ha ben altra importanza che il molcere onninamente gli orecchi altrui colla dolcezza del suono, o colla soavità del verso armonioso. Chi da vicino la co- nosce , e non ignora per altro canto le condizioni ed i bisogni sociali, non può non vedere l'influenza che le lettere esercitano nella civil società; di guisa che per nulla io mi perito d'asseriie, che esse lanlo debbono a questa seconda interessare, quanto le sta a cuore l'istessa pubblica moralità, che è senza dub- bio tutto quel più di perfezione ond'ella si possa ra- gionevolmente gloriare. E perchè la educazione mo- rale di un popolo dipende in ispecial modo da quella onde si informa nella primiera età l'animo della gio- ventiì , che ne è la porzione più viva , ricevendo questa dalle lettere non che l'alimento, come Tul- lio scriveva, ma gh stessi primi semi d' onde svi- luppa e germoglia 1' albero di sua vitalità , ne di- scende per giusta conseguenza che dalla buona, o dalla cattiva letteratuaa derivi in gran parte la buo- na o la cattiva riuscita della civil società- Né mi si neghi per avventura cotesta influenza delle lettere nella società; perchè mi accingo a provarla appunto stasera , se all'altezza del subietto non mi verrà meno la parola, e se alla pochezza del dire supplirà la singoiar vostra cortesia. Per questa guisa posta 201 in luce, come meglio verrammi fatto, la importanza della letteratura, le avrò reso tutto quel più d'omag- gio che per me si poteva, ed avrò curato almeno d'impor silenzio alle profane lingue di coloro che o di niun conto la dicono, o di facile apprendimento la dichiarano. Il vero che è proprio dell' intelletto , il buono che è amato dalla volontà, il bello che si riferisce al sentimento, eccovi, o signori, tre idee primitive e fondamentali che per essere ineienti allo stesso soggetto, ossia all'animo dell'uomo, quantunque in fra di loro distinte, non ponno però non aver stret- tissime relazioni. Ora se la letteratura in ultima analisi non si riduce che alla ricerca, e alla ripro- duzione del bello, la moralità sociale all' assegui- mento del buono, indicatole quasi a dito dal vero, chi potrà negarmi che fra questa e quella altresì non intercedano le più forti attinenze ? Il bello poi, onde non solo si informano, ma che vivifica a così dire, le produzioni letterarie, consistendo nella rap- presentazion dell'idea, l'unione individua del tipo in- telligibile 0 sotto forma sensibile conveniente più che ad altra facoltà, come di facil guisa compren- desi, si riferisce alla fantasia, e del ministero di lei si vale per dar vaga mostra di se stesso sì nelle opere dell'arie e si in quelle delle lettere. Dunque le relazioni che corrono tra la letteratura e la mo- rale si riducono a quelle che intercedono fra la cor- tasia e la volontà lumeggiata dall'intelletto, che sono appunto i due principali eonstitulivi della moralità di nostre azioni. Ma strettissime sono queste, od a meglio esprimermi onerosissima è 1' influenza che 202 la fantasia esercita suH' intelletto e sulla volontà ; dunque operosissima pure esser dovrà 1' influenza che esercita la letteratura sulla pubblica morale dei popoli, e per necessario conseguente sulla società. Senonchè , poste ancora dall' un de' lati le ragioni fin qui derivate dall' intima natura del bello e del buono, che potrebbero di leggieri ad altro ramo di scienza appartenere da quel che io or non intenda, dico fortissimi essere e tenacissimi i legami, onde il ben sociale e le lettere vicendevolmente si ag- giungono. Infatti chi non sa le indivisibili compa- gne, anzi maestre e scorte di quella tenera età , dalla quale siccome da principio la buona o la mal riu- scita dei giovani dipende? AftVancato appena l'animo loro dalle grammaticali torture, che per quantunque necessarie, non può far però che amaramente non gli riescano a noia, schiudesi tutto quanto alle soa- vità letterarie, che son poi forse le sole vere dol- cezze dì questa fuggevole vita- Per esse la loro mente quasi a novella esistenza rinasce, l'ingegno si svolge, la memoria si esercita, il cuore si apre , il genio sviluppasi , l'immagina- zione si accende. E perchè ciò avviene appunto ad un tempo, in cui l'animo del giovine è tutto in eru- dirsi, ed in far tesoro di quanto ha recentemente apparate; ad un tempo, nel quale, piiì che in ogni altro, è facile a ricever le impronte , le modifica- zioni, le forme, che vi debbon poscia nella rima- nente vita durare; spetta alle lettere adunque non solo il nudrirlo di generosi sentimenti e di nobili pensieri, ma il dirigerlo per guisa, che venendo a prospero crescimento di sapere, ricco d' ogni bella 203 virtù arrechi poi alla religione, alla patria, alla so- cietà quel servizio e quell' onore che sono loro a lutto dritto dovuti.... Arduo magistero, o signori, e più importante assai che altri noi crede , come quello da cui buoni derivar possono o cattivi gli elementi più vitali dell' umana società ! Alcuni , e ciò nei tempi a noi più vicini, se non ancor con- temporanei, avendolo per cosa da nulla, e credendosi ad esso bastanti, quando non lo erano a se stessi, vi apposero a comun sventura la mano. Quindi di nulla più solleciti che di accattarsi lettori, invasa, non so con qual diritto, la nobile palestra della grave let- teratura, tenuta già dai grandi che ebbersi il nome di classici,, si dettero ad una novella compilazione di romanzi, di leggende, e d'altre simili inezie che l'avvilirono, la sconvolsero, la deturparono. In questi ben lungi dall'apprestare il dovuto pascolo all'animo ancor debole della gioventù, perfidiando piuttosto nel pazzo loro divisamento d' istituirla cioè in modo del tutto nuovo, non vergognarono d'assecondare le più nocive inclinazioni e di sbrigliare da ogni le- game la fantasia, già per se stessa troppo riottosa del freno. Ma qual frutto impertanto, qual prò ne raccolsero ? Non parlo del letterario, conciossiachè dall'andare, che usan costoro, sempre all'incerta , dall'affollar delle immagini sempre oscure e miste- riose, perchè non precedute da luce, dall'accumular non interrotto di metafore mal prese , di iperboli sperticate, di pensieri esagerati, a sufficienza si pare il danno e lo sconcio che le lettere ricevettero da cotesto furibondo modo di scrivere detto dalla co- mune romantico ; parlo bensì del frutto sociale 204 che è non solo il più importante , ma quello che richiamai stasera ad una speciale disanima. E pur troppo, non è gran tempo, o signori, che noi l'a- vemmo con amarezza a deplorare; e par che anche oggi l'animo rifugga e la mente tremi in sol ripen- sarlo! Trasportati gli animi dei giovani in un mondo che, tutt'altro dal reale e naturale (da cui abbor- rono 1 romantici), non è che l'embrione di una mente sfrenata, videro il bene dove bene non era, e det- tero in vaneggiamenti i piiì ridicoli e vergognosi. Non ascoltando piiì le voci della ragione, ed i con- sigli della prudenza, seguendo senza riguardo la in- consideratezza e l'impeto primo della passione, por- tarono nella società quello sconvolgimento , quella turbolenza , quel disordine istesso che i romantici avean poco prima introdotti nella letteratura, e per mezzo di questa nella maggior parte degli ani- mi umani. Tanto è vero , o signori , quanto fin da principio asseriva; operosissima esser cioè l'in- fluenza che le lettere esercitano nella civil società; e dalla buona o dalla cattiva letteratura dipendere in gran parte la buona o la cattiva riuscita di que- sta. Fingiamo infatti per un istante che non po- chi fra 1 giovani dell'età nostra , in cambio d' es- sere cresciuti alle novelle scuole del Byron , di Soulié, del Vittor Hugo e di tant'altri di simile ge- nia, avessero attinto piuttosto alle originali fonti del classicismo, come si è quella d'un Omero fra i greci, d'un Virgilio fra i latini, d'un Lessingo, d'un Gessner fra gli alemanni , d'un Milton o d'un Tompson fra gli inglesi, di Racine , di Boileau, di Molière fra i francesi; dell' Alighieri, del Petrarca e di quei tanti 205 fra noi che, se non eguagliano questi due, pur da vicino li seguono. Fingiamo che in luogo di venire travolti dall'empie dottrine della Sand, che ardisce proclamare la necessità della passione nella Valeìitina e nel Giacomo, ed innalzarla al grado di dogma nello Spiridione e nel Consuelo; e dalle infamie del Sue, che nei troppo noti Misteri di Parigi ti mette a pro- tagonisti una femmina ladra, una giovine perduta, uno sgozzatore assassino; o dalla irreligione di Bal- zac, che travisa colla piij scaltra malizia il nobile fine del matrimonio nelle Memorie dei due giovani sposi; poniamo, io diceva, che non pochi in cambio di crescere a queste scuole si fossero ispirati piut- tosto alla sublimità di coloro che, dall'epoca in cui si dettero a conoscere venendo fino alla nostra, fu- ron sempre riguardati come i padri, le glorie, i co- rifei dell'umana letteratura; qual effetto, qual frutto non ne avrebbe ammirato la società , diverso da quello che fu (pur ieri) costretta a deplorare? Non sarebbesi da lei le mille volte applaudito alla be- nefica influenza dalle lettere arrecatale ? I giovani nel cercare i volumi di quei sommi, che apparvero di tempo in tempo ad ingentilire e nobilitare le menti , ed a dirigerle , direi quasi , per le vie del vero sublime ed ideale, qual vantanggio non ne a- vrebber ritratto? Gli animi loro ammirando, nelle o- pere dei nostri classici specialmente, levata a ciel la virtù , il vizio e la passion vilipesi ; come non avrebbero atteso ad ornarsi di quella ed a com- battere questi ? E quand' anche ad altro su di ciò non si fossero applicati che allo studio dell'incom- parabile Alighieri, onde sì altamente l' Italia nostra 206 s* onora , il cui maggior lavoro alcun epiteto non trovò meglio gli convenisse che quello di divino , quai generosi sentimenti non vi avrebbero appresi, quali gravi sentenze, quai pensieri nobilissimi? Ma a'giorni nostri particolarmente, in cui buona parte degli uomini inbaldanziti fino alla follia di se stessi par che ad altro non attendano che ad idoleggiare per così dir l'umana ragione; ed a renderla libera per modo da negar 1' ossequio dell' assenso a quel moltissimo di sovraintelligibile che essa compren- dere non può, siccome d'un ordine a lei superiore; quale miglioramento non avrebbe risentito la società, se si fossero spesso rilette le frequenti proteste onde quell'altissimo ingegno alle rivelate cose umilmente sottostava, come si legge appunto al decimo nono del Paradiso ? Lume non è se non vien dal sereno Che non si turba mai, anzi ò tenèbra Od ombra della carne o suo veneno. e poco dopo: Or tu chi se' che vuoi sedere a scranna Per giudicar da lungi mille miglia Con la veduta corta d'una spanna: 0 l'altra che bellamente introduce nel canto terzo del Purgatorio: Malto è «;hi spera che nostra ragione Possa trascorrer l'infinita via Che tiene una sostanza in tre persone. 207 State contenti umana gente al quia: Che se potuto aveste veder tutto, Mestier non era partorir Maria. Desiderabile sarebbe pertanto che in maggior conto si avesse di quel che da molti non si tiene cotesta classica letteratura col ben sociale sì da vicino le- gala; che tali studi a tutto potere si promovessero; e che si vegliasse cosi su di loro come su di cosa che i pubblici ed i privati interessi riguarda. Tanto più, quanto che anzi si può senza dubbio affer- mare nulla influire maggiormente nella buona o nella cattiva riuscita della società di quel che faccian le lettere. Lo studio delle scienze non è di tutti. Po- chi sono che vi si applichino; pochissimi fra questi che vi attendano in modo da levare alto il grido di se. Non va così colle lettere. Quantunque il di- venir in esse valente a non molti sia dato perchè dipende da uno specialissimo dono che A pochi eletti il ciel largo comparte, nulla ostante moltissimi sono quelli che ad esse r animo intendono di guisa che ki influenza della letteratura nella società è alle mille volte maggiore di quella che non vi esercitino le scienze. Essa è universalmente diramata. Ogni ceto, direi quasi, ed ogni età di persone la risente. I libri letterari si trovano egualmente sul pesante scrittoio dell'uomo d'affari, e sull'elegante tavolino della disoccupata ma- trona ; e dalle callose mani dell'artiere e dell'ope- raio passano fra le delicate dita dei garzonetti e 208 delle fanciulle- Questo vero fu dal sullodato ingegno dell' Alighieri per modo riconosciuto , che avendo seco medesimo divisato diffondere alcune sue mas- sime nel cuore della società a lui contemporanea, meglio che nei libri del Convito, del Volgare eloquio e della Monarchiay pensò riuscirvi in quelle sue can- tiche che formarono e formeranno la meraviglia di tutti i secoli che avran la sorte di leggerle. Cice- rone istesso accennar volle alla universalità ed alla sociale influenza di questi studi allorquando ci disse nella orazione tenuta in favore d'Archia, che « haec studia adolescenliam agunt, seneclulem obleclanl, se- ciindas res ornanl,adversis perfugium ac solatium prae- bent, deleclant domi, peregrinantiir, rnslicanlur. Ani- miamoci pertanto a proseguirli, a diffonderli, ad ani- marli, e poniamo ogni impegno e facciamo tutta opera di opporre un argine all'invasione onde i no- velli romantici devastando (e non si sa con qual dritto) la moderna letteratura, lungi dal volgerla (co- m' era dovere) in giovamento sociale, a soqquadro l'han recata piuttosto , a disordine , a distruzione. Fermiamoci profondamente nell'animo che noi ita- liani in ispccial modo abbiam sortito il pregevo- lissimo letaggio di una nobile, e maestosa, e grave ^ letteratura ; e non che andare miserabilmente ad accatto da chi spreme a forza le sue ispirazioni o dalle selve delia Moravia e della Stiria, o dalle lan- de della Siberia e della Laponia , o dagli scoscesi burroni della Scozia, o dalle ghiacciaie del Baltico e dell'Islanda, abbiamo anzi onde invitar ragionevol- mente gli stranieri a risvegliare il loro genio alla dolcezza del nostro clima , all' azzurro del nostro I 209 cielo, all'amenità dei nostri colli, al prosperare in somma di questa terra fortunatissima ove insieme col latte le immutabili leggi si bevono del hello, óeU l'ideale, del sublime. Spogliamoci delle false opinioni, degli stolti pregiudizi, onde non pochi anche fra i nobili ingegni con istranezza tiranneggiati, par che ad altro più non sappiano applicarsi che alla lettu- ra, all'elogio, all'ammirazione di qualunque più mi- serabile romanzuccio ci venga sgraziatamente dalla Senna, Ripigliamo la nostra classica letteratura, ri- mettiamola nel primiero lustro e splendore , rido- niamole quella slima che le fu tolta da pochi; e la religione avrà uomini che nutriranno verso di lei quei sentimenti di venerazione e rispetto che le sono dovuti; la patria avrà onesti cittadini e fermi di- fensori che le presteranno tutela ; la società infine abbonderà di membri che ricolmi d'ogni più bella virtù le procureranno quella tranquillità, quell'ordine, quella pace, che sono appunto gli effetti dell'influenza che esercitar deve in lei una sobria e grave e lo- devole letteratura. G.A.T.LIX. U 210 Di un giudizio del Crepuscolo, giornale di Milano, sulle convinzioni estetiche necessarie ai poeti e agli artisti. I signor Carlo Tenca nel n. 33 del Crepuscolo con- sacra un lungo articolo per esaminare ed oppugnare parecchie dottrine del mio libretto di convinzioni estetiche necessarie ai poeti e agli artisti. Chi è uso a leggere quel giornale, e specialmente gli articoli del Tenca, ben si avvede come questi va noverato tra i più audaci e intrepidi campioni delle splen- dide teoriche surte e combattenti ai dì nostri, e che pur non mostrano di voler cedere il campo. Persuaso egli come i principii intorno alle lettere ed alle belle arti sonosi elevati oggidì meglio che nei secoli scorsi, e ciò particolarmente in seguito delle profonde investigazioni dei critici oltremon- tani, non sa darsi pace appena s'accorge che alcuno scrittore tenta di richiamare gl'italiani a quanto fu pensato e scritto su queste materie in altri tempi, e da critici italiani. Pronto a giurare sul progresso letterario ed artistico , così visibile in questa for- tunata età nostra, non altrimenti che sopra un ar- ticolo di fede, appena ode qua e là o miscrederlo o negarlo , s'empie d'ira eloquente e fa piombarla terribile sui traviati. Ne qui voglio io , cui tanto empito di fiera bile non isgomenta , entrare in i- speciali osservazioni sulla critica del Crepuscolo: nò veramente, in tante calamità private e pubbliche , 211 mi par bello e opportuno ricominciare formalmenle le lolle sui principii già troppo agitate, e finite sem- pre con danno e ludibrio del nome italiano- Abbia 0 pur no ragione il Tenca, patrocini bene o male la causa dei nostri studi sull'arte, io non mi credo che in un solo debito, e questo adempirò ; dimo- strare cioè com' egli esaminando le opinioni mie , abbia dato prova novella (e cento altre non man' cano) di levità nei giudizi , e di frantesa , perchè superficiale, lettura del mio libretto stesso. E a fine che ognuno giudichi da se, e ninno sospetti da me alterate a posta le critiche del Tenca , le riferirò per intero, premettendole alle risposte mie. Il buon senso dei lettori non critici di professione, e però non annebbiati dalle solite passioni letterate, saprà giudicarne. (( Ci stanno sott'occbio (così il Tenca) alcuni pen- sieri sull'estetica, considerati principalmente nelle sue applicazioni alle lettore, coi quali un vivace ingegno palermitano tenta risolvere il problema dell'arte, già tanto agitato dai critici , specialmente stranieri. È un breve opuscolo , nel quale l'A. s' è studiato di condensare il meglio, non diremo delle dottrine da lui seguile, il che forse sarebbe troppo, ma di al- cuni principii direttivi, che a lui sembrano inoppu- gnabili da chiunque non voglia tralignare dalla retta via. Il suo scritto s'intitola appunto Convinzioni e- stetiche (Pai., tip. Lao, 1858), ed è dedicato alla gioventù italiana, affinchè rinnovelli gli antichi esem- pi- L'A. è di quelli che accusano l'età nostra d'es- sere pili ciarliera che operosa , é di sperder tutto 212 nelle dispute sul bello quell'alti vita che invece do- vrebb' esser rivolta a conquistarne qualche nuovo aspetto. Egli ha anzi certa qual' avversione all'este- tica , e la stima vuota e superflua quasi sempre , quando pure non sia dannosa alle creazioni dell'arte. Nel che veramente egli confonde ed inverte tra loro effetto e causa, ascrivendo alla tendenza critica del nostro tempo la sterilità d'invenzione degl'ingegni, laddove quella non farebbe che riempire il vuoto lasciato da questa: e, a dir più giusto, l'una e l'al- tra obbediscono a leggi più alte che governano il corso dell' umana civiltà. Chi volesse ribattere coi fatti r opinione del signor Villareale non avrebbe che a ricordargli la Germania, dove non solo la cri- tica non ha inaridito le fonti creative del bello, ma le ha arricchite invece, e condotte essa sola a fe- condare l'intera letteratura. Ma è precisamente nella Germania che l'A. scorge il danno dell'estetica, ina- bissata, a suo credere, in un mare di sottigliezze 0 di oscurità, e divenuta gergo di moda e lusso di strane teoriche, solo atta a intenebrare e traviare grintelletti che vi si affidano. Nel che, egli non fa che ripetere il lamento di quei nostri critici di tren- t'anni fa, i quali affaticavansi a far argine alle idee oltramontane, e gridavano al forestierume, e si sca- gliavano contro i novatori letterari, sorti a procla- mare un più largo indirizzo al pensiero. È adunque un difensore della vecchia scuola quello che ci si offre nell'opuscolo da noi annunziato, un avversa- rio pertinace di tutto ciò che sa di moderno , il quale non riconosce altro codice del buon gusto , in quanto ai principii costitutivi del bello, fuorché 213 Ja Poetica d'Orazio, e i Principii di belle lettere de! Parini. Questi due scritti bastano, egli dice, al cri- terio estetico generale; quanto alle osservazioni spe- ciali, gli pare opportuno il Cesarotti, e tutto il re- sto, egli conclude, giova poco o nulla. Tutt'al più le quistioni che insorgono sull'indole del bello e su' modi d'imitazione dell'arte, potranno esser risolte, a suo dire, con un pò di buon senso. « Non fa d'uopo, crediamo, d'avvertire l'angustia di siffatte opinioni, e il modo inadeguato con cui è posto il quesito dell'arte- Il signor Villareale non s'accorge di aggirarsi in un circolo vizioso, cosic- ché, nel mentre s'ingegna di sconsiderare le teori- che del bello, egli stesso ne prova la necessità nel linguaggio incerto e contraddicente che adopera. Quand'egli a disvezzare gl'ingegni dalle vacuità dot- trinali ingiunge loro di star fedeli ai principii eterni delia ragione, e di mirar sempre ai lini dell'arte , che altro fa se non racchiudere in queste due frasi tutto un programma d'estetica ? Ora a chi gli chie- desse quali sono questi principii eterni della ragio- ne, e questi fini supremi dell'arte, come altrimenti egli risponderebbe senza quelle ricerche metafisiche da lui proclamate inutili ? Non è egli già anzi nel campo- proprio della filosofia ? E può egli credere che ad indagare nientemeno che i principii eterni della ragione sia sufficiente un pò di buon senso? Finch'egli fosse stato pago a condannare le esage- razioni dell'estetica, e l'abuso delle formole, e gli ambiziosi arzigogoli che avviluppano la mente e le tolgono la serena comprensione del belio , la sua censura sarebbe rimasta nel vero, e ci avrebbe tro- 214 vnti consenzienti; ma, perdio altri disapprova il so- verchio teorizzare dei tedeschi, non è il caso di re- spingere da noi la vasta e nutriente dottrina dei critici di quella nazione, e di farci contentare d'un pò d'Orazio e di Parini, con qualche giunta del Ce- sarotti. Ben è vero che il signor Villareale di- chiara che' il bello è uno e immutabile e incapace di progresso; per il che tenendo egli che gli antichi scrittori ne stabilissero i più fondati principii, non pensa che siavi bisogno di ricorrere ad altri che a quelli per ben conoscerne la natura ed i mezzi. Ma posta anche giusta - il che non è - la sua pri- ma asserzione, non ne conseguirebbe ancora l'inu- tilità degli studi successivi intorno al bello. Quanto più la cultura aumenta, e il sapere progredendo fa scoprire nuovi aspetti e nuovi rapporti nelle cose già note, tanto più il bello, anche già estrinsecato nell'arte, si viene esplicando e rivela sembianze non anco avvertite. Il signor Villareale non vorrà ne- garci che oggidì noi siamo assai meglio in grado di conoscere e gustare i classici antichi , di quel che lo fossero gli studiosi di qualche secolo fa, an- cor privi di molti di quei sussidi che noi posse- diamo. Senza respingere adunque quanto lasciarono scritto i vecchi legislatori del bello, noi dobbiamo accostarci a quel di più che fu dato vedere ai mo- derni. Ora poi aggiungiamo che il bello non può dirsi immutabile, se non da chi intenda solamente la sua essenza , la quale è infatti una e costante sempre; ma negli aspetti esso può variare all'infi- nito, come è vario il modo di atteggiarsi della vita, di cui è lo splendido riflesso- Quale enorme diver- 215 sita, per esempio, tra il bello significato dagli an- tichi e quello espresso dai moderni! Per quanto il signor Villareale possa supporne raggiunto l'estremo limite presso i grandi scrittori ed artefici dell'anti- chità, non vorrà certo disconoscere qual nuovo ele- mento vi conferì la civiltà succeduta col cristiane- simo- Idealizzar 1' uomo e la natura nelle sue re- lazioni colla vita presente, come fu il compito del- l'arte antica, è forse lo stesso che raffigurarlo nei suoi vincoli e nelle sue aspirazioni ad una vita oltre l'umana, secondo lo spirito dell'arte moderna? E il bello delle statue greche è forse lo stesso bello de- gli artefici italiani del quattrocento? Non crediamo che il signor Villareale vorrebbe sostenerlo, e forse egli non ha inteso di spingere a questo punto la sua opposizione alla odierna esletica; ma non pos- siamo non avvertir ciò tanto, eh' egli non sembra rendersi ben conto del concetto contenuto nelle sue frasi. Infatti, quand'egli dice che il bello è incapace di progresso, pronuncia non solo una sentenza er- ronea , ma anche una locuzione inesatta. Il bello non è che una qualità inerente ad un dato oggetto e per tale accettato dall'altrui giudizio; esso quindi non progredisce nel proprio significato della parola; ma è più 0 meno espresso coi mezzi dell'arte , e pili 0 meno riconosciuto dal criterio generale- È l'arte e il criterio che progrediscono nel trovare e nel comprendere il bello, il quelle s'amplia, si eleva, si esplica, secondo il modo con cui è concepito, ma non ha corso suo proprio. Che poi non già il bello, ma il concetto del bello possa progredire, crediamo non faccia d'uopo dimostrarlo con esempi, dacché 216 la sloria delle arti presso tutte le nazioni ci atte- sta la sua necessaria evoluzione dagl' informi pri- mordi alle età più affinate ed elette. Ciò risponde anche a quell'altro assioma espresso dal signor Vil- lareale sull'assoluta obiettività del bello, ch'egli af- ferma risedere solo nell'oggetto, senza che lo spi- rito del contemplante nulla possa aggiungervi nò diminuirvi. Qui pure ò un modo inesatto di signi- ficare una verità, la quale , esagerata , si direbbe trascorrere all'errore. Perchè, stando a quell'assio- ma, converrebbe accettare un bello assoluto, costan- te, unico in tutti i tempi e luoghi, una qualità in- fine estranea e superiore alla mente che lo com- prende. Ma il bello, se ha principio immutabile, ha però sostanza e forma mobilissime, e che sono il risultato, oltre delle leggi razionali, anche della ci- viltà d'un popolo e d'un tempo. Se il bello fosse tutto nell'oggetto, non si vedrebbe perchè la Venere dei Medici non dovesse servir di modello alle ver- gini raffaellesche: e perchè mentre pure diciam bel- lissima un'opera antica, chi la riproducesse tal quale oggidì non soddisferebbe alle esigenze dell'arte. Il signor Yillareale, il quale pur s'annunzia aborrente dalle astrazioni^ cade qui pure neU'astrarre appunto il bello da ogni contingenza di tempo e di società: e quando dichiara bello ciò ch'è conforme all'uma- na ragione, dimentica che questa ragione si svolge e si amplia anch' es&a a seconda delle circostanze tra cui s'esercita. c( Noi non seguiremo il signor Villareale nelle va- rie parti del suo discorso, nelle quali tratta dell'u- nità del bello e dell'arte, del vero e dell'ideale, del I 217 brutto nell'arte, e finalmente della forma nell'arte. Ci basterà dire che in tutte v'ha certo qual fondo di savi principii, però commisti con molli pregiu- dizi, e con molte opinioni false ed esagerate. Certo il richiamare gl'ingegni al culto degli antichi è o- pera lodevolissima ; ma il porre , com'egli fa , un punto culminante ai bello, e dire agli artisti: Non si va oltre a quanto fu fatto in passato: è metter limite all'umana potenza, e condannar l'arte ad un lungo ed inevitabile decadimento. Per buona sorte l'unità, che è legge del bello , non s' oppone alla continua sua mobilità, e questa lo rende suscettivo di ampliamento e di perfezione. Dove l'A- ci sem- bra recare migliori argomentazioni al suo assunto, e questo gli esce più giusto ed accettabile, ò nella parte che tratta dell'ideale e del vero, nella quale veramente egli si mostra del pari avverso e all'idea- lità fantastica, e alla pedestre realità. Anche le sue idee intorno alla deformità, adoperata come elemento d'arte, offrono piìi d'un lato opportuno e lodevole. E lo stesso è da dire del capitolo ove tratta della forma. Se non che questi quesiti sono appena sfio- rati, e dopo il tanto che ne scrissero autori dot- tissimi e con profondità di vedute essi chiedevano trattazione pili larga e insieme più acuta. E che i pregiudizi v' abbondino basterà a provarlo quanto si dice in ultimo del Manzoni, che cioè egli è di- venuto sovrano poeta per la sola eccellenza dello stile, la quale l'ha salvato dal prevaricare, seguendo quelle sue teoriche, per cui moltissimi furono me- nati A rovina. II Manzoni non sarebbe sfuggito a questo destino senza quell'arte mirabile , end' egli 218 compose i versi in morte dell' Imbonati e il poe- metto l'Urania. Ma il signor Villareale, che pone e giustamente molta attenzione alla forma, non può non avvertire che tra quei primi versi del Manzo- ni e i successivi è una radicale differenza d' arte : tanto radicale, che il Manzoni nella raccolta delle sue opere varie li distinse al punto da volerneli omessi ». Il critico di Milano comincia dall'osservare, che io male attribuisco all'abuso degli studi estetici la notabile povertà, ch'egli stesso confessa, di grandi opere artistiche: e sapete perchè? Perchè, a suo di- re, la cosa va perfettamente al rovescio , essendo appunto gli studi estetici cotanto oggi sviluppati ed accresciuti, che compensano il difetto delle o- pere. Di guisa che non è punto a dolersi , se al presente ci vediamo così scarsi di quadri, di sta- tue, di edifici e di poemi eccellenti, quando ci tro- viamo in ricambio felici possessori di importantis- sime investigazioni sul bello e sull'arte. Credo che a questa peregrina osservazione non occorra rispo- sta in sul serio : e , se ben m'avveggo, sul labbro dei lettori sensati spunta già quell'allegro riso elo- quente, che in certi casi equivale a qualsivoglia più ampio comenlo. E quasi che il Tenca prevegga que- sto, s'afferra, quasi naufrago che tenta ogni tavola per salvarsi, ad un'altra ragione: e conclude che in- fine tanto la tendenza alla critica, quanto la steri- lità d'invenzione degl'ingegni, obbediscono alle leggi necessarie, che governano il corso dell'umana civiltà. Il che niente altro significa, che la cosa deve andar co- 219 sì, pei'chè i tempi son tali e non posson mutarsi, e che oggi in fatto di critica e di belle aiti avviene appunto quello che successe in tutte le epoche della civiltà n- mana, quando per troppo raffinamento, e quindi per impossibilità di creare, alle opere tenner dietro i trat- tati , e le quistioni metafisiche , e le quisquiglie dei retori. Questo in verità cel sapevamo : e pur sapevamo che ogni effetto argomenta una causa, e che però la odierna pochezza degl'ingegni nel crea- re e neir eseguire suppone una crudele necessità nelle condizioni dei tempi e della civiltà ; e non- dimeno non credemmo inutile d' avvertirlo , e nel corso dei nostri ragionamenti pur ci sforzammo di suggerire parecchi rimedi a diminuire la triste in- fluenza delle presenti condizioni socievoli sulle let- tere e sulle arti. Ciò che poi veramente reca me- raviglia , e non lascia trovar modo di spiegazione, è come il Tenca, dato appena un passo, dimentica sé stesso ; se pure non voglia ciò spiegarsi come una necessaria conseguenza dello scrivere troppo in fretta per quella terribile necessità di metter fuo- ri ogni settimana il giornale. Avea confessato il Tenca la odierna sterilità degl'ingegni; ma tutto ad un tratto ci asserisce che la critica tedesca ha fe- condato essa sola la intera letteratura- Ma fecondare non esprime egli rendere atta la terra a produrre abbondcvoli frutta? Or se queste non sono, secondo la sua stessa confessione , che ha fecondato mai , chiediamo di grazia, la critica alemanna ? 11 signor Tenca nell'oppugnare 1' avversione da me mostrata per l'estetica dei tedeschi , mi chia- ma ripetitore delle dottrine, che già s'affaticarono a 220 mettere in voga trenta anni fa , contro la preva- lenza delle idee oltremontane, i più valenti critici d'Italia. Di tale rivelazione gli sono veramente ob- bligato, e mi trovo interamente d'accordo con lui, perchè io non mi proposi che ripetere', e mi pro- testai di non aver messo nel mio libriccino alcuna cosa di nuovo. Ma il signor Tenca, così osservando, non accusa me, ma i critici che fiorirono sui prin- cipii di questo secolo: e ch'egli accenni al Giordani, al Monti , al Foscolo , al Gherardini, al Puoti , al Beiti, al Niccolini, e ad altri di simili studi , non v'ha chi possa dubitare: e se l'egregio signor Tenca giudica gretta quella loro critica, e avversa alla lar- ga e filosofica veduta dei principi! , io non so che rispondere; ognuno si tenga e gusti il suo; il Tenca l'Hegel, il Ficker, e lo Schlegel; io, che ho dentini da bambino, mi resto volentieri con quei crilicuzzi di trenta o quaranta anni fa. Ma il sig. Tenca, sempre più procedendo il cor- rere dell'acuto suo sguardo, smanioso d' impigliar- mi in contraddizione, scuopre che mentre io mi sforzo di screditare gli studi filosofici sul bello, ne dimo- stro, senza punto volerlo , la necessità. Quando io dico, che l'artista dee por mente ai principii eter- ni della ragione, e ai fini dell'arte, altro io non fo, secondo, la sua sentenza, che racchiudere in queste due frasi tutto un programma di estetica. Io non so bene se il sig. Tenca esigeva da me in un li- briccino di avvertimenti agli artisti un trattato com- pleto di psicologia , e come un esame di tutte le dottrine intorno alla i*agione da Aristotele e Pla- tone sino a Gioberti. e Rosmini; ma s'egli mi parla, 221 eome io debbo credere, della ragione artistica, cioè dei principii che secondo ragione dee seguire l'ar- tista, torno a dire ch'egli ha letto ben leggermente e senza alcuna ponderazione il mio opuscolo. Egli ha; creduto , che io abbia messo a fascio le vane metafisicherie co'principii fdosotici dell'ar- te. Se io mi fossi prefisso di scrivere un trattalello di estetica, avrei ben dovuto, se non altro, riassu- mere questi principii, e presentarli alla considera- zione dei giovani; ma essendo stato mio scopo quel- lo di parlare un poco ad essi inlorno a parecchie verità fondamentali dell'arte più avversate o disprez- zate oggidì , era sufficiente rimandaili , in quanto a' principi razionali {1), a due operette che ne con- tengono come la più squisita essenza , vale a dire alla Poetica d'Orazio ed ai Principii del Parini. Se questi maestri, Orazio segnatamente , abbiano sa- puto 0 no insegnare abbastanza qual sia e qual deb- ba essere questa ragione artistica , così tremenda- mente annunziata dal sig. Tenca , e quali questi fini dell'arte, dicano i più solenni uomini d'Italia : dicanlo quanti ancora serbano sano il giudizio , e non guasto dagli umori della nuova setta. Ma il sig. Tenca sogghigna qui , e schernisce chi , notando in mezzo a tanta luce filosofica del secolo , crede ancora che la Poetica d' Orazio , essa sola e bene interpretata e senza le tormentose pedanterie delle scuole e delle accademie , basti a dare i principii eterni della ragione artistica, e i fini supremi del- l'arte. Se io mi arrabattassi a persuaderlo di ciò con (1) V. Convinz. est. pag. 10. 222 lunghe dimostrazioni, fallirei certo allo scopo: poi- ché quando nella testa de' critici seguaci d' un si- stema si è fìtta un'idea, non basterebbero mille ar- gomentazioni a cavarla via. Poi si è troppo decla- mato contro questi libri dell'antichità: l'abuso fat- tone dai maestri di scuola ne ha sminuito il cre- dito, non già in faccia a' veggenti, ma alla turba in- finita de' critici o mediocri o superficiali o novizi. 11 sig. Tenca, quantunque non appartenga a questi ultimi, pure in quella epistola non ha fede. Ma che dirà egli quando udrà rammentarsi, che alcuni prin- cìpii universali di estetica, ch'egli crede modernis- simi , anzi di ieri , sono appunto lì in quella vec- chia anzi decrepita lettera del Venosino ? Dovrei rammentargli, per esempio, che l' importantissimo principio della convenienza delle parti col tutto», che il Tommaseo (cito uno scrittore che il Tenca riverisce assai) estima derivato direttamente dal prin- cipio dell'unità, cardine del suo sistema estetico, è lì sui primi versi della Poetica, nò più né meno? Dovrei rammentargli, che gli altri principii della sem- plicità, dell'affetto, della filosofica imitazione de'ca- ratteri secondo la storica verità, che pure dal Tom- maseo senza posa s'inculcano (1), sono qua eia, e con insistenza quasi soverchia, raccomandati da quel vero legislatore dei poeti e degli artisti? Ma senza numero sarebbero gli esempi a dimostrare come nulla di nuovo si è speculato (ne può specularsi) su'principii filosofici dell'arte: e se nuovo si è mes- ci) Civiltà e bellezza — Ispirazione e arte — Le Mou- nier 1857-1858 — passim. 223 so, ò appunto 1' annebbiamento di dottrine per sé stesse chiarissime alTocchio di chi è nato artista e poeta, non a quello di chi vuol diventarlo a dispetto della natura ; chiarissime alfocchio del critico , il quale non perde mai di vista quel vero da pochi inteso; potere cioè stare la bellezaa e l'affetto con forme svariatissime, purché la essenza della bellez- za medesima e dell' affetto sia con religioso culto rispettata e serbata. Ma dell' essenza una , e delle forme mutabili, sarà detto distesamente tra poco- Ma sia pure , esclama il Tenca , che Orazio e gli antichi abbiano dato i migliori precetti sull'ar- te: bisogna per questo astenersi dal continuare sif- fatti studi? Non arriva per essi la mente a scoprire nuove relazioni tra le cose già note , e dall' allar- garsi il cerchio delle conoscenze non s'estende ed approfondisce il sentimento del bello? - E questo chi il nega, egregio sig. Tenca? V'ha forse nel mio opuscolo una sola sillaba che vieti gli studi della bellezza , o li proclami inutili? Se voi aveste ben posto mente alle mie parole, non vi sarebbe sfuggito che da me si riprendono sempi'e le vane sofisterie, e le oziose distinzioni, e le false deduzioni, e tutte quelle trascendenti indagini, che non possono gio- vare all'arte, ma che, involucrandola , le nocciono in vece» Qui non si tratta di rigettare i moderni , ma di vedere quali di essi possano davvero servire all'arte; si tratta anche, se il volete , di sceverare il troppo, e di ridurre i principii a quella sempli- cità, ch'è dell'arte caratteristica essenza. - Sceve- rare il troppo, diciamo: e molte dottrine acutamente ingegnose dei tedeschi son troppe- La quislione , 224 per esempio, delPideale non fu risoluta brevemente nella nota lettera al Castiglione, meglio che dalle nebulose teoriche, or tanto in voga, insegnanti quella più che platonica idealità, che ci fa dimenticare il reale, e cadere nel mistico, nel generico, e sovente nel vaporoso e nel nullo (1)? Qual documento a ec- celse opere caverà l'artista da quel continuo grida- re, che oggi si fa: Bellezza eterna, sovrasensibile , infinita? 11 qual sistema, nelle pagine di molti dot- tissimi alemanni, assai malagevolmente si snocciola e traduce nel fatto ; di guisa che , posto che tali dottrine si volessero insegnare agli artisti, vi si tro- verebbero questi intrigati dall'astratto e penoso lin- guaggio. Le arti sono per natura fatte ad operare, non già a speculare; mal si fa a gettare in una pomposa metafisica quel tempo , che meglio vuol essere speso nell' acquistare, i mozzi propri di un arte, e nel ricavare dalle storie e dall'attenta osser- vazione del cuore umano e della società la vera lu- ce filosofica per ben guidarsi nel concetto e nel- l'espressione del bello. 11 buon senso (che pure il signor Guizot (2) chiama il genio dell'umanità) non è poi tanto impotente, come crede il Tenca, a dare d'un'arte tutta pratica i principii universali ben con- ducenti allo scopo; e certo è poi che i buoni e • (1) Egregiamente il signor Baldacchini: La realtà umana sia veduta nella nudità sua, quale realmente elfè.I fatti., che si compiono negli ordini del finito, quanto più sian ve-: duti nella loro contingenza e nella loro mobilità, più posso- no indurci a salire all'idea ec. (2) Histoirc generale de la civilisaliou en Euro{)e. HrU-' xelles 184S. \ 225 valorosi artisti, più che dalle estetiche tedesche, si fanno dal buon senso guidare a comprendere in qual modo debbano imitar la natura , e a sapere o no se vi siano principii necessari e immutabili. Doveva poi il sig. Tenca comprendere che quando io dissi , essere un pò di buon senso ben atto a sciogliere molte quistioni sull'arte oggi complicate dal soverchio amore di speculare, intesi adoperare un'espressione, che non dovesse intendersi nel suo stretto significato, ma potesse bene essere contrap- posta all'idea delle dispute oziose ed inutili. Un pò di buon senso filosofico, e non volgare; e chi ben vedrà l'intero costrutto di quel periodo, non crede- rà certo che quel pò debba intendersi alla lettera, anziché n€l modo largo onde suol prendersi questa frase. Ma il signor Tenca, leggendo di furia , non poteva dare alle locuzioni mie quel senso eh* era loro conveniente. La smania di voler difendere e sostenere ad ogni costo le estetiche de' tedeschi trascina l'illustre cri- lieo ad asserzioni meno credibili e affatto gratuite, Mercè quelle dotte e profonde indagini noi ci tro- viamo meglio in istato d'intendere e di gustare i classici! Ma perchè non provarci la verità di questa peregrina scoverta? - Ad alcuni anzi può parere il contrario. Le vere e grandi bellezze de' sommi, più che discutersi, si sentono; e per chi non sente, qua- hmque comento è frustraneo. Quali osservazioni, per quanto si voglia dotte e bene appurate, potranno far sentire l'affetto ineffabile di questi versi ? » Tum pavidac tectis matres ingcntibus errant. » Amplcxacque tencntpostes,atque oscula figunt. (..A.T.LIX 15 226 e di questi altri ? » Bis conatus erat casus efìfìngere in auro, » Bis patriae cecidere manus. Spesso anzi Taffastellare osservazioni troppo nuo- ce alla comprensione piena di quei tratti, ov'è Tar- te vera, l'arte che nella sua divina semplicità indo- vina l'affetto , e con potenza irresistibile nei cuori altrui lo trasfonde. Convengo nondimeno che alcu- na volta le investigazioni dei critici oltramontani possano giovare all' intendimento de" classici : ma quali investigazioni ? Non l'estetiche, ma le filolo- giche e le storiche, dove in verità la nazione te- desca può essere maestra a noi , che sventurata- mente nel campo della filologia greca e romana an- diamo di giorno in giorno impoverendo, mentre colà le dovizie della erudizione mirabilmente s' accre- scono. Dalle oppugnazioni , che seguono , il Tenca dà più chiaramente a divedere di aver male e con trop- pa fretta interpetrato le mie dottrine. Egli convie- ne con me che il bello ha essenza immutabile; ma tosto soggiunge che esso negli aspetti può variare all'infinito, com'è vario il modo di atteggiarsi della vita , di cui è lo splendido riflesso. Questa critica parrà maravigliosa a chiunque si farà a leggere nel nel mio libretto a pag- 21 le seguenti parole: Ma Varie, assolutamente una nella sua essenza, è capace cV innumerevoli forme nei modi deW essere suo. Que- ste forme, onde la natura umana può essere ritratta, pe'tipi ideali d''ogni società e per Vindividua potenza i 227 creatrice diversissime, costiluiscono i diversi concepi- menti e i molteplici stili, che ammiriamo nei grandi artisti. Miran tutti ad una mela, ma vi arrivano per vie diverse ; Virgilio e Dante, i greci scidtori e Mi- chelangelo , Sofocle e Shakspeare, nelle forme onde esplicarono le loro divine creazioni si scostan assai Vuno duWaltro; e pure asseguiscono perfettamente lo slesso fine, il fine supremo deirarte; ci dilettano, ci trasportano, ci riempiono di entusiasmo e di maravi- glia. E che sono dunque, di grazia, quei tipi ideali d'ogni socie/à che danno varie forme ed aspetti al- l'arte? E quei grandi, di tempi e di nazione diver- sissimi , messi insieme non confermano colla evi- denza del fatto il principio della influenza delle varie civiltà sulle forme dell'arte , principio che il Tenca con veracità di critico si piace di asserire ai suoi lettori omesso e non avvertito da me? Ciò che io mi sforzai di conseguire in quel mio libriccino egli non vide, o forse non volle vedere ; mentre io raccomandava ai giovani di non guastare l'essenza del bello, senza mostrar la menoma predilezione per questa o quell'altra forma (tutte le forme io reputo buono purché all'arte riescano), egli affacciavasi alle solite quistioni di scuola circa la forma, quistioni che hanno reso la critica in Italia un ludibrio ; e guai chi vi s'impiglia ! Cogliendo l'esimio critico questa favorevole occa- sione, si lancia a pie pari a ripeterci quella vecchia vecchissima differenza, che oramai sanno persino i fanciulli, tanto ne han parlato gli estetici, tra arte pagana e arte cristiana- Ma se egli, anziché fermarsi a distinzioni suparficiali, e facili ad abbraccciarsi da 228 chi più che al vero ticn dietro ai sistemi, si fosse po- sto a considerare questa materia con occhio filoso- fico, avrebbe veduto che il cristianesimo non l'arte, ma il concetto unicamente rifece- Il concetto mu- tato muterà, per quanto si voglia, le forme che dal concetto s'incarnano ; non sarà però mai possibile che muti l'arte; se il potesse, vi sarebbero due arti, cioè due bellezze ; il che manifestamente ripugna. Mutarono, per esempio, le forme dell'epopea e del dramma , che fanno entrambi ritratto della vita molteplice de' moderni popoli : ma l'arte che Vir- gilio, Dante, Tasso, Eschilo e Schiller adoperarono nel condurre le lore epopee e i loro drammi , nel rappresentare la natura sensibile e le umane pas- sioni, raffrontasi. La quistione della imitazione, agi- tata da moltissimi, è puerile; non si imita una forma, ma l'arte. II genio abbracciando il creato, l'uomo, la società, i suoi tempi, collo sguardo possente del- l'aquila scerne il lato vero della natura e dell'af- fetto ; e questo lato vero, intimo, profondo, univer- sale d'entrambi, ò appunto l'arte nel suo pili largo e libero svolgimento. Osservarla nei grandi esem- plari giova al genio, non è però necessario ; purché al genio si offra una società a ritrarre. Ma Dante, perchè nei sommi modelli vide, fallì meno del tra- gico inglese, al cui ingegno creatore e divino poco riflettea l'antica perfezione- Chi insegna che l'arte vera è la greca , che altra da essa diversa non ve n'ha, nò ve ne può essere, non lo fa per raccomandare quella vera peste dell'imitazione, più terribile di tutte le pesti , perchè ci ammorba qualcosa di più su- blime della creta inferma e caduca, ma per far com- 229 prendere che colà solo sono i principi! veramente filosofici (iell'arle, e che, spregiali questi, l'arte stessa è perduta. Principii eterni , come l'idea e il senti-- mento umano; non capaci mai di modificazione an- che menoma ; principii, che se pur potessero in de- bita guisa formularsi, si ridiuTcbbero a questi : uno nel vario, convenienza delle parti col tutto, sempli- cità , ideale desunto dalla pubblica credenza e dal vero, affetto, corrispondenza dei mezzi col fine, ed uso squisito di essi. Ove un solo di questi principii manchi , evvi più arte ? E qual popolo, se non il greco, insegnò prima ad osservarli, e a tradurli in opere d'infinita bellezza ? Se niuno potrà disconvenire della necessità di questi elementi, perchè arte vera vi sia, dovrà pur concedere che dal cristianesimo non potea crearsi un' arte nuova, appunto perchè quei principii non poteano rifarsi. Bisognava mutar la natura e l'uo- mo. Dimanda il sig. Tenca, se l'ideale del cristiane- simo, che insegna a guardar oltre la tomba e a vi- vere la vita dello spirito, sieno per avventura gli stessi. E se questa differenza d'ideale ci è, non può mettersi in dubbio che un'arte nuova, e dall'antica diversa ci sia. Il concetto non è l'arte, ripetiamo. Difatti nei pri- mi secoli del cristianesimo, quando il sentimento reli- gioso era pili che mai vero e profondo, quel sen- timento di cui il Tenca ci parla , non si vide al- cuna traccia di arte. E quando questa cominciò a mostrasi, non in altra guisa si governarono gli ar- tisti che seguendo le pratiche dell' arte comune. Con quelle stesse norme, onde le cose religiose, di- pingeansi pur le profane: né l'arte in quelle ed in 230 queste vie diverse segnava. E osservi Tillustre cri- tico, che allora solo le arti del disegno toccarono della bellezza la cima, quando non già il sentimento re- ligioso, ma la squisita imitazione della natura e -la ragione filosofica dell'arie arrivarono al colmo. Le statue del quattrocento dall'avversario citate pre- sentano, è vero, un bello di espressione dall'antico diverso, appunto perchè quei sommi scultori dalla ispirazione religiosa liberamente faceansi guidare ; ma nella finezza del lavoro e nella bontà delle forme squisitissime non sono essi tali da farci cre- dere a ragione che quegli artisti nelle statue an- tiche mirassero? E se pure non vi avessero mirato, sì regolarono con altre norme ? imitarono in altro modo la vera e vivente natura ? E i divini del cin- quecento, il gran secolo delle arti, inspirandosi an- ch'essi dal cristianesimo, non rinnovarono l'antica Atene ? Ottimamente il Mamiani avverte che l'arte s'ef- fettua per l'unità compiuta del sentimenio e delle forme. Dove queste non sono, qualunque sentimento riuscirà inefficace. E le forme che nelle arti della parola attegiantisi secondo l'ideale della società sono capaci di continuo mutamento, non lo sono del pari in quelle del disegno, che hanno tipo costante, cioè la umana figura. Perciò dove il Tenca dice con la sua solita asseveranza, che chi oggi riproducesse tal quale un'opera antica, quantunque bellissima, non soddisferebbe alle esigenze dell'arte , non so come sarebbe accolto da un artista che bene intende la forma. Se la riproducesse senza convenienza di espressione (come molti già fecero), cioè adattando 231 l'ideale della mitologia all'ideale cristiano, eie forme proprie d'un soggetto trasportato materialmente ad un altro dissimile , farebbe opera non bella ; ma bellissima al contrario, se in quelle forme eccellenti dell'arte greca il suo concetto appropriatamente rap- presentasse. E perchè (sclama il prof Betti, al quale l'esimio Tenca concederà un pochetto di autorità in fatto di belle arti) perchè le forme di una statua greca non potranno essere altresì le forme di una statua cristiana? Ebbero forse altri capi , altri petti, altre braccia quei martiri e quelle vergini ? Serbando , ei soggiunge , l'incomparabile idea del bello greco, diano gli artisti agli argomenti cristiani quello spi- rito di santità, che non può insegnarsi, ma che si trova nell'anima alla luce di quella fede, senza cui è vano in queste cose cercare che l'arte viva, e in qualche modo sia degna di Dio ; luce che illuminò supremamente l'intelletto, e in tanti dipinti di soa- vissima divozione guidò la mano di Giotto, di Ma- saccio, il frate Giovanni Angelico, del Gozzoli, del Ghirlandaio, e di altri che furono religiosissimi (!)• Né dall'opinione del prof. Betti scostasi punto il Mamiani (2) quando richiama le lodi date al Ca- nova per avere nella sua Maddalena miste insieme e soavemente contemperate la idea cristiana e la ^ forma greca, Io spirito di penitenza e l'alito delle grazie (3). (1) L'illuslre Italia — cdiz. di Torino, pag. 317. (2) Lettera al Barbier — Poesie. Le Mounier, 1857. (3) Quando sul finire del passato e sul principiare di questo secolo con niaravigliosa potenza d'ingegno si restau- rarono tutte le arti , non altro si fece che tornare al greco: e prose, e poesie, e pitture, e scolture, e monumenti archi- tettonici su quei principi si rifecero a bellezza immortale. 232 E per dir qualche cosa della forma arcliìtetlo- nìca, osserverò che questa assai meno della pittura e della scultura è soggetta a mutazioni , appunto perchè essa non ritrae la natura vivente, ma ubbi- disce a quegli ordini e spartimenti trovali per tener ferma ed inalterabile la grandiosa bellezza delle fab- briche (!)• Questi ordini e questi spartimenti sono appunto quelli dell'architettura greca e romana, che, al dir del Ranalli, è TarchiteUura dei popoli vera- mente civili. Dobbiamo supporre che al slg. Tenca, il quale pur si mostra uno dei più tenaci spiritua- listi del nostro secolo, piacer debba meglio la go- tica, a lui che della continua mutazion delle forme è sì alacre sostenitore. Sia qualsivoglia l'ambiente sociale, ove l'uomo eserciti la sua ragione, certo è che questa non può dirittamente appagarsi , che nelle forme del vero bello. Se così non fosse , le circostanze dei tempi formerebbero l'essenza del bello , e questo a leggi certe e necessarie più non andrebbe soggetto. Quei principii universali, che io poc'anzi accennai, ne- cessari a costituire la vera arte , diverrebbero una chimera; e tutte le forme create ora in un tempo ora in un altro, e sotto l'imperio di circostanze diverse, meriterebbero nome di belle. Dal creder questo pos- sono procedere, e difatti procedono, tutte le aber- razioni dell'arte. La natura dei vari popoli, in guise diverse diposti a ricevere le impressioni della natura e tratti dal modo particolare di vivere a concepire e ad esprimere, può creare arti varie; ma tra queste bi- (1) Ranalli, Storia delle belle arti in Ttalia — Firenze, soc. ed. firentina 1846, pag. 140. 233 sogna pure sceglierne una, ed è quella ove meglio si compenetrano i principii psicologici, alti a costituirla. Le forme gotiche non ebbero le loro buone ragioni di nascere e di sussistere ? Eppure chi le preferisse alle greche e italiane non darebbe argomento di ottimo gusto. Per l'osservazione appunto, che la vera bellezza è prodotta da quegli elementi, che non possono mai venir meno, qualunque sia lo spirito e la civiltà d'un luogo e d'un tempo, io scrissi che il bello è asso- lutamente nell'obbietto , e che lo spirito del con- templante nulla può aggiungervi né diminuirvi ; e che il bello, giunto al colmo della sua perfezione, non può gir oltre. Il bello incapace di progresso ! Questa sentenza parve piiì che una bestemmia non pure al Tenca, ma a molti altri giornalisti che die- dero conto del mio libro. Il critico del Crepuscolo notando quelle mie parole: incapace di progresso — saltò a piò pari le altre, che subito che vi fan se- guito, e sono il necessario commento: doversi sem- pre tener Vocchio in quei modelli , nei quali la bel- lezza è perfetta. Dunque da me si chiama incapace di progresso^ non già il bello in generale, ma il bello giunto nelle opere degli artisti al culmine di per- fezione. Potea quindi fare a meno il chiarissimo sig. Tenca di avvertire, che la storia delle arti presso tutte le nazioni ci attesta la necessaria evoluzione del bello dagl'informi principii alVelà piìi affinale ed elette. Il problema da me posto era, se esso, qui giunto, potesse anche progredire più avanti. Era questo che dovca risolvere il Tenca- Dire che l'arte giunta al- l'estremo del suo svolgimento non può più progre- dire, non è percludere agli artisti la via di tenta- 234 tivi novelli, richiamandoli per forza a calcare le orme dei passati. Il culmine d'un'opera d'arte, da me po- sto, fu questo : quando essa appaga pienamente la nostra fantasia e il nostro sentimento, e svolge tutti i mezzi di cui può disporre. — Di là da questo, che vi può esser di meglio ? Faccia questo l'artista, e lo faccia per mille guise, tentando tutte le novità che più gli verranno a talento, ma non travalichi quella fatale barriera. S'egli vorrà di troppo esercitare la nostra immaginativa, cadrà nello strano; se di troppo il nostro sentimento, darà nello sforzato e nel fred- do ; se cercherà di abbellir troppo Io stile, urterà nell'ampolloso e nel vuoto- La storia delle arti co- stantemente ci addita il passaggio istantaneo dalla perfezione all'esagerato ed al tronfio ; appunto per ismania ch'ebbero gli artisti di aggiungere e di far progredire di là dal termine assegnato l'arte. Que- ste e parecchie altre dottrine, da me rammentate in quel libretto da servir di memoria agli artisti del- l'età nostra, credo che abbiano molte buone ragioni, e palpino molte piaghe presenti, e non dovrebbero dispiacere se non a chi, come fa il Tenca, troppo si piace di adulare i suoi tempi. Altre due accuse del Crepuscolo mi obbligano ad aggiungere poche parole. Quel critico sul prin- cipio dell'articolo avea bene interpretato lo scopo di quel mio opuscolo, dicendo che io mi era sforzato di condensare non già il tneglio delle dottrine da me seguile, ma alcuni principi direttivi , da me stimati inoppugnabili per non fallire nella via delle arti. Sul finire ei sentenzia, che nei quattro capitoli delle Con- vinzioni (da lui pur degnali di qualche lode) richie- devasi trattazione piii larga e insieme piìi acuta. Vìù 235 larga ? ma questo faceva a calci col condensamento accennato , e collo scopo prefissomi di consigliare^ non di discutere. E insisto neiravvertiie, che quel mio libretto non ha nulla di simile con un trattato o trattatello che voglia dirsi di estetica ; ma è un semplice richiamo a principii oggidì più obliati. Più acuta ? Ma che intende per acume il Tenca ? Quello» io credo, di cui ha dato nel suo articolo prova sì splendida. Che nelle dottrine mie sieno pregiudizi, lo credo anch'io ; e chi può andarne senza ? Solo al Crepu- scolo è concesso tal privilegio. Ma in quanto al pre- giudizio intorno al Manzoni avrei desiderato aver dimostrato in che stia questa ì'adicale differenza di arte tra i versi sciolti, e le liriche, e le tragedie dì quel sommo. Ma la critica che prova, e prova dav- vero, non può richiedersi da tutti i giornalisti : e quindi me ne acquieto. Dovrei dimostrargli ben io, che questa differenza d'arte, dai suoi occhiali veduta, non e' è. Ma quando andrebbe a finire questa no- iosa filastrocca , se io volessi ancora intricarmi in quest'altro lecceto ? Mi basti solo rammentare, che il Tommaseo, dell'arte estimatore espertissimo, os- servava che nei due sciolti del Manzoni , del pari che nei posteriori componimenti , le locuzioni sono trasportate sovente da un'idea materiale e semplice ad una spirituale e profonda (1). Nel qual magistero appunto gran parte dell' arte manzoniana è riposta. MARIO VILLAREALE. (1) Disc, sul Manzoni — Is. e art. 236 Del chiericato rapporto al miglioramento sociale. Di- sertazione letta alla pont. accad. tiberina nel gior- no 2 maggio 1859 da monsig- Francesco Tavani. Ijhe il secolare e regolar chiericato , accademici prestantissimi, signori riveriti, abbia inleso in ogni tempo, ed oltre ad ogni dire conferisca pur di pre- sente, al miglioramento spirituale della umana so- cietà , ella è cosa per guisa tal comprovata dalla trascorsa e quotidiana esperienza, da non potersi in dubbio richiamare se non per chi abbia la comun sinderesi sgraziatamente perduta , o per chi, amando pili della luce le tenebre, chiuda fra queste per non aprire a quella lo sguardo. Né accade di molto af- faticarsi ad investigarne il motivo che è di per se stesso evidentissimo ; imperocché altro non essendo la società che la cospirazione, ossia con- cordia, di molti esseri intelligenti nell'amore di un bene da tutti conosciuto ed appetito ; e da altra parte non mai venendo meglio un essere in altezza di perfezione che alloraquando è raccostato allo in- tento, a cui sentesi da natura continuamente so- spinto, ne vien di legittima conseguenza che il chie- ricato, il quale ha ricevuto a gran ventura dall'Eterno l'altissima missione d'indirizzar gli uomini al cielo, non può fare a meno che non migliori radical- mente ed a dismisura la istessa società, o ritenen- dola nella unità del suo fine , o nell'armonia d'in- telligenze accordandola, o fortificandola nella con- 237 cordia di volontà e coordinazione di mezzi, su di clip tutto e gli elementi analitici appunto dell'esser so- ciale consistono e la maggiore perfettibilità ond'esso è capace si versa. Ma comunque non sia chi non abbia ciò per verissimo, non mancan però gli schi- filtosi nello ammettere che altrettanto dir si possa del clero rapporto al vantaggiare così detto pura- mente civile e materiale, mentre alcuni niegano alla recisa non avere gli ecclesiastici su di ciò parte veruna, altri tenuissima gliela concedono. Io potrei rispondere sì agli uni che agli altri , il migliora- mento sociale religioso andar per guisa congiunto col civile e materiale , che all'aumentare dell'uno deve necessariamente accrescersi pur l'altro, e che quindi chi fa opera di promuovere il primo viene altresì a procurare inevitabilmente il secondo. Nulla ostante, lasciando a questa fiata dall'un de'lati quel moltissimo d'argomenti che su tale proposito dedur si potrebbero dalla sopraccennata corrispondenza che intercede tra l'elemento civile e religioso, fo ragione di venir piuttosto direttamente mostrando quanto il chiericato anche al solo perfezionamento civile e materiale della società abbia fin qui conferito e di presente ancor conferisca, all'uopo che, rivendicata al ceto ecclesiastico una delle palme più antiche onde può andare ragionevolmente glorioso in faccia alla stessa società, cedano alfine il campo sbigottiti i malevoli che, ad essa invidiando, fecero e fan forse ogni prova di strappargliela: sebbene, non valendola ad altro, più coll'artificio d'ampollose parole che colla forza di convincienti ragioni, onde riesce loro impos- sibile il convalidarsi. Non posso tacere però come io 238 stesso m'avvisi di prender l'onda d'un oceano presso- ché insolcabile per la portentosa sua vastità, e nel quale tante sono nneraviglie e tesori quanti sono i be- nefizi arrecati dagli ecclesiastici alla società; ma la singoiar vostra cortesia e la ristrettezza del tempo che mi è concesso a parlarvi, spero mi scuseranno un lavoro piiì completo ed uno sviluppo pili esteso delle prove, alle quali nello svolgimento del propo- stomi tema verrò brevemente accennando. Il formare benefici asili a ricovero degli indi- genti e degli infermi ; case ove si conforti la de- bolezza dei vecchi ; istituti ove si tuteli il candore delle vergini ; scuole ove si provegga alla educazion dei fanciulli; il promovere il commercio additandone i mezzi pili acconci ad avvivarlo, il recare incremento all'agricoltura, lustro alle arti, animo alle lettere , splendore alle scienze, non è chi di tratto non veda esser queste opere, o signori, in alcune delle quali la evangelica carità apertamente si pare, in tulle poi il vero e più desiderabile miglioramento della civil società si rivela. Ora io veggo non già coope- ratori soltanto a tali opere gli ecclesiastici si se- colari che regolari; ma duci, a cosi dire, e fonda- tori di esse. Dunque non m' ebbi tutta la ragion d'affermare che il chiericato ha conferito e confe- risce a dismisura al miglioramento civile e mate- riale delle nazioni ? Tocchiamone, sebbene alla sfug- gita, le prove. Prima che gli ecclesiastici esistessero od avessero nella società quell'influenza che con tanto vantaggio vi han poscia esercitata, come prov- vedevasi alla languente umanità? .... Rifugge l'animo dal sol ripensarlo. Roma, questa istessa Roma, 239 nei tempi, onde facea più sfoggio di fasto e di gran- dezza, non avea poi luogo nella sua vastità ove si porgesse asilo e conforto agli infermi. I vecchi schia- vi ammalati , si ammassavano entro ad una de- serta isola del Tevere ; ed ivi lasciavansi struggere dal morho e dall'inedia, finché fra mille disagi e fra le agonie dell'abbandono esalassero miseramente la vita. Nelle famose pestilenze, che afflissero l'Affrica e r Asia , sotto Gallieno , sotto Comodo , sotto Massimiano, è un orrore il leggere come i poveri schiavi, tocchi dal morho, venissero gittati dallo fi- nestre e calpestati semivivi dagli idolatri concit- tadini. Nelle publiche calamità di Antiochia i filo- sofi gentili, che facean pur professione di virtù ed erano in opinione di sommi maestri del vero e del buono, si dettero nel maggior uopo ad una igno- miniosissima fuga. In Atene con tutto il loro areo- pago, accademie, ed affettata cortesia, gli infermi mendici , per la legge di Dracene, eran condannati all'ultimo supplizio. In Egitto non usavasi altramente, e Platone per somma clemenza si contentava di escluderli dalla sua immaginata repubblica. Così an- darono le cose finché il clero non venne ad eser- citare la sua benefica influenza. Ma non prima pose egli all'opera la mano, che di tratto surger si vi- dero per ogni dove caritatevoli istituti, fra i quali le case di rifugio in Oriente così dette di S. Laz- zaro, ove i lebbrosi raccoglievansi e gli ammalati, che messi in abbandono dagli stessi lor parenti langui- vano sulle pubbliche vie in orrore a tutti gli uo- mini. Ed ecco in Occidente lo stesso S. Girolamo animare co' suoi consigli la piissiuja Fabiola ad 240 apiirc ricetti agli infermi di questa città, ricetti pietosi che in breve andaron poi moltiplicando a dismisura e crescendo in rigogliosissime istituzioni per tutta quanta l'Italia ed altrove. Ecco rendersi più tardi il Caraffa fondatore d'un ordine dei pii operai, lo cui scopo altro non era che quello di rad- dolcire i dolori della soffrente umanità. Ecco un s. Bernardo de Menlon piantare fin sulle montagne più scoscese della Svizzera due grandiosi ospedali, affmchò fra quelle inculte pendici altresì non man- casse una perenne testimonianza del giovamento anche solo materiale recato in ogni tempo dagli ec- clasiastici alla società. Che dirò poi delle caritate- voli istituzioni di un san Giovanni di Dio, di un san Camillo de Lellis ? Che dirò di un S. Vincenzo dei Paoli, il cui ardente zelo di carità giunse a destare l'ammirazione degli stessi nemici della Chiesa ? Per fino gli schiavi di America, che, non avean luogo di rifugio nelle lor malattie, trovarono compassione nel cuor di Pietro di Betancourt consumato dall'amore dell'umanità, onde convertì una povera capanna in un ben fornito ospedale. Senonchò qual genere mai avvi di calamità, o qual condizion di persone al cui soccorso sollecita non si levasse la carità degli Eccle- siastici vuoi secolari vuoi regolari ? I contagiosi mor- bi vanno essi ad invadere sgraziatamente le città? Ed ecco che pronti accorrer vi si veggono i ministri del santuario dispcnsatori ad un tempo di consolazioni e di conforto. Li vide Napoli alloraquando nel secolo diciassettesimo travagliata fu da Dio con istraordi- naria e terribil pestilenza- Li videro Malaga , Ali- cante, Cartagena nelle Spagne, alloraquando invase 241 si trovarono da terribil contagio. E questo nostro medesimo secolo non è testimonio dell'ardentissima loro carità ? . . Mentre un' incredula filosofia in- ferociva a danno della religione dei popoli e ♦ vantando uno spettro lusinghiero di SAgnata li- bertà preceduta dal malefico genio rivoluzionario , insanguinava il seno dell' Europa, e tentava scon- volgere troni, fqgar monarchi, gettare popoli nella miseria , portare in trionfo il libertinaggio , ab- battere la religione, i delitti moltiplicarono a ribocco, e la divina giustizia acerbamente irritata roteò sul- l'Europa il flagello sterminatore, voglio dire l'asia- tico morbo dal 1831 fino al 1837, anzi fino a~ tempi a noi più vicini. Ahi ! giorni di terrore e di ven- detta ! Si videro orrendamente contaminate di stragi le Provincie della Russia e della Prussia , dell'Un- gheria e della Polonia, dell'Austria e dell'Inghilterra, della Spagna, della Francia, e dell'Italia. Fuggiaschi e tremebondi scorgeansi i cittadini andare in traccia di un luogo ospitale e sicuro nei paesi tocchi non per anco dal feralissimo morbo. Invano invano i popoli afflitti, sospirosi accoglieansi intorno al Galaad in cerca del balsamo risanatore- La spada, era questa spada, a due tagli, sovra la quale rosseggiava a let- tere di sangue « ira di Dio » spada vendicatrice, con cui l'Eterno scuote talor gli stupidi peccatori e li ammaestra in una maniera al tutto degna di sé. Or mentre questa spada di umane carni mietitrice col- piva porzione delle provincie d'Europa, chi furono gli uomini benefici che corsero affannosi al sollievo degli oppressi cittadini ? Furono i ministri dellg re- ligione , gli ecclesiastici sì secolari e sì regolari, i G.A.T.LIX. 16 242 quali lungi dal trarre occasione dall'orridezza dello spettacolo di spaventarsi e fuggire, presero anzi modo a rinfocolar maggiormente l'ardentissimo loro zelo di carità, che più non valeano a contenere nel petto. Ma qual meraviglia, o signori, che il chiericato abbia porto tanto di vantaggio alla società con que- ste opere, che alla fin fine formano una delle più nobili parti dell'altissimo suo ministero, se esso al- l'uopo di procurare il civile e material migliora- mento della medesima non è stato ritroso dall'oc- cuparsi in ciò che esterno al proprio stato sembre- rebbe? E qual cosa più aliena dagli ecclesiastici del tJociale commercio ? Eppure all'uopo di giovar la società, che non hanno essi adoperato a promuoverlo, avvivarlo, mantenerlo? Gli ecclesiastici, dice il Cha- teaubriand, estesero il commercio entro e fuori l'Eu- ropa. Molte fiere e mercati appartenevano alle ab- bazie ed erano state per esse stabilite. Ma v'è ancora di più- A prosperare il commercio fa mestieri la mol- tiplicazione dei villaggi e delle città. Ora quanto non giovò a questo il cattolico clero ? La città che siede sulle falde di Montecassino colle borgate che l'attorniano sono opera d' una congregazion reli- giosa. A Fulda, a Magonza, in tutti i circoli eccle- siastici dell' Alemagna, in Prussia, in Polonia, nella Svizzera, in Ispagna, in Inghilterra, una moltitudine di città ebbero a fondatori gli ordini monastici. Aperture di strade, erezioni di ponti, dissodamento di terreni agevolano il commercio* Ma chi piiì de- gli ecclesiastici cooperò a tai lavori ? Ad essi, sog- giunge eruditamente il Tassoni, dcbbonsi prosciu- gamenti di laghi, agevolazioni di corrispondenze, co- 243 struzion Ji passaggi, canali, apertuie, comunicazioni di strade. Le quali cose però riguardanti il commercio ed operate dal clero a prò del civile e materiale mi- glioramento della società riescono ad un nonnulla se per avventura messe vengono al paraggio di quel moltissimo, che esso venne facendo all'uopo di pro- muovere r agricoltura e le arti. Per quel che concerne la prima tornerebbe impossibile il fave di presente anche un solo novero dei campi sol- cali nelle Gallie dall' aratro dei religiosi. Innume- revoli sono i luoghi che quivi e nella Bretagna at- testano le immense fatiche e 1' indicibil migliora- mento portato dagli ecclesiastici nell' agricoltura. In Ispagna spiegarono i religiosi una eguale at- tività . Comprarono terre incolte sulle rive del Tago presso Toledo e vi fondarono un convento , dopo aver coperto di vigne e di aranci tutto il paese all'intorno. In Baviera operaronsi da S- Boni- fazio coi religiosi del suo ordine le più utili colti- vazioni sopra sterilissimi ed infecondi terreni. I be- nedettini di Fulda ridussero a coltivazione tra l'Asia, la Franconia e la Turingia un terreno d' ottomila passi geometrici di diametro, che è quanto dire ven- tiquattromila passi di circonferenza, ossia 16 leghe; di guisa che mercè gli ecclesiastici vennero a di- struggersi quei barbari pregiudizi , che rendevano spregevole l'arte che alimenta gli uomini. Il conta- dino imparò nei monasteri a svolgere le glebe , a fertilizzare i solchi. Il barone cominciò a cercare nel suo campo tesori più sicuri di quelli che egli si procurava colle armi, a segno che lo stesso Humc 244 che, come riflette il protestante Cobbet è inventore di scuse colle quali si studia di giustificare i pre- datori tì la loro riforma anglicana, e di cui Io scopo costante si è il denigrare le cattoliche istituzioni e specialmente la virtù e la condotta del clero , lo stesso Hume nella sua storia fu costretto a questa volta di riconoscere e confessare che gli ecclesia- stici furono 1 più caldi promotori maestri ed adiu- tori dell'agricoltura. Ma veniamo alle arti. Se io non tenessi in Roma il mio discorso dove, non ch'altro, le mura istesse ti rendono testimonianza del caldissimo zelo del chiericato nel favoreggiare le arti, io mi crederei in dovere di mettere in luce quanto a prò di esse ab- biano operato i pontefici; tna siccome la cosa parla da se; così usciamo dal ricinto di questa città, e per un tratto ancor dell'Italia, di cui Roma è il primo ar- tistico decoro. L'Inghilterra, dice il De-Toux, a pre- ferenza forse d' ogni altm provincia deve ai reli- giosi a lei spediti dal magno Gregorio i suoi van- taggi più grandi che riguardano le arti. La Germa- nia deve a S. Ronifazio teste nominato ed a' suoi religiosi lo studio delle arti più belle. Per opera di questi l'architettura che, secondo ne parla Ta- cito, era del ;utto incognita ai tedeschi, vi si intro- dusse se non colle belle proporzioni dei romani e dei greci, almeno in modo conveniente , e vi fece poi progressi mirabili mercè gli abati di Fulda che n'orano i benefìci e caldi promotori. Sebbene e chi fu se non il monaco Eccardo che accese nel cuor di Arrigo duca di Baviera, e nell'inclita sua figliuola Hadevige, 1' amor di quelle arti che poi brillarono 245 con tanto splendore nell'intera Alemagna ? Chi fu se non Sugerio abate di S. Dionisio che inspirò sensi i pili generosi a Lugi VII re di Francia per la pro- tezione delle arti belle ? Che se tanto venne ope- rando il chiericato in prò del civile e material mi- glioramento della società col commercio, coll'agri- coltura, colle arti, ponete poi ragione, o signori, che non avrà fatto colle lettere o colle scienze, a cui l'animo viemaggiormente applicò. Parlando io in questa pon- tificia accademia, che si gloria di fare peculiar pro- fessione di lettere, inutile cosa sarebbe il rammen- tare le glorie letterarie del chiericato, già troppo conosciute. Però vengo alle scientifiche e special- mente a quelle di cui pareva dovessero men curarsi gli ecclesiasti come le matematiche pure, nelle quali però i nomi dei Cassiodori in Italia , degli Isidori nelle Spagne, dei Beda e degli Alcuini, dei Gerberti, dei Baiami, sebbene antichi e noti, non possono però mai rammentarsi senza una somma compiacenza. Ma fra i meno antichi altresì chi non applaudirà al nome di Bonaventura Cavalieri, pel quale la geo- metria , sdegnando i confini entro a cui era stata fino allora ristretta, alzò intrepida e sicura ii volo, ed al suo impero conquistò mille verità, che sfug- gito aveano lo sforzo d'Archimede e degli anteriori geometri, e i fondamenti getto alle grandi scoperte del Leibniz e del Newton ? Cui non è noto fra i moderni l'Oriani, il quale padre già fu detto della sferoidica trigonometria ? Nell'idrodinamica il be- nedettino Castelli fu il primo che alle dottrine idro- statiche applicò le geometriche, di guisa che me- ritò il titolo di legislatore delle acque e die base 246 sicura a tutte le posteriori teorie. Il Grandi poi, il Ferrari, l'Avanzini e lo Ximenes sono pure per tale scienza rinomatissimi. Nell'ottica glorioso andrà il nome del monaco Ruggero Bacone, che in mezzo all'ignoranza ed ai pregiudizi del secolo XIII abban- donate le ciecamente seguite vie del peripato, e pre- scelta l'esperienza e l'osservazione a sue guide, mi- rabilmente avanzò questa scienza. Leone Battista Alberti, di cui attestava Angelo Poliziano che « nul- lae hunc hominem latuerunt quamlibet reconditae disciplinae: » il Boscovich, il cui nome veniva con- secrato all'immortalità dall'aureo stile del Morcelli, formeran sempre una gloria dal cattolico clero. Ma chi varrebbe mai a qui ripetere tutti i nomi di quei sommi ecclesiastici, i quali collo studio delle scieaze vantaggiarono a dismisura la società? Chi ridirà i grandi che si distmsero in meccanica, in astrono- mia, in geografia, in numismatica, in cronologia ? Io ben mi accorgo di non averne ricordati un mil- lesimo al paraggio di quelli che sono- Ma siccome, dirò qui coH'immortale Alighieri, Io non posso ritrar di tutti appieno, Perocché sì mi caccia il lungo tema Che molte volte al fatto il dir vien meno; così son costretto a tenermi pago a quei pochis- simi, ai quali ho brevemente accennato. Solamente prima di impor termine al mio qualunque siasi di- scorso, mi faccio a domandare, se gli ecclesiastici sovvennero in ogni tempo alla languente umanità, se sludiaronsi di promuovere il sociale commercio, 247 ragi'icoltura, le arti, le scienze, chi più di loro ha conferito al miglioramenlo sociale? Da voi che ot- timi siete non ne posso ritrarre altroché una favo- revolissima risposta; non cosi dai sedicenti filantropi, i quali da un secolo e mezzo in qua par non sap- piano che intinger la penna nel fiele alloraquando dei ministri del santuario accade loro di scrivere. Alziamo dunque fervido un voto all'Altissimo affin- chè il raggio della verità venga ad illuminare le loro menti per modo, che conoscendo essi pure i singolari benetìcii arrecati agli uomini dal clero, ab- biano questo in quel conto di venerazione che gli è a tutta ragione dovuta; di guisa che animati viep- più gli ecclesiastici nella operazione del bene, ri- tragga da essi la società tutto quel più di migliora- mento che può a tutto dritto ripeter dal chiericato, e che ha ripetuto fin qui, com'io mi sforzai colle debolissime mie forze di venir brevemente dimo- strando. INDICE Nola de' Compilatori e de' Collaboratori del gior- nale pag. Ili Giuliani, Sul moderno linguaggio della Toscana. » 1 Cerroli, Memorie per servire alla storia deirinci- sione )) 30 Mazzolanif Secondo saggio di poesie^ ...» 40 Impressioni degli oggetti terrestri prodotte dalla fol- gore- ...... 51 Gallo, lìitorno ad tm lavoro in maiolica di Luca della Robbia • ...» 59 Tasso [Bernardo), Ode inedita. ..,..» 74 Visconti, Iscrizioni ostiensi ....... 78 Crispi, Discorso sul genio » 106 lamer, Sulle lingue italiana , francese , inglese e spagnuola » 160 Tavani, Sull'influenza della letteratura nella so- eietà » 198 Villareale, Di un giudizio del Crepuscolo, giornale di Milano » 210 Tavani, Del chiericato rapporto al miglioramento sociale . » 236 \^^M.y.W IMPRIMÀTUR \éry^£Ì3?r Larco Ord. Praed. S. P. Ap. Mag. Socius IMPRIMATUR Fr. Ant. Ligi Archiep. Icon. Viccsgerens Nel giornale si dà.il sunto, o viene inse- rito l'annunzio, delle opere presentate in dop- pio esemplare alla Direzione. Esse debbono essere inviate franche d'ogni spesa di porto e dazio. ^ & Le notizie di scienze, di lettere, e di belle arti, quelle di scoperte utili per 1' agricol- tura, industria ec, come anche i programmi dei concorsi accademici, dovranno similmente es- ser mandati franchi di posta alla Direzione. Chi si associa per dieci copie, o ne garan- tisce la vendita, avrà l'undecima gratis. Mil^ iiii mmm GIORNALE I>I SCIEIXZE, LETTERE ED ARTI TOMO XIV DELLA NUOVA SERIE ROMA Tipografla delle Belle Arti 1859 Piazza Poli num. 91 dentro il Palazzo. nmm GIORNALE DI SCIENZE :, LETTERE ED ARTI TOMO CLX DEL LA NUOVA SERIE XIV MARZO E APRILE 1859 c^ ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1859 SuWorigine della fibrina. Osservazioni del prof. Maggiorani. wual' è l'origine deiln fibrina ? Non ve ne ha nel chimo, e si rinviene nel chilo, nella linfa, nel san- gue. La sua genesi è adunque nell'organismo: e qual ne è l'artifìcio ? Le formolo chimiche sono state fi- nora insufficienti a risolvere il problema, e la fisio- logia uon offre che qualche vaga esperienza diretta a illustrar l'argomento. Pensa il Beltrami che la fibrina circolante col sangue, in vece di essere destinata a nutrire i mu- scoli, ne costituisca anzi il rifiuto; che sia cioè il prodotto della meta{norfosi dissolvente delle masse carnose, ripreso dalle vene che ci scorron per entro, e riportato in circolo per soggiacervi a nuove mu- tazioni. Tale insegnamento , comunque sotfolto da acute osservazioni, è però lungi dal tenersi a salde ragioni. Gli sta contro il fatto, che la quantità della fibrina nella massa sanguigna è assai più proporzio- nata al processo nutriente che al dissolvente, tro- vandosene in maggior copia nel principio delle ma- lattie acute flogistiche, in vicinanza alla florida sa- nità, che nel corso delle infermità croniche, quando i tessuti si vanno struggendo a colpo d'occhio- Sostiene il Brùcke che non debba ammettersi nel sangue di un animale vivente l'esistenza di una peculiare sostanza, che meriti il nome speciale di fibrina liquida differente dall' albumina , e questa 4 prelesa fibrini» altro non essere cIj(3 una parte del- l'albuinina del sangue tramutatasi in una sostanza insolubile somigliante a quella cbe si ottiene de- componendo l'albuminato di potassa di Liebertum. Questa ipotesi, come ognun vede, in vece di scio- gliere la questione le cambia titolo. Rimarrà sem- pre, a investigarsi l'origine di questa albumina mo- dificata. Ho molti dati per credere, che la differenza delle due sostanze non consista unicamente nella densità, nella forma o nella disposizione delle molecole, ma che sia più tosto dinamica: in altri termini mi sem- bra che la fibrina non sia altro che albuiriina elet- trizzata. Le prove di questo assunto si deducono da esperimenti diretti, e da fatti fisiologici e patolo- gici che sono in perfetta corrispondenza con tal principio. 1." Se in un vetro da orinolo e contenente siei'o del sangue limpido e perfettamente scevro di parte colorante immergasi l'estremità di un filo metallico comunicante colla macchina elettrica, e questa fac- ciasi operare per qualche ora, vedrassi che in mezzo al liquido si van formando de' fiocchetti biancastri, e laminette di egual colore si van deponendo sulle pareli e al fondo del vaso. Nulla di ciò apparisce in altra egual quantità dello stesso siero non sot- toposto all'azione elettrica. Le laminette e i fioc- chetti tendono ad aggrupparsi e sono affatto inso- lubili nell'acqua: trattasi adunque di una spontanea coagulazione sotto 1' infiusso elettrico, cioè di una formazione di fibrina: oltracciò tutto il liquido è divenuto più plastico e attaccaticcio. 5 2." Lo slesso siero scevro parìmeuti di qualun- que particella di parte colorante, oltre il deposito di materia fibrinosa, manifesta la presenza di cor- picelli globulari o discoidi natanti nel fluido, e so- miglianti ai noti globuli del sangne sì pel colore e si per la figura, ove all'estremità del conduttore annettasi un fiocco di sottili fili di ferro. Prolun- gando la elettrizzazione, tutto il fluido arrossa per l'azione del ferro sull'albumina , e si ha una imi- tazione del sangue. 3." Se al siero sia mista una benché minima quantità di materia colorante si osserva che le la- minette e i fiocchetti nell' atto di lor formazione se ne impadroniscono e se ne arrossano , confer- mandosi la nota affinità della fibrina per la materia colorante. La fibrina adunque allo stato nascente se ne veste e vi si combina. 4-° Se r elettricità si applichi all' uovo intiero dirigendola ai due poli Nel qual passo, come 20 che si distinguono particolaimente col nome di agaie onicif ne acceenna le varietà risultanti dalla diffe- renza de' colori con tanta esattezza e chiarezza di distinzioni, che quel ch'oggi diciamo su quel sog- getto non è punto diverso da quel ch'ei dice. In- fatti chi voglia darsi la pena di leggere 1' articolo onice nel Dizionario delle scienze naturali (Firenze, Battèlli) troverà che « L'agata onice propriamente » detta può considerarsi come una riunione di cal- » cedonio , di sardonica , e di corniola, disposti a » strati d' una grossezza sensibile , paralleli fra » loro. 5) Onde si convien conchiudere che nel passo di Ristoro per nicchilo altro non s' intenda che la corniola, la quale appunto, come tutti sanno, pre- sentando spesso un color rosso sanguigno tale da parer nero a chi non la guardi contro la luce, con- viene pienamente con quel ch'ei dice della lista del nero. Curioso di saper l'etimologia di questa parola niccolo 0 nicchilo, trovai che 1' autore dell'articolo niccolo nel summenzionato Dizionario delle scienze naturali asserisce, che questa deriva dal nome di due celebri fratelli Niccolo incisori di pietre dure- Ma oltreché , forse per mia grande ignoranza , io non ho notizia di questi due artisti , è certo che Ristoro è anteriore a qualsivoglia celebre moderno incisore di pietre dure. 11 Vocabolaiio universale della lingua italiana (Mantova 1852) vorrebbe far derivare questa voce da onychulus. lo però non so che siasi mai adoperato questo diminutivo, nò mi par verisimile che sia stato tanto in uso da venir a costituire un sostantivo assoluto nella nostra lin- gua. Si trova veramente onychulus in Alberto ma- 21 gno (4): ma egli se no serve in modo da far co- noscere che piuttosto onychulus deriva da niccolo che viceversa. Infatti nel dire omjchiilus, ut dicunt quidam , ci fa intendere eh' ei latinizza la parola onikel (5) adoperata appunto in tal senso dai suoi tedeschi. Io non pretendo risolvere del tutto tal questione , ma mi pare siavi un' osservazione da farsi non del tutto spregevole. È noto che la pa- rola onyx si deve ai greci; ora è certo che al se- colo di Kistoro la lingua greca era già cambiata , o meglio era pressoché spenta, avendo ceduto il posto al greco moderno. Si può dunque con certezza as- serire che in quel secolo il moderno yy;ì^jcv, o piiì volgarmente vJ;)(^«, fosse già entrato a tenere il posto dell'antico vocabolo cw^, e quindi può supporsi che i mercanti greci, adoperando quella parola, la faces- sero adottare ai mercanti italiani, e questi al nostro volgo, i quali nell'adoperarla le diedero una desi- nenza tale che la facesse partecipare dell'indole di nostra lingua. Secondo questa etimologia si vede chiaro che la forma nicchilo adoperata da Ristoro sarebbe più prossima alla voce radicale , che non la comune niccolo adoperata anche a' dì nostri. Aggiungerò un'altra osservazione che può ser- vire a diffonder luce sulla questione dell'età a cui appartiene quel poema intitolato Vlntelligenza, che fu attribuito a Dino Compagni (6). Chi ha letto quel poema sa bene come in quello si trovi riportato per intero il libro di Marbodo De virtutihus lapi- dum- Ora quantunque, come osserva Mehus (7), que- sto libro si rendesse molto popolare in Toscana in- sieme alle sentenze di Catone ed altri libri siffatti. 22 pure in Ristoro non se ne trova la minima trac- cia: che anzi in un luogo, ove costui parla delle pro- prietà maravigliose dello smeraldo, è ben lungi dal trovarsi d'accordo con Marbodo, Ciò tanto più rie- sce singolare, che Ristoro fa grande uso dogli aralìi, e Marbodo professa di tradurre o compendiare l'opera di Evace re degli arabi. D'altronde, s'io non erro, la medesima osservazione si può fare anche in Bru- netto ed in altri simili scrittori Italiani anteriori al- l' ultimo scorcio del secolo XIII. A me pare adun- que che quel libro non cominciasse a diffondersi fra noi che verso gli ultimi anni di quel secolo , seguitando poi ad esser letto e adoperato lungo tutto il secolo XIV. Così, quantunque io sia ben lungi dal credere che il poema deW Intelligenza possa appar- tenere a Dino Compagni, si conferma però l'opi- niene d'Ozanam, in quanto crede poter quel poema esser benissimo scritto a' tempi di quello storico, a preferenza di quella del Nannucci che crede debba esser piiì antico- Il libro di Marbodo fu cer- tamente fatto conoscere all' Italia , sia nel testo sia nella traduzione, dai provenzali. Molte traduzioni se ne conoscono in provenzale ed in romanzo (langue d'oil), le quali appartengono, a quanto sembra, ai secoli XIII e XIV. È da notarsi però che 1' età di queste traduzioni noi conosciamo in gran parte solo pel giudizio che ne ha dato La Porte du Theil (8), il quale giunge ad asserire ohe la traduzione ro- manza pubblicata da Beaugeandre (9) non può esser posteriore al secolo XII. Poiché però egli non porta prove di tali suoi giudizi, spero mi si vorrà perdo- nare se ardisco dubitarne. L' unica traduzione , o meglio epitome provenzale di certa data eh' io ne 23 conosca, è quella di Pier de' Bonifazi del secolo XIV, Ed appunto in questo secolo troviamo quel libro assai diffuso fra noi , come , oltre ai molti codici che se ne trovano nelle nostre biblioteche, possono attestarlo la traduzione di Zuccaro Bencivenni che esiste inedita in più codici, ed il ristretto in prosa di Franco Sacchetti recentemente pubblicato (10). Ma torniamo a noi. Il sig. Narducci non ha risparmiato noia o fa- tica perchè il suo libro avesse a riuscir compito da ogni lato; e chi voglia convincersene non ha che a leggere la notizia eh' ei premette circa i codici, da' quali ha tratto il suo testo , la quale è tanto esatta e circostanziata che a taluno potrebbe anco parer minuziosa. Il che avviene perchè non sem- pre né da tutti si può prevedere l'utile di certe no- tizie, delle quali solo coloro che sono avvezzi a ri- cerche di simil natura possono conoscere ed ap- prezzare il valore. Ma l'esattezza scrupolosa dell'edi- tore spicca assai eminentemeute quando si consi- deri, che l'opera di Ristoro si trova nel suo libro riprodotta in due differenti maniere. Infatti essendo, com'è noto, coloro che si occupano degli antichi no- stri scrittori divisi in due classi , delle quali una vuole che si pubblichino ridotti all'ortografia mo- derna , l'altra ritiene che nell'edizione principe si debba riprodurre il MS. tal quale senza menoma- mente alterarlo; egli all'una ed all'altra ha soddis- fatto, dando prima il testo secondo la moderna or- tografia, e poi riproducendo scrupolosamente il MS. Chigiano segnato M. Vili 169. Nella qual cosa se per l'esattezza , la pazienza, e la fatica è lodevole 24 il sig. Narducci, non meno lodevole per la generosità è il sig. D. Baldassare Boncompagni,.che oltre ad avergliene suggerito l'idea gli fornì i mezzi per ese- guirla , facendo stampare il libro a proprie spese. lo non istarò qui a dir le lodi di questo dotto si- gnore , perchè assai mi dorrebbe che altri, ignaro del mio modo di pensare, mi tacciasse d'adulazione. D'altronde il patrocinio ch'egli accorda agli studi è cosa notissima , e credo possa dirsi con tutta sin- cerità che questo è tanto più commendevole, quanto più a' dì nostri è fuor di moda. Certamente vana lusinga sarebbe la mia quan- d'io credessi che il mio elogio avesse valore d'in- coraggiare altrui ; imperocché so bene che il nome d'un giovane oscuro ed ignorato non può esser se- guito da quell'effetto che accompagna i nomi ac- creditati ed autorevoli. Quindi avviene che quan- tunque io desideri che il sig. Narducci prosegua a battere quella strada, nella quale tanto bene seppe incamminarsi , ciò piuttosto dal suo buon volere che dalle mie parole mi giovi aspettare. Tutto quello poi ch'io dissi fin qui , solamente volli dirlo onde mostrare che se non manca fra noi chi sa dedicare la vita e le fatiche al bene delle lettere e delle scienze, neppur manca fra noi chi sappia essergliene riconoscente. Roma 15 aprile 185*>. Domenico Compare ni. 25 NOTE (1) Multum adhuc restai operis, multumque restabit, nec ulli nato post mille saecula praecludetur occasio aliquid adhuc adilcendi. Senec. Eplst. LXIV. (2) Tesoro, II, 49. (3) Albert. Magn. De Minerai, traci. Ili, 4. (4) De Minerai. Il, 13. (5) De Boot, Gemmar, hisl. II, 81. (6) Tracchi, Poesie italiane inedite I, 1. - Ozanam, Do- cumens inédits eie. pag. 321. - Nannuucci, Manuuale eie. I, pag. 488 (2. ediz.) (7] Yit. Ambros. Caraaldul. I. pag. 211. (8) Notices et extrails etc. voi. V. pag. 689 sgg. (9) Nell'ediz. delle opere di S. Udelberto. (10) Da Gigli. : I sermoni evangelici le lettere ed altri scritti inediti o rari di Franco Sacchetti. Firenze. Le Mon- nier 1857, pag. 262. 26 Tre sonetti di Batista da Montefeltro e due dì Ma- latesta Malatesti pubblicati per cura del prof. Giuliano Vaìizolini- Al eh. Francesco Zambrini. 0. l^uella Batista Malatesti , della quale voi pub- blicaste, sono dieci anni e più, le Laude ed altre lime spirituali^ in appendice alle rime d^autori ro- magnoli, piena com'era di religione, scrisse un giorno un sonetto intorno a' sette doni dello Spirito SantOi e dedicollo al sig. Malatesta suo suocero- Come cosa assai bella , e come scritta da tanta donna e a sì gentil poeta intitolata , si diffuse tosto per tutta Pesaro, sì che ogni colta persona lo sapea a mente, e chi lodavalo di qua e chi di là. DEL SPIRITO SANTO Al sig- Malatesta suo suocero. Clementissimo Spirito, ardente Amore Dal Padre eterno e dal Verbo emanante (1), (1) Emanante, Part. di Emanare. V. di reg. Romani [N). Ecco tutto ciò che ne dice su questa parola il Vocabolario universale della lingua italiana. Mantova ecc. Negretti. Bel- l'esempio è dunque questo del nostro specialmente per teo- logia. 27 Summa Benignità cooperante Quel (1) nfìistero ch'esalta il nostro core, Nella mia mente infondi (2) il tuo timore. Pietà, consiglio, e poi, sommo Creante (3), Dammi (4) fortezza e scienza fugante (5) Da l'alma razionai ciascuno (6) errore; Solleva (7) l'intelletto al ben superno Illuminandol tanto che disforme (8) Non sia da quella fé' che al ciel ne (9) scorge; Donami sapienzia con eterno Gusto di tua dolcezza, o Settiforme, Sì ch'io dispregi ciò che '1 mondo porge. Quando il giorno appresso ignota mano sparse per la città un sonetto per le stesse rime di quello della Batista, nel quale tacciavasì d'arrogante e di presuntuosa quella piissima principessa, come colei che osava parlare di così alto mistero senza ros- sore ; e la s' invitava a correggere la sua enorme vita. (1) Un altro codice legge: Latto. (2) Altro cod. Infondi in la mia mente. (3) Creante manca d'es. al Voc. nel senso teologico di Creatore. (4) Al. Me dà. (5) Anche di questo fugante il Vocab. non dice altro se non quel che si è detto di emanante. (6) Al. Ciascheuno. (7) Al. Sublima. (8) Al. Difforme. (9) Al. ci. 28 Responsiva eiiisdem D. ne Baliste a sé medesima riprendendosi di si allo parlare. La tua superbia me dà gran stupore (l), Alma presuntuosa et arrogante, Cum tanto ardir la lua voce elevante (2) A quel sublime et immenso splendore. L'angelico consorzio cum fervore El glorioso obbietto contemplante, Bencbè beato, pur vi sta tremante; Et tu parlar presumi, o vii fetore ? (3} Vuoi gustar qui l'aura dell'amor eterno (4) E non corregge (5) la tua vita enorme ? Ma del tuo vaneggiar Dio ben s'accorge. Lassa star dunque il vivere in quaterno (6), Piangi, sospira amando, e segui l'orme Degli iimil cui Iddio la man riporge (7). Pensate voi se il suocero potè comportare in pace tanta vallania fotta alla sua nuora eh' egli amava e stimava sopra ogni eredere. Per iscoprire l'autore di tanto insulto mise sossopra tutta Pesaro: (1) Al. m'è di gran stupore. (2) Elevante manca d'es. antico al Voc. e non n'ha che uno del Salvini. (3) Al. E tu ardisci parlar senza rossore ? (5) Il verso ha una sillaba più. S' io l'avessi a raccon- ciare leverei quel qui; ma 1' averlo trovato in tutti i codici che ho visti di questi sonetti, me n'ha ritenuto. (5) Corregge; desinenza originale dal latino Corrige. (6) Al. // viver basso dunque prendi a scherno. (7) Al. La man sua porge. 29 ed io vi so dire che con tutta la sua bontà se r avesse potuto aver tra le mani gli avrebbe fatto per un buon pezzo vedere il sole a scacchi. Ma per ricerche eh' e' facesse non potè venire a capo di nulla. Onde come poeta eh' egli era, non trovando allo sdegno suo altro rimedio, disfogollo in un so- netto, proprio per le rime, contro l'gnoto satirico, dicendogli tra l'altre cose, eh' e' vedea le festuche negli occhi altrui e non la trave ne' propri. Uesponsiva del sig- Malalesta, non sapendo chi avesse falla la prima resposta. Non so chi sei che con tanto furoie Biaseml (I) le parole oneste e sante, Prolale, grave, dolce et elegante (2), Piene (3) di condimento e di sapore. 0 vero il fai per proprio tuo livore, 0 tu sei (4) grosso, rozo et ignorante; Que superbia retrovi tu fra tante (5) Laude seri te de Dio per gloria e onore ? (1) Al. Biasimi. (2) Grave, dolce et elegante, per dolci, gravi ecc.; che in antico gli agg. della terza declin. in plur. si configurarono su quella de' latini. Altro cod. legge: Prolate in modo dolce et elegante; ma è assai più moderno. (3) Pieno chi legge in modo ecc. (4) Al. se. (5) Al. Quale superbia trovi tu fra tante; msi chi non vi sente la mano d' un audace correttore? Que poi dissero gli antichi prima di che, o cerio scrissero; che forse potean scri- vere a un modo e pronunciar a un altro , coni' è d' altre lingue- 30 Quest'ora el sommo Amor nel stil materno (1) Con suoi doni gli dia voglia conforme Al fonte vivo, chiar che sempre sorge (2). Certo ben po' dir lei, se '1 ver discerno (3): 0 tu chi sei che vói festuca tórme Dell'occhio, ove nel tuo trabe resorge (4) ? E a questo sonetto diede la maggior ditYusione, tanto per difesa della nuora, quanto per disacerbar l'animo suo. Quand' ecco giugnerli un suo fido e dirgli: È scoperto finalmente 1' autore del sonetto contro madonna Batista. — E chi fu mai ? — chiese tra irato e curioso Malatesta. — Ella medesima — ripigliò l'altro. Immaginate ora voi qual si facesse Malatesta a s\ inaspettata novella. E' non la potea mandar giù; che non tanto gli dolca di vedersi bur- lato da una donna, come che sua nuora fosse, quanto vergognavasi di non averne riconosciuto lo stile. (1) Al. Qui SQorre el sommo Amor nel stil materno. Al. Quest'ora el sommo Amor nel seti materno. (2) Questa terzina ecco come è stala raffazzonata a suo talento da un tale, di cui tacerò il nome. Chi canta il sommo Amore in stil materno Abbia co' doni suoi voglia conforme Al vivo fonte ch'ognor chiaro sorge. (3) Al. Certo bene puoi dir , se 7 ver discerno. Ma il Malatesta ha voluto dire che mad. Batista potea ben dire a queir invido o ignorante che 1' avea censurala ecc. Lei per Ella, come dice anch'oggi il popolo. (4) Al. se', vuoi, dall' , trave. 31 Così, tutto in collera com'era, le scrisse dunque un sonetto assai bruschetto in principio, ma che poi finiva col dirle che si preparasse a far l'ammenda del fallo con iscrivergli rime che lo riconfortassero dal ricevuto dolore. Missiva del sig. Malatesta alla predicta madonna Ba- tista, quando fu certo di quel che dubitava che lei medesima avesse fatta la prima risposta- Sili inganni il padre tuo, ingrata persona (1), Chi porrà ma' (2) di te prender fidanza ? Stu inganni me, che so tuo scudo e lanza (3). Come porrai (4) portar degna corona ? Se tu me 'inganni, tua fama, che sona In molte parti, ara presto mancanza (5); Se tu m' inganni, come arò speranza In persona giamai che mostri bona ? (6) Ma penso che farai come d'Achille Solca la lancia, che prima feriva, Poi rimessa nel vulno (7) risanava. (1) 11 cod. più recente cangia il stu in se e qui e al terzo verso. (2) Al. Potrà mai. (3) So dall'ani, sere per sono. Di lanza per lancia, ab- biamo al Voc. un es. del Boccaccio. (4) Al Potrai. (8) Al. avrà tosto mancanza. (6) Al. In pessona che ornai non sembra bonari (7) Questo vulno, che ha tanti figli, manca al Vocab. 32 Presta alla penna oniai la man che scrìva Rime, che '1 petto mio presto distille (1) Liquor (2) che sani (3) la ferita prava- Ed ella il fece con un altro sonetto e con si bel garbo , che ebbe agevolmente placato il lieve corruccio di lui. Responsiva eiusdem D. ne Baliste ad eumdem D. num Maìatestam. Il dolce punger tuo, padre, me sprona A tinger il papir con ignoranza (4), Né di far scusa debita ho possanza; Ma l'affetto paterno ardir me dona. Signor, non creder mai che fosse (5) prona Ad ingannar quel che in saver m' avanza (6) Tutti i mortai, che sempre equo belanza (7), E '1 tuo aspetto par ch'altri al ben disponga. Ma Agendo le mie mortai pupille Nella tua carta che non sofferiva Senza molestia, e che '1 mio dir biasmava, (1) Rime onde al petto, ecc. (2) Al. Licor (3) Al. sane. (4) Al. // papiro a vergar con ignoranza. (5) Al. fossi; ma gli antichi terminarono in e tutto il sing. di questo tempo con maggior attaccamento al latino. (6) Al. avanza senza il mi. CI) Al. Tutti i mortali, e sempre equo bilanza. Belanzare 0 bilanzare non è rigistrato al Voc. il quale ha però bilanza con es. della Bella mano non riportato. 