S/S®. GIORNALE DI SGlElXZEf LETTERE, ED ARTI ROMA RELL.Ì STAMPERIA DEL GIORNALE PRESSO ANTONIO BOULZALEB 1836. S. n Qu GIORNALE DI SCENZE LETTERE ED ARTI TOMO LXIX. f OTTOBRE , NOVEMBRE E DICEMBRE 1837. < ROMA NELLA STAMPERIA DEL GIORNALB ARCADICO PRESSO ANTONIO BOULZALEU SCIENZE Del nuovo gelso delle isole Filippine. J_Jeg*:;enirao in un giornale lombardo , essere il gelso ut) albero doro ; e quella espressione non sappiamo di- chiarare esagerata : imperocché da qucll' albero ha nu- trimento il baco , la cui seta è tanto in pregio pres- so le nazioni civili : per aver la seta i lontani po- poli tributano denaro in quantità a quelle non molte regioni, in cui il baco ha prospera vita e coltura; e fra esse è Italia nostra. Quindi , dopo il Dandolo filantro- po a nìuno secondo , moltiplicarousi le piantagioni de* mori gelsi; si migliorarono i metodi di educaz ione dei fi- lugelli ; si migliorarono quelli del setificio : furoit ;in- che esperiraentate altre foglie come succedanee a quelle del gelso bianco per cibare i bachi. 11 nobile sig. Cle- mente Rosa esperimento quelle del gelso indiano (moriis macrophrlla ) ; ma se 1' esito non fu infelice del tutto, neppure uguagliò i vantaggi che dal gelso bianco rica- vansi(l). Il sig. Bonafous, celebre agronomo in Torino, esperimentò le foglie della Maclura Jurantiaca\ e ben- ché ne facesse elogio , pure fu stretto a confessare clic non presentano allo stesso grado quelle proprietà i le quali rendono il gelso adatto ali* educazioae del baco da (i) Vedi Pagani , Foglia di ^e\so morus indien. Nel Gior- nal« agrario lombardo - veneto i834. Voi. i. pag. 189. 1* 4 Scienze seta (1): c(3 il eh. marchese Ridolfi provò, che se val- gono a nutrire il filugello, non valgono a fargli pre- parare i materiali serici che gli occorrono per filare il bozzolo , e non bastano a dargli forza di mutarsi in crisalide per divenir poi farfalla , e fallo insetto perfetto , provvedere alla propria riproduzione (2). Il Bonafous lodato fece altri esperimenti sulle foglie del rovo , fìel rosajo , dell' olmo , del crespino , dello smir- nio , della parietaria , dell' acero di Tartaria : adoperò le scorze nere di Spagna^, e la camelina (3) ; e co- nobbe che se alcune possono alimentare il baco , niu- na è capace di fargli produrre il bozzolo, Neil' ago- sto 1821 il naturalista Perotlet trasportò da Manilla a Parigi tre piantine di un nuovo gelso ; le quali fa- cilmente moltiplicate in Francia ed in Italia , presen- tarono ai coltivatori dei bachi da seta tali e tante qua- lità migliori del nostro gelso bianco , che negarlo sarebbe un negare la luce del sole. Dal luogo d'onde provenne in Europa , dicesì que- sta nuova specie gelso delle Filippine-, alcuni lo no-* luarono morusno^a species sinensis : il Perottel mo- rus multicaules : il Bonafous morus cuculiata : nelT alta Italia dicesi pure gelso a foglie cave ^ o gelso a cappuccio. La descrizione botanica ha i caratteri seguenti : Morus foliis cordatis , basi inaequalibus , vix lobatis , dentatis , awpUssimis , cuculiai is. Le (i) Delle foglie della maclura aurantìaca come succedanee a quelle del gelso. Nel Giornale agrario lonibardo-veneto i836. Yol. 5. p. 68. (•ì) Giornale agrario toscano del i834. (jj Recherches s»r Ics moyens de reinplacer la feuiìle \clu mwirir par un mitre subxlance p^opre au ver a soie. Nelle Mem. (te ili socielè roy. et centr. d'agric. dell'anno 1826 Gelso delle Isole Filippinh 5 foj^lle di esso giungono a trenta centiniptri ili liiti£;Iiez- za , a ventidue di laif;l)ezza. Come tulle le altre spe- cie di gelsi , de' quali pasconsi i bachi da seta , han- no la superficie irta d'un mirabii numero di tuberco- lati o corpicellì a foggia di glandolette (1) , le qua- li sembrano la sede dell' odore che emana dalle fo« glie stesse (2). I rami sorgon ritti e sottili ; e curvan- si sotto il molto peso delle foglie , come il salix peti' fiala. Volendosi il nuovo gelso educare di allo fusto , se non divien alto quanto il nostrale , di poco resta mi- nore : non patisce ne* climi nostri le intemperie inver- nali : prospera nei terreni leggeri , nei sabbiosi non ari- di , negli irrigui o altrimenti umidi ; a::zl sembra che Il preferisca : è poco ferace di frutti , copiosissimo di foglie; di vegetazione primaticcia. Propagandolo per seme , degenera ; sì mantiene identico con innesto , margotta , talea t ad alto fusto coltivasi sia natural- mente , sia per innesto (3). Il Beltrami lo innestò a spacco sulla robinia , sulla rovere , sullo spino bian- co, sul salcio , sull' alberella , sulT oppio , sull' avel- lano , e sempre con esilo felice ; ma anche meglio sui /i) Perottet, Óbservatìons sur le Morus multicaulis. Ar- chives de botanique tom. t. i833. (a; Tale sostanza, analizzata dal Ferrano, fu giudicata nuo- va , propria delle foglie del gelso, di natui'a neutra, non ripor- tabile ai principii immediati dei vegetali già noti ; e dalla sua origine la disse Morofilla. 11 Lomeni poi sembra inclinato a cre- dere che essa sostanza determini la preferenza che i bachi dan- no alle foglie del gelso , e che sia essenziale alla formazione della seta. (3) Si veggano a!«une accurate osservazioni sull'innesto deigeisi pubblicate da Ambrogio Nava Biblioteca Italiana, Voi. 77./». igov Ci Scienze gelsi hianchi ; e si a spacco ed a zuffolo in prima- vera , s\ a scudo, ad occhio germogliaiile o dormiente in primavera ed in estate (t . Avendo però esso nuovo j»elso la facoltà di produrre dal piede numerosi pol- loni , vieo giudicata migliore la coltivazione a cespu- gli , sia in una linea a guisa di siepe , sia in piìi linee a guisa di bosclietto. La propagazione per talea semljra la più facile ed economica : e si usa nel modo seguente. Tolte alle piante le verghe di un anno , tagli ansi a pezzi di cir- ca venti centimetri , in modo che ciascuno contenga almeno tre gemme od occhi. Si piantano nel marzo o ncir aprile in terreno dissodato e leggermente conci- malo ; se sono un poco appassiti, sarà benfatto immer- gere questi fittoni, prima di piantarli, in una caldaja di acqua tiepida mista con letame disciolto. La pianta gione facendosi a file , queste debbono esser distanti l'una dair altra quattordici conti metri ; ed ogni quat- tro o cinque file si lascia uno spazio vuoto per co- modo del coltivatore. Delle tre gemme di ogni talea una sola deve sporgere sopra terra : se la stagione è asciutta , conviene annaffiarle ; e fa d'uopo mantenere il terreno mondo da ogni erba. Neil' autunno esse soa divenute barbatelle ; ed allora si trasportano ove si vuol fare la piantagione , procurando di farle miglio- rar di terreno. Se la piantagione vuol farsi a foggia di siepe , si apre un fossato largo quaranta centimetri , profondo venti, e piantansi in esso le barbatelle alla distanza di settantacinque centimetri l'una dall' altra , e tagliansi poscia a fior di terra. Se vuol formarsi boschetto , gli stessi fossati si aprono in linea parallela (i) Vedi Soulangs Bodin, nel Giornale agrario lombardo - rentto i836, toI 5. p. 5g. Gelso delie uolk Filippine 7 lungi l'uno dall' altro metro uno e centimelii ottanta ; e l'una barbatella lungi dall' altra metro udO e centi- metri venti y osservando in queste una distribuzions l.ije , che quelle della prima linea corrispondano alla terza e alia quinta , quelle della seconda alla quarta e alla sesta , e Cosi in avanti. Neil' uno e nelf altro mo- do è utile ingrassare il terreno con concime ben ma- turo : si eleva poi il terreno sulle file delle barbatel- le » togliendolo dagli spazi interlineari, a guisa dei no- stri solchi. Nel primo anno dopo la piantagione si ia- scian crescere i virgulti , diminuendone solo qualcu- no se fossero troppo folti , e mantenendo il terreno mondo da erbe. Nel secondo anno si può usare della foglia ; quindi tagliatisi i virgulti in vicinanza del ter- reno , lasciando loro due o tre gemme al piti ; picrchè la potatura corta aumenta il prodotto , facendogli emettere foglie di straordinaria grandezza. Negli anni successivi la potatura si regola per modo, da formare dellff ramificazioni un cono rovescio vuoto nel centro- Ogni anno convien lavorare il terreno almen tre volte, onde tenerlo mondo dulie erbe. L'ultimo lavoro si fa neir autunno dopo la caduta delle foglio , le quali radnnansi presso le piante, e rlcopronsi di terra , fa- cendole servir così di concime. I molti esperimenti che furon fatti intorno que- sto nuovo gelso provarono evidentemente , che esso è superiore sotto ogni rapporto a qualunque altra spe-- cie di gelso fra noi coltivata. Furonvi alcuni che ne scrissero contro ; forse perchè agli occhi di molti è buono sol quello, di cui gli antichi ci lasciaron la pra- tica : ma non si risponde ai fatti. Se è da savio il du- bitare , chiuder gli occhi alla luce per negarla è vi- zioso pirronismo. Quindi siano rese grazie a coloro che ne difesero con validissime ragioni la utilità. Ricordia- mo fra questi filantropi il dottor Ignazio Lomeni , R Scienze del qnalc molle opere abbiano soli' occhio (I) : e con esso il si;w. Carlo M^upoil clie primamente introdusse in Italia r^rino J825 il nuovo gelso, e ne scrisse sì per pratica sì per teorica (2) ; il dottor Matteo Bonafous , l'i) Rlxultanienti di uno esperimento coinparalivo circa gli effetti del nutrirei bachi da seta coli' antico gelso innestato, e col gelso nuovo delle Filippine. Milano , tipogr. Lampa- to i832. in 8. Nuove sperienze intorno gli effetti del gelso delle isole Filippine paragonati a quelli dell'antico gelso bianco d'innesto nel nutrimento dei bachi, e nella produzione della seta; ed ana- lisi chimica delle foglie dei delti due gelsi. Milano , tipogr. Lampato i853. 8. Sperienze ulteriori circa gli effetti del nuovo gelso delle Filippine imprese colla specie di bachi da seta di 4 mute ;:(neralmcnte coltivate in Lombardia. Nel Giornale agrario. -Vilano t854- 2. p, 207. Della superiorità per finezza e nerbo della seta prodotta col nutrire i bachi di foglie del gelso delle Filippine , risul- tante dalla comparazione con quella ottenuta dal gelso bian- co antico nelle diverse manipolazioni sino alla riduzione in stoffa. Nel Giornale agrario. Milano 1834- voi. 2. p. 268. Istruzione intorno la moltiplicazione e coltura del gelso delle Ì5ole Filippine. Nel Giornale agrario. Milano i834. voi. Q. p. 2^5. Sperienze ripetute nel i835 intorno il gelso delle isole Fi- lippine , e li suoi effetti nel producimento della seta. Nel Gior- nale agrario. Milano t835, voi. 6. d. 161. (1) Cenni sopra il gelso delle Filippine. Nel Giornale agrario. Milano 1834. voi. i. p. 21. Di un secondo annuo raccolto dimostrato possibile usando ad alimento de' bachi da seta le foglie del gelso delle isole Fi- lippine. Nel Giornale agrario. Milano i836. Voi 5. p. 4^- Saggio storico intorno la coltivazione e prodotti serici del gelso delle Filippine. Nelle Esercitazioni dell' accad. agraria di Pesaro ; anno 3, Semestre i, del i855. Gelso dellk isole filippine 9 il quale non contenlo delle proprie esperienze, mise a disposizione dell' accademia de' geoigofili di Firen- ze la somma di cento zecchini , perchè venisse premia- to nel 1 836 chi con esperimenti più decisivi e me- glio condotti porrà in chiaro l'influenza della foglia del nuovo gelso sulla seta prodotta dai bachi nutriti con essa (i). Ne da questi disgiungeremo il molto reve- rendo D. Paolo Celtrami , il quale pubblicò un Saggio teorico -pratico suW utilità prodigiosa dei boschetti a gelsi sopra tutti gli altri raccolti della campagna^ e parlicolar /lente de" nuovi gelsi delle isole Filip- pine (2) ; ià altrove un opuscolo intitolato : Vantaggi notabiliss.mi da ricavarsi dalla introduzione del gelso cuculiato delle isole Filippine (3) ; ed il sig. Dome- nico '^» izzi pel suo Manuale pratico per coltivare il gelo e per formare siepi e boschetti cedui ed a cep- pija (i). Dicemmo che sarebbe un negare la luce del so- le , negando i vantaggi che sicavansi dal nuovo gelso. Infatti esso , per innesto o per talee, può al terzo anno dar la foglia , anzi anche in minor tempo ; mentre al nostro fa d' uopo di tempo assai più lungo. La quanti- tà della foglia per la sua grandezza risulta in peso il doppio di quella de' nostrali, ed essendo più nutritiva, ne bastan Ire quarti comparativamente alla nostra (5). Deve poi porsi a calcolo la facilità del ricolto: che pre- senta agevolezza , potendosi impiegare anche i fanciul- de' 1 (i) Ath aell'imperiale e reale accademia economico-agrario de' p jigofili di Firenze. Voi. Xll. Anche Tace, agraria in Pe- ro distribuirà nel 1837 "'^ premio a questo rapporto. (ri) Lodi , lipogr. Orceti i835. 8. (3) Giornale agrario. Milano i835. voi. 4> p- 18. (4) Padova , presso Cartallier i855. 8. iS) V. Beltrami, Vantaggi citati. 10 Scienze li; presenta economia , essendo esperienza fatta (lai sig* C. Dupont di Chambery , che un operaio può in una giornata roccogliere dieci quintali di foglia del gelso delle Filippine, mentre appena due ne raccoglie sui gelsi comuni (1). Altro vantaggio si è Tessere il nuovo gelso ferace di frutti; quindi il peso del suo fogliame, raccolto che sia, va soggetto a piccolo defalco, facil- mente si mondan le foglie, presta minor materia fermen- tahile sotto ì bachi. E non si deve dimenticare l'utile del prosperare in terreni leggeri, ed anche umidi, e in vici- nanza delle risaie, dove i nostri deperiscono; Tesser me- no soggetto alle intemperie del verno ; il non temere le variazioni atmosforiolie ; il non soffrire come i tinsi ri la idropisia (2). Anche è da ricordare la facilissima moltiplicazione per mezzo delle potature. E qui notia- mo che nel 1835 il sig. conte Villa di Montpascal, in nn campo presso Torino seminalo a grano, fece piantare col foraterra diecimila talee del nuovo gelso sulla sommi- tà delle porche ; e dopo la mietura del grano sovsoic esse sì rigogliose , da convertire tutta l' estensione in una folta selva (3); il che vede ognuno qual felice resultato produce , e qual vantaggio nell'avviceiulainen- to delle terre. A proposito poi della facilita di propa* gazione aggiungiamo , che il eh. Lomeni, presi i pol- loni semi- erbacei della vegetazione vernale colti colla foglia ne) maggio , li piantò in luogo di poco sole , gì irrigò, ed ebbe da essi buone barbatelle nel novem- bre. Anche più ; prese le potature nel giugno , le pian- tò , ed ebbe nel novembre le barbatelle (4], (i) Giornale agrario. Milano i856 voi. 5. p. £5. (2) V. Beltrami, Fantaggi citati. (3} Giornale agrario . Milano i836. voi. 5. p. 4o. (4) Giornale agrario. Milano i835. voi. 4 p. 17Ó. Gelso dellk isole filippine 11 Ne dobbiamo (ìiraenlicare, che essendo il nnovo gel- so pili piimaticcio degli altri , permette di anticipare di alcuni giorni rallevaraento dei bachi , sottraendoli così al caldo solstiziale che per essi e dannoso : e duran- do la loro vegetazione sino al mezzo novembre , men- tre i nostri finiscono al finir di settembre, se ne può fa- re un secondo rìcolto dopo spogliati la prima volta : e ciò senza alcun danno delle piante, A ciò pose cu- ra primamente il sig. Maupoil ; e consigliò nello sfo- gliaraento conservare alla sommità de' ramoscelli le più giovani foglie , per ottenere in capo ad alcuni giorni un nuovo ricolto. Ma esperimentata la e sa dal doti. Loraeni , questi conobbe che tali ramoscelli non ripro- ducono poi nella stagione altro fogliame , attirando a se tutto r umore quelle foglie lasciate ; mentre al con- trario i ramoscelli denudati del tutto rivestonsi in tutta la loro estensione. Dal che ne scende, che può esser utile lasciar le foglie nella sommità, quando si abbia bisogno di un piccolo non lontano secondo ricolto sussidiario al primo : ma volendosi un secondo rioolto a servizio di una seconda emersione di bachi , conviene sfogliare r intiera pianta , compresa la sommità dei rami. Il lo- dato Maupoil nel 1835 tentò ed ottenne felicemente un secondo raccolto di bozzoli educati col gelso delle Fi- lippine. Terminato il primo, secondo la Scuola del bi- gattiere , fece egli sviluppare le sementi del secondo dal 28 al 30 giugno. I bachi in modo assai soddisfa- cente salirono al bosco al finire di luglio ; e compiero- no i bozzoli, dai quali ritirò seta eccellente (1). Per le quali ragioni a buon diritto il Beltrarai scriveva, che i gelsi delle Filippine arrecano una utilità pecuniaria di gran lunga superiore a quante altre dalla terra ci ven- gono (2) : ed ognuno dalle sue dimostrazioni resterk (i) Giornale agrario . Milano r856. voi 5. p. 49- (ay Utilità prodigiosa cùata. 21 S e I E N Z B persuaso ; sempre , ben inteso , che si possa far uso o smercio della foglia che da essi si raccoglie. Gilè se il nuovo gelso ha i vantaggi discorsi sulle altre varietà innanzi cognite appo noi, non minori van- taggi arreca nella produzione delle sete. E debbesi pria d' altro notare, che i bachi ne mangiano la foglia avida- mente , quanto e più che la nostrale , senza contrarre per essa alcuna malattia : e che da tali bachi si ottie- ne una seta di titolo e nerbo più pregevole. Replica- le esperienze han fatto chiaro , che la seta grezza ottenuta dai bachi nutriti con quella foglia , nulla sof- fre deir intrinseca sua tanacita e robustezza , anche se si tiene per più mesi ed anni senza lavorarla : che in paragone della seta grezza ottenuta dai bachi educati eón la foglia nostrale , è di maggiore e di più bella lu- centezza. 11 seguente quadro , in cui sono le risultan- ze di una esperienza fatta nel i834, indicale migliorie ottenute nella trattura delle sete dai bozzoli provenien- ti dai bachi nutriti col nuovo gelso , su quelli nutriti con 1' antico. Gelso delle isole ^iliPpink 13 Titolo ' Prodotti in Al produci- mento di una Ragguaglio fra le sete ed i bozzoli della once, denari, libbra di se- seta grani ta occorrono lib. on. den. Dai bachi nutriti col nuovo gelso i6 a jy 3 l6 12 4 3 17 371 IO 1000 Dai bachi nutriti coir antico gelso 20 a 10 a lo la 4 '5 14 9 4o5 IQOO &) (b) re; Ne le indagini ferraaronsi alla seta grezza : si esteselo anche alle diverse manipolazioni, cui va susse- gueiitemente soggetta : e ne resultò , che fatto sempre il paragone solilo , quella prodotta dai bachi nutriti con le foglie del nuovo gelso cuculiato acquista nella scru- datura più nitida candidezza, e conserva superior lu- centezza ; nella tingitura ne ottiene più vivace il colora- ramento , e più splendente. Sottoposta al tormento (a^ La differenza di denari 4 nel titolo fi) calcolata sul 529 dati maggiori estremi , arriva al 23 ^ per cento in vantag- gio della seta prodotta col gelso delle Filippine. (b) La eccedenza di produzione di denari sei di seta ogm libbra di bozzoli per parte del gelso nostro dà la differenza coni- parati va in più al io per cento. 1000 (e) La differenza di maggior consumazione de' secondi in 262 once ir. don. 21 per ciascuna libbra di seta, dà il io ., „ ,■ 1000 per cento ; e stabilisce il ragguaglio fra la seta ed i bozzoli , di cui neir ultima colonna del quadro. (i) Nelle esperienze del i835 il Lomeni ottenne una finez- za di filo che giunge al titolo di den. i4- Giornale agaario. Milano i835. voj 4- p. 162 . I4r Scienze del telaio , conserva coslaote la lucentezza , risentito il colore, ed ha maggior morbidezza nel tatto: ed oltre tutto ciò, si ha per essa maggior finezza nel tessuto. Im- perocché il peso comparato è del i3 per cento in meno nella stoffa fatta con seta proveniente da' bachi nutriti col nuovo gelso : quindi in ragione della minor massa, ed attesa la superior finezza del filo, mostra assai mag- gior nerbo che quella prodotta dai bachi nutriti col- Tanlico gelso. Quindi leggiamo , che diversi premi fu- rono accordati nelf alta Italia a coloro , i quali nelle pubbliche esposizioni di arti e di manifatture presenta- no i primi saggi delle sete prodotte da bachi nudriti del- la nuova foglia cuculiata : e per ricordarne uno , il più volte lodalo sig. Carlo Maupoil fu premiato ia Venezia della prima medaglia d'oro nel 1831. Tali cose, desunte dagli autori citati in quest'ar- ticolo , abbiamo creduto utili e degne da inserire nel nostro giornale , onde invogliare appo noi la miglio- r.'iiione delle sete per mezzo del nuovo gelso; ciò che da molti e molti anni reca tanto vantaggio alle proviu- t:i(; dei regno lombardo ~ veneto , dove si fiorente ne è il commercio allivo. Si osservi che la ricerca della seta va crescendo ovunque; si perchè l'incivilimento si aumenta , ed auraetitandosi propaga T agiatezza di ce- to in celo : si perchè cresce ovunque la popolazione. Le quali cause speriamo che niuno sia per contraddire ; che se ci fosse chi le ponesse in dubbio , noi lo riman- deremmo a leggere quanto ne ebbe scritto il dottor Car- lo Cattaneo (1). Ora, in tutti i paesi può consumarsi la seta , non in tulli si può produire ; perchè , senza cercarne altre ragioni, il clima oppone in molli un osta- colo insuperabile. Può prodursi , e si produce la seta i) Annali universali di slalistica, fase, di aprile i836p- J^. Gelso delle isole Filippiwk 15 nei dominii dello slato pontificio; e già in Bologna, nel- la Romagna , a Pesaro , nelle Marche , in altre provin- ole il setificio è miglioralo assai da quello diesi fosse pochi anni indietro : e le sete di Fossombrone sono re- putate le più pregevoli di Europa , e si dà loro meri- tamente il nome di sete d' oro. Ora il miglioramento che alla seta deriva dall' uso del nuovo gelso delle isole Filippine, produrrebbe di necessità un aumento di prezzo all'estero. E che di tale manifattura si faccia commercio all' estero , facilmente si prova dal seguente quadro : nel quale abbiamo riuniti i diversi prezzi delle sete di- verse dello stato pontificio nelle pubbliche vendite ef- fettuate in Londra. Aggiungiamo che i prezzi di quel- le di Fossombrone ( prima qualità ) raramente furono uguagliati da altre sete europee. 16 o Ci 00 a. 4^ SP P -a ax;.- o .a O Q o ' a -00 o a "ffl -5 co O lO 10 c^ o o o< ^ O c^ co ro co P'3 ro RS cB c8 n aj o o iO IO C;JO 00 O IO o» «^ o co co co C9 co co (S iO "^^ w ■«^ O 00 o co o >o C^J O co co lO o co o co C« r-3 eo CB cu <8 eo O o O i^ »o »o ^- c^ è»' c^ e* c>* o t^ co cv O U% t*i co »o »^ co vo O €S (N co fls cQ co co 03 .2 "a «j co p^ »0 IO Ci f^ co (N ~o '»o in p< co e» o o 10 10 vo e» ^- o "^ 10 t~ l- Ì{J 00 c^ c^ e* co co co cO (B IO »ni Ci t^ ^ 00 co CSI O »C iO 10 e* Scie ìv z e nn' Islìliuioue clie , figlia della carila , lia in se mo- tlesim.i'il £:;erme di fnnto miglioramenfo. Gì' iti(ra[)re[i- denli e capi d'arti e manifattuKì debbotisi sforzare per- chè i loro operai ne intendano bene il vantaggio e ne profittino ; essi vedranno come un libretto della cas- sa è un sicuro niallevadiMe d'onesta e buona condot- te. [ padroni, che sono di loro natura padri e pro- tettori dei propri domestici, jtotranno esigere da loro un piccolo deposito mensualc alla cassa : ed essi me- <]esimi non altrimenti che con un deposito premic- i-.intio i meritevoli. Una tal sollecitudine strin<:»era quei vincoli di gralitudine e d'all'ello, che ora invano cercansi in tante famiglie, dove la noncuranza e qua- si il dispregio genera disamore e sconoscenza. Ma i principali prò teg;L;i tori e propagatori d'opera si bene- fici» esser debbono i venerandi ministri di quella reli- gione, clic ha innalzato al sublime grado di sopran- naturale virtù quello che innanzi era puif) sentimento del cuore. In Francia ed in Italia i sacri pastori han- no possentemente incoraggito coleste opere di carità, e ne hanno parlato e scritto con caldezza ed amore. I rispettabili parrochi che sono tutto di in mezzo al po- vero , che ne conoscono si dappresso i bisogni , che ne correggono i vizi , ne confortano le virtù ; fa- ranno cosa veramente paterna se vorranno affaticarsi a spiegargli lo spirito ed i vantaggi dell' istituto, e Io ec- citeranno a giovarsene. Sostenuta ed inanimala da si valevoli aiuti, ancor nella capitale del mondo cattolico si vedrà sorgere e prosperare una cassa di risparmio , e la società, che la fondò e promosse, avrà il guider* dono delle sue fatiche nel felice riuscimento dell' ope- ra istessa. 23 Istruzione per la delta cassa romana. D. 'iceva un savio, che gli uomini imparano comune- mente l'arte come si guadagna , ma non mettono poi alcuno studio nel sapere come giudiziosamente si spen- da. Se si considera per una parte che la natura è con- lenta del poco , e che , per l'altra , i! guadagnarselo non è difficile a chi abbia libero l'uso delle sue brac- cia ; si vedrà che molli ben potrebbero tener lontana da se l'indigenza e vivere onestamente. Ma quei che non vogliono lavorare, o consumano scioperatamente lutto il profitto del lavoro , senza punto pensare al dimani , piultostochè darne cagione all' avversa fortuna o ad altri , dovrebbero incolpar se medesimi. Impe- rocché non bisogna altrimenti esser pigro e sciopera- to , ma nel tempo della sanità e del lavoro adope- rarsi a porre in salvo le provvigioni per quando o noa .si può o non si ha come lavorare. E la previdenza , virtù tanto necessaria all' uomo , sta appunto iu ciò : che usando della ragione si mettano a calcolo le cir- costanze e gli accidenti probabili della vita, per an- tivedere in qualche modo il futuro e non farsi coglier* al imprevvista. Quegli, a cagion d'esempio , che gua- dagna venticinque o trenta paoli la settimana , può si-nza molto scomodarsi far economia d'uno o due paoli per volta, e conservarli pel tempo del bisogno. S'egli risparmiasse un sol paolo in questo modo , a capo a veni' anni avrebbe al suo comando oltre un centinajo di scudi , fatti senza pur avvedersene. K questo picco- lo capitale cosi accumulato servirebbe nella malattia per sostentarsi senza mettersi allo spedale e mandare 34 Scienze ad accattar la famiglia ; e quando nasce il figlie» o ma- ritasi la figlia , per avere Toccorrente alle spese , sea- za pigliar danari a prestanza o mendicare soccorsi. E certamente molti artigiani intendono bene que- sta verità, e sparagnano qualche cosa , che per meglio as- sicurare nascixsdono in casa o danno a persona di lo- ro fiducia. Altri si propongono farlo ; ma il danaro rac- colto il sabato è in tasca la domenica, e non si sa reggere alla tentazione del compagno che invita alla bettola o al giuoco, delia moglie e de' figli che vogliono divertirse- la : di modo che non e finita la giornata , che già il gua- dagno dcir intera settimana è finito. Quel denaro, che dovea spendersi con giudizio e conservarsi in parte per gli straordinari bisogni, ha alimentato il vizio e l'ozio- sità; il giorno più santo h sfato profanato, e i pessimi esempi de* genitori si apprendono ben facilmente da' fi- gl;, che crescono ancor piij scioperati ed infingardi. Ma ponghiamo che l* operaio abbia tanto senno da far de* sopravvanzi : come adopererà egli ad assicura- re questo suo pìccolo capitale ? come caverà egli un qualche frutto da venti o trenta paoli che avrà saputo risparmiare in un m^se ? Può bene il ricco collocare i suoi grossi capitali : ma le poche monete del povero do- ve saranno allogate ? Come gli uomini soli e divisi nul- la possono, ma riuniti valgono alle più grandi impre- se; così piccole somme, che sparpagliate in molte mani non trovano alcuo'impiego , raccolte insieme forme- rebbero un bel fondo da cavarne un frutto conveniente. Tutto ciò potrebbe farsi dagli operai medesimi raccolti in società : ma quanti ostacoli non dovrebbero superar- si ! Imperocché ve ne vorrebbe un gran numero per riu- scir nell'impresa ; sarebbe necessario di molta fiducia re- Ciprca^e di chi s'incaricasse delle riscos«ioni, della scrit- tura , del collocamento: di chi conducesse insomma un' amministraxione minuta , gelosa e al tempo stesso vas.tis- I.STRUZIOBK PiC!l LA CASSA ROMANA *i5 sima. Ma la religione che dice al ricco : ,, Tu sei il padre del povero , Dio le ne ha affidato la tutela , tu devi ca- ricarti di rendergli il^maggior bene possil/ile : ,, ha fatto svanire tutte queste difficolta: e, come a tanti altri istituti caritatevoli , ha dato anche origine alle casse di ris- parmio. Perchè Roma , come pressoché tutte le colte citta, godesse dì si benefica istituzione, si propose una società per {stabilirvi una cassa di risparmio. Parea che l'ope- ra stesse!^già in cuore di tutti , poiché al solo annunziar- la tante persone di ogni condizione vi concorsero , che in brevi giorni non solo si compiè , ma vinse altresì di gran lunga il numero delle cento azioni proposte; on- de si dovettero pregare quelli, che aveano preso più azio- ni, a contentarsi di una sola. Per tal via i soci hanno age- volmente formalo del proprio un capitale di cinquemila scudi, ^il'cui frullo donano interamente airistituzione. Al- cuni di essi vi occuperanno anche il loro tempo, toglien- dolo al le^ faccende e agli onesti sollazzi, perchè l'ope- ra vada tutta caritatevolmente e senza dispendio di mi- nistero. Eglino , che sanno davvero qual sia il proprio interesse , nulla chieggono agli uomini , poiché atten- dono il pagamento d'ogni loro fatica da Dio. Che se gran merito ha quegli che stende la mano al povero per soc- correrlo quando è caduto nell'abbandono, certamente non lo avrà inferiore chi lo avrà retto perchè noa cadesse , anzi gli avrà imparato a star ritto da se. La cassa di risparmio sarà aperta tutte le dome- niche e tutti i mercoledì, da tre ore innanzi il mezzo gior- no fino ad un' ora dopo, in alcune^stau2-e pianterrene del palazzo Borghese, generosamente date a quest' uso dal principe D. (Francesco presidente della società. Nella domenica , che appunto seguita immediatamente il giorno in che pagansi i salari , si riceveranno i de- positi da un paolo a venti scudi romani pervolta. Si 26 S e 1 r ^' X E pa^ìle^aIHlo i fruiti del quattro per cento su i tlc()Oslli superiori a venticinque baiocchi : questi frutti riscuo- toosi due volte l'anno cioè il 30 giugno e il 3i dicem- bre. Glie se vogliansi rilasciare alla cassa e superioo i venticinque bajocclii , si aj^giungono al capitale e divengono ancora essi fruttiferi. Il libretto, che gratui- la:nente ricevesi q^uaudo si fa il primo deposito , si deve custodire con ogni diligenza : iu esso è registra- lo il Capitale depositato ed II conteggio de' frutti. Bi- sogna presentarlo quando si fanno de' nuovi depositi, e o si riscuotono o si aggiungono al capitale I frutti. Ciascuno e sempre padrone della somma depositata ; e supponete che nella donienica abbia recato dieci paoli può , se vuole , nel seguente mercoledì ripigliarseli senza alcuna noia , basta che presenti il libretto. Per- chè la cassa vuol esser puntualissima in queste rcsti- luziini , prende di tempo quindici giorni per quelle superiori a dieci scudi , ma fino a questa somma paga come suol dirsi a vista. Le tavole, che sono state pubbli- cate, indicano l'aumento progressivo dalle somme depo- sitale e non riscosse per venti anni, A cagion d'esempio quegli che ogni domenica recasse 25 bajocchi, dopo quel tempo avrebbe un capitale di scudi 31)6. Gì. 51 ; quegli che recasse 60 bajocchi , avrebbe un capitale di scudi 952. 04. 66; quegli che recasse scudo r, avreb- be un capitale di scudi iSSI 75 ^4 ; e quegli infine che recasse scudi 5 ogni primo di mese, avrebbe dopo detto tempo un capitale di scudi 1833. 20. 04. Un esatto rendimento di conti , che si stamperà ogni fin d'anno, farh pubblico lo stato della cassa, affinchè non solo i soci , ma ciascuno altresì che le ha affidato da- naro , sappia il fatto suo. L'opera è per se medesima cosi buona e cosi bene sperimentata in tante altre cit- ta , che speriamo sarà raccolta con favore e prospere- rà. Che se pure dovesse cessare , rcnduli i deposili e IsrnuxioriK per r\ cassa aoiriArcA 27 jnwati i riulti , si erogherà il sopravvento a pubblico Ì)eiieficio , poiché la società non vuol mai per se nep- pure un quattrino. Queste sono le principali cose del regolamento già stampato , eh' è come il solenne contratto che ha la società col pubblico. La santità di N. S. Papa Gregorio XVI, protettore di ogni buona istituzione, si è degnata approvarlo con rescritto del 20 giugno fatto per mezzo dell' eiho e remo card. Gamberi ni, segreta- rio per gli affari di stato interni , ed ha palesato ( co- si nel rescritto meòesimo ) di gradire che prontamen- te sia posto in attività uno stabilimento si utile alle private famiglie e a tutta la civile società. La semplice esposizione di ciò eh' è la cassa di risparmio, è una lode ed una raccomandazione. Non è però il solo vantaggio materiale dell' economia che vede la sociefH nella sua istituzione : essa vi vagheg- iiVA con immenso piacere l'utilità che ne verrà alla re- ligione ed al buon costume , eh' è parte della reli- gione. Il giorno del Signore sarà meglio santificato , poiché si risparmierà tanto danaro che andava in bet- tole , in giuochi e in altri stravizzi. Non si gittera paz- zamente all' azzardo , e si vedrà, eh' è meglio un gua- dagno piccolo ma certo , che uno grande ma fallacis- simo : i padri e le madri daranno buon esempio a'fi- gliuoli, e gli educheranno meglio avendone i mezzi coi loro risparmi : diminuiranno gì' importuni accattoni sulle strade : l'onesto artigiano non si vedrà accomu- nato con costoro stender la mano a una scarsa li- mosina , poiché le sue braccia gli avranno serbato le provvigioni pel tempo del bisogno. E ancora i delitti sminuiranno, perchè la miseria e la fame persuadono al male. Il signore Dio , eh' è la carità stessa , be- nedica questa sant' opera : egli, eh' è fonte d'ogni bene , faccia che da essa nascano beni novelli. 28 « xjwiia^jM II iiiigi 11 ii JMUA.iMtJUuWaìagitsawMiniiiBHH'wi Intorno alla collezione delle cause celeberrime dell' avv. Filtri: io Guzzoni degli Ancarani. (1) A SUA ECCELLENZA IL SIO. PMWCIPE DON. PIETRO ODgSCALCHI DEI DUCHI DEL SIRIfTIO. me f che d'infinito amore venero il bealo senno del padre mio , grate del pari die onorevoli sono le laudi onde hanno preso a confortarlo i savi e cortesi spiriti della patria. Ed è l'È. V". che si degna av- vertirmene, e con SI lieti augurii, dolcemente piegan- do l'animo mio al suono della onestissima fama pa- terna. Pel quale conforto se io debba offerirle me stesso per debito di gratitudine, ogni persona il ve- drà che si aaori di esser gentile. Ella inoltre per man- dato di alcuni illustri italiani mi ricerca, se il pa- dre mio abbia condotto al punto di compimento la collezione delle cause celeberrime, e come , e quanto. Alle quali proposte il meglio che posso e il più. breve risponderò. Dal prospetto dell' opera, che venne inserito nel giornale arcadico (2) per cura dell'egregio professor Mon- tanari, avranno ben veduto i lettori come la-collezione delle cause celeberrime venga quasi ad essere in due parti divisa. L'una comprende le piiì insigni quistioui di (i) Questa [lettera èj stata tradotta in lingua portoghese del eh. sig. dott. Lopez y Semedo. (a)Vedi tomo LXt parte prima pag. 374» « tomo LXVIII. paj. 195. Cause dell' aw. Gunowi 20 diritto che fossero travagliale mai oc' tribunali delle più colte genti d' Europa a noi straniere. Questa parte, come io bea credo, è compiuta. Se non che sovra essa il raccoglitore v?» operando f;li ultimi fini- menti dell* arte , per ciò che risgnarda Io siile e il discorso della favella. Nella seconda parte si conten- gono poi le cause ila liane : e di queste ancora ne sarà [iroceduto un buon numero. Certamente l'arduo «leir impresa consisteva nel purgare alcune verità dalle tante menzogne , onde correvano variatamente in- fette; perocché abbiamo da pensare, che alcuni troppo .si piacquero di travolgere le cose in aspetti assai disformi dal vero; e che altri, ingrossando gli errori degli avi , sembrano aver dimenticato che il secolo che viviamo non si acquieta alle fantasie de' ciur- madori, ma intende anzi a riscuotere la verità fino da quei profondi in che la posero , e avrebbero pur voluto macerarla , e la fortuna e la non poca di- sonestà degli uomini. Ne si è perdonata fatica nel cercare i documenti, che si domandano in conferma- zione e difensione del vero : ed io stesso mi terrò hane avventurato di aver trovata una lettera auto- grafa di quella miseranda fanciulla che fu la Bea- trice Cenci. La qual lettera , come ognun vede, verrà in acconcio dei desideri del genitoie; perocché nella seconda parte doli' opera, al titolo de* parricidi, s'in- tende narrare la storia di quel grave giudizio, di cui non fu a tutti ben noia h civile ragione. E poiché in codesta parie medesima, al titolo dell'eresia, e me- stieri che si parli del sovrano astronomo fiorea- lino , cos\ non ci e fuggita la speranza di leggere ivi altri documenti, se non inedili almeno rari a ve- dere. Di che tcmj)eratamente , e contro le calunnie degli stranieri, si farà manifesto il naturai argomen- to dei tumulti, in mezzo dei quali ebbe a travagliar- 30 Scienze si queir ingegno immortale ; poscia che a guisa del Giove omerico ebbe scossa la terra , aazi risolte ^a. nulla quelle tali catene che la fermavano. Se non che forse taluni si ammireranno perchè il buon collettore, che pur si proponeva di comporre insieme le cause più celebri d'Europa, abbia preferito di darne un maggior numero di criminali che di ci- vili. Quando invece i tempi che viviamo parevano anzi richiedere maggiori esempi in aiuto della prudenza ci- vile. Ed invero di questa dobbiamo tollerarci non poca povertà , mentre la benedetta sapienza de*monarchi ha pure rinnovato il mondo, e ristorato il senno umano da quegli sconci onde lo straziavano gli stoltissimi ordini delle antiche leggi penali. Ma se io non prenderò a snodare co tal maraviglia, TE. V. vorrà perdonarmelo: perocché lontano come sono dal venerabile aspetto del padre mio , non potrei rinvigorirmi de' suoi pensie- ri, nfe quindi ardirò sostenere un carico , del quale mie non sono ne la gloria, ne le fatiche. Di questo forse partitaraente si dira nel discorso che è preliminare iil(' opera. Se di ciò peraltro mi sia lecito aprire un mio umile pensiero , direi che una delle principali ra- gioni dell' opera quella essendo di riporre in saldo l'eloquenza del foro, poco assai gli italiani , e manco gli stranieri, ebbero di cose che nella civile eloquen- za meriliuo di stupire le menti de' savi. Imperocché la mendace sapienza , tutta in gerghi di parole che sì porta il vento , della quale cotanto si piacevano que* vecchi avvocali, toglieva il luogo ad ogni santa e generosa difesa. Un puntar d'imtna^inazione , un gio- car di sottigliezze , un tumultuare col garrito delle femmine sui minimi accidenti della vita volgare, ec- co il gran tutto che per lo piiì ci rechino le an- tiche prove della eloquenza civile. Appresso è da notare come dalla cadala delle ilaii.nie repubbli- che fino alle mela del secolo XVII siano man- Cause dell' xvv. Gu/zoni 31 cale in quasi tulle Europa le venerande doli line del dirillo diraoslralivo ; cioè del civile- pnvato. Di die un ])ò discrelameate vorrei di scorrei e all' E. V. le prove, se non facessi temerario consifjlio recando questa mia piccola face innanzi a un lume piincipale della romana sapienza ; e se la brevità, che ad una let- tera si conviene , non mi divietasse di allargarmi in parole sulla barLurie àa Carlo V nuovamente fon- dala in Europa j haibarie die sotto le belle e leg- giadre apparenze {pillava salde cosi le radici, che a crollarla non che sv^ ellerla tulli gli sforzi ricadevano a niente : anzi cosi si apprese, che qualche volta le gentili apparenze furono deposte ; e impunemente. Ma piuttosto seguitando dirò , come le dottrine del romano diritto fossero tratlaU; da uomini ora per nulla intelligenti di quello stesso , che si dicevano ; ora malvagi, e quasi sempre l'uno e l'altro insieme. I quali istoriando lor favole e menzogne, intricavano i cittadini in quistioni ardue, angosciosissime, ove peraltro il solo naturale lume della ragione poteva scorgere ognuno all' intendimento del vero. E poiché richiamare in vi- ta materie, di cui si fa grave alla mente del filosofo financo la memoria, è cosa al tutto e incomportabile , e indegna del secol nostro , la parte delle cause ci- vili (chi voglia eoa sana niente riguardarle) doveva essere anzi meno che soverchio del convenevole. Ma largamente copiosi di esempi ad ogni maniera di vivere sarà la collezione delle cause criminali, ove, così spero, non mancheranno le parli che appieno si convengono alla buona eloquenza. Parlo delle cause antiche; poicli-i delle moderne fresca ne sta negli ani- mi la memoria ancora. E si vedrà che so morto Ci- cerone (1) finì, di mancare nel mondo una gran parte C'J Cicerone poro - rem vidit , cmisam racirit - S. Ago- stino eoa Ir. lui. tap. 12 11. 6\. 