33 Tanto me deleltava che tranquille Non eran le mie voglie, s' io impediva Quell'armonia che tal piacer me dava. E qui nuir altro mi resta da aggiungere, salvo che del concedervi la facoltà, quanto il desideriate, d'inserirli in codesto vostro giornale che già mena di se tanto grido , insieme alle appostevi note- relle e varianti. Infine pregandovi a conservarmi l'amicizia vostra, vi fo i saluti del cuore. Vostro affmo amico Giuliano Vanzolini. G.A.T.CLX. 34 Due brani di lettere che i dollari Santarelli e Denti inviano al prof. Maggiorani chiedente istorie di fulminati' I. Sig. professore chiarissimo Nessun caso di fulminazione, da poter completamente interessare la medicina legale, mi fu dato osservare nei vent'anni di mio medico esercizio- Tuttavia mi piace narrarle due fatti, de' quali fui ocular testimonio. Nel maggio 1830, mentre lo recavami, in unione del sig. dott. chirurgo Stagni, a Pennabilli e tra- versava una praterìa che trovasi immediatamente a fianco della montagna di Carpegna, in mezzo ad un temporale orribile, vennero, a cinquanta passi da noi, da una sola scarica fulminati due giovani sposi, che malaccortamente eransi ricoverati sotto un vec- chio ed isolato albero. Essi tenevansi per mano , e così caddero rimanendo estinti immediatamente. — Scendemmo dalle nostre cavalcature per soccorrerli ad onta di un diluvio di pioggia e di grandine che ci si riversava addosso. — Con l'aiuto di parecchi falciatori di fieno che eran presenti improvvisammo, si può dire, in pochi minuti un capanno, ove con la maggior possibile diligenza trasportammo i due fulminati, tagliandone le vestimenta. — Né dalle vene del braccio , né dalle iugulari potemmo ottener 35 sangue all' infuori tii poche gocce ; così pure inu- tilmente incidemmo le temporali- — Una macchia rotonda rosacea, aggrinzila, e più larga di un pol- lice, riscontrammo nella spalla destra del maschio. — Deturpata e malconcia , quasi avesse subito un imperfetto grado di fusione, riscontrammo una me- dagliuzza che giaceva quasi so[)ra la metà della re- gione sternale, ove la cute, per quasi un pollice di diametro, era assai scolorala ed anche qui un poco aggrinzila, come se fosse. stata combusta. — 1 peli del petto avcan arso, ed all'infuori di questo nessun altro che di anormale in tutta la persona, che ri- mase flessibilissima- — Nella femmina, che trova- vasi per certo in tempo delle regole , osservammo invece rigidità tetanica delle membra, ed inoltre un arrossamento raggiato nel dorso della mano che com- municava con quella del compagno, e nel cui dito esisteva un anello d' oro. — Osservammo ancora due piccoli punii lenlicolari di lieve arrossamento sui fori delle orecchie, da cui il fulmine avea strap- pati i pendenti di similoro, trasportandone uno molli passi lontano dal luogo della disgrazia. — La fiso- nomia della giovine esprimeva terrore (mentre forse era in preda a gran paura prima di esser fulminata), e gli occhi vedevansi orribilmente sporgenti e con- torli. — Lo spillone argenteo infitto nei capelli era inlallo ! — Quando noi partimmo dalla praterìa (quasi tre ore dopo la fulminazione), i' uomo era freddo, ma la donna conservava calda la cute del ventre e del petto. — Dopo alcuni mesi seppi che la putrefazione fosse alquanto sollecita nel marito, ma che nella sposa tardò ([uatlro giorni ad onta 36 della stagione calda. -^ Forse chi sa che con mi- gliori e più savi soccorsi, che non si potevan ap- prestate in quel deserto luogo (e che io allora gio- vanissimo non conosceva), non si fosse potuta ria- vere ? — In Cannara , nell' ottobre 1832 (se non erro) , dopo una grandine caduta in sul mezzodì vi fu nuova minaccia di temporale verso le due ore di sera. In questo, s'introdusse per la cappa di un cammino un fulmine mentre due vecchierelli, moglie e marito, stavano d' intorno al focolare a scaldarsi. — lì ful- mine si divertì a lanciar lontano dal ceneraio una vecchia e logora pala di ferro che vi trovò, ed a bruciare tutt'i peli dei genitali di entrambi i coniugi, i quali un anno avanti avevano in tali parti usata una frizione con un unguento contro gl'insetti. Nes- sun altro danno recò ad essi all'infuori della paura, a cui riferii le piccole e brevi convulsioni che con- secutivamente sostenne la povera vecchia. I). Santarelli. II. Signor professore. In un giorno di giugno, per isfuggire una dirotta piog- gia, mal sì ricoverava il bifolco Antonio Capparella sotto i rami di annosa quercia. Al continuo lampeg- giare succedeva il romorio del tuono, finche gli elet- trici equilibri determinarono il fulmine, che investì 37 il misero Capparella: i gridi di alcuni villici a poca disianza accompagnarono il bifolco, che come corpo morto rotolava per la sottoposta china di un colle. Dopo pochi momenti fu tratto il misero, che dal re- spiro languidissimo dava ancora segni di sua esistenza. Quell'uomo sul torno dei cinquant'anni presentava una costituzione sanissima, robusta, ed era di un tem- peramento biblioso sanguigno: posto su di un paglia- riccio , giaceva supino ; il respiro era rantoloso ; i polsi piccoli, duri e depressi; lo sguardo fisso, la de- glutizione difficile, la loquela sospesa, nessun udito, in una quasi completa tensione tetanica il còrpo. I cir- costanti si erano rattenuti fino alla mia venuta di spogliarlo dei suoi vestimenti di lana, dacché ad ogni moto che volesse imprimergllsi metteva altissime grida. Giunto presso il fulminato osservai un forame rotondo nella parte destra del cappello, ed altro fo- rame irregolare di circa mezzo pollice di diametro nella scai-pa del medesimo lato in cori'ispondenza del dito grosso del piede- Tolte le vesti con apposita maniera, non rinvenni alcuna alterazione nelle regioni in corrispondenza dei detti forami. Però le tracce deireleltrico erano manifeste in tutta la superficie cutanea, presentandosi delle linee raggiate in varie forme specialmente i^^l petto e nel lato destro: una piaga a guisa di scottatura al secondo grado oc- cupava la metà del poplite sinistro, ed altra assai più piccola esisteva nel piede destro. Nella regione sincipitale fu rinvenuta una ferita cruciforme di circa un pollice, e un poco irregolare: quella ferita giu- dicai esser prodotta da qualche pietra nella caduta, che fece l'infermo in seguito della fulminazione- Un 38 abbondante sanguigna fu il primo rimedio da me consigliato; ed altra di minor quantità ne feci ripe- tere dopo poche ore: quindi ordinai un saguisugio alle temporali, e delle fomentazioni separate alle estre- mità: ebbi cura che non si trascurassero le piaghe con apposita semplicissima medicatura: aggiunsi una so- luzione di solfato di magnesia, che veniva con dif- tìcollà deglutita. La notte era trascorsa inquieta; ma nella visita del mattino trovai 1' infermo tornato ai sensi, sebbene esistesse una qualche confusione nelle sue idee, non rammentava affatto l'accaduto; aveva una tìsonomia spaventata, e continuamente si lamen- tava di un formicolio fastidiosissimo nelle regioni sca- polari, non che di un senso bruciante e doloroso nelle descritte piaghe. Si era sviluppata una febre assai risentita, ed erano manifesti i segni di profondo ga- stricismo- La ferita della testa non era per me senza conseguenza , temendo di un qualche versamento per uno stato di commozione che io scorgeva nel mio infermo. In questo stato di cose ripetei un sa- lasso, ed ordinai oncia una e mezza di olio di ri- cino, essendosi resa facile la deglutizione: si otten- nero varie scariche coll'emissione di molti lombrici. Al terzo giorno l' infermo, più libero nelle facoltà mentali, seguita a lamentarsi del solito dolore nelle regioni scapolari, e manda di tanto in tanto, spe- cialmente nelle ore notturne, le solile grida: avver- tito, risponde con ira- Si prescrive un salasso di li- bra una, e bevanda diluente tartarizzata: ottimi ef- fetti si ebbero in seguito di tali ordinazioni. Nei giorni che sopravvennero si seguitò la cura del ga- stricismo verminoso , né si perde di vista lo stato 39 della testa : vi fu duopo di una quinta sanguigna , che giudicò assolutamente la malattia , rimanendo solo dopo il ventesimo giorno un senso di formico- lio e di dolore, che erasi anche reso pila forte, e diffuso per le superiori estremità. Siccome stimai , che tali alterazioni fossero ora puramente nervose, ordinai ai centri nervosi le frizioni di lenimento vo- latile, ma con pochissimo vantaggio- Erano trascorsi circa dieci giorni di convalescenza, ed il Capparella era inquieto; gridava specialmente nella notte, aveva una fame insaziabile , camminava con stento , era curvo, e nella impossibilità di muovere liberamente le superiori estremità: talora se lo fìssavi, ti rassem- brava un maniaco: interrogato sulle grida notturne, disse avere delle immagini spaventose, e dei sussulti che r obbligavano a gridare- L' insistenza dei cal- manti, specialmente del giusquiamo, le frizioni con- tinuate di tintura di cantaridi apportarono un no- tabile miglioramento- L'aria campestre , il ritorno alle usate occupazioni villaresche, i bagni alla tem- peratura ordinaria praticati per vari giorni ritorna- rono il Capparella alla sua primiera robusta salute dopo lo spazio di circa due mesi dall'accaduto. Il Capparella, da me più volte veduto in varie epoche nel corso di due anni dopo questa malattia, fu sempre osservato nella piiì perfetta salute senza che avesse piiì sotfcrto di altro incomodo. D- D ENTI. 40 Del pili amico codice greco della biblioteca vaticana e deiredizione che ne fece il cardinal Mai. Disser- tazione letta alla pontificia accademia romana di archeologia dal socio ordinario e censore P- D. Carlo Vercellcne procuratore generale de' barnabiti. Lolli doti! hanno di recente sollevala la loro voce in tutta l'Europa ed anche in America per parlare d'un codice, che forma il piiì bello ornamento della rinomatissima biblioteca vaticana; e per sentenziare intorno alla pubblicazione che ne fu fatta dall'eru- ditissimo card. Angelo Mai di sempre gloriosa me- moria. Ognuno di voi già comprende che io accenno al codice greco valicano designato col numero 1209. il quale contiene la Bibbia. Nessuno ignora le lun- ghe fatiche sostenute dall'instancabile card. Mai, che pel primo volle darlo alla luce colle stampe- Voi sa- pete che l'impresa del dottissimo card, fu salutata cogli applausi di tutta 1' Europa, e fu noverata tra le più gloriose ed importanti opere di lui. Or bene, se pressoché tutti i giornali letterari del mondo hanno ragionato in questi due ultimi anni, quale più, quale meno dirittamente di un monumento che gran- demente onora Roma , e di un fatto che a Roma si attiene, e che sotto gli occhi nostri fu felicemente compito ; a me sembra essere ormai tempo anche per jaoi di rompere questo lungo silenzio per far palese ciò che maggiormente ci può interessare nel 41 monumento che ha attirato gli sguardi ed eccitato la meraviglia di tutti i dotti: è tempo, dico, di ri- volgere la nostra attenzione a quel codice di cui tanto si è favellato, a quella edizione che ha dato luogo a tanti giudizi, parte veri, parte poco esatti, e parte falsi. Né credo sia mestieri di avvertire che ciò facendo io non esco dai confini assegnati ai no- stri lavori- Con ciò sia che alla nostra accademia certamente spettano le grandi quistioni di storia, dr critica, di filologia e di paleografìa, intorno alle quali io intendo di trattenervi brevemente. Debbo piut- tosto supplicare la vostra indulgenza se io non tanto per la brevità del tempo prefinitomi, quanto per la mia pochezza, sarò costretto a toccare quasi pur di passata alcuni punti che certo meriterebbero un più ampio svolgimento- Il mio breve discorso si divide in due parti. Nella prima dirò del codice, ponderan- done l'origine, la storia ed il valore: nell'altra l'uso che ne fu fatto, e ciò che rimane tuttavia a fare. Le notizie storiche risguardanti il nostro codice cominciano solo dal 1475, cioè dall'epoca in cui il celebre Platina per ordine del pont. Sisto IV stese il primo inventario che abbiamo dei codici della va- ticana, allora detta palatina, ove egli ce lo descrisse con poche parole, dicendo che nel primo banco della biblioteca dei libri greci eravi il codice Biblia in tri- bus cohimnis ex membrana. Il qual cenno non può riferirsi ad altro libro fuorché ai nostro; poiché non si sa che la vaticana abbia mai posseduto altra Bib- bia greca a tre colonne dalla nostra in fuori. Ma si toglie ogni dubbio nell' altro inventario fatto nel 1533, ove del medesimo codice si nota (secondo lo 42 stile singolarissimo seguito in questo nuovo inven- tario), che la prima pagina del terzo foglio termina con la parola s/SSs/avj, la qual cosa non si verifica se non nella nostra Bibbia. Adunque siamo certi che essa si trovò nella vaticana fin dai primordi di questa insigne biblioteca , cioè allorquando fu fon- data dal pont. Sisto IV- Questa, come ho detto, è la prima notizia storica che noi abbiamo del nostro famosissimo codice , ignorandosi pienamente come e quando fosse portato a Roma- lo ho pubblicalo, or sono due anni, questi ed altri non pochi docu- menti relativi alla storia del nostro codice in una lunga lettera che fu quasi tutta inserita dal dotto Tischendorf nei prolegomeni alla settima edizione del Nuovo Testamento greco, che egli pubblicò in Lipsia in quest'anno, or sono pochi mesi. Ma debbo avvertire aver egli per errore scritto, che dagli an- tichi cataloghi della vaticana risulta che questo co- dice aule medium seculum XVI in eadem bibliotheca suum locum habuil (pag. CXXXVII); ove dovea scri- vere seculo XV. Alcuni si sono maravigliati che il dotto Platina siasi contenuto in così brevi parole nel registrarlo. Coloro che fanno queste meraviglie danno a conoscere d'ignorare in quale stato si trovasse la dottrina paleografica nel secolo XV. Ma voi ben sa- pete che non era di quella stagione il saper distin- guere l'età dei codici senza quei mexzi che ora pos- sediamo. Che se a taluno sembra strano che non si trovino notizie storiche anteriori all'epoca suddetta intorno ad un così insigne documento, noi alla no- stra volta domanderemo che cosa dovrà dirsi del- l'egregio codice del Vangelo scritto a caratteri ar- i3 genici sopra membrane purpuree nel quinto secolo, che ora si conserva nella biblioteca palatina di Vien- na, e che fu pubblicato dal Tischendorf nel 1847, del qual codice il eh. editore ci attesta che s'ignora perfettamente aiU linde, aiit jìer qiiem veneril, seb- bene sia certo che fu aggiunto a quella biblioteca solo dopo la morte del Denisio, cioè in principio di questo secolo? [Evang. Palai- j Lips. 1847. Proleg. p. X) Quale maraviglia dunque che noi ignoriamo la provenienza d' un codice che sin dal secolo XV apparteneva alla vaticana, se la biblioteca di Vienna non può farci conoscere d'onde sia venuto uno dei più rari suoi manoscritti acquistato or sono forse ap- pena cinquant'anni ? Se non che, lasciando in disparte inutili ricerche di notizie storiche intorno al codice vaticano , noi dalla natura e dagli intrinseci caratteri del codice stesso possiamo con fondamento risalire alla sua ori- gine: anzi noi troviamo buoni argomenti per affer- mare alcuni fatti di grande importanza che giovano assai ad apprezzarne il valore. Noi dunque diciamo che esso fu scritto nel IV secolo della chiesa; che fu scritto in Alessandria d'Egitto e che fu destinato all' uso pubblico della liturgia nella chiesa. Queste conclusioni ci condurranno a riconoscere che il co- dice vaticano, di cui ragioniamo, è il più antico di quanti codici si conoscono al mondo ; giacché di quella età, oltre questo codice, non esistono se non pochi e rarissimi frammenti di libri, i quali come- chè più 0 meno copiosi , come sono quelli che di fresco ebbe la fortuna di scoprire in Oriente il eh. u Tischendorf, non possono mettersi a confronto col vaticano. Ed in prima, quanto all'età del nostro codice, non v'ha quasi più al presente uomo dotto che ne dubiti. Per verità nel secolo XV e XVI si credeva bensì da molti (tra i quali possiamo ricordare il Masio, il Sirleto, il Morino, Luca Brugense, e gli editori romani della Bibbia greca Sistina), che questo fosse uno de' più pregevoli esemplari; ma nessuno sospettava che la sua origine potesse rimontare ad una età cotanto lontana. Solo nel XVII secolo e nel seguente cominciò a credersi che appartenesse al V o al VI secolo; e così fu giudicato da quel grande paleografo del suo tempo , che fu il Montfaucon {Biblioth. Bihlioihecar- tom. 1 />• 3) ; ma anche questo giudizio non sembrava a tutti abbastanza fon- dato sul vero; ed eravi ancora chi attribuiva al nostro codice un età molto meno vetusta , come fu il Le-Long {Bibl sacra t. 1 p- 160). È però da av- vertire che molti di coloro, i quali negarono la grande antichità di questo libro , o non lo videro mai, e tra questi fu Erasmo ed il Le-Long; o non possedevano quelle cognizioni di paleografìa, che si richiedono per un siffatto giudizio: il che possiamo dire di tutti quelli che vissero prima che rivedessero la luce i molti papiri greci di non dubbia età, ed i palimpsesli che oggi possediamo. Imperocché il principalissimo argomento per giudicare 1' età del nostro codice ci è somministrato dalla paleografia, e questa prende luce dagli scritti di età certa che si conoscono. Ora è manifestissima ed irrepugnabile la grande affinità che si trova fra la scrittura dei 45 migliori papiri ercolanesi ed il nostro codice. 11 principal divario che corre fra questo e quelli con- siste in ciò, che l'uno è scritto da un perfetto cal- h'grafo con somma eleganza, purità e semplicità di caratteri: laddove negli altri v'ha minor studio di eleganza, minor purità di forma- Nel resto tanto il codice vaticano quanto i papiri o volumi ercolanesi • sono scritti a lettere unciali o maiuscole , netta- mente espresse, della medesima grandezza, tutte di seguito in ciascuna linea, senza alcuna distinzione di parole, nessun accento o spirito, rarissime inter- punzioni, quasi nessuna parola scritta in compendio o abbreviata; nessuna lettera iniziale maggiore o di- stinta dalle altre, neppure ove comincia un libro. Queste note, considerate nel loro complesso, potreb- bero bastare alla vostra sapienza per comprendere che non può esservi dubbio di softa, che il codice in cui si trovano è anteriore al V secolo. Ma pos- siamo aggiungere non poche altre avvertenze che vieppiù ne rendono palese l'età- Fu già notato che la forma materiale del codice ci fa segno dell'epoca in cui dall'uso dei rotoli, propriamente detti volu- mi, si fece passaggio a quello dei codici [De anti- quitale codicis vaticani , Comm- Jo- Leonardi Hug , Friburgi Brisgoviae, 1810 p- 13)- Perocché ogni fac- ciata è distinta in tre colonne, cosicché aprendo il libro si presentano allo sguardo sei colonne; la sua altezza corrisponde a quella ordinaria dei volumi ; e per ciò esso è di forma quadrata. Inoltre qui pure, come nei volumi, ogni libro, o parte della Bibbia, ha il suo semplice titolo in principio egualmente che in fine, senz'altra aggiunta. Così, per esempio, il 4tì libro dei Numeri porta il suo semplice titolo API6M0I tanto in principio quanto in fine- Di qui io ricavo la ragione per cui solo in fine del Genesi si legge KATA TOri; EBAOMHKONTA, mentre si sarebbe po- tuto mettere il medesimo aggiunto a tutti gli altri libri cbe appartengono ai settanta interpreti. La ra- gione adunque è, perchè l'amanuense volle anche qui, secondo il suo costume, ripetere in fine del libro il medesimo titolo che stava in principio. E siccome in principio del codice (ora acefalo) dovea esservi quell'aggiunto KatA TOYS EBAOMHKONTA, il quale apparteneva a tutti i seguenti libri dell'Antico Te- stamento, egli lo ripetè in fine del Genesi. Da ul- timo tra le prove che dimostrano l'età del codice non è da tacere come in esso nel Nuovo Testa- mento non si trovi alcun vestigio delle sessioni dette di Ammonio, o dei canoni Eusebiani, <:he nei codici dal V secolo in poi non si sogliono più tralasciare. Le divisioni e gli argomenti posti da Eutalio, e che si trovano negli altri codici d'età poco posteriori al nostro, furono totalmente ignoti a chi scrisse questo codice- Pare dunque che possa dirsi dimostrata, per le cose fin qui accennate, l'età del codice vaticano. Ma ciò che io sono per dire, a fine di dimostrar- vene la patria, confermerà maggiortnente la stessa sentenza. Dunque io asserisco che questo codice fu scritto in Alessandria d'Egitto. E da prima a provare questa mia asserzione prendo a considerare le membrane che lo compongono; poi la sua esimia caligrafia ; in terzo luogo l'ortografia con cui è scritto; e final- mente aggiungerò alcune altre ragioni, con cui il 47 Tischendorf provò la patria del codice Federico- Augustano da lui illustrato , le quali convengono perfettamente anche al nostro codice. Le membrane, di cui consta il codice vaticano, sono pelli d' una specie di antilope, che tuttora abbonda nelPEgitto e nella Libia: queste pelli sono sottilissime, lucide e lavorate con isquisita perfezione. Due fogli del codice formano, come sembra, V intera pelle del- l'animale. I famosi codici alessandrino ed efremitico, che alla età del vaticano^ si accostano, e che pro- vengono dall' Egitto, sono composti di membrane somigliantissime a quelle del vaticano. D' altronde sappiamo che gli alessandrini erano celebri sin dal secondo e terzo secolo per 1' arte con cui accon- ciavano le membrane per la formazione dei codici. Dunque abbiamo nella materia slessa, non dirò una prova assoluta , ma un primo indizio della patriii del codice vaticano- Alquanto piiì grave è 1' argo- mento che si deriva dalla caligrafia. Imperocché per una parte incontriamo una simile semplicità ed eleganza di scrittura nei soli codici provenienti da Alessandria; e per altra parte sappiamo dalla storia che fin dai tempi dei Tolomei Alessandria fu insigne per la greca caligrafia ; ed il lodato Montfaucon [Palaeogr. graeca, p. 108) attesta che: «Alexandria » Celebris graecarum omnium iiocB-^az'j^v schola, ele- » gantissimaeque scriptionis graecae ofiiciiia fuit. « A quale altra città potrà dunque meglio e più giustamente essere attribuito il nostro codice , il quale per confessione di tutti è scritto con una ma- ravigliosa perizia ed insuperabile squisitezza di ca- ligrafìa ? Ma v' ha di più. L' ortografìa del nostro 48 codice ci somministra un nuovo e gravissimo ar- gomento a dimostrarne la patria: e ciò vuole essere alquanto dichiarato. Tutti sanno che la greca ver- sione della Bibbia detta dei settanta interpreti appar- tiene al dialetto alessandrino, perchè fu fatta dagli elle- nisti d'Alessandria. Noi dunque non possiamo tener conto delle forme proprie del dialetto alessandrino che s' incontrano nel nostro codice per giudicarne della patria ; poiché in qualunque paese si poteva copiare quella traduzione colle sue forme native (1). È bensì vero che spesso i copisti fuori d' Egitto a quelle forme sostituirono altri modi piiì attici; ma siccome non possiamo dire che ciò si facesse sem- pre e da tutti, massime in quei primi tempi, nulla possiamo argomentare dagli ellenismi alessandrini che vi si trovano. All'incontro le forme ortografiche proprie degli amanuensi d'Alessandria, e dipendenti dalla peculiar maniera di pronunzia che regnava in quella città, non si propagarono altrove. E se noi le troviamo mantenute nel nostro codice, abbiamo ogni ragione di giudicarlo scritto in Alessandria (2). Che se taluno mi domanderà in qual modo noi possiamo stabilire e conoscere questa specie di ortografia ales- sandrina, mi pare che la risposta sia facile ed evi- dente. Primieramente la possiamo conoscere dagli altri codici sopracitati , provenienti dall' Egitto , e scritti in tempi assai prossimi al IV secolo. In se- fi) Il card. Mai nella sua Co//ec^. Scripp. Vett. t. 2. p. 684 pubblicò Theodori Metochitae, quod omnes qui in Aegypto instituti fuerunt asperiore oralionis genere uti soleant. (2) Vedi il Woide, Praef. ad N. T. pag. VI. §. 33. 49 condì) luogo, non vi sono le lapidi, che ci manten- gono intatte le stesse maniere alessandrine ? Ma so- pra tutto non abbiamo noi una buona serie di pa- piri greci scritti in Alessandria ? Ora questi non es- sendo mai slati trascritti dai copisti, giacché sono autografi , siccome ha saviamente osservato il eh. Peyron, mantengono senza fallo l'istessa ortografia che era volgarmente ricevuta nel basso Egitto {Pey- ron, Papijri graeci , parte 1 p. 22). Ciò posto noi diciamo, che mentre questi documenti ci rendono ra- gione di quelle forme insolite che s' incontrano di continuo nel codice valicano , ce ne dimostrano la patria- Poiché da nessun altro paese poteva venirci quel iotacismo frequentissimo; quei molti dittonghi posti in cambio delle vocali lunghe; quel v s^zXxvGviyJv posto avanti le consonanti (1), ed altrettali maniere di scrivere solo proprie degli ellenisti alessandrini (vedi Hug, op. cit- pag. 15)- Parimenti nessun altro fuorché un copista d'Alessandria poteva darci inBp.f\)Vj per Im^cT, auXk-rjp.^-/} per (juXXvjti^j; X-rin^psa^e per XvjticaSe; X'niif'òr^azxoii per XvjyS/jasTaj; le quali forme coli' epen- tesi del p. come sono frequentissime nel codice va- ticano, così si trovano nei frammenti greco-tebaici del museo Borgiano, nei papiri greci di Torino, nella liturgia copta, come si può vedere presso il Georgi, il Peyron e l'Assemani (2)- Il dotto Leonardo Hug, (1) Georg. Fragni. Ev. s. Jon. p. 67. 168. ed altrove. (2) Il Georgi e l'Assemani sono citati presso il lodato Hug; quanto al Peyron vedi Papyri graeci R. Taurinensis musei Aegyptii. Papiro III. lin. 48. Si veda anche Tischcndorf Frag- menta sacra palimps., Lipsiac 1855, pag. XV. XXVI. XXXIII. tì.A.T.CLX. i 50 nella sua dissertazione sull'antichità del codice va- ticano, non ha potuto dissimulare questo fatto; anzi si è studiato di dargli tutto il peso che merita. Ma ora noi possiamo vieppiii incalzare Taigomento ser- vendoci dei documenti greco-egiziani, e massime dei papiri tolemaici venuti in luce dopo che fu puhbli- cata la dissertazione dell' Hug; anzi potremmo pur giovarci non poco dei progressi che ora ha fatto lo studio della lingua copta per chiarir meglio la ra- gione, sulla quale è fondata quella speciale ortogra- fia degli alessandrini- Ma per non protrarre sover- chiamente quest'argomento, mi restringerò ad accen- narvi due cose che non debbo pretermettere. La prima è che il card. Mai non ignorò l'affinità che pei' questo lato passa fra il codice vaticano ed i mo- numenti greco-egizi; poiché nel margine della sua edizione al capo XV di s. Giovanni avvertì, che la forma {lyorsocj per sj/^y, che si trova nel nostro co- dice, si riscontra con simile esempio in un papiro tolemaico della vaticana. L'altra cosa è, che il no- me del preside romano di cui si fa menzione negli Atti apostolici (XXIV, 22), cioè Felice, nel nostro codice è scritto ^^'^'q, come appunto si scrive nei frammenti della versione copta pubblicata dal Woi- de (1). Persuaso che le prove da me accennate bastino ad accertare l'ortografia alessandrina del no- Iro codice, passerò all' altro argomento con cui a XLV.; id. FragmenlaUv. Lucae etGenes., Lipsiae 1857, pag. XVII. XXV. (1) Si noli che la lèttera ye coptica si confonde nel suono colle vocali e coi dittonghi che suonano». VediPeyron,Gramm. ling. copi. pag. 4. 51 giudizio del Tischendorf si può accertare la patria dello stesso codice. Il pensiero del lodato autore , che ora io esporrò, potrà sembrare a primo aspetto assai strano; ma se si vuole ponderare bene la cosa si comprenderà che esso non è privo di buon fon- damento. Egli dice che tutti i codici scritti dagli elegantissimi caligratì alessandrini si distinguono pei molti errori che contengono [Cod. Friderico-Augu- slanus , prol- §. 10). Sembra infatti naturale che quanto più V amanuense sì occupa della eleganza della scrittura , tanto meno possa badare alla cor- rezione. Abbiamo inoltre la testimonianza di s. Gi- rolamo, il quale affermando che egli si contentava di codici miserabili, ma li voleva corretti, manife- stò il suo disprezzo pei codici scritti con grande lusso in caratteri unciali, ma pieni di difetti [Praef. in Job- ; cf Joh. Clirys. hom- XXXII in Johan.) Colle quali parole sembra che il dottor massimo ac- cennasse chiaro ai codici alessandrini. Ma è egli vero che a questo infelice ragguaglio il codice vaticano si faccia conoscere di appartenere alla famìglia dei codici alessandrini ? Il Tischendorf l'afferma recisa- mente, ed io non dubito di confermarlo. Anzi ag- giungo esser difficile trovare un altro codice che per questo verso superi il vaticano: e credo necessario dichiarare bene e mantenere questa tesi, perchè da essa ne derivano importantissime conseguenze, non già a scapito del valore del codice , ma in difesa della verità del testo ricevuto dalla Chiesa cattolica. Gli sbagli commessi dall' amanuense, che scrisse il codice vaticano, sono in realtà frequentissimi ; ma consistono quasi tutti in semplici omissioni, ora di 52 una, 0 due, o tre parole, ora d'un mezzo periodo, ora d' un periodo intero , ed alcuna fiata anche di due o tre versetti, e più ancora. Ciò accade al no- stro amanuense quando s'incontrano a poca distanza due parole simili. Se per esempio due membri fini- scono o cominciano colla stessa parola o frase , il nostro copista, passando senza addarsene dal primo al secondo luogo, tralascia le voci intermedie. Tutti sanno che a questa specie di errori vanno soggetti tutti gli amanuensi, anzi perfino quelli che scolpi- scono le lettere sui marmi, ed i nostri stampatori ce ne danno non pochi esempi. Tuttavia la frequenza di simili sviste è veramente straordinaria nel codice vaticano: ed io non esito di affermare che in tutto il codice, il quale ora consta di oltre a mille quat- trocento sessanta pagine, è più facile trovare un fo- glio che ha due o tre di queste omissioni, che non incontrarne uno che non ne abbia alcuna (!)• Ta- lora queste omissioni non recano notabile danno al senso; ma non di rado avviene che il periodo rimane non solo guasto e sconcio, ma pur anche privo af- fatto d' ogni senso e costrutto- È inutile avvertire che quasi tutti questi errori furono poi corretti per opera d'una seconda mano: io parlo solo del copi- sta, non del correttore del codice. Ciò prova che l'amanuense spesso scriveva intento unicamente alla chiarezza materiale delle lettere , senza prendersi (1) Non computando i supplementi falli in tempi più re- centi, il codice valicano consta di 73 quinlerni, e due fogli. Secondo il nostro computo mancano quattro quinlerni in prin- cipio, uno nel Salterio, due in fine. Dunque dovea essere di 80 quinlerni. 53 pensiero del senso. Adunque sebbene sia vero non mancare esempi di copisti d' altri paesi proclivi a simili errori, si dovrà pur confessare che anche per questa circostanza la condizione del codice vaticano conviene egregiamente agli amanuensi d'Alessandria. Ho poi detto essere questa considerazione di gran- dissimo momento per la critica. Imperocché di qui noi comprendiamo che invano molti critici, massime tra i protestanti, nelTetà scorsa appellavano all'au- torità del codice vaticano per rigettare dal contesto delia s. Scrittura alcuni brani , che essi negavano di ammettere come genuini. Per tal modo ora stu- diata meglio e conosciuta pienamente V indole del nostro codice, hanno perduto ogni valore quelle ob- biezioni che nell'età passata sembravano gravissime, e pressoché insolubili. Noi abbiamo ogni ragione di metterci in guardia e sospettare d'una semplice svi- sta dell'amanuense ogni qual volta incontriamo nel nostro codice una qualche mancanza. Tanto é vero che il progresso de'buoui studi critici giova sempre, anzi che nuocere, alla causa della religione. Se io non sapessi di ragionare al cospetto d' uomini sa- pienti, come voi siete, mi crederei obbligato di pro- vare (e mi sarebbe agevolissimo il farlo) , che le mendosità, che ho notato nel codice vaticano, non possono scemare il sommo pregio di quel codice , né attenuarne 1' impareggiabile valore. Ma sapendo che questa difficoltà non può venire in mente se non a coloro che sono affatto digiuni di studi critici, io me ne passo volentieri per non recarvi noia. Se dal complesso delle ragioni che ho accen- nate si può dirittamente conchiudere che il codice f^/- .)4. viiticano fu scritto nel IV secolo in Alessandria, io credo di non essere temerario se ardisco fare un passo più innanzi nel rintracciarne l'origine. A voi spetterà il giudicare quale e quanta sia la proba- bilità delle mie illazioni. Noi sappiamo da Eusebio [Vita Constantiniy IV, 3-i, segg.), che Costantino il grande, dopo aver edificato non poche chiese in Costantinopoli, pensò a fornirle degli oggetti neces- sari al culto religioso; e conoscendo che a tal fine tra le altre cose faceva d'uopo provvedere un buon numero di esemplari delle sante scritture, indirizzò una sua lettera allo stesso Eusebio in Alessandria esortandolo a darsi tutta la sollecitudine perchè fos- sero apparecchiati cinquanta esemplari della Bibbia greca ad uso delle chiese di Costantinopoli: (1) Upéncv yixp y.o^'^tqiiy.vio, xò òrj'kr2aai tvj avj avvB'aet, ono)g &v TrsvTvjxovTcc ac>)p.dricx. Iv ^tfOiptxig iyy^ocrocaynvoig, ìvuvx'^'JO)~ aztx T£ x«j nphg f^y xp>3<7fv kv^ixaxé[j.iarx, vnh xtyyirw xaXXt'/jSaywy xocì ù-xpifiSìg tv^v xiyyfi)^ iniaxocixzvcov y(pa«p^V(xi ■Htkivaeiocg. zw Scjwv SvjXa^vj ypa(fS>v, wy [xolhoxix x. t. X. « Conveniens enim visum est significare prudentiae » tuae, ut facias describi in membranis probe ap- » paratis quinquaginta codices [ac-iuartcx, non rotoli) » divinarum scripturarum, leclu et ad usum tran- » sportala faciles, ab arlificibus antiquariis et arlis » illius peritissimis. » Si noti che Costantino per avere ottime membrane e buoni caligrafi si rivolge ad Alessandria. Nel seguito della lettera l'impera - (1) Sono noli i molti lavori biblici di Eusebio; ne parla dottamente anche il card. Mai nella Nova bibUoth. pa- trum, tv, 318. 00 tore avveiio Eusebio essere stati spediti gli ordini opportuni al prefetto o tesoriere d'Egitto , affinchè somministrasse le somme necessarie pel compimento di questa impresa. Non è a dire con quanta sol- lecitudine fossero eseguiti gli ordini del pio mo- narca- Dopo pochi mesi Eusebio già cominciava a spedire a Costantinopoli buona quantità di codici ':vj)(ici -cpiaoù xoù zfrpxaoà. (1), scritti dai migliori co- pisti. Fin qui la storia- Veniamo all' applicazione. Noi abbiamo il codice greco vaticano della Bibbia scritto certamente circa Tetà di Eusebio, scritto in Alessandria d'Egitto, scritto in formato comodo a maneggiarsi, scritto sopra membrane preparate con regale magnificenza, scritto da perfettissimo caligrafo; scritto ad uso ecclesiastico, come ce lo dimostrano le sigle con cui sono distinte le sessioni (2). Quale difficoltà adunque che si asserisca anche scritto per ordine del grande Costantino ? Certo mentre abbiamo molte ragioni che rendono probabile questa con- clusione , non si troverà facilmente un solo argo- mento che ci possa obbligare a rigettarla. Tuttavia non oso dare troppo peso a questa mia congettura; (1) Il dotto Montfaucon non avea presenti queste parole di Eusebio allorché scrisse: « In chronico quodam bibliothecae » regiae terniones et qiiaterniones, zptaGoc et rerpccadà vo- » cantur: quae vocabula nusquam alias me vidisse memini. » Palaeogr. graeca, Uh. 1 e. IV. (2) Ciò che notò il Bianchini descrivendo il celebre codice canlabrigiense [Evang. Qmdrupl. pag. CDLXXXl) si può dire anche del vaticano, nel cui margine si incontrano le voci àpX'Òì TeXog, Xr/j, wds, c7t>5'x£. 56 ma mi contento d'averla accennata e sottomessa al sapiente vostro giudizio (1). Ma è tempo che io passi alla seconda parte del proposto tema ; e vi dica di quale uso fin qui è stato il nostro codice , e qual frutto possa recare ad incremento de' buoni studi. E qui, sia perchè voglio essere brevissimo, sia perchè non debbo ri- peterete cose che già ho pubblicate, tacerò della opinione di quelli , che stimarono aver Leone X mandato il nostro codice allo Ximenes in Alcalà , la quale è poco verisimile: e di quelli , che cre- dettero aver Sisto V pubblicato il Vecchio Testa- mento secondo la lezione di questo codice, il che è falso. Tacerò di quella lunga schiera di dotti e nostrani ed esteri, i quali dalla metà del secolo XVI sino alla fine del secolo scorso , con incredibile ardore si affaticarono, per quanto era loro conce- duto , e si studiarono di raccoglierne le varie le- zioni, massime nel Nuovo Testamento. Nulla dirò dei grandi lavori fatti da uomini dottissimi sul nostro codice in principio di questo secolo in Parigi, ove (1) Il codice vaticano nel fine dei Treni, di Ezechiele, di s. Giovanni, e degli Atti apostolici ha prima manu un gra- zioso ornamento che è sormontato dal monogramma di Cristo in questa forma g. Anche il codice alessandrino al fine del se- condo libro dei Re, e del primo di Esdra, ha il monogramma in forma poco dissimile dalla precedente. Il dotto cav. Giam- battista De-Rossi, cui ho comunicato questa notizia , mi ha promesso di farne materia d'una lettera che servirà di appen- dice all'erudito suo lavoro su questa materia, ed alla presente dissertazione. 57 esso fu trasportato; nulla di quanto avvf^nne dopo che alla vaticana fu restituito. Queste cose io tra- lascio per occuparmi solo di ciò che risguarda la pub- blicazione di questo insigne monumento. Già fin dal principio del secolo XVII, cioè poco dopo che erasi pubblicato l'antico Testamento greco per ordine di Sisto V , si pensò di dare alla luce collo stesso metodo anche il Nuovo Testamento: furono adun- que designati uomini dottissimi, i quali col sussidio di questo e di molti altri codici dovessero prepa- rare un testo purgato per la stampa. Ma essendo mancato Paolo V, questo lavoro fu disgraziatamente abbandonato. E ciò (che giova il dissimularlo ?) non senza grave danno per la scienza. Perciocché per una parte non essendo mai apparso un Nuovo Te- stamento greco impresso in Roma ; e d' altronde essendosi propagate le edizioni del Ximenes , di Erasmo, di Roberto Stefano e degli Elzevir, tutte tra loro discordanti, i critici che vennero in seguito, mancando di base certa e comunemente ricevuta , aumentarono la confusione; e non fu piiì possibile stabilire quale dovesse aversi in conto di testo ri- cevuto. Il quale disordine come fu impedito, per ciò che spetta al Vecchio Testamento greco, colla edi- zione di Sisto V , così pel Nuovo Testamento sa- rebbesi evitato con una edizione fatta in Roma. Ma forse niuno poteva in quella età prevedere queste conseguenze. Noi però possiauìo trarne una rifles- sione non meno giusta che utile. Questo fatto di- mostra che non v' ha al mondo autorità eguale a quella di Roma. Roma pubblica il testo della ver- 58 sione dei settanta; ed ecco che non pure i cattolici, ma gli eretici stessi e gli scismatici lo ricevono come lesto comune- Roma non produce il testo del Nuovo Testamento: ed ecco che a nessuno riesce di fer- marne e stabilirne la lezione ricevuta per comune. Ai tempi di Pio VI, l'ab. Spoletti ebbe qualche pensiero di pubblicare il nostro codice, ma non potè averne il permesso- I protestanti, avuto notizia di questo rifiuto, cominciarono a scagliare molte in- giurie contro il pontefice, cui attribuivano 1' aver impedito un impresa così utile- Ma il dotto orien- talista Giambernardo De~Rossi, giovandosi delle sue buone relazioni letterarie coi tedeschi, scrisse una lunga lettera al Michaelis in difesa del pontefice ; la quale essendo stata pubblicata dallo stesso Mi- chaelis nel tomo XXIII della Biblioteca Orientale, produsse per allora un buon effetto , e servì a di- mostrare che i pontefici, lungi dall'osteggiare, favo- rivano il progresso de' buoni studi; e che se ancora non si aveva una edizione che rappresentasse il codice vaticano, ciò proveniva da ben altre cause, che non dalla opposizione della romana chiesa, la quale nulla avoa a temere- Il fatto recentemente compitosi ha dimostrato che il De-Rossi in ciò si apponeva- Ma intanto sempre piiì veniva crescendo nei dotti la brama di avere colle stampe il codice vaticano : e come di mano in mano dalle pili in- signi biblioteche d'Europa si davano alla luce i più pregevoli codici della Bibbia greca , la brama di aver quello che a tutti sovrastava per la sua età e rinomanza cominciava a degenerare in una specie 59 di smania. Quando poi si conobLe che il card. Mai si era accinto all'ardua impresa, e che perciò non poteva essere accordato liberamente ai dotti f'ora- slieri l'uso del codice, passarono alcuni anni di aspet- tazione. Ma trascorsi dieci, quindici, vent'anni, senza che nulla comparisse al pubblico, è incredibile quali e quante calunnie da ogni parte prorompessero con- tro Roma. Ed io credo non essere questa l'ultima tra le glorie del pontificato di Pio IX, 1' avere d'un tratto obbligati al silenzio e ridotti alla vergogna i nemici della santa sede; i quali mentre piiì bal- danzosi predicavano che i papi mantengono le loro dottrine coll'occultare gli antichi documenti che le smentirebbero: mentre ci dicevano promotori del- l'ignoranza e nemici dei progresso delle scienze; e confermavano le loro imputazioni col fatto del co- dice vaticano, giurando che Roma non ne avrebbe niai permessa la sincera pubblicazione: mentre per tal modo essi davano sfogo alle mal represse pas- sioni , non solo esce alla luce il bramato codice , ma si pubblicano i documenti che chiariscono es- sersi fatta questa stampa mediante il benevolo con- senso ed il sovrano favore prestato dagli ultimi quat- tro pontefici. Molte cose potrei aggiungere intorno a questa memoranda impresa del card. Mai, se non temessi di abusare della vostra cortesia. Mi restrin- gerò dunque ad una sola avvertenza che più importa al nostro scopo, che cioè quantunque la stampa del Mai non sia senza qualche imperfezione , e perciò possa essere migliorata, nissuno ha potuto sin qui, nò potrà in seguito, ragionevolmente sospettare aver 60 egli alterata a bello studio, cioè per mala fede, la lezione del codice- II Mai conosceva molto bene il mal vezzo dei nemici di Roma, e per ciò nella sua prefazione li sfida ad esaminare 1' istesso codice : H Bonae fidei lectores (ei dice) codicem in valica- )) nae bibliothecae lumine exposilum conferant; ni- ìì hil nisi fideliter bonaque voluntate factum repe- » rient. » Or vengano i protestanti a dirci che Ro- ma odia la luce, nasconde i monumenti, falsifica i testi, perseguita la scienza- A noi basterà per ismen- tirli ricordare il codice vaticano. 61 Memoria ed osservazioni del dottor Domenico Bomba, laureato dalla facoltà medica-chirurgica nella ro- mana nniversità,sopra im caso di nevralgia del nervo solC -orbitario curata con la escisione dal dott- Co- stanzo Mazzoni- Nil ultra quara res loquilur sapere audeo. Sydhenam. k^embrerà a primo aspetto a molti cultori dell'arte opera oziosa e mancante d'intento che a'nostri giorni si prenda a subbietto di memoria originale una ma- lattia sì ben descritta, ripresa sì al vivo, con tinte si veritiere dagli odierni scrittori, principalmente dal Valleix , dal Martinet , dal Neucourt ec- Sembrerà vana l'esposizione di un metodo curativo proposto perfino ed adottato dai chirurgi del passato seco- lo (1). Ed in verità se nel percorreie le pagine dei sommi trattatisti delle nevralgie , se nell' indagare le risultanze ottenute dai piij valenti chirurgi con il taglio dei vari tronchi nervosi presi dalla dolo- rosa affezione, io avessi rilevato unanimità di opi- nione intorno l'indole, la natura, le cause della ne- vralgia, unanime assenso per la escisione del nervo (1) Nel 1768 Viellard prese a discutere innanzi la facoltà medica di Parigi la tesi concepita nei seguenti termini « Utrum in fortioribus capilis et faciei doloribus aliquid prodesse possit sectio ramorum quinti paris. ». 62 affetto nei casi di ribelli ed ostinate nevralgie, e fe- licità di resultato almanco nella maggioranza dei casi; eertamente io avrei inutilmente speso un tem- po prezioso per altre ricerche- Ma in qualunque an- golo dello scibile medico-chirurgico io gitto lo sguar- do, sia anco l'argomento piìi chiaro e più semplice, ovunque rinvengo discrepanze di sentimenti , con- traddittorie sentenze sostenute da uomini d'ambo i lati i più insigni e più colti: quindi in ogni passo, in ogni tratto, in qualsiasi subbietto necessità sem- pre emerge di ulteriore disamina, di nuove osser- vazioni , di nuove esperienze ; e quando tu creda d'imbatterti in subbietto a tuo parere ben chiaro e dimostrato, e su quello tua mente trasvoli con si- curo sguardo, forse in quel momento le ali il tuo pensiero vivace e sconsigliato libra sopra il falso: che soventi dolorosa esperienza provò come sotto l'am- manto della maggiore chiarezza e semplicità il falso si ascondeva e l'assurdo. La diatesica dottrina, che nei trascorsi giorni cotanto ammaliò le menti dei medici, e tutta ammorbò, affascinò, travolse nello errore la medica repubblica, sotto la bugiarda larva di chiarezza , di semplicità , di facile applicazione velava a sua base capricciosa ipotesi, assurdo prin- cipio. E perciò che , al giusto dire del Bonnet , il nostro destino attuale sia di non vedere altro che la superfìcie degli esseri, di rampicarsi di un fiìtto in un altro, di analizzare questi fatti, di paragonarli fra loro, e di inferirne alcuni resultati più o meno immediati (ecco tutta la nostra scienza): così in ogni punto si prova urgente bisogno di replicate osser- vazioni, di reiterati esperiincnti per consolidare vie 63 meglio gli adottati principii ed i nuovi insegnamenti saggiare con la tempra della corrispondenza de' fatti. Ed assumendo più a proposto calzante esempio dal nostro stesso argomento , pria delle bellissime ri- cerche fisiologiche del Mueller, del Longet, di Carlo Bell del Berard, ninno dubitava che il nervo faciale fosse la sede di quella insoffribile e dolorosissima affezione della faccia, che André chirurgo di Ver- sailles nel 1756 chiamò tic doloroso (tic-douloureux), a cui Fothergill nel 1776 die' nome di prosopal- gìa (1). Se però in oggi, grazie allo immenso pro- gresso de' studi fisiologici , fonte uberrima di so- stanziali cangiamenti e modificazioni nelle dottrine patologiche, bandito il titolo di nevralgia del nervo faciale ognun comprende sotto V appellazione del tic doloroso, di prosopalgìa la tormentosa affezione delle varie branche del trigemello (2) ; eguale ac- (1) Painful, Affection of the face. (2) Per quanto BischofT, Barthold, e Gaedechens ed anche F. Bellingeri abbiano provato di sorreggere la crollante dot- trina della sensibilità propria del nervo del settimo paio con l'anotomia; le brillanti esperienze di Magendie , di Blacker , del Lund , del Longet , del Berard , di Bell hanno posto ad evidenza l' insensibilità del settimo paio, ascrivendo alle di- ramazioni del mascellare inferiore e del nervo grande occipi- tale, (Berard) , che si -associano alle ramificazioni del faciale quelle nevralgie, le quali per seguire appunto il tragitto del faciale sembravano ancora in qualche parte fiaccare la dot- trina del Bell, dalla quale si esclude alla nevralgia la possibi- lità di aver sua sede nel settimo paio destinato solamente ai movimenti della faccia, e sprovvisto di sensibilità. « Aucun fait ne prouve, cadono a proposito le parole del Valleix, que la nevralgie ait réellement existé dans lenerf moteur de la face. Les cas qu'on a donnés comnie exemples de nevralgie du ncrf facial, appartiennent presque tous à la nevralgie cervico-occi- pitale (trait. dcs névr. p. 87) «. 04 cordo non regna sopra le cause, l'indole, la natura, l'andamento, il rinnovarsi di questa affezione; come che in specie a tutti non arrida l'applicazione troppo smodata delle teorie elettriche chiamate in soccorso per ispiegaie i parossismi spontanei, la rapida ces- sazione del dolore: eguale armonia non spicca so- pra il metodo curativo , e singolarmente sopra l'estremo espediente della sezione e della escisione, il quale se fu sorgente di successi stupendi nelle mani di Velpeaux, di Berard, di G. Boux, t|pBHI HmilPl di Bonnet, non incontrò Tapprovazione del- l'immortale Antonio Scarpa, e mancò di prospero even- to nelle mani di Delpech (1), di Klein di Stutgard (2). Del rimanente vedrà il lettore in seguito della narrazione del nostro fatto di quante vantaggiose considerazioni, non infruttuose al certo, possa esser esso sorgente e base. Nel volgere 1' anno quarantaquattresimo di sua vita, nel mezzo della piti ridente salute, Giuseppe Cornia, marescalco di condizione, di temperamento sanguigno-bilioso , di abito robusto di corpo , vo- gliono essere omai cinque anni, in una mane della estiva stagione, nello stropicciarsi il viso avvertì im- provvisamente nella medietà del solco che divide l'ala del naso dalla destra gota, e precisamente in corrispondenza del forame sotto orbitario, un dolore sordo, non intenso, fugace- Per il lasso di tre sta- gioni estive consecutive pressoché costantemente nel- lo stropicciare e fregare il viso, a ragione di net- tezza, il nostro Cornia risentiva il solito dolore sem- (1) Sur les maladies réputées chirurgicales t. IH. (2) lournal de Greel' Walther t. III. 1822. 65 pre fisso nella indicata regione , restandone libero all'entrar dell'autunno- Ma egualmente non andò la cosa al sopravvenire della state dell'anno 1858; per- ciocché in un bel giorno fu sorpreso di repente nella menzionata località da un acerbissimo dolore lanciante , ma fugace altresì; il (juale in un mo- mento passando a guisa di fulmine scompariva, e ripigliava ad intervalli pili o meno lunghi (1). Que- sto dolore limitato , nel primo suo periodo , al punto di uscita del nervo mascellare superiore dal foro infra-orbi tarlo , non tardò ad irradiarsi nella nuova sua comparsa al labro superiore corrispon- dente ed alla inferiore palpebra. Lo spasimo ec- citato dalla intensità della doglia induceva per legge di movimento riflesso agitazione convulsiva, e con- trazione dei muscoli motori del labbro superiore e della pinna del naso, arrossamento e gonfiore della gota. Le trafitture, gli slanci dolorifici pili rari e meno acuti, con il ripetersi dell'accesso nevralgico si fecero piiì frequenti e più intensi. Così se nel principio le acerbe e vive lancinate si manifesta- vano a lunghi intervalli di tempo , nel corso dei quali il malato non sentiva alcuna specie di dolore, in seguito rimaneva nel mezzo della gota, nel punto di emergenza del nervo infra-orbitario, un dolore permanente, contusivo, inducente talora una sen- sazione d'intormentimento, di pesantezza, di stira- mento lieve ed altra fiata di semplice formicolio. (1) Cotugno pinse in modo veritiero ed energico il ra- pido sviluppo delie trafitture acutissime nelle nevralgie, no- mandole lampi di dolore (Fulgura doloris) G.A.T.CLX. 5 66 La pressione esercitata con l'estremi tà del dito su questo punto ben circoscritto esasperava il dolore persistente, gravativo, e suscitava il più delle volte i dolori lancinanti, gli stiramenti spasmodici, le tra- fitture. Cessava l'estiva stagione, ma per questo anno indarno il paziente attese la solita cessazione delle soflerenze rese omai troppo gravi e smaniose; che nell'autunno, e nel seguente verno più acerbo, più tormentoso ad irregolari distanze ricomparve il ne- vialgico accesso. Pendente un dato tempo la du- rata del parossismo non oltrepassava le due , le tre ore, lungo il qual tempo gli spasimi paragonati dal nostro infermo a stiramenti, ora a strappature, a punture , ed ora a forte bruciore, si ripetevano ad ogni quarto di ora, ad ogni mezz'ora, restando nello intervallo di questi il solito dolore gravativo, contusivo non solo in corrispondenza del foro sot- t'-orbìtario, ma anco nel mezzo della palpebra in- feriore ed in un punto circoscritto del labbro su- periore, sotto cioè alla rispondente pinna del naso, là ove fra le fibbre dello orbicolare delle labbra confonde ed immischia le proprie l'elevator comune della pinna del naso e del labbro superiore. Invigo- riva nel verno dell'anno 1859 la nevralgìa: il do- lore intermittente , sotto la solita forma di lace- razione, di trafitture, si suscitava soventi volte non solo spontaneamente, senza la più benché menoma causa, ma repentinamente altresì si ridestava spes- sissimo in seguito alla masticazione , ad uno sba- diglio, ad uno starnuto, alla loquela; sicché quelle ore, che per la comune dei mortali sono di con- forto e sollievo, per il Cornia a quella vece erano 67 dolorose e scorfontanti. Una serie però di doloi'i di sofferenze oltremodo gravi attendeva il nostro infermo nella primavera e nella state. Gli accessi nevralgici crebbero di numero , di gagliardìa , di estensione. Se pria fra un parossismo e 1' altro si notava un intervallo, una calma di quattro o cinque giorni, di una settimana, e talvolta anco di qual- che mese, ora si manifestano ogni giorno, più volte nella stessa giornata; ed in ogni parossismo gli spa- simi, i dolori lancinanti si rinnovano ad intervalli sì ravvicinati, che tal fiata si veggono rinascere ad ogni minuto. Con l'aumentare la violenza e la fre- quenza degli accessi si accrebbe anche l'estensione della nevralgia; perciocché le lanciate, i frizzi do- lorosi montavano la destra pinna del naso irradian- dosi alla radice del naso stesso , e poscia a tutto il sopracciglio corrispondente. Procedendo in tal guisa la cosa il dì 1 luglio del corrente anno fui chiamato per la prima volta a visitare il Cornia. Egli mi fece un'esattissima de- scrizione del principio e dell 'andamento della sua malattia , com' è solito di chi vide gradatamente sviluppare ed accrescere la propria malattia. Gli in- tervalli , le pause erano a quest'epoca ben rare e brevi, e gli accessi vicinissimi uno all'altro, sicché a prima giunta per l'apparente continuità del doloie poteva quasi dubitarsi di nevrite- Da quattro punti accennava l'infermo originarsi e dipartirsi gli slanci dolorosi, tre de' quali ho di sopra già indicato; il quarto corrispondeva alla parte laterale e superiore della destra narice poco sotto al luogo d'inserzione del tendine del muscolo elevatore comune dell'ala 68 del naso e del labbro superiore. Infatti premendo con r estremità dell' indice bruscamente sopra 1 citali punti, ove poi al dire dello infermo dopo la ces- sazione degli spasimi rimaneva sempre un fastidioso e continuo dolore , incontanente si ridestavano le fìtte atroci. Durante gli accessi si produceva un gonfiore considerevole con arrossimento , e calore ardente di tutto il lato affetto della faccia accom- pagnato da convulsioni e spasmodie dei muscoli , da fotofobia , da lagrimazione acre e cocente , da turgore delle vene, da arrossimento dell'occhio, che neir ultimo periodo della nevralgia era anco non rare volte invaso dallo spasimo (oftalmodinia). Nes- sun dolore d'altronde si era mai destato, o si de- stava nella volta palatina, nelle arcate dentarie, nei zigomi , nelle tempie od in altri punti. Né la ne- vralgia nella sua comparsa assunse e mostrò mai reale periodicità , cioè un determinato ordine di periodi nelle sue manifestazioni. Del rimanente in mezzo a tanta vivezza di dolori , di sofferenze , il polso era appena frequente, il respiro calmo, e la nutrizione generale punto non deteriorata. Rintracciando la causa eccitatrice della malattia in discorso , non fu malagevole rinvenirla nella esposizione del corpo al freddo-umido , causa po- tissima d' ogni varietà di nevralgie ; perciocché il Cernia di notte tempo attendeva di sovente al santo e pietoso ufficio di raccorrò per le nostre campagne le salme di quelli infelici villici, che la morte spesso sorprende lungi dalle proprie dimore- Quando si rifletta che il nostro infermo chiese soc- corso durante il quinquennio pressoché a tutti i più 69 valenti ed accreditati medici e chirurgi di Roma senza ritrarre il menomo sollievo del suo malore, si comprenderà di leggieri che quasi tutto in pari tempo debba avere esaurito il novero di quei ri- medi che si vantano a cura delle nevralgie: quindi mi passo dalla loro esposizione. Riuscita infruttuosa anco V elettro-puntura da me prescritta, confortato dal consiglio dell' eccmo prof. Mazzoni mi determinai di ricorrere allo estremo espediente della escisione, affidandone V esecuzione, con sicurezza dell' esito, alla esperimentata abilità del citato professore. Avanti di esporre il metodo tenuto dal sullodato operatore, mi sìa lecito di dare un breve e topo- grafico cenno su la distribuzione del mascellare su- periore dopo la sortita dal foro sott-orbitario. . I rami sott'-orbitali costituenti il termine del mascellar superiore riuniti in un fascette , perve- nuti alla estremità anteriore del canale infra-orbi- taria, si discostano Tun dall'altro ad angolo acuto, e sparpagliandosi in tutte le direzioni, a guisa di raggi da comune centro , s' intrecciano e s' incrociano con i filamenti corrispondenti del faciale: dal quale incrociamento od intreccio risulta poi quel plesso a maglie quadrilatere detto per la sua posizione sol- f-orbitale, e per la sua figura zampa (foca. A di- scoprirlo basta togliere il muscolo elevator proprio del labbro superiore, e parte anco dell'elevator co- mune. Formano i rami sott'orbitali per la diversa loro direzione tre divisioni, che comprendono i na- sali, i labiali superiori, i palpebrali inferiori. 70 I rami nasali, o interni, si spandono sul dorso, sulla pinna, sulla muccosa dell'ala nasale e sopra i muscoli elevator comune e trasversale del naso. 1 rami labiali superiori, o discendenti, si dirama- no nei muscoli, nella cute, e nella muccosa del lab- bro superiore. I rami palpebrali inferiori, o ascendenti, sottili e poco numerosi traversano 1' elevator proprio del labbro superiore per distribuirsi alla pelle ed alla con- giuntiva della palpebra inferiore, al muscolo pira- midale, alla caruncula, al sacco lagrimale. Fra que- sti a^^vene uno degno di particolarissima attenzio- ne, non considerato fin qui da verun autore di ana- tomia descrittiva e topografica, cbe montando in- ternamente e costeggiando le inferiori ed interne fibre dello orbicolare delle palpebre in vicinanza dello interno canto dell'orbita va ad anastomizzarsi con il sopratrocleatore e con il nasale esterno (1). Da questo stesso ramo nella sua origine si diparte un piccolo rametto, che rasentando il bordo del fo- rame infra-orbitario e ripiegandosi sopra se mede- simo in forma di cerchio, si porta in alto, allo ester-. no, e quinci internamente ed inferiormente, passa al di sotto del fascette dei rami labiali, e diffonde le sue sottilissime propagini alle fibre dello eleva- tor comune e proprio del labbro superiore; si ana- stomizza in tal punto con i labiali superiori, e serve così di mezzo di congiunzione fra i rami palpebrali (1) Adottiamo la voce anastomosi per alludere alla unione dei filamenti dei vari rami, e non alla fusione sostanziale della polpa nervosa, come pretendeano gli antichi anatomici. 71 ed i labiali. Nella preparazione del plesso sott'orbi- tai'io egli è molto malagevole rinlraeciare e disco- prire il descritto ramoscello palpebrale con la sua ramificazione; l." perchè esso sì rinvenga a molta profondità e rasenti il periostio; 2." perchè trascor- rendo il canale sott'orbitale, poco pria di sortire si divide dagli altri rami componenti il fascetto del mascellar superiore; sorte così diviso e si discosta dagli stessi rami palpebrali inferiori od ascendenti. Questo ramo palpebrale, che per il suo cammino si merita il nome di palpebro- nasale , non si rin- viene descritto ed illustrato in alcun autore sì an- tico che recente di anatomia descrittiva e topogra- fica. La estrema cortesia verso di me sempre addi- mostrata dall'ottimo mio amico dott- Costanzo Maz- zoni mi offriva non ha guari occasione di osservare il detto nervo in una sua preparazione eseguita uni- camente per questo scopo. Designa, egli è vero, il prof. Calori nelle sue tavole anatomiche un rametto palpebrale, che montando in alto verso l'interno an- golo dell'orbila si anastomizza con una ramificazione discendente dal frontale interno: pero nella spiega- zione a fronte non lo considera in specialità, lo cal- cola nel gruppo dei palpebrali, non gli dà peculiare appellazione; omette poi del tutto di designare e no- tare la secondaria ramificazione che bordeggia il fo- rame infra-orbitario (1). Qualche traccia del nervo palpebro-nasale offre il prof. Sappey nel suo trat- tato di anatomia descrittiva; in quanto che fra i rami (1) Prof. L. Calori, Tav. anat. rappresentanti la struttura del corpo umano. Tav. II. fìg. I. Nevrologia. 72 ascendenti del sott' orbitale indica un ramo che si anastomizza con il nasale esterno: « parmi ces ra- meaux (rameaux ascendants) il en est qui se porte en dedans et qui va s' anastomoser avec le nasal externe « (!)• Omette anch'egli la descrizione della secondaria ramificazione che attornia il forame sot- t'orbitario. grossolanamente poi marca il tragitto del ramo anastomotico palpebrale; ond'è a credere che non precisamente il nostro ramo palpebrale abbia egli, come il Calori, inteso dimostrare; sibbene uno qualunque di quei rami palpebrali, che diffondendosi al muscolo piramidale del naso, alla caruncula, al sacco lagrimale, si anastomizzano con le ramificazioni del nasale esterno e del sopratrocleatorej formando il nostro ramo una delle varie, e non l'unica ana- stomosi dei rami palpebrali coi nasali e frontali. Dopo tutto ciò, con buona pace degli antichi e re- centi anatomici, io credo debba totalmente lo sco- primento di questo ramo anastomotico attribuirsi al dott. Mazzoni, ed a lui debba l'arte chirurgica saper buon grado della bella ed utilissima applicazione di questo suo studio anatomico alla pratica chirurgica, come avremo luogo a vedere nelle considerazioni. E concediamo pure a qualche sofìstico oppositore, che gli insigni sopracitati anatomici abbiano unica- mente inteso di fornire indizio del nostro ramo. Questo indizio mi si concederà altresì che in confronto della nostra illustrazione è si oscuro, si incompleto, si difettoso, che per niun conto toglie al dolt. Maz- (1) Traile d'anatomie descriplivo par. Ph. C. Sappey. p. 227 fig. 210. 73 zonl il merito della scoperta e della applicazione alla pratica chirurgica; tanto piiì che da veruno pria del Mazzoni si fa il menomo cenno della secondaria di- ramazione, la quale perciò esso lui intieramente ri- guarda per proprio scopritore. Richiamando ora alla memoria i punti dolorosi della nostra nevralgia, si rileva chiaramente che il dolore fisso al di sotto dell' orbita nella direzione del primo dente molare comprende il punto di emer- genza del nervo mascellar superiore dal forame sot- t'orbitale; corrispondono gli altri ai punti di termi- nazione periferica delle sue divisioni. Il dolore fis- sato neir ultimo periodo della nevralgia alla parte superiore e laterale del naso, capace sotto la pres- sione di suscitare gli slanci dolorifici, segna per l'ap- punto l'estremità periferica di quel ramo ascendente da noi più particolarmente indicato nella descrizione dei ramoscelli palpebrali, o meglio segna il punto anastomotico con le diramazioni del frontale inter- no (1). Veniamo ora alla esposizione del processo ope- rativo- (1) Tavola dei punti dolorosi. e .*' U-» 1 ] Emergenza del mascellare sunerio- bott orbitale a ì e .x' i •. • j re dal toro sott orbitano. Labiale I d .• ;i- 4 • • -e - Palnebrale runti di terminazione periferica. V' 1 I Punto anastomotico del mascellare I superiore con il frontale. 74 Situato il malato nella posizione orizzontale e sot- toposto all'ispirazione dei vapori del cloroforme, il dott. Mazzoni, assistito dal dott. Tassi e da me, pra- ticò un'incisione che cominciando a poche linee dal- l'ala destra del naso scendeva obliquamente all'ester- no ed in basso per la estensione di un pollice circa verso lo zigoma corrispondente, seguendo l' anda- mento naturale del solco naso-iugale. Divisi i te- gumenti, respìnta all'esterno la vena faciale, vennero anche divisi molti rametti arteriosi, che resero meno facile la ricerca del nervo sotto-orbitario. II quale, dopo avere con una sonda scanalata scansato l'adipe, respinto all'indentro il muscolo elevatore proprio del labbro, e portato all'infuori il muscolo canino, fu rin- venuto ed escisso con le forbici per la estensione di quattro linee circa. Il malato si sentì come per incanto sollevato dagli acerbi dolori, da cui era tormentato, e sotto una pressione metodicamente esercitata nei diversi punti, in cui s'irradiava il nervo, percepiva una sen- sazione di torpore, eccettuala la pinna del naso in cui provava pressoché le stesse molestie. Bastò questo fatto , perchè il dott- Mazzoni si decidesse con più risolutezza alla ricerca del nervo anastomatico: ricerca che costò moltissima pazienza al malato, e fornì una prova di più del sangue freddo dell'operatore. Aggiunse egli al taglio fatto una pic- cola incisione , che incominciava nel mezzo della prima e scendeva in basso in modo da formare un ipsilon rovesciato; e dopo venti minuti circa di pa- zienti indagini rinvenne il nervetto, lo recise per la estensione di tre linee circa, ed il malato si sentì 75 liberato da ogni mininio faslirlio, ed anzi la pinna stessa del naso si rese insensibile. La ferita fu riunita per prima intenzione mediante l'applicazione di due spille; si apposero la pezza bu- carellata, le filaccia, le lunghette e la solita fasciatura contentiva. L'operazione avea luogo il giorno 9 lu- glio dell'anno 1859 alle ore 10 ant. Seguiva l'ope- razione il dileguo totale della nevralgia; però veniva in scena poche ore dopo un apparato di sintomi che per qualche giorno tenne l'animo agitato nella tema di perdere l'infermo per fatto di una mera ed acci- dentale complicazione capace in poco tempo di per- dere qualunque infermo , sia desso colto da pura malattia medica o puramente chirurgica, sia operato o da operarsi. Eccone la storia dettagliata. Ore 9 pomeridiane. Smania, inquietezza, abbat- timento di animo, febbre preceduta da freddo con polso pieno e vibrato, cefalea, dolore al luogo della incisione cutanea, lingua velata di lieve intonaco gial- lastro, senso di bruciore allo stomaco. Prescrivo una semplice limonata ghiacciata e raccomando la quiete. Notte insonne: la febbre nelle ultime ore not- turne rimette con sudore generale, fluiscono orine scarse, rosse e sedimentose. 10 Luglio. Ore 9 antimeridiane. Dura la cefalea, la smania , 1' aggitazione; il malato si lamenta di bruciore all'epigastrio, eruttazioni frequenti, nausea, tendenza al vomito, vomiturizioni, qualche sussulto tendineo, febbre moderata, giallore della congiun- tiva bulbosa - (limonata tartarizzata-clistere compo- sto di olio di ricino (onc. ij), sale comune ed acqua di malva-), lieve scaricaalvinadi materia biliosa corrotta. 76 Ore 7 pomeridiane. Aumenta la cefalea ed il dolore della ferita: brividi ricorrenti seguiti da urente calore precedono l'aumento della febbre, conati al vomito: il gonfiore ed arrossamento della gota opera- ta non è straordinario (limonata come per lo avanti, si replica il clistere): notte agitatissima con sete in- frenabile, sudore verso il mattino- 11 Luglio. Ore 10 antimeridiane. Cefalea inten- sa, febbre violenta con indicibile smania ed abbat- timento nel morale dello infermo , lingua velata d'intonaco giallo, continua molestia all' epigastrio, frequenti vomiturizioni: la ferita nondimeno è di ottimo aspetto. Si toglie uno spillo della sutura at- torcigliata, ne fluisce del pus di ottima qualità ed in quantità punto non proporzionata colla gagliardia della febbre; che anzi comincia la ferita a cicatriz- zare nella parte più alta (solita bevanda - solito clistere - fomentazioni di camomilla sull'epigastrio): lieve scarica di materie biliose. Ore 5 pomeridiane. Vampe di calore alternate da brividi al dorso e da freddo ai piedi; aumento di tutti i sintomi. Ore 9. Id. - L'infermo è in uno stato deplorabile, mentre le condizioni della ferita sono ottime e la cicatrizzazione avanza: lieve quantità di materie bi- liose rende* di quando in quando nei ripetuti co- nati di vomito: lingua sordida ed asciutta velala di tinta subicteriea ; bruciore intenso e senso di peso allo stomaco; ventre meteorizzato, prostrazione, lieve sopore interrotto da frequente gemito; qualche singhiozzo, cute ardente, orine rare rosse facili ad alterarsi oon sedimento ocraceo , simile cioè alla 77 polvere di mattone. (Olio di ricino onc. jii - solfato di chinino gr- XXIV da prendersi in varie volte ap- pena si manifesta il sudore). Si toglie il secondo spillo della sutura attorcigliata. Nella notte abbondevoli scariche alvine di ma- terie fetenti, biliose: profusissimo sudore generale: s'incomincia l'amministrazione del solfato. 12. Matl. Febbre in larghissima remissione con polsi larghi, espansi, ondosi, equabile allievamento di tutti i sintomi- Persiste però tuttora amarezza della bocca , qualche nausea ed il senso di peso e di cociore allo stomaco, quantunque molto di- minuito (solfato di chinino gr. XII in quattro car- tine - limonata.) Ore 7 pomeridiane. Lievissimo aumento dellia febbre ; notte tranquillissima; l'infermo prende lungo sonno, durante il quale si ricuopre di profusissimo sudore. 13. Matt. Perfetta apiressia: cessazione di tutti i sintomi: sollievo grande dell' infermo: resta solo qualche molestia all'epigastrio , e qualche termino ventrale: orine poco rosse e prive quasi di sedi- mento (solfato di chinino gr. XVIH, - limonata); prosegue la cicatrizzazione della ferita; fluisce dai bordi sotto la pressione lieve quantità di linfa pla- stica- 14 Luglio. Prosegue il miglioramento: orine sempre più vicine allo stato normale: rimane qual- che tormino addominale (infusione acquosa di ra- barbaro onc. iiij da prendersi a cucchiaiate lungo la giornata.) 78 Nei giorni successivi l'infermo ha graduatamente riacquistate le perdute forze fiaccate dai ripetuti gagliardi accessi febrili, non che il suo appetito; la ferita al nono giorno dopo l'operazione si è com- pletamente cicatrizzata, rimanendo una cicatrice ap- pena visibile ; non è ricomparsa la menoma mo- lestia, perduta ha del tutto la sensibilità nella destra gota, ed il labbro superiore del destro lato è leg- germente abbassato ; inclinazione dovuta al taglio indispensabile di qualche filamento buccale del nervo faciale destinato al movimento dei muscoli della faccia- Corre omai il quarto mese dalla operazione e r infermo gode della più perfetta salute , non mai bastanlemente lieto e giulivo per la cessazione del tormentoso suo male, che renduta gli avea odiosa ed insoffribile la vita. Considerazioni. In verità sconfortante riesce, a chi si voglia de- terminare per la escisione del fascio sott'orbitario nelle ribelli prosopalgie, il quadro degli insuccessi, delle recidive- E volendomi limitare a pochi esempi per amore di brevità, Marechal (1) tagliò di tra- verso il nervo infra-orbitale in una donna, la quale da pili anni era tormentata per intervalli irregolari da tic doloroso, e non ne ritrasse buon esito; poi- ché quantunque 1' ammalata dopo 1' operazione (1) Osservazioni inserite nell'opera di André: Sur les ma- ladies de rurétre. 79 dormisse quietamente per sei ore continue , non- dimeno i parossismi nevralgici tornarono in campo come prima. Nel 1776 Louis (1) partecipò alle per- sone dell'arte d'aver guarito radicalmente un religioso affetto da nevralgia facciale mediante il troncamento del nervo sott'orbitario; ma quel religioso, non molto tempo dopo l'operazione, ricadde nel pessimo stato di prima. Sabatier non fu più felice nella esecuzione di questa operazione di quanto lo furono Marechal e Louis. Francamente confessa i suoi numerosi in- successi il prof. Klein di Stutgard (2), il quale fra i chirurgi pose in opera il più gran numero di ten- tativi a questo riguardo. « Dopo la pubblicazione » ( scrive egli ) delle due osservazioni inserite nel » giornale di Siebold intitolato il Chirone , 1' anno » 1806, praticai l'operazione quattro altre volte, ed » il successo che ne ebbi fu soltanto un tempora- » rio sollievo per gli infermi , passato il quale la )) nevralgia facciale tornò ad infierire come prima » E con eguale ingenuità a quella del prof. Klein s esprime su questo argomento il prof. Delpech (3) « On a souvent entrepris la section du nerf sous- )) orbi taire. Cette opera tion n'a pres presqu' iamais » eu que des succès passegères ». In tutte le arti , e specialmente nella medicina e chirurgia, accade sovente in una minuta e diligente analisi dei fatti discernere se non tutte almanco le (1) Gazette de'santé n. 33. (2) Journal de Grecf et Walther t. III. 1822. (3) Sur Ics nialadies réputécs chirurgicales t. HI. 80 principali cagioni degli infausti eventi; onde risulta che spesso al precetto dell'arte si attribuisce il di- fetto dell'artefice. Vedemmo spesso rigettarsi un qual- che rimedio, un metodo operativo per i primi in- successi, e laudarsi in appresso, quando gli errori nel- l'amministrazione, i difetti nella esecuzione apparvero allo scrutinio di accurata indagine. E venendo al nostro proposito, noi crediamo a buon diritto di po- tere ridurre a tre fonti le principali cagioni degli insuccessi e delle recidive avvenute relativamente alla operazione chirurgica proposta a cura del tic doloroso. Fra le principali cause degli insuccessi si presenta alla considerazione, per la prima, la qualità del processo operatorio da molli adottato e dello scopo finale di questo stesso- Se si prenda a sub- bietto di esame la più parte dei casi, ove la nevral- gia subito o poco dopo si ridestò, si osserverà di leggieri che si prefìssero per unico scopo della ope- razione la semplice incisione del nervo affetto, la quale se interrompe la continuità di un tronco nervoso, ha l'inconveniente di permettere la successiva riunione del nervo inciso, e quindi non porta che un sollievo temporario; ovvero si prescelse un processo opera- torio incapace di raggiungere il fine principale della nevrotomia pei casi di nevralgia ribelle, che è quello unicamente di asportare una porzione del cordone ma- lato, ossia la escisione. Per gli studi fisiologici ognun conosce che i monconi dei nervi tagliati semplice- mente possono alla guisa stessa delle fibre contrat- tili ricongiungersi, e ricondurre così la sensibilità e la mobilità nelle varie parti che per il taglio di quelli ne rimasero prive. 81 Sono a tutti note le belle esperienze dello Spal- lanzani sopra la salamandra acquatica (Tritone) e del- lo Schwan soprale rane (I). Ma se dopo avere pa- tito la semplice sezione di un nervo si può riacqui- stare un grado anco notabile d'impressionabilità e di motività per il ricongiungimento delle fibre ner- vee secate, tanto è piìi difficile, per non dire impos- sibile, che queste funzionisi compiano di nuovo se avvenne che fosse reciso e tolto un buon tratto del nervo. Ed a questo proposito di lampo mi giovi ram- mentare gli esperimenti praticati sopra i cani dal prof. Luigi Malagodi, onore della italica chirurgia, avanti di accingersi a liberare Filippo Sarti di Bo- logna, con la escisione del nervo ischiatico nel terzo inferiore della coscia, da una insopportabile nevral- gia residente in tutte le diramazioni del detto ner- vo, che si distribuiscono alla gamba ed al piede; ope- razione totahnente nuova in chiiurgia che grande ri- nomanza fruttò all'illustre chirurgo (2). Vide il Ma- lagodi dopo dieci mesi ravvivarsi la sensibilità e la motilità nelle gambe posteriori di quei cani, in cui si era limitato a dividere trasversalmente il nervo ischiatico con una sola incisione portata sopra l'ori- gine dei due rami, tibiale e perroniero; mentre allo opposto la paralisi rimaneva costante e perfetta dalla (1) Il Descot narra che un uomo avendosi tagliato il nervo cubitale, ad un tratto perde l' impressionabilità al quarto ed al quinto dito , che poi a poco a poco venne riacquistando per la ricongiunzione certamente dei due monconi. (Surles af- fections locales des nerfs.) (2) Bologna 1830, Sul taglio del nervo sciatico. r..\.T.CLX. 6 82 metà della gamba fino alle estiemità delle dita in quei cani in cui più o meno asportò porzione del nervo. Non si fermò a questo primo esperimento; poiché al terminar del decimo mese, messi a morte tutti i cani operati , nella sezione osservò che nei primi un nodo di una sostanza bianca, della gros- sezza di una nociuola riuniva gli estremi divisi; men- tre nei secondi il nodo appariva in ambedue i mon- coni riuniti fra loro da un cordone ligamentoso in- termedio, che teneva le veci delia porzione del nervo asportato. Né pago ancora, per mezzo della mace- razione discopriva numerose fibrille di natura ner- vosa che passavano da un estremo all'altro dei nervi riuniti per un sol nodo ; in quello che il cordone ligamentoso scioglievasi in un tessuto celluioso. Onde conchiudeva, che il mezzo pili sicuro per impedire la riunione del nervo era quello dell' asportazione di una sufficiente quantità del medesimo. Ritenuto così per fermo che la semplice incisione non impe- disce la riunione dei monconi del nervo affetto, qual meraviglia che nella piiì parte dei casi gli accessi' nevralgici siansi ridestati, ove appunto dalla più parte dei chirurgi siasi prefìssa e si prefigga tuttora a sco- po ultimo della operazione il puro e semplice taglio del nervo malato ? Se però alla incisione o sezione del nervo si attennero mai sempre il Maiechal, il Louis, il Klein, il Sabatier, il Delpech tanto nella nevralgia sott'orbitale che in altre, l'insuccesso do- vca essere legittima conseguenza. « Ainsi Marechal, scrive il Valleix (1), opera ou tenta d'ope'rer le se- (1) Traile de nevralgie!» p. 210. 83 clion du nei'f (nella nevralgia trifacciale) sans au- cun succès : des chirurgiens plus modernes ont fait également des tentatives infructueuses ». Si limitò Louis nel caso sopra citato del religioso , come ci attesta Puiol (l) , alla semplice sezione del nervo solt' orbitario. « Ho tagliato , scrive il » prof. Klein , tutti i filamenti nervosi di un Iato » della faccia dal foro sott'orbitale all'angolo poste- » riore della mascella inferiore , approfondando il » taglio di tanto da toccare Tosso; ed in un indi- )) viduo ho replicato per ben quattro volte questa » incisione a differenti distanze 1' una dall'altra , e » nondimeno non ne trassi che un temporario e » passeggiero vantaggio ». Il Delpech, parlando di- stintamente della nevralgia delle varie branche del trigemello, si esprime nel seguente modo: « On a sou- » vent fait inutilement dans ces cas (nevralgia fron- » tale) la sec^/o/i du nerf frontale. . . On a souvent » entrepris (nella nevralgia sott'orbilaria) la section » du nerf sous-orbitaire. Cette opération n' a pres » qu' iamais eu que de succès passegères. . . Nous » avons vù pratiquer à son occasìon (nevralgia ma- » scollare inferiore), mais sans succès, les incisions » à l'interieur de la face, dans l'intention de diviser » une partie de ce nerfw.Egual sorte toccò a quei pratici che si attennero al processo di Bonnet, vale a dire alla sezione sotto cutanea nel taglio del nervo frontale e del sott'orbitario (Petrequin). Questo pro- cesso operatorio non solamente non permette che la semplice incisione; ma non garantisce nemmeno la (1) Sur le tic douloureux de la face. completa sezione del nervo. Egualissimo destino per l'identico inconveniente s'incontrò finalmente da quei chirurgi, che assalir pretesero il nervo sott'orbitario dalla parte interna della bocca, incidendo per l'esten- sione di un pollice e mezzo il solco che unisce il labbro superiore alle gingive. All' opposto brillante successo coronava due operazioni di M. A. Berard, dirette alla asportazione di una porzione del ner- vo (1) (Resection d'une partie du nerf). « Si l'on » ne considère que Tancienneté (mi sia lecito rife- » rire le parole del Valleix scritte a proposito di » uno de'casi del Berard) la violence, la gravite de » la nevralgie, la prompte disparition des douleurs » et la solidité de la guérison, c'est assurément là )) un des cas les plus concluants que nous possé- » dions » (Tr. des névralgies p. 212). Il novero dei felici risultati ottenuti per mezzo della escisione viene ora aumentato dal nostro caso, che se non per l'antichità, almanco per la violenza, per la gra- vezza della nevralgia, per la pronta scomparsa dei dolori, per nulla inferiore al caso del Berard citato dal Valleix nella dodicesima osservazione; così siamo certissimi eguale sarà per la solidità della guarigione. Una seconda fonte d' insuccessi o di recidive emana da una inesatta conoscenza della sede della nevralgia sott' orbitale, o a meglio esprimermi (2) dall'avere mancato antecedentemente alla operazione (1) Observations recueillies par M. Godin. Journal de conc. med. chir. mai 1836 p. 442. (2) Quel che in questo punto diciamo della sede della ne- vralgia sott'orbitaria è da riferirsi anco a tutte le nevralgie in cui può adoperarsi l'opera chirurgica- \ m di ravvisare i limiti della nevralgia ; in quantocliè dalla maggiore o minore estensione di questa dovca poi risultarne la indicazione o contro indicazione della escisione. Ed in vero ora il dolore si limita unicamente ai rami cutanei del mascellar superiore, ossia ai' rami sott'orbitali; ora partecipano alla ne- vralgia sott' orbitaria i soli rami alveolo-dentari anterior-superiori ; tal altra volta infine si spande a tutta r arcata dentaria superiore, al corpo della mascella superiore, al palato, all'osso malare, alla tempia corrispondente, all'interno dell'orecchio, se- guendo il tragitto dei rami dentari, del ramo or- bitario e sue ramificazioni malare e temporale, del gran nervo pietoso superficiale. Egli è chiaro che nel primo caso , ove il dolore solamente occupa i rami cutanei, la resezione nel forame sott'orbitario sarà bastante ed indicata ; ogni operazione torna però insufficiente ed inutile ove la nevralgia risalga ai rami che si distaccano profondamente dal tronco nella fossa sfeno-mascellare ; ciò che sta ad indi- care che la malattia si estende fino alla origine del tronco nervoso. Quando in questo caso si tenti di escidere il nervo alla sua sortita dal forame sot- t'orbitario , rimarrà fisso il dolore , anzi infierirà , negli altri punti. Ad ottenere certa guarigione si converrebbe portare il tagliente fino al forame ro- tondo della grand' ala sfenoidea; lo che niun chi- rurgo oserebbe nemmeno di pensare. Che se poi i filetti alveolo-dentari anteriori partecipano soli alla nevralgia, è d'uopo in allora per assicurarsi del- l'esito, seguendo le norme ed il consiglio del Mal- gaigne, escidere il nervo nel suo canale medesimo: 86 operazione oltremodo difficile. Ecco qiinnto è indi- spensabile una attenta considerazione sopra la sede della nevralgia avanti di accingersi a qualunque ma- nualità ! Non rimarremo dopo ciò più meravigliati se molti chirurgi hanno veduto persistere il dolore nevralgico nelle arcate dentarie, nello zigoma, nel- l'osso mascellare, anco dopo la stessa escisione del fascio sott' orbitario- Lungo i soli rami sott' orbi- tari si spandeva il dolore nella donna operata dal Berard, come ne attesta il Valleix: « 11 y a dix-huit » ou vingt ans que sàns cause connue, ni coup ni » chute sur la joue , sans douleurs antécédentes )) des dents, de la màchoire superieure, elle fut prise » d' élancements dans le trajet du nerf sous-orbi- » taire gauche les douleurs se » repandent dans loute la joue: contractions, con- » vulsions des muscles de la face (1).» Ai soli rami sott-orbitari si circoscrisse mai sempre il dolore nel nostro caso ; in questo ed in quello il felice evento, la pronta guarigione giustificò la couìpleta indicazione della recisione. Né basta questa sola considerazione in rapporto alla sede della malattia in diseorso . avvene ancora una seconda di pura ragione medica e non meno della prima degna di studio. Sono legate talora le varie nevralgie a ta- luni slati morbosi generali, come p: es: nell'isteriasi, nell'ipocondriasi, nella clorosi ec, nei quali perciò (1) Valleix. Trait des névralg. Nevralgie trifaciale-dou- ziemeobservation. Nevralgie du nerf sous-orbilaire, resection du nerf, gaéfison. 87 opera stolta sarebbe V escisione di uno qualunque óe\ rami nervosi affetti, come che la malattia, quan- tunque apparisca solamente sopra talune ramifica- zioni, si estenda a lutto il nerveo sistema (1). In simili casi osservansi le nevralgie offendere sovente vari tronchi nervosi ad un tempo stesso ; si avrà p> e. la prosopalgia nel destro lato , la t)evralgia intercostale nel sinistro. Sono inoltre nella più parte dei casi poco durature e facili ad abbandonare un dato ramo per comparire il dolore sopra di un altro: così videsi talvolta alla nevralgia cervico-oc- cipitale tener dietro la nevralgia cervico-brachiale. La condizione però generale dello infermo, la sin- drome propria della clorosi, della ìsteriasi ec, l'in- stabilità e la breve durata delle nevralgie, sono tutte circostanze atte a dirigere il curante a ben altra fonte di rimedi, che l'esperienza ha provato capaci di guarire queste nevralgie che ben si meritano il nome di sintomatiche. Ma la cagione potissima degli insuccessi e delle recidive, ove si abbia anco avuto in mira la rese- zione del nervo sott'orbitario, si deve ascrivere alla incompleta escisione del nervo istessO' Invitiamo il nostro lettore a porre attenzione diligente alf an- damento del nervo palpebro-nasale (che non rare volte si vede mancare) discoperto o per lo meno meglio studiato dal dott* Mazzoni: ponga egli mente soprattutto alla secondaria ramificazione che at- (1) La terza osservazione del Valleix (nevralgie trifa- ciale gauche, plusieurs points douloureux à la pression) pre- senta un chiaro esempio di nevralgia Irif'aciale legala e sor- retta da ìsteriasi. 88 tonila il foro solt'oibilarìo ; rifletta alla sua pro- fondità, al discostamento dagli altri rami fino dal- l'egresso del forame sott'orbilario. Taluni chirurgi hanno creduto di comprendere nella resezione tutte le diramazioni del nervo sott'orbitario isolando per mezzo di una sonda cannellata tutti i filetti emer- genti da questo foro- Però non è facile, anzi dirò è impossibile, isolare in tal maniera anco il nervo pal|)ebro-nasale , come che rasenti l'osso e si al- lontani fin nell'interno del canale da tutti gli altri rami: difficile egli è, anzi dirò impossibile, con un colpo di bislorì o di forbici escidere insieme a tutti gli altri rami anco il nervo palpebro-nasale; mentre quand'anco venisse fatto di tagliare la branca ascen- dente del nervo palpebro-nasale, rimarrebbe sempre intatta la discendente o reflessa, la quale è da quella originata nel punto preciso di sortita dal foro sot- t'orbitario. Ad asportare perciò porzione del nervo palpebro-nasale è d'uopo averne antecedentemente esattissima conoscenza; è duopo ricercarlo paziente- mente nella sua origine, onde con sicurezza tron- care anco il ramo reflesso. Il maggior tempo impie- galo dal dolt. Mazzoni si fu appunto per ricercare accuratamente questa branca: si fu allora solamente che il dolore nevralgico cessò in un tratto; mentre persisteva tuttora, quantunque troncati già tutti gli altri rami del nervo sott'orbitario- Dopo ciò ognun comprende la ragione ed il modo della ricomparsa dell'accesso nevralgico subito o poco dopo l'osser- vazione, quando anco sia stata eseguita la resezione del nervo sott'orbitario. L'anastomosi del ramo ascen- dente del nervo palpebro-nasale con il frontale in- 89 terno e con il solto-trocleatore, l'unione della branca reflessa con i ranii labiali superiori, ci rende ora chia- rissima spiegazione della persistenza o della nuova comparsa del dolore nel foro sott'orbitario, nel labbro superiore, sul dorso del naso, sul sopracciglio, sulla fronte, in tutti quei casi disgraziati in cui si è pre- teso di avere reciso totalmente il nervo sott'orbita- rio. Ecco la vera ragione, per cui le resezioni pra- ticate diverse volte, rarissimamente siano riuscite ; raggiungendo cioè allora solo l'intento, quando per buona ventura sia mancato il nervo palpebro-nasale. Ed ecco altresì la necessità per molti chirurgi di aggiungere alla resezione la cauterizzazione profonda, la quale adoperata quasi istintivamente, senza cioè in- tenderne il vero motivo , sarebbe stata inutile ed omessa quando in antecedenza si fosse avuta con- tezza del nervo da noi tante volte nominato. Per lo che niuno m'incolperà di precipitazione di giudizio se io attribuisca alla accidentale mancanza del nervo palpebro-nasale i due felici successi ottenuti dal Be- rard per mezzo della escisione del nervo sott'orbi- tale; mentre egli stesso fu astretto, per i suoi insuc- cessi, negli altri casi di unire al ferro la cauteriz- zazione per sicurezza dell'esito; come che con la cau- terizzazione, secondo che ottimamente asserisce il Bo- yer, non solamente si distrugge tutta la grossezza del nervo in un dato punto, in una data parte; ma si attacchino tutti i filetti nervosi che ne derivano in una estensione considerevole; e che potendo parte- cipare alla malattia di quello , sarebbero come il tropico principale suscettibili di mantenere il dolore dopo la recisione- Ed ecco infine come per questa 90 bella scopeHa del Mazzoni nuova luce sfolgoreggi alla patologìa chii'urgica. Ravvisate le fonti primarie de^- gli insuccessi, veniamo ora ad altre considerazioni. Fra le varie classificazioni della nevralgia trifa- ciale sembra a noi si meriti la più grande iinpor- tanza la divisione dello Ghaussier, che distribuisce la nevralgia a seconda de' rami piii interessanti del trigemello- Abbenchè per la sua precisione e somma ragionevolezza, seguita dalla maggior parte degli au- tori venuti dopo lo Ghaussier fino a noi; nondimeno molti in questi ultimi tempi, e segnatamente il Be- rard, hanno rimarcato che la divisione dello Ghaus- sier non si accordava presso che mai perfettamente con i risultati della osservazione: e che allorquando si descriveva una nevralgia frontale, sott' orbitaiia, dentaria inferiore, era duopo sempre intendere che i nervi di questo nome fossero principalmente e non esclusivamente affetti. « Un legame sì intimo, eglino riflettono, esiste fra le tre branche del nervo trige- mello, anche dopo la loro uscita dal cranio fino alla ultima terminazione, che è malagevole Io immagi- nare come possano essere affette isolatatnente. Nate da radici comuni elleno hanno in seguito , egli è vero, una speciale destinazione, ma i loro numerosi punti di contatto presso che in tutte le parti della testa rendono quasi impossibile la loro stessa distin- zione in nervi particolari. Giascuna di queste bran- che si trova in questo modo solidaria delle altre due ». L' opinione del Berard viene divisa quasi intiera- mente dal Valleix, come si raccoglie dal seguente passo: « Lorsqu' on désigne la nevralgie trifaciale sous le nom de nevralgie frontale, sous-orbitaire^ 91 eie ; il faut ontendre , ainsi que 1' ont fait re- marquer plusieurs auteurs récents , une nevral- gie , qui a son principal siége dans un de ces ra- meaux, mais qui s' étend le plus souvent à d'autres (p. 31) ». Dissi quasi inleramente. Dappoiché se in vista di osservazioni incontrastabili di nevralgie li- mitale ad una sola branca, e sopra tutto alla ma- scellare inferiore, egli parrebbe a primo abbordo in- clinare del tutto verso la divisione dello Chaussier, almanco in rapporto alla terza branca; nondimeno in appresso, per quello che il numero delle nevralgie li- mitate ad una sola branca sia oltremodo ristretto a fronte delle altre estese a più branche (1), sì per- (1) Giusta i calcoli di Valleix il numero delle nevralgie limitate ad una sola branca sarebbe al numero delle nevral- gie più estese come 2." 7: con tutto ciò gli sembra questa pro- porzione ancor troppo forte. « Il est méme possible que cette proporlion soit encore trop forte; car, dans plusieurs cas four- nis par les auteurs comme des exemple de nevralgie frontale cu dentaire inferieure, rien ne prouve q'on ait recherché avec soin la douleur, ailleurs que dans le trajet des nerfs princi- palement affectés Parnìi les cas ou la nevralgie n'affectait qu' une seule branche, la maladie existait le plus souvent dans le nerf dentaire inferieur; alors la douleur pa- raissait complétement indépendant, tandis que dans plusieurs cas de nevralgie frontale, le malade éprouvait, pars mo- ments quelques douleurs vagues , qu' il n'etait pas possible de localiser. Il faut conclure de là, qu' on pourrait a la ri- gueur faire une categorie particuliere des névralgies de la troisiéme brandies; mais d'un autre coté nous trouvons plu- sieurs cas, dans lesquels, bien que la nevralgie existàl à un assèz haut degré de violence et avec des caractères distincts dans le nerf dentair inferieur, les rameaux de l'ophlhalrnique et du mer genitori Alessandro uomo di antica fede, abba- stanza agiato dei beni di fortuna, e Caterina Buda, donna delle prime del villaggio : ambedue per co- stumi, pietà ed onestà campeggiavano nella parroc- chia di Balignano. V. Egli era più piccolo di Paolo fratello carnale, nato nel 1786 il 3 di marzo, nove anni incirca pri ma di Domenico (che questi nacque il 28 di ottobre 1795 ed era il primogenito). Dando Paolo assai per tempo lampi di virile ingegno, fu dalla madre man- dato a Francesco Saverio Buda suo zio, e arciprete di Montenovo, dal quale essa pure era stata imbe- vuta di santissimi costumi e di ogni guisa di devo- zione. Questi non appena si vide alla sua fede com- messo il garzoncello, volentierissimo accoltolo se lo ritenne, e con quanta industria e benevolenza seppe l'educò. Poco appresso al sapiente consiglio della ma- dre fece fedo l'etretto. Perocché appresa la srammatica, G.A.T.GLX. ' "13 194 Nam grammaticam doctus, politiorum litterarum et mathematices studiis in longìanensi lyceo vacavit. In philosophicis vero et theologicis disciplinis do- ttore usus est Ioanne Baptista Buda avunculo suo, viro, ita vivain, docto sermoncs graecae , latinae , hebraicaeque linguae, atque iuris utriusque laureain merito. Is aliquandiu rhetor fuerat in sacro caese- natis ecclesiae seminario, prò qua postea cum emi- nentissimo episcopo Bellisoni lugdunensium comitia doctor theologus adiverat , ibique egregiam sibi suoque antistiti laudem paraverat; et lune temporis plebis Sextae archi presby ter, Paullum nepotem in- stituebat , cui (quod minus saepe) domestica con- tigit loGupletari doctrina. Sacerdotio auctus, tantam de se expectationem excitavit , ut statim curiones multi illum sibi adiutorem exposcerent: quibus cum satis duxisset faciendum , ita se apud omnes pro- bavit, ut postea discedens magnum sui desiderium ubique reiiquerit, Sed cum pietatis ac doctrinae fama in dies inclaruisset, vetustissime plebis Sancti Vi- ctoris archipresbyter renunciatus est; quod munus abstinentissime sanctissimeque annos viginti quinque administravit. Innumera animi ingeniique sui mo- numenta reliquit, inter quae, nisi hominis modestia obstitisset, eiusdem plebis suae historiam, quam stu- dio ac labore diuturno oondiderat, haberemus. Sed de hoc hactenus; oportebat enim de ilio dicere, ut infra unicuique patebit. Nunc ad Dominicum re- vertar. VI. Singulari cura parentes puerum instituere, piotate litterisque primoribus imbuere, omnique ur- banìtate qxornare ceperunt ; quod cum bene ccs- 195 attese agli studi di belle lettere e di matematica nel liceo dì Longiano. Ebbe a maestro di filosofia e teologia Giovanni Battista Buda suo zio, dotto in verità del greco, del latino, e dell'ebraico, e nel- l'uno e nell'altro dritto laureato. Costui era stato per lungo tempo retore nel ven- seminario della chie- sa di Cesena, per la quale dipoi erasi recato dot- tore teologo al concilio di Lione coH'emo vescovo Bellisomi; e quivi fece un bell'onore a se e al suo vescovo. In quella stagione essendo arciprete di Pieve di Sesto , istruiva Paolo suo nipote , cui toccò (e rado è il caso) di erudirsi a dovizia in casa. En- trato al sacerdozio, destò tanta aspettazione di se, che tosto molti parrochi lo richiesero per aiuto; ed egli avendo stimato di dover loro compiacere, cosi entrò nelle grazie di tutti, che poi partendo lasciò dovunque gran desiderio di se. Ma la fama della pietà e della dottrina sua crescendo ogni dì, fu fatto arciprete dell'antichissima pieve di s. Vittore, mi- nistero che con tutta integrità e religione esercitò per 25 anni. Ci lasciò immancabili memorie del suo buon cuore ed ingegno, tra le quali, se la modestia non lo ratteneva, avremmo la storia della stessa sua pieve, intorno a cui avea posto studio e fatica ben lunga. Ma basti di Paolo: che occorrerà parlarne, come si vedrà qui sotto. Ora tornerò a Domenico. VI. I genitori presero con cura straordinaria ad allevarlo fanciullo, a crescerlo nella pietà e nelle pri- me lettere , ad insegnargli ogni bel garbo : il che 196 sisset, brevi exacto tempore, peracre illius ingenium ad humanitatem natum haud dubiis argumentis fa- cile cognoverunt. Quare in disciplinam Panili fratris, hominis, ut dictum est, cordati ac probatissimi, tra- diderunt , quo doctore difficile dictu est quantum statim profecerit. Litteris latinìs non leviter instru- ctus, cum iam aetatis annum ageret quintum supra decimum, et singulari quadam iudicii gravitate, mo- rum integritate, modestiaque fiorerei, ecclesiae no- men dedit ; quo facto impensius in studia maiora incubuit, doclrinaque erudiri summa vi cupiens, iam digito ab aequalibus municipibusque monstrabatur. Politiores litteras edoctus, ad quas natura apprime comparatus erat, ad philosopbiam animum applicuit, et diligentia ac profectu aetatem supergressus, ho- minum expectationem superavit. Postremo theolo- gìcis disciplinis loto pectore vacavit , ut t:mdem , quod vehementissime cupiebat assequeretur, et sa- cerdotio augerelur. Sibi enim bono fato cessit do- clorem sortiri Aloysium Baidininium canonicum do- ctrinae pietatisque laude florentissimum, graecis la- linisque litteris eruditum, atque optime caesenatensi de ecclesia meritum , de quo cum plura nobis di- cenda essent, modestia hominis in praesens praete- rire cogimur. Sed cum praeceptoris laus praecipue in discipuli sapientia contineatur, hoc unum affir- masse sat erit, Dominicum auditorem suum, suique dignissimum fuisse. VII. Interea cardinalis Franciscus Xaverius Ca- slilioneus tunc temporis caesenatum ecclesiae pon- lifex, et postea Pii Octavi nomine pontifìcatum ma- ximum adeplus, de virtute ac doctrina adolescenlis, 197 riescilo a bene , di là a non molto si avvidero di leggieri e a prove sicure, che il suo svegliato in£?e- gno era nato alle lettere. 11 perchè Io misero alla scuola del fratello Paolo uomo sagace ed espertis- mo, come accennai, e sotto una tale scorta quanto prestamente approfittasse non si dice a parole Am- maestrato e bene nella lingua latina , essendo già nei 16 anni, ed in pregio assai per una certa sin- golare assennatezza, integrila di costumi e modestia, SI rese cherico. Dopo ciò, intese più di forza agli studi più alti , e spasimando d' imparare , già dai compagni e cittadini veniva segnato a dito. Avendo appreso belle lettere, alle quali specialmente era na- to, applicò l'animo alla filosofia, e con la diligenza e il profìtto andato innanzi all'età, vinse l'aspetta- zione comune. Da ultimo si mise a tutt'uomo negli studi teologici a fine di conseguire una volta il de- sideratissimo intento, e divenir sacerdote. Perocché Ja buona fortuna volle che gli toccasse a maestro Luigi Baldinini canonico, fior di dottrina e di bontà, erudito di greco e di latino , e benemerito quanto mai della chiesa cesenate, del quale dovendo noi dire pm cose, per ora la modestia sua ci costringe passar- cene. Per altro siccome la lode del precettore si rac- chiude segnatamente nella sapienza del discepolo , così ci contenteremo solo affermare che Domenico fu suo scolaro, e degnissimo di lui. VII. In questo mezzo il cardinale Francesco Sa* verio Castiglioni allora vescovo di Cesena , e poi pontefice massimo col nome di Pio Ottavo, fatto certo della virtù e della dottrina del giovanetto che 198 ({(li hypodiaconalum petieiat, certior faclus, saci'is epistolis initìavit; ac non multo post ad se vocavit, atque in sacro seininaiio alumnis contubernii ma- ioris praefecit, quo in munere ita se omnibus pro- bavit , ut uno ore iaudarelur. Deinde sacris evan- geliis initialus, cum rem theologicam diurna nociur- naque manu versaret, et probe calleret , nullaque intermissione libros tereret, eo pervenit, ut triginta octo tboses publico in certamine tueretur, maxima doctorum hominum frequentia , coram eminentis- simo episcopo, qui magnis illuni laudibus extulit , atque numismate argenteo donavit- Laelabatur enim anlistes optimus de adolescentis Victoria , iucun- damque capiel^t voluptatem, quod illum magno ec- clesiae usui futurum doctrina ac pietate intelligebal: quare libens volens eodem anno millesimo octin- gentesimo decimo septimo pridie idus novembris sacramento ordinis consecravit. Quibus piis exerci- tationibus et commentationibus animum perpolive- rit, ut digne tantum ministerium fungi posset; qui- bus precibus auxilium a Deo , a Virgine maire , superisque omnibus enixe efflagitaverit , hoc loco praeteream , ne brevioris commentarli fìnes tran- sgrediar. Hoc tantum affirmarim, excolendo virtu- tibus animo se totum dedlsse , ut non tam ornari dignitate , quam illam moribus ornare videretur. Quare ab inito sacerdotio semper sibi et doctrinae, suadente apostolo, attendendum putavit, omniaque pefagenda quae ad maiorem Dei gloriam conduce- rent. VIH. Sed cum piane sentiret neminem Deo in- servire posse, nisi qui se ad superiorum arbitrium 199 avea richiesto il suddiaconato, glielo conferì, e non guari dappoi lo chiamò a se, e lo fece prefetto della camerata maggiore del seminario, dove si portò così bene che tutti ad una se ne lodavano. Appresso or- din? j diacono, studiando dì e notte teologia, e bene istruitone, col continuo svolgere i libri, giunse a tale che sostenne trentotto tesi in pubblico esame alla presenza di moltissimi dotti e dell'emo vescovo che lo commendò assai e lo donò di una medaglia di argento- Che quell'ottimo principe si rallegrava della vittoria del giovane^ e pigliava un gusto grande veg- gendo che la dottrina e la bontà di costui frutte- rebbe largo alla chiesa : onde dì tutto cuore nel- l'anno stesso 1817 il 12 novembre lo consacrò sa- cerdote- Con quali divoti esercizi e meditazioni ei si acconciò per potere degnamente portare sì grande carico , con quali preghiere ed istanze richiese di aiuto Iddio, la vergine madre e tutti i santi, tacerò qui per non oltrepassare i confini di un commen- tarietto. Dirò solo che egli si diede tutto all'acqui- sto delle virtiJ, da mostrare non già di ricevere or- namento dalla dignità, ma di adornarla egli coi pre- gi suoi. Di che dal giorno che fu sacerdote, attese sempre a se ed agli studi , giusta l'ammonimento dell'apostolo, e a ftjre ciò che tornasse a maggior gloria di Dio- VIII. Ma conoscendo appieno che niuno può ser- vire a Dio, se adagiandosi nel volere dei superiori 200 fingens illorum eliclo audiens sit , suam ad oorum nutum voluntatem ofnnino subrnisit. Itaque iussus prò doclore theologo, qui ad versa utebalur valetu- dine, theologiam quam dogmaticam vocant tiadere, oblalum munus , etsi modestia eius ab ilio abhor- reret , ex. obcdienlia suscepit , atque inlegi'urn per annum demandatam sibi provinciam praeclare ges- sit. Octobri mense cum feiiaretur pro-rector, et no- vembri magister pietatis dictus est , quod officium libenti quidem animo accepit : nihil enim ilii un- quam optabiliùs aut carius fuit, quam pietatem co- lere, et ad pietatem hominum mentes allicere. Qua- mobrem ad hoc omnem operam contulit: et quanta assiduitate, diligentia, et charitate suscepti muneris partes expleverit facilis admodum coniectura, si in memoriam revocabimus, nuUam illarum virtutum, quae pium ac religiosum hominem commendant, ei defuisse. Eodem fere tempore grammaticam, quam supremam vulgo appellant, docuit , at brevi : nam maiora illuni praestare posse, quo erat ingenio ac doctina, omnes facile intelligebant: quare novo anno Cad.olinus antistes clarissinius rhetoricam docere iussit. IX. Ea tempestate cum ego rhetor Sabiniani essem , quod oppidum ad Rubiconem summorum virorum fama adhuc florens parum Caesena distai, memini multa me de ilio egregia audivisse, quas- dam etiam poeticas lucubrationes peradmodum ele- ganles legisse (poesi enim sive latina sive italica delectabatur) liniendas cedro, et laevi servandas cu- presso , ut cum poeta loquar. Nec me latet alia multa vel soluta vel ligala oratione scripsisso ac in 201 non si porge ad essi obbediente, ai cenni loro sot- tomise ogni sua volontà. Per la qual cosa impo- stogli d' insegnare teologia dommatica in luogo del teologo che era malaticcio, per obbedienza si pigliò su queirofficio , con tutto che la modestia sua ne lo disiogliesse, e per un anno intero tenne con som- mo onore la cattedra. Nel mese di ottobre durante le vacanze fu fatto vice rettore, e nel novembre di- rettore di spirito , il qual ministero della miglior voglia accettò; che non ebbe al mondo desiderio più caro dell' esser devoto e far devoti gli altri. Dette adunque ogni opera a questo: e quanto fosse assi- duo, diligente, e amorevole nell'adempiere le parti del suo dovere, è facilissimo congetturare, se ram- menteremo, che non gli mancò niuna di quelle virtù che levano in fama un uomo pio e religioso. Quasi nello slesso tempo insegnò la grammatica couìu- nemente detta suprema , ma per poco : St'udochò tulli facilmente vedevano che con quelT ingegno e dottrina polca mettersi a cose maggiori: perciò all'en- Irarc dell'anno nuovo il chiarissimo vescovo Cado- lini lo fece maestro di lettoiica. IX. Di quei dì essendo io retore in Savignano, terra presso al Rubicone, famosa tuttavia d'uomini sommi, poco lontana da Cesena, mi ricordo d'avere udito maraviglie del Villani ; di aver letto ancora molte composizioni poetiche clogantissinie ( che in poesia vuoi latina o italiana si dilettava) degne di essei' unte di cedro e conservate in levigato cipres- so, a parlar col poeta- E so che scrisse e pubblicò molte cose in prosa e in verso, che gli fecero un 202 lucem protulisse , quae egregium illi nomen fece- runt , et mihì nunc brevitatis gratìa praetereunda sunt: quod minime obesi, in vulgus* enim edita cìr- cumfei'untur, nec meis certe laudibus egent- De hoc tamen reticere non possum , latinarum inscriptio- nutn optimum conditorem, et magislrum exlitisse: muUas etiam italico idiomale scripsisse , omnibus numeris absolutas, quas in lucem edere si quis cii- ret, haud mediocri litterarum, et studiosae iuven- tutis praesertim, commodo fore confido. X. Anno millesimo oclingentesimo trigesimo se- cundo cum Anionius Cadolinus, vir doctrinae et elo- quenliae laude nobilis ( qui postea ad pontifìcatum anconitanum translatus Inter patres cardinales adle- ctus est) caesenatum sacris praeesset, rogatu illius a politioribus litteris ad res theologicas , quae ad mores pertinent, tradendas deductus, desiderio an- tislitis et auditorum commodo mirifice satisfecit. Anno millesimo octingentesimo quinquagesimo pri- mo quum Henricus Orpheus multis honoribus ac muneribus insignis, cuius merita acquare prò digni- tate laus nulla facile potest, caesenati ecclesiae prae- fectus esset, ab ilio quem magni faciebat petiit, ut novam spartam buie addere vellet, atque ius cano- nicum alumnos doctre ; et ea qua erat docilitate , praesuli optimo morem gerere non recusavit, dupli- cemque provinciam donec vixit omni cura et indu- stria administravit. XI. Verum cum summo pietatis studio flagrarci, nihilque illi potius et antiquius esset quam in Dei et proximorum cultum vitam impendere, ex quo sa- cerdotali honeslalus est munere , de rebus divinis 203 gran nome , e che ora per brevità trapasso senza pregiudizio, poiché vanno per le mani di tutti stam- pati , né hanno bisogno delle mie lodi- Di questo solo non posso tacermi, come egli fu oltirao det- tatore e maestro di epigrafi latine: molte ne scrisse ajfiche in italiano compitissime; che se per taluno venissero messe alle stampe, porto opinione che le lettere e la gioventiì studiosa ci guada gnerebl>ero nofì poco. X. Nel 1832 posto al governo della chiesa di Cesena Antonio Cadolini , dotto e famoso oratore (che trasferito quindi al vescovato di Ancona fu creato cardinale), a richiesta di lui, dalla rettorica passato ad insegnare teologia morale , soddisfece in modo maraviglioso al desiderio del vescovo, e al profìtto dagl'uditori. Correndo il 1851, fatto vescovo di Ce- sena Enrico Orfei chiaro per molti onori e incari- chi sostenuti, e di meriti sopra ogni elogio, a lui che teneva in gran conto chiese in grazia che alla scuola della teologia volesse aggiungere anche quella di giure canonico; ed egli, docile come era, non si rifiutò al piacere dell'ottimo prelato, e con ogni cura e diligenza fé l'una cosa e l'altra. XI. Se non che amando egli accesamente la pie- tà , e nulla avendo meglio né di piii sacro che lo spendere la vita per amore di Dio e dei prossimi, da che fu decorato del sacerdozio, con ogni brama 204 nd populutn dicere loto pectore concupi vi t. Quare conciones aplìssimas elucubrare aggressus, brevi tem- pore confecit, in qiiibus non de verbis tantum, ut nonnullorutn mos esi, sed magis de rebus labora- vil; quamquam et concinnas et politiores fuisse ex mullis accepi, qui et auribus exceperunt, et sapien- ter perpendere polerant- Has multis in oppidis, et ce- lebrìoribus ditionis pontificiae urbibus, sive diebus adventus domini nostri Jesu Christi, sive quadrage- simalibus, summu hominum frequentia habere insti- tuit , quibus sìbi magnam nominis cxistimationem vìndicavit. At quum campum longe patentissimum atque uberrimum sacrae missiones offerre videren- tur , iis tolum se dedidit , descriplasque conciones omnino posthabuit, nec iis postea uti passus est. Cui tamen dederit, cum in scriniis post obitum eius re- perir! non' potuissent, an fiamma combusserit, an alia ratione dissipa vorit, satis comperlum non habeo. XII. Maximum ubique ex sacris missionibus fruc- tum percepit; nam vilae sanclitas, morum innocen- tia et comitas, christianaeque charitatis arder incre- dibilem verbis suis vim addebant. In bis semper eru- diendi ac docendi populum partes sibi assumebat , atque vix dici polest quantum strenue adimpleverit, cum omnia nalurae doctrinaeque praesidia ad boc attulisse videretur. Stylo simplici ad vulgi aures et ingenia accomodato, doclis tamen nec rudi nec in- grato, ea quae ad decalogi praecepta spectant tra- debal , laxiore ambitu declarabat : interdum etiam ex notissimis aptas similitudines captabat, ut hcì- lius meliusque auditoruni oculis rem subiiceret : deinde mirabili sane facundia , et parva ut ita di- 205 desiderò di predicare al popolo. Per cui messosi a comporre prediche a bella posta, in breve le compì: ed in esse non tanto si die pena delle parole, come è il vezzo di molti, quanto delle cose: sebbene erano ed eleganti e pulite, a quel che seppi da parecchi che le udirono e potevano assennatamente giudicare. Predicò in molti paesi e nelle città più celebri dello stato pontificio o nell'avvento, o nella quaresima, ad affollatissima popolo , e si guadagnò grande rino- manza. Ma sembrandogli che le sacie missioni of- ferissero un campo assai più largo e fruttuoso, vi si dedicò tutto quanto; e poste in non cale le pre- diche che avea scritto, non ne volle usar più. A chi tuttavia le abbia date, non essendosi dopo la morte di lui potute ritrovare, o le abbia bruciate, o strap- paté, non so. XII. Dalle sacre missioni cavò dovunque gran- dissimo frutto; perchè la santità della vita, l' inno- cenza dei costumi, non che lo zelo della cristiana carità, rincalzavano d'assai le sue pai'ole. In queste faceva sempre le parti del catechista , e appena si può dire quanto valorosamente vi riuscisse, parendo che l'arte e la natura lo avessero fatto appunto per questo. Con istile semplice > adattato alle orecchie ed alla capacità del volgo, non rozzo per altro né sgradevole ai dotti, spiegava i precetti del decalogo, li commentava , talvolta vi applicava similitudini tratte da cose notissime, per metter meglio e più facilmente in sugli occhi degli uditori la cosa; e se- guitando, con facondia al certo ammirabile, e con 20G cam sermonis declinatione, legrs praecepta ad usum revocans, de propri is officiis auditores conimonefa- ciebat, atque ut pravos relinquerent mores, virtulem- que amplecterentur, hortabatur. Omnes illum cupi- dissime audire, et ab ore dicentis pendere vidisses; nec fructus quidem aut tenues aut mediocres per- cipiebat, quod non sibi unquain, sed solius Dei be- neficio, et Virginis matris, quam miro amore a te- i>eris colere oonsueverat, prnesidio tribuebat. Exlat testimonium satis luculentum de ilio, quod hoc loco afferre minime dubitabo- Nam Cadolinus ipse, cuius in dicendo adhuc copia laudatur, affìrmare solebat, se neminem unquam audivisse, qui in tradendis chri- stianae doctrinae rudimenlis sumrna perspicuilate , ac simplici nitidoque oralioois genere Villanium an- lecelleret; neminem qui in magnam hominum fre- quenliam potentius latiusque dominaretur. Xni, Magisler pietatis optimus saepe etiam per slatos dies studio vilae potioris secedentibus ser- mones habere consuevit, nec solum quae ad mores corrigendos, et ad normam divinae legis confirman- dos pei'tinent exponebat, sed piissimis commenta- tionibus animos auditorum urgebat , vehemenliore oratione inflammabat , et in lacrimas ire cogebat. Nec mirum: nulla enim pars apostolico viro digna, ut antea dictum est , nulla dicendi facultas optimi oratoHs propria illi unquam defuit. Hisce laboribus, tantaquc mentis contentione, corporis constitutio la- befactari coopta est; quare supcriorum hortatu, quo- rum auctoritatem prò lege semper babuit, ab opere desistendum ratus, maiorem sacramcnlalibus confes- 207 piccola, dirò così, svolta di parole richiamava alla pi'atica i precetti della legge , avvertiva gli uditori dei propri doveri , e gli esortava a lasciare la rea vita, e abbracciar la virtù. Tutti gli avresti veduti ascoltarlo a bocca aperta e pendere dalle labbra del dicitore; né tenue o mediocre si era il frutto che ritraeva, e che non mai imputava a se, ina soltanto alla grazia di Dio, e all'aiuto della Vergine madre, cui fino da fanciullo fu usato di venerare e di ama- re tanto che fu maraviglia. Ne resta un testimonio assai luminoso che non temerò qui di registrare. Lo stesso Cadolini, di cui si loda ancora la facondia, so- leva affermare di non avere giammai udito alcuno, che nel fare i catechismi per chiarezza somma e per maniera di favellare semplice e nitido entrasse innanzi al Villani: niuno che avesse pili forte e piena signoria sopra la moltitudine. XIII. Eccellente maestro di spirito, come era, usò di predicare a quelli che si ritiravano per giorni stabiliti a fare gli spirituali esercizi: né solamente sponeva dottrine da correggere i costumi e confor- marli a norma della legge divina, ma con devotis- sime meditazioni scote va gli animi degli uditori , con calde parole gli infiammava e gli faceva pian- gere. E non è da stupirne: perchè noQ vi ha parte degna di un uomo apostolico, come si disse poc'an- zi , non facoltà di parlare propria ad ottimo ora- tore, che gli mancasse. Per tali fatiche e per grande intesa di mente la sua complessione cominciò a scrol- lare; per la qual cosa consigliato dai superiori, l'au- torità dei quali ebbe sempre per legge, a cessarsi da quella fatica, si mise con maggiore impegno a 208 sionibus excipicndis opeiam dodil: quo in ministorio singularis eius charitas et pi'udentia luirum in mo- dum emicuit. Neqae caetera saceidolis pientissimi officia Linquarn praetermittere passus est : quotidie enim sacrum facere, sacrum facienti adesse, horas canonicas i-ite pieque recitare: Sacramentutn augiis- lum per horae dimidiuiiì adorare, longis commen- lationìbus coelestia contemplari, conscientiam discu- tere, precibus opem divinain implorare in more ha- buit. Inter haec praeceptoris sapientissimi munia exe- quebatur: et qua erat doclrinae cupiditate, ne mo- menlum quidem temporis ad vires rePiciendas ne- cessarium in olio diffluere sinebat; sed a confessio- nibns excipiendis, caeterisque quas memoravi sacris exercitationibus, m] scholam, a schola ad studia, nulla intermissione progrediebatur, noctisque solidam par- tem diurnis horis adiungebat. XIV. Etsi vero lantis impeditus negotiis nunquam vacuus esse videretur, multis tamen gravioribus qui- dem rebus aliis vacabat. Anno octingentesiino tri- gentesimo quarto supra millesimum, oetavo kalendas decembris, inter canonicos ecclesiae caesenatis coo- ptatus, summa quotidie religione muneris sui vices luebatur. Quaesitor vicaria potestate perduellibus catholicae fidei vindicandis: item ecclesiae cervien- sis index synodalis , ac caesenatis synodalis iudex vice sacra suffectus, uti res postulabant intendebat, neque sibi unquam pepercit. Interea amicis non de- fuit, ignotis etiam opem suam petentibus ultro ad- fuit: cunctisque benefacere, Consilio et opera praesto esse toto pectore enitebalur , nec incommoda aut labores uniuscuiusque causa detrectavit. Facile alie- 209 confessare, e in tale ministero la singoiare carità e prudenza di lui maravigliosamente spiccò- Né per questo lasciò mai addietro cosa spettante alla pietà vera di sacerdote; ebbe in costume dir messa ogni dì, ascoltarla, recitare con la debita devozione l'of- fizio, adorare per una mezz'ora l'augusto Sagramen- to, tenersi in lunghe meditazioni sopra le cose ce- lesti, far l'esame di coscienza, volgersi pregando a Dio per aiuto- In questa compiva il dovere di sa- pientissimo maestro: e smanioso com'era d' istruirsi, non lasciava fuggire in ozio né anche un bricciol di tempo necessario al ristoro; ma dalie confessioni e dagli altri devoti esercizi sopra mentovati passava di tratto alla scuola, dalla scuola allo studio, e di buona parte della notte faceva giorno. XIV, Ma sebbene impedito da tante brighe pa- reva che non fosse mai disoccupato, pure attendeva ancora a molte altre cose più rilevanti. Nel 1834 a dì 24 novembre fatto canonico di Cesena, con tutto scrupolo osservava ogni giorno il debito suo- Dive- nuto vicario del s- offizio, come pure esaminatore sinodale di Cervia e pro-esaminatore sinodale di Ce- sena , secondo il bisogno si adoperava , né mai si risparmiava. In questo mezzo non mancò agli amici; a chi lo richiedeva di aiuto si prestava spontanea- mente anche senza conoscerli; far bene a tutti, gio- vare di consiglio e d'opera, era la sua ardentissi- ma cura, né per chicchcsifosse ricusò disagi uè sten- ti- Sentiva facilmente pietà delle altrui disgrazie, e G.A.T.CLX. 14 210 nis calamitalibus coinmovebatur, easque quantum in sua manu esset levare vel auferre studebat. Aegrolis et egenls ita praesens erat, ut nihii aliud magis in deliciis habere videretur. Sed cur omnia verbis pro- sequar ? Caetera sìlentio praeterire satius est , ne longius sermonem producam: multa enim dicenti , multa quoque dicenda succuirunt. XV. Hanc vitae rationem valetudine satis bona usus cum sequeretur, repente laevo laborare pede, caecoque tentari morbo cepit. Nam exeunte februa- rlo superioris anni gravi correptus dolore, cum pe- dibus insistere nequiret, lectulo se commendare coa- ctus est, Verum cum maximis dilaceratus cruciati- bus cubare non posset , in sella assidens ibi diu noctuque se tenuit, atque in summa dolorum acer- bitate summam patientiam prae se tulit. Nihil a ne- cessariis , amicis , familiaribusque quo sanìtati re- slitueretur praetermissum est: medici etiam, praeter qui in urbe erant, ex vicinia acciti: sed latentis vis morbi nullo medicamine vinci , nec leniri potuit. Tres ita menses transegit, et quanquam corpore in- firmo, invicto tamen pioque animo fuit. Solabatur amicos et affines , et quotquot invisebant; blandis etiam alloquiis , serenaque fronte cruciatns quibus vexabatur saepe tegebat. Pluries rite expiari et sa- crosanctis catholicae religionis mysteriis refici vo- luit. Assiduis precibus a Christo lesu Crucifixo et a Virgine Magna Perdolente, cuius amore loto vitae cursu deperire visus est, non corporis sed animae salutem enixe petebat: cumque coelestia solum inhia- ret, nil vehementius cupiebat, quam dissolvi et esse cum Chrislo. Decimo octavo kalendas quintiles, qui 211 studiava ogni modo possibile per mitigarle o ces- sarle. Agli infermi ed ai poveri poi era così beni- gno, che mostrava di non aver contento maggiore che spendersi in loro prò. Ma e a che dir tutto in parole ? Il resto mette conto non dire per non an- dare più per le lunghe: che piii se ne dico, e più ne resta. XV. Tenne questo tenore di vita finché fu bene in salute: quando all'improvviso gli venne male al piede sinistro, e non si sapeva che male fosse. Sul- l'uscire del febbraio dell'anno innanzi, preso da forte dolore, non polendo tenersi in sui piedi, fu costretto mettersi a letto. Ma per gli spasimi atroci non po- tendo giacere, fattosi porre in una sedia, vi stette dì e notte, e fra dolori acerbissimi ebbe una ras- segnazione incredibile. Dai parenti , dagli amici , e dai domestici, non si trascurò opera alcuna per ri- sanarlo: dei medici, oltre quelli della città, furono chiamati i più vicini; ma la violenza del male na- scosto non fu potuto per argomento alcuno vincere nò mitigare. Tre mesi passò così, e quantunque af- fievolito del corpo, pure dell'animo fu sempre saldo e pio. Consolava amici e parenti e quanti lo visi- vano: spesso con piacevoli parlari e con fronte se- rena dissimulava le pene che lo tormentavano. Volle più e più volte confessarsi e comunicarsi. Con con- tinue preghiere si raccomandava al Crocifisso e alla Madonna dei delori , di cui si mostrò innamorato tutta la vita, non già per la salute del còrpo, ma per quella dell'anima: e anelando solo alle cose ce- lestiali, non ardeva di maggior desiderio che di par- tire da quesCalbergOy e d'esser con Cristo. Il 14 di 212 dies nobis sempei' eiit acerbus , tanta vi morbus erupit, ut mortem imminere neminem ultra lateret. Sacro fuerat paulo ante infirmorum oleo inunctus, omnibusque ccclesiae sanctae donis instructus, quum subito et paene inopino exitu animam efflavit. Mala enìm gangraena, quae sponte serpere ceperat, vi- tiatis humoribus in tabem resolvit. Nemo buius viri mortem non luxit: et quantum civitali fuerit carus, moerore funeris perspectum est. Cui enim ammissio sacerdotis integerrimi et religiosissimi, nostris prae- sertim temporibus, non luctuosa accidere posset ? Cadaver eius funebri pompa elatum ac maiore in tempio expositum, iustisque de more persolutis, in patrum canonicorum sepuicro conditum est. XVI. Hominum sui temporis sive litteris sive dignitate clarissimorum amicitiis floruit, inter quos nonnullos honoris causa nominare ausim ; nam ex hoc etiam facile cuilibet patebit quanti fìeret, quem- que apud illos locum obtineret. Alexander Soli ca- nonicus, Ludovici Muratori immortalis nominis viri pronepos, inter familiares suos Dominicum retulit, multoque cum ilio litterarum commercio usus est. Carissimum etiam ac probatissimum habuere Mar- cus Antonius Parenti , Coelestinus Cavedoni , Au- gustinus Peruzzi, quorum in litteris fama insignis. Franciscus Gentilini , Raphael Bocci , Stanislaus Tomba, qui sibi Vijlanium adiutorem vicaria pote- state concupivit et saepissime postulavi!, antistìtes virtutibus et litteris praestantissimi illum in deliciis habuerunt. His addam lacobum lustinianum et Ioannem Iguatium Cadolinum purpuratos patres , 213 giugno , giorno sempre amaro per noi , il malore scoppiò sì fieramente che tutti sei videro in sugli estremi. Aveva poco prima riicevuto l'olio santo con gli altri conforti della chiesa, quando repentinamente e quasi all' improvviso morì , giacché la rea can- crena, che aveva cominciato ad insinuarsi liberamente avendo guasti gli umori, lo fini. Non vi fu chi non ne piangesse la morte : e quanto fosse nel!' amore dei cittadini, il corrotto dell'esequie lo dimostrò. K a chi in fé mia la perdita di un sacerdote integer- rimo e devotissimo potrebbe non venire dolorosa specialmente ai dì nostri ? Il cadavere fu trasportato ed esposto nel tempio maggiore alla solenne : ese- quiato giusta il costume, fu messo nel sepolcro dei RR. canonici. XVI. Fu neir amicizia dei personaggi più rag- guardevoli dei tempi suoi o per lettere o per dignità, fra i quali oso nominare alcuni per cagione di ono- re; che da questo pur anche si farà aperto ad ognu- no in quanto pregio egli fosse, e in qual grado ap- presso di loro. Il canonico Alessandro Soli, pronipote dell' immortale Lodovico Muratori , contò fra' suoi amici Domenico, e per lettera usò molto con lui. Lo ebbero anche carissimo ed amicissimo M. Anto- nio Parenti, Celestino Cavedoni, Agostino Peruzzi, celebri letterati. Francesco Gentilini, Raffaele Bocci, Stanislao Tomba, vescovi virtuosissimi e letteratis- simi, che lo desiderarono e più e più volte richie- sero per vicario , se ne deliziarono. Aggiungerò a questi Giacomo Giustiniani, Giovanni Ignazio Cado- 214 quorum alter perspicua praebuit benevolenliae suae indicia; alter ex quo cerviensem pontificatum ges- serai sibi devinxerat , plusquam dici possit , et ex animo dilexerat- Quanti vero fuerit apud eminen- tissimos episcopos Castilioneum et Cadolinum non solum quo tempore eaesenati ecclesiae praefuere , verum etiam poslea, iterum dicere supervacaneum est. Mittam alios qui et illum coluerunt, et singu- lari amore prosequuti sunt, ne longius quam deceat progredì videar. XVII. Statura fuit iusta , humeris nonnihii in- curvis: corpore satis vegeto, lata exporrectaque fron- te, facie ovata, capillo flavo, acribus ac caesiis ocu- lis, naso adunco. Quidam risus ingenuilatis suavi- tatisque plenissimus semper in eius ore efflorescebat. Incessus ac vestitus decorus, at modestiae et vere- cundiae testis. Sermone composito et facili, comi- tale et urbanitate summa utebatur: omnes huma- nissimc excipiebat. Candidus , apertus , sino fuco; amicitias officiis ac fide colebat. Idem benignus , liberalis, integritatis ac religionis custos tenax, de puerorum institutione egregie meritus , effusus in pauperes , frugi , abstinentissimus. Quid dicam de pietate eius in parentes, de charitate in fratres, de benevolentia in suos ? Omnibus iamdiu haec inno- tuere ; quod defunctorum laudes officio litterarum posteritati commendavit, vivos toto pectore ad extre- mum usque diem complexus est- De eius ingenio ac doctrina satis dictum arbitror: nihilominus unum addam, imaginem Ioannis Baptistae avuncuM , fra- 215 lini cardinali , il primo dei quali gli die a vedere chiaramente quanto bene gli voleva: il secondo fin da quando era vescovo di Cervia se lo aveva affe- zionato oltre ogni dire, e da cuore l'amò- Qual conto poi ne facessero gli emi vescovi Castiglioni e Ca- dolini, non pure in fino a che governarono la chiesa di Cesena , ma anche appresso , è inutile ripetere. Mi passerò degli altri che lo ebbero in pregio ed in amore speciale, per non essere piti prolisso che non occorre. XVII. Fu di una giusta statura, alquanto curvo di spalle, di corporatura ben vegeto; fronte larga e sporgente, faccia ovale, capelli biondi, occhi vivi e cilestri, naso aquilino. Gli spuntava sempre in bocca un sorriso tutto ingenuità e dolcezza. Dignitoso nel contegno e nel vestire, ma ad un tempo modesto e verecondo- Parlare aggraziato e naturale, garbato e piacevole quanto mai; faceva a tutti le più liete ac- coglienze, sincero, schietto, senza maschera: amico officioso e fedele. Così pure cortese, liberale, di una integrità e di una religione tenace; della educazione dei fanciulli assai benemerito ; tutto poveri , tutto bontà e disinteresse. Che dirò dell'amore che ebbe ai parenti, dell'affetto ai fratelli, della benevolenza ai suoi? Queste cose già tutti le sanno, perchè scrisse gli elogi dei defunti, amo i viventi fino all'ultimo respiro. Dell' ingegno e della dottrina di lui avviso di aver detto abbastanza. Ciò non pertanto aggiun- gerò che egli fu l' immagine viva di G. B. zio ma- terno, e di Paolo suo fratello. Della perdita dei quali 216 Irisque Paulli in se ad vivum expressisse. Quorum certe iactura frangi ac perpetuo contabescere debe- remus , nisi Karolos Paulli Dominicique germanus et Baptistae nepos, adhuc vivens, numeri damnum virtute ac doctrina summa pensaret- Utinam saltem hic diuturna vita frui, et tantorum virorum deside- rium quam diutissime nobis imminuere possit ! 