3>i S e I E N Z fi della politica dignità, non però tutte furono spente le norme di quella che h principalissiina parte della pru- denza nostra ; l'arte dico di governare le menti colla onestissima forza delle lettere. E coraechè nei tempi andati povera fosse la ventura, onde correvano le cose di molti regni, nondimeno in queste cause vedremo gli occulti principii della rinnovata filosofia: e Ja ragione di que'libri, i quali a' tempi nostri produssero ona mi- stura di beni infetti di mali; ed ancora alcuni mali con infuso per entro un qualche spirito di bontà. Imperoc- ché in que' lagriraevoli parlamenti, ove ne' giudici co- vava il bestiale umore di far sangue e macello di carne d'uomini, gli oratori sovente prendevano a mi- tigare le leggi del tempo loro; e con sottile giudizio divisavano i vizi, le colpe , e la ragion del punire. E virilmente dimostrando che quelle tali mostruosità di giustizia erano altrettante disj>osizioni contrarie agli istituti politici, gitlavano la sementa del diritto umano, che è la principale materia onde prenda radice la buo- na ed operabile filosofia. Pertanto con si stentati principii, f in giorni così strani dal bene, si andava pur figurando questo sistema della umana sapienza , il quale a* tem- pi nostri cresciuto , cesserebbe molte sciagure delf uman genere. Se non che novelli errori si prese- ro l'adclenlellaio sulle rovine degli errori antichi ; e gli orbi inlelietfi, a' quali è pauroso il lume della vecchia virtià, troppo si stettero attesi che nulla di ve- ro trapelasse nelle menti della moltitudine. Dì che nacquero scandali e scismi foise naovi nel mondo : perocché molti de' filosofi, poiché si videro indegnamente repugnati , insanirono, e si giltarono a male cose; ed a peggiori i loro discepoli. D'onde la scuola dei dc- iiraraenti fu aperta , e a risanare le fantasie si aper- sero le botteghe dove giuoca il credere. Così perduto il vero nominar delle cose, eoa pìiì salda impudenza Cause dell' avv. Guzzoia 33 che pria si disse vizio alla viilù , virtù al vizio; ne fuialmente fu cosa divina o civile che fra pareli discordi fieramente travagliata non fosse ; ed anco si venne al sangue. Per l'esame delie quali cose ( chi voglia aprir gli occhi alla mira del giusto line ) si dichiara che di mollo anteriori a noi sono le idee di questa buona giurispru- denza delle pene umane. £ come già al senno dei poeti lasciammo quelT astuto e leggiadro deliramento della Minerva tutta ad un colpo uscita intera ed armata dal capo di (jjovc ; così dobbiam lidere la sentenza di colo- ro, che ne dicono improvvisamente nata questa grande filosofia, onde oggidì pure si onorano alcuni sacri inge- gni. Quanti dolori , quante battaglie contro le malizie de' sofisti e le ire della stoltezza comune non ebbero a sostenere i primi parlatori del vero! Ma l'esempio di co- lali enormezze è omai troppo antico nel mondo ; però sic- come disonesta cosa sarebbe il commettere difetto alcuno di gratitudine verso que' buoni maestri , cosi è da cu- rare che la memoria almeno ne venga onorata col ri- cordo de' fatti e delle opere loro. Ne qui sia indar- no l'avvertire, che i futuri non poco debito avranno al- l'età nostra se popolarmente comuni si faranno alcune verità, che i filosofi ora o agitano nel segreto della lor mente, o vanno a se stessi fingendo. Che invero non pochi ordini della procossura, i testimoni, le regole de' giura- menti, ed allrellali materie tanto si devono aver olli- rae al presente, in quanlo solo riparano al nulla ,o alle licenze degli interpreti. Ne verranno giammai in disposi- zione da sperarne meglio, se gli avvenire non ritrarran- no capo da alcuni libri cui reca infriuiia ovoidi la non curanza del secolo. E un bel lume eziandio ne vena alla storia singolare dei tempi. Che [)cr vero dire se alruni , storici perduti nelle delizie di ])cl dicitore, egrci^ianien?e ne racconta- G.A.T.Xiy ' 3 34 S e I K N Z R lono guerre , llrannidi , ribellioni , concioni di capitani e di cittadini sulla ringhiera, troppo spesso dimenlicaro- Do di esprimere al vivo le qualità popolari , che sono l'occulto spirito d'ogni politico sommovimento, e l'indi- zio j)riroiero per cui si conoscono le condizioni degli im- peri e de* principi. Veggo ben io molte istorie, nelle quali colle esclamazioni, colle adulazioni, e cogli al- tri aiuti de' retori s' ingrandiscono le venture dei popò* li , il tutto in apparenza maggiori del vero; battaglie , pestilenze orribili, venti impetuosi che dai quattro punti del cielo si gitlano sul mare a romperlo, e ad incrociarvi le tempeste : il tutto una cotal cenciaia di viete paro- lette , e uno stiletto gremito di sentenze antichissime quanto il gran moto dell' universo. Ma chi sì prendea la cura di narrarmidiscretamentegliordigni del governo ci- vile, i traffici, le usanze, i delitti, e le opinioni de'popoli? Ne tali cose solamente dobbiamo ritrarle dalle cronache, inu le vogliamo ancora nelle storie illustri, essendoché gli accidenti volgari sempre si fanno il seme de' gravissimi fatti. Che se alcuni fortificar volessero 'queste loro ma-» giiificenze sotto l'esempio del padovano istorico , chie- deremo, se a dar conto di popoli finanzieri , di privato e di incerto vivere, o di poca gente quali i moderni sono, si convenga del continuo pigliar norma da quel popolo di cui la vita fu pubblica sempre; e che dopo di aver tenuto fronte per tutto il mondo, prese a spargere in ogni dove la civiltà onde giovasi ancora la vivente Europa. Anzi diremo che il padovano, rapito a quelle grandi maravi- glie , non ebbe la mente ad alcuni fatti onde a'tempi nostri si dichiarerebbero molte qualità, ed eziandio alcu- ni segreti di stato di quella stupenda repubblica. Quante cose romane non sarebbero incerte a noi, se non ne aves-i sero aiutala l'intelligenza e le lapidi, e i sepolcri, e le cre- te , e le monete, e le altre rovine della grandezza antica? Le quali cose io volli notare non in biasimo di quelle Cause deu/ avv. Guzzoni 35 lerribill narrazioni di Livio , che anzi tali esser tìovea- 110, cioè uguali a Roma: ma perchè improvvide aìT av- venire paiono a me le intenzioni de' moderni islorici; in mezzo de' quali però taluno fu grande, poiché si fu sciolto dalle consuete frivolezze accademiche. Resterebbe che io ora dicesi all'È. V. il quando vor- rassi dal padre mio far dono all' Italia della collezione intera. Che se io guardo alla gloria de' buoni sludi, la quale pure in quel sacro petto è il primogenito dei de- sideri, crederei che fra non molto si avrebbe a por mano alla pubhlicazione dell' opera: tanto più che questo cor- tesi e care lodi ond' ella, sig. principe, si dolcemente mi ha ragionato , sono aiuto ed istrumento troppo vale- vole a ben meritare della patria. Ma se per poco git- liamo il pensiero alle asprezze dei tempi , e a quei si- stemi della rinnovala ragione, onde si vede un bastardu- me di savi usurpare il governo delle arti e delle san- te lettere , credo che ogni largo pensiero si abbia a re- stringere ; e che anzi le nostre intenzioni si debbano temperatamente maturare. Perocché siamo forse divenuti a!la bella stagione, in cui si fa onesto quell'antico dettato dei professori dell'ignoranza: Che ogni libro sta un pub- blico danno: e certo il vero è troppo duramente abusato ove sia gittate a un comune di non volenti , di ciechi , o di pedanti , e di attrctlali : i quali se abbondino oltre le generali condizioni della umana miseria , si fan poi ma- teria e cagione insieme di tanti inganni , e di tanti sfor- zamenti nel mondo. Se non che al solo fine di tentare nuovamente la grazia e il giudizio de' buoni, gli amici del padre mio hanno disposto di pubblicare alcuni suoi scritti originali di giurisprudenza , ai quali gih fu presa- gita buona ventura dai letterati e giureconsulti d' Ita- lia, e fra questi per tutti nominerò il nostro reverendissi- mo conte e prelato Muzzarclli, e il professor Caimigna- 3* 36 Scienze Ili di Pisa. Ma è ben tempo che io ponga fine a queste mie parole : e perciò colla debita riverenza ed affetto la prego a tenermi vivo nella sua grazia, e sono Di Roma 1 5 di dicembre 1 836, Dell'E. V, Uiho ed Obiuo servo C. GuZZONI DPGLl AnCARANI. Considerazioni nosoìogico - patologiche sulla febbre puerperale. Del dott. Filippo Conti medico condotto in S. Natoglia di Camerino. O est une chose bien importante que de re- chercher les rapports, qui unissent les maladies, et de marquer nettement leur ordre de fiUation. Cet objet si important a été presqu entierement neglige', puree que fon a par tout substitué Varbitraire au réel , et en s\ittachant a des considèrations sw perficielles , on a du perdre de vue les cara- ctéres communs des maladies , et les grands traits par les quels leurs extrémités se iouchent et se con- fondent, Griraand, Traité des fievres. Tom. II. 1. i prodotti dell' umano intendimento non avranno mai lustro ed onore nelle scienze fisiche e natura- li , se un' analisi la più severa, figlia di una esatta e semplice uniformità, non darà il vero posto ed ordine alla mmierosa raccolta dei fatti. La medicina sopra ogni altra scienza abbisogna di queste basi. Infinite sono le malattie , che distribuite in molte classi han- no il dovuto luogo nei ripartimeuli nosologici. Ed a seconda della stabilita classica/.iorie in nosologia si de- termina l'indole, il fondo moiboso, rindicazione cura- tiva, ed il più ragionevol metodo allo a vincere o fre- nare la conosciuta malattia. I medici però, spinti dal particolare modo di vedere ed osservare , hanno con- siderato alcuni morbi dietro molte vedute loro proprie , e li hanno collocati in quella classe che forse loro non appartiene. 2. E dì vero in ogni tempo ha occupata la men- te dei medici la cosi della febbre puerperale. Tulli i giornali ne parlano; e non vi ha scritto od opera medica , che diffusamente non discorra di questa feb- ])re. Dissentono poi i pratici apertameli le sulla specie di questa malattia : ed è per questo , che indeciso ri- mane il posto che le convenga nel quadro nosologi- co. A dritto lagnossi il chiarissimo Whit , che appena rinvenire si possano due autori che concordi vadano nel descrivere la febbre puerperale , sebbene fedelmen- te abbiano presentate le istorie di questa malattia quale siasi avvenuta loro di osservare nel pratico esercizio. JVumerose cause produttrici la malattia, di cui ci oc- cupiamo, furono assegnate da molti celebri autori : di- versi processi flogistici furono pensali, i quali stabilire dovessero gì' individuali caratteri della febbre puerpe- rale. Chi asserì che dipendere dovesse dai ritenuti lochi, e dal latte; chi, dietro un pessimo regime dietetico da una putrida disposizione del tubo gastro-enterico ; chi da una flogosi n dell' utero, o degl' intestini ; chi da una peritonite ; chi, da una diatesi infiammatoria del sangue; finalmente chi ne ripete la particolare origine da un principio di suo genere. Svolgnnsi per poco gli aurei scritti di un Levret , Le Roy , Whit , Willis, Ri- verio , Leake , Gastelller , Borsieri , G. P. Frank , e chiare si scorgeranno le opinioni dì questi classici pa- dri dell' arte medie-^- ^"^ S e ! E N 2 i: a. L immortale Borsieri «ià fece penftrare, che com- plicandosi od unendosi alla febbre puerperale l'esante- ina miliare, non dovesse ritenersi per una febbre milia- re delle puerpere. Ma egli ci fa chiaramente avvisa- ti , che l'esantema miliare non debba ritenersi qual malattia primaria o protopatica, ove si aggiunga alla puerperale. ( Ved. voi. 1 par. II , voi. II de exanth. mil- ) Ed è perciò che ne inculca, non doversi com- prendere tra la febbre puerperale, qual carattere spe- cifico o malattia primaria, 1' esanlema miliare osservato da Godofrid Welsck nell'epidemia di Lipsia, anno 1655, ove la miliare fu epidemica ( Voi. II de feb. mil. puer- per. ) . Mentre egli aggiunge, esser nuova la malattia delle puerpere in discorso. E sebbene Willis e Le Roy abbiano più volte veduto l'esaatema miliare , ed altre eruzioni indicanti la gravezza o malignità del morbo, nnlladimeno non è a confondersi colla cosi detta feb- bre puerperale. 4. Ma non appieno soddisfatto un qualche scrittore dell' ordierna medicina sulle valutabili contestazioni di questo celebre maestro, ha voluto e forse con ragione so- stenere , che la febbre puerperale dovesse ritenersi fra gli esantemi contagiosi acuti, onde darle un posto nella classicazione nosologica. Ragionevole e molto valutabile estimar dovrebbesi un tal giudizio, poiché evidente al- lora ne riuscirebbe il metodo curativo, ponendo da parte tante altre opinioni mediche che a torto si vanno soste- nendo. Altro metodo , ed altre indicazioni esigerebbe- ro allora e la gastro - encefalite , e la gastro- enteri- ie della scuola francese, la peritonite , l'infiammazione degl'intestini e dell'omento, ed infine la metrite dei mol- ti scrittori. 5. Dovendosi però valutare la grave sentenza di un Gastellier, di un Reake, di un Borsieri, di un G.P.Frank, di un Brera, non sembra lieve cosa lo stabilire la febbre puerperale quale esantema coalagioso acuto al paro del- le miliari e delle petecchie. L*osservazloiie però e la ra- gione fisolofica uello stato attuale delle nostre cognizioni, ed in tanta controversia di dispute, potrà decidere sullo specifico genere della febbre puerperale. Se attentamente a considerar ci facciamo gli esiti della puerperale nelle necrotoraie,si vedranno infiammati gl'intestini e l'omento, e passati ancora^ a cancrena, e a deciso sfacelo, secondo Hulm. Non dissimili risultati furono nolati da Realce e da Teofilo de Meza : Le Roy vide l'utero preso da deciso grado di flogosi ; Poateau l'osservò di un rosso- livido rappresentante uno stato cancrenoso: Gastollicr pure os- servò segni di assoluta metrite. Notando poi gli scon- certi avvenuti in quelli che perirono per violenza di e- santemi acuti , ed in quelle che furono vittima della feb- bre puerperale in cui l'esantema miliare o petecchiale formarono malattia primaria, non vi si scorge differen- ta alcuna , e gli esiti scontrati non presentarono quella divestita di alterazioni, che potessero deteminare o una prevalenza di lavoro flogistico o guasti di predominan- te processo dinamico che annunciassero un travaglio proprio individuale di un dato andamento o di pro- dotti particolari. Da Gastellier, Hamilton , Bianchi si raccolgoni» fatti inconcussi. 6. Se ora sottopongasi a ben maturo esame la na- tura del processo fisico - organico , l'estensione e l'uni- versalita de' morbosi fenomeni , la provenienza o l'ori- gine della febbre puerperale, desumere potrebbonsi quei dati e quei criteri per fissarle con sano discernimento il vero suo posto nel rango delle nosologiche affezioni. I molti fan\osi autori degli andati tempi notando la fi- sonoraia sintomatica con cui manifestasi e progredisce e termina costantemente la puerperale, osservando con oc- chio imparziale" le parti ed i sistemi che principalmente vengono attaccati , e ricavando quei segni noso logici <<^ S e I n X 7 T? ciie nirnìniin rimproiite c.irnUorisUcl-c dclln nalnrn del- la malati i;i ; e considerando inlìne clic l'unione dei con- tagio non porta alterazione alcuna alla forma morbosa, e che ciascnn morho percorre indipendentemente i suoi pnrosi.snii ( Dorsicri da exanlli. oiil. voi. II § CGG LXKKVliì not. () ), lo desii^narono col nome di feh' òro putrida , pestilente , mali moris , maligna , ar- (leiìfe. Dal die possiamo accertarci, che invadendo la feb- bre piierperale in i'^pccial modo le funzioni nerveo-ce- rciirali, ci porf^e l'idea chiara di una malattia in cui pre- rlomina l'indole tifoidea. 1. E per lai modo calcolando i caratteri distintivi che ci conducono a determinare il genio proprio della puerperaje, possiamo con certezza stabilirne l'essenza ve- ra. E dì vero , se a considerare ci facciamo quei mor- bi specifici provenienti da specifica origine, quali sono i contagi lutti , altri fondamenti non ci si apprestano onde guidarci alla cognizione etiologica dell' insorto processo organico -animale o fisico - organico, se non quelle marche di sconcerti o di alterazione delle funzio- ni, che irtcontriamo nell'immensa famiglia di tutte le ma- lattie acute. Diversità forse di apparato fenomenologico o dì un tipo particolare ci si presenterà ( mentre mol- ta parte dobbiamo accordare alla specificità dei prodot- ti contagiosi per certi segreti modi di azione, dei quali r arcana natura sarà por sempre nascosta alle indagini umane ); ni.i quei sistemi, organi o parti che per mor- bosa altitudine ne sono colpite, manifestar debbono più o meno violentemente ( sebbene spesso ancora in forma clandestina ) tutti i segni infallibili che li avvicina- no agli acuti processi organico» dinamici. 8. Imperocché , mettendo da parte il modo di esi- stere e le ignote leggi per cui produconsi ed. agisco- no suir umasio organismo i principii contagiosi, se le malatlie di superfica origine mancassero di individuali Febssub puerperale 41 marche proprie della classe comune oll'altre malattie, la medicina priva sarebbe della filosofia patologica , e l'a- nalisi, riiiduzlone, l'analogia vane sarebbero per le scien- ze tutte fisiche e naturali. Dietro tale ragionamento po- tremo ben dire , che specifico sarà il principio produt- tore di una data classe di morbi , ma che il processa morboso, che per esso si va a stabilire, sarà di quella stessa indole , natura ed essenza degli altri processi or- ganico-animali o fisico-organici ^ qualunque sia il si- stema , organo o parte che a prevalenza per morbosa suscettività ne verrà attaccata. E così sembra inferir- sene per induzione patologica , che le malattie tutte d'influenza contagiosa o di origine specifica negli scon- certi che presentano non si distingueranno punto per alcuna essenziale differenza di fondo da tutte le ma- lattie acute. i). E per portare uno sguardo sulT origine dei contagi , egli è certo , che la medicina , la patologia adombrate mai sempre andrebbero da quel misterioso velo sulla origine prima , e prima formazione degli es- seri, Qual pili profondo conoscitsre dei fenomeni natu- rali sarebbe a portata di penetrare non solo , ma rin- tranciare per poco la combinazione di quegli elementi, per cui son composti i principii contagiosi ? Chi potrà fissare , o calcolare almeno , quelle condizioni dell'or- ganismo vivo , per cui sotto dati rapporti o sotto date circostanze origin traggono i principii in discorso ? Chi potrà con l'analisi più severa afferrare per poco quel- le patologiche condizioni della macchina organizzata, sotto cui si generi il contagio ? E quindi su quali ricer- che basar potrebbesi , onde assicurarsi dell' influenza e delle atmosferiche vicissitudini e del miasma palustre e delle acque stagnanti alla propagazioa del contagio, ed alla disposizione morbosa dell'organismo? 10. Le questioni mediche sulle infezioni , sui con- 42 iS e I S y z E tagi spontanei , non formano che Innte (llscussloni va- ne ontologiclie , che allontanano la filosofia e le scien- ze speriracntali da quei sani princìpii piantati sulle basi dei veri fatti stessi imparzialmente osservati. Se invero un miglior modo di osservare i fatti stessi è la base di qualunque scienza , egli non è a dissimulare, che il so- lo potalogo ragionatore sottoporre deve alle indagini più rigorose le forme particolari dell'eruzione cutanea , o morbosa vegetazione dermoìdea di ciascun conta- gio rintracciare di ognuno la vera sorgente, vederne l'unione, la complicazione, ed il connubio colle malattie endemiche ; se la derivazione dell'uno sia proveniente dalle altre , o se piuttosto l'uno e le altre unitamente valgono alla produzione del contagio ; derivarne quin- di quanto per se abbia di proprio e caratteristico il contagio ; o se forza acquisti o particolarità indivi- duali dalla costituzione endemica o epidemica. A cosi sellili ricerche , distinzioni , ed osservazioni sottoposti i contagi , svaniranno tante vanita ipotetiche. 11. Allorché si è creduto , che il contagio fosse prodotto sotto certi 'processi chimico -animali « o che sotto date condizioni morbose dell' organismo si svol- gessero e generassero principj contagiosi , il medico clinico non l'ha riguardato se non come un fatto che poco o nulla era per se bastante a tracciargli il genio morboso della malattia per fissarne la retta indicazione curativa. Poiché a schiarire nella massima evidenza l'etiologia di un morbo riguardato fin dal primo suo nascere in ciò , che costituisce l'essenza di quel pro- cesso fisico-organico , basta ad ispiegarne la natura , che quel sistema , organo o parte trovisi piiì degli al- tri disposta a risentire l'azione delle generali potenze , e che una f logosi siasi suscitata ( sebben di suo gene- re) , la quale formi la base dell'insorta malattia , raen- tce essendo la flogosi conosciutissima pe' suoi caratteri Febbrb puerpkrai.k 43 indivisibili , non è necessario per intenderne la forma- zione che il pratico ricorra ad occulte e misteriose cagioni. Ma la patologia analitica , che stabilir vuole le particolari forme nosologìche , per rettificare l'or- dine delle affezioni seguir deve il cammino dei paetico- lari caratteri a forma del contagio , la sua origine , e quindi la provenienza delle epidemie. Calcolali i rappor- ti specifici di ambedue le morbose sorgenti , si cancel- leranno dalla patologia i contagi spontanei. 12. I fatti lo dimostrano apertamente, quando ven- gano osservati nella loro semplicità e in tutto l'intero corso , e purché non vengano sconvolti e guasti» Una qualunque causa morbosa può produrre in un individuo una febbre nervosa o un slnoco gastrico t alcuni influS' si cosmico-terrestri favoriscono lo svolgimento di epi- demia : un dato clima è fonte di una endemia : all'in* generarsi di quella data malattia e sotto i suoi stadi sviluppasi un contagio sporadico; la malattia principale non cambia ne di fondo ne di forma, ed il contagio vi si unisce mantenendo i suoi tipi ordinari , e gl'una e l'altro indipendentemente presentanoli proprio andamento. Non e pertanto l'endemia o epidemia , non la febbre nervosa o sinoco gastrico ch'è contagioso , ma il contagio stes- so che si svolse accidentalmente (o perchè la malattia è giunta a certi gradi di forza , o perchè 1' organismo giunse a certi termini forse di degenerazione , sommini- strando una favorevole condizione per alcun contagio og- gi reso indigeno)il contagio, dissi, solo si diffonderà col- le distintive sue forme ; e cosi in tali incontri assumerà i caratteri ancora di endemico o di epidemico. 13. E seguendo sempre le tracce dei fatti, vedia- mo che o i contagi già svolti si congiungono alle ma- lattie endemiche o epidemiche , o queste già svilup- pate s'incontrano in qualche contagio sporadico. Ora sotto questi rapporti le affezioni endemiche o costituzio- ^i^' Scienze naii Don sono mal per se contagiose , menlrc il Solo principio contagioso che o già è svolto , o vi s'incontra» rende /;er se tale l'indole della malattia. Le febbri noso- comiali, carcerali, quando sieno originale o da endemica o epidemica costituzione, incontrano la petecchia: in que- sti luoghi Speciali sono contagiose , mentre altrove l'en- demia o l'epidemia invade la maggior parte della popola- zione. Cosi se alla febbre puerperale nel suo corso e sot- to certi processi si unisce o si sviluppa la miliare o pe- lerchia, non potrà dirsi, che il principio contagioso sia i! produttore della malattia , mentre non mai si è vedu- ta propagarsi e diffondersi la puerperale, ma bensì il con- tagio stesso si e diffiiso e propagato , benché sporadica- mente siavisi unito, allorché trovi una influenza fatale nella disposizione o costltuìione epidemica. E se per cau- se cosmo-telluriche una epidemia di simili febbri si e prodotta in quelle che capaci n'arano a risentirne gli ef- fetti, la pclepcliia o la miliare sporadica soltanto vi si e unita. E la malattia ed i processi dinamici e la forma mor- bosa sono stati sempre simili a se stessi senza cambiamen- to alcuno ; come il connubio del contagio ha seguito i suoi parosismi ed il suo andamento. E ciò perchè 1' una e l'altro nascono distinti , e per la ragione che i contagi ripetono la loro causa produttrice da una materia parti- colare , da un principio sui generis. 1/|. Ora riportando al suo giusto valore le cause pro- duttrici la forma, l'andamento della puerparale, e del con- tagio che vi si sviluppa o vi s'incontra , osserviamo , 1." Che 0 una gestazione incomoda , un parto laborioso , o seguito da forti perdite sanguigne, uu dipidine nella dieta, un'aria ristretta , un odor grave danno origine alla puer- perale, trovando suscettività morbosa o nell' utero o nel peritoneo, negl' intestini, nelle membrane, nei nervi, nel cervello ec. incominciando con una fisonomia sintomatica sua propria, e proseguendo il suo eorso con un andanicn- Febbre pueiiperale ^'^ to parllcolare. 2." L'aulorila di Hulm , Whit , e Joti- son ci aimostra, infierire la pucrperalc negli os] edali per cause favorevoli allo svolgimento di pulride esalazioni capaci allo sviluppo di un miasmatico principio. 3.° Che le miliari sono state ritenute sintomatiche, ove si compli- cassero alla puerperalc : il che significa non subire mu- tazione alcuna l'indole della malattia in corso , e che Tu- na ed il connubio delle altre segnano i loro dovuti pa- rosismi. 4." Che ove le miliari e la petecchia si mostras- sero epidemiche per qualunque influenza d'aria o di atmo- sfera , si vedono soltanto attaccare indistintamente ogni individuo che o sì esponga al contatto , o ne sia suscet- tivo : e le miliari e la petecchia figurano qual malattia primigenia. 5." Cbe quando con l'endemia s' incontri un contacio per cause che ne favoriscano lo sviluppo , esso non s'investe che di una modificazione di forma , cioè l'endemia o epidemia somministra al contagio alcune for- me secondarie : se febbri gastrico-biliose riconano per una influenza costituzionale e vi si unisca la petecchia, non sono le gastrico-biliose cbe sì diffondono , ma la petecchia che si comunica per contatto , e l'apparalo sintomatico assume delle gastrico-biliose : così dicon- si delle catarrali , delle inlcrmitcnti, della febbre puer- peralc. l5. Dopo tali riflessioni essendo nostro scopo ricer- care quale sia l'essenza e quali gli attacchi della puer- peralc , ammettasi pure che in forza di un contagio essa insorga. E' indubitato , che dell' insorto pioccsso sarà sempre base e centro la flogosi piìi ruìnosa e micidiale del sistema ncrvco-ccrcbrale , capace nella sua violenza dì passare in qualunque forma di degcncrazicne col più rapido corso. Un si terribile progresso della febbre pucrperale prodotta da contagio ci porgerebbe una dovi- ziosa sorgente di utile spiegazione. E sebbene non s'in- tenderebbe giammai perche il sistema ncrveo cerebrale ^" Scienze e raerabraaoso piuttosto, anzi che l'utero , gl'intcstÌDl , il peritoneo , il fegato , il polmone ec. vengano a preva- lenza ettaccati dall'azione del contagio ; nulla ostante sa- rebbe a nostra portata lo spiegare i gradi tutti di malat- tia clic fin dal primo ci si parano innanzi. Io fatti in- tenderemmo come nel primo periodo ci appariscono i fe- nomeni d'irritazione, e quindi nel massimo grado la pre- senza e lo slato di quella flogosi fatale, che a colpo d'occhio invadendo il sistema nerveo-cerebiale, ci pre- senta i caratteri nosologici del cosi detto Tiphus Ence- phalitis , 0 sia una flogosi che diffondesi e propagasi con tale rapidità, da degenerare in risultamenti di disor- ganizzazioni e di cancrene. Nel sorpassare il nostro in- tendimento perchè il raasma o contagio nella febbre pu- erperale a preferenza attacchi il sistema nerveo-cerebra- le , pure dall'osservazione sappiamo che questo sistema trovasi più degli altri disposto a risentire l'azione di quel qualunque principio contagioso, che spesso la forma ])resenta della miliare o della petecchia. O questa luscet- vila air azione del contagio , per cui si è risvegliato uu processo glogistico, derivi dai travagli del parto, o da una incomoda gestazione , o da disordini e sconcerti che sopravvenir possono per cause iraprevvedute dopo lo sgravamento, in qualunque supposizione allorché impian- tata siasi una flogosi la piiì marcata nel sistema uerveo- cerebrale intendoosi per noi i gtadi tutti della pucrpe- rale. Determinare possiamo i sintomi tutti caratteristici chiamati nosologici e diatesici ; seguir passiamo tutti i suoi passi, incominciando da quel primo filo in cui per ruuione ancora del contagioso principio la malattia si ordisce, fino all'ingrandimento di quella flogosi minac- ciosa, cui i poteri competono della piti attiva riprodu- zione. 16. „ I tumultuosi sconcerti del sistema ner- ,, vco-ccrebiale per la viu'euia di una flogosi , il Febbre puerpkrale 47 „ sopore, il delirio , la stupidità , il sussulto dei ten- ,, dini , la lingua tremula ec. imprimono quelle note „ caiatterisliche da contrassegnare una infiammazione „ la pili ardita. Le alterazioni in tulle le funzioni dei ., visceri e in tutte le secrezioni: le raaiche esprcs- ,, sive nei cambiamenti del volto e dell' occhio con ,, aspetto feroce : il tremore dell' estremità , i rao- ,, viraeiiti convulsi , non dì rado le paralisi , le invO' ,, lontarie deiezioni , il meteorismo , l'abbattimento in- „ fine universale , la massima prostrazione , le gam- ,, be divaricate appartengono lutti a quell' apparato „ fenomenologico del Tiphiis Encephalitis^ ove la com- „ parsa del esantema contagioso acuto avente la for- ,, ma delle petecchie non è sempre necessaria per co- ,, stiluirne la retta classicaficazione in nosologia. „ Basta per noi l'intendere, che una flogosi ruinosa si ò ordita nei neurilemi, nelle membrane e nel cer- vello ; e che gli sconcerti e le alterazioni che os- serviamo dal primo sino all' ultimo periodo della ma- lattia, sieno un risultamento dipendente dalla natura del flogistico processo. Si spiega con ciò, come al paro nelle più micidiali flemraasie si diffonda la flo- gosi nerveo-cerebrale in tutto il sistema, in tutte lo parti die gli sono continue, ed in quelle più lon- tane ancora , che o per relazione di struttura o per relazione di funzioni risentono la propagazione di quel fuoco, che dai centri attaccati per prima si parte. Così la malattia mostrandosi con le sue impronte par- ticolari , ci determina allo scoprimento della sua es- senza , e segna criteri inconcussi per istabilire sce- vri da ogni difficolta i veri e caratteristici sintomi . iiosologici e dialesici ; così il corso intero e sempre eguale a se stesso ne conosciamo ; ed infine disco- priremo colla nccroscopia quei guasti e quegli esiti, che Icunciu dietro ncgl' infcimi che furono vittima della 48 SciEI4ZK febbre puerperale, riscontrando nella degenerata infiam- mazione disorganizzazioni e del peritoneo, della pleu- ra, delle meningi, dei neurilemi, e del cervello. 17. Ora esige la filosofia nosologica che a co- slruirc una esalta classificazione delle malattie non ùel)hano occuparci tante differenze apparenti , ma che meglio seguendo ì passi, che la semplice natura se- gna sulle leggi della vita e sul fondo delle malattie, impiantar potremo un più sodo lavoro , raccogliendo in patologia sotto un sol punto di vista i fatti tutti (ved. Rasori). Con tali principj, che formano lo spi- rito dell' arte, basar dovendo le nostre ricerche noso- logico-patologiche per determinare i giusti confini che nei ripartimenti nosologici convengono alla febbre puer- perale , inutili nell' esercizio clinico riuscirebbero tan- te indagini ogni qualvolta allontanare ci dovessimo dalla vera ctiologia, dalla diatesi originaria di questa malattia. Imperocché questa stabilita, le viene accor- dato il suo vero posto ed ordine in nosologia. Che se poi valutar si dovesse la sua forma particolare per collocarla nella sua propria classe, una nosologia ra- zionale richiederebbe un metodo di distribuzione. Ma una più rigorosa e bene intesa nosologia, che riduce ad un solo fondo comune i diversi stati morbosi re- stringendoli a' principj generali di pratica, non deve occuparsi su t{ueslc differenze; mentre investigato che sia il fondo essenziale della malattia, questo stabilir deve l'ordine nosologico ; ed ogni altra iiivestigazio- ne costituirà diversità di forma o differenza di gr;<- do , ma non differenza di niiiiattia. 18. Poste le quali cose, senibi crebbe vergognosa, che in medicina si questionasse tuli ora sulle retlili- cazioui nosologiche dopo le fatiche dei più celebri patologi che tanto avaii/.a'.nenlo arrecarono allo stu- dio duir infi;im:nazionc , e dopo le gra^i scoperte ed Febbre jCrpuisrale 49 osservazioni sulT anj^loite. Più di sopra indicammo , ciie sebbene una malatlia sia prodotta da contagioso principio, questo portar deve sulle parti l'azione sua al paro delle comuni potenze. E che siccome non inten- deremo giammai, perchè da un sole cocente, da un fred- do improvviso resti e olpito piuttosto il polmone che le fauci , piuttosto il cervello che il fegato ec. , e nelle vicende e cambiamenti atmosferici perchè producausi piuttosto affezi oni catarrali che reumali^mi , piuttosto angine che pleuriti, così non conosceremo glommai se perchè un contagioso principio ( sebbene hasta alla spie- gazione della flogosi che quel sistema, organo o parte sia più degli altri disposta a risentirne l'azione, o che il contagio vi porti più decisa niente l'azione sua ) at- tacchi piuttosto il cervello, il sistema nervoso, le mem- brane ec. di quello che il fegato, il polmone gì' inte- stini ec : sappiamo però , che la succeduta affezione morbosa, la sua alterazione, i suoi andamenti, i tratti suc- cessivi , ed i prodotti di disorganizzazione sono figli di una flogosi la più ruinosa. I9. Laonde ragion vuole, che la febbre pucrpe- lale, la quale esterna i suoi sintomi nosologici , i ca- ratteri diatesici e flogistici di un vero Tiphus Ence- phalitis , appartener debba alla classe delle fleramasie decisamente tali dichiarate. E sebbene si accostasse an- cora ali ordine dei contagi acuti eruttivi per l'eruzio- ne esantematica acuta che tante volte s'incontra nella puerperale, nulla ostante per la ragion patologica e per l'andamento dei contagi acuti eruttivi slam costretti collocare ancor essi nell' ordine delle flemmasie , e riu- uire così ciò che sembrava distinto per dissomiglianze superficiali. Che cosa sono in fondo il morbillo, il va- juolo, la scarlattina, la miliare ec. se non flogosi cu- tanee di un genio specifico ? E se nei punti attaccati G.A.T.LXIX. 4 50 Sci eTn z k si stabilisce un eccitamento di suo genere, una vegeta- zione derraoidea di un modo particolare , che si annun- cia in ciascuno con una varietà di forma sua propria, dai punti stessi però, che furono i primi a sentire l'azione im- mediala del contagioso principio o della nociva potenza, si diffonde il morboso eccitamento a tutto il corpo , e le parti più lontane partecipano della morbosa cutanea al- terazione. Insomma per la flogosi parziale risvegliata dall'impressione del miasma l'universale eccitamento ne risente l'itifluenza, seguendo in tutto il corso del parziale precesso tutti quegli stadi e quell'andaraento che sono di pertinenza, del miasma vaioloso, morbilloso, miliare ec. E quindi nell'incremento, nello stato, nella suppurazione ed anco nella cancrena vedremmo l'universale eccita- mento percorrere regolarmente tutti i periodi e tutti i gradi che son propri ancora alle malattie flogistiche pro- dotte dagli ordinari agenti. 20. Jl fatto ci conduce ad avvalorare la nostra opi- nione. Qualunque pratico si sarà avvenuto in qualche co- stituzione epidemica o morbillosa, vaiolosa , miliare ec. Egli avrà veduto, che dalla maggiore o minor copia del- l'eruzione esantematica pili o meno ne sarà stato influen- zato l'universale eccitamento ; e che la febbre sarà stata pili o meno ardita, secondo la maggiore o minor quanti- tà dei punti cutanei , che per associazione di morbosa attitudine o per ripetizione di movimenti morbosi svilup- parono un dato numero di flogosi. L'estensione dei mor- bosi fenomeni universali sarà in relazione dei punti e delle superficie infiammate, che il particolar miasma pro- durra con una forma di suo genere e di un modo speci- fico: e la malattia non lascerà di essere universale, poi- ché i morbosi sconcerti ne indicano la diffusione nell* intera economia. Che se manifestasi una differenza di ef- fetto della piretica affezione universale nei vari indivi- dui, ci porla a conoscere , che la capacità di quel Ul Febbre puerperale 51 solido vivo a sentire l'azione del miasma sia stala tanto leggera da non potere risvegliare se non clic una corri- spondente alterazione nell' universale eccitamento: al- terazione però che non cessa di essere riferibile allo stato delle piiì decise flemmasie. Laonde gli esantemi febbrili acuti non devono riguardarsi che sotto un me- desimo ordine , e sebbene caratterizzate da una infiam- mazione di suo genere , e si mostrino varj nella loro forma e nella specifica origine, non includono diffe- renza alcuna fra l'una e l'altra affezione, di che ci oc- cupiamo, dei processi fisico-organici od organico-anima- li , mentre nel fondo essenziale da cui vengono ac- compagnati non sono che una medesima cosa. L'auto- psia poi confermerà la flogistica partecipazione nelle diverse parti ed organi , poiché i guasti tutti corris[)on- deranno a quelle alterazioni che sogliono rinvenirsi in quelli che perirono per flogosi cagionate dalle gene- rali potenze nocive. 2i. Dal risultato di queste riflessioni , dietro gli andamenti ed i progressi che inevitabilmente suol tenere il proceso organico-animale o fisico-organico alimenlato sempre da una flogosi , tosto che vi sieno quei sintomi nosologici o caratteristici , possiamo con la ragione pa- tologica determinare , che la febbre puerperale e altre di genio analogo, come le nosocomiali , carcerali , putri- de , maligne , nervose ec. che non presentano che lieve alterazione di forma e non una differenza di malattia : che nel loro andamento, nel progresso e nella natura loro non costituiscono che un fondo solo, un attacco medesi- mo, una medesima flogosi , eguali risultamcnti nei cada- veri di degenerata infiammazione, sieno da riporsi in una medesima famiglia nei ripartimenti nosologici lavorati sempre sulle leggi della vita e sul fondo delle malattie. Il cotifrontu, che istituir potrebbesi tra questa varietà di morbi con lutto il rigore di un'analisi patologica, couvin- 4^ 5*2 Sciènze cere polr'a ogni pratico sulla verità del fatto. A vedere quindi l'identitk di natura di queste malattie basta valu- tarne l'andamento, il progresso, gli esiti per retlificaiue l'ordine nosologico. E quando fissar vogliasi una distin- zione che parzialmente denoti la famiglia degli esantemi, allorcire la febbre che li accompagna ne presenti i distin- tivi caratteri non disgiunti dalla particolare forma cutanea che ne costituiscono l'esantematica eruzione, potranno ritenersi nella loro propria classe, colla dovuta denomi" nazione, onde stabilire un giust'ordine nelle nostre idee nosologico-patologiche. Imperocché vedemmo che la ma- nitestazione di essi in alcune malattie cambiar non può l'essenza e la natura del fondo morboso , e che le malattie ancora miasmatiche e contagiose non debbono riguardarsi che sotto una sola famiglia tra le flemma- sie. 22. E' guoco forza dunque convenire : 1." Che la febbre puerperale non è sempre costituita dagli esante- mi febbrili acuti. 2.° Che compatendo le miliari o le petecchie, non sono sempre pe' loro caratteri specifici i veri costi- tuenti la febbre puerperale. 3." Che la febbre puerperale, avente i sintomi tifoi- di, non è d'uopo ciie debba sempre presentare l'eruzio- ne miliare o petecchiale , quando cagioni locali atte ad influirvi non vi occorrano- U° Che prevalendo un processo flogistico parziale o diffuso al peritoneo, alla pleura, ai neurilemi, alle men- nigi, al cervello, possono soltanto stabilirsi i caratteri no- sologici e la natura della febbre puerparale, vedendosi accompagnata coi sintomi del Tiphus Encephalitis. 5.° Che la febbre puerperale, osservata endemica o contagiosa o epidemica eoa l'eruzione miliare o petec Ghiaie, non deve riporsi nella classe nosologica fra* con- tagi febbrili acuti, ma costituisce il semplice esantema feb- FfiBBHE PUKRPERALE 55 brile, poichb allora il contagio è nato, si è svolto , e si è propagato qual malattia. 