217 noi dovremmo senza dubbio essere abbattuti e tra- fitti per sempre , se Carlo germano di Paolo e di Domenico, e nipote di Battista, ancora vivente, non iscusasse il danno del numero con la sua somma virili e dottrina. Oh ! che questi almeno possa vi- vere a lungo , e scemarne con la lunghezza della sua vita il desiderio di persone sì care. 218 VARIETÀ^ Civitavecchia e il suo ingrandimento quando nelVot- tobre 1857 la Santità di N. S- Papa Pio IX la visitava. 4.° Roma 1859. (Sono pag. 8). AJ uno scritto importantissimo non solo alla città di Civitavecchia, ma alla storia italiana, all'econo- mia e alle arti: e si deve alla penna del chiarissimo P. M. Alberto Guglielmotti, dell'ordine de' predica- tori , bibliotecario casanatense- Degno tributo di amore e di ossequio che l' illustre cittadino ha ren- duto alla sua patria. Fra le altre cose di singolar considerazione vi si parla del trovato dei moderni ba- stioni applicati al terreno, che dal Sangallo nel 1515, cioè prima del Sammicheli nel 1527, furono disegnati in un completo perimetro per chiudere ed ingran- dire Civitavecchia : di che sappiamo che darà una piij ampia dimostrazione nel lib- VII dell' insigne sua opera La marina pontificia. Pier- Alessandro Paravia e le sue lezioni- 8.° Mode- na 1858. (Sono pag. 28.) Non poteva il prof- Paravia, che i buoni ancor lamentano estinto anzi tempo, trovar lodatore della 219 sua vita , e giudice delle sue Lezioni di varia let- teratura, più competente del celebre professor Pa- renti autore di questo discorso. Noi invitiamo gì' ita- liani, specialmente giovani, a ben considerarlo per trarne profìtto di virtù e di vero gusto e spirito nelle lettere. Degli etruschi, e deW agricoltura, delV industria, delle arti presso i medesimi , discorso del conte Gian- carlo Conestabile professore di archeologia nelVuni- versità di Perugia, e presidente della pontificia ac- cademia delle belle arti della stessa città ec - 8." Perugia , tipografia Vagnini diretta da Giuseppe Ricci, 1859. (Sono pag. 48.) Fra i dottissimi dell'etrusco, che in questi giorni meritamente sono celebri in Italia e fuori, vuol certo annoverarsi il conte Giancarlo Conestabile perugino. Discepolo, amico, concittadino e successore del Ver- miglioli, ne mantiene egli nobilmente la scuola, come ben dimostrano le sue opere: le quali con ammae- stramento ed ammirazione si leggono pur da quelli che in cose di tanta oscurità e incertezza, massi- mamente quanto alle ragioni della lingua, non sanno ancora convenire in tutto nelle sue opinioni. Que- sto discorso è tale sì per erudizione, e sì per sa- gacità di ricerche e giudizi, che forse non ha il si- mile : e noi , senza tema di errare , lo reputiamo classico nella storia elrusca. 220 Della vila e deijìi scrini di GiambaUisla Bianconi , memoria- S-" Bologna tipografia alV ancora 1858. (Sono pag. 21 col ritratto del Bianconi.) Fra gli archeologi e grecisti del secolo XVIII un illustre nome acquistò l'ab. Giambattista Bian- coni nato in Calcara (comune bolognese) il 12 di maggio 1698 , e morto in Bologna il 13 di ago- sto 1781' Fu professore di lingua greca nell' uni- versità bolognese e custode del pubblico museo di antichità, seppe d'ebraico, e pubblicò varie opere, il cui giudizio è bello a leggere in queste memorie scritte dai valentissimo Luigi Fanti- Cenni per servire di guida ai forestieri nella ponti- ficia accademia di belle arti in Bologna pubblicali da Gaetano Giordani- - 12.° Bologna 1857, tip. Gov. della Volpe e del Sassi- (Sono pag- 64.) Negli scritti del sig. cav. Giordani non man- cano mai né la diligenza né il buon giudizio, es- sendo egli fra i più eruditi nelle cose specialmente delle belle arti, e tenendo con gran lode da molti anni rufficio d' ispettore dell' insigne pinacoteca del- l'accademia di Bologna. 221 Le odi di Anacr eonte e di Saffo tradotte dal padre lettore Bonaventura Viani dalla beata Chiara A. S- - 12.* Spoleto tipografia Bossi e Bassoni 1858. (Sono pag. 159.) Sono premesse diligenti vite di Anacreonte e di Saffo, né nmancano sobrie annotazioni alle loro odi. Della traduzione ecco un saggio- ODE XLV DI ANACREONTE Sopra gli strali d'Amore- 11 dio dal tardo piede, A Venere marito, Di Lenno un dì sul lito Fabbricava gli strali al ci'udo Amor. La bella Citerea Tempravagli col miele, Ma li spargea di fiele Il cieco nume che ferisce i cor. Dalla battaglia intanto Tornava a quel soggiorno Marte, rotando intorno 11 ferro struggitor delle città. E appena di Cupido I lievi dardi ei vide, Li sprezza, li deride, Sicché il fanciul stizzoso e fiei' si fa. E altro dardo prendendo In piglio aspro e furente, 222 Prova, disse, se ardente, Se grave è questo di tua lancia al par. In questo dir ei scaglia La stridula saetta, Che segno di vendetta A mezzo il cor va Marte ad impiagar. D'un bel sorriso il labbro Fiorì la dea di Gnido ; E rivolto a Cupido Il traccio dio, gettando un alto ahimè : Togli, disse cruccioso. Togli il tuo fiero strale. Che di troppo è fatale- E Amor; Tienlo in tuo core: egli è per te. ODE II DI SAFFO A Paone. De' numi al par beato Farmi colui che assiso A te, Faon, dallato. Si specchia al tuo bel viso, E di tua lingua snella Ascolta la favella. In estasi rapita Il cor mi balza in seno ; Farnetica, smarrita La voce a me vien meno In quel medesmo istante, Ch' io veggo il tuo sembiante. 223 Scorrere allor mi sento Entro le vene un foco, E tale io n'ho tormento, Ch' io non ritrovo loco : M'assorda un tintinnio, Né più parlar poss' io. Squallida nebbia scende Sull'occhio in pria giocondo, Vertigine mi prende, E par che roti il mondo : Tutto m* inonda il core Un gelido sudore. Al tremito funesto, Onde mia vita è presa, Smorta, coni'erba, io resto : E l'alma in due sospesa Non sa ben dir, se priva Io sia di vita o viva. Oltre ad Anacreonte e a Saffo ci dà pur tra- dotte il P. Viani r ode di Erinna a Roma , e le odi III , XXIV e XXXIV del libro I , e XIII del lib. II di Orazio. Annali d' Italia dal 1750 compilati da A. Coppi. Tomo IX dal 1846 al 1847- -8.* Firenze nella tipografia galileana di M- Cellini e C- 1859. (Sono pag. 280.) La diligenza e sagacità somma del cav. Anto- nio Coppi nel compilare gli annali d'Italia, in con- 224 tinuazione del Muratori, è a tutti ben nota. Que- sto tomo IX , pieno di grandi fatti candidamente narrati come appunto avvennero, è degno fratello degli altri iodati che lo precedettero, Navigatori italiani. lì sig. Pertz, bibliotecario di Berlino, ha sco- perto testé il giornale manoscritto di due naviga- tori genovesi Tedisio Doria ed Ugolino Vivaldi , i quali nel 1290 superarono il Capo di Buona Spe- ranza, cioè 207 anni prima di Vasco dì Gama. Erano però già noti i nomi dei due arditi navigatori : e sapevasi ch'essi scoprirono la prima volta le isole Canarie, le quali poi dimenticate, vennero nel 1341 di nuovo trovate dall'altro ligure Nicolò di Becco, la cui memoria fu degnamente ravvivata a' dì no- stri in Europa negli scritti dell' illustre Spolorno. Ragionamento del foro romano e de' principali suoi monumenti dalla fondazione di Roma al primo se- colo dell'impero, del cav- Camillo- Ravioli. 8-° Boma tipografìa delle Belle Arti 1859. (Un voi. di car- te XXV e 193.) Il foro romano è tanta parte della storia della grande repubblica e del grande impero, che in esso non ha palmo , per dir così , il quale non ricordi 225 alcun fatto d'immortale memoria. Quanti dotti hanno preso a illustrarlo ! E nondimeno quanti problemi erano ancora restati privi di soluzione ! il sig. cav. Camillo Ravioli con quel!' acume d' arte che tutti conoscono, congiunto ad una singoiar pratica degli antichi scrittori , ha ora messo in luce questo ragionamento , cui ninno vorrà negare il pregio d' importantissimo : perciocché non solo ci dà h storia del foro e de' suoi notissimi monumenti, ma tutte anche risolve , o senza più verun dubbio , o con somma probabilità, le cose che tenevano so- speso il giudizio degli archeologi. Né vuoisi con ciò defraudare della lode ben meritata 1' altra opera , che pure in questi mesi si è pubblicata dal sig. Elì- sio Luigi Tocco col titolo di Ripristinamento del foro romano. Al Ragionamento del sig. Ravioli tengono die- tro le magistrali Osservazioni sulla topografia della parte meridionale del foro romano e de' suoi pili ce- lebri monumenti^ dimostrata in quattro tavole, ed il- lustrata da una veduta generale, deW architetto Gio- vanni Monliroli. Storia letteraria di Sicilia dei tempi greci, di Do- menico Scinà da Palermo, con annotazioni ed ap- pendici di Agostino Gallo suo antico scolare ed amico- 8." Palermo stamperia della vedova Solli 1859. (Un voi. di pag. 392.) Attendevasi da molto tempo con vivo deside- rio quest'opera, la quale sape vasi essere stata la- G.A.T.CLX. 15 226 sciata inedita dal sommo Scinà. Non poteva in- fatti dubitarsi che non fosse degna e di tanto nome e della grande letteratura siciliana de' tempi greci: letteratura grande, ripetiamo, in tutti i rami del- l' umano sapere. Non furono siciliani Empedocle , Archimede, Dicearco, Ecfanto, Caronda ? Non fu- rono siciliani Stesicoro, Epicarmo, Teocrito, Mosco, Sofrone, Teognide, Filemone ? Non furono siciliani Lisia, Gorgia, Filisto, Timeo, e tanti e tanti altri di celebre fama ? Isola veramente privilegiatissima sempre ne' fasti dell' italiana sapienza. L'opera dello Scinà è qual credevasi dover es- sere, cioè ricchissima di dottrina, di nuove consi- derazioni e di critica. Aggiungansi le annotazioni del signor Gallo, che sono altresì di non lieve im- portanza. Il quale signor Gallo 1' ha ornata inoltre di tre appendici. La prima Sulle antiche leggi e sui legislatori greco-siculi ; la seconda Su i frammenti delle leggi di Caronda; la terza Intorno a Corace e a Tisia. Memorie storiche di talune costumanze appartenenti alle colonie greco -albanesi di Sicilia raccolte e scritte da Giuseppe Crispi, vescovo di LampsacOf professore di lettere greche nella regia università degli studi di Palermo ec. 8." Palermo tipografìa di Pietro Morrillo 1853. (Sono pag. 95.) Si leggerà con assai diletto e ammaestramento quest'operetta di monsig. Crispi , perciocché ricca di singolari notizie su tanti curiosi costumi greci. 227 0 pelasgici, che vanno tutto dì mancando nelle co- Ionie albanesi della Sicilia. Benché il libretto sia stampato nel 1853, nondimeno solo in questi giorni è giunto alle nostre mani per dono del celebre autore. Commenlario della vita e delle opere di Pompilio Pozzetti delle scuole pie, con lettere a lui indiriz- zale da celebri uomini e con vari elogi d" insigni scolopi in esse ricordati. Per Alessandro Checcucci dello stesso ordine- - S." Firenze nella tipografia calasanziana 1858. (Sono pag- 339, col ritratto del Pozzetti.) 11 P. Pozzetti , letterato assai chiaro , nacque alla Mirandola nel 1760, e morì in Bologna nel 1815, essendo stalo professore nelle università di Modena e di Vilna , poi prefetto della biblioteca estense , ed in ultimo bibliotecario dell' università di Bolo- gna. Era ben degno che alcuno imprendesse a scri- verne la vita : ed egregiamente lo ha fatto il va- lentissimo suo confratello P- Francesco Checcucci, arricchendola delle lettere di molti uomini illustri che carteggiarono col Pozzetti, come a dire di Se- bastiano Canterzani , Salomone Fiorentino , Carlo Antonioli , Girolamo Tiraboschi , Gian. Cristoforo Amaduzzi, Everardo Audrich, Antonio Cerati, Gio- vanni Arrivabene, Giulio Bernardino Tomitano, Fran- cesco Aglietti, Angelo Fabroni, Saverio Bettinelli, Giovanni Andres, Luigi Cerretti, Giovanni Paradisi, Urbano Lampredi, Angolo Mazza, Antonio Gagnoli, 228 Giambattista Baldelli, Gaetano Del Ricco , Iacopo Morelli, Iacopo Baldovinelti, Michele Antonioli, Mel- chior Cesarotti, Sante Fattori, Simone Stratico, Mi- chele Vincenzo Malacarne, Francesco Soave, Gio- vanni Fabbroni, Tommaso Valperga di Caluso, Pie- tro Antonio Bondioli, Ferdinando Landi, Floriano Caldani, Luigi Uberto Giordani, Alberto Fortis, An- tonio Bertoloni , Luigi Bramieri , Pietro Ferroni , Gregorio Fontana, Melchiorre Delfico, Luigi Lanzi, Giambattista Savìoli, Carlo Amoretti, Isidoro Bian- chi, Paolo Costa, Vincenzo Monti, Giuseppe lacobi, Giuseppe Grimaldi , Giovanni Carmignani , Andrea Molza , Gioacchino Pessuti , Francesco del Furia , Francesco Fontana, Francesco Appendini, Giovanni Labus, card. Carlo Oppizzoni, Gian-Francesco Na- pione. Liberato Baccelli, Luigi Lamberti, Giuseppe Barbieri, Pietro Giordani, Gaetano Palloni, Giuseppe Luosi, Giuseppe Pagnini, Luigi Brera, Teresa Mal- vezzi, Luigi Baroni, Giuseppe Baraldi, Filippo Re, Silvia Curtoni Verza, Vittorio Fossombroni- Seguono gli elogi con molto amore, dottrina ed eleganza dettati di XVII illustri scolopi : e sono , Paolino Chelucci, Giovan Carlo Bossi, Eduardo Cor- sini, Bernardino Vestrini, Everardo Audrich, Carlo Antonioli , Gregorio Fontana , Stanislao Canovai , Gaetano Del Riccio, Iacopo Baldovinelti, Eustachio Fiocchi, Urbano Lampredi, Massimiliano Ricca, Eu- sebio Castiglioni, Luigi Baroni, Francesco Appen- dini e Liberato Baccelli. 229 De landibus rììarchionis loannis De Andrea , domo Neapoli, ex Troiae comilihus in Apulia , ex dtj- nastis aremanensium in Samnioy ad Hieromjmum S. R. E. cardinalem eiusdem praeclarissimi viri filium. 4. Romae 1859- (Sono pag. 12.) Intorno alla vita del marchese Giovanni d'An- drea molti scritti sono esciti alle stampe italiani e latini , ed alcuni di essi fregiano questo giornale. E veramente il d'Andrea fu uomo insigne e come ministro del re del regno delle Due Sicilie, e come assiduo promotore di civiltà , e dottissimo e reli- giosissimo. Aggiungasi ora agli altri scritti questo poetico latino del P. D. Tommaso Borgogno so- raasco: e già il solo suo nome vale un elogio. Esso è diretto al degno figliuolo del marchese, all'emi- nentissimo signor cardinale Girolamo, prefetto della sacra congregazione dell' indice , e personaggio di quell'alto animo e di quella rara cortesia che tutti onoriamo. Oh con qual valore il Borgogno ha sa- puto dire qui e qua in versi latini d'oro tante cose difficilissime a dirsi anche in huon italiano ! Ma non fa maraviglia chi ha lotto altri versi dell' illustre professore. Leviamone un saggio. lamque dies aderat, qua tandem sede recepta Munifica rex ipse manu daret ampia merenti Praemia Fernandus. Fidei nec defuit hercle Hic tantae: regni siquidem vix carperò habenas Littore trinacrio rediit, campestria iussit Olia deserere, et senis volventibus annis Fungier officio cui summa est eredita cursus 230 Publici, et ingcnio dignas ibi conderc leges, Quae simul et populi, et regalis commoda gazae Pt'ospiccrent. Dubiis nec iam rationibus ipse, llegis iussa sui caplans, boc munere sese Et dignum exhibnit, quin et maioribus aptum. Namque ipse assiduos impendens rite labores Sic vires oneri applicuit, sic mente animoque Inslitit, ut populi et regis sibi pectora amore Vinxeiit, ac celeri cuisn pervenerit illuc Robur ubi lantae fidei, ac solertia mentis Luce sua primis i'ulgeret honoribus aucta. Seditio sed enim patriis quae irrepserat oris, Atque iterum, vafris auctoribus, inclyta regna Miscere, et regem depellere contendebat, Ipsìus ante novis mentis clarescere nomen Causa fuit veterem in dominum, qui peotinus inde, Mensibus elapsis paucis est reddita postquam Tuta quies, iussit curare impendia regni Proventusque sui; populari namque tumultu, Milite et accito viduata aeraria nummis Insignem probitate virum ingenioque petebant, Cuius Consilio, atque animi virtute volentis Restituì possent, cupidasque avertere fiaudes. Munere qui fungi iussus, mirabile dictu est, Ut vigil ac prudens, ut servantissimus aequi, Nedum versutas comedonum diruit artes. Rebus et angustiis valuit succurrere fisci; Sed simul ut populi incolumis fortuna maneret, Cresceret atque novis band vectigalibus auctum Praestitit aes regni, quod nuper sumptibus impar Max etiam suffecit opes quibus ampia paterent 231 Tecla sodalitiìs sacris, ubi sumeret apte Pinguia doctrinae ac mornm praecepta inventas. // concetto della Divina Commedia di Dante Alighieriy dimostrazione di Francesco Berardinelli della com- pagnia di Gesù. 8.° Napoli , Gabriele Rondinella editore, 1859- (Un voi- di carte Vili e 406.) Questa bella e grave opera è tutta in dimostrare e mantenere la sentenza , già pur da altri difesa * che la Divina Commedia è poema essenzialmente religioso, nel quale non è che accessoria la parte politica. Lasciamo farne il sunto allo stesso valen- tissimo autore. » Sono due (egli dice a carte 488) le allegorie » della Divina Commedia. Nella prima l'autore de- » scrive un suo stato di miseria, simboleggiato nello » smarrimento per una selva , gli sforzi che fece » per camparne avviandosi verso un colle, e fìnal- » mente gli ostacoli, da' quali fu impedito, figurati )) da tre feroci animali, da una lonza, da un leone, » e da una lupa. Ma ciò che non potè, affrontando )) per diretto le fiere, ottenne compiutamente con y\ un viaggio straordinario, che colla scorta di Vir- » gilio fornì per l'Inferno e pel Purgatorio, e colla » guida di Beatrice pel Paradiso. Per tal maniera )) egli si schermì di quei mostri, e fu libero da' pe- j) ricoli di quella selva. » Questo viaggio pertanto costituisce la seconda » allegoria così strettamente intrecciata colla prima, 232 )) che il bene rappresentato da essa è procipna- )) mente ordinato a liberare dal male rappresentato » dall'altra. Però qual argomento piìi certo per av- )) verai'e la significazione della selva e degli animali, )) che fermare il significato allegorico delle tre can- )) tiche del poema ? E noi vedremo che il giro per » r Inferno significa la contemplazione delle pene » per indurre le disposizioni necessarie a ricevere » con utilità il sagramento della penitenza: siccome )) di fatto lo ricevè il poeta innanzi di essere am- )> messo nella porta, dove ha cominciamento il Pur- )) gatoiio. Vedemmo inoltre che il cammino di que- )) sto secondo regno è in figura ciò che debbe ope- » rare il penitente già prosciolto dalle colpe, che è )ì soddisfare per esse, diradicare gii abiti viziosi, ed » informare i buoni: ed ei lutto questo effettuò con » tanta perfezione, che il suo libero arbitrio potea » rendere immagine di quella dirittura primitiva , )) nella quale l'uomo nella sua origine fu creato da )) Dio. Finalmente stabilimmo che la elevazione del » poeta in cielo, nel senso inteso da lui, altro non )) è che perfetta contemplazione de' divini attributi » ed amore del sommo Bene, l'uno e l'altro cre- )) scenti a grado a gi-ado insino che l'anima venga » per forza di carità quasi a trasformarsi nell'ob- )) bietto del suo amore. Al quale stato di consu- » mata perfezione ei finse di essere condotto per la )) visione immediata dell' Essere divino , mercè la )) quale la sua volontà fu così armonizzata colla di- )) vina (in che sta la congiunzione dell'amore), che » quinci appresso il volere di Dio sarebbe il prin- » cipio e la regola di ogni suo movimento. 233 ' « Ed or che può essere uno slato di miseria » direttamente opposto ai beni ottenuti pe' tre mi- )) steriosi viaggi, salvo che lo stato di peccato ? E » stato di peccato è dunque la dimora nella selva, » ed anzi di molti abiti peccaminosi: sì perchè il » mezzo di venirne libero fu affatto straordinario, » e sì ancora perchè Beatrice apertamente lo in- » dico. « La quale verità fondamentale per la intelli- » genza del concetto dantesco si fa chiaro eziandìo » per vari luoghi del poema, che danno il mede- » simo valore di significazione della selva. E così » vedemmo che Virgilio rese di un tanto viaggio » questa ragione a Catone, perchè altrimenti Dante » non saria potuto campare dalla morte sì tempo- » rale, sì eterna. E questa medesima necessità di » un mezzo così miracoloso toccò Beatrice ne' suoi » rimproveri a Dante per aggravare la sua reità- » Per simil guisa lo stesso Dante avvenutosi in » certa anima dell'ultimo girone del Purgatorio fé' » loro sapere che il suo cammino era ordinato a » cessare da se la cecità; e più in particolare si- » gnificò a Forese, che per tal via Virgilio lo rimo- )) veva dalla trista condizione di vita in che gli era » stato compagno ei medesimo innanzi che fosse » morto- Finalmente in Paradiso con amoroso af- » fctto ringraziò la sua Beatrice, perchè l'ebbe per » così nuovi ed insoliti modi liberato dalla servitù » e restaurato nella verace libertà: la quale libertà » poiché fu grazia di Dio, si deve per ogni ragione » inferire che la servitù, onde fu tratto, non altro » era che la schiavitudine del peccato- 234 « Messe le quali cose , le Aere , che distolsero )) il poeta dalla salita del colle, saranno senza dub- )) bio impedimenti contro il suo proposito di mi- » glìor vita. Imperciocché se la selva è simbolo » della vita peccaminosa, e perciò il colle, che è )) un termine alla selva contrario, deve rappresen- » tare un genere di vita nelle opere delle cristiane » virtù esercitata; le fiere, le quali impediscono il » cammino del colle, e risospingono verso la selva, )) vogliono essere necessariamente simboli di ten- )) tazioni. Più, sappiamo certo che Dante rappresenta )) nella sua particolare persona l'uomo in generale; )) saranno adunque simboli delle tre univeisali con- )) cupiscenze della nostra corrotta natura, che sono )) la lussuria, la superbia e 1' avarizia. E di fatto )) questi tre vizi o passioni abbiamo veduto essere » determinati dal poeta nella qualità e negli aggiunti )) delle sopraddette tre belve. « E più che dalle due prime dall'ultima ebbe )) contrasto: perocché secondo la dottrina della scrit- » tura e de' padri l'appetito delle ricchezze, o sia )) l'avarizia, è radice di tutti i peccati; e quanto a )) muovere gli animi, ha più forza e vigore di ogni » altra tentazione. « Ma se inoltre cotesta passione per cause spe- » ciali avesse più campo nelle civili comunanze , )) qual dubbio é che indurrebbe la universale cor- )) razione , valevole com' è ad ingenerare tutti i » vizi ? E così Dante divisò. « La Lupa adunque può essere considerata in » primo luogo come passione o tentazione dell' in- » dividilo , ed è il maggiore impedimento nel suo 235 » genero a restaurare la grazia di Dio, e perseve- » rare in essa. Può essere considerata in secondo » luogo come vizio signoreggiante nelle società, ed » è la cagione immediata di ogni pubblico male- « La Lupa, conforme a quest' ultimo rispetto, » ha nel poema un senso politico, il quale per altro )) nel valore del simbolo s'immedesima colla signi - » ficazione morale; ed appunto in questo secondo » senso disse Virgilio, che il tristo animale sarebbe » dal Veltro sterminato- « E vaglia la verità: il Veltro in tutto il poema )) si manifesta siccome personaggio politico, e pur » politica è la impresa che il poeta ne aspetta. Im- )) perciocché dovrà esso distruggere il mal governo » (cioè il guelfo) per lo quale l'avarizia (cioè la sim- » bolica Lupa) può tanto; ed indurre il buon go- » verno voluto da Dio (quello del monarca univer- » sale, o sia dell'imperatore), fondato nel principio » contrario, che è la remozione della cupidità. Il » perchè la Lupa, in quanto è obietto al contrasto )) del Veltro, rende anch'essa un concetto politico, » avvegnaché nel suo essere simbolico sia sempre » la stessa cosa, l'avarizia. « La idea politica, rappresentala ne' suoi termini » contrari del Veltro e della Lupa , non vizia per » nulla r unità del concetto religioso- Il concetto » religioso è il vero assunto del poema, perchè » sopra di esso , ed intorno ad esso , si versa la » sostanza delle tre cantiche- Per contrario il con- » cetto politico prende forma da un secondo ri- » sguardo, sotto il quale la Lupa è considerata dal » poeta, e che potrebbe formare il soggetto di un 236 )) altro poema: nondimeno è introdotto a far parte » della Divina Commedia, non pure per acconci epi- » sodi onde le si congiunge, ma inoltre quasi come » un soggetto ulteriore di essa. E sì per questo, e )) sì per quella riduzione che abbiamo detto dei » due concetti della Lupa in unica significazione » morale, la 'Divina Commedia rimarrà un esempio )) unico di poema, che colla massima varietà delle » pai'ti nella esecuzione accoppia la massima unità )) e semplicità della idea nel concetto. « Gli antichi comentatori , e Dante stesso , ci )) esposero in brevi sentenze l'assunto religioso del » divino poema: della idea politica non si curarono, » siccome quella che non era ne parte sostanziale )) dell'opera, né ultimo intendimento dell'autore in » quanto jjrotagonisla. Noi abbiamo dovuto scrivere )) un libro per dimostrare il concetto religioso , e )) dare al politico quel luogo che veramente gli » spetta. » Così l'egregio P. Berardinelli: nò al suo lavoro manca mai acutezza, dottrina e facondia. Noi con- veniamo generalmente con essolui ; salvo forse al- cuni dubbi che ancor ci rimangono in mente sul- r interpretazione di certe particolari allegorie, o sim- boli: e specialmente del Veltro, che noi fermamente crediamo con chiarissimi comentatori, dover essere un sommo pontefice, gran personaggio del pari re- ligioso e politico: cioè il beato Benedetto XI del- l'ordine de' predicatori. Solo con esso spiegasi age- volmente il vocabolo veltro, il feltro e feltro, e quella gran virtiì , non certo principesca del secolo , ma tutta religiosa e sacerdotale, che fece dire al poeta: 237 » Questi non ciberà terra né peltro, )) Ma sapienza e amore e virtute. Di che si è parlato altre volte in questo giornale, e ultimamente nel t. IX della nuova serie. Storia di S. Silvestro- Testo di lingua inedito puhli- cato secondo la lezione di un codice proprio da Mi- chele Meìga socio corrispondente delV /• e R. ateneo italiano di Firenze e della reale accademia pelorita- na di Messina- 8.° Napoli, tipografia e litografia dì Giovanni Limongi 1859. (Sono carte' XIX e 67.) Il signor Melga , giovane letterato napolitano , studiosissimo quanto altri liiai della lingua del no- stro trecento, ci diede nel 1857 pubblicata in Na- poli la Leggenda dei santi Cosma e Damiano scritta nei buon secolo della lingua e non mai fin qui stam- pata. Bel testo, sì per quell'aurea semplicità e gen- tilezza di dettato, che sempre innamora chi ha senso di tali cose , e sì per alquante voci da registrarsi utilmente nel vocabolario- Or ecco un nuovo gio • iello ch'egli aggiunge al primo; né men prezioso e splendente. Tutto v'è religione vera e viva, in mezzo a molt'oro di lingua, se non v' è fiore di storia e di retta critica. Ma tal'è la condizione delle anti- che leggende. 11 sig. Melga ha voluto qui ancora seguire la massima sua (anzi anche d'altri) del do- versi pubblicare gli antichi testi come appunto ce 238 li hanno tramandati i copisti: cioè colla loro orto- grafia, generalmente scempiata e bestiale, secondo r ignoranza d'uomini che facevano, non la profes- sione, ma il mestiere manualissimo di trascriver li- bri prima dell' invenzione della stampa. Noi abbiamo altre massime, e spesse volte ce ne occorse parlare in questo giornale. Ma sia che vuoisi, la leggenda ci sembra essere di non lieve importanza per la lin- gua, comechè non possiamo sempre convenire qui e qua sulle lezioni seguite dal valente editore: e v'ha luoghi pieni veramente di quell' antica evidenza ed efficacia di scrivere, che in tanta parte si è perduta. Valga l'esempio che qui rechiamo nella buona or- tografia. » Allora Costantino salì in su un gran carro, il » quale era tutto coperto di porpora, ed era tirato » da quattro cavalli bianchi, accompagnato da tutta » la baronia di Roma. E intrando Costantino nella » piazza di Campidoglio , tutte le madri de' fan- )) ciulli che dovevano essere morti, elle si spetto- » raron e scapigliaron e levaron sì gran pianto, che » parca il cielo e la terra tremasse- E piangendo » e battendosi le loro facce, i preti andaron innanzi » a Costantino, e gittaronsi ginocchioni dinanzi da » lui. » Vedendo e udendo Costantino così grande cor- » doglio, sì domandò i suoi baroni chi erano quelle » donne che facevano così gran cordoglio e lamento. » Rispose un barone: Queste son le madri de' fan- )) ciulli , che debbono essere morti per la tua sa- » nità, per avere il sangue loro tanto che lo va- )) sello, dove dei entrare per bagnare, sia pieno di 239 » lor sangue- A quella parola Costantino si comin> » ciò tutto a turbare e divenire pallido, e comin- » ciò a sospirare, e comandò a coloro che guida- » vano lo carro, che stessero fermi: e comandò che » tutta la sua baronia fusse dinanzi da lui. E quando » gli furon dinanzi, lo imperadore si levò ritto, e » disse ad alta voce queste parole : - Io vi dico, » signori, che la grandezza e la nobiltà dello im- » perle di Roma sì ha avuto nascimento dalla fonte » della misericordia e della pietà: però che li uo- » stri antichi comandaron che chiunque uccidesse » nullo fanciullo in battaglia, che incontanente gli » fosse tagliato il capo. Vu questa legge comanda- » ron che per tutto il mondo fosse osservata, però » ch'ella è giusta e ragiovevole: però che chi non y> usa (1) l'arme, non porta pena d'arme nel suo » corpo. E noi romani sempre siamo andati cer- » cando di combattere il mondo più per virtù di )) ragioni e di giustizia, che per virtù di forza di )) corpo e d'arme. E se noi siamo stati pietosi ai » fanciulli della gente barbara, la quale vive come » bestie , adunque quanta sarà la nostra crudeltà » più spietata se noi saremo dispietati e senza mi- » sericordia ai nostri figliuoli e ai fanciulli dei no- » stri vicini ? E che ci giova avere vinto per bat- )) taglia tutta la barbarla, se noi ci lasciamo vin- » cere alla crudeltà ? Però che vincere gente di » fuori di noi (2) si è fortezza e vittoria di vir- » tude e di belli costumi. Nelle battaglie corporali (1) 11 Melga legge userà. (2) Seguiamo il codice Fabbricatore. 240 » noi siamo siati più forti che tutte le genti del » mondo j ma in questa battaglia, se noi saremo » pietosi, saremo più forti che noi medesimi; ma » chi in questa battaglia si lascerà vincere , egli )) sarà vinto, essendo vincitore stato. E allora co- )) lui, ch'è stato vincitore , è vinto quando in lui » la crudeltà vince la pietà; e perciò in questo as- » salto e assalimento (1) io voglio che la pietà vinca » noi : però che noi saremo di tutte le genti del » mondo virtuosi (2) signori, se noi solamente ci )) lasceremo vincere alla pietà- E perciò, baroni e » compagni miei, io vi dico così in verità, ch'egli » nji mette meglio di morire e di perdonare la vita » a questi fanciulli innocenti, che di divenire sano )) avendo adoperata tanta crudeltà nella morte lo- » ro (3). E niente meno io non sono sicuro di gua- » rire per lo loro sangue: ma ben son sicuro che » se per me s' uccidono, guarisca o no, di rima- )) nere servo della crudeltà. E però io voglio rima- » nere servo della misericordia, e d'essa figliuolo e » della pietà: e comando che a ciascuna donna sia » renduto lo suo figliuolo (4). - E poi Costantino » ritornò al suo palagio, e fé aprire lo suo teso- fi) Il testo dice assilimento. Noi dubitiamo della lezione così di assilimento come di assalimento. (2) Il testo dice e signori. (3) Così leggiamo. Il Melga pone un punto dopo dive- nire sano. (4) Tal' è la nostra lezione. Quella invece del Melga è la seguente : e però io voglio rimanere servo della miseri- cordia e d' essa figliuolo e de la pietà. E comandò che a ciascuna donna sia renduto lo suo figliuolo ; e poi Gostan- Hno ritornò ec. 241 » ro , e fé gran doni di bellissime gioie (1) a » tutte le madri de' fanciulli che dovevano essere )) morti per lui, acciocché, come ell'eran venate a » Roma piangendo, aspettando la morte delli loro » figliuoli , così per contrario con allegrezza tor- » nassero a loro contrade cantando per li grandi » doni ch'avevano ricevuti da Costantino (2). E fa- » cendo dare danari per ispese per tutta la via , » e' rimandone tutte in pace. » Aggiungesi dal sig- Melga uno Spoglio di voci e modi di dire o mancanti al vocabolario o di con- siderazione non indegni' Intorno al quale oseremo dire al giovane egregio, che se ha voci e modi di dire da ben registrarsi nel tesoro della lingua, n'ha pure da rifiutarsi assolutamente, come cose che mo- strano assai chiaro, a noi sembra, la perversa fa- vella e r idiotaggine del copista. Vita di Vincenzo Bellini scritta dall'avvocato Filippo Cicconelti con ritratto e facsimile. 12.° Prato ti- pografia F. Alborqhelti e compagno 1856. (Sono pag. 111.) Molti elogi del Bellini sono stati scritti : tutti hanno però celebrato il suo magistero , e ninno ce lo ha fatto conoscere nelle intimità sue do- (1) E bellissime gioie legge il Melga. (2) Seguitiamo la lezione del codice Fabbricatore. Quello del Melga dice: così per contrario tornassero allegre per al- legrezza, e per li doni che avevano ricievuto da lui. G.A.T.CLX. 16 242 mesliche e civili. A siffatta mancanza ha riparato il sig. Cicconetti con una diligenza che vogliamo dire mirabile: essendosi dato con grande amore a far ricerca in Italia e fuori di ciò che sapevasi del- l' immortale maestro sì da' parenti e sì da' più in- timi amici di lui. L'opera è riuscita in tutto com- piuta: sicché noi usiamo in essa, per così dire, fa- miliarmente col Raffaello della musica, ed egli senza velo ci parla sì della sua religione e pietà figliale, sì delle sue beneficenze,, de' suoi affetti, de' suoi di- spiaceri , e sì in fine di tutte le ragioni delle sue opere. Ottimo è in ogni parte il giudizio dello scrit- tore e quanto alla musica e quanto alla vita ci- vile : e niuno sarà quind' innanzi presuntuoso di parlare o scrivere del Bellini senz'avere avuto alle mani il presente libro. Del potere temporale dei papi , pel visconte C De la Tour deputato al corpo legislativo di Francia- Libera versione italiana- 8-° Roma tipografìa della 'Civiltà Cattolica 1859. (Un voi. di pag. 107.) Esce opportunissima quest'opera di nn generoso cavalier francese intorno alla più antica, legittima, necessaria e augusta potestà civile della terra. Quanti stolti sofismi, quante calunnie di setta, quante igno- ranze vi sono ridotte al nulla ! Né solo vi si tratta dell'origine che in tutto ebbe consentanea al diritto delle genti e pubblico l'autorità temporale de' papi, argomento già invittamente discusso pure dagli Orsi, 243 dai Borgia, dai Garampi, dai Marini e da altri dot- tissimi con quella critica, alla cui forza non siri- sponde più cosa che valga; ma vi si prendono an- che ad esama le savie istituzioni che reggono gli stati della chiesa , e le tante ottime riforme che non ha cessato mai di fare nel suo principato la bontà e sapienza del santo padre Pio IX. Programma del grande concorso Balestra che si giu^ dicherà nel MDCCCLX dalV insigne e pontificia accademia delle belle arti denominata di san Luca. L'insigne e pontifìcia accademia ha determinato di pubblicare il grande concorso Balestra di pittura, scultura ed architettura, proponendo i seguenti temi. PITTURA Prima classe Cleombroto, fuggitosi supplichevole nel tempio di Nettuno colla moglie e co' figliuoli, è rimprove- rato da Leonida pieno d'ira per essere stato da lui discacciato dalla patria. - V- Plutarco., vita di Agide e di Cleomene. Quadro ad olio in tela, lungo palmi cinque ar- chitettonici romani^ cioè metro \,ì 15; allo palmi quat- tro, cioè mefro 0,892- 244 Seconda classe La nutrice Euriclea riconosce Ulisse scorgendo nel lavarlo la sua cicatrice. - V. Omero , Odissea lib. XIX. Disegno in figura, in foglio lungo tre palmi ro- mani, 0 sia metro 0,670; alto due palmi, o sia me- tro 0,446, non compreso il margine. SCULTURA Prima classe Marte furibondo per la morte del figliuolo Asca- lafo, sul punto di correre alla pugna per vendicarlo, è trattenuto da Minerva. - V- Omero, Iliade lib> XV. Gruppo di tutto rilievo, in gesso o in terra cotta, dell'altezza di tre palmi romani, cioè metro 0,670, non compreso lo zoccolo. Seconda classe. Andromeda, esposta allo scoglio per essere di- vorata dal mostro marino, è liberata da Perseo. - V. Apollodoro, Biblioteca lib. II, ed altri mitologi. Bassorilievo in gesso o in terra cotta, Inngo palmi romani cinque, cioè metro \,\\5;aUo palmi tre, cioè metro 0,670. 245 ARCHITETTURA Prima classe Un' accademia di belle arti da comporsi nella superficie di metri 130 per un lato , e metri 200 per l'altro. Vi sarà, oltre alle scuole di pittura, scultura, architettura, ornato, prospettiva, storia ed anato- mia , la chiesa che occuperà un luogo distinto e centrale: il teatro per lo studio del nudo: le gal- lerie pe' quadri , per le statue antiche , e per le opere premiate: la libreria, l'archivio, ed una grande aula per le premiazioni; come anche l'abitazione del segretario e del custode, e quant'altro si stimerà con- veniente per un edificio destinato ad animare e per- fezionare lo studio delle arti belle- Tutto il composto dovrà rappresentarsi in due piante, in un prospello e in due sezioni- La scala sarà di due millimetri a metro per le piante, e di quattro millimetri per le alzate: usando a tal uopo fogli lunghi palmi ^j^^ , o sia metro 0,840; largo palmi 2 '/^g » o sia metro 0,576. Seconda classe Un grandioso e magnifico ninfeo da costruirsi nel fondo della piazza di una villa principesca ricca d'acqua, e posta quasi alla vetta di un monte- Dovrà essere decorato di portici, colonne, Vnu- 246 saici , statue , bassorilievi , marmi di vari colori e bronzi. // progetto verrà dimostralo in quattro tavole con- tenenti la pianta del ninfeo e delle condutture del- Vacqua, un prospetto, una o due sezioni^ e i parti- colari in grande scala di una parte delVedifìcio con- dotto a tutto effetto. I fogli avranno la medesima dimensione di quelli prescritti per la prima classe. ORDINE DEL CONCORSO Il giorno della solenne distribuzione de' premi verrà determinato con particolare avviso. Ogni artista , di qualsiasi nazione , potrà fare esperimento del suo valore in quella classe , nella quale non abbia ottenuto mai premio accademico in alcuno de' grandi concorsi capitolini. Le opere saranno consegnate al professore se- gretario perpetuo dell' accademia , nella residenza delle scuole accademiche a Rìpetta , il giorno 27 di aprile 1860, dalle ore 5 alle 8 pomeridiane in punto. Ogni opera da presentarsi al concorso avrà scritta una epigrafe, e sarà accompagnata da una lettera sigillata, che conterrà il nome dell'autore, la patria e r abitazione, ed avrà di fuori ripetuta 1' epigrafe medesima, ond'è notata l'opera. Ne' giorni 28 e 29 di esso mese i concorrenti saranno sottoposti per sei ore, incominciando dalle 8 antimeridiane, a prove estemporanee sopra temi tratti a sorte. 247 Queste prove, affinchè bastino a far conoscere se Topera presentata sia dell'autore che la presenta, consisteranno negli esperimenti che qui seguono» Per la pittura , nella prima classe , si farà un bozzetto d' invenzione nel primo giorno , alto un palmo e due once, cioè metro 0,268: largo un pal- mo e mezzo, cioè metro 0,335. Nel secondo giorno si dipingerà una mezza figura dal nudo (nella mi- sura così detta di Sassoferralo) a fine di avere le prove dell'esecuzione. 11 medesimo, quanto a' noodelli , si userà per la pnma classe della scultura. Nella seconda classe poi della pittura si eseguirà un soggetto in disegno: e nella seconda classe della scultura un altro soggetto in bassorilievo: e ciò nel primo giorno. Nel secondo giorno si disegnerà da' pittori, e si modellerà dagli scultori, una parte dal vero. Nell'architettura, quegli che concorreranno alla prima classe dovranno nel primo giorno eseguire la pianta, l'elevazione o lo spaccato di un piccolo edi- ficio, in fogli lunghi tre palmi e un dodicesimo, cioè metro 0,688; larghi due palmi e cinque dodicesimi, cioè metro 0,539. I concorrenti alla seconda classe saranno sperimentati sopra un soggetto più facile, in fogli lunghi palmi due e dieci dodicesimi, cioè metro 0,633 ; larghi palmi due e un dodicesimo , cioè metro 0,464. Nel secondo giorno essi concorrenti della prima classe faranno una descrizione della fabbrica ope- rata estemporaneamente nel giorno innanzi: indi- cando il metodo di costruzione e dando qualche 248 particolanc in grande di una parte di essa fabbrica. E così faranno in proporzione quelli della seconda classe. Le opere de' concoisenti colle rispettive prove saranno esposte al pubblico nelle sale accademiche per otto giorni, prima del giudizio dell'accademia: e per altri otto giorni, dopo esso giudizio. L' accademia giudicherà le opere de' concor- renti inappellabilmente, ed in tutto secondo le di- sposizioni del cap. IV de' suoi pontifìcii statuti. Le opere premiate rimarranno in proprietà del- l' accademia, perchè sieno collocate nelle sue sale co' nomi degli autori. Il premio per le opere della prima classe della pittura, della scultura e dell'architettura, sarà una medaglia del valore di scudi romani centotrenla. Il premio per le opere delle seconde classi sarà una medaglia del valore di scudi romani seilanla- Dato in Roma dalle stanze accademiche questo dì 27 di aprile 1859- // Conte Palatino Presidente COMMENDATORE PIETRO TENERANI It* professore segretario perpetuo CAV. SALVATORE BETTI. 9A9 Programma del concorso Potetti die verrà giudicato nel MDCCCLIX daW insigne e pontificia accademia delle belle arti denominata di san Luca. 11 chiarissimo consigliere e cattedratico dell'ac- cadeinia signor prof, cominendatore Luigi Poletti , già presidente, ha instituito per sua munificenza un concorso a vantaggio degli alunni delle scuole ac- cademiche di archittetura teorica e pratica da giu- dicarsi dai signori professori della classe architetto- nica dell' accademia medesima ; mediante il qual concorso, che s'intitolerà del nome dell'esimio in- stitutore, e si celebrerà di quattro in quattro anni in perpetuo, verrà conferita una pensione di venti scudi mensuali per un quadriennio a quel giovane alunno italiano, che ne sarà Stimato meritevole da! giudizio accademico. Qui seguono le condizioni. 1." Non saranno ammessi al concorso quegli alunni romani o italiani dell' accademia che sieno maggiori di età d'anni 24, o minori d'anni 18- Per questo primo concorso verrà però tollerata l'età di 25 anni. 2.° Non saranno altresì ammessi quelli che hanno altra pensione maggiore, o eguale a scudi dieci ro- mani, conceduta loro, sotto qualsiasi titolo, da qual- che principe o governo, da qualche pubblico insti- tuto o collegio o accademia o comune o provincia. 3." Dovranno i concorrenti aver frequentato le scuole accademiche di architettura teorica o pra- tica almeno per due anni. In questo primo concorso però il signor commendatore Poletti concede il pri- 250 vilegio di concorrere a tutti i presenti e passati alunni delle dette scuole, quantunque non abbiano fatto il biennio; purché sieno romani o italiani, e stati scritti nell'elenco d'una delle due scuole. 4-.° 11 giudizio del concorso si farà in quest'anno il dì 15 di dicembre, dovendo gli alunni presentare il dì 10 al professore segretario perpetuo dell'acca- demia, nella residenza delle scuole a Ripetta, l'opera che verrà indicata nel presente programma, ed in- sieme la fede dell'età loro e della loro ammissione ad una delle due scuole accademiche di architet- tura superiore, e la dichiarazione di non avere al- tra pensione. 5.° Ne' giorni 12 e 13 di dicembre verranno sot- toposti i concorrenti per sei ore alle prove estem- poranee, secondo un tema dato dai signori profes- sori della classe, ed estratto a sorte. Queste prove, affinchè bastino a far conoscere se l'opera presen- tata sia dell'alunno che la presenta, consisteranno, il primo giorno, nell'eseguirc la pianta, l'elevazione 0 la spaccato di un piccolo edifìcio, in fogli lunghi tre palmi e un dodicesimo, cioè metri 0,688: larghi due palmi e cinque dodicesimi, cioè metro 0,539. il secondo giorno , nella descrizione della fabbrica già operata estemporaneamente, indicando il metodo di costruzione, e dando qualche particolare in grande di una parte di essa fabbrica. 6.° Il giudizio , come si è detto , si farà dalla classe architettonica colla definitiva ed inappellabile approvazione dell' istessa accademia, secondo che si usa ne' grandi concorsi- 251 7." La pensione dell'alunno incomincerà a cor- rere il primo giorno di gennaio 1860, ed a lui verrà pagata ogni mese dal signor consigliere economo dell'accademia. 8.° L'alunno pensionato dovrà presentare all'ac- cademia, e per essa al segretario perpetuo, un sag- gio de' suoi studi il primo giorno del mese di di- cembre d'ogni anno. - Nel primo anno darà egli di- segnati, colle misure scritte, gli avanzi di un clas- sico monumento antico di architettura romana, mi- suralo sul luogo, con alcuni particolari più in gran- de- - Nel secondo anno, il restauro di altro clas- sico monumento antico, parimente con particolari pili in grande. - Nel terzo anno, una grandiosa fab- brica , sacra o profana , tratta dalle opere de' più celebri maestri de'secoli XV e XVI, o di Roma, o di Firenze , o di Venezia , da esso espressamente misurata sul luogo, e disegnata con alcuni partico- lari più in grande- - Nel quarto anno finalmente un vasto progetto di sua invenzione sviluppato in tutte le sue parti. 9." Chi non adempie gli obblighi degli articoli precedenti decaderà dal beneficio della pensione : sicché verrà aperto subito un nuovo concorso. 10." L'opera premiata nel concorso e i saggi an- nuali resteranno in proprietà dell'accademia, e ver- ranno esposti nella prossima solennità delle altre premiazioni dell'accademia medesima. 252 TKMA DEL CONCORSO iJn ospizio de' poveri per 600 individui d' ambo i sessi- « Questo ampio fabbricato sarà diviso in quat- )) irò grandi parti atte a contenere quattro grandi » comunità separate fra loro: l'una di 120 vecchi » invalidi; l'altra di egual numero di povere vecchie; » la terza di 180 giovani orfani almeno di padre; » la quarta parimenti di 180 povere grovanette egual- )) mente orfane di padre- Tutte dovranno avere un » facile accesso alla chiesa grande, nella quale re- » steranno similmente divise fra loro, ed avrà perciò » l'altare nel centro per l'assistenza alle sacre funzio- » ni: se non che la comunità dei vecchi potrà essere » praticata anche dal pubblico. Ciascuna comunità » avrà per proprio uso quotidiano una piccola chiesa » 0 cappella privata, un vasto refettorio, una inferme- » ria, grandi dormitorii, sale e loggiati di ricreazione » e passeggi, guardarobe parziali e magazzini. Quella )) delle fanciulle avrà inoltre le scuole di leggere e » scrivere, di aritmetica, di storia sacra e profana, )) e di musica ; un piccolo teatro , i laboratorii » femminili ed una lavanderia- Quella dei ragazzi » avrà similmente le scuole di leggere , scrivere , » storia, mitologia, elementi di disegno, di plastica, )) d'incisione, di musica ec-, un piccolo teatro e le » officine di arti e mestieri. » Un'altra parte di questo vasto fabbricato sarà » destinata all' amministrazione generale- E perciò 253 » vi sarà una decorosa abitazione pel presidente con )) alcune sale per le congregazioni, e per l'esposi- )) zione dei prodotti dell'ospizio, una biblioteca, la » computisteria e la segreteria. In questa parte si » comprenderanno inoltre le abitazioni del rettore, » dei priori, dei maestri, degl'impiegati e degl'in- » servienti. » Saranno altresì opportunamente collocate in » questo edifìcio una guardaroba generale , una » sartoria, una cucina comune con grandi dispense » e cantine, un macello, un forno, una spezieria ec. » Tutta la fabbrica dovrà svilupparsi in cinque » tavole: cioè due piante, due spaccati, ed un pro- )) spetto. Le scale dei disegni saranno metriche nel » rapporto di 1:500 per le icnografie, e di 1:250 » per le ortografie ». Dato in Roma dalla residenza dell'accademia di s. Luca il 26 di marzo 1859. 7/ Conte Palatino Presidente COMMENDATORE PIETRO TENERANl Il professore segretario perpetuo- CAV. SALVATORE BETTI. INDICE Maggiorana Dell'origine della fibrina. . pag. 3 Ristoro d'Arezzo, La composizione del mondo. » 13 Batista da Monte feltro e Malatesta Malatesti , Sonetti )) 26 Santarelli e Denti, Lettere intorno a storie di fulminati » 34 Vercellone, Del piti antico codice greco della bi- blioteca vaticana e dell'edizione che ne fece il cardinal Mai » 40 Bomba» Caso di nevralgia del nervo sott' orbitario curata con la escisione del dott. Mazzoni- » 61 Angelini, Notae funebres in parentalibus Ferdi- nandi II regis Neapolis et Siciliae . . » 110 Narrazione dei reperti anatomici e chimici in due casi di avvelenamento commesso col cianuro di potassio unito ad un composto di acido os- salico » 119 Mercuri , Lezione XVII sulla Divina Comme- dia )ì 137 Secchi, Sui recenti progressi delV astronomia. » 155 Montanari, Dominici Anlonii Villani vita [colla traduzione dell' ab- Quatrini). . . . » 186 Varietà ...» 218 IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco Ord. Praed. S. P. Ap. Mag. Socius IMPRIMATUR Fr. Ant. Ligi Archiep. Icon. Vjcesgerens Nel giornale si dà il sunto, o viene inse- rito l'annunzio, delle opere presentate in dop- pio esemplare alla Direzione. Esse debbono essere inviate franche d'ogni spesa di porto e dazio. Le notizie di scienze, di lettere, e di belle arti, quelle di scoperte utili per l' agricol- tura, industria ec, come anche i programmi dei concorsi accademici, dovranno similmente es- ser mandati franchi di posta alla Direzione. Chi si associa per dieci copie, o ne garan- tisce la vendita, avrà l'undecima gratis. GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI TOMO CLXI DELLA NUOVA SERIE XV MAGGIO E GIUGNO 1859 c;)t ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1859 SCIENZE, LETTERE ED ARTI Comento, del passo di Dante dal verso 88 al verso 108 del carilo XXV del Purgatorio, letto nelV adunanza di Arcadia del 15 settembre 1859.- D. uè cose avranno per avventura mal predisposto in verso di me l'animo vostro, o miei cortesi ascol- tatori: la natura del subietto da me i/npreso a trat- tare, e la pochezza delle forze mie. Questa sinistra impressione, ben fondata al certo per la seconda delle esposte cagioni , potrebbe anco per la prima non parere irragionevole. È mio intendimento però, pria che all'opera mi accinga, di accennare alcun che, onde e la prima di queste considerazioni si addi- mostri non dovermi tornar di pregiudizio, e dimi- nuiscasi, per quanto è possibile, la forza della se- conda. E quanto alla prima, il riflettere, che è da cin- que secoli ormai che si lavora sul comento di Dante, che letterati molti e di mollo valore vi si son de- dicati in tutti i tempi, che infinite bellezze negl' im- mortali suoi versi sono stale scoperte, molte e pre- ziose notizie ad illustrarli raccolte, parrebbe certo a prima giunta ragionevol fondamento per credere, che nuove cose difficilmonle si possan dire, e nulla più rimanga sapere sul poema sacro « Al quale ha posto mano e cielo e terra w A sciogliere tale obbiezione, di cui non discono- sco nò la naturalezza né la forza, potrei io tenermi in sulle generali, e non a torto rispondere che co- siffatta è la natura delle grandi cose, che di quanto pili chiarore s' illustrino, e pili cresce la brama di penetrarvi addentro , e sempre più nuove bellezze ivi si paiano, che per lo addietro non si erano scorte. Ma mettendo da parte un tal genere di risposta, li- miterommi soltanto a dire, come le chiose ed il- lustrazioni, che dalla più parie dei comenialori sono state fatte alla Divina Commedia, sieno o storiche dichiarazioni, o considerazioni estetiche, o, quel che più interviene, glosse meramente filologiche: pochis- simi han riguardato dal lato filosofico questo divino poema, che pur tanto di sana filosofia in sé acco- glie, e niun luogo di Dante è stato, quanto questo, sotto tal rispetto trasandato. F^a riparazione di tal negligenza, mentre è il motivo che m' induce a ce- mentare un tal passo, mi apre naturalmente in pari tempo, abbenchè su vieta' materia, un novissimo campo di discorso: ed ecco, credo io, tolta di mezzo la difficoltà che prima affacciavasi. Ma a valicar tanto mare basterà dia (( . . . la navicella del mio 'ngegno » e sarà questo peso a cui possano felicemente sob- barcarsi le mie spalle ? Confesso novamente esser questo ragionevol motivo a mala prevenzione in verso .J di me : pure se non intrinseche, estrinseche ragioni almeno vi sono, le quali se non valgano a distrug- gerla, saranno, spero, sufficienti perchè ne scemino la forza. E queste sono la cortesia vostra, dalla quale spero compatimento, e la brevità, cui attenendomi, per quanto mi sarà possibile, cercherò di meritar- melo. Divido il mio discorso in 3 parti. Nella prima esporrò la dottrina che Dante spiega nei 20 versi eh' io debbo cementare, e dimostrerò, nella seconda quanto sia essa commendevole se dal lato poetico si riguardi, nella terza come l'opinione poetica di Dante sia molto lungi dall'essere improbabile in fi- losofia, e nella filosofìa specialmente rischiarata dal lume divino della rivelazione. Passando Dante per la stretta via che dal sesto girone del purgatorio , ove castigasi il vizio della gola, mette alla settima ed ultima cerchia, ove pur- gasi il peccato della carne, viene agitato da un grave dubbio che poi manifesta al suo duca e maestro. Egli aveva visto nel suddetto girone i golosi esser puniti per fame e per magrezza: or ecco il suo dubio: « Come si può far magro Là dove l'uopo di nutrir non tocca ? » Il cortese maestro, che invitato avealo ad aprirgli la sua mente , gli accenna con due similitudini la soluzione della sua dimanda; ma poi riconoscendo quasi esser questa materia non da gentile , quale egli era, ma da cristiano e da spirito illuminato dui lunie della fede, si rivolge a Stazio poeta (che Dante 6 Unge esser morto cristiano, e già purgato tener ivi con esso loro la via che conduceva da quel monte al cielo) perchè voglia soddisfare il gentil desiderio del suo compagno , e dislegargli 1' eterna veduta , ch'esso aveva adombrato « Sotto'l velame degli versi strani. » Stazio, non potendo far niego al suo Virgilio, si accinge volenteroso a sciogliere il dubbio di Dante. Ed a ciò fare gli dispiega la teoria della generazione del feto umano, e gli dimostra com' esso pria di- venti animale, giusta il dettato aristotelico « prius fìt animai quam homo » e poi come «... d'animai divegna fante » ossia uomo, nella stessa maniera che Omero chiama l'uomo u.£pO(p cioè parlante. Dice adunque il poeta, la virtii attiva del seme paterno svolgersi pria in anima vegetativa e poscia in sensitiva, ma ambedue queste trasformazioni ac- cadere nel feto non in maniera perfetta, come ac- cade dell'anima vegetativa nelle piante, della sensi- tiva negli animali : e la ragione esserne perchè la pianta e 1' animale essendo solo destinati per loro natura a vegetar l'una, a viver l'altro, trovansi na- turalmente l'anima vegetativa nella pianta, la sen- sitiva neir animale pervenute già a riva, ossia alla loro ultima perfezione , e non essere in via come accade del feto umano, il quale è da natura desti- nato a vita superiore, e deve esser poscia informato 7 da anima intellettiva. Quindi è che con bella simi- litudine raffronta il poeta il sentire del feto a quella sensibilità che sogliamo scorgere nei funghi marini, i quali per lo allargarsi e stringersi che fanno la- sciano ravvisare in loro un qualche principio di lan- guida sensibilità , o di reazione alla irritazione in loro prodotta dagli oggetti esterni, per cui vengono detti dai naturalisti plantanimalia o zoofiti. A migliore intendimento di questo luogo si noti, che qui per anima vegetativa e sensitiva vuoisi in- tendere quello che dai moderni vien chiamato prin- cipio vitale , forza vitale , essendo usi gli antichi col nome di anima esprimere generalmente qual- sivoglia principio vivificante un organismo. S. Tom- maso dice: « Anima dicitur primum principium vitae in bis quae apud nos vivant. » (1) Segue Stazio: « Sì tosto come al feto L'articolar del cerebro è perfetto Lo motor primo a lui si volge lieto Sopra tant'arte di natura, e spira Spirito nuovo di virtiì repleto Che ciò che truova attivo quivi, tira In sua sustanzia, e fassi un' alma sóla Che vive e sente e sé in sé raggira. » Questo attirare che fa a sé V anima razionale (1) Summa th. 1. p. q. 75. a. 1, 8 delle attività preesistenti nel feto, viene dal poeta rischiarato a Dante con maravigliosa similitudine: (( E perchè meno ammiri la parola. Guarda il color del Sol che si fa vino Giunto all'umor che dalla vite cola. » E qui sono da avvertire alcune sviste di valenti comentatori. Paolo Costa dice, Dante seguir qui l'opinione er- ronea di alcuni antichi che con Platone pensarono tre anime racchiudersi nel corpo umano, la vege- tativa, la sensitiva e l'intellettiva. Il Venturi dice, Dante seguir la falsa sentenza di coloro che ammettono l'anima vegetativa divenire a gradi a gradi pria sensitiva e poscia intellettiva, a quella maniera che il lucido diviene più lucido ed il caldo più caldo, sentenza vigorosamente ri- gettata da S. Tommaso- Così pure ha interpretato questo passo Brunone Bianchi, il quale prendendo al rovescio il senso del paragone testé citato, si esprime così in una sua nota: « Lo spirito di Dio unito alla sostanza vegetativa e sensitiva diviene anima razionale come il raggio solare unito all'umor della vite si fa vino. » Niccolò Tommaseo da ultimo trova un inesat- tezza di frase nel dire « che lo spirito (sono sue parole) creato per essere intelligente tiri a so l'at- tività sensitiva, e non piuttosto se ne faccia stru- mento serbandola distinta da se. » Dante non ha detto affatto nò come vuole il Costa che sieno nell'uomo tre anime, né come vo- 9 gliono il Venturi ed il Bianchi che Tanima intellet- tiva sia la sensitiva a tal grado innalzata, e molto meno si discosta esso in questo luogo dalla dot- trina del dottore d'Aquino. Sentiamo il S. dottore. (( Dicendum est (così egli si esprime) quod anima intellectiva creatur a Deo in fine generationis huma- nae, quae simul est et sensitiva et nutritiva corruptìs formis praeexistentibus. » (1) Si poteva dire in miglior poesia ciò che S. Tom- maso ha detto in così bella prosa ? Non so poi come Paolo Costa non abbia avvertito quel « Passi un'alma sola Che vive e sente e sé in sé raggira. » Dante ha dunque detto in questo passo esser l'anima la forma sostanziale del corpo, esser l'unico principio di tutta l'attività umana : ossia ha detto l'anima razionale nell'atto di sua creazione ed in- fusione nel corpo, impossessarsi talmente di tutto r organismo che ne diviene 1' unico fonte di vita. Dottrina solida e vera non solo, ma e con precisione filosofica espressa. Il Tommaseo, che vuole accusar Dante d'inesat- tezza, è tanto inesatto nella sua nota che darebbe quasi a divedere non aver esso penetrato il con- cetto di Dante, e parrebbe volesse ammettere nel composto umano un principio di vita distinto dal- l' anima razionale: cosa da cui credo ben lontano l'animo dell'erudito ed illustre scrittore. (1) Summa th. 1. p. q, 118. a. 2. 10 Ma torniamo a Stazio. Dopo aver egli mostrato a Dante come l'anima razionale divenga il principio vitale dell'uomo, si fa più presso a sciogliere il dubbio di lui, e gli sog- giugne l'anima scioltasi dalla carne portarne seco e le potenze spirituali che Iddio in lei primamente pose, e le corporee potenze ch'essa attrasse in sua sustanza nell'unirsi che fece al suo corpo: e fornita di tali facoltà mirabilmente, ossia per opera divina, ritrovarsi ad una delle due rive , ossia alla riva d'Acheronte se dannata, se salva, alla riva « Dove l'acqua di Tevere s'insala, » e quindi andarne al luogo destinatole. « Tosto che loco lì la circoscrive » ed ecco il passo eh' io debbo comentare e che io riporterò per intero. ({ Tosto che loco lì la circoscrive, La virtù formativa raggia intorno Così e quanto ne le membra vive. E come l'aere, quando è ben piorno Per l'altrui raggio che 'n sé si riflette, Di diversi color si mostra adorno. Così l'aer vicin quivi si mette In quella forma che in lui suggella Virtualmente l'alma che ristette- 11 E simiglìante poi alla fiammella, Che segue i) fuoco là 'vunque si muta, Segue allo spirto suo forma novella. Però che quindi ha poscia sua paruta, È chiamata ombra e quindi organa poi Ciascun sentire infìno alla vednta. Quindi parliamo e quindi ridiam noi, Quindi facciam le lagrime e i sospiri Che per lo monte aver sentiti puoi. Secondo che ci affiggono i desiri E gli altri affetti, l'ombra si figura: E questa è la cagion di che tu miri. » Così adunque spiega Stazio a Dante la magrezza da lui scorta nelle tormentate ombre dei golosi. Appena 1' anima si trova nel ricettacolo a lei destinato, la virtìi informativa che è in lei, e per la forza, di cui l'ebbe creandola Iddio dotata, e per le potenze della vita vegetativa e sensitiva che si ebbe attratte, raggia nell'aere circostante con quella intensione e per quella estensione , con cui e per cui raggiò nel corpo umano; e come il raggio solare spiega e distribuisce decomponendoli i vari colori, che implicitamente sono in lui, nell'aer piorno, os- sia, come spiega il Post. Caet., nell'aere pieno di vapori in cui esso percuota; così l'anima fa pren- dere al vicino aere quella forma ch'essa gl'imprimé, non come il suggello fa della sua figura nella cera. 12 ma virtualmente, ossia per virtiì che ha di così ope- rare, e quasi decomponendo la sua facoltà di sen- tire, organizza in quell'aere i cinque suoi sensi in- fino alla veduta distribuendoli, come nelle membra vive erano distribuiti. Questo nuovo aereo corpo non è informato dall'anima, ossia non vive per lei, ma sempre la segue come la fiamma il fuoco : questo vien chiamato ombra , questo a seconda de' vari affetti dell'animo, ride, piange, parla, e magro per fame apparisce. Questo ricoprirsi che l'anima fa dopo sciolta dal corpo , di aereo velo non garba molto a diversi comentatori, tra i quali meritano special menzione il P. Venturi ed il P. Cesari , e dai quali viene il pensiero di Dante or sotto il riguardo poetico or sotto il filosofico riprovato. Mostriamo prima ai nostri comentatori l'eminen- te bellezza di questo luogo considerandolo dal lato poetico- Oltre questo mondo sensibile pieno di tante meraviglie onde a noi si manifesta la gloria dell'al- tissimo Iddio, egli è certo, per verità a noi rivela- tane , esistere un altro mondo sovra sensibile , in cui di tanto maggiore risplende la potenza del Crea- tore, di quanto alle materiali sustanze le spirituali sovrastano. L' uomo, ente composto di spirito e di materia, è l'anello per cui questi due mondi insieme si coor- dinano: e parte nello stato attuale di vita di questo sensibile mondo, non ignora egli dovere un giorno far parte dell'altro sovra sensibile ove la sua anima immortale contemplerà con piiì larga veduta le glo- rie di Dio. 13 Come dissi l'esistenza di questo mondo di altri spii'itì creati e diversi dagli umani, di cui noi non abbiamo esperienza e che il filosofo potrebbe sol- tanto argomentar per analogia, è nondimeno certis- sima per la rivelazione da Dio fattane al nostro pro- genitore Adamo , e poscia ai patriarchi del popolo eletto- JNè altra può esser 1' origine delia costante tradizione che si osserva in tutte le religiose cre- denze, a cui corrompendosi die in braccio il genere umano, e che insegna l'esistenza dei geni buoni e dei geni malvagi. A questo mondo, come a condi- zione di essere a lui eternalmente destinata, sovente si rivolgono le aspirazioni del cuore dell'uomo. Ora come figurasi egli , e il perfettissimo Iddio di cui tutto il creato gli aununcia l'esistenza, e gli spiriti dei defunti di cui l'economia del morale ordine gli palesa l' immortalità, e gli altri creati spiriti che la rivelazione gli manifesta ? Limitato com' egli è , ed avendo esperienza di soli spiriti che con l'aiuto del corpo fanno le loro operazioni, ed in atti corporei traducono i moti della loro volitiva facoltà, non può esso rappresentarsi le spirituali sostanze che sotto forma e figura corpo- rea. Quindi nttribuisconsi da noi a Dio medesimo, eh' è purissimo spirito , e l'occhio onniveggente , e la bocca ond'esce il fiat creatore, e la mano rego- latrice del mondo: quindi agli angioli e ai demoni immaginiamo e benigne e truci sembianze: quindi ci figuriaamo le anime degli estinti come ancor ve- stite delle membra che pur lasciarono. Né solo è la nostra immaginazione costretta ad appresentarsi sotto forme materiali le spirituali so- 14 stanze, ma e, chi ben guarda, esiste nell'animo uma- no un'altra inclinazione che ci porta per converso a prestar vita ed anim^ a ciò che pure è animato ed inerte. Si direbbe quasi aver l'uomo un bisogno di riflettere la propria maniera di essere su tutti gli altri esseri da sé distinti, e aggiugner lui o corpo, od anima alle separate sostanze, giusto appunto per- ch'e' si ravvisa di anima e di corpo composto. 11 Laharpe nel suo corso di letteratura antica e moderna ben rileva questo nostro irresistibile istinto cotanto coltivato dai poeti. « Oh ! qu' en ce sens, egli esclama , les poètes ont connu 1' homme bien mieux que n' ont fait les philosophes. 11 y a dans nous un fonds immense et intarissable de sensibilité qui ne demando qu' à se répandre, qui ne pouvant se contenter de ce qui est, cherche à se prendre à tout ce qui pourrait étre, veut tout interroger, tout animer, veut s'addresser à tout, et que tout lui ré- ponde ». Ora raffrontando queste due osservazioni, la ne- cessità cioè di dar sembianze corporee agli esseri meramente spirituali, e 1' inclinazione ad animare le materiali sostanze: e riflettendo in pari tempo alla natura dell'aria, elemento fluido e sottile e suscet- tiva di luce e di tenebre: spontanea ne viene l' in- ferenza, e ninna fra le materiali sostanze più con- venientemente dell'aria potersi animare dall' imma- ginazione dell'uomo, e ninna esser dell'aria più ac- concia a rappresentarci corporalmente sì, ma pur con- degnamente, le spirituali sostanze. E tale di fatti si è la tradizione sì religiosa e sì poetica, di tutti i po- poli del mondo, i quali hanno dell'aria nelle loro ap- 15 parlzioni rivestiti gì' iddii, gli angioli, i geni e gli spiriti degli estinti, e questi immaginati luminosi, se buoni, tenebrosi se malvagi. E dappoiché discorria- mo qui di bellezza poetica, dimostriamolo con gli esempì dei poeti- Di questi esempi riporterò solamente alcuni che risguardiao le ombre o i corpi aerei delle anime degli estinti, dovendo su questo argomento versar solo il mio discorso; pure non credo malfatto di av- vertir prima, come presso tutti i popoli pagani gì' id- dii ed i geni si sieno creduti apparire anch'essi sotto aeree sembianze. Sotto aereo corpo appariscono Mi- nerva e Tetide ad Achille in Omero, e sotto aereo e luminoso corpo si mostra egualmente ad Enea la madre Venere, la quale indica pure al suo figlio la Tritonia Pallade che (( Insedit nimbo effulgens et gorgone saeva ». Sensibile è poi oltremodo questa credenza nel mito d' Iride ch'era la messaggera degli dei. Questa era l'opinione dei pagani circa l'appari- zione degl' iddii ; ma anche presso di noi cristiani è opinione fondata sul consenso di presso che tutti i padri , che gli angioli i quali sonosi rivelati ad Abramo, a Lot, a Giacobbe, a Raffaele, a Daniele e ad altri, abbiano, per rendersi loro visibili , as- sunta una forma o corpo aereo. Di questa opinione si valse il nostro Tasso quando disse dell' arcan- gelo Gabriele che doveva apparire a Golfredo; « La sua forma invisibil d'aria cinse Ed al senso mortai la sottopose. » 16 Ma andiamo agli esempi risguardanti le anime de- gli estinti. Nel libro 23 dell' Iliade Achille vede 1' ombra dell'estinto amico, e dopo averle risposto in ciò che essa le dimandava, trasportato dall'affetto le dice: « Ma deh t'appressa, Ch' io t' abbracci, che stretti almen per poco Gustiam la trista voluttà del pianto. Così dicendo colle aperte braccia Amoroso avventossi e nulla strinse Che stridendo calò l'ombra sotterra E svanì come fumo, w Sbalordito allora il Pelide esclama: « Oh ciel ! Dell'Orco gli abitanti han dunque Spirito ed ombra ma non corpo alcuno ? » E di che mai sarà ella composta quest'ombra, a cui Omero immagina esser congiunto lo spirito degli abitanti dell'Orco ? Certo di aria. Imperocché non potrebbe altrimenti spiegarsi quell' « Amoroso avventossi e nulla strinse, w Cinte d'aria parimente sono le ombre e gli spet- tri delle anime che Ulisse vede nell'Erebo nell'un- decimo dell'Odissea e che Omero chiama eiSwXa, im- magini, sembianze. Così si spiega il vanire dell' ombra materna quando per ben tre volte Ulisse cercò di abbracciarla 17 Meglio e più esplicitamente di Omero si spiega Euripide nel verso 1020 dell' Elena: « è voìig A'^dvaxov zig «3aV«Tov ocùèp* à^nejf-« rvjg Xoyjxijg i/'uxvjg. » Questo spirituale od aereo veicolo dell' anima pensavano i detti filosofi che all'anima si conservasse anco dopo la sua separazione dal corpo; onde è fa- cile lo scorgere una grandissima affinità tra questa opinione e l'altra di sopra accennata. 24 Oltre la nota opera del Cudworth potrebbero con profitto su tal proposito consultarsi il Dan Witten- bach nella sua opera « De quaestione quae fuerit veterum philosophorum scntentia de vita et statu animarunn post mortem corporis: » e lo Struve nella sua « Historìa doctrinae graecorum et romanorum philosopborum de statu animae post mortem. » Doveva adunque e la riputazione filosofica di Dante ed il cumulo di tante autorità che a favor suo militavano far più ritenuti i suoi censori dal pronunziare così ricisamente l'ostracismo di tale opi- nione. Ma ed intrinseci argomenti vi sono, dai quali rilevasi non potersi dire improbabile cosiffatta opi- nione. Dimostriamolo. Egli è certo per l'esperienza, tale essere nel pre- sente stato di vita la natura dell'anima umana che in tutte le sue operazioni debba servirsi del con- corso del corpo eh' ella informa. Però che in due maniere è l'anima umana allegala (per usare l'espres- sione di S. Tommaso) al nostro corpo: e come ad organismo ch'ella debbe informare, e come ad istru- mento di sue operazioni. Sì : lo intendere, il volere sono operazioni proprie esclusivamente dello spirito, e gli spirili a noi superiori, come gli angelici, in- tendono e vogliono senza bisogno di alcun mezzo a loro estrinseco. Ma lo spirito umano, ch'essenzial- mente dall'angelico si differenzia per la unione del corpo cui esso informa, unione onde solo l'uman supposito risulta, col concorso di questo suo corpo dispiega nello stato presente di vitale sue spirituali operazioni- È ciò, com' io dissi, certo per espe- 25 l'ienza: ed argomento massimo n'è la differenza che noi veggiamo esistere da uomo ad uomo, e in un uomo medesimo da uno ad altro stadio dì vita , nella minore o maggior forza d'intelligenza, nella minore o maggior energia di volontà. Egli è però egualmente certo pel filosofo, nella separazione che accade in morte dell' anima dal corpo, dover quella sopravvivere alla dissoluzione di questo. Ammettere l'anima umana mortale sarebbe il medesimo, che disconoscerne la natura semplice e spirituale , sarebbe il medesimo che voler rove- sciare l'ordine morale della divina provvidenza. Ciò posto, se l'anima è per sua natura immor- tale, se cessa ella in morte dall'esser forma vivifi- cante il corpo , come eserciterà ella nel suo stato avvenire quelle operazioni, nelle quali aveva per sua special condizione bisogno del concorso del corpo ? Pitagora e Platone, i quali (a spiegar forse la guerra che ora esiste tra la legge della ragione e quella del senso) immaginarono le anime nostre altro non essere che spiriti celesti cacciati dalle stelle nei corpi perchè purgassero loro colpe e purgatele ritornas- sero alle stelle, ed i quali ammettevano per tal modo il corpo non essere di aiuto ma sì d'impaccio alle operazioni dell' anima, hanno detto, conscguente- mente a questo loro sistema, che disciolto l'animo da questo carcere di materia, e più libero trovereb- besi nello sviluppo delle sue spirituali facoltà. II sistema è evidentemente falso: ma la conse- guenza n' è seducente, ed è stata si può dir quasi dall' universal dei filosofi abbracciata. Pur tuttavia a me parrebbe tale opinione , acconcissima sì per 26 uno squarcio d'eloquenza, non andai- troppo d'ac- cordo col linguaggio dei fatti, col linguaggio della ragione, col linguaggio della fede. Non mi pare in prima andard'accordo col linguag- gio dei fatti. Se l'anima sciolta dal vincolo del corpo fosse più libera ad operare, e però più perfetta e felice, e perchè mai riterrebbesi da tutti gli uomini esser la morte il massimo dei mali ? Perchè desi- dererebbe l'animo nostro di riavere quando che sia questa terrena vesta, che sa di dover lasciare nella morte ? Desiderio pur naturalissimo a noi e che con tanto gentili versi espresse il Petrarca nell'atto che ci dipinge Laura beata nel cielo che pur gli dice: « Te solo aspetto e quel che tanto amasti, E laggiaso è rimaso, il mio bel velo. » Né consona egualmente alla ragione potrebbe pa- rere tal teoria. Dappoiché se sciolta dal corpo l'ani- ma umana non solo cessasse dall'esserne forma, ma potesse anco esercitare le sue facoltà senz'uopo di alcun mezzo corporeo, muterebbesi di troppo il suo modo di essere ed il suo modo d'operare, né più esisterebbe la differenza che l'anima umana distingue dalle separate ed angeliche, in quanto cioè l'anima umana avrebbe in se non solo il principio ma e lo sviluppo di sue operazioni. Questo argomento, che spero mi si conceda esser di qualche voglia, viene ad esser potentemente con- fortato dal lume della fede. Per la rivelazione noi sappiamo esser da Dio stato crealo l'uomo per essere immortale e sempi- 27 lerniilmente congiunto al suo corpo : — Io lo guardai, E al muto chieder mio così rispose : « Allor che gli avi miei furon dannati Da Roma ad esular, poiché si fero Della sua libertà propugnatori. Nò portarne le immagini pur dato Fu poi ne' funerali ; i miei parenti Tra la famiglia riparar di Cristo, D' indipendenza vera unico asilo. Quindi informato alle veraci nonne D' una legge divina io fui soldato Nella tebana legion lungh'anni, E là di Zaccaria portava il nome. Questa credente legion, poich'ebbe I 75 Sé l'ifiutata ai sacrifici infami Dei falsi iddìi, fé' trucidarla intera Massimiano ; e fu compiuto il cenno Presso Agauna nell'Alpi. Allor si vide, Allor si vide quattromila adusti Vecchi guerrier, cui s' imbiancar le chiome Sotto il peso dell'elmo, ardenti ancora Di giovenil virtù, col brando in pugno, Stendere al par di mansueti agnelli Ai carnefici il collo- Kntro del core Così scolpita avean la diva legge Di quel maestro, che '1 gittar la vita Pria che virtii consiglia. In fra lor primo Cadde Maurizio condottier supremo Di quella schiera, e la più parte addotti Furo a morte di ferro. A me già strette Sul dorso eran le mani ... In tra la folla De le vittime assiso, il fatai colpo lo m'aspettava ad ora ad or : ma quale Che pur si fosse del divin consiglio L'arcano senno, io nel comun macello Obliato rimasi. I corpi morti Cotale intorno a me fecero un monte, Che agli occhi de li sgherri io fui sepolto ; E fatto pieno il reo voler, die volta Massimiano colle sue falangi. » « Come salse la notte alla seconda Di sue vigilie, e non s' udìa che il suono D' un lontano torrente alla montagna. Levai la lesta, e rimirando intorno, Alto prodigio mi colpì gli sguardi- Un'atmosfera di gentil sereno Sovra que'corpi dilatossi in giro, E ne volava intorno alma fragranza Di paradiso. Venerai prosteso 11 gran Dio de' portenti, che non volle L'olocausto accettar de' giorni miei ; E poich' io non potea di sepoltura Tanti santi onorar, mi posi in cerca Del gran Maurizio- Alfin, dopo non breve Angoscioso guatar, cader balzando Nell'orribile strage, ecco il ravviso Quasi tutto sepolto in fra la neve Che piovve nelle tenebre. Mi corse Per l'ossa un brividìo come in sul primo Gli smossi il capo ; che mi parve ancora Dar suo cenno alle schiere, e ancor la vita Su quella fronte balenar mi parve* Ma tanta fiamma di vigor novello Dal ciel mi scese, che troncati a un punto M'ebbi i legami, e coll'aguzzo fm-ro D' una lancia scavai tosto la tomba Al mio buon duce. Ricongiunsi il capo Al tronco abbandonato, e fatto un prego AI novel Maccabeo, che presto un seggio Fra la diva milizia egli impetrasse Al suo soldato, il ricoprii di terra. Questo campo di pianto e di trionfo Quindi lasciai, per lo sentier mi posi Di Gallia, e presso Dionigi, il primo Vescovo di Lutezia, ebbi l'albergo »• « Con lagrime di gioia il pastor santo M'accolse, e annoverò nell'adunanza Dei discepoli suoi; le man m'impose. 77 . E sacerdote di Gesù mi fece Dicendo: « 0 Zaccheria, ti sieda in cima D'ogni pensier la carila ! Son questi Tutti i precetti ond'io fornir ti possa. Ahi ! quante morti a rimirar, dal cielo Son destinato, e de' miei cari amici Sempre le morti, e per la stessa mano ! v « Troncar fé' il capo a Dionigi ancora Massimiano e a' suoi fidi compagni Rustico ed Eleuterio. Ultima impresa Fu questa in Galiia delle sue; che poscia Ne pose in mano di Costanzo il freno- « Del mio vescovo ognor l'alte parole Mi sonavano in cor. Brama perenne M'ardea di sovvenir delle mie cure or infelici del mondo, e spesso andavo Dionigi a* pregar, che per valore De' merti suoi quest'unica ventura Da Gesiì m' impetrasse. Appiè del colle, Ove fu mozzo de la testa, i fidi Credenti di Lutezia avean sepolto L'adorato pastor. Quel colle il monte Si nomava di Marie, e un paludoso Tratto il partia dalla Sequana. Un giorno, Quelle paludi traversando, io vidi Una credente venir tutta in pianto Alla mia volta, e come fu vicina : « 0 Zaccheria, gridò, son fra le donne lo la più sventurata: a man dei franchi E venuto il mio sposo, io resto sola Con tre piccoli figli, e non ho pane Da nutricarli. )> Di rossor la fronte 78 Mi si coverse, e ben m'accorsi allora Che Dionigi m'ascoltò. Celai La mia gioia, e le dissi : Animo prendi ; Che pur di le rìcorderassi Iddio. Così, rotto ogn' indugio, in via mi posi Per la colonia d'Agrippina. Assai Noto era a me quel prigionier soldato : Era credente, e fratel d'arme un tempo Gli fili. Come che semplice e rimesso Nella buona fortuna, alla rea contro Gli venia meno il cor : quindi tremai, Che in un coi lieti giorni anco la fede Lo abbandonasse. Alla colonia io giunsi, E al capitan de' saliani in preda L'udii caduto- Avea co' franchi allora Ferma Roma una tregua : adunque io feci Tragitto a questi barbari, e m'offersi Volontario riscatto a Faramondo Pel Cristian ; poiché null'allro in terra lo possedea che me. Cosi com'era Io vigoroso e forte, e per ventura Colui debole e stanco, agevolmente Fu gradito lo scambio. Io solo un patto Chiesi al novo signor : sciogliendo i ceppi Al prigioniero non gli far parola Qual fosse il prezzo. E tal seguì. Tornossi Pieno di gioia quel povero padre La sposa a consolar, nutrir la prole. » « D'allora in poi fo qui vita di schiavo : E di ciò molto mi rimerta Iddio ; Poi ch'alloggiando in fra tai genti, in tanto Vi fui felice, che vi sparsi il seme 79 Della parola di Gesù. Ma sovra D'ogni altra cura vo' per lungo i fiumi Della riva scorrendo a tor, per quanto Da me rimane, il lagrimevol danno D'un forsennato esperimento. Hann'uso Que' barbari, a provar se i propri figli Cresceran valorosi, esporli all'onde Sovra uno scudo ; e qual veggiono in suso Rimaner galleggiando, esso alla vita Ridonano, e perir miseramente Lascian gli altri ingoiati. Ove talora Di cotesti angioletti alcun mi venga Lieve raddurre a salvamento, io ratto Della battesimale onda lo bagno Per aprirgli 1' Empirò. •— Un'altra messe M'offron talora i desolati campi Delle battaglie. A guisa d'affamato Lupo m'aggiro in fra l'ombre, e'I sentiero Tento fra i mucchi della strage ; il segno Fo della voce ai moribondi ... Oh ! come Fremon taluni sospettando un ladro Che li dispogli nel morir ! Ma quanti Riapron gli occhi dolcemente al suono D'una vita miglior ! Così m'avviene Di metterli per via, donde si varca Al riposo d'Abramo. Ove feriti Non sieno a morte, ed io m'adopro allora Di sovvenirli ; e così spero a prezzo Di dolce carità riguadagnarli Al Dio degl' infelici. — Insino ad ora Il pili bel degli acquisti, ond' io mi pregi. 80 È la pieghevol giovinetta moglie Del mio vecchio signor, di Faramondo. tt Clotilde il core a Gesù Cristo aperse : Di violenta e cruda ella è venuta Mansueta e pietosa. Ogni dì sempre Mi porge aita a liberar dai ceppi Quelche infelice ; e la tua vita ad altri Tu non devi che a lei- Quand' io le corsi Ad avvisar che ti trovai fra i morti, Pensò da prima di tenerti ascoso In quella grotta, ove camparti al tutto Da servitù : ma poi seppe che i franchi Seguitavan ritrarsi, e allor non altra Via le restava,- che svelar l'arcano Della tua vita ed impetrar mercede Per te dall'aspro Faramondo : avvegna Che i barbari, se cari hanno gli schiavi Sani e valenti, li sospinge altronde L' impazienza ingenita, e'I dispregio Ch' han della vita, ad immolar quant' havvi Fra- i prigionier di stanchi o di feriti- « Questa è di Zaccheria la storia, o figlio. Se trovi or tu, che non mal merto ei s'aggia Procacciato appo te ; sol d'una cosa Ei ti scongiura. Or fa, che non ti vinca L'angoscia mai, rompi fortuna, e dura : Che, poi ch'ei ti salvò della persona, L'anima e tu ti salvi assai più cara D'ogni cosa terrena. Eudoro, in grembo Tu nascesti à quel dolce almo terreno, Che vicino alla terra è dei portenti ; Fra quei popoli culti, a cui si deve 81 Per gli altr' uomini tutti ogni semenza D'arti, dottrine, e di civil costume : In quella Grecia, io dico, ove il sublime Paolo recò l'avvivatrice fiamma Della fé di Gesiì. Quanto non fosti Privilegiato adunque oltra i gelati Abitator dell' Orsa, a cui si rude Tace in seno lo spirto, e il cor feroce Vive di sangue ! E tu di ior men vivo Forse ti mostreresti ai dolci colpi Che fa la carità dell' Evangelo ? » Come punta nel cor mi penetràro Di Zaccheria gli ultimi accenti. Oppresso Io mi sentiva dal secreto indegno Della mia vita : non osai le ciglia Al mio liberator levare in fronte : Io, che sostenni intrepido gli sguardi Dei signori del mondo ! Alta vergogna A palesar l'oblìo della mia fede Schivo mi féat necessità del core Mi spingeva a scoprir della mia vita Gli obbrobriosi giorni. Egli s'accorse Della nova tempesta onde sbattuto Era l'animo mio, ma non s'appose Della fonte segreta: e sospettando Non si fossero aperte un' altra volta Le mie ferite, addimandò che fosse Quel mio novello turbamento. Io preso A cotanta bontà, mentre sua vista ^ Mi difendean le lagrime che un velo Involontario mi faceano al ciglio. Ai pie del vecchio mi gettai dicendo : G.A.T.CLXI. 6 82 « No, padre mio, non son pur le ferite Di questo corpo che mi danno angoscia : Una piaga è bensì, ma piiì profonda, Più di queste mortai- Tu, che tanti opri Gesti sublimi e generosi in nome Di tua religìon, dì, crederesti Mai tu, si poca somiglianza in noi Raffigurando, crederesti, o pio, Che noi siam figli d'una islessa fede ? ». (( Mio Cesiì ! mio Gesù ! (gridò, le palme Levando al cielo il santo vecchio) o mio Divin maestro, un altro servo adunque Avrai tu qui ? » — « Sì, cristiano io sono »• Soggiunsi a lui che in fra sue braccia avvinto Delle lagrime sue mi bagna, e preme Contro i canuti suoi capelli, e lieto Nei singulti ripete : « 0 mio fratello ! Dunque un fratello ho qui trovato. » Ed io « Son cristiano » io ripeteva ancora. Noi piangevamo, e sulla terra intanto Scendea la notte- Il proprio carco ognuno Riprese, e ci tornammo alla capanna Di Faramondo. Come poi del giorno Spuntò la nova luce, a ricercarmi Zaccheria ritornò, m'addusse in fondo D'una foresta, e là vidi nel tronco D'un vecchio faggio (il faggio, onde già diede Secovia profetessa dei germani Suoi responsi alle genti) una commessa Picciola immago di Maria la madre Del Salvator. L'era posato a' piedi D'edera un ramo, dei maturi fruiti 83 Tuttavìa pieno, alla gran Diva e al Figlio Póllo di fresco; poi ch'ancor la neve Non la copriva ». Questa notte istessa, Dissemi Zaccheria, quando contezza Del novello fratel che nosco abbiamo Diedi alla sposa del mio sire, in fretta S'addusse ella fra l'ombre al nostro altare, E sì '1 fregiò di sua letizia in pegno ». Non pur finito questo dir, davanti Ecco starci Clotilde. In sulla neve Del faggio al piede ginocchion si mise Tacita; e noi le ci ponemmo ai fianchi Di simil guisa, e rimanemmo in quanto Ebbe ridetta del Signor la prece Ad alta voce, e in barbara favella. Così nascer vidi io la fé di Cristo Appresso i franchi. Oh divin culto ! Oh pura Religion sublime ! a qual parola, A qual pensier di rivelar fia dato Le grazie di tua culla ? Oh come apparve Cosa tutta di ciel primieramente Ai pastor di Giudea nella spelonca Di Betlem ! come portentosa allora Dentro le catacombe mi percosse. Che vidi innanzi a lei prostrarsi umile Una possente imperadrice ! Ed ora Chi pianto non avria la ritrovando Sotto un albero là tra le foreste Della Germania, e adoratori intorno Soli aver tre fedeli: un roman schiavo, Un prigion greco, e barbara regina In mezzo a loro ! Oh qual possente mano, Qual più chiara dal ciel voce discesa Io m'aspettava a rieondurmi in seno Dell'ovil che lasciai ? Già reso in parte Saggio m'avea del voto orrido e bratto Degli umani piacer la noia ond'io Ne riuscii gravato; indi lo spirto Scosso forte m'avea l'anacoreta Del Vesuvio; e il mia cor già lenemente Zaccheria si prendea : ma scritto in cielo Stava, ch'io non avrei fatto ritorno A verità senza passar per lungo Sentier di gravi esperimenti, e strane Disavventure. Di fraterni studi Sempre per me l'amabil vecchio crebbe, E nelle sue parole udir la voce Mi pareva di Dio. Che viva scuola Non si chiudea nel rimirar soltanto L'erede Cristian di Cassio e Bruto ! Queir inconcusso del roman tiranno Stoica uccisar, do[K) una breve e piena Di gloria e di poter libera vita. Noma virili mero fantasma : il pio E pietoso discepolo di Cristo, Schiavo, ignorato, povero, canuto. Predica alfìn, che nulla è sulla terra Verace in fuor della virtiì ! Cotale Sacerdote, che in vista era sol dotta Di carità, chiudea pure un tesoro Di dottrina neiranima, e un acuto Senso del bello. Innanzi alla sua mente Erano tutti in ordinata schiera Gli error, le glorie, i magni gesti, e quante 85 Strane venture addussero gli antichi Secoli in Israello, in Grecia, in Roma. Che dolce incanto rascoltar quand'egli Favellava degli uomini che furo, Guardando il gregge ai barbari ! Sovente M' intertenea degli usi e delle leggi Dei signor nostri, e mi dicea : « Se un giorno Ritoccherai della tua Grecia i lidi, Diletto Eudoro, intorno a te vedrai Stringersi i figli di tua patria, ardenti D'ascoltarti narrar le costumanze Di questi re dalla prolissa chioma. Le angustie* ch'or ti serrano, gradito Fonte ti fien di rimembranze, e novo Erodoto sarai fra quelle genti Ad incantarle di lontan venuto Con mirabili storie. A lor tu dunque Dirai, che le germaniche foreste Danno seggio ad un popolo, che sceso Di Troia anch'eì si pregia (avvegna in terra Che non abbia mortai, cui la bellezza Di vostre fole non rapisca a tanto Da pur volerne la sua parte) ; e questo Popol ch'è fatto di tribù diverse Di catti, di bructeri, e saliani Di germani, e sicambri, aversi il nome Preso di franchi, nome altier che suona Libero; e ch'esso di tenerlo è degno. » In molti re partito il regno, in uno Si stringe allor ch'alto periglio incalza. Sta la tribjj de' saliani al cenno Di Faramondo : e questa il piiì sovente 86 Del comando ha l'onor, poich'è tenuta Fra le altre nobilissima. Quest'alta Nominanza le vien dal suo costume, Che vieta freno femminil, né fida Lo scettro nd uom giammai, se non guerriero. (( Due volte ogni anno, a marzo e a maggio,i franchi Si raccolgono insieme alla consulta Della bisogna universal. Risplende Tutto nell'arme il popolar senato, E sotto una gran quercia il re s'asside. Gli fan presenti d'ogni parte, e lieto Ei li riceve ; le doglianze ascolla De' suoi soggetti o a meglio dir compagni, E tiene a lor di tutto equa ragione. (( Qua possesso non vige oltre d'un anno : Quel terreno coltiva ogni famiglia, , Che dal re le s' imparte , e alfìn comune Torna dopo la messe ogni campagna. Tien d'un'egual semplicitade il resto De' lor costumi, e come vedi, il saio, Il cacio, il latte, dividiam pur anco Noi co' padroni. Testimon tu fosti Di Meroveo ieri alle nozze ; e furo Uno scudo di velrice, un destriero Colla sua briglia, e d'aggiogati buoi Non più che un paio, il nuzial presente Furo all'erede dello scettro franco. Che se ne' giuochi a sua stagione ei salta Più d'ogni altro spedito in fra le lance Ed alle spade ignudo, e si comporti Da prode in guerra e giusto in pace, allora Gli fìa dato sperar dopo la morte 87 Un rogo e una piramide di zolle, Che gli copra la tomba. » In questi sensi Zaccheria mi parlava. — Alfin pur venne La primavera ad animar le selve De la nordica terra. In un momento Oh come tutto tramutò sembianza La valle, il bosco, la pianura, il monte ! Pria delle nevi la bianchezza uguale Ruppero uscendo fuor le nere punte Delle rocce, indi le rossigne cime Degli abeti ; e per tutto impazienti S' adornar gli arboscei di fronde e fiori In loco dei cristalli, che pur dianzi Fean luccicar di pendoli ogni ramo. Ma que' bèi giorni rimenaro ai franchi La slagion de le pugne. Altri di piglio Ridiér subito all'armi, altri assettarsi Per la caccia degli orsi e degli urochi In lontane contrade. A' cacciatori Meroveo si fé' duce, ed io co' schiavi Fui messo, pronti a seguitarlo. Addio Dissi al buon Zaccheria ; né più rividi Per alcun tempo il piti gentile e santo Degli uomini. Scorremmo in breve tempo Il lungo tratto, che dal mar si stende Di Scandinavia al Ponto Eusino- Il varco Danno queste boscaglie a centinaia Di popoli selvaggi, che a vicenda Vanno in torrenti a dilagar 1' impero. Par ch'essi udito dal meriggio un segno Abbiano, che dai gelidi trioni Alto li chiami e dall'aurora- Il nomo 88 Loro qua!' è ? Che stirpe e che paese Dier nascimento a lor, cuna, e soggiorno ? Di ciò chiedete ai eie!, che li conduce ; Poich'essi all'uom sono ignorati al pari Di lor cieche làtèbre- Ecco e' son giunti, E lor tutto è parato- Alberi e suolo Son casa e tetto, e i lor sentieri usati Gli arapi deserti. Di saper v'aggrada Su qual terreno s'accampar ? Mirate Quest'ossa a mucchi di sgozzati armenti. Questi pini che paiono percossi Dal fulmine del ciel, quelle foreste Disertate dal fuoco, e questi piani Ricoperti di cenere. — Ventura Volle che intoppo di cotai falangi Non e' incontrasse in via : ma sol trovamnw Tali erranti famiglio, in cui paraggio Ben il vanto di popolo civile Puossi al franco largir. Quegl' infelici Senza tetto ne vesti, e più che spesso Manchevoli di cibo, altro non hanno Conforto ai mali lor, ch'una infeconda Libertà non sentila, e qualche danza Nel deserto. Ma quando al bosco in fondo- Sulla riva d'un fiume a queste danze Sciolgon la vita, e suon d'umani accenti Eco la prima volta ivi rimbomba, E dall'alto del suo scoglio sta l'orso. Che il muso intende a rimirar que' giuochi Dell'uom selvaggio, in quella rozza scena Pur v'ha qualcosa di sublime : e forza È sul destino intenerir di questo 89 Figlio di solitudine, che nasce Ignoto al mondo, per un sol momento Calpesta alcune valli ove giammai Più non fia che ripassi, e poco stante Cela il sepolcro suo di sotto al muschio Dei deserti, che al tardo passeggìero D'un popolo che visse orma non serba. L' Istro varcato appo la foce, alquanta Scevraimi un giorno dai compagni, e a vista Fui dell'Eusino ; quando mi s'offerse Una tomba di pietra, ed un alloro. Che vi crescendo la copria. Divelsi Dalla sua base alcuni sterpi, e lessi Scolpiti in lei questi latini accenti D'un sommo al par che sventurato vate : « Senza me te n'andrai, mio libro, a Roma. » Che pensier, che desir mi suscitàro Cotai memorie 1 Lunga pezza io stetti Muto guardando con immote ciglia Nella tomba d'Ovidio, inaspettata Vista in mezzo a un deserto ! Ahi com'è dura, Meco dicea, l'angoscia dell'esìglio, E sovra tutto barbara a colui. Che per alma gentile in cor più vive Le dolcezze provò del suol natio ! Ahi durissimo esigilo ! — E allor dinanzi Mi si facea l'interminato stuolo Degli umani infortuni; e tutti al guardo Del mio cruciato spirito sembianza Prendean di vere gioie; e col desio Tra i lor fantasmi io mi lanciava, e tutti Abbracciati li avrei ; ma dopo il sogno 90 Mi ritrovava nell'esiglio, e indarno Dagli occhi stanchi mi rompeva il pianto. Ahi fero esiglio ! E conlra te non vale Schermo d'alti pensier; ne vai dottrina, Che a pili gravar su noi l'orrido peso Del tuo martirio, e dell'altrui vendetta. Quella Roma che tanto oggi si piace Ed inorgoglia del gentil fra tutti I vati suoi, del piià fecondo ingegno Cui desse a luce, con asciutte ciglia Mirò vent'anni stemperarsi in pianto Gli occhi di lui che le die tanto onore* Ahi ! meno ingrati degli ausoni, ardente I selvaggi deiristro han rimembranza Dell'italico Orfeo, che un giorno apparve Nelle foreste lor. Pieni d'amore Convengon essi a carolar d'intorno Al suo fremente cenere; e qualcuna Delle sue note ancor suona, ed è bella Su rozzi labbri. Tanto ad essi è cara Pur la memoria di colui, che nome Là di barbaro avea però ch'inteso Dal sarmata non era in sua favella ! Quelle vaste contrade attraversate Aveano i franchi a visitar talune Di lor Iribij, cui dell'Eusino in riva Probo un dì trasmutò. Ma come aggiunti Fummo all'Eusino, ivi contezza avemmo Che un mese innanzi dileguarsi intere Da quelle parti: nò dicea la fama Per dove, o come, né il perchè, nò punto, Che di lor fosse. Meroveo tornarne 91 Deliberò subitamente al campo Di Faramondo : e deviando alquanto Dal primo calle, ci trovammo insieme Sul monumento ove seduto io m'era Testé solingo. In suo consiglio il cielo Fermato avea ch'io libertà trovassi Alla tomba d'Ovidio. Ivi una lupa S'era nel parto accovacciata, e come N'avvicinammo, si lanciò disteso A Meroveo. Già gli addentava il collo : Ma con un dardo io la trafissi, e spenta Cadde al suol pria che in aer sonasse il grido Dello spavento, e pienamente accorto Se ne fosse colui. Com'ei riscosso Fu dal primo stupor, diemmi sua fede, Che immantinente pregherebbe il padre Per la mia libertà. Gli fui compagno Quindi in poi della caccia, ed al suo fianco Riposar mi facea- Gli ricordai Talor della battaglia sanguinosa Per dove tratto primamente il vidi Dai tre feroci tori; e tutto quanto Si riscotea di giubilo al richiamo Della sudata gloria- Anco gli dissi De' miei patrii costumi, e delle antiche Nostre memorie : ma di quanto udiva, Solo arridea dal core alle fatiche D' Ercole e di Teseo. Quand' io talora Mi studiava addottrinarlo in parte Di nostre arti divine, ei feramente L'asta brandiva, e mi dicea : « Son' io, 0 greco, 0 greco, il tuo signor son'io », 92 Volser più lune, e ritornammo al campo Di Faramondo ... La real capanna Giacca deserta. Visitar taluni Ospiti il re dalla prolissa chioma; E il re, profuse le delizie intere Della sua casa ad onorarli, addotto S'era a coabitar nella capanna D' un vicino signor, che messo al fondo Di sue dovizie anch'ei, seco Io addusse Appo un altro dei capi. Faramondo Noi ritrovammo alfin, che ad un festivo Banchetto assiso, si godea la copia Delle gioie ospitali : e a noi frattanto Di quelle feste la ragion fé' conta. In mezzo al mar di Svevia un' isoletta Giace, Casta di nome, e sacra ad Erta Diva, il cui simulacro è sovra un carro Perennemente in un gran velo avvolto. Scorre per la Germania a certi tempi : Giacciono allor le nimistadi, e tace Per le nordiche selve il fragor diro De le battaglie- Noi giugnemmo in quella, Che tale arcana deità di poco Era scorsa tra i barbari, e la gioia Che vi destò non era spenta ancora. Per abbracciarmi Zaccheria non ebbe Che il destro d'un istante. Eran chiamati Tutti i capi al convito, ove a consulta Por si dovea, se proseguir la guerra, 0 alfin la pace statuir con Roma. A me l'ufficio di coppier fu dato, E Meroveo locossi in fra i guerrieri. 93 Eran seduti in semicerchio avanti A un focolai", dove si fea l'appresto Delle dapi festive : ed ogni prence Di tutto punto com' in guerra armato Sedea su fascio d'erbe o su fardello D' involte pelli, e sol per se distinta Picciola mensa avea dinante, in cui Giusta sua voglia, o il sangue, o una tal parte Gli si porgea di vittima. 11 guerriero. Che più d'ogni altro si sapea valente, (E Meroveo quest'era) alto s'ergea Nel maggior posto- Qua e là d'attorno Andavano i liberti in lancia e scudo, Che recavano i tripodi ricolmi Di vivande fumanti, e le spumose Piene d'orzeo liquor corna d'uroco. Sul compiere del pasto a far consiglia Si cominciò. Confederato ai franchi Un gallo avea, Comulogène il nome, E discendente del famoso veglio, Che già Lutezia incontro a Labieno Fero sostenne. Coi quarantamila Discepoli cresciuto era alle scuole D'Augustoduno (1), e raffinò lo spirto Dai più famosi retori che furo Di Burdigalia (2) e di Marsiglia. Ardente, Siccome gallo, e istabile, e ritroso Ad ogni freno, ei si gettò da prima Nella rivolta de' bagaudi : alfine (1) Autun. (2) Bordeaux. I 94 Quando Massimiano ebbe domati Quei ribellanti c?mpagnoli, ai franchi Passò Comulogene, e per soverchio Di sue dovizie, e valentia nell'arme, Lo si adottar. Poiché silenzio venne Dai sacerdoti del banchetto imposto, Levossi il gallo a favellar ; che stanco Forse in cor dell'esiglio, alto il partito Di spacciar messi a Cesare propose ; Delle romane legioni a cielo La disciplina commendò ; poi disse La virtù di Costanzo, e le dolcezze Cui fruttar suole e fratellanza e pace « Che un gallo porga a noi questo consiglio (Cloderico rispose, un dei signori) Maraviglia non è : sente che voto Non gli andrà di mercede appo i suoi primi Signor l'officio. È ver, la vitea verga D'un capitano di centuria è meno Greve a trattar che la framèa. Per fermo Cesare venerar sul Campidoglio In porpora sedendo è men periglio, \ Che dispregiarlo in una pelle d'orso Dalla nostra capanna- In Roma in Roma Yisti ho pur io que' possessor tenaci Di superbi palagi, avidi schiavi D'oro, fasto, e mollezza- Oh ! di pietade Troppo degni son essi, onde più cresca In noi l'amor delle natie foreste. Sì, credetelo a me, così tremendi Essi non son, quai ve li pinge il grido Della paura. Dimandar la pace 95 Ben ponno i galli, se di pace han voglia, Eì, che da quella nazion di donne Fui* conquistati. Cloderico in petto Sente un cotale ardor, che lo strascina A incenerire il Campidoglio, e il nome Pur dei romani cancellar dal mondo. » Vibrando all'aura le lucenti lance, E battendo gli scudi, a questi accenti Fece plauso il congresso. « Ite, ite a Roma, (Riprese il gallo raddoppiando il tono Dell'adirata voce), or che badate Qui ne' boschi acquattati ? In cor sicuri Già siete voi di tragittarne il Tebro, E ancor da voi non fu francato il Reno ! I galli, schiavi conquistati un giorno Da quel popol di donne, in cotal pace Desidiosa non sedeano a mensa II dì, che devastar l'empia cittade. Che voi da lunge or minacciate. Ignoto È a voi pur dunque, che la ferrea spada D'un solo gallo equilibrò del mondo Il vasto impero (1) ? Ovunque alta faccenda S'agitò sulla terra, in chiaro loco Voi gli avi miei ravviserete. I galli, I galli soli, non sentir paura Dinanzi ad Alessandro : essi dieci anni Stèro a Cesare incontro, e alfìn provati Di Vercingetorìce avrebbe i ferri (1) Allude alla spada da Brenno gittata sulla bilancia, ove i romani pesavano le 1000 libbre d'oro per riscattar la città dai ealli. 96 Cesare, so non erano fra loro Discordi i galli. Ma quai son più chiare Terre dell'universo, i miei maggiori Tutte l'ebbero a freno. Il ferro, il fuoco Essi in Grecia recàro, essi piombarono Sopra Bisanzio, s'accampar di Troia Sulle ruine; han posseduto il regno Di Mitridate, ed oltra il Tauro i ceppi A quegli sciti, non domati ancora Da man mortale, essi arrecar. Dal pugno Degli avi miei, come di gente impressa Da sugello fatai, parean sospese Le sorti della terra. Una e poi l'altra Parve, che tutte udissero le genti Quella voce fatai, che féa di Brenno Ai romani sentir la vicinanza, E a Cedizìo gridò nel più profondo Della notte : » 0 Cedizio, a' tuoi tribuni Dì, che diman saranno i galli in Roma- » Comulogene ancor seguìa; ma forte Scoppiando in risa Cloderico, e l'else De la spada battendo in sulla mensa, E la sua coppa rovesciando, disse : « Chiomati regi, or che vi par ? Qual senso Cogliete voi dal cicalar di questa Profetessa dei galli ? Udiste mai Di cotesto Alessandro ? E che fattura S' è Mitridate ? Ornai, Comulogene, Se gran discorso fabbricar t' è lieve Nel sermon di quei vili, a eui se' schiavo, Tienli dal farlo innanzi a noi- Si vieta A' figli nostri esercitar la mente In arti di scrittura, arti abborrite Dì servitù. Ferro, battaglie, e sangue : Questo da noi si vuol, questo s' impara. » Rimescolossi l'assemblea, levarsi Tunmltuose grida ; e vendicando Collo scherno 1' insulto il gallo aggiunse ; « Poi che '1 famoso Cloderico ignora Pur d'Alessandro il nome, e non gli aggrada Lunghi discorsi, un sol molto farogli : Se per addur le fiamme in campidoglio, Altri che te non han guerrieri i franchi, Eterna è Roma, e per voi meglio è pace Ad ogni prezzo, w — « Traditor (coi labbri Pieni di schiuma, e sollevando il tono Della voce il sicambro) ancor pochi anni, E la tua razza cangerà signore. Allor pei franchi coltivando il suolo Degli avi tuoi, nolo il valor ti fia Dei re chiomati. » — E sorridendo il gallo, Ma d'un sorriso cui smentiva il labbro Ti'cmulo, e il fuoco de lo sguardo errante : « Ov'altra tema, che del tuo, non m'abbia. Per fermo in cura io non avrò raccorrò L'uova del serpe a la novella luna. Per avermi riparo incontro ai mali, Che già Tentate m'apparecchia. » Udito Ebbe lai detti Clodorico, e agli occhi Stendendo a lui della framea la punta : « No, gli dicea con la voce impedita Di rabbia, tu non oserai lo sguardo Pur su questa levar. » — « Menti a ripiglia Neil' ira il gallo, e sguainato il brando, C.A.T.CLXL 7 98 Sul franco si precipita ... — Divisi Fur subito i guerrieri; e i sacerdoti Imposer fine a quel novel banchetto Di centauri e lapìti. Al nuovo giorno, Giorno che in sua pienezza era la luna (1), Deliberossi nella pace il meglio Dei vari divisar, ch'esposti allora Fur ne l'ebbrezza quando il cor non fìnge, E tutto s'apre alle sublimi imprese. Si statuì d'offerir pace a Roma ; E poi che Meroveo, fermo, nel vanto Delle promesse sue, dal genitore La libertà m'ottenne, io fui prescelto Messaggero a Costanzo; e messaggera Di sì lieta novella a me Clotilde Con Zaccheria ne venne. Indi gran prieghi Mi porsero ambedue, ch'oltre dimora Non ponessi all'andar, così schivando L' incostanza dei barbari- Cotanto Quel sospetto amoroso il cor mi vinse, Che fu d' uopo obbedir; ma Zaccheria Fino all'estrema gallica frontiera M'accompagnò. La gioia, onde m'empiea La mia vicina libertà, contesa Erami dal dolor di separarmi Da questo vecchio venerato. Indarno Lo pregai di seguirmi, indarno io piansi De'suoi travagli. Camminando, un giglio (1) Coeunt, nisl quid fortuitum et subitum inciderli, cerlis diebus, cura aut mchoatur luna aut irapletur. (Tacit., de Mor. Germ., XI). 99 Selvaggio e'colse, che mettea la punta Fuor della neve, e sì mi disse: « 0 figlio, E' questo fior de'sali'ani insegna : Per sua natura ei più gentil, pili bello Sorge tra questi boschi, e più fragrante, Che in suol meno soggetto a vernai ghiado; E il candor de le brine (onde si vela E si tien custodito anzi ch'offeso) Vince d'assai. Di simil guisa io spero Che questa di mia vita aspra stagione, Da me passata insiem colla famiglia Dell'uom cui servo, renderammi un giorno Simile a questo giglio innanzi a Dio; Poi ch'all'anima è d'uopo, onde si svolga In tutta sua virtù, per alcun tempo Sotto il rigor della fortuna avversa Giacer sepolta. » Così detto, stette, Si volse al cielo ov'accennò che un giorno Ci troveremo : e, pria eh' io fossi a terra Per adorarlo, abbandonommi ; e tempo Né forza io m'ebbi di formar parola. Così Gesù, le cui vestigio ei preme, Informar si piacea d'alte dottrine I discepoli suoi lungo le rive Del mar di Galilea, parlar facendo L'erba dei campi e il giglio de la valle. 100 Dal libro 15 dei medesimi. L angiolo dei mari che protegge, per cornai • Maria, la fuga di Cimodoce e d' Eudoro. Solcando se ne va verso oriente Il vascel di Cimodoce, e rivolto Verso Italia la prua quello d' Eudoro. Vegliava intanto la divina Madre Del Salvator su i perigliami giorni Della innocente pellegrina- Invia Gabriel ratto all'angiolo dei mari Perchè ritenga i furiosi venti E i più soavi sovra il mar disfreni. Non tosto il potentissimo comando Udì '1 celeste messagger, che tolte Dagli omeri le bianche ali, cui cinge Un'aureo lembo, immergesi nell'onde. Alle sorgenti dell'ocèano, in fondo Di grotte impenetrate, ove de' flutti Assiduamente il fremito rimbomba. Abita l'accigliato angiol, che i moti Agli abissi del mar frena e governa. Saggezza il prese ad erudir quand'ella Al^nascer primo s'aggirò dei tempi Sovra '1 dorso dell'acque. Egli al gran cenno Docile dell' Eterno aprìa del cielo Le calaratte e sommergea la terra: Ed ei pur fia che nei supremi giorni Del mondo i flutti anc' una volta in cima 101 Dei più superbi monti alfiti travolga. Ne la culla de' fiumi a guardia messo Modera il corso lor ; gonfia, o ne scema L'onde soggette : indietro egli respinge Nella notte dei poli, e con ritegni Di ghiaccio indissolubile incatena Venti, nebbie, vapor, nubi, e tempeste. Noti a lui sono i più celati scogli, I, seni più ricolti, e le inaccesse Lontanissime terre, e ne rivela A quando a quando al genio umano alcuna Men' ardua parte- A un volger d'occhi ei guarda Le morte piagge boreali, e i climi Sotto il giro dei tropici brillanti. Due volte al giorno all'oceàn solleva I gran serrami, e di Sua mano il globo Equilibrando ei pur due volte all'anno Sotto l'obliquo sol ritrae la terra. Nel sen dei mari Gabriel penetra. Intere nazioni, ed ingoiati Gran continenti dormono sepolti Sotto l'ampia voragine dell'ondo. Quanti fra lor diversi orridi mostri. Cui mortai occhio non vedrà ! Qual raggio Di vita in quelle oscure ultime cave ! Ma quanti ancora miserandi avanzi ! Quanti naufragi, in cui di mille vite Fu spenta la favilla in un istante ! A quella pietà dell'umane sorli Bagnansi i rai di Gabriello, e il ciglio Inarca insìem di maraviglia a tante Del supremi) poter vestigio immense. 102 Ma è già veduto a lui l'angiol dei niai'i Pensoso forse a prossima rivolta Neil' impero delle acque : assiso ei sta Su cristallino soglio, un freno d'oro Tien fra le mani, la muscosa a tergo Gli scende umida chioma, e gli rinvolge Azzurra fascia le divine forme. Pria Gabriello in grave atto il saluta, Poi « Formidabil spirito, gli dice, Mio celeste fratello, il gran potere, Che r Eterno t'affida, assai dimostra Qual fra l'eterne gerarchie ritieni Eccelso grado. Oh nuovo mondo ! Oh somma Intelligenza ! Oh te beato, a cui Dato è spiar così profondi arcani ! » E l'Angiolo del mare : « Ambasciatore Divin, qual ch'ella sia l'alta cagione Del tuo messaggio, a mia ventura io prendo L'essermi oggi cotanto ospite sceso. Oh ! per meglio ammirar l'alta possanza Del signor nostro, era mestier vederlo Posar di quest'imperio i fondamenti; Io con quest'occhi il vidi, allor che l'acque De l'abisso in due parti egli divise : lo'l vidi i flutti assoggettar degli astri Ai movimenti, e d'esto mar le sorti Legar con quelle della luna e '1 sole. Leviatàn di ferrea maglia ei cinse, E a trastullarsi l' inviò fra questi Torbidi gorghi. Selve di corallo Sotto l'onda ei piantò, d'ampia famiglia La popolò di pesci e di volanti : 103 Ei fece uscir dal procelloso grembo Isolette leggiadre. Ai venti il corso Di certe vie prescrisse, a certe leggi Soggettò le tempeste, e sulla riva Tenendo 1' immortai piede, al mar disse : « Tu non più t'oltrerai; qui de' tuoi flutti Spezza l'orgoglio. « E, come vedi, il mare Que' suoi limiti vecchi anco non rompe, E là de' flutti suoi spezza l'orgoglio. Illustre servo di Maria, su dimmi, Qual sovrano voler fa che or tu vegga Queste mobili grotte ? Empiuti i tempi ? D'uopo fors'è di convocar le nubi ? Romper le dighe all'oceano, e in preda D' inordinato orror tutto lasciando Questo basso universo, al Signor primo Degg' io con teco risalir ne' cieli ? » « Cenno di pace io qui ti reco (a lui Con un sorriso Gabriel rispose) : Dell'eterno pensier l'uomo è pur sempre Il caro oggetto : si matura in terra Un gran trionfo per la croce, e vinto Ripiomberà Satanno entro lo inferno. Maria t' ingiunge di ridurre a piaggia Incolumi i due sposi, onde vedevi Sgombrar testé di Grecia i lidi : or dunque Fa che rattenghi i furiosi venti, E i pili soavi sovra il mar disfrena. » « Facciasi dunque come piega il raggio De la Stella dei mari (a questo nome Féa riverenza l'angiolo dell'acque) : Possa in breve Satanno esser costretto 104 Ne l'albergo del pianto. Egli sovente Sturba la pace de' miei regni, e rompe Coi turbini sonanti il mio riposo- » Dopo tai detti separarsi, e volse L' ingegno ad eseguir l'Angiol rimaso- Al pacifico mare, al mar degl' indi, Volge gli occhi lucenti, e per le rive Dell'Arabia e dell' India ecco destarsi Tutte l'aure che portano volando Gli odorati profumi, e ne fan liete Le contrade lontane. A frotte in grembo Vanno a scherzar dell'oceano : al fondo Il consapevol fremito dell'acque Se ne propaga all'angiolo, che suso Un rispondente gorgoglio gentile Di rincontro ne spinge, il qual correndo Poscia in due righe sovra il mar, va dietro D' Eudoro e di Cimodoce alle navi, Sotto la poppa si rifrange e intorno Si riversa e le molce e le festeggia ; E tratte al noto borbottar van l'aure Fra i dispiegali lini. Alla novella Soave forza van fendendo l'onde Rapide sì, ma fisamente, e senza D'alcun lato ondeggiarne, ambe le prore, Che dei diversi porti in un istante Si riposar placidamente in grembo. 1 nuvoloni, ond'annerando il cielo Satana andava, rimaneano indarno Per l'etra : e il reo se ne mordca le labbra. 105 Terapia. Di Vincenzo Catalani dollore in medicina chirurgia . (Conlimiazione) LIBRO TERZO Fleintnonogi'afia. PROEMIO JLj efficenza flogistica è identica a sé stessa; e pi'o- leiforme è la manifestazione, forma morbosa- È ma- lanno locale, che ovunque svolgesi; e lo stesso san- gue pare infiammato, quantunque infiammazione non abbia; e solo i solidi la contraggano- Non cambiasi l'efficenza , e la cura che la scioglie ; e varia è la forma , e diverso è il pronostico- Ora presto dile- guasi, ed ora lungamente dura; si risolve, sup[)ura, indurisce ed il tessuto gangrena; e raramente l'in- fiammato ammazza. In specie discorriamo la flogosi, senza in astratto parlarne; mentre le specie il genere compongono; e per averne generalmente altri di so- verchio scritto. PARTE PRIMA Infiammazioni semplici. Le infiammazioni complicate sono, se accidental- mente altri malanni le si congiungono. Che se a certi morbi necessariamente si uniscono, sono composte; verbigrazia, la reumatica, la gottosa, la pustolosa, 106 la carbonosa ecc; in cui la flogosi sempre congiungesi alla condizione reumatica, gottosa, pustolosa, car- bonosa ecc. E semplici sono, se sole vengono, com- piono il corso, e poi o si risolvono, o chi le soffre spengono. Nella prima parte di questo libro le sem- plici riuniamo; e nella seconda le composte breve- mente esponiamo ; e l'une e l'altre discorrendo, le complicazioni rischiariamo. SEZIONE PRIMA Osteite. CAPO PRIMO Definizione. L' osteite è l' infiammazione dell' ossa che, alle altre paragonala, è sempre lunga- L'acuta il mese, e la cronica l'anno sorpassa. In genere noi la de- scriviamo, per evitare tediose, e forse anche inutili ripetizioni. È solo diciamo, che le singole infiamma- zioni dell'ossa, per modo di esempio, sono cogno- minate— osteite occipitale, vertebrale, sternale ecc. ovvero occipitide, vertebritide, sternitide ecc- CAPO SECONDO. Forma. L'osso infiammato facilmente conoscesi, per la lapidea consistenza della tumefazione. E nella osteite, 107 non sempre V intero osso infiammasi; e qualche volta la tumefazione si circoscrive e forma tumore- E cupo e profondo è poi il dolore, che nei movimenti sen- tesi maggiormente nell' osso infiammato. Lenta- mente invade, debole è l'organica reazione, progre- disce senza strepito di fenomeni, e per risolversi molto tempo ci vuole- CAPO TERZO. Cause remote. Le ossa l'esterne violenze infiammano; e senza di esse egualmente si infiammano; e le cause che le infiammano sono il vizio scrofoloso, l'erpetico, il venereo, lo scorbutico, 1' artritico, il canceroso, le croniche viscerali infiammazioni, l'onanismo e l'esan- tematica retrocessione- CAPO QUARTO. Causa prossima. La condizione essenziale dell' osteite pare na- scondersi neir esaltamento della sensibilità e della plasticità , ed in certo tal quale chimico-organico permutamento dell'osso; per cui diventa dolente, tu- mido ed intìammasi- CAPO QUINTO. Necroscopia. L'osso infiammato trovasi nel cadavere tumefatto e rammollito, e di nero sangue ingorgato; iniettato, 108 ed anche ossificato il periostio, e la midollare mem- brana. 0 la grossezza dell'osso intera gonfiasi, ipe- rostasi ; o un sol punto, esoslasi- E nell'ostinata e lunga osteite trovasi la parete del midollare canale ingrossata; ed anche lo stesso canale obliterato. E non sono gli stessi i guasti nelle ossa infiammate; e variano, nel vaiiare la, morbosa terminazione. CAPO SESTO Pìwiostico. L'osteite acuta e cronica sempre lungamente du- ra; e nel mentie che la prima il mese, l'altra l'anno sorpassa. E tanto coH'acuta, che colla cronica forma per risoluzione e per indurimento spesso termina; meno frequente è la suppurazione; e raramente la infiammazione Tosso mortifica e caria, necrosi- CAPO SETTIMO. Cura.- Prima le malattie si curano, che l'ossa ci infiam- mano; verbigrazia, la sifilide, la scrofola, lo scorbuto, l'erprete ecc. ; e poi la infiammazione medicasi. E l'osteite essendo violenta , e atletico chi la soffre , combinasi agli interni rimedi la generale e la locale sottrazione sanguigna; e atroce essendo il dolore, agli antiflogistici unisconsi gli antispasmodici. E sola- mente gli interni rimedi si somministrano, se lenta- mente il processo flogistico percorre. E alla sem- 109 plice osteite, che da locale condizione dipende, con- viensi la interna e la locale antiflogistica medicatura; cui devesi lungamente continuare per essere lento il processo chimico-organico dall' osteite. E alla in- fiammazione , che per indurimento termina , e che osseo tumore lascia , altro rimedio non havvi, che la chiruigica operazione. SEZIONE SECONDA. Periostite. CAPO PRIMO Definizione. La periostite, periostesi o gomma, è la infiamma- zione che principalmente invade il periostio delle superficiali ossa. Che se V interna senza 1' esterna membrana attacca, o anche attaccandola, la spina ventosa pare che ci determina. CAPO SECONDO. . Forma. La periostite, che da causa interna deriva, ge- neralmente invade l' intero periostio di un osso; per cui la parte si tumefà e diventa dolente. Ed il cel- lulare circostante tessuto ingorgasi ed infiammasi ; la pelle arrossasi, e la malattia assume il carattere dell'crisiiìelatoso flemmone. E da causa esterna de- no rivando, vedesì la superficie esterna contusa, e fe- rita; e circoscritto essere l'elastico e dolente tumore. CAPO TERZO. Cause remote. Predispongono alla periostite la diatesi scrofo- losa, r erpetica e la sifilitica. E pareci poi, che la proclività siaci determinata alla flogistica condizione dai dietetici stravizi , e da ciò che ci sopprime le naturali e le preternaturali secrezioni , e che ci fa rientrare la cutanea etHorescenza. CAPO QUARTO. Causa prossima. Causa prossima della periostite è poi la locale irritazione, determinata dalla contusione e dalla fe- rita, dal vizio scrofoloso, erpetico, e principalmente dal venereo veleno. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nell'acuta periostite si è nel cadavere trovata la membrana che ricopre l'osso indurita, iniettata, ar- rossata, ed anche dall'osso staccata; e nella cronica il periostio ingrossato rammollito e lordaceo. I Ili CAPO SESTO, Pronostico. L'acuta e cronica periostite è lunga, ma breve a preferenza della osteite' Qualche volta, per riso- luzione , in un mese termina- Suppura ancora , ed anche caria - necrosi - il sottoposto osso. E poi lunga è la venerea ; che , terminata la infiamma- zione, ora la parte rimanesi gonfia e dura, indu- rimenlo ; ora il tumore non induriscesi e rimanesi molle; ed ora suppura e forma ascesso; e termina ancora colla degenerazione di vero fungoso tumore. CAPO SETTIMO. Cura. La condizione scrofolosa, erpetica, scorbutica e venerea , che il periostio infiammano , curasi come si medica la scrofola, l'erpete, lo scorbuto e la si- fìlide. Poi è sempre antiflogistica la cura della le- gittima periostite. E molto sangue cavasi, se chi la soffre è atletico e pletorico. Si applicano ancora le sanguisughe, e 1' amnnolliente cataplasma nella do- lente parte. E per tempo 1' asces.so apresi , che si è formato. 112 SEZIONE TERZA. Sinovite. CAPO PRIMO Definizione. La sinovite è 1' infiammazione della sinoviale nriembrana; in cui alcuni fanno consistere il reuma, altri la gotta. E che nella forma cronica la dicono tumore bianco ed arlrocace; ed al congiuntovisi ver- samento sieroso idrarlo, idr ariosi e articolare idro- pesia. CAPO SECONDO. Forma. Il locale dolore , che nel senso della flessione sentesi , se il membro piegasi , è della sinovite il patognomonico fenomeno. Che meglio conoscesi, se la colluvie sierosa e marciosa nell'esterno forma flut- tuante tumore. Non sempre però dalla infiammata membrana segregasi abbondante sinovia ; e la mem- brana ammolliscesi ed esulcerasi; e la cartilagine e la fibro-cartikigine inter-articolare gonfiansi e cor- rodonsi ; e si tumefanno e si cariano l'estremità ar- ticolari dell'ossa ; e si ingrossano il periostio coi le- gamenti, tumore bianco. J^d anche le infiammate su- perfìcie aderiscono l'una all'altra, e formano anchilasi- 113 CAPO TERZO. Cause remole- L'esterne violenze, la intemperie, il freddo-umido che il caldo corpo bagna e raffredda, la intempe- stiva scomparsa di morbose secrezioni, e la cutanea deflorescenza , la sinovite determinano in chi v' è predisposto. CAPO QUARTO. Causa prossima. Essenziale condizione della sinovite è la locale irritazione, che la distrazione, lo stortillamento, la contusione e le ferite determinano. Ed egualmente ce la producono le metastatiche deposizioni ; verbi- grazia, la venerea, l'erpetica e la esantematica. CAPO QUINTO. Necroscopia. Dissegata la parte, si è trovata la sinoviale col- luvie ora abbondante ed ora scarsa , ora naturale ed ora purulenta e fetida. E la sinoviale membrana ingrossata, iniettata, rammollita, corrosa e ricoperta da false membrane. Esulcerate le cartilagini, e ram- mollite e cariate 1' articolari estremità dell' ossa ; la capsula rammollita e ridotta in pultracea sostanza. C.A.T.CLXl. 8 lU E queste tali organiche trasformazioni pare che co- sliluiscano il bianco tumore. CAPO SESTO. Pronostico' Sempre è lungo della sinovite il corso ; e qual- che mese ci Yole affinchè abbiasi in qualche modo a risolvere. Ed il versamento sieroso è poi comune ; che prestamente è riassorbito, se la infiammazione bene risolvesi. E l'anchilosi è la più frequente ter- minazione della sinovite lenta ; nel mentre che dalla rapida e violenta pare che ne sia il bianco tumore. CAPO SETTIMO. Cura. Nella sinovite da metastatica deposizione deri- vante , bisogna richiamare altrove i morbosi prin- cipi, che ce la mantengono ; e risolvere le morbose condizioni , da cui pare che ella dipenda ; verbi- grazia , la sifilitica , la scrofolosa e la erpetica- E la sinovite, come l'osteite vuole essere lungamente medicata ; mentre come quella è quasi ostinato ma- lanno- Ordinasi la dieta ed il riposo a chi la soffre ; e se è atletico e pletorico, gli si cava per più volte sangue ; e nel luogo dolente le sanguisughe repli- catamente si attaccano. E giovano anche i narcotici e topici ammollienti. Ed alla irritazione fanno luogo cambiare, ed il riassorbimento promovono i vesci- 115 canti nel luogo dolente applicati. Le mercuriali un- zioni fannosi ancora, le vaporose docce ed il sul- furo bagno. A nulla i rimedi giovando, bucasi col tre-parti il tumore, o col tagliente si apre, e l'am- malato membro anche si taglia. SEZIONE QUARTA. Miosite. CAPO PKIMO. Definizione. Il muscolare sistema infiammato dicesi miosite; ed i muscoli che particolarmente si infiammano hanno diversi nomi; verbigrazia, pleurodinia, lombaggine, psoite, fiossi te, cardite, diaframmile ecc ; nomi che corrispondono alla infiammazione dei muscoli inter- costali, lombari, del psoas, della lingua e del dia- framma. CAPO SECONDO. Forma. La leggiera dal solo locale dolore, e la grave miosite vieneci annunciata dalla generale lassezza, dai ricorrenti brividi , dalla frequenza del polso , dalla inappetenza, dalla sete e dal bianco intonacamento della lingua. A cui sempre congiungonsi il locale ca- lore ed il dolore vivo e lancinante, che per il mo- vimento e per la pressione aumentasi. Che è fisso It6 nella grave miosite ; ed è poi vago nella leggiere- che rapidamente passa d'uno in altro muscolo. CAPO TERZO. Cause remote. I muscoli a preferenza negli uomini, che nelle femmine, s'infiammano; e principalmente tra quelli osservasi nei pletorici ed atletici attempati- E cause determinanti sono poi la intemperie, il freddo-umido, r esporsi caldi all' aria fredda, ed il mantenere al- cune parti del corpo calde ed altre fredde, il vio- lento e rapido movimento, l'abuso degli alcoolici e delle sostanze soverchiamente eccitanti. CAPO QUARTO. Causa prossima- Causa prossima della miosite è poi la potenza, che direttamente trattiene l' umorale circolo e la parte irrita ; verbigrazia, la compressione che ferma il corso del sangue, il ferro che taglia, il corpo che attunde, e le specifiche virulenze; per cui prima esal- tasi la locale vitalità, formasi poi la stasi sanguigna, alterasi spefìcamente il sangue, e la parte infiam- masi. 117 CAPO QUINTO. Necroscopia. In genere abbiamo discorsa la miosite , e non l'abbiamo ad alcun muscolo individualizzata. E nel discorrere i guasti che lascia dobbiamo egualmente in genere esporgli. La miosite, come l'infiammazione delle altre parti, termina per risoluzione, per sup- purazione, per indurimento e per gangrena. E i gua- sti, che nel cadavere sonosi trovati, sono il vasco- lare ingorgo, il rammollimento e l'indurimento, l'iper- trofìa e la muscolare atrofia, le marciose colluvie, e la gangrenosa organica disorganizzazione. CAPO SESTO. Pronostico. Tanto lungo non è il corso della miosite ; ed anche in pochi giorni si risolve ; come osservasi nella pleurodinia, e nella lombaggine- Quasi sempre per delitescenza e per risoluzione risolvesi ; rara- mente suppura ; e quasi mai gangrena 1' attaccato muscolo. CAPO SETTIMO. Cura. Alla miosite bene si convengono il riposo , la dieta ed il continuato uso dei diluenti e delle leg- 118 germente diaforeliche bevande. E quando estesa e violenta è 1' infiammazione , e atletico e pletorico chi la soffre, la cura bisogna incominciare colla ge- nerale e colla locale sottrazione di sangue. Nel mentre che bastano le sanguisughe attaccate nella dolente parte, se lieve e circoscritta è la infiamma- zione , e debole è il sofferente. E bene anche le fanno le oleose unzioni, la tiepida fomentazione, i narcoti e topici ammollienti. Le quali cose, affmchè maggiormente giovino, coadiuvare si devona colla in- testinale revulsione , e colla tiepida e leggermente diaforetica bevanda. E principalmente, nei deboli, sciogliesi la pleurodinia col solamente la diaforesi promuovere. E per la lombagiue risolvere, questa non basta e ci vogliono le locali e la iterata sottrazione generale di sangue; ed anche il tiepido e prolungato bagno (1). (1) Il cellulare sistema, composto (li cellulare propriamente detto, e di grasso o tessuto adiposo, provvisto di esalanti e di assor- benti, di vasi sanguigni e di nervi, consecutivamente infiammasi, ed anche degenera in fungoso tumore. La di cui infiammazione, flemmone dicesi ; ed è l'archetipo della flogosi. Anche 1' in- fiammaziane del linfatico tessuto mostrasi spesso consecutiva alla scrofola ed aliasifdide. La glandola linfatica inturgidiscesi, ingorgasi ed induriscesi ; e lentamente risolvesi , suppura, e indurita rimanesi, scirro ; ed anche esulcerasi , indurita che siasi, cancro. 119 SEZIONE QUINTA. Nervo-ganglionite. CAPO PRIMO. Definizione. La nervo-ganglionite è la parziale infiammazione del nervo-ganglionare sistema , che qualsiasi parte contrae. -Di cui noi solo le principali discorriamo; mentre non facciamo la flogistica monografia del nervo-ganglionare sistema; pregevole lavoro da com- piersi. CAPO SECONDO. Forma. Le cerebrali membrane complessivamente si in- fiammano^ meningite; ed anche separatamente, du- ramadrile , aracnoite e piamadrite. E le forme che hanno, e che l'una dalle altre distingue, fino ad ora non sono state con esaltezza determinate. Ma rara- mente nella meningite, e quasi sempre nell'encefa- lite delirasi; ciò che dall'una l'altra distingue. E nella cerebrite i paralitici fenomeni osservansi nel lato sano del corpo, emiplegia- La paralisi del braccio destro indica la infiammazione del talamo ottico sinistro ; e quello della gamba sinistra, la infiammazione del corpo striato destro- E l'emiplegia ci denuncia essere simultaneamente infiammati il talamo ottico ed il 120 corpo striato del lato libero del corpo. Quindi ri- sulla che la paralisi incrociata; verbigrazia, del brac- cio destro e della coscia sinistra ; indi(;a essere in- fiammato il talamo destro, ed il corpo striato sini- stro. E la paralisi della lingua ci denuncia la infiam- mazione del corno d' Ammone. E I' indebolimento della memoria il rammollimento, l' indurimento, V in- gorgo e la infiammazione degli anteriori cerebrali lobi. il priapismo indica la cerebellite ; e la miellile ce la denuncia il dolore acuto e profondo , e lungo la spina il senso di acre calore. E dal dolore è mani- festata la neuriley che sentesi lungo un nervo, che colla pressione esacerbasi. E pare che la ganglrte non siaci manifestata da verun calcolabile e determinato fenomeno; meno che non ce la denuncino i plastici perturbamenti. E la infiammazione del sistema nervo- ganglionare ci manifestano generalmente il locale do- lore, la cefalagia, il delirio, la sensibilità della re- lina, la pupillaj'e contrazione, lo strabismo, lo stor- cimento delle labbra e della lingua, la muscolare con- trazione, il priapismo, lo stupore, la vertigine, la son- nolenza, la paralisi, la perdita della vista e della pa- rola. CAPO TERZO. Cause remote. Gli attempati nervosi predisposti vi sono più dei giovani e dei linfatici ; e a preferenza delie donne sonovi gli uomiui. E devonsi annoverare tra le de- terminanti cause la diminuzione delle abituali eva- cuazioni, la scomparsa di certe efflorescenze e delle 121 Ionie flemmasie, il patema, l'uso soverchio degli ec- citanti, la protratta insolazione, il violento vomito, i narcotici, il palustre miasma, le percosse, la carie delle ossa del capo e della vertebrale colonna. CAPO QUARTO. Causa prossima. Causa prossima della nervo-ganglite è ciò che irrita le parti, che si infiammano; verbigrazia , la compressione che ferma il circolo del sangue, il ferro che vi penetra e che ferisce, l'ossa che si compri- mono, e le virulenze che traslocandosi, se ne vanno in certe parti del nervo-ganglionare sistema, 1' ir- tano e l' infiammano. CAPO QUINTO. . Necroscopia. Nei cadaveri dei morti per nervo-gonglionite so- nosi trovate le meningi, il cervello, il cervelletto, la midolla ablungata e- la spinale, ì nervi, i plessi, ed i gangli ingorgati, arrossati, induriti, rammolliti, in- grossati ed anche atrofizzati; e versamenti sangui- gni, sierosi e marciosi nella cavità del cranio e nel canale rachideo. E sonovi ancora stati trovati i tu- bercoli, i vermi vescicolari, le ossee degenerazioni, le false membrane, lo scirro ed il cancro. 122 CAPO SESTO. Pronostico. La meningite, la cerebrile, la cerebellite, e la miellite sono sempre gravi e funeste malattie, che per tempo curale spesso guarisconsi. E la neurite, la plessite e la ganglite altro funesto esito frequen- temente non hanno, che Tabolizione della funzione che compiono. CAPO SETTIMO. Cura. Le metastatiche virulenze, che hannoci la nervo- ganglite determinata, bisogna prestamente all'esterno richiamare. E poi la mentale alienazione incalzando, di chi delira la sicurezza procurasi. Ed anche importa che l'infermo sia in luogo quieto, asciutto e tempe- rato; tosato, ed in elevata posizione. E nella menin- gite, nella cerebrite e nella cerebellite apresi la iu- gulare , la temporale , e la vena del braccio e del piede; ed uscire dal corpo si fa moltissimo sangue. Ed anche attaccansi le sanguisughe nella tempie, nel- l'occipite, dietro all'orecchio e nelle narici. Ed alcuni vi furono, che somministrarono il muschio e la can- fora ; ed anche , nel mentre che i piedi profonda- mente immersi erano nel tiepido bagno, applicarono nel capo l'acqua fredda, in cui avevano disciolto ni- tro, sale ammoniaco ed acido acetico. Ed alla miel- lite, alla neurite ed alla ganglite, oltre alla generale 123 sottrazione sanguigna , giovano le sanguisughe e le scarificate coppette; nel primo caso applicate lungo i lati della vertebrale colonna, e negli altri nel luogo dolente, che corrisponde al nervo ed all' infìaminato ganglio- Giovano ancora le subacide e nitrate be- vande, e la revulsione intestinale. E subito che di- leguata siasi l'universale organica reazione, i vesci- canti si applicano nelle braccia, nelle cosce e nelle altre parti del corpo- SEZIONE SESTA. Ottalmite. CAPO PRIMO. Definizione. Colla generica denominazione di ottalmite noi esprimiamo la infiammazione del visivo apparecchio. CAPO II. Forma. La membrana mucosa della superficie interna della palbebra, e dell'esterna del globo dell'occhio, la cornea, la sclerotica, la coroide, l' irite, la cri- stalloide, la ìaloide, la retina e le contiene parti si infiammano : ed ecco la blefarite, la congiunlivile., la cornile o clieralile, la scleroiie, la coroiditey V irile^ la cri&ialloidilc, la ialile e 1' oculare flemmone. E la 124 colluvie umorale consecutiva , che formasi tra la sclerotica e la coroide, e tra questa e la retina, è della coroide 1' idrope ; e 1' ipopion e 1' ipoema è lo spandimento o di pus o di sangue nell'oculare an- teriore camera. E poi diverse sono le forme delle infiammate parti ; e quasi sempre il calore aumen- tasi , e la parte ingorgasi , ed havvi lacrimazione , dolore, fotofobia, ed anche universale organica rea- zione. CAPO TERZO. Cause remote. All'ottalmia ci predispongono l' intempestivo ab- bandono dell'abuso della nicoziana polvere, la ple- tora e la sanguigna capitale congestione- E cause remote sono, che la predisposizione alla condizione di ottalmia determinano , la lettura protratta , il rapido passaggio dalle tenebre alla luce, e ciò che sopprime certe naturali, ed alcune morbose secre- zioni ; verbigrazia, la nasale siero-mucosa , la la- grimazione , 1' insensibile traspirazione ; e che la deflorescenza determina delle specifiche manifesta- zioni. CAPO QUARTO. Causa prossima. La locale irritazione è l'essenziale condizione , determinata dalla compressione , dalle ferite , dai corpi estranei , e principalmente dalla metastatica virulenza. E spesso consecutiva mostrasi alla in- 125 tempestiva scomparsa della rosolia , del morbillo , del vaiuolo e della eruzione sifilitica. CAPO QUINTO. Necroscopia. 1 caratteri anatomici dell' ottalmia osservansi principalmente nella membrana infiammata. E sono i principali il roseo calore, il vascolare ingorgo, la locale tumefazione, i versamenti sierosi, sanguigni e marciosi, le macchie, l'ossea e la cancerosa de- generazione. CAPO SESTO. Pronostico. Proteiforme è dell'ottalmia il pronostico per la diversa natura della causa che la determina, per la parte che invade, per la veemenza del male, e per r individuale costituzione di chi la soffre. Facilmente dall'un all'altro occhio traslocasi. E sempre la pro- clività ci lascia alla recidiva. Facilmente la legit- tima guariscesi; lunga ed ostinata è la specifica ; e la flemmonoide per suppurazione termina , ed an- che in tumore carcinomatoso l'occhio degenera. CAPO SETTIMO. Cura- Se ai pletorici atletici gli occhi si infiammano, cavasi subito sangue ; ed anche le sanguisughe si 126 attaccano nelle patti agli occhi limitrofe. Ma se chi la soffre è debole , e lenta è l'organica reazione , solo localmente cavasi sangue , e spesso gli occhi si lavano col latte e col decotto ammolliente. E da certuni, nella violenta congiuntivite, le scarificazioni si fanno ; e gli occhi coperti lungamente si tengono. Anche giovano i piediluvi tiepidi e profondi ; e la iterata intestinale revulsione. E calmata che siasi l'organica reazione, applicasi il vescicante nella nuca e nelle altre parti del corpo ; e localmente si fanno gli astringenti colliri. SEZIONE SETTIMA. Otite. CAPO PRIMO. Definizione. La infiammazione dell'acustico apparecchio, che tormenta chi la soffre col dolore ardente , grave , tdnsivo, lancinante e pulsatile, dicesi otite ; che di- videsi in interna ed esterna, in acuta e cronica. CAPO SECONDO. Forma. Frequentemente il senso di malessere e l'univer- sale organica reazione precedono la infiammazione dell'acustico apparecchio. E sentesi poi forte dolore, 127 che dalla esterna orecchia estendesi all'occipite, al- l'orbita, alla tempia ed ai facciali muscoli. E dimi- nuiscesi in seguito il dolore, o ingagliardiscesi, e compariscono della encefalite i mortali fenomeni. Ed il malanno risolvendosi, emana, dalla superficie esterna del corpo, vaporosa traspirazione. E versasi anche per 1' esterno meato , e per la tromba alle fauci sierosità e pus sanguinolento, con sensibile ed immediato miglioramento. CAPO TERZO. Cause remote. Predispone all'otite la pletora, eh' è l'universale flogistica proclività. Ed è poi causa remota , ciò che le naturali evacuazioni impedisce, e che deter- mina nell'apparecchio uditorio la metastatica depo- sizione. CAPO QUARTO. Causa prossima. E la irritazione è la condizione che 1' apparec- chio uditorio infiamma ; e che la determina l'aria che violentemente ci entra, 1' induritosi cerume, i corpi estranei, le percosse, le ferite e le metasta- tiche deposizioni. 128 CAPO QUINTO. Necroscopia- Dalle poche necroscopie cbe sono state fatte di chi era morto coH'uditorio apparecchio infiammato, si rileva che la flogosi arrossa, gonfia, rammollisce, indurisce ed anche le parti distrugge che ci ha in- vase. CAPO SESTO. Pronostico. Facilmente l^otite risolvesi per ispontanea trasu- dazione di purulenta materia. E mortale è soltanto se l'ossa si cariano e l'encefalo si infiamma. CAPO SETTIMO. Cura. Prima dall'uditorio apparecchio infiammato estrag- gonsi i corpi; e poi cavasi sangue; e le sanguisughe si attaccano nelle parti che la infiammata orecchia circondano. E sopra vi si mette la spugna di tie- pido latte impregnata, ed anche vi si fanno le mu- cilaginose e le narcotiche iniezioni. E diminuita che siasi la violenza flogistica , applicasi il vescicante nella nuca e nelle altre parti del corpo. 129 SEZIONE OTTAVA. Stomatite- CAPO PRIMO. Definizione- La stomatite o la cinanche è la infiammazione della cavità della bocca; a cui riportasi anche quella, che alle contigue parti estendesì. CAPO SECONDO. Forma. La mucosa della bocca, e le sottoposte parti che la compongono, si infiammano complessivamente e separatamente. Ed ecco i nomi di labile, di alveo- lite, di linguile o glossite, di palatile, di tonsillite, di molile, di faringite e di laringite. E dicesi poi eso- fagite, trancheite e coriza; se la infiammazione esten- desi nella trachea, e nella mucosa delle fosse nasali. E sono i comuni e i propri della flogosi, i fenomeni che ce la manifestano. Ed il corso della stomatite parziale e generale è acuto e cronico- Lungamente la mercuriale dura; presto la legittima ricolvesi, rara- mente suppura, e quasi mai l'attaccala parte gan- grena. G.A.T.CLXi. 9 130 CAPO TERZO. Cause remote. Causa remota della stomatite pare che sia il de- nudarsi il collo, riscaldato che uno siasi; ed il cam- minare incontro all' aria , che verso di noi viene fredda. CAPO QUARTO. Causa prossima. Causa prossima della stomatite è ciò che nella mucosa della bocca esalta la vitalità, e vi determina la stasi del sangue ; verbigrazia , il dente cariato , che lacera ; il ferro che introdottovi , ferisce ; e i virulenti principii del morbillo, del vainolo, della scar- lattina e della sifilide, che irritano ; e la scorbutica condizione, e l'abuso dei mercuriali che la mucosa ci infiammano. CAPO QUINTO. Necroscopia. La condizione anatomica della stomatite in parte osservasi durante la vita ; e bene si vede esersi ar- rossata ed ingrossata la membrana mucosa ; e che la lingua si ò ingrossata, che suppura, e che anche gangrenasi. 131 CAPO SESTO. Pronostico. Segue sempre la stomatite secondaria la prima- ria malattia, che la mantiene. E la legittima facil- mente per risoluzione dileguasi. E retropulsa che sia, facilmente degenera in encefalite ed in pneumonite. CAPO SETTIMO. Cura. La generale terapia della flogosi bene conviensi alla legittima stomatite. E procurasi in principio la ri- soluzione coll'antiflogistica medicatura. Alcuni aprono la ranina , altri la iugulare , e certi altri nel collo le sanguisughe attaccano. E terminata che sia la flo- gistica violenza, mettono il vescicante nella nuca e nelle altre parti del corpo. E vogliono anche che Je fauci secche siano spesso fomentate col decotto di malva e col tiepido latte- E la suppurazione favo- riscesi , se al dolore che diminuiscesi , sopravviene r orripilazione e la locale pulsazione. E la infiam- mata parte gangrenandosi, prima ricorresi all'anti- settico, e poi alla chirurgica medicatura. 132 SEZIONE NONA. Gastro-enterite. CAPO PRIMO. Definizione. La infiammazione del tubo gastro-enterico t di raro mostracisi generale ; e quasi sempre in qual- che parte limitasi ; ed è coi nomi nominata di faringite , di esofagite , di gastrite , di enterite , di tenuite , di crassite , di diiedenite , di digiunite » d' ileoliie , di ciecoite , di colonite e di rettile. E non sempre è acuta, e qualche volta è cronica, ed anche osservasi intermittente. CAPO SECONDO. Forma La faringite spesso congiungesi alla palatile, pa- lato-farÌ7igite ; e rara è poi l'esofagite ; e se da causa meccanica non dipende, sempre congiungesi alla fa- ringite ed alla gastrite , faringo-eso fago-gastrite. E invadeci frequentemente la gastrite coi brividi, coi tremori, coli' interno bruciore e coll'ardente sete. E si riscaldano, si tumefanno e dolenti si fanno i pre- cordi e r epigastrio, l cibi colla pressione ci infa- stidiscono ; ed il malanno aggravasi; e negli inte- stini svolgesi il gas, che il basso ventre gonfia; ed 133 al meteorismo spesso congiungesi la costipazione, la nausa ed il vomito. Ed il polso impiccoliscesi , si indurisce, si contrae, e diventa frequente, intermit- tente ed irregolare. E chi la soffre non dorme ; è inquieto ed agitato, ed ogni cosa l' infìistidisce. Secca, urente e scabra diventa la pelle; la sete arde; e so- pravviene la dispnea ed il singhiozzo, che il ventri- colare dolore esacerbano. Il volto perde la vivacità e la naturale espressione, e pallido e appassionato diventa. L'estremità si raffreddano e le forze si estre- mano. E poi 0 la fierezza del morbo aumentasi, e ci fa morire; o si diminuisce , e il malanno si ri- solve; 0 debole rimanesi, e colla cronica forma dura alla lunga. E come la gastrite, così le altre parziali infiammazioni del tubo gastro-enterico si riconoscono per i locali fenomeni che le caratterizzano. Che se neir intero canale diffondesi, i locali fenomeni sono estesi, e l' infiammazione è sempre funesta. CAPO TEHZO. 'Cause remote. Principali cause della gastro -enterite sono le con- tusioni, le ferite, gli sforzi addominali, i deglutiti stimolanti, le sostanze corrodenti e pungenti, la calda e la gelata bevanda, gli acidi internamente ingene- ratesi, le biliose zavorre, il freddo bagno, e la cu- tanea deflorescenza. 134 CAPO QUARTO. Causa prosshna. E condizione essenziale della gastro-enterite è poi la irritazione della membrana mucosa, che la stasi del sangue determina; per cui esaltasi la intestinale vitalità, ed il tubo gastro-enterico o generalmente 0 parzialmente infiammasi. CAPO QUINTO. Necroscopia. Aperto il cadavere di chi per gastro-enterite era morto, vi hanno qualche volta trovata una falsa mem- brana, che dalla laringe estendevasi alla metà del- l'esofago, e che poi ricompariva nella cardiaca aper- tura, e di sangue nero ingorgata la interposta mu- cosa. Arrossata la interna superficie del ventricolo e dell' intestinale canale ; ed il roseo colore variare, percorrendo le gradazioni tra il rosso vivo ed il bruno violaceo. I vasi ingorgati; e la mucosa ora ingros- sata, indurita e rammollita; ed ora assottigliata ed esulcerata, ed anche la parete perforata; e ristretta la interna cavità. Le quali alterazioni sempre nei ca- daveri parzialmente riscontransi ; e mai il gastro- enterico canale subisce universale organica trasfor- mazione. 135 CAPO SESTO. Pronostico, La gastro-enterite è sempre mortale, se dalla fa- ringe estendesi all'ano. E la faringite è più perico- losa della esofagite ; ma se è legittima, e bene si cura, facilmente guariscesi. E la gastrite e la ente- rite facilmente dall'acuto passano allo stato cronico ; e sono sempre pericolose infiammazioni. La meta- statica e la sifilitica, se all'esterno non si richiama la virulenza, e la sifilide non curasi, non si risol- vono, ed alla lunga sempre ci fanno morire. CAPO SETTIMO. Cura. La medicatura della legittima gastro-enterite in- cominciasi col generale salasso; e poi la cura deri- gesi nella dolente parte. Nella faringite si applicano prima nel colio le sanguisughe, e sì fanno i collut- tori ammollienti, ed i profondi piediluvi; e poi nella nuca e nelle altre parti del corpo il vescicante si mette; e si prescrivono i colluttori astringenti. Nella esofagite cavasi egualmente sangue ; e nel collo si attaccano le sanguisughe. E nella gastrite e nella en- terite abbondante e ripetuta essere deve la sottra- zione sanguigna ; ad onta che i polsi siano piccoli e concentrati, fredde le estremità, pallida ed abat- tuta la fìsonomia. E spalmasi con linimento volatile, 136 e col decotto ammolliente spesso il ventre fomen- tasi. Austera dieta ordinasi ; e quanto deglutiscesi blando e demulgente deve essere; e preso in poca e frequente quantità. Ed i clistieri, che si fanno, de- vono essere frequenti e piccoli. Ed i purganti, che si pigliano, per cacciare dal corpo il gastrico im- barazzo, sempre siano oleosi, e amministrali dopo il salasso. E nella gastro-enterite lenta e pertinace, anche il vescicante si applica nella dolente e nelle altre parti del corpo ; e fannovisi anche piccole e giornaliere unzion mercuriali. E si attaccano ancora le sanguisughe nell'ano e nella vulva. E nella me- tastatica gastro-enterite bisogna per guarirla sempre richiamare alla primitiva sede la scomparsa malattia» SEZIONE DECIMA. Peritonite. CAPO PRIMO. Definizione. La peritonite è la infiammazione del peritoneo ; cui impropriamente divisero in muscolare, in mem- branacea, in dorsale, in lombare, in epiploidea, in metastatica, in erisipelacea ed in flemmonoide. 137 CAPO SECONDO. Forma. Il superficiale e addominale dolore è preceduto dalla lieve addominale tumefazione. E poi il dolore esacerbandosi , diventa urente e pungente ; ed ora si estende e si diffonde ; ed ora gira e si circoscrive. Gonfiasi e maggiormente induriscesi il ventre ; e più non comporta la compressione. Scorre 1' aria , e fa romore per gli intestini, borborimmi ; viene la nausa, ed il vomito alimentare, mucoso, bilioso e stercoraceo. Concentransi i lineamenti, e la fisono- mia diventa trista e appassionata. Rossa-sudicia ed arida si fa la lingua, amara la bocca, e ardente la sete; e sciolto ed anche costipato il ventre. Difficile e penosa la respirazione ; ed il polso diventa pic- colo e concentrato. La pelle riscaldasi e inaridiscesi ; e scarsa e rossa emettesi 1' orina. E se si muore, aumentansi i dolori, gonfiasi maggiormente il ventre, estremansi le forze, viene il singhiozzo, insensibile rendesi il polso, infreddasi la pelle, scomponesi la fisonomia, e di vìvere si termina. CAPO TERZO. Cause remole. Cause remote della peritonite pare che sia la intemperie, l'aria freddo-umida , 1' acqua effusa in corpo caldo, il raffreddamento dei piedi, che l'ab- 138 bendante traspirazione reprime, la gelata bevanda, che essendosi uno riscaldato si beve, la scomparsa dei lochi, del latte e dei mestrui, e la cutanea de- fìorescenza. CAPO QUARTO. Causa prossima. E causa prossima della peritonite è ciò che di- rettamente irrita la sierosa membrana, e vi deter- mina la stasi del sangue ; per cui la sierosa vita- lità esaltasi , e la membrana infiammasi. E cause che questa morbosa condizione determinano, sono la penetrante addominale ferita, l'ernia incarcerata, la gravidanza estrauterina, lo stravaso orinoso e bi- lioso, e le metastatiche deposizioni. CAPO QUINTO. Necroscopia. Aperto l'addome di chi era morto di peritonite, si è trovato il peritoneo ora rosso e duro ; ora oscuro, nerastro, ed anche esulcerato e gangrenato. E nella cavità colluvie sierosa limpida, giallastra, torbida, lattiginosa, grigiastra, verdastra, purulenta, fetida e fioccosa. La sierosa ingrossata, scabra e granu- losa, lardacea, cancerosa, cartilaginea ed ossea ; e da false membrane ricoperta, con depositi pultracei e tubercolosi, con idatiti e calcaree concrezioni. 139 CAPO SESTO. Pronostico- Celere è della peritonite il corso, ed anche in ventiquattro ore ci si muore. E tra la decima e quin- dicesima giornata d'acuta diventa cronica. E col- l'acuta forma raramente prolungasi alla trentacin- quesima giornata. E termina l'acuta per risoluzione, per suppurazione e per gangrena ; e la cronica o per risoluzione guariscesi , o ci fa morire per idrope , 0 per consunzione. CAPO SETTIMO. Cura. In principio convengonsi le generali cavate di sangue ; e poi le sanguisughe si attaccano nel do- lente ventre. E per richiamare i lochi, la mensile ricorrenza ed il flusso emoroidale profondamente i piedi imergonsi nel tiepido bagno , e le sangui- sughe si attaccano nell' ano e nella vulva. E di- minuita che siasi la violenza flogistica , giova il tiepido e prolungato bagno- 11 ventre continuamen- te fomentasi ; e la bevanda vogliono che sia mu- cillagginosa ed acidula; e severa la dieta- Gli oleosi purganti giovano, e i piccoli clistieri mucillagginosi, purgativi e narcotici. E devonsi ancora in opera mettere i derivativi coi revulsivi. E internamente si è anche dato il protocloruro di mercurio ; ed 140 esternamente sono state fatte le piccole e quotidiane mercuriali unzioni. SEZIONE UNDECIMA. Diaframmite. CAPO PRIMO. Definizione. Del diaframma la infiammazione dicesi parafre- nite o diaframmite ; che raramente è primaria , e quasi sempre è secondaria; e facilmente il diaframma infiammasi, se le contigue parti si infiammano. CAPO SECONDO. Forma. 11 fenomeno patognomonico della parafrenite è- il profondo e acuto dolore , che sentesì sotto allo sterno e alla volta delle coste e nei lombi , e che esacerbasi negli antagonistici movimenti d'ispirazione e di espirazione, e nel mentre che gli alimenti en- trano nello stomaco, nei movimenti toracico-addo- minali, e sotto alla epigastrica pressione. E la respi- razione è celere e soffocante; e chi la soffre è in- quieto, singhiozza e delira; e sempre vi è universale organica reazione, febbre. 141 CAPO TERZO. Cause remole. Cause remote della parafrenite sono 1' addomi- nale compressione, il vomito violento, i colici do- lori, le fìsconie e le viscerali infiammazioni. CAPO QUARTO Causa prossima. Della parafrenite sono cause prossime la infiam- mazione delle contigue parti, la ferita e la sponta- nea squarciatura, che esaltano la diaframmatica vi- talità, la stasi del sangue ci determinano e ce l' in- fiammano. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nella parafrenite, che quando è mortale celer- mente compie il suo corso, altro non osservasi nel cadavere che il diaframma ferito e squarciato, rosso e di sangue ingorgato. CAPO SESTO. Pronostico. Raramente il diaframma infiammasi; e se o per ferita o per spontanea rottura si infiamma, presta- 142 mente ci fa morire. E se consecutiva è alla pleu- rite ed alla peritonite, Puna e l'altra ci aggrava, e non si campa. CAPO SETTIMO. Cura. La consecutiva parafrenile si cura come la pleu- rite e la peritonite si medicano. Supino sia il decu- bito; severa la dieta ; poca, ma spessa e fredda la bevanda; piccolo e frequente il clistiere; e tenue il purgante. E gli ipocondri e l'epigastrio si ungono, e si fomentano. Ed al diaframma ferito e rotto si conviene parimente il salasso; ma non si guarisce, e sempre ci si muore. SEZIONE DUODECIMA. Larince-trachea-bronchile. CAPO PRIMO. Definizione. La larìnco-tracheo-bronchite , che è la infiam- mazione della mucosa degli aerei canali, raramente è universale, e quasi sempre parzialmente invade con la forma di larincite, di tracheite, di bronchite, ed anche di larinco-tracheite e di tracheo-bronchite. U3 CAPO SECONDO. Forma. Nella larinclte rauca è la voce, e fastidiosa è la tosse; e la voce nella tracheite è meno rauca, e più facile è la respirazione; e nella bronchite il rantolo mucoso e' indica l'estensione della infiammazione; e violenta è la tosse, e sonora l' interposta respirazione nella larinco-bronchite; e nella larinco-tracheo-bron- chite vi è tosse, soffocazione e rantolo mucoso- E sentesi generalmente bruciore e dolore nella larince, nella trachea e nei bronchi; ed havvi inappetenza e poca sete- E bianca è la lingua, e patinosa la bocca. E la tosse che ricorre , e la larince che stringesi, arrossano e la faccia tumefanno, e gli occhi fanno lacrimare, ed il capo e l'epigastrio dolenti. La pelle è arida e calda; contratto e duro il polso; scarsa e rossa l'orina; e spesso è costipalo il ventre. Difficile e soffocante la respirazione ; e scarsa è in principio l'espettorazione, che poi aumentasi, e che in fine ridi- minuiscesi. CAPO TERZO. Cause remote. Cause remote della larinco-tracheo-bronchite sono la intemperie, il freddo-umido, la gelata acqua che riscaldati bevesi, la vociferazione ed il canto, e la mefitica aria che si respira. 144 CAPO QUARTO. Causa prossima. E condizione della lai'inco-tiacheo-bronchite é poi la irritazione dell'aerea mucosa, determinala dalla potenza irritante che vi determina la stasi del san- gue, e la vitalità vi esalta; per cui la irritata mu- cosa infiammasi- CAPO QUINTO Necroscopia. La mucosa della larince, della trachea e dei bron- chi si è trovata, nei morti di larinco-tracheo-bron- chite , arrossata ed ingorgata. Ristretta 1' apertura della glottide ; e pseudo-membrane nella larince e nel principio della trachea- La larincea mucosa ul- cerata ed ossificata, ed anche la cartilagine cariata. Ed anche è stato trovato nella trachea e nei bron- chi muco viscoso e sanguinolento. CAPO SESTO. Pronoslico. Rapido è della larincite il corso , ed anche fa morire in ore ventiquattro ; ed in pochi giorni guariscesi ancora. E se cronica diventa, dura alla lunga, e difficilmente risolvesi ; cariansi le cartila- gini, edemasi la glottide e muoresì per consunzione 145 e per soffocazione. E la leggiera bronchite risolvesì tra la terza e la decima , e la grave tra la quin- dicesima e la quarantesima giornata. E poi o si ri- solve, .0 ci fa morire ; o diventa cronica, e la du- rata estendesì da qualche mese a qualche anno ; e poi 0 si guarisce, o allo stato acuto ritorna, o ci fa morire consunti, o per flogistica diffusione nelle contigue parti. CAPO SETTIMO. Cura. L'acuta e legittima larince-trachea -bronchite cu- rasi, come le altre interne infiammazioni si curano. Cavasi in principio sangue , ed il cataplasma e le sanguisughe nel luogo dolente si attaccano ; e giova anche il senapato e profondo piediluvìo ; ed il pur- gante , e la bevanda dolcificante e rilasciante. Se- vera dieta ordinasi, ed il silenzio a chi la soffre. Ed il vescicante si applica, subito che diminuita siasi la flogistica violenza. E d'acuta fattasi cronica, solo le giovano i rivulsivi coi derivativi, ed il mantenere sempre libera l'esterna insensibile traspirazione. G.A.T.CLXI. 10 146 SEZIONE DECIMATERZA. Pleuro-pneiimonite. CAPO PRIMO. Definizione. L'apparecchio della respirazione infiammasi : ed ecco la larincite, la tracheite, la bronchite, la pneu- monite e la pleurite. E per compiere l'esposizione delie infiammazioni dell' apparecchio della respira- zione, rimaneci adunque a discorrere la pleurite e la pneumonite. E la pleurite è la infiammazione della pleura, e la pneumonite del polmone ; e la prima dividesi in costale ed in polmonare, e l'altra in ve- scicolare ed in interlobolare. CAPO SECONDO. Forma. 11 rantolo crepitante è il fenomeno acustico del- l' ingorgo polmonare; il mucoso della suppurazione; e della epatizzazione è la respirazione bronchiale. E sentesi in principio la confricazione ascendente e discendente nella pleurite ; e poi la parte affetta estendendosi, il suono rendesi ottuso, il romore re- spiratorio indeboliscesi, e sentesi ancora la broncofo- nìa e l'ecofonia (1). Nella pneumonia facilmente gia- (1) Acustica applicata alla scienza clinica. U7 cesi nel lato affetto, e il dolore è grave e profondo, vi è tosse, ed espettorazione mucosa e sanguinolenta. E giacesi difficilmente nel lato ammalato nella pleu- rite; e il dolore è acuto e superficiale, e secca la tosse, e viscosa la espettorazione- E poi nella pleuro-pneu- monite congiungonsi i fenomeni della pleurite a quelli della pneumonite. Ed alla invasione precede il leg- gero e vago tremore ; e poi sentesi dolore nella parte che infiammasi ; e muovesi l'universale organica rea- zione- Viene la tosse, e difficile rendesi la respira- zione e l'espettorazione ; che in principio è viscosa e scarsa ; e poi mucosa, sanguinolenta e abbondante- Pieno e forte è il polso, rosso la guancia, e la pelle calda e alituosa- E se non si risolve, grave diventa il dolore, sterterosa e soffocante la respirazione-;-© se risolvesi, tenue e scarsa rendesi l'espettorazione, diminuiscesi il dolore e facilmente respirasi. CAPO TERZO- Cause remole. Sono cause remote della pleuro-pneumonite la gelata bevanda, che riscaldati bevesi ; il parziale ed il generale raffreddamento , principalmente in chi sudato raffreddasi ; la ispirazione di gas irritante , le percosse, e le penetranti ferite, l'amputazione dei membri, e la intempestiva scomparsa delle secre- zioni, e la cutanea deflorescenza- 148 CAPO QUARTO. Causa prossima. La causa prossima della pleuro-pneumonite è la locale irritazione ; che nel polmone e nella pleura la stasi del sangue e l'esaltamento della vitalità de- termina, ed il polmone e la pleura infiamma- CAPO QUINTO Necroscopia. Rossa ed opaca, striata e punteggiata, ingorgata e granulosa trovasi la pleura ; ed anche vi si trova sierosa, purulenta e fioccosa colluvie. E le superfìcie spalmate di marciosa materia ; con briglie e false membrane. Ed il polmone tubercoloso , cavernoso , ingorgato, epatizzato ed anche gangrenato si trova. CAPO SESTO Pronostico. La leggiera pleurite nella quarta e nella quinta giornata risolvesi; e la maligna nel medesimo tem- po ci fa morire. Ed anche il secondo sorpassa e raggiunge il terzo settenario, e d'acuta diventa cro- nica e lungamente dura. E della pneumonite la du- rata media è dalla settima alla quindicesima gior- nata; e poi o si risolve, o cronica diventa e lunga- 149 mente duia, e difficilmente guariscesi. E la pleuro- pneumonite, che in sé due malanni unisce, è piiì fa- stidiosa e maggiormente pericolosa. CAPO SETTIMO Cura. Curasi la pleuro-pneumonite col generale e col locale salasso, colla severa dieta, e le calde e ri- lascianti bevande, e colla intestinale revulsione- E venuto che sia meno l'universale eccitamento e la flogistica violenza , più non estraesi sangue ; ed il rimanente del male risolvesi coi rivulsivi e coi de- rivativi. Ed il morbo derivasi col vescicante nel co- stato dolente applicato ; e si revelle se nelle braccia e nelle cosce si applica, e le fomentazioni senapate nei piedi si fanno. Nella cronica pleuro-pneumonite, alcuni ricavano sangue; ciò che noi crediamo, che non sempre facciano bene; ed il malanno curiamo colla derivazione e colla revulsione. Ed anche i to- nici prescriviamo, per rianimare le languenti forze; perchè alle volte l'estrema debolezza, anziché il male, ci fa morire. Nella pneumonite gli espettoranti gio- vano; e calda bevanda devesi sempre bere. Il cher- mes minerale ed il tartaro emetico giovano ancora, e devonsi prescrivere; ma questo pare, che bene non corrisponda, a quanto di esso dice il sommo Ra- sori (1). (1) Delle peripneumonie infiammatorie, e del curarle prin- cipalmente col tartaro stibiato. 150 SEZIONE DECIMAQUARTA. Pericardio-cardio-vascolite. CAPO PRIMO. Definizione. Mai non infiammasi tutto in una volta il cardiaco- vascolare sistema; ed ora s' infiamma il pericardio, ed ora il cuore, ed ora un tratto o d'una vena, o d'una arteria; che coi nomi denominate sono di pe- ricardilet di cardile^ ó'arlerite, di venite o flebile. CAPO SECONDO Forma. Nella pericardite sentesi locale dolore sotto allo sterno ed al sinistro costato. Ed i polsi sono pic- coli, irregolari e frequenti; e spesso la sincope alla lipotomia succede. E nella cardite celeri e minimi sono i polsi, ed estrema è l'ansietà. E della peri- cardite facilmente confondesi con la forma della cardite. E dolente diventa la parte ove la infiammata arteria passa; ed il membro addormentasi, e grave diventa; e batte fortemente l'arteria- Dolore sentesi anche nella flebite lungo il tragitto dell' infiammata vena; ed il contiguo cellulare inturgediscesi, e di ros- so-oscuro colorasi. 151 CAPO TERZO Cause remote. Cause remote della pericardite sono le condizioni che ripercuotono la sinovite e l'artrite- Della car- dite i violenti sforzi , e quanto aumenta i cardiaci movimenti. E dell'arterite e della flebite le violenze esterne, che impediscono il libero corso del sangue. CAPO QUARTO Causa prossima. Causa prossima della pericardio-cardio-vascolite è la potenza che irrita localmente il sistema car- diaco-vascolare; verbigrazia, il ferro che ferisce, il laccio che stringe, e l'artritico principio, che traslo- candosi, nel cuore e nel pericardio depositasi, l' irrita e l'infiamma. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri di chi era morto di pericardite e di cardite, è stato trovato il pericardio arrossato, opaco ingrossato, esulcerato ed ossificato. Ed anche sono vi state trovate false membrane, e sierosa col- luvie. Ed il cuore è stato rosso-oscuro trovato, ul- cerato, e parzialmente o rammollito o indurito, ed anche ossificato. E nel cadavere, essendo stata esa- 152 minata l'arteria infiammata, hannovi trovata la tu- nica interna arrossata, gonfia, molle, indurita, ru- gosa, ossificata, e intonacata da marciosa e coten- nosa materia. E nella vena infiammata è stato tro- vato l'interno canale dilatato, ristretto ed obblite- rato , e le membrane, che la compongono , arros- sate, ingorgate, rammollite, fungose,e che facilmente dislacoavansi l'una dall'altra. CAPO SESTO. Pronostico. Presto r acuta pericardite fa morire ; e la cro- nica, dura per qualche tempo, e quasi mai non guari- scesi. E grave è la cardite, che prestamente chi la soffre fa di vivere finire. E nella infiammazione della collaterale arteria non vi è grave pericolo ; e della centrale, facilmente il membro gangrenasi. E la vena, che infiammasi, risolvesi, ed anche l' intero canale obbliterasi; ed è talora causa di consecutiva anasarca. CAPO SETTIMO. Cura. Nella pericardio-cardite, che deriva da metasta- tica deposizione gottosa, artritica ecc., subito richia- mansi ai primitivi luoghi gli scomparsi malanni. E nella primaria e legittima cavasi sangue, e le mi- gnatte si attaccano nel sinistro costato. E si mettono ancora nel torace e nelle altre parti del corpo i moxi. 153 i senapismi ed i vescicanti. E internamente prescri- vonsi le bevande diluenti, gommose, mucillagginose e leggermente nitrate; e promuovesi ancora la inte- stinale revulsione. Ed applicansi nel luogo dolente le sanguisughe, ed anche nelParterite cavasi sangue. E l'oppio prescrivesi, e gli ammollienti si applicano, se ci tormenta il dolore. E facilmente ai topici freddi cede la flebite recente e poco estesa ; e se ella è intensa e diffusa, agli antiflogistici bisogna sempre ri- correre. SEZIONE DECIMAQUINTA. Epatite. CAPO PRIMO. . Definizione. L'epatite è la infiammazione dell'epatico appa- recchio ; cui alcuni dividono in acuta e cronica, in continua e periodica, perniciosa alrabilare, o epatica. CAPO SECONDO. Forma. La patognomouica espressione della epatite è il dolore acuto, lancinante, cupo e profondo, che dal- l' ipocondrio destro eslendcsi al petto ed alla cor- rispondente spalla. Che poco alleggeriscesi , nella parte affetta giacendo ; e che alquanto esacerbasi 154 quando si respira e si tossisce, e nella sana parte giacesi. Secca e scabra è la pelle, urente e mor- dicante, nella superfice de! corpo, la calorificazione. E pieno , duro e frequente è il polso ; e svolgesi ancora l'universale organica reazione- Viene l' itte- rizia ; e la lingua copresi di giallo-verde-nerastro intonaco- Manca l'appetito, e la sete arde- E l'orina è scarsa, torbida, rosso-giallastra, e deponente mat- tonato sedimento. 1! ventre è costipato ;,e se qual- che evacuazione viene, grigia e non biliosa è l'eva- cuata materia. E segno è che la gastro -enterite si è all'epatite congiunta ; se il dolore epatico all'epi- gastrio estendesi , e rossa è ai margini la lingua , la sete arde, e vomitasi biliosa materia- CAPO TERZO. Cause remole. Cause remote della epatite sono le percosse nella testa e nel destro ipocondrio, le forti stimolazioni nello stomaco e nel duedeno, le violenti passioni, la gastro-enterite, il palustre miasma, la intemperie, la repressione della traspirazione, la scomparsa della mensile ricorrenza e del flusso emorroidale, e la cu- tanea deflorescenza. CAPO QUARTO. Causa prossima. E condizione essenziale dell'epatite è poi l'epatica irritazione, determinata dall' esterna percossa, dal 155 ferro che il fegato ferisce , dai calcoli biliosi , dai vermi intestinali, che in esso introduconsi, dal pa- lustre miasma, e dalle metastatiche deposizioni- CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei ca(3averi, che sono stati aperti, di chi per epatite era morto, si è trovato il fegato brunastro, giallo, rosso, e a chiazze nero ; ed ora atrofizzato, ed ora ipertrofizzato, rammollito, indurito, adiposo e scirroso. E vi sono stati ancora ascessi purulenti trovati, idatidi, materia melanosiaca ed encefaloidea. E la vescichetta biliare ora ristretta , e di calcoli ripiena ; ed ora dilatata, e contenente bile viscosa e nera. II fegato aderente alle contigue parti ; e qualche ascesso, che in esso aperto erasi, e che ver- sato aveavi la contenuta materia. CAPO SESTO. Pronostico. L'acuta epatite si risolve, o diventa cronica; sup- pura , ed anche il fegato gangrena. E 1' ascesso , che nel fegato si è formato, ora nel!' interno apresi, e fa morire ; ora all'esterno, e qualche volta gua- riscesi. Ed ora rifattasi acuta, il peritoneo infiamma, ed è mortale; ed ora le succede la funesta emorra- gia, la consecutiva idiope, e l'epatica tabe- 156 CAPO SETTIMO. Cura. Incominciasi col salasso la epatica cura ; e poi le sanguisughe nell'ano, nella vulva e nel destro ipo- condrio si attaccano. E spesso il ventre esterna- mente fomentasi; e internamente il purgante pre- scrìvesi. Severa dieta ordinasi, e subacida bevanda; e frequente e piccolo cristiere- E il critico sudore, subito che incomincia, favoriscesi colla bevanda leg- germente diaforetica. E diminuita che siasi la vio- lenza flogistica, il vescicante nel destro ipocondrio e nelle altre parti si applica. E fannosi anche le mercuriali unzioni nella dolente parte ; e taluni il mercurio internamente prescrivono. Ed alla lenta , ed alla acuta fattasi cronica, in minor quantità le medesime cose si prescrivono. E quando il formatosi purulento ascesso al peritoreo aderisce, ed alla con- tigua parete addominate accostasi, col ferro apresi; e colle iniezioni procurasi la repurgazione, e la con- solidazione colla peruviana corteccia. 157 SEZIONE DECIMASESTA. Pancreatite. CAPO PRIMO. Definizione. La pancreatite è la infiammazione del pancreas ; che durante la vita è quasi latente; e che dopo alla morte bene si manifesta, se apresi il cadavere. CAPO SECONDO. Forma. Oscura ed incerta è la pancreatitica manifesta- zione. E spesso trovasi nel cadavere, ciò che du- rante la vita non si era manifestalo ; e che altro malanno, anziché la pancreatite parevaci che l'in- fermo tormentasse, e che di vivere lo facesse finire. E facilmente altra malattia simula , perchè d'altre parti il pancreas è circondato ; ed è situato sotto allo sterno ed al fegato, sopra la trasversale por- zione del duedeno, davanti la colonna del diafram- ma, l'aorta, e la vena cava inferiore, dietro il me- socolon trasverso e l'arco trasversale del colon, al lato sinistro della seconda porzione dell' intestino duedeno, al lato destro della milza e del rene si- nistro, e nella separazione posteriore delle due la- mine del meso-colon trasverso- E solo giudichiamolo 158 infiammato, perchè le parti che lo circondano es- sendo sane, sentesi profondo dolore, che corrisponde nella dodicesima dorsale e nella prima vertebra lom- bare. CAPO TERZO. Cause remole. Difficilmente nel pancreas 1' esterne cause agi- scono, e r infiammano- E la pancreatite, pare che vi determinino le lente infiammazioni dei contigui visceri, e la miasmatica intermittenza. CAPO QUARTO. Causa prossima. E la condizione, che la pancreatite determina, è la locale irritazione, spesso promossa dalla lenta in- fiammazione delle contigue parti, e dall'ostinata mias- matica intermittenza. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri è stato il pancreas trovato ingor- gato, indurito ed atrofizzato, rammollito ed iper- trofizzato; ed anche disorganizzato in marciosa ci- sti; ed in materia adiposa degenerato, ed anche in parte ossificato. 159 CAPO SESTO. Pronostico- Lungo e lento è della pancreatite il corso. E difficile, e sempre incerta è la diagnosi. Ed allo stato naturale difficilmente ritorna il pancreas ; e quasi sempre rimane indurito ed ipertrofìzzato. CAPO SETTIMO. Cura. Blandi rimedi alla pancreatite si convengono. E cavasi sangue se imponente è l'organica reazione, e chi la soffre è atletico e pletorico; e le sangui- sughe si attaccano nell'ano, nella vulva e nella parte dolente. Ed anche giova il tenue vitto, la subacida bevanda, la intestinale revulsione, ed il vescicante applicato nel luogo dolente e nelle altre parti del corpo. L'unzioni mercuriali nella dolente parte sono state da certuni fatte ; ed anche internamente il mercurio è stato amministrato. Il salasso, e le san- guisughe nell'ano applicate, ed i caldi bagni hanno a preferenza delle altre cose giovato. 160 SEZIONE DECIMASETTIMA. Splenite. CAPO PRIMO. Definizione. La splenite è la infiammazione della milza ; che consensuali perturbamenti determinano ; mentre è, mediante peritoneali ripiegature, attaccata nel musco- lare tramezzo, che il torace separa dall'addome. E pare che non la splenite, ma che altro malanno tor- menti, per essere ella profondamente collocata nel sinistro ipocondrio, tra le false coste ed il ventri- colo , sotto il diaframma , sopra il colon ed il si- nistro rene. CAPO SECONDO. Forma. Col freddo la splenite invadeci, e coi ricorrenti brividi; a cui spesso succede il continuo, ed anche il remittente calore. E poi svolgesi l'universale or- ganica reazione. E dolente diventa il sinistro ipocon- drio, cui la pressione esacerba; ed il dolore esten- desi nel rene, nel torace, nella clavicola e nel cor- rispondente omero. Gonfiasi il sinistro ipocondrio ; in cui, come nel destro, bene non giacesi- E l'an- sietà, la dispnea, la tosse ed il singhiozzo infastidi- scono- E chi la sofifre ha sete, inappetenza, costi- 161 pazione, nausea ed anche vomito bilioso e sangui- nolento- CAPO TERZO. Cause remole. Cause remote della splenite sono le cose che i visceri addominali infiammano. Alle quali rifeiisconsi le percosse, e le penetranti ferite, la scomparsa delle naturali e delle preternaturali secrezioni, la cutanea deflorescenza, e l'ostinata miasmatica intermittenza. CAPO QUARTO. Causa prossima. Il preternaturale esaltamento della vitalità della milza , determinato dalla locale potenza irritante , che la stasi del sangue vi determina, è l'essenziale condizione della splenite- CAPO QUINTO. Necroscopia. Per splenite raramente muoresi ; e se vi si muore, trovasi nel cadavere la milza raramente indurita e atrofizzata ; e spesso vi si trova ingrossata e indu- rita, ed anche parzialmente rammollita. Vi si tro- vano ancora morbose adesioni coi contigui visceri ; purulenti ascessi , scirrosi indurimenti , cancerose degenerazioni, e tubercolosa e melanosiaca materia. (..A.T.CLXI. 11 162 CAPO SESTO. Pronostico. Qualche volta la splenite per diaforesi risolvesl ; e generalmente termina per ipertrofico indurimento. Suppura ancora, e la marciosa colluvie versasi ora nel ventricolo e nel calon , e la materia o emet- tesi per vomito, o per splenica alvina evacuazione ; ed ora nell'addome e nel torace , con consecutiva peritonite, e mortale pleuro-pneumonite- CAPO SETTIMO. Cura. La sintomatica splenite dell'ostinata febbre pe- riodica curasi come la miasmatica intermittenza me- dicasi- E cavasi sangue, se chi la sotfre è atletico e pletorico. Ed alla primaria, che dalla locale ir- ritazione è mantenuta, ordinasi la dieta ; e prescri- vonsi le rilascianti e subacide bevande ; promuovesi l' intestinale revulsione, e cavasi sangue dal braccio, dall' ipocondrio, dalla vulva e dall'ano- Alcuni ap- plicano il vescicante nel sinistro ipocondrio ; altri vi fanno le piccole e quotidiane mercuriali unzioni ; e certi altri credono esserle giovevole il caldo e spesso bagno. 163 SEZIONE DECIMAOTTAVA. Uropoìeite. CAPO PRIMO. Definizione. L'aropoìeite è la infiammazione dell'urinario se- cretorio apparecchio : che non è universale, e che sempre mostrasi parziale ; e che a seconda della parte , che invade, dicesi nefrite, urelerile, cistite , prostatite e uratraite. CAPO SECONDO. Forma. Nella nefrite sentesi forte dolore acuto, lancinan- te e pungente, cupo gravativo e profondo in una, o neir una e nell' altra reazione lombare- E nella ureterite, dolente è Io spazio interposto tra i reni ed il trigone vescicale. E dolore sentesi nella cistite, meno o maggiormente forte, nella regione ipogastrica, che la pressione esacerba. E tesa e dolente, calda e tumefetta è la parte, che alla vescica corrisponde. E fastidioso è lo stimolo, e l' incomodo di spesso evacuare 1' urina ; cioè, la discuria , /' iscuria e la stranguria. Nella prostatite il dolore limitasi tra la vescica e l'uretra; e nell'uratraite dalla prostata esten- desi al meato urinario. E le infiammazioni parziali 164 dell'uropoietico apparecchio incominciano, progre- discono, e indietro ritornano e si risolvono ; o come le altre infiammazioni diventano croniche, e lunga- mente durano ; e poi o rifannosi acute, e si risol- vono , o lentamente ci fanno morire. E vana cosa torna il dire, che come l'altre si risolvono, suppu- rano , induriscono ed il tessuto gangrenano. Che ì polsi sono ora contratti e celeri , ora gagliardi e pieni ; che l'orina è scarsa e sedimentosa, e la pelle calda ed arida ; che havvi inappetenza, sete, costi- pazione e organica universale reazione- CAPO TERZO. Cause remole. Sono remote cause dell'uropoieite l'abuso degli stimolanti, gli sforzi e le addominali percosse, l'uri- naria ritenzione, i corpi estranei, le irritanti inie- zioni, l'abuso delle veneree dilettazioni, le cantarelle, la sifilitica infezione, la cutanea deflorescenza, e la scomparsa delle articolari infiammazioni, che nel- l'apparecchio uro-poietico si fissano e l' infiammano. CAPO QUARTO. Causa prossima. La vecchiaia è la predisposizione delle infiamma- zioni dell'urinario apparecchio. E la locale irritazione, che ci esalta la vitalità, e la stasi del sangue ci de- termina, è della uropoieite la essenziale condizione. 165 CAPO QUINTO. Necroscopia. Aperti i cadaveri di chi per uropoìeile erano morti, vi hanno trovato i reni rossi e di sangue in- gorgati, rammoIHli, induriti, impiccoliti ed anche ipertrofizzati. E disseminato il parenchima da pic- coli marciosi ascessi, scirroso, e in sostanza cere- briforme, adiposa ed ossea degenerato; e, dentro a marciosa cisti con idaiidi, disorganizzato. E arrossati ed ingorgati gli ureteri, colP interno canale ora ri- stretto, ed ora dilatato. La vescicale mucosa arros- sata, ingorgata, indurita, ingrossata, rammollita, esul- cerata , e di nero macolata. Ristretta la vescica , perforata, e internamente di false membrane rico- perta, E la mucosa dell'uretra arrossata, ingorgata ed esulcerata. Organiche degenerazioni, che nei ca- daveri si trovano a seconda del morboso esito , e della infiammata parte. CAPO SESTO Pronostico. La nefrite o tra l'ottava e la ventesimma gior- nata risolvesi; o dura per indeterminato tempo; ed anche colla morte termina. E quando risolvesi, l'orina sedimentosa diventa. Che se poi suppura, o la ma- teria si versa nel colon e nell'addome, o nel rene forma marciosa colluvie , o nella vescica discende. 166 I reni si rammolliscono, si induriscono, si gangre- nano ed anche si disorganizzano. E l'ureterite alia nefrite consecutiva, segue della nefrite il corso ; e prestamente risolvesi, se la primitiva malattia gua- riscesj. E tra la quindicesima e la trentesima gior- nata 0 risolvesi la cistite, o dura per indeterminato tempo- Termina spesso per risoluzione, e raramente per indurimento e pergangrena. E lungamente dura la venerea uretraite ; e la legittima prestamente ri- solvesi. E doloroso malanno è la parziale uropo- ìeite, che raramente fa morire. CAPO SETTIMO. Cura. Nell'uropoielle, se chi la soffre è atletico e ple- torico, cavasi sangue ; e se è debole, solo le san- guisughe sì attaccano nei lombi, nell'ipogastrio nel perineo, nella vulva e nell'ano. E fannosi poi i pie- diluvi , ed i tiepidi bagni. E l'ammolliente empia- slro mettesi nei lombi; e l'addome fomentasi. Or- dinasi la dieta ; ed il vitto tenue prescrivesi, e la mucillagginosa bevanda ; ed i piccoli cristieri ammol- lienti e narcotici si fanno. E poi ricorresi alla revul- sione, ed alla derivazione. Ed apresi il renale ascesso, che ai lombi accostasi; affinchè neirinlerno,da sé stes- so aprendosi, la purulenta materia non versi. E l'orina, che non può scappare, colla siringa estraesi; e non potendosi siringare, conviene ricorrere alla artificiale apertura. 167 SEZIONE DECIMANONA Infiammazione del genitale femmineo apparecchio. CAPO PRIMO. Definizione. II genitale femmineo apparecchio , come l'uro- poietico , parzialmente infiammasi. E se le mani- , melle, l'ovario, 1' utero e la vagina si infiammano, coi nomi sono nominate di mammite, di ovante, di melrile e di vaginile. CAPO SECONDO. Forma' La mammile denunciano l'ardente calore, il lo- cale dolore , il roseo colore e la mammillare tu- mefazione. E r ovarite manifesta il fastidioso, do- lore , ora cupo , ed ora lancinante , che sentesi in ambe le regioni iliache. Pesa , e maggiormente sentesi l'utero nella metrite ; ed il dolore cupo e gravativo dall' ipogastrio estendasi ai lombi all'an- guinaia, ed alle articolazioni femoro-iliache. E del- l' utero il collo si arrossa, si riscalda, si gonfia, si indurisce, e diventa dolente. E nella vaginite in prin- cipio sentesi prurito; e poi la mucosa si arrossa e si gonfia; ed il roseo colore e la enfiagione si dif- fondono nella genitale esterna parte. E sia qualunque 168 la porzione affetta dell'apparecchio genito femmìneo; se acuta e violenta è la infiammazione, vi è sempre universale organica reazione. Caldo-umida è la pelle. Ed ora duro e frequente , ed ora piccolo e piena è il polso- Manca l'appetito ; e ardente è la sete. Che se la infimmazione fin da principio è lenta, o che mite facendosi, diventa cronica; coi suoi feno- meni sempre si circoscrive nella parte affetta, e ma- nifesta non promove organica reazione. CAPO TERZO. Cause remote. Determinata è la mammite dall'aria, che la calda mammella raffredda, dal difficile allattamento, dalle percosse, e dagli astringenti, che la secrezione del latte reprimono. E sempre consecutiva alla metrite ed alla peritonite è l'ovarite. E infiammano l'utero il parto laborioso, le tocologiche operazioni, la poli- pare estirpazione, 1' interne e l'esterne compressioni, l'alto raffreddamento delle estremità addominali, e la intempestiva scomparsa dei lochi e della mensile ricorrenza. E quanto direttamente la vaginale mu- cosa irrita, la nafinite determina. CAPO QUARTO. Causa prossima. La condizione flogistica dell'apparecchio genitale femmineo è la locale irritazione , determinata da 169 quanto localmente la vitalità esalta, e la stasi del sangue determina; per cui le mammelle, le ovarie, l'utero e la vagina s' infiammano. CAPO QUINTO Necroscopia. Gli anatomici caratteri della mammite sono l'in- gorgo del cellulare tessuto, la durezza e la ipertro- fia della mammaria gianduia- E sono nel cadavere state trovate l'ovarie rosse e gonfie, con marcia o sparsa nella sostanza, o in cisti raccolta; scirrose, e aderenti alle contigue parti. La mucosa dell'utero arrossata, ed ingrossata; ed il parenchima di san- gue turgido, che premendolo in abbondanza lo ver- savano- E nelle infiammazioni, che hanno per anni durato, 1' utero si è trovato rosso, grigiastro e li- vido, addensato, ingrossato, scirroso e lardaceo. E si arrossa, si ingorga e si gonfia la vagina quando infiammasi. E nelle croniche vaginite , che lunga- mente avevano durato , è stata trovata la mucosa ingrossata, esulcerala, scirrosa, ed anche a zone ed a chiazze cartilaginea ed ossea. CAPO SESTO. Pronostico. Frequentemente la mammite risolvesi; e quando suppura, lenta è la suppurazione, e tarda la guari- gione. Diffìcilmente dall'acuto passa allo stato ero- 170 nico ; e se vi passn, e alla lunga darà, facilmente indurisresi la glandola, scirro; e poi esulcerasi, can- cro. E tra la quarta e la quinta giornata, quasi mai l'ovante fa morire ; e spesso tra l'ottava e la de- cima risolvesi; e suppura tra la dodicesima e la quat- tordicesima. Ed il cronicismo è il più frequente termi- ne ; che fa anche morire dopo molti anni. E pre- stamente la violenta metrite fa la femmina termi- nare di vivere; e dura anche l'acuta trenta giornate; e poi 0 si risolve, o cronica diventa, o fa per con- sunzione morire. Raramente suppura , indurisce e l'utero gangrena. E dura anche per anni la cronica, che difficilmente risolvesi; e poi o ridiventa acuta; 0 la mucosa ingrossa, esulcera, indurisce e gangrena, e lentamente fa la femmina morire. La legittima vagìnite poco dura; e la venerea moltissimo; ingros- sa, esulcera, e la mucosa indurisce ; e morire non fa, se alla vagina limitasi. CAPO SETTIMO. Cura. Incominciasi la metrite a curare, se la femmina che la soffre è sana e pletorica, coli' iterata sottra- zione di sangue; e poi si attaccano nella mammella infiammata le sanguisughe ; e sopra vi si mette il narcotico e ammolliente cataplasma, E parimente l'ovarite col salasso curasi; e le sanguisughe si at- taccano nell'ipogastrio, nella regione iliaca, nella vulva, e nella parte superiore e interna delle cosce. Ordinasi la dieta; la revulsione intestinale procurasi; 171 e si prescrive il bagno ed il semicupio. E Tempia- stro ammolliente vi si mette, o l' ipogastrio fomen- tasi. E mettesi il setone nella regione iliaca; ed il vescicante nelle altre parti del corpo. Ed il fluttuante tumore , che all'addome aderisce , subito col ferro apresi; ed all'esterno si fa scappare la marciosa col- luvie. Ed alla metrito acuta conviensi parimente il salasso; e le sanguisughe si attaccano nella vulva, nell'ano e nell'epigastrio. Il basso ventre fomentasi, 0 vi si mette il narcotico e ammolliente cataplasma. La dieta ordinasi; e fannosi i cristieri, ed i semi- cupi; e si procura la intestinale revulsione. E dimi- nuita che siasi la violenza flogistica, i diuretici, e i diaforetici prescrivonsi; ed i vescicanti in diverse parti del corpo si applicano. E nella violenta vagi- nite le sanguisughe si attaccano nella vulva, nell'ano e nella parte interna e superiore delle cosce; e pri- ma fannosi l'ammollenti e spesse lavande; e poi l'a- stringenti iniezioni. SEZIONE VENTESMA. Infiammazione del genitale maschile apparecchio. CAPO PRIMO. Definizione. Le infiammazioni del genitale apparecchio ma- schile sono la didimite e la prostatite. Sì l'una e sì l'altra sono legittime e specifiche; quelle sono prò- 172 mosse da cause comuni, e queste dalla venerea in- fezione. CAPO SECONDO. Forma. La prostatite il perineo riscalda, e fa sentire do- lore e peso tra lo scroto e l'ano , e nelP anteriore parete del retto, e muove tenesmo, e continuo uri- nario prurito- E dolente diventa della vescica il collo; e la voluminosa prostata bene nell'ano sentesi- Il ca- nale dell'uretra restringesi; e prima diffìcilmente, e anche poi non piiì l'orina scappa. Spesso la prosta- tite risolvesi; e non risolvendosi suppura; e la ma- teria o entra nella vescica o nel retto, o per l'ure- tra esce. E chi la soffre consumasi, ed anche muore lentamente. E nella didimite il testicolo riscaldasi e gonfiasi, diventa dolente, ed il dolore ai reni diffon- desi. E lo scroto estendesi, riscaldasi ed arrossasi; e sentire lascia nell' interno il tumefatto testicolo. E sono i comuni flogistici fenomeni i reazionari della didimite e della prostatite. CAPO TERZO. Cause 1 emote- L'uretrite è la causa principale, che la didimite e la prostatite determina. Ed essa seguono la intem- pestiva scomparsa del flusso emorroidale, il calcolo che nel collo della vescica fermasi, e l'esterne mec- caniche violenze. / 173 CAPO QUARTO. Causa prossima. E la condizione della prostatite e della didimlle è r irritazione, determinata nel didimo e nella pro- slata da meccaniche condizioni, e da specifica viru- lenza. CAPO QUINTO. Necroscopia. La prostala nei cadaveri l'hanno trovata ora gon- fia, rossa e molle; ed ora indurita, scirrosa e puru- lenta. Ed il didimo , durante ed anche percorsa la infiammazione, V hanno sempre veduto gonfio, e duro inteso. E tagliandolo, 1' hanno trovato scirroso e can- ceroso. CAPO SESTO. Pronostico. Tra l'ottava e la decima giornata quasi sempre la prostatite risolvesi. Suppura ancora ; ed anche d'acuta cronica diventa; e raramente il tessuto in- durisce e gangrena. Ed il testicolo, prestamente in- grossatosi, lentamente risolvesi, e sempre il didimo rimanesi un poco gonfio e duro. E quando suppura, perdesi l'organo spermatico; e scirroso fattosi, bi- sogna sempre tagliarlo. 174 CAPO SETTIMO. Cura. Non sempre incominciasi la cura della prostatite e della didimite col generale salasso; e quasi sem- pre bastano le locali sottrazioni sanguigne , la re- vulsione intestinale, la dieta, il riposo, e la bevanda gommosa e mucillagginosa. E nella prostatite si ap- plica nel perineo, e nella didimite lo scroto circon- dasi di cataplasma narcotico ammolliente. Nella stran- garia siringasi ; e se non può eseguirsi , fare con- viene r artificiale apertura. E la ristrettasi uretra , prima dilatasi colle meningi , e poi colle siringhe di elastica gomma. Ed il testicolo fattosi scirroso, bisogna col ferro staccarlo. CONCLUSIONE. Abbiamo discorse delle semplici le maggiormente rimarchevoli infiammazioni ; senza le altre nemmeno nominare. E ciò che ad alcuni parrà trascuratezza; a noi pare che sia scientifica precisione. Mentre abbiamo scanzata la noiosa ripetizione ; e non siamo discesi a fastidiosa minuzia. Che leggendola, se noi l'avessimo descritta, non vi averebbero cosa alcuna trovata di nuovo ; ed anziché dilettare chi legge , Tavremmo mosso a sdegno. [Conlhmerà) 175 Vita di D. Giovanni Torlonia , scritta da Giuseppe Cugnoni. N el farmi a parlare di Giovanni Torlonia forte so- spetto per l'animo mi si ravvolge ch'io non abbia a parere inframmettente e prosuntuoso. Imperocché essendo a tutti notissimo come i più belli e lodati ingegni di questa città furono congiunti di stretta amicizia al caro estinto; chi non si sarebbe aspet- tato che a lodar lui si levasse alcuno degl' illustri amici suoi ? Per contrario che sorga io a celebrarlo, io che solo per fama il conobbi; che cos'altro potrà sem- brar questo se non effetto d'animo procacciante ed ambizioso ? Di presunzione poi niuno vorrà scusarmi, sentendomi esaitare spenta una virtii, che viva non potei ammirare da presso. Laonde io ben veggo come questo mio fatto, a chi è uso di stimar le cose dalle apparenze, debba in tutto parer dissennato. Se non che le apparenze assai di sovente fanno inganno al- l'uomo: onde i savi e discreti rade volte o non mai fondano su di esse i giudizi loro. No , non fu va- nità di tessere le lodi di nobile e ricco signore, che indusse me alla presente fatica ; sì fu il dolore di due infelici parenti e di una giovane sconsolata ve- dova, i quali chiedeano il conforto della mia voce. Né questo mio racconto potrà essere tacciato di ar- roganza, avendomene fornita la materia i congiunti e gli amici del defunto , sulla cui indubitata fede io potei narrare dì lui non altrimenti che se fossi 176 stato perpetuo testimonio della sua vita. La quale come fu ricca di belli esempli e d'utili operazioni ; così tanto più è ora da dolere che troppo immatu- ramente mancata, ne abbia disertati di quelle mag- giori speranze, onde sì largamente ci aveva affidati- Imperocché fu la vita di D. Giovanni volta tutta al ben fare ed in elettissimi studi esercitata, e tale per conseguenza da promettercene non comuni van- taggi. E facendomi in prima a parlare degli studi suoi vastissimi e profondi, in questo massimamente mi si offre ammirabile, che ad imprenderli non fu tratto da esterni e bassi allettamenti , ma per la intrinseca bellezza e bontà loro li volle seguitare. Conciossiachè nò. onori nò ricchezze dovesse diman- dare agli studi egli per nascita nobilissimo e dovi- ziosissimo ; nò sudando e vegliando cercare in quelli bella e durevole fama chi col solo proteggere e fa- voreggiare gì' ingegni potea agevolmente conseguire che il suo nome trapassasse ai posteri onorato, non altrimenti che quelli di Fulvio Orsini, di Federico Cesi , di Ottavio Falconieri , di Virginio Cesarini. Resta dunque che D. Giovanni s' innamorasse degli studi e con ardore vi si applicasse per 1' intrinseca bellezza e bontà loro. E poiché ciascuna scienza e ciascuna arte ha la sua propria bellezza e bontà , r ingegno del Torlonia non si facea sopra ad una, che non pensasse di accostarsi in seguito alle altre : ma tutte insieme col desiderio abbracciandole, volea partitamente e con ordine contemplarle. Questo ha egli dimostrato con la molta e svariata dottrina ac- quistatasi ne' brevi anni che visse, e questo affer- mano i congiunti e gli amici suoi, i quali l'udivano 177 sempre ripetere che dall' apparai' nuove cose mai non si sarebbe rimasto, quasi avesse a sua ultima meta il possesso della scienza universale- Né di pro- posito così smisurato ed all' umana debolezza in- tollerabile parrebbemi conveniente il lodarlo, se non ne trasparisse una geneiosità d'animo singolare, e se a tanto ardito intendimento non vedessi con- giunta egual forza di azione. Conciossiachè l'umano ingegno quanto più spargesi in traccia di cognizioni varie e molteplici , tanto riesca men penetrante e profondo ; non altrimenti che accade ne'corpi , di cui è legge immutabile che dilatandosi sì assot- tigliano. Non fu così di D. Giovanni, il quale avido di tutto sapere, già non si sfrenò a voler tutto in- sieme sapere ; ma lentamente e per gi-adi procedendo, in modo abbandonavasi ai propri specolamenti di una disciplina, che delle altre parca noi prendesse cura nessuna. Così evitò la leggerezza negli studi, e adoperandosi alla soda e verace dottrina si tenne lontano dall'arrogante saccenteria. Nel che ci si farà maggiormente ammirabile, ove consideriamo di quale e quanta saviezza s'avesse (nestieri a non bruttarsi /jnr^^^^''^ d'un vizio, consueto deturpatore della nobiltà do- j viziosa. La quale miseramente esposta alle lusinghe dell'adulazione, di leggieri inorgoglisce, e presume, stimando retribuzione del proprio va/ore certe Iodi bugiarde che a lei procaccia la potenza del nome i e dell'oro. A queste turò sempre le orecchie il sa- gace giovinetto, non altrimenti che a canto mor- tale di sirena insidiosa, pronto solo a dischiuderle alla libera voce di amici onesti ed autorevoli. g..a.t.(:lxi. 12 178 Né già d'altronde ei s'ebbe il primo incilamento agli studi, che dalle sagge parole di chi francamente tuttor garzoncello lo amtnonìa a voler bene usare del grado e degli agi, cui nascendo avea sortito: la nobiltà e le ricchezze natie doversi riguardare come premio anticipato della virtù, del quale ci rendiamo immeritevoli tosto che per ozio o vizi ne abusiamo: delizie, spassi, lautezze, onoranze e quant' altro di pili lusinghiero suol far lieta la vita de' grandi, non valer tutto insieme una briciola di quel sovrano con- tento che l'uomo, eziandio se povero ed oscuro, ri- ceve dalla vera sapienza. A questa pertanto con ogni sforzo si adoperasse, esercitando ne' buoni ed ono- rati studi il molto e svegliato ingegno che Dio gli aveva concesso. Già non poteva il suono di queste verità non concitare altamente 1' animo di D. Gio- vanni di tempera generosa e severa, e sin dalla ftin- ciullezza naturalmente apparecchiato (rilevandosi ciò per fino da'suoì puerili trastulli, sempre ingegnosi) alla cultura dell' intelletto : giunse poi opportunissimo a ridestarlo in quella appunto che erudito ne'prin- cipii della rettorica e della filosofia, era in sullo scom- pagnarsi dalla guida di stabile precettore. Quando cioè r abbandonarsi ad un vivere scioperato e sol- lazzevole, ovvero il proseguire nel faticoso esercizio degli studi, dovea essere sua propria elezione. Ri- schiosa prova, secondo che dimostra una trista espe- rienza, al senno di giovane patrizio. Ben però su- perolla il Torlonia antiponendo ad un superbo ozio i cnri e gloriosi travagli dell' ingegno. Invogliatosi da principio d'acquistar larghe e si- cure notizie intorno agli antichi monumenti romani, I 179 premessa la lettura degli scrittori latini e d'alquanti de' greci , di cui apparò a tal uopo il linguaggio ; prese a visitare diligentemente e con ordine tutto ciò che di quelli ne avanza dentro e fuori della città. E quale perizia delle antiche cose egli con ciò si procacciasse, ce n'è autorevole testimonio il chiaro archeologo commendatore Pietro Ercole Visconti , da cui come s'ebbe il primo impulso a questa ma- niera di studi, così trasse valevole aiuto a bene con- durli. Or questi non dubita di affermare, la giovi- nezza del suo alunno aver posseduto tanto di antica erudizione, di quanta sarebbe pur da lodare un uom maturo. Oltre che fanno di ciò sicurissima fede gli innumerabili ricordi di arte e di storia, che egli in certo suo giornale andava quotidianamente registran- do, dove frame/zo ad accurate note e sottili con- fronti sono sparse qua e là considerazioni di non volgare dottrina, ed opinioni insolite non men che probabili. In tal guisa D. Giovanni riparò ad un ver-' gognoso difetto della educazione moderna, che la- sciandoci ignorare tanta invidiata suppellettile di an- tiche arti e memorie, ci rende ospiti in casa nostra; laddove degli usi di popoli lontanissimi e per mari e montagne da noi disgiunti ci vuole curiosi inda- gatori. Anche studiò nelle antiche iscrizioni, di cui era copiatore desideroso ed esatto (1), e del racco- gliere medaglie e monete grandemente si dilettò. Ebbelo a suo socio la pontificia accademia di ar- cheologia, nella quale che due sole volte si facesse a pubblicamente ragionare (2), fu effetto di quella modestia, da cui tenne sempre invincibile avversità ad ogni minima apparenza di maestro. E se due altre 180 volte, nchiestone, facilmente s' indusse a richiamare in mente ai dotli colleghi, seduti a geniale convito per celebrare il natale di Roma, le glorie dell'eterna città, appunto fu perchè la letizia della circostanza parvegli dovesse scemare autorità al suo dire- A ma- teria del quale sì l'una volta e si l'altra egli tolse il gran fatto dell'universale incivilimento, esaminan- dolo in prima come iniziato dalla Roma pagana, e poi come compiuto dalla Roma cristiana- E ne ri- portò lodi di valente conoscitore delle antichità non meno profane che sacre. Imperocché del considerare eziandio le origini della santissima religion nostra assai si compiacque ; il che diede poi occasione al principale fra' studi suoi, che fu quello della teologia. Del quale pili age- vole e sicuro mi torna il parlare, avendoci egli stesso lasciato memoria in alcuni fogli scritti tutti di suo pugno sì della cagione che spinselo ad abbracciarlo, e sì dell'ordine onde il condusse, a L'amore vivo, » egli scrive, fin dall' infanzia alle splendide e care » forme della religione divina mi fu occasione per- )> che io dirigessi i miei studi ad una cognizione )) più chiara e più profonda dei principii rivelati, e )) della liturgìa cattolica che, quasi veste di porpora » e di oro , la cinge e la presenta al mondo sen- » sibilo. Però io non aveva l' intenzione di uno stu- » dio scientifico , non volea divenir dotto né per )) poco né per molto, nel senso-rigoroso di questa » parola. Aveva soltanto il modesto desiderio di » pervenire e per le altrui ricerche, e per le mie V) meditazioni ad una cognizione più ragionata del » cristianesimo , onde fruire nelP intimo della mia 181 » anima della sua bellezza , e per cercare in esso )) quel vero , quel bene e quel bello , che invano » poco tempo innanzi aveva cercato nella filosofia » socratica e nella morale conforlable di Franklin. » Adunque meglio che da inlellettual desiderio fu mosso D. Giovanni ad applicarsi alla scienza arcana della religione da un potente bisogno del cuore; come chi preso alle celesti sembianze di sovrumana bellezza facciasi a sottilmente contemplarla, affinchè la più netta e precisa cognizione di lei diagli compiuto e perfetto l'amoroso godimento, che al primo scorgerla provò tumultuante e indistinto. Pertanto, a far paga questa sua brama, si die a cercare e meditare le ope- re de' principali scrittori ecclesiastici, la cui lettura in breve gli adornò la mente di notizie copiose ed opportune; cosicché nella giovanissima età di diciotlo anni, come apparisce da una sua lettera al cavaliere Giovanni Battista De Rossi, della cui virtuosa e dotta amicizia grandemente si pregiò, egli già dottamente discorreva intorno alle varie epoche del cristiane- simo ; e dal colore diverso dello stile, dove scorre- vole e trasparente, dove pili caldo e risentito, assai credibilmente indovinava la maggiore o minore an- tichità di alcuni scritti o incerti di tempo, o fal- samente attribuiti ad autore non loro, e di alcuni altri distinguea con molto acume i luoghi interpo- lati dai legittimi. E fin qui fu maestro a sé stesso. Abbattutosi quindi per sua grande ventura ad uno de' pili eminenti ingegni che onorino al presente le scienze sacre e profane, si pose sotto la disciplina di lui per avanzarsi a passi più celeri e franchi nel- r impreso cammino. « Fu, così egli prosegue nel sue- 182 » citato scritto , la relazione stretta col reverendo » in Cristo P. Carlo Passaglia, che risvegliò in me » r idea di acquistare una cognizione assolutamente » e propriamente scientifica del cristianesimo- Fu )) allora che dalla modesta posizione, in cui riguar- » dava me stesso di letterato cristiano, passai a con- » siderarmi come un giovane teologo, che fa il suo )) corso di dogmatica e di esegesi. Ma il P. Passa- )) glia, nel pormi avanti gli occhi questa nuova di- » rezione, mi pose ancora dinanzi i mezzi indispen- » sabili per pervenirvi, il primo mezzo era un corso » regolare e pubblico della scienza che ambiva di » possedere. Io ci-edo che ognuno che conosce i le- \/iLÒ*^Hn » gami di famiglia di un secondogenito di casa no- *-jr^^ ' » bile, ed i pregiudizi di una società che disprezza 'f "^ : )) la scienza , e particolarmente un certo ramo di ' . » scienza m una classe particolare di persone, ognu- '^ 1^1 » no, dico che conosce queste cose, non mi rim- '^S'^ » provererà se io non intervenni al pubblico corso. y ' » D'altronde credo di aver ben dimostrato la mia » buona volontà coli' assistere alla maggior parte )) delle lezioni teologiche dell'ultimo trimestre, quan- » do l'orario della mia famiglia mi lasciò libere le )) ore della scuola- V'era un supplemento al corso » pubblico, ed era la lettura di un corso stampato. )) Io aveva già per P innanzi percorso la maggior )) parte delle Praelecliones del P. Perrone , ed in. )) seguito non cessai di rileggere le parti \)m im- )) portanti di esse; ma qui bisogna che confessi la » prima mia debolezza. Non ebbi mai il coraggio » di leggere per intero lo splendido Opus tlieolo- » gicum di Petavio, e mi contentai di semplici con- 183 » sultazioni (3). Pei' opposto due studi parevano a » me graditi, 1' esegesi del nuovo testamento, e la » lettura cronologica de' padri. Accennerò in breve » i studi nell'uno e nell'altro campo. » Primieramente lessi piìi volte il Nuovo Te- » Slamento, studiando le proprietà del linguaggio, e » fermandomi ai passi più importanti. Mi applicai » in particolar modo al testo dogmatico dell' Epi- )) stola ai Filippesi, e per affinità col medesimo alla » dottrina del Logos ed alla Cristologia dell' Apo- )) calisse stessa (in Ebiard, Reitmayr, Hug, Majer » e Neander) e dell' Epistola agli Ebrei (nel Com- » mentario di Tholuck e in Reitmayr). Parlerò più » tardi della utilità che mi recarono, o che piut- » tosto non mi recarono le tre dissertazioni scritte » sul ristabilimento di un testo di S. Giovanni, sulla )) quistione dei fratelli del Signore, e sui testi in- » torno alla celebrazione delTa domenica. La man- )) canza fino agli ultimi mesi di una buona gram- » malica del Nuovo Testamento, m' impedì di acqui- )) stare una cognizione teoretica e regolare del dia- » letto nel quale è scritto , e mi contentai della )) cognizione pratica e delle poche informazioni » raccolte occasionalmente nelle interpretazioni di )) Schleusner nel suo dizionario. )) 1 primi passi fatti nella patrologia, e l'antico » amore alla liturgia cattolica fecer eh' io dal prin- )) cipio dividessi lo studio della tradizione ecclesia- » stica in due, l'uno della dottrina de' padri, l'altro )) degli antichi riti della chiesa latina. Nel primo » ramo studiai i padri apostolici , gli apologisti , » Tertulliano, Cipriano, Clemente d'Alessandria, Ip- 184 » polito , ed i frammenti publicali nelle Reliquiae » Sacrae del Routh. Lo studio di Tertulliano fu in- » completo per la parte dogmatica, e quello di Cle- )) mente d'Alessandria, per questa parte, assai poco » profondo. L 'amore alla liturgia, alla vita pratica » del cristianesimo , mi fece osservare piuttosto i » monumenti che questi scrittori ci presentano della » società morale cristiana, e trascurare alquanto la » parte speculativa dei medesimi- Però in quanto a • » Giustino studiai più accuratamente la dottrina del » Logos, e recentemente una lettura ripetuta ed at- » tenta del Timeo e di altri passi di Platone hanno y) presso a poca compito in me la nozione compa- » rativa della Trinità Platonica con quella de' padri. » La storia dello sviluppo del dogma Trinitario in )) Mòhler, in Keis, in Petavio ed in Bullo suppli- » rono in parte il mio difetto: e qui pure la Non- » Trinità (il nuovo sabellianismo) di Schleiermacher » furono come l'ombra al quadro, non ancora in- » tero, dello sviluppo della dottrina sull'essenza di- » vina. Ma però mi applicai in fine più particolar- » mente alla dottrina degli alessandrini. Studiai di )) nuovo i passi più importanti di Clemente, l'ana- )) lisi del sistema origeniano in Mòhler, e cercai i » punti di contatto fra la filosofìa alessandrina e » r alessandrina platonica leggendo in Tenneman )) ed in Bruker l'analisi del sistema di Plotino e di )) Proclo; e finalmente ricercai la congiunzione delle » due scuole tentata negli inni di Sinesio. « Ma l'altro ramo dello studio della tradizione » ocupò più specialmente il mio spirito, che man- » teneva la sua antica e naturale inclinazione allo 185 )) studio pili pratico che teorico del cristianesimo. » F'u questo lo studio deirordinamanto ecclesiastico » e della liturgia nei secoli antichi. Lessi quindi .)) con grande attenzione e ripetutamente il copioso » manuale di Rhein Wald, consultando ampiamente » nei luoghi piià notevoli Mamachi, Bingham, Mu- » ralori [Praef. in lilur. Rom. vet.), Alzoy, Doel- » linger, Neander [Gesch. d. dir. K. voi. I. part. 2- » voi. XI parte 2), Mabillon {in Ord- Rom-), le ca- )) techesi (liturgiche) di Cirillo , le più importanti » omelie liturgiche di Agostino e di Cesareo, e le » Costituzioni apostoliche. Molto mi occupai della » liturgìa dei secoli nono e decimo, e trassi gran- » dissimo profitto dall'opera maravigliosa di Lingard » sulla chiesa anglo-sassone , e dalla osservazione » pratica contemporanea dell'intatto monumento del- )) la liturgia del secolo undecimo che è preservalo » nel rito cartusiano. » Queste cose scriveva D. Giovanni nell'anno 1852, ventunesimo della età sua. Né certo ponno essere lette senza stupore da chiunque intenda le sublimi altezze della scienza teologica. A tenere e superare le quali, non che la foga di un giovane, appena è comunemente bastevole la lena di intelletti virili. Crescerà poi a dismisura questo stupore ove si con- sideri , come nel breve spazio di tre anni , quanti egli ne consumò in siffatti studi, una grande por- zione di tempo gli andasse nell'affrancarsi vieppiù nel greco e nel procurarsi la intelligenza dell' ebrai- co, dell' inglese e del tedesco, al fine sì di leggere ne' loro testi originali i libri santi e le opere di al- cuni padri, e sì di giovarsi o direttamente o indi- 186 rettamente dei coinmenti che sugli uni e sulle altre pubblicaionsi nell' Inghilterra e nella Germania. Or bene stupisca pure altri di tanta forza racchiusa in tenerissimo petto, s'ammiri pur altri di una giovi-, nezza per tanta copia di eccelsa dottrina invidiabile air istessa canizie; non per questo levcrassi in or- goglio D. Giovanni, ma anzi ripiegati in sé stesso gli occhi della mente vi troverà, in luogo della forza e dell'abbondanza, la debolezza e 1' ino[)ia. Cosi gi- gantesca ed immensa sta a lui dinanzi l' immagine del sodo e perfetto sapere ! «Così in tre anni, egli con - » chiude, non ho cessato di occuparmi. 