6." Che non manifestandosi l'eruzione esantematica, non sono dati e criteri sufficienti i sintomi di una feb- bre esantematica acuta per porre la febbre puerperale fra i contagi febbrili acuti. Dopo tali deduzioni possiamo avvisarci essere assai malagevole il persuadersi, chele malattie dividere si pos- sano in tante classi particolari. Le leggi della natura sono uniformi, e quando ne insorga una qualunque mo- dificazione, potrà riferisi ad alcune peculiari fortuite com- binazioni dell'individuo, della stagione, del clima, delle cause morbose che soltanto costituiscono una varietà , ma non ostante sarà sempre una la natura della malat- tia , uno il fondo , una l'essenza. u»A TAVOLA ANALITICA DEI CHELONII O TESTUGGINI Io che per avventura manifestai prima di ogni altro potersi con maggior proprietà quelle Testuggini cui diedi il nome di Testucìiniiii , dividere in piti ge- neri. , non già rispetto alV articolazione de* gusci , ma sibbene al congiungimento loro , e ne definiva con' temporaneamente alcuni che fin d'allora mi si offer^ sero discoverti , predicendo che altri se ne do^'eano constituire ; ora quasi per non perder Varrà delle mie parole , credo che mi si competa il riunire in- sieme tutto l'ordine di que Chelonii , e conferman- do quanti generi ne descrissi recare in mezzo il sunto di ogni altra cosa che han poi detto gli Erpetologi moderni suW argomento. Né temo che alcun savio sarà per tenere a vile questa mia opericciuola co- me semplice ghirlanda intessuta di fiori altrui , im- perocché siccome in Francia non meno che in In- ghilterra e in Germania va tanto in voga questa, razza di Rettili , che dottissimi uomini , quai sono un Gray , un Bell , un fVagler , un Duméril col suo collega; Bibron , e principalmente un Fitzinger , ci spendono assiduo e diligente studio , non mi sareb- be lecito di appartarmi da quello che ne scrivono coloro sapientemente ^ né tralasciare di seguitarli. Voi- DEI Chilonii o Testuggini 53 gendo perciò senza tregua le scritture loro , non po- che erudizioni caratteristiche ne ho carpite ad ef- fetto di ravvisare meglio i generi tutti un per uno ; e per tal fine non accidentalmente ma con ferma in- tenzione , ogni qualvolta mi si presentò il buon ser- vigio delle cosQ , ho spigolato ancora tra' vocaboli da qué fdosofi ritrovati. Finalmente per ristringere in poco le pia rilevanti notizie ho condotto il la- voro in forma di tavola analitica sgombra da ogni mole di eloquenza come si conviene ad opere sì fatte che s^inseriscano in letterarii giornali. Roma il 14 di Maggio 183G. Carlo BoNAPyinirE^__,^ ^^I Principe di Musignano. ■ 56 Scienze TAVOLA ANALITICA DEI CHELONII. I CHELONII {Testudines di Wagler) son Rettili dal corpo rivoltato, chiuso in teca formata da due gusci, ai quali aderisce la pelle : tetrapodi , edentuli. SPECCHIO DELLE FAMIGLIE E SOTTOFAMIGLIE- I. TESTUDINIDI (Testudinìdae , Emydae et Chelidae , Gray. - Chersites et Elodites , Dum. - Tylopoda , Steganopoda rostrata et Steganopoda mandihulata , Fitz.) Piedi ambulatori! , eguali tutti in lunghezza. Gusci ricoperti dì scudi cornei. Senza labbra. 1. TESTUDININI. {Testudinìdae , Bell. - Chersites, Dom.'- Tylopoda , Fitz.) Piedi digitigradi e monchi con le di- ta agglomerate insieme. Bocca cornea. Collo retrattile. Pelvi mobile. a. EMIDINI. [Eniidne, Gkay. - Elodites cryptodères, Dum. - Steganopoda rostrata , part. Fitz.) Piedi planligradi con le dita divise , e il più delle volle palmate. Bocca cornea. Collo retrattile. Pelvi mobile. 5. IDRASPIDINI. [Chelydae , part. Gray. - Elodites pleuro- dères , part. Dum. - Steganopoda rostrata , part. Fitz.) Piedi planligradi con le dita divise e palmate. Bocca cornea. Collo versatile. Pelvi immobile 4. CHELINI. {Chelydae, part. Gray. - Elodites pleurodéres, part. Dum. -Steganopoda mandibulata, Fitz.) Piedi plan- ligradi con le dita divise e palmate. Bocca coriacea. Collo versatile. Pelvi iffunobile. DBI GhKLOMII O TcfiTUCGINT $?' IT. TRIONICIDI. (Trionycidae , Gray. - Potamites ,D[:m. - Stega- nopoda labiata , FiTz.) Piedi ambulalorji , eguali tulli iti lunghezza. Gusci vestiti di pelle levigata. Lab- bra carnosci 5. TRIONICINI. [Trionycidae , Gbay. - Potamites , Vimi. - Steganopoda labiata, Fitz.) Piedi plantigradi con le dita divise e palmate. Bocca cornea. Collo versatile. Pelvi immobile. ili. CHELONIDI. (Chelonìadae, Gr\y -ThalassiteSj Ddm. - Oiacopo- da, Fjtz.) Piedi pinniforrai, disuguali in lunghezza, con dita immobili e distinguibili appena. Senza labbra, 6. CHELONINI. [Cheloniadae , Bell.) Gusci ricoperti di scu- di cornei. 7. SFARGIDINI. [Sphargidae y Beh.) Gusci vestiti dipeli» grijiza. i' Scienze SPECCHIO DEI GENERI E SOTTOGENERI. S«CClM«e«f«Sisa FAMIGLIA I. TESTUDINIDAE. SOTTOFAMIGLIA i. TESTUDININA. I. Testudo, Dum. (Chersine , Merr.^ Guscìo superiore ioar- ticolato : guscio inferiore inarticolato al dinanzi: pie- di con cinque dita. I. Chersus , Wagl. Guscio inferiore articolato al di dietro. Testudo marginata, Sciioepf. Eur.As.Afr. 2.' a. Testudo , Wagl. Guscio inferiore inarticolato , di dodici piastre. 1. Testudo , FiTZ. Scudetto nucale : scudetto caudale bipartito. Testudo graeca, L. Eur.m.As. 3. 2. PsAMMOBATEs , FiTz. Scudctto Ducalc : scudctto cau- dale integro. Testudo poìjphemus , Daud. Afr.Am.s. /^. 3. Geochelone , FiTz. Privo di scudetto nucale : ango- loso l'orlo del guscio. Testudo stellata , Schweigg. As.Afr.Am.m.6. 4- Chelonoidis, Fitz. Privo di scudetto nucale : roton- dato l'orlo del guscio. Testudo tabulata , Walb, Am.m. 3. 3. CiiERSiNA, Gray. Guscio inferiore inarticolato, di undici piastre. 1 Cylindraspis , FiTZ. Privo di scudetto nucale. Testudo Vosmaeri , Fitz. Afr.in. 3. a. Chersina , Fitz. Scudetto nucale. Testudo ungulata , Dum. Afr.m. i. 3. HoMOPus , Dum. Ambedue i gusci inarticolati : piedi con quattro dita. Testudo areolata , Thunb. Afr.m. a. DEI Chelonii o Tektuggimi 59 3. Pvxis , Bell. Guscio superiore inarticolato; guscio in- feriore articolato al dinanzi. Pyxis arachnoides , Bell. As.m.Oc. i. 4. Kfnixys , Bell. (Cinixys, Wacl.) Guscìo superiore arti- colalo al di dietro. 1. CiNOTHORAX, FiTZ. Vcntlquatlro scudetti marginali com- preso il nudale. Kinixys Homeana , Bell. Am.m. 2. 2. CiNiXTS , FiTZ. Ventitré scudetti marginali non vi essen- do il nucale. Testudo erosa , Schweigg. Am.m. i- SOTTOFAMIGLIA 2. EMYDINA. § Senza papille alla gola. O.'CilsTUDO , NoB. ( Terrapene , pnrt. Bell. - Cistudes clnusi- les , DuM. - Pyxidemis , FiTz.) Guscio inferiore collegato; al superiore per via di cartilagine medianti le pia- stre addominali \ senza scudetti ascellari e inguina- li ; guscio superiore molto convesso che si può er- meticamente chiudere dalle due valvole componenti il guscio inferiore moLili sopra un solo asse. Testudo clausa , L. Ani. s. Oc. 3. 6. Emys , NoB. {Cistudes haillantes , Dum. ) Guscio inferio- re collegato al superiore per via di cartilagine me- dianti le piastre pettorali e addominali : scudetti ascellari e inguinali : guscio superiore poco con- vesso , che non si può ermeticamente chiudere. 1. Emys, Wagl. Guscio inferiore articolato. Testudo lutarla , L. Eur.As.Afr. 2. 2. Cyclemys , Bell. Guscio inferiore inarticolato. C.orbiculata,Bi.LL.{Cistudo Diardi fT)vM.)As.m. i. 7. TlRRAPENE , l!iOB.{Emys,Dvyi.-Clemmys,'WKGL.) GuScio inferiore inarticolalo , connesso per sinfisi al su- periore : due scudetti ascellari e due inguinali se- parati fra loro e non frapposti a' gusci : dita pai- 60 Scienze male : cinque unghie a' piedi anteriori, quattro a' po- steriori : coda sottile. 1. Clemmys , FiTZ. Naso poco prominenle. T. littaria,ScHVff.iCG. nec L.{sigriz,MiCìi.) E.As.Am.Oc.Sg. 2. Rhinoclemmys , FiTz. Naso protratto. Testudo verrucosa , Walb. Ain.m. a. 8. GeoBMYS, Grav. {Emys , part. Dim. - Clemmys , part. Fixz. ) Guscio inferiore inarticolato , connesso per sinfisi al superiore ; dita libere : cinque unghie a' piedi an- teriori , quattro a' posteriori : coda sottile, Emjs Spengìcri, Schweigg. Afr. I. 9. Tetraonyx, Less. Guscio inferiore inarticolato, con- nesso per sinfisi al superiore : dita palmate : quat- tro unghie in ciascun piede : coda sottile. T.longicoUis, 'L^ss..{Emys Batagur tWKiyXìVf .)P^soT. 5." 10. Platysternon , Gray. Guscio inferiore inarticola- to, larghissimo, connesso per sinfisi al superiore? tre piastre sterno-costali : dita palmate : cinque un- ghie a' piedi anteriori , quattro a' posteriori : coda lunga e grande. Platysternon megacephalum, Gray. As.or. i. §§ Con papille alla gola. 11. CheLYDRA , Schweigg. (Chelonura Flem. - Rapava, Gray.- Saurochelys, 'Lt.ivi.- Emysaurus,'D\m.) GuScio inferiore di dodici piastre , inarticolato , angusto , connesso per sincondrosi al superiore : venticinque scudetti mar- ginali: tre piastre sterno-costali, una soltanto delle quali frapposta a* gusci : coda lunga , grande , cre- stuta. Testudo serpentina , L. Am.s. r. la. SxAunOTYPUS , Wagl. /^fe/v/of/ierw.y, part Bun.) Guscio inferiore di otto piastre, articolato anteriormente, an- gusto, connesso per via di sinfisi al superiore me- diauti le piastre pettorali e addominali: due piastre DÈI CwELONII 0 TjiSrUGGlNr 61 sterno -costali contigue frapposte a' gusci : ventitre scudetti marginali : coda breve. Terrapene triporcata , Wiegm. Am.s. ^^ l3. KtNOSTERNlJM , NoB. (Cinosternum et Staurolypus , t^VCÌ. DuM.) Guscio inferiore di undici piastre , articola- to , connesso al superiore per via di sinfisi me- diante la piastra addominale : due piastre sterno-co- stali contigue frapposte a' gusci : ventitré scudetti marginali : coda brevissima. 1. Stehnotherus , FiTZ. (Staurolypus , part. Dum.^ Gu- scio inferiore angusto , articolato al dinanzi. Testudo odorata ,Dkvo. Am.s. i. 2. CiNosTERNON, Wagl. Guscìo inferiore largo, articolalo al dinanzi e al di dietro. Testudo pensjhanica , Gm. Am. 3. SOTTOFAMIGLIA 3. H YDIIASPIDIN A. § Capo poco depresso : occhi nei lati. l4- PeI'TOCEPIIALUS , DuM. (Podocnemys y ¥itz. -p^xt) Capo scudettato , grande : mascelle curve , senza scudet- to nucale .- piedi scarsamente palmati : coda un- guicolata. Einjs Iracaxa et macrocephala ,Spix. Am. m. i. i5. PoDOCNE.-viYs , Wagl. Capo scudettato, con un sol- co longitudinale al di sopra: mascelle rette: sen- za scudetto nucale : piedi abbondantemente palmati: coda non unguicolata. Einys expansa , Schweigg. Am.m. 2. 16. EmYDURA , NoD. {Plateinjs , part. Duji.} Capo VestìtO dì cuojo : scudetto nucale. Eiìiys Rlacquaria, Cuv. Oc. i. §§ Capo depresso : occhi al di sopra. * Con papille alla gola. 17. Psr.oMKDusA, Wagl. [Psntonyx, Dum.) Cinque Unghie per ciascun piede : guscio inferiore inarticolato. Testudo galcala , SciioEPr. Afr. a. 62 Scienze 1 8. Pelusios , Wagl. [Sternotherus , Gbay. Bvm.) Cinque Un- ghie a' piedi anteriori , quattro a' posteriori : guscio inferiore articolato. Testudo subnigra , Lacép. Madagasc. 5, 19. Hydraspis, Gray. {PlatemjSfBvM.} Cinque unghie a' pie- di anteriori, quattro a' posteriori : guscio inferiore inarticolato. 1. Platemvs , Wagl. Capo coperto di scudetti : naso poco prominente : piedi vestiti di scudetti contigui. Testitelo planiceps , Scun. Am.ni. 6. 2. Bhinemys , Waoi,. Capo coperto di scudetti : naso pro- tratto : piedi vestiti di scudetti contigui. Einys nasuta , Schweigg. Ara.m. /{• 3. Phbynops , Wagl. Capo vestito di euojo : naso poco pro- minente : piedi vestiti di scudetti disgregati fra loro. Einys Geoffroana , Schweigg. Atn.ui. 2. ** Senza papille alla gola. 20. Chelodina , DuM. (Hydraspis, Fitz.) Quattro unghie a ciascun piede. I. Chelodìna , Beli.. Lo scudetto nucale frapposto agli scu- detti collari. Testudo longicollis , Shaw. Oc. i. a. H1DROMEDUSA , Wasl. Lo scudetto nucale frapposto al primo scudo vertebrale , e agli scudetti collari. Emys Maximiliani , Mikan. Am.tn. 2. SOTTOFAMIGLIA 4. CHELINA. 21. ChELYS , DuM. (Matamata , Merr-^ Testudo Jimbria , Gm. Am.m. i. DEI Chelonii 0 Testuggini G3 FAMIGLIA II. TRIONYCIDAE. SOTTOFAMIGLIA 5. TRIONICINA. 22. AmydA , ScnwBiGG. Aspidonectes , Wagl. - Trìonyx , Giiat. Bell. - Gymnopus , Dum.) Guscì col margine cartilagi- noso : l'inferiore angusto : piedi non retrattili. X Ossa costali posteriori contigue. 1. Aspidonectes , Fitz- Osso cervicale congiunto a' vertebra- li , ruvido per tutta la sua superficie. Trionyx agyptiacus , Geoffr. As.Afr. /^. 2. Platypeltis , FiTz. Osso cervicale congiunto a' vertebra- li , ruvido nel mezzo soltanto. Testudoferox , Gm. Am.s. 2. 3. Pelodiscus , FiTZ. Osso cervicale disgiunto dai vertebra- li , ruvido nel mezzo soltanto. Aspidonectes sinensis, Wiegm. As.or. i. XX Ossa costali posteriori separate da' vertebrali frapposti. 4. Amyda, Fitz. Osso cervicale disgiunto dai vertebrali, ruvi- do nel mezzo soltanto. Trionyx subplanus , Geoffr. As.m. 2. 28. Trionyx , Wagl, {Emyda, Q&i,Y.lii£.iA..-Cryptopus, Dum.) Gusci accresciuti da ossicini che ne compongono il margine : il guscio inferiore largo , munito di val- vole a' lati : piedi retrattili. Testudo granata , Schoepf. As.m.Afr. 2. G4 S e 1 ft i^^ Z K FAMIGLIA III. CHELONIDAE. SOTTOFAMIGLIA 6. CHELONINA. 24. CnELONIA , Brongn. (Caretta , MerbJ GuSCÌO inferiore di tredici piastre compresa la intergulare , largo , connesso al superiore mediante le piastre umerali , pettorali , addominali e femorali : tredici scudi nel disco. 1. CiiELGNiA, NoB. (Clìèlonèes frnnches , Dum.) Scudi del disco scoperti l'iin dietro l'altro : naso poco promi- nente : mascelle dentellate : il fodero corneo della inferiore di tre pezzi. Testudo mydas , L. Atl.Pac. '5 2. Carettì , NoB. (Chélonées imbrìqitées , Dum.^ Scudi dei disco imbricati : naso protratto : mascelle intiere : il fodero corneo della inferiore di un sol pezzo. Testudo imbrìcata , L. Atl.Pac. i. 25. TlIALASSOCHEIiYS , Fnz. {Chélonées caouaneSjTìvM.} Gu- scio inferiore di dodici piastre non essendovi inter- gulare , angusto', connesso al superiore mediante le piastre pettorali , addominali e femorali : quindici scudi nel disco. Testudo caretta , L. Med.Atl.Pac. i. SOTTOFAMIGLIA 7. SPHARGIDINA. 56. SpHARGIS , Merr. ('Coriudo,¥L'EM. - Dermocheijs , Blainv. - Scjtina , Wagl. - Derinatochelys , FiTZ.) Testudo coriacea , L. Med.Atl.Pac. l. U.i LETTERATURA Dell arte poetica. Sermoni quattro di Paolo Costa, socio corrispondente della palermitana accademia di scien- ze e di belle lettere, intitolati a S. E. D. Giordano de Bianchi marchese di Montrone , gentiluomo di came- ra di S. M. il re delle due Sicilie, ed intendente della provincia di Bari. Bologna .83G tipi della Volpe al Sassi. ( Un volumetto in 8 di pag. 52 ) P V^orre per le bocche di tutti la sentenza di Orazio elle dice : Omne lulit punctum qui miscuit utile dulci Lectorem delectando pariterque monendo : ma pochi sono di questa sentenza seguitatori. Le più delle poesie possano essere assomigliate a quegli alberi che se ne vanno in fronde ed in frasche senza pro- durre mai frutto. Né altri tempi ha forse mai avuto la Italiana letteratura , ne' ouali , come in questi , fosse bisogno di ammaestrare la gioventù , che traviala corre non dove dombbela guidare la voce della ragione e della esperienza, ma sì dove la guida il maP esempio e 11 disfrenato capriccio. Fanno dunqne opera ulilissi- ma coloro , i quali , non dipartendosi dall' antica sa- pienza , imprendono a dare ammaestramento di bello scrivere in rima, e a far palesile sconcezze onde può «jsere viziata o la materia o la forma dello noe- G.A.T.XLIX. K ' R6 Letteratura sia. Ma come !a gioventù mostrasi og-gidi ritrosa a ri- cevere insegnamento , così a renderncla proclive potran- no avere efficaeia que' precetti, i quali siano dettati in islile di tanta bellezza e soavità che valga ad aprire, lu- singando , l'anima a ben riceverli : perocché il vero condito in molli versi / pia schii'i allettando ha persuaso. Che se alla ragionata verità delle cose e alla bellezza dello stile vada pure congiunta la fama e l'autorità di chi tolga a farsi ammaestratore , allora sì che potremo venire in isperanza che il regno della poesia torni quale già fu j4ureo tutto e pien dell' opre antiche. Queste cose, che ho divisate, amichevolmente si uni- scono nella operetta di che imprendo a parlare : ve- rità e sapienza ne' precetti : soavità e leggiadria nello stile : celebrità di nome nell' autore ; il quale è della piccolissima schiera degli illustri poeti che ora fiori- scono Italia; e se forse ha qualcuno che lo pareggi, non ha ai uno che gli stia innanzi. Ed è pur bello il ve- dere come all' autorità del nome del Costa si aggiun- ga l'autorità del nome di quel chiarissimo marchese di Montrone, a cui quest' arte poetica è intitolata: di quel chiarissimo , io dico , che locato nella eletta schiera dei pochi , non antipone al dolce aere italiano , al tempe- rato e splendido sole, ai vitiferi poggi, alle verdeggianti pianure , e agli odorosi fiori educati dalle nostre mu- se , que' cieli foschi e turbinosi , quelle nebbie , quel- le balze , quelle solitudini , e quegli aconiti , che ora tengono luogo della parte dilettevole in un' abbon- danza di poesie vote di utilità e spesse volte daauose. Arte poet. di:l Costa. 67 L' operetta piccola per mole , ma grande par le utili cose che in se contiene , è divisa in quattro ser- moni. Nel primo si parla della poesia in generale : nel secondo della poesia pastorale , della lirica , e della satira : nel terzo della tragedia e della commedia : nel quarto della poesia epica. SERMONE I. Alla brevità di queste carte non si concede il ri- ferire tutti i precetti del bello scrivere in verso , de' quali l'autore ha fatto compendio, altri derivandone nella sua urte poetica da quelli che dettò Orazio nel tem- po antico , altri da quelli che piiì modernamente die- de il Boileau , ed altri da quelli di cui fu autore a stes- so , avendoli attinti dalla sana ragione , dalla non abu- sata dottrina , e dalla Juoga esperienza. Mi terrò dun- que contento a far motto dell'uso eh' egli fa de' suoi precetti per adattarli a porre in derisione que' nostri , che oggidì scrivono calpestando ogni legge , e avendo per nonnulla il frutto della esperienza di molti se- coli «. Qual' è uomo di mente sana che non prenda noia della intemperanza con che molti de' moderni scrittori allungano e infiacchiscono le narrazioni ? Ora udite come il nostro Costa gli sferzi. Altri è si preso D'amor pel suo subbielto , che non osa D'abbandonarlo : pesta , indi ripesta L'orme calcate , e per minuto narra Tutto che viengli in fantasia. M'adduce Ad un palagio ? La facciata , i portici , E le camere tutte ad una ad una Mi vien mostrando ; le dorate porte , E le travi dipinte , e i ricchi marmi , 5^ 68 Letteratura E vuol che ogni balcone , ogni cornice , Ogni specchio , e tappeto , e cento e cento Z icchere io guardi , e non rifina mai I)*intronarmi gli orecchi : finalmente Suir erba del giardin stanco mi lascia. Oh va ai sforzi ! Oh misera ricchezza ! Mandan gran luce pochi segni e veri , Come poca favilla alza gran fiamma. A Dante gnarda e a Lodovico : tutto Che ti accennaa costor tu vedi e palpi. Avessero almeno quelle lungaggini pregio di buo- na lingua ! Ma neppur questa : imperocché costoro si avvisano che sia da rifiutale tutto ciò che chiegga stu- dio , e che freni , coni' essi dicono , il voln alia libera immaginazione. Ma senza studiato stile non è uè sa- rà mai bellezza di poesia. Venga chi ama che i suoi versi gli sopravvivano , venga al Costa , a questo egre- gio maestro del bello scrivere. Egli dirà lui : Sarai pulito e terso , Ma non si eh* ogni tao detto ricordi La lucerna del Cesari. Si ammira L'arte industre che i ritmi e i metri adopra Convenienti ai suoi subbietti , e varia Al vatùr della materia i suoni: E dichiarerà questa sua sentenza con parole tali , che chiuderanno in se non solo l'ammaestramento a ben fa- re , ma Si pure l'esempio. Né io credo che sia scrit- tore italiano ( da pochi altri in fuori) il quale potesse dar forma e suono a versi di tanta bellezzai quanta ne hanno questi del Costa : Suona Megera la tartarea tromba ? Le vocali coli' aspre cousouaati Aaffi post. DEL Costa 69 Td accoppia sì che tuoni uà suoq dì guerra; Rimugga rarmonia colla tempesta , Fugga via velocissima co' venti , E lenta lenta col ruscel s*avvii. Dopo che l'autore ha magistralmente trascorsi lutti gli stadii della italiana poesia dal secolo XIV al XVIII, passa a:l insegnare ai moderni dispregiatori di ogni dot- trina e di ogni legame , come Del poetar la sapienza è fonte : come Mollo può l'arte che all' ingegno h aggiunta s come ai poemi è necessario Cile tutto il corpo sia semplice ed uno : Ed altri precetti annoverando conchiude , che per difetto di sapienza e per deviamento dal buon sentiero pochi sono a'nos tri giorni ì veri poeti : Poiché al morbido secolo , civile Di civiltà non più veduta al mondo. „ Influita è la schiera degli sciocchi. SERMONE II. Esce del casolar la villanella Il di festivo , acconcia il crine e monda , Come colei che desiata e cara Esser vuole al garzon che l'innamora. Non sinuosi drappi , non corone Aspre di gemme e d'or lei fanno altera { 7^ Letteratura Ma una semplice vesta , un bianco velo Copron le belle membra , e la vermiglia Rosa il seno le ingemma. Similmente Candido e terso il pastoral poema Si mostri senza fasto di parole E di sonanti orgogliosi versi. Umile e casto con soave accento Proceda , e imraagin sia dell'innocenza. Con questi aurei versi da il Costa corainciamen- to al suo discorso sulla poesia pastorale : e facendo poi accorti coloro, i quali vogliono scrivere pastoralmente , che non debbano, per farsi troppo scrupolosi seguitatori della natura, porre sulle labbra dei pastori un favellare abbietto e villano , dà loro ad esempio g 'idilli di Teo- rocrito , e le egloghe di Virgilio. Passa quindi a parlare brevemente dell'elegia , là quale Sparsa le lunghe chiome ia veste negra Or plora appo le tombe : or degli amanti I lunghi lutti esprime e il gioir breve : Or coronata dì virginee rose Canta un labbro vermiglio , un aureo crine : e cosi grida a chiunque voglia porre l'Ingegno ia questo genere di poesia : Piangi tu stesso in pria , se vuoi ch'io pianga. Se vero duol, se amor non senti in petto. Di seguir l'elegia t'affanni indarno. Facendo passo a ragionare dell'ode, mostra l'autore come ella abbia penne atte a volare per ogni loco, e comedi uà solo volto non si contenti : imperocché. Arte pokt. del Costa li volubile e bizzarra Par che caraminì senza legge : finge Mirar talvolta a un segno , e a uà altro intende. Poi mostrando come ne il Filicaia , ne il Chiabrera , nh il Guidi , ne il Testi , ne ninno in Italia potè nello scrivere odi toccare alla perfezione , entra a parlare di Pindaro , e dicendo che Nell'alto tempio dalla fama appeso Sta il costui serto ancora : grida agli ingegni italiani : Ergete i vanni al glorioso acquisto. E qni introduce un nebulone il quale, al molto fumo della dottrina esotica avendo perduto il lume dello in- telletto , vorrebbe che nessun freno avesse il poeta , e che della bellezza non fosse giudice la ragione , ma si quello che i romantici chiamano sentimento. Alle cui strane follie risponde vittoriosamente il Costa, e , apo- strofandolo , da fine al dire con queste gravi parole : Quelle leggi Che tu chiami pastoie , son gli avvisi Che die l'espeii'enza a cento e cento Che nell'arti sudar, che la natura Cercaro infaticabili , son luce A chi cieco non brama alzarsi a volo Per fiaccar poi su duri sassi il collo. Parrebbemi far peccato se non riferissi i bei versi con che l'autore descrive il sonetto ; che è la diffici- lissima tra le poetiche com[»osizioni. 72 Letteuitura Sia in due parti diviso .- abbia la prima Due membra in otto versi : in due terzetti Si chiuda il riman ente : ogni licenza Sia negata al poeta : alcun negletto Verso non detti : non parola alcuna O ripetuta od aspra : in ogni parte Guardi proporzion : faccia che il tutto Facile , chiaro , armonioso , e grave Splenda di tal beltà , che maraviglia Desti , e di se l'altrui memoria invogli. Eppure, a mal grado della grande difficolta di ben com- porre un sonetto , nessun genere di poesìa ha tanto inon- dato , anzi ammorbato il pac=?e italico , quanto ha fatto e fa questo sciagurato , che dalle torri dei re scenderle* teatri a dar lode ai musici e alle danzatrici , e fa di se mostra sulle pubbliche piazze encomiatore de' cerretani» Brevemente ragiona l'autore dell'epigramma. Egli COSI ammaestra chi voglia esserne compositore : O tu, che ad opra tal volgi l'ingegno, Abbiti eletto stil , rime leggiadre Scegli , e pensa che un punto in picciol corpo E' larga macchia. Cautamente evita Di scherzar sulle voci : dove esce in questi detti che chiudono bella e verasen- teaza: Delle acutezze vaga Fu pazzamente Italia un tempo, e fece Risonarne il teatro, il foro , il tempio. Di queste oggi si ride , e cieca segue Altre del par risibili follie ; Poiché lasciati il Tebro e l'Arno , attinge *n'„^^.,„ ^pj Tamigi e della Senna. i Arte poETi DRL Costa fj Gli epigrammi richiamano alla mente del Cosfa quelle altre poesiole che s'ebbero nome di madrigali e di ballate : le qoali ora sono cadute in disuso : di che e- gli dice non essere molto a dolere : Ma grare Jattura è'clie la satira si taccia Or che non d! saetta , ma di spiedo Uopo sarchile contro al borioso Secolo ! Ahi quanto pesami che fioca Sia la mìa voce a ragionar di lei 1 Dopo avere rammentato fra i satirici antichi Lucilio dall'aspro verso , Fiacco dai modi urbani , Persio robu- sto , e Giovenale che mordendo insangnina il dente , trascorre l'autore ai satirici nostri , e pone primo PA- riosto , e dà lode al Gozzi che imitò Orazio , e al Pa- nni che artifiziosamente conducendo a lun»o l'ironia diede splendida forma d'alto poema alla satira. E dappoi che ha dato be' precetti intorno alla versificazione, che vuole essere usata in siffatti componimenti, Chiedi ( dice ) al venosino Delle sentenze il nerbo , al ferrarese Le schiette grazie facili , la copia Delle voci e de* modi : e ardito vibra Il pungolo severo incontro a quanti Vaa folleggiando per la via d'errore : E se più eh' altri guarderai la gonfia Turba loquace, che lenendo a bocca L'attortigliata foglia americana Sputa fumi e sentenze, ampio subbietto Avrai , poeta. La vittoria certa Tìenti , che piti risibile materia Di questa . che t'addito , il sol non vide , 74 Letteratura E non vedrà finclie d'intorno a lui Si roteranno i sud di li pianeti. Sermone III. Premette Taulore una lireve storia delle trage- die ; e dai tragici greci e latini discende a parlare dogli italiani che grecizzarono fin che non apparve la Merope del Maffei: Ma le menti severe Desiar pii^i i'crrato e più robusto Il favellar de' regi : ed ecco in Asti Vittorio , ciie terribile disserra Aspro un sentier che dietro a lui si chiude. Soggiunge poi che : Coglier per altre vie lauri non tocchi Si ponno. E da coraiaciaraento ai precetti. Uditelo: Un miserando fatto , che sia pieno Di timor , scegli , ma pon niente in pria Che pietade e timor son vano giuoco Se non valgono a far più bella e cara La virtude , e più sozzi ed abborriti I vizi ed i delitti. In scena io vidi L'adultero talvolta e Tassassino Farsi ammirandi , e mettere ne' petti Di se amore e pietà. Oh cos\ fosse, come insieme col Costa richiederebbero e la ragione, e il buon costume , e il fine stesso della tragedia! la quale , secondochè scrive Aristotele (poet. cap. VI), deve intendere a purgar l'anima dalle pas- sione per mezzo della compassione o del terrore. Non vedremmo noi sulle scene , come talvolta siamo co- Arte poet. del Costa Y5 stretti a vedere, orribili, e direi quasi nuove sce- leralezze ; e gli operatori di esse sovente impuniti , più spesso escusati e compianti : non vedremmo nodo di tradimenti , ne moltiplicita di uccisioni : ne tutto ciò che vale , non a purgar l'anima dagli affetti mal- nati , ma sì a renderla feroce, accostumandola ad ese- crabili fatti , e a rappresentanza di ogni maniera di colpe. Ma seguiamo iì nostro autore , il quale propo- nendo altro precetto che ben si collega col primo , scrive così : Di virtiì invidiibili risplenda Quegli , della cui sorte avversa o lieta Ho a dolermi o a gioir ; ma poi non sia Forte così che passi'on non soffra. Dopo altri utili ammaestramenti si fa l'autore a par- lare delle unita , e dichiarando se essere rigido os- servatore della unità di azione , vuole , quanto all' unita di tempo, che lo scrittore tragico prenda con- siglio dalla discrezione della sua mente , e lasci ai romantici il mostrare sulla scena Air alzar della tenda imberbe Anchise , E all' atto quinto lui canuto e macro Sugli omeri d'Enea. Parla quindi del come debbansi , secondo natura e verità , porre in iscena i personaggi : e termina con bellissimi avvertimenti intorno allo stile. Succede il trattato della commedia: come nascesse in Grecia , come di la venisse nel Lazio , come fosse accolta dalla Italia rinnovellata, e come le desse più bella anzi maravigliosa forma il Goldoni. E qui pure toccando magistralmente e del modo di ordire la fa- te Lkt*siiatuiia vola comica ; e dell' arte di dar qualità agli interlo- cutori, secondochc si conviene alla natura loro a ai costumi ; e dell* artificio .l'alio stile, dia vuol esser fa- cile sì , ma terso e gentile ; dà compimento a questo sermone, che è pur corredato in alcuni luoghi Ài bre- vi note. Sermone ly. Con alti versi s'introduce il Costa a ragionare della epopea , che è l'altissima delle poesls. E comincian- do dalla scelta dell' argomento, dice così : Pria d'impugnar l'epica tromba Fa di spiar quai sian de* tempi tuoi L'opre o laudate o rie ; e qual fortuna Prospera o avversa si prepara ai regni , E scegli indi materia , onde derivi La forza che le genti ajull e guidi A più civil costume. E qui reca ad esempio Omero e Virgilio , che nella Iliade e nella Eneide non tanto intesero a dilettare le traviate generazioni , quanto a renderle migliori per la via del diletto. Appresso dimostra che ad ottenere que- sto fine egli è mestieri al poeta intessere fregi al vero , siccome disse e fece Torquato. iVIa tutto che fingasi ab- bia l'aspetto del vero : e il fìnto tenga al maraviglio- so , ma non si allontani dal verosimile. Vero parrà ciò che si coufaccia alla regnante opinione. Roma, che pres- soché di ognf cosa formavasi una deità , potè maravi- gliando porre tra gli eventi possibili quella bella fanta- sia di Virgilio con che descrisse il fremere della tempe- sta mossa da Eolo , e il rappianarsi del mare al cenno dell'adirato Ncttnno: Fende coH'asta il re dei venti il monte , E fuor dall'antro sbucano fremendo Arte po«t. del Costà 7'^ E Noto , ed Euro , ed Affrico possente Di nembi a di procelle : il mai che rugge Innalza al cielo i flutti : ab]:atte e sperde L'iliache navi ; ma dell'imo fondo Alza il capo Nettuno e i venti sgrida : Dileguasi le nubi , ap^^are il sole , E dolcemente il Dio pei campi azzurri Sul occhio veloGÌssimo volando Appiana i flutti. Egualmente per la opinione che in tempi meno remoti si- gnoreggiava le menti , facendo apparire per ogni dove e spiriti ed incantesimi , avvenne che Italia pur maravigliò veggendo Sorger boschi incantali aurai palagi , Pugnar mostri e giganti , andar per l'aria Destrieri alali , e parlar nìrti , e lauri. Dalle fjuali premesse fa l'au-ore discendere questa giustig- siraa conseguenza : Gurùdali dunque di cantar portenti Dalla moderna opUaion ^ontani. Ne si lascia egli vincere all' autorità del nome di Vin- cenzo Monti , il q-ù&h avrebbe voluto che la mitolo- gia pagana non foss^ cacciata dai poetici regni. Ma dopo avere con bellissima digressione compendiate le ragioni da quel cclebratissimo addotte a sostegno della sua opinione , mostra quale abbia ad essere il loco , in che siano da ristringere le favole de* secoli tra- passati : Allegorie D'alti pensier sien elle : adornamenti Ai lirici concetti , ma non mai Degli eroici poemi il foadamento. 78 LETTfinATtjRA Confessa l'Autore che tolte via le svariate bellezze nelle quali abbonda la mitologia , viene ad essere minuita la materia al mirabile : ma dice che ai grandi inge- gni rimane modo di sopperire a questo difetto, sic- come fece Torquato : dice che le maraviglie della na- tura possono somministrare altre ed altre bellezze in- tatte e raaravigliose. Bello è Tammaestrainento del doversi assumere il subbietto del poema epieo : Da istoria non remola e noa vicina : Bello è pur l'altro del dovere il poema esser tale . che gì' intelletti Scorgan le parti sue senza fatica. Ne men bello diremo esser questo : Sienvì guidati i casi o finti o veri Come li guida la natura , ed onta Non facciano a quel ver , che dalla tromba Della fama si spande. Parla poi della unita dell' azione nel poema epi- co , della varietà degli episodi che punto non deve nuo- cere alla detta unità , e finalmente del modo di porre in rappresentanza coloro che hanno parte nella favola , e spezialmente quel grande di cui si cantano le impre- se : il quale è come l'animalo capo che le soggette membra muove e governa. Air ultimo insegna come data forma alla illustre materia , le si abbia a dare Col chiaro eletto stil vita e colore. E qui , da quel maestro eh* egli è , mostra quale ab- bia ad essere il verso dell' epopea , e come lo stile che Arte poet. del Costa 79 conviensl agli altri generi di poesie a questo uobi- lissimo non si convenga. Vuole che il verseggiatore abbia gli occhi'in Virgilio; e lo consiglia a non la- sciarsi prendere alla vanita e alla improprietà degli or- namenti , come fece non è gran tempo quel volga- rizzatore della Iliade ( uomo d'altra parte dottissimo) il quale ci ebbe dato Òmero cosi parato e azzimato , come usano taluni che delle usanze che ci vengono da Parigi si fanno servili imitatori. Desideriamo che questo prezioso libretto sia nuo- vamente dato alle stampe , si perchè sia ovvio alla gio- ventù , e si pure perchè nella nuova edizione siano tul- li via gli errori tipografici che si trovano in questa pri- ma ; dove alle paaine 12 , 23, 47 , sta ribecca per rim- becca , Perseo per Persio , Siwio per Silio ec. L. Biondi. Poesìe estemporanee di Amarilli Etnisca ( Teresa Bandettini ) . dolami III in 8. Lucca per France- sco Berlini 1 835. vJTrazie al serenissimo duca di Lucca , che decretò questa impressione degl' improvvisi bandcttlniani. Gra- zie al marchese Antonio Mazzarosa , che di si bella impresa fu promovitorc. Al qual Mazzarosa dobbiamo ancora un elegante discorso che va innanzi al primo volume , e dimostra come la Bandettini pervenisse a tanto inerito nel poetare : in quali luoghi principal- mente e con qual successo ella del suo poetico valo- re desse prova : finalmente in che alto concetto la tennero i più valenti uomini , e fra gli. altri X Alfie- 80 LettERAtUHA ri , il Mazza , il Monti , che coi loro Tersi la cele- brarono . Cerio questi improvvisi , secondo che a me prire , valgon non poco e per la invenzione e per la conclolta e pel dettato . Quanto all' invenzione , si scor- ge non ordinaria dottrina tutta infiorata di rose nelle composizioni intitolate La fisica delle piante ( torn. 1 fac. 103), Dio creatore (ivi, fac. 118), Plura- lità dei mondi (ivi ^ iac. 124), f^iaggio aereostatico ( ivi , fac. 272 ) , Z' istinto de' bruti ( tom. 2 fac. \Q ), V origine del terremoto (ivi, fac. 40), ed in altre simili . Bello è il vedere come a sogf^^etti comunissi- iiii , che le venivano proposti , quali sono la Morte di Dldone , il Giuramento di Annibale , gli Sparta- ni alle Tennopoli ed altri tali , sapesse ella dare aspetto di novità : il che a nostro giudizio mostra il vero poeta . Vm bello ancora è il vedere com' ella trattasse variamente più e piìi volte lo stesso argo- mento . Anche gli affetti sono da lei bellamente espres- si . Si veda il contrasto tra '1 furore della gelosia e r amor di madre nella Medea che uccide i figli ( tora. 2 fac. 124). Ella h in preda al piiì alto sdegno che ( nota modo felicemente ardito ) le rugge nelVa- ninia : va mulinando di vendicarsi dell' infedele con- sorte con uccidere i figli , che ella non ha piìi per suoi figli ( Liberi quondam mei^ le fa dire anche Se- neca , f^os prò paternis sceleribus poenas date ). Im- pugna un ferro ^ ne tenta con la mano la punta , per sentire quanto è acuta , e infiammasi all' uccisione . In questo, ecco farsele innanzi i due suoi figliuoletti, e narrarle piangenti T incendio e T orrore della reg- gia di Corinto. Ella smaniosamente domanda: E Creu- sa? E vostro padre ? Creusa è morta , e la sua mor- J'C s' imputa a te , o madre . Quella vesta , quel diadema , Va esecrando il genitore : Poesie Estemporaixre 81 Vuol vendetta .... Tradì loie , Vuol ve:idetla ? Alfa 1' avrà - Disse ; e a un figlio ne' capelli La sinistra mano avventa : Alza r altra e ferir tenta ; Ma il pugnai le cade al pie . Di color di morte in faccia , Volge il figlio ad essa i rai : Madre , oiraè , madre , che fai ? Padre mio , padre , piela . A quel nome in lei dell' ira Tutto V impeto sen riede : Nel fanciullo altro non vede Che il figliuol d' un traditor . Il pugnai dal suol raccoglie , E al bambino al sen V assesta . Volge indietro indi la testa , Ed il cor gli ritrovò . Cade in terra il bambino palpitante, agonizzante, e ri- mira la madre; e madre ^ madre , gridando, spira . L'altro piange, e alla madre chiede il fratello; ma anche su lui pende il coltello feritore . Egli si git- ta a' pie della cruda genitrice, e le abbraccia i ginoc- chi , atteggiato di dolore . Or natura in lei favella , Che la mano all' empia affrena : Sovra il ciglio le balena Una languida pietà . JPato iniquo ! Ecco Giasone : Mira un figlio al suolo estinto , Di pallor r altro dipinto Presso a morte palpitar . E alla barbara consorte , Ferma , grida , scellerata. G.A.T.XLIX. G 82 Letteratura Snuda il ferro : ella lo guata , E ia tai detti fulmiuò : Mira , perfido , qual io Far di te strazio disegno . E il pugnai , ebbra di sdegno , Del fanciullo in sen piantò . Ei neir alba de' suoi giorni Chiude al d\ per sempre il ciglio : Così svien tenero giglio Quando il vomer lo troncò . A me questa sembra poesia piena di anima e di aflel- to . Passando a toccare della disposizione , dirò clie la nostra poetessa non si aiutava , come certi mesclii- nelli improvvisatori fanno , con introduzioni ed invo- cazioni comuni e per lo più preparate innanzi , ma di lancio entrava nell' argomento , correndo difilata- raente alla meta , senza il solito puntello , dirò cosi , delle similitudini, delle sentenze, delle digressioni, che ella adopera brevissime , con parsimonia , opportunis- sirae . Cosi da principio alle stanze intitolate La ma~ ga di Endor ( tom, i fac. 30 ) : D' orrore è il loco ; ed una fioca luce Le tenebre squarciando , al guardo schiera Ossa insepolte , scarni teschi , e truce Scabra spelonca eh' atro fumo annera . Cola r iniqua maga il re conduce , Che , trepidando , lei seguir dispera . Il rimorso gli addenta il cor che langue ; Stilla freddo sudor , gelido ha il sangue . L' Alfieri all' Eliso ha questo cominciamenlo ( ivi , fac. 4i ) : Nel tacente sacro Eliso Veggo scendere l'Alfieri : Poesie Estemporanee 83 Lo conosco a' modi alteri , Ed al pallido color . IVe' quali ultimi due versi veggo d'una pennellata de- scritto r astigiano . E con quest' altra dipinturina apre lo sposalizio di Bacco e di Arianna ( ivi, fac. 199 ) e La di Nasso sulla sponda Sta piangendo una donzella : Il sen niveo si flagella , Si divelle il biondo cria . Cosi entra nella Scoperta deW America ( ivi, fac. 28 I ): Il ligure nocchier del mar sul dosso , Inviolato ancor , veleggia ardito ec. Che se alcuna volta ella fa preamboli , sono brevi , e lutti appropriati all' argomento . Serva di esempio il cominciamento della Cena di Baldassare (ivi, fac. 82): Oh Dio , che in tua giustizia , ove ti sdegni , Sugli empi scrosciar fai l' igneo flagello , E la progenie del delitto spegni , Spargendo al vento il cenere rubello ! Tu col dito immortai cancelli i regni , E de' nemici tuoi ti fai sgabello : Stiamo a veder tua possa , tuo consiglio , Del reo Nabucco nel perverso figlio . Delle similitudini abbiamo già veduto sopra un esempio. JYe daremo alcun altro. L'Alfieri, giunto al- 1 Eliso , cerca dei protagonisti delle sue tragedie : gli vede tutti , fuor che Mirra ; dì lei chiede impa- ziente . Air inchiesta , un' ombra si leva di mezzo 6* 84 Letteratura a uno stuolo di ombre , spiccando il volo verso il poeta : Come candida colomba Dal disio d' amor portata , Gon tes* ali equilibrata Mirra al vate si mostrò : dove mi sembra mirabilmente ristretta la celebre ter- zina di Dante ( Inf. G. V ) : Quali colombe dal disio chiamate , Gon r ali aperte e ferme al dolce nido Volan per T aer dal voler portate . In una breve e leggiadra simlh'tudine finisce pure la descrizione che fa di essa Mirra : Era il crin d'oro ravvolto In modesto sottil velo : Luce debile di cielo Mettea il guardo nel dolor . Pallidetta era , ma bella , Come suol crescente luna , Ghe alla selva folta e bruna Fa le fronde biancheggiar . Nella Morte di Pio VI ( toni. 2 fac. 25 ) , dopo de- scritto lo squallore del Vaticano vedovato del supremo sacerdote , da questi versi ; Così Solima prostrata Sulla polve , rasa il crine , Pianse un di le sue mine , Scinta il petto , nuda il pie ; E dal carcere nefando Della barbara Babellc Poesie Estemporanee 85 A ferir sen giaa le stelle I suoi flebili sospir . Nel Sepolcro ( tom. 3 fac. G6 ) si canta : Sempre Nice mesta viene Dell' aurora al primo albor Alla tomba del suo bene A versar lacrime e Cor . Bianca veste , crin disciolto , Simulacro altrui parrà , Glie ha le braccia e il mesto volto Atteggiato alla pietà . Darò eziandio alcuni esempi dell' uso delie sentenza . Piramo viene in cerca della sua Tisbe , che si era sottratta colla fuga dalla rabbia d' un leone , perden- do il velo , che la belva stracciò , e di bava e di sangue insozzò . Si avvenne in quel velo il misero amante : Ah che Piramo lo vede ! E che mai non vede Amor ? Lo raccoglie , ivi si affisa Muto , gelido , e feroce : Quando eccede, non ha voce, Non ha lagrime il dolor . Nel Golia (tom. 2. fac. i63 ) : Cosa è r uom del Nume a fronte ! Ombra live che si solve ; Del deserto arida polve ; Soffia il vento , e piìi non è . Quadernario che mi pare una gemma . Né punto ne oflcude lo spleudore quel Cosa è da alcuni grarama- 86 Letteratura liei dannato , i quali insegnano che il tralasciare il che interrogativo innanzi alla voce cosa ^ è errore, e vorrebbono si dicesse , che cosa è , o pure, che è. Conciossiachè più volte mi sia avvenuto di vedere che i poeti , quando loro tornò bene , si dipartirono da questa regola. E qui mi ricorda un luogo della super- ba canzone di Andrea de Basso , poeta del secolo XV, pubblicata dal BarufTaldi il 1713 nelle Rime de" poe- ti ferraresi , dove quel modo ha quattro volte . Par- la di bella donna, ma ria, morta di mala morte . Cos' è che non sia guasto Di quel tuo corpo molle? Cos' è dove non bolle E verme e putridume E puzza e sucidurae ? Dirami , cos' è , cos' è che possa piue Fare a' tuoi proci le figure sue ? Della quale canzone darò qui anche il seguente verso; Che morte ai giusti è sonno , e non è morte , perchè ha una sentenza che con pari nobile semplici- ik espresse la nostra iraprovvisatrice in fine di que- sta strofetta nella Benedizione di Giacobbe ( tom. 3 fac. \M)', JNè furon già sue luci Da lungo pianto assorte ; Che morte non e morte Ai servi del Signor . Con bella sentenza finiscono pure questi versi , in che si parla di Eva , la quale nel primo momento della sua esistenza vedesi Adamo dappresso : Poesie Estemporanee 87 Si arrossa nel volto , Modesta sospira , E gli occhi a lui gira Tra speme e timor . Non è che vergogni , Ne r uom le sia grave : Vergogna non bave Chi colpa non ha . Delle digressioni poi si vale alcuna rara volta per da- re segnatamente un' utilità morale ( il che ella si stu- dia di fare tutte le volte che può ) agli argomenti che di loro natura non la porgerebbono , come nella Fi- sica delle piante ed in altre simili . Venendo a parlare della locuzione , è primiera- mente da lodare la chiarezza maravigliosa di queste poesie . E' pur loro pregio quella semplicità , senza di cui non vi è grazia , ne dignità vera . Vuol com- mendarsi ancora una certa brevità, tanto più mirabi- le , quanto più di leggieri vien fatto agi' improvvi- satori , tratti dalla forza delle rime , di andare in va- ne parole ; e piìi mirabile ancora perchè in poco dice assai . Per esempio , nel pii^i volte indicato compo- nimento dell' Alfieri all' Eliso , si dice di Bruto primo: Bruto a lui ne vien d' appresso , Cittadin più assai che padre; che mi par modo ricìso e stupendo . Cosi quest'al- tro , eoa che vuol significarsi Antigone : La pietosa che al fratello Diede il rogo , e morte n' ebbe . Vi trovi poi , secondo che avrai già, veduto , un 83 L K T T E U A T U R A tal uso continuo de' più be' modi de' nostri classici , che dimostra proprio che ella era , avrebbe detto ii Salvini, inzuppata della loro lettura : uso al quale lia saputo con felice ardimento sposare certe maniere della poesia lati- na e greca, e de' santi libri. Cesare Lucchesìni , che udì per la prima volta la nostra iraprovvisatrice a Mantova sul cadere del 1792 , così ne scrìveva a Giacomo suo fratello : „ Non rare volto sentii versi presi o imitali da ,, Omero , da Virgilio , dal Petrarca e da Dante. Quat- ,, tro me ne ritornano ora alla mente, che mostrano „ abbastanza lo spirito e le maniere insolite di quest'ul- ,, timo, e che furono da lei cantati nel descrivere la ,, discesa d'Enea all'inferno , e sono questi : Chi se' tu , gridò , mortale , Che vestito d'ossa e polpe , Qui nel regno delle colpe Osi audace penetrar. „ Certe frasi di Dante , alcuni epiteti un poco strani , ,, come gli achei gambierati , che è T «ùxvn/^iS?? di ^, Omero , pareva che nella sua bocca si ammollissero ,, e perdessero quell'apparente loro stravaganza; e sic- ,, come mostravano assiduita di studio ed erudizione , „ COSI ottenevano ammirazione ed applauso. *' Ed una cosa parmi che si debba considerare a lode della Ban- dettini ; ed è , che quando ella tanta pratica mostrava nei classici, e delle loro bellezze ingemmava le sue poe- sie , presso gì' italiani lo studio dei buoni scrittori non era in fiore , come venne dipoi ; anzi generalmente allo- ra si davano i primi onori ai Claudiani e agli Stazi della moderna Italia. Per saggio dello stile bandettiniano , che quantunque foggialo su quello de' classici , ha una tin- ta sua propria , darò alcuni altri luoghi. Nel tomo pri- rpo , fac. Ci , ad esprimere il numeroso navilio di Ser- se contro gli spartani , dice : Poesie Eìitkmporakee 89 Onibra al mar fan mille antenne , Manca il vento a tante vele ce. A fac. 303 dice di Teti dolente per la morte di Achille : E le tremano i ginocchi Sotto il peso del dolor. A fac. 141 : Citerea le rose atteggia Del bel labbro ad un sorriso ec. A fac. 144, dell'arrossare di giovin donna si dice: Così rosa , onor dell'orto , Porporeggia nell'aspetto ec. E a fac. 208 si canta che Giacobbe Dell'opra in compenso Ottenne la bella , Ch'è raggio di stella , Ch'è riso di ciel. Ed a fac. 209 lo stesso Giacobbe così descrive la sua Rachele : Di fraga odorosa Le olezza la bocca , Son neve che fiocca Le braccia al candor. I rai di colomba Ha dolci ridenti , Le gote lucenti Le arrossa il pudor. 90 Letteratura Non ha la mia («reggia Più morbidi velli De' biondi capelli , Già refe al mio cor. Che in trecce , p disciolti In preda dell'aura , Son nebbia che inaura Un raggio di sol. Non so dispensarmi dall'ailegare anche questi versi , con che la poetessa, nelle nozze di Zefiro e di Flora , doman- da chi sia questa diva. Sarebbe mai Venere Dal vago sorriso ? IMa no , che nel viso Ha pinto il pudor. Sarebbe mai Pallade Dagli aspri costumi ? Ma no , que' be' lumi Annunzian pietà. Sarebbe l'altera , La querula Giuno .** Ma no , l'importuno Orgoglio non ha. Uditela ora intonare il canto a uno stile diverso nella Cena di Baldassare , r Io son , dice il Signor , che addenso il nembo , E sull'ali de' venti il fulmin porto , Io che mi assido alle procelle in grembo ; E in me tutto s'inizia e tutto è assorto : Dell' ammanto del sole afferro il lembo , E su lui vago dall'occaso all'orto , PossiE Estemporanee 0? E al foco io gitto i figli dell'orgoglio, E scevro il graa dal maledetto loglio. Scendi , perverso re , scendi dal soglio ; Soverchiò la misura il tuo peccalo. Resta qual tronco d'ogni fronda spoglio , Senza radice , e in fronte fulminato. L'arco non spezzerò sin che il tuo orgoglio Teco del nulla in sen non sia tornato. Popol , ch'io veggo , contro te sen viene Invitto , e folto qual del mar le arene. Passiamo al tomo secondo , pigliandone pure qua e la qualche passo. A fac. 27 si da come un bel gruppo delle virtù che accompagnarono l'esule Pio VI : In sembiante ognor sereno Seco va la Pazienza , E la raacra Penitenza Che flagelli stringe in man. Carità fiammante il viso , Ferma Fé dal crin velala , E Speranza che il del guata Son compagne al suo caramin. E poco di poi : Giunto la , dove in se stessa La suprema eterna idea Beatrice ognor si bea Senza inizio e senza fin : die mi par detto cosi bene , che non si possa dir meglio. E a fac. 5G r Europa vezzosa D'Agenore figlia , 92 Letteratura La stella somiglia Che annunzia il raattin, Fra mille fioretti Si aggira e grandeggia , E il giglio pareggia Nel puro candor. Queste strofette della nascita di Veaere mi paiono vera- mente piene di veneri : Delle sue membra Pilli è il candore Al più bel fiore Che imbianchi aprii , Le ignude Grazie Occhi-amorose Serto di rose L'off ron al crin. L'aurette scherzano Nel crine aurato , Che , inanellato , Flagella il sen. Sulla cerulea Conchiglia siede , Ed al suo piede S'imperla il mar. A fac. 182 si da questo cominciamenlo al giudizio di Paride , per significare lo splendore del monte Ida alla presenza delle tre dee : Come il sol pompeggia in cielo Dopo il nembo minaccioso ec. Poesie Estemporanee ,<^3 Ecco alcuni saggi del terzo volume. Nel Pigmalione COSI descrive il cambiamento della statua in donna. Lo scolpito simulacro Rosseggiare in volto miro : Di già volge gli occhi in giro , E ricerca i rai del di. Entro il cria , che ognor s'imbionda , Scberza o aleggia auretta molle ; E lo increspa , ed or l'estolle , Or cader lo lascia in sen. Le purpuree labbra scbiude A un anelito frequente ; Sotto il manto trasparente Vedi un seno ondoleggiar. Lo scultor pende indeciso , In lui il palpito si accrebbe : Or vorrebbe , or non vorrebbe Alla statua avvicinar. E fia ver , dice , che vita Abbia un marmo ,_ o pur l'agogno ? Giusti dei , se quest'è un sogno , Non mi fate risvegliar ! Ma l'amabil simulacro A piegarsi al moto tende ; Le tornite braccia stende , E la mano è scorta al piò. Così pur mal fermo il passo Move il vago fanciulletto , Quando chiama al conscio petto Chi lo crebbe e lo nudrì. Stende allor l'amante cupido La sua man , di tema in alto ; Sente dar tatto per tatto , E calore per calor. C)U Letteratura L'irapria sasso, oi' casta vergine , Di pudor le gole lioge ce. A fac. 105 cosi cìescrivesi Endimione : Sparso Ila il volto del ridente Fior di fresca giovenliì. Come liscia ala di corbo Egli ha lucidi i capelli , Che contorce in vaghi anelli Della sera il ventiiel. Di bel cinto al fianco il lieve Roseo ammanto tiene stretto : Nudo il braccio , nudo il petto Che par giglio nel candor. Di sudor sparte ha le gote , Che par goccia quando posa Entro il sen di fresca rosa , Sembra gemma al tremolar. Ad alcuni e avviso che nell'italiana poesia non si pos- sa far uso delle parole composte alla maniera de' greci: intorno alla quale opinione io distesi , ora sono alcuni anni , un trattato , col quale mi pareva di dimostrare per via di ragioni e di esempì , che i nostri poeti si posso- no di quelle voci valere , purché lo facciano con parsi- monia e con senno. Al qual mio trattatello ho ragione di voler bene , perchè mi fruttò la benevolenza di quell'au- reo Salvatore i3etti , che della dotta sentenza è caldo sostenitore. A me non par certo da biasimarsi la Bandelti- ni se in uno dei luoghi sopra allegati diede l'aggiunto di occhi -amorose alle Grazie. Del quale aggiunto ella si piacque per modo ( e certo anche a me sa graziosissi- nio ) , che piiì altre volte lo usò. Nel tomo I fac. 144: Ma Ciprigna occhi-amorosa ec. E a fac. 252 : Poesie Estemporanké <;5 L'occhi-amorosa Venere Compagna al buon Lieo ec. Nel tomo terzo , fac. 206 : Piangete , o Grazie Occhi-amorose , Usate a piangere Le belle cose. Ed ivi , a fac. 339 ; Datemi, o Grazie occhi -amorose , A larga mano ligustri candidi , Dipinti anenorai , purpuree rose. Descrivendo a fac. 102 del tomo primo Tarraatura di Minerva ha , fra gli altri, questo verso : Tremale al fianco il brando oro-lucente. Ivi a fac. 1/|0 così comincia l'ode sopra Pigmaliouc : Di te , Amor , la possa io canto , Bello dio dall'arco aurato , Nume eterno , occhi-bendato , Delle cose produttor : dove la \occ occhi-bendato t^\\x mi garba che l'altra di simile significazione , che è in principio del Ratto di Europa ( t. 2. fac. 55 ) : D'Amor benda-cinto Deh stiamo a vedere L'immenso potere ec. A fac. 15.4 del tomo primo e a fac. 105 del secondo vo- lume, Vulcano vien detto // nume ambizoppo : a fac. 161 del tomo primo si da l'epiteto dì angui-crinite alle Fu* rie , voce usata , fra gli altri , anche dal Parini : a fac. del tomo secondo si legge , farfallette ali-gemmate ; a 96 Letteratura fa e, 53 : L' occhi-verdastre ninfe tiberine. Nel compo- nimento iuUtolato ,, Quali siano gli occhi da più lodar- si pel colore in bella donna „ ha questi versi .- Occhi-glauca e bionda è Venere , Occhi-negra è Giuno argiva , Occhi-azzurra è Palla diva , Bruna gli occhi Eleua fu. JVel tomo secondo a fac. 36 : Il villano i tori aggioga E col pungolo g'ii affretta ; L'occhi-nera forosella Porta l'erbe alla città. Altrove si danno i notissimi epifeti à\ pie -veloce ad Achille, di piè-d" argento a Teli: a fac. i0.5 si dice : La bella diva corre Sovra l'estreme sfere , Il nume onde vedere Armi-fabbricator. Qui la voce armi-fabhrlcator è simile alle voci leggifat- tore e Icggidatore usate da un illustre prosator vivente. Altrove dicesi chiomi-folto un olmo, auro-fregiato il cin- to di Orizia , fosco -erinita una cometa , presto-girei^oli le danze di Diana , scoti-terra e scettri-possente Nettuno, alto-veggente Q lungi -tonante Giove ec. Non tutte le al- legate voci sono di egual leggiadria , lo confesso ; ma niuna mi sembra s\ strani, che debba garrirsi alla nostra poetessa per averla usata ; tanto più ch'ella ha saputo , per valermi d'una maniera del Piedi , consolarle colle cir- costanti convenienze. Perciocché non vi ha quasi paro- la che usata a luogo e a lem pò non faccia buona figu- ra. Per esempio la voce ascia invece di usci , plurale di uscio , usata da Albertano, dal volgarizzatore dalle [_ vite de' padri , e da altri antichi , ha oggi , cosi da se. Poesie EstEMPORANKu 97 della stranezza. Ma vedete come il Segneri (cui certo niim modo insolito e strano può rimproverarsi) abbia sapu- to per opportuna collocazione aggentilirla nel cristiano isfruito, P. 3. R. 5. §. 13 : Sì disserra dunque il cie- lo per noi , dilettissimi^ felicemente nel punto del no- stro battesimo, e quelle uscia di diamante che non pos- sono mai spezzarsi da verun maglio^ volontariamente si arrendono e si aprono per accogliere splancate un anima fedele finche si mantenga innocente, o riacqui- sti almeno colla penitenza il sue ben perduto. U(\\le an- che la voce verha per parola clie grazia acquisti nel se- condo dei seguenti versi dell'autico poema della Passio- ne st. 209: Quand'ella riguardò la piaga acerba , Indietro cadde senza dir più verba. Ma torniamo alla Baudettini. Ella seppe eziandio forma- re alcune parole nuove, per quanto parmi, felicemente. Non porrò fra queste il verbo ondoleggiare, dianzi ve- duto , perchè sebbene manchi ai vocabolari, fu sino dal quattrocento usato nella medesima significazione dal sopra nominato Andrea de Basso. Mala nostra poe- tessa, parlando di Polifemo, disse ( t. 1 fac. i91 ) : Sovra il monte egli ìsoleggla , E rassembra un alto monte : Ha un sol occhio nella fronte , E lo sdegno vi passeggia. Qui b nuovo il verbo (soleggiare, che meritò con que- sto esemplo di essere registrato dall'Alberti nel suo di- zionario, e indi trasfuso nel vocabolario di Padova. A fac. 242 si dice del giglio che arborcggia sulla sommessa ple- be degli altri fiori: la qual voce è, per quanto io sappia, G.4.T.XLIX 7 93 Letteratura nuova, e parmi bella e spiegante. La trovo ripetuta an- che nel tomo terzo , fac. 2^9 : Non lungi un giglio, qual re nella reggia. Fra' fior dimessi superbo arboreggia. Credo pur nuovo il verbo colmeggiare in questo- verso ( t. 1. fac. 284 ): li mar s'abbassa , ornai colmeggia il lido, che parmi voce bonissiraa* E poco dipoi : Alla foga, al fragor quadrupedante Del rapido destrier ec. dove è con bell'audacia trasportato all'italiano il quadra- pendente sonitii di Virgilio ( Aen. Vili. 596 ). Anche nel tomo terzo , fac. 27 disse : Ma i corridori , come loro innante Lungo lungo apparisse immane spettro, Addoppiano il fragor quadrupedante ec. Sembrami cosi di aver dato sufficiente contezza di queste poesie. Io le ho lodate, e spero che l'amore che ho per l'illustre donna, sì per la patria comune e si per la parti- colare benevolenza di che ella mi è cortese, non mi ab- bia fatto velo al giudizio. Preveggo nondimeno che tutti non vorranno tenere con me. Primieramente oggi molti ' araario una maniera di poesia tutta insolila, artificiata , e difficile per modo, che anco i piiì istruiti penano a in- tenderla. Non vuoisi quasi parola che non esca del con- sueto : certi modi non comuni , che i classici adoperano radissimamente, soti oggi usati , o a dir meglio , abusa- PoES!!! Estemporanee 99 ti per forma , clie se ne veggono tessuti pres<5ocliè gl'in- tieri componimenti. Per giunta, a ogni [)iè sospinto t'in- contri in latinismi anco i piii strani. Le similitudini sono tratte da certe n ovelle fonti , che il pm delle volte sei coslretlo di me tterti in vane speculazioni per raccapez- zarne il senso : sono poi cosi affastellale, die tengo nti in una distrazione contìnua. Pare che oggi la poesia non sia più fatta per dilettare, o per istruir dilettando , ma per affaticare le umane menti. Certo questa non e la via che fu battuta da que' valenti , che fecero si gloriosa l'i- taliana poesia. Quanto sono piani , e , dirò cosi, alla ma- no i Petrarchi, i Poliziani, gli Ariosti, i Tassi ! Lo sles- so Dante, che pure è il piiì difficile de' poeti nostri , e che di ben cinque secoli è antico, è un'agevolezza a pet- to di alcuni odierni verse£rsiatori. A costoro certamente oc? non può ire molto a sangue la maniera della Bandetlini, tutta lucida , tutta spontanea, senz'ombra di leziosaggi- ne e di stravaganza. Ma il non piacere a costoro è una lode. So che altri non hanno fatto certa buona cera a queste poesie , perchè alcune di esse cantano Pane e Siringa^ la Caciaia di Fetonte, Arianna abbandona- ta e il Giudizio di Paride-, soggetti di poca o niu- na importanza . Ma poche sono poesie si fatte in que- sti volumi, verso di quelle che trattano argomenti pre- si o dalla storia o dalla filosofia , Poi, che è questo confondere la natura degli argomenti col merito del poeta? Anacreonte cantor degli amori non fu manco stimato di Pindaro cantor degli eroi . Orazio non è raeno grande quando sospira per Lalagc e per Glicc- ra , che quando celebra le geste di Augusto e di Lol- lio. Le canzoni del Petrarca sugli occhi drllu sua don- na e sulle acque di Sorga , non sono avute (a dir po- co ) in minor conto di quelle sull' Italia e a Cola di liieuio . j>foa è T indole dell' argomento che fa il pre- r * ^00 Letteratura gio del poela , ma la maniera del trattarlo. Cosi , per uscire dai termini della poesia , Canova quando scol- pi Venere, Ebe, Terpsicore , Teseo , Ajace ed altri personaggi della favola , non fu avuto in meno onore di quando ci diede i monumenti del Ganganelli e del Rezzoriico , le Maddalena , le statue di principi e di capitani ed altrettali sue opere ; perclib in tutte si mo- strò Canova . E la Bandettini in tutte le cose sue è sempre , più o meno , la Bandettini . Altri forse non porterà diritto giudizio di queste poesie, perchè farassi a considerarle non come poesie improvvise, ma come poesie scritte pensatamente , Chi facesse di questa guisa , sarebbe in qualche modo co- me colui, che guardando dappresso certe pitture e scul- ture che sono fatte per istare in luoghi alti e lonta- ni , avesse la strana pretensione di trovarle con for- me regolari e perfette, siccome quelle che fatte sono per esser vedute sott' occhio - Le poesie estemporanee voglionsi giudicare come poesie estemporanee , e non come poesie meditate. Cosi giudicandole, non dark no- ia se tutto non sark detto col medesimo garbo , se tut- to uoii andrà a filo , se ogni concetto , ogni vocabo- lo , ogni costruito non sarà, dirò così, pesato nella bilancia dell' orafo . Se Dante , se l'Ariosto, che pure scrissero pensatamente , erano dal Tasso avij^li nel nu- mero di coloro che si lasciano , com' egli dice , ca- der le brache (1) ; vorremo noi guardarla nel sottile cogl' improvvisatori ? Non dovremmo invece prendere maraviglia , che eglino, cosi extempore, valgano a su- perare non poche delle difficolta che sempre accompa- gnano l'arte del poetare , ed escano a quando a quan- do in cose belle , e si levino talvolta a certi voli , de' quali si onorerebbe qualunque scriva anco nella (i) Leu. Poel. VII. Poesie Estemporanee 101 quiete del sub scrittoio? Si veggano i luoghi della no- stra Amarìlli , che sopra ho allegato : si vedano i tan- ti e tanti altri che simili o piij belli sono in questi volumi : si considerino senza preoccupazione : si pen- si che essa li diede fuora estemporaneamente ; e poi , se basta 1' animo , non si ammiri . Altri da ultimo faranno per avventura fredda ac- coglienza a questi versi , perchè oggi da molti è avu- ta a vile e in disjietto 1' arte dell' improvvisare. Che non si pregino i cattivi improvvisatori , l'intendo an- ch'io ; ma che a tutti indistintamente gl'improvvi- satori, anche ai buoni, voglia farsi mal viso, non mi entra . Ma che vantaggio , si domanda , viene dal- l' arte dell' improvvisare? Io rispondo , che quella uti- lità che può venire dal poetar meditato , non veggo perchè venire non possa dal poetare improvviso . Non può questo, come quello , celebrare le belle azioni, maledire alle azioni majyage , inspirare 1' amore della virtù , e mettere in disprezzo e in odio il vizio? An- zi a me pare che, segnatamente in alcune occasioni, possa meglio a ciò servire un vivo e inaspettato ira- peto di canto improvviso, che la lettura di medita- ti versi . Ma offizio della poesia non è solo il gio- vare, ma anco il dilettare. E diletto, non ordina- rio diletto , è r udire un uomo che su due pie- di t' impronta una quantità di versi intorno a qual- sivoglia argomento , e ti caccia fuori un tesoro di no- tìzie , di concetti e di modi , che aveva in serbo nel- la memoria , e ti crea in un tratto belle immagini e fantasie , e lotta continuamente colte difficoltà, e sa trionfarne ; e talvolta giugne a far cosi bene , quan- to altri appena farebbe con tutto l'agio . Ne ciò re- ca diletto agi' imperiti soltanto e agli sciocchi , ma eziandio agli uomini dotati di senno e di dottrina. Lascerò quello che leggesi d' un Beiaaido Accolti , 102 Letteratura d' un Pamfilo .''■assi, de due Brandolini , d'un Giam- maria Filelfo , d' un Silvio Antoniano , d' uu hui^'i Alamanni, d'un Giambattista Strozzi, e di parecchi altri cbe , improvvisando , formarono la maraviglia e la delizia degli uomini anche assennati e dotti . Ma la nostra Baudottini non si mento la stima , l'amrai- mirazione e le lodi da' \y'\h grandi uomini de' suoi giorni ? Valga per tutti uu Alfieri , cui s\ pochi della lunga e gloriosa schiera degli italiani poeti andavano a genio , e che della poesia estemporanea era fiero ne- mico . Udi quello schivo la Bandettini, e quasi gli par- ve delle cose di paradiso ; e da mille affetti acceso e agitato proruppe in questo sonetto ; Ed io pur , ancorché de' fervidi anni Semispenta languisca in me la foga , Io pur la lira , ond' allo cor si sfoga , Chieggo , e fremendo sciolgo all'aria i vanni ? Quali in me si adoprar magici inganni ? Chi tal poter sul canto mio si arroga ? Donna, il cui carme gli animi soggioga. Rimar mi fa , benché tai rime io danni . Ma immaginoso poetar robusto. Pregno d' affetti tanti odo da lei Scaturirne irapiovviso e in un venusto ; Ch' or di splendida palma i' mi terrei Pe' suoi versi impensati andarne onusto. Pili che mai speri da' pensati miei. Cosa strana è pertanto , che in un tempo in che si ingordamente vassi in busca di diletti , e in soddisfa- zion dei diletti profondesi tanto , che nulla o poco ri- mane per le cose utili e necessarie , e quasi onori di- vini si danno a chi ci diletta con trilli e gorgheggi ; si faccia guerra all' arte dell' improvvisare , che pure è feconda d' un innocente e nobil diletto . Ma essa di più è da teucre in pregio , e da aou lasciarlasi per- PoESiK Estemporanee 103 dere , perchè mostra la prontezza degl' italiani inge- gni , e la dovizia e arrendevolezza della nostra lin- gua . E ben sei conoscono gli stranieri , che pure que- sta dote e' invidiano , ed anco non ha guari tentarono di menomarcene il merito coll'accomunarlo ai latini (1). > (i) Raonl-Rocliette , Recherches sur V improcisation poet'ique chez les romains, confutato dal Luccliesini iu un suo discorso accademico , Opere , t. 2. fac. 69-98. Mi piace di recar qui la parte finale di questa confutazione. ,, A tut- ,, ti gli argomenti ho risposto dell'accademico francese, e pai*- „ mi non senza frutto , ma certamente senza sforzo d'inge- ,, gno , e senza quelli artifizi o inavvertenze, di che piena ,, è la Sua diceria . A lui però non h.ista d'aver trovata, ,, a suo credere , ampiamente diffusa in ogni età presso i ,, latini 1' arte dell' improvvisare , ma sulla fine dubita non ,, forse talvolta gì' improvvisatori moderni nei loro canti ,, inseriscano parecchi versi composti prima con agio. Io ,, credo innocente ancor questo dubbio; ma sono alcuni ,, invidiosi d' ogni gloria italiana , e di questa massima- ,, mente che è tutta nostra , i quali accoglieranno avida- „ mente quel dubbio , e lo diranno certezza , e ciò cÀe ,, per lui si dice d' alcuni , lo diranno di tutti . Molto po- ,, trai dire se i nostri poeti estemporanei volessi difendere ,, da questa accusa, e non reputassi più giusta d' abbando- ,, narla a quel disprezzo che le si dee . Potrei citare le ,, difficili prove cui sovente si vedono sottopssli ; ma io le „ tacerò , tranne solo una , che non so trattenermi dal r;im- „ montarla . Questa è il cantare più volte dinanzi alle per- ,, sona medesime il medesimo argomento: di che non so ,, se altra più scabrosa possa proporsi , e più acconcia a ,, vincere quell'accusa. Imperciocché abbia pure il poeta grau ,, numero di versi per argomento che può toccargli in sorte , ,, e in ogni argomento per diversi metri, e sia di così prodigio- „ sa memoria che possa adagiarli ai luoghi ricliiesli. Non sarà „ però apparecchiato a tratture più e diverse volte lo stesso ar- 104 f-JETTERATIJRA Resti dunque fermo , che degl' improvvisatori è da far caso , quando siano valenti. E che valente fosse la Ban- dottini , ce ne fanno testimonianza queste poesie , le quali se noi ragguardere mo come improvvise , non sa- premo abbastanza ammirarle ; e che per altra parte pos- sono somministrare una buona suppellettile di modi belli e originali a chi sappia farne suo prò (1) . Luigi Fornaciari ,, gomento 'iinanzi agli uditori ai quali bisogna mutare con- ,, dotta e versi. A questa prova soggiacque la nostra accade- „ mica signora Teresa Bandeltini , chiamata col nome arcadi- ,, dico d'Amarilli. Sua maestà la defunta regina Maria Luisa, ,, nostra augusta sovrana di sempre gloriosa e sempre acerba ,, ricordanza, piacevasi d'ascoltare sovente la nostra improv- ,, visatrice, e le faceva plauso. Ora le avvenne alcuna volta di ,, sottoporla alla difficile prova che ho già delta , ordinan- „ doie ^di cantar di nuovo sopra alcun argomento già trat- ,, tato : il che facevasi da lei tosto, non senza meraviglia ,, de' reali principi che vi erano presenti . Ma cimento ,, oltre modo più arduo sostenne prima In lìoma , dove per „ ben otto volte l'argomento medesimo le fu proposto, ed ,, ella sempre il trattò con nuovi modi e in nuovo aspetto. j, Ma lasciamo star questa : che l'incomparabile donna è qui ,, presente , e per la sua modestia certo le duole di sentir ri- ,, cordare le sue glorie. Solo ci basti il dire che la moderna ,, Italia ha valorosi e veri improvvisatori , e che i [latini non ,, li ebbero , o almeno a dimostrar cheli avessero, non ci si ,, reca alcuna bastevole testimonianza. " (i) Per dare un pieno ragguaglio di questi tre volumi di poesie, sarcbbt rimasto a dire di alcuni versi pensati , che si leggono in fine del terzo volume. Ma me ne sono passato per non prolungare di più il mio discorso. D'altra parte sarà facile argomentare il pregio delle poesie pensate da cièche ho detto delle improvvise. 105 RIVISTA DI ALCUNE RECENTI OPKRE ITALIANE d'arCHBOLOGIA I. Di alcune opere epigrafiche del prof. Raimon- do Guarini . J-1 nome di Raimondo Guarini suona assai chiaro fra quelli che nella bella Partenope danno opera allo stu- dio della veneranda antichità i Avendoci egli regalato di alcune operette da poco tempo per lui pubblicate, crediamo far cosa grata ai cortesi nostri lettori, dan- done un sunto conciso : e questo desideriamo che fac- cia air A. illustre pubblica testimonianza di quella sti- ma che sinceramente nutriamo per lui , e di quel pre- gio in che teniamo le sue dotte elucubrazioni , \ . AlGimi suggelli antichi spiegati da Raimondo Guarini. - Napoli nella tipografia della società filo- matica 183 j, in 8** di facce 100. 2. Appendice de' suggelli . - Senza alcuna data - in 8" di facce 20. Divide il N. A, questo suo lavoro in undici pa- ragrafi . Dice nel primo della etimologia e significato della voce sugellum. Nel secondo dell' oggetto , origi- ne , e distinzione generale de' sigilli; notando che egli intende trattare di quelli , i quali adoperavansi per marcare gli oggetti con un segno dominicale; non de- gli altri de'tempi più bassi, de'quali lungamente scris- se il fiorentino Manni . Passa nel terzo paragrafo a discorrere della materia de' sigilli scritti; per lo più in pietra , o in metallo; e nella quasi generalità scul- 106 L e T T B U A T U R A ti a rovescio , affinchè impressi che fossero , potesse- ro leggersi a diritto . Poi scrive delle forme di tali sigilli ; e da alcune regole per leggerli a dovere ; le quali stanno precipuamente nella cognizione dell'ono- niastlco romano , e in'I sapere facilmente sciogliere i nessi delle lettere . 11 quinto paragrafo è destinato ad acrcnnare il meccanismo di tali sigilli, per lo più for- iiiii di un manubrio. Dal modo ordinario si diparte uno eclauese cilindrico, che l'A. eh. descrive coti molta esattezza . Tratta nel sesto di quelli a pianta di piede , ossia di solca : ed ai tre che ne conob- bero gli ercolan^si , ne aggiunge altri quattordici . Dei sigilli di a'ire forme singolari e strane , e dei raddoppiati discorre nel paragrafo settimo , riportan- done Sedici . Il paragrafo seguente racchiude le leg- gende di centosei sigilli di forme più comuni : altri trentasei ( comprese alcune gemme scritte ) sono ripor- tati nel nono ; ma son essi o monchi , o di dubbia lezione : e nel decimo spiega uu sigillo interessante, che ricorda un Afio attore di Trasea Prisco . L' A. N. va immaginando che questo Trasea potè esser le- gato in parentela col celebre Trasea Peto fatto uc- cidere da Nerone , e col di lui genero Elvidio Pri- sco. A noi sembra che tale opinione non abbia un buon fondamento ; perchè ricordiamo che la somiglian- za de' nomi trasse già in errore più d' uno : e con- verrà , lo speriamo , con noi il eh. Guarini , se ri- fletterà che in diversi tempi e luoghi poteron vi- vere diversi Trasea^ diversi P risei ^ senza che fos- sero menomamente legati in parentela fra loro -. Del resto non dispiacerà al sig. Guariui leggere il bel comentario De Thrasea Paeto ejusque genero HeU vidio Prisco^ che sin dall'anno 1823 ne ebbe pub- blicato il eh. Mecenate . Sono nel paragrafo unde- cimo alcune inedite iscrizioni ; delle quali dire- Archeologia IOT ino in seguito ; notando qui , che nelT appendice si hanno altrai 27 sigilli . Per tal modo tutti i pub- blicati dal sig. Guarini in questo lavoro giungono al numero di duecento ventisette . E' ben lungi però tale- raccolta dal potersi di- re completa; e T A. eh. lo vide, e replicate vol- le lo dichiarò. Sembra anzi rilevarsi da alcuue sue espressioni , che per bassa invidia gli fosse impedito poter consultare un museo , che molto avrebbe pre- stato ad ampliare questo suo studio . Se noi azzar- diamo asserire che quel museo fu il reale borboni- co, crediamo non andar lungi dal vero: ed eccone la ragione . Ognun sa che il veliterno museo bor- giano , son già oltre quattro lustri , passò per com- pra noi reale borbonico . Avendo noi alle mani al- cune schede di Ignazio Maria Raponi , altre di Fi- lippo Aurelio Visconti , i quali trascrissero i monu- menti letterati del borgiano museo ^ ne facemmo per la parte de' sigilli un parziale confronto con questo lavoro del Guarini ; e mentre molti ne vedemmo ri- cordati, altri li cercammo invano. Pure non v' ha dub- bio che debbano essi esistere nel museo borbonico : e perchè possa verificarlo facilmente chi tiene in custo- dia quella nobilissima collezione, vogliamo qui ripor- tarne alcuni, come per giunta al lavoro del eh. Guarini. I. TI. Cr.A. 2. SEX. TAL. 3. M. SEMPa. ^ M. ARMENI . IVLIANI SATRON CINC SENILIS 5. AlL. SO 6. N. CPl. HEP. 7. Q. G. L. B. 8. MEGES. 9. GAVDEAS IO. FELIX Gli ultimi due sono in forma di piede. Dicemmo che l' intera raccolta borgiana passò nel museo borbonico . Or non sappiamo come sia avvenu- to, che alcuni sigilli già borgiani, siano ora in tut- to altro luogo, fuori che nel borbonico museo : della quale asserzione ci sono fondamento le schede ricorda- te. In esse vediamo trascritti come borgiaoi i sigilli. 408 Letteratura che il eh. Guarini da alle facce 49. N. 29, 71. N. 12, 74. N. 19 come esistenti nel museo Sangiorgio ; e gli altri alla faccia 63. N. 83, 84 che dice in proprietà del sig. Tuzio . E terminarerao lo scrivere de' sigilli, notando che in quest' opera del Guarini sembrano du- plicatamente editi quelli alle facce 40. N. 6, 69. N. i3, appendice N. 18 ; i quali erano già alla facce 35 N. 5 il primo , il secondo alla faccia 67 N. 98, alla faccia 42. N. 7 il terzo . NelTundecimo paragrafo sono pubblicate 17 nuo- ve antiche iscrizioni . Fra esse ne ricordiamo una de- dicata alle ninfe ; e l' altra di P. Celidio THERMA- RVM . PVB. CVSTOS ; ed una figulina di un tal An- caranio OPVS . SVRVKTA , che 1' A. eh. vuol deri- vare dal greco i7-j^iy<.Ta.'; fistidator , e leggere opus su- riiktarium per /Istillare, cioè di tubi cretacei per acque- dotti . Anche vogliamo ricordare tre lapidi sepolcra- li spettanti a persone addette alla milizia di mare : una di queste ricorda la quadrireme F'enere , la qua- le dovrà aggiungersi all' elenco che noi stessi ne pro- ducemmo da poco tempo in istarapa nell'opera intorno i Diplomi imperiali a favore de militari ; quella pe- rò che fa menzione della trireme Fede era stata già pubblicata dal Vernazza ( Diploma di Adr. p. 22 ) 3. Varii monumenti con critiche osservazioni di R. Guarini . Napoli, dai torchi di Raffaele Miranda «835, in 8° di facce 64. Il N. A. dopo aver accennato il ritrovamento nel territorio eclanese di tre vasi vinarj di straordinaria grandezza ; e di una statua loricata acefala nel terri- torio delle Grotte : pubblica dodici interessanti iscri- zioni antiche , divise in tre paragrafi . Nel primo ve ne ha tre delle sacre : in una , un evocato di Augu- ArcbSoloGia. ' ^"-^ sto DIVINO MONITV restaura un' edicola di Giove Conservatore , e gli consacra una statuetta con la sua base. La seconda è un cippo sacro a Silvano; il mar- mo assai corroso fu difficilissimo a Irascriveie , e po- che lettere presentarono certezza di lezione . Diman- diamo scusa al sig. Guarini ise non possiamo seco lui convenire nel credere che in esso si faccia menzione dei consoli dell' an. 253 d»!!' E. V; perchè se essi sono C. Brazzio Presente e Giunio Rufino , com'egli ebbe supplito , questi non possono in modo alcuno ri- portarsi ai tempi dell' imp. Gallo ricordato nel mar- mo ; avendo eglino ten uti i fasci cento anni prima , cioè nell'an. 153. Il terzo marmo, pur esso sacro a Sil- vano, supera assai in pregio gli altri; e giustamente il sig. Guarini ne scrive a lungo , cosi intorno il luo- go in cui fu rinvenuto, che è l'antico Ojjido nel San- nio Irpino ; cosi sulf ortografia; così sul culto, di Sil- vano; così infine esponendo e cementando l'intera leg- genda . Noi crediamo far cosa grata agli amatori de' nostri studi, riportando qui per intero questo; nobilis- simo monumento . SILVANO . SACRVM . VOTO = SVSCEPTO . PRO . SALVIE . DO MITI ANI . AVG. N -= L. DOMITI VS . PHAON. AD . CVLTVM = TVTELAMQVE . ET . SACRIFICIA . IN . OMNE --^ TEMPVS . POSTE- RV . US . QVI . IN . GONLEGIO = SILVANI . HO- DIE . ESSENT . QVIQVE . POSTEA = SVBIS- SENT . FVNDVM . IVNIANVM . ET = LOLLIA- NViVI . ET . PESGENNIANVM . ET = SAVLLIA- NVM . SVOS . CVM . SVIS . VILLIS = FINIJ3VS- QVE . ATTRIBVIT . SANXITOVE . VT = EX . REDITV . EORVM . FVNDORVM . QVI . S. S. KAL. lANVA = IlL lUV'S . FìlBR. DOMITIAE . AVG. N. NATALE . ET = V. KAL. IVLIAS . DEDICA- TANE . SILVANI . ET .XII = KAL. IVLIAS . 110 Lettkratijra ROSALIBVS . ET . IX. K. NOVEMBR . NATA = DOMITIANI . AVG. N. SACRVM . IN . REPRAE- SENTI = FIERET . CONVENIRENTQVE . IL QVI. IN = COLLEGIO . ESSENT . AD . EPVLAN- DVM . CVRA = NTiBVS . SVIS . CVIVSQVE . ANNI . MAGISTRIS . HVK - REI . DOLVM . MA- LVM . ATFVTVRVM . QVOMINVS = EA . QVAE . SCRIPTA . SVNT . FIANT =- MANIFES IVM . EST . CVM . PRO . SALVTE . OPTIMI -= PRIN- CIPIS . ET . DOMINI . N. FVNDI . CONSECRA- TI ^^^ SINT . DIESQVE . SACRIFICIORVM . COM- PREHENSI . PRAETEREA . LOGVS . SIVE . PARS = AGRI . SILVAEQVE . EST . IN . VINA-^ RIO . QVAE . CIPPIS -= POSITIS . CIRCA . SIL- VANVM . DETERMINATA = EST . SILVANO . evi . DET . VIAM . DIVS . AD . SILVANVM = PER . FVNDVMQVE . SIGIA NVM . OMNIBVS . PATEBIT ^ LIGNIS . QVOQVE . ET . EX . FVN- DO . GALLICI ANO == ET . AQVA . SACRIFICIO HAVSTA . ET . DE . ViVARlO =- PROMISCVE . LICEBIT . VTI . HAEC . SIC . DARI = FIERI . PRAESTARI . SINE . DOLO . MALO . IVSSIT = PERMISITQVE . DOMITIVS . PHAON . CVI . OMI- INE . S. LOGVS . FVIT . Pare che il eh. Guarini non ricordasse la celebre is ri- zione gabina illustrata dal Visconti ( Moti. Gal). P. Ili Iscr. I. Tav. XVIll. )i che pur essa ricorda l'auj^usla Domizia, perchè altrimenti uou avrebbe scritto che igno- ravasi il giorno della nascila di quella principessa ; non avrebbe aggiunto che per la prima volta cel dice il marmo da lui spiegato. Ci permetterà ancora il N. A. osservare, che cpiando Svetonio ( In Domit. C.'ò) scrisse che Do- miziano nel secondo suo consolalo ebbe da Doraizia un figliuolo , e r anno dopo la disse augusta , debbesi in- tendere del secondo suo consolato ordinario, che fu Archeologia 1 i ! nell'a. 80 ; quincli bene sta che nell'anno seguente , sa- lito al trono per la morte di Tito , dichiarasse augusta Domizia. Nel secondo paragrafo sono tre munumeoti cesarei ed onorari. Il terzo contiene altre sei iscrizioni ce^ri varie criliclic osservazioni. In un quarto paragrafo di giunta l'A. eh. con lodevole esempio corregge qualche propria opinione altrove esternata: cerca quindi il perchè ne'mo- numenti , trovati in una stessa colonia o municipio, noa si cita sempre la stessa tribi^i : tenta in line restituire un monumento metrico , che il Marini ( Arvali p. 393) ebbe per disperato. Noi ricordiamo avere scritta ad ut» nostro amicissimo una lettera intorno lo stesso marmo ( Giornale enciclopedico di Napoli del 1318, iV. 5. ) ; lettera che segnò il primo nostro passo in questi slu- di di epigrafìa, ne'quall impiegammo poi i nostri anni mi- gliori : ricordiamo pure che il dotto Amati scriveva iti questo giornale dieci anni dopo, che quel monumento aspettava ancora chi lo sapesse leggere; e per ultimo nell'esemplare degli Arvali che fu dell'autore , e che pos- siede in oggi il marchese Luigi Marini, ricordiamo aver letta una nota autogrofa, nella quale si da una diversa lezione, e si dubita quasi che l'iscrizione sia per un ca- vallo. Non vogliamo dilungarci nel notare le molte di- versila che sono in queste varie lezioni: anche meno pre- tendiamo sostener per buona la nostra t solo vogliamo dimandare al eh. Guarini , come mai dalle seguenti let- tere, che nel marmo forman 1' esametro del terzo distico = HlL\CLACIVSSVBlIAMNEUVITENVISQVEGIGA< TRIX = ne abbia egli composto il verso = QVOD NAGTI VITAM NERVI TENVISQVE CIGATRIX ? Noi avevamo letto KING CLAVDVS SVBIT AMNE RVIT TENVISQVE GIGATRIX, cioè hic claiidus su- bii , et accepto ( voce che sta nel seguente pentame- tro ) arnne , riiit tenuis cicatrix ; ed il Marini nelle 112 Letteratura ricordate giunte: Hinc cautus ( o tactas) uhi iam ner- vi tenuisqiie cicatrix : le quali due lezioni avvicinansi assai più , come og nun vede , ai caratteri che sono scrit- ti nel marmo. 4- Lithopolemos , sue historiola abortus commen- tariorum in monumenta litterata musei borbonici . Rajr. Guarini.