11 cristia- )) nesimo è stato costantemente l'oggetto dei miei » studi. Ho diviso le mie ricerche fra la teologia )) sistematica, 1' esegesi, la patrologia , 1' antichità ì) sacra. Ho provato le mie forze: quale ne è stato » il risultato ? 11 mio ingegno non è atto a seguire » pazientemente la vasta tela di un corso teologico. » Son troppo meschino nelle cognizioni filologiche » per applicarmi con fruito all' esegesi. La man- )) canza di un insegnamento regolare dogmatico fa » sì che io non abbia una guida sicura nella patro- » logia, e soltanto le ricerche sulla disciplina e sulla » liturgia ecclesiastica provocano sempre da mìa )) parte, come in antico così adesso, uno studio fatto » con zelo, e dirò con entusiamo. I splendidi mo- » numenli e riti della Santa Chiesa di Roma, che )) risvegliarono in me fin da giovinetto 1' amore a » simili ricerche, son sempre per me il campo più )) gradito de' miei studi. Ma qui pure io non sono )) all'altezza di uno studio scientifico, e per me le » ricerche sui libri e sui monumenti non sono che 187 » un mezzo, eoi quale cerco di rivivere col cuoì-e » semplice e pio negli antichi secoli della Chiesa » per cercare conforto alla devozione. )) Io non sono adunque un ingegno scientifico. » 1 tre opuscoletti da me stampati , e l'argomen- » tazione, di cui ho già parlato, sono piccoli sforzi » di una ambizione allignala in una mente che non » aveva i mezzi per soddisfarla. È una vanità scu- » sabile, ma assai da evitarsi, il voler stampai-e cose, » ancorché piccolissime, pVima dell'eia matura. Ri- )) cordei'ò sempre a questo proposito una prescri- » zione che lessi quattro anni fa nel Talmud (Melch. » t. IV. e. patr. Gap. V. §. 2), che cioè l'uomo fino » ai trent'anni attendesse alle cose domestiche ed » alla lettura, per crescere poi da quel momento in » attività ed intelligenza. Il Logos divino , fattosi » uomo, si sottomise alla prescrizione dei savi della » nazione ebrea, e dai dodici ai trent'anni 1' Evan- » gelo non racconta un solo fatto o detto di lui. )) Lo studio piij semplice e jnodesto, che fu la » mia prima vocazione senza viste di erudizione fì- » lologica e teologica, senza ambizione scientifica, è » più adattato alla mia mente, e, quel ch'è più, nu- » trisce quel cristianesimo pratico, senza del quale )) il cristianesimo speculativo è la scienza che gonfi;), )) maledetta da Paolo (4). » Ho voluto recar qui per intero questo lungo scritto di D. Giovanni, come argomento irrepugna- bile della potenza del suo ingegno e della bontà del suo cuore. Vero è che dal lato della specula- zione, a voler stare alle sue parole , scarso frutto ei raccolse dagli studi sacri j ciò non ostante delle 188 Ire disseriazioni da lui ricordate, e troppo severa- mente giudicate, le due. Della quislione intorno ai pretesi fratelli del Signore, (5) e Della santificazione del giorno del Signore (6), (che della terza Sul rista- bilimento di un testo di S. Giovanni, non essendomi venuto fatto il poterla leggere , non posso dare giudizio) sono indizi bastevoli del suo valore nel- l'ermeneutica, nella esegesi e nella filologia, mas- simamente greca , cui ebbe pronta non pure alla interpretazione de' classici, ma altresì alla sposizione degli scrittori alessandrini, dove la lingua e lo stile, alterati dagl' influssi dell' oriente , riescono di più difficile intendimento. Scrisse ancora un' altra dis- sertazione Sulle condizioni religiose e civili de' giudei al tempo di Cristo, che lesse all' accademia di ar- chologia nel giugno del 1850. Lavoro assai vicino alla perfezione, ma che egli, sebbene sollecitatone più volte da dotti amici, non volle mai pubblicar con le stampe. Quanto troviamo scritto intorno a tale materia negli ultimi libri delle antichità di Giuseppe Flavio ed in parecchi trattati della Gemara, tutto è in esso con aggiustatezza compendiato : e le opi- nioni dell'Ugolino e del Calmet vengono giudizio- samente qua e là rincalzate dalla dichiarazione de' testi evangelici. Onde ben si può asserire, l'erudi- zione e la critica per modo accordarsi fra loro in questo scritto da renderlo, piuttosto che un insieme di sentenze probabili, una dimostrazione storica in- contrastabile- Ma il vero e più stimabil profitto, che D. Gio- vanni cavò dal dare opera a tali studi, fu, com'egli stesso ci attesta, quello appunto che ne aveva da 189 principio desideralo : cioè una più distinta cognizìon prr.tica del cristianesinìo , e quindi una nnaggior veemenza d'afìPetto in amarlo. D'onde sarà facile in- tendere quanta fosse in lui la riverenza ai divini misteri, e di quali virtiì andasse adorno il suo spi- rito. Tratto singolarmente al diletto che la Santa Chiesa co' suoi venerabili riti ne porge per la via de' sensi all'anima, bramoso accorreva il pio gio- vinetto alle sacre funzioni, e divotamente assisten- dovi ne osservava e notava con diligenza le augu- ste cerimonie, le quali poi tornatosi a casa faceasi a studiare, cercandone negli scrittori da ciò le ori - gini e le mistiche significazioni. Le quali altresì piaceasi di rintracciare per mezzo agli antichi mo- numenti cristiani. Il perchè usava recarsi quando in una chiesa e quando in altra per considerare a parte a parte tutto che fossevi di più degno di at- tenzione ; ne per alcun tempo i suoi passeggi eb- bero altro scopo che questo. E di ciò ne fan fede le sue moltissime memorie manoscritte, gran por- zione delle quali è di cosiffatta erudizione. Né colai vezzo dismettea pure viaggiando, come mostra un buon numero di lettere ch'egli nella slate del 1849 scrivea da. Napoli a certo suo amico, le più delle quali si ravvolgono nel dar conto delle chiese di colà e degli usi religiosi di quel popolo. Laonde argomentando taluni da simil foggia di vivere, tenean per fermo lui essere chiamato da Dio al sacerdozio. Tanto più che il vedeano riccamente fornito di quelle virtù, che sono richieste alla perfezione di tale stato ; e soprattutto di quella carità in cui, al dire di Paolo, tutte le altre virtù melton capo e si assommano. 190 Con la quale D. Giovanni abbracciando in Dio e per Dio il suo prossimo, in ogni cosa si sforzava di sov- venirlo. Coloro che da presso il praticarono asse- riscono, mai non aver udito da' suoi labbri motto, che riuscisse a sfregio di chicchessia ; e dove ad altri in sua presenza ne sfuggisse di bocca alcuno, essere slato pronto sempre a smentirlo, ingegnan- dosi, quando non potesse altrimenti , di attenuare con iscuse e dichiarazioni i falli altrui. Nel richie- dere di servigio i famigliasi tanto era cortese e be- nigno , che i suoi comandi sembravano preghiere ; ed incogliendo a quelli alcun sinistro, con grande sollecitudine si adoperava per consolarli , donando loro il danaro che s'avesse alle mani, ed esorlan- doli alla pazienza ed alla rassegnazione. Al qual uopo solea talvolta scriver loro affetluosissime lettere , alcuna delle quali a me stesso è accaduto di leg- gere non senza commovimento ed edificazione del- l'animo mio- Riandando così a parte a parte la vita di D. Gio- vanni, moltissimi suoi delti e f;Uti io potrei recare in mezzo traspiranti soavissima fragranza di carità; ma tra perchè se ne allungherebbe di soverchio il discorso, e perchè gli atti umani intanto sono vir- tuosi, in quanto prendon vita dall' inlime persuasioni del cuore; a dimostrare che la carità di D. Giovanni era cosa tutta cristiana, basterà eh' io qui trascriva alcune sentenze da lui dettale in proposito di que- sta virtù : le quali, convenendosi perfettamente in- sieme col suo operare, sono da avere senz'altro per una manifestazione del suo interiore sentire- « Nar- » rano (così egli scrive nella prefazione ad un suo 191 volgarizzamento delle lettere di s. Giovanni Apo- stolo) di lui (di s. Giovanni) che logoi'O dagli anni gravi , dai mariirii e dalle fatiche , per amore de' primi fedeli a lui cari per l'amorevolezze degli affetti e per la innocenza del costume, e i quali lo onoravano come padre e come maestro, si fa- cesse sovente condurre sulle braccia de' suoi in- trinseci nelle adunanze delle chiese, e là inter- rogato intorno la legge di Dio non rispondesse che queste sole pai-ole : Figlinoli miei, amatevi a vicenda. Sublimi e veramente divine parole ! . . . ^ Parole che io vorrei si leggessero sulle porte dei ' t grandi, dei potenti e dei ricchi, perchè vi cessasse -> la boria ed il lusso, che disprezza ed immiseri- ;^ ^ sce la povera plebe, perchè le ricchezze spartite ! ^ inegualmente dalla sorte fossero dalla carità dei privilegiati spese a illuminare la ignoranza, a soc- correre la sventura, a spargere la fede e la ci- , "" , viltà , a ricondurre tutti ad un vivere buono e ' < felice, perchè finisse l'oppressione di un cristiano sopra un cristiano e di un popolo sopra un pò- | «/ polo. Parole che io vorrei ripetute nelle aule dei ■ ^ sapienti, perchè cessate le vane contese, gli sforzi ' 'j^ della scienza si dirigessero solo all' acquisto del vero e del bene che illumina, benefica, consola ìq -^ \ e rigenera il popolo . . . Parole che dovrebbono | o ^ì» scriversi ... sui seggi dei magistrati e nelle sale ' r dei legislatori, perchè a tutti fossero guida la giu- ) stizia e l'amore, e . . . . cessate le licenziose ri- volture, tutti i cittadini facessero libero sacrifi- .'^ ciò delle sostanze e della vita al vero bene della patria loro. Sicché, ravvivata l'antica fiamma, la 192 )) società cristiana si riformasse e rigenerasse ad » esempio di quei primitivi nazzareni , che prega- » vano con fede ed operavano con amore fra le in- )) sidie della menzogna e le persecuzioni della ti- « rannide , e passavano lieti dalla preghiera e dal » convito fraterno ai tormenti ed alla morte. » Fin qui D. Giovanni- Or chi non vede in così alta su- blimità di pensieri, in tanta soprabbondanza d'affetti, dipinta la propi'ia effigie dell'animo di lui, tutto av- vampante d'amore pe' suoi simili ? E di un amore non doppio, non mercenario, quale potrebbe all'uom suggerire una scaltra filosofia ; ma schietto e gra- zioso, quale può solo suscitare ne' nostri petti la re- ligione cristiana. 11 perchè segno alle sue beneficenze furono mas- simamente i poverelli ignoranti, e tra questi i fan- ciulli; cioè in un ordine da se impotente a ripagarlo d'altro che di gratitudine, quella età che per natu- rale sconsideratezza ne è meno capaca. Primi per- tanto a sperimentare la carità del Torlonia furono i contadini del monte Mario , a' cui figlioletti egli nel 1846, toccato appena il suo quindicesimo anno, aperse presso la villa Mellini una scuola d'elemen- tare insegnamento quanto bastasse a formare di quei garzonelti buoni ed intelligenti coltivatori- Né già teneasi contento a fornir per intero del suo le spese a ciò ocqorrenti , ma ed era operosissimo nel ve- gliare di per se stesso alla esatta osservanza degli obblighi sì del maestro e sì degli scolari- Per la qual cosa portavasi di "frequente a visitare la scuola : e non isdegnando egli prole di duca di sedere a panca co' figliuoli del vignaiuolo e dell'operaio, ne inter- 193 mgava l'uno o l'altro intorno a' princìpii del cate- chisnfio , del leggere , dello scrivere e del conteg- giare, affin di conoscere il loro profitto. E per tal guisa tenendo ragione del merito di ciascheduno, sul terminare dell'anno in un dì stabilito, alla presenza di colti personaggi, donava in premio ai migliori , v€sli, strumenti villerecci ed altre simigliantl cose. Dai quali tutti esercizi non è a dire quanto van- taggio ritraessero que' fanciulli. Del che sommamente allegrandosi D. Giovanni, infocavasi ogni dì più nel desiderio di allargare ad altre contrade l'utilità del suo istituto. Ma innanzi di far ciò si pose in cuore di dare a quello maggior perfezione: ed a tal fine imprese nella state del 1850 un lungo viaggio pei* la Germania, dove abbondando più che in altri luo- ghi cosiffatte scuole , si fece a studiarne pratica- mente i vari metodi insegnativi, e raccogliendo da tutti quanto paressegli più acconcio e proficuo di- segnava arricchirne l'opera della sua carità. Se non che questa, lungi dal procedere in meglio ed allar- garsi, secondo che egli avea desiderato, quali che si fossero gli ostacoli che la impedissero, in breve del tutto cessò; certo con grave sconcio della intera città , al cui morale e materiale ben essere come non può non tornare vantaggiosissima una sufficiente coltura de' lavoratori delle terre , così è dannosis- sima la loro grossa ignoranza. Ma torniam di nuovo agli studi di D. Giovanni. Il cui valore nella filosofia razionale ne viene abbastanza indicato da parecchi suoi lavori inediti, e da uno stampato che ha per titolo Teoria del- Vamore (7) : scrìtterello che in poche pagine tutte G.A.T.CLXI. 13 194 reca in succinto ed esamina le sentenze, che sopra questa suprema cagione dell'universale armonia det- tarono la sapienza indiana, la grecoromana e la cri- stiana, per indi dedurre l'esistenza di un primo ed eterno amore, dal quale tutti gli altri fontalmente derivano, ed intorno al quale i medesimi, quasi astri dal sole illuminati ed attratti, con perpetuo giro si ravvolgono. Della fisica pure e della chimica ebbe sufficiente notizia; che oltre all'averne ascoltato per un anno le lezioni in questo archiginnasio romano, tolse a compendiare per suo uso i manuali del Pou- illet e del Regnault, e buona parte delle opere del Chimenti, del Purgotti e del Payen. • Né la severità della scienza il rese straniero alla gentilezza delle arti. Ed in quelle del disegno sentì tanto addentro, che potè lodevolmente filosofarne in uno scritto intorno al sublime nel concetto delle tre massime opere di Michelangelo, che fé pubblicar per le stampe in Lipsia l'anno 1850. Dilettossi oltremodo nella lettura de' poeti , e principalmente in quella dell'Alighieri, del Tasso e del Leopardi. De' quali due ultimi volle altresì onorare pubblicamente la memo- ria: e del Leopardi annotò e mise a stampa quat- tro lettere inedite (8): e del nostro grandissimo epico fece sì che noi ad ogni anno potessimo rimemorare le indegne sventure nella sua propria cella di s. Ono- frio, la quale per lungo tempo dimentica e sol da poco in qua riconoscibile ad una iscrizione che la pietà d'un monaco v'appose, fu nel 1848 per le cure di D. Giovanni restituita alla dignità di un monu- mento; ed al presente, ricomposta nel suo vecchio addobbo e raccoltivi quei pochi ed umili arnesi che 195 ne erano la povera suppellettile mentre che il grande ed infelice ospite v'abitò, è dato ogni anno di vi- sitarla a cui piaccia il giorno 25 d'aprile anniver- sario della sua morte- E perchè di questa, come di scena principale compiutasi fra quelle mura , non mancasse ivi ricordanza viva a perenne, il giovane Torlonia ottenne dal suo padre D. Marino che do- nasse al luogo quel quadro, che ora l'adorna, rappre- sentante Torquato che disteso sul suo lettuccio , circondato da' monaci suoi pregan tigli pace, e com- pianto da Cinzio Aldobrandini cardinale e da altri illustri personaggi , rende 1' anima a Dio- Inscritte sulle pareti della cella e del corridoio che ad essa conduce hannovi parecchie sentenze dirette a risve- gliare in chi entra affetti pii e generosi , secondo che la dignità del luogo richiede ; le quali dettate da D. Giovanni non pure ci rilevano i nobili sensi ond'egli fu guidato a compiere la bella impresa di cui discorriamo, ma sono altresì, come dire, il con- tinuo e permanente suono della sua voce che inces- santemente ne invita a compatire gl'infortuni e a venerare le virtù del cantor di Goffredo (9]- 11 genio per le arti gentili, cioè la propensione dell' i-ntelletlo a vagheggiare le forme del bello, co- me accusa in noi squisitezza di senso, così alla no- stra facoltà amorosa porge occasione di spiegamento e d'azione. Conciossiachè questo abbia di proprio la bellezza, ch'altri non può contemplarla senza sen- tirsi tiatto di forza ad accostarsele. Per la qual cosa in D. Giovanni, affezionatissimo a queste care e di- vine arti, dovea di necessità soprabbondare la po- tenza dell'amore- Né intorno a ciò m'è bisogno di 196 spendere lunghe parole; moltissimi essendo gli amici di lui , i quali possono testificare della intensità e della costanza del suo affetto. Lo che s' intenderà eziandio da questo, che lasciandosi egli tirare alle amistà dai soli allettamenti della virtù, il perseve- rare in quelle era un permanente effetto della in- variabilità di questa , !a quale sempre egualmente ammirevole, egualmente amabile, tosto che un ani-- mo benfatto le si avvicini, con saldissimi vincoli a sé legalo e ritiene. E poiché la virtiì non é privi- legio esclusivo di uno speciale ordino di persone, ma sì è qualità asseguibile ad ogn' uomo ; il Torlonia, la scorgesse in chicchesifosse, correa di tratto ad ap- pressarla: ed in modo fu lontanissimo da quella matta burbanza di tanti suoi pari, i quali, non che la con- versazione, fuggono pur anco il saluto di chiunque non sia titolato, o non rechi nastro in sul petto; che le più salde e gradite amicizie ci le contrasse con cittadini di mezzana condizione stimabili per in- gegno e sapere. Con questi solca trapassare buona parte del giorno in dotti ragionamenti: e la giocon- da lor compagnia scusavalo appieno di tutti quegli spassi, pe* quali la nobile gioventù suol correre bra- mosa in sulle veglie ed ai teatri. Prontissimo a fa- vorirli in ogni cosa che potesse, così il facea, che maggior contento sembrava prendere egli nel con- ferir loro i benefici, che non essi nel riceverli. Ma di cotali sue piacevolezze e cortesie, essendo elle a notizia di tutti, non occorre parlare più a lungo: ed io liberamente abbandono l'affettuoso tema a chi per propria esperienza potè misurare la capacità di quel gran cuore. La quale ognor più con gli anni 197 allargandosi, addusselo assai per tempo a desiderare quello stato di perpetua e couipiuta amistà che nel matrimonio apparecchiò all'uomo la natura, e la re- ligione santificò. E qui del ricordare le nozze di lui con Donna Francesca de' principi Ruspoli, avvenute il 21 febbraio 1851 , molto volentieri mi passerei per non offendere con la memoria di una svanita allegrezza il presente dolore di tanto bellissima e virtuosissima signora: ma come tacerne senza fro- dare ad un tempo D. Giovanni della debita lode di marito e di padre ? Lode sopra ogni altra eslinia- bile,conciossiachè mostri Tuomo commendevole nelle sue azioni, cioè ammaestrato nella scienza pratica del vivere, la quale vince di lunga mano in eccel- lenza qualunque piiì sublime speculazione. Ma le amorevoli cure in verso la gentile com- pagna o le assidue premure nel bene educare la fan- ciullezza del suo vezzosissimo unigenito dementino non le impediron dal seguitare i suoi diletti studi. E se non che indi a non molto una fiera ed ostinata infiammazion d'occhi, resagli impossibile ogni appli- cazione sui libri, il costrinse ad un ozio ingiatissimo (che egli non pure sostenne con cristiana pazienza, ma anzi dicea riconoscerlo come un dono della prov- videnza, la quale impedendolo così da novelli studi davagli agio di perfezionarsi ne' già fatti col mezzo del- la meditazione); certo da alcuno insigne monumento del suo più maturo ingegno potremmo noi ora ar- gomentare il valore di lui nelle scienze e nella eru- dizione. Tuttavia non è a pensare si rintuzzasse per questo in esso la brama dell'apparare, che anzi a- guzzossi davvantaggio ; secondo che è natura degli umani appetiti ingagliardire in mezzo ai contrasti- 198 E per nppagarlfi prese a supplire al difetto de' pro- pri occhi col farsi leggere da altri le opere che gli bisognasse consultare. Ma gli studi, in cui da indi in poi principalmente si esercitò, furono quelli della eloquenza. Ai quali poco avea atteso per lo passato : che sebbene avesse lungamente letto e meditato i classici scrittori an- tichi e recenti, pure perduto a rintracciare in essi notizie e fatti, piuttosto che a far tesoro di bellezze e di eleganze , non si era mai dato gran cura di fare ritratto , scrivendo , dallo stile e dalla lingua loro. Che se da ultimo rivoltosi alla difiQcirarte, non giunse a tenerne la perfezione, niun saggio e di- screto uomo ne dovià maravigliare, il quale ponga mente al troppo breve tempo che D. Giovanni ebbe da percorrere l'immenso e faticoso cammino, per cui arrivasi al grado dì eccellente scrittore. Del resto chiunque tolga ad esaminare le tre piccole raccolte di poesie eh' egli venne pubblicando dal 1853 al 1858 (10), dovrà di leggieri avvedersi del progres- sivo perfezionamento che in lui andavano a mano a mano acquistando la facoltà dell'inventare e l'at- titudine al bello scrivere. In proposito di che non sarà qui inutile il chiosare alcun poco quella stra- vagante lode data non ha guari a D. Giovanni in un giornale straniero (11), che cioè egli ienlasse di rinfrescare da tedesche sorgenti la poesia italiana. Non negherò io già che da principio il Torlonia in pa- role ed in fatti si mostrasse forte invaghito delle fan- tasie de' poeti tedeschi, indottovi forse da una spe- cie di riverenza ch'egli sentia in verso una nazione cotanto benemerita di quegli studi critici ed eru- 199 diti, ai quali fino allora egli avea atteso : essendo naturale disposizione dell'animo nostro argomentare perfezioni, e fabbricarsi iu mente degli obbietti amati altrettanti idoli per ogni lato inarrivabili- Ma che per questo ? Ne lo dovrò io lodare? Certo noi farei mai quand'anco dovesse da ciò riuscire non bello il ri- tratto che vò facendo di lui. Ma non sono a tal caso: imperocché riguardando agli estremi passi, cioè ai più franchi e più giusti, che egli pose nel sen- tiero delle lettere, io il veggo, manifestamente pen- tito di cosiffatto suo fuorviare , riprender nel bel mezzo il retto e sicuro cammino- Di fatti come al- trimenti spiegare il caro diletto che a mezzo l'an- no 1856 sperimentò il Torlonia all'udire il canto di Giovanni Battista Maccari, e l'invogliarsi di far conoscere al mondo, pubblicandoli a sue spese, i versi di così gentile ed elegante poeta (12) ? Oh ! vorrà forse altri persuaderci che anco il Maccari tentasse di rinfrescare da tedesche sorgenti la poesia italiana^ e che perciò i suoi carmi sonassero graditi e mera- vigliosi a D. Giovanni ? Per fermo che desterebbe le risa di tutti chi s'appigliasse a così disperato par- tilo, come chi pretendesse provarci le greche muse essere nove silfidi. Apollo un folletto, fantasmago- ria la divina commedia di Dante, la lira del Pe- trarca un violone cupo ed assordante. Né meno ac- concia allo stesso proposito torna la Strenna pel nuovo anno che a cura di D. Giovanni vide la luce in Firenze sul cominciare del 1858. Avvegnaché in essa sleno raccolte insieme parecchie poesie di gu- sto assai squisito e schiettamente italiane. Le quali valgono altresì a convincere di falsità quel!' ardilo 200 motto, onde lo scrittore tedesco, di cui ragioniamo', ci fa sapere non essere il snolo di Roma favorevole alla vita dello spirilo (13). Imperocché se la vita dello spirito in niuna cosa meglio si manifesta che nella poesia, converrà pur dire che Roma, la quale ha dimostrato col fatto di questa Strenna di non mancare d' ingegni veramente poetici, non sia poi quell'albergo di mummie aride e stecchite che egli vonebbe far credeie al mondo. Ma checchessia di ciò, rifiuterò io senz'altro, per le addotte ragioni, a nome del Torlonia, la datagli lode d'essersi cioè stu- diato d'afforastierare lo schietto e natio gusto delle patrie lettere: lode, chi ben guarda, assai ingiuriosa al senno di un italiano. Tu certo non loderesti un ricco signore, il quale trovandosi di possedere oro e gemme in casa sua, uscisse in tiaccia di grezzi diamanti e di metalli men puri; e vorrai e potrai lodare^n nazionale di Dante, di Petrarca, di Ariosto che vada ad imparar poesia da Goethe e da Lenau ? Or che cos'altio è poesia se non imitazione della bella natura?E questa dove più bella che in Italia? dove più orrida e morta che sotto l'ombra perpetua dell'Ercinia, e su pe' borni nevosi delle retiche alpi ? Ma di ciò sia detto abbastanza. Che se tuttavia altri si ostinasse a voler mantenere a D. Giovanni il falso onore attribui- togli nel sopra ricordato giornalaio dirò a costui : To- gli, apri e leggi ; è questo l'ullimo lavoro di lui» il di- scorso intorno alla vita di Francesco Orioli (14): non è poesia, è prosa, ma non però diversamente da quella soggetta alle leggi del bello ; trovami in esso, se vali, locuzione od immagine che accusi in chi lo scrisse gusto men che italiano- Non li verrà fatto: così ne 201 precede il dettato schietto, puro, riflessivo, Ionia" nissimo da ogni stranezza. Per le quali tutte cose parmi non potersi punto richiamare in dubbio, che 1). Giovanni a mano a mano che si venne avan- zando negli studi dell' eloquenza si raccostasse al gusto verace de' classici, e conseguentemente desse fermissima speranza di riuscire elegante scrittore. Ma ahi ! inutile speranza, sa nel suo più bel verde venne in un tratto a inaridire ! Era tornato di fresco il caro giovinetto in seno alla sua famiglia da un non lungo, ma faticoso viag- gio su per l'Apennino che separa l'Abbruzzo dalla Marca d'Ancona, dove avealo condotto il desiderio di esercitarsi, scegliendo erbe, negli studi botanici che da alcun tempo avea preso a fare ; quando il dì 25 ottobre dello scorso anno fu colto improv- visamente da fierissima febbre che in breve il ri- dusse a caso di morte- Non appena si divulgò la triste novella, ben si conobbe quanta cara e pre- ziosa vita fosse in pericolo. Piena la casa di con- giunti e di amtci,. continuamente assediata la porta del palagio da genti ansiose, tra le quali molti che mai non aveano udito la voce dell'infermo, taluni né men vistone il volto, e pure perchè il sapeano buono e virtuoso l'amavano , e tutti in fretta accorreano a chiedere di lui , e poscia mesti e silenziosi se ne tornavano indietro. Ma D. Giovanni frattanto, presi i divini misteri, con sicurissima faccia attendeva la sua fine. « Come il cervo desideia le fontane di ac- » qua, così te desidera, o Dio, l'anima mia (15)- » Perocché tua è. Signore, questa vita, io a te vo- » lenlieri la rendo. Ti manifesta, o Dio, non più 202 )) tardare, ti manifesta all'anima mia, che in te sem- » pre quietò ogni sno pensiero. » Con queste ad al- tre simigliami affettuosìssime aspirazioni venia egli affrettando il suo estremo respiro. A chi cercasse lusingarlo con speranza di guarigione: No, rispon- dea, io son presto di morire per ricongiungermi al mio Dio , verso cui l'anima mia sente slanciarsi. Poi rivolto ai genitori ed alla sua donna, che tri- sti, ma senza pianto, gli vegliavano attorno: Di quanto conforto, dicea loro, m' è il vedervi così virtuosa- mente rassegnati alla volontà di Dio, che ora su me si manifesta ; bene voi vi mostrate cristiani, i ' quali vedete nella morte, non il fine, ma sì il prin- cipio della vera vita; e io di ciò vi rivgrazio ; tra poco mi dipartirò da voi, ma non cosi che meco non rechi la dolce memoria di voi e del vostro amore, la quale mi sia ognora di sprone a pregare su voi le divine benedizioni. E poco appresso : Vi ricorda, o cari, com'io ne' miei scritti togliea sem- pre occasione di parlare delle cose celesti ? Ed io il facea per isfogo dell'interna dolcezza che beavami in quelli pensieri. Deh ! che sarà fra non molto quando contemplerò a faccia a faccia il mio Dio nell'immensa sua gloria, e godrommi la compagnia di Maria, degli angeli e de' santi ! E nell'esprimere questi ed attrettali sentimenti , temendo forse non alcuno scandalezzasse come d' indizio di soverchia • fidanza, soggiungea: Così a tanto mi vagliano i me- riti di Cristo nostro signore- Tenerissimi poi fu- rono i modi con che scusossi a tutti coloro , che gli prestavano assistenza nel male, e massimamente al suo fedel cameriere Raimondo Coccioletti , cui 203 pregò di un bacio : In segno, che tu m'abhi per- donato di qualunque atto o motto ond'io t'avessi mai involontariamente offeso. Anco dimandava spesso di rivedere l'uno o Tallio de' suoi amici , e avutili e baciatili affettuosissimamente , giurava loro perpe- tuo amore. E a Fabio Nannareli, che sopra tutti ebbe carissimo, lasciava in dono una divota effigie del Salvatore : Perchè, disse, come io alla vista di lei poetando m'infervorava, così il mio Fabio tragga da essa nei suoi versi caldezza di supernali affetti. Ma le maggiori sollecitudini in quegli istanti erano pel suo pargoletto dementino. Vezzosissima crea- tura, che egli con grande amore era venuto cre- scendo alla pietà ed alla costumatezza, e il cui do- cile e pronto ingegno aveagli fatto già anticipata- mente gustare la gioia di quel tempo quando sa- nasi udito salutare fortunato genitore di un vir- tuoso e dabben cittadino ornato di begli studi e di ogni maggior gentilezza, alla patria non meno che alla famiglia utile e glorioso. E certo dal vederlo noi già questo carissimo fanciullino in tanta pic- cioletta età così bene ammodato negli esterni mo- vimenti del corpo, ordinato ne' pensieri, assennato nelle azioni, facile ne è l'indovinare come esso col procedere negli anni, maturatoglisi il giudizio, sa- rebbe ogni dì meglio venuto rispondendo alle pa- terne cure del suo educatore. Il quale, poiché l'a- mava di verace amore, cioè non per isfogo di na- turale affetto, ma per desiderio che sentìa del suo maggior bene, aveasi già posto in cuore, pervenuto che quegli fosse agli anni da ciò, di mandarlo lungi da sé in alcun collegio militare , dove per molto libero e lieto esercizio crescesse sano e robusto della persona. Saviamente avvisando che , come i sensi «sono all'animo strumenti per le sue operazioni, così, a voler che queste riescano agevoli e compiute, è necessario far quelli saldi ed aitanti. E così fermo gli sedeva in mente (questo pensiero, che nell'uscire del mondo non dimenticò di consegnarlo alla sua diletta compagna perchè il custodisse ed a suo tempo recasselo ad effetto. Cosiffatti erano in quegli estremi i pensieri, le parole, gli affetti del nostro infermo interrotti a quando a quando da fìerissimi paros- sismi, che al periodico montar della febbre di na- tura convulsiva alienandolo in tutto da' sensi il cac- ciavano in terribile farnetico. Ma al sopravvenire del dì 9 novembre, sentendo crescere l'impeto del male, pregò i genitori e la moglie che da lui s'al- lontanassero, forse per anticipare a Dio col volon- tario abbandono di così amabili obietti quel sagri-' fìcio, a cui tra non molto avrebbelo sforzato la mor- te. Dopo di che sopraggiunto da un lungo e sma- nioso delirio, in ultimo riacquistata alcun poco la conoscenza mentale, stringendosi al petto e baciando il crocifìsso, fra le preghiere e le lagrime degli a- stanti sull'ora terza pomeridiana rendè l'anima a Dio. Tale fu la fine di D. Giovanni Torlonia nato in Roma da D. Marino duca di Bracciano e da Donna Anna duchessa Sforma Cesarini il 22 febbraio 1831, La cui vita preghiamo che prendano a considerare massimamente i nobili giovanetti ; e se in essa non / troveranno lodato D. Giovanni nò per maestria di ^ infrenare generosi destrieri, né per grazioso atteg- 205 giare della persona alla danza; ne per altre somi- glianti valentie; ma piuttosto il vedranno esallato per r immenso ardore, onde insin da fanciullo si diede a battere il cammino della virtiì e degli stu- di ; si svoglino una volta di quelle vane ed inglo- riose occupazioni, fra cui tanti lor pari vanno di- sutilmente menando la giovinezza: e invece, memori che la nobiltà e le ricchezze, non che dare all'uomo ragione ad un vivere scioperato ed ozioso, anzi viep- più l'obbligano a faticarsi pel comun bene, si rivol- gano all' acquisto della vera sapienza. Della quale se accadrà mai ch'essi adornino i loro petti, allora avrà luogo fra i minuti cittadini ed i sommi quella perfetta armonìa che è principale fondamento al ben essere degli stati, alla pace delle nazioni. Concios- siachè la potenza de' titoli e dell'oro ben possa sfor- zare le plebi ad una vana eslerior reverenza , ma gnadagnarsene stabilmente l'affetto sia dato solo al- l'autorità della virtiì e del sapere. Muoiono tuttodì nobili e ricchi signori: ma non tuttodì è che le in- tere città prendano dolore della costoro morte co- me di pubblico danno, né tuttodì veggiam noi ac- compagnare al sepolcro le loro spoglie moltitudine di cittadini col pianto sugli occhi , né alle divote turbe accorse a pregar pace su quelle i grandi tem- pli tornare angusti- Segni tutti di popolare pietà, onde noi vedemmo pubblicamente compianta la fine di D. Giovanni Torlonia, come di colui in che Roma sentì mancarsi, meglio che un giovane per nascita e per fortuna rispettabile, un carissimo ornamento de' begli studi, un ammirabile esempio di virtù re- ligiose e cittadine. 20G NOTE (1) Fra le molte antiche iscrizioni copiate da D. Gio- vanni, ricorderò le 39 tuttavia inedite risguardanti la fami- glia Volusia (trovate già dal sig. G. B. Guidi nella vigna Moli- nari sulla via Appia ) da lui raccolte con molta diligenza in un piccolo t'ascicoletto, che il eh. comm. P. E. Visconti con- serva iinitamemente a parecchie sue lettere, dalle quali, con- sentendomelo la gentilezza del lor possessore, ho tratto in parte queste notizie intorno agli studi archeologici del me- desimo D. Giovanni. (2) L'una nel giugno 18S0 Sulle condizioni religiose e civili de' giudei al tempo di Cristo: VaUva nel novembre 1857 Intorno alla vita di Francesco Orioli; de' quali due lavori di- scorro in appresso. (3) « Il primo libro che il P. Passaglia mi dette per leg- » gere fu \& Storia dei dogmi di Klee, il quale mi dette cer- iti tamente l'idea sommaria della domniatica e del suo svilup- " pò. / principii del vero senso teologico e la nozione delle » principali formole , le Commentationes theologicae del P. M Passaglia , e le sue lezioni dal 19 maggio al 12 luglio , e » dal 26 luglio al 28 agosto ; la lettura dell' introduzione e » del libro primo, del libro primo e secondo De Incarnatione » dell' Opus theologiciun di Pelavio, e delle principali opere » di S. Cirillo, Teodoreto e Nestorio {3Iarii Mercatoris ope^ » ra, edid. Garnier. Cirilli opera selecta] mi dettero una co- » gnizione più lucida e distinta e della teologia in genere, » e del dogma dell'Incarnazione, e del sacrificio di Cristo in » specie. Esaminerò più tardi se fosse utile per me l'onore » che ebbi (di cui, come allora, così adesso realmente mi di- » dichiaro immeritevole) di argomentare in pubblico, sebbene » in adunanza assai modesta, contro le principali tesi di que- » sii dogmi. Negli anni seguenti lessi e studiai più partico- » larmente De ecclesia, De cultu sanctorum, De sacrificio M missae. Infine la lettura del Nondogmatica di Pareau fu » come r ombra che compì questo quadro un po' imperfetto » del mio corso teologico; e le più belle fra le disputazioni » del cardinale Desperon, ed alcune poche di Bellarmino, vanno » supplendo adesso alla mancanza degli anni scorsi ». 207 (4) « Gli uomini tengono spesso le idee siiperbamenle , » quasi come trofei delle vittorie che hanno riportato nelle » analisi di esse, e la ragione così s' innalza sopra le idee , » mentre essa non è altro che lo spirito che pensa le idee. » L' Io diviene così il centro del mondo intellettuale, e la fede, » tuttoché si conservi nel fondo di un' anima religiosa, è scossa » nel suo principio. Spesso accade che la verità si considera « in ordine al subbietto e non all'oggetto, e la scienza pre- ce giudica spesso alla pietà. ( Memorie N. 63 Mariazell 24 » Ap. 1830.) » (5) Eslratte dagli Annali delle scienze religiose. (6i Roma tipografia Bertinelli- senz'anno. (7) Firenze Le Monner- senz'anno. (8) Quattro letter,e inedite di Giacomo Leopardi che ser- vono di compimento alle sue opere- Roma presso Alessandro Natali 1847. (9) Veggasi intorno a ciò l'opusculo : Nel ripristinamento della cella di Torquato Tasso elogio funebre letto da Tom- maso Borgogno C. R. S. nella chiesa di S. Onofrio di Ro- ma, ed iscrizioni di Giovanili Torlonia 1848. (10) Sono le seguenti: Poesie di Giovanni Torlonia, Roma stabilimento tipografico di G. A. Bertinelli 1833. Poesie di Gio- vanni Torlonia, Firenze coi tipi di Felice Le Mounier 183C. Ricordo agli amici pel capo d'anno del 1838 , versi di Gio- vanni Torlonia, Firenze 1838. (11) Gazzetta universale di Augusta 2 dicembre 1838. Appendice straordinaria. (12) Poesie di Giambattista Maccari. Firenze coi tipi di Felice Le Mounier 1836. (13) Nel luogo citalo. (14) Discorso critico intorno alla vita di Francesco Orioli, estratto ùdW Archimo storico italiano, nuova serie T. VII 1838. (15) Di questa cara immagine, che D. Giovanni ne' suoi estremi andava spesso ripetendo con le parole del salmo 41, molto acconciamente il cav. G.B. De Rossi si é piaciuto abbel- lire l'iscrizion sepolcrale che del suo amico ha dettalo. Della quale, sebbene fra non molto verrà collocata alla pubblica vi- sta nella bellissima e ricchissima cappella dell'eccellentissima casa Torlonia in S. Giovanni in Laterano, diamo qui lin da ora contezza al leltore come di cosa assai rara per afletlo e per eleganza. Essa é la seguente : 208 niC . DORMII . IN ■^. lOANNES . MARINI . F . TORLONIA QVI . AB . ADOLESCENTIA INGENIO . ET . DOCTRINA AETATEM . SVPERGRESSVS DVM . OMNIS . LITTEBATYRAE OMNIS . VIRTVTIS . LAVDE . FLOREBAT nAPTVS . EST . SVIS . AMICIS . CIVIBVS IV . NON . NOV . AN . MDCCCLVIH VIXIT . ANNOS . XXVII . TANTVM MARINVS . ET . ANNA . PARENTES FRANCISCA . VXOR . CLEMENTILLVS . FIL. DOLORE . ATTONITI . M . P. VALE . FILI . VALE . CONIVX . VALE . PATER VIVE . DVLCIS . NOBIS . VIVE . IN . DEO QVEM . TE . AD . SE . VOCANTEM VELVT . CERVVS . FONTEM . APPETISTI AT . NOSTRI . MEMOB . VIVE IN . PACE . IN . PACE. I 209 Memoria deir Ingegnere Davide Bocci intorno la curva di equilibrio delle arcale dei ponti. i.N. elio studio intorno l'equilibrio degli archi e delle cupole allorché si è voluto determinare la curva di equilibrio, si sono fatte delle ipotesi per nulla con- formi al vero, e si è tralascialo di considerare (*) per semplicità di calcolo la resistenza dei materiali ed il loro peso specifico: elementi che non possono non influire sul risultato finale. Quando all'opposto la ricerca si è voluta avvicinare alla realtà, portan- dola alla considerazione degli archi di grossezza finita e introducendo gli elementi suindicati, si è del tutto cangiato lo scopo della medesima. Non ne è stata più la ricerca della curva di equilibrio summenzio- nata; ma invece, predeterminata la linea d'intradosso, si sono ricercate le condizioni necessarie e sufficienti onde le diverse parti degli archi, e le spalle dei me- desimi si facciano equilibrio vicendevolmente. Ed an- che qui indipendentemente dalla resistenza allo schiac- ciamento dei materiali, (**), al cui difetto gl'Inge- gneri nella pratica suppliscono prendendo norma dai ponti che da niolto tempo si trovano costruiti con felice risultato (Arch. Statica del prof. Cavalieri V. II. ° (*) Venturoli, Meccanica. V. I cap. VI. (**) Idem. cap. IX e seguenti. (..A. T. Ci.Xl. U 210 cap. XI). Tutti conoscono che pel buon esito della costruzione di un nuovo ponte , questo espediente non presenta tutte quelle garanzie, che si richiedono specialmente quando trattasi di grandi lavori. Non tutti i casi si rassomigliano , e le svariatissime e nuove circostanze, che sogliono accompagnare cia- scun lavoro in particolare, non permettono di trarre delle conseguenze per semplice analogia. Che se que- sta regge per ottenere un lavoro stabile e duratu- ro, difficilmente poi conduce ad un lavoro econo- mico. 2.° )> Les travaux des ingénieurs et de géomètres sur la theorie de l'équilibre des voùtes ont princi- palement pour objet, depuis Coulomb, l'èxamen de la stabilite des voùtes construites ou projetées. Mal- gré le savantes recherches auxquelles ils se sont li- vrés, les solutions proposées sont encore loin de sa- tisfere aux exigences de l'art de l'ingenieur : elles n'offrent a celui-ci que des moyens peu directes et assez incertains pour modifìer les constructions a r état de projet , dont elles ont fait connaìtre le défaut plus ou moins prononcé de stabilite, et le plus souvent ce n'est qu' après une suite de tàton- nements qu'on parvient a satisfaire aux conditions d'equilibro indiqueés par les melhodes en usage. » Les Solutions dont nous parlons seraint donc principalement utiles dans le cas où les èléments de la construction auraint été rìxés d'une manière irrévo- cable; elles serviraient à faire connaìtre si le projet doit étre admis ou rejetè. Mais aussitót que l'on con- sent à porter quelques modifications dans la cour- 211 bure, soit de l'intrados, soit de l'extrados, ou dans les épaisseurs de voussoirs, on peut envisager la que- stion sous un autre poìnl de vue, et se proposer de déterminer complotement la forme de la voùte, de tei sorte qu' il en resuite une construction jouissant de la plus grande stabilite possible, et assujettie d'ailleurs à de conditions particulières qui sont relalives aux di- mensions de 1' arche en largeur et hauteur , a la charge qui doit s'elever au-dessus du pian horizon- tal tengent a l'extrados et à la resistance des malé- riaux employès. Le probléme ainsi pose est celui qui se présente ordinairement dans la pratique. » Tali sono le parole con cui Ivon Villarceu principia la sua dotta Memoria presentata non ha guari all'ac- cademia delle scienze di Paiigi « Sur l'établissement des arches de pont envisagé au point de vue de la plus grande stabilite ». Il lavoro è veramente com- pleto e soddisfa qualunque esigenza della pratica. Nondimeno le calcolazioni alquanto lunghe, le inte- grazioni per funzioni ellittiche, dubito fortemente che non sieno degli ostacoli potenti per la diffusione di una simile opera, la cognizione della quale oggi può dirsi indispensabile ai costruttori dei grandi ponti. E però non sarà da biasimarsi quegli, che si pro- pone la risoluzione dello stesso problema, importan- tissimo, servendosi di calcoli più semplici alla por- tata di tutti- Ben inteso, che le ipotesi e gli espe- dienti, di cui si fa uso a tale scopo, non conducano a risultati erronei o poco approssimativi. Io di que- sto tentativo mi propongo di dare un saggio. 3.° Nella fig. (1) si vede delineata una spalla e 212 porzione dell'arcata di un ponte costituito da tratti rettilinei rappresentanti altrettanti cunei, i quali sup ■ porremo solo a contatto per la linea dei rispettivi centri di gravità. Quanto più sono stretti questi cunei, tanto pili avremo risultati esatti, e potremo prendere per linea dei centri (detta anche la curva di equilibrio) la mediana fra la linea d'intradosso e la linea di estra- dosso. Le Z, Z', Z".... Z" rappresentino in direzione ed intensità le risultanti rispettive del peso dei cunei e della sopraccarica applicata agli angoli o ai punti di contatto dei cunei medesimi. Gli angoli poi che le suddette forze fanno a sinistra ed a destra colla curva mediana siano indicati con e, e,' e,"... e" ; e con r, r', r",... r". Le componenti delle Z, Z,' Z,".... se- condo la suddetta curva sieno indicate come si vede in figura per P, P', P",... P% e per Q, Q', Q",... Q". Le distanze orizzontali reciproche dei vertici del sud- detto poligono siano, incominciando dalla sommità del medesimo, indicate per x, x\ x", x"'y... x"~^; e le verticali, dalla linea orizzontale tangente alla no- minata curva sieno rispettivamente y, y', y" y", supponendo l'origine delle coordinate x y a\ vertice della curva di equilibrio; le prime orizzontali, e le seconde verticali. Finalmente M indichi il peso del piedritto e spalle del ponte, D la distanza dello spi- golo esterno della spalla dalla verticale che passa pel centro di gravità della medesima; d la distanza dello stesso spigolo dalla verticale a, che passa pel punto in cui la curva mediana incontra il piano del pulvinare. Ciò premesso, passo alle seguenti calco- lazioni il più brevemente che mi sia possibile. 213 L'equazioni di condizione onde il sistema poli, gonale sia in equilibrio, sono P = Q' P' =Q" p" =q:" d'onde Zsene sen'2e Z'sene' sen(e'-f-r') _Z'senr' __ Z"sene" sen(e'-4-r') sen|e"-Hr") _^"sen»;^ Z^'sene'" sen(e"-+-r"y ~ sèn{e"'^^'''' P«-l__. Qn Z"-isen/'«-i Z"sene" sen(e"-i-i-r"-») (sene"-^»-") A seconda dei diversi casi speciali resteranno pre- determinate le spinte Z, Z', Z",... Z" in funzione delle distanze reciproche dei vertici del poligono e deWi angoli che fanno colle direzioni di esse spinte. 4. Siano, per esempio, verticali le direzioni delle spinte e nulla la sopraccarica. Avremo evidentemente sene senr sene = senr' sene ' = senr ,.'" B e cose = — cosr' cose = — cosr cose .-^ — cosr' sene"-*= senr" cose"~*= — cosr" 214 Indicando con §, §', 5", . • ■ ò" le rispettive altezze dei cunei, cominciando dalla chiave, e con w la gra~ vita specifica dei medesimi, avremo con sufficiente grado d'approssimazione z = sene Z' = Qd' , f sene I Z"=: „ x" ì còS - ■ ,, l sene l Z" = wS" sene 7 l) e per l'equazioni relative alla resistenza allo schiac- ciamento abbiamo, indicando con R (*) il decimo di quella che sopportano i materiali, di cui sono formati i cunei sur una superfìcie di un metro quadrato. (*) Moltissime esperienze sono fatte dai moderni scienziati all'oggetto di conoscere di ogni sortia di materiali la loro re- sistenza allo schiacciamento. Neil' ipotesi dell' omogeneità e della rigidezza delle fibre questa resistenza risulta proporzio- nale all'area della sezione premuta, e viene indicata dal peso (= P), che l'unità di superficie sostiene allorché il solido co- mincia ad infrangersi. E ciò per un' azione quasi istantanea e per solidi scelti. Per un' azione continuata, per l'incertezza dell' omogeneità e bontà dei solidi in genere ; per le vibra- zioni cui vanno soggetti , e deterioramento che soffrono a causa degli agenti atmosferici; i costruttori non sogliono per lutti questi motivi sottoporre i materiali ad una resistenza allo schiacchiaraento (=R) maggiore del decimo di quella istantanea (= P). 215 sen2e §' R =. ^'s^"^' ^,1 ^ Z"sene sen(eH-r ) Z"sene" sen(e"-4-r") ) E Z"sene" 5" R sen(e''^-f- r") / Finalmente osservando la figura avremo evidente- mente y' =x cote ij" = x' cote' j/"'= a;"cote" «-ln«l^e«-l t/" =:=:a;""*cote Ora non rimane di operare che sulle stabilite re- lazioni. 5." Potendo assumere arbitrarie le x^ siano tali che le Z risultino tutte eguali fra loro- - In questo caso 216 le relazioni A mediante le B, C ci porgono le seguenti rimarcabilissime in seguito di sostituzioni e varie trasformazioni cote' = 3cofe cote" =•- Scote cote"'= 7eote A', cote"= (lH-2«)cote infatti d'onde sene sene sen2e sene'cosr' -+- senr'cose' 1 1 2cose cosr' -+- senr'cote , cote' = 2cote -+• cote-+- =:3cote ; e quindi J__ 1_ 2cote cote' — cote prendendo la seconda relazione avremo, giovandosi sempre delie B,C, sene sene" sene'cose -+- senecose' sene'cose" — sene"cose' 1 1 cose' — sene'cote sene'cote" — cose' e quindi 217 cote" — cote' =^ cote' cote" = 2cote' — cole=2.3.cote - cote cote=5cote, ec. Dalle quali rileviamo , che la curva mediana o di equilibrio si riduce , ad una disianza indefinita dal- Vasse delle x, paralella alVasse delle y. Dall'eguaglianza delle Z, Z', Z", . . . Z" abbiamo dall'equazioni D senef x X- X sene x sene" x ^ X— X 0 sene x sene sene X D' r- sene" X '', X — X sene x"- Dalle E avremo, sostituendovi i rispettivi valori delle 2, 218 R = — X sen2e R sene'senfe' -+- r') = - X —, ' w senr R sene"sen(e"+-r") — X r, oì senr E' „ , R sene"-isen(e"-iH-r"-i) 35 *= - X ^^ — ; (i) senr""^ Finalmente dalle F otteniamo, indicando con Y" l'or- dinata n"""" (= y) della curva di equilibrio Y"=a;cote-f-a;'cote'H-a:;"cote"-i-...->-a3""^cote"-^F' Ciò posto abbiamo dalla prima dell'equazioni E' R ^ .>R cote ^ R e x= — 12senecose=2— x :; =2 — x d'onde (*) cote e-K(^-)) (1) e facendo per comodità di calcolo cote= - avremo (*) Per poco che si rifletta intorno il valore di cote si ve- drà chiaramente che del doppio segno che affetta il radicale il solo negativo fa al caso. 219 ■r (2) --Vi-- w r \ co cote X Dalle A' rileviamo che la cotangente dell'angolo, che l'ultimo latercolo cioè rn^""" fa coll'asse delle ij, è data per cote«-*= —^ (3) La spinta orizzontale e verticale dell'arcata nel la- tercolo n"""" sarà evidentemente Q"sene"-^ e Q'^cose""* , onde il momento con cui la spalla del ponte viene spinta sarà dato per a.Q^sene"-^ — d.Q"cose«-i , e l'equazione di condizione dell'equilibrio sarà M.D = a.Q"sene"-^— d.Q"cose"-^ , Z"sene" , , Z"sene" = a.sene""^ X — -, r — dcose" ^ X sen(e" -t- r") sen(e"-hr") 1 = aZsene""^ X — d cose"~*Z = a.Zsene"~^x — d.Zcose""* X cosr"-i-senr"cote'' 1 cosr"-i- senr"cote" 1 sene"~*colt!" — cose""* 1 sene" *cote" — cose""* 220 a.Z Z.d cote" — cote""* cole"tange""* — 1 --1^_ d.Zcote'^-i 2 cote cote" — cote""* d'onde finalmente otteniamo '^•D = j7=(rÌ^ta-e-(2«-l)d] (4) equazione per mezzo della quale rimangono stabi- lite le dimensioni che debbono avere le spalle del ponte. Dall'equazione D' ed E' abbiamo .„ sene" ^ cj.senr" o" = X 0 sene Rsene"sen(e"-H-r") Cù . x^ 1 -X R.sene sene"(cote" — cote" * 2R "^ ^ ^ ^ ' cote d'onde fatte le debite sostituzioni avremo ^-.K(^S^1 (3) a mezzo della quale si possono determinare le ri- spettive altezze dei cunei. Dalle F' abbiamo -- R/ _ sene'sen(e'-4-r')cote' Y"=— sen2e x cote -+- ^^ — r-^ w\ senr 221 sene"sen(e"-!-r")cote sen? sene"~*sen(e""^-t-r"~^)cote" senj ,«-1 Infatti cote"~^sene"~*sen(e"~^-4-r""'^) „«-i senr cose"~'(sene"~'cosr"~^-f-senj"~*cose"~*) senr""^ sene"~*cose"~^( — cose"~^-+-cote""^sene"~^\ sene""^ = sene"~^cose"~'^(cote"~^ — cole""^) ^ cote"~^ _, (2n — lìcote = 2cote -. 5 — r = 2 cote . ^ ,^ '-r- — - l-+-cotV-^ \-h{2n—\ycol^e _ 2(2n— l)cot^g ~'l-4-(2n— l)2cote2 " Nell'equazione, superiore fatte le debite sostituzioni, otteniamo R/ 1 3 5 X Y" = 2 ! (5) 2/2—1 ' Dalle E' abbiamo analogamente, indicando con tt X"~^ l'ascissa deirullimon^'""' latercolo, cioè facendo X ~h x' -{- x" -{- ' . . a;"~*=: X"-S 222 . r^^f ^ ^ ^ ^ , — ^ w ll_t_e2^ 9 H-e^ 25-4-62 K6) 6.** Pei' mezzo di queste due ultime equazioni semplicissime si hanno, come si vede, determinate le coordinate della cìirva di equilibrio- E così il problema propostoci resta nel modo il più semplice, e quanto mai può dirsi elementare, completamente risoluto. Prendendo ad analizzare le formole ritrovate si ri- cavano i seguenti corollari. a) Assunto per x un valore arbitrario, si avrà il valore di 0 dalle (2), che sostituito nella (6) o nella (5) ne avremo il valore di n corrispondente all'ascissa massima o semicorda x^^^c- Non si creda per altro che dall'equazione (4) si possa ricavare il va- lore di d predeterminando la freccia y" = f mas- sima, per la ragione che quest'equazione non fa parte di quelle di condizione per I' equilibrio dell' arco- Ciò è evidente, essendo nulla la sopraccarica. b) Osservando l'equazioni (2), (3), (4), (5), (6) si rileva che sono tutte in funzione del quoziente della resistenza allo schiacciamento divisa pel geso spe- cifico dei materiali di cui è formato l'arco. e) L'equazione (5) , 2n — 1 cote ^= 6 dev'essere eguale, come lo è dìfalti, a 223 ^Y" _ Y"— Y'-^ _ 2K{2n—ì) 2Rg 2n — 1 ciò che prova l'esattezza delle stabilite forinole. Que- sto valore della cote""^ è eguale all' infinito quando n è infinita. E però, osservando che la serie che dà i valori della X""^ è assai più convergente di quella che dà i valori della Y," concludiamo che la curva di equilibrio deve avere gli assintoti e paralleli al- l'asse delle y. d) Portando l'attenzione sul valore della tangente trigonometrica dell'angolo summenzionato , si rile- va (*) pure, che la curvatura della linea in discorso si fa maggiore o minore , secondochè è minore o . \, . R maggiore il quoziente — . e) Le altezze dei cunei aumentano mano a mano che questi si discostano dalla chiave, e diviene inde- finita per n eguale all'infinito. Questo aumento in parte dipende dal più volte nominato quoziente. f) Per tutti quei casi, nei quali in pratica si può ritenere la sopraccarica distribuita uniformemente so- pra l'estradosso, possono sempre valere le formolo stabilite , sol che il peso specifico ao si ritenga di (*) Più direttamente, o se vogliasi, più logicamente si sa- rebbe potuto dedurre questo corollario dal valore del raggio di curvatura e da quello dell' angolo di contingenza, l'uno e l'altro facilmente determinabili. 224 tanto maggiore del vero di quanto è richiesto dalla sopraccarica stessa. g) Quanto più il nnateriale è resistente, e quanto meno è il suo peso specifico ; tanto maggiore è il rapporto fra la freccia e la corda, e viceversa. Ciò si ha dalla relazione , 2n--l =;-(--)(t-ì/']^--]) h) Per ciascuna specie di materiale il rapporto suindicato ha un minimo, ma non un massimo, au- mentando col supporre 1' aumento del peso speci- fico 0 la diminuzione della resistenza allo schiaccia- mento del materiale stesso- Questa supposizione nel mentre che favorisce d'assai la stabilità, non con- duce che ad un impiego maggiore di materiale in- significante, provenendo solo dalla maggiore esten- sione dell'arco sviluppato. Concludiamo adunque, che senza grave danno la curva di equilibrio può sta- bilirsi con qualsiasi rapporto fra la freccia e la corda, purché non sia minor di quello suindicato. Ora se riflettiamo che la grossezza dell'arco alla chiave di- pende da considerazioni del tutto indipendenti da- gli elementi che concorrono a costituire l'equilibrio della curva in proposilo, si potrà benissimo tenere minore questa grossezza quanto più il prefato rap- porto aumenta- Queste verità sono di somma im- portanza. k) La spinta orizzontale è costante in qualunque punto della curva; la verticale aumenta dalla chiave all'imposte, cosicché i piedritti soffriranno una spinta 225 f sempre minore quanto più il rapporto — aumenta. Infatti la spinta orizzontale è data per Z"sene" _, Z 1 (o.^x X sene" = = -r — - x sen(e" H- r") 2cote 2cote sene _ R.S.cote __ R.d _ R.a.g ~" cos(l -4- cot^e) ~ ]/'{\-^col^e)~~ J/"(l-t-e2) che è una quantità costante variando »i- La spinta verticale poi sarà Z"sene" , „ sene"cose""'* -cose" ^ = Z sen(e" -+- r") — sene"cose" ^-Hsene"~*cose" __ Z Zcote"-^ cote"tange"~* — 1 cote" — cote""' =|(2n- IH— =ia).d(2»-l)— .2 5.:p-^^ ^ ' sene sene w iH-cot^e = R.§(2n— 1) ^ k che aumenta aumentando « come dev'essere- Me- diante questi valori si può riscontrare V esattezza dell'equazione (4) l) Il doppio della spinta verticale dell'arco ri- trovato qui sopra sarà eguale al peso totale dell'arco stesso- E però indicando con V il suo volume, avremo y^2.^^ ^—^ . (7) M ^ l/-(iH-e2) ^ ^ essendo w il peso specifico assunto , seguitando ad G.A.TCLXI 15 226 indicare come abbiamo fatto fin qui con uno la pro- fondità dell'arco. m) Si è detto che per valutare la sopraccarica si deve di tanto ritenere maggiore del vero il peso specifico «, di quanto ò necessario onde le forze sieno quelle effettivamente, che cimentano l'arco sles- so. E ciò sta bene. Se poi ad oggetto di aumen- tare il rapporto fra la freccia e la corda si volesse T> d'avvantaggio diminuire il rapporto — , in que- co sto caso non si deve aumentare w, quantunque torni il medesimo rispetto l'equazioni (5) e (6) ; ma in- vece fa d' uopo supporre minore la R, altrimenti l'equazione (4) non farebbe più parte integrante di tutte le altre , e quindi somministrerebbe risultati erronei. 7.° Se il peso specifico dei materiali è determi- nato a seconda del carico effettivo che sopporta la volta, qualunque sia l'ertezza della medesima nella chiave, i materiali di cui essa è costituita si trove* ranno sempre nello stato prossimo allo schiaccia- mento, ed ogni benché lieve urto o fremito della volta sarebbe bastante per determinare la rottura della medesima. Quando all'opposto il carico fosse supposto maggiore dell'effettivo, allora la grossezza della volta non è più indifferente, crescendo in que- sto caso la stabilità nello slesso rapporto dell'au- mento di essa grossezza. In grazia di questo au- mento, senza supporre maggiore la sopraccarica, si può determinare la curva di equilibrio riducendo al decimo la resistenza dei materiali, come ordinaria- mente si pratica per altri manufatti ; riservandosi poi di aumentare l'altezza della volta proporzionatamente I 227 ai carichi eventuali cui può andar soggetta, ed alle oscillazioni e vibrazioni prodotte dai medesimi di- pendentemente dalla lunghezza della corda e del rapporto fra questa e la freccia corrispondente: piiì un certo aumento costante a causa dei deterioramenti che soffrono i materiali esposti agli agenti atmo- sferici. Onde si vede che per assegnare la grossez- za 5 delTarco alla chiave, non può prendersi norma che dall'esperienza , cioè dai ponti esistenti, appli- cando però ai medesimi le formole da noi stabilile. Fatto questo esame, credo potersi ritenere sufficien- temente esatta la seguente relazione .ò=0"\ 10h-0"S 03xc— O», 02|/-(c)^-0'",05x ^(8) indicando con e la corda, con /"la freccia dell'arco, e prendendo per unità di misura 11 metro. Dalla quale si ha per c= 9, f= 4,50 ed f—ò; d=0,41 e §=0,46 ,,=16, ))= 8,00 » 4; ))=0,52 ))=0,62 ))=25, »=12,50 » 5; «=0,85 ))=1,00 „ 64, »=32,00 » 8; «=1,96 «=2,26 R 30000 ^ , . , . H. Supponiamo —= ts — STuìTr '^'^ (^"® ^ '' ^^^^ più sfavorevole che possa darsi coi nostri materiali da 1 costruzione), e quindi 0= -77^ — t\ = 9,8881 $2 ::= 97,7745 supponendo a; = 1, e dall'equazione (5) e (6) avremo 228 Y' = 0,101 X = 1,001 Y" = 0,382 Xi = 1,927 Y"i -= 0,789 X" = 2,731 yiv = 1,266 X^" = 3,404 Yv = 1,769 X^^ = 3,957 Y" = 2,271 XV = 4,409 Yvn=^ 2,758 X" = 4,785 Yv"^= 3,253 X^ii = 5,091 Y^'' = 3,692 Xv"i=: 5,351 Yx = 4,106 X^'^ = 5,566 mediante i cui valori si può benissimo costruire la curva di equilibrio. Il rapporto fra la freccia e la corda risulta eguale ad 4,106:11,132, cioè come 2 a 5,50; e l'altezza dell'ultimo cuneo sarà (5) aio , ,/-p31^97,7745> V [ 98,7745 ; = 1 ,824 X 5=1 ,824 X 0,588=1 ,'"0725. Dalla (4) avremo finalmente supponendo a=8'" e l'altezza totale della spalla eguale a 10"", 2x30000x0,588/'l ^„^us87 q-^Oxdì Indicando con b la larghezza della spalla sarà d =: b — l S^cose""^ 229 e supponendo D = | b si ottiene b2-f- 0,33888 xb = 1,6413 d'onde b =r — 0,1694 -hK(0,02856 -f- 1,641) = 1,122 e ciò sempre pel puro equilibrio. 9.» Abbiasi per secondo caso -5=i?M__l0 co 2x2000~ e quindi 9 = 20, 9^ = 400, e nel resto i dati su- periori. Si trova Yi = 0,04987 X = 0,9974 Yn = 0,19670 Xi = 1,9754 Yi" = 0,43180 Xti = 2,9166 Yiv = 0,74288 X"i = 3,8074 Yv == 1,11800 Xiv = 4,6410 Yvi ■= 1,54018 XV = 5,4087 Yvii= 1,99713 Xvi z= 6,1117 Yvni^ 2,51883 Xvii= 6,8073 Yix == 3,01430 Xv"i= 7,3878 Y'^ = 4,01352 Xix=. 7,9134 Yxi = 4,51286 Xx = 8,3890 Yx"= 5,02162 Xxi = 8,8314 Yxni= 5,50937 Xxii= 9,2216 Y^i^= 5,98768 X^"'= 9,5759 onde tra la freccia e la corda sarà il rapporto 5,9877 : 19,1518 230 cioè come 1 a 3, 20. Infatti adojM'ando i miglioii fra gli ordinari nnateriali da costruzione, dice Yvon Villarceau che il suddetto rapporto è compreso fra il terzo ed il quarto. Otteniamo inoltre ricorrendo all'equazione (8). Dalla (4) abbiamo, fatte le debite sostituzioni, b =r. — 2,05 -h 1^(4,10 -+- 27) = 3,52 11 volume dell'arco risulta y = ^M^ ^"-^ 20 -52 prendendo per «, 2x2000 (V. Gorol. k). E così il peso di esso arco sarà di chilogrammi 41040 che dovrà essere sostenuto dalle spalle, le quali quindi rispetto la resistenza allo schiacciamento dovranno avere l'ertezza di metri 0, 563, cioè meno della metà dell'ertezza dei cunei sopra i pulvinari. Finalmente abbiamo cot e""^ = 1,35: ciò che spiega il risultato superiore. 10.° In ordine alle volte aventi la sopraccarica orizzontale si farebbe luogo ad una faraggine di con- siderazioni e di esperienze sul modo di agire della medesima; e ne risulterebbe di certo, che nella ge- neralità dei casi, come per esempio in tutte l'ar- cate dei ponti, questa ricerca è malagevole e non determinabile che per approssimazione a criterio del- l'ingegnere- E così risulterebbe la niuna necessità di essere, nella determinazione delle formole statiche, 231 rigorosi a segno da non permettersi, per amore di esattezza, qualche libertà; la quale, nel mentre che non lede la verità dei risultati in complesso, lasci una maggiore facilità nella determinazione delle for- molo ed una maggiore eleganza nei risultati- Quando la curvatura dell'intradosso non è molta, egli è chiaro che se si ritiene la sopraccarica uniformemente di- stribuita sopra questa curva, non ne può mai deri- vare alcun errore sensibile, anche perchè la carica così distribuita aumenterebbe, sebbene non molto, dalla chiave all'imposte atteso l'aumentare della S". Ma di più, quando la curvatura è abbastanza risen- tita e l'estradcsso ricorre orizzontale formato di ma- teriali che non agiscono, siccome fluidi quantunque saturati di acqua, ognun vede, che per agire la so- praccarica in ragione diretta delle ordinate della curva di equilibrio (siccome ha supposto Ivon Villarceau) farebbe d'uopo che la medesima poggiasse sulla volta in tanti scalini costituita dall'assieme di altrettanti prismi verticali gli uni disgiunti dagli altri. Ma la bisogna non corre così; e dall'imposte al vertice della volta i materiali fino ad un certo punto si sosten- gono da sé medesimi in grazia del cemento. Se il riempimento fosse di materie slegate, queste, secondo il loro speciale coefficiente d'attrito, premerebbero la volta con direzione più o meno inclinata, non mai verticalmente- D' altronde vi sono altre ragioni, le quali mostrano l'ipotesi del prefato Ivon Villarceau come quella che meglio si approssima alla realtà. 11° Tentiamo di tradurre in calcolo quest'ipo- tesi collo stesso nostro metodo: cioè ora prendiamo in considerazione rorizzontalilà dell'estradosso. Le 232 equazioni A, B , C rienangono le stesse. In luogo delle D abbiamo X sene Z' •^' _1_ ■r'ji" 1 -^•'^ sene' ''^^^ [ Z" -«.5":^ -^x"y"'<^ì (^) sene Z" =«,$" 1- a;"M"+'a) sene" È però da riflettere che questi valori sono mag- giori del vero, il primo di § ^, e gli altri di quantità sempre crescenti. Questa inesattezza in parte può correggersi coli'assegnare ad w un tal valore fitti- zio, che tutta la carica § 5 sia eliminata. Col cal- colo adottato m'è riuscito impossibile di eliminare eziandio i successivi incrementi della Z. Sarà quindi prudente non applicare le formole che seguono a quei casi, in cui il rapporto fra la corda e la frec- cia fosse assai grande. Supponendo al solito tali le Xy x'y x'\... che risulti Z = Z'=Z"=.-., avremo dalle [d) a "=^^^Y— -Hi/'V?/''"^'sene". (d') x" Vsene ^ ] ^ ^ ' Nell'ultima dell'equazioni E sostituendo il valore di Z" otteniamo 233 ^ w.senr" / x" ,, sen(e"-Hr")\ sene" ^ d'onde sostituendovi il valore di à" si avrà /'Rsen(e"^-r") *" wsenr" sene" fxsene"/ ò A V 33" lesene ^ J X I — — [ — y-y' 1 — ?/+^sene" =( Rcote" Rcote"-^ (a^A(l-4-cotV-i) «|A(l-4-colV-*) a;"(l -+- cotV)^ fxl^Vi^ -+• (^ot^e) — y'] ^/^(l -i-cotV)y V ^c^K"!! -^cot^^" a;(5)^(l H-col^e)— ?/') 2Rcote ^(l_^(l_H2w)2cot2e) ^ Qj/-(lH-(2n— l)2cof2e y"+^ 2Rcote j/-[l^(1-+-2M)2cof^e] ^ ca)/-(1 -t- (2n— Ijcot^e] |/ (1 H- (1 -+- 2n)^cot''e da cui si ottiene riducendo 234 x[à\/'{\-\-col^e) — ij'] 2Rcote ^= j/-(l _j_(i_4_'2«)2cot2e ^ «[/■(! -H(2n— l)2cot2e — icp K(l-+-cof2e)— y')a;"— -— j — ^ , ^ "^ V / ^' y{i-\-{\-i-2n)^cot^e) 2Rcote ^ a)^/'(l-f-(2n— l)2cof2e) ' ove facendo per comodità di calcolo Q|/'(l-h(2n— l)^cot^e)x |/'(l-t-(1-4~ 2n)^cot'^e) ~ 2Rcote e B = d|A(l -+-cot2e) avremo e = |-(B-i/')-.x(B--y>"- i ^"-^^ , e quindi y-'+i ^ a;(B — ij') — a;(B — ij'jAa;" d'onde successivamente si ottiene y'= x{B-y'){\-Xx) y"=x{B^y'){\-\x') y"'= a;(B--y')(l — Aie") ) h' y.. = a;(B — j/')(1 — \x"-')j Inoltre abbiamo 235 ij' = xGoie tj^'= eccole -+- oj'cote' k' y''L= a;cote -+- ^'cole' -+- a;"cote"-f- ... -+- a;"~*cote""*"^ / dalle prime due delle {h') [k') si ha eliminando y' iceote = x{B — a3C0te)(l — Pix) (2') dalla quale equazione, che è del 24-" grado, potrà ricavarsi nei diversi casi particolari il valore numerico di cote dando un congruo valore arbitrario alla x. 1 Facendo per comodiià di calcolo cote =-: si ha y'=;^ - (3') Dalle seconde relazioni delle [h') [k') si ha elimi- nando y' ij" ajcote -+- aj'cote' =-. x{B — a;cote)(l — Ax') , donde si avrà , xih — (\ -+- a;)cote) x = — i ,. =m A-t-dcote e quindi ij" = xcote -4- Smcote = ^x ove m e [j. sono quantità note. E così successiva- mente si possono ottenere gli altri valori x"y x'").-.; e quindi quello di d" si otterrà dalla [d'). La (4) rimane la stessa , sostituendoci però in luogo della 9 il valore di 9'. Queste calcolazioni ►' 236 sono alquanto complicate, se si avessero completa- mente da svolgere tal quali sono. Però nei casi par- ticolari, sostituendo alle lettere i numeri, il processo del calcolo si rende semplicissimo, meno l'espressione che dà il valose di 9'. 12." Se si trattasse di un arco premuto dall'ac- qua, talmentechè il peso del medesimo (ciò che av - verrà rarissime volte) sia trascurabile in confronto della pressione che esercita V acqua sovrapposta ; avremo in luogo delle B, C, poiché le pressioni ri- saltano perpendicolari alla curva di equilibrio sene = senr\ cose= cosr sene'=senr'l cose'=cosr' sene"=senr"> (/3) cose"=cosr"V (y) sene»=senr"/ cose''=cosr" In luogo delle D abbiamo una sufficiente appros- simazione , e indicando con h V altezza dell' acqua sopra il vertice della volta Z =zx h Z' = x' y' Z''=x"y"} (5) Z"= X" y" Donde supponendo l'eguaglianza delle z 237 , xh ~~ V X = —I y xh- X" = — yn I e dalle A per la stessa supposizione avremo, giovao- doci delle (^3), cose=rcosr=cose'=cosr'= . . . cose''=cosr''\ e quindi > (/3') In forza di queste relazioni, prendendo ad esaminare gli angoli e, g, e",..-- ^'"j ^" che i successivi elementi della curva di equilibrio fanno colPasse delle t/, si trovano queste importanti relazioni (^') £' = 3.6 — 180° £" = 5.e — 2x180° £ 7.e_ 3x180» £" =(1 ^-2n)e— «xl80° 338 d'onde tange''=tang[(lH-2n)e — ».180]^tang(lH-2n)e cosicché avremo y' =/i -+-(a;' — X )tang3.e ij"=ij' H-(a3"— ic')tang5.e ij"'=y" -+-(a;"'— a;")tang7.e ){f) y«=y"-iH-(a;"- a;""^)tang(l -f-2n)e, Dalle E poi si hanno le relazioni seguenti § K-= W = 2cose hx 2cose hx ) (w) hx 2cose da cui si hanno le rimarcabilissime relazioni hx \ , . cose=,^X-^ {n) 339 hoc ove^r^ è una quantità costante, perchè la x può assumere un valore arbitrario qualunque, e la h, come s'è detto, indica l'altezza dell'acqua sopra il vertice della curva d'estradosso. Ciò posto, è facile vedere come dalle (5') e dalle (?) si possano ottenere tutte le coordinate della curva di equilibrio, avvertendo che le X, x', x",.... non sono che le proiezioni dei la- tercoli della curva medesima sopra 1' asse delle x. Ed infatti avremo sostituendo nelle (?) i valori di Y' =|(/t— a;tang3e)=t 1/ ( T (h—xlan^3eY-\- hxtan%3e Y"=I(Y'- ^tang5e) ~|/ VA^^' — Y'^^"&^-6)^-^-a;/ttang5< n Y«=i[Y"-^~^^^Xtang(l-H2n)e] 1 xh ' t[Y""*— Y;:^Xtang(l-h-2»)e]'-+-x/Uan(l-H2n)e Mediante queste relazioni si avranno eziandio i valori delle x' = x" = a;"" = x"' = *""* dall'equa- k )(?') 2i0 zioni (5'). Finalmente in luogo delle (4-) abbiamo M.D = 2R$(asens"-i— dcoss"-^) = 2R5 a tang(2w — l(e 1 |/"[lH-tang2(2/?.-1)e] I/'[lH-tang2(2n— l)e donde ^•*^=.?ri ^\^ j-Ja.tang(2n— l)e— di (4) |/^[l-+-tang2(2n— l)e]^ ^^ ^ -■ ^ ^ Qui si farebbe luogo alla deduzione di alcuni corollari, fra i quali ci limitiamo a notare, che il valore delVangolo e dipende da quello di ^ o vice- verso; lo che non è per la prima ipotesi. Finalmente sarebbe da mottrare con esempi pratici entro quali limiti le formolo del par. 1 1° 12° possono adoprarsi senza incorrere in risultati poco approssimativi; ma ciò basta per un semplice saggio, e per far sentire il vantaggio sommo che si avrebbe adottando que- ste mie formolo onde determinare la curvatura e le dimensioni delle arcate de' ponti e loro spalle. X Xn—l X" I 241 Della vita e delle opere di Q. Orazio Fiacco- Discorso a'siioi alunni del P- Emilio Arisio C- R- Somasco, professore di belle lettere nel pontifìcio collegio de- mentino di Roma. D opo aver Ietto un libro che m'abbia fatto qual- che utilità 0 comodo, non v'è cosa che io non dessi pel diletto di conoscere gli usi della vita , gli studi e r indole di chi Io scrisse. Che se l'autore istesso mi si porge vivo vivo negli scritti suoi, e nel par- lare di se non piglia mica la persona di maestro , ma di compagno e famigliare, il gusto ch'io ne cavo mi cresce a maraviglia. E perchè principale tra gli autori di tal tempera sempre mi è sembrato Orazio, e i versi suoi sono da voi studiati, o giovani, non mi parrà fatica toccar così alla domestica a voi della vita e delle opere di lui , perchè siate più desti e all'ordine nella interpretazione di esso. Né crediate tuttavia eh' io voglia dirvi così ogni cosa che paia richiedersi dall' argomento ; mii quel che è al caso per voi. E per questo Fiacco vi si mostrerà solo dal lato migliore : che il resto è poco all' utile , e più che troppo a fare a voi pericolo ed inciampo- Nato il vostro in Venosa (1) di umili parenti, ebbe per sua gran ventura un padre, il quale chiudeva ani- mo più grande della sua fortuna (2). Costui non (1) Sat. l.'' lib. 2. (2) Sat. 6.^ lib. 1. C.ATCLXI. 16 242 lasciò già il fìgìio alla scuola di Fabio, maestro in quel municipio (1), la quale era del resto frequentata dai figli dei signorotti del paese ; ma osò condurlo nella gran Roma, perchè sotto la disciplina di pre- cettori abili e diligenti, e alla viva scuola dei grandi ingegni che ivi fiorivano, si informasse ad ogni arte di bontà e valore. Non voleva Tonest'uomo che la coscienza il mordesse; e se la prole non venisse su bene, o fosse costretta al mestierdi banditore, o al suo di riscotitore, ninno gli potesse buttare in faccia un tu dovevi far di più. Forse più di un genitore dopo tanto avrebbe detto : Tu hai, figlio mio, il bisogno tuo; tu libri, tu maestri, tu corredo: sii saggio adun- que, rispondi alle mie cure , fa tesoro di virtù, di scienza, tanto ch'io ne sia consolato. Così te l'avrebbe piantato, credendo aver reso le parti sue. Del resto profittasse il figlio o no, fossero o non a proposito i maestri, i compagni, i luoghi ove egli bazzicasse, non se ne sarebbe dato pensiero- Ma questa età ha il senno negli occhi, e crede virtù il costume dei molti: e mentre i padri attendono allo scrittoio, al campo, al banco, coltivano essi a lor talento il campi- celJo dell'ingegno loro, e maturano lagrimosi frutti alla vecchiaia de'padri. Ma il genitore di Orazio non così. Risolutosi egli che fondamento certissimo di utile e sana educazione è la cura paterna massimamente; sti- mò gli si appartenesse vegliare con gelosissimo occhio sulla tenera età del figlio. Però non credette a servi, o a gente pagata; ma incorrotto custode egli in persona (1) Ibid. 2i3 gii era sempre ai fianchi; egli Io portava ai maestri (1), egli in breve, con tutti quei modi che trova un amore ingegnoso e dilìgente, Io informava a virtù (2). E il giovanetto fra gì' impeli di quei fervidi anni , fra quei vizi di Roma, si ebbe grandissima guardia, e eorse libera da macchie e da male imputazioni la prima età (3). E di questo Orazio ebbe sempre grandis- sima grazia ftl genitore, e (che è testimonio d'indole aggiustata e sincera) anche levato in alta fortuna , si volse indietro con amore, e rammemorò sempre il padre povero sì, ma onesto oh quanto! e portò in palma di mano la coltissima educazione che la diligenza di lui gli avea procurato (4). Non vi ha dubbio: la modestia, la fortezza, le oneste e degne osservanze e tutte le altre virtiì impresse anche così per abito nella tenera cera degli animi giovanili , hanno vivissima efficacia a temperare al bene gli ani- mi: e se voglie non diritte, se mali esempi, se malo amore o mal timore ti sviano un dì, ed esse con segreta voce ti tentano il cuore, e la natura cacciata a forza, ricompare da ultimo a serenare la tua vita tenebrosa e sconvolta. Che se Orazio in quella corrottissima età, in quei costumi non fu certo, come suol dirsi, una coppa d' oro ; tuttavia quando egli si spedisce dal brago di Epicuro (5), e lascia fare all'indole sua, ben paiono i frutti dei semi gettati, e coglie assai bene (1) Sat. 6. lib. 1. (2) Sat. 4. lib. \. (3) Sat. 6. lib. 1. (4) Sat. 6. lib. 1. (5) Ep. 2. lib. 1. 244 nel segno, ed ha precetti gravissimi, e sinceramente onesti. Ma queste considerazioni sulla educazione mi hanno sviato; ora seguito l'ordine. Come egli ebbe ben meditato in Roma L' ira funesta eh' infiniti addusse Lutti agli achei (1), fuggi la sferza di Orbilio, stampator di piaghcy e fu in Atene ad apprendere virtù nelle selve delV acca- demia (2). La Grecia che aveva piegato il collo al ferreo braccio di Roma , vinse alla sua volta colla coltura il feroce vincitore, e portò le arti nel sel- vaggio Lazio (3). Del resto se gli cileni perduta la li- bertà pareano sempre più cadere dalla gloria dell'an- tico senno e immiserire ; mentre gl'ingegni de* ma- estri sottili e schizzinosi si travagliavano in contendere e distinguere e stillar sillogismi, i romani, popolo grave e tutto pratica, recavano all'uso della vita e all'amministrazione della repubblica quello che dalla Grecia avevano appreso. Or mentre col fiore della gioventù di Roma era il nostro tutto raccolto nei suoi dolci studi , la guerra civile più crudele che mai di nuovo divampò; ed Orazio, senza ninna scienza od uso di milizia, si vide posto da Bruto a capo di una legione (4). Ma le armi repubblicane fecero in- (1) Ep. 2. lib. 2. (2) Ibidem. (3) Lib. 20. Ep. 1. (4) Ep. 2. 2. 245 felice prova contro il braccio di Angusto (1), e il va- lente tribuno, gettato lo scudo con quel piiì decoro che seppe, mutò la battaglia dalle mani ai piedi (2). Rimasto così umile e spennacchialo, e privo per giun- ta del soave campicello paterno (3), V audace povertà Io spinse a far versi (4) : e il pregio di essi gli ac- cattò la benevolenza di Virgilio e di Vario anime candidissime (5), '\ quali lo raccomandarono a Mece- nate. Orazio entromesso a quest'uomo balbettò po- che e tronche parole : che il rossore gli legava la lingua: e quel savio, veduto l'uomo di focile presa, e attissimo a dover richiamare a quiete gli animi ancor turbati e ondeggianti pei recenti moli civili, l'accommiatò dandogli del dolce della speranza- E così stette nove lunghissimi mesi; ma in capo ad essi ò richiamato, è accolto con cera carezzevole e amica, che più? ode dirsi :« Fiacco, tu sei de'noslri» (6). Dif- fìcile era quel cavaliere nel prendere le amicizie, e vi poneva mille riguardi (7): ma come egli s'era ri- solto a dover ammettere costui o colui, quel suo favore era costante, sollecito, e per la gente di let- tere, ove abbonda l'ingegno ma non le fortune, an- che lucroso. E ad Orazio, che ogni suo bene aveva nella speranza, toccò una villa nella Sabina (8). Il (1) Ibid. (2)|0d. 7. lib. 2°. (3) Ep. 2. 2. (4] Ibid. (5) Sat. 5. lib. 1°. e Sai. 6.'' lib. !.•* (6) Sat. 6. lib. 2. (7) Sat. 9. lib. 1. (8) Lib. 2" Od. 18. 246 poeta ne sepj)e grado al suo benefattore : e raccoltosi in quella solitudine, che rendeva lui a lui stesso, in essa pose ogni sua delizia (1). Quivi egli si teneva per re, e coi servi e cogli antichi dei dintorni fa- ceva a migliorar se stesso novellando (2): quivi si quietava al suo pentolino, e vagolava pei campi ru- minando le sue bagattelle e ciance- Gli arditi slanci ove egli prorompe di tratto in tratto; quel suo tenersi solitario e tutto a sé; quel dirsi pronto di rassegnare ogni cosa a Mecenate, se gli si contendono i liberis- simi ozi ; mostrano come uscite non gli fossero di ca- po tutte le memorie dell'antico stato (3). Ma di troppo acerba memoria gli erano i campi di Filippi; e la retta filosofìa gli aveva appreso come ottima in tempi pessimi è quella forma di reggimento che men luogo lascia all'ambizione de' privati di montare e tutto osare e sconvolgere- Del resto la plebe era già da pezza solita di ammirare nei capi di parte i suoi signori; ed ora avendo pane e giuochi e costumi, non sapea bramare più oltre : piacevano ai patrizi gli onori che ottenevano da un loro pari, senza brigarli presso la plebe; piacevano alle muse le ricompense onde onoravansi i lov canti; a tutti l'immensa maestà della pace romana appena turbata da piccolo rumore di guerre lontane (4): piaceva infine l'ozio istesso, il quale dapprima si biasima e poi si ama (5). Peiò (1) III. od. 16. Ep. IO. lib. 1. e 14. lib. 1. (2) Sai. 2. lib. 2. e 6'\ (3) Lib. 1. Ep. 7. (4) Plinio. (5) Tacito Agric. '247 al grido di tulli unì Orazio il suo ancora, e lodò co- lui che r itala grandezza coi costumi guerniva, cor- reggeva colle leggi, guardava colle armi (I) : e con intimo affetto consigliò la nave repubblicana di non dare più alle onde il nudo suo fianco e le squar- ciate vele (2). E mentre preso a vano bagliore canta tutta la terra doma e non Vatroce animo di Catone (3), abbomina insieme le guerre civili e piange sul ro- mano sangue che tinse tutti i campi e le onde, e suir itala ruina che sonò ripercossa fin là oltre fra i medi (4). Ma nondimeno se conforta altrui a quie- tarsi nel novello ordine di cose, e non i-imestai' più brace poste sotto a ceneri traditrici (5), entra anche nel concilio degli Dei e spaventa Augusto dal por- tare altrove la sede dell'impero, e il fa con modi si finamente studiati che è un incanto a considerare (6). Egli poi in quello che alla lirica si appartiene fu imitatore dei greci, ma libero, ma generoso (7): onde potè spingere i passi ove altri mai non li aveva portati (8). Ma quale e, quanto sia questo suo fatto, la perdita delle opere greche a noi non lascia modo di trovare il vero còsi appunto. Basta che egli li discorre per ogni genere di poesia, per ogni maniera di affetti, con piede così sicuro e baldanzoso , che (1) Lib. 2. Ep. 1\ (2) Od. lib. I". IL (3) Od. 1. lib. 2. (4) Od. 16. lib. 5. e massime od. 1. lib. 2. (0) Od. l^ lib. 2. (6) Od. 3. lib. 3. (7) Ep. 19. lib. 1. (8) Ibid. 248 non un solo poela li rappiesenta; ma tiene di tanli i modi, quanti sono i generi a cui si accostò. Ardente e bellicoso è qual Tirteo , quando spinge il ro- mano colTasta in pugno a premere i parti su focoso destriero; onde l'adulta vergine trema non forse il suo sposo si percuota in quel leone (!)• Sublime qual Pindaro, quando ti pone i Drusi quai teneri aequilotti sotto le paterne ali d'Augusto aguzzar l'artiglio nei reti e nei vindelici (2). Mesto qual Simonide o pianga il fuggire degli anni (3), o la morte degli amici (4): festivo , elegante come Anacrconte o ai conviti si assida, o rifiuti le asiatiche pomjìe (5). Mordace e rabbioso quale Archiloco o addenti Volteio Mena, o bieco minacci morsi a quel cane di un critico (6): tutto infine ebbri-festoso quando prorompe neWau- dacia de' ditirambi, e fra burloni e greppi corre al canto di Bacco (7). Or queste forze sì fresche e belle, come in tutti i generi fecero gran frutto , così anche nell' epico l'avrebbero fatto, se il nostro l'avesse tentato- E cei'to i fasti romani gli porgevano di altissimi ar- gomenti; ed egli qua e là pe'suoi scritti par tentato da questo (8) solletico; ma già la scienza e la cri- tica avevano definiti i confini della storia e dell' epo- (1) Od. 2. lib. 3. (2J Od. L lib. 4. (3) Od. 14. lib. 2. (4) Od. 24. lib. 1. (5) Od. 38. lib. 1- (6) Epod. 14. e 6. (7) Od. 19. lib. 2. {8j Od. 9. lib. 2. Od. 15. lib. 4. Sai. 1. lib. 2. 249 pea ; e il poeta, che non voleva pastoie, chiama fie- voli le sue forze, e se ne scusa con versi che tutti spirano epica maestà (1). E a voler dire il vero , l'epopea non mai tanto fiorisce, quanto allorché fra popoli vigorosi, e non svestiti al tutto della barbarie, eanta le nazionali imprese. Allora la poesia rende l'uf- fìzio della storia: l'essere alle menti rozze nascoste le cagioni delle cose, apre la via al maraviglioso; lo spiegar che esse fanno una forza, di cui non erano ben conscie a se stesse; i modi stupendi onde la prov- videnza spiana loro la via a progredire; quelle indoli impetuose, ma alla religione sommesse, e agli altri debiti di pietà, inducono ne' lor fatti un non so che magnanimo e semplice. Così una tal mistura di gran- dezza e di barbarie dà novità e rilievo maraviglioso agli eroi; e sotto quella fiducia, che il cielo e gli uo- mini si diano opera di far grande una nazione , il poeta si accende di sublimi spiriti e sprona il suo popolo verso 1' avvenire , ed empie i suoi canti di quelle idee vaghe indistinte che sono il vero fonte del sublime. Da questa radice adunque, o dall'altra pili sicura ed alta della religione, sorge l'epica gran- dezza. Ma quando tu ti abbatti a un' età sfruttala e stan- ca, e con Orazio piangi Aetas parentum peior avis tulit Nos nequioies, mox daturos Progeniem vitiosiorem (2); (2) Sat. 1. lib. 2. od. 6. lib. 1. od. 15. lib. 4. Ep. 1. lib. 2. (3) Od. 6. lib. 3. 250 allora poco prende le menti l'epopea, nnentre regnano grandemente quei generi, che mordendo o ridendo, le scorrezioni impediscono o le castigano. Ed Orazio che ben conosceva i tempi, o trovavasi avere stilo aguzzo e naso adunco e schizzinoso, tutto si diede allo scriver satire; e versando in esse i sali e l'atti- cismo dell'antica commedia greca, ne temperò il pic- cante colla gravità della nuova- Del resto quell'es- sersi egli arrotato per tutti i gradi della società degli uomini, gli valse a scoprire il ridicolo di tutti; di che maturando nella meditazione e nel silenzio la sua materia, potè tirare quelle pitture sì ben immaginate e spedite, che tu ne trovi vivi e spiranti dopo tanti secoli i riscontri. Tuttavia educati com'erano i ro- mani ad austeri costumi, e a vita di opere, maestra di virtù; anche perduta l'antica severità ed innocenza, durarono in genere colle leggi e cogli scritti a mo- strarsi della virili teneri e curanti. Però in toccar de' vizi altrui, non la diede il nostro per mezzo; ma avendo in genere rispetto a quest' omaggio che il vizio rendeva all'onestà, solo ferì i peccati più co- muni e leggieri; e non fu mai che nudasse se non da un lato (il più turpe veramente) la corruzione della romana civiltà- Geloso com'era di un tal suo modo di vita pacato e tranquillo, perchè altri non se ne rechi di sue punture, non ha rispetto neppure a se stesso. Non già, credo, che egli fosse tinto di tutta quella pece che Davo gli appone, ma per emendare forse in altri quei vizi che egli a se stesso attii- buisce- Ma perchè non sarem contenti di emendarci, né ci recheremo mai le mani al petto ? Oh non sor- gono di mezzanotte i ladroni per istrozzare la gente ? 251 E tu non aprirai tanto d'occhi pei' purgarti de' vi- zii ? Vuoi tu un amico ? Non mi torcere il muso per qualche neo, se lo coni pensa con molte virtù; che già senza questa giunta di vizi niuno ci nasce; beato chi ne ha soma men grave (!)• Però facciamo a compatirci; ma tengasi a mente, che la virtù sta nell'aureo mezzo; e mentre tu non vuoi guastarli coll'amico, non devi però raccoglieie ogni suo detto e puntellarlo (2)- Talora 1' attacca agli ammiratori delle antiche cose, e fa sopra essi le grasse risa; e sapendo di che polso sian le muse di Virgilio e di Orazio, tutti attribuisce ai moderni quei dritti che agli antichi si concedono (3)- Indi si cruccia cogli stoici , e nega siano eguali i peccali (4): poi dà una sbrigliata agli epicurei, a lui non stranieri veramente, e fattili sbucare, sbeffa le strane cure ch'ei mettono a rimpinzare il ventre. E dove Cazio il maestro si reca in contegno, e detta, il trincalo discepolo che sta pur chino e ammira, ammicca al lettore e ride (5). Ma vedilo abbaruffarsi cogli avari, e premerli con opportuni argomenti e ii'i'csistibile forza di dialogo; poi rinnega la pazienza, e così miseri te li pianta, poiché così loro è in piacere; e movendo dall'alto t'incomincia a novellare. L'avaro sottratto alle terri- bili ugne, sorride a quei racconti; ma il poeta che l'aspetta al punto, gli torna sopra, e gli canta che (1) Ep. 2. lib. 1. (2) Sat. 3. lib. 1. l'i) Ep. ad Pis. (4) Sat. 3. lib. 1 (5) Sat. 4. lib. ì. 252 toltone il nome la favola è per lui (1). Che dirò degli apologhi, delle favolette e dei feslivissimi dialoghi, onde qua e là condisce i versi suoi? Per me io non so scrittore che per questi capi mostri cose più vi- vaci e care; e la freschezza e terribilità loro ti fan le mille volte desiderare che ei si fosse recalo anche a scrivere in questi generi. Sentendosi egli aver bene smaltito in mente le cose, e sicuro maneggiatore della patria lingua, non tiene ordine certo; ma ti balza agile qua e colà. Ora con sodi argomenti e forti sconfonde l'avversario; ora col ridicolo lo umilia; poi con opportune digressioncelle gli fa viluppi; talora con improvvise fiancate lo scompiglia. Anche con socratica astuzia si mostra pentito, e lasciasi vincere a frivoli argomenti; e se ne parte tristo e confuso: ma mentre il vincitore passeggia il campo per suo, gli spettatori si stringono nelle spalle e sogghignano. Egli è profondo e saggio senza ostentazione: e quando in altri un concetto nuovo o forte tei senti minac- ciar da lontano mille miglia, egli senza tanto rom- bazzo ed apparecchio te lo getta in mezzo, e lascia al tuo ingegno il maturarlo- Abbondante e scioltissima da ogni studio è la sua maniera; tolte frammezzo al popolo le parole, ma a sottilissima diligenza cernite; però facili e popolari, ma non basse né plebee. E l'arte, onde seppe legarle e unirle, diede al suo stile quella tinta sì cara di urbanità che innamora e rapisce gli animi. La scelta delle parole e l'arte del comporle, dette da Cesare fonti dell'eloquenza , eran pregio grandissimo delle (1) Sat. 1. lib. 1. 253 opere antiche- Quindi quella chiarezza e quella forza, quella grandezza nella loro semplicità, quella sicu- rezza di dir facilmente e quasi con sprezzo le diffi- cili cose sicché ti paiono dipinte. Ma chi nulla sa ne sente di questa diligenza recondita e sottile, a vedere siffatta facilità e naturalezza di native ma- niere, si scandalezza, e si dà a credere essere age- vole fare il medesimo ; ove poi uno si metta al- l'opera, gli dice Orazio ch'ei potrà rodersi le unghie, e grattarsi il capo a suo senno, che darà sempre in cenci. Alcuni critici ripeterono l'antica accusa, che dei versi in sull'andare de'suoi se ne potrebbero snoccio- lare le migliaia stando così bilicati su un piede(l).))Ma costoro, dice il Gravina, sprezzano queste satire per quello appunto per cui dovrebbero maggiormente apprezzarle, cioè per lo numero a parer loro vile e plebeo e senz'arte; quando in esso è l'arte, la dif- ficoltà ed il giudizio maggiore, come prova chi tenta d'accomodare così bene l'esametro alla maniera co- mica (2).» E certo all'acre istanza del dialogo so- cratico non vi ha nulla di piìi atto e naturale; onde nemanco l'intendono bene quei che bramano in esso ordine più austero e certo (3). Che Orazio non è un severo maestro che postosi in cattedra ti detti accigliato la sua lezione , senza rimetter punto di sua gravità; ma un della brigata, che l'accocca or a costui or a colui, e strepita e ride : (1) Sat. 1. lib. 2. (2) Ragione Poet. XXIX. (3) Vedi Francesco Ficker, Quadro della lett. latina, perio- do III. §. X. 254 modo rhetoris atque poetae, Intei'dum urbani parcentis viribus. • - . (1) Così non fosse sozza spesso hi vena dei concetti e mab'gno talora il riso, come pura, agile, ottima in- somma è quella maniera sua e nello stile e nel verso, e nel lucido oidine che lo governa ! Ma voi non vo- gliate, prego, conoscere di Fiacco se non quel che ì maestri di voi solleciti e studiosi credono oppor- tuno al bisogno vostro. Se con questa disposizione degli animi vi recherete allo studio di esso, e voi non riceverete danno, ed io avrò riportato pieno quel frutto ch'io mi voleva di queste parole. Infine io porto questa opinione, che le opere del nostro non avrebbero a metà quella efficacia e grazia che le informa, se ogni cosa vi corresse a filo e a squadra. Però tu potrai imitare Persio e Giovenale, se chiudi forte sentire ed anima sdegnosa, perchè già Si natura negat, facit indignatio versum Qualemcumque potest- ... (2) ma Orazio non mai, se non ti aiuterà squisitissimo gusto, novità di concetti, petto pieno di ogni eru- dizione e filosofìa, brio, sali, gaiezza, profonda co- noscenza degli umani costumi e di tua lingua nativa. (1) Sai. 10. HI). 1. (2) Gioven. Sai. V INDICE Tarnassi , Comenlo a un passo di Dante nel canto XXIV del Purgatorio . . . pag. 3 Santini, Traduzione poetica del Uh. VI dei Martiri di Chateaubriand » 32 Catalani, Terapia (Continuazione) . . . . » 105 Cugnoni, Vita di D- Giovanni Torlonia . . » 175 Bocci, Intorno alla curva di equilibrio delle arcate dei ponti » 209 Arisio , Della vita e delle opere di Orazio Fiacco » 241 IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco Ord. Praed. S. P. Ap. Mag. Socius IMPRIMATUR Fr. Ant. Ligi Archiep. Icon. Vicesgerens Nel giornale^sì dà il sunto, o viene inse- rito l'annunzio, delle opere presentate in dop- pio esemplare alla Direzione. Esse debbono essere inviate franche d'ogni spesa di porto e dazio. Le notizie di scienze, di lettere, e di belle arti, quelle di scoperte utili per 1' agricol- tura, industria ec, come anche i programmi dei concorsi accademici, dovranno similmente es- ser mandati franchi di posta alla Direzione. Chi si associa per dieci copie, o ne garan- tisce la vendita, avrà l'undecima gratis. GIORNALE DI SCIEI^ZE, LETTERE ED ARTI TOMO CLXII DELLA NUOVA ^ERIE XVI LUGLIO E AGOSTO 1859 ^ ^7\Ar^J^ ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1860 SCIENZE, LETTERE ED ARTI Epilogo delle prose recitate alla pontificia accade- • mia Tiberhitty e relazione dei nuovi soci e dei defunti neW anno 1859, XLVII dalla fondazione^ letto nella tornata ordinaria del giorno 1 9 dicembre deir anno medesimo da Leopoldo Farnese dottore in fdosofia ed in legge, segretario annuale della sud - delta accademia. A, li nobile ufficio di segretario di questa pontiflcia accademia, di cui vi piacque in quest'anno onorar me, illustri colleghi, per ogni riguardo indegnissimo: ufficio da me non come ne avrei avuto desiderio, e r importanza d' esso richiedeva, ma secondo mie deboli forze adempiuto finora: appartiene riunire in breve epilogo le prose lette nel corso dell' anno, e riferire i nomi onorevoli di coloro, dei quali fu ac- cresciuto il nostro albo, e di quegli altri per fortuna rarissimi, che da morte ci furon rapili. E valga il vero, un lavoro di tal genere, inteso ed ordinato così semplicemente, non off're per se tali difficoltà da spa- ventar seriamente chi debba per ufficio intraprender- lo, specialmente allora che la copia e l'importanza dei fatti da narrare dia luogo piuttosto alla scelta, che al timore di venir meno nel dire- Però alla co- scienza dello scarso ingegno altra circostanza si uni- sce a rendermi diffìcile, anzi arduo, ciò che poteva 4 sembrare si agevole, ed è 1' essere stato preceduto per due anni consecutivi nella compilazione di slmil lavoro dall'illustre collega av. cav. Andrea Barberi, cbe tanto meritamente ricopre in quest'anno il seg- gio presidenziale. Egli con sì squisita arte ed ele- ganza seppe formare di materie diversissime un di- scorso unito ed armonico in tutte le sue parti da meritarne universal plauso , e da farmi disperare, anche sforzandomi d'imitarlo, un eguale successo. Avvaloi'ato non pei'tanto dal convincimento fermis- simo di compire un dovere, e di far quanto meglio per me si possa, m'accingo all'opera, onoi'evoli col- leghi, gentili uditori , e mi affido interamente alla vostra bontà da me sperimentata tante volte, quante ebbi l'onore di parlarvi da questo luogo. Avvertirono già uomini dell'antichità sapientis- simi, avvenire nella società come nel corpo umano, nel quale allorché alcuno dei principali membri ri- cusa di prestare il suo ufficio , o viziosamente lo presta, l'intero corpo, se trovisi nello stadio di for- mazione come nei fanciulli, non avrà forza da svi- luppare e raggiungere il perfetto grado del suo or- ganismo : se già perfetto come negli adulti , andrà perdendo di mano in mano l'acquistato vigore, illan- guidirà, e terminerà col disorganizzarsi e morire- Così quando nelle società l'elemento essenziale e principa- lissimo, qual n'è il regime, si trovi affidato a menti imperite o traviate, e quindi angustiato siane il corpo sociale per intestine discordie, esterne lotte, e dis- sesti economici sì che tutto languisca e minacci rovina, anche quelle istituzioni, vogliansi pur sem- plicemente scientifiche letterarie ed artistiche , che o sogliono sempre prender vit;i e vigore dalla pubblica pace, dal benesser sociale, ed accrescersi per geno- l'ose e nobili imprese, «{iiali piccole organiche paiii di un gran corpo corrotto ed infermo vanno mano mano languendo e riduconsi poco meno che al nulla. E da ciò che può a pr-ima vista giudicarsi essere in pessime condizioni quelle società, dove non veg- gonsi fiorire le istituzioni, che formano il lustro e la gloria delle nazioni civili. È da questo altresì, per applicare il general principio al caso che precipua- mente ci riguarda, è da questo che mentre le scienze le lettere e le arti ivi nacquero, e più sublime ersero il volo dove più ordinati, e più saggi furono i costumi dei popoli, in quelle altre mai nacquero, o nate appe- na si vider miseramente illanguidire, dove potè osser- varsi il contrario. Esempio ne sia la Grecia e Roma nei tempi antichi, l'Italia ne' più vicini a noi. Quando la Grecia dio vita a quel popolo di filosofi, di poeti, di sto- rici illustri, a quelle famose scuole ed accademie, che la resero celebre per tutti i secoli, e maestra di sa- pienza all' intero mondo , se non allora che forni alla storia immenso numero d'azioni eroiche e ge- nerose ? Quantunque più tardi, per cagioni tutte par- ticolari di questo popolo fatale, non avvenne lo stesso presso i romani ai tempi di Cesare e di Augusto, allorché 1' impero incominciò a godere di quella pro- sperità e di quella pace, che sola è atta a far fio- rire le scienze e le lettere, quando le azioni bellicose e grandi che la prepararono servirono di scintilla al genio, di sprone agl'ingegni? Scendendo a dir della Italia, .non mi è d'uopo discorrere a voi, coltissimi uditori e colleghi, dello slato infelice delle scienze 6 e dello lettere nei secoli di mezzo , quando eranvi ostacoli presso che insuperabili agli sforzi dell'umano intelletto. Allora se quelle oneste discipline trova- rono un asilo degno di loro, fu solo nella sede dei papi. Ma sursero giorni migliori per le lettere e per le scienze. Costituiti i comuni, e fondati pili tardi po- tenti civili stati in Italia, le corti dei principi divenner le scuole e il convegno dei più illuminati ingegni che desse allora la patria nostra ad ammirare al mon- do. E finattanto che le corti dei principi erano sede e ricetto di quelle schiere di sapienti uomini, che non so se più onor traessero dal conversar con quei grandi, o più onore recasser loro , non fu d' uopo creare artificiali società ed accademie, che dessero più ef- ficace opera alle umane lettere ed alle severe disci- cipline. Sebbene fin da quei .tempi non manchino esempi di simili corpi istituiti o nelle lodate corti de'principi, o in alcune case od orti di privati, fra i quali famose sono le fiorite conversazioni degli orli de'Rucellai. E veramente dovette sembrare allora a quei fortunati di assistere alle dotte dispute dei Ca- toni e dei Lelii, e degli altri che Tullio introdusse già nei suoi dialoghi a tener profondi ragionamenti sulle questioni naturali o letterarie. Cessale però quel- le circostanze favorevoli alla coltura dei belli ingegni, a ciò che un giorno produsse l'amor della gloria, e la fratellevole amicizia dei letterati fu necessario , per- chè non andassero quelle discipline interamente per- dute, supplire colla fondazione di alcune società con certe regole e denominazioni particolari, per le quali i dotti uomini, insieme comunicando fra loro le in- dividuali ftitiche, cooperassero di concerto all'incre- I 1 • mento ed allo splendore dei buoni studi. E questo spediente pure portò i suoi frutti in principio; ma come avvenir suole dì ogni umana istituzione, che, sia essa quanto suppor si voglia santa, utile, neces- saria , quanto pili si allontana dai suoi principii , tanto va deteriorando e perdendo del primiero suo lustro, 0 per l'introdursi che in essa facciano novità ed abusi , o pel venir meno dello spirilo e zelo , che informò i primi suoi istitutori; nella stessa guisa avvenne dei corpi accademici, che dopo aver fatto sì belle prove, e recato sì grandi vantaggi alla let- teratura patria, mantenendo dipoi le sterili forme, perduto il vigor primiero , e diminuito il numero dei grandi ingegni, rimasero specialmente i letterari palestra inonorata delle mediocrità, e tomba ampol- losa e vana delle antiche glorie letterarie. É d'uopo avvertire però che un' altra circostanza ancora influì ad affrettare la decadenza di quei corpi accademici: e fu la grettezza delle tendenze, e la mancanza di azioni generose e di grandi imprese da trasmettere ai posteri, e di speranze e d'onori, che allettassero ad operar generosamente ed allo scriver con grazia e robustezza di stile. Aggiungasi a tutto questo la necessaria ammission dei mediocri in difetto dei som- mi ingegni, e si spiegherà agevolmente perchè le ac- cademie , per le quali Italia fu un dì famosa, e die al mondo i piiì illustri uomini che mai nascessero, e le arcadiche congreghe, che acquistarono merita- mente una celebrità, che mai non morrà, comin- ciassero a servire di emblemi e titoli schernevoli , coi quali si diedero a denigrare ogni genere di let- terari studi i filosofi delio scorso secolo. Lo scorcio 8 però di questo fu assai diverso dal suo principio. Attonito il mondo vide compiersi la più terribile delle rivoluzioni, formarsi una grande nazione sulle rovine di una antica, sorgere una splendida gloria militare e farsi arbitra delle sorti d'Europa. Bastò questa scin- tilla per ridestare un istante il sopito genio, e si udi- rono nuovi canti, e nuove opere vider la luce da non vergognare il confronto delle antiche- E fu fortuna ehe fra tanta rovina andasse salvo, anzi nuova' forza e vigore assumesse, lo spirito ed il buon gusto degli studi. 11 sole del genio aveva riscaldato nuovamente quelle fredde forme accademiche, che parlarono an- cora una volta cose degne degli avi. Ma col fugace prestigio del tempo ricaddero nuovamente anch'esse nel primiero languore , e furon condannate a lo- gorarsi per lunghi anni ancora in uno stato di sco- raggiamento e mediocrità. La nostra Tiberina accademia, nata nell'estin- guersi di quel novello fuoco letterario in sullo scor- cio di quell'era brevissima in cui risursero all' an - tico splendore le lettere, fu opera di pochi zelanti ed illustri cultori di queste, dei quali a mio avviso fu precipua cura salvarne da intera rovina gli avanzi. Le circostanze della sua fondazione e dei tempi, che tristissimi allora correano, non sembravano promet- terle lunga e gloriosa esistenza; pure l'effetto for- tunatamente non corrispose alle previsioni. Ebbe essa, è vero, a combattere, secondo che narra in una Memoria messa a stampa uno degl'illustri suoi fon- datori l'ab. cav. Antonio Coppi istoriografo perpe- tuo dell'accademia, molti e diffìcili ostacoli : ma tutti li superò, e potè in frangenti difficilissimi mantener 9 non solo materialmente la propria esistenza, ma que- sta conservare onorata e gloriosa nel mondo lette- rario, mentre i più chiari ingegni si pregiarono mai sempre di appartenervi, nò i piiì grandi e temuti monarchi e gli stessi romani pontefici ricusarono di permettere che del loro nome venisse arricchito l'accademico alho. Se umili dunque e perigliosi fu- rono i primi giorni di questo scientifico e lettera- rio istituto, non deve esso vergognarne, ma ritenere a maggior sua gloria, se in mezzo a contrarietà e perigli seppe pervenire a quell'altezza, di cui oggi va giustamente superbo: vò dire all'onore di appel- larsi Pontificio, che con tanta generosità il venerato pontefice Pio IX nello scorso anno gli conferiva. E fu invero savio consiglio di chi islituilla, ve- duto come nel secol presente più delle lettere sieno in fiore le scienze, e fra queste più quelle che pro- curano i materiali vantaggi della società, non limi- tarla solamente alla cultura delle lettere, ma esten- derla anche alle scientifiche discipline, ed a quegli studi che hanno per oggetto la città di Roma dove nacque e dal cui real fiume prese già il nome , e Tagricoltui-a, di cui si desidei'ò spesso invano il mi- glioramento nelle nostre campagne. Ma quando siesi per me dimostrato che in quest'anno 1859, lontano di quarantasetle anni dalla sua istituzione, da uomini per ogni riguardo chiarissimi sono stali trattati in- teressanti soggetti intoino a ciascun ramo di studi che essa coltiva, con novità di vedute, con ricchezza di argomenti, con facondia ed eleganza; quando siasi per me dimostrato, accrescersi ogni anno di splen- didi nomi il nostro albo , crederò di aver pie- 10 namente adempiuto al mio dovere, che non consi- ste solo, come io l'intendo, in rifenre seccamente ciò che r accademia operò , ma in provar sodamente che questa non serve inutile corpo, come tanti altri, a conservare le semplici forme e l'omhra direi quasi del nostro splendor letterario d'un giorno, ma con- tribuisce tuttora al lustro ed al decoro di Roma , che fu mai sempre regina e maestra di tutto ciò che è veramente grande. Affinchè poi questa qual- siasi relazione proceda ordinata e meno tedii la vo- stra benigna attenzione, gentili uditori e colleghi, di- viderolla per ordine di materie, premettendo i temi religiosi , che in accademia romana , cattolica , e pontificia sono indispensabili, e devono occupare il primo luogo , quindi procedendo a render ragione degli scientifici, letterari ed artistici. Non può esservi istituzione veramente romana , che è dire nata nel centro e nella sede del catto- licismo, la quale non prenda i suoi auspicii dall'aiuto divino, ponendosi sotto la protezione di un qualche celeste avvocato. Fu perciò pietoso divisamento dei fondatori della nostra accademia porla sotto 1' im- mediato patrocinio di Maria SSma , e di ordinare che venissero in ogni anno celebrate le sue lodi in una solennissima tornata da tenersi il giorno 8 set- tembre sacro alla Natività di Lei. E siccome in ogni anno un eminentissimo porporato ne suol tessere le lodi, in questo quel luminare del S. Collegio, che è il cardinal Camillo Di-Pietro presidente del con- siglio di stato, fecesi a svolgere in un discorso ricco di erudizione e di tratti eloquentissimi l'incsauribil tema de'benefi/.i, che all'uman genere immerso nelle 11 T tenebre dell'ignoranza e nella bruttura dei vizi recò la novella era inaugurala dal nascimento di quella Vergine , da cui prese umana carne il Divino Ke- dentore degli uomini. Giustamente notò l'Emo dis- serente piuttosto che a quell'età primitiva favoleg- giata dai poeti, doversi attribuire il nome d'età del- l' oro alla nuova era che dal nascimento di Maiia prese origine , giacché solo con questa spuntò nel mondo insieme colla santissima religione fondata dairUomo-Dio l'aurora di quel regno di giustizia di amore e di pace, che durerà fino alla consumazione dei secoli. Lodato poi come savio e pietoso il pen- siero dei fondatori di quest' accademia, che la po- sero sotto gli auspici! di sì gran Madre, e determi- narono per celebrarne le lodi il giorno appunto in cui come astro di salute universale comparve e brillò sul tempestoso mare del mondo, concluse ora piiì che in altri tempi dover esser Maria 1' oggetto dei nostri canti, ora che dichiarata Pontificia quest'ac- cademia trovasi posta naturalmente sotto 1' imme- diata protezione di Colui, che col definirla senza macchia concetta adornò quel nome già da tutti benedetto di splendord novello. Ma la gloria indubitatamente più grande di Ma- ria Vergine fu l'esser Madre del Dio-Uomo, che col sagrifìzio di sé stesso redense dalla servitù del peccato e della morte il genere umano. Questo sublime mistero in quei giorni di tristezza nei quali la Chiesa vestita a lutto ne linnuova ogni annoia memoria ai fedeli, espose a noi coi più vivi colori che può dar 1' eloquenza , di cui è illustre maestro , monsignor Filippo Artico vescovo d' A- 12 sti (1). Bappresentato allo sguardo degli ascollanli più che alle orecchie parlato con ardito volo d'imma- ginazione il monte degli clivi, e l'amaro patire e la preghiera e il sudore di sangue nel Getsemani, l'illustro oratore dimostrò l'orrore sentito da Gesù per la vicina passione non esser cagionato solo dai patimenti ben- ché atrocissimi che se gli schieravan dinanzi , ma sopra tutto dall' obbrobrio dello scaricarsi sopra di lui, che è il Santo per essenza, il peso ignominioso di tutte le iniquità dell'universo, ch'egli per salvarci si addossò volontario. Personificò dipoi con energi- che vivissime pitture tratte dalla Bibbia le capitali colpe che Gesù espiò colle sue pene affiggendo so- pra la croce il fatai chirografo di morte, e final- mente ricondusse il pensiero degli ascoltanti al monte degli olivi, dove volto all'angelo che portò il calice delle colpe cangiato da Gesù Cristo in calice di re- denzione, il pregò, che da quel monte spiccato un ramoscello di olivo simbolo della sospirata pace, re- casselo all'angelo del Valicano, al regnante Pontefice Pio , onde si udisse risonar di nuovo e per sem- pre neir universo l'angelico cansolantissimo cantico in terra pax. Adempiuto così uo dovere che Taccademia Ti- berina ha comune con ogni istituzione cattolica, di render cioè omaggio ai misteri di nostra S- Reli- gione in quelle circostanze specialmente che dai suoi (1) Quest'illustre e ciotto prelato passò agli eterni riposi in Roma pochi giorni dopo letta la presente relazione, lasciando vivissimo desiderio di se in quanti ne ammirarono le elette e rare virtù. 1 13 fondatori furonle prestabilite, diessi volonterosa a compierne un altro, che particolarmente le incombe per principio di sua istituzione, di trattare cioè ar- gomenti che la città di Roma riguardino. E siccome talmente è immedesimato ormai nel concetto di Ro- ma quello del romano pontificato, che da piiì di 18 secoli ha sede in essa, che l'uno non possa agevol- mente concepirsi dall'altro disgiunto, così e per tal riguardo e per la nuova qualifica di Pontificia, della quale fu oia rivestila l'accademia nosti-a, acconcia- mente il eh. prof- canonico D. Raimondo Pigliacelli prese a svolgere in una delle solenni tornate di que- st'anno il tema: Essere il pontificato romano la prima e pili bella gloria di Roma. Ed accennò da principio all'alto decreto dell' Onnipotente, che nel provvedere alle sorti delle nazioni, per una serie di fatti singolari ed illustri permise che nelle tenebre del paganesimo Roma acquistasse l'imperio del mondo intero, onde in lei si trovasse preparata degna sede ai successori di Pietro, e da quella stessa città temuta e venerata un giorno come la dominatrice del mondo potesse pili efficacemente diffondersi su tutti i popoli la verità e la salute. Rivendicò con erudizione profonda e con rara forza di argomenti il duplice primato tanto d'onore che di giurisdizione del romano pon- tefice contro di quelli che in ogni tempo lo hanno avversato, ed enumerò per sonjmi capi, che la bre- vità di un discorso accademico noi permetteva in altra guisa, gl'insigni vantaggi, che a Roma son de- rivati dall'essere in lei la sode del pontificato su- premo della Chiesa di Dio. Dette finalmente alcune brevi parole di quei pontefici che più in opere di u beneficenza e di splendore per Roma si segnalarono, esortò tutti noi a prestare un omaggio di ricono- scenza e di devozione a quel Grande, che oggi se- dendo suli' incrollabile cattedra di Pietro, per le sue opere generose ed insigni ha emulato e forse sor- passato ì suoi più illustri predecessori. Ed uno appunto dei principali vantaggi recati alla città di Roma dai sommi pontefici monsignor Carlo Borgnana, segretario della s. visita apostolica, fé oggetto di erudito ed elegante ragionamento, che servì di appendice ad altro discorso recitato nell'an- no 1855, e nel quale si propose di dimostrare che Tornaraento di Roma considerato nei novelli ma- gnifici edifìzi surti laddove un giorno erano fabbri- cati ineguali, luridi all'aspetto ed. incomodi ad abi- tarsi, che deturpavano la città, rendeano anguste le vie e l'aria malsana, devesi soprattutto alle inces- santi cure dei papi. Giudiziosamente esaminò con quanto senno e prudenza riuscirono Sisto IV, Pio IV, e specialmente Gregorio XIII colla costituzione Qiiae piiblìce utilia, tuttora vigente nel foro, a sì salutare scopo, coH'ordinare in principio che venissero de- molili i quasi continui portici e quelle scale esterne degli edifizi che ingombravano le vie fino ad im- pedire il libero passaggio dei carri e dei cavalieri ; e coU'introdurre dipoi, avuto riguardo all'economi- che condizioni della società di quel tempo, il diritto di relrallo e di prelazione a favore di chi avesse di- chiarato voler comprare il fondo colla condizione di eseguirvi quei miglioramenti, che dalla legge erano stati ordinati. Finalmente osservò, che cangiate ora quelle economiche condizioni ed essendo le presenti 15 circostanze indubitatamente più favorevoli a tal sorta d'intraprese, sarebbe desiderabile venissero in qualche parte della costituzione di Gregorio XIII Quae publice utilia fatte delle variazioni ed aggiunte considerevoli. Ma se il romano pontificato è la prima e più bella gloria di Roma , della cattolica Chiesa e del pontificato splendida corona ed ornamento fu ed è ognora il clero, cui per divina istituzione è serbata la invidiabil sorte di spargere nell'universo la fede di Cristo, e colle opere, colla dottrina e coll'esem- pio predicare ed insegnare quella sublime morale, che forma a confessione stessa dei suoi nemici la più bella caratteristica della cristiana società- E rap- porto precisamente al miglioramento sociale con- siderò il chiericato monsignor Francesco Tavani cameriere segreto di Sua Santità, facendosi a dimo- strare, che prescindendo ancora dal miglioramento spirituale degli uomini che è il più principale scopo dell'istituzione del chiericato, questo o si consideri negli ordini regolari, o nel clero secolare, deve com- mendarsi altamente per l'opera, che sempre ha pre- stato assidua ed efficacissima ad arricchire di beni semplicemente materiali l'umana società. Enumerò le molteplici istituzioni di carità quasi del tutto ignorate dal mondo pagano, ed introdotte dai più eletti campioni del clero fin dai primordi della Chiesa, enumerò i vantaggi immensi recati da que- sto in ogni secolo, ma specialmente in quelli di ca- lamità generale e d'ignoranza, e nei luoghi dove non a tutti assisteva il coraggio di penetrare, al com- mercio, all' industria, all'agricoltura, alle scienze, alle 16 nrti, alla umanità sofferente ed inferma. Dopo tale rapida ma eloquente e vera dimostrazione fece voti perchè il raggio della verità giunga finalmente ad illuminare le menti di coloro, che tentano in ogni guisa di denigrare i ministri del santuario, ai quali e per Colui che rappresentano nel loro sacro mini- stero, e per Topera che dierono ognora valevolissima ai pubblici vantaggi, dovrebbesi in ogni tempo ve- nerazione e riconoscenza. Dai denigratori del clero forse non vanno dis- giunti per la medesimezza dello scopo, cui tendono, e delle arti che sogliono adoperare i detrattori della moderna Roma ; e l'accademia nostra non poteva lasciar costoro senza risposta. Questa nobile impresa assunse l' illustre av- cav. Andrea Barberi presidente annuale, in un discorso che intitolò Roma , in cui primieramente si accinse a dimostrare esser falsa l'opinione di quelli che slimano, non potersi dar piti la vigorosa ed eletta natura dei prischi ingegni, ma ten- der questa coll'andar dei secoli ad indebolirsi e sner- varsi : e concluse col dottissimo Muratori, che in ogni età possono nascere e nascono realmente siffatti in- gegni. Che se più in un secolo fiorir si veggano le scienze, in uno le lettere o le arti, in altro tutte languiscano le oneste discipline, o giugner si veg- gano insieme al più alto grado di perfezione, ciò uni- camente da esterne circostanze, e da mancanza di eccitamento, in niun modo da sostanziai difetto de- gli umani intelletti dipende. A Roma poi non fu mai difetto di grandi ingegni : né valser contro di lei quelle cause che altrove notammo poter esser d'impedimento al loro sviluppo, perchè tutto inRoma (7 è grande, e perchè la religione divina di cui è sede e centro, ne è per se stessa la più potente anima- trice. E quando anche, concludeva l'egregio disserente, quando anche il campidoglio e le meravigliose altre costruzioni di Roma dovessero divenire un giorno scherno e ludibrio del tempo volubile , e del van- dalismo furibondo de' suoi nemici , e il trapassare dei secoli altro non lasciasse di loro che frantumi e cenere, da quei frantumi e da quella cenere vita e gagliardia nuova prendendo al, potente fiato dei romani pontefici saprebbe Roma alto spiegare il volo nella spaziosa sfera dell'umano sapere, e confonder con eroici romani portenti la stolta e menzognera baldanza di chi osò impudentemente appellarla terra dei morti. Ma un tema più profondo e più interessante dal Iato scientifico ad illustrazione della storia fisica del Lazio, culla di Roma, prese a svolgere quell'infaticabile osservatore della natura del nostro suolo il dottor Giu- seppe Ponzi professore di anatomia comparata nella romana università. Questi, dopo avere nello scorso anno in altro ragionamento parlato del suolo di Roma, delineò in questo La storia naturale del Lazio- Arduo troppo per me, digiuno presso che affatto di tali stu- di, sarebbe qui riferire le diverse conclusioni di sì interessante discorso, che d'altronde trovasi messo a stampa a non lieve vantaggio della scienza e de'dotti. Basterà l'accennare che l'illustre professore dalla con- formazione del suolo , dalle moltiplici osservazioni geologiche, e dalle reliquie di esseri animali e ve- getali trovate in esso, potè con tutta ragione dedurre, esser corsi secoli di tranquillità e di calma dopo la G.A.T.CLXII. 2 18 catastrofe, a cui si deve la elevazione degli Apen- nini; a questa calma esser succeduta 1' epoca vul- canica , dalla quale fu preparato il suolo laziale , essenzialmente composto delle marne, sabbie e con- glomerati pliocenici coi loro respettivi fossili, tutti ricoperti dai banchi formati coi tufi prodotti dai vulcani sottomarini. Quindi venne a spiegare come la storia dei vulcani del Lazio può dividersi agevol- mente in tre epoche eruttive alternate con altret- tante di riposo; e poi, spenti i fuochi, i tempi che giunsero fino a noi costituirono una quarta epoca , che assolutamente può chiamarsi lacustre dai laghi formatisi nei crateri degli estinti vulcani. Di questa quarta epoca poi i due soli laghi d'Albano e di Nemi restano, e resteranno a testificare ai secoli futuri la costante loro esistenza fino dai tempi, in cui il vul- canismo cessò dal manifestarsi nel Lazio colle sue esterne conflagrazioni. E trascorrendo brevemente la storia di quest'ultima epoca lacustre, mostrò come la provvidenza divina avesse col lento lavoro dei se- coli e con tanti fenomeni della natura preparato sulla terra italiana un centro, da cui dovevano dif- fondersi sul rimanente universo le norme del viver religioso e civile. Epilogati così brevemente i soggetti che patrie istituzioni o monumenti riguardano, passando a dar ragione degli altri che unicamente scientifici devono appellarsi, non dubito dover dare il primo luogo a quelli che sottopongono alle speculazioni dello scien- ziato la più. mirabil parte dell'universo, i cieli, dalla cui sfolgorante eloquenza vengon narrate a noi per tutti i secoli le glorie del loro Creatore. Ed intorno 19 a questi si trattenne quell'illustre cultore delle astro- nomiche scienze il P. Angelo Secchi della compa- gnia di Gesù, direttore dell'osservatorio del collegio romano , il quale con uri altrettanto dotto quanto dilettevol discorso ci die cenno degl'innumerevoli e mirabili progressi recenti dell astronomia. Premise il chiarissimo astronomo , che se havvi scienza , cui sieno necessari immensi mezzi materiali, ella è l'astro- nomia ; poi percorrendo rapidamente i grandi pro- gressi di questa scienza negli ultimi anni, conside- rolli primieramente dal lato della perfezione e gran- diosità dei moderni strumenti applicati alla misura Sì del tempo e sì dello spazio ; ed osservò che a loro confronto quei più miracolosi, dei quali si servivano gli antichi, or sono divenuti oggetti di mero lusso e di semplice curiosità. Additò quindi come da tutto abbian saputo trarre partito gli astronomi per mi- gliorare le loro osservazioni, e dalla perfezione della meccanica , e dalle fisiche scoperte del telegrafo e della fotografìa. Annoverò gì' immensi edifizi sparsi su tutta la superfìcie del globo destinati a questa scienza e la schiera numerosa dei suoi cultori; e di- mostrò che non minori a tanti sforzi e spese sono stati i frutti ritratti ; giacché il numero delle re- centi scoperte non cede, ma è immensamente supe- riore alle antiche , e la loro importanza è somma tanto neir ordine puramente scientifico , quanto in quello sociale ed economico, specialmente pei van- taggi recati alla nautica, ed alla geografia. Data no- tizia finalmente dei più celebri osservatore d'Europa e d'America, trasse a favore della nostra Italia questa onorevolissima conseguenza , che cioè avendo essa 20 in ogni capitale de'suoi stati uno o piiì osservatorii, sebbene il numero dei suoi astronomi collettiva- mente preso eguagli appena quello degli astronomi addetti ad un solo osservatorio straniero , e possa disporre di mezzi assai limitati , anche in questa , come in tutte le altre scienze, e per 1' accuratezza delle osservazioni e per la fortuna delle scoperte mai è rimasta inferiore, spesso superiore alle altre nazioni. Concluse coll'accennare le mirabili scoperte dell'a- stronomia siderale, che se non ci rivelano ancora la struttura dei cieli, ci fanno però tanto apprendere di quelle maraviglie da doverci veramente rallegrare di vivere in un secolo , ove tanti naturali portenti sono stati dischiusi all'umano intelletto. Né lo studio sublime e nobilissimo dei cieli oc- cupò una sola delle nostre accademiche tornate ; che r altro illustre romano astronomo ab- Ignazio Calandrelli, professore d'astronomia, membro del col- legio filosofico e direttore dell'osservatorio della ro- mana università, parlò a noi Delle opinioni suWan- tichità della sfera celeste. Premesse alcune brevi os- servazioni sulle utilità, che le ricerche archeologiche di uomini dottissimi han recato all'astronomia, scien- za che dai piiì remoti secoli fu in onore presso grandi nazioni , discese il chiarissimo disserente a confutare la chimerica invenzione del Bailly intorno ai famosi atlantidi, popolo antidiluviano, dal quale se- condo costui attinsero dipoi le piìi alte verità astro- nomiche le genti posteriori al diluvio per mezzo delle tradizioni , e dei monumenti che grazie alla loro partìcolar conformazione e solidità poterono re- sistere alla violenza delle acque. Quindi anche colla 21 testimonianza del Bernoulli nella sua Storia della Polare dinìostrò non potersi contrastare ai cinesi la gloria di avere i primi di tutti i popoli (anche pre- scindendo dalle loro favole) fissato il polo, e poco più tardi immaginata una sfera con orizzonte, meri- diano ed equatore. Dai cinesi dunque secondo ogni probabilità dovettero ricevere queste nozioni gl'in- diani ed i persiani, mentre dalle notizie astronomi- che ritratte dai monumenti di questi popoli fino a noi pervenuti, è facile rilevare i caratteri dell' imitazione anzi delia corruzione di quei veri ritrovati dai ci- nesi , per farli servire alle loro goffe superstizioni ed alle fole dell'astrologia giudiziai-ia. Dalle scienze naturali facendo passaggio alle spe- culative, mi sarà facile dimostrarvi, non minori frutti aver colto nel loro campo la nostra accademia. Ed il primo luogo certamente fra questi merita il profondo ragionamento del chiarissimo P- Giam- battista Pianciani della compagnia di Gesù Intorìw alle forze motrici ; sul quale noi ci tratterremo meno che non ne avremmo desiderio, appunto perchè già s' ebbe ad inci-emento delle severe discipline, ed a lustro della nostra accademia, l'onor della stampa. In questo discorso il non mai abbastanza encomiato disserente, spiegato p)ima in che consista la forza motrice, e qual ne sia la natura; e riconosciuta in noi pel senso inlimo la sola volontà capace di pro- durla, e argomentando per analogia dover ciò av- verarsi egualmente nei nostri simili, e negli animali bruti, ne dedusse non potersi concepire forza mo- trice senza concepire insieme una volontà efficace 22 0(1 una virtù che vuole. Fissata questa verità fagli facile mostrar fino all' evidenza 1' assurdità dei sistemi di coloro , i quali o nell' antichità o in tempi più a noi vicini , per ispiegare il fenomeno di quelle forze motrici che indipendenti dalla volontà sembrano risedere nella materia , nel veder questa di per se determinata al moto o conservarsi in esso, ricorsero altri ad un anima universale facendo del mondo un immenso animale, altri a ritener per tale la sola terra, altri a popolare di spiriti che li gui- dassero i corpi celesti, altri, specialmente moderni, a sostituire semplici cause secondarie alla prima cau- sa, od a dimostrare contro la ragione e l'evidenza, poter la materia da per se stessa determinarsi al movimento. Concluse non potersi ragionevolmente trovare altra spiegazione di tali fenomeni fuor della volontà e della legge del Creatore : donde sorge una novella luminosa prova dell'esistenza cfi un' intelligenza infinita, nella cui volontà efficacis- sima perchè onnipotente ritrovar solo si può l'unica cagione di ogni forza motrice, che si osservi nella materia, indipendente dalla volontà dell'uomo. Affinchè poi non si stimasse occuparci noi so- lamente intorno a metafisiche speculazioni poco gra- dite al nostro secolo immerso tutto nella cura di ciò che suol recare materiale vantaggio; ma eviden- tentemente apparisse darsi da quest'accademia vale- volissima opera anche all' incremento di tali studi, il chiarissimo avvocato Felice Maria des fardins consi- gliere annuale dell'accademia nel suo secondo discorso Srìle armonie economiche di Federigo bastial svolse ed 23 illustrò di queste quella parte, che deternìina la no- zione del valore e della ricchezza. Egli già nel suo pri- mo ragionamento letto alla nostra accademia nell'anno scorso die un cenno della teoria, per mezzo della quale il Bastiat prese a stabilire tutta intiera la scienza eco- nomica sul principio dell'armonìa sociale, cioè sull'ac- cordo reciproco di ogni legittimo interesse di tutti e di ciascuno; e stabilita la distinzione fondamentale del sisteuìa fra la utilità gratuita e la onerosa, ven- ne col presente a determinare secondo quelle pre- messe la teoria della pubblica e della privata ric- chezza, oggetto principale dell'economica scienza. E posta come per base la distinzione della ricchezza privata dalla pubblica o sociale, della ricchezza asso- luta ed effettiva da quella semplicemente relativa , e della nozione di valore da quella di utilità, sag- giamente avvertì mal ritenersi nel vero senso eco- nomico ricca quella società, dove abbondano il lusso, le gemme, i metalli preziosi, ed ogni commodità e grandezza nelle mani di pochi individui, mentre il maggior numero geme nella miseria, dalla quale non vale a trarlo la più opprimente fatica ; ma ricca è quella veramente dove abbenchè per avventura quei brillanti oggetti non abbondino, che sogliono comu- nemente qualificarsi col titolo di ricchezze, e meno d' esterior lustro apparisca, non v'ha d'altronde una classe poverissima a fronte di un' altra ricchissima, e può ciascuno soddisfare pienamente ai biso- gni propri e della famiglia per mezzo di un lavoro, che serva più ad esercitare che a fiaccare le forze- Prese finalmente il dottissimo giureconsulto a com- battere lo strano errore di quelli economisti , che 24 affermano, per mezzo degli ostacoli posti alla pro- duzione accrescersi la forza produttiva, e con questa la ricchezza;e siccome costoro a tali arrischiate e pres- soché ridicole conclusioni son costretti a discendere col loro malaugurato sistema, quali essi slessi non che di mettere in pratica non ardirebbero pur di proferire , die termine con quelle eloquenti parole del Bastiat, colle quali prende a confutare il sistema di quelli, che fanno l'apoteosi dell'ostacolo colla stra- nezza appunto e coH'assurdità delle conseguenze, che deriverebbero dalle premesse teorie. Altro punto principalissimo delle scienze econo- miche trattò r illustrissimo e reverendissimo monsi- gnor Francesco Pontini, decano dei prelati chierici di camera, sviluppando in un dotto ragionamento le nozioni Del commercio e del monopolio; soggetto tanto più interessante ai nostri giorni, in quanto i mag- giori vizi dei vigenti sistemi economici hanno ap- punto origine dalla falsa nozione che si ha del com- mercio , sostituendo in sua vece la protezione e il monopolio. Colla scorta delle sagre carte dimostrò l'origine del commercio fino dai primi capi del Ge- nesi, e com'esso debbasi considerare quale elemento necessario della vita sociale degli uomini; imperoc- ché non può essere a meno che questi di lor natura sociali, per i moltiplici bisogni spesso eccedenti le facoltà di ciascun individuo, debbano porsi in rela- zione coi lor simili onde ottener quelle cose, delle quali abbisognano, o divider cogli altri quelle che posseggono di superfluo dopo aver soddisfatto alle proprie necessità- Osservò come si dilunghino dai principii del giusto e dell'onesto coloro, che prcten- 25 dono esercitare il commei'cio in modo diverso da quello istituito dal Creatore dell'universo, o inceppan- done il libero sviluppo col famoso sistema del pro- tezionismo come l'appellano, o facendo che dal com- mercio reso privilegiata operazione di pochi indivi- dui piuttosto che vantaggio, danno ne ridondi alla società. E questo ò quei vizio anzi delitto gravis- simo nell'esercizio del commercio che dicesi mono- polio, perchè tende a snaturarne lo scopo, ordinando a vantaggio strabocchevole di pochi individui e a danno dei più ciò che per sua natura è istituito ad universale vantaggio. Die termine al gravissimo di- scorso col recitare le auree parole della legge Un. Cod. de monopoliis: « Si quis antem monopoUnm au- sus fiieril exercere, bonis propriìs expoliatus perpetiù- tate damneliiv exilii » ; parole , che contenendo una delle più savie disposizioni del diritto romano, do- vrebbero con pubblica soddisfazione e generale van- taggio in così tristi tempi richiamarsi in vigore nelle attuali legislazioni. Nello stesso vastissimo campo della sociale eco- nomia, soddisfacendo insieme ad altro dovere che ha la nostra accademia di trattar soggetti d'agricoltura, si rimase monsignor Lodovico lacobini, cameriere se- greto di Sua Santità, facendosi a ricercare quale dei sistemi del lavoro agricola eserciti migliore influsso sulla vita spirituale e materiale della società. Data in principio esatta notizia dei due sistemi, che di- vidono gli economisti intorno al lavoro agricola , cioè della piccola e della grande coltura, con irrefra- gabili documenti statistici dimostrò, doversi la urìma 2>6 preferire all'altra, anche avtilo riguardo al numero ed alla qualità dei materiali vantaggi; e fece notare con somma avvedutezza, non doversi solo avere in mira di ritrarre il maggior prodotto possibile colla minor possibile spesa, scopo unico di quella scuola di economisti, che fonte unica delle ricchezze stima le produzioni della terra, al che tende precipuamente la grande coltura; ma che il prodotto sia in modo diviso, che ne senta giovamento la intera massa so- ciale, ciò che evidentemente s'ottiene per mezzo delia piccola coltura , venendo per essa a formarsi un maggior numero di proprietari che partecipano di quei vantaggi. Osservò dipoi ingannarsi a partito co- loro che a rigettare il sistema della piccola coltura recano per esempio Io stato miserabile dell'Irlanda; giacché questo deve ripetersi da ragioni notissime e diverse assai da quelle , che adducono costoro : e può d'altronde contrapporsi a questo 1' esempio co- stante della Francia, delle Fiandre e dell'Italia, dove essendo in vigore generalmente il sistema della pic- cola coltura, questa vi produce tai frutti da disgra- darne certamente Tlnghil terra tanto tenace sosteni- trice del sistema contrario. Disse infine non doversi trascurare dall'accorto e savio economista la vita ed il migliorameato spirituale della società: e trasse da questa considerazione una novella ragione da dover preferire la piccola coltura, mentre per mezzo ap- punto di questa, che favorisce la maggior distribu- zione e divisione delle proprietà agricole, si accre- sce il numero dei veri conservatori della società, e si propaga e mantiene viva la moralità e la reli- gione. 27 Fra i temi puramente scientifici e puramente let- tei'ari altri ve n' hanno che né all' una ne all' altra specie interamente appartengono, mentre in essi o ti'attasi sotto forma letterai'ia un soggetto scienti- fico, o si fanno scientifiche osservazioni intorno ad opere letterarie- A questo genere intermedio ascri- ver si debbono i lavori del prof. Paolo Volpicelli , e del Rmo P. Carlo Vercellone procurator generale dei chierici regolari barnabiti. Il chiarissimo prof- Volpicelli si propose di far risaltare alcune verità fi- siche della divina Commedia, analizzando in una delle solenni tornate sotto il punto di vista della moderna fisica gli undici primi canti dell'Inferno- Le fisiche dottrine rilevate in questi con isquisita ed ingegnosa perspicacia dall'autore, sono principalmente le seguen- ti : 1.*^ La somiglianza del suono e della luce; 2." Le stelle costituire altrettanti soli ; 3-° La misura del tempo esser fondata sull'apparente moto solare ; 4." La teoria dei galleggianti dipendere dalla gravità spe- cifica ; 5-° La luce venire assorbita dai mezzi pei quali si propaga ; 6.° Il suono consistere nel moto ondula- torio ; 7." La luce propagarsi in ogni direzione ; 8-° L' impenetrabilità esser necessaria alla comunicazione del moto ; 9-° Il sistema planetario esser da una sola forza governato; 10-° L'etere essere distribuito in tutto lo spazio ; 11." La luce riflettersi non solo specular- mente, ma eziandio irregolarmente e ditfusamente ; 12.° Il vento dipendere dalle variazioni di tempe- ratura, ed altre parecchie Notò quindi l'illustre pro- fessore come talvolta, benché raramente, nascano dei sublimi ingegni , ai quali è concesso prevedere ed annunziare alcune verità che in qualsiasi scìen- 28 za sono state più secoli dopo per opera di al- tri sommi uomini discoperte , e dienne ad ammi- rare un mirabile esempio nell'eletta ed impareggia- bil mente di Dante Alighieri; con che il lod. pro- fessor Volpicelli evidentemente mostrò, quanto bene si accoppii in lui alla profonda scienza fìsica, della quale è valentissimo maestro, 1' amore alla bella e soda letteratura e la venerazione pel più grande de- gli umani intelletti che abbian fatto onore all'Italia, anzi al mondo. Il chiarissimo P. Carlo Vercellone, nome celebre nel mondo letterario per i suoi profondi studi sulle sagre carte, Intorno alle antiche traduzioni della Bib- bia tenne ragionamento eruditissimo in una delle no- stre ordinarie tornate; il qual ragionamento avendo promesso l'illustre autore di pubblicar colla slampa, mi consola veramente, gentili uditori, potervi dar tale annunzio, che varrà a compensare in qualche modo la brevità della mia relazione. Dimostrò in primo luogo il dottissimo disserente, una sola essere stata l'antica traduzione della Bibbia fatta dal greco nel latino , di cui si servì la Chiesa latina fino al se- colo ottavo, e da ciò detta Itala', dall'ottavo secolo in poi per giustissime ragioni essere stata adottata esclusivamente la Volgata di s. Girolamo tradotta dall'ebraico, come apparisce dai diversi brani di quella citati dai primi padri della Chiesa. Passò a rasse- gna gli studi fatti sui padri dei primi secoli per rintracciare in essi gli sparsi frammenti dell' Itala, i cui interi esemplari andaron miseramente per- duti , e ragionò della loro utilità sì per la critica biblica, sì per l'intelligenza di quei padri che l'ebbero I 29 sotto gli occhi nella compilazione delle loro opere, sì per le ricchezze che si possono da lei derivare nella filologia latina. Annunziò finalmente l'interes- sante scoperta da lui fatta (({uantunque con rara mo- destia l'attribuisse, più che alle sue incessanti fati- che, al mero caso) in un codice della biblioteca va- ticana di vari brani dell' Itala, coi quali si può in gran parte supplire alle mancanze che molte ancora di questa rimangono. Per queste scientifiche e severe investigazioni però non furono abbandonate le amene lettere , che da principio formarono esse sole l'occupazione di quasi tutti i corpi accademici della nostra patria ; e che se esclusivamente coltivate darebbero a questi tempi poca vita ad un' accademia, unite in armonioso con- certo colla coltura delle scienze, occupando il posto che loro conviene, come ne formano l'ornamento , così servono massimamente ad ingentilire la società ed a mostrare il progresso e la civiltà delle nazioni. E siccome primo elemento di ogni genere di lette- ratura debbono certamente ritenersi le lingue, in un erudito e brillante Discorso storico-filologico intorno alle quattro lingue italiana francese inglese spagniiola, che in giovanissima età con rara perfezione possiede, ne tessè a noi l'origine, la storia e la diversa natura il eh. dott. Paolo lamer professore delle medesime. In questo discorso , diviso in due parti e già dato alle stampe, v'ha varietà e ricchezza di erudizione, e profondità non comune di criterio- Tracciasi nella prima parte la storia dei singoli linguaggi rimon- tando alle loro prime origini , e scendendo fino al massimo loro perfezionamento, toccando di tanto in 30 tanto eleganti questioni filologiche, ed appunti con- cernenti i loro principali maestri e scrittori. Nella seconda si va diligentemente investigando il mecca- nismo di quelle , se ne analizzano i rapporti colla lingua latina, e si pongono quindi a parallelo fra loro notandone ingegnosamente le vicendevoli discrepanze costituite principalmente dagl'idiotismi. È aggiunto in fine un terzo parallelo, nel quale posta in com- parazione la lingua italiana con le tre emule sorelle, n'esce quella sotto ogni rapporto trionfante. Da ultimo si chiude il bellissimo discorso con accurate osserva- zioni fisiologiche sul tipo delle rispettive nazioni, de- dotte dalla natura dei loro linguaggi. Il pili utile lamo di letteratura , e forse il più antico, dacché i canti dei primi poeti null'altro scopo avessero che quello di tramandare alla posterità e di celebrare le azioni degli eroi, è senza dubbio la storia: ed a fare che l'accademia Tiberina anche que- sta non trascurasse, provvide l'illustre continuator de- gli annali d'Italia ab. cav- Antonio Coppi, uno dei fondatori ed istoriografo perpetuo della nostra acca- demia, leggendone Un frammento inedito di storia mo- derna contenente il principio degli annali d'Italia del- l'anno 1848: frammento storico interessantissimo per le vicende politiche, che in quell'anno tutta quasi Europa sconvolsero. Giacche il partito liberale, che negli anni precedenti aveva agitato varie nazioni di questa, nel 1848 le pose interamente sossopra: sì che la storia moderna può giustamente in gran parte ap- pellarsi la storia delle rivoluzioni. Trascorse rapida- mente gli avvenimenti di Francia dalla caduta della dinastia d'Orleans all'elezione a presidente della re- 31 pubblica di Luigi Napoleone Bonapaite , parlò dei movimenti avvenuti nel Belgio, nei Paesi Bassi, nel- l'Inghilterra, nella Svizzera: narrò le agitazioni della Germania, l'origine della guerra d'Ungheria, gli ef- fetti della costituzione unitaria concessa dall'impera- tor Ferdinando d'Austria ai suoi popoli di varie lin- gue, l'abdicazione di questo, e l'assunzione del re- gnante Francesco Giuseppe. E fu doloroso invero , che mentre il discorso procedeva a narrare gli av- venimenti della nostra penisola , fosse trascorso il tempo che ad accademica tornata suolsi concedere. Soggetti semplicemente letterari od artistici pre- sero a trattare i soci ab. D. Giacomo Radlinski professore di storia universale nel conservatorio di Milano , prof. Giuseppe Ignazio Montanari , Emilio Malvolti, e cav. Gaspare Servi. Il primo di questi ab. Giacomo Radlinski, noto già per molti egregi la- vori dati alle stampe, si studiò di provare in un elo- quente discorso che la letteratura romana è let- teratura originale , e non come si ritiene da alcuni una copia di quella dei greci. Dimostrò non poter essere che i signori del mondo fossero plagiari ; ri- pugnarvi la loro stessa natura- E portando per esem- pio e prova del suo assunto l'ammirabile epopea di Virgilio, ne dipinse con verità ed eleganza la bel- lezza e soprattutto la originalità; donde avvenne che dipoi l'immenso Dante postosi a lottare con tutti i pregiudizi del tempo, fissando la nuova lingua d'Ita- lia e volendola innalzare per primo alla dignità dell'epopea, cercò farsi perdonare il suo ardimento prendendo Virgilio per suo duce e maestro. Il prof- Giuseppe Ignazio Montanari, facendo egli 32 pure soggetto di un ragionamento letto in una so- lenne adunanza il poeta mantovano, con isquisita erudizione critica ed eleganza si provò di rilevare La cagione più probabilej che indusse Virgilio a comari' dare per testamento che la sua Eneide fosse arsa. Ri- gettate dappriina come insussistenti ed indegne del grande animo di Virgilio le opinioni di quelli, che ritengono avere il poeta stimato quel suo lavoro in- degno di sopravvivergli come imperfetto e mancante delle ultime cure : e di quegli altri che non sanno vedere altro scopo di quel divino poema se non l'adu- lare Augusto , e preparar la grandezza e l'assoluto potere di lui nella repubblica: passò a dimostrare come non potendosi immaginare scopo di tanto la- voro che non fosse veramente alto e politico, quale l'ebbero tutte le altre opere anche minori di Virgi- lio, questo si deve con massima probabilità riporre nell'intento di affezionare i romani alle cose orien- tali ed alla bella origine del troiano Cesare , e ciò per compiacere ad Augusto che riputò un tempo ne- cessario, come già era passato nella mente di Ce- sare, il tramutar da Roma nell'Asia la sede dell'im- pero. Avvedutosi dipoi Virgilio, non esser piiJ quel tramutamento della sede dell'impero nella mente di Augusto che non la stimò più profìcua ai suoi di- segni, e forse la vide pericolosa alla conservazione del suo potere, nò potendo d'altronde per l'immi- nente fin di sua vita dare altra direzione al suo poe- ma, credette conveniente, come di opera imperfetta e più non avente degno fine, ordinarne la distruzione. Il eh. sig. Emilio Malvolti, consigliere annuale del- l'accademia, trattò Dei teatri antichi e moderni, e della 33 declamazione con erudizione ammirabile e giustis- simo criterio. Si trattenne prima lungamente in tracciare le origini del teatro, e la storia dei prin- cipali teatri di Grecia e di Roma, scendendo fino alle più particolari notizie dei costumi delle scene e dei diversi generi di rappresentazioni, che si ese- guivano in essi. Accennò brevemente alcune cose intorno ai così detti Misteri, che si rappresentavano nel medio evo: e passò finalmente a parlare della ristorazione dei teatro nei tempi moderni, rivendi- cando air Italia nostra l' invenzione del dramma propriamente detto, e lanciando severe parole con- tro coloro , che privi di una profonda cognizione del cuore umano e sforniti di mezzi letterari, e dei principii pili veri dell' arte, si pongono a scriver commedie o drammi, che risultano poi tanto inve- rosimili e strani da venir giustamente male accolti dal buon senso e squisito gusto italiano. Artistico fu l'elegantissimo discorso del eh. roma- no architetto cav. Gaspare Servi, consigliere annuale dell'accademia, Sopra un bassorilievo dello scultore Bi- setti rappresentante il giudizio universale. Enunciate in breve prolusione le nozioni del bello e del sublime nelle arti, e veduto come il concetto del giudizio uni- versale sia per se stesso sublime, ragionò brevemente di coloro, che in pittura o scultura con maggior feli- cità lo trattarono. Né poteva non annoverarsi, come ognun vede, principe fra questi il divino Michelangelo Buonarroti pel famoso giudizio dipinto in una parete della cappella Sistina. Meritamente però si notò dal eh. disserente, che in questo si amerebbe non ve- dere alcuna allusione alla pagana mitologia, non po- G.A.T.CLXIl. 3 34 tendo essere a meno, che dal contrasto dei dogmi della nostra santissima religione colle favole del paganesimo si formi un non so che di disarmonico e di disgustoso agli occhi dei fedeli. Per lo che deve ritenersi per prima regola d'arte in tali lavori, che il soggetto religioso venga religiosamente trat- tato- Fatta quindi particolareggiata e vivissima de-' scrizione dell' opera del Bisetti, scultore piemontese che da 25 anni dà opera solertissima in Roma alla beli' arte della scultura, dimostrò come questi abbia saputo mirabilmente sfuggire quell' errore che si riprende in Michelangelo e ne'suoi contemporanei, avendo trattato religiosamente insieme e con subli- mità filosofica ed arte squisita un tanto soggetto; e concluse che quando le arti belle vengono incorag- giate ed onorate , non può mancare che special- mente in Italia non producano frutti invidiabili e sublimi. La eletta schiera degli accademici, che co' loro dotti lavori hanno in quest'anno contribuito al mag- gior lustro della nostra accademia, non poteva me- glio esser chiusa che col nome dell' illustre prof, Niccola Cavalieri San-Bertolo, membro del collegio filosofico della romana università, tesoriere annuale dell' accademia, il quale nell' ultima tornata solenne con rara erudizione ed eleganza ne parlò DelVorigine dello spirilo e delVulililà delle istituzioni accademiche. E dall'osservare che queste, quantunque sotto forme o nomi diversi, pure hanno sempre fiorito laddove furono tenute in onore le oneste discipline, anche nei primordi delle civili società, dedusse non potersi dubitare della loro utilità, anzi doversi considerare come elementi essenziali di una società ben costi- tuita e civile. Tratteggiò quindi con ìsquisila eru- dizione la storia di queste letterarie riunioni, inco- minciando dalla famosa accademia d' Atene , dalla quale tutte le altre così poi si denominarono: e pro- seguendo a dar brevi cenni e dell'alessandrina d'E- gitto che Horì massimamente sotto Tolomeo Fila- delfo, e di quelle riunioni di dottissimi uomini, che più tardi sotto Augusto ed i seguenti imperatori so- levano tenersi nelle pubbliche e nelle private bi- blioteche concesse da doviziosi mecenati all'uso dei dotti , ed alle scienli6che e lelterdrie discussioni. Compianta dipoi la funesta ignoranza dei secoli che seguirono la caduta dell' impero d' occidente , discese ai tempi della ristorazione degli sludi , che inaugurata da Carlo Magno , che istituì nella stessa sua reggia una specie di accademia , rag- giunse qualche secolo dopo il pili alto scopo, quando le corti specialmente degl' italiani principi servi- rono di convegno onorevole ai dotti di quel tempo, e questi , cresciuto V amore degli studi , si die- dero a formare quel numero immenso di accade- mie, intorno alle quali non si va errati nel dire che dal principio del secolo XIV presente età ascese- ro fino a mille quelle ^che fiorirono nella nostra Italia. Nel dar ragione finalmente delle diverse de- nominazioni, che per servire al genio di quel!' età queste accademie presero, o dal nome dei lor fon- datori, 0 dallo studio particolare, a cui eran dedi- cate, 0 dalla città o dal fiume che correva presso alla città della lor culla, lodò giustamente il gentil pensiero degl' illustri fondatori di questa nostra , 36 che naia in Roma la voller chiamare Tiberina dal famoso fiume Tevere testimonio di tanti splendidi fatti, dei quali andò gloriosa un giorno questa città regina del mondo. E dette alcune cose in lode di questa, che ora può dirsi a buon dritto una delle principali d'Italia, concluse non poter mancare, che queste società di dotti, quando fedeli si conservino alle loro leggi fondamentali, né deviino dallo scopo della loro istituzione, producano immensi frutti ad incremento delle scienze, delle lettere e delle arti belle, ed a gloria delle città, dove nacquero e furono in fiore. Terminate così di epilogare quanto meglio , e con quanta maggior brevità per me si è potuto le prose lette nell' anno 1859 alla nostra Pontificia Accademia Tiberina, vorrei che l'officio mio si esten- desse pure a dir di coloro, che alla gravità dei temi scientifici e delle lucubrazioni letterarie con bella gara alternarono l'amenità della poesia ; mercechè avrei grande argomento per dimostrare, non disprez- zarsi appo noi, ne languire la coltura della elegante e buona poesia. Che se un giorno il ripetuto e mediocre verseggiare arcadico die giusta ragion di schernire e di gridare all' inutilità e stucchevolezza delle nostre accademie, smesso è il vizioso costume, ed il servigio nobilissimo che ne prestano al pre- sente le muse, è di gran lunga migliore- Giacché, anche prescindendo dalla scelta dei componimenti e dal buon gusto dell' invenzione e dello stile tor- nato in fiore, gratissimo ed ameno ufficio prestano le poesie alternando le piij gravi materie colla soa- vità del verso, senza occupar quella parte principa- 37 lissima , che a scapito del vero incremento dello scienze e del vantaggio reale dei corpi accademici solevano occupale nei tempi passati. Ad adempire interamente il mio ufficio or non mi resta che dar relazione di quei nostri soci , che in quest' anno ci abbandonarono per salire a vita migliore, e della cui morte ci pervenne notizia: e di quegli altri, per fortuna più numerosi d'assaij che arricchirono de' loro nomi il nosti'o accade- mico albo. Dobbiamo dunque deplorare la perdita fra i soci onorari dell' Emo e Rmo cardinal Chia- rissimo Falconieri , fra i soci corrispondenti della sig'*. Massimina Fantastici Rosellini di Firenze , della sig"^*. Lucia Confortini Zambusi di Padova, e del sig. D^ Francesco Benedetti di Napoli (1). D' altra parte però venne il numero dei nostri ac- cademici considerevolmente accresciuto coli' accla- mazione a soci onorari di Sua Eccellenza monsig. Camillo Amici ministro del commercio e dei lavori publici, e di S. E il marchese Matteo Antici Maltei senatore di Roma; coH'ammissione fra i soci residenti di monsig. Francesco Nardi uditore della S. ro- mana rota; del dott. Paolo Jamer professore di lingua italia- na, francese, inglese e spagnuola; del cav. Benedetto Viale-Prelà professore di clinica membro del collegio medico della romana univer- sità; (1) Si aggiunga a queste la perdita fatta di mons. Filippo Artico vescovo d'Asti, nostro socio corrispondente. 38 ■ f?el sig. Domenico Lancia, e del conte cav. Gaetano Batlaglini; fra i socii corrispondenti dell' ab- Em. Domenech missionario apostolico al' Texas e Messico in Parigi; del prof. Raffaele Rossi di Urbania professor di eloquenza nel liceo di Meldola; del P- Luigi Meddi delle scuole pie; della sig'*. Maria Alinda Bonacci di Foligno ; del sig. Mariano Grassi di Aci-reale in Sicilia; del sig- Alessandro Guillemin antico avvocato alla corte di cassaziorie e consiglio di stato in Parigi; dell' ab- Cataldo Cavallaro dottore in filosofia e medicina in Palermo; del can. Aristide Sala di Milano; del prof. Filippo Balbi pittore in Trisulti, e dell'avv. Roberto De-Mascellis in Napoli. AI fine del mio lavoro, accademici valorosi, gen- tili uditori, altro non mi rimane che d'atlestarvF la immensa gratitudine , che nutrirò eterna verso dt voi e per 1' onore a me già da parecchi anni com- partito di ascrivermi a questo dotto ed illustre con- sesso , e per l'altro ancora più lusinghiero, col quale mi chiamaste in quest' anno vostro segreta- rio- Mi lusingo che la somma vostra bontà per me voglia compatire alla poca capacità, colla quale ho adempiuto al mio incarico, ed accogliere benigna- mente, qual' essa è, la troppo prolissa ed incolta rela- zione, che ho avuto V onore di leggervi. Quando questa non sia interamente per increscervi , andrà superbo d' aver potut oprovare con argomenti di fatto irrefragabili, non appartenere la nostra Tibe- 39 Hiia accademia al numero di quelle , cui ragione- volmente può darsi il nome d' inutili; mentre essa ha degnamente e con ogni sua possa corrisposto al desi- derio del grande Pontefice Pio IX, che nel dichiararla Pontificia volle infonderle vita e lena a proseguire, co- me già per lo passato, nella sua lodevole e splendida carriera, onde attestar luminosamente, che Roma come della religione e della civiltà, è ancor maestra al mondo delle scienze, delle lettere, e delle arti belle* 40 Catalogo dei bibliotecariy calledratici, e teologi del collegio Casanalense nel convento della Minerva dell'ordine dei ■predicatori in Roma, dal principio della fondazione sino al presente, raccolto da sicuri documenti, e corredato di note biografiche , cro- ììologiche , e bibliografiche. Per il p. Alberto Gu- glielmotti delV istesso collegio. PROEMIO I 1 celebre cardinale GIROLAMO CASANATA , bi- bliotecario di santa Chiesa, scriveva nel suo testa- mento che sin dal primo giorno quando fu promosso alla porpora avea seco stesso deliberato di mante- nersi coi frutti de'suoi beni patrimoniali, e di mettere da parte quanto dalla Chiesa gli verrebbe di rendite e benefìzi, per restituirlo in fine della vita alla Chiesa, divisando fondare una pubblica biblioteca in Roma per vantaggio di chiunque vorrebbe approfittare nelle lettere, e rendersi abile alla difesa della religione. Diceva eziandio che per la stima sua ed amor grande verso l'inclito ordine di san Domenico, e verso l'in- concussa dottrina di san Tommaso da lui professata e dai domenicani sempre difesa , chiamava il loro principal convento della Minerva erede universale di tutto il suo avere , eccetto i beni laicali posseduti nel regno di Napoli. Ordinava quindi che i sei mag- giori prelati dell'Ordine istesso, residenti in Roma (cioè il padre Generale, il Maestro del sacro palaz- zo, il Commissario del santo Offizio, il Segretario del- l'Indice , il Procuratore generale , e il Priore della 41 Minerva) sarebbero Cuialori per[)etui dell' opera: ai medesimi pigliar possesso de' beni, descrivere 1' in- ventario , tener registro delle rendite , separarle da ogni altra amministrazione del convento , eleggere gli uflfìciali, curar la compra dei libri e manoscritti, interpretar le regole da lui stabilite, e aggiungerne delle altre per il maggior benefìcio dell'opera stessa- Lasciava ottanta mila scudi di capitale, quasi cinque mila di rendita, e venticinque mila volumi di scel- tissimi libri: che, uniti nella già esistente biblioteca della Minerva, e per le continue diligentissime cure dei padri domenicani sempre accresciuti, sono giunti a tale numero, e di così raro pregio rispetto all'ec- cellenza delle opere, delle edizioni e dei manoscritti, da rendere famoso il nome della Casanatense tra le prime biblioteche d' Europa. Disponeva inoltre che colle sue rendite si doves- sero sempre mantenere due bibliotecari domenicani, presi da qualunque nazione; maestri nelle loro Provin- cie, dotti, studiosi, pelili di libri, abili a tale ufficio. E similmente ( perchè la rendita pingue e soprab- bondante il comportava ) che si conduces5ero in Roma due domenicani , professori di teologia , di qualunque provincia o nazione, dotti ed eruditi , a insegnar la dommatica e la morale sul testo di san Tommaso, presso la Biblioteca medesima, ogni giorno che questa sarebbe aperta al pubblico, tanto la mattina che la sera, per chiunque laico od eccle- siastico vorrebbe udiine le lezioni. Finalmente isti- tuiva un collegio di sei teologi, scelti dalle sei na- zioni, italiana, spagnuola, francese, inglese, belgica, e germanica, tra i più celebri maestri domenicani 42 delle nazioni medesime, che dopo essere stali reg- genti negli studi generali del loro ordine, o professori nelle più rinomale università d'Europa, godrebbero dentro e fuori opinione di gran dottrina. A questi prescriveva che , sciolti da ogni altra obbligazione della comunità, dovessero stanziare all'ospizio pres- so il padre Generale, studiare nella biblioteca, con- ferir tra loro, scrivere opere di momento^ difendere la verità, e sostenere la Chiesa universale, e le ec- clesiastiche congregazioni romane. Così ebbe origine il collegio dei bibliotecari , cattedratici, e teologi; che presero a chiamarsi Ca- sanatensi dal nome dell' illustre fondatore. Il cardinal Girolamo morì ai tre di marzo del mille settecento: giorno che i padri della Minerva < massime del collegio Casanatense, sempre ricordano tra i funebri uffici pregando la pace e l'eterna glo- ria al Benemerito- Il suo nome è in benedizioni presso la posterità; e 1' esempio, se non può essere da ciascuno seguito, deve essere da tutti ammira- to- Le ceneri riposano nella basilica lateranense, il cuore alla Minerva. L'anno seguente, governando la Chiesa di Dio papa Clemente XI, e l'ordine domenicano il padre Antonino Cloche maestro generale a vita, aperta per la prima volta al pubblico la grandiosa sala della Biblioteca, comparvero schierati nei loro gradi i padri del colle- gio, che sino al presente (nonostante la miseria de'tem- pi e la perdita delle rendite), corrispondendo sempre la fede dei padri Domenicani ai grandiosi disegni dell* Eminentissimo fondatore, pur si mantiene, conforme ai tre seguenti cataloghi, il cui principio è l'anno 1700. CATALOGO DEI BIBLIOTECARI CASANATENSI BCE MAESTBI DOMENICANI, SCELTI DA QUALUNQUE NAZIONE, PER DIRIGERE E CUSTODIRE LA PUBBLICA BIBLIOTECA. 1700. P. M. RAFFAELE MARIA FILAMONDO, na- politano : teologo , oratore e poeta- Dette alla luce molte produzioni del suo ingegno. La Rettorica pe' sacri oratori; le Memorie storiche dei capitani celebri del regno di Napoli ; il Viaggio de' missionari domeni- cani nella Tarlaria- Da Clemente XI fatto vescovo di Sessa nel 1705, morì in età pro- vetta r anno 1717 , secondo 1' Echard ; o nel 1706, secondo 1' Ughelli. P. M. CARLO MARIA LASGARIS, di sangue imperiale venuto di Grecia in Italia, ove 1 suoi maggiori ebbero la contea di Ventimi- glia e di Tenda: nato a Nizza di Provenza. Nel 1700 bibliotecario Gasanatense,e nel 1711 vescovo di Spoleto. Si hanno a stampa le sue lettere pastorali: e manoscritte nella can- celleria vescovile di Spoleto cinque volumi di preziose Memorie intorno alla stessa città e diocesi. Morì d'anni settantatrò nel 1727. N. B. Filaraondo lascia l'ufficio di bibliotecario promosso al vescovato di Sessa nel 1705. 44 1705. P. M. LASCARIS. P.M. GIACINTO AMAI DE GRAVESON, della nobile famiglia degli Amàt avignonesi, si- gnori del castello di Graveson, nato nel 1670, è notissimo scrittore di teologia e di storia ecclesiastica. Fu pubblicata in Venezia l'an- no 1740 r edizione di tutte le sue opere latine in sette volumi- Promosso a teologo Casanatense, morì in ufficio nel 1734- N. B. Graveson promosso a teologo Casanatense in fine dell'anno 1706. 1706. P. M. LASCARIS. P. M. GIAN RENEDETTO ZUANNELLI ve- neto. Si hanno" a stampa alcune sue ora- zioni academiche- Eletto maestro del sacro Palazzo nel 1728, morì in Roma l'anno 1738. N. B. Lascaris vescovo di Spoleto neiri711. 1711. P. M. ZUANNELLI. P. M. TOMMASO MINORELLI padovano. La- vorò agli annali dell'ordine di san Domeni- co. Scrisse la vita di san Pio; e la prefazione all' opere di Riagio Cariotìlo stampata in Roma in 4.° 1718. Le polemiche in lingua francese uscite dai torchi col suo nome, in materia di Riti cinesi, sono stimate apocrife dall'Echard. Morì nell'ufficio l'anno 1733. N. B. Zuannelli maestro del sacro Palazzo 1728. 1728. P. M. MINORELLI. P. M. GIAN DOMENICO AGNANI modanese. Autore di pii!i opere filosofiche e fìsiche, tra 45 le quali la Filosofia Neo-Palèa, in 4.* Ro- ma 1718. Per gli egregi suoi meriti fu pror- mosso al magistcrio in sacra teologia nel ca- pitolo generale del 1721, come si legge negli atti medesimi per la provincia di Lombardia, Morì in Roma l'anno 1746. N. B. Minorelli muore 1733, 1733. P. M. AGNANI. P. M. PIO TOMMASO SCHIARA alessandri- no. Scrisse le lodi di santa Caterina dei Ric- ci: ed 11 parere sopra il libro intitolato Vin- diciae Maupertuisianae- Egli pose la prima mano al grandioso Catalogo casanatense, e preparò la materia all'Audiffredi, come que- sti riconosce nel proemio dell' istesso Ca- talogo. Fu 'segretario dell' Indice nel 175.9, maestro del sacro Palazzo nel 1779, tnorì d'anni novantuno nel 1781. N. B. Agnani muore, 1746. 1746. P. M. SCHIARA. P. M. TOMMASO MARIA MAMACCHI, della regia stirpe di Lusignano, nato nell' isola di Scio l'anno 1713, ma professo nel convento di san Marco a Firenze: notissimo scrittore di antichità e di stoiia sacra. L'opera sua prin- cipale sono i venti libri delle Origini ed Antichità cristiane, delle quali non pubblicò che i primi cinque volumi. Lungo sarebbe noverare ad una ad una le molte e dotte sue produzioni. Lavorò agli Annali dcirOr' 46 dine domenicano; fece stampare anonima la Storia dei martiri tunchinesi del suo tempo; scrisse contro Eybel e contro Febronio. Promosso a teologo Casanatense nel 17494 poscia a maestro del sacro Palazzo nel 1781, morì di anni settantanove nel 1792. N. B. Mamacchi promosso a teologo Casanaten- se nel 1749. 1749. P. M- SCHIARA. P. M. GIAN BATTISTA AUDIFFREDI, di antica e nobile famiglia nato a Saorgio nel contado di Nizza. Uno dei piiì grandi bi- bliografi del suo tempo. Stampò opere di erudizione, di numismatica, di astronomia. Ravvivò questo studio in Roma quasi spento. 1 suoi lavori intorno alle Edizioni romane ed alle italiche del quattrocento; ed i suoi cinque grandi volumi del Catalogo de'libri stampati che sono alla Casanatense , ser- vono di modello e son ricerchi da'dotti. Morì di anni ottanta nel 1794. N. B. Schiara segretario dell'Indice, 1759, 1759. P. M. AUDIFFREDI. P. M. DOMENICO GIUSTINIANI nobile ro- mano, coadiutore delTAudiffredi che nei re- gistri della Casanatense di luì si loda. Ni B. Giustiniani muore nel 1775. 1775 P- M. AUDIFFREDI. P. M. FILIPPO ANGELICO BECCHETTI, nato a Bologna nel 1742. Tra molte sue opere è 47 conosciutissirna la Storia ecclesiastica in cori' tinuazione del cardinale Orsi. Ora si stam^ pano in Roma gli inediti manoscritti da lui lasciati alla Casanatense. Questi contengono la Storia degli ultimi quattro secoli della Chiesa, sino al decimottavo. Eletto teologo dai padri Curatori nel 1788, da Pio VI se- gretario dell' indice nel 1794 , da Pio VII vescovo della Pieve nel 1800, morì in Ro- ma nel 1814. N. B. Becchetti promosso a teologo Casana- tense nel 1788. 1788. P. M. AUDIFFREDI. P. M. FRANCESCO SAVERIO TIMONI , di Arezzo. Venne in Roma quando il suo con- vento fu soppresso dal granduca Leopoldo I. Ebbe il posto di bibliotecario a richiesta dell'Audiffredi, il quale nelle prefazioni al catalogo casanatense ne ricorda l'assistenza, la perizia , e il valore , dicendo che nel discoprire gli inganni e gli errori de' tipo- grafi non avea pari al suo tempo, né si la- sciava uccellare- Die saggio dell'arte, stam- pando la Descrizione del roccoletto fatta da un dilettante di caccia in 4° Roma 1787. N. B. Audiffredi muore 1794. 1794- P. M. TIMONI. P. M. GIACOMO ALRERTO MAGNO di Ci- vitavecchia, ultimo rampollo della sua rag- guardevole famiglia. Resse la biblioteca per quasi mezzo secolo, e due volte da gravi 48 pericoli la preservò. Scrisse tutto di sua mano in tre grossi volumi il Catalogo ragio- nalo delle edizioni principi, custodite a parte nelle camere della Casanatense- Raccolse in un altro volume, parimente manoscritto, le Memorie storiche del suo tempo- Giunto a decrepitezza, nel 1840 rinunziò l'ufficio: fa- cendosi coscienza (dilicatissimo com'era) di goderne i frutti, quando non poteva più por- tarne il carico con quella diligenza con che l'aveva sempre tenuto. Morì di anni oltanta- trè nel 1841. N. B. Sul finire del secolo, i repubblicani di Fran- cia impiantarono la repubblica romana. Indi la prigionia di Pio VI, e la dispersione dei .claustrali. In quel tempo morì Timoni, 1798. 1798. P. M. vaca P. M, MAGNO. N. B. Per la predelta ragione Magno restò solo in ufficio: e non potendo avere il collega eletto dai superiori nelle dovute forme, con- dusse seco il padre lettore Giuseppe Faraldi di Mentone, che fu poscia professore di teo- logia dogmatica nella romana università. Così stette sino alla ripristinazione, che per la Casanalense fu nel 1802. 1802. P. M. MAGNO. P. M. PIETRO MASDÈA calabrese , altret- tanto deforme d'aspetto che colto d'ingegno: profondo teologo e canonista, dotto di Greco e di Ebraico, ravvivò questi studi in Roma, ed ebbe a discepoli i chiarissimi professori de- 49 Dominiois ed Olivieri. Teologo di più car- dinali, ammirato nelle primarie congrega- zioni. Morì in Roma l'anno 1808. N. B. Masdèa muore, 1808. 1808. P. M. MAGNO. P. M. GIUSEPPE AIRENTI, nato a Dulcedo nella Liguria: erudito, e di molta destrezza negli affari. Stampò 1' Orazione funebre di Carlo Felice di Savoia, le Osservazioni sulla tavola peulingeriana in 8.° Roma 1809, e le Ricerche storico-critiche intorno alla tol- leranza religiosa degli antichi romani, in 8,° Genova 1819. Promosso a teologo Casana- lense nel 1816, a vescovo di Savona nel 1820, ad arcivescovo di Genova nel 1830. Morì nel 1831. N. B. Occupata Roma dall'esercito imperiale di Francia , e vlispersi per la seconda volta i claustrali, dovette l'Airenti ridursi nella sua Liguria. Nel 1816, tornato in Roma, fu promosso a teologo. Magno restò solo per la seconda volta nel 1809. 1809. P. M. MAGNO. P. M. vaca N. B. In questo tempo e per le dette ragioni il padre Magno chiamò per secondo bilioteca- rio il padre lettore Domenico Buttaoni, che fu poscia dai curatori confermato nel 1816. 1816. P. M. MAGNO. P. M. DOMENICO BUTTAONI. Nato alla Tol- fa nella diocesi di Civitavecchia di una fa- GA.T.CLXII. 4 50 miglia primaria di quella terra, d' onde di- versi vescovi e prelati. Non scrisse mai, né stampò; sempre negli affari- Compagno del suo padre Generale, visitò i conventi di Si- cilia e di Piemonte. Promosso a teologo Casanatense nel 1826, successe al padre Velzi nel magisterio del sacro palazzo quando que- sti fu promosso alla porpora nel 1832. Morì in Roma di anni ottantaquattro nel 1859. ÌN. B. Buttaoni teologo Casanatense nel 1826. 1826. P. M. MAGNO. P. M. ANTONINO DEGOLA, ligure, facile ed erudito. Segretario della congregazione dell' indice nel 1832, rinunziò nel 1849. Ottenne per breve pontificio neiri850 essere teologo Casanatense ad onore. Morì in Roma d'anni settantanove nel 1856. N. B. Degola segretario dell'indice nel! 832, 1832. P. M. MAGNO. P. M. GIUSEPPE MENNINI, romano- Scrisse de'riti e delle cerimonie della chiesa in tre volumi per le stampe di Lucca ; e la se- conda edizione per quelle d'Orvieto. Sem- pre infermo, rinunziò l'ufficio nel 1839, Morì quinquagenario nel 1853. N- B. Mennini rinunzia nel 1839. 1839. P. M. MAGNO. M. GIACINT nella Liguria, nato l'anno 1805. Molto si ado P- M. GIACINTO DE-FERRARIS di Oneglia 51 però a vantaggio della biblioteca: rinnovò il catalogo dei manoscritti e il supplemento degli stampati: riprese e fortificò l'ala setten- trionale della muraglia che minacciava rovi- na: racconciò gli armadi, accrebbe le camere- Scrisse e pubblicò molti suoi lavori: ora- zioni accademiche, discorsi sacri, e le isti- tuzioni filosofiche in tre volumi. Fu dipoi cattedratico Casanatense , e dal regnante pontefice Pio IX eletto commissario della romana inquisizione. Vive. N. B. Magno rinunzia nel 1840. 1840. P. M. DE-FERRARIS. P. M. vaca N. B. 11 secondo bibliotecario non fu eletto che che dopo la morte di Magno nel 1841. 1841. P. M. DE-FERRARIS. P. M. GIAN DOMENICO BOERI ligure, d'in- gegno acre e profondo. Imprese a stampare tutte in un corpo le opere edite ed inedite del cardinal Pallavicino , corredate di sue prefazioni e note: ne pubblicò in Roma due volumi. Si preparava co' suoi studi a mi- glior fortuna, quando la morte il colse nella fresca età d' anni quarantacinque- N. B. Boeri muore, nel 18S0. 1850. P. M. DE-FERRARIS. P. M. PIER DOMENICO MODENA. Nulo l'anno 1806 a Sanremo in Ligui'ia Minor fra- 52 tello del più noto e reverendissimo padre Angelo Vincenzo Modena professore alla ro- mana università , e segretario dell' indice- Buon economo, accresce il censo della libre- ria. Vive- N. B. De-Ferraris eletto cattedratico Casapa- tense nel 1850. 1850. P. M. PIER DOMENICO MODENA- P. M. GIROLAMO GIGLI. Nato in Calabria l'anno 1800- Dotto e profondo in ogni ramo di scienze sacre. Già reggente degli studi a Napoli e a Bologna. Di lui si hanno a stam- pa alcune orazioni accademiche; e molti de' suoi lavori furono ammirati nelle romane congregazioni, ove rimangono sepolti- Eletto cattedratico l'islesso anno 1850, promosso a teologo nel 1856, e dal regnante Pontefice innalzato al magistero del sacro palazzo- Vive- N. B. Gigli cattedratico nel dicembre dell'i- stesso 1850. 1850. P. M. PIER DOMENICO MODENA P. M. ALBERTO GUGLIELMOTTI- Nato ai tre di febbraio 1812 , di antica famiglia scritta ai primi onori nella città di Civita- vecchia- Prese l'abito domenicano in Roma l'anno 1827- Lettore di filosofia e matema- tica, die principio al gabinetto fisico, che è venuto crescendo a decoro del collegio dei domenicani di Roma. Reggente degli 53 studi alla Minerva. Stampò le memorie delle missioni e dei martiri tunchinesi. Curò l'e- dizione postuma della storia di Civitavec- chia, scritta dall'arcivescovo Annovazzi; e vi aggiunse lo. statuto municipale. Pubblicò di- verse operette. Ha in punto perla stampa la Storia della marina pontificia in cinque volumi. Promosso a teologo Casanaten- se. Vive. N. B. Guglielmotti teologo nel 1859. 1859. P. M. PIER DOMENICO MODENA. P. M. VINCENZO MARIA GATTI, nato alla Riva presso Taggia l'anno 1809. Autore di più operette. Stampò due volumi di polemica intorno al principio cattolico e protestante- Prepara un corso di filosofìa di religione. Vive. N» B. Così al primo gennaio 1860. CATALGO DEI CATTEDRATICI CASANATENSI DUE PROFESSORI DESTINATI A DARE PUBBLICHE LEZIONI DI SACRA TEOLOGIA SUL TESTO DI SAN TOMMASO PRESSO LA BIBLIOTECA MEDESIMA. 1700. P. M. ANTONINO MASSOULIÉ , tolosano , nato ai ventotto ottobre 1632, uno dei più grandi teologi del suo tempo, e gran mae- stro di lingue orientali. Scrisse in latino e in francese opere dotte : Sulla grazia, li- bero arbitrio. Interpretazione di san Tom- maso. Confutò quietisti e giansenisti. Qui si vuol ricordare l'orazione latina da lui re- citata quando si aprì per la prima volta la scuola istituita dal cardinal Casanata per la spiegazione del testo di san Tommaso : stampata in 4°- Roma 1701. Promosso a teo- logo nel 1702. Morì nel gennaio del 1706. P. M. SELLERI, perugino, professore di gran vaglia sulla cattedra, ammirato nelle pri- marie congregazioni , confessore di papa Clemente XI, segretario dell'indice nel 1707, maestro del sacro palazzo nel 1711, cardi- nale del titolo di sant'Agostino nel 1728 , morì d'anni settantaquattro nel 1729. Stam- pò la difesa della bolla Unigenitus , otto volumi in i°; e due altri lavori sui concili 55 e sui riti della Chiesa , in occasione del sinodo romano di Benedetto XIII. N. B. Massoulié lascia l'officio di cattedratica, promosso a teologo Casanatense nel 1702. 1702. P. M. SELLERI. P. M. FRANCESCO D' ENTRAIGUE , della provincia Occitana, già molto avanti negli anni , che infermatosi ebbe a supplente il padre maestro Antonio Abad reggente della Minerva. Morì nel 1704. N. B. D'Entra igue muore, 1704. 1704. P. M. SELLERI. P. M. ANTONIO BARDON, provenzale, nato a Marsiglia. Dottore della Sorbona. Stampò sotto il nome di Francolino un'opera storica, critica e morale intorno al rigorismo. Morì circa il 1730 Si legge che il venerabile De- Rossi soleva frequentare le scuole della Mi- nerva per udire le lezioni del padre Bardon. N. B. Selleri segretario dell'indice, 1707. 1707. P. M. BARDON. P. M. DOMENICO SERVIZIATI, romano, del quale è frequente menzione nelle Memorie manoscritte del padre De-Pretis, che si con- servano nell'archivio deli' ordine. È la sua firma agli atti del capitolo generale, celebra- to in Bologna nel 1706, come difinitore della provincia romana. N. B. Serviziati esce d'ufficio, eletto provin- ciale romano 1707. 56 1707. P. M. BARDOlN. P. M. NICCOLO' MARIA DI-GENNARO, mes- sinese, nato nel 1670. Si hanno di lui più opere a stannpa : Orazioni sacre , Trattati morali, delle usure, dello stato religioso e la polemica contro gli atomi redivivi. Morì circa il 1714. N. B. Di-Gennaro rinunzia. 1707. 1707. P. M. BARDON. P. M VITTORIO MAZZOCCA, della provincia lombarda. Reggente a Bologna. Firmò gli - atti del capitolo generale di Roma del 1721 come ex-provinciale e difinilore di Lom- bardia. Partì da Roma nell'agosto del 1709 per essere vicario di santo Spirito in Ge- nova. N. B. Mazzocca rinunzia nel 1709. 1709. P. M. BARDON. P. M. TOMMASO MAGLIUOLI di Aversa presso Napoli. Rinunziò nel 1711. N. B. Magliuoli rinunzia 1711. 1711. P. M. BARDON. P. M. ANTONIO CAMARDA, messinese- Stam- pò in Roma la Sposizione delle regole del dritto canonico, ed il Compendio delle de- cretali dal primo al sesto libro. Da Bene- detto XIII eletto vescovo di Rieti- N. B. Camarda vescovo, 1724. 57 1724. P. M. BAKDON. P. M. VINCENZO MARIA FERRETTI, anco- nitano della famiglia dei conti di Castelfer- retto. Ebbe le prime cariche della sua re- ligione. Procurator generale, vicario di tutto l'ordine, e presidente di due capitoli gene- rali. Morì l'anno 1757. N. B. Bardon rinunzia 1726. 1726. P. M. FERRETTI. P. M. GIACINTO FEDERICO TOCCOLI, della provincia di Lombardia, nato a Parma, morì m Roma d'anni sessanta nel 1740. Valente in cattedra. Le sue lodi scrisse in una let- tera a stampa il padre maestro Schiara. 1!^. B. Ferretti promosso, 1732. 1732. P. M. TOCCOLI. P. M. GIUSEPPE AGOSTINO ORSI. Autore di molte e pregevoli opere che sono Ira le mani di tutti, specialmente della notissima Storia ecclesiastica. Segretario dell' indice nel 1738, maestro del sacro Palazzo nel 1749, cardinale del titolo di san Sisto nel 1759, morì in Roma di anni 69 nel 1761. N. B. Orsi segretario dell' indice, 1738. 1738. P. M. TOCCOLI. P. M. ANDREA MONZONI, da Carrara. Eletto mentre era baccelliero alla Minerva, come risulta dagli atti, sotto il dì quattro dicem- bre 1738. Rinunziò nel 1756. N. B. Toccoli muore nel 1740. 58 1740. P. M. MONZONI. P. M. GIUSPPE MUNOZ spagmiolo, reggente alla Minerva, dottore nella università di Sa- ragozza, e compagno del generale per gli affari di Spagna. N. B. Mufioz promosso, 1742. 1742. P. M. MONZONI, P. M. GIAN TOMMASO DI BOXADORS, no- bile barcellonese , educato alla corte del- l'ìmperadore in Vienna. Consigliere aulico. A trent'anni, lasciata la diplomazia, prese l'abito domenicano nel convento di Peru- gia. Bell'ingegno, nobil cuore, graziose ma- niere. Stampò in un volume i Privilegi ca- nonicali, di che gode l'ordine de'predicatori: scrisse' piij altre cose dotte ed erudite. Teo- logo Casanatense , provinciale dì Spagna , generale dei predicatori, cardinale di santa Chiesa. Morì d'anni settantasette nel 1780. N. B. Boxadors teologo Casanatense nel 17S1. 1751. P. M- MONZONI. P. M. VINCENZO DINELLI , lucchese , nato nel 1711 , profondo ed erudito. Scrisse di regole grammaticali , di casi di coscienza: confutò il giansenismo, rispose alle difficoltà de' probabilisti con due sermoni anonimi stampati a Verona nel 1744. Per questa ed altre querele fu dimesso, e mandato lettore a Città di Castello nel 1760. Morì nel 1795. N. B. Monzoni vicario dell'ospizio nel 1756. i 59 1756. P. M. DINELLI. P. M. ANDREA HÉRAUD, nizzardo. Dalla pro- vincia tolosana passato alla veneta. Già reg- gente nello studio di Treviso. Morì in uf- ficio l'anno 1767. N. B. Dinelli dimesso nel 1760. 1760. P. M. HÉRAUD. P. M. GIACINTO MARIA RONFIGLI , pie- montese, che nel 1779 fu promosso a teolo- go Casanatense, enei 1781 a segretario del- l'indice. N. B. Héraud muore nel 1767. 1767. P. M. RONFIGLI. P. M. GIACOMO RODKIN, irlandese di nascita, ma vestito dell'abito domenicano e professo pel convento di Gradi presso Viterbo- Reg- gente nel collegio di san Tommaso a Napoli. Firmò gli atti del capitolo generale , cele- brato in Roma l'anno 1777, come provinciale romano. Morì in Viterbo nel mese di lu- glio del 1786. N. B. Bonfigli teologo, 1779. 1779. P. M. BODKIN. P. M. VINCENZO TRAFFANL N. B. Bodkin muore, 1786. 1786. P. M. TRAFFANI. P. L. GIUSEPPE DELLA SANTINA , sup- plente. N. B. Sino al 1787- 60 1787. P. M. TRAFFANI. P. M. TOMMASO MARIA MANCINI da Città di Castello , che fu teologo casanatense nel 1802, e segretario dell'indice nel 1807, morì di anni ottanta nel 1719. N. B. Traffani muore nel 1791. 1791. P. M. MANCINI. P. M. TOMMASO NATTA dei marchesi del Cerro, nato in Casale di Monferrato, ni- pote di monsignor Tommaso Natta arcive- scovo di Cagliari, e del cardinal Enrichetto, ambedue domenicani. N. B. Nelle vicende del 1798 Natta fu obbli- gato ad allontanarsi da Roma. Riaperti i Conventi, promosso Mancini a teologo Ca- sanatense e non ritornato Natta , la con- gregazione dei curatori decretò sotto il dì dodici febbraio 1802, che si dovesse dif- ferire l'elezione dei nuovi Cattedratici per il tempo che si sarebbero ricuperate le rendite primitive , e quando la biblioteca non avrebbe maggiori bisogni rispetto al- l'acquisto dei libri. Allora i due primi pro- fessori del collegio di san Tommaso detta- rono le loro lezioni sul testo dell'Angelico, come già facevano i cattedratici Casanaten- ti. E, nonostante la nomina del padre mae- stro GIAN BATTISTA CHIESA nel 1707 , l'ufficio dei cattedratici restò vacante sino allSSO. 1850. P. M. GIACINTO DE-FERRAIS, già biblo- tecario, com' è detto. 61 P. M. GIROLAMO GIGLI , già bibliotecatio come sopra. N. B. Gigli, prima di essere promosso a teologo Casanatense nel 1856, e a maestro del sa- cro Palazzo nel 18S9, rinunzia l'oiEcio di cattedratico nel 1851. 1851. P. M. DE-FERRARIS. P. M. FILIPPO GCIDL Nato a Bologna nel 1815. Professore a Vienna nel 1857. Espone il testo di san Tommaso con gran plauso in quella famosa università, ove per pontificio rescritto ritiene il titolo gli onori e i diritti di cat- tedratico Casanatense. Vive. N B. De-Ferraris promosso a commissario, 1851. 1851. P. M. GUIDI. P. M. MICHELE MILELLA. Nato a Bari nella Puglia l'anno 1815. Fratello del prelato che porta l'istesso onorevole e nobii cognome in Roma. A richiesta del re delle due Sicilie eletto , e consecrato vescovo di Teramo nel 1859 Vive, N. B. Milella vescovo di Teramo, 1859. 1859. P. M. GUIDI. Professore a Vienna. P. M. vaca. N. B. Così a dì primo gennaio 1860. CATALOGO DEI TEOLOGI CASANATENSI «EI PRINCIPALISSIMI MAESTRI DELL'oRDINE DOMENICANO, BIDNITI IN COLLEGIO PRESSO LA STESSA BIBLIOTECA, PER ADOPERARSI CON LO STUDIO E CON LA PENNA A TANTAGGIO DELLA CHIESA. N. B. Essi sono di sei diverse nazioni nell'ordine se- guente, come è detto nel Proemio. 1. ITALIANA. . . Comprese Je isole circostanti. 2. SPAGNUOLA. . Col Portogallo e le Indie occidentali. 3. FRANCESE. . . Con le sue colonie. 4. INGLESE. . . . Compresa l'Irlanda e la Scozia. 5. BELGICA. ... E insieme l'Olanda e il tratto del Reno. 6. GERMANNICA. Estesa sino all'Ungheria e alla Polonia. 1700. - 1. P. M. GIUSEPPE TABAGLIO, nato a Piacenza , già reggente degli studi a Bo- logna , autore quantunque anonimo delle Proposte e delle Risposte nella famosa con- troversia dei riti cinesi- Procuratore ge- nerale dei domenicani nel 1703. Commis- sario della romana inquisizione nel 1706. Colpito d'apoplesia nel 1713. Rinunziò ogni ufficio , e morì in Piacenza nel 1714. 2. P. M. AGOSTINO PIPIA, nato in Sardegna, ma vestito novizio per la provincia d'Ara- gona nel convento di Maiorica. Già reggente degli studi alla Minerva in Roma. Scrisse le Censure sopra le proposizioni diQuesnello. Scrisse un corso di lezioni teologiche sul- 63 rincarnazione del Verbo: queste MSS. nella libreria privata della Minerva, quelle MSS. negli archivi delle romane congregazioni. Stampò molte sue lettere encicliche. Se- gretario dell'indice sotto Clemente XI, ge- nerale dei domenicani nel 1714, cardinale di santa Chiesa nel 1724, vescovo d'Osimo, morì nel 1730. P. M. GIACINTO SERRY, figlio del proto- medico della marineria francese. Nato a To- lone di Provenza. Dottore della Sorbona. Stampò la Storia delle celebri congregazioni De Aiixilns. Le Repliche alla medesima. Le Esercitazioni storiche, critiche e polemiche suir incarnazione di Cristo. In somma qua- rantasette opere d'ogni genere, ristampate tutte insieme a Lione nel 1770, in tre vo- lumi in foglio. Condotto dal senato venezia- no per professore a Padova, ivi insegnò per molti anni con gran concorso e plauso. Ri- nunziò il teologato Casanatense nel 1702; e morì ottuagenario in Padova 1738. P. M. PATRIZIO PLUNKETT, irlandese del convento di Roscommon. Dottor sorbonico. definitole per la provincia di Irlanda nei capitoli generali del 1706 , 1721 , e 1725. Censore degli scritti del P. Graveson , ai quali appose la sua firma. Dettò più opere: qualcuna ne stampò anonima , come af- ferma il P. Burke neWHibernìa Dominicana. Morì nel 1728. Dai registri della Casana- tense apparisce il suo nome scritto dalla 64 slessa sua mano in quattro diverse forme, Plonchet, Plonquet, Plonket, Plunkett. lo se- guo quest'ultima, secondo l'ortografìa del ci- tato P.Burke:e in avvenire il lettore avviserà da se le scorrezioni dei nomi oltramontani. 5. P. M. NORBERTO D'ELBEQUE, nato all'Aia, professore a Lovanio. Ebbe molto le mani nelle stampe, or sue, or altrui con sue note prefazioni e riscontri. Curò in Anversa le opere del Silvio, in Roma la morale di Na- tale Alessandro, di nuovo in Anversa la se- conda edizione del Serry. Alcune sue opere minori possono vedersi nella Casanatense. Noialo del clima di Roma, rinunziò l'ufficio nel 1707. Morì nel Belgio 1714. 6. P. M. GIOVANNI DAMASCENO LUBINIE- CKI della provincia di Polonia, per la quale nel capitolo generale del 1686 fu promosso ai gradi del magisteiio. Teologo Casanaten- se, e per suoi meriti provinciale di Polo- nia, lasciò Roma nel 1704- N. B. Serry rinunzia nel 1702. 1702. - 1. P. M. TABAGLIO. 2. P. M. PIPIA. 3. P. M. ANTONINO MASSOULIÈ. Tolosano , eletto in luogo del Serry a di 9 novem- bre 1702. Già cattedratico Casanatense, co- me è detto. Aggiungo sol questo che compì l'opera del P. Conlenson intitolata Teolo- gia dello spirito e del Cuore. Morì in ufficio l'anno 1706- 65 L P. M. PLUNKETT. 5. P. M. D'ELBECQUE. 6. P. M. LUBINIECKI. N. B. Tabaglio procurator generale 1703. 1703. - 1. P. M. PAOLO MARIA GAL VINI, niz- zardo: dall'Echard e da altri per equivoco chiamato Cannini. Già reggente di Bologna. Stampò tre volumi in foglio di Metafisica, tre di Questioni teologiche. Scrisse per le conferenze del collegio Gasanatense il trat- tatello dell'Ordinamento d'ogni atto umano a Dio come a fine ultimo. MS. alla Gasa- natense X. VII. 56. Insieme coi suoi col- leghi Pipia ed Oswald fu deputato dal ca- pitolo generale di Bologna a rivedere, ap- provare, e sottoscrivere gli atti del medesi- mo. Morì in ufficio nel 1717. 2. P. M. PIPIA. 3. P. M. MaSSOULIÈ. 4. P. M. PLUNKETT. 5. P. M. D'ELBEGQUE. 6. P. M LLBINIEGKL ^ N. B. Lubiniecki provinciale di Polonia 1704. 1704 - 1. P. M. GAUVINI. 2. P. M. PIPIA. 3. P. M. MASSOULIÈ. 4. P. M. PLUNKETT. 5. P. M. D'ELBEGQUE. 6. P. M. ALBERTO OSWALD, tedesco, delk città di Magonza. Scrisse in due volumi lo Spicilegio filosofico; in 8.° Golonia 1691 E G.A.T.GLXIL l 66 io Roma il trattatello dell'Indifferenza negli alti umani. Come uno dei tre uomini egregi (secondo la consuetudine e legge dei dome- nicani) approvò e sottoscrisse, con i padri Cauvini e Pipia suoi colleghi , gli atti del capitolo generale celebrato in Bologna. No- minato provinciale di Germania , rinunziò all'ufficio nel 1708. N. B. Masssoulié muore in ufficio 1706. 1706. - 1. P. M. CAUVINI. 2. P. M. PIPIA. 3. P. M. GIACINTO AMAI DE GRAVESON, sue ceduto al P. Massouliè, come esso conferma nella prefazione alle opere sue. Già biblio- tecario, come è detto. Forse supplì per al- cuno dei cattedratici, ma non fu mai eletto a quest'ufficio: e ciò risulta dagli atti del- la congregazione Casanatense- Morì 1' an- no 1734. 4. P. M. PLUNKETT. 5. P. M. D'ELBECQUE. 6. P. M. OSWALD. N. B. D'Elbecque provinciale del Belgio 1707. 1707. - 1. P. M. CAUVINI. 2. P. M. PIPIA. 3. P. M. DE GRAVESON. 4. P. xM. PLUNKETT. 5. P. M. NORBERTO VAN BILSEN di Boisle- duc in Fiandra. Stampò molte sue Tesi fi- losofiche e teologiche: un opera sulla Grazia. Rinunziò [ler salute nel 1709. Sottoscrisse 1708. - 2. P. 3. P 4. P 5. P 6, P 67 gli atti del capitolo generale di Bologna nel 1725, come priore provinciale del Belgio, o della Germania inferiore, come usavano nei bassi tempi, e usano tuttavia chiamarlo i domenicani. Morì nel 1727. 6. P. M. OSWALD. N. B. Oswald provinciale di Germania 1708. 1. P. M. CAUVINI. M. PIPIA. M. DE GRAVESON. M. PLUNKETT. M. VAN BILSEN. M. BERNARDO DRIESCH , della pro- vincia teutonica , promosso prima d' ogni altro ai gradi del magistero nel capitolo generale del 170(). Già reggente degli studi a Colonia. Poco stette in ufficio: richiamato dalla sua provincia, lasciò Roma. N. B. Van Bilsen rinunzia 1709. Driesch richiamato 1709. 1709. - 1. P. M. CAUVINI. 2. P. M. PIPIA. 3. P. M. DE GRAVESON. 4. P. M. PLUNKETT. 5. P. M. NICCOLO' JANICOT, certamente della provincia belgica. Dottore sorbonico- Né possiamo altro dire di lui , come pur di alcuni della Germania superiore ed inferiore, perchè la lunga separazione delle stesse Pro- vincie dall'autorità immediala dei generali di Roma ci ha privali e tuttavia ne priva delle loro notizie. 68 6. P. M. ANTONIO OFFMAN,ieiesco della pro- vincia di Boemia; del quale non sappiamo se non l'elezione; e la rinunzia nel 1710- JN. B. Offman rinunzia nel 1710. 1710. - J. P. M. CAUVINI. 2. P. M. Pi PIA 3. P. M. DE GRAVESON. 4. P. M. PLUNKETT. 5. P. M. JANICOT. 6. P. M. GUNDISLAVO RASTRUP, della nazio- ne germanica, eletto a dì 20 giugno 1710- Ebbe luogo e voce nella sua provincia insie- me col grado del magistero nel capitolo ge- nerale del 1706 celebrato in Bologna. Fu dei sei che stamparono il voto del collegio Ca- sanatense intorno al quesito: Se la confra- ternita dei betlemiti sia ordine religioso. Bib. Casan. misceli, in fogl. voi. 128. Par- 4 titosi da Roma per ragione di salute l'an- no 1718» morì Tanno medesimo. N. B. Pipia segretario dell'indice 1711. Janicot rinunzia 1711. 1711. - 1 P. M. CAUVINI. 2. P. M. GIACINTO SANTAROMANA , spa- gnuolo. Già reggente alla Minerva. Ebbe parte nel voto che il collegio formulò l'anno 1716: Se le commende cavalleresche dell'ordine di san Giovanni gerosolimitano siano benefici ecclesiastici. Bibl. Casanatense misceli, in fol. voi. 54. Eletto provinciale di Aragona, lasciò Roma nel 1717. 3. P. M. DE GRAVESON. 69 4. P. M. PLUNKETT. 5. P. M. ENRICO THYRIAK del Belgio. Entrò nella lotta che j padri del collegio sosten- nero pei- la difesa dell'inte.detto^'n alcune diocesi di Sicilia. Il loro voto fu stampalo in Roma con la data di Colonia l'anno 1714; insieme con un grosso volume di risposte e' controrisposte, che sono tutte nella miscel- lanca Casanatense in foglio al num. 52. 6. P. M. RASTRUP, N.B.Thyriar provinciale di Fiandra 1716. 1716. - 1. p. M. CAUVINl. 2. P. M. SANTAROMANA. 3. P. M. DE GRAVESON. 4^. P. M. PLUNKETT. 5. P. M. GIOVANNI POELMAN, nato a Gand nel Belgio. Professore a Lovanio. Ristampò la Somma tVioralo e canonica di sant'An- tonino. Di suo compose la Difesa di san Tom- maso e de' suoi discepoli contro i calun- niatori della loro dottrina: in 8." Lovanio 1691. Rinunziò l'anno 1722 6. P. M. RASTRUP. N. B. Cauvini muore l'anno 1717. Santaromana provinciale d'Aragona. 1717. 1717. - 1. P. M. VINCENZO LODOVICO GOTTI, nato a Bologna nel 1764, già professore di gran fama nella patria università, notissimo tra i teologi del secolo decimoltavo. Scrisse della Vera Chiesa di Cristo, contro l'opera d'un protestante svizzero, chiamato il Pic- cinino : e, tra molti lavori di vario argo- 70 mento, la Teologia scolastica e (Toinmatleis in sedici volumi. Cardinale di santa Chiesa nel 1728, moti nel 1742. 2 P. M. RAFFAELE FIGUEROLA, della pro- vincia aragonese , già reggente e priore di Barcellona, nipote del generale domenicano Ripoll, benemerito del convento di Perugia, più volte provinciale d'Aragona. Sottoscrisse gli atti di due capitoli generali: nel 1721 in Roma, come difinitore; e nel 1726 in Bolo- gna, come revisore degli atti. Ritornò in Ispagna l'anno 1722. 3. P. M.^DE GRAVESON. 4. P. M. PLUNKETT. 5. P. M. POELMAN. 6. P. M. RASTRUP. N. B. Gotti rinunzia nel 1717. Rastrup muore nel 1718. 1718 - 1. P. M. D0MEN1CANT01NI0 GIACONI, mantovano: eletto sin dall'anno antecedente, entrò in ufficio nel presente. Professore di teologia nell'università di Macerata. Di lui si fa menzione negli atti del capitolo gene- rale del 1721, ai quali appose la sua firma insieme col suo collega Graveson e col padre Niccolò Ridolfi fiorentino, deputati come tre uomini egregi alla revisione dei medesimi, secondo la legge. Teologo di cattedra e di consiglio. Morì in Roma nel 1741. 2. P. M. FIGUEROLA. 3. P. M. DE GRAVESON. 71 4. P. M. PLUNKETT. 5. P. M. POELMAN. 6. P. M. LORENZO BRIRNER, della Boemia. Si trova il suo nome negli atti del capi- tolo generale tra i provinciali che lo com- ponevano nel 1725; Rinunziò per salute poco dopo l'elezione. N. B. Brikner rinunzia 1718. 1718. - 1. P. M. GIAGONI. 2. P. M. FIGUEROLA. 3. P. M. DE GRAVESON. 4. P. M. PLUNKETT. 5. P. M. POELMAN. 6. P. M. VENCESLAO LEW , parimente della provincia di Boemia: per la quale ebbe il grado di presentato nel capitolo generale del 1706. Al paro degli altri oltramon- tani, che non sostenevano per lungo tempo il clima di Roma, rinunziò nel 1722. N. B. Figuerola , Poelman , e Lew rinunzìano nel 1722. 1722. - 1. P. M. GLACONI. 2. P. M. GIUSEPPE SALAS , della provincia d'Aragona. Teologo, secondo sua nazione , tenace , dialettico , ed acuto. Non resta che il nome, e la fama dei terribili argo- menti nelle pubbliche dispute. Morì in Roma r anno 1746- 3. P. M. DE GRAVESON. 4. P. M. PLUNKETT. 72 5. P. M. FRANCESCO VAN RANST , nato m Anversa, graduato all'università di Lovanio, teologo, oratore, e poeta chiarissimo. Scrisse in verso e in prosa le Lodi di san Tommaso; difese la sua dottrina contro rigoristi e las- sisti. Confutò Baio e Quesnello. Compose una Storia di eretici ed eresie dal primo secolo al suo; indicando i luoghi ed alle- gando i testi di san Tommaso per ribatterle. Questa stampata in Venezia Tanno 1720 : le altre in Anversa, dal 1711 al 1718- Morì in Roma l'anno 1728. Con questo si può rettifi- care il dizionario dei padri Richard e Giraud. 6* P. M. ADOLFO SCHLEIPEN, della provincia teutonica : del quale non rimane vestigio se non sui registri della Casanatense, che segnano T elezione sua ai trenta d' agosto del 1722 , e dieci anni dopo quella del suc- cessore. N- B. Plunkett e Van Ranst morti 1728. 1729. - L P. M. GL^CONL 2. P. M. SALAS. 3. P. M. DE GRAVESON. 4. P. M. EDMONDO BURKE, irlandese di riobil sangue: eletto agli otto d'aprile 1729. Aveva professato la regola dei domenicani pel con- vento Atenriense, e studiato nell' università di Salamanca in compagnia del padre Gotti che fu poscia cardinale. Reggente de' suoi a Lovanio , missionario in Irlanda, autore di molte opere. Confutò Liberio Graziano 73 (liivinq de Meyer) in difesa delle opere del suo confratello padre Antonio Reginald intorno alla grazia efficace ed alla scienza media. Difese, per le stampe di Lovanio, l'autorità del romano pontefice , il precetto pasquale, la comunione, e la messa. Vendicò, co' tipi di Lione , la dottrina tomistica dalle accuse di calvinismo. Alcuni altri suoi lavori lasciò manoscritti, come afferma il De Burgo nelTHibernia domenicana. Morì ne! suo ufficio 1739. 5. P. M. GIACINTO COOLZAT, della provincia di santa Rosa nella Fiandra. Teologo da meritare che se ne cerchi notizia nel Belgio per supplire alle poche rimastene tra noi. Fu eletto ai quattro di marzo del 1728, entrò in ufficio l'anno seguente, e morì in Roma nel maggio del 1732. 6. P. M. SCHLEIPEN. N. B. Coolzat muore nel 1732. Schleipen torna alla patria 1732. 1732. - 1. P. M. GIACONI. 2. P. M. SALAS. 3. P. M. DE GRAVESON. 4. P. M. BURKE. 5. P. M. PIO VANDENDYCK, fiammingo. Scrisse dottamente in difesa della bolla Unigenitus, e con grande erudizione e pietà della fa- mosa immagine di san Domenico, venerata in Suriano di Calabria. Stette sedici anni in Roma. Tornò alla patria nel 1748- 74 6. P. M. LODOVICO FLIEGEN, teologo della Germania, ove prestamente se ne tornò l'an- no 1734. Stampò l'Epitome del Wigandt. N. B. Graveson muore nel 1734. Fliegen tòma a Colonia 1734. 1734. - 1. P. M. GIACONI. 2. P. M. SALAS. 3. P. M. ANTONINO BREMOND , marsigliese. Dalle missioni di America chiamato a Roma. Stampò nove volumi in foglio di bolle e diplomi spettanti all' ordine domenicano. Lavorò .negli annali del medesimo. Scrisse della nobile stirpe di Cuzman , donde è il fondatore. Espose in lingua italiana la dot- trina del cristianesimo. Provinciale della Tolosana, socio del p. generale Ripoll, e suo successore neiri748. Insigne benefattore del collegio Casanatense: ordinò le leggi e i pri- vilegi con che, dopo tanti anni , tuttavia si governa. Morì nella villa di Sampastore presso Palestrina l'anno 1755 » di sua età sessagesimo terzo. 4. P. M. BlìRKE. 5. P. M. VANDEN DYCK. 6. P. M. SERAFINO HARNISCHER della pro- vincia di Boemia, già priore e reggente nello studio generale di Wratislavia. Eletto teo- logo Casanatense l'islesso giorno ventuno gennaio 1734, che il p. Bremond. Tornò alla sua provincia nel mese d'aprile 1738. N. B. Harnischer rinunzia 1738. 75 1738. - 1. P. M. Gì AGONI. 2 P. M. S\LAS. 3. P. M. BREMOND. 4. P. M. BURKE. 5. P. M. VANDEN DYCK. 6. P. M. DOMENICO DE GENTIS, "nato nella città di Erekelens, ducato di Gheldria, dio- cesi di Ruremonda, nell'anno 1696. Reggente nello studio di Colonia , dottore in quella università, autore di molte opere in difesa della dottrina tomistica- Pe' suoi meriti scelto da Benedetto XIY a vescovo d'Anver- sa nel 1749- Tra le lettere di Clemente XIV ve n'ha una al padre Gentis, ove si legge che r ordine domenicano è seminario di vescovi, perchè là si studia, là si predica, )à si opera, là si esercitano ogni maniera uffici in servigio della Chiesa. N. B. Burke muore nel 1739. 1739. - 1. P. M. GIACONI. 2. P. M. SALAS. 3. P. M. BREMOND. 4. P. M. PIETRO KILLIKELLl, irlandese, del convento di Galioways. Reggente primario dello studio generale in Lovanio, e priore provinciale di sua nazione. Da Benedetto XIV promosso al vescovado di Kilmac-Duagh l'anno 1744, ^u conseerato dall'arcivescovo di Dublino coli' assistenza di altri due do- menicani, parimenti vescovi in Irlanda. Mori dopo il 1762. 76 5. P. M. VANDEN DYCK. 6. P. M. DE GENTIS. N. B. Giaconi muore nel 1741. 1741 - P. M. TOMMASO AGOSTINO RICCHINI . nato a Cremona nel 1695. Chiamato a Ro- ma da Benedetto Xll[ dell'ordine di san Do- menico, visse al Vaticano sino alla morte del suo benefattore: e ne recitò l'orazione funebre alla presenza del sacro collegio. Reg- gente degli studi a Bologna. Coltivò le scien- ze sacre, e l'amena letteratura. Richiamato alla Minerva dal suo generale, ebbe il litolo di socio per gli affari d' Italia. Firmò gli atti del capitolo generale celebrato a Bo- logna nel 1748: non come segretario (che per tale non altri è firmato nelle stampe se non il padre Vincenzo Tommaso Covi, professore in quella università) , ma come uno dei tre egregi uomini soliti a essere scelti per rivederli, approvarli e sottoscri- verli. Questo sia detto per notare l'errore dei padri Richard e Giraud, che farebbero sup- porre ani icipata d'un anno la data del capi- tolo, vi mettono il Ricchini per segretario, ne escludono il Covi; e, per quanto si ricava da tutta l'opera, il minor conto che tengono è dei loro confratelli. Tornando al Ricchini, pubblicò l'Elogio di papa Benedetto XIII e di Vittorio Amedeo re di Sardegna: le Vite dei cardinali Gotti e Barbarigo: la Cronologia sacra della creazione sino ai suoi tempi: altre 77 opere teologiche, critiche, polemiche al nu- mero di diciassette. Furono lodate le sue poesie, stampò diversi oratori sacri per mu- sica. Ebbe parte alla ristampa del Martirolo- gio romano del 1748. Dettò molte delle let- tere encicliche dei generali domenicani. Scrisse per Benedetto XIV la Costituzione Sollicìta, che si legge in fronte all'indice dei libri proibiti. Questi lo nominò segretario della stessa congregazione nel 1759- Cle- mente XIH lo ebbe maestro del sacro Pa- lazzo nel 1749. Morì nel 1779. La nona delle cifre doveva essere per lui climaterica. 2. P. M. SALAS. 3. P. M. BREMOMD. 4. P. M. KILLIKELLI. 5. P. M. VANDEN DYCK. 6. P, M. DE GENTIS. N. B. Killikelli provinciale (poi vescovo) 1742. 1742. - 1. P. M. RICCHINI. 2. P. M. SALAS. 3. P. M. BKEMOND. 4. P. M. PATRIZIO BRULLANGHAN, irlandese, . del quale parla con lode il De Burgo Del- l' Hibernia domenicana. Fu reggente degli studi a Lovanio, ed elettore al capitolo ge- nerale di Bologna nel 1748. Morì in ufficio nel 1756. 5. P. M. VANDEN DYCK. 6 P. M. DE GENTIS. N. B. Salas muore nel 1746. 78 1746. - 1. P. M. RICCHINI. 2. P. M. GIUSEPPE MERCADÈR , della pro- vincia d'Aragona, già priore di Barcellona, eletto il giorno appresso alla morte del padre Salas , che fu ai tredici di feb- braio 1746. Per ragione d'infermità rinun- ziò l'anno 1751. 3. P. M. BREMOND. 4. P. M. BRULLANGHAN. 5. P. M. VANDEN DYCK. 6. P. M. DE GENTIS N. B. Bremond eletto generale nel 1748. Vanden Dyck rinunzia 1748. 1748. - 1. P- M. RICCHINl. 2. P. M. MERCADÈR. 3. P. M. GABRIELE GAUGERAN, tolosano, e professore nella patria università. Ebbe dai veneziani l'invilo per la cattedra di Padova, dopo la morte del Serry. Stampò orazioni , panegirici, e sei lettere apologetiche intorno a certe dispute insorte nella diocesi di Rho- dez Uomo di gran fama in tutta la Francia, di gran dottrina, di gran virtù. Come provin- ciale della Tolosana firmò gli atti del ca- pitolo, nel quale il suo antecessore Bremcfnd fu innalzato alla prima dignità dell' ordine. Rinunziò dopo due anni. Morì di settanta- sette, nel 1754. 4. P. M. BRULLANGHAN. 5. P. M. CARLO RENATO BILLUART. A chi ignoto ? Nato nella terra di Revins l'an- no 1685, vestì l'abito domenicano nel 1701» 79 ebbe il titolo di reggente a Douai 1725. Infaticabile, acuto, erudito scrittore, le cui opere sarebbe troppo per questo catalogo ricordare ad una ad una. Dirò della Somma di san Tommaso adattata alle scuole, più volte ristampata: dirò della Difesa dei to- misti, della Risposta a Stievenard , della Apologia del padre Pietro Soto , e final- mente del suo Quaresimale ed altri di- scorsi parte in lingua latina, parte in fran- cese, recentemente stampati. Pel suo valore e meriti i padri del Belgio lo elessero più volte provinciale, ed i curatori della Casa- natense lo nominarono teologo ai nove di luglio 1748. Morì nel 1757. 6. P M. DE GENTIS. N. B. Ricchini secretano dell'Indice, 1749. 1749. - I. P. M. TOMMASO MARIA MAMACCHI, già bibliotecario, come è detto. Stette tren- t'anni nel collegio come teologo Casanatense; qui scrisse le dottissime sue opere, di qua uscì per essere segretario dell' indice nel 1779, e maestro del sacro Palazzo nel 1781. Qui è la lapide cbe ricorda la sua morte nel 1792. % P. M. MERCADÈR. 3. P. M. GAUGERAN. i. P. M. BRULLANGHAN. 5. P. M. BILLUART. 6. P. M. DE GENTIS. N. B. Gaugeran rinunzia 1749. Billuart non accetta 1749. Genlis vescovo d'Anversa 1749. 80 1750. - 1. P. M. MAMACCHI. % P. M. MERCADÈR. 3. P. M. ANTONIO TOURON, nato nella dio- cesi di Castres in Francia, eloquente scrit- tore e notissimo agiografo. Morì di anni ot- tantanove nel 1775. Scrisse la Vita di san Tommaso, la Biografia di molti illustri do- menicani, un Trattato storico e dogmatico sulla provvidenza, la Storia generale d'Ame- rica , e il Paralello tra 1' uomo fedele e l'empio. 4. P. M. BRULLANGHAN. 5. P. M. GIORDANO PREINGUE, belga, profes- sore a Lovanio, due volte provinciale, au- tore d' un Corso di teologia speculativa e morale stampata a Gand nel 1750 in do- dici volumi. Mori dopo il 1756. 6 P. M. CIRILLO RIGA , della provincia di Boemia. Stampò molte sue cose , tra le quali il Catechismo morale in lingua tedesca; un Quaresimale, e la Difesa del giubileo ce- lebrato l'anno 1750. Morì dopo il 1756. N. B. Mercadèr rinunzia 1751. Preingue non accetta 1751. 1751. - 1. P. M. MAMACCHI. 2. P. M. GIAN TOMMASO DE BOXADORS. Già cattedratico Casanatense, come è detto- No- minato teologo ai venti di aprile 1751, poco stette in utTicio: indi a un anno eletto as- sistente per la provincia di Spagna, poi ge- nerale dell'ordine, quindi cardinale di santa Chiesa. Morì nel 1780. 81 6. P. M. RIGA. N. B. Revol rinunzia nel 1753. 1753. - 1. P. M. MAMACCHI. 2. P. M. DE MEDRANO. 3. P. M. GIAN GIACOMO PROVILLE, dottor della Sorbona, ex-provinciale di Francia, e come tale sottoscritto agli atti del capitolo celebrato l'anno 1748 in Bologna. 4. P. M. BRULLANGUAN. 5. P. M. LA ROVERE. 6. P. M. RIGA. N. B. Medrano torna a Madrid 17S4. Riga rinunzia 1754. 1754. - 1. P. M. MAMACCHI. 2. P. M. DIEGO PEREZ , spagnuolo profondo nella dottrina teologica e nella storica eru- dizione, come sì legge negli atti del con- gresso ove fu eletto dai padri Curatori a dì 20 agosto 1754» dopo che gli stessi padri e la santità di Benedetto XIV ebbero ri- spinta la temerità d'un tale che procacciava entrare nel collegio con un rescritto ponti- ficio. Stampò l'orazione funebre in morte del padre Bipoli, generale dei domenicani; e nn'opera intitolata «Acta illustrium virorum « ordinis praedicatorum provinciaeBethicae « teologica doctrina et historica eruditione « prestantium» Mori in Roma d'anni qua- rantanove nel 1759- 3. P; M. PROVILLE. 4. P. M. BBLLLANGHAN. G.A.T.CLXIL (> 82 3. P. M. TOURON. 4. P. M. BRULLANGHAN. 5. P. M.-STEFANO GUGLIELMINO, della pro- vinola di Parigi, dottore della Sorbona, af- figliato al convento di Lione. Rinunziò la nomina. 6. P. M. RIGA. N. B. Boxadors assistente per le provincie di Spagna 1752. Touron rinunzia 1752. Guglielmino non accetta 1752. 1752. - 1. P. M. MAMACCHI. 2. P. M. GIUSEPPE MANUEL DE MEDRANO della provincia di Spagna. Le sue opere sono cinque volumi in foglio per la Storia dei domenicani di Spagna, la Traduzione del Touron, le Notizie di tutto ciò che si è pubblicato di papa Benedetto Xlli , dalla sua nascita sino all'esaltazione al papato , il Diario degli anni che governò la Chiesa, la Vita del venerabile Pietro d' Ayala vescovo di Avila, ed altre opere in sesto minore. Tornò in Spagna l'anno 1753 per attendere alle sue stampe. 3. P. M. GIUSEPPE REVOL , del convento di Grenoble , dottore della Sorbona ; che per ragione di salute ne si mosse di Fran- cia, né accettò la nomina. 4. P. M. BRULLANGHAN. 5. P. M. BONAVENTURA DE LA ROVERE, della provincia Belgica, già reggente a Lo- vanio. 83 5. P. M. DE LA ROVERE. 6. P. M. GIUSEPPE POMNIENA, della Boemia. Firmato come difinitore di quella provincia agli atti del capitolo generale dell'anno 1756. Morì in Roma nel 1759. N. B. Brullanghan muore nel 1756. 1756. - I. P. M. MAMACCHI. 2. P. M. PEREZ. 3. P. M. PROVILLE. 4. P. M. CARLO 0' KELLI, sottoscritto come maestro e difinitore d'Irlanda agli atti del capitolo nel 1756. Uomo di gran nobiltà. Già reggente degli studi a Lisbona, Ferito nel celebre terremoto di quella capitale. Visse in collegio più che ogni altro per anni trentasei, sino al 1792. Morì ottuage- nario in Roma. 5. P. M. DE LA ROVERE. 6. P. M. POMNIENA. N. B. Perez muore nel 1759. Pomniena lo stesso anno, 1759. 1759. - 1. P. M. MAMACCHI. 2. P. M. LODOVICO FAURE, barcellonese della provincia d'Aragona, per cinque anni reg- gente alla Minerva, teologo di gran nome in Roma. Eletto provinciale di Spagna 1782» lasciò il collegio. 3. P. M. PROVILLE. 4. P. M. 0' KELLI. 5. P. M. DE LA ROVERE. 84 6. P. M. PAOLO SCHOLTZ , della provincia d'Ungheria, reggente allo studio generale di Vienna in Austria. Morì in Roma d'anni sessanta il 1774. N. B. Proville e La Royere morti nel 1769. Il successore al primo nel 1771. 1771. - 1. P. M. MAMACCHI. 2. P. M. FAURK 3. P. M. GABRIELE FABRICY, nato a Sam- massimino in Provenza, circa 1' anno 1725. Dotto, infaticabile, erudito scrittore. Queste brevi note non portano che io ricordi i titoli delle tante opere e pregevoli che pub- blicò per le stampe. Basterà dire delle Con- siderazioni critiche sopra l' integrità e pu- rezza del testo originale della Bibbia- Si adoperò col padre Audiffredi nel classico catalogo della biblioteca casanatense del quale si hanno cinque grossi volumi a stam- pa. Morì in Roma l'anno 1800, dopo ven- tinove anni di teologato. 4. P. M. 0' KELLL 5. P- M. vaca — — 6. P. M. SCHOLTZ. N. B. Il luogo della nazione belgica restò va- cante dopo la morte del p. della Royere sino al 1774. Scholtz muore nel 1774. 1774. - 1. P. M. MAMACCHL 2. P. M. FAURE. 3. P. M. FABRICY. 4. P. M. 0' KELLL 85 5. P. M. EUSTACHIO BOUS , fiammingo ; il quale fu l'ultimo di sua nazione nel colle* gio : perchè prima le leggi giuseppine ne impedirono la venuta; poi le vicende politi- che mandarono in perdizione le rendite per mantenerli. 6. P. M. BARTOLOMMEO KOVAET, tedesco, parimente degli ultimi teologi di sua nazione nel nostro collegio. N. B. Mamacchi segretario dell'indice 1779. 1779. - 1. P. M. GIACINTO BONFIGLI, già catte- dratico, come è detto- 2. P. M. PAURE. 3. P. M. FABRICY. 4. P. M. O'KELLI. 5. P. M. BOUS. 6. P. M. KOVAET. N. B. Bonfigli segretario dell'indice nel 1781. Kovaet rinunzia 1781. 1781. - 1. P. M. DOMENICO VINCENZO BER- TUCCI, napolitano, compagno del padre ge- nerale per gli affiiri d'Italia, e provinciale di Dacia. Si hanno di lui alcune poesie stam- pate tra quelle degli arcadi- Morì nel 1785. 2. P. M. FAURE. 3. P. M. FABRICY. 4. P. M. 0' KELLI. 5. P. M. BOUS. 6. P. M. vaca N. B. Paure provinciale di Spagna. 1782. 86 1782. - 1. P. M. BERTUCCI. 2. P. M. GIUSEPPE DE POVEDA, spagnuolo, reggente degli studi alla Minerva, figlio del convento di nostra signora della Atocha. Autore di una Miscellanea di sermoni po- litici e morali, stampata a Madrid nel 1740. Rinunziò per decrepitezza nel 1787. 3. P. M. FABRICY. 4. P. M. 0' KELLI. 5. P. M. BOUS. 6. P. M. vaca N. B. Bertucci muore nel 1785. 1785. - 1. P. M. PIETRO GAZZANIGA, veneto, professore all'università di \ienna, autore della Teologia ridotta a sistema ; che più volte ristampata va per le mani di tutti. Rinunziò nel 1787. 2. P. M. DE POVEDA. 3. P. M. FABRICY. 4. P. M. 0' KELLI. 5. P. M BOUS. 6. P. M. GIACINTO HIOTZ , della provincia di Polonia, professore all'università di Cra- covia. Certa è la sua elezione ai sedici di luglio 1785, ma non è certa la sua venuta in Roma. Similmente nel registro degli ono- rari si trova la firma del padre Bous sino al febbraio 1778: non si legge negli atti della congregazione ne la rinunzia, né la elezione di altri sudditi dell' imperio. Onde è forza conchiudere che V impedimento dovesse es- sere dalla novità delle leggi giuseppine. 1 87 N. B. Gazzaniga e Poveda rinunziano 1787. — Bous ed Hintz lungi da Roma nel 1787. — Dopo le leggi giuseppine niun teologo delle due Germanie, ed il collegio di sei ridotto a quattro nel 1787. 1787. - 1. P. M. TOMMASO MARIA GERBONI, professore per ventitré anni nel collegio della Propaganda in Roma. Stampò tre li- bri di teologia rivelata, tre di teologia mo- rale, quattro di dritto canonico. Carissimo al cardinale Giulio della Somaglia, il quale ne curò il funere, fece scrivergli la lapida, e volle nel coro della Minerva appresso a lui esser sepolto. Gerboni, nato a Lucca nel 1723, morì in Roma d'anni settanladue nel 1795 2. P. M. BENEDETTO PENARRUBIA , spa- gnuolo : già da cinque anni reggente alla Minerva. Dotto di teologia scolastica, e tutto nello studio di san Tommaso. Lasciò Roma, nò più tornò di Spagna , quando v'entra- rono i francesi nel 1798 3. P. M. FABRIGY. 4. P. M. 0' KELLI. N. B. Gerboni procurator generale. 1788. 1788.-1. P. M. FILIPPO ANGELICO BEGGHETTI, notissimo per la Storia ecclesiastica. Già bibliotecario, come è detto. Vescovo della Pieve nel 1800, morì nel 1814 2. P. M. PENARRLBIA. 3. P. M. FABRIGY. 4. P. M. 0' KELLI. N. B. O'Kelli muore nel 1792. 88 1792. - 1. P. M. BECCHETTI. 2. P. M. PENARRLBIA. 3. P. M. FABRICY. 4. P. M. LUCA CO^CANEN, di Dublino , già reggente nei collegio irlandese di san Cle- mente in Roma. Nominalo da Pio VII a primo vescovo di Nuovayork , consecrato nel 1808, morì in Napoli 1' anno seguente prima di muovere per la sua sede. N. B. Becchetti segretario dell'indice 1797. 1797. - 1. P. M. TOMMASO MARIA SOLDATI, nato a Meldola, diocesi di Faenza, affigliata al convento de'Gradi presso Viterbo. Pro- fessore e prefetto degli studi (come molti altri domenicani ) nel collegio germannico ungarico di Roma. Richiesto di consiglio dalle primarie congregazioni , carissimo a Pio YI, ebbe mano in tutti gli affari più difficili della Chiesa e dello stato nel suo tempo. i.\ccompagnò monsignor Caleppi a Tolentino, e stette per la pace coi conj- missarì della repubblica francese. Scrisse mollo di politica e di teologia: quasi sem- pre anonimo. La confutazione degli errori e calunnie contro la Chiesa e la sovranità (due grossi volumi in 4, senza indizio né di luogo, né di tipografo, né di autore) è certamente opera del padre Soldati , im- pressa in Roma 1' anno 1794 pe' tipi del Pagliarini , co' medesimi caratteri e carta dell'opere del Mamacchi e dell' Audiffredi. 89 Stampò le annotazioni ad uaa lettera del Tiraboschi: e le note alla censura della fa- coltà teologica di Parigi profferita ai due di maggio del 1785. Gli scrittori del suo tempo, amici e nemici (perchè eccellente ed anoni- mo), lo chiamarono per antonomasia il Teo- logo Romano. Pio VII lo promosse a se- gretario dell'indice nel 1802, morì nel 1807. 2. P. M. PEKARBUBIA. 3. P. M. FABRiCY. i P. M. CONCANEN. N. B. Nel 1798 entrarono in Roma i repub- blicani di Francia: indi nuovo governo , e dispersione del collegio. Nel 1800, eletto Pio VII, furono le seguenti mu- tazioni. Peiàarrubbia non tornò di Spagna, né altri per lui. Quelle provincie andarono sottratte dal- l'obbedienza del generale di Roma per fatto del governo spagnuolo, consentito da Pio VII colla bolla « Inter graviores. » Fabricy morì in Roma l'istesso anno 1800, e non ebbe successori, essendo soppressi i conventi di Francia. I due teologi di Germania impediti dalle leggi giuseppine. Perduta gran parte della rendita, che era in luo- ghi di monte. II collegio, al cominciare del secondo centenario, si riapre con due soli teologi delle nazioni italiana ed inglese nel 1800. 1800. - P. M. SOLDATI. P. M. CONCANEiN. N. B. Soldati segretario dell'indice. 1802. 1802. - P. M. TOAMMSO MARIA MANCINI , già cattedratico casanatense , come è detto- 90 P. M. CONCANEN. N. B. Mancini segretario dell'indice. 1807. 1807 - P. M. PIO ANTONINO MOLINERI, pie- montese, già vice-pi'ocurator generale , e socio del maestro generale Giuseppe Maria Caddi. Mori nel 1811- P. M. CONCANEN. N. B. Concanen vescovo di Nuovayork. 1808. 1808. - P. M. MOLINERI. P. M. GIOVANNI CONNELY, irlandese, già reggente degli studi nel principal convento di sua nazione in Roma. L' anno 1814 fu da Pio VII nominato vescovo di Nuovayork, e successore , anche nella sede vescovile, del padre Concanen. N. B. Nel 1809 la seconda invasione di Roma, soppressione dei conventi, e perdita delle rendite. In questo tempo Molineri muore 1811. Connely vescovo 1814. Niun successore sino al 1816. 1816. - P. M. GIUSEPPE AIRENTI, già bibliote- cario, come è detto. N. B. Pio VII concesse che in luogo del teologo francese si potesse , per una volta soltanto, eleggerne uno di nazione italiana, come si fece nel 1817. 1817. - P. M. AIRENTI P. M. GIUSEPPE SILVESTRINI, della Marca, eletto nella congregazione del due di mag- gio 1817, per la nazione francese. N. B. Airenti vescovo di Savona. 1820. Silvestrini muore 1820. 91 1820. - P. M. FILIPPO AMINTA, siciliano, profes- sore all'università di Macerata , perito di lingue orientali. Stampò un Trattato di luo- ghi teologici, in Macerata 1819; e L'ebra- ismo senza replica, in Roma, 1823. Morì nel 1830. N. B. Aminta muore nel 1830. 1830. P. M. DOMENICO BUTTAONI, già bibliote- cario, come è detto: che per questa ragione fin dal 1826 aveva ottenuto, mediante re- scritto di Leone XII, il teologato. N. B. Buttaoni maestro del sacro palazzo 1832. 1832. - P. M. GIACINTO CIPOLLETTI, di Offida nella diocesi d'Ascoli. Stampò molte sue prose, tra le quali l'elogio funebre del par- roco Terenzi, e della Maria Cristina di Na- poli: e la vita del beato Giovanni dome- nicano- Nel 1838 maestro generale dei predicatori , nel 1845 commissario della romana inquisizione , morì settuagenario nel 1850. P. M. PLACIDO BROCCHETTI, di Alatri , reggente degli studi alla Minerva: nominato ad esempio del Silvestrino per la nazione francese- Moiì ottuagenaiìo nel 1842. N. B. Nel 1835 soppressi i conventi di Spagna, e venuti in Italia molti religiosi di quella nazione, papa Gregorio XVI nominò per cia- scun ordine regolare un padre commissa- rio apostolico con piena autorità sopra i re- ligiosi della sua nazione ovunque fossero dispersi. Il commissario dei domenicani,' re- 92 sldenle in Roma nel convento della Minerva, a maggior decoro della persona e del uffi- cio ebbe il titolo di teologo Casanatense : onde crebbe il collegio al numero di tre nel 1839. 1839. - P. M. CIPOLLETTI. P. M. BROCCHETTl. P. M. GIOVANNI GENIS , della provincia d'Aragona, già professore e reggente all'uni- versità d' Orihuela, ed allo studio generale della Minerva: acuto e terribile argomen- tatore, valente teologo e canonista. Comis- sario apostolico pe' domenicani di Spagna. Morì settuagenario in Roma l'anno 1856. N. B. Brocchetti muore e non ha successore nel 1842. 1842. - P. M. cipolle™. P. M. GENIS. N. B. Cipolletti commissario della romana Inqui- sizione nel 1845. 1845. - P. M. GENIS. N. B. Per pontificio rescritto si ha in colle- gio il primo esempio di teologo onorario , l'anno 1850. 1850. - P. M. GENIS. P. M. ANTONINO DEGOLA, già bibliotecario, come è detto all'anno 1826. Promosso alla segreteria dell' indice nel 1832 , rinunziò nel 1849. L'anno seguente ottenne per apo- stolica concessione il titolo di teologo Casa- natense, con che si onorò nel suo ritiro- N. B. Genis e Degola muoiono nel 1856. 93 1856. - P. M. GIROLAMO GIGLI, già bibliotecario casanatense, come è detto. Vive. N. B. Gigli promosso a maestro del sacro pa- lazzo ai due di novembre 1859. 1859. - P. M. ALBERTO GUGLIELMOTTI , già bibliotecario , come sopra : che , nel dì diciotto novembre 1859 eletto dalla con- gregazione dei curatori teologo casanatense, scrisse per sua utilità e diletto questo ca-' tologo ; perchè la memoria delle opere de- gne di tanti suoi predecessori (ai quali non intende pareggiarsi) il confortasse a seguirne r esempio. N. B. Così nel giorno primo di gennaio 1860. 94 Terapia- Di Vincenzo Catalani doHore in medicina e chirurgia . ( Continuazione) PARTE SECONDA. Infiammazioni composte. \Jomposta è la flogosi, se gli elementi, che la com- pagnano. Stasi umorale, locale esaltamento vitale, e preternaturale sanguigna modalità , essenzialmente congiungonsi ad altri principii morbosi. Come l'ar- tritica, la gottosa, la pustolosa, e la carbonosa ec; che sempre la flogosi è congiunta ad una morbosa modalità, che l'affezione artritica, gottosa, pustolosa e carbonosa determina. SEZIONE PRIMA. Reuma. CAPO PRIMO. Definizione. 11 reuma è malanno acuto, cronico e continuo; e che facilmente ritorna, senza essere periodico- At- tacca i muscoli , i tendini e l'aponeurosi ; e negli articolari movimenti sentesi principalmente dolore acuto, pungitivo e lancinante. 95 CAPO SECONDO. Forma- 11 reuma ora istantaneamente invade, ed ora è preceduto dai flogistici fenomeni. li volto colorasi, gli occhi scintillano, ed la pelle ora riscaldasi, ed ora inaridiscesi, ed ora maderosa diventa. Arde la sete, e la lingua è bianca nel centro, e rossa nei mar- gini; ed havvi universale organica reazione- E la reu- matizzata parte tormenta il dolore acuto, pungitivo e lancinante; che non si tocca e non si move senza il dolore esacerbare- E la dolente parte arrossasi , riscaldasi e intumidiscesi- E solo è comportevale il dolore, se l'affezione è debole; che nemmeno ci ò rossore , né tumefazione , e mancano i reazionari fenomeni. CAPO TERZO. Cause remote. La reumatica proclività consiste nella soverchia- mente attiva ematosi , nell' aumentatasi sensibilità e nello sviluppo considerevole della cutanea capil- larità- Cui innalzano alla reumatica condizione il fred- do-umido, che il corpo bagna e raffreda. 96 CAPO QUARTO, Causa prossima. Gli elementi flogistici congiuntesi all' acredine individuale, o il principio irritante che la parte in- fiamma, è del reuma la morbosa condizione. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nel cadavere dei reumatici ora nulla , ed ora hannovi trovate indurite ed ingorgate le vene, che rarlicolazioni circondano; ed arrossati, iniettati e in- duriti i legamenti, il periostio e la sinovia; e piccole marciose colluvie nel circonvicino cellulare tessuto; e puse e siero nella cavità sinoviale ; e le carti- laggini riunite, arrossate, rammollite ed ossificate. CAPO SESTO. Pronostico. Continuo e lungo è del reuma il corso; ed anche pochi giorni dura , e poi guariscesi. E se il mese sorpassa, ed il secondo raggiunge senza risolversi, diventa cronico, e dura per anni; e poi o si guarisce, 0 il vizio organico determina, o fa morire dolenti e consunti. 97 CAPO SETTIMO. Cura. Bene il reuma non curasi colle sole sottrazioni sanguigne; ed al salasso devesi sempre congiungere la diaforesi. E tanto cavasi sangue, quanto ne basta a dileguare il processo flogistico. E non più cavasi poi j quantunque il dolore continui a tormentare. Severa in principio deve la dieta essere ; e poi il tenue alimento permeltesi. E la bevanda prescrivesi calda, diaforetica e rilasciante; ed anche si procura la intestinale revulsione. E nelle tumefatte e dolenti articolazioni, le sanguisughe , ed i cataplasmi nar- cotici ammollenti si applicano. Anche gli giovano i bagni, che sempre bisogna farli, terminata che sia la violenza flogistica. E l'antispasmodico per eccel- lenza Voppio ed il nilroj ed ogni sorta di evacuanti li giovano, terminata che sia l'organica reazione, e che il morbo continua colla cronica forma. Giovano anche i vescicanti; e meglio di qualunque altra cosa giova il solfuro bagno. G.A.T.CLXII. 