= Senza alcuna data: in 8." di facce 34- Il reale museo borbonico può vantare a ragione dotti espositori de' moauraentì figurati , I nove volumi in foglio màssimo editi dagli ercolanesi, i dodici vo- lumi in quarto già venuti a luce sotto la direzione del cav. JVicolini , ne fanno lucenlissima prova. Ma i mo- numenti epigrafici non avevano richiamata ancora l'at- tenzione di quelli eruditi : al che guardando l'ercola- nese accademia, stabilì dì pubblicarli con appositi com- mentari ; e questo aveva promesso al pubblico il segre- tario generale dell' accademia nel rapporto dei lavori dell'a. 1833. Dopo molte vicende, che sarebbe lungo no- tare , tutto il lavoro fu affidato al eh. Guarinì. Egli assunse sopra di se peso gravissimo ; com'è quello di confrontare sugli originali ben mille e quattrocento iscrizioni ; trascriverle con la dovuta esattezza ; distri- buirle in apposite classi , ornarle di convenienti com- mentari. E già alcuni fogli dell'opera eran passati aif.i stampa; gik era stesa la prefatione. Voleva però la con- traria fortuna, che una tanta fatica restasse senza effetto. Fa stomaco il leggere in questo libretto quali fossero i motivi , quali i cavilli , per cui tutto fu sospeso. La bassa invidia fu sempre dannosa alla scienza : l'amor proprio di un sol uomo , se egli lo crede leso , basta per far abortire i progetti migliori. Ma in oggi , pas- sato a miglior vita chi fu causa di un tanto danno , vogliamo sperare che l'ercolanese accademia voglia ri- assumere la cosa , e per vantaggio di questi studi man- darla ad esecuzione. Archeologia ] 1 3 5. Valore della cifra SEXS. in un marmo di Pompei : di R. Guarini professore del real collegio medico - cerusico. Napoli presso Raf. Miranda 183G. in 8." di facce 53. E' notissimo il seguente marmo pompeiano =■ N. rOPIDIVS. N. F. CELSINVS = AEDEai. ISIDIS. TERRAEMOTV. GONLAPSAM=A. FVx\DAMENTO P. S . RESTITVIT . HVNG -~= DEGVRI ONES . OB LIBERALITATEM == CVM. ESSET. ANNORVM. SEXS. ORDINI. SVO. ADLEGERVJNT. - Di piana e facile interpretazione , solo la voce SEXS incontrò diversila di pareri . Gredono alcuni che non fosse ab- breviata , ma dovesse spiegarsi sei-^ altri la prolungaro- no in SEXSr/eam, altri in SEXSaginta. Giustamente il N. A. contraddice i primi ed i secondi. Già quel SEXS per sex mancherebbe della ragione del sibilo , non se- guendo una vocale , e non ha esempi certi e sicuri: poi il SEXS per SEXSdecim , oltre l'addotta ragione, non sarebbe un modo giusto di abbreviare , ma dovevasi scri- vere SEXSD o meglio SEXD , per evitare l'equivoco che nascer poteva col sexaginta. Queste ragioni forse potrebbero incontrare una qualche risposta : ma non si risponde a creder nostro alla seguente. Un dovinet- to di sedici anni , e meno ancora un fanciullo di sei , non poteva di suo arbitrio intraprendere, e condurre a fine un' opera di tantì^ spesa, quanta fu il rialzare da'fon- damenli un tempio rovesciato per terremoto. Quindi il N. A. per ragioni epigrafiche e giuridiche legge eoa sicurezza SEXSaginta. Ed in ciò covcniarao con lui , anzi notiamo che non diverso parere tenne Stefano An- tonio Morcelli ( De si. inscr. p. ^/{i^. N. CCCLV) il quale , son già più che undici lustri , quella iscrizio- ne pompeiana degnamente illustrò. Gonveniamo pure che G.A,T.XLIX. 8 114 Letteratura gììadlecti fra i decemviri , come fu il Popicllo del luni- mo pompeiano « non fossero veri decurioni , ma asso- ciati a quell' ordine : nel modo stesso che gli adlecti inter patricios, inter praetorios , inter centumviros ec. e simili , de' qualii marmi antichi ci danno esempi in gran numero. Che se per le giuste osservazioni del sig. Guarini , Popldio fu associato all' ordine dei decurioni pompeiani , non di sci , non di sedici anni , ma sì di sessanta , non perciò manca la epigrafia di altri eserajii di fanciulli onorati del decurionato : ed è tale fra gli al- tri quel C. Cartilio Faustino di un marmo della terra di Pagaoica ne' vestini ( Marini av. p. 89 ) , il quale fu ADLEGTO. IN. ORDINE. DEC. CVM . ESSEr. ANNORVM. mi. In un paragrafo di giunta l'A. eh. riporta 13 iscrizioni pompeiane , di diversi Popidii , spettauti però a diverse famiglie. IL L' Isi etnisca , idoletto trovato fra le mine di Carena al Sasso^ fuori porta Saragozza di Bo- logna , illustrata da Carlo Pancaldi. Bologna pei tipi del Nobili iSSGyinS'^ di facce iG.fig. J_Jo scorso anno nella vallala detta il Sasso , ove vo- gliono fosse Carena , otto miglia lungi da Bologna , fu trovata una statuetta di bronzo , la quale acquistata dal sig. Pancaldi , forma il subietto di questa sua disserta- zione. Alcune lettere, che l'idolelto portava scritte sul petto , vogliono leggersi I icsei , terminazione che se- condo le regole stabilite d;il Lanzi , debbesi prolunga- re in Ixsina , o Ixseia , nome del principio femmi- nino della natura , ricordante la mirionirna Iside , adorala dagli itali antichi sotto nome di Feronia , di Cerere , di Cibale , di fresia , di Dea buona , di P^e- nere Illitla , di Beate oc. Questa congettura vien raf- forzala per la materia , fattura , e parte ornamentale del moaumeuto , e per il luogo ove fu rinvenuto. AuCilEOLOGTA 115 Per la materia , sappiamela Plinio che leslaluet- te etrusche iti bronzo erano sparse per ogni dove , e non v'ha museo in Europa che ne difetti. Per la fattura, facilmente vi riconosce ognuno un'opera primordiale del secondo stile etrusco. Per la parte ornamentale , ha il tiUiclo sulla testa, come altre statuette presso il Mica - li : è coronata di persea, come la Fortuna etrusca : do- dici foglie compongono la corona per ricordare le do- dici lunazioni , ed i segni zodiacali : è vestila dalla te- sta ai piedi, come la f^'enere lllitta-. ed ha il peplo at- taccalo al tutulo che la scende a parte dietro sulle spal- le , come V Iside Athor , la Giunone Feronia ec. Per il luogo dove fu il bronzo rinvenuto , è da notare che ritiene ancora altre memorie ricordanti Feronia. Per le quali considerazioni crede il sig. Pancaldi , che la statuetta sia un lare domestico , rappresentante il ge- nio femmineo di emanazione dell'Iside antichissima sot- to aspello di Feronia , col quale indicar volevano la madre del mondo , la matrice degli esseri , la mante - nilrice deW amore e deW armonia , e forse armonia stes- sa per eccellenza , in una parola un genio della natu- ra universale personificata. La dissertazione , benché senta la influenza di una scuola oltremontana pii^i che italiana, pure è piena di re- condita erudizione. Essa è dedicata al prof. Angelelli, degno successore di monsig. Mezzofanti nella bolognese università. III. Di alcune operette epigrafiche del cav. G. Girolamo Orti da Verona. V^uel genio che presiedette agli studi di Onofrio Panvinio e di Scipione Maffei, protegge ognora la no- bile Verona . Fra i molti che in essa citta si occuna- 8 *i 1i6 Letteratura. no degli studi archeologici , un dei più distinti è senza meno il eh. sig. cav. GIo. Girolamo Orti Manara : da cui avendo noi ricevuti in dono alcuni suoi scritti epi- grafici , secondo l'indole di questi fogli ne daremo qui un sunto conciso. 1 . Gli antichi marmi alla gente Sertoria veronese spettanti , illustrati da Gio. Girolamo Orti ec, Vero^ na , co torchi Libanti 1833. In 8' di facce 73 con una tavola in rame. Quattro sono le lapidi veronesi spettanti alla gen- ie Sertoria , e veggonsi incise nell'unita tavola in ra- me. Intorno la prima , non altro occorre osservare , se non la conferma della tribù Poblilia, alla quale erano ascritti i veronesi . La seconda , già pubblicata da mol- ti, ci presenta la immagine di Q. Sertorio Pesto cea- turione della legione XI Claudia pia fedele: egli ha nel capo la corona civica , indosso la lorica squararaosa or- nala di nove scudetti a rilievo , stringe con la destra la verga , distintivo del suo grado : dalla spalla sinistra gli pende sul braccio la clamide , calza le ociee. Il eh. Orti prende da questo marmo occasione di distendere la storia , direm così , della legione undecima , e ripor- ta poi l'elenco di tutti i marmi a lui cogniti, che la ri- cordano. Da esso elenco ci sembra che manchino i legati P. Cornelio Dolabella, M. Claudio Frontone, e M. Anneo Saturnino, ed alcuni tribuni , de' quali il tempo ci in- vidiò il nome : de' quali nui producemmo in istaropa da poco tempo le prove , desumendole dagli antichi marmi scritti ( Diplomi imperiali p, 306 ) : come man- ca la indicazione delle legione XI Lanciaria che si ha in una lapida pubblicata dal Marini ( Arcali p. 630 ). La ter^a iscrizione veronese della gente Sertoria ri- corda un L. Sertorio Firmo signifero ed aquilifero Archeologia 117 della stessa lezione XI. Claudia pia fedele , rappresen- tato pur esso a basso rilievo : ha la testa scoperta , la squararaosa lorica , stringe con la sinistra il parazonio appeso al balte o , con la destra l'aquila legionaria , ed ha i calcei nei piedi. Dopo averne il s'ìg. Orti illustra- ta al suo solito la leggenda e gli abiti militari , dal luogo del ritroveraento , che fu Colognola, prende mo- tivo a riportare tutte le iscrizioni colognolesi a lui co- gnite, dividendole in sei classi. Sono in tutto ventotto , e sol una sepolcrale era inedita . E perchè l' aquilifero Sertorio aveva in consorte una Domizia Prisca , il N. A. aggiunge altri sette marmi della gente Domizia verone- se, e ne di infine uno stemma, che al nostro corto vede- re non par molto concludente. 11 quarto marmo, già co- gnito per le opere di Maffei e di altri piìi , ricorda un G. Sertorio Festa flamine del sole e della luna . Fu tro- vato neir antico pago degli arusnati , dove pure non è molto furon rinvenuti altri nove frammenti scritti , che il eh. Orti riporta : e termina il suo lavoro con ricorda- re una tegola del museo Lazise in Verona , nella quale si legge SERTORIVS. Noi lo preghiamo ad osservare, che facilmente il numero delle iscrizioni veronesi della gente Sertoria poteva aumentarsi, adducendo quella che il Maffei pubblicò nel suo Mus. Ver. p. CLX. 5. Que- sto libretto venne dall'illustre autore indritto al dottor Gio. Labus , che vìen detto a tutta ragione uno dei prin- cipi degli italiani antiquari, 2. Antica lapide inedita illustrala da Gio. Giro- lamo Orti ec. Verona : presso Libanti 1834 in 8" di facce 35. L'A. eh., sempre intento a cercare antichi monu- menti , tre lapidi trovò l'a. 1832 nella valle di Mez- zane distretto Ji Illasi : una dedicala a Giove , una se- 118 Letteratura polcrale : sulla terza si agi^ir.i questa illustrazione. Es* sa è del seguente tenore ~ SILVANO. FEL = P. FA- LERIVS --: TROi^HIMVS = VENATOR = ORNA- MENTIS -- DECVRIONAB.= il sig. Orti, dopo ame scritto di Silvano e de' suoi titoli ( fra i quali gli par nuovo quello di felice ) , e delia gente Falena , pili a lungo si ferma sulla voce VENATOR : e licordato dapprima , come la caccia fosse ognora il più caro di- letto dei popoli , e valesse a tener desto in essi il belli- co ardore , ed osservato che dalla càccia ne derivò la passione pei giuochi circensi e per gli anfiteatrali , fa poi una lri[)lictì dislinz,!oi!e di ca cciatorì : quelli cioè destinati a combattere le fiere ne' pubblici spettacoli , i mercenari impiegati ad imprigionare le fiere , e quelli che usavano la caccia per divertimento. Quindi ricor- da tre classi di antichi marmi scritti : include nella pri- ma quelli che ricordano il collegio de' cacciatori, e non son pili di due : riporta nella seconda quattro marmi che fan menzione di cacciatori: uno nella terza di un soldato che per divertimento si era dato alla caccia . Niuno di questi ci giunge nuovo , anzi crediamo che quello della terza classe non faccia menzione alcuna di cacciatore , perchè la parola VENATORIS è il cognome del centu- rione sotto cui militava il pretoriano M. Aurelio Muoia- no, cui questa epigrafe si riferisce {F- Smezio p. 88. 8). Fa poi ilsig. Orti una doppia distinzione delle cacce rappresentante ne' monumenti , de' quali ne ricorda non pochi , ed altri più non difficilmente se ne potrebbero aggiungere : alcune pubbliche cioè , altre private. Scri- ve in fine degli ornamenti decurionali, de' quali fa pompa P. Valerio Trofiino: e perchè egli stesso in altro marmo veronese ( Maffei p. 86. 3 ) vien detto RESTITVTOR B.eipublicae VEÌÌonensis , giustamente opina il N. A. che tali ornamenti fossero a lui conceduti in premio dell' aver ritornata la patria alle istituzioni primiere. Archeologia 119 3. Di alcune antichità di Garda e di Bardolino , delV antica Arilica , del suo collegio de nocchieri , ed in occasione di esso di altri collegi di simil genere^ me- moria di Gio. G. Orti ec. t^erona : poligrafìa Antonel- li 1836 in 8" di facce 38 , con 2 tavole in rame. fn tre capitoli è divisa questa memoria del sig. Or- ti. Ne! prJQio scrive di Garazioni? che cosa In quercia ha che fare con l'acqua.? Ma il eh. Orti è sicuro clie il monumento sia antico ? e se antico , è sicuro che e corregge il Mattei che male aveva dato un marmo de- l'a. 1134 dell'E. V. Non piacérà però agli amatori di questi studi, che egli fra tanti monumenti d'indubbia fe- de abbia frammischiate due lapidi apertamente false ( N. 4 18 ) , eda lui riconosciute per tali : come for- s'anche è falsa quella al N. 3 . Termina questo bel la- voro con la descrizione di un capitello corintio , che insieme a sei lapidi , e alla ricordata Venere anadiorae- ue , vedesi inciso nella Tav. IX. IV. Sopra urC antica lapida inedita scoperta in Giulio Carnico capitale della colonia Forogiu- lio , lettera del Conte Girolamo Jsquini al doti. Gio. Labus . Milano , dalla ditta Bon- fantl I834. in 8" di facce 14- JLia inedita Iscrizione, intorno la quale si aggira que- sta elegante letterina , è la seguente ••— EX . INOVL- GENTIA = SACliA . DOM- N. INVICTI = IMP. M. AVR. ALEXAND. AVG. = MAGELLVM . RESTI- TVM = CVRANTE . FALERIO . FALERIANO -- Nola l'A. illustre la rarità di essa , perchè ci fa sape- re che in Giulio Carnico era una piazza o mercato (MAGELLVM) destinalo alla vendita di tutti i comme- stibili necessari al vitto umano : rimarca l'autorizzazio- ne ottenuta per restaurarlo dall'imperatore M. Aurelio Alessandro , che questo indica la frase EX INDVL- GENTIA SACRA : e non lascia di osservare che le me- morie della gente Faler'm non sono comuni nell'antica epigrafia. Alle tre lapidi veronesi che egli riporta, non gli dispiaccia aggiungerne due muratoriane ( p. 1355, 1563 ), ed un' altra veronese da poco tempo pubbli- cata dal eh. Orti ( Antica lapide inedita illustrata ec, f^erona 1834. 8° ). Che se tanti esempi noa ci pcrsua- 126 Letteratura dessero che la gente Falena fu senza dubbio in Vero- na e ne' contornì , avremmo quasi amato di leggere VALERIO VALERIANO neirultima riga del marmo : perchè dappoi che Claudio ebbe introdotto nel latino alfabeto il digamma eolico j; , furonvi alcuni che usa- rono la F invece della V (Passerazio, De litter. inter se cognat. p. 69 ) , ed in un marmo d' Inghilterra fra gli altri si ha COH. I. FARDVL per VARDVLoruw» ( Dutens, ExpUcat. de quel, medail. grec.p. ii2). Noi , per il vantaggio della scienza, facciamo fer- vidi voti affinchè sia pubblicata la raccolta intiera del- le iscrizioni carni-forogiuliesi in numero maggiore del- le cento e trenta che il nobile sig. conte Asquini ha comentate e trascritte nella stessa forma e figura degli originali tuttora esistenti , onde poterne eseguire la pubblicazione in litografia. Se a fortuna questi nostri fogli giungono alle mani di lui , Io preghiamo a riflet- tere , che se l'antiquaria ha fatto a' dì nostri tanti e si felici progressi , ciò fusi per la munificenza dei prin- cipi che la incoraggiarono , si per lo stuolo degli erudi- ti che la ridussero a scienza , sì insieme per l'amore che utilmente posero i grandi nel procurare la conservazione di que'monumenti, che ci presentano allo sguardo ì fatti, i detti, i costumi degli antichi popoli. Egli, il sig. con- te , che merita essere ricordato fra i secondi e fra i ter- zi, non deve più oltre defraudare la repul)biica b ttcìa» ria di quanto ha operato per la conservazione e per la il- lustrazione dei monumenti letterati di Giulio Gamico. V. Sopra un antica moneta di Lodi , lettera del prof, yittorio Aldini al i/g. cav. Gio. Tamas~ sia. Faina presso Tasi loòo , iti 8" di facce 20. A bbenchè si conoscesse che Federico Barbarossa ^ dopo avere distrutta Milano , colmasse de' privilegi lol- Archeologia ^27 li a quella repubblica la citta di Lodi ed altre a lui fedeli , pure seaibrava clic mancato fosse a Lodi quel- Jo di batter propria moneta , si perchè ninna ancora ad essa spettante ne era tornata a luce , si perchè nelle carte de'hassi tempi mai non si faceva menzione di mone- te lodigiane. Ma questi argomenti non potevano reggere rimpetto alla testimonianza di un celebre scrittore del secolo XV, Tristano Calco: il quale nella sua storia mi- lanese ebbe scritto, come l' iraperator Federico nel 1239 Laudetn reversus , iits ciulendae monetae civitati ipsae concessit , L' asserzione dello storico viene ora conva- lidata dal fatto ; perchè il eh. sig. professor Aldini tro- vò in Brescia una moneta autonoma di Lodi in argen- to , avente dall'una parte nel giro le parole IMPERA- TOR F. piecedute da una croce , e nel mezzo SGS. B , dall'altra LAVDENSIS , e nel mezzo una croce equila- tera. La F. debbesi senza dubbio interpretare Federi- cus , come le altre lettere SCS. B. Sanctus Bassianus protettore principale di Lodi. Quanto alla voce LAV- DENSIS può egualmente riferirsi al santo e sottointen- dersi civitas 0 moneta'.mdi al sig. Aldini piace più riferirla a Federico, e credere che i lodigiani intendessero ono- rare r imperatore con quel patronimico . Del che si ha altro esempio in una moneta di Como , nella quale Federico II imperatore dicesi per riconoscenza di quel- la citta Cumanus io luogo di Comensis. Chiude poi l'a. questa lettera con alcune osservazioni intorno al nome soldo , e valore spendereccio di questa nuova moneta: e benché questo lavoro sia molto breve , pur facilmen- te conosce ognuno che è parto dì un maestro in tali studi. C. C. 128 INTORNO i; ESILIO DI DANTE Canto di Francesco Papalini . Jl chiarissimo professore Salvatore Betti^ Serafino d'Altemps. V^ualunque italiano , che abbia caldo ranimo di vero amor per la patria , non dee fluir giammai di pro- mulgare quel grande onore , che le deriva dal mi" glior lume de poeti : e però si reputa veramente italia- no ed eletto studio quello durato nella divina comme- dia , dove ritrovasi la più sublime estetica della patria letteratura: ed informarsi di quello stile è come un ve- stirsi di un raggio del sole. Questo fu sempre il degno e forte pensiero eloquentemente da voi tante volte ma- nifestato , e questo il chiovo da voi così spesso riba- dito : ed io vedo nell' inondamento di quisquilie poe- tiche , e nelle dispute continue di avversi stili , che quale romantico appellano e quale classico , per nul- la connettendosi i rapporti, e scambiandosi vitupere- voli ed effervescenti villanie, vedo i soli imitatori dell' infallibile maestro andar salvi e famosi nel processo del- le italiane lettere . Io gli ho per simili a quella poe- tica fonte di Aretusa , che limpide sompre nel mare si- ciliano conserva le acque . Così fra' pochi giovani, che sanno, e che mantengono in molto onore l'Italia nostra, io debbo per mio giudizio annumerare Francesco Papali- ni: imperocché non si stanca egli di dare opera allo stu- dio del beato trecento , e sequestrandosi dalla schiera de'nuovi corrompitori, tutto pone l'ardente animo a con- eigliarsi e giovarsi di colui. Che sovra gU altri come aquila vola. Canto del Papalini i29 E , per ciò che a me pare , posso ben lodar- lo di quella unita, che sola opera alla vera forbiezza dello siile. Ove perviene l'ini^ordigia di quelli, che van ricercando in più dissidiosi volumi , e che pel detto di Lucrezio Floriferis ut apes in saltihus omnia libant ? A scurrilità senza ragione, a disordine perpetuo. Ed in- fine che ne riesce ? un vestimento da pahduro , un la- voro da tarsia , per usar la frase di Paolo Gusl.i. Erano poco felici quegli attici artisti , che ritraevano il ca- po di Mirone , il braccio di Presitele, il petto di Policleto : felici coloro che studiavano sul Giove di Fidia. Nelle forme platoniche di una inconcussa verità, non fra le azzardose idee per le quali soventi volte sfog- gia la corrotta esagerazione , è l'ordine letterario e ci- vile , è la vera applicazione de' simboli poetici: e colla scorta di questo dantesco ed unico studio il Papalini me- desimo ha già forimto un patrimonio di stile niti- do e regolare, non lussuriosamente artificioso, ma tutto composto di verità : cosicché del ricordo di Seneca nel- l'epistola 00 molto bene egli si prevalse: Stude ut non plus aliis scias, sed scias melius. Io potrei riferirvi mol- te cose di lui , che a grado vi tornerebbero , perchè erede voi di quell'affetto , del quale pienissimo era 1' animo del Perticari , con eguale saggezza ed opero- sità instancabile al bene degli studi intendete, a castiga- re di biasimo alcune mende, ad incoraggiare di lode le meritevoli opere :e di vostre lodi sono desidero;! i buo- ni ingegni d'Italia. A prò di quanto vi dico vnlj^aoii un brano di quella cantica, che egli intitolava sili' ff.?///o di Dante, escita co' tipi del Paccasassi, per ce! j!)ta- re le nozze del marchese Pompeo Azzolino da Formo , e della marchesa Emilia Rinuccini da Firenze. Scrisse di Dante, perchè lo sposo pubblicato aveva alcuni pen- sieri poco prima su quel divioio in un libretto auplau- G.A.T.XLIX 0 130 Lettkratura dito in Italia , e caro ad ogni gentile e savia persona, e pere Ile la sposa trovar doveva motivo di compiacenza nell'argomento del suo miglior concittadino. E il bra- no è questo : E dice seguitando la tua pietà , Per cui versa di pianto un largo fiume , E mostra quel che ti potria far lieta. Torna a sudare nel magno volume , A cui la terra e il cielo porrà mano , E sarà de' poeti onore e lume . Esulando così compie V arcano Messagio , a cui quaggiù raandollo Iddio : Ei sarà luce all'intelletto umano. E qual uom , cui fu scemo ogni desio , Tranne l'amore per il dolce loco D'onde infelice e povero partio , Tale egli va pien d'amoroso foco Per questo suol , la cui virtude io veggio ,, Venire a corruzione e durar poco . „ Egli e tra' monti : la romito seggio Ha caritade umana , amor del cielo , Che fugge il fango d'ogni male e peggio. Uom venerando per antico pelo Sta sulla porta , e la rugosa fronte Pare infocata di celeste zelo. E' queto il loco , e soltanto dal monte In fra le querce spira un venticello A cui armonizza il sussurrìo di un fonte. Sosta il poeta anzi il pietoso ostello , E sta sì muto , che sol perchè spira Vivo il credi e non opra di scarpello. II veglio onesto attento lo rimira, E volto ad esso dice : Che richiedi ? Questi : Pace ; risponde , e poi sospira. Canto del PapaUni 131 Quindi ripiglia : Io quassù volsi i piedi Perchè vogìi mandar la mia canzone A quel perchè a sperare ancor mi diedi . Cola tra Feltro e Feltro è sua nazione » Dice ; e un volume della Commedia In fra le mani al veglio santo ei pone . Poscia si volge, e riprendendo via Pietosamente mira all' umil valle U sempre è pugna miseranda e ria : Fraterna pugna , a cui volge le spalle Con infamia ; e se pugni ? Oh di peccati Nelle civiche guerre è pieno il calle ! Ei guarda sospirando : ai dì beati Torna la mente , e i di presenti e tristi Vanno ognor più per esso lagrimati . Ei mira ancora : ma covìen si attristi Maggiormente nell' alma : egli è cruccioso Veggendo per qual via poter si acquisti . E ritorce lo sguardo ; e in se pensoso Di tanto mal che opprime Italia, ei move A Busone , che stanzia il colle ombroso . Se il vestro giudizio acconsente alle mie parole, com* io non dubito, potrò recare questo benefico esera - pio fra coloro , che , invaniti per basso consiglio , i rovesciati e falsi idoli incensano, o che infetti di al- quanta misoponia , confidenti nell' acerbezza del pro- prio ingegno , e rinnovatori di arditi neologismi, vo- gliono emanciparsi presto !a giovane fantasia dal di- vino maestro ; e dirò e ridirò al sig. Papalini : Tanto ti priego più , gentile spirto , Non lasciar la magnanima tua impresa: e dirò e ridirò a voi: Le vostre speranze, o chiarissi 9^ 132 Letteratura sinio Betti , non falliscono ; di questa maniera Dante è pur nel cuore de' buoni. Statevi sano Di Fermo a' 27 di settembre i83G. Alla Provvidenza . Inno di Caterina Franceschi Ferrucci . Oono corsi già sette anni da die questo inno fu da- to alle stampe in Bologna , e poi ristampato in Pesa- ro e altrove. Il eh. professore Giuseppe Ignazio Mon- tanari , nostro egregio collaboratore , allorché ne fece parola ( t. XLV p. 255 ) lo chiamò componimento gentile^ elegante^ sublime ; e ne riferì alcuni versi , i quali neir animo de' nostri lettori ingenerarono deside- rio di averlo tutto intiero ad abbellimento e a decoro di queste carte. Al quale desiderio ho io diliberalo di satisfare, mosso altresì dalla voce del cuor mio, la quale da lungo tempo mi chiede che io abbia a dare pubblica testimonianza del grande onore in che ho l'au- trice dell' inno : donna maravigliosa , che mai non vi- di , ma , non veduta , ebbi cara per le belle sue ope- re , e per la rinomanza che ne acquistò . Veramente può dirsi che niuna altra lei vinca o scrivendo prose o poetando , e che sia da [lorre tra le prime in quel- la bennata schiera di leggiadre donne, a c^« «e/ cwore, com' ella dice , la Provvidenza Pose teneri sensi e pietà vera . Ah voglia la Provvidenza , della quale sì altamente Inno alla Provvidenza 433 Ila ragionato , voglia ridonarla a questa nostra e sua Italia coi cari figliuoletti e col diletto consorte , uo- mo dottissimo delle due lingue italiche , la moderna e l'antica! Questa patria terra è il sospiro di lei, che dopo averne in quest' inno lodate le bellezze, cosi con puro affetto diceva : Ond' io non mai rimiro a questo adorno Bellissimo paese, che non gridi : Tre volte e quattro benedetto il giorno In cui da prima qui la luce io vidi ! Benedetto Colui che tante e rare Meraviglie dispensa in questi lidi ! I voli comuni sì adempieranno : ella non avrà spera- to invano in quella divina Provvidenza , che chiama ministra di ogni dolcezza, E dalla cui bontà largo deriva Ogni conforto tra l'umana gente. Che in lei sperando sua virtìi ravviva . Nella cara terra natale ed ella e il consorte vedranno crescere alla religione , alla virtù , all' amore delle pa- trie leggi la loro dolcissima famigliuola. E che altro può con maggiore forza di affetto desiderare una ma- dre ? E che altri furono i suoi pensieri quando la Provvidenza , or si compie il settimo anno , la fece lieta del primo frutto d' amore? Ella, rivolta al suo Dio, innalzò questo priego in mezzo al pianto dicendo : Deh! volgi al caro figliuoletto mio Ognor pietoso il guardo , e a lui nel core Ginscrv.";. intatto il bel candor natio. 434 Letteratura Senno gì' inspira , e di giustizia amore , De' santi beni tuoi fallo bealo , Donagli pace sino all' ultirn' ore . Deb ! fa' cbe lieto , e di virtute ornato Crescer negli anni e nel saver lo miri ; E a me concedi che l' estremo fiato Tra le sue labbra dolcemente io spiri . Ma cbe fo io ? Non mi sovviene della impromessa di voler dare non a brani, ma tutto intero questo aureo componimento ? Allorché si hanno fra mano cose che c'innamorano, pare che non soppiamo distaccarcene: e senza che ce ne avvediamo passa il tempo „ Slagula dum capti circumvectamur amore. „ L. BlOHDI . ALLA PROVVIDENZA INNO O r cbe a* tepidi soli e all'aura molle Spuntan l'erbette e gli odorati fiori , E ride il prato , e già verdeggia il colle: Or che il fiume tranquillo i freschi umori Manda ai campì assetati , e in suon giocondo Rinnovellan gli augelli i dolci amori ; Io levo il canto a te , sommo e profondo Consiglio immenso della mente eterna , Ch'empi di tante meraviglie il mondo. Quello spirto se' tu , ch'entro s'interna In ogni parte alla terrestre mole , E l'informa, eia muove , e la governa. Inno alla. Provvidenza 135 Come i varii color vengon dal sole , Come dal succo , die la terra avviva , Nascon le rose , i gigli e le viole , Tal dalla tua bontà largo deriva Ogni conforto tra l'umana gente , Che in te sperando sua virlij ravviva. E certo è sol da te falla possente Incontro ai colpi di avversa fortuna Quell'amorosa giovine dolente Che le chiome dìsciolta , in veste bruna , Estinto piange lo sposo diletto , E senza lui non ha piìi gioia alcuna. Ahi lassa! rimembrando il dolce aspetto, Le passate alJegrezze , e il casto amore, Si crudo affanno le trabocca in petto , Che stanca , e vinta dal troppo dolore Tosto morrìa , se tu di lei pietosa Santi conforti non le dessi al core. Onde qual fanciullin, che all'amorosa Madre nel duol ricorre , in te confida , A te fa prieghi ogni anima dogliosa. E il villanello, allor che il seme afTina Alle spezzate zolle, in tua bontade Pon sua speranza , e a te si volge e grida: Danne , padre del cìel , fresche rugiade , Danne placidi venti , e piogge amiche : Questi campi proteggi e queste biade. Ne priega indarno ; che alle sue fatiche Il solcato terren largo risponde , E messe innalza di mature spiche. Cara vaghezza di frutti e di fronde , Ciel sereno , bel sole , e chiare stelle , Acque fresche, aure molli, e in mezzo all'onde Mille pesci natanti, e varice snelle Famiglie di animali e di augellelti , Arbori , fiori ed altro cose belle 136 Lettf:ratura Tu benigna ne doni , e lu ne' pelli Gentili spiri a consolar la vita D'amor casto e pudico i dolci affetti. La nella terra sol da se fiorita Era l'antico padre , onde la gente Immensa de' mortali e tutta uscita. E benché intorno a lui soavemente Bidesse l'universo , entro del seno Senlia desir , che lo facea dolente. E al segreto dolor lassando il freno : Perchè meco non è , dicea , chi miri Questo bel suolo , e questo ciel sereno ? Non veggo alcun , per quanto il guardo giri , Che me somigli , nullo a me risponde , Né m' ascolta , perch' io pianga o sospiri Eppur vegg'io tra quelle verdi fronde La lortorella presso al suo compagno : Erbe tra lor simili han queste sponde : 1 muti pesci in quel tranquillo slagno Vanno in frotta guizzando ^ e solo intanto Tra gli animali io qui vivo , e mi lagno. Cosi dicea ; tu a consolarlo , o santo Spirto del mondo , una pudica e bella Vergi a vestisti del terreno ammanto. E a lei donasti nell'eia novella Occhi bei , belle gote , e belle ciglia , Dolce il sorriso , e dolce la favella. E le dicesti : Va , rallegra , o figlia , Colui che piange , e della terra intera Sii tu primo diletto e meraviglia. Abbia principio in te bennata schiera D'altre donne leggiadre , a cui nel core Porrò teneri sensi e pietà vera, Per lor le genti accese in casto ardore Fia che apprendan virtute e gentilezza , E sacro il nome di vena d'amore. \ Inno alla Provvidenza JZH Salve , 0 ministra a noi d'ogni dolcezza ; Chi degnamente qui potria lodarle ? Chi levar rintelletto a tanta altezza ? Tu del vasto universo in ogni parte Segni tua luce , e alle diverse genti Diversi beni tua bontà comparte. Però ne' climi dove il sol più ardenti Saetta i raggi , perchè a piombo cade , Spargi conforto di benigni venti, Piovi roride stille , e lievi e rade Torni l'aure vitali , onde beate Sono e liete per te quelle contrade. Tu pietosa soccorri alle gelate Terre del polo , e allor ch'ivi disleride Notte l'ombre più. fosche , d'infocate Strisce di luce il ciel per te s'accende , Onde or fiammeggia di sanguigni lampi , Ora in porpora brilla , o in oro splende. Ma più che altrove ne' felici campi Di questa a te diletta itala terra L'orme di tua possanza eterne stampi. Questo è il vago giardin , che in se rinserra Mille bellezze ad altre genti ascose ; Qui a noi natura liberal disserra I suoi tesori , qui solvette ombrose , Limpidi fiumi , vivi laghi , e intorno Grata soavità di gigli e rose. Oud'io non mai rimiro a questo adorno Bellissimo paese , che non gridi : Tre volte e quattro benedetto il giorno , In cui da prima qui la luce io vidi ! Benedetto Colui , che tante e rare Meraviglie dispensa in questi lidi ! A te , gran Dio , la terra , il cielo , il mare Risuona inni di lode : in ogni canto Narr^ tua gloria quaato al mondo appare. 138 tfifTERATlJRA E anch' io sollevo a te devota il canto , E sovra V ali del caldo disio Questo priego t' innalzo in mezzo al pianto: Deh ! volgi al caro figliuoletto mio Ognor pietoso il guardo , e a lui nel core Conserva intatto il bel candor natio . Senno gì' inspira , e di giustizia amore , De' santi beni tuoi fallo beato , Donagli pace insino all' ultira' ore . Dell ! fa' che lieto , e di virtute ornato Crescer negli anni e nel saver lo miri : E a me concedi , che 1' estremo fiato Tra le sue labbra dolcemente io spiri -. Discorso letto da Giuseppe Ignazio Montanari nella sala del palazzo municipale di Pesaro in oc~ casione di premi distribuiti nel 1835. Al chiarissimo signor abate DON SEVERINO FABRIANI INSITUTORE INDEFESSO Du' SORDO-MuTI IN MODENA : Amico carissimo (Quando io lessi quella vostra bella memoria sul de- bito che hanno le scienze , le arti e le lettere agli ec- clesiastici , sì del vostro lavoro e della vostra dottrina mi compiacqui che nulla pia. E perchè mi sapevano non so se piìi vere o utili le cose da voi recate , e w* DlSCOnSo DEL MONTANAUI 13r) purea che quelVarg omento vostro dovesse fruttar be- ne neir animo de' giovani , tenni il molto da voi detto raccorre in brevi parole , e aggiungendovi alcun' altra, cosa che allo scopo mio con venisse, farne soggetto di un discorso morale. Il mio pensiero di leggieri tornò in fatto : e quindi gettata in carta una breve orazioncella, volli leggerla alla gioventà studiosa di Pesaro nel gior. no degli annuali premi distribuiti neH 835. Ora sen- brandomi che il darla a luce contenterebbe molti ch^ me ne richiesero copia , e che mi consigliarono a far- la di pubblica ragione, ho risoluto pubblicarla. Ma tor- nandomi a mente che ella è cosa pia vostra che mia ho voluto che abbia in fronte il vostro nome, onde se onore alcuno di ciò venir puote , sia vostro- che a me solo basta il titolo di grato e riconoscente. accogliete adunque la tenue mia fatica , e non mirate in essa che alVanìmo del donatore Di Pesaro a* 30 di dicembre 1836. Vostro Affmo Amico Giuseppe Ignazio Montanari ridete itaque , fratres, quomodo cauti ambuletis -, non quasi insipientes , sed ut sapientes redimentes tempus. . . . Paulus ad Ephes. F. i5. i6. A ■il. chi non abbia mai visto qiiol gran plano che è il mare , e non sappia come l'apparir degli astri , e il vol- tar della luna lo governino, strana maraviglia è sul pri- 2^0 Letteratura mo presentarsi al lido veder l'onde piacevolmente rlspìa- nate, o a fiore a fiore increspate da gentile venticello, e non iscorgere poi , per quanto aggiri l'occliio , naviceU lo che voghi , vela che distenda all'aure l'ampio suo se- no : conciossiacchè quella faccia di mare tranquillo gli accusi d'Inerzia o di viltà i nocchieri , che non sanno cogliere il destro , gittursi ai remi, e a voga arrancata percorrere dall' uno all'altro lido. Ma ben esce d'ingan- no se nel giro di poche ore di nuovo s'affacci , e veda tutto andar sossonra il mare , e ì flutti correre spumeg- giando a flagollaro le sponde , i venti rotti a battagliai "far di quel piano q valli e monti, e lutto insieme paurosa rd invincibile tempesta. E ben allora gli sembra pruden- za ciò che prima gli seppe villa, e impara che mal si affi- da chi inesperfo si commette a quelle onde fortunose. Non altrimenti che a costui suole avvenire a quanti senza buona scorta si affidano a false dottrine ; e mezzo dotti , anzi poco meno che indotti , del tutto si abban- donano alle apparenze: e dispetfando come vieta l'antica sapienza , tutto par loro sapere, sol che ridano ciò che fu venerato dai padri nostri. Quindi poi nascono pen- timenti , e mine , e vergogna d'inescusablle fallo , e gra- vezza di necessaria penitenza. Ed oggi che nuH'altrosi cerca, che eludere con vanita di nomi, con falsa mostra d*oltrecotate virtù spogliare ogni ombra di virtù vera , e col nome di filosofia sulle labbra, porre in petto a'gio- vani disamor di patria, e di religione, oggi a debito sa- cro mi reputo mostrarvi quanto siano farnetici e stolti co- desti nuovi tnaestri. Infatti oggi e per libri e per favellare di molti si grida la religione nemica di sapere, i religiosi promulgatori di pregiudizi, e spargitori d' ignoranza; e millantano la religione di Cristo a sostenersi non avere migliori colonne che la grossezza dei popoli fatti ciechi ad ogni lume di sapere. Tanto può la menzog^na, quando sa allettar le passioni , e lusingandole farle prendere il Discorso del Montanari 241 freno cui la scia ragioue dovrebbe correggere! Imper- ciocché la religione di Ciisto divina in se , divina per lo divino suo autore , non può essere fondata sopra pria- cipj di contraddizione. Ella è legge di capienza che con- duce a vera civiltà: ella è principio di beatitudine. E quindi linimortale Bacone senf iiziò nel deciraosesto de* suoi di.s'-orsi , lieve tinta di filosofia potere inchinare all'ateismo, profonda scienza di filosofìa condurre diritta- mente alia religione. Poiciiè i novelli filosofisi i s'acque- tano alla conoscenza di secondarie cagioni , tiè sì dan- no pensiero d'andar più oltre; ma que' che scnlono in- nanzi , e mirano sino al fondo , avanzando dalle secon- darie cagioni , alla prima si spingono, e riverenti l'ado- rano. In fatto se negate questa prima cagione , a^ete fat- to deU'uorao l'essere più abbietto, e nulla è quei sa- pere suo slesso che vanta , nulla grandezza d'anima o sforzo di virili . Se dunque la religione è principio di sapere , come può portarsi in pace l'accusa che tutto il giorno le si da di spargere tenebre anzi che luce ? Ben e cieco dell'intelletto colui che a ciò presta fede , anzi corta veduta ha, se non iscorge che la santa religione di Cristo è madre di vero sapere , si che senza tale scor- ta sicura gli uomini sarebbero poco meno che bruti. Ma poiché mostrare per via di disputazione ì vantaggi che di lei sono nati all'uraan genere sarebbe lungo e di- sagevole , io mi terrò alla storia de' fatti e mostrerò che alla sola religione, a' soli suoi ministri noi dobbiamo , se la barbarie non ha prevalso, se la filosofia, le lettere, le arti hanno vigor di vita, se la civiltà ha resi più miti i costumi. Io vi giuro, miei giovani, per la vostra e per la mia vita, che non altro a questo argomento mi ha tratto che desiderio di camparvi alle frodi della falsa filosofia , e quindi a pericoli gravi e assai paurosi : e però spogliata la gravita del nobile mio ufficio, a voi figliuoli come padre non come maestro io ragiono. Be- 343 Lett eratura Dedica Iddio alle noi^tie intenz-ioni! Egli ci ponga le parole sul labbro , e voi scrivetele nel fondo del cuore. L'immensa mole del romano imperio cominciava a vacillare , e a poco a poco veniva mancando e sceman- do di forze : la gloria del secolo d'Augusto era cadu- ta a fondo : le guerre e Je stragi devastavano, diserta- vano la terra, e spogliatt le nazioni del migliore lor ner- VOi, le lasciavano preda ai barbari , che di settentrione getlavansi ad imbarbarire tutto dov'essi giungevano . La filosofia abbandonata dagli uomini si avvolgeva in densis- simo velo, e ramingando or quinci or quindi, minacciava risalire al suo primo nido e rifugiarsi nel grembo di Dio, onde prima si era dipartita. Suono di uniforme favella non pili si udiva , non arti, non scienze restavano: sola arte rimasa era , V arte di distruggere e di dar morte. Ora chi assicurava all'uomo l'essere suo sublime , chi lo di- fendeva , altro che i romani pontefici , e pochi eccle- siastici ? I romani pontefici accorrevano , e riparava- no ai danni , disseminavano scuole, mettevano per ogni dove maestri , maestri essi stessi si facevano ai popoli. S. Leone magno, e S. Gregorio pur egli magno, quan- to noQ fecero , quanto non si adoperarono essi ? Eugenio II ordinava nel concilio romano celebralo nel 826 , che si aprissero in ogni episcopio , e ovunque mettesse bene , scuole di lettere , d' arti , di dogma : e quel decreto era richiamato dal IV Leone. Silvestro II, non men grande e santo che vero filoso- fo, esortando, stimolando, comandando, nella Fran- cia, nell'Italia, nella Germania disseminava a larga ma- no pubbliche scuole : e san Gregorio VII decreta- va che le chiese stesse, che a'sacri misteri servivano, si aprissero alle arti e alle lettere. E a che mi dilunghe- rò io più oltre nelle lodi de' romani pontefici ? Basle- fk certo che io dica, che essi furono custodi della re- ligione , e la religione fu scudo ad ogni guisa di Luo- Discohso DEL Montanari 243 ni studi e di filosofia. All'esempio