98 SEZIONE SECONDA. Podagra. CAPO PRIMO. Definizione. Quale sia il principio eterologo, che la infiamma- zione podagrosa determina, noi non lo sappiamo; e ehi ha detto di saperlo , ha dimostrato che meno di noi lo sapeva. E poi la podagra è composta e ricorrente articolare infiammazione, che incomincia nel pollice del piede, e che poi si estende nelle altre parti del corpo, con tumefazione, dolore, calore, e con calcarea concrezione, che i legamenti divide, e le piccole ossa sloga. CAPO SECONDO. Forina- Nell'equinozio di primavera or no, ed or da pro- dromi preceduto comparisce il gottoso parosismo. E molto voraci si è nel giorno, che la notte precede, in cui l'acerbo dolore il maggiore dito del piede , ed anche il calcagno, la gamba ed il tallone tormenta. E sentesi freddo , orrore e certa leggera organica reazione. Ed il dolore , che nel giorno lentamente aumentasi, nella veniente notte violentemente esa- cerbasi , e penetra nell'ossa del torso e del meta- 99 tarso, ed i legamenti invade. Ed ora è violentemente tensivo, e pare che i legamenti laceri, ed ora rode e fortemente stringe. E non prima delle due, o delle tre del mattino, scorse cioè ventiquattro ore, havvi calma; e chi la soffre, maderoso essendo, abbando- nasi al sonno; e vede svegliandosi, che la parte do- lente si è tumefatta. Al giorno che segue, o anche al secondo, © al terzo, sentesi un poco di dolore, che aumentasi la seia, e che diminuiscesi la mattina. Fra pochi altri giorni, viene nell'altro piede; che se il dolore in questo è forte, in quello dileguasi. E per indeterminate volte riproducesi l'irregolare parosi- smo; il complesso dei quali ne forma il corso. Mentre un parosìsmo non tormenta per mesi; e di piccoli parosismi il periodo componesi. E intollerabile pru- rito sopravviene, terminalo che sia, e la parte affetta disquamasi. Ma la podagra non sempre limitasi ai piedi, ed anche le mani invade, i carpi, i cubiti, le ginocchia e le altre parti del corpo. E la materia -calcarea , tra i muscoli ed i tendini depositandosi, piega le dita, e le piccole articolazioni sloga, e ferma qualche volta le grandi. Dopo molli anni in principio ritorna; e poi sempre più presto ricomparisce- Ed il periodo nei robusti, ed in principio, è di quattordici giorni; e nei vecchi, che tormentò assai volte, di due mesi; e nei deboli molto in età avanzata, ed in an- tica malattia non dileguaci, che per poco tempo, in estate mollo inoltrata. 100 CAPO TERZO. Cause remole. Cause remote della podagra sono il freddo-umido, la intemperie, la soppressa traspirazione, la cutanea deflorescenza, il vitto animale, i liquori alcoolici, la vita sedentaria, l'abuso delle veneree dilettazioni, i travagli di gabinetto, le violenti passioni, e quanto l'assimilazione estende e conturba. CAPO QUARTO. Causa prossima. Non spiega la natura, ne la condizione rischiara della podagra il bilioso ed il pituitoso trasporto d'Ip- pocrate e di Galeno; l'articolare debolezza di Paolo Egineta; la pituita e la sierosità di Fernel e di Baillon; il violento spasnìo di Hoffmann, e l'umorale inco- zione di Sydenham.E solo dicono qualche cosa coloro che, ritenendo essere malattia composta la podagra, riconoscono per elementi della medesima l'articolare flogosi e l'urica diatesi. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei gottosi cadaveri è stata la sinovia trovata ora naturale e abbondante; ora torbida e fioccosa, 101 purulenta e sanguinolenta; ed ora scarsa, e la mem- brana arrossata, iniettata e scabra. E vi hanno an- che trovate le articolari alterazioni; e molli e friabili l'ossee estremità; e i muscoli atrofizzati e contralti. E nelle articolazioni, sotto i legamenti e tra i muscoli concrezioni cretose, composte d'acido urico, tanto libero, quanto combinato alla calce ed alla potasssa. CAPO SESTO. Pronostico. La podagra colla renella alterna e consiste; e l'urica diatesi certo carattere imprime alle viscerali tlogosi In principio, dopo qualche anno, il parosismo ritorna; e se non tiensi legolare maniera di vivere, prima riviene. In seguito allargasi il parosismo , e più presto l'itorna; e poi lascia pochi mesi; e in fine poche settimane libere; e quasi sen)pre si è addolo- rati. Non accorcia la vita la podagra; e solamente rendecela penosa e insopportevole. E podagrosi si muore in molta avanzata età; o perchè troppo esten- desi, o perchè forma funesta metastasi. CAPO SETTIMO. Cura. Per discorrere i medicamenti, che furono com- mendati, e ai podagrosi amministrati, converrebbe esporre l'intera materia medica; ciò che sarebbe vana pompa di polifarmacia. E solo, ci pare, che siano 102 razionali rimecli i vegetabili ed il bi-caibonato di soda. I podagrosi non possono essere carnivori né bevoni. E l'alimento deve essere tenue; ed anche, durante il parosismo, severa la dieta. E se chi la soffre è atletico e pletorico, e i polsi sono pieni e forti, cavasi sangue, e le sanguisughe si attaccano nella dolente parte. E pericolo ci è di morte emi- nente, se cavasi sangue al debole e vecchio poda- groso. A cui altro di bene non possiamo fare, che regolare il corso del male che lo tormenta. SEZIONE TERZA. Pustola maligna. CAPO PRIMO. Definizione. La pustola è maligna, se comparisce in pruriente parte, in fornna di poco esteso roseo punto: e che presto diventa sierosa vescichetta, in cui formasi len- ticolare tumore, che prestamente gangrenasi. CAPO SECONDO. Forma- Pruriginosa è la parte, in cui poi comparisce il roseo punto; che fattosi sierosa vescichetta, si rompe, versasi il contenuto liquido, e sentesi istantaneo re- frigerio- E leggermente innalzasi un tubercolo duro, 103 schiacciato, indolente e mobile. E la pelle nel centro è lucida e gialla , e intorno è naturale. Ed al cre- scente prurito congiungesi V urente bruciore, ed il corrosivo senso. La pelle ingrossasi, e la superfìcie diventa secca e lucente; ed una turchina flittenoide areola la circonda- Il tubarcolare centro imbrunicesi e gangrenasi; e la flitternodea fascia slargasi ed in- nalzasi, e forma cerchio, in cui comparisce l'escara profonda. L'ingorgo aumentasi; e la gangrena esten- desi, e maggiormente profondasi. E se guariscesi, la pelle riscaldasi e coloriscesi; fermasi la gangrena, ed incomincia la suppurazione; e l'escara si stacca e cade. E quando muore chi la soffre, la gangrena progredisce, compariscono i fenomeni della gastrite e dell'encefalite, la lingua e la pelle si seccano, e viene la funesta sincope. CAPO TERZO. Cause remote. Della pustola maligna la predisposizione è quasi l'organica modalità. Mentre, trattandosi di forti con- tagi, pochi sono coloro , che essendogli inoculati, non gli contraggano. E sono cause occasionali le circostanze, che alla presa del contagio espongono CAPO QUARTO. Causa prossima. Un principio fortemente disorganizzante e con- tagioso, e determinante gli elementi flogistici, è la 104 causa prossima della maligna pustola. Di che natura sia, e di quali principii compongasi, noi non lo sap- piamo, e forse gli altri come noi l'ignorano. CAPO QUINTO. Necroscopia. L'organica condizione della maligna pustola in principio è rosea macchia poco estesa, poi sierosa vescichetta, e infine lenticolare e piccolo tubercolo mobile e circoscritto; che di fiittenoide turchina fa- scia circondasi , e prestamente gangrenasi. E poi l'areola circolare si slarga e si innalza, e abbassasi nel mezzo l'escara gangrenosa. La parte ingorgasi; e la pelle lendesi e coloriscesi; ed il sottoposto cellu- lare tessuto inturgidiscesi, e crepita toccandolo. La carne si guasta , e la gangrena massimamente si estende e sì profonda; e viene la strabocchevole sup- purazione, a cui spesso succede la morte. 0 la gan- grena circondala da tenue infiammata fascia, si ferma; viene la benigna suppuraziotie; e l'escara si stacca e cade; e la piaga cicatrizzasi. E sonosi ancora tro- vate ne' cadaveri, di chi era morto di maligna pu- stola, tracce di percorsa gastro -encefalite. CAPO SESTO. Pronostico' La maligna pustola è sempre grave malattia; co- me l'antimone bene l'esprime. Alcuni in ventiquattro 105 ore muoiono; e certi nini per suppurazione guari- sconsì tra il secondo ed il terzo settenario. CAPO SETTIMO. Cura. Incominciasi la pustola maligna a curare , col fare nel tubercolo crociata incisione; e colla caute- rizzazione la medicatura proseguesi. Applicandovi il fuoco, si adopera il ferro rovente; e tra le sostanze caustiche si preferiscono la potassa caustica, i con- cenli'Qti acidi solforico, idroclorico, e nitrico, ed il cloruro d'antimonio. E sonovi poi i paurosi, che li- niitansi a mettere nel centro del tubercolo il cau- stico solido, e le filaccia imbevute di caustico liquido; e r uno e le altre ve le tengono per cinque o sei ore. E le sanguisughe si attaccano nella parte in- fiammata ; e sopra vi si mette l'ammolliente cata- plasma. Ed anche sbarazzasi il gastrico imbarazzo; e cavasi sangue, se il pustoloso è atletico e pletorico. SEZIONE QUARTA. Carbone. CAPO PRIMO. Definizione. Il carbone o carbonchio è circoscritta e conta- giosa infiammazione, che colla forma d'escara, e di tumore suppura, e prestamente gangrenasi. 106 CAPO SECONDO. Forma. Ora ad un tratto mostrasi il carbone, nel mezzo d'edematoso gonfiore, nelle palpebre e nelle guance; in cui formasi la vera escara, che rapidamente di- latasi ed approfondasi. E colla forma di voluminoso tumore viene ancora fuori nell'anguinaia, nell'ascella ed in cui copioso è il cellulare tessuto. Che rosso- lucido e circoscritto in principio, rapidamente este»- desi, suppura, e prestamente gangrenasi. E nell'una e nell'altra forma sempre vi è urente calore, e insop- portabile prurito. Impallidiscesi il corpo; e freddo su- dasi. I polsi si impiccoliscono e si concentrano. Viene la nausea ed il vomito, la gastro-enterica irritazione, e la funesta sincope. CAPO TERZO. Cause remole. Cause occasionali della carbonosa infiammazione sono i luoghi, in cui l'aria è alterata dalla vegetabile fermentazione, e dall'animale decomposizione. E quasi sempre è la beschia che all'uomo la comunica. 107 CAPO QUARTO. Causa prossima. Gli elementi flogistici congiunti, o meglio deter- minati d'un incognito principio irritante e disorga- nizzante, sono la condizione essenziale della corbo- rosa infiammazione. CAPO QUINTO. Necroscopia- L'edematoso gonfiore ed il carbonoso tumore ri- ducesì nel mezzo in nera, molle e friabile escara. E il nero colore viene meno di mano in mano che allontanasi dal centro, e che accostasi alla periferia ingorgata di siero- glutinoso e di fetido gas. Ed alla morte del carbonoso sempre succede la rapida pu- trefazione. CAPO SESTO. Pronostico. Sempre il carbonoso non muore nello spazio inter- posto tra le ventiquattro e le quarantotto ore. Ed in questo interposto tempo anche si rialzano i polsi, si limita la gangrena; e l'escara da roseo cerchio cir- condata staccasi e cade; e poi cicatrizzasi la piaga. Il sintomatico della titòide e della gaslro enterite, raramente il primario morbo alleggerisce ; e quasi sempre l'aggrava, e fa prestamente morire- 108 CAPO SETTIMO. Cdira. Altra infiammazione gangrenosa meglio della car- bonosa, non comporta la cura antiflogistica. Ma la generale sottrazione di sangue non si conviene in- distintamente prescrivere. Ed al carbonoso atletico 0 pletorico cavasi subito sangue; e le sanguisughe si attaccono nella ingorgata parte. E al debole, a cui a preferenza dell'irritante opera il settico princi- pio, anziché gli antiflogistici, gli antisettici si pre- I scrivono internamente ed esternamente- Ed all'an- tiflogistica ed all'antisettica cura deve sempre pro- cedere la crociata incisione e la cauterizzazione. Quella sgorga la parto, e questa le parti guaste con- suma. E l'elitlica incisione ad un tratto il guasto dal sano separa- A cui applicansi poi le filaccia ed il cataplasma, come l'esterna terapia insegna. Conclusione. La flemmonologia, affinchè sia completa, deve ogni infiammazione discorrere; ciò ch'è pregevole la- voro da compiersi; ma tedioso a leggersi, e che forse nessuno lo leggerebbe- Numerose sono le parti, che l'umano corpo compongono, e che indistintamente si infiammano- Che meno la sede, e di ciascuna la caratteristica, converrebbe presso a poco le mede- sime cose sempre ridire- Oltre d'avere le infiamma- zioni divise in semplici e composte; solo le princi- 109 pali dell'une e dell'altre abbiamo esposte; e non ab- biamo nemmeno nominato lo scirro ed il cancro, la spina ventosa, l'osteosarcoma ed il carcinoma; come malattie di pertinenza più dell'esterna, che dell'in- terna patologia. LIBRO QUARTO. Esa ntemalografia . PROEMIO. Collochiamo dopo le flogistiche l'esterne malat- tie del nostro involucro. Cui atteniamoci per descri- vere e spiegare agli esteriori caratteri; e non all'es- senza, che mai si manifesta,. e che sempre si na- sconde. Di esse alcune sono ftogisliche , altre epi- demiche e certe altre contagiose. Questo morboso tripude ora discendiamo a discorrere. PARTE PRIMA. Flogìsliche. Le prime a comparire sono le flogistiche; cioè un complesso di esterni fenomeni , la cui pecu- liare espressione congiunge la flogosi alla specifica cutanea efflorescenza. Qualora però non siano diversi gradi di esterne infiammazioni, che ci illudono per la parte in cui si sviluppano. Tali sono V eritema ^ la resipola, il zostere, il penfìco e Vorlicaria. 110 SEZIONE PRIMA. Eritema. CAPO PRIMO. Definizione. L'eritema è, del nostro involucro, il primo grado flogistico; che comincia col prurito ; che prosegue coll'arrossare la parte, in cui sviluppasi; e che col- l'epidermica disquamazione presto dileguasi- La di- visero in acuta e cronica, in primaria e secondaria. La denominarono ancora eriteina spontaneo , enj- therna spontaneiim: epidemico, erijlhema epidemicum: endemico o pellagi'oso, cnjlhema endemiciim, intertri- gine, enjlhema interlrigo: paratrima, erythema para- trima: pernio, erylhema pernio , adusto o per adu- stione, enjlhema per adustionem. CAPO SECONDO. Forma. Incomincia reritema colle bollicine e le derma- tiche screpolature, e colle rosee macchie, che la pres- sione scolora; ed a cui segue il fastidioso formicolio ed il cocente prurito. E la pelle non sempre arrossasi, e qualche volta imbruniscesi. In varie parti, o simul- taneamente 0 succissivamente, comparisce e spari- sce; e dura per indeterminato tempo. E poi o si ri- Ili solve e l'epidermide sfogliasi, o altro morbo la segue; verbigrazia la resipola, la pellagra, e l'infiammazione colla forma di pernio e di flemmone. E se chi la soffre è irritabile e sanguigno, i polsi sono pieni e forti; e svolgesi l'universale organica rea/ione. E gli occhi lagrimano, si ingorgano, e sono sanguinolenti. Il capo duole; e sentesi gravativo inlerscapulare do- lore. E gli eritmatici non dormono, perchè il co- cente prurito li tiene svegliati. CAPO TERZO. Cause remole. Nella pelle liscia e maggiormente sensibile viene l'eritema fuori, verbigrazia, nella pianta del piede, nella palma della mano, nella faccia, nel collo, nella parte interna e superiore delle cosce e nelle mam- melle. La friabilità e la cutanea mollezza pare che ne siano la predispasizione; che gli interni e gli esterni irritanti innalzano alla condizione di eritemalica efflo- rescenza. A tanto male farci internamente valgono la concezione, il gastricismo biliose e verminoso, il vizio erpetico e le altre specifiche virulenze; ed ester- namente i cocenti raggi del sole , la intemperie, i causti, gli irritanti ed il sucidume. CRPO QUARTO. Causa prossima. Pare che l'efficenza eritematica consìsta nella flo- gosi, che limitasi tra l'epidermide od il derma, per 112 cui quella screpola e da questo staccasi. Se poco affondasi e molto cstendesi, la forma prende della resipola; e quella del flemmone, se circoscrivesi ed approfondasi. CAPO QUINTO. Necroscopia. L' organica alterazione basta di guardare , per vederla rieireritema. Ad occhio nudo vedesi la parte attaccata screpolata e scabra, e qua e là scoriata. E colla lente esaminata, bene comparisce l'idraulico movimento morboso, che la capillarità di soverchio sangue rienjpie. CAPO SESTO. Pronostico. L'eritema che dalle specifiche virulenze, e dalle interne e dall'esterne condizione, è mantenuta, quelle neutralizzate, e queste allontanate, facilmente risol- vesi. Altrimenti sparisce , e presta o nello stesso o in altro luogo ricomparisce; e poi anche aggravasi, approfondasi e maggiormente diffondesi; e persiste colla forma o di risipola o di flemmone- 113 CAPO SETTIMO. Cura- Le cose che all'eritema si prescrivono, anziché es- sere utili, sono ostentazioni di polifarmacìa; verbigra- zia, i bagni d'amido e di gelatina, l'embrogazioni oleose, le fomentazioni d'acqna di malva e di latte, i cataplasmi ammollienti, le saturnine pomate, l'acqua alluminosa, i decotti di solano e di giusquiamo, l'infu- sione di papavero, la soluzione oppiata, e l'acqua fred- da, 0 semplice o acidulata. Mentre nella eritematica efflorescenza, come la sensibile espressione morbosa, che o l'esterna irritazione, o l'interna preternaturale condizione mantiene ; bisogna nel primo caso, per risolverla, la parte esterna lavare coli' acqua risol- vente , e neir altro importa d' allontanare ciò che r efflorescenze mantiene. Altrimenti non giova , ed anche 1' efflorescenza estende e maggiormente esa- cerba, qualsiasi locale medicatura. SEZIONE SECONDA. Resipola- CAPO PRIMO. Definizione. La resipola è flogistico malanno, che all'eritema il flemmone congiunge. È poco profonda, e molto G.A.T.CLXN. 8 114 estesa; e l'esterna e le interne superfìcie invade; è fissa ed anche vaga, e facilmente d'uno in altro luogo traslocasi; e spesso l'esterna risolvesi coU'epidermica disquamazione. CAPO SECONDO. Forma. Incomincia come le altre acute malattie princi- piano. E la proteiforme prodometria corrisponde alla parte in cui devesi sviluppare, ed alla sua durata; cioè se ella sarà acuta o cronica- E poi il molesto e bruciante calore , ed il circoscritto roseo colore indicano il luogo, in cui deve fuori venire. E la resi- pola incomincia a manifestarsi colla rosea tinta nella parte circoscritta, che poi riscaldasi, gonfiasi, e di- venta pruriginosa e dolente. 11 calore, il rossore ed il gonfiore si aumentano nella prima, nella seconda e nella terza giornata; e nella quarta e nella quinta la rosea tinta impallediscesi ed imbruniscesi ; e la infiammala superficie diventa scabrosa. Prestamente per delitescenza dileguasi; dura anche un settenario; e qualche volta sorpassa il secondo e raggiunge il terzo, e d'acuta diventa cronica. Anche per suppurazione termina; e diventa ancora edematosa e flemmonosa. CAPO TERZO. Cause remote- La interna condizione, che la risipola favorisce, è la pletora congiuntasi alla soverchia sensibilità. Ed al 115 malanno ci predispone, ed anche ce lo determina, il vitto animale, gli acri alimenti, il bilioso ed il vermi- noso gastricismo, la intemperie, la insolazione, e ciò che l'interna e l'esterna superficie irrita ed infiamma. CAPO QUARTO. Causa prossima. Ascondesi la patologica condizione della resipola nell'inviluppo vascolare del derma; in cui le vene a preferenza dell'arterie di sangue riempionsi. E la flebile nella superficie a preferenza si manifesta, che nelle altre, che non l'hanno sofferta. E della resipola è l'efficenza la flogistica essenza, che nelle interne e nella superficie esterna molto diffondesi e poco ap- profondasi. CAPO QUINTO. Necroscopia. La superficie arrossata dalla resipola per la morte scolorasi, e diventa rosso-oscura; e se uno la taglia, mostrasi di sanguinolenta sierosità ingorgata, adden- sata e friabile. E la parte, che ha supparato, è di pus ingorgata; che oltre al riempire le cellulari areole, forma colluvie, e serpeggia al di sotto del cellulare tessuto, tra i muscoli e le aponerosi. Divisi sono i muscoli; la pelle sottile e a chiazze staccata. E ma- nifesta è l'organica distruzione nella resipola gan- grenosa. E si trovano anche ne' cadaveri le tracce 116 di percorsa flogosi gastrica e cerebrale, in chi durante la vita si manifestarono i fenomeni, che le caratte- rizzano. CAPO SESTO. Pronostico. La resipola è malattia continua; che qualche volta mostrasi intermittente. Ora poco, ed ora molto dif- fondesi. Una superfìcie talora abbandona, ed un'altra ne invade- Dall'interno viene nell' esterno, e dal- l'esterno va nell'interno ; e dicesi vaga , erratica e metastatica. Nel principio del secondo settenario ri- solvesi, e non oltrepassa per termine medio l'ottava giornata. E prolungasi maggiormente, non coll'acuta, ma colla forma cronica. Per se stessa non è peri- colosa; e tale ce la rendono le viscerali infiammazioni, e la cattiva individuale modalità. Lungamente l'ede- matosa dura; e suppura spesso la flemmonoide, che raramente termina per risoluzione. CAPO SETTIMO. Cura- Alla resipola, in cui non sono complicazioni, né imponente reazione, basta la dieta, il riposo e la be- vanda leggermente diaforetica. Ed alla gastrica-bi- liosa è indicato il purgante e la sub-acida bevanda; ed alla verminosa al purgante congiungesi l'antelmi- tico. E molto sangue cavasi, se chi la soffre è atle- 117 tlco e pletorico: e violenta è la reazione, ed eminente la cerebrale congestione. E ciò che al flemmone è indicato, alla flemmonoide prescrivesi. All'edematosa non giova il salasso, che anzi l'aggrava; ed il ma- lanno risolvono i derivativi ed ì revulsivi. I tonici e gli eccitanti all'adinamica giovano; ed all'atassica l'antispasmodico per eccellenza, Voppio. E interna- mente prescrivonsi gli antisettici, e esternamente si applicano, se la parte erisipelatosa gangrenasi. SEZIONE TERZA. Zostere. CAPO PRIMO. Definizione. Il zostere è semicircolare eruzione, che di agglo- merate vescichette componesi, ardenti e pruriginose, e circondate da tenue roseo cerchio , che allonta- nandosi dal centro scolorasi. Presto scompariscono, ed altre ricompariscono, e lasciano rosee macchie, che anche esse col tempo dileguansi. In vari luoghi si manifesta, in forma di fascia, che mai la parte, che attacca, non circonda. E lo dividono in acuto e cronico; e lo denominano formica corrosiva, cintura, cinghio, fuoco sacro, zona, zoster e zostere. 118 CAPO SECONDO. Forma. Occupa ii zostere un lato solo del corpo; spesso il destro; ed in questo è più che nell'altro persistente e funesto. Forma un pruriginoso e ardente semicer- cio, che obliquamente serpeggia dalla spinale colonna alla bianca linea. E in altre parti viene ancora fuori; verbigrazia nella regione acromiale, nel collo, nella coscia e nella gamba. E la parte che attacca, mai inte- ramente non circonda. Due semicerchi coesistono an- cora l'uno all'altro opposto; senza però riunirsi per formare il circolo. Longitudinalmente anche esten- desi: e Bobba lo vide disteso lungo il braccio e l'an- tibraccio in forma di nastro. La zosterosa fascia com- ponesi di limpide vescichette ripiene di sierosità , e circondate da rosea areola. Sono in principio pic- cole, e poi si ingrossano; e la pellicina avvjzziscesi, si corruga e si stacca, e lascia nudo il corpo papil- lare. Nel cronico zostere la vescicolare eruzione scomparisce, e succesivamente ricomparisce per in- determinate volte. Ed anche completamente guari- scesi; e poi ricomparisce, zoster rediviviis. Senza che l'eruzione ricomparisca, ridestasi il bruciore, ed anche il molesto prurito; e pare ai zosterosi d'essere stretti d' urente cinta. Ed il malanno è solo funesto per l'interne metastasi, e per l'atroce dolore, che l'attac- cato sempre tormenta. 119 CAPO TEKZO. Cause remote. AI zostere non possiamo assegnare né località , né clima, né età, nò sesso, né temperamento; men- tre ovunque ed in chiunque egualmente sviluppasi. E solo ritengono alcuni essere zosterica proclività il temperamento linfatico , bilioso e scorbutico ; e che la proclività innalzino alla condizione di malattia, ciò che intercetta l'insensibile traspirazione, le natu- rali e preternaturali evacuazioni, e l' interno e l'e- sterno sucidume. CAPO QUARTO. Causa prossima. (ili antichi ritennero essere, l'alteratasi bile, la zo- sterica condizione. E non spiegarono come la bile, mistasi al sangue, irriti la circolare parte , da cui scappa per compiere la critica evacuazione. E poco allontanadoci noi dalla moderna opinione, collochia- mo nel!' organismo dei zosterosi la preternaturale condizione, che ingenera l'eterologo principio , che predilige la parte esterna del corpo , che in semi- circolare forma l' irrita , e vi determina la patolo- gica secrezione , che il morbo scioglie. 120 CAPO QUINTO. Necroscopia. L' organica condizione del zostere risiede nella esterna superficie ; e circoscrìvesi nella fascia flitte- noidea. Invano altrove la cercherai, se non vi furono omopatie. Ed ella consisie nelle rosee macchie, e nelle limpide vescichette di siero ripiene, e circondate da tenue e rosea areola. Che in principio sono piccole e rare ; che poi si ingrossano , e infine si rompono; e che nella pelle lasciano rosee macchie , che poi spariscono. CAPO SESTO. Pronostico. Passeggero e benigno è il zostere nelT infanzia e nella gioventii; e qualche volta è funesto nei vecchi, cui sempre tormenta, ed anche consuma e fa morire. Poco l'acuto duraj e se sorpassa il primo, non rag- giunge il terzo settenario. 11 cronico lungamente dura, e l'eruzione in parte scomparisce e ricomparisce, e si perpetua ; ed anche dileguasi interamente, e pare guarito, e poi torna da capo, zoster redivivus. E la vescicolazione dileguatasi, continuano qualche volta le locali sofferenze, e spesso riproduconsi, senza che ricomparisca la flittenoidea fascia. In fine anche le ro- see macchie si dileguano; e naturale ritorna la pelle- 121 CAPO SETTIMO. Cura. Prima la dieta , e poi il tenue vitto al zosteroso conviensi; e l'emetico ed il purgante gli giovano, se vi è inquinamento intestinale ed esofageo. Alcuni cavano sangue; ed altri le sanguisughe nella parte affetta attaccano. E vi fanno l'embrogazioni oleose; e r unzioni colle pomate di giusquiamo e di bella donna, e cogli oppiati unguenti. E col fino oleoso pannolino , rimediano al contatto dei vestimenti. E per medicare il cocente prurito ricorrono alla cau- terizzazione di nitrato d'argento. E la flittenoidea fa- scia gangrenandosi, amministrano internamente, ed applicano esternamente l'antisettico per eccellenza, la china. SEZIONE QUARTA. Penrìgo. CAPO PRIMO. Definizione. Il penfìgo è la bollosa eruzione che viene fuori, nell'esterna superficie del corpo, con vescichette meno 0 più numerose, più o meno grosse, e circondate o no da rosea e tenue areola. Che formate sono dall'epi- dermide^ innalzata, in bollosa forma, dalla sierosità 122 che le riempie. Presto avvizzisconsi e romponsi, ed al- tre per indeterminato tempo si riproducono. Sempre il corso è lento; e l'acuto sorpassa il mese, e il cro- nico dura per anni; emacia il corpo, ed anche, chi lo soffre, fa lentamente morire. CAPO SECONDO. Forma- Precedono il penfìgo acuto il malessere, il rila- sciamento , la sonnolenza , la torpedine , le ignee vampe, gli articolari dolori, e la lenta organica rea- zione. E poi compariscono nelle membra inferiori e superiori, nel torace, nell'addome, nella fronte, nelle palpebre, nelle guarce e quasi da pertutto le rosee macchie ardenti, pruriginose, pungenti e lancinanti; di varia figura e grandezza; ed ora disperse, ed ora confluenti. Che colla medesima successione, che ten- nero nel venir fuori, si formano le vescichette ; che come compariscono , così prestamente scompari- scono. Nella giornata vengono fuori , si circondano di rosea e tenue areola, si riempiono di limpida sie- rosità; si rompono, e comparisce il denudato derma rosso e sanguinolento. E nel terminare la penfigosa eruzione, viene anche fuori altra minuta vescicola- zione, che prestamente dileguasi. E nel tempo inter- posto tra il terzo ed il quarto settenario diseccasi la vescicolare eruzione; e formansi crostose lamelle, che l'aria imbruna ; e che staccandosi compariscono le macchie, che poi si dileguano. Nel cronico penfigo la vescicolare eruzione è lenta e persistente; lungamente 123 dura, ed anche l'anno sorpassa, quantunque guari- scasi. In una parte inconìincia, e in altra estendesi; e rimanevi simultaneannente, e giravi ancora successi- vamente. Anche le mucose invade, e compariscono le • flittene nelle narici, nella bocca, nelle fauci, nel- l'ugola, nella lingua e nelle tonsille. E alla vescicolare eruzione , che l'esterna e l'interna superficie invade, sempre succede lo scoraggiamento e la morte. CAPO TERZO. Cause remole. Invade il penfigo i leucoflemmatici, che altre cu- tanee efflorescenze hanno sofferte ; e che pel me- stiere , che esercitano, poco si muovono , e molto vegliano, che male si- nutriscono, e abitano in luogo basso, umido e occidentale. La state, 1' autunno e l'inverno gli sono contrari, e la primavera lo favori- sce. Meno in Francia e nell'ispanica e italica penisola, e pili comune è nell'Inghilterra e nell'Alemagna. CAPO QUARTO. Cattsa prossima. Nella interna acredine gli antichi collocano la causa prossima del penfigo. E i meno antichi, e non affatto moderni, ne incolpano l'orinoso assorbimento, e la diminuitasi renale secrezione. E chi, nel mille- ottocento-sedici, lo vide in Chelsea generalmente in- vadere, lo crede epidemico; e nell'aria colloca la causa 124 prossima del penfigo. E l'essenziale condizione pare che consista nella peculiare esistenza individuale; per cui segregasi, per indeterminato tempo, T etcrologa materia , che tende continuamente a scappare per l'esterna superficie del corpo. CAPO QUINTO. Necroscopia. Non v*è bisogno, che il penfigoso muoia, per ve- derne la materiale espressione; mentre ella risiede neir esterna superficie, e basta di guardare per ve- derla. Compariscono in principio poco estese rosee macchie, che poi si slargano, e si innalzano e formano bolle di varia figura e grandezza , che di sierosità riempionsi. Poi avvizzisconsi e romponsi, e lasciano denudato il papillare corpo rosso e sanguinolento. In cui croste friabili formansi; che staccandosi, scoprono rosee macchie, che poi col tempo dileguansi. E nelle interne superficie viene anche fuori il penfigo; come bene si vede nell'aperto cadavere. — Due esami necro- scopici eseguiti nello spedale di s. Luigi comprovano la vescicolazione bollosa in tulio il tragitto intestinale d'in- dividui che patirono scariche sanguinolenti- Citerò tra gli altri V apertura del corpo di Anna Brundomy , morta per la conseguenza del penfigo cronico: lo epi- telio separavasi con grande facilità, e la figura delle ampolle vi era visibilissima, Vinterno della bocca era pieno di piccole esulcerazioni che assomigliavansi ad escoriazioni aftose. Si fatte esulcerazioni crono poco profonde e coperte di pellicolla nerastra; se ne scorge- ì 125 vano altresì sul velo e sopra le colonne palatine; la //n- yua, in parte distrutta, presentava grosse croste, sotto le quali era im fluido glutinoso; V interno delV esofago, d'altronde sano, presentava, laddove si unisce allo sto- maco, la membrana mucosa poco aderente alla musco- lare, ed un fluido sieroso sparso nel tessuto mucoso intermedio. Gli intestini tenui erano tempestati di mac- chie e di esulcerazioni sani ose; e trovai due enormi vesciche nel colon (1). CAPO SESTO. Pronostico. 11 penfigo è benigno, ed anche maligno. Quello è semplice eruzione bollosa non complicata d'altri malanni, né suscita imponente organica reazione ; e questo congiungesi coi morbi maligni e pestilen- ziali; ed anche lo credono epidemico e contagioso. Il benigno nel settenario quarto o risolvesi, o mag- giormente prolungasi colla cronica forma. Ed il cro- nico sempre sorpassa l'anno, ed è mortale, se all'adi- namìa congiungesi. CAPO SETTIMO. Cura. Il penfìgo da leggera causa mantenuto, facilmente risolvesi; e lungamente dura, se è complicato, e pro- ci) Alibert, Trattato delle malattie della pelle. 126 fonda è la condizione che lo mantiene- E con cose tenui e dolcificanti curasi il benigno penfigo; e le conmplicazioni, del complicato, prima si medicano, e poi il morbo primario combattesi. Che bene non comporta i diaforetici, gli stimoli e i calefacenti; e i dolcificanti molto gli giovano; verbigrazia, il siero di latte , il brodo di vitella , di pollo e di rana , l'acqua gommosa e il decotto d'orzo; a cui Richter unisce la tartarizzata bevanda. Brochret calma la spa- smodia, se vi è, colla canfora e col muschio. E le denudate superfìcie localmente si medicano col bu- tiro , colla pomata di cocomero e di spermaceti ; ed i penfìgosi anche si mettono nel bagno d'amido e di gelatina. E le pruriginose vesciche si lavano col decolto di teste di papavero, di solano e di giusquia- mo. E per sostenere le languenti forze, agli indicati rimedi si uniscono i nutrienti e i tonici. Mentre il penfigo, che d'acuto diventa cronico, consuma e in- debolisce. SEZIONE TERZA. Orticaria. L'orticaria è vescicolare pruriginosa efflorescenza; simile a quella, che nel corpo nostro l'ortica pro- duce. Maggiormente la fa il freddo prorompere; lun- gamente non dura; e per insensibile desquamazione dileguasi. La dividono in acuta e cronica; ed anche la cognominano macchiata , vescicolare e tuberosa eruzione- 127 CAPO SKCONDO. Forma. Spesso all'eruzione precede l'organica reazione, il dolore di capo , la sete, ed il freddo da calore interposto. Ed ora il ventre è sciolto; ed ora è co- stipato; e l'orina è giumentosa. Ed anche vi è nausea e vomito, e intestinale dolore. E nel tempo inter- posto tra la seconda e la terza giornata viene fuori , in mezzo all'universale prurito, la vescicolare eru~ zione nelle braccia , nelle cosce , nella faccia , nel petto, nel ventre e quasi da pertulto. Scomparisce in una parte, e in altra ricomparisce, ed anche in- teramente dileguasi; e poi riviene fuori per indeter- minate volte. E tra la quarta e 1' ottava giornata dileguasi con insensibile epidermica disquamazione. CAPO TERZO. Cause remote. La condizione della vescicolare eruzione orticaria determina la gastrica biliosa zavorra, il marittimo e fluviatile alimento salato e guasto, e ciò che all' or- ticaria maniera irrita la superfìcie esterna del corpo. 128 CRPO QUARTO. Causa prossima. Neil' individuale idiosincrasia consiste l'orticaria proclività; e le cause che agiscono in essa , o che operano con essa, segregano la etcrologa miiteria , che predilige la cute per compiere la critica eva- cuazione. CAPO QUINTO. Necroscopia- L'orticaria eruzione è maculata, vescìcolala, e lu- herasa. La prima consiste in macchie piccole e spor- genti, rosso-oscure, albescenti nel centro, e circon- date da tenue rosea areola; la seconda nella spor- gente eruzione, che prende il marcato carattere della vescicolazione; e l'ultima nell'asprezza, che sentesi toccandola. E nelle parli interne non si diffonde : e forma solo metastasi , se intempestivamente re- primesi. CAPO SESTO. Pronostico. Leggero malanno è l'orticaria; che se non vi è l'universale reazione, in fastidioso e persistente pru- rito risolvesi. E nella medesima giornata sparisce, e spesso ricomparisce ; e se il secondo settenario 129 incomincia, ella finisce. E l'universale reazione svol- gendosi, l'orticaria è persistente e nnaggiormente pru- riginosa; ed anche forma metastasi, se intempesti- vamente reprimesi. CAPO SETTIMO Cura Alla semplice orticaria basta la infusione di sam- buco, e la pozione salina. Ed il gastricismo, essen- dovi, col purgante dal corpo eliminasi; ed il salasso prescrivesi, se chi la soffre è pletorico, pieno il pol- so, accesa la faccia, ed il capo dolente- E dileguata che siasi la vescicolare eruzione, bisogna scanzare la intemperie, il vespertino ed il refrigerio mattu- tino; e lentamente abituarsi aita libera aria; quan- tunque non siavi pressante pericolo di consecutiva anasarca^ CONCLUSIONE. Nella prima parte del libro quarto, che contiene le malattie dell'esterno involucro, abbiamo discorsa Veritema, la resipoloy il zostere, il penfigo e Vorticaria', come la manifestazione sensibile del cutaneo pro- cesso flogistico; cui facciamo dipendere dall'organo affetto, dall'individuale idiosincrasia, e da certa lai quale specifica virulenza. Alle quali certe altre col- legansi , che dalle medesime condizioni, o da altre che dobbiamo esporre, dipendono; e che delle specie altro non sono che varietà- Queste alla lunga non discorriamo; e come Appendice l'esponiamo. G.A.T.CLXII. 9 APPENDICE. 1). AFTE. V afte è V eruzione vescicolare e pu- stolosa della mucosa, che principalmente si manifesta nelle labbra, nell'interno della bocca, nelle gengive, nel velo palatino, nella faringe, nel ventricolo e nel rimanente del gastro-enterico canale, ed anche nella laringe e nei bronchi. 2). cioAs^aA' Nella denominazione di cloasma con- cezzionale, amenorroica e pseudo-pruriginoso si com- prendono le macchie gialle tendenti al verde, o pal- lide di quando in quando fosche, o dal giallo pen- denti al nero, occupanti la faccia, il petto, l'addome, Vinguinaìa, indolenti, spesso lisce, alle volte scabre , le quali inducono appena altro incomodo che la cu- tanea deturpazione. 3). EFELIDE' La solare macula, efelide, é la gial- lastra macchia, fosca e quasi nera, che nella cute aU tra mutazione non induce che di colore, né altro in- comodo che di lesa bellezza- 4). PETECCHIE' Le petecchie sono cutanee macchie prima rosse, quindi brune e quasi nere, o anche gial- lastre, di varia grandezza, quasi rotonde o disuguali, piane e non distinguibili col tatto ; non evanescenti colla pressione, insensibili, pì^orompenti nel collo, nel petto, negli antibracci e nelle cosce. 5)' SUDAMINA' La sudamina è la minutissima eru- zione vescicolare, trasparente e sierosa, che qualche ora dura, ed anche sorpassa la prima e raggiunge la seconda giornata. Che viene fuori nella inoltratasi tifoide, nella pneumonile, nella peritonite e nella feb- 131 bre inlermittente ; ed anche in altre erimoni, verbi- grazia nella scarlatlina^ nel morbillo ecc. 6). HUPiA- La rupia è eruzione a grasse e disperse bolle-, che si manifesta principalmente nelle gambe e nei lombi dei giovani e dei cagionevoli vecchi. In principio la sierosità le riempie, che poi diventa pu- riforme, sanguinolenta e purulenta. E inseguito le bolle apronsi ; e la contenuta marcia coagulasi , e forma crosta. Ha lunga durata, e lascia risolvendosi mac- chie livide, che vi rimangono per lungo tempot e che poi anche queste dileguansi. 7). ETTI MA- Vellima consiste in poche e disperse pustole, che prorompono, a preferenza che nelle altre parli, nel collo, nella faccia, e nelle spalle- 1 rosei bottoni presto si ingrossano, si aprono, e formano cro- sta. E le pustole, che lentamente si risolvono, e che si riproducono, lasciano sempre macchie ed anche ci- catrici. 8). ACNE- L'acne è svariata eruzione, cui distin- guono in semplice, in indurala e rosea. La prima è rara e minuta puslulazione; la seconda ha maggiori pustole; e Vultima è rosea eslesa cutanea colorazione. 9)- ME NT AGRA- Incomiucia la mentagra colVinsof- fribile dolore; e poi vengono fuori nel mento due o tre pustole; e la faccia arrossasi, si riscalda e s*in- fiamma. A queste che si disseccano, altre succedono; ed il vero mentagra perpetuasi per la disumana tonsura. 10). LICHENE' Il lichene consiste in piccole e so- lide elevazioni pruriginose e agglomerate, di roseo o cutaneo colore, che erompono principalmente nelle dita, nel dorso della mano, nel braccio, nelV antibraccio e nella facvÀo; seguito o da friabile disquamazione , o 132 da escoriazione, che subito ricopresi di tenue crosta. Spesso il mese sorpassa, e dura lunganìente; e poi sfo- gliasi, e naturale ritorna la pelle- 11). psiDRAciA. Coniponesi la psidracia di dure pustole lievemente sporgenti, e fortemente prurienti, che erompono nel petto, nel collo, nelle spalle, nel dorso , ed anche nelle membra dei fanciulli e dei vecchi. E dalla scabbia dislinguest, mentre come in quella nelle ripiegature articolari e tra le dita Vern- zione non viene fuori; e poi perchè anche spontanea- mente risolvesi con quasi insensibile disquamazione. 12). LEPRA. La lepra è squamosa cutanea eru- zione, che nel mezzo ha naturale la pelle; e che es- sendo il disco ricoperto di rosee squame, prima sì gua- risce ìlei mezzo, ed il cerchio rislringesi, e lentamente guariscesi. 13). PSORIASI. La psoriasi è contrassegnala da lenticolare scaglia, che in roseo punto nasce, e si in- grandisce', e che è guttata, diffusa e serpeggiante. 14). PITIRIASI. Nella pitiriasi il cuoio capellato ri- scaldasi ed arrossasi, e Vepidermide distaccasi in la- melle ed in materia purulenta- 15). FRAMROEsiA. La frambocsia è comunissima nell'Affrica, ed altrove rarissima. Comparisce nel ca- pellato derma, neirorecchia, nelle labbra e nei geni- tali. Con rosee macchie incomincia, che elevandosi in pustolare forma simida le mora ed il lampone; da cui geme giallo e glutinoso umore- Lentamente crescono, e moltissimo durano; e poi o si risolvono, o riman- gonsi in forma di sordita piaga- la)' MOLLUscHio- Il molluschio è rarissimo der- matico malanno ; cìie la forma che piglia è quella 133 deir organico prodotto, da cui esso desume il nome; e che dalla framhoesia altrimenle non distinguesi; e pare anzi esserne semplice varietà- CONCLUSIONE. Alle flogistiche efflorescenze abbiamo l'appendice fatto; per quelle collocare, che dipendono dalla cuta- nea irritazione, determinata daW internamente secre- gatasi acretine' Cui crediamo essere varietà , e non tipi di quelle che abbiamo, e che dobbiamo esporre- Dalle quali alcune le abbiamo pure separate, per col- locarle nel libro settimo, in cui le costituzionali di- scorriamo. PARTE SECONDA. Epidemiche. Nelle flogìstiche, che abbiamo discorse, vi è pre- valenza d'infiammatoria condizione; e nell' epide- miche, che dobbiamo discorrere, alla flogosi prevale la miasmatica manifestazione; e la specifica viru- lenza. E sono malanni, che non rinvadono; e che se sporadici sono, non sono tanto pericolosi; e che menano grandissima strage se epidemicamente inva- dono. 134 SEZIONE PRIMA. Vaiuolo. CAPO PRIMO. Definizione. Il vaiuolo è contagiosa e febrile eruzione, che non rinvade; e che nella pelle erompe mediante pustole, che in principio suppurano, e poi disseccansi; e che cadendo lasciano macchie , che si dileguono, e la pelle , principalmente della faccia , rimanesi sca- bra e puntata, CAPO SECONDO. Forma. Vogliono, che il virus del vaiuolo per sette giorni si incubi; e che l'incubatore soffra epigastrico ri- stringimento, che sogni, e che sia taciturno ed in- quieto, incubazione. E che poi invada, e che 1' inva- sione svolga l'universale organica reazione ; ed il sistema muscolare si rilasci. E i brividi ricorrono, da vespertine vampe di calore interposti ; riscaldasi il corpo e maderoso diventa. Duole il capo, ed anche delirasi; gonfiasi la faccia, e convulse sono le pal- pebre- Arde la sete, e viene la nausea ed il vomito. Dolgono i lombi, il petto e l'addome; e sopravviene la toracica oppressione , e la penosa zifoidea sen- 135 sazione, invasione. E 1'eruz.ione incomincia a venire fuori Ira Io spirare della seconda e l'inollrarsi delia quarta giornata. Prima comparisce nella faccia; e poi successivamente si diffonde nel torace, nell'ad- dome, nelle braccia, nel dorso, nelle gambe, nelle mani, nei piedi e quasi da pertutto. E colle rosee macchie incomincia a venire fuori; che prestamente trasformansi in pustole e bottoni. E ovunque deli- neansi le pustole o nella prima, o nella seconda mezza giornata; che nella giornata seconda allargansi nella base; e nella terza prima si appuntano, e poi nel centro deprimonsi; e maggiormente sviluppano nella sesta e nella settima, eruzione. La maturazione in- comincia nel fine della sesta e nel principio della settima giornata, dall'invasione incominciando a con- tare, e dall'eruzione tra Io spirare della terza e l'inol- trarsi della quarta. Nel compiersi la maturazione svolgesi altra universale organica reazione- La fac- cia, il collo, e la gola si gonfiano, il tegumento si tende, e difficile e penosa la declutizione si rende, ma- turazione. Biancansi poi le pustole ; ed il limpido umore condensasi, ed in marcia trasformasi. Le pu- stole incominciano a disseccarsi; e nella nona giornata grancriiica, il male diminuiscesi. E tra la nona e la decima la suppnruzione finisce, suppurazione. La faccia sgonfiasi ; e la tumefazione ancora persiste nei piedi- E condensasi la sierosità, che dalle pu- stole emana, in gialle croste, che fattesi friabili, si polverizzano e si dileguano, disseccazione. Nel discreto vainolo rimanesi la pelle, per certo tempo, macchiata, e poi ritorna naturale; e nel confluente la superficie, principalmente della faccia, non appianasi e rimanesi 1:^6 puntata e scabra. Sempre il vaiuolo non comparisce, e sparisce come l'abbiamo descritto; e dalia maggiore benignità innalzasi alia massima malignità- Talora anche Tinterne superficie invade; tale altra non com- parisce nell'interno e nell'esterno, ed è benigno ed anche maligno. Ul variolae sine febre, sic febris va- riolosa sine variolis inlerdum occurrit (1). CAPO TERZO. Cause remote. Il primo vaioloso prepara in sé stesso, mediante il concorso d'interne e preternaturali esterne con- dizioni, il principio contagioso; che in aerea condi- zione occulta e indeterminata , né dipendente da freddo, né da caldo, si propaga ed altri infetta. CAPO QUARTO. Causa prossima. La causa essenziale del vaiuolo ascondesi nel prin- cipio epidemico -contagioso*, che comunicasi ai pre- disposti, e che in sé stessi producesi per sponta- nea generazione. (1) Borsieri. 137 CAPO QUINTO. Necroscopia. La materiale forma del vaiuolo consiste nella pu- stulazione, che invade l'esterne, e qualche volta an- che l'interne superficie. Ed alle rosee macchie suc- cedono le pustole che , per la diversa forma che hanno , si dicono crislalline, silìquose, cornee, ver- rucose, tuberose, sanguinolenll, gangrenose , rosee e morbillose. E tagliata iraversalniente la pustola, com- parisce la molticulare interna struttura , e i tia- mezzi, che ad un centro convergono, ripieni di dia- fona e viscosa materia. E nel cadavere del vaioloso si trova anche 1' interna pustulazione nella bocca , nelle fauci, nell'interno delle narici e nel gastro-en- terico canale. E qua e là la mucosa arrossata ed ingorgata: ed anche trovasi sierosa colluvie nei ven- tricoli cerebrali , e nella cavità della pleura e del pericardio. CAPO SESTO. Pronostico. Il pronostico del vaiuolo deducesi dall'eruzione, dispersa o confluente, dall'orgnnica reazione , dal- l'epidemìa, dall'età , e dalla costituzione di chi Io soffre. E minore nello sporadico, e maggiore è la mortalità nell' epidemico. Minore se la reazione è debole, ed è maggiore se la tifoide gli si accompa- 138 gna. E nei primi anni generalmente é minore, e maggiore nell'inoltratasi eia. Più dei soggetti irrita- bili , e meno muoiono degli insensibili e dei lin- fatici- E meglio guariscesi in chi svolgesi solo, e senza strepito di fenomeni, e lo pustole sono rare e non sono confluenti. CAPO SETTIMO. Cura. Né il preservativo, né lo specifico del vaiuolo co- nosciamo. Sonovi però alcune regole che bisogna seguire; verbigrazia, nella flogistica vigente epide- mia tralasciamo utilmente il vino ; e ai pletorici , per precauzione, ordiniamo il salasso e la vegeta- bile dieta- E nell'epidemia gastrica, oltre che ci al- lontaniamo da ciò che il gastricismo favorisce, an- che ci purghiamo con vantaggio il ventre, E se l'epidemia è nervosa, ci allontoniamo utilmente da quanto ci conturba e ci indebolisce il nervo-gan- glionare sistema. Eliminiamo i vervi; rianimiamo le languenti forze; e rilasciamo coi bagni la soverchia muscolare tensione. E nulla facciamo al benigno va- iuolo; mentre naiura basta a sé stessa. Ed il morbo eludesi, standosene in aria libera e temperata; e coi propri giuochi divertendo i fanciulli; e mettendoli in letto solo ne! tempo, in cui svolgesi l'organica rea- zione. E le complicazioni curiamo, come si medi- cano le malattie che lo complicano (1). (1) La varicella è cutanea pustolare eruzione analoga al va- iuolo, vaiuolo spurio; che ha meno pustole, meno reazione; e che presto risolvesi, e spesso ritorna. 139 SEZIONE SECONDA. Rosolia. CAPO PRIMO. Definizione. La rosolia è sfuggevole e rosea efflorescenza , febbrile ed apirettica ; e che in poco tempo com- parisce e sparisce. Non è pericoloso malanno; e sola le complicazioni e la intempestiva scomparsa tale ce lo rendono. CAPO SECONDO. Forma. La rosolia precedono i lievi e ricorrenti brividi, l'agitazione, i torbidi sonni, ed anche il delirio. E poi la pelle di rosso maculasi ; e la efflorescenza componesi di larghe macchie, che deturpano il collo, la faccia, il petto, le cosce, le braccia, ed anche il dorso e l'addome. Poco durano; e in alcnne parti compariscono ; nel mentre che nelle altre scom- pariscono. Leggera, ed anche nulla è l'organica rea- zione ; e qualche volta le si congiunge la sinoca estesa e la tifoide. E la maculazione dileguasi nel giro della prima, o della seconda giornata; di raro nella terza, e quasi mai dura oltre alla settima. E quasi sempre termina colla insensensibile epidermica disquamazione. 140 CAPO TERZO. Cause remote. La primavera e l'autunno la favoriscono; ed il clima inflaiscevi ancora. E svolgasi a preferenza , che in altri, in chi ha la pelle umida e delicata ; e che alla intemperie esponesi- Ed al malanno pre- dispone , ed anche lo determina, la freddo-umida temperatura, il cattivo alimento e la intempestiva scomparsa delle naturali e delle praeternaturali eva- cuazioni. CAPO QUARTO. Causa prossima. Vogliono alcuni , che la rosolia sia sporadico malanno, altri epidemico, e certi altri contagioso- Che sia contagiosa, non è abbastanza provato ; e che ella sia epidemica , il fatto lo dimostra ; ma anche è sporadica. Qualunque però sia la di lei ac- cidentale ricorrenza; sarà sempre da collocarsi la con- dizione, che la determina, nella preternaturale mo- dalità, che segrega il morboso principio, che pre- dilige la cute per compiere la critica evacuazione, che la risolve. 141 CAPO QUINTO. Necroscopia. L'appariscente forma della rosolia è la rosea ma- culazione; che nella superficie esterna del corpo viene fuori. E semilunari sono le macchie nell'addominale periferia, nella regione inferiore dei reni, nelle na- tiche e nelle cosce- E sonovi ancora delle macchie circolari, nel cui mezzo naturale è la pelle. E d'ir- regolare forma ed ovunque, sono nel corpo diffuse. Ed anche arrossata ed ingorgata è la mucosa delle fosse nasali , della bocca e delle fauci. E nel cada- vere spesso si trovano sierose colluvie. CAPO SESTO. Pronostico. La rosolia è sfuggevole malanno^ che come com- parisce , prestamente scomparisce. E nella seconda e nella terza giornata la maculazione dileguasi; ed il morbo quasi mai sorpassa il primo, e raggiunge il secondo settenario. E solo è funesta per le compli- caziuni , e per la intempestiva scomparsa. CAPO SETTIMO. Cura. Tengonsi i malati in aiia dolce e temperata; e si preservano dalla intemperie- E libero mantiensi il U2 ventre coi clistieri; cui rendonsi maggiormente ri- lasciati colla propinazione dei neutri sali. Anche gio- vano le bevande diluenti e rifrescanti, e le legger- mente diaforetiche. E tenue essere deve il vitto; né devonsi mangiare vivande grasse ed oleose. Ad affe- zione tanto leggera, non vanno opposteche poche cose. E solo per evitare la consecutiva anasarca, deve chi r ha sofferta, lentemente, e ben coperto esporsi alla libera aria. SEZIONE TERZA. Morbillo. CAPO PRIMO. Definizione' Il morbillo è cutanea efflorescenza , che alcuni credono che sia contagiosa. Muove lo sternuto, e rauca e secca la tosse , e gli occhi arrossa e fa lagrimare. Non rinvade ; e coli' insensibile epidermica disqua- mazione presto dileguasi. CAPO SECONDO. Forma. Il morbillo è come il vainolo antico, e l'arabo Razìs per la prima volta 1' ha descritto. L'incuba- zione è poco manifesta, ed è quasi latente; e solo la indicano la tristezza e l'abbattimento. E poi l'in- US vasione ci denunciano ì brividi da vampe di calore interposti , la cefalagìa, il nnalessere e l'universale abbattimento, l polsi si accelerano, e muovesi 1' uni- versale organica reazione. Le palpebre e i tarsi si tumefanno, gli occhi ardono e lagrimano, e le guance si coloriscono. Stilla dalle narici acre sierosità, che la tosse e lo starnuto muove. E, nel tempo inter- posto tra la seconda e la quarta giornata, vengono fuori rosee macchie nella pelle calda e pruriginosa della fronte , delle guance , del naso , del torace , dell' addome, del dorso, dell' estremità superiori ed inferiori, e quasi da per tutto. E poi il prudore ed il calore diminuisconsi; il rossore scoloriscesi; e nello spazio interposto tra la sesta e la decima giornata si dileguano le macchie; ed incomincia la insensibile epidermica disquamazione, e naturale ritorna la pelle- CAPO TERZO. Cause remote. Basta la predispasizione affinchè il principio mor- billoso si svolga in chi lo riceve. E tra la materia infettante e V inalante, pare che siavi inesplicabile affinità; per cui passa dall'infetto al sano predisposto. E r inverno, a preferenza dell'altre stagioni, lo fa- vorisce ; e nel nord è piìi comune, che nelle altre parti , che sono meno fredde. U4 CAPO QUARTO. Causa prossima. Del morbillo la causa prossima o ingenerasi nel- r interno , o nel!' esterno; e nel sano iritroducesi o per le fosse nasali, o per la bocca, o per l'esterno integumento. E, mescolandosi poi agli umori, suscita l'organica reazione; per cui il prodotto etcrologo viene alla periferia spinto, e dal corpo eliminato; cui inac- cessibile rende ad altra morbillosa invasione. CAPO QUINTO. Necroscopia. La morbillosa efflorescenza consiste nelP integu- mentale maculazione; che ancora estendesi nella volta palatina , nell' amigdale e nell'uvola, cui arrossa ed infiamma. E nei morbillosi cadaveri sono state tro- vate riempite di sangue le vene cerebrali esterne ; ed il polmone ingorgato ed epatizzato; il fegato bian- cato e rammollito; sierose colluvie; e l'intestinale mucosa esulcerata con manifeste tracce di percorsa flogosi. Altre cose sono state parimente trovate; che tranne la rosea efflorescenza, non sono la manife- stazione della morbillosa potenza. 145 CAPO SKSTO. Pronostico. Il morbillo sporadico è benigno; e qualche volta è anche maligno. Ed in cerle ricorrenze 1' epide- mico ancora è benigno: ma spesso è maligno e pesti- lenziale- Ed anche altro malanno gli si accompagna, che maggiormente l'aggrava; verbigrazia, altra cu- tanea efflorescenza, la sìnoca estesa e la tifoide. CAPO SETTIMO. Cura. Nel semplice morbillo natura da sé opera , e sola regola i periodi, che si succedono, ed alla salute riconducono. Oltre al tenue vitto, alla bevanda dol- cificante, rilasciante e leggermente diaforetica, non si devono prescrivere altre cose di maggiore attività; se non sono richieste dall' imponenza dei sintomi, e dalle funeste complicazioni. E solo cavasi sangue, se violenta è l'organica i-eazione, ed eminente il pericolo del cerebrale ingorgo, e della viscerale in- fiammazione- Ed il gastrico imbarazzo sbarazzasi coir emelo-catartico; e la spasmodia calmasi cogli antispasmodici; e nell'adinamia promuovesi l'univer- sale eccitamento. Ed all'efflorescenza, che non viene fuori, o che ritorna dentro, giova il tiepido bagno, ed il volente vescicante. E nel compiersi la derma- tica desquamazione, ad alcuni giova il purgante; ed a C.A.T.CLXII. " 10 U6 chiunque bene sì conviene di libera maniere l'esterna insensibile traspirazione; che dalla sierosa colluvie preservaci. SEZIONE QUARTA. Scarlattina. CAPO PRIMO. Definizione. La scarlattina è sporadica ed epidemica, benigna ed anche maligna e pestilenziale efflorescenza, che viene fuori, nella pelle asciutta e calda, con rosee macchie larghe e lisce, alternate d'asprezze, da bol- licine, ed anche da pustole. E che impropriamente, per la forma esterna, la dividono in levicata^ in mili- forme ed in pustolosa. Non rinvade; e termina coH'epi- dermica disquamazione. Ed a preferenza che alle al- tre, le succede l'anasarca, se intempestivamente la traspirazione sopprimesi. CAPO SECONDO. Forma. L'incubazione ora dura poco, ed ora maggior- mente prolungasi. E la cutanea etfloreseenza prece- dono il malessere, l'universale rilasciamento, la son- nolenza, la cefalagia, il ricorrente freddo da calore interposto, la siccità e la sete, l'epistassi, la nausea 147 ed il vomito, e l'universale organica reazione. E nella seconda dell'infezione, e nella quarta febbrile gior- nata vengono fuori rosei punti nella faccia e nel collo, e nell'altre esterne parti del corpo. Che nella loro seconda giornata si allargano, e si accostano gli uni agli altri e formano rosee macchie ; e nella terza maggiormente si riuniscono e formano continua tinta. E meglio che nelle altre parti risplende nell'artico- lari ripiegature , nell' anguinaia , nell' ascella e nei lombi. E poi l'efflorescenza dileguasi col medesimo ordine inverso , con cui comparve. E nel fine del primo e nel principio del secondo settenario inco- micia la quasi insensibile disquamazione. Non sem- pre però invade colla forma benigna, come noi l'ab- biamo descritta, e qualche volta le si congiunge la cinanche e la tifoide, ed è maligna e pestilenziale. CAPO TERZO. Cause remole. Facilmente i fanciulli e le femmine invade ; e non risparmia i maschi nò i vecchi. È malanno spo- radico, che spesso epidemicamente diffondesi. Com- parisce negli equinozi e nell'inverno; e la intempe- rie coll'aria freddo-umida e nuvolosa la favoriscono; e segue le dirotte piogge d'inteso calore seguite- U8 CKPO QUARTO. Causa prossima. La causa prossima della scarlattina è il principio etcrologo, che per una sola volta su noi agisce. Ed entrato che sia nel corpo sano, mescolasi agli umori, e poi suscita universale reazione, che la materia etc- rologa spinge nella periferia; che irritata la pelle, e dal corpo se ne scappa, e la scarlattina risolvesi. CAPO QUINTO. Necroscopia- La scarlattinosa efflorescenza componesi in prin- cipio di rosei punti, che poi si allargano- Natural- mente guardando, e meglio con occhio da lenta ar- mato, si vede infinito numero di rosei punti, fra i quali naturale- è la pelle, [n seguito si diminuiscono gli interposti spazi, e le macchie si estendono, e in- sensibilmente l'intera superficie arrossasi. Ed il roseo colore per la pressione sparisce: e rimossa che sia, ricomparisce. E maggiormente si arrossano le parti, in cui la pelle è fina ; verbigrazia , pelle articolari ripiegature, nell'anguinaia, nell' ascella e intorno ai lombi- E r efflorescenza non sì limita nell' esterna superficie; ed anche invade le narici, la lingua, e le fauci. Ed agli scarlattinosi si arrossa la volta pala- tina, l'uvola, la laringe, e la faringe; ed anche mag- giormente inoltrasi la rosea tinta- E nei cadaveri si 149 trovano le sierose e le mucose rosse ed ingorgate; 6 vi si trovano ancora sierose colluvie. CAPO SESTO. Pronostico. La sporadica scarlattina spesso è benigna; e ra- rantiente è maligna e pestilenziale. E l'epidemica è più spesso maligna che benigna- E la cinanehe e la tifoide, che le si accompagnano, maggiormente l'ag- gravano. E se poca è l'efflorescenza, o se quella che è venuta fuori ritorna dentro, può esservi micidiale metastasi. E facilmente la segue l'anasarca, se chi la sofifre raffreddasi. CAPO SETTIMO. CAua- Alla senjplice scarlattina bene si conviene la dolce temperatura, il tenue vitto, il caldo piedilu- vio, la rilasciante, la dolcificante e la leggermente diaforetica bevanda. E cavasi sangue, se imponente è l'organica reazione, e chi la soffre è atletico e ple- torico. E se vi sono, le complicazioni si curano; dal corpo le zavorre si cacciano coli' emeto-catarlico ; all'adinamìa rimediasi coi tonici e cogli eccitanti; e nell'atassia ricorresi agli antispasmadici. Ed alla cinanehe giova il dolcificante colluttorio, il catapla- sma nel collo applicato, ed il vescicante nelle braccia e nelle altre parti del corpo, ed il caldo piediluvio; e 150 se chi la soffre la comporta, la generale e la locale sottrazione sanguigna. E la tifoide, alla scarlattina congiuntasi, curasi cooìe questa e quella si curano. E dileguala che siasi la cutanea efflorescenza, libera inantiensi la cutanea traspirazione; affinchè non le succeda la consecutiva anasarca. E formala che siasi, agli evacuanti ed al salasso ricorresi, se calda è la pelle, dolenti sono le articolazioni, e persistente Tor- ganica reazione. Ed al debole, anziché cavargli san- gue, gli si prescrivono i tonici; gli si rianima il lin- fatico sistema; e le secrezioni, cogli evacuanti, gli si promuovono; verbigrazia, coll'infusione di ginepro, colla terra fogliata di tartaro , colla digitale e col nitrato di potassa. E dileguata che siasi la sierosa colluvie, ricorresi ai tonici, ed alla leggermente dia- foretica bevanda. SEZIONE QUINTA. Miliare. CAPO PRIMO. Definizione. La miliare è vescicolare dermatica eruzione, che spesso come fenomeno comparisce e sparisce; e ch'ò anche morbo essenziale, scevro da pericolo. La di cui vescicolazione assomigliasi al miglio, da cui desume il nome. E che, per la proteiforme colorazione, la nominano im)2ca, cristallina o diafana, rosso, porpo- rina o priva di coioi-e. 151 CAPO SECONDO. Forma. Poco sensibile è l'incubazione , ed è quasi la- tente. E la invasione precedono la inquietudine, la lassezza e la copiosa cutanea traspirazione. E chi deve soffrirla è taciturno e malinconico. Poi i bri- vidi ricorrono interposti da callide vampe, la cefala- gia, l'ansietà, la sete, e l'universale organica reazione. E, nello spazio interposto tra la prima e la sesta giornata, viene fuori la vescicolare eruzione nella pru- riginosa pelle del collo, del petto, dell'addome e quasi da pertutto* E la vescicolazione è come il miglio mi- nuta; e le vescichette sempre non sono limpide e cristalline; e qualche volta sono anche rosse. Ora l'eruzione è generale, e rapida; ora parziale, e lenta; ora fissa, ed ora mobile; ora discreta, ed ora con- fluente. Durano poco le vescichette ; e nel mentre che alcune si dileguano, altre vengono fuori; e la vescicolare eruzione si mantiene per indeterminato tempo; e poi risolvesi per insensibile epidermica di- squamazione. E nel finire il primo e nell' incomin- ciare il secondo settenario, al consueto e naturale stato ritornasi. 152 CAPO TERZO. Cause remote. L'ai'ia fieddo-uinida la favorisce; segue l'inon- dazioni; e mostrasi comune nelle paludi. Ed a con- trarla predispone l'alimento acido e salato, la intem- perie, e la repressa traspirazione cutanea. CAPO QUARTO. Causa prossima. La causa prossima della miliare è l'impura ma- teria, che 0 introdottasi nel corpo animale, o in esso ingeneratasi vi determina la morbosa reazione, che tende a compiere la critica evacuazione colla forma di vescicolare eruzione. CAPO QUINTO. Necroscopia. Neil' anserina pelle , rossa ed anche infiammata viene la vescicolazione fuori. E le vescichette sono minori del miglio, maggiori ed eguali ; e piene di sierosità diafana , lattea , giallognola , puriforme e rossa. E mutano anche colore le vescichette, e nella medesima eruzione coesistono vescichette rosse, bian- che, cristalline, lattee e purulenti. E negli scarlattinosi cadaveri sonosi trovate vescichette nell'interne mu- cose, e abbondanti colluvie sieiose. 153 CAPO SESTO. Pronostico. Il pronostico della miliare sintomatica dediicesi dalla febbre, e dal malanno, di cui ella è fenomeno. E della essenziale dalle cause concorrenti, dall'abito di chi la soffre, e dalla natura dell'epidemia. Ge- neralmente benigna è la sporadica, e facilmente gua- riscesi; e l'epidemica ora è benigna, ed ora è maligna e pestilenziale. E forma facilmente la sierosa col- luvie in chi intempestivamente la traspirazione sop- primesi. CAPO SETTIMO. Cura. Curasi la miliare sintomatica col morbo prima- rio medicare. Ed il purgante ed il salasso non im- pediscono ne indietro richiamano la vescicolare eru- zione ; e qualora siano , dal primario morbo , ri- chiesti, senz esitanza e timore devonsi ordinare. E nella miliare primaria , in cui non sono compli- cazioni da curare, ne vi è da moderare l'universale reazione, solo prescrivesi il tenue vitto, e qualche bevanda rilasciante, dolcificante e leggermente dia- foretica. Ed il prorompente sudore lasciasi libera- mente venire fuori ; e non fsivoriscesi col raddop~ piato coprimento. E la moderazione devesi in ogni cosa al morbilloso raccomandare. E la vescicolare 154 eruzione non venendo fuori, o ritornando dentro ; all'esterno richiamasi col promuovere l'organica rea- zione, e colla cutanea irritazione- E libera sempre si mantiene la cutanea traspirazione; onde non abbia a formarsi la consecutiva anasarca. Che se poi ella formasi, risolvesi con ogni evacuazione promuovere. CONCLUSIONE. Abbiamo riunite nella parte seconda del libro quarto l'efflorescenze epidemiche e contagiose, che una sola volta invadono. Mentre il malanno epide- mico contratto non si ricontrae- La miliare soltanto, non primaria, ma sintomatica, nello stesso individuo ricomparisce. PARTE TERZA. Contagiose. Che la rogna, la tigna e la lebra siano conta- giosi malanni, e che rinvadino, è certo; e poi bene non si sa in che il contagio sia dal miasma diverso. Questo se invade , rendeci invulnerabili alla stessa maniera d'agire, e sempre non ha di bisogno dell'im- mediato contatto- Quello a distanze non opera; e se non tocca, dall'affetto nel corpo sano non passa; e e poi ritorna, ed anche più facilmente se uno vi si riaccosta. 155 SEZIONE PRIMA. Rogna- CAPO PRIMO. Definizione. La rogna è cutanea vescicolare eruzione , che viene fuori colle vescichette rosse nella base, albe- scenli nelTapice, e ripiene di limpida e viscosa sie- rosità- Che dalTaffello passa nel sano, e che anche spontaneamente viene fuori nella congiuntura delle dita, nelle articolari ripiegature, e nelle altre parti del corpo poi si diffonde. Di grattarsi desta prurito; e che sommamente diventa pruriente, se il rognoso muovesi e si riscalda- CAPO SECONDO. Forma. Dopo la meno o piiì lunga incubazione , e in genere tra la quinta e l' ottava giornata , la parte che ha ricevuto l'impuro contatto arrossasi, riscal- dasi e pruriginosa diventa- E poi viene fuori la vescicolare e pruriente eruzione, che incomincia a comparire nella congiuntura delle dita e nelle ar- ticolari pieghe , e poi ove la pelle è fina, e quasi da pertutto se a se stesa abbandonasi. E le vesci- chette si avvicinano 1' une all' altre, e l' interposta pelle infiammasi. Ed il prurito, per il moto, che il 156 corpo riscalda, maggiormente molesta; ed il rognoso abbandonasi al desiderio di grattarsi; rompe le ve- scicbette , e versasi la contenuta sierosità , che si condensa in tenue croste, poco aderenti. E meglio viene la rogna fuori, e maggiormente diffondesi nei sani e nei robusti- CAPO TERZO. Cause remote. La state, a preferenza dell'altre stagioni, favo- risce la genesi e la propagazione dell'acore. E nei giovani e negli uomini alligna , e si propaga a preferenza che nelle femmine e nei vecchi- E pare ancora che l'eterogenìa delTacore sia favorita è de- terminata dall' individuale sucidume, e dall' iterato contatto di cose immonde- CAPO QUARTO. Causa prossima. La causa prossima della rogna è Vacore, acoriis exulcerans. E la teoria degli antichi, che trasmessa da secolo in secolo congiungesi alla scoperta dell'acore, che ne fece l'arabo Avenzoar, spiega il morboso fe- nomeno coll'acre e fermentabile materia- CAPO QUINTO. Necroscopia. Attentamente i rognosi guardati, vedonsi in essi le vescichette del cutaneo colore, albescenti nell'apice, 1 157 e nella base rosse che poco s'ingrossnno, e che bene vi si scorge la vescicolare figura , che le caratte- rizza. Sono disperse ed anche confluenti; e talora è infiammata l'interposta pelle. E le vescichette apren- dosi, vedesi in ciascuna il solco, che ora monta alla sommità, e che ora la circonda, e che anche dalla base partendosi , dirigesi alla naturale circonvicina pelle. Alla di cui estremità scorgesi, anche ad occhio nudo , un punto bianco , che alla parte posteriore dell' acore corrisponde. Ed il parrassito e minimo animale trovasi spesso nella base della vescichetta, di raro nei lati, e quasi mai nella sommità. Un mil- limetro ha di diametro; ed è simile ad un grano di segala, che potrebbe prendersi per un frammento di staccata epidermide. Ed un occhio acuto ed esperto scorge nel bianco fondo il punto bruno-rossastro; e non fa duopo di lente per vederlo correre sopra co- lorata superficie. Ed all'esterno limitansi i rognosi guasti; ed è bene provato, che le viscerali altera- zioni, da certuni descritte, altro non sono, che mor- bose complicazioni; e le conseguenze della riassor- bitasi materia, e le funeste metastasi. CAPO SESTO. Pronoslico- Quasi mai la rogna spontaneamente guariscesi; e sempre cede ai terapeutici sussidi. E se si trascura ed a sé stessa si abbandona, e si manda indietro; può esservi marcioso riassorbimento, e la materia raccogliersi a formare colluvie, infarcire le glandolo 158 ed i visceri, e formare interne metastasi. Anche Tin- terno malanno, quando comparisce, porta fuori, ed è solo pericolosa perchè a se stessa abbandonasi , e per la intempestiva scomparsa. CAPO SETTIMO. Cura. Se all'intempestiva scomparsa della preternatu- rale, ed anche della naturale secrezione, segue la rogna, non devesi questa curare prima che quella non siasi riattivata , o che non la supplisca altra artificiale evacuazione. E si esamina, prima di curarla, quale rapporto ella abbia coll'interna affezione. E rimediato che siasi alle complicazioni, curasi la rogna col zolfo, cui applicasi in vapore, in bagno ed in unguento- Ed il mercurio nell'esterno applicato, come il zolfo, Vacore ammazza. Oltre ai solfuri ed ai mercuriali altri medicamenti si adoprano; ai quali noi di buon animo rinunziamo, perchè oltre 1' essere d' incerta azione, lentameute la rogna guariscono. 159 SEZIONE SECONDA. Tigna. CAPO PRIMO. Definizione. La tigna è apiretica eruzione , che viene fuori nel capo e nella faccia con prurienti ulcerette; da cui perennemente emana viscoso e fedito umore, che si condensa prima in materia rosso-gialla, e che poi induriscesi e forma, croste dure e cineracee. CAPO SECONDO. Forma. La tignosa eruzione è quasi sempre preceduta dalla tensione, dal calore, dal prurito e dal desiderio di grattarsi. E poi le glandolo cervicali si gonfiano e dolgono; e vengono fuori nel capo e nella faccia larghe e poco elevate prominenze; che esulceransi, e perennemente emanano viscoso, denso, rosso-giallo e fetido umore; che si condensa, e forma prima fria- bile e poi durissima crosta. — La lesta viene subito ricoperta di croste di vario aapello; talora coleste croste hanno Vaspello di piccoli cavi circolari - tigna favea alveolata; — talora hanno Vaspello di piccoli grumi separali, grigi, bruni, irregolari- tigna granulata o gra- nosa;— talvolta quella di lamine irregolari, gialle, 160 flavescentì, che si staccano con facilità; e ricoprono non solo la testa^ ma si estendono anche nella fronte e nella faccia - tigna mucosa — ; altre volte V umore coagulasi in forma lamellosa, in scaglie forforacee , bianche, più o meno grosse, umide o secche, aderenti e che si staccano facilmente- tigna forforacea; final- mente le scaglie possono essere lucide o argentine , possono riunire i capelli in fascetti, dar loro im aspetto lucido, setoso che è stato paragonato a quello delVa- mianlo- tigna amiantacia (1). Staccando le croste , scopresi la superficiale esulcerazione; che presto ri- coprasi. E se lungamente persiste, alterasi la pelle; e i bulbi dei capelli soffrono. Ed il tignoso consu- masi e laramente muore. E so guariscesi, la pelle rimane liscia e risplendente, e raramente vi spunta la bianca lanugine. CAPO TERZO. Cause remote. Sonovi i bambini a preferenza dei grandi pre- disposti; mentre nella prima età, nella testa risiede la morbosa proclività- E meglio degli altri la con- traggono i fanciulli scrofolosi , di pelle colorata e molle; i golosi, che nutronsi di soverchio latte e di grassi alimenti; e quelli, che abitano in luogo umido, e che poco teiigonsi puliti. (1) Rostan, Corso di medicina clinica 161 CAPO QUARTO. Causa prossima. Gli antichi ritennero essere causa prossima della tigna la copiosa bile. Ed i meno antichi la colloca- rono nella soprabbondanza degli umori mucosi, acidi ed acri. Alcuni moderni ne incolparono il locale vi- zio; altri un cotagioso principio; e certi altri l'in- cognito ed invisibile parassito. Dall'infetto la tigna passa al sano; ed è anche spontanea. E pare che sia contagiosa evacuazione del capellato caio del capo; mediante cui si purifica 1' organismo in chi ella e spontanea. CAPO QUINTO. Necroscopia- L' organica manifestazione della tigna sono le larghe e poco estese esulcerate prominenze; da cui continuamente emana viscido umore rosso-giallo e fetente , che in croste condensasi. E 1' uceri sono sparse e confluenti; quelle formano isolate croste; e queste estesa e schifosa crosta, mista di capelli e di condensata materia. E se uno le stacca, scopresi l'ulcere , da cui emana la viscosa materia , che le ricopre. E quasi sempre la tigna viene fuori nel ca- pellato derma del capo; di raro nel collo, nell'orec- chia, nella fronte e nelle guance; e quasi mai nelle altre parti del corpo. Il derma, se dura alla lunga, G.A.T.CLXII. Il 162 alterasi , e i bulbi dei capelli soffrono , ed anche periscono; e se è venerea, l'ossa del capo si cariano. CAPO SESTO. Pronostico. Nei succipleni e voraci fanciulli la tigna è salu- tare critica evacuazione; e nei moderati è schifoso malanno; mentre per essere sani, non vi è di bi- sogno d'essere ammalali. E la tigna è sempre per- sistente malanno; che alla lunga indebolisce e con- suma. E intempestinamente diseccata, di altri ma- lanni è causa. CAPO SETTIMO. Cura. Si previene il malanno, e facilmente si cura prima che venga fuori; e venuto che sia, difficilmente gua- riscesi. Purgasi prima , e poi la dieta prescrivesì ai voraci tignosi. E se la complica la sifilide, prima questa si cura, e poi l'ulceri si diseccano. Si tagliano i capelli , e sì ammolliscono , e si fanno le croste cadere: se qualcuna non cade, col ferro si stacca. E scoperte che siano le ulceri, subito sì lavano col- Tacqua insaponata; e poi si ungono mattina e sera colla mercuriale pomata; e se qualcuna non si ci- catrizza, col caustico si tocca. 163 SEZIONE TERZA. Lebbra. CAPO PRIMO. Definizione. La lebbra è contagioso e quasi apiretico malanno; che incomincia con macchia, o insensibili orbicolari macchie; e che prosegue col facciale mutamento, colla fetente esulcei'a/.ione, colla quasi vocale estin- zione, e colla lenta consumazione; e che quasi sem- pre colla morte termina. CAPO SFXONDO. Forma. Precedono la macchia, o le macchie orbicolari ed insensibili, la stanchezza, la svogliataggine, i brividi da vampe di calore interposte, l'interno bruciore , ed il formicolio che scorre tra la cute ed i muscoli. A cui tengono dietro i torbidi sonni, la sfrenata li- bidine, la tristezza e la costernazione. E poi rauca diventa la voce, le facoltà dell'animo si ottundono, e la fradulenza dispiegasi. Le narici inturgidisconsi, si gonrìano le guance e le labbra, e le sopracciglio alquanto protuberano, tuberosa diventa la faccia, e la cute tra i tubercoli interposta diventa rugosa ed ontuosa, perdesi il naturale colore , e la pelle im- 164 bruniscesi, ed al!' umana faccia la leonina succede. E neir esterna ed anche nelTinterna superficie del corpo si aprono ulceri fetenti, dolenti e pruriginose, che prestamente diventano schifose e crostose. Ca- dono i peli, e si fendono le unghie; ed anche alcune parti si slaccano dal corpo. Fetente è il respiro , rauca ed anche nulla la voce, grandissima la coster- nazione, e quasi certa la morte. CAPO TERZO. Cause remote. La disposizione lebbrosa pare che sia ereditaria, per lo meno nel luogo in cui ella è endemica ; e sempre vi è di bisogno di certa proclività per con- trarla. 11 caldo-umido la favorisce; e immensamente la propaga ogni universale calamità. E la lebbrosa propagazione ha sempre seguita la pubblica miseria; scorsa la quale si è ritirata, ed è ritornata nel con- sueto luogo. CAPO QUARTO. Causa prossima. Alcuni vogliono che la lebbra sia prodotta dagli indeterminati e microscopici animali; altri che sia contagiosa, e che un virus specifico la determini. E la lebbra facilmente passa dall'affetto nel sano, ed anche sponteneamente ingenerasi ; ed entro di noi formasi il lebbroso principio che la determina, e che f 165 predilige la superficie del corpo per compiere l'acri- tica secrezione- CAPO QUINTO. Necroscopia. In principio comparisce la macchia e le macchie; e poi viene fuori la cutanea tubercolizzazione, e la schifosa esulcerazione. Ed il pelo,ch*è nella macchia, diventa lanugginoso e bianco, e la macchia esulce- rasi. La parte che il naso circonda, illividiscesi, si arrossa e si gonfia; le narici si ristringono nell'in- terno, e si dilatano nell'esterno; le guance e le lab- bra si gonfiano, la faccia diventa tuberosa, e 1' in- terposta cute ontuosa e rugosa; e la leonina suben- tra all'umana fisonomia. La tubercolizzazione e l'e- sulcerazione esterna maggiormente diffondesi; ed in- vade anche le interne superficie- E le ulceri schifose e fetenti ricopronsi di spumose croste. E le arti- ticolazioni si circondano d'insensibili tumori; cadono i peli, le unghie si fendono e si staccano; le falangi si cariano e cadono. E alterazioni d'ogni genere si trovano nei cadaveri dei lebbrosi; che sempre sono schifosi e mutilati. CAPO SESTO. Pì'onostico. Lentamente la lebbra invade, e tanto bene na- scondesi, che chi la soffre non se ne avvede- E inol- 166 trasì poi senza fenomenale strepito ; e in fine sol- tanto svolgesi Tuniversale reazione. In principio dif- fìcilmente guariscesi; e inoltrala che siasi, è sem- pre mortale. CAPO SETTIMO. Cin^a- Sinlomatica è sempre della lebbra la curaj men- tre non conoscesi la natura del morbo, né Io spe- cifico che la guarisce. In principio giova il salasso, la scarificazione ed il purgante. Giovano ancora i bagni di mare, di riviera, i solfurei e i mercuriali. E internamente, pare che bene le convengano i ri- frescanti, i dolcificanti, gli antimoniali, i solfurei e i mercuriali. Ed ogni medicamento è stato ai leb- brosi somministrato ; e ciascuno di essi ha il suo commendatore ; ciò che prova, che ninno ha, fino ad ora, realmente giovato. CONCLUSIONE. Nella prima parte del libro quarto, che le cu- tanee malattie comprende, abbiamo riunite le flogi- stiche , nella seconda 1' epidemiche , e nell' ultima le contagiose. Ed il morboso esantematico tripode non è già la giusta partizione di questa sorta di ma- lattie; ed è solo la maggiormente conforme alla na- tura, ed alla loro appariscente nianifestazione. 167 LIBRO QUINTO. Catarro. PROEMIO. Compiorisi prima tra i gas ed i fluidi i chimici processi, e poi tra loro si combinano i prodotti, che ne derivano; e si compone la chimico-organica mo- dalità. Attorno a cui, finché ella esiste e non disvo- gliesi,aggiransi perennemente gli antagonistici proces- si d'assimilazione e di chimico-organica disassimila- zione. Dal cui armonico procedimento emerge la salute, e dal disarmonico la malattia. Ed alla na- turale ed alla preternaturale secrezione , il sangue somministra gli elementi. Ed anche esso scappa mor- bosamente dai vasi, emanazione sanguigna; ed anche naturalmante emana, mestrui o mensile ricorrenza. Che se da esso segregasi o sierosità o muco a pre- ferenza di quanto è riassorbito , si ha la sierosa e la mucosa emanazione. Abbiamo così tre generi di morbose secrezioni a discorrere. PARTE PRIMA. Emanazioni sanguigne. Il centro del sistema cardiaco-vascolare è il cuore, che il sangue ovunque nel corpo animale diffonde. E quando viene meno l'antagonistica corrispondenza, che naturalmente esiste, tra la quantità del sangue 168 e la capacità dei vasi; allora determinansi tre mor- bosi slati; cioè, o manca il sangue, anemia', o sovrab- bonda , pletora ; o dai vasi scappa , emorragia. Ed ovunque compiesi morbosamente la emanazione san- guigna ; e solo discorriamo alcune di esse , senza però escludere l'altre, per non essere soverchiamente prolissi. SEZIONE PRIMA. Epistassi. CAPO PRIMO. Definizione. L'epistassi è la emanazione sanguigna, che com- piesi nei vasi che si diramano nelle fosso nasali, per cui il sangue sgorga dalle narici antei'iori e dalle narici posteriori e scappa per la bocca. CAPO SECONDO. Forma. L'epistassi è attiva e passiva, ed anche trauma- tica. Facilmente compiesi nei fanciulli; e difficil- mente osservasi nei vecchi. Ora senza prodromi viene, ed ora è preceduta dal prurito, dal titillamento delle narici , dalla vertigine , dal capitale dolore e dalla lagrimazione. E manifesta è poi l'appariscente forma del sangue che scappa dalle aperture anteriori e po- steriori delle narici. 169 CAPO TERZO. Cause remote. I nutrimenti, che la pletora mantengono, all'epis- tassi predispongono; e la determinano gli irritanti, l'estrazione dei polipi, le percosse e le fratture delle ossa nasali. E come fenomeno, spesso esce sangue dalle narici nel vaiuolo e nel morbillo. CAPO QUARTO. Causa prossima. Consiste l'epistassica proclività nel rilasciamento della capillarità delle fosse nasali, e nella poca esten- sione della carotide, per cui il sangue con maggiore impeto essendo nella testa spinto, rompesi l'antago- nistica corrispondenza, che naturalmente esiste tra il movimento del liquido e la resistanza del solido, ed il sangue morbosamente versasi nelle narici. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nei cadaveri, di chi per epistassi erano morti, è slato trovato poco disciolto sangue; ed oltre al na- turale biancati e rilasciati i visceri, e nelle narici la mucosa floscia, le vene varicose, e dilatate l'estre- mità arteriose. no CAPO SESTO. Pronostico' Nei fanciulli ò l'epistassi leggero malanno; a cui spesso scioglie la cerebrale congestione. E negli adulti e nei vecchi, finché risolve la pletora, è critica eva- cuazione. Ed essendo frequente, ed all'adinamia con- congiungendosi, spesso in pneumonorragia degenera, e fa anche moiire^ CAPO SETTIMO. Cura Lasciasi l'epistassi liberamente compiere in suc- cipl«nto individuo. Ed anche cavaglisi sangue, se so- novi iperemici pericoli. E se alla pletora l'anemia succede , fermasi 1' emorragia coi revulsivi e cogli emostatici; e questi non giovando, al tamponamento ricorresi. E dovendola noi richiamare, soppressa che siasi, ricorresi agli errini, e meglio di questi ope- rano due sanguisughe nelle narici attaccate- 171 SEZIONE SECONDA. Stoma torragia. CAPO PRIMO. Definizione. La stomatorragia, o buccale emorragia, è il san- gue che dalla bocca esce; ma che non viene dalle na- rici, né dalla trachea, né dall'esofago. Ed è il sangue che scappa per la bocca; e che non è epistassi, né pneumonorragia, ne ematemesi. CAPO SECONDO. Forma. Senza anticipato indizio , spesso il sangue im- bratta la cavità della bocca. Ed è di raro preceduta da capitale dolore, dalla vertigine, dalla rosea faccia, dall'auricolare sussurro, dal calore, dal titillamento e dal gutturale prurito. E per vedere la parte , da cui il sangue emana, basta di guardarvi atten- mente- CAPO TERZO. Cause remote. Lo scorbuto, e la scomparsa d'altra cruenta ema- nazione, facilmente la stomatorragia determina nei 172 predisposti. Anche succede alle contusioni, all'estir- pazione ed alla carie dei denti, alla sordità ulcere, ed alla mercuriale cura. CAPO QUARTO. Causa prossima. La condizione della stonnatorragia consiste nella dinninuitasi crasi sanguigna, e nel rilasciamento delle pareli dei capillari, che nella bocca diramansi, per cui non resistendo interamente all'impeto del sangue lo lasciano in parte scappare. CAPO QUINTO. Necroscopia. Osservata attentamente la bocca degli stomator- raginosi vi hanno vedute vene dilatate e varicose, la- cerazioni e fratture, denti cariati e vacillanti, tu- mori e sordità ulceri- CAPO SESTO. Pronostico. La sintomatica stomatorragia segue la malattia, che la mantiene. Facilmente la primaria riolvesi , raramente in pneumonorragia degenera; e quasi mai fa morire. 173 CAPO SETTIMO Cura. La stomatorragia sintomatica curasi col curare la primaria malattia. Alla scorbutica, per modo di esempio , giovano gli acidi e la china. Ed alla pletora rimediasi col salasso, cogli evacuanti, e colla sub-acida bevanda. E cogli emostatici arrestasi il soverchio sangue fluente. Le vescichette si forano, e si distruggono le narici col caustico e col ferro. SEZIONE TERZA. Pueumonorragia. CAPO PRIMO. Definizione. La pneumonorragia è il sangue, che scappa per la laringe, e che emana o dalla trachea, Iracheorragia; dalle diramazioni bronchiali, broncorragia. CAPO SECONDO. Forma. Sentesi prima calore , peso e di petto oppres- sione ; e poi si tosse , e sentesi dolce la bocca. E solo r estremità , o intera raffreddasi la superficie 174 del corpo. La faccia alternativamente impallcdiscesi, ed arrossiscesi; tintinnano le orecchie, duole il capo, palpita il cuore , i polsi riempionsi , acceleransi e ìndurisconsi ; e la respirazione gorgoglia. Di rosso striati prima sputi si sputano, e poi di puro sanguej e infine molto ne sgorga rosso e spumante- E ra- ramente tanto se ne versa , che uno ne muoia. Ed anche per una volta versasi, e poi non più ri- versasi ; e può anche avere un periodico corso, e nella donna essere vicaria della mensile ricorrenza. CAPO TERZO. Cause remote. La pneumoporragia ci determina ogni violenza esercitata all'apparecchio respiratorio ; verbigrazia, l'aria viziata che respirasi, la ferina tosse, la violenta vociferazione; ed anche gli eccitanti, e i soverchia- mente nutrienti, che la pletora mantengono- CAPO QUARTO. Causa prossima. Alla pneumonorragia predispongono l'anemia e la pletora, la polmonare sensibilità e la pessima in- formazione toracica. E la condizione che la deter- mina è la pervertitasi corrispondenza fra la crasi e l'impeto del sangue e la resistenza dei capillari, che nell'organo respiratorio fannoci circolare il sangue. Ed il fluido non essendo bene trattenuto dal rila- 175 sciato solido, versasi nei bronchi, sale nella trachea, esce per la laringe, e per la bocca e per le narici scappa dal corpo. CAPO QUINTO. Necroscopia. Nel cadavere , di chi per pneumonorragia era morto, varie cose hanno trovate, ed anche nulla. Generalmente i bronchi sono dilatati , e ripieni di roseo e spumante sangue. E l'interna mucosa degli aerei canali ingorgata ed arrossata, ed anche bian- cata ed anemica. Ed hannovi anche trovata la vi- scerale ostruzione, la insimmetria toracica forma e la ventricolare ipertrofia. CAPO SESTO. Pronostico- Rara è la pneumonorragia nei fanciulli e nei vec- chi, e comune è nel tempo interposto fra il quin- dicesimo e l'anno trenta-cinquesimo. E la pletorica facilmente col salasso guariscesi; col vitto animale l'anemica; e l'organica facilmente recidiva, ed anche chi la soffre dissangua- 176 CAPO SETTIMO. Cura. Nella pneumonorragìa pletorica subito si cava sangue; e sì procura la intestinale revulsione. E poi ordinasi severa dieta, il riposo ed il silenzio; e fredda amministrasi la sub-acida bevanda. Ed anche giova il piediluvio caldo e profondo. E senza alcun van- taggio Van-Swieten legava V estremità toraciche e addominali. E quando l'anemia alla pletora succede, rianimansi le languenti forze coi nutrienti e coi to- nici; rimanendo sempre gli stimoli esclusi- Lo sputo biancandosi, maggiormente 1' infermo nutriscesi ; e la bevanda non si riscalda; nò permeltesi ancora il movimento né la vociferazione. {Sarà conlimialo) 177 Lussana dottor Filippo - Monografìa delle nevralgie bracchiali' - Memoria premiala dalla sezione me- dica della società d' incoraggiamento di scienze , lettere, ed arti in Milano {Gaz. Med. Lomb, Mi- lano 1858, T. Ili, p. 137, 145, 157, 182, 206, 230, 24-6, 274, 282, 290, 297, 306, 310, 322, 330, 350). IV< lello estesissimo nmnero di memorie, articoli, leg- gende, che tutto dì vengono alla luce ne'vari giornali periodici ed estraordinari, sono ben pochi quelli che encomio si meritino al pari del magnifico lavoro del Lussana sopi-a le nevralgie del plesso bracchiale. Nei brevissimi ed angusti limili a me concessi di un la- conico sunto bibliografico non m'è dato di far spic- care, come saria desiderio, la bellezza di questo scien- tifico lavoro ; ove il Lussana illustrando una parte della speciale patologia cotanto oscura, nel tempo che tanta luce diffondeva su lo studio delle nevralgie bracchiali, si elevava con invidiabil volo al disopra di un Valleix di un Neucourt , nomi insigni nella scienza. Sparse nelle mediche tradizioni , nelle istorie , nelle opere degli antichi autori si trovano cliniche nozioni sopra le nevralgie del plesso bracchiale, senza però che essi nel redarle con quella candida osser- vazione loro propria avessero raggiunto, specificato la vera condizione patologica, la vera origine onde quei circoscritti punti dolorosi, quelle limitate zone G.A.T.CLXII. 12 178 spastiche scaluvivano. I recenti, l'osservazioni degli antichi alle proprie affratellando, composero in un corpo di dottrina medica quelle apiretiche morbose affezioni di questa provincia del nerveo sistema , che vanno col nome di nevralgie del plesso brac- chiale, siccome fecero del plesso cervicale, del plesso sacro ecc. Valleix, Neucourt si distinsero sopra tutti in simil genere di osservazioni. Ninno però pria di Lussana avea mai asserito e dimostrato con tanta evidenza che « il titolo di nevralgia bracchiale rap- presenta un artifizio teorico, onde assembrare in uno studio collettivo ed armonico le diverse nevralgie spettanti alle diramazioni del plesso bracchiale, senza che in fatto esse malattie possano giammai presen- tare r unità sintetica di un concetto ontologico ». Divide la bella memorie in 6 capitoli, de'quali ognuno ha speciale subbietto, che noi accenneremo con il maggior laconismo, o meglio toccheremo di volo. In tutte le affezioni nervose appartenenti al plesso bracchiale indicate empiricamente anche in Ippo- crale, in Galeno, in Celso, e dettagliatamente istudiate dal Valleix col titolo generico di nevralgia cervico- bracchiale e dal Neucourt, ninna avvene che com- pletamente e collettivamente competa al plesso brac- chiale; sì bene spettano alle varie sue diramazioni, ai tronchi, ai diversi fascetti componenti il plesso. Tante sono le nevralgie del plesso bracchiale, quanti sono i fascetli, i tronchi, i rami che il detto plesso costituiscono nel loro insieme. 11 plesso bracchiale è formato di tre fascico]i;supe- riore l'uno e composto dalle contribuzioni del -5," 6, " e 7,° paio cervicali che dà origine al nei-vo-mu- I 179 scolo-cutaneo, al mediano, ai nervi scapolari superìoii e nnedi. II secondo fascetto è medio per la posizione; si compone da conlribuzioui del 5,° 6,° 7° cervicali ed in poca parte dell'S;" dà nascimento al nervo cir- conflesso, al radiale, ai scapolari inferiori (toracici posteriori di altri). Il terzo fascetto è inferiore e si compone dalla pronta fusione dell' 8° cervicale e 1° dorsale; fusione che costituisce un tronco pronji- scuo,onde hanno poi scaturigine il cubitale, il cutaneo interno, i toracici anteriori ed in parte il mediano (1). Da quinci emergono 10 particolari nevralgie ; tre delle quali si appartengono ai 3 fascetti,una al tronco promiscuo del cubitale e cutaneo interno, e sci ai distinti rami del plesso, vale a dire al cubitale, al mediano, al muscolo-cutaneo, al cutaneo interno, al circonflesso, al radiale. Cadauna di queste nevralgie ha distinti punti do- lorosi terminali corrispondenti alle periferiche distri- buzioni cutanee dei nervi ; distinti punti dolorifici (1) Non si creda che adoperando la parola fusione abbiamo inteso con questa significare l'antica sbandita idea della im- medesimazione, unione sostanziale dei filamenti nervosi ana- stomotici alla foggia dei vasi: bensì seguendo l'autore usammo questo vocabolo, come che comodo nella circostanza, ad in- dicare l'avvicinamento, l'unione in un sol fascetto delle con- tribuzioni cervicale e dorsale, onde ha origine il tronco co- mune del cubitale e cutaneo interno ecc: non ignorando che vera anastomosi nello antico significato non si concede dai moder- ni anatomici che solamente ai due nervi buccinatori, l'uno ori- ginato dalla terza branca del 5" paio (mascellare inferiore, branca motrice), l'altro dal faciale o settimo paio ; i quali nel loro punto di unione si fondono e formano un tutto continuato , avente forma arcuata. 180 superficiali riferibili al passaggio superficiale sot- t,o-culaneo del tronco nei-voso, al punto d'emergenza cervicale, di traforo muscolare (qualoi'a siavi) di tor- sione: una distinta via nervosa stabilita dal tragitto del nervo affetto; una difTei'enle direzione doloi'ifìca che può essere o centripeta o centrifuga o doppia, ascendente-discendente a seconda che il punto di partenza del dolore sia l'estremità terminale cutaneo del nervo, del tronco; ovvero il suo principio dalla gronda vertebrale, dal cavo ascellare ecc. 11 doloi-e è lancinante in quasi tutte le nevralgie bracchialì, in qualche caso strappante; è crampico e si accom- pagna ed abbassamento di tempeiatura dell'arto nelle affezioni dei nervi probabilmente motori (radiale) ; a subhieltivo cociore con esarcerbazioni anco per il caldo del letto in quelle dei nervi di sensoiiale prevalenza (cutaneo interno, cubitale, circonflesso (1). La nevralgia arriva generalmente senza prodromi precursori, ed il dolore ne è il primo costante e pre- cipuo sinto;no, il quale sul principio generalmente (IJ Ad illustrare sempre più il fatto della perfrigerazione degli arti nelle affezioni nevrotiche di quei rami del plesso bracchiate più esclusivamente motori , e lo sviluppo del ca- lorico sì obbiettivo che subbiettivo nei sensori i, riporta il doti Lussana le famigerate esperienze di Claudio Bernard, che notò succedere l'abbassamento di tre gradi, C° pel taglio del parquinto (nervo eminentemente impressionabile;) mentre pel taglio del settimo (nervo motore) la temperatura si ab- bassava di 1 grado o di 1 ^. Noi non vediamo una completa corrispondenza fra le deduzioni dell'illustre autore e quelle emer- genti dalle esperienze del Bernard; le quali ci sembrerebbero menare a differenti illazioni. mite cresce poi di sevizio negli accessi successivi ad eccezione di qualche raro caso. Non sempre però il dolore nasce spontaneo; ma in generale (quando si escludono alcuni rarissimi casi eccezionali ) la pressione esercitata tanto sopra i punti terminali che di superficiale tragitto promuove 1' accesso nevral- gico, se mancante, lo esaspera se vigente, e ne pro- voca novella crisi , più atroci fitte. Intercede però una differenza ; ed è che mentre per i punti ter- minali, soprattutto se trattasi di nervi più sensorii, più cutanei (cubitale , mediano , cutaneo interno , circonflesso) il dolore è provocabile \)ey il più sem- plice e lievissimo tocco pressivo del derma, per il più tenue irritamento; per i punti superficiali vuoisi una pressione più forte che pervenga ai tronchi nervosi discorrenti sotto la cute, sotto le aponeurosi, specialmente se si abbia ad agire sopra nervi più motori che sensiferi (radiale). Anco i movimenti delle articolazioni, degli arti in un dato senso, p. e. di abduzione (nevralgia circonflessa) o nell'altro pro- muovono il dolore: fa però eccezione il cutaneo in- terno; comechò sfornito sia di lilamenti motori. Ed il dolore promosso dal movimento , dalle contra- zioni muscolari, è tanto più acerbo ed a modo spa- smodico, quanto più si tratti di nervi forniti di un numero maggiore di fibre motrici (radiale). Le nevralgie del plesso bracchiale (che general- mente vengono accagionate ad influenze reumatiche; quantunque, a confessione di tutti i patologi, siano le loro cause incognite sì predisponenti che occas- sionali; con troppa facilità appellandosi alcuni alle influenze reumatizzanti nella eziologia delle nevralgie 182 essenziali dinamiche; influenze, vicende nel maggior numero delle volte di mera accidentale coincidenza) possono complicarsi ad altre nevralgie di altri rami del plesso bracchiale o di altre regioni del nervoso si- stema, p.es. la nevralgia cubitale ad ischialgia; possono congiungersi a malattie di altri generi,p.es. a bronchiti, a metroragia ecc. Offrono nella loro generalità un tipo sub-intermittente notturno ; però in parecchi casi, come anco avviene spesso nelle nevralgie tri- facciali, sviluppansi i loro parossismi con netti pe- riodi notturni (nevralgia cubitale centripeta) ; avve- gnaché nieghi il Valleix l'assenza completa del dolore in qualunque sorta di nevralgia negli intervalli degli accessi, ed escluda atFalto Neucourt il tipo intermit- tente nelle nevralgie bracchiali. Il dolore da ultimo soverchio nelle nevralgie bracchiali, come nelle altre, desta turbe generali, fenomeni riflessi diastaltici, come nausee, anoressie, vomiturizioni, vomiti, gastricismo: nò è caso rarissimo che insoiga anche orgasmo va- scolare, se non al grado da costituirsi decisa febbre, almeno da meritarsi il nome di febbrile (1). (1) Nel nostro brevissimo ed appena iniziato tirocinio pratico ci occorse in Roma curare un figlio dell' eccino sig. Guglielmo Persichetti segretario generale di consulta, di anni 11; che per sei giorni di seguito alle ore 9 antimeridiane precise era assalito da fierissima nevralgia sopra orbitale destra (nevralgia della Imbranca del 5° paio). 11 dolore cominciava con mitezza per poi raggiungere un forte grado di sevizie. Nella maggior atrocità del dolore i polsi si facevano celeri, vibrati, sopravveniva il vomito; la congiuntiva bulbosa e palpebrale iniettata, occhio lucido, splendente, intollerante della più lieve luce; intensa caloriticazione dell'orbita, della gota e del soprac- ciglio corrispondente tanto obiettiva che subbicttiva, pupilla con- tralta, muscolo orbicolare, sopraccigliare in qualche convel- I 183 Nevralgia cubitale. - Questa nevralgia talora è ascendente o centripeta , tale altra discendente o centrifuga. La via dolorosa di questa nevralgia è indicata dal tragitto di questo nervo. Se la ne- vralgia è centripeta, ha per punti dolorosi terminali l'estremità delle ultime due dita (mignolo ed annula- re);ordinariamentenessun punto doloroso superficiale, limitandosi il dolore lungo 1' avambi'accio fino alla distanza di circa un pollice dal gomito. Insorge nelle ore notturne; si dilegua al far del mattino: il dolore è scottante e cresco in intensità negli accessi suc- cessivi. Ha perciò un tipo caratteristico con netta apiressia; tutto all'opposto della nevralgia cubitale centrifuga, che ha accessi pomeridiani pili che not- turni e non ha periodi sì marcati. Sono punti ter- minali di questa seconda il mignolo e l'annulare , e punti dolorosi supeificiali il cavo ascellaie verso la estremità superiore dell'omero, l'epitrocleo e la parte antero-inferiore del cubito a livello dell'osso pisiforme detto punto stiloideo. limento, tremolio e contrazione spastica; la stessa rute sopra- stante lievemente arrossata in paragone dell'altro lato. Tutta la indicata sindrome con il dolore completamente svaniva nelle ore crepuscolari vespertine per ricominciare all'indomani. Riconoscemmo in questa nevralgia l'espressione di una febbre periodica topica , larvata ; somministramnio il solfato di chi- nina con piccola dose di valerianato di zingo: e la nevralgia subitamente scomparve , mentre nei primi giorni resistito avea a ripetute embrocazioni di grani 4 di acetato di morlìna in due dramme di assegna , ed alle pillole del Meglin. 184 Nevralgia culaneo-interna. - Via dolorosa nel de- corso del nervo cutaneo-interno. - Punti dolorosi terminali, omerale interno, cubitale interno. - Punti dolorosi superficiali . • . ascellare, coronoideo. Nevralgia cubitale-culaneo-interna. - In questa nevralgia la via dolorosa comprende l'innervazione del tronco promiscuo del cubitale e del cutaneo in- terno. Le distribuzioni perciò periferiche di questi nervi , le ubicazioni di tragitto superficiale, costi- tuiscono i punti dolorosi terminali e superficiali ; dalle vertebre cioè alla ascella, all'interno del braccio dell' antibraccio, alla regione ulnare della mano ed alle ultime due dita; quindi ai sopra indicati punti dolorosi superficiali. In questa nevralgia è aggiunto quello di emergenza cervicale. Nevralgia toracico-bracchiale. -Aff'elta questa ne- vralgia il fascicolo inferiore con tutte le sue figlia- zioni nervose, quali sono il nervo cutaneo-interno, il cubitale, porzione del mediano ed i nervi toracici anteriori. Quindi ha per punti terminali dolorosi la faccia dorsale e palmare del mignolo e annulare (innervazione del cubitale), la ftìccia palmare del me- dio, indice e pollice (innervazione del mediano), il palmo ed il lato ulnare della mano , il braccio e l'avambraccio nella loro mela interna (innervazione del cutaneo interno), la regione sterno- clavicolare (innervazione dei toracici hnteriori). Vari sono i punti dolorosi superficiali di questa nevralgia: il cervicale o punto d' emergenza , l'ascellare comune general- mente a tutte le nevralgie bracchiali , il mediano bracchialc , il sovracubitale ( punti di superficiale tragitto del mediano), l'epitrocleo, lo stiloidco, il co- 185 ronoideo. In questa nevralgia i dolori prevalgono più particolarmente nelle innervazioni dei toracici e del cubitale. La direzione del dolore è variabilis- sima. Anche questa nevralgia ha un periodo not- turno e simula gli accessi della angina pectoris. Nevralgia mediana. - II nervo mediano non ha punti veramente superficiali di tragitto , poiché profondamente discende lungo l'interno del braccio e profondamente passa su la piega cubitale; però la pressione può suscitare dei dolori su taluni tratti meno profondi, quali sono il mediano bracchiale , il sovracubitale. 1 polpastrelli del pollice, indice e medio, l'annulare nel suo lato radiale, il palmo della mano, offrono i punti dolorosi terminali. Il dolore è acerbissimo e può avere differente direzione; nella forma centripeta serba il tipo dei periodi notturni. Un molesto intormentimento sorprende tal fiata le masse muscolari innervate dal mediano. Nevralgia radiale. - Sono punti dolorosi terminali di questa nevralgia il pollice, l'indice, il medio nella loro superficie dorsale, ed il dorso della mano nella sua metà radiale. - Punti dolorori superficiali: oltre all'ascellare, comune a pressoché tutte lealtre nevral- gie, prevale il dolore nei due giri spirali, omerale e la- diale; nei quali il nervo radiale si rende superficiale ed accessibile alla pressione. Presenta questa nevralgia il convellimento dei tnuscoli subordinati alla in- nervazione radiale, la denutrizione successiva delle muscolature per la ostinazione di durala e l'abbas- samento obbiettivo di temperatura. Nevralgia circonflessa. - Il dolore si concentra sull'esclusivo tragitto del nervo circonflesso. - Punti 186 dolorosi terminali sono gTintegumenli sopradeltoidei, la parte alta ed esterna del braccio: talora si osserva il dolore anco nel punto sotto-acroniiale. Manca questa nevralgia di punti superficiali dolorosi; come che l'ascellare torni assai profondo, non accessibile, ed il deltoideo sia terminale, l dolori sono piiì atroci che nelle altre nevralgie. Ogni piiì piccolo moto di abduzione, ogni piiì lieve tocco, suscita orribili cru- ciati fino alla dermalgia; ha periodi notturni. Nevralgia circonflesso-radiale. - Trattandosi di nevralgia del fascicolo medio, fra i punti superficiali dolorosi evvi il tratto inferiore della gronda cervicale (punto d'emergenza). Del resto tanto i pnnti dolorosi superficiali, che i terminali, sogliono corrispondere alle già citate innervazioni del radiale e circonflesso: de- corso specialmente notturno. Oltre i fenomeni mu- scolari spasmodici, paralitici, facili ad osservarsi in questa nevralgia, evvi una particolarità degna di os- servazione , il freddo cioè obbiettivo e subbiettivo nelle regioni bracchiali ed anti-bracchiali ; mentre r affezione nevrotica del cutaneo interno , cubitale (nervi eminentemente sensoriali) risvegliava calore subbiettivo ed obbiettivo. Nevralgia muscolo- cutanea. -Punto doloroso ter- minale nella metà esterna dell'avambraccio. 