del successole di Pie- tro si componevano gli altri che esercitavano T aposto- lato : e quindi santo Avito , san Cesareo , Santo Eleute- rio , San Cipriano, San Germano , San Niceto , San Remigio. Che dirò io di voi , lumi di santità e di sa- pere , Ambrogio , Agostino , Girolamo , Damaso , e di te spezialmente che avesti nome dalla tua ricca favel- la, Pier Crisologo, onor dal cielo, onor dei mondo, sin- golarissimo vanto della mia Emilia ? Che ti' Isidoro , di Beda , di Paolo Diacono , e di qual Cassiodoro, per cui i barbari divennero più che umani? Wè vi credia- te che questi nomi io trascelga , o signori : così li scri- vo come il cuor mi detta : e il cuor si attiene al nome di quelli che piiì ama , e ne altra ragione vi è di por- li prima , se non che son primi ad essermi cari. Mil- le e mille altri io mi passo , cui pure venero , cui pure tutti ci leniam debitori. Ma per passarmi di mol- ti , noa mi paté l'animo di non nominare que' beneme- riti monaci , che in mezzo agli esercizi della piii sin- cera santità , si ebbero a petto principalmente l'onore della sapienza . I monasteri di Farfa, di Fulda, di Monte Cassino , di Camaldoli , furono seminari feracissimi d'ogiii dottrina , e di santità. Ivi si conservò quanto ci lasciarono gli antichi maestri , e senza l'opera di que* venerandi uomini tutto sarebbe deperito , e noi neppu- re potremmo ora compiangerci della perdita , o allegrar- ci della memoria di quel che fummo. Cassiadoro, il piiì grande fra gli uomini della sua etk, il più benemeri- to fra quanti fondarono ordini , soprattutto inculcava a* suoi monaci , che di nulla più si dessero briga che del trascrivere codici, del conservare antichi raonur, menti . Oh sacri asili , io a voi mi prostro , e ringra-^ ziando vi benedico ! Oh padri d'ogni umana civiltà , ben h reo colui che a voi non si confessa debitore e de- voto! Certo se la religione cristiana avesse amato le te- nebre , qua! cosa meglio avrebbe a suo prò operato , 244 LETTERATtRA che lasciar tutto allt:». fiamme , alle ruine, all'obblivio- ne ? Ma viva Dio , ella r iposa fra gli splendori della sa- pienza , e la sua mano non accieca , ma illuraìna. Quin- di è che io usando di nuovo le parole dell'immortale Bacone nel primo della sua opera de angmentis scìentia- rum , dirò che la sola chiesa cristiana tra le onde fortu- nose di popoli barbari , veggendo andar naufraghe le re- liquie dell'antico sapere , nel suo seno tutte le raccolse e dall'ultimo naufragio le campò. E più propriamente parlando dei monaci, concluderò col Gibbon , l'auto- rità del quale certo a niuno sapra di parziale: ,, Che la posterità deve riconoscere con gratitudine, che le instan- cabili penne de* monaci ci hanno conservato e mol- tiplicato i monumenti della greca e latina letteratura. „ Ne solo questo , ma d'ogni guisa di sapere , a tutto lor potere , e i pontefici e i monaci si resero benemeriti e ristoratori , in mezzo l'ignoranza e la ferocia di que' re- motissimi tempi , che barbari furono in vero , ma del- la loro barbarie partorirono ogni umanità. E perchè sia più agevole conoscere questo vero , discorriamo a volo di penna tutte le scienze e le arti . E cominciando dalla filosofia, vedremo papa Silvestro II, alta e filosofi- ca mente, ridestrarla e mantenerla in vita. Lanfranco , Odone ed Anselmo, rinvigorirla , ridurla a trattati ed' a metodo , sicché poi il divino ingegno di Tommaso' d'Aquino la mostrò si grande , sì bella , sì possente , da lasciarsi di gran lunga indietro quante v'ebbero un giorno scuole nella Grecia e nel Lazio. Cas&iodoro , S. Isidoro, Beda, Alcuiao che in migliori tempi, ai diif' del Brukero , sarìa stato una cima d' nomo , manten- nero in vita le matematiche. Adelardo goto voltò in la- tino Euclide, il Campano lo coramenlò; Ruggero Baco- ne , miracolo d' ingegno e di dottrina , pose quella matematica, da cui un giorno uscirebbero il Baron, il Wallis , il Newton . Egli avvivò V astronomia , Discorso del Montanari 145 e tale la rese che il Sacrobosco pot^ avvisare gli er- rori del calendario giuliano . La fisica e la chimica non mancarono di coltivatori , e gloriosi e venerandi pur anco sono i nomi d'un Alessandro da Spira , il qua- le primo alla scorta di Ruggero Bacone seppe interrogar la natura , e strapparle di bocca utilissimi segreti. Fra- te Teodorico di Sassonia domenicano spiegò i fenome- ni dell'iride, prima assai che Cartesio, De Dom'nis e Ne- wton vi avessero posto la mente. Alberto magno fu il Varrone della sua età , e appresso lui tennero U campo nella chimica Basilio Valentino, che al dire del Boerhaave precorse di molte scoperte a que' che dopo lui vennero, ed ebbero per nuovo ciò che da lui prima era stato ve- duto. Raimondo Lullo che insegnò, uniche veraci guide in siffatti studi dover essere Tosservazione e l'esperienza. Furono pur monaci e cherici quelli che in eli si ferrea intesero alla medicina , e fu di loro fatiche fruito la celebrata scuola di Salerno. Teodorico restaurò la chi- rurgia, e 1' alto intelletto di Ruggero Bacone e a que- sta e a quella pose del pari la prepotente sua ma- no. Che dirò io della giurisprudenza, se il solo no- minarla richiama al pensiero i nomi de' Dionigi, de' Oraziani, degl' Incmari , dello speculatore Durante, e di quel santo Pietro Damiano, di cui e il Petrarca e l'Alighieri a gara ebbero tessuto il più solenne elogio? Per opera dei pontefici Leone e Gregorio magni non mancò dolcezza d'eloquenza : san Pier Damiano, san liernardo , san Bonaventura, presero colla gentile loro favella quc' cuori indomiti e li volsero a Dio, e special- mente Bernardo, le cui parole sono più dolci che mele. Il sacro foco della poesia fu conservato e a raii:;lior fi- ne ridotto dal suddiacono Aratore, da Venanzio Fortu- nato , da Paolo Diacono, e dal patriarca Paolino ne* primi secoli, e appresso da Teodulfo, llderico, Doniz- zone, e Lorenzo Diacono; ma soprattutto da Giovanni G.A.T.XUX. ^0 1/i6 Letteratura Damasceno che colf oro della favella fece suo proprli il nome di Gio. Crisorea, e colla sublimila dei versi il nome di Gio. Poeta. La musica poi rinacque a nuova vita , e spirò maestà degna degli alti misteri della fede per opera del magno Gregorio. Il monaco Franconc in- segnò a notare in carta 1' alzare o l'ahhassar della vo- ce , e il monaco Guido aretino , testa veramente crea- trice , apprese a segnare fra svariate linee , e punti , ed accenti varietà di suoni e di voci. Ne ciò solo , ma accrebbe e ih salire a più gradi la scala musicale , creò strumenti, e primo fece della musica un'arte. La pit- tura , la scultura, l'arcliitettura tutte si ritrassero ne cenobi e ne'templi, e per mano de' soli ecclesiastici vide il mondo giganteggiar moli che basterebbero a molli e molti anni , scolpirsi marmi , effigiarsi bronzi , e ridere dì rozzi si, ma di veri colori le volte e le pareti di magnifiche basiliche. La geografia si slese , e l'arte nau- tica ebbe nuovo incremento e vigoria , quando alla voce del romano pontefice i monaci di S. Benedetto d'Ita- lia si tragittarono nella Bretagna per ricondurla all' ovile di Cristo , e si spinsero fino la dove forza d'eser- citi o volo d' aquila romana non trasse , e nuove ter- re e nuove genti scopersero , e si ebiie contezza di luoghi in prima ignoti. Non porrò qui i nomi di tut- ti , ne di tutte le terre da questi novelli apostoli sco- perte : e mi passerò dell' Ascellino, del Carpini, del Rubruquis, cui l'etk che vennero appre&so segnarono ac- canto al nome di Colombo, ti Americo , di Cook. Nella pace di cellelta romita un fraticello segnava in carta le prime mappe, che poi furono guida a mille ardimen- ti, e a sfidare i pericoli del mare , e gittarsi oltre il capo di Buona Speranza dapprima inaccessibile, sicché il solo nome mettesse nei naviganti paura, E cosi per mezzo di costui , valicati i mari , toccale nuove terre, falle , dirò quasi , sorgere fuori dell' onde nuove isa- Discorso del Montanari 147" le , più si distese il commercio : e se piià ebbe atìora- tori la religione , più ebbero fonti di ricchezze le na- zioni d'Europa. Tutlo questo , o signori , operarono in secoli veramente barbari , ma quanto bnrbari raaravi- gliosi i ministri delia religione, di quella religione, che or viene accusata di sostenitrice dell' ignoranza , nemica del commercio e della civiltà. Può darsi ingra- titudine più nera ? Ma perchè l'andarmi avvolgendo tra meraoiie di tempi si lontani e sì feroci , mi richiama oltre immagini dì sangue e di pianto , cui la sola re- ligione valse a tergere e rattemperare , io vengo a prin- cipii delle lettere ^ delle arti, e delle scienze in Ita- lia. Chi poneva sul labbro alle italiche muse il primo canto , e ridestava il suono di nuova favella , se noti il poverello d'Assisi , e l'altro da Todi.'* Chi dava ner- bo di eloquenza ai modi novelli , se non pochi figli del glorioso Gusmano ? Qual voce suonò sui porgami più g-rave , e in un più semplice, della voce del beato fra- ticello da Rivalla ? Ne io (fui mi terrò a discorrere co- me il Bembo, il Gasa , ed il gran Segneri levassero tant' alto 1' eloquenza italiana, da poter fronteggiare i più grandi oratori d'Atene e di Roma. Solo io accen- nerò che la religione spirò all'Alighieri il più subli- me concetto che mai formasse macchina dì divino poe- ma; al Tasso die ella sola materia si nobile, da levar- lo su tutti gli epici che furono e che saranno . E qui dovrei pur toccare come fu opera della religione il ri- sorgimento delle arti d' architettura , scultura e pitlu- ra , e come ella sola guidasse il pennello di Giotto e di Cimabuc, e avvivasse i colori sulle tavole del monaco Lorenzo, e del beato Giovanni da Fiesole. Nò preterire devrci i primi miracoli dello scarpello italiano , ne i primi maestri che insegnarono a guidar fabbriche no- bilmente ricche e maestose. E qui bella menzione dovrei pur fare di frate Giovanni , di fra Giovaani da Gìus- 10 '^ 148 Letteratura sano, di fra Andreolo de' Ferrari , che sedettero giu- dici delle questioni insorte per la fabbrica del duomo di Milano . Ma gli occhi miei corrono al tempio di S. Francesco di Rimini , e Ta mi additano quanto po- tesse il grande intelletto di Leon Battista Alberti ca- nonico fiorentino, ristoratore, anzi padre dell'architet- tura, e di quanti prodigi poi da essu operati si vide- ro in Roma e per tutta l' Italia . Altro e ben altro sa- rebbemi bello toccare a gloria della religione, e a con- fusione di coloro, che nemica delle arti e delle scien- ze amano diffamarla , se non mi bastasse dimandare a costoro da chi prese nome il piiì glorioso secolo del inondo cristiano. Certo da un pontefice , da Leone X. Or dirò io : se il secolo che illustrò l' Italia , il mondo , anzi il genere umano , fu opera d' un ponte- fice : se queir età beata, cui invano tutte le altre cer- carono comporsi, fu dono di colui che e padre e ca- po della cattolica religione , a che non cessano essi di denigrarla , di bestemmiarla ? Ben conosco che al- cuni, non potendo negarmi parola, mi vanno ripeten- do all'orecchio che l'arco de'secoli dechinando si è in- gentilito , e che quello che a' tempi andati fu bello, or più non è : conciossiachè oggi non si possa tenere quella severità di dettati che in antico si tenne , e le mu- tate cose dimandino ben altro. Or ditemi in fede vostra, che vorreste voi di piij ? che manca egli alla filosofia della religione? Civiltà e filantropia, mi si risponde. Io non so a qual nuova forza e significazione si traggano queste parole: ma se le hanno quella che di lor radice nasce , ben mi pare che vi sia di che io abbia a rispon- dere. E prima che altra risposta io faccia , io vi pongo innanzi agli occhi un' orrida catena di monti , che in pie levati l'un sul capo dell'altro, orridi di gelo e di ne- vi eterne , solo al rafligurarsi col pensiero , non che col- l'occhio, agghiacciano il cuor di paura. Alle falde, terre- Discorso del Montasari 14;^ no lìvido e morto : non piante , ne in pianta verdume o fronda. Poi greppi, dirupi, precipizi, si cbe l'occhio noa si stende tanto che tocchi la punta dc*balzi, o il fon- do di que'vailoni. Indi montando, tutto e lastre di ghiac- ci , che il sole non vince: e quindi piani di neve, in cui non è via , e dove traviar d' un passo , è rovinar d' un monte. E come questo fosse poco , sulle creste di tanti monti un gran monte si leva che l'Italia dalla Francia divide. Per di qui viandanti e peregrini d'una all'altra nazione si tragittano : ma di sovente , meno assai di que' che s'avviano , giungono al fine di lor cammino. Molti intirizziti e assiderati dal freddo , mancano di forze e di vita : altri stramazzando a cadute mortali piti non si rialzano: e molti trovano tomba prima che morte fra globi , anzi monti di nevi che sul loro capo si scoscendo- no. In questo orrore, maestosa s'asside da più secoli la re- ligione, e ai miseri apre un asito, e degli smarriti va in traccia, e ai pericolanti soccorre. Pochi monaci, ivi in- stituiti dal vero filantropo san Bernardo di Menfone, ve- gliano sulla vita de' passeggeri : e sebbene siano certi che di loro avverrà , quel che può fare lungo difetto di calore , quel che suole eccesso di fatiche , pure per lo bene altrui volentieri e la vita , e le fatiche , e tutto se slessi pongono. Io non so se sia questa filantropia: ben so essere ardente amor degli uomini , e viva fiamma di carità. Io non so se io m'abbia a dire filantropi , me- glio che santi , e Filippo Neri e Giuseppe Calasanzio, che nell'istruire la gioventù spesero il meglio di lor san- tità , e furono vere fiamme di accesissima carità. Io non so se filantropìa o carità insegnasse a Camillo de'Lellis , porre un istituto che giurasse non mancare di conforto a*moribondi: a Giovanni di Dio di raccogliere uomini sot- to 1 insegna del ben fare , sol perchè assistessero infer- mi, e più volonterosi a'più contagiosi ponessero intorno lor cure : a Girolamo Miani di farsi padre e maestro di que' xaiserelii che rimaselo orfaoi , e deserti d'ogni 150- L E T T E R A T ti n A fortuna. Io non so se un Francesco di Sales, un Carlo Bòr-* romeo , fossero amatori della filosofia e della civiltà : b.en soche e questi e quegli fecero di grandi e sublimi opere. La peste di Milano se desta memoria d'orrore, de- sia pure alcuna dolcezza al rammentare la carità di quel .sauto pastore. Mi si dirà che questa fu forza d'umanità , di civiltà , di filantropìa. Ebbene sia quel che si voglia i purché si dica umanità dei santi , civiltà di Cristo , fi- lantropia in quel senso che usò l'apostolo scrivendo a Ti- to : lavoro in somma di religione , e di anime religio- se. Si dirà pure filantropìa , ma figliuola di santità, quel- la che mosse san Vincenzo de' Paoli a raccogliere tra le amorose sue braccia que' miserelli, che frutti di col- pa e di vergogna , dalla barbarie umana quasi rifiuto erano (abbandonati , e dalle madri fatte contro lor visce- re crudeli , esposti per le vie , o morti o vivi come par- to di fiere fuor delle case gittati. Si dica pure civiltà , ma civiltà di santi quella che alla scorta di costui rese forte il fior delle vergini ad aggirarsi fra i morbi più crudèli e schifosi , a recarsi fra le braccia contagi e ma- lori d'ogfii guisa. Oh ! vergini , onore della religione j onore del secolo , onore del mondo , dite voi chi man- tiene nei vostri cuori quella fiamma purissima che vi ser- ba intatta in mezzo il fango della età nostra : dite voi se questa è voce di filosofia , o voce di Cristo. E voi di- temi , figliuoli miei dolci , se non ho io ragione ad af- fermare che la cristiana religione è madre di vero sa- pere , madre di vera umanità. Che se voi non mei dite ,■ ben mei diranno questi infelici , cui la natura tolse quel- la favella , che lor mise in bocca la religione per mano dell'Epée, del Sicard, dell' Assarottì, e di tanti altri de- gni seguaci del vangelo . Essi colla forza di lor visibile loquela , meglio che io con accenti , proveranno , che la vera filosofia solo dalla religione s'impara. Or dun- que se così è, quando vi verranno innanzi uomini eoa Discorso iìel Montanari 45^ faccia di filosofi , ma con cuor d'insipienti, e proprorran- BOv'i nuove dottrine , e rideranno le antiche , voi alltì- Jora date ad essi le spalle , fuggite , ve ne scongiuro ^ fuggite , e riparate a quelle verace verità , che mai noa fé infelici sulla terra. Ma qui mentre io vorrei pur dire,^ mi manca la voce , ed io piii non teggo a molto. Vor- rei recar più prove, ma un tumulto d'affetti mi si sveglia nell'animo, e le parole si arrestano tramortite sul labbro. Porrò adunque fine ; pregandovi a custodire queste cose ne* vostri cuori. Fiero minaccia queste belle contrade un flagello sterminatore. La vita e la morte di tutti è nelle mani dell'eterno. Se al novello anno, al volgere di (juesto giorno, splenderà a'miei occhi il sole, o se ri- scaldera le mie ossa nella tomba, è incerto: ne a me li- ce investigarlo. Solo questo, miei dolci figliuoli, mi cale, che quand'anche io non sia più , ricordate queste mie parole. Elleno sono gli estremi delti , gli ultimi coman- di di un padre che vi ama. Diploidi imperiali di privilegi accordati ai militari , raccolti e commentali da Clemente Cardinali. P^el- letri : tipografìa di Domenico Ercole 1835. in U.° di facce 355, N, ori vi ha forse ora chi ignori , dopo quanto scrìsse Gaetano Marini, l'esistenza e pregio di quelle antiche tà- vole in bronzo scritto , dove leggonsi concessi dagli im- peratori romani vàri privilegi a que* soldati , che mili- tando nelle coorti e legioni , o nelle armate eransi di- stinti col loro valore. Queste tavole si dissero una volta tavole di onesta missione-, piacque quindi chiamarle di permesso di connubio : ora molto meglio il eh. Clemen- te Cardinali, che tutte le cognite ha raccolte ed illustra-» 152 Letteratura te in questo libro , ha tinto loro il titolo di Diplomi imperiali di privilegi accordati ai militari. Poiché infat- ti quattro sono le concessioni che ad essi facevansi con quel diploma dell'imperatore. Si dava loro per prima l'ouesta missione o sia congedo di ritiro dalla milizia : in secondo luogo si accordava loro la cittadinanza romana che non tutti godevano , avendo soltanto il ius italicutn o provinciale-, per lerto privilegio si permetteva loro il connubio dumtaxat singuli singulas , che altrimenti non era loro concesso : in ultimo ottenevano la leggiltima- zione della prole avuta in precedenza col matrimonio contratto per ius naturae^ mentre, secondo le leggi, sen- za il matrimonio legale i figli non potevano divenire iusti liberi^ et heredes del padre loro. Ben fece perciò il Cardinali a chiamarli diplomi, e fu ottimo il pensiero di raccoglierli e pubblicarli. Poi- ché è vero che gii accademici ercolanesi , i primi che ne* parlarono con fondamento, ne pubblicarono 1 1; quin- di Marini nell'opera su gli arvali ne raccolse ed illu- strò f() ; 21 quindi ne dava fuori il baron Vernazza ; 23 Labus ; 28 Costanzo Cazzerà , senza dire degli altri» Ma ora mercè delle cure del Cardinali vengono riunite le epigrafi di ben trenta tavole , una delle quali venne da esso publicata per la prima volta. Tanto si viene a conoscere dalla prefazióne dell' A. la quale è preceduta da una lettera indicatoria a S. Era. il card. Bartolomeo Pacca, cui egli vuol dare un atte- stato di gratitudine , e di rispettosa osservanza. Pervenire poscia all'opera, è essa divisa in tredi- ci capi , dodici de'quali vengono intitolati a parecchi fra i principali filologi e studiosi di epigrafia , tranne l'ultimo, cioè il teEzodecirao, ove raccolgonsi i frammen- ti. In ogni capo illustransi i diplomi di un imperatore e cominciando da Claudio , Galba , Vespasiano , Domi- »iano , Nerva , Traiano , ed Adriano , si scende ad Aa» Diplomi Imperiali 153 tonino Pio, Marco Aurelio e Lucio Vero , Settimio Se- vero e Caracalla , per poi giungere a Gordiano , ai Fi- lippi , e terminare con alcuni frammenti , che sono in numero di tre , il primo de' quali di Diocleziano , incerti gli altri due*. Chiude l'A. il suo lavoro con dare !e notizie da esso raccolte inforno le legioni romane de- sunte dagli antichi monumenti , per cui il catalogo delle legioni che egli vi fornisce risulta il più copioso di tutti : e cosi potranno argomentare i filologi quanta sia l'utilità che deriva all'archeologia dagli studi epigrafici, bene spesso in ciò preferibili forse ai numismnfici. Ma per venire pili particolarmente all'osa aie della dotta opera del Cardinali, ci faremo a rilevare alcune cose , che possono servire , se non di critica ( che noi non saremmo capaci di darla , e la dottrina dell' operg noi comporterebbe), ma più tosto faranno le veci di giunte o correzioni al lavoro. 11 quale difficilmente può trovar paragoni per la vasta erudizione che vi si accu- mula ; mentre oltre le osservazioni che illustrano il te- sto dei diplorai , tutte ragionevoli e belle, evvi nelle note tanta copia di monumenti epigrafici , da rendere il libro non che utile, ma necessario ai cultori dell* antica epigra fia. Poiché numerate progressivamente vi sì trovano ben 638 iscrizioni di antiche lapidi , la più gran parte edite da vari scrittori , ma che non fanno parte dei tesori. Del che fa protesta l'A. nella prefazio- ne , onde si abbia a conoscere la ragione per cui egli dipartendosi dalla comune pratica usata fin qui da tut- ti i collettori di inscrizioni antiche, non abbia mai no- tato il nome di chi le dava alla luce , d' onde esse provenivano , e se edite esse siano o inedite . E noi consiglieremo perciò il nostro A. , in occasione di ri- stampa che egli mai facesse dell' opera sua , a volere diligentemente notare gli editori che lo precedettero , onde venga maggior fede ai monumenti j non sembri ^"4 iiETTERATURA volersi togliere agl'altri quella parte di gloria che ìoitì e dovuta; tanto più che in ciò egli potrà avere a con- forto r esempio dei primi e più famosi raccoglitori di epigrafia , quali sono Sraezio /'Grutero , Muratori , Donato , Gudio , Reinesio , Fabretti, ed altri, i quali non ommìsero mai di citare lutti quelli che prima di loro videro e pubblicarono una lapide . Ma per venire a qualche particolare ristingerò sot- to la scorta de'numeri alcune osservazioncelle, che mi vennero fatte nello scorrere questo libro dottissimo, e che, come suol dirsi, sono del tutto estera porainee. cH 1. Pag. ^3. Prima di togliere dall' elenco del Ver- i^zza la Liburna lustitia , osservi 1' A. la lapide dì Lucio Valerio Valente Manìpulario dì quella liburna, di nazione besso , edita da Raimondo Guarini ( Com- ment. Vili p. 52 ) ^ e noti che il marmo è napolitano^ 2. Pag. 14. 15. Farmi iugegnosa l'opinione dell'Ai sul nome delle antiche navi , il ci catalogo da es- so altra volta publicato ivi corregge ed accresce. Egli ■vuole che una sola nave portasse quel determinato no- me, e che se trovasi ne'raarmi notata quella nave orai alla classe misenale ora alla ravennate , non si deb-^ La da ciò inferire che ogni classe avesse una nave con; lo stesso nome , ma che quell'una passasse da una flot- ta ad un' altra ; e ciò tanto più ci sembra nuovo , quanto che le lapidi sembravano voler provare il Con- trario i ■• ' '" '' '^'• 3. Pag 22. N.° 25. Veduto da me "il irisirmo nòtt è M. CORDI. M. F., ma piuttosto /W cioè Manii Cor-' di ec. Cosi lo publicò il Borghesi in questo giornale y e cosi fu dato da me nell' Antologia di Firenze voi. XXI p. i2y. 4. Pag. 38. Il diploma dì Galba dell' A. 63, pù- Bllcato alla tav. II, era edito ancora dal Terrassanf iBist. de la jurisprud., in fine p. 25.. DlPLOMf iMPEniALl 155 5. Pag. Gì- La piccola base con 1' epigrafe DI- VAE . PIAE . FAVSTINAE . VIATOR . Q. AB. AER, SAT. venne alla luce nel 1824 dagli scavi del foro. Vi lessero tutti P'iatores quaestorii ah aerarlo Saturni. La pubblicò subito pel primo nelle Notizie del giorno il eh. sig. prof. A. Nibby , ed interpre- tò che queir ara votiva era stata dedicata all' impe-' ratrice Faustina da un tal f^iatore , che era questore deir erario di Saturno ! . ii 6. Pag. 7?. Nota bene TA. che la tav. V, por- • tante un diploma di Vespasiano , dal museo Barbe- rini era passata in quello del re dì Prussia . Trovo io peraltro un possessore intermedio in (iaelano Marini. Egli nelle apostille al sqo esemplare degli arvali , posseduto ora dal eh. sig. march. Luigi Marini, alla l)ag. 464 così notava : Questa tavola cadde in poter mio neir A. 1 800, ma dovetti, PRESSUS NECES- SITATE , venderla ad un prussiano : era intatta, e le lettere scritte con molta negligenza , ne gli A mai divisi . Il dotto posessore potè allora fare in mar- gine le seguenti correzioni . Parte interna, lin. 3. S^ IIII VETERANI, lin. 12. DVXISSEN ^, lin. 13. SINGVLIS , lin. 15 il nome di Maezeio scritto così yVW^^Eil^ • Parte esterna: lin. 2. IMP. VL P. P. COS, lin. 3. VETERANI , lin. 17. MAEZEIO , lin. 26. C. MAR- CI , PROCVLI . 7. Pag. XXV. La tav. VII, che è alla biblio- teca vaticana, è cosi corretta nel citato esemplare de- gli Arvali lin. 11. ITSIS (sic) in vece di ipsis^ lin. 19. SER CORE PIO (sic) invece di Sexto Cornelio. Se se ne caverà il prenome vero dal console Servio Cor- neliOf come l'A. all' oss. IX aveva ottimamente no- tato . 8. Pag. 110. Dicasi che il Boogarsio la stampò egli 456 LSTTKRATURA Stesso . Vedilo fra gli scrittoti ungaresi t. I. p. 884 deir edizione dello Schivandtr , citalo dallo Schoea- wiser Itiner. in fine p. 122. 9. Pag. 113. Alla tav. IX può aggiungersi che trovasi ne' libri del Ligorio dellii biblioteca vaticana voi. XVIII , alla voc. Salona , e dicesi posseduta dal card. Bembo . 10. Pa|^. 173. La tav. XV portante un diplo- ma di Adriano, fa stampata ancora dal Mauiuio De ortograph. voc. DVVlTAXAT . 11. Pag. 1(;5. Al N.° 382, ove è riportato un decreto di padronato concesso dalla municipalità di Gi- nosa ( Genusia ) antica citta vicina a Taranto, van- no fatte varie correzioni , dietro I* esemplare publica- lo dal eh. Costanzo Cazzerà nel voi. 3) dell'Anto- logia di Firenze : lin. 2. POST CONSS . DD. NN. lin. 3. AVO. G. K. APRI . GEJNVSIAE : la lettera G e una specie di G, e fu ben Ietta Se»to'^ lin. 56. DE COOPl ANaO, lin. V>. liORNATO, lin. 7. QVOD TVTELA, lin. 8. 9. ET INUVSTRIA SVA SIGVLOS (sic) , lin. 10. TVEATVS (sic) ET FOBEAT . BLA- CET , lin. 11. TABVLAE , lin. 13. OFERRI DOMV (sic) , lin. 14. .^EDICARI . Anche più sopra alla pag. 1(S5 riporta I' A. uà altro decreto della colonia Giulia Augusta Usellia in Sardegna, edito del pari nel citato luogo dal Caz- zerà , del quale darò del pari le correzioni . Lin. 1. SEXTO . SVLPICIO, lin. 2. Q. TENIO, lin. 3. COLONIA . IVLIA . AVGVSTA . VSELLIS, lin. 4. CVM . M. ARISTIO , lin. 9. AVG. VSELLIS , lin. 13. L. FABIVS . L. F. FAVSTVS , lin. 14. SCRI- BA . Il nostro eh. A. potrà osservare se il nome di Quinto Tenia Sacerdote^ console del 158, abbia con- fronto con altri monumenti . 12. Pag. XXXIX. tav. XIX. Fra le schede del Ma- Diplomi Imperiali <57 rini trovai un foglio a slampa volante , dove era que- sta tavola stampata in caratteri , secondo la lezione del Cardinali : solo in fondo alia seconda faccia in- terna vi è LIOINIVS PANSA . ALLIVS . MAGRO. 13. Pag. 224. Nel citato esemplare trovo che Gae- tano Miiriiii alla pag. 464 aggiunge questa postilla: Altra di Antonino Pio è nelf opera delle figuline p. 342. Sdiobbe a vedersi se fosse una nuova , o una di queste comprese sotto il cap. Vili. lA, Pag. 235. Alla tav. XXII si aggiunga che la pubblicò anche V Orsato ne' marmi patavini p. 329. 15. Pag. XXXVII e 290. La parte esterna di que- sta tavola aveva, come le altre; i nomi de'testiraoni : e quel poco che vi rimane , ciob un cognome, e quat- tro patrie , non sfuggi alla diligenza del Marini , che vide la lamina . .... B\SSVS LAODIG. . * . . ALABAN» .... PHILADEL. .... NIGOMED. In proposito di questa tavola, e delle coorti preto- rie filippiane, avverte Marini, che va corretto 1' erro- re del De Magistris ( Acta raartyr. ostien. p. 293 ), il quale confuse i pretoriani coi classiarii , e crede i pretoriani di Filippo una nuova milizia >. Queste noterelle qui raccolte e che furono da me fatte allorché avidamente scorsi la detta opera del Car- dinali, cosi, come suol dirsi, stans pede in uno, voglio siano che reputate avvertenze semplicissime, delle qua- li può aversi conto in una seconda edizione di un li- bro, nel quale V erudizione e la critica dimostrano, essere Tautor suo ben degno di sedere fra coloro, che tengono il primato di questi filologici sludi . G. Melchiorri. 158 ^^Tf-aaKSLM-srtigginemamaiitrfat angeli M. TinellU carmina in quator libros distribu" ta. lìomae , typis Josephi Salviucci IS'ÒG. ( un volume in 8° di pag. i82 ). F. ra le poesie più degne di lode, che ne' tempi raoder-? ni sieno state scritte in lingua latina, debbono certamen- te noverarsi i versi dell' avvocato Angelo Maria Tinelli pubblicati dall'avvocato Pietro suo figlio. E tanto più so- no da commendare , quantochè scritti a'giorni nostri , in cui, tranne pochi spiriti colti , sembra quasi dimenticata l'antica favella del Lazio: vergogna, delTeta nostra, e spe- cialmente di Roma , dove lo studio della lingua latina più che in ogni altra citta dovrebbe essere in fiore. Nel piccolo libro, che contiene i versi del Tinelli, noi dob- biamo ammirare la eleganza dello scrivere latino unita a tutti i fiori della poesia: nel che egli con beli' esempio diede ammaestramento , che lo studio della giurispru- denza dal profondo studio della lingua latina non deve andare disgiunto ; si perchè le sapientissime leggi de' romani sono quelle che ancora ci reggono , e s\ perchè in gran parte si conserva nel nostro foro l'uso di quel- la nobile favella. Ed è cosa vituperevole che 1' esempio del Tinelli da pochissimi sia seguito : il che non fu prima del sovvertimento delle pubbliche cose, quando ri- splendevano nel foro gli Erschine, i Riganti , i Napolio- ni , i Bartolucci , i Gambini , i Tavecchi , ed altri elei- gaotissimi, L'avv. Pietro Tinelli in titola agli amici suoi que- ste poesie , e fa ad esse precedere le notizie della vita del suo genitore scritte con eleganti modi latini : né sa- rà chi non dia lode a questa dimostrazione di figliale TiNELLii Carmina 159 affetto. I versi del Tinelli sono distribuiti io quattro li- bri : il primo libro contiene gli esametri , il secondo le elegie , il terzo gli endecasillabi e gli epigrammi , il quarto le odi. Ciascuno dei componimenti è scritto con purità e leggiadria , e non solo abbonda delle eleganie proprie della lingua latina, di cui il poeta si mostra pror fondo conoscitore, ma in se contiene eziandio quella imi- tazione de' classici autori , la quale fa sue le loro bel- lezze in tal guisa , che le diresti originali , nel tempo stesso che vi senti il sapore e vi scorgi la venusta degli antichi. Così gli esametri sanno della nobiltà di Virgi- lio , le elegie della soav'tà di Tibullo e del fuoco di Properzio , le odi della forza di Orazio. Ma, più che per ogni altra cosa , sono da commendare i versi del Tinel- li per quella rara felicita di esprimere nella più pura fa- vella del secolo d'Augusto i riti e le costumanze tutte nostre , e in particolare gli usi del popolo di Koma de' nostri giorni, dipingendoli con si ammirabile facililà , che diresti aver eijli scrilto con questa proposito, ut sibi quivis Sperei idem, sudet multum, frustaque leboret, Àusus idem ( Oraz. art. poet v. 240 ) Ne sia di prova la elegia XIII del libro II, in cui il poeta ci rappresenta i diletti autunnali della plebe ro- mana. Egli descrive le donzelle plebee, tali quali noi le vediamo assise su cocchi aperti, che rapidamente sea volano , tutte parale e addobbate a festa , innalzare al- l'aria lieti canti e grida di allegrezza : intanto sferza con urbana satira le matrone , cui punge invidia di ve- dere il tempio della pudicirAa plebea , eretto fino dai se-s coli antichi di Roma , emulo se non superiore a quel- lo della patrizia. Ma il più leggiadro de componiruenti si è il VH 160 Letteratura del libro III, che ha per titolo la vendemmia né'subur- hani , e che noi rlporteretno ia fine per dar saggio del- l'elegante scrivere del Tinelli. Non poterasi meglio ri- Irari'e il costume , il vestire , il portamento delle don- ne romane , che » chiamate a far la vendemmia , esco- no la mattina de' loro abitari , e s'avviano fuori della citta. Si fa quindi il poeta a parlare dei predatori del- l'uva : e poi che ne ha descritti lepidissimamente i fur- ti , s'ingegna di atterrirli col timore della pena. Egli è ugualmente leggiadro ed elegante presso che in tutti gli scherzi endecassillabi , tra i quali fanno bella mostra di sé il quarto sulle fragole , e il quinto alla mosca , scrit- ti con tanta grazia , che ti par leggere cose di antica stampa. Ma non si dia taluno a credere che il nostro poeta, felice solamente nel trattare gli argomenti leggeri , non possa innalzarsi ai gravi : che andrebbe di gran lun- ga errato : e ne fanno fede gli esametri , le elegie , e le odi di sagro argomento , e sopra tutte la elegia IX del libro II sulla battaglia di Navarino, che dee noverarsi fra le bellisslme.il calore della ispirazione, che ben si ad- dice alla gravita di si fatto argomento, da anima a questa elegia , che rìsplende nel fuoco di Properzio. Bellamen- te il poeta introduce in essa a parlare in sogno la sua consorte discendente da nobile famiglia veneta, onde era- no usciti non vulgari uomini , che avevano pugnato in Grecia , ed ivi ottenuto onori civili ed ecclesiastiche dignità. Esquisite bellezze rifulgono nel Tinelli : che se l'occhio severo del critico giunge a discoprirvi qualche macchia, conviene ripensare che uscirono delle mani del loro autore in quelle occasioni , per cui solo furono scritti , senza che egli pur volgesse in mente di rac- coglierli insieme ,e darli quando che fosse alla luce : « che non ebber perciò queli'uUiiua lima che riceve ogni TlNET.T-iI CaRWINA 101 lavoro lotlerario , clic l'autore voglia rendere non di privato ina ili puLblico diritto. Che anzi se si ponga mente alla inoltiplicita degli affari che tennero occupa- lo il Tinelli, e all'importanza dogli ufficii ch'egli ebbe a sostenere , si durerà fatica a comprendere cooic un uo- mo, che tutta Roma ha per molti anni ammirato come giudice assiduo e diligentissimo , abbia scritto si leg- giadri versi, senza ch'egli peccasse contro i pubblici co- modi , o i suoi doveri ne ricevessero nocuniciilo. f^indemiae in suburbanis. ENDECASYLLABI. Quis ludus libi , Bacche ? quae voluptas ? Ire per juga devia , atque Thracea Caiididaui nive , barbaias et inter Miitres evoehe ululatibus frementes ? Huc te purpureis graves racemis Invitaiit , pater , o Ly^eo, vitcs. Hic tu rorauleas vide puellas Quae lanoni , calathos , colus reponunt , Atque uvis properant opus legendis Mature situlasque , forficesque Et laefas modo gestiunt choreas , ( Qamquam olim fuerant magis frequentes ) Nomentana agere , Appia , et Latina. Nondum sideribus polo fugatis , Festinant crolalisque cymbalisque Uiiainquamque pigram excitare sorano. Complae stramineis caput galeris Nigrarum ostlolo exeunt domorum Eu Lavinia , Candida , Fabulla. Lactcntem gerii et Marina natam Marso nupta viro , perusta sole : G.A.r. XLIX. 11 1 02 L K T T E R A r (J n A Ciiiiclae ab Esquiliis et a Suburra Cliloe rixa frequeiis amasiotuin. Hinc a culmine Collis Iiorlulorum Piocedunt Procula , Anlia , et Gerailla , Gallitiaria Prota , quaeque victuin Quaerit Livia liiiteis lavandis , Dicax , garrula , curiosa , quaeque Cutictis noctibus ebria a marito Multo vapulat ebriosiore. Illiiic transt beritia turila proJit Galla , Eustadiia , Alarlia , et Severa : Cogunt reticiilo comas virenti , Supparoque haineros rubro elegaiiler Ornaiit , ferrea sica sub papillis , Et jactant aiiimos ferociores. Tara quae ex tempore doctior caneadi , Cantal jurj^ia cuiqne transeunti , Nec discrimina fossor an togalus : At si quis placeat , dicat corallam , Tunc Carmen sociae ultimura recanfant , Et clamans iterat chorus corallam , Ac festo resonant agri tumultu . Haec , illa interea inscios aderta Frontem atque avida pingit ora musto, Sed dum fervei opus , lacusque spumant, Atque in re dominus sua occupatur , Quid raultae e nuribus puellulisque Islis , flos Latii ? Manu perita Vinelum populant , arudineto Abdunt , vel scrobe furta , vel sodali Tradunt , post fruticeta praeslolanti : Et tamea quasi seJulae , innoccutes Sueto carmino , quod faligat aures , Feslivam a domino exigunt merendam. Nostrarurn mala fata viueaium ! 163 Num fares rapinili parum vagantcs ? Parum ex arbore , vitibus , cadisque AiTogant sibi bajuli et coloni ? Aut audacia doliariorum ? Quid ? mercede operarli locantis anno Tote plurima furia viniloris ? Au mores domini arguas avaros ? Quis neget velulae stipem , recisos Quae cervice fereus tremente fasces Mendicai sibi sordidisque nalìs ? Quiii et lignipedi dabo petenti , Qui barba hispidus , horridus cuculio Cancellos ferii , iconemque divi In llieca raihi praebet osculandam , Ac me pulveris berbidi pugillo ( Nasi deliciae ) remuneratur. Sed quis undique tot ferat latrones ? Quare, Bacche pater, facis venuste Si tecum alluleris gravem alque durum Tliyrsum , et lu venias simul, Priape Custos optirae, falce cura saligna. Sic quos non facies queat tenere Judicis fera , sive lictor , aut quae Alta de trabe per rotara solebat Rostis pendula territare plebem ; Aut scamno applicitus recentiori Qui i»lexus sculica monet popellura , Vos istis lalera et caput dolale , Vcstro tundile, pellitole fuste llucc opprobria Rorauli Remique. II 164 — Il ■MniiuyfuMMm^wili^i »i if]|^,inif ^ Intorno ad un ode d* Orazio. Lettera di Clau- dio Morelli a Giuseppe Ignazio Montanari , e risposta del medesimo. AI professore GIUSEPPE IGNAZIO MONTANARI Glaudio Morelli. ( Orazio Ode 23 lib. 1 ) vJhi puro ha il cor, chi senza colpa h forte . Mauro strai non ricerca , arco , e faretra Onusta il sen di attossicata e tetra Punta di morte , Sia che al Caucaso inospite , e alle irate Sirti , o Fosco, si volga , ossia che altronde Vada d' Idaspe anche a calcar le sponde Favoleg'giate . Mentre Lalage mia , scorso il confine , Canto rapito a me , vuoto di cure , Fugge me inerme un lupo per le oscure Selve sabine . Fra i lecci suoi la militar non serra Daunia egual mostro, e di leoni altrice Di Giuba non ne fu mai genitrice L' arida terra . Ode bi Orazio 165 Ponimi ne* pigri campì , ove secondo Zeffiro arbusto non carezza , e dove Di fosche nebbie l'inclemente Giove Occupa il mondo ; Ponimi ove il sol più ferve , e magion nulla W* è schermo a* rai troppo vicini , e ardentf; Dal bel viso amerò , dai dolci accenti La mia fanciulla . Nominato in foggia sìnotica alla pagina 3iT del voi. 07 nel Giornale Arcadico, senza che siasi come di altri riportata anche la versione dell' ode 23 da me tra- dotta , di cui si fa menzione, e dubitando possa aver- la avuta solt' occhio , quando stimò attribuirle le va- rie eccezioni cui ha creduto assoggettarla , ho giudica- to aver aperto Tadito per inviarle la versione dell' ode suddetta dì ultima data . Tutto ciò posto, convengo anch' io che l'egregio signor Santucci ha de'nierìti impareggiabili da tutti senza meno riconosciuti , e eh' eccellente sia la di lui ver- sione dell' ode medesima . Ma io senza parlare di es- sa nel dirigerle la mia a bel diletto consegnata al- le stampe, miro allo scopo soltanto di ottenere da lei parziali osservazioni su di essa , onde possa convìn- cermi della lealtà di una persona , che ho ed ho avu- to sempre nella stima piìi grande, ed a cui, separalo da qualunque lusinga di amor proprio , volli aver ri- corso , per più sicuro dirigermi nell' avvenire . IVii occupi in regresso , dove può credermi abile in prestarle servigj , e rai annoveri nella classe de* suoi singolarissimi ammiratori . Todi I novembre 183G. In Todi ^ " . Da Raffaele Scalabrini 166 Lette KATURA Ai signor conte CLAUDIO MORELLI, Giuseppe Ignazio Montanari Q uando ebbi a parlare nell'Arcadico ( voi. 67 pag. 317) dei molti volgarizzatori moderni delle odi di Fiac- co , non poteva io passarmi sotto silenzio quello stam- pato da lei in Todi nel i831 , senza correre pericolo d'essere accusato di poco diligente. Ma dovendone par- lare , e non mi sembrando tale clic primeggiasse , an- zi ( mi permetta pur dirlo con quella schiellezza d'animo che è dell' indole mia ) non vi trovando ne la forza , ne i modi , ne il colorito oraziano , dovetti tenere quei linguaggio che non dal disprezzo, ma dalla verità mi era consentito. Perocché sebbene facilita di verseggiare , ed una certa fluidezza io abbia trovato nel suo lavoro , mi pare tuttav^ia che esso non si possa scusare dal lato del- lo stile , che tiene troppo al gusto del secolo passalo , e non si confa cou quello del lirico latino. Ella infatti , signor conte mio, sa insegnarmi che in Orazio una del- le qualità più sublimi è la forza della frase poetica, sem- pre robusta , efficace , e tale che anziché mostrare agli occhi i concetti li scolpisce rapidamente nell'animo. EU la sa, che l'eleganza oraziana è sopra ogni altra de'poeti latini ; e gli spiriti pindarici , ella sa che sono si ele- vali, che non è ala di fantasia italiana che vi tenga die- tro senza stanchezza. Un buon traduttore adunque, per quanto il permette il nostro idioma, dovrà avere non in- differenti qualità , e coi concelli d'Orazio serbare for- za, eleganza e slancio di poesia. Io non intendo giudi- care dei suo volgarizzamento: ma ella mi conceda dire, che a me non è avvenuto trovarvi queste qualil'a , al- Odk di Orazio I67 meno In quella misura clie bastasse a portarlo oltre la mediocrità. Mi dirà, ch'ella è sopra alcuni traduttori: e lo ' edo ; ma di quelli iin taciuto^ anzi non lio voluto appor- ir analisi clic a que' eh' erano o assolutamente migliori , 0 di grido raagj^iore. E poiché ella mi richiede di par- ziali osser\>azioni intorno l'ode , che cortesemesite ha vo- luto dirigermi a stampa con una gentilissima lettera, io volentieri soddisferò a' suoi desideri , purché nella cose die io dirò non riconosca altro che la brama che ho di servirla , e di guadagnarmi la sua grazia . E ben- ché soglia avvenire che il vero non partorisca, ma spen- ga ogni benevolenza , pure avendola io per persona tan- to cortese , quanto amante della nuda verità , cui l'an- tico filosofo anteponeva all'amicizia di Aristotile e di Platone , credo che l'obbedienza mia mi frutterà dal no- bile animo di lei grazia e favore. Incomincio dal dire che , Chi puro ha il cor , chi senza colpa è forte, non lisponde pienamente aXV Integcr vitae scelerisque purus ^ ne per forza di espressione, ne per vivezza d' immagine poetica. Essere intero di vita eq'.iivale non solo ad essere puro nel cuore , ma ad avere tutte le bontà che devono fiorire la vita ad uomo onesto. Forte senza colpa non è sceleris puriis , ma equivarrà a dire chi non ha mai dato in colpa, chi ha coscien- za netta : cioè chi è senza rimorso ; cosa assai bene dichiarata dall'Alighieri ove disse della coscienza : La buona compagnia che V uom francheggia - Sotto l* usbergo del sentirsi pura. 11 poeta adunque dice.