11 punto doloroso superficiale di questa nevralgia è nella lo- calità, ove questo nervo trafora il muscolo coraco- bracchiale. Nevralgia mediana-muscolo- cutanea. - 1 punti dolorosi terminali e superficiali di questa nevralgia del fascicolo superiore sono i punti d'innervazione terminale e superficiale del mediano e muscolo-cu- 187 taneo.Ai superficiali dee aggiugneisi il punto d'emer- genza cervicale proprio dei tre fascicoli. Pressoché tutte queste nevralgie sono poggiate sopra osservazinni cliniche di Valleix , Neucourt , Martinet, Gamberini, Scarpa, Cotugno, Piorry ecc-, le quali sussidiano, sebbene indirettanriente, le dirette osservazioni del dolt. Lussano; in quanto che mentre offrono nel loro intrinseco esempi di distinte nevral- gie de' vari nervi , fascicoli , tronchi componenti il plesso bracchiale, furono però dai citati osserva- tori erroneamente considerate nella preconcetta idea dell'unità sintetica del plesso bracchiale. Dissi che pressocchè tulle le 10 individualità nevralgiche erano garantite dalla clinica esservazione , dalla testimonianza dei fatti ; per quello che fra le cli- niche testimonianze manca la tassativa descrizione di un fatto di una nevralgia muscolo-cutanea e di una nevralgia mediana-muscolo-cutanea; il che quando avvenga, l'individualismo speciale nevralgico dei rami formanti il plesso bracchiale sarà dovunque sorretto e puntellato dalla verità pratica. Che se le pratiche osservazioni conducono ad am- mettere la complicanza e contemporaneità di due ne- vralgie del plesso bracchiale, non autorizzano però a ri- tenere l'ontologica individualità nevralgica del plesso bracchiale come malattia di un solo e medesimo or- gano. Delle quattro osservazioni del Valleix (obs. 22, 23, 24, 25, du Traile des nevralgies), citate da questo insigne autore per sostenere l'ontologica unità della nevralgia bracchiale, sì la prima e sì la seconda sono una nevralgia circonflessa-radiale ed una nevralgia cubitale coesistenti, senza che tutti gli altri nervi, le 188 altre branche, manifestsisseio la menoma passione. Nella terza si tratta parimenti di una nevralgia cir- conflessa-radiale, con la quale non esordì Contem- poranea , ma in seguito si complicò nevralgia cu- bitale. La quarta finalmente compete alla compli- cazione morbosa di forte nevralgia cubitale e lieve nevralgia radiale. Anco il caso riferito dal Martinet di complicata nevralgia soprascapolare-muscolo-cu- taneo-esterna, non è che una nevralgia radiale, e pro- babilmente circonflessa-radiale (ossia del fascicolo me- dio), per i dolori diff'usi anche alla regione posteriore ed inferiore della spalla, cioè ai rami trasversi e di- scendenti del nervo cutaneo superiore dato dal nervo circonflesso. E le osservazioni tutte comprovanti la distinzione delle nevralgie del plesso bràcchiale a seconda dei vari rami sono sì chiare, i fatti sì autentici, che la buona ragione medica, l'analogia, indurrebbe ad am- mettere, come realmente induce qualche fatto, anco la nevrotica passione limitata ad una sola porzione di un dato nervo , per es: alla porzione antibrac- chiale del nervo cubitale , come vedemmo nella nevralgia cubitale centripeta. Dopo di che reca al certo meraviglia la ostinatezza del Valleix nel tener saldala nevralgica unità del plesso bràcchiale di rim- petto a fatti lampanti da esso stesso osservati, in faccia ad uno splendido caso di nevralgia cubitale che egli stesso doveva verificare (I). (1) Egli è oggimai un anno che 1' ottimo mio amico il prof. Costanzo Mazzoni escideva il nervo cul)itale nella regione dell' antibraccio per nevralgia esclusiva del cubitale, che assaliva tanto le ramificazioni di questo nervo che si esten- 189 Queste nevialgio bracchiali diniimichc per ana- logia di sintomi possono nel pratico esercizio essere confuse con altre foime nosologiche, quali sono la nevrite bracchiale, le contratture reumatiche, il ne- vroma, il reumatismo articolare, l'angina pectoris, le passioni nevralgiche generato e sostenute da lesione organica , materiale chh'urgica nelle ferito, contu- sioni ecc., quali Chaussier appella nevralgie anomale; così anco le nevralgiche sofferenze bracchiali sinto- matiche di ben variate affezioni morbose, come del- l'epatite, della mieiitide, degli aneurismi del petto, delle viziature precordiali, della sifdide, dell'artralgia dono nella mano, quanto quelle che esistono al disopra del cu- bito. È a notare che fu meravigliosa la cessazione dei dolori esistenti al disopra del punto del nervo eletto per la escissione. Credo debba essere questa azione riflessa assai bene studiata anche pel lato chirurgico, in quanto che darebbe luogo alla elezione del processo operativo; il che è di grandissimo van- taggio, e forse non si penserebbe più a tagliare il nervo ischiatico. Questa stessa operazione, che fu di felicissimo re- sultato, sta anco adunque a dimostrare quanto basata sopra la più sagace esperienza e la più diligente osservazione sia quella teoria fisiologica cotanto illustrato dagli studi del Marsal- Hall, che l'efficienza nervea, la vis vitae, fa dipendere dalla cellula gangliare periferica nei nervi centripeti, come all'op- posto nei centrifugi o motori dalla spinai midolla. E qui non sapremmo mai bastantcniente formare il dovuto encomio all'abi- lissimo operatore che da qualche tempo con tanto amore inde- fessamente si occupa nello studio delle varie nevralgie e della loro cura, e da cui noi attingemmo materia di discorso peraltro nostro lavoro. Lo studio delle nevralgie, soprattutto per la parte che riguarda gli aiuti offerti dalla chirurgia nella cura di esse, può dirsi ancora intentalo in onta ai belli lavori del Valleix e del Neucourt: questo è un campo che potrebbe ofTerire ad esperti e pazienti cultori ricca messe di magnifiche osserva- zioni fisiologiche e di grandi e proficui risultati terapeutici. 190 saturnina. Però i criteri distintivi, caratteristici delle nevralgie, valgono a differenziare queste dallesomiglian- ti fornne nosologiche. Nella nevrite, ad esempio, evvi vero movimento febbrile, generalmente ardito, cbe non è nelle nevralgie; in queste il dolore ingrossa a salti crescenti per ogni attacco, ed è sempre parossismale; in quella il dolore è continuo e non parossistico , s'aumenta gradatamente, ba carattere uniforme. - Le contratture muscolari o spasmi idiopatici muscolari sono accompagnati da altissimo grado di febbre , da attegiiiamenlo caratteristico delle dita e delle mani a cono, da grande cociore obbiettivo della cute, da rilievo spasmodico delle muscolature dell'arto. - I dolori di reumatismo o articolare o muscolare sono più miti spontaneamente, ed acerbissimi all'opposto se provocati da movimenti; associansi a moto feb- brile; non seguono la via di un dato tronco o ramo nervoso, ma sono erratici, diffusivi e privi d'inter- mittenza. Nel nevroma, oltre alla obiettiva degene- zione organica del nervo, il dolore parte da nn de - terminato punto del tralcio nervoso, da lì dipartesi raggiando in doppio senso contrario contemporaneo, cioè centrifugamente e centripetamente: il che non si è mai verificato per le nevralgie braccbiali essen- ziali. Nelle nevralgie braccbiali prodotte da qualcbe lesione organica , come nelle contusioni, legature , tumori ecc-, l' anamnesi della preceduta o tuttora sussistente organicità, le braccia cicatrizzale, la ve- rificabilità attuale ed obbiettiva delle cause materiali, agevolano il diagnostico differenziale. Nella angina pectotis, confondibile con la nevralgia del fascetto inferiore , il doloro toracico-bracciale va unito a 191 respirazione sospirosa ed angoscia gravissima, a nii- nacce di soffocazione; è di brevissima durala, al più di un quarto di ora; insorge ad accessi irregolari per isforzi corporei; né mancano generalmente rilievi ste- toscopici, plessimetrici di organiche affezioni cardio- vascolari. In tutte le altre citate forme nosologiche, in cui quali sintomi si consociano le nevralgie brac- chiali, l'anamnesi, le caratteristiche rivelazioni sin- tomatiche , la natura delle cause morbifìche , la particolare fisonomia dei malati e tanti altri criteri, distolgono l'errore diagnostico. La cura delle nevralgie bracciali deve regolarsi a seconda le chiare e speciali indicazioni, sottraen- dola però sempre a quel metodo empirico che una farragine di diversi rimedi adopera, e mille prove terrapeutiche una dopo l'altra eseguisce. General- mente le deplezioni sanguigne ed i purganti debbonsi usare con molta parsimonia e quasi dissuadersene l'uso. Nondimeno ove alcun orgasmo circolatorio si susciti in persona eminentemente pletorica, ove insorga complicazione di gastricismo, le sottrazioni, i purganti possono, anzi debbono, convenire a tempo debito. 1 bagni, i cataplasmi caldi trovansi profi- cui in alcune nevralgie (p- es. nella radiale, circon- tìessa-radiale); mentre in altre (cubitale, cutaneo-in- lerna) riescono dannose, e profittevoli all'opposto i ca- taplasmi freddi, le fredde lozioni, l'idroterrapia, da cui sì stanno tuttora attendendo rilevanti soccorsi nella cura delle nevralgie. Pressoché di nessun vantaggio riescono i rimedi antircumatici, ai quali i pratici so- gliono sì di frequente ricorrere, senza successo, per combattere un elemento patogenctico che ha assai 192 labile fondamento pratico nelle imputazioni ezio- logiche delle nevralgie bracciali. Non poche sconfìtte sono toccate e toccano tutto giorno ai chinacei, e soprattutto al solftito di chinina, nella cura delle ne- vralgie bracciali, come anco di quelle appartenenti ad altri rami (1). Corrisponde l'ago puntura talune fiate nelle spasmo-nevralgie ; così la recisione del nervo nevralgiato , secondo il nostro autore , deve essere bandita dalla pratica , come barbaro mezzo e contrario agli insegnamenti della fina anatomia e fisiologia (2). Ogni fregagione (qualoi'a in specie sia eseguita con villano modo) per Tapplicazione degli esterni rimedi è da disappiovarsi, e da sostituirlesi la spalmazioiie dolce , per l'irritazione che quella suscita nelle parli; e pei' questa istessa ragione con- viene sia mollo circospetta la pratica dei revulsivi, i quali se particolarmente non si considerino le località, provocano in vece di calmare, esacerbano le crisi ne- vralgiche (accaderebbe ciò in specie in quelle nevrosi (1) Noi siamo di parere che allora solo indubitatamente giovi il solfato di chinina nelle nevralgie, quando queste sono nel loro fondo febbri periodiche, intermittenti topiche, larvate, come osservammo nel nostro bambino. La quale verità pratica venne da noi dimostrata in un nostro ragionamento sopra le febbri periodiche desunto da fatti clinici, che non ha guari com- parve alla luce. (2) Non so quanto sia giusto chiamare barbaro metodo r escisione del nervo nelle ostinatissime e ribelli nevralgie, ove questa possa farsi senza pericolo della vita del paziente e con sicurezza di esito favorevole. I soli fatti dell'ecciTio pro- fessore Mazzoni, da noi citati in questo e nell' antecedente nostro lavoro, basterebbero a togliere alla escisione del nervo la qualilìca di barbaro wie^orfo. (Vedi la nostra Memoria sopra una nevralgia sottorbilaria curata con la escisione dal dott. Costanzo Mazzoni). I 1 193 ehe affettano i rami più sensorii e catanei) (1). I mi- gliori rimedi nelle nevralgie si traggono dai narcotici; fra i quali primegggia la bella donna usata interna- mente con il suo alcaloide, ovvero esternamente ad alla dose in unione della assugna. Né vuoisi preter- mettere che l'uso delle camicie di flanella nelle ne- vralgie bracchiali apportava talora per se solo note- vole alleviamento; è però da inculcarsi ai pazienti. Una medica confutazione di un suppostocaso individuale di nevralgia bracchiale, passata al rigido setaccio di acu- tissima critica, dà termine al magnifico trattato delle nevralgie del plesso bracchiale. Questo bellissimo lavoro sulle nevralgie brac- (1) Eppure il Valleix sostiene a luti' uomo che le friga- gioni, i rubefacienti, 1 Yescicatori, tutti i rimedi topici, la stessa morfina, agiscono salutarmente nella cura delle nevralgie, per la raggione della irritazione che apporlano nella pelle che ri- copre il tratto nevralgiato; quasi che, a suo dire, quella irri- tazione dermica valga a modificar lo stato dinamico ed organico del nervo afi"etto e ricondurlo cosi al primitivo di integrità fun- zionale e materiale. Egli è però un fatto sempre costatato, che una forte ir- ritazione sovente esacerba oltremodo i dolori se vigenti, li desta atrocissmi se sopiti. A noi sembra che la differenza di queste asserzioni in apparenza opposte stia non nella irrita- zione, ma nello eccesso di questa; in quanto che se è vero che in molta parte dal moderato uso e dalla giusta applicazione di un dato rimedio dipende 1' azione salutare, vero è altresì che dall'abuso del medesimo, qualunque esso sia il rimedio, scatu- risce sempre azione contraria, vale a dire emerge danno sensi- bile per il paziente ed inasprimento dai martori, più che sol- lievo almeno per il momento. Sia pure che in appresso a questo inasprimento momentaneo succeda un sinsibile immegliamento: l'attualità presentanea di quella a fronte della incerta speranza di questo sgomentali paziente, lo induce a desistere dalla ap- plicazione del dato rimedio. G.AT.CLXII. 13 194 chiali , alla cui lettura invitiamo tutti i cultori d'Igea, rende chiarissimo il nome dell'autore per il criterio analitico, per la profonda cognizione anato- mica, per la fatica richiesta. La semeiotica delle ne- vralgie bracchiali va al Lussana tributaria di sfolgo- rante luce- Ma la terapia ne trasse proporzionato gio- vamento? Nella nostra scienza ad ogni passo conviene chinare umilmente la testa e confes- sare che sunl certi denique fines Quos ultra cilraque neqitit consistere passiim. Memorie originali. Intorno alla angina pectoris [ne- vicai già del cuore ), ai suoi rapporti ed alle sue analogie con la nevralgia toracico-bracchiale ed ed alla loro distinzione- Appendice alla mono- grafia delle nevralgie bracchiali del prof. Filippo Lussana (1). Li' esizialita dell'angina pectoris; le tenebre, in cui si ravvolge la natura di questa morbosa affezione ; e soprattutto la facilità di equivocarla con la nevral- gia toracico-bracchiale, indussero l' illustre autore delle memorie sopra le nevralgie del plesso bracchiale ad esporre in questo secondo suo lavoro, non men del primo commendevole, dettagliatamente il quadro sintomatico dell'angina pectoris, perchè chiaro, lim- pido, quanto era possibile, il divario ne emergesse fra la sedc^ il decorso, i sintomi di questa, e la sede, il decorso, i sintomi della nevralgia loracico-brac- (1) Gettato avea appena la penna, quando veniva alla luce l'appendice alle memorie sopra le nevralgie del plesso bracchiale, che fìi mia premura sollecita compiendiare in analogo sunto. 195 chiale: e questo diagonostico differenziale era tanto più necessario, in quanto che la nevralgia toracico- bracchiale quasi sempre fa di se mostra fra i fe- nomeni secondari dell' angina-pectoris. Raccomandando caldamente ai cultori dell'arte salutare la lettura di questo interessantissimo la- voro, tanto per la parte della diagnosi di sì oscura malattia, che per la molta dottrina anatomica, noi raccogliamo in brevi e laconiche conchiusioni il con- tenuto di queste memorie originali; le quali a mag- gior chiarezza ci sia lecito esporre quasi con le stesse parole dell' autore. 1" I sintomi tutti essenziali della angina pecto- ris, la sua essenziale nosografia, può riassumersi nei seguenti caratteri patognomonici «dolore angoscioso, atroce, accessionale al cuore w : come che tutte le sofferenze accennino appunto ad uno sola sede par- ticolare del dolore, vale a dire al cuore, alla via do- lorosa lungo i plessi cardiaci, alla atrocità, alla an- goscia, agli accessi del dolore medesimo. 2° E carattere costante proprio della angina pe- cloris, che il di lei dolore costituente il fattore pato- gnomonico sia parossismale. 11 parossismo perciò dolorifico costituisce tutta la malattia : ciò che ri- mane oltre il dolore e dopo il dolore non è fenomeno essenziale della angina pectoris. 3° La patognomonia nosografica della angina pe- ctoris è sempre la stessa. Le varietà, e gli studi che l'artifìcio teoretico vi volle soggiungere nella distin- zione della forma sintomatica, non rappresentano se non categorie arbitrarie e insussistenti suddivisioni. 4° La respirazione nella angina pectoris è per- fettamente libera o non subisce se non quella insi- 196 gnificanle frequenza che è ordinari(3 effetto del do- lore, dovendosi assolutamente ad estranee compli- cazioni e cause ogni turbamento delia respirazione. 5° Nei polsi non si ha verun criterio costante e proprio della angina poctoris. Generalmente è un poco più frequente sotto l'accesso, per la cagione forse del dolore, e per regola è normale fuori del paros- sismo quando non sianvi complicazioni estranee. 6° Nel cuore o non si rileva verun romore anor- male, 0 se rilevasi talora qualche sintoma egli non è costante né continuo- 7" Un fenomeno che quasi costantemente si lega alla angina pectoris egli è quello della nevralgia to- racico-bracchiale* 8° Dei nervi componenti il plesso bracchiale so- lamente il primo paio dorsale affluisce alla compo- sizione del ganglio cervicale inferiore, e perciò del nervo cardiaco inferiore ; mentre ad un tempo il primo paio dorsale nella sua contribuzione alla for- mazione del plesso bracchiale si restringe esclusi- vamente a formare il fascicolo inferiore- Questa di- sposizione anatomica rende la ragione della pres- soché costante unione della nevralgia del fascicolo inferiore alla sindrome propria della angina pectoris. 9" La nevralgia si accompagna alla angina ge- neralmente nel seguito della malattia , talvolta fin dal principio; occupa ordinariamente il sinistro brac- cio, di rado il destro, e di rado ancora ambedue. 10° Se nella angina pectoris si vede qualche rara volta nascere il dolore dai punti terminali del fa- scicolo inferiore per giugnere poi al cuore, la ne- vralgia in tal caso ha costituito il sintoma prodro- mico della angina. 197 Per la premiazione solenne delVislilulo tecnico degli agrimensori e misuratori di fabbriche alla sala della pontificia accademia tiberina addì 22 dicem- bre 1859. Discorso inaugurale dell'avvocalo Felice Maria Des Jardins accademico tiberino- Jr iù volte ho pensato fra me stesso, eminentissìmi principi , ascoltatori umanissinfii , eletta gioventù , che mi fate cara e bella corona, piiì volte ho pen- sato fra me slesso, onde fosse cotesto d'insolito : che mentre per tutt'altrove la solenne distribuzione de' premi, e la pubblica attestazione di meritata laude suol chiudere il corso delle annovali fatiche, tutto all'incontro in questo istituto una siffatta solennità sia destinata ad animarne il principio. E ben m' è parso di penetrare addentro nel riposto pensiero di chi disponeva per tal modo; ravvisando la signifi- cazione di questa verità : che il termine dell' inse- gnamento non è fine, ma è principio alle oneste fatiche della vita. Verità che per molti riguardi è pur comune ad ogni altro insegnamento; ma è su- stanziale, e principalissima, e tutta propria dell'in- segnamento d'un istituto tecnico. Per esso la gio- ventiì è avviata dirittamente dal conoscere all'ope- rare , dallo studio delle scienze all' esercizio delle arti utili, in cui sta raccolto il frutto della scienza umana. 11 termine dell' onorata carriera percorsa neir istituto non è una meta, in cima alla quale stia la quiete e il riposo: è una porta, per la quale la 198 studiosa gioventù entra nella operosità della vita so- ciale: di quella vita , in cui ciascuno per se deve adempiere a quel precetto indeclinabile: In sudore vultus lui vesceris pane. 2. Fu adunque sottile accorgimento di quel Prin- cipe emintìntissimo,per le cui provvide cure tanto flo- risce quest'utile istituto, che alla odierna solennità fosse prescelto, non già quel tempo in cui gli animi si preparano a prendere onesto ristoro delle durate fatiche, ma quello bensì, in cui rinfrancate le forze pel beneficio di ben regolalo riposo si sono rivolti ad operare nuovamente con nuova lena e novella energia. Sicché in tale disposizione dello spirito assai piiì pungente abbia a divenire quel nobile stimolo dell' onore , di cui è detto : Honos alit artes , om~ ìiesque incenduntiir ad studia gloria : e questo vi- tale alimento sia comunemente imbandito, e a chi si appressa a proseguire gli stadii che gli rimangono dopo i primi felicemente percorsi , e infine ai più provelli altresì che sono addotti a quel limitare che divide la palestra scolaslica dalla vila sociale. E sia così imbandito, come qui lo vediamo, quale si addice al pascolo di menti già ma Iure, e poste in sull'ul- timo confine fra il giovane e V uomo. Che tale è veramente 1' onore conferito in questa solennità di apparato, da riscaldare del suo desiderio animi vi- rili: concorso così frequente di quel sacro senato, cui Roma non solo s'inchina, ma la cristianità tutta quanta : raccolta degl' ingegni più eletti onde fio- risce fra noi ogni maniera di sapere: il luogo stesso ch'è sede a questa illustre accademia, che di recente ha conseguito il glorioso titolo di pontificia, e che 199 come già nei celebrati lodi dell'antica Grecia, è in- tesa a far plauso co' carmi suoi alla gloria de' co- ronati campioni. A questo poetico plauso , ultimo fra cotanto senno, sono stato io prescelto ad aprire in quest'anno l'aringo col mio ragionare. So ben'io, eletta gioventù, che da me non potete aspettare al- tre parole se non umili e disadorne : e però ogni mio studio sarà questo solo : che siano disadorne, ma vere: e di tale una verità, che debba esservi utile a ricordarla nel proseguimento della intrapresa car- riera. 3. 11 lavoro è il retaggio della umanità dica- duta: In sudore vullus lui vesceris pane: è la gran sentenza pronunziata su lei dalla giustizia divina , dopo la primiera colpa, che ne' primi parenti con- taminò tutte le generazioni future. Ma ne consigli di Dio allato alla giustizia eterna sedeva altresì la eterna clemenza sua : la quale , come nell' ordine della grazia provvide un miracolo ineffabile a solle- vare da quell'originale decadimento questa sua di- lotta creatura ; così nell' ordine della natuia seppe con sapienza mirabile mitigare gli effetti di quella giusta sentenza. E connaturale all'uomo costituì l'or- dine sociale, pe' cui benefici il lavoro umano e parte grandissima perdesse dell'asprezza sua primitiva, e crescesse insieme a tale fecondità da agguagliare non solo la misura dei più imperiosi umani bisogni, ma superarla d'assai. Guai all'uomo se la provvidenza non lo avesse destinato allo stato sociale ! In quello stato che l'irsuto misantropo ginevrino , e con lui il coro de' suoi ripetitori , chiamò stato di natura , mentre sarebbe per l'appunto lo slato contro natura, 200 Tuomo lasciato alle sue forze individuali , senza il soccorso dell'associazione e gli stinfioli della vicen- devole carità, non solo non potrebbe prosperare o confortarsi mai alla speranza « Non che di posa, ma di minor pena »; ma sopraffatto da una serie indefinita di bisogni im- possibili a soddisfare per la sola opera sua, mor- rebbe miseramente sul nascere. — Non è questo l'intento del mio discorso: ma ognuno può intrave- dere, quale e quanto chiara dimostrazione d' esser l'uomo fatto per natura allo stato sociale potrebbe dedursi dalla sola considerazione degli umani biso- gni: cui ciascuno per se solo è impotente a soddi- sfare, cui tutti insieme soddisfano con tale pienezza; che il pili meschino degli uomini conseguisce nello stato sociale con moderata fatica a mille doppi tanto di quel che potrebbe con le sue forze isolate, quando pure le adoperasse tutte fino allo spossamento- 4. Ma tornando più da presso al nostro sub- bietto, senza dipartirci dall'occasione che qui ci ha raccolti, vivo abbiamo innanzi gli occhi V esempio del pili luminoso beneficio che venga all'uomo dallo stato sociale: il beneficio dell'educazione. Ecco una schiera numerosa di eletti giovani che ha già vis- suto buona parte della vita, che ha fin qui larga- mente soddisfatto a tutti i bisogni piìi ricercati, e che finora ha potuto tranquillamente occuparsi dei suoi studi senza darsi pensiero di quel pane che dovea costarle il sudor della fronte. Non è già pri- vilegio che l'abbia campata da quella comune con- 201 danna del genere umano: ma quel sudore, ch'essa avrebbe dovuto spargere fino a questo giorno , ha trovato nel consorzio umano altri che lo ha sparso per lei: le fatiche de' parenti e degli avi non hanno profittato a que' soli che le duravano : hanno pro- cacciata r agiatezza alle famiglie ; ai figliuoli o ai nipoti l'ozio beato degli studi, che tutta l'attività di quelle forze crescenti rivolgendo alla coltura degli animi, nessuna parte ne distogliesse per consacrarla alla cura del necessario sostentamento. Questa bella età, questa preziosa parte della vita, che forse tra- scorre non conosciuta abbastanza, ma che ne' tardi anni sarà bene apprezzata e sarà il fonte delle piiì care reminiscenze, tutta questa età non è a costo di chi la vive : è la società umana , che mercè le congenite e mirabili istituzioni sue ne foinisce le spese. 5. Rapidi però trascorrono i giorni, e con essi cotesto primo stadio della vita: e tempo viene, che, superata la natia infeimilà dei teneri anni, e matu- rate le foize, la parte innocentemente inoperosa del- l' umano consorzio si trasfonda mano mano nella parte operosa, lasciando il luogo suo ai nuovamente venuti. Incomincia da quel giorno a portare cias- cuno per se stesso il suo peso: subire per sé stesso la legge universale imposta al genere umano: e col proprio lavoro provvedere non solo a sé medesimo, e ai bisogni" e ai comodi suoi propri , ma insieme anche agli altrui: rendendo per tal guisa alla umana società quel prestito che ne ha ricevuto nella vita gratuita degli anni primieri. 6. E qui si richiama, giovani egregi, quel vero 202 ch'era avvertito in sul principio del mio ragionare: essere a capo delia carriera che intrapendete, o per- correte , o percorsa già avete in questo utilissimo istituto, non mica una meta finale, ma sì una por- ta che debba introdurvi in una vita novella. Que- sto istituto col darvi abilità all' esercizio di quelle arti, che vi siete prescelti secondo la propria atti- tudine e la naturale inclinazione degli animi vostri, vi adduce a quell'ultimo punto che divide per voi la vita gratuita dalla vita onerosa. Al di là di quel punto la vita vostra non dee più, come per lo in- nanzi, cercare in altri il sostegno suo. voi soli, fatti forti abbastanza, dovrete essere sostegno a voi stessi fino a che non venga tempo che dobbiate esserlo anche ad altrui. Sicché se avete fin qui potuto con- sacrare unicamente ogni vostra attività alla sola col- tura degli animi e a far tesoro di utili cognizioni; se per tal modo avete fin qui tranquillamente , e senza mistura d'ogni incomodo pensiero, gustate le pure dolcezze della vita; gli è tempo omai che vi apparecchiate virilmente a portarne anche il carico, e andare incontro con animo alacre e pronto a quella legge comune che ha messo a prezzo de' vostri su- dori il pane della vostra mensa. 7. Dirà forse taluno , che verità troppo severe ho preso ad annunziarvi nella letizia di questo giorno. Tolga Iddio , ch'io voglia menomamente scemarvi questa letizia che avete lungamente meritata; que- sta, la cui espettazione è slata il sospiro de' vostri petti giovanili, lo stimolo de' vostri onorati studi , la compagna delle vegliate notti. Ma questa letizia non deve essere per me rattenuta nella vanità d'una 203 sterile e fanciullesca compiacenza, che non è pro- pria dell'età vostra. Questa letizia, che allarga i cuori e li fa capaci di grandi cose, dev'essere qui con- vertita ad argomento di maschi proponimenti, a fo- mite di nobili aspirazioni, a pascolo di quella com- piacenza tutta degna di animi virili, ch'è riposta nella conoscenza de' doveri, nell'intendimento e nella speranza di adempierli, nella beata coscienza di averli adempiti. 8. 1 doveri dell'uomo sono veramente così col- legati fra sé stessi per un nodo indissolubile , che rara cosa è che gli uni possano andare dagli altri disgiunti ; sicché l'adempimento degli uni non ad- duca all'adempimento degli altri, come all'incontro l'infrazione degli uni alla infrazione degli altri. E però l'esame di alcuni doveri separatamente non è altra cosa che la considerazione di una verità com- plessiva, riguardata però da un solo de' molti lati, dai quali tramanda i suoi raggi ad illuminare le menti. E la religione è, come a dire, quello spec- chio lucidissimo che tutti questi raggi raccoglie, e concentra quasi uniti in un fascio, in un punto solo. Ma non è proprio di questo luogo, di questa cir- costanza, e molto meno di quest'oratore, il maneg- giare ora questo specchio, che gli occhi vostri sono usi a contemplare sotto la direzione di ben' altri maestri. Ond'è che il mio discorso si ritragga dalla considerazione generale e comjilessiva dei doveri del- l'uomo; e solo si rivolga a que' doveri, che si at- tengono più davvicino alla legge del lavoro, impo- sta da Dio a tutto il genere umano finché si trovi a peregrinare su questa bassa terra. Ch'è appunto 204 quel Iato separato e distinto, e quell'aspetto par- ticolare , a cui le circostanze della odierna solen- nità debbono più specialmente richiamare le menti vostre. E non sarà, credo io, senza frutto; se vedrete infine, che queste speciali considerazioni cospireranno in un punto medesimo con la idea generale degli umani doveri , che avete già felicemente impressa negli animi. 9. La operosità, ch'è il subbielto di queste pa- role, la operosità della vita novella, che vi si di- schiude dinanzi all' uscire da questo istituto onde sarete avviati alla professione delle arti che avete prescelte, a due doveri mi sembra che abbia a far capo principalmente. Dovere di provvidenza riguardo a sé stesso: dovere di giustizia riguardo alla socie- tà. Del primo dovere ninno saravvi che muova dub- bio ragionevole: ed ove alcuno amasse ancora d'es- serne meglio chiaiito, sono pieni i libri de' filosofi e dei maestri in morale , che fanno palese come ognuno sia obbligato alla conservazione e al perfe- zionamento di se medesimo. E basta l'insegnamento della quotidiana sperienza , quand'altro non fosse , a chiarire anco i piiì schivi, quanto l'ignavia di una vita neghittosa ed inerte riesca fatale alla conser- vazione e al perfezionamento di sé medesimo negli uomini d'ogni stato e d'ogni condizione. 10. E la colpa di si fatta vigliaccheria è tanto piij grave e vergognosa; quanto più sollecita è stata la provvidenza dell'eterno Legislatore a menomare la pena da lui giustamente pronunziata sul genere umano- l doni suoi ha largamente diffusi Iddio sulla superficie e nelle viscere della terra: e solo ha im- 205 posta all' uomo , in espiazione del suo fallire , la fatica di rintracciare e raccogliere questi doni, che senza quel primo fallo gli sarebbero venuti gratuiti e spontanei alle mani. E a questa fatica medesima ha data pur egli cooperatrice efficacissima la na- tura, fedele ministra sua: e all'uomo ha largito in- gegno e potenza a penetrare nei misteri di lei, sor- prenderne le forze , soggettarle all'imperio suo , e farle agire in vece o sollievo delle forze sue pro- prie. 11. Ed altro potentissimo sussidio, come ho già accennato da principio, gli ebbe apparecchiato nella istituzione ammirabile dell'ordine sociale, il cui di- vino Architettore si manifesta agli occhi dell'osser- vatore tanto e meglio che non avvenga per le me- raviglie dell'ordine fisico. — E cosi è venuto il di- scorso a quell'altro dovere, cui si attiene l'opero- sità della vita umana: di cui 1' uomo va debitore , uon solo a sé stesso , ma insieme altresì a tutto quanto 1' umano consorzio. E questo è dovere di stretta e rigorosa giustizia rispetto alla società. Una delle pili grandi meraviglie dell'ordine sociale, che rivela la sapienza e il dito di Dio, è quella solida- rietà che è costituita fra il genere umano tutto quanto; sicché tutti ed ognuno a vicenda sieno chia- mati a fecondare e ripartirsi il frutto delle fatiche di ognuno e di tutti. Non havvi distanza né di luo- ghi, né di tempi, che valga a rompere il nesso di questa mirabile solidarietà: e basta che ognuno di noi rivolga gli occhi sopra di sé, per vedere, e toc- care con mani , accumulato intorno a sé stesso e convertito nel suo sostentamento, negli usi suoi, nei 206 suoi comodi, ne' suoi piaceri, il lavoro di tutte le generazioni e presenti e passate; di tutte le regioni, così vicine, come poste ai piti lontani confini del- l'orbe; quasiché tutti avessero cospirato sempre in quest'unico punto: lavorare per lui. 12. Non havvi nessun perfezionamento d'un' arte qualunque, non havvi nessun'utile ritrovato di qual- siasi più felice ingegno, che dalla più rimola anti- chità, 0 dagli estremi confini del mondo, non siasi tramandato a ciascuno di noi: né adoperato in ser- vigio d'ognuno a quel modo medesimo , come se per lui solo avesse l'arte ricevuta quella perfezione, a lui solo fosse destinata la fortunata invenzione. Cos'i ognuno di noi , niente meno degli eredi deL primo inventore, approfitta dell'aratro, del filatoio, del telaio, del remo, della vela, della bussola, della navigazione a vapore , della ferrovia , del telegrafo elettrico. É la società umana che mette alle mani di ognuno di noi tutti questi e mille altri prodigi del lavoro umano : può egli concepirsi per ognuno di noi dovere più stretto di rigorosa giustizia, che l'offrire in contracambio alla umana società il più ed il meglio di lavoro nostro che per noi si possa ? Può ella immaginarsi ingiustizia più brutta, che non sia (juella dell'uomo neghittoso ed inerte che nega alla società il frutto del lavoro suo ? Che, sebbene quest'ultimo per 1' ignavia sua prenda nei beneficii della società una parte immensamente minore di quella che perviene agi' industri ed operosi; quella parte però, ch'egli pure vi attinge, sarà sempre tal cosa da costituirlo reo di gravissimo furto verso la società. I 207 13. Né pensi alcuno per avventura, potersi scu - sare da questa obbligazione gravissima per questa sola ragione, del non avere avuto in sorte una ntiente privilegiata, capace di offrire alla società unfiana al- cuna meravigliosa invenzione novella, da poter met- tere a fronte de' grandissimi beneficii che ne ha ri- cevuto. No veramente ; nell'ordine mirabile che la sapienza infinita ha posto in questo così armonioso meccasismo sociale, nulla v'è di superfluo: nulla che . non sia destinato con l'azione sua al conseguimento del bene comune. Come l'eterno Architettore ha dif- fuso con indefinita varietà sulla superfìcie del globo que' materiali, che opportunamente adoperati tanta parte e tanto svariata doveano avere nel ben' essere dell'umana famiglia ; così a quest'effetto medesimo ha coordinata la moltiplice e diversa attitudine de- gl'individui ond'essa è composta; per modo che, ope- rando ognuno secondo l'indole e le forze proprie, ne venisse poi fuori quel tutto, disposto sì bene e in così bella armonia, ch'empie di meraviglia e di ricono- scenza gli accurati osservatori dell'ordine sociale. 14. Concesse a pochissimi sollevarsi sulle ali del pensiero ad altezze a tutt' altri inaccessibili, e giù riportarne quelle faville onde si sarebbe acceso il sacro fuoco della scienza: ad altri diede poten- za di nutrire e mantener questo fuoco acceso dai primi , e apparecchiare le vie per cui largamente si propagasse : ad altri 1' ispirazione per accendere a questo fuoco medesimo quasi altrettante fiaccole, onde sfolgorassero di luce pili viva le verità eter- ne già scolpite nel petto degli uomini , primo fondamento della umana società. Ad altri l'intelli- 208 genza dei modi , onde questo fuoco si convertisse a fonriento della vita sociale a più larga e più pronta soddisfazione degli umani bisogni, a maggiore effi- cacia e fecondità del lavoro umano: onde la inven- zione delle arti più utili e più maravigliose, la pron- tezza e la facilità d' immaginare que' pratici spe- dienti, pe' quali si agevolasse grandemente la ese- cuzione degli altrui ritrovati: onde delle arti stesse la diffusione e il progresso. Ad altri infine la de- strezza e la tnaestria dell'eseguire: ad altri l'agili- tà, ad altri la forza delle membra. 15. E come gli effetti utili di questi svariati uffici, così sapientemente compartiti, e coordinati alla comune utilità, vanno soggetti a questa legge di proporzione , che la estensione debba essere in ragione inversa della intensità; così le attitudini agli uffici più bassi, a cui si richiede l'applicazione del massimo numero, poiché per essi è soddisfatto ai bisogni della vita più largamente diffusi, ha messe la provvidenza nella università degli uomini: e le at- titudini agli uffici più alti è venuta restringendo mano a mano che più si sollevassero. Ond' è , che per questo rispetto l'umana società è costituita a simi- glianza di una solida piramide, le cui sezioni tanto più si allargano in superìicie, quanto più si avvici- nano alla base tanto più si ristringono quanto più sono elevate in altezza: ma nel tempo stesso queste sezioni, così diverse e per altezza e per estensione, sono collegate fra loro da quella legge di coesione onde avviene , che tutte insieme costituiscano un corpo solo , e conferiscano tutte insieme e parte- cipino alla comune solidità e stabilità. I 209 16. E questo ammirabile collegamento e com- partimento di uffici è quell'opera di sapienza eterna, per la quale è convertita la pena ad incremento di beneficii novelli; talché la esecuzione individuale di quella gran sentenza : In sudore vuUus lui vesceris pane: faccia capo al ben'essere comune e progres- sivo di tutta l'umana società, da cui poscia riflui- sca nuovamente sugi' individui. E per l'appunto in questo collegamento e compartimento mirabile stassi riposta la segreta ragione di quel prodigio, che sa- rebbe incredibile se la verità sua non fosse tanto evi- dente: che cioè, essendo il lavoro totale del genere umano la somma de' lavori individuali de'singoli uo- mini, r effetto utile del lavoro totale, anziché ag- guagliare, trascenda all' indefinito sopra alla somma degli effetti utili di tutti i lavori individuali. E quindi alla obbligazione di stretta gimlizia, per la quale, profittando ogni uomo di questo grande prodigio operalo dal lavoro collettivo della umana società , è tenuto alla sua volta a prestarvi il concorso suo: e però è debitore della sua operosità individuale non solo a se medesimo , ma insieme altresì a tutto l'umano consorzio. 17. A questo debito però, e a questi eterni con- sigli della provvidenza pel ben'essere della umana fa- miglia, ognuno corrisponde egualmente, se intenda ad adempiere l'ufficio suo, più o meno alto che sia collocato : come nel mondo fisico non meno ubbi- disce alle leggi postegli dall' artefice supremo , né contribuisce meno alla sua ineffabile armonìa, il pic- colo seme che sì svolge nelle viscere della terra , di quel che faccia l'astro fecondatore che irraggia G.A.T.CLXU. 14 2t0 del suo lume 1' immensità degli spazi. Conferisca ognuno nell'umana società l'opera sua nella misura delle sue forze, e secondo l'ufficio nel quale è pia- ciuto alla provvidenza di collocarlo : e a quel gran debito di giustizia sarà per lui satisfatto : e i be- neficii dell' umana società saranno da lui non usur- pati, ma sibbene acquistati a titolo legittimo ed one- roso ; tanto se abbia egli conferito per parte sua le sublimi meditazioni di Galileo o di Newton, quanto se il lavoro giornaliero del semplicetto colono o del- l' umile artigiano. 18. Pecca all'incontro, e pecca assai gravemente contro a questo debito di giustizia, chi sottraendosi per viltà o per superbia a quelTufficio cui lindole propria e le naturali sue forze lo destinavano, vuole offrire alla società un'opera diversa da quella che gli era assegnata: e così un'opera inutile, seppur non debba dirsi dannosa , in luogo dell' opera utile che da lui doveva aspettarsi. — E qui intende ognuno, quanto deplorabile e pernicioso sia 1' abuso di quei tanti , che rifuggendo per infingardaggine orgogliosa dall' esercizio d' ogni arte utile, millantano l'opera sua quasi consacrata unicamente all' incremento delle lettere e delle scienze; e non avendo ali proprie a quel volo : Ceralis ope dedalaea nilimtur pennis vi- treo daluris nomina ponto. E mentre , fallito 1' au- dace proposito, ne raccolgono poi per se stessi frutto amarissimo; frodano ad un tempo l'umana società dì quello scarso pane che viene lor fatto, Iddio sa come , di procacciarsi. 19- Quale debba essere, di qual tempra d'animo, di quale altissimo ufficio capace, chi all'umana so- 211 cietà altra opera non voglia offerire, tranne le me- ditazioni della scienza , impariamolo da Cicerone , testimonio tale che altri ben pochi potranno dirsi a questo proposito egualmente autorevoli. := UH qiio- » rinn studia (così egli nel primo degli uffici) vita- » qne omnis in rerum cognitione versata est, tamen » ab augendis hominum utilitatibus et commodis non )) recesserimt : nam et erudiverunt mullos, quo me- ri liores cives, utilioresque rebus suis publicis essent, » ut Thebanum Epaminondam Lysis pythaghoreus, sy- )) racusium Dionem Plato, midlique multos : nosque « ipsi quidquid ad rem piiblicam attuUmus, si modo- )) aliquid attulimus, a doctoribus atque a doctrina in- » slructi ad eam et ornati accessimus. Ncque solum » vivi, atque praesentes, studiosos discendi erudiunt )) atque docent : sed hoc idem etiam post morlem )) monumenlis Ullerarum assequimtur. Nec enim tdius » locus praetermissus est ab iis , qui ad leges , qui )) ad mores, qui ad disciplìnam rei publicae perti- )) neret', ut otium suum ad nostrum negotium contu- » lisse videantur. Ita illi ipsi, doctrinae stiidiis et sa- ri pienliae dediti, ad hominum iitililatem, suam in- )) telligentiam prudentiamque potissimum conferunt. ■= 20. Chi adunque senta in se tali forze dell'animo, che bastino ad opera così ardua, chi senta accesa in sé la favilla onde ha bisogno chi vuol essere face che agli altri rischiari la via, questi sì consacri tutto sé stesso a siffatto ufficio nobilissimo : né fìa, che r umana società abbia credito di altra opera utile verso dì lui, che avrà prestata infra tutte la utilis- sima. Ma chi non abbia la coscienza di esser da tanto, oh! sappia questi: ch'ei potrà bene riscuoter 212 laude nel cercare negli studi un onesto sollievo al- l'aninno suo , ed anche un lume a meglio dirigere il suo lavoro; ma che non potrà però soddisfare, né al debito inverso se stesso, né al debito inverso la società ; se non rivolga la operosità sua ad al- cun'esercizio dì certa e reale utilità. E si tenga ben di- scosto da que' tali simulatori oziosi d'una scienza di cui sono incapaci: i quali per tal modo non usurpano solo, piante parasite che sono, quell' alimento a cui nulla contribuiscono come avrebbero e dovuto e po- tuto ; ma tentano usurpare eziandio quell' onore , che dev' essere unicamente riserbato alla scienza so- lida e vera , benefattrice de! genere umano. 21. Del quale mal uso colpa grandissima debbe attribuirsi al superbo ed ingrato dispregio , in cui molti affettano di tenere le arti , quasi fosse cosa men che da uomo. Quando all'incontro è per que- ste principalmente che si raccoglie il frutto della scienza umana : e allora unicamente la cognizione della natura consegue il compimento suo, quando adduce, o a mettere in atto arti novelle, o a per- fezionare le antiche a beneficio comune dell'umano consorzio. Nò questa è mia sentenza, ma sì di quel Tullio medesimo, che , salito a tanta altezza nelle speculazioni della mente, non puote al certo incor- rere in questo particolare la suspicione di giudice, o incompetente, o parziale.= Placet igilur (così egli) » aptiora esse nalurae ea officia quae ex communi- » tate, quam ea quae ex COGNITIONE ducanlur-.. )) Elenin cognitio contemplatioque nalurae MANCA » qttodammodo et INCHOATA sii ; SI NULLA )) ACTIO RERUM CONSEQUATUR: ea autem actio 213 )) in hominum commodis luendis maxime cernilur » Pertinet igitur ad societalem generis humani: ERGO » HAEC COCmnONI ANTEPONENDO EST, « 22. Si renda adunque alle arti il meritato onore, e ogni cultore di esse incontri presso gli altri uo- mini quella stima e quella riconoscenza che si ad- dice a chi consacra utilmente I' opera sua per Io bene comune. E cesserà allora quella mala ritrosìa, che tanta gioventù ritrae dall' esercizio delle arti, e eh' è fonte di tanta miseria e privata e pubblica! E sarà allora menomata quella trista piaga delle grandi città, che men degli altri non è a deplorarsi fra noi: la quale smunge gli erari pubblici, ingom- bra le pubbliche amministrazioni , e disperde mi- seramente le forze sociali. Intendo dire di quell'an- sia affannosa, onde a torme si fa impeto sui soldi dei pubblici impieghi : ch'è uno de' modi più certi d' attuare in pratica il comunismo vanamente com- battuto in teorica. Quando alle moltitudini sarà per- suaso, che basti l'avere passato qualche anno sulle panche delle infime scuole, per aver dritto di cam- pare la vita senza nessuna sollecitudine del proprio sostentamento , e d' essere mantenuti a spese del pubblico; domando io, se non debba venir fuori e mettersi in atto un tale sistema di pubblica econo- mia da lasciare assai indietro di se il drillo al la- voro, e le altre famose teorie farneticate dai cer- velli degli odierni socialisti ! Serbano essi almeno nelle parole una certa appariscenza di maggior pu- dore : e se hanno proclamato il drillo al lavoro; non hanno però pronunziata quest'altra formula più ci- nica, IL DRITTO AL NON LAVORO ! 214 23. È nel bisogno della società, che siano tolti al- cuni uomini eletti all' esercizio delle private loro industrie, per consacrarli ai servigi pubblici; ma ò nel supremo interesse suo la libertà della scelta fra i migliori e i più operosi , la proporzione del nu- mero con la misura del vero e reale bisogno; e in- fine questa intima persuasione che il corrispondere a queir invito è più un sacrifìcio al pubblico bene che un beneficio a carico del pubblico, è l' adem- pimento di un dovere e non mai 1' esercizio di un dritto. Ma egli è mestieri per questo, che fin dai primi anni abbia ognuno la coscienza di que' due grandi doveri che qui abbiamo accennati, a cui deve rispondere la operosità di ciascuno: dovere di prov- videnza verso sé slesso, sicché ognuno, cui l'età o l'in- fermità non ne tolga le forze, sia debitore a sé stesso del sostentamento suo e della satisfazione de' suoi bisogni: dovere di giustizia verso la società umana, sicché ognuno debba in lei conferire il frutto del lavoro suo, come correspettivo della parte indefinita, che a proprio profìtto egli attinge nel deposito co- mune del lavoro di tutto quanto il genere umano. 24. Informati a questi principii, di che avete già data prova con la elezione delle arti utilissime, che vi siete prefìsse a compimento de' vostri studi, voi certamente, eletti giovani, metterete nella vita no- velia, che vi si dischiude dinanzi, quella bella opero- sità che risponda al giusto concetto dei vostri do- veri. E ne trarrete quel nobile incentivo, ch'è germe fecondo ai frutti più ubertosi, e eh' è riposto nel- r amore deWarte propria. Questo amore purificherà la operosità vostra , e la purgherà da quell' unica I 215 macchia che suol talora offuscare il merito degli uomini industri ed operosi : voglio dire la bassa venalità. L' uomo innamoralo dell'arte sua, se in- tende a trarne quel giusto compenso, che la legge divina ha voluto attribuire agli umani sudori; sarà però in questo intendimento suo assai diverso dal- l'uomo venale. Non sarà il guadagno comunque acqui- stato il fine supremo ed unico d' ogni opera sua : nella considerazione d'ogni lavoro suo, non sarà que- sta la prima e principale domanda , eh' ei faccia a se slesso « Quanto denaro glie ne debba venire » : ma sì quest' altra « Quanta sia la perfezione del- Vopera, quanta la utilità trasfusavi per entro, quanto V onore , quanto V incremento che alV arte sua sarà per derivarne. Né per ingordigia saprà mai pie- gare la nobile fronte a questa vergogna, di mettere a prezzo la mano sua sicché sia fatta serva ai ca- pricci di chi voglia adoperarla in sussidio delle fal- sità, delle frodi, delle ingiustizie : ma rifiuterà con nobile sdegno ogni pili lauta mercede che siagli offerta a prezzo di questo vituperio: fare la profes- sione ministra di ree passioni. E posto per tal modo in cima de' suoi proponimenti il debito di giustizia verso l'umana società, troverà infine d'avere assai largamente soddisfatto anche all' altro debito di prov- videnza veiso se stesso- 25. Questo amore di sé deve trovare nei suoi cultori ogni professione , per essere nobilmente ed utilmente esercitata: e quella che voi vi siete pre- scelta, questo amore assai vivamente susciterà per cerio negli animi vostri , se prenderete a conside- rarne la importanza e la utilità. — Nelle città e nelle 216 campagne è ripartito il genere umano, e le città e le campagne sono il subbietto delle arti vostre: come possano gli uomini comodamente e sicuramente abi- tare, occupa una parte dei vostri studi: l'altra parte è diretta a regola di sussidio necessarissimo del- l'agricoltura, di quella sorgente ubertosissima che ali- menta il genere umano. E all'una e all'altra parte è poi comune un ufficio di vitale e supremo inte- resse, a cui in questo istituto è specialmente e con accorgimento sapientissimo indirizzala tanta parte del- l'insegnamento. Applicare alle notizie pratiche lo spirito delle leggi civili; sicché nei conflitti de' vi- cendevoli interessi la giustizia sia illuminala dall'espe- rienza dell'arte , e 1' arte sia conformata ai dettati della giustizia. E di qui una doppia serie di servigi nobilissimi ed utilissimi, che aspetta da voi l'umana società: servigi privali e servigi pubblici- 26. Servigi privati, allorché chiamati dalle parti in sul nascere delle private contestazioni, adoprerete l'arte e la sapienza vostra, non già a suggerimento di cavillose argomentazioni e a fomite di malagu- rati dissidi; ma si a schiarimento del vero, ad ap- plicazione de' principii del retto e dell'equo, a com- posizione delle differenze, a prevenzione della gran piaga sociale che sono i litigi. — Servigi pubblici, a pronta medicina di questa piaga medesima, quando il prevenirla sia stato impossibile. Che allora, chia- mati ad illuminare con la vostra perizia la religione dei giudicanti, sarete a parte del sacerdozio della giustizia. Ed allora vi farete grandemente beneme- riti della società; se non solo apporterete nel gra- vissimo ufficio affidatovi la imparzialità di una co- 217 scienza illibata ; ma inoltre , attenendovi alla soda istruzione ricevuta nell'istituto, vi asterrete da quella vanagloria e da quella ostentazione d' un ingegno male applicato , che pur troppo il più delle volte toglie all'ufficio del perito la sua grandissima uti- lità ! Che purtroppo questa orgogliosa e vana osten- tazione ravvolge il più delle volte nelle tenebre più fitte e nella confusione più inestricabile quelle con- troversie, che si erano commesse ai periti nell' in- tendimento , che per opera loro dovessero tornare ordinatamente disposte e lucidamente chiarite ! 27. Ma mi avveggo di avervi forse ritardato di troppo quel beato momento , cui tutti anelate , di apportare alle ansiose famiglie le onorate testimo- nianze del vostro profitto. E grande ne avete ra- gione: che il premio serbatovi in questa onorata pa- lestra non sarà premio solamente vostro. Ma sì al canuto genitore sarà premio di quella oculata sol- lecitudine che ha vegliato ai vostri passi , perchè non inciampaste nei lacci tesi purtroppo alla vo- stra giovinezza nel cammino della vita: sarà frutto ubertoso di que' sudori sparsi da lui generosamente, perchè a voi non venissero meno quegli agi, ch'erano necessari per occupare le giovani vostre forze nella coltura degli animi, sicché aveste a crescere in mezzo alla società probi ed utili cittadini. Ai maggiori fratelli sarà premio dell'avervi con l'esempio inse- gnata e agevolata la retta via che avete felicemente incominciato a percorrere : sarà premio alle dolci sorelle di quelle tante amorevoli cure prodigate in- torno alle vostre persone, e di quegli avvertimenti salutari e soavi , ondo sono accorse tante volte a 218 rinfrancare la vostra combattuta virtù. Alla madre poi, all'amorosa madre, oh ! qual premio non sarà mai questo ? A quella madre, cui soprattutto do- vete, se fino da più teneri anni i vostri cuori hanno palpitato ai sensi di pietà, di fede , di giustizia, d'onore; se nelle vostre vergini menti ha sfolgorato per modo la luce santa del vangelo , che ha poi potuto al crescer degli anni dissipare quelle nebbie che solleva il bollore delle nascenti passioni ! Oh se fra voi siavi forse taluno, cresciuto fra le brac- cia di vedova madre , che sola nel mondo siasi a lui fatta e sostegno, e guida, e consiglio ; com' è intervenuto a me che vi parlo, e che a quella dolce rimembranza non posso ancor oggi rattenere le la- grime ! Oh ! questi m'intende abbastanza, e già sa dirmi in suo cuore, qual sia per la vedova madre il premio dell'orfano figlio ! A questi cari accenti, so bene che troppo tarda al vostro cuore il dar libero corso- — E però pongo fine al mio dire: ben certo che quella lagrima di consolazione, che sentirete scorrere per le gote de' cari parenti e bagnare le vostre nell'affettuoso abbraccio che vi aspetta, come sarà per voi premio dolcissimo sopra ogni premio, così pure sarà insegnamento efficacis- simo sopra ogni ragionamento, e stimolo acutissi- mo a percorrere indefessi ed operosi l'onorata vo- stra carriera. 219 Intorno alVorigine , allo spirito , ed alla utilità de- gV instiluti accademici : ragionamento letto alla accademia Tiberina nella adunanza del 4 dicem- bre 1859. dal prof. Nicola Cavalieri San-Berlolo socio residente. JT ra le raoltiplici instituzioni, per le quali gli uo- mini, da quando si strinsero fra loro coi primi patti di sociale convivenza , intesero incessantemente a conseguire ed accrescere il comune ben essere, avvi di quelle , che posate dalla ragione sovra principii certi ed immutabili, nei modi più confacenti ai fini speciali, a cui erano dirette; date dagli affetti va- levoli prove della loro utilità; non solo si resero per- manenti là dove erano sorte alla luce , ma furono trasfuse senza cangiamenti di forme dall' una nelle altre nazioni, secondo che queste , col crescere dei lumi e della civile costumatezza, furono preparate a vantaggiosamente riceverle : così che addivennero al fine perpetuo retaggio di tutti i popoli della terra. Siccome della universale diffusione, e della diuturna inalterata conservazione, si riconosce per cagione ef- ficiente la reale utilità di quelle ben concepite in- stituzioni , in ordine ai vari loro fini di sociale ben essere; così, per argomento inverso, dalla dimostrata esistenza dell' effetto è resa certa quella della causa: onde legittimamente consegue, che per quelle insti- tuzioni, le quali si conosca essere state in tutte le età universalmente accettate, ed avute care dalle in- civilite nazioni , sarebbe affatto fuor di ragione il 220 dubitare che siano valevoli ad efficacemente servire pel conseguimento di quegli speciali tini di comun bene, ai quali sono per essenziale loro indole ri- volte. Da queste premésse parmi posto bastantemente in chiaro come sia importante di investigare filoso- ficamente nelle istorie delle diverse età e dei diversi popoli le origini, i progressi, e le varie vicende di ogni civile instituzione; onde, col soccorso di retti pre- concepiti giudizi assoluti e comparativi, trovarsi in grado di prendere proficuamente parte nei civili e nei privati consigli, dove dalla propria sociale con- dizione si possa essere chiamati a ragionate discus- sioni, dirette a decidere sia per la novella erezione di qualche utile instituto in un paese, che per l'addietro non ne avesse ancor fatto pratico esperimento sia per l'ampliazione, o per qualche vantaggiosa riforma di alcuna instituzione quivi già esistente. E lasciando pure a parte le accennate più particolari e gravi oc- casioni; niuno vorrà impugnare che, siccome lo stu- dio dei sociali ordinamenti, e dei criteri, per mezzo dei quali può esserne fruttuosamente perscrutato l'in- tendimento e la perfezione , costituisce uno de'piiì pregevoli ornamenti di ogni bennato e saggio cit- tadino ', così quelle isteriche investigazioni , delle quali abbiamo additato lo scopo, acquistano una piiì generale importanza, per cui meritano di essere rac- comandate , e messe con gli esempi in onore. Per la qual cosa sembrandomi che una molto interessante applicazione potesse essere di ciò fatta a quelle in- stituzioni, che diconsi accademiche; e che un saggio di tal genere potesse essere stimato degno di questa dottissima adunanza , e ad essa non isgradevole , 221 pensai di trarne il tema per 1' odierno niio ragio- namento. Se per isventura fossi caduto in abbaglio, spero che tuttavia non per questo, né pel negletto mio stile, vorrete esser meco meno che altre volte larghi di benevola attenzione , e di graziosa indul- genza. Che fino dalle più antiche epoche della storia i cultori delle scienze e delle lettere abbiano per ogni dove, ed in ogni tempo avuto in uso di collegarsi fra loro in società, col generoso peculiare instituto di accomunare il tesoro delle utili cognizioni, e di promuoverne coi cospiranti loro sforzi i progressi e la propagazione, è un fatto incontrastabilmente com- provato dalle testimonianze di autorevolissimi an- tichi scrittori, e generalmente in mille guise noto- rio per quanto appartiene ai secoli pili recenti. Co- teste filologiche unioni incominciarono ad essere con generico nome appellate accademie, quando quella, a cui dierono eterna fama i sommi filosofi Socrate e Platone, i quali ne furono i primi fondatori, tre se- coli incirca avanti l'era cristiana, scelse a gloriosa sua sede, presso la città di Atene, un vasto ricinto di mura, con capaci sale, e con ispazioso giardino; pria appartenuto ad un facoltoso cittadino, chiamato Academo, e destinato da questi per una scuola di ginnastici esercizi; goduto poscia in proprietà, ab- bellito di statue, di fontane, e di piacevoli ombrosi viali, e lasciato per testamento al popolo da Cimone, celebre capitano ateniese: e addivenuto per tal modo il piià agiato e gradito recesso, per la sua taciturna amenità, agli amanti di astruse meditazioni, e di fi- losofiche dispute. Ma tìon sarebbe per questo da ere- 222 dersi che l'istituzione delle accademie non rimonti ad epoche di gran lunga anteriori a quella , testé commemorata, alla quale appartiene l'etimologia della generale denominazione di esse. Imperocché sebbene fra coloro, che a tale interessante argomento appli- carono le sapienti loro investigazioni, abbia taluno spinte, forse con troppo ardita fiducia, le sue congettu- rali credenze fra le tenebredi quei più reconditi perio- di, che sono oltre i limiti del dominio dell' istoria, fino a presumere, sopra labili appoggi di fantastiche in- terpretazioni, di tessere il novero delle società let- terarie, che precorsero all' universale diluvio ; non pertanto , siccome da dove i documenti storici in- cominciano a spargere non incerto lume sui costumi e sui fatti dei più celebri antichi popoli, si hanno prove incontrastabili della esistenza di dotte società, consacrate ai progressi ed alla diffusione delle se- vere filosofiche discipline e dell' amena letteratura, così, per un naturale argomento di giusta indtizione, viene ad essere altresì comprovato che la prima origine di sì fatte istituzioni si confonde con l'epo- che, in cui s' incominciò a ben conoscere ed apprez- zare l'utilità delle scienze, nei primi stadi dell' in- civilirsi dell'umano consorzio. Non furono invero dal bel principio se non che quotidiani , o meno fre- quenti convegni di erudite conversazioni. Ma non tardarono questi ad esser sottomessi a costanti re- gole, sagacemente dirette, sia a circoscrivere quelle parti dello scibile su cui versar dovevano e gì' in- dividuali studi, ed i comuni trattenimenti dei soci; sia a stabilire l'ordine, il metodo, ed i limiti delle disputazioni, non che di quei solenni certami, che 223 oggidì chiamiamo concorsi, e di quelle solenni pre- miazioni, di cui sono antichissimi i primi esempi. l quali che risalgano ad epoche anteriori alla guerra di Troia è fatto a noi conoscere, parlando della Gre- cia, dalle autorevoli testimonianze di Plutarco e di Pausania; accertandoci il primo nelle sue Quistioni convivali , il secondo nella Focica, che tale era lu ferma opinione di tutti gli storici, dì cui le opere ai giorni loro esistevano, ed erano in onore, in pro- posito dei certami di Pitia , e di quelli degli Am- fizioni ; rammentandosi da quei due riputatissimi scrittori le piìi interessanti particolarità circa le ori- gini di tali solennità, e rendendosi a noi noto fino il nome di chi, in uno dei primissimi pitici certami, ne riportò gloriosamente la palma; che fu il poeta Crisotemide, per un superbo inno da esso composto in onore di Apollo. Non può tuttavia a quella ateniese accademia, che fu la prima a ricevere un tal nome, esser ne- gato il vanto di avere, colla celebrità de'suoi suc- cessi, messa in luminosa evidenza la somma utilità di così fatta instituzione ; della quale invaghite le altre piiì colte città della Grecia , ne imitarono a gara l'esempio con la fondazione di somiglianti so- cietà scientifiche e letterarie; in alcune delle quali, che furono distinte col titolo speciale di pritanei , gli uomini più celebri per dottrina erano stipendiati a pubbliche spese, conforme il costume delie piìi in- signi moderne accademie dell'Europa. La nobile emu- lazione non si limitò alla sola Grecia, ma sorpassan- done i confini, penetrò nell' Egitto, dove, fra le altre, surse quella rinomatissima accademia, che inlitolossi 224 museo alessandrino^ e che, conforme si narra tia Stra- bene, aveva agiatissima e onorificentissima sede in una parte della reggia; e fioriva massimamente sotto il regno di Tolomeo Filadelfo ; distinta con innu- merabili privilegi ed onori, pria dagli egizi monar- chi, più tardi dai romani imperatori. Per ciò che riguarda Roma, non mancano invero argomenti di probabilità per credere che anche in essa Tinstituzione di dotte società avesse avuto na- scimento non molto dopo la di lei fondazione; quale è appuuto il sentimento di alcuni prestanti eruditi, ammiratori delle magnificentissime sue glorie. Ma ciò di cui non può dubitarsi si è che la Grecia, sog- giogata dalle di lei invitte legioni, sia stata ad essa maestra nei più fondali canoni , e nelle più ardue quistioni delle dialettiche discipline , non che nei più sublimi raffinamenti delle lettere , e delle arti del bello, e nell'uso dei mezzi valevoli a conseguirne i più copiosi e prosperi incrementi. Gli abbaglianti lumi, che spandevansi dalle greche scuole , anche prima di quella triumvirale ambasceria di filosofi , che da Atene fu inviata a Roma nel consolato di C. Fannio Strabone e di M. Valerio Messala, ave- vano colpito le svegliate menti della romana gio- ventù; la quale ne fu poi in quella occasione in- vasa ed inebriata nel libero ed intimo commercio dei tre greci sapienti, pel nonbreve tempo della di loro permanenza in Roma : sebbene ciò fosse a malin- cuore , e con non celata riprovazione sofferto dai vecchi padri, a capo dei quali l'austero censore M. Porzio Catone, gelosi delle antiche massime e delle costumanze del rigido repubblicano reggimento, e te- 225 menti per la patria loro una degenerazione , della quale li rendeva presaghi l'esempio della Grecia, am- mollita e depressa dal lusso e dall'abuso della filo- sofìa. La trasfusione delle fìlosofìche dottrine dalle greche città nella rcmana metropoli fu poco tempo dopo onninamente consumata, allorché cadute quelle irreparabilmente sotto la dominazione di questa , addivennero continui il commercio e le dimestichezze fra i due popoli: e pei cittadini di Roma, che nelle Provincie greche erano inviati ad esercitare le varie magistrature, e per quelli delle greche città, ai quali era d'uopo di ricorrere ai tribunali o alle autorità supreme della dominante: e pei negozi di ogni ge- nere che si accomunarono fra i due popoli: ed in fine per la naturale vaghezza, che in essi concorde- mente eccitossi, di conoscere appieno i costumi, e le civili istituzioni, e tutto ciò che d'incantevole e di ammirando aveva o la natura concesso o l'arte umana creato nell' una e nell' altra delle due clas- siche terre. L. Siila, supremo duce delle vittoriose armi ro- mane, dalle quali la Grecia era stata soggiogata, fece trasportare da Atene a Roma la biblioteca del poco in- nanzi defunto Apelicone di Tea, preziosa precipua- mente perchè comprendeva la massima parte delle su- blimi opere di Aristotele e di Teofrasto, le quali a quella epoca non erano ancora divulgate, e non erano note, siccome è detto da Strabone e da Plutarco, se non che a un piccolo numero di sapienti, seguaci di quei sommi maestri. Il sapere già diffuso e salito in alto pregio fra i romani, aveva fomentato nei grandi il ge- nio delle biblioteche; e fra le altre una ricchissima G.A.T.CLXII. 15 226 erane stata accumulata con ingenti spese da Lucullo, il Creso di Roma, il quale avevala decorosamente col- locata fra le delizie della principesca sua villa, situata nei contorni di Tuscolo. Versato com'era egli stesso in ogni parte della filosofia, e splendidissimo per in- dole e per costume, volle che fosse sempre aperta non solo ai romani, ma eziandio agli stranieri sa- pienti, colle sale e coi portici annessi, dove essi fre- quentemente concorrevano in buon numero, e trat- tenevansi insieme l'intera giornata in filosofica con- versazione: laonde giustamente Plutarco scriveva nella di lui vita, essere quella casa addivenuta Vospizio ed il Pritaneo di tutti i dotti , che dalla Grecia arri- vavano a Roma. Imitatori di cotesta inclita pruova della lucullana munificenza furono bentosto altri do- viziosi cittadini, i quali, taluni forse per vana osten- tazione , altri per intimo desìo di contribuire al- l'avanzamento dei liberali e dei filosofici studi, po- sero a disposizione dei cultori di essi le biblioteche, di cui avevano ftuto preziosi acquisti; le quali, den- tro il vastissimo recinto della metropoli , offrirono al crescente numero dei letterati, in diverse parti di essa, frequenti luoghi di virtuoso ritrovo ; veri al- berghi delle muse, che costituivano in effetto altret- tante private accademie. Per la qual cosa è assai ben fondata l' opinione di taluni arguti moderni scrutatori delle origini, dei progressi, e delle trasmi- grazioni delle scienze, delle lettere e delle arti, se- condo le vicende ora prospere ed ora avverse alla poi^sanza ed alla gloria delle più famose antiche na- zioni; che quella, a cui siamo giunti con queste nostre disquisizioni , sia veramente 1' epoca del compiuto 227 passaggio dalla Grecia a Roma di ogni ramo del- Tumano sapere, alla quale sia meglio che ad ogni altra applicabile il senso di quel noto verso di Clau- diano: In Latium spretis academia tnigrat Athenis. Ma la generosità di C. Asinio Pollione vinse di gran lunga quella di Lucullo, e degli altri che ave- vano , senza rinunciarne la proprietà , concesse le private loro biblioteche a comodità dei letterati; da poi che egli fece assoluto dono al popolo romano, e dedicò per tal modo irrevocabilmente allo stesso fine, una magnifica libreria, acquistata col prezzo delle spoglie dei popoli da lui soggiogati, ed in gran parte col proprio peculio : la quale fu degnamente allogata , siccome è rammemorato da Ovidio e da Marziale, sul colle Aventino intorno all'atrio del tem- pio della Libertà. Per un tal fatto 1' instituzione delle letterarie accademie assunse in Roma un carattere più deciso e solenne; poiché per la prima fu accolta sotto gli avventurosi auspici della repubblica quella, la quale per la munificenza di Pollione aveva otte- nuto in quel sacro monumento cotanto splendida sede. Fu quindi appresso frequente il succedersi di somiglianti avvenimenti, fausti agli studi e di Mi- nerva e delle Muse. Una prematura tragica morte tolse a Giulio Cesare di dar compimento al conce- pito disegno di rendere pubblica una biblioteca, alla formazione della quale aveva destinato una copio- sissima raccolta delle piiì preziose opere, venute alla luce fino a quella età; ed alla cura della quale era stato 228 da esso designato il dottissimo Marco Varrone. Più fortunato il di lui erede e figliuolo adottivo Otta- viano Cesare ottenne il vanto d' instituire, e d' inau- gurare ad uso di pubbliche letterarie accademie due grandiose biblioteche; una delle quali da esso consa- crata ad Apollo sul colle Palatino, l'altra alla propria sorella Ottavia, in prossimità del teatro di Marcello. Di tali fatti non sarebbe lecito dubitare, essendone accer- tati dalle concordi testimonianze dei due testé lodati, e di altri gravissimi contemporanei , o quasi con- temporanei scrittori; da alcuni passi dei quali può al- tresì inferirsi con qualche grado di non mal fondata probabilità, che ambedue le accademie avessero a co- mun principe lo stesso imperatore Ottaviano, e che ne facessero parte quegli uomini famosi del tempo di Augusto, dei quali da Orazio è fatta più onorata menzione verso il fine della satira decima del libro primo; e che non alla poesia ed ai letterari argo- menti soltanto fossero applicate le accademiche eser- citazioni , ma altresì ad ogni genere di filosofiche quistioni. Di altre romane pubbliche biblioteche con- secutivamente fondate, ci è data notizia da Sveto- nio e da Aulo Gelilo ; e segnatamente di due che ebbero gloriosa sede nel Campidoglio ; di un'altra, che fu annessa al tempio della Pace; di quella che fu eretta nel palazzo di Tiberio; di quella parimenti, che fu fondata da Traiano, e che a di lui intuito fu de- nominata Ulpia; di quella finalmente che da Diocle- ziano fu riunita alle magnificentissime sue terme. Che queste pure avessero tutte il carattere di for- niali accademie ci è fatto chiaramente conoscere dallo stesso Gelilo, coi racconti da lui fatti di più 229 conferenze tenute or nell'una or nell'altra di esse da filosofi e letterati suoi contemporanei, alle quali egli stesso prese parte. E che fino alla estinzione del- l'occidentale impero, ed anche dopo per qualche non breve intervallo di tempo, abbia continuato lo stile di tali fratellevoli riunioni degli uomini versati nelle lettere e nelle scienze in alcune delle predette bi- blioteche, e neWateneo, che è quanto dire con mo- derno vocabolo nella università, instituita con prov- vidissimo intendimento dall' imperatore Adriano pel metodico insegnamento delle filosofiche e delle let- terarie discipline, a prò della gioventù di Roma, e di quella che vi concorreva dalle straniere regioni: con limpidezza apparisce in parecchie allusioni di Sidonio Apollinare e di Venanzio Fortunato, pei se- coli, nei quali essi scrivevano; il primo nel quinto, il secondo nel sesto dell'era cristiana. Ma ciò che veramente non può non far mera- viglia si è, che il trasporto dei letterati per Je ac- cademiche riunioni, finché in Roma non fu del tutto spenta l' imperiale dignità, giunse or piiì or meno a tal grado, da non esser pago delle pubbliche bi- blioteche; onde addivennero in aggiunta più frequenti i convegni dei letterati e dei filosofi presso alcuni magnati, che per nobiltà di genio, e per proprio sapere, erano i fautori più appassionati delle scienze e delle letterarie instituzioni.I contemporanei scrittori hanno consegnato alla storia i nomi di quei benemeriti me- cenati; Plinio di Ticinio Capitone, Seneca di Messala Corvino, Quintiliano del poeta Salcio Basso, Giovenale di Maculone e di Cornelio Frontone, ed altri di altri, che generosamente offrirono ai letterati o nel proprio 230 ostello , o in qualche casa presa a bella posta fla essi in affitto, capaci sale per gli accademici loro privati esercizi. Gli stessi mecenati provvedevano come al ricetto, così ad ogni altra cosa necessaria per l'ordinamento della sala, e per l'invito de' soci, destinati a produrre nell'adunanza le loro compo- sizioni , o a prender parte alle dispute sopra pre- stabiliti temi ; non che di un competente numero di eletti intelligenti ascoltatori. Le cose erano re- golate, poco pm 0 poco meno, come lo sono nelle odierne nostre accademie; e ne fa fede quel passo di Quintiliano, o chiunque altro siasi il vero autore dell'aureo dialogo De oratoribiis sive de causis cor- ruptae eloqiientiae , dove , parlandosi del prenomi- nato poeta Basso , solito di tenere accademiche adunanze, nelle quali leggeva i suoi componimenti, si dichiara che faceva ciò non senza suo dispendio: Ne id qiiidem gratis, secondo le genuine parole del testo ; nam et domtim miiiualiir, et auditorium ex- truity et suhsellia conduciti et libellos spargit. Tutti sappiamo quanto gli astri splenderono in- fausti alle scienze ed alle lettere nelle lagrimevoli calamità, daile quali non Roma sola, e non la sola Italia, ma tutta l'Europa fu desolata nei due secoli che succedcrono a quelli, cui appartengono le già commemorate notizie, lasciateci dai due dotti ve- scovi Apollinare e Fortunato. Laonde non è meraviglia che niun documento isterico ci dia a conoscere se pure qualche reliquia di accademiche istituzioni siasi conservata, e abbia dato qualche raro e fuggevole lampo di vita in quel miserando periodo : a meno che non piacesse di riguardare come altrettante ac- 231 cademle quei sacri cenobi, che furono allora quasi l'unico l'ifugio di ogni umano sapere. Col risorgimento del romano impero nella per- sona di Carlomagno, verso il fine del secolo ottavo, ebbe principio un' era novella , fausta alle scienze ed alle lettere, delle quali quel potente monarca si dimostrò zelantissimo promotore. Sebbene gli an- tichi esempi, dei quali abbiamo premessa una rapida rassegna , tratti da sicure istoriche fonti , smenti- scano solennemente l'opinione di coloro, che avreb- bero preteso doversi attribuire ad esso la gloria di essere stato 1' originario autore delle accademiche instituzioni, tuttavia non può essere ad esso negata quella di averle richiamate a nuova vita, dopo due secoli di fatalissimo oblio. Non tardò egli a fondare un'accademia letteraria nel seno della propria corte, a cui furono ascritti i più illustri suoi consiglieri; ser- batone per se stesso il principesco seggio. La quale, benché per se medesima non producesse frutti de- gni di rinomanza, fu però il segnale, dal quale fu- rono riscossi gli amanti dei liberali studi in ogni parte della Europa , anelante alla restaurazione e agl'incrementi della civiltà e del sapere. Laonde in- cominciarono allora a sorgere, prima nelle più fa- mose capitali, di poi anche in quelle dei piccoli stati, instituti accademici consacrati alle scienze, alle let- tere, ed alle arti; i quali si diffusero e si moltiplicarono 2 mano a mano nei seguenti secoli, con l' ingentilirsi dei costumi, e col progressivo migliorare dei sociali ordinamenti: talmente che dal secolo decimo terzo in poi fu, ed è quasi una smaniosa gara fra le città tutte non solo, ma eziandio fra i più o meno popolosi paesi, 232 per godere i vantaggi ed il diietto di siffatte insli- tuzioni; ed è raro ai giorni nostri il rinvenire alcuna di esse, o di essi, che non abbia posseduto e non possegga la propria accademia, se non per altro, per la lettura di erudite dissertazioni e di poetici com- ponimenti. E ciò forse molto più che presso qua- lunque altra nazione in questa nostra Italia; dove verso il declinare del trascorso ultimo secolo con- tavasi aver avuto 1' essere, dal 1300 in qua, poco meno di novecento accademie, delle quali un huon numero erano tuttora in fiore. F.a dotta Bologna fu quella che ne produsse un maggior numero d'ogni altra città dell' Italia , e forse di tutta la Europa , che fu di ottantaquattro : dopo di essa si distinse sopra le altre Venezia, che ne ebbe settantotto: a Roma tocca per questo riguardo la terza palma , avendone dato alla luce sessantasette. Ma siccome nello intervallo di poco meno di un secolo, che è trascorso dall'epoca della anagrafe poco dianzi espo- sta, molte nuove accademie sono sorte qua e là per tutta l'Italia ad accrescere la già numerosa schiera di siffatti benefìci e nobili instituti, delle quali niuno fino ad ora si è dato cura di compilare un esatto registro; così sembra che non si andrebbe al certo molto lungi dal vero facendo salire a mille in circa il numero delle italiane accademie instituite dal co- minciare del decimoquarto secolo fino alla presente età. L' unanime incessante consenso dei popoli nel promuovere e prediligere gli instituti accademici, fin da quando incominciarono a provare i benefici in- flussi del sociale incivilmento, e ad assaporare i pregi 233 delle scienze e delle umane lettere , attestato con irrefragabili documenti dall' istoria , offrirebbe per se solo un validissimo argomento morale in pi'ova della reale utilità di così fatte instituzioni; se pure non fosse stata, come lo fu di fatti, con logici ra- gionamenti , corroborati dall' inappellabile autorità dell'esperienza, convincentemente dimostrata da va- lenti scrittori così pei morali, come per gli econo- mici , e pei politici loro sociali effetti. Dal che consegue che ai giorni nostri, non meno che nelle altre epoche ad esse più favorevoli, le scientifiche e le letterarie accademie sono tenute in sommo pregio dalla universale opinione; che gli uomini sa- liti in maggior fama d' ingegno e di dottrina le onorano, tenendosi onorati essi stessi , entrando a farne parte, e contribuendo alacremente ai nobili fini, pei quali furono instiluite; ed i sapienti magnanimi principi ambiscono a gara di ricolmarle di splendide onorificenze, e di ogni altra sorta di efficaci inco- raggiamenti. La bizzarria dei nomi dati ad alcune delle ita- liane accademie, che ebbero più o men lunga vita fra il 1300 e il 1750, eccitò il maltalento di cinici aristarchi a porre in amara derisione e gli autori di quei nomi, e le accademie stesse, alle quali erano stati imposti. Ma cotesto mordaci censure furono ripro- vate dai savi pensatori, mossi a sdegno dal vederne fatti bersaglio uomini rispettabili pei loro meriti letterari, e, noi fossero per altro, per lo zelo di cui erano animati a vantaggio delle lettere; i quali per evitare il pericolo di quegl' inciampi, che Io stesso loro zelo avrebbe potuto incontrare, contrariando i 234 pregiudizi di un secolo, nel quale signoreggiavano nella letteratura il genio delle figurate imprese e delle leziose allegorie, e la libidine delle metafori- che ampollosità, furono da prudente consiglio spinti a secondarlo con quelle denominazioni , che , per quanto fantastiche, incongruenti, e, concedasi pure, talvolta puerili ed abbiette, non potevano per conto alcuno essere riputate valevoli a scemare la sostan- ziale utilità di quelle liberali instiluzioni, alle quali venivano attribuite. Fu bensì ed è con ragione da tutti commendato il sensato accorgimento di quelli, che nella fondazione di letterarie o scientifiche accademie prescelsero ed asse- gnarono ad esse nomi degni di quel carattere di gra- vità, che è essenzialmente proprio di cotesti benau- gurati instituti: desumendone il concetto sia dallo spe- ciale obbietto scientifico o letterario, sul quale era statuito che versar dovessero le accademiche esercita- zioni; siccome accadde per l'accademia dei georgofili in Firenze, per l'altra dei fisiocritici in Siena, per Var- chologica in Roma, per la medico-chirurgica in Bolo- gna, e così per molte altre: sia dal primiero fondatore, o benemerito mecenate , o da qualche sapiente di grande celebrità , di cui voglia onorarsi la fama ; di che offrono esempio V Aldina in Venezia, la Cle- mentintty e la Marsigliana in Bologna, e quella del Colonna in Napoli: sia dalla nativa città secondo la letterale di lei appellazione ; come fu per 1' antica Alessandrina, per la Milanese, per la Tibiirtina, per la Cosentina , e per qualche altra ; sia finalmente da qualche geografica attinenza del natio luogo , e per lo più da un fiume di qualche rinomanza che 2:^5 per esso trascorra; conforme avvenne per la Sebezia in Napoli, per la Clucntina in Camerino, per la Me- taw'ica in Urbino. A quest'ultima categoria appartiene , o siguori, anche il nome di questa dilettissima nostra acca- demia, del quale niun altro piiì appropriato e più caro avrebbe potuto essere inspirato alle feconde menti dei benemeriti fondatori di essa : poiché il bel nome di Tiberina rimembrando il famoso fiume della famosissima Roma, ridesta insieme le memorie di molti e molli fortunati e portentosi avvenimenti, dei quali le sponde e le acque dello stesso fiume furono il teatro, e che strettamente si collegano alle fastose più vetuste glorie di questa antica regina del mondo. Sia dunque perpetua lode all'ingegnosa sagacità degli autori di sì felice appellazione, di cui fu da essi fregiato questo letterario romano instituto ; i quali diedero altresì amplissima prova di squisito senno con le provvidissime leggi che furono da essi statuite pel governo dell'accademia, e per l'ordinato ed utile procedimento del di lei esercizio. Dopo tali favorevolissimi augurii, dai quali sempre di poi fu- rono animati e gli originari soci , e quelli che in appresso ebbero la sorte di essere in essa accolti, r accademia coi suoi prosperi ed applaudili suc- cessi salì ad alto grado di fama, non solo in Roma e per tutta I' Italia , ma anche al di là degli ita- liani confini: e fu lieta di vedere ambiti i suoi scanni da celebratissimi ingegni, e paesani e stranieri; ed onorate le sue adunanze dalla presenza di distin- tissimi ed eminentissimi personaggi, e non di rado 236 d'incoronati principi amanti e fautori del bel sapere. E poiché di recente fu graziosamente accolta sotto i suoi augustissimi auspici dal sovrano gerarca, che mai non cessa di dare i più solenni contrassegni della sua magnanima predilezione alle scienze, alle lettere ed alle arti del bello, ha essa con ciò acqui- stato più splendido fregio di gloria, per cui nulla più le resta in oggi da invidiare alle altre più antiche e più celebrate accademie di questa islessa metropoli. .Per così fausti eventi abbiamo noi di che andar fa- stosi, o preclari colleghi, che siete qui presenti, e voi tutti o signori , che avete in pregio gli utili ed ameni studi, che qui si professano. E tutti concor- demente ci compiaceremo di ravvisare in questo huDÌnoso esempio una novella prova di questa con- solante verità : che così gli accademici , come gli altri civili inslituti , rivolti a nobili fini di sociale utilità , se siano fondati sopra giusti principi! , e retti da ordinamenti bene appropriati all' obbietto, e fedelmente osservati, non è mai da temersi che non siano per portare gli sperati frutti, a vantaggio ed onore delle liberali discipline, e delle città, dove essi nacquero e furono in fiore. 237 Illustrazioni ostiensi. Ragionamento recitato alla pon- tificia accademia romana di archeologia nelVadu- nanza del 12 gennaio 1860 dal segretario pei'petuo commendatore Pietro Ercole Visconti commissario delle antichità. imilora quando, per munificenza del sommo pon- tefice Pio IX, secondata dall' emìnentissimo signor cardinale Milesi, ministro allora del commercio e la- vori pubblici, accolto venne il mio progetto di ria- prire Tescavazioni ostiensi, state già tanto alle arti fe- conde e air archeologia, pensai che mirar quelle do- vessero ad un duplice intento. Si era già scavato per ricerca d'oggetti, senza tener conto dei luoghi. Parve a me che la scoperta dei luoghi progredir potesse di pari passo colla ricerca degli oggetti. Il presentare in luogo tanto a Roma vicino , tanto nell'antico tempo sontuoso e frequente, l'aspetto d'una rediviva città, cosa era da porre una nuova bellezza in questo classico suolo , da porgere un nuovo eccitamento agli studi, da unire insieme l'uti- lità col diletto. Standomi in tale concetto tentai di riaprire 1' antica via , che quantunque di molta terra coperta e non segnata da ruderi che la fian- cheggiassero, pure mi si manifestava, e a certo anda- mento, e al confronto di qualche brano, che nelle vicinanze n'era stato in altro tempo veduto. La cosa mi successe tanto felicemente, quanto appena avrei osato sperarlo. Perchè incominciati i lavori in quel punto del latifondo ostiense, che ha 238 nome dalla chiesa di S- Sebastiano, già con un an- nesso spedale eretta dal cardinale Don:ienico Gin- nasi, che fu nella sede d'Ostia zelantissimo vescovo, e ritrovai la via antica, e mi allegrò di bella spe- ranza il vedere come in essa intatto durasse l'an- tico pavimento formato dei soliti grandi poligoni di lava basaltina. E veramente sapendo con quanta avidità si fosse fatta la ricerca e lo spoglio di cotesti poligoni, ve- devo in questo ritrovamento la prova, che qui al- meno fosse il suolo rimasto illeso da quelle inve- stigazioni ch'erano altrove riuscite d'estremo danno. Fosse la molta profondità, alla quale bisognava av- vivare col taglio delle terre, fu cagione che a piiì facile preda si portasse la mano. Una profondità co- siffatta però era stata utile ancora ad occultare e proteggere que' sepolcri, che con ordine non inter- rotto lungo la via s'innalzarono. Duravano questi, qual più conservato, qual meno; nessuno però interamente distrutto. Alcuno anzi, come quello di Carminio Par- tenopeo, ch'ò tutto una mole di marmo bianco, in- teramente conservato. Le iscrizioni, o fisse ancora dove prima furono messe, o giacenti com'erano ca- dute, restituivano ai sepolcri i loro nomi, manife- stavano persone state in cospicuo grado d' autorità nell'ostiense colonia. Più sì progrediva nel lavoro, e più la via si ren- deva magnifica di quell'aspetto, eh' è tutto proprio d'una strada, che abbia sull'uno e sull'altro lato va- rietà di moli, che la ruina medesima con certe sue forme insolite accresca. Liberato così dalla terra ben lungo tratto della via ostiense, e scoperti quanti sepol- 239 ci'i vi si trovarono, si venne alla stazione militare, che era di custodia alla porta: e poi alla porta medesima. Della quale tanto si trovò spiccarsi ancora dal suolo, quanto bastasse a dar conto di quella decorazione che già ebbe, e fu di grandi pilastri. Non così del- l'iscrizione, che vi si lesse. Frammenti di questa, in grandi pezzi di marmo e in grandi lettere, valsero a mostrare che già vi fosse, non però a dare indizio, non che certezza di quello che dicesse. Dopo r ingresso della città, e la piazza che quivi stesso s'apre spaziosa molto, le vie che se ne spic- cano in tre principali direzioni diramandosi, serbano il pavimento antico con alcun pezzo di restaui'o. Ha la strada principale le sue crepidini, e sotto una di queste si conservava ancora il grandissimo condotto in piombo, uno dei maggiori che mai si scoprissero, ch'era pubblico della città : COLONOUYM COLO- NIAE OSTIENSIS, come vi si legge a belli carat- teri. Se questo ritrovamento apprestava buon argo- mento a credere , che qui dove tanta quantità di piombo si rinveniva , non si erano certo praticati lavori a ricerca d'antichità; v'erano però segni che poco lasciavano sperare quanto al potervi ritrovare cose che appartenessero alle arti. Un orologio solare, adesso nel museo vaticano, si trovò murato contrariamente al modo che dall'uso di esso era richiesto. Pili innanzi, fra bei muri di opera laterizia, si trovarono pezzi meschinamente ag- giunti col più infelice modo di muramento. Iscri- zioni antiche, tolte dalla loro primitiva sede, erano poste come gradino ad altra casa. Piiì innanzi un'ur- na sepolcrale serviva a contenere le acque d' una 240 fontana. Quasi ogni indizio palesava la decadenza estrema , a cui era qui venuta la città negli ul- timi periodi della sua esistenza, nei quali principal- mente qui stava ridotta la sua diminuita popolazione, mutando gli edifìzì in peggio, come in tale stato di cose avviene. Pertanto se la regolarità dell'andamento dei lavori voleva, che in questo punto si progredisse, • essendo alla storia del luogo anche uno stato siffatto conducente; il desiderio di vedere altrove monumenti di tempi migliori, mi persuase a dividere in due le ricerche che dirigevo. Da questo lento tramutarsi e distruggersi della città allontanandomi, intesi a ricer- care l'opposto confine di essa. Se qui Ostia era quan- to pili mai fosse nella interna parte del suolo, pensai tentarne le rovine dove più fu presso alle acque , da un lato innalzandosi sul fiume, dall'altro sul mare. Perchè mi pareva, che qui piìi presto dovesse aver abbandonato il campo, dove più frequente e più aspro fu l'urto che venne a percuoterla, ogni volta che bar- bare schiere mossero ai danni di Roma. La qual cosa così essendo successa, come a me sembrava verosimile che fosse, era da credere, che le ostiensi fabbriche , presso al fiume o presso al mare, quantunque manomesse e dal ferro guaste e dal fuoco, avessero alcuna parte serbata di quel pri- mo e proprio loro splendore, violentemente rapito, non già per proprio fatto perduto. Così apertosi il suolo in quel luogo del tenimento ostiense, che guarda il mare, ch'ebbe già vicinissimo e adesso ha d'oltre un miglio lontano, ed ha confine col Tevere, denominato dalla torre bovacciana; pre- sto apparvero le prove, che quelle induzioni bene si 241 confrontavano coi fatti. Imperocché 1' edifìzio, che della sua rovina aveva quivi fatto come un monti- cello elevato sul suolo, presto diede tali indizi di se, che mi assicurarono di riconoscere in esso le terme ostiensi. Fabbrica principale in ogni città, e princi- palissima in questa, che anche da Roma chiamava i signori del mondo alle delizie delle sue acque. Come in effetto se ne rimovevano le terre, se ne palesava la straordinaria magnificenza. Scorgevasi questa nella vastità delle aule, e nella decorazione assegnata a tale vastità. Perciocché i marmi più nobili si trovarono messi in opera a ri- coprire quelle si grandi pareti , e que' vasti spazi erano tutti ornati ne' pavimenti da musaici. Fia i quali non ha per fermo confronto alcuno né di bel- lezza di disegno, né d'armonia e vaghezza insieme di tinte, quello che misura ottanta palmi in lunghez- za , sopra una larghezza poco minore. Opera vera- mente stupenda, e veramente degna d'essere recata ad accrescere le bellezze del Vaticano, come per or- dine della santità del regnante Pio IX si é ordinato^ volendo che collocato fosse in quella camera , che farà presente ai posteri con le sue pitture le imma- gini di un religioso avvenimento , che sopra tanta età ha reso memorabile questa nostra. Di queste terme io vi tenni già parola da questo luogo medesimo. E fu quando , coll'occasione del- l'essersi discoperte, rivendicai ad esse una epigrafe che già vi stette collocala. Quella cioè, per la quale sappiamo quando un tale edilizio fosse eretto , di quanta somma vi fosse dal principe contribuito, e che altra munificenza vi usasse. Cose tutte che narra un GA.T.CLXII. 16 242 marmo messo da Ennio Quirino Visconti in prima luce (1). Marmo che abbracciando la memoria di due imperatori , narra compiuto dall' uno quello ch'era stato promesso dall'altro. Come cioè Adriano avesse dato intenzione agli ostiensi di dar loro per questa fabbrica delle terme una d' assai cospicua somma. La quale poi da Antonino Pio e fu pagata in effetto a que'coloni per tale opera, e fu ad essa di vantaggio: a Adiecta pecunia quanta amplius desiderabatur: » larghezza degna in vero di quel tempo e di quel principe. 11 quale oltre al denaro volle anche aggiun- gere un donativo di marmi: « Ad omnem ornatum: » che sono quelli medesimi così fini ed eletti, dei quali con maraviglia andiamo discoprendo gi avanzi. Se mi fu dato con quel discorso restituire a que- ste terme l'epigrafe della loro fondazione, che nes- suno degli scrittori delle cose ostiensi aveva da sì autentica fonte illustrato; oggi, colla testimonianza d'un altro marmo, prendo a dichiarare altre memorie delle terme medesime. Memorie d'egual modo lasciate giacere nell'oblio da quanti si assunsero di recar lu- me alle istorie dei monumenti di questa antica città. Anche l' iscrizione, della quale favello, ebbe in ori- gine ad essere collocata in alcuna parte di cotesto terme. Anzi dobbiamo ad essa il sapere con quale denominazione fossero già distinte, e con quale, ora che ritornano all'aprico, potremo a buon dritto sa- lutarle di nuovo. Venne pertanto una cosiffatta epigrafe ritrovata in Ostia sin dall' anno 1776. E in quel medesimo (1) M. P. C. Voi. II a e. 154. 243 tempo era portata in Roma neirofficina marmoraria d'un Carlo Ferrari, posta nel campo vaccino, ch'era il nome del foro romano, che ancora nel popolo si mantiene a fronte di quello antico reso ai nostri giorni a tanto celebre luogo. In tale officina lo vide Gaetano Marini, e qui ne levò , 0 più veramente ne fece levare la copia. E questo io dico per aver riconosciuto, che qjuella che nel suo volume d' iscrizioni si vede, non è fatta di sua mano. E perchè vi ho potuto notare alcune men- de dalla somma accuratezza, che fu lode di quel som- mo uomo, tanto lontane, che mi giova di non averle a riconoscere per sue. Queste poi si trovano tutte ripetute nella stampa, che dal manoscritto mariniano, de'vaticani codici il 9071 , ne fece il cardinale Angelo Mai nel quinto volume della sua collezione di antichi scrittori dai testi vaticani. Quel dotto ed instancabile editore di tante classiche opere lasciò, io mi penso, la cura di questa messe epigrafica a tale, ch'essendo assai mi- nore dell' incarico , vi fece prova di non lodevole esempio. E quanto al particolare del marmo ostiense, non ebbe da lui quella emendazione che doveva: anzi ebbe quell'aspetto che non doveva. Perchè a chi la vegga a carie 347 sotto il nu- mero 1 del volume pur ora ricordato, parrà l'epigrafe in pili luoghi mancante, mentre essa è intiera. Vi troverà lettere mutate, che inducono strana confu- sione, e lettere aggiunte, che muterebbero la vera lezione facendo alterarla. 244 Notò iì Marini, come ho di sopra accennato, aver esso veduto una cosiffatta iscrizione: « Romae apud marmorariurn in foro boario: » e ch'era scolpita nei franimeli (( ingentis epistylii: » trovali in Ostia Tan- no 1776. Altro allora non aggiunse. Né poi v'ebbe più la mente, o notò altrove quello che avrebbe scritto a miglior notizia di essa laprde, quando fosse venuto a quelle illustrazioni che divisava a compimento della vastissima raccolta ch'era andato ordinando. Stando dunque a quella indicazione, incerto sa- rebbe se il monumento fosse mai uscito dal perico- loso luogo nel quale il Marini lo vide, e così pure se ricercare si dovesse altrove; delle quali incertezze doveva per avventura l'editore vaticano liberare i suoi lettori. Se non che ad un cosiffatto silenzio già riparato aveva quel desso, che aveva tolto il marmo al pe- ricolo di passare sotto la sega dello scarpellino (giac- ché aveva esso contro di se la slessa sua mole), e lo aveva stampato ancora molti anni prima che dal codice mariniano vedesse la luce. Dico Francesco Eugenio Guasco, presidente del museo di campido- glio, il quale ne scrisse: « Ingens hoc marmor, licet effractum trihusque constans fragmentis , inlegram tamen inscriptionem exhibet . . . Ostiensium inquam, quemadmodum locus indicai ex quo . . . effosum est, nimirum ex fundo vulgo Bovacciano, prope Ostiam, uno tantum miliario a tirrheno mari distanti , an- no 1776. Testatur haec omnia Carolus Ferrarius, ex cuius latomiis lapidariis, monumentum hoc aere pon- tificio redemplum, in musei capitolini impluvium nu- I 245 peri'ime trasferri curavi (1). » In quel luogo infatti ancora si vede infissa nel muro dell'atrio a sinistra di chi entri nel museo. E così dall'originale medesimo s" è potuta levare la copia di una epigrafe, che ac- quista per le escavazioni delle terme ostiensi un nuo- vo pregio, mentre, con hella vicenda, sparge sovr'esse non poca luce. Eccone dunque le pai'ole quali si leggono distri- buite in due linee in tutta la lunghezza dell'archi- trave, così che la prima linea sia tutta attribuita all'opera e ai nomi degl' imperatori (dei quali s'ebbe anche cura di così disporli, che per cagione del det- tato venissero a tenere il bel mezzo), l'altra a chi ebbe la cura dell'eseguirla : « Thermas maritimas, inti'esecus refectione cellarum, foris soli adicctione DDD NNN Valens Gratianus et Valentinianus VI- CTOR AC TRIVMF SEMPER A\Ggg. » Proculo Gregorio V. C. praefecto ANNON urbis Romae curante decorarunt » Il luogo donde fu tolto questo grande architrave di marmo bianco, sono ora presso a cento anni, non lascia in foi'se sull'antico monumento ostiense, al qua- le si debba riferire. Sono a Tor bovacciana le terme, nuovamente discoperte, fu da Tor bovacciana levato esso marmo. Possiamo dunque, con quella maggiore sicurezza che gli studi nostri consentono, trarre da questo restituirsi 1' iscrizione alle terme, per prima cosa il loro proprio e particolar nome, che fu quello di terme marittime: THERMAS MARITIMAS. Nome (1) Guasco, Musei capitol. ani. inscr. Tom. Ili, cap. X. n. 1238. 246 che veniva convenientissimo dal sito sì prossimo al mare, e che le distingueva da altre state erette nella città. Ecco dunque le terme marittime ostiensi. Delle quali, inclinate già le sorti romane, pure si prende- vano cura gP imperatori, non solo del mantenerle, ma ancora dell'accrescerle: « Intresecus (così in vece d' intrinsecQS, e, penso io, per mal vezzo della pro- nunzia che allora correva) rcfectione cellarum, foris soli adiectione . . . decorarunt. » Quando rivendicai a queste terme marittime la monumentale iscrizione d'Antonino Pio, ebbi fra' pri- mi argomenti quello dell'edifizio medesimo, tale di- mostrandosi nell'opera laterizia quale essa era ai tem- pi di quell'augusto, ai quali si confrontavano le note consolari e le indicazioni de'marchi delle figuline, ri- trovate in buon numero. Adesso che rendo ad esse la memoria dei lislauri e degli accrescimenti di Va- lente Graziano e Valentiniano, ho molto opportuna una testimonianza simigliante. Imperocché si sono ritrovati visibilissinìi in piiì luoghi di queste terme ì ristauri, che 1' iscrizione ricorda, e specialmente certi musaici delle pareti e delle volte, che sono pro- prio cosa di questi tempi. È poi più che verisimile che 1' architrave fosse quello d'un portico aggiunto dagl' imperatori già det- ti. E dove fosse aggiunto può anche facilmente sta- bilirsi, se io non m' inganno. Dice l'epigrafe d'una addizione di suolo: SOLI ADIECTIONE. Questa dimandò una nuova circoscrizione del luo- go, a volere che alle terme fosse riunita, e alla cir- coscrizione fu mestieri dar nuovo ingresso. Al quale I 247 chi non penserà che appartenesse il portico, che aveva in fronte l'epigrafe ? Ebbe cura dell'opera Procolo Gregorio prefetto dell'annona di Roma: e così sappiamo il preciso anno nel quale venne eseguita, che fu il 377 dell'era no- stra. Nel quale anno si trova diretta a lui da Gra- ziano, con data da Treveri, una legge sui fornai. Pensò il Guasco che questo personaggio fosse da tenere co- me cristiano, persuadendolo a lui: « aetas qua floruit, IV nimirum ecclesiae saeculo, augustusque cui pa- ruit, id est Gratiano, pio religiosoque principi (1).» Quindi dà luogo alla lapide fra quelle cristiane: ed io volentieri a lui mi unisco. Stima egli ancora, che al nostro Proculo Grego- rio dirigesse Ausonio gli epigrammi 34 e 149: ciò che sarebbe di molta sua lode. Sei lettere di Sim- maco sono a lui dirette (2). Sapevasi della giurisdi- zione, che il prefetto dell'annona di Roma esercitava in Ostia ed in Porto, incombendo a lui di vegliare sopra questi due punti tanto esenziali per assicurare il nutrimento della città. « Frumentarii canonis urbis Romae et annonae civicae erogandae cura ad ipsum spectabat, ideoque statis quibusdam temporibus ad Ostia tiberina vel Portum romanum accedebat, ut ibi frumentarii canonis i-ationem inspiceret. » Tanto ne scrisse il Corsini (3). Che pei'ò avesse in Ostia ed in Porto autorità sopra gli edifizì, lo sappiamo dalie isciizioni. Perchè non solo in questa delle terme ma- il) L. e. (2) Ep. lit. 111. 18 ad 22. (3) De praef. Urb. pag. XLV. 248 rittime ostiensi si trova un prefetto dell'annona di Roma aver presieduto a cose di fabbriche; ma si- milmente dal suolo ostiense fu tratto un marmo, che presenta la cura d'un altro egual magistrato, con que- sto di pila, che interviene in cose, che la città fece eseguire di proprio, poich'esso è tale: CVRAVIT RAGONIVS VINCENTIVS CELSVS V.C. PRAEFECTVS ANNONAE VRBIS ROMAE ET CIVITAS FECIT MEMORATA DEPROPRIO Quantunque sia questo ingens lapis del museo vati- cano, dove fu portato da Ostia, per testimonianza di Gaetano Marini (I); manca però la corrispondente, 0 la superior parte, dove erano quelle MEMORATA, che sono per noi senza memoria. Ma basta al nostro intento quello che del prefetto dell'annona di Roma vi è espresso. Così è pregio delle antiche memorie, ed è lode degli studi nostri, il rendere sempre piiì manifesta ed intera la notizia delle cose e degli uomini sopra noi stati. Pertanto quello che dalla lapidaria si è con- servato in proposito di queste terme ostiensi, va dalla fondazione di esse all'ampliazione e al ristauro; dal secondo secolo al quarto. (1) Vat. scrip. Tom. V. pag. 337. n. 7. 249 Con tali sussidi abbiamo potuto oltre alla storia sapere, e delle promesse d'Adriano, e della profusa munificenza d'Antonino Pio, e delle cure di Valente Graziano e Valentiniano: cose tutte che attestano Io splendore di questo edifizio della romana colonia. Nel quale, cominciandosi di breve per sapiente ordine del sommo pontefice i lavori in continuazione della sco- perta; ne avrò per certo argomento a tenerne nuova- mente discorso, nella fiducia che siavi grato 1' inten- dere quel progressivo ritrovarsi delle vetuste memo- rie, eh' è alimento agli studi dell'accademia, com'è privilegio di Roma e gloria del sacro suo principato che le promuove e protegge. 250 Di una lussazione iliaca comune del femore ridotta col metodo del prof. Giambattista Fabbri. Lettera del doti. Pellegrino Piermarini al suddetto chia- rissimo professore. Chiarissimo professore F in da quando mi voleste conscio de'vostri prezio- sissimi studi sulle lussazioni traumatiche del femore, e conobbi qual tesoro essi fossero per la chirurgia, ho sempre mai nutrito vivissimo il desiderio di ve- dere praticare sul vivo quanto voi pazientemente operaste su i cadaveri della camera incisoria di Ca- merino a beneficio de'vostri discepoli, fra' quali ebbi fortuna trovarmi. Venuto a percorrere la carriera di questi spedali, nei!' esercizio del mio sostitutato m' augurava ogni sempre di porre in pratica que'vostri insegnamenti, e lo desideravano meco tutti i colleghi miei, insieme co' quali studiai nuovamente i vostri scritti e rifeci le sperienze. Attendemmo ansiosi e per lungo tempo: ma cadde finalmente l'opportunità del giovarcene, e vedemmo per fatto nostro provato l'ottimo risultamento de'vo- stri precetti già confeiinati da altri e per ultimo dal dott. Golinelli. Perchè vostri, essi non potean esser mancabili: e lo videro meco gli onorevoli miei coi- leghi Camillo Aureli ed Enrico Tirateli!, chirurgi so- stituti dell'ospedale di chirurgia istantanea di questa capitale, detto di s. Maria della Consolazione. Per essi ho potuto cogliere per la prima volta un fatto così 251 vantaggioso pel clinico esercizio ; che memori del proposito fatto, mi resero immantinente avviso che una lussazione del femore erasi presentata in quel luogo di loro onoratissima pratica. Mi recai presso loro co'vostri scritti alla mano, ed operammo la ri- duzione. É la brevissima storia del caso quella che vengo ora a rassegnarvi, e che v'indirizzo come un pensiero di mia riconoscenza. Può essa servire di documento d'un nuovo fatto che onora la chirurgia italiana. Giovanni Fattori, di anni 23, nato in^Cerri nel na- poletano, campagnuolo, di temperamento sanguigno- bilioso, statura media, ricco delle migliori prove di robustezza e salute, alle ore 8 antimeridiane del 29 gennaio prossimo passato guidava un carro di paglia, sopra la quale riposava boccone, tenendosi piiì dal lato destro, e distando di 15 palmi dal suolo. Mezzi insufficienti di ammaglialura lasciavano tentennare il volume di paglia , che nella sua superficie ad ogni moto forte del carro s' inclinava talmente, che colto una volta all' impensata ei sdrucciolò e cadde al suolo: batteva di primo tempo il piede destro nel suo mar- gine esterno coll'arto corrispondente in avanti e qual- che poco all' indentro, per ritrovarsi nel secondo tem- po rovesciato boccone. All' un'ora e mezza pomeri- diana di quel giorno medesimo recavasi allo spedale suddetto affetto da lussazione del femore destro, che i lodati sostituti chirurgi diagnosticarono presto per la iliaca comune di vostra ragionata nomenclatui-a. E tuttoché facile ne sembrasse il giudizio, volemm.o confrontar tuttavolta ogni carattere che ad essa ri- ferir si dovea, riandando la tnemoria vostra innanzi 252 r infermo, cui assisteva il sig. dott. Lang chirurgo aggiunto di guardia. In quello studio di confronto fummo lunghi, attenti e severi, e vedemmo quelle pagine vostre come fossero scritte quel giorno e pel caso nostro. Paghi di questo, ci proponemmo servire d' istromenti meccanici per la riduzione che voi ne insegnate. Piegammo la gamba, eseguimmo il mo- vimento composto di flessione e abduzione elevando lentamente il ginocchio, finche non sentimmo il capo del femore pervenuto inferiormente alla cavità del suo acetabolo. Posto l'antibraccio destro sotto il po- plite colla mano sinistra, fu aiutato il capo del fe- more a sormontare la parie inferiore del ciglio co- tiloideo, ultimo ostacolo che rimaneva a vincere per compiere ogni manualità. Traemmo infine il ginoc- chio, mettemmo a leva la coscia, e la riduzione fu compiuta con una facilità incantevole. Alla visita del seguente mattino ne fu data con- tezza al chiarissimo Sartori chirurgo primario , il quale mostrò tutta la sua compiacenza, e ne inco- raggiò neir idea di tenervene conto. 11 5 febbraio, sette giorni dopo la riduzione, il Fattori abbandonava quell'ospedale malgrado ogni pre- mura usata a trattenervelo ancora. Ei camminava li- berissimo senza sostegno, e tornò solo al suo domi- cilio. Gradite, professore chiarissimo, i miei sentimenti di ammirazione, gratitudine e ossequio dall'animo mio non cancellabile mai. Di Roma 3 marzo 1860. Uaffmo. obimo. discepolo DOTT. PELLEGRINO PIERMARINI. 253 Inni a Venere di Proclo filosofo, imitali dal greco in terza rima da G. I. Montanari. INNO I. k^egno agl'inni facciam la celebrata Discendenza di lei, che dalle spume Delle salse di Teli acque fu nata, Onde, qual suol da regal fonte fiume, La gran famiglia uscì degl' immortali Amor, che a voi batton le aurate piume. Parte de' quai d'intellettivi strali Saettano le elette alme leggiadre. Che punte de desir celestiali A veder valgan gli atrii della madre Foco-fiammanti nella sua presenza : Parte per lo voler del sommo padre, E per decreto d'alta provvidenza. Che allontana ogni male, hanno vaghezza Di accrescer degli umani la semenza, E in lor di vita infondono dolcezza : Di nunziali congressi alcuni al varco Stan, per fare immortai la gente avvezza Mortale a sostener d'affanni incarco. A tutti a cuor son l'opre della diva, Che porta amori ove degli occhi l'arco Appunta. 0 dea, poich'ai tuo orecchio arriva Da tutte parti il priego, o fasci e accenda L'immenso ciel colla tua luce viva. 254 Là d'onde è fama che per te discende Nel mondo alma divina; o delle sette Sfere tua stanza in sulle ruote prenda, Da cui piovi quaggiù virtudi schiette; M'odi pietosa, e la vital camera, Che a sì duri travagli l'uom sommette. Dirizza al segno a cui di giunger spera Co' giustissimi tuoi dardi soavi, E destando nel cuor fiamma sincera Cessa la foga degli affetti pravi. INNO li. Leviamo al ciel dei liei la regina, Alma fanciulla fior d'ogni bellezza, Che di candida uscì spuma marina. Del suo furor, che porta all'uom salvezza, Ripieni i duci della patria nostra. Che delle sacre cose hanno contezza. Della cittade intorno all'alta chiostra Il simulacro posero di lei. Che sotto velo mistico ne mostra Le intellettive nozze e gl'imenei Dell'ardente Vulcan colla celeste Vener, onde le dier fra gli altri dei Nome d'olimpia. Invan le mani preste Ebbe morte a ferir, che fur cadute Sua mercè a vuoto le saette infeste. E' ancor ebbero l'occhio alla virtute, E germogliar dai talami fecondi Alme di senno e di valor vestute. 255 Tu dappertutto della vita infondi Placida calma, o veneranda, e rendi Della mortai carriera i dì giocondi : Or di tue laudi il sacrificio prendi In grado, perchè son di Licia anch'io: Tu da bruttezza l'anima difendi, E l'alza alla beltà che di te uscio, Mentre fugge il dannoso estro, e la guerra Che rompendo le va fero desio Nemico di virtù, nato di terra. INDICE Farnese, Catalogo delle prose recitate airacca' demia tiberina nel 1859. . . . pag. 3 Guglielmotti, Catalogo dei bibliotecari, cattedra- tici e teologi della biblioteca casanatense. » 40 Catalani, Terapia (Continuazione). . « 94 Lussana, Monografìa delle nevralgie brachiali.)) 177 Des Jardins, Discorso per la premiazione delVin- stitulo tecnico degli agrimensori e misura- tori di fabbriche » 197 Cavalieri San Bertolo, Intorno aWorigine, allo spirito e alla utilità degV instituti accade- mici » 214 Visconti, Illustrazioni ostiensi » 237 Piermarini, Di una lussazione iliaca comune del femore ridotta col metodo del prof Fabbri.)) 250 Proclo, Inni a Venere imitati dal Montanari.)) 253 Nel giornale si dà il sunto, o viene inse- rito l'annunzio, delle opere presentate in dop- pio esemplare alla Direzione. Esse debbono essere inviate franche d'ogni spesa di porto e dazio. Le notizie di scienze, di lettere, e di belle arti, quelle di scoperte utili per 1' agricol-r tura, industriaec, come anche i programmi dei concorsi accademici, dovranno similmente es- ser mandati franchi di posta alla Direzione. Chi si associa per dieci copie, o ne garan- tisce la vendita, avrà l'undecima gratis. IMPR. - Fr. Hieionymus Gigli Old. Praed. S. P. A. M. IMPR. - Fr. Aiit. Ligi Arcliiep. Icon. Vicesgerens. Sua ?^S