- Chi ha la vita intera d ogni bontà , e perciò non si sente rimordere la coscienza ; ov' ella ben vede, che la se- conda qualità è conseguente della prima , sebbene noa si mostri il legame di conseguenza , secondo l' uso dei lirici. Il dire poi forte e un preoccupare la mcn'e col- 1 idea che Orazio ha posta nel non eget rnauris iacu" lis : la qual cosa toglie parie del diletto al lettore , 168 Letteratura e divide aliraniente i concctll da quello che ha fatto il poeta latino. Il non ricerca non è V eget. Il ricercare una cosa indica \n\x desiderio della medesima che bi- sogno ; mentre 1' eget indica bisogno , necessita, Nec venenatis grmnda sagittiSi, Fasce ^phar etra. Lascio che ella toglie quel Fasce pieno d' affetto, e conveniente a conoscersi per essere la persona a cui si parla ; e chie- do in grazia ^e le sembra che il delicato colore ora- ziano si trovi in questo: Faretra - Onusta il seti di attossicata e tetra Punta di morte ; dizione poco no- bile e niente espressiva. Chi mi sa dire come una yOMn- ta faccia grave una faretra ? Il seno della faretra non è egli troppo ardito traslato ? Perchè quel tetra , che in origine non vuol dire che nera ^ se non per biso- gno di rima ? E se un pittore avesse a dipingere una tetra punta di morte^ che scarafaggio non farebbe egli ? Io schiettamente le confesserò che lui sarei pii!i attenu- to alla prima traduzione sua: Uopo non ha di raaure frecce e d' arco , Ne di faretra d' atro strai munita , Chi mena pura d' ogni colpa scarco Integra vita. E sebbene anche qui alcuna cosa sarebbe a ridi- re , pure e più correvole e chi.iro Io stile ; e ancor- ché risenta un pò di rigoglio , offende meno. ìMì ri- chiamerà ella che il Santucci ha detto : Chi puro è d' alma e puro vive : e non 1' ho censurato, come Chi puro ha il cor; ed eccomi a diviene il perchè. Nella parola alma noi intendiamo i pensieri , e gli af- fetti , e le conseguenze loro , die sono le opere ; nel cuore non hanno sede che gli affetti. Il soggiungere che ÒHÌ Santucci si fa , e puro vive, rischiara il primo eoacetto , e ne da il corollario : poiché chi vive puro , Odk di Orazio 1G9 rà>e sceleris purus , cioè senza colpa che gli dia mor- so alla coscienza : e però la dizione del Santucci mi tiene ad Orazio ; dell' altra non mi pare così. Nella seconda strofe ella can<^ìa V aestuosa s ^ epl- \o\o da(o alle sirti , e sostituisce irate. Convengo che in questa parola è il senso del poeta , ma non vi h in- tera r immagine : poicliè egli ha voluto dire: Sirti che ribollono - Come fa mar per tempesta - Se da cofi- trurii venti è combattuto . Tardi è mettere qui il Fosco , poiché tro[)[!0 tardi il lettore è avvisato a cui si par- la. Si volga non è V iter facturus ; poiché volgersi ad un luogo , varrà andarvi verso , o andarvi , ma non camminarvi per mezzo. Osservi qui qonnto manca ad Orazio , tolta che è nelT immagine dell' Idaspe quel- la dello scorrere eh' ei fa largo e trantjuillo per attra- verso r India , ben tratteggiata di colpo da Orazio eoa qocl lambii. Passo della elocuzione troppo umile a pet- to a quella del testo latino , perchè dir tutto saria an- ùaic in soverchio. Xja terza strofe è troppo intralcia- la d' ambiguità. Ragione di costrutto domanda che io riferisca Io scorso il con/ine a Lalage : il che sareb- be errore. La parola canto congiunta alla parola ra- pitOi senza indicazion di persona, si pare meglio no- me che verbo ; vuoto di cure stara tanto con me , quan- to col confine trascorso. E' poi questo modo altra vol- ta oraziano : ma qui non calza , poiché expeditus curis è metafora d* altro peso e d' altra tinta. Poi osservi , signor conto mio , che danno le viene dal non avere mantenuto 1' ordine delle idee voluto dall'au- tore. Nel testo prima è la descrizione del luogo, indi me è la principale idea, lupus la seconda , e queste campeggiano per tutta la strofe ; mentre pare che ella vi faccia campeggiare Lalage , e non si determina be- ne Il luogo oye il fatto avviene. Convengo che non si poteva tenere il trasposto latino : ma elk si con- 170 LsTTKRATlJRA verrà con me, che vi si potea accostare: conciossiachè altrimenti facendo non si ottiene ciò che si è prefis- so il poeta, il quale dapprima li vuol porre innanzi la selva sabina ov' e^Vi errava , poi il pericolo corso da lui per io scontro del lupo . E questo ho osser- vato per notarlo quanta diligenza occorre a rendere veramente poesia classica per poesia classica. Viziosa e la sintassi del primo verso e roezzo della quarta stro- fa : piiì , quel portentum vuole stare innanzi a lutti , perchè fin dapprima il lettore concepisca la niaravi- gliosa grandezza di quella selva. Quel di Giuba è trop- po distante dall' arida terra , perclìè si debba costrui- re r arida terra di Giuba , anzi che dire altrice de* lioni di Giuba. Altrice poi e genitrice in rima sono troppo dappresso per non sentire di ripetizion di pen- siero. L'epiteto di arida, dato da Orazio alla paro- la nutrlx , retide più poetico il pensiero : dato a ter- ra , lo abbassa. Il secondo Zefiro, che è nella qninla strofa, pare conseguente di primo , e non mai amico , ed è un la- tinismo male preparalo ; il carezzare è troppo assai meno del ristorare , ricreare. Una carezza non rida la vita , come l' auretla la rida alle piante fiammeg- giate a lungo dal sole. Giove inclemente per noi non equivale ad aria inclemente^ poiché la parola Giove presso noi non ha 1' esteso significato che avea pres- so i latini. L'immagine, che esce da* versi del tradut- tore, è che Giove iddio occupa il mondo colla neb- bia : e quella del poeta è che /' aria nebbiosa e ma- ligna preme. Né starò a mostrare che r occupare non è /' urgere pittoresco d' Orazio , ma una voce insì- gnificativa e prosaica affatto. Ora veniamo all' ultima stanza:Pofie subcurru nimium propinqui solis-.-Pommi ove il sol più ferve ec. Consideri in prima quanto è viva in Orazio l'immagine del sole che troppo appres- Ode di Orazio ITI sa il suo carro alla terra, e la fiammeggia : e mi dica se a questa tiene abbastanza il Sol fervit di Gelilo lib- 2. e. 29 . Aggiunga che io trovo il fervere più usalo dai classici latini e italiani a significare ribolli-" re per violenza di calore; e nella idea del fervere mi pare sia sempre unita quella del moversi. Imis fer- vei arena vadis^ diceva Virgilio : e Orazio altrove di- ce.- Fervei avaritia miseroqne cupidine pectus. E quan- do pure giustissima fosse l' espressione , che immagine hanno innanzi a se gii occhi miei al suono di quelle parole.'' Magion nulla uè schermo a rai troppo vi- cini e ardenti - In terra domibus negata - è un di- re prosaico , lungo , e mal rispondetile alla forza del latino. Quella magione^ sebbene usata dagli scrittori italiani alcuna volta , non lascia però d* essere parola forestiera; e dubito che magione, dal latino mansio, presso noi non abbia ad usarsi che quando s' indica casa grande e da farvi dimora ; e qui non si tratte- rebbe di abitare a lungo , ma solo di schermirsi dal sole; e però basta dire tetto, capanna, casa qualunque. Quest'idea e stata data in altra veste da Orazio in que- sta stessa ode , quando chiama il Caucaso inospitale, cioè ove non h letto che accolga persona viva. Pare adunque che con buon senno il Santucci abbia detto albergo , non trattandosi qui di abitare ma solo di ri- coverarsi. QeìV ardenti soverchia: poiché quando è detto che il sole è cocente perchè troppo vicino alla terra, è pur detto che i raggi ne sono ardenti. Quel- lo poi che al certo non sa punto della delicatezza dì Fiacco è il fine dell' ode ; giacche nella traduzione h affa'ito tolta la graziosa antitesi del dulce loquentem, dulce ridentem. Amerò Lalage (e in quel nome quanto affetto! ) e quando ride dolcemente, e (juanto dolcemente parla ; significando con ciò che le parole sole sono care quanto il sorriso . Così il L^ctraica disse ; 172 Letteratura Chi non sa come dolce ella sospira , E come dolce parla, e dolce ride: e il Poliziano : Tanti cuori Amor pi£;lia e fere e ancide Quanto ella doìce parla e dolce ride: e il Casa al sonetto 5c): Cola 've dolce parla o dolce ride Bella donna , ivi presso ^ pianto e morie : e il gran Torquato cauto IV della Gerusalemme: Ma mentre dolce parla e dolce ride ec. Ora se tutti questi sommi poeti lianno trovato bel- lezza grande in questa antitesi, che Orazio tolse già da Safìb , perchè vuole ella o tralasciarla , o tramutar- la ? Dal bel riso amerò , dai dolci accenti La mia fanciulla , non rende certo ne la dolcezza , ne l' in- tegrità del concetto . Perchè cangiare Lalage nella fanciulla , nome vago e senza affetto , più convenien- te a donzellina non matura viro , che a Lalage so- spiro di mille amanti? Conviene anche traducendo con- servare questi nomi , perchè in essi è signifiazione di alcuna qualità della donna indicata. Qui Lalage , se non erro nella etimologia della parola greca , pare che significhi ben parlante , e però dulce loquenttm. Avvertirò in fine che per ragione di costrutto , anche in poesia dee dirsi la mia fanciulla da bel riso e dai dolci accenti^ e non si può alterare la sintassi , e di- re : Dal bel riso amerò , dai dolci accenti - La mia fanciulla . Odk di Orazio 173 Ecco, signor conte mio, ciò che mi è sembiato dichiararle della traduzione sua , solo per obbedirle, e corrispondeic in alcuna parte alla gentilezza eoa cui ella mi ha chiamato a giudicarne sinceraraciite. Ben mi piace mostrare che del giudizio mio non de- ye fare altro conto, che quel che si suole de'giudizi degli uomini poco esperti : poirhè io mi sono un tale che negli studi, che amo moltissiuio, altro non ho , di che debba gloriarmi , che il buon volere . E però quella stima, che ella fa delle povere cose mie; solo è prova della nobiltà dell' animo suo , che ha sapu- to travedervi per entro la voglia che ho di ben me- ritare , e sa compatire i molti difetti di che elleno so- no gravi a ribocco . De' quali gran colpa è del po- vero ingegno mio , grandissima della fortuna , che fin dal nascere mi travaglia , e mi costringe a gittar fia- to il pili d(^lle volte invano, e a scrivere quando avrei d'uopo ancora di leggere e d'imparare. Il quale mal governo di fortuna sark cagione che altri nii tenga diverso da quello che sono , o che mi abbia per pro- suntuoso; cosa che non si direbbe certo di me, se po- tessi vivere a mio talento la vita, e secondare il mio genio . Ella che il può , sebbene le sia toccato di studiare con que'pri ncipii dai quali ora l' Italia dis- sente (intendo parlare dogli studi dello stile, a cui mal si attendeva in passato ) potrà ridursi di leggieri al- la scuola de' classici : e dopo che ad essi avrà posto alcuna fatica, ripigliando il volgarizzamento d'Ora- zio potrà renderlo degno di lei , dell'Italia , e far- si tale fs^ma che non invidi quella del suo illustre con- cittadino Jacopone , uno de' primi lumi della lingua, e della italica poesia . Voglia intanto annoverarmi fra'suoi umili servito- li : che io me , tnlto quanto sono , le offro e con- sacro . Di Pesaro 1t) dicembre 1836. 174 Osservazioni sul bello, jdrt. VII. JL 1 el raio discorro DelV ordine ossia del secreto della bellezza (») ho fallo aperto, quale che siasi, il mio pen^ siero: pensiero nato in rae sì dal considciare le cose belle; si dalponderare le sentenze dimolti dotti su questoargomen- to , chea Platone non che ad altri parve difficilissimo. Mi sono trovato d'accordo con quella niente del cardi- nale Gerdil ; se non che a rae è parso di generalizzare il principio dell'or^/^e. Non mi starò per questo di ascol- tare gli avvisi de' savi e benevoli, che siano per istruir- mi ; dacché è lungi da me vana presunzione , e solo mi tocca l'amore del vero : al quale ho dato sempre e darò, finche io viva , i miei più dolci pensieri. Intanto segui- terò il proposito che ho incominciato nel giornale arcadico, e cunlinualo nella nostra edizione delle 0*- servazioni sul bello (2) : nella quale ho dato in vol- gar nostro la giudiziosa ed elegante memoria del Gerdil intitolata dell' or c^me , che egli dettò pulitamente in francese: ed ho aggiunto intorno al bello le sentenze del chiaro Degerando, di G. Droz, di Amice , di Verri» e del padre Slellini, conchiudendo a favore del princi- pio òeWordine (ja me generalmente stabilito. Non mi sta- rò adunque, e il ritornare sull'argomento sarà buono a provare la verità del principio ; benché io deggia dif- fidare di me , che lo spirito di parzialità per un siste- ma suol fare alle menti quello che agli occhi dell'ilteri- (1) Tom. LXVI. a pag. Sia. (a) Lugo i836. in 8. pel Melandri- OssanrAzioNi sut stillo 1T5 co la infermila , la quale fa parer gialli ( cioè del suo colore ) tutti gli oggetti. Ad evitare questo male , par- lerò non io ; parleranno bensì que' savi , che prima e dopo di me sentenziarono della bellezza. Se li tioverò non dis(-nrdi al mio parere, s.iia indizio che il mio pa- rere non oda rigettare; se altiimenli, dovrei dubitare. G;n lo Antonio Pezzi nelle sue Lezioni ài filosofia della mente e del cuore nota il primo bisogno mora- le, che e la cognizione della verità : ed il secondo , che è la stinn della bellezza. Limitandomi a questo secon- do capo, conforme è del mio istituto, dirò innanzi co- me egli Io divida (1). Secondo lui i bisogni morali si riducono ad uno ; poscia distingue la bellezza degli og- getti semplici da quella dei composti ; parla della subli- mità , e del bello imitato ; indi accennata la varietà de' giudizi intorno alla bellezza , trova che altra è assolu- ta , altra relativa ; passa a parlare del gusto ; nota la varietà dei gusti ; termina avvisando come il gusto si corrompa. Ha creduto opportuno imitare il geografo , che ti pone innanzi la carta di un regno o di una provincia: poi la viene spiegando, ossia dichiarando a parte a parte, e fa contenti gli animi desiderosi di apprendere. Pertan- to, dopo avere indicato tutto il pensiero del Pezzi , ne verrò dichiarando le idee; affinchè ogni savia e discre- ta persona possa farne giudizio : e non mancherò di os- servare dove ei si accordi col principio àe:\V ordine , e dove se ne discosti, o paia piuttosto discostarsene. Il qual metodo di esposizione parmi servire massimamente a chiarezza , ed a quello che Orazio chiamò lucidus orda. 1°. I bisogni morali si riducono ad uno : infatti si cerca la verità perchè piace il conoscerla ; e perchè (i) Gap. XXYin. 5. 2i3 e segg. Padova alla Minerva igar. 176 Letteratura /y/ace, stimasi la bellezza. Per la qiial cosa la propen- sione alla verità come alla bellezza si riduce al bisogno di sentire il piacere^ o, ciò che è . lo Stesso, dì ccnse- guire il bene. Così l'autore , al quale non assentirei fijcilinciite nell'assegnare la causa del cercare la verità, dello stimare la bellezza ; parendomi il piacere non più che un invito od un effetto: la causa poi io trovo nel- l'ordinamento della provvidenza , che ha fatto l'uomo ca- pace di conoscere il vero e di sentire il bello. Ma è da se- guitare la trattazione ; 0!ide vie meglio comprendere il pensiero dell'autore, che vuoisi inconsideratamente giu- dicare. , 2°. Bellezza degli oggetti semplici. Diciamo bello un oggetto semplice , come un colore , un contorno , un suono quando fa tale impressione sull'organo della vista o dell'udito , che ne risulti nell'anima un misto di pia- cere e di maraviglia. Qui entra la maraviglia, in quan- to che un elemento del piacere è quello che proviamo alla scoperta della verila. In fatti un oggetto appare tan- to pili fisicamente vero, quanto è piiì chiara la sua per- cezione : e tali sono quelle degli oggetti semplici allor- ché gli chiamiamo belli. E bello diciamo anche il nero, quando è assai atro , la rupe quando è molto contras- segnata , una dimostrazione evidentissima , una buona azione importante , difficile , rara. E dacché le idee degli oggetti visibili e le nozio- ni de' sonori sono piiì vive di quelle che ci porgo- no gli altri sensi , noi diremo bello un colore ed un suono ; non già. un odore od un sapore. 3". Bellezza degli oggetti composti. Qui è dove l'autore consente con me. Anche gli oggetti composti ( egli dice ) discorsi belli , perchè destano un misto di piacere e di maraviglia. Ma trattandosi di bellezze spet- tanti a composizioni , un elemento del piacere provato nel contemplarle è quello che noi sentiamo all'aspetto Osservazioni sul bello 177 òeWordine. E tanto pre«la questa elemento , die lo tie- ne unico e fondamentale , sebbene non Iodica aperta- mente ; ma chi ha fiore di giudizio può argomentarlo di leggieri dalle seguenti parole di lui , che mi giova rife- rire ancora perchè fanno contro un'obbiezione , che a me è stata talta da alcuni , i quali ricusano di ammettere nella sua generalità il princij)io dell'ordine , dicendo che bello è talvolta anche il disordine. Il Pezzi adun- que ragiona cosi : diciamo bello un composto di ogget- ti semplici , tanto sonori quanto visibili , allorquando il legame loro abbia un' esatta convenienza col fine. Bello è un accompagnamento musicale, che serve ad esprimere vivamente il senso delle parole ; bella una campagna , ia cui tutto cospira alla fertilità ; bello un palazzo , le cui partì concorrono tutte alla sicurezza , alla salubrità, al comodo, al decoro; bella una stanza , benché mobiglia- ta a forme non del lutto eleganti , uh a colori freschi e vivaci , purché vi regnino per tutto le medesime tinte e le stesse uniformità. All'opposto sarà cattivo un accom- pagnamento a contrassenso della parola; deforme una statua mancina ; brutta una colonna senza capitello ; svenevoli i mobili di disparate forme e colori. Soppor- teremo l'obbliquita delle finestre nella camera dì un va- scello , perchè la conosciamo richiesta dalle circostan-' ze ; quando sarebbe insopportabile nella facciata di una casa , perchè priva di ogni ragione finale. Allorché poi ( egli continua ) un disordine parziale cospira ad accre- scere la bellezza di un tutto , questo apparente disordine concorre egli pure ad un fine , e perciò diventa parte òeìVordine. A". Della sublimità. Se al piacere si unisca la ma- raviglia in sommo grado , il sentimento che desta in noi la bellezza si può dire sublimità : di un carattere grave opposto al piacere gentile , che destano gli oggetti leg- giadri. Nasce d'ordinario quando siamo spettatori di ef- G.A.T.LXIX. 42 478 Letteratura felti prodotti da una grati forza : il firmamento, foce- ano , una eruzione vulcanica , e simili , sono altrel-t tanti oggetti sublimi ; l'inaspettata comparsa , la soli- tudine , il silenzio , le tenebre ( circostanze , che av- vivano la percezione degli oggetti) contribuiscono a cre- scere il sentimento del sublime. 5", Del bello imitato. L'autore cliiama così l'arti- ficiale , detto anche ideale , cioè quel bello che hanno le opere delle arti , allorché producono in noi la stessa sensazione che le bellezze naturali. Perchè l'arlifiziale rappresentazione di una bellezza semplice sia bella basta somigli perfettamente al bello originale della natura. Ma se trattisi di un composto , conviene dipiù sapere or- dinare al fine proposto il bello della natura ; peroc- ché appunto hanno ordine i composti naturali . Il primo maestro è il criterio ; cosi io diceva già ai lette* rati ed egli artisti: „ Formatevi allo specchio della natu- ,, ra , prima maestra dell* ordine ; ricomponetevi alla „ maestra dell'ordine: empitevi la mente di grandi idee, ,, il cuore di puri affetti , meditate , vegliate , sudate, „ e ne usciranno portenti (i). ,, 6\ Varietà dei giudizi intorno alla bellezza. Quan- to agli oggetti semplici , entra nel piacere una maravi- glia dipendente dalla percezione della verità , di cui ognuno è capace ; quanto ai composti la maraviglia prò» cede dalla percezione àdVordine , che non tutti ponno a colpo d'occhio rilevare. Esiste una bellezza assoluta e reale delle cose in se stesse , la quale è riposta nel- la loro attitudine a solleticare chiunque ; ma rispetto a noi che riceviamo le impressioni , ponno le cose parer- ci non belle per non conoscerne il pregio ; e potremo altresì essere solleticati dalle brutte ( per le cagioni che (x) Vedi il discorso dell'ardiue. Osservazioni sul rkllo 173 saranno più sotto indicate) , e quelle hanno allora per noi una bellezza relativa e chimerica. U iduneilk ad essere solleticali da una bellezza , quale essa sia , rea- le o apparente , si chiama gusto , che può essere in con- seguenza buono o cattivo. 1°. Variano i gusti secondo, 1°. lo stato particola- re dell'organismo e del conseguente carattere personale; 2*. la qualità dell'esercizio , che avrà servito a perfe- zionare gli organi relativi; 3°. il grado di perspicacia e la qualità e quantità delle nostre cognizioni , prevenzio- ni ed abitudini. 8°. Come il gusto si formi e si corrompa. La na- tnra ed il criterio sendo i raaestii del gusto , tiene l'au- tore consistere il buon gusto nel distinguere il bello na- turale , e nel saperlo applicare partendo dalla scienza del soggetto. L'amore alla verità ed all'ordine innalza a poco a poco il nostro gusto fino a non renderci sensibili, che alla vera bellezza. Lo studio della natura , nella quale tutto h vero ed ordinato, c'ispira codesto amore. 11 criterio si forma imparando a scegliere i fini ed a ren- derne cospiranti le parti : al che vuoisi studiare i sog- getti in se stessi , ad apprendere poi dalle opere perfet- te dell'arte ad ordinare le bellezze , di cui que' sogget- getti sono capaci. L'amore del vero e dell'ordine , pas- sando facilissimamente dagli oggetti riguardanti l'intel- letto a quelli riguardanti il cuore , è cagione che il buon gusto si accoppi alla bontà morale degli uomini e delle nazioni. La depravazione del buon gusto , a sen- timento dell'autore , è dunque foriera di quella del cuo- re e del carattere nazionale: e qui sono a distinguere le cause dai n2ez:i di tale depravazione. Elemento del piacere che nasce dalla bellezza è la maraviglia ; ma questa cessa quando l'oggetto diventi comune: poi l'abitudine spunta l'energ^ia della sensazio- ne : poi se manchi lo studio appropriato non sì perce- 12* 180 Letteratura pisce rorcìinc , e questo fa che la bellezza degli oggoUi composti non è più tale per noi . Ecco le cause , per cui la vera bellezza non piace più. IVJa la sete del pia- cere è inestinguibile r e se il vero bello si è reso inca- pace di soddisfare quella sete, ricorriamo al chimerico: non che il gusto si deprava. I mezzi , onde il gusto corrompesi , sono : negli - {^enza dello studio dei soggetti e delle belle opere della natura e dell'arte, ossia trascuranza di virtù e di or- dine; e sostituzione, invece , di bellezze peccanti , ossia opposte a verità e ad ordine. Si erra per difetto o per eC' cessij : '^^^difetto di ordine e di verità le opere nostre sa- ranno trascurate , fredde , inviluppate , incoerenti ; perec- cesso viene Taffetlazione , le caricatura , la secca esecu- zione di regole arbitrarie e minute , che inceppano il ge- nio e fanno peggio. Se il gusto corrotto si fa dominante , gli artisti seguono la corrente; finche il piacere della verità e dell* ordine non ci richiami e corregga . Studiansi di nuo- vo i soggetti e il vero bello della natura e dell' ar- te , con che il gusto riformasi. Cosi, dice l'autore, la I oltura e la barbarie diventano periodiche; ma que- sti periodi sono assai lunghi . Conviene pertanto 1' autore nel principio deli' or- dine quanto alla bellezza degli oggetti composti; quan- to a quella dei semplici, preferisce il principio del ve^ ro ; ma essendo la verità ( se cosi è lecito esprìmer- si ) quasi una particella dell' ordine, considerato nella sua generalità : e gli stessi oggetti, abbenchè verso di sé semplici, avendo sempre dei rapporti diversi , non può non animctteisi di essi la ragione dell'ordine, come dei composti . Di che veggasi il discorso, che ho premesso , dell' Orr///ze ow/a del secreto della bel- lezza . D. Vaccolini. 181 Osservazioni sul hello ( Art. FTIF. ) 1 1 cliiaio autore „ Del metodo di comporre le idee e di contrassegnare con vocaboli precisi per potere scom" porle regolarmente a fine di ben ragionare , e delle for- ze e dei limiti dell umano intelletto ,, esaminando i prin- cipi! normali della bellezza delle cose naturali , e al- la traccia de' falli ragionando , crede potersi stahilie , chele prime prerogative della bellezza relativa alle cose naturali siano, \°. il color vivo fino ad un certo grado , che non offenda il senso; 2"- quella disposi- ione di co- lori e di linee , che si denomina armonia; 3". la varie- tà. Queste dice le prime prerogative della bellezza , per- ciocché considerate in astratto ( cioè senz'ultra relazione colle cose , alle quali perteogono ) sono piacenti a lut- ti , che nnn hanno viziati i sensi : ma ponno cessar di- letto , considerate come parte della percezione di alcu- na cosa. Che intende col vocabolo percezione il eh. au- tore .<* un complesso di una o pili sensazioni associale con certa quantità di reminiscenze relative alle sensazioni prodotte da corpi simili a quello che ti è presente ( se l'oggetto è nuovo ) , e colle reminiscenze relative alle sensazioni altra volta prodotte dal corpo ( se questo non ti è nuovo). Previe alcune considerazioni l'autore si con- duce a concludere , che l'idea della bellezza relativa- mente alle cose naturali si componga di questi elemcn" ti ; vivacità di colorì e di linee , e varietà di colori , e tutto ciò ordinato ai fini , ai quali giudichiamo esse- re o servire le cose : la concorrenza di si fatte cose ad un fine è quella unita , di cui s. Agostino: Omnis ptil- chritudinis forma unitas est. Passando all'idea norma- 182 li fi T T E n A T U R A le della bellezza degli animali , nota l'autore coraporst' di questi elementi : qualità piacente ne colori , armo- nia di colori e di forme ^ varietà , se^ni esterni di bel- lezza intellettuale e morale , e tutte queste cose con- cordi col fine , a cui Vanimale da natura o da noi è destinato. Se belli si tengono e dicono alcuni oggetti od aspetti della natura mancanti di alcuna delle accenna- te prerogati >^e : ciò avviene perchè ci dileltano per le idee che traggono in loro compagnia, e che presenta- no all'animo più vivamente. Anche il bello relativo ha sua ragione nella qualità delle idee , che gli uomini per abitudine hanno associate a diversi oggetti. Ad illustrare le sose dette , crediamo definire che s'intenda per bellez- za intellettuale e morale^ secondo 1' autore. Tutte le ope- razioni della mente , le quali o per la difficolta che è in esse, o per la facilità con che sono poste ad affetto, ci recano maraviglia , sogliono dirsi belle , poiché la maraviglia è diletto ; l'uomo poi piacendosi dell' or- dine, si piace della giustizia e più della onesta; laon- de le azioni oneste , sendo dilettevoli a tutti coloio che hanno intelletto a conoscerne il pregio , meritano il no- me di belle , quando si conosce che a porle in effetto sia mestieri di rinunziare alla privata utilit'a ; che questo rende le azioni maravigliose, e perciò dilettevoli. Quel- le azioni adunque, per porre ad effetto le quali richiede- si la vittoria sopra qualche passione , sono naturalmen- te piacenti più chele altre, cioè sono belle. Io vo dicendo tra me: Questi principii normali del- la bellezza notati dal chiaro autore potrebbero essi ri- dursi ad uno ? al principio àtWordine già da me stabi- lito ? Farmi, che si : infatti bellezza delle cose natu- rali considerata in astratto vuole, J*. il color vivo fina ad un certo segno , che non offenda il senso : questa limitazione , cìie non offenda il senso , non accenna el- la essenzialmente aWordine ? 2°. e quell'armonica dì- OsiKftvAziON! SUL BÌELtO 183 sposlzlòne di colori e di linee non è dessa tutto ordine? Resta la varietà; ma questa dovendo coesìstere colle altre jS'^crogative della bellezza, e certamente non escluderle, non può non essere amica cìeWordine. Passando alla bel- lezza considerata in concreto , tanto più trionfa il princì- pio Vordìne^ in quanto che il saggio autore lia notato una condizione necessaria alle prerogative di vivacith, di ar- monia , di varietà t cioè che siano concordi al fine : ed ha ben anche ramraantato quella sentenza del vescovo d'Ippona , che dice : Omnis pulcritadinis forma uni' tas est. Che ci vuole di più per ridurre i principii del- la bellezza a quell'unico da me indicato àtiWovdine ? Passando ai principii normali delle belle arti , incomincia dall'architettura. „ Gli edifici si erigono per ,^ sicura e comoda slaiiza degli uomini ; ond'è che l'ar- ^, raonia e la varietà delle forme debbono in essi con- ^j cordarsi col fine , per cui sono fatti , e dar segno di f, essere solidi ed acconci ai diversi usi , a che sono de- ,, stinati : l'armonia e la varietà delle forme in questa ,, concordia fanno quella Unita delTedifizio, che è bel- ^^ lezza. ,, Siccome poi gli edifici o sono pubblici o pri- vati e di usi diversi , cosi altri rapporti ne nascono , à Cui devesi conformare T ordine architettonico-, cosi an- che l'esterno deve annunziare l'interno , e questo come quello conformarsi M.'ordine^ nel quale, a mio parere, sta il grande segreto, ossia la ragione fondamentale della bel- lezza. Nel che pare consenti il eh. autore ; tanto piij che risolvendo la quistìone , in cui si dimanda se ar- chitettura sia arte d'imitazione; rispondeaffermativamente, perchè gli eleme.nti della bellezza archìteltorlca sono quegli stessi, onde ha detto formarsi la bellezza delle co- se naturali, cioè armonia di forme (e di colori dove siano marmi diversi) , e varietà, anche in concordia co* fini, per Cui sono fatti gli edifìci. Essa infatti (l'architettura) dispo- ne e proporziona le parti degli edifici secondo certi fluì 184 Letteratura come fa la natura. Con che è cliiaro il principio dell* ordine trionfare eziandio nell'archilettura , come trion- fa per eccellenza nella bella natura. E molto piiì trion- fa nella pittura ; dacché, per confessione del eh. autore, £;li elementi dell'idea normale della bellezza pittorica sono „ l'imitazione del naturale , la buona scelta del ,, subietto e del momento dell' azione , l'unita dì ,, questa , la scella delle forme de' corpi secondo l'idea „ del bello naturale , l'espressione ne' volti e negli ,, atti secondo il bello intellettuale e il morale , e „ spesso ancora l'espressione de' costumi viziosi, l'ar- „ monia nella disposizione delle linee secondo le „ leggi della prospettiva; l' armonia del chiaroscuro; „ la proprietà e T armonia de' colori , e il loro de- ,, gradare secondo le distanze diverse degli oggetti rap- „ presentati. ,, Che si vuole dipiìi a cònchiudere , che pittura, se vuole essere e dirsi bella, dee conformarsi al- l' ordine ? E ciò vale eziandio per la scultura , per- rochè ( secondo osserva l' autore ) „ se ne togli la pre- „ rogafiva di ritrarre il naturale co' suoi difetti ( il che ,, può fare la pittura con qualche lode ) e l' armonia ,, del chiaroscuro e de' colori ( che la scultura non ado- ,, pera ) avendo questa i fini medesimi che la sorel- „ la sua , ha in comune con lei tutte le altre prero- ,, gative, e perciò la stessa idra normale della bellez- „ za. „ Venendo alla poesia , anche in essa ( se pre- scindasi in alcuna parte da ciò , che ha di proprio e la divide dalle altre arli imitatrici della bella natu- ra ) trionfa il principio dell' ordine. Elementi della bellezza poetica , secondo il cb. autore , sono : ,, la raa- ,, teria in immagine sensibile, mirabile e passionata : la ,, forma varia nell' unila : la significazione con paro- ,, le e modi illustri , che portino verità ed cviden- „ za con armonia. „ Venendo alla musica , 1' idea normale della bellezza ba per clementi ,, la melodia OSSERVA7JOM ,SUL BELLO 185 „ e r armonia de' suoni piacenti , V alternare de' pia- ,, ni e de' forti , e la varietà di lulti questi elementi ,, congiunti nell'unita, clie è costituita dall' imitazio- ,, ne della natura : che è il fine più raaraviglioso e „ più nobile dell' arte. ,, E qui ci sia dato concliin- dere a favore del princìpio dell' ordine con quella sen- tenza del gran maestro di coloro che sanno , il quale dice ( Fisica FUI , i ) : Di quelle cose , le quali si fanno da natura e secondo natura, niuna è die non sia in ordine. JNè taoeremo ciò che nota il eh. au- tore ( che ha dato occasione a questo qualunque di- scorso ) : cioè die le idee normali o principii gene- rali , onde misurasi il pregio della bellezza nelle ope- re della natura o in quelle dell' arte, non sono com- posti adaibitrio, ma derivati dalla natura dell' uomo e delle cose, che fanno dolce impressione sull'ani- mo . ,, Il che è quanto dire , che hanno un rapporto ,, con fatti , i quali se alcuna volta si modificano ia ,, parte per cagioni fortuite, non cangiano raail'esse- ,, re loro ; perocché gli uomini e le cose hanno qua- „ lita loro proprie in tutti i secoli , fra tutti i popo- „ li , in tutti i climi : e questa è la ragione per la „ quale saranno sempre bellissime le opere di Raffae- „ le . . . del Palladio di Virgilio ... di Dante . . « ,, di Cesare, e di altri scrittori denominali classici. „ Giova intanto avere i.ella mente le idee generali espo- ste dal eh. autore per acquistare quelf attitudine a ben giudicare del pregio delle opere (e noi diremo dell* ordine ) la quale è chiamata buon gusto. Parlando di alcuni modi, onde avanzare le disposi- zioni naturali e l' intelletto , il eh. autore dice così : ,, Soprattutto gioverà l' arte di porre a tutte le idee uà ,, ordine tale, che le une alle altre si leghino persi na- .1, turai modo, che il sistema loro riesca per quanto è pos- „ sibilo intero ed uno. ,, Di che avendo egli dato esem- 188 LfiTTtnATURÀ pio nella sua opera Del metodo ec. ( Corfk i83i, é Parma i836 ) non posso che pregare i savi e cor- tesi di porre V occhio in quella , ilove vt^rlranno quasi lo specchio clella mt^nie di lui anche nelle cose della bellezza, piii pienatiiente e meglio , che nel breve ed imperfetto quadro , che servendo all' instituto mio mi sono studiato di presentarne! e se ivi vedranno trionfar 1' ordine, potranno convertire della bellezza dell'opera che e fruito di lunghe e dotte speculazioni del chiaro ideologo : lume della Romagna onde è nativo, e di Bolo- gna ove ha pusto sua stanza (1). I). VaCCOLIN! TP arte di goder sempre. Opera del P. alfonso de Sera sa fiammingo, della camp, di Gesù. Prima tradii' zione italiana del P. Antonio Bresciani della mede- sima compagnia. Homa 1836. T -1 1 P. Alfonso de Serasa gesuita fiammingo di motta virtù, ed assai versato nelle teologiche e filosofiche di- scipline, morì in Anversa nel i^^ìfit, giunto appena al quarantesimo anno di sua età. Tre anni prima , ciofe nel i664, aveva pubblicata nella stessa citta un' opera intitolata De atte sempergauden di, ò'ìvha in W trat- tati , ne' quali assai meglio del filosofo Seneca con va- lide ragioni svolse ampiamente quanto può condurre alla vera felicità 1* animo umano , e renderlo anche nel- la terra, per quanto e possibile , lieto e contento. Ed (i) Autore dell' opera indicata è il celebre poeta Paolo Costa. Artk di goder sempre 137 effinclib come ad un colpo dì occhio si potessero tul- li i suoi argomenti vedere , compendiò l'intera materia in un sii;:;oso Iraftatcllo , e come por appendice 1' ag- giunse. Venne quest' opera commendala ne' giornali di quel tempo , illustri filosofi della Germania la citaro- no con onore, e l'islesso prof. Cristiano Fischer nel 11 't\ procuronne in Lipsia una ristampa , bella eziandio per le giunte fattevi da ciliari letterali. Ninno peraltro l'ave- va giammai in altra lingua tradotta. Il H. P. Antonio Bresciani della medesima com- jiagnia, atleneutlosi a quest'ultima edizione, lia impreso ora a volgarizzarne «1 solo compedio , ma non in gui- sa che letterale riuscisse la sua traduzione. Imperoc- ché seguendo egli sempre le orme del suo originale, svi- luppa e pone in pili chi ara luce quegli argomenti , che ivi SODO accennali : nh sovente ha omesso di consulta- re r opera grande , siccom' egli stesso dice nella sua prefazione , e ne' cenni della vita del Serasa che bre- vemente vi ha unite. Quello però che renderà per certo il lavoro del Bresciani degno di molta lode , e giustamente gli acquista un pregio tutto suo, è 1' ele- ganza e forbitezza di stile , con cui si è piaciuto ador- narlo. Che se la rabustezza degli argomenti rende per se stesso commendevole un libro qualunque, non può negarsi che anche la bellezza della elocuzione grande pregio gli aggiunga , e che piìì insinuante allora , e direi anche più cara rendasi la slessa verità. Avve- gnaché , come dice il Pallavicino nel suo Trattato del- lo stile al capo 3: ,, Se gli uomini potessero come gli angeli manifestarsi immediatamente i loro concetti, so- verchie sarebbero le parole. Ma giacche a fine di pa- lesarceli scambierolmente eie necessario il dipinger- li con qualche sensibil colore , perchè scegliere a ciò pili tosto la negrezza sordida di un carbone , che le tinte graziose di oltre mare ? . . . Qui ccrlameale ha 188 Letteratura luogo la famosa comparazione usata da Lucrezio del me- le, che si asperge intorno agli orli di que' vaselli, in cui si pongono le medicine , affinchè i fruiciuUi lusin- gati da quel dolce più prontamente si muovano ad assorbirle. „ Ed in vero que* nostri antichi padri con quanto sopore di lingua italiana non dettarono i loro scritti , alcuni de' quali tuttodì ammiriamo , e non solamente giammai ncn sono stali superati, ma forse nemmeno avran- no mai chi li agguagli! Che se vorrassi dire venir man- co la chiarezza , e quella dolce soavità che parla al cuore , in chi si mostri accuratamente studioso dei vocaboli e dello frasi , in ispecie ne' libri ascetici, leg- gansi le piij accreditate tr^iduzioni che i trecentisti hanno fatte di simili opere : e chiunque bene vi por- rà mente e gusterà pienamente la forza e la proprie- tà delle voci , delle frasi , e de' periodi, dovrà confes- sare essere i suddetti libri sparsi di una spontaneità e soavità , che potrai ammirare ma non ispìegare. Per chi poi non sia si innanzi in fatto di lingua ripete- remo col Cesari (1) non istamparsi i dizionari, affin- chè ricoverti di pelli oltramontane ed interziati di va- ghe dorature abbiano a far di se bella mostra negli ele- ganti scaffali : e soggiungeremo col venosino , che sic- come col disusarle possono a poco a poco le parole uscir di corso , cosi collo spesso adoprarle possono novellamente tornarvi. Noi.^plenlieri abbiamo voluto allargarci alquanto , e dir tutte queste cose , che non sono ignote per certo , affinchè cessi una volta quella moltitudine di libri italiani scritti con tanta negligen- za di stile : e prendano coraggio que* che sono nella (i) Imitaz. di Cristo: nella pref. Arte d[ godeu sEMPRr. 1 Sg reità strada a durare nel loro proposito , ed a colti- vare questo soavissimo idioma, sapendo però distingue- re r oro dalla niondiglia , ed allenendosi alle savie regole die sole debbono esser di guida nella saggia imitazione de' classici , siccome ci .^embra aver fatto il Bresciani. Ed affinchè ognuno possa da se stesso vederlo, riferiremo alcune parole del cap. IV al §. IV ; ove trattasi della grande opinione , che debbasi conce-' pire di Dio da chi considera gli strumeni , di cui per reggere il mondo si serve. Dopo aver detto l'autore, che per innestarsi nelTanl- mo siffatta opinione non si volse a contemplare Iddio stesso nella sua essenza, perocché non avrialo potu- to , ma che prese a considerare gli strumenti più sem- plici , di cui servesi a dirigere e regolare la machi- na dell' universo , cosi prosieguo : „ Mi diedi a con- siderare la vasta superficie de' cieli , che a guisa di ricco padiglione ingioìellato di stelle si distende a co- prire la immensa curva del firmamento, e quivi entro come re della luce il sole e lo splendor del suo vol- to e l'inesausta fonte de' suoi raggi e del calore e del lume che ne diffondono , e il rapidissimo girar delle sue orbite in se stesse concentriche e fuor di se sul- r eclittica con tanto ordine nell' ascendere e nel discen- dere sulle curve del meridiano , nell* avanzarsi e nel- r arrestarsi fra i tropici e l' equatore da formare l'av- vicendamento delle stagioni, la misura del tempo , la distinzione dei dì e delle notti , il compimento degli anni e de' secoli. La terra poi porge all' occhio altre apparenze, e vado per tutto considerando i monti e i piani, il sinuoso incavarsi delle ime sue parti per ac- cogliervi il mare , il declivo dei dorsi delle più cù'< celse eminenze per dare corso ai fiumi , e i serbatoi degli antri e delle caverne per dare alimento perenne alle sue fonti. E qui vestirsi di annose selve , e la di- 100 Letteratura stendersi in colte campagne e germinare per lutto , e porgere mille maniere di cibi ai domestici ed ai fore- sti animali. Ogni cosa discerno fra tanto slegamento sì inanellata , fra tante distanze si approssimata , fra tan- to variar di nature si affratellata , die ne la grandez- za opprime le pii!i minute , ne 1' altezza nuoce alle più basse , ne la vicinanza confonde le più propinque , ne r umidita nuoce alla vaccliiczza , ne al freddo il calo- re, ne il denso al trasparente, ne il ruvido al delicato , ma ciascuno con armoniosissirao concerto si accorda. ,, E poco dopo al medesimo paragrafo. ,, E non è egli chiaro che la luce emana dal sole a ornare , a colorire , e in vaghissimi modi a deliziare il mondo ? Pel sole V alternar dei giorni e delle notti. Per le sue guardature oblique ora dal Cancro ora dal Capricorno elevate o depresse, le stagioni o torride o temperate od algenti. Pel sole i semi attecchiscono , le radici s* imbarbano , i tronchi si ristorano , le foglie si colorano, le frutta si maturano, si dipingono i fiori , si disciolgono le acque. Per lui gli animali si scaldati d' amore , e gli usignuoli lo salutan dal nido , i lioni e le tigri dagli antri , le animose puledre dai prati, le farfalle dai fiori , gì' insetti dall'erbe, i pesci dai pro- fondi gorghi del mare. Per lui si adunan le nubi , sì formano i turbini e le procelle , il lampo balena , il folgore tuona , i venti sbuffano, le nevi si sfaldano , le piogge dall» nubi distillano. Il sole entra coli' influs- so de* suoi raggi a ricercare gl'inaccessibili seni de'raon- ti , e vi s'indura, e colora le gemme ed i marmi. Si fa tutto fulgido ne' diamanti, rinverdisce negli smeraldi, s' indora nell' ambra e ne' topazi , è verd'azzurro ne'be- rilli , giacintino nelle granate , vermiglio nel rubino, candido nelle margherite , cileslro ne' zaffiri , aerino nel- le turchine , sanguigno nel diaspro , occhiuto nelle oni- ci , onduloso nelle agate , mischio nel porfido , chiaa- AuTk di goder SEMl»nE. I9I! 2ato, listato, venato in mille diverse maniere di marmi. „ Ed in cotal modo tutta piiì o meno procede que- sta tiadu^ione , ove in modo particolare è da leggersi la similitudine del viandante , che ignaro delf arte nauti» ca trovasi al sopraggiuugere di fiera tempesta sovra uà vascello in mezzo alT oceano ( cap. 2. §. ^ . p. 33 ) , la descrizione della zanzara ( cap. 3. §. 1. p, 57 ) che nella suu piccolezza non è meno mirabile dell' immenso occhio del sole, ed altre vivacissime dipinture che ad ogni tratto s' incontrano. Per le quali cose non dubi- tictmo , che questo libiello, sebbene piccolo di mole, sa- rà per essere accolto con molto gradimento , e che ognu- no in leggendolo vorrà persuadersi che non sarà stato di tenue iatica al traduttore il ridurlo con tanta prò-» prietà, specialmente di termini tecnici, nell' italiana fa- vella. Che se in altre edizioni ( e certamente saranno per farsene ) vorrà egli ritoccarlo alquanto e lor via o qualche ramu di troppo ridondante che ingombra e non adonta la pianta , o qualche frase alquanto impropria , almeno relativamente al subielto, come p. e, alia pag. 5G ove dicesi che Dio duellando con te a stocco corto i incalza ec, o qualche parola che presenta un non so che di rustico , come il cuore avaro e taccagno ec, ( p. 103 ) , non dubitiamo di asserire che in questa tra- duzione molto avrai a lodare, nulla a riprendere. FRANeESco Fabx MoiSTAM. i92 ' P^ite degr illustri ravegnani , scritte da Filippo Mordani ■ t ( tò ,q . . ^ cf/ntinuazione ) od--» ( r<. .^i . ■ -idol» i.OU -..•... ;^r S P A S I O i primo de' ravegnani illuStd (avendo ri^guardo al- l'' ordine de' tempi ) si è Aispasio il sofista , titolo che jsiaBtico vokvd rSi'gfìificare sapiente, raa poi, dice il Pert^éafi , si fèbe nottie «?' obbrobrio da Si^ergognarne i pèssimi dó^ sapienti i ontV e che '1 fiorentino Varchi l'aveà più in odio che '1 male del capo . Nacque Aspa- sio in Ravenna , città fra le anliche nobili d'Italia an- tichissima nobilJ$snttdi' e per la eccellenza dell'inge- gno e per le Opéi^e composte e per gli avuti onori di- venne illustre e famoso. Ebbe i primi amraaeslraraen- ti da Demetriano suo padre, uomo valente nell' orato- ria , nella critic» e nelle matematiche discipline : po- scia udì Pausania ed Ippodromo, maestri celebri ncl- r arte del dire , da' quali apprese anche la greca fa- vella . E coraechè egli , al ragionare di Filostrato , non avesse da natura il dono della estemporanea elo- quenza , se lo procacciò con la fatica e con l' arte Si fattamente, da destar nel pili delle genti diletto e ma- raviglia . Trascorse molte lontanissime regioni pel be- nedetto amore della sapienza , dove gli avvenne alcu- na volta di dover disputare con altri retori , o vogliam dire sofisti . Scndo poi egli in Roma , ed il suo nome giunto a notizia di Alessandro Severo iiuperadore , quel- Vite degl'illustr! Raveònani ig'3 r ottimo principe che degli studi si dilettava, e vir- Idoso teneva in pregio i virtuosi, fattolo venire alla corte , lo accettò in protezione e gli die ufficio di suo segretario . E dicono eli' ei lo condusse seco quando si parti di Roma con l'escrcilo alla volla della Soria, onde abbassare 1' alterigia del persiano Artaserse , die aveva mosso le armi contro l'imperio: e forse fu anche con esso lui allor che andò a fiaccare l'orgoglio de' bar- bari , i quali, valicato il Danubio e '1 Reno , dava- no il guasto alle provincie romane . E s? questo fu, egli si trovò alla morte di Alessandro, ucciso cru- delmente nella Gallia dalle romane legioni ammutina- te , nella eia verdissima di circa ventisei anni e nella luce stessa della vittoria ; la cui fine , che a ttitti i buoni fu vivamente dolorosa , al nostro Aspasio do- vette essere senza dubbio dolorosissima . Queste cose avvennero 1' anno di Cristo 21).^. Morto Alessandro , prese Aspasio a tenere scuola di eloquenza in Roma con assai nominanza ed universale soddisfazione ; imperoc- ché egli trattava V arte sua con molta piiì gravità e nobiltà dogli allri rclori di que' giorni . Non chie- dente , ebbe in Roma cariche e magistrati. Presiedette all' annona , forse ancor vivo Alessandro , quando il buon principe tolse col suo danaro a radrizzare quel magistrato presso che caduto pel mal governo del suo antecessore Elagabalo. Altri onori di molto splendore erangli offerti dal senato romano , ma egli li lifìutò , dicendo la sentenza del sapiente da Mitilcne : ,, Non vogliate darmi cosa , di che molti m' abbiano ad in- vidiare , ed i più la desiderino pef se . ,, E questo sia testimonio della sua avvedutezza e moderazione. Cora- pose parecchie orazioni contro di Arislonc e di al- tri suoi malevoli , delle quali Snida ci ha serbato me- moria ; ma '1 tempo non le lasciò gìngnere fino a noi: ben sappiamo eh' erano a' suoi d\ cerche e lette da' sa- G.A.T.XLIX. 13 104 Lettkhaturà vi . Nelle epistole scritte a nome tleir imperaJore ado- però uno stile contenzioso , ne baslevolmentc chiaro; perchè Filoslrato ( quegli che fece in greco le vite de' sofisti ) che fu suo amico , glie ne scrisse ; ond' egli si volse poi air antica seaiplicita. Il Montfaucon eb- he trovato nella libreria trevisana di Venezia un co- dice contenente 1' ortografia di Aspasio ; ma sendo sta- ti altri due scrittori di questo nome , non può dirsi di certo se sia opera del nostro ravegnano . Il pre- detto Filoslrato , che scriveva de' sofisti mentre Aspa- sio era ancora in vita , dice eh' ei fu uomo dottis- simo , eloquente : non arrogante , ne vanamente am- bizioso: buon conoscitore de'tem[>i e degli uomini : di fama grande, onorala . Mori in Roma molto avanti in età , forse imperanti Valeriano e Gallieno , e fu lo- dato pubblicamente ne' rostri . 42. GUIDONE Dì non picciolo giovamento ai geografici studi fu veramente 1' opera di Guidone ravegnano, la qua- le , al dire dell'Andres, „ può considerarsi come l'ul- timo avanzo dell' antica geografia , che in qualche mo- do la lega con quella de' bassi tempi. ,, Questo Gui- done , che alquanti scrittori vogliono nato nel setti- mo secolo ( io tengo l' opinione di quelli che piìi a ra- gione dicono nel nono) è meglio conosciuto pel no- me di Anonimo o Geografo da Ravenna . Flavio Bion- do e Raffaello da Volterra scrivono che fu sacerdote: vero è eh' ei fu uomo di semplici costumi , lodevo- le per bontà di vita , dotto alcun poco di greco, e studioso delle sante scritture . E eh' ei fosse natio dì questa nostra citla , non vogliamo che si creda ali* Vite de fi l'illustri Rwrgnani 195 altrui tesllraonio, ma a quello di lui medesimo, che nel libro quarto dell'opera sua , venendo a dire delle ritta d' Italia poste appo il lido dell'Adriatico , ricor- da la pallia con queste parole : „ Ravenna noLilissi- rna , nella quale io espositore di questa cosmogra- fia , comccliè idiota , con V aiuto di Cristo sono sta- to generato . ,, Questa opera di Guidone ( o a me- glio dire, !' epitome di questa opera ) giacque dimen- ticata nella biblioteca reale di Parigi insino al i6S8, che dal dottissimo monaco Placido Porcheron fu il- lustrata di note , divisa in cinque libri a comodità del leggitore e messa all' onor della stampa. Il prima libro è come il prolegomeno dell' opera: nel secondo è descritta F Asia : l'Atlrica nel terzo: nel quarto l'Eu- ropa : il quinto annovera le citta situate in su i lidi del Mediterraneo , in un con le ìsole dell' uno e del- l' altro mare . IJ.irnio alcuni chiamalo in colpa il no- stro cosmografo p. r aver citati autori in oggi scono- sciuti , e nominate citta e terre , di che per gli altri geografi non fu mai fatta parola : le quali riprensio- ni come sieno giuste, altri sei vegga . A noi è ma- nifesto che anche M. Tullio e Plinio ed Eusebio e 1 beato Agostino ( per lacere di altri molti ) ci conser- varono nomi d'uomini e di luoghi a noi ignoti, ne han- no [)er questo avuta dai posteri la mala voce di men- zogneri . Ma a scolparlo della barbara latinità e del- le altre monde, qual cosa potrà dirsi da noi ? Dire- mo coir autoril'a di Gasparo Berelta approvata dal Mu- ratori : la geografia pubblicata dal Porcheron non es- sere r opera intera del buon ravegnano , la quale nel secolo XV pervenne alle mani del celebre Antonio Galateo, che ne inseri alcuni brani nelle sue scrittu- re: ma SI una epitome fatta per un anonimo d'incer- ta età , ignorante delle lettere e delle cose di geogra- fia. Imperocché ( sono le parole del Beretta ) dai frant- 13 * '596 Letteratura menti prodotti dal Galateo veggiaino non essere Gui' done così barbaro , incolto , manco e gretto , come appare nel codice porcheroniano . L' o(iera inlera di Guidone, che ancor non vide la luce, è a desiderare che per le investigazioni di alcuno erudito sia tratta dalla polvere delle biblioteche, dove stassi celata. Queste cose erano da dirsi intorno alla epitome della geo- grafia di Guidone : a che vogliamo aggiugnere che sa- pendo noi essere stata da chiarissimi uomini commen- data , come furono il Percheron , il Vossio, il Wes- selingio, r Eckart; e veggendola ristampata nel I69G con le note di Jacopo Gmnovio, uno de' più addot- trinati del suo secolo , e da copo nel 1722 per le cu- re di altro Gronovio di nome Àbramo , non ci pos- siamo recare a credere ciò che scrive il Tirabosclii , non essere cioè 'I nostro Guidone che ,, un misero copiatore .... della carta pentingcriana, e di qual- che altro geografo più antico , e inoltre un ignoran- te impostore, che conia e forma a suo talento au'.ori e nomi , come meglio gli piace : ,, ma anzi diremo con le parole di altro eruditissimo uomo già sopra nominato ( V ab. Andres ), che in questa epitome ,, fra molte storpiature di nomi di citta e provincie , e fra vari errori geografici, si leggono alcune notizie, che interessano la geografia e che rendono quell'opera mol- to cara agli amatori di tale studio. ,, Il qual Andres, come avesse in animo di rispondere alle accuse mos- se dal Tiraboschi , segue a dire. ,, L'attuale idro- grafo della marina francese Buache .... ha pub- blicate Kecentemente le sue osservazioni suU' antica carta itineraria dei romani , detta comunemente carta peutingeriana , e sulla geografia dell' anonimo di Ra- venna. Con questa ha rettificato e supplito molti no- mi e luoghi di paesi o alterati o mancanti in quella, e molti lumi crede polcrserie parimente ritrarre per Vite degl'illustri Ravegnanì 1(j7 r itinerario d' Antoaiiio , per le parti orientali dell' Asia, e per le occidentali dell' Europa poco risguar- date negl' itinerari romani ; e mostra che il geogra- fo ravennate è assai più sliraabi:le che non si crede comunemente . „ Cosi l'Andres . Di altre opere vuoisi autore il cosmografo nostro, perocché '1 Volterrano , il Vossio , il Fabriclo ed altri scrissero , lui aver com- poste le vite de' pontefici romani ; e Girolamo Rossi tenne per sua la istoria della guerra de' goti e di Nar- sete ; le quali scritture in oggi più non si trovano. 43 PIETRO DAMIANO. Il nome di Pier Damiano , maraviglia d' ingegno e di virtù , e passato per oltre a sette secoli sino a noi chiaro e famoso : ne è per venir manco nella me- moria degli uomini; anzi splenderà come stella nella perpetua eternità. Nacque Pietro in Ravenna verso T an- no 1007 di oneste persone, ma di umile e povera for- tuna ; ed ebbe il principio della sua vita assai sven- turato. Con ciò sia che appena venuto al mondo, un fratello di lui , volto sdegnosamente alla madre : ,, Deh vergogna ! ( le disse ) Ecco siamo qui tanti, che in que- sta casa non è più luogo. „ Per le quali parole s' ac- cese la donna in tanta ira da negare il latte del mater- no petto al suo figliuolo; e le avrebbe patito il cuore di vederlo morire , se una buona femmina non avesse tolta la madre da quella empietà. Venuto Pietro negli anni della puerizia , e mortogli '1 padre e la madre , stette appresso di un suo fratello , il quale ( fosse mal animo o domestica strettezza ) il mise a guardare gli ar- menti. Se non che Iddio spirò al cuore di un altro suo fratello per nome Damiano ( quegli che fu poi areipre- 403 Letteratura te della cliiesa ravegnana ) il sunto pensiero di torre i( fanciullo da quella miseria e farlo educare negli studi , mostrando Pietro insin da que' teneri anni forza ed acu- me d' ingegno , e cuore a[)erto alla pietà. E per questo amore del fratello vuoisi eh' ei fosse poi chiamalo /*/>/- tro di Damiano. F'cce i primi studi in F:unza, e poscia andò a Parma ad apparare le lettere e k: scienze , nel- le quali riuscì maraviglioso ; e fra' suoi precettori fu un tal Ivone , di che egli stesso lasciò memoria. Aveva appena comj)iuto gli sludi , ed era cerco ed ascoltato come celebre maestro ; sì che molti giovani venivano a lui da tulle parti, a' quali egli insegnava le scienze che si chiamano liberali. Perche in breve tempo di- venne ricco ; e la giovenlìi e la ricchezaa gli destavano in cuore i diletti della carne , eh' ei cercò di morti- ficare con digiuni e con vigilie; e del danaro fé' parte a' poverelli , cibandone alcuni alla propria mensa. iVia poi esperio e disingannato delle cose umane , e nien- ,te altro piacendogli in questo mondo se non gli studi , desiderò di menare la vita lungi da ogni romore e reo costume di cìlladini , ed intorno al 1034, nella età di circa ventisene anni , si ridusse al monastero di Fon- te Avellana. E' questo un eremo situato alle radici del Catria ( monte che dicono levarsi all' altezza di 524i piedi di Parigi ) , vicin di Gubbio qualturdici miglia : luogo solitario , e stanza del silenzio e della quiete. E qui '1 buono eremila si fece così fermo al servigio di Dio : „ Che pur con cibi di Ii(|uor d' ulivi „ Lievemente passava e caldi e geli ,, Contento ne' pensier conlemplalivi. La quale tranquillila solitaria non gli venne mai a fastidio ; anzi si dolse di doverla spesse volte la- Viffi E agl'illustri Ravkgnani 109 sclarfì. Nò in (fneslo niu:iaslero solamente , dove vestì r abito di s. Benedetto e professò e fu priore , ma sì in quelli della Pomposa , di Glugny e di Mon- tdcasino , dove alcun tempo so^oiornò , fu a' monaci tulli di esempio , e loro maestro in ogni genere di virtù e di scienza. Ora la famajdella sua pietà e dottrina non polendo in quelle solitudini starsi rinchiusa , erasi gi'a divulgata in Italia ed olir' alpi ; laonde venne de- siderio a Gebeardo arcivescovo di Ravenna di averlo , almen per poco , nella patria. Ed egli per carità del natio loco vi si condusse ; e forse di qua inviava a Gio- vanni vescovo di Gesena il suo libro de' gradi della parentela e della cognazione ( testimonio splendidissi- mo di quanto ei valesse nella scienza delle leggi ) e scriveva ad Arrigo III re di Germania raccomandan- dogli r arcivescovo ravegnano. Appresso, nel lO/tC , esaltato poalefice Clemente II , si trasferì a Roma : poi air Avelliiiia. Ed erasi appena renduto all' eremo, che lo stesso Arrigo gli comandò di tornare a Roma , per- chè fosse di aiuto al pontefice col suo consiglio. E da indi in (jua Pier Damiano ( riferisco le parole del Tiraboschi ) ,, fu quasi di continuo occupato ne' più rilevanti affari ecclesiastici. Non vi ebbe quasi sinodo , a cui egli non intervenisse. La simonia e l' inconti- nenza del clero orano allora i vizi , che troppo brut- tamente guastavano la chiesa di Dio ; ed egli e co' suoi libri , e co' viaggi intrapresi a diverse citta , usò di ogni sforzo per estiparli . ,, Non sappiamo quanto egli slesse in Roma : scrivono alcuni che quindi tornando rallegrasse di nuovo la patria di sua presenza ; e for- se fu in ([ucsto tempo eh' ei vestì mònaco nel cenobio di s. Apollinare in Classe il nipote suo di nome Mari- no. Frattanto l'anno i05T moriva il sommo sacerdo- te Vittore li, ed entrava pontefice Stefano IX , il qua- le „ ben conoscente ( così 'I Muratori ) della rara vir- 200 Letteratura tu e ItìUeratura di Pier Damiano , dall' eremo il chia- mò a Roma , e l' alzò al grado di caidiiiale e di ve- scovo d' Oslia. Ripugnò forte ad acceltar queste digni-' ta il santo monaco , con resistere fìncliè potè alle pre- ghiere di esso papa e di molti vescovi ; ma 1' intima- zione della scomunica , se non ubbidiva , fjuella fu che in fitje l' espugnò ,,. Ito Pietro alla sedut vescovile, pensi ciascuno con quanta cariti ed amore intendesse al bene delle genti ; ch'io dirò seguitando quel che gli avvenne in Roina indi a poco tempo. Dopo la mor* te deir ottimo pontelìcc SletViiio , che segui nel i05S, il popolo romano concitalo a tumulto aveva eletto Gio- vanni vescovo di Velletri, appellato poi Mincio ; a che '1 nostro Pietro s' era contrapposto, perocché quella elezione non fu fatta secondo il canone. E non aven- dolo voluto sacrare in pontefice , e veggendo la citta rim.escolata per le brighe de' faziosi , stretto dalla ne- cessita , si fuggì. Fra questo mezzo il concilio sanese levava alla suprema dignità Gherardo vescovo di Fi- renze , che tolse il nome di Nicolò li , e Mincio ( che s* era fatto chiamare Benedetto X ) spontaneamente de- pose le insegne pontificali , e gli furono tolti i gradi di vescovo e di sacerdote : perchè rimasa vacua la se- dia di Velletri , fu data a Pietro in governo. J\è mol- to tempo andò che , levatasi in Milano una setta di eretici, il. nuovo pontefice lo inviava coTa suo legato insieme con Anselmo vescovo di Lucca , che poi fu papa Alessandro 11. Nel quale ufficio i due legati fu- rono per poco a rischio della vita : tanto era for- te quello sdegno de' cherici milanesi contro di loro ; ma 'l Damiano , cui non mancava l' animo ed abbon- dava l'ingegno, vinse quel!' ira e li ridusse alla pace. Pi che esso medesimo ne fa testimonio ncll' opuscolo che intitolò al celebre cardinale Ildebrando. Dopo lo quali cose , amando Pietro di ridursi all' eremo e fqg^ Vite dagl'illustri Ravkcmani 20? gire ogni apparenza di principe , mandò al papa un opuscolo intorno nlla rinunzia delle sue dignità , per di- sporre l'animo di lui a far£;li quella concessione. Ma non guari dipoi avvenne eli' esso papa mori , e gli fu snrr()i2;at() Alessandro II ; ed allora il Damiano recò ad effètto il suo desiderio. E perchè alquanti , più cupi- di di onori clie di vii lù , gli davano biasimo di quel- la rinunzia , e^U scrisse la sua apologia e la mandò al papa e al cardinale Ildebrando , eh' era il tutto della corte di Roma. Erasi Pietro riparalo novellamente al- l' Avellana , fermo di voler menare la rimanente vita in dolcissima quiete di studi e di opere sante ; quando ceco intervenne cosa che gli tolse di riposare piti a lungo nella tranquilla meditazione. Imperocché succes- se di que' di che Cadaloo vescovo di Parma, arrogatasi l'anfoità del pontefice romano , travagliava la chiesa. Onde mosso Pietro da buon zelo , scrisse al re Arri- go IV che facesse cessare quello scisma , e mandò due lettere a Cadaloo piene di fortissime parole. Lo scisma cessò , e papa Alessandro inviava subitamente Damiano al sinodo di Chàlons su la Senna ; ed il san- to eremila , ancorché vecchio e mal sofferente i disa- gi del cammino, inchinatosi alla volontà del pontefi- ce , si partiva a quella volta , passando le nevose al- pi nel cuore nel verno. Mi paiono degne che qui si registrino le parole con che Alessandro il lodava ai vescovi delle Gallie : ,, Da che ( die' egli ) occupati io moltissimi negozi della chiesa ci è tolto di venire a voi , abbiamo procurato di mandarvi un tale uomo , di cui non v' ha alcun altro di maggiore autorità nel- la chiesa di Roma , dopo noi ; cioè Pier Damiano ve- scovo ostiense , il quale è veramente 1' occhio nostro , e dell' apostolica sede immobile firmamento. ,, Torna-» to Pietro dalla Francia , si condusse a Fonte Avella-* na t poi a MoQtccasino, indi a Roma, e di la a Fiveo- 202 Letteratura ze a fine di acchetare le discordie dc'racnaci di Val- lombrosa contro il vescovo fiorcnliiio : nel clic ebbe a sostenere le calunnie e le contumelie di ab uni iniqui e dolosi uomini , a massimamente di un tal frate Ten- zone , il quale ( per dirlo con la frase del Muratori ) era ubriaco di uno zelo indiscreto. Ma a lui non fu difficile di osservare in bè slesso quella moderazione e que' preretti , con che pieno di tanta sapienza , e sciivendo delle virtiì morali , aveva saputo ammaestra- re, tutti gli uomini. Queste cose pur compiute , tor- nava Pietro alla quiete dell'eremo, dove stette quasi cinque anni meditando sopra il niente delle cose uma- ne , e scrivendo opere , le quali hanno gittata una bel- lissima luce nelle tenebre di quella ignoranza. Ma nel I0t)9 gli fu rotto da capo il suo riposo , perchl- a richiesta di papa Alessandro gli convenne ire oratore in Germania. Messosi dunque in viaggio , e giunto a Francfort , s' abboccò con la maestà di Arrigo IV , e per forza di ragioni vinse 1' animo del re siffattamen- te , che '1 tolse giù dal suo proponimento di ripudia- re la moglie. La quale legazione felicemente adcra piuta , tornò a Roma , e poi a Montecasino. Cosi pas- savano queste cose , quando occorse che in Ravenna USCI di vi'ta r arcivescovo Arrigo, il quale per la sua protervia era stato separato con le censure dal consor- zio de' fedeli : uè i prioghi del Damiatìo , che gli era amico, avevano potuto fare che fosse benignamente ri- cevuto in grazia dal pontefice. Per lo che Alessandro , entrato in forte sospetto non i ravegnani fossero stati sedotti da lui , mandò Pietro a Ravenna ; il quale fu accolto da' suoi concittadini con incredibile allegrezza , e fattigli tutti quegli onori che a un tanto uomo si convenivano : onde non gli fu difficile di riordinare le cose. Dopo di che si rimise in viaggio verso Faenza : ma giunto al mouislero dì s. Maria fuor della porta Vite DSGL'iLr-u.xRi Ravegnani 203 di quella cilla , vpccliio e debilitalo dalle fatiche, fu [)ieso da una febbre mortale , ed ai 22 di febbraio , r anno i072 , (Inodecimo di papa Alessandro , rendè lo spirito al ciclo. Alla solenne funerea cerimonia tras- se tuffa la città con incredibile cordoglio , ed il suo beatissimo corpo fu deposto con filande onore in uà* arca di marmo nella chiesa predella, ma non vi fu sculto r epilaOio eh' egli aveva fallo a se slesso. Iddio mostrò poi segni della santità sua alle genti ; perchè meritò di essere posto s!)vra gli altari. E crescendola devozione de' popoli verso quelle ceneri venerande, r anno 1354 a' 3 di aprile dall' abate Matteo da Ca- gli ne fu fatta la traslazione in piiì degno luogo ; e poi nel 1826 dalla chiesa di s. Maria furono recate solennemente nel duomo « dove oggi sono con celebre culto onorate. Gomechè '1 Damiano fosse cosi di so- vente occupalo ne' publdici negozi , ei potè pur con- durre un grande numero di opere : imperocché ab- biamo di lui olio libri di epistole a pontefici , im- peratori, re, principi, cardinali, vescovi ed altre illustri persone ecclesiastiche e secolari. Abbiamo ses- santa opuscoli di argomento diverso , in che sono raccolte parole e sentenze che si vorrebbero leggere anche a questi dì, principalmente dagli ecclesiastici. Ed essendo iu lui vigore di poetica fantasia, scrisse inni ed altre maniere di versi. Ma de' setlaotasette sermoni, che vanno sotto il nome di lui , diciannove sono di JNicolò monaco di Chiaravalle , come osservò già Casimiro Ou-^ dino. Fece aiiche alcune storie di celebri uomini , ed in fra le altre quella del dotto e santo anacoreta rave- gnano Romualdo , morto nel 1027 , che fu tradotta da don Agostino Fortunio e stampata dai Giunti in Firen- ze. Alcune di queste opere videro la luce nel secolo XVI, ma furono presso che tutte raccolte in quattro volumi ed illustrate di note dal monaco Costantino Gaetani si- 204 Letteratura racusano per comandamento di papa Clemente Vili, ed impresse in Roma dal 16O6 al i- 4O ; poscia in Lione, in Parigi , in Venezia , in Bassano. Alquante altre , che non furono note al monaco da Siracusa , sono anno- verate dall'abate G inanni , in fra le quali è un suo ser- mone fatto italiano da Nicolò Aurificoe stampato nel 4 584, Ebbe Pietro, oltre a Damiano e a Marino , altri fratel- li : ebbe due sorelle, Rodelindae Sufficia , alle quali una sua lettera indirizzò : ebbe due nipoti, Marino mo- naco sapraddetto, e Damiano che fu abate di Nonanto- la e poi cardinale. La sua effìgie è rimasa a noi in un antico dipinto, dov'egli fu ritratto di naturale in abi- ti pontificali. Fu Pietro in grande autorità appo i pon- tefici Leone e Stefano noni, Nicolò ed Alessandro secon- di , non meno che al terzo e quarto Arrigo, ed alla ve- dova Agnese imperadrice . Fu altamente stimato e stret- to nell'amicizia de' dottissimi monaci Alfano, Desiderio, Alberico ; e fors'anco di quel suo chiarissimo concitta- dino Giovanni , morto in Fescam nel 1078, e celebra- lo dal Fleury. Fu utile co' suoi consigli e con le sue opere alla religione , sprezzator di richezze e di onori, costante nel giusto , da paura sicuro. In lui somma pru- denza , prontissimo ingegno , efficacia a persuadere ma- ravigliosa, e nelle faccende gravi sollecitudine e destrez- za incredibile. Vero maestro della dottrina di Dio, e tut- to pieno di quello antico spirito di Girolamo , di Ago- slino , del magno Gregorio , alzò libera la voce conti"o le nuove pompe , i disonesti costumi , la scellerata ipo- crisia. Nelle lettere umane e nelle scienze di somma e forse unica erudizione fra tutti gli nomini de' tempi suoi. Scrittore robusto , energico , alto , facondo , come ap- pare anco da quel brano di un suo discorso che con tan- ta forza e grazia di stile ne volgarizzò il Pertìcari. Non potrei nh saprei narrare le tribolazioni , i pericoli , ie fatiche , le astinenze , le vigilie , le peregrinazioni , i Vite degl'illustri Ravegnani 205 freddi , i caldi , le macerazioni della sua carne. Il pri- mo die ne dettò la vita fu Giovanni monaco suo disce- Jo ; d opo di lui pili di cento scrittori italiani , france- si , inglesi , tedeschi , spagnnoli ne hanno raccolte le lodi nelle opere loro ; e sar ebbe qui lunga e forse no- iosa cosa l'annoverarli. Ma basti per tutti '1 divino Ali- ghieri , il quale nel suo mistico viaggio al paradiso fin- se di aver favellato con la beata anima di lui , chiusa dentro la luce del settimo pianeta , e gli fé dire quel- le grandi e magnifiche parole, che ciascuno può leg- ' gerc nel sacro poema. COSIMO MAGNI Segue ora che si dica di Cosimo Magni ; forte generoso spirito , cupido di gloria , caldissimo di pa- tria carità . E sebbene poche memorie ce ne abbiano conservate gli storici, questo sol fatto eh' io soo per narrare mostrerà aperto ( s' io ben veggo ) qual valen- te uomo fosse costui . Ed acciocché alle menti de' leg- gitori venga chiaro e ordinato il mio ragionamento, par- mi innanzi da ricordare come il magnanimo Teodori- co , insin dai primi anni del suo regno, accrebbe ed abbellì 1' antica Ravenna di splendidi e sontuosi edi- fici ; ed infra gli altri adornamenti fu una statua eque- stre , in bronzo, di singolare bellezza che 1' Merula ed altri dotti tennero rappresentasse l'immagine dell'ira- perator Antonino ; dai vulgari , che sì di sovente mu- tano i nomi alle cose , detta Regisole ; uè è mica da scambiarla all' altra dell'Ercole Orario, ne a quella che Carlo Magno portò in Aquisgrana . Era questa statua locata sovra il ponte di Austro , appo le mu- ra dell' orto che fu de' padri predicatori , dove in que* 206 Letteratura dì scorreva il fiume Pacleni»a . Ora egli avvenne clie ihlorno agli anni di Cristo 728, qua venuto Liufprando re longoliardo , e posto assedio alla lifla , dopo al- cuni giorni , per infame tratlìmento di alcuno de' no- stri , se ne fece signore ; ed infra le altre cose che tolse a' ravennani , e a superba pompa del suo trion- fa ebbe portale a Pavia, fu la sLafin noshn dell'An- tonino. Ed orano otto secoli ch'ella adornava il fo- ro di quella reale citta, allorachè nel 1527 Odetto di Fols , signore di Lautrech , calalo in Italia con un esercito di francesi e di altri collc<^ali , forte di ol- tre venticinque mila combattenti , venne a campo a Pavia. Quattro giorni ne battè e diroccò Io mura con le artiglierie : ma i pavesi, facendo 1' estremo delle forze loro , se e la patria bravamente difendevano : perchè 'l Lautrech, impaziente della dimoia, propose di grandi premii a chi fosse ardito scoprire gli or- dinamenti de' nemici e fare la via alla citta . E stan- do lutti in silenzio , perocché la cosa era spavento- sa e di grandissimo rìschio , si fa innanzi al Lautrech il nostro Cosimo , giovane di soli venticinque anni , militante nella schiera del conte Guido Rangone in prò de' francesi , e , udendolo tutti , dice queste o somi- glianti parole ; ,, Dentro di quelle mura che voi , si- gnore , combattete, è locata una statua di maraviglio- so lavoro , già adornamento della mia terra natale ; qua ( sono ora molte età passate) dalla f^rza di prepo- tente nemico condotta. Questa chieggovi a mercede del pericolo proposto da voi ; e per la patria la vi chieg- go , a cui irifino da ora consacro il sangue e la vita. Vinto o vincitore ch'io rimanga , porto meco la fidanza che la memoria di questo patto non perirà. ,, Mentre egli diceva , erano in lui intenti gli occhi e i volti di tutti, uAaravigliando il coraggio e l'altezza dell'animo del giovine , e più degli altri ne restò ammirato il Lau- Vite dici/ ili ijstpi RavegnAki 207 tiech , il quale ben volentieri concesse quanto Cosimo domandava, e gli fé' cuore all' impresa. Ed ecco vede- vi il ravegnano muovere alla volta delle mura : già ne ha guadato le fosse : già s'avanza in mezzo allo scop- pio delle armi nemiche, sotto infiniti e sassi e moli che i difensori precipitano dall'alto. Due volte fu re- spinto: non gli venne manco il cuore j)er questo: me- nava a cerchio la terribile spada, ed alto gridando e mosliando a' francesi la via , primo a forza entrò la rovina dei muro, e dietro a lui tutto fnriosanu nlc l'eser- cito si versò. Cosi fu prtsa Pavia; e dice il Guicciar- dini che per otto giortii vi fu usata dai vincitori cru- deltà grande, ed ogni cosa fu piena di rapine, d' in- cendii, di s[)avenlo e di morte. Mentrecliè coloro era- no intenli al predare, il lujono e valoroso Cosimo tras- se co' suoi coramilifoni alla pinzza , comandando che la statua fosse messa a terra dalla sua base . Allora i pavesi , recantisi la perdita di quel simulacro a graa- dissima calamita e miseria, correvano piangenti e sup- plicanti al Lautrech : non volesse togliere loro quel testimonio di nobilissima e antichissima memoria ; da- rebbero tant' oro quanto bastasse a fare a Cosimo una murale corona. Se ne scusava il Lautrech; ed il Ma- gni (grande veramente di animo come di nome) l'of- ferta corona rifiutava . Perchè veggendo i pavesi che a niente tornavano i prieghi e le lacrime loro , ven- nero alla forza e all' inganno . Rediva Cosimo lietis- simo alla patria, a nodo di trionfante, sovra una na- ve per la corrente del Po , ed avea seco il premio del suo valore : ed era gik pervenuto a Cremona, quando il custode della rocca di quella città, cosi dai pavesi indettato, uscivagli contro improvvisamente con forte mano di armati . Coloro , cavate le spade , andavano adosso a Cosimo , e avvegnaché fieramente il combat- tessero, ei memore di sua guerriera virtù fece loro graa« 208 Letteratura dissima resisteza , e a' ebbe molti feriti e alquanti uccisi i mA in quel trambusto la statua vanne in poler de' nemici, e da capo fu condotta a Pavia. So bene che altri, fra'quali è Paolo Giovio, contano la cosa alcun poco diversamen- te: ma io aggiusto fede agli storici ravennani, e sovra gli altri al Rossi, il quale fu di quel secolo, ed avendo Dotato di errore lo stesso Giovio, mostra di aver avu- to buona contezza di questo falto. Poco appresso ve- nuto Cosimo a Ravenna, e '1 popolo ravegnauo volen- do meritare la non facile virtù dello incomparabile cit- tadino , fecero porre nel foro una tavola dipinta, in che tutta quella istoria era significata . Così i buoni maggiori nostri (se i grandi antiilii fatti ai meno gran- di non è disconvenevole raffigurare ) &i facevano de- gni de* celebrati; tempi della Grecia, quando gli atenie- si a Milziade vincitor de' persiani nel campo di Ma- ratone consimile premio ebbero decretalo. E siccome quel trofeo di Milziade non lasciava pigliar sonno a Temistocle, secondo die ci ha racconto Plutarco;. co- si '1 trofeo di Cosimo scaldava del santo amor della patria i petti di altri due ravegnani , Cesare Grossi e Pier Maria Aldobraiidino : e le porle di bronzo ritol- te nel 152S agli stessi pavesi , di che i nostri stori- ci raccontano , e delle quali anche oggi un picciolo avanzo rimane , sono testimonio chiarissimo del mio ragionare . Tornando al Magni , egli s' ebbe da' suoi concittadini un' altra pubblica dìraostranza di amore , e fu questa ; che volendo la sorella di lui consagrar- si vergine nel monislero del Corpo del Signore , il senato le statuì conveniente dote dal pubblico erario- Ma poco bastò a Cosimo la vita onde godere di que- sti cuori : perocché Bernardino Catti, che fece in ver- si latini il suo epitafiìo , dice eh' ei morì nel 15a9, nella freschissima eia di ventisene anni . ViTK kegl'illusTri Ravegnani 209 -45. GABRIELLO PASCOLI . Voglio qui rinnovare la memoria di Gabriello Pa- scoli , il quale visse nel secolo XVI , e fu in voce di letterato . In che anno ei venisse al mondo non è detto per gli storici : solo scrivono che nel 15/|3 prese 1' abito de' canonici lateranensi, e la religione loro professò . Fu poscia a Padova a compiere gli stu- di delle umane lettere e delle sacre scienze, a' quali aveva dato in patria comincia mento. Trovo cb' ei fer- mò la sua dimura quando in Cesena ( dove fu abate della canonica di s. Croce ), quando in Ferrara, ed anche in Pavia e in Piacenza; ne'quali luoghi fu avu- to in conto d' uomo erudito e di oratore eloquente. La natura lo dotò d' ingegno, che fu dagli studi ac- cresciuto , e scrisse poi alquante opere che gli fecero nome . La prima cosa che fu veduta a stampa di lui è un libro intitolato // glorioso trionfo della Croce, eh' egli indirizzò a Bianca Capello veneziana, nuova donna di Francesco II de' Medici , per isplendor di bellezza e per avventure molto famosa. Cantò in ottava rima // lamento della F'ergine nel partirsi da lei per ire alla morte della croce il suo divino figliuolo. Que- sta prosa e poesia piacquero agli uomini di quel se- colo , e Torquato Tasso celebrava 1' autore con que- sti versi : ,, Voi sacrale a la croce or prose or carmi , ,, Ch' è più vittoriosa e grande insegna , „ E con lei trionfate ancor di morte . Ebbe pure scritto un carme in lode della Capello ; e G.A.T.XLIX. 14 210 Le t t e r a t u r a da questi due poemetti in fuori , s' altri versi ci com- pose, io non ne Iio av^ufo contezza. Mise anclie in lu- ce// perfetto ritratto dell' uomo, opera divisa in sei giornate, fatta a maniera di dialogo , nella quale si disputa della nobiltà dell' uomo , della miseria in clie cadde dopo la colpa , della necessaria cognizione di se stesso, della divina bontà. Ed inapjursso fé' usci- re Il cortigiano disperato , eh' ei dice disteso ne' suoi giovanili anni , insin da che era a studio in Pado- va , per satisfare ad alcuni suoi amici e compagni , che di questa cosa assai nel pregarono . Da comin- ciaraento all' opera ( che ha faccia di romanzo , ma forse fu vera istoria ) una descrizione breve della bat- taglia combattuta tra' cristiani e' turchi nel mare di Grecia a' 7 di ottobre del 15^1 , la più solenne che si vedesse da Cesare Augusto in qua . E viene con- tando come dopo la sanguinosa pugna e vittoria delle armi cristiane, alcuni di que' celebri guerrieri, anzi che tornare alle case loro, sen gissero a diletto chi qua e chi la per diverse parti del mondo ; e com e uno di questi , tornatosi a Genova , e poi venutogli talento di ripassar il mare, s'avviasse alla volta del- la Spagna . E là pervenuto , e continuando tuttavia il suo cammino , una mattina in su '1 levar del so- le entrasse con un suo compagno in una foresta de- serta e opaca , dove s' avvenne in un giovane palli- do, magro, abbattuto, traente la vita a modo di fiera. Era costui un italiano (forse natio di Ravenna) di no- me Gioseffo, di gentil sangue, cresciuto dai parenti in vezzi e delizie; le quali avendogli guasto il cuore, di ca- sa fuggitosi, s'era condotto alla corte di Barcellona ; dove gli accadcro di strani avvenimenti, ch'ei , molto do- lorosamente piangendo, al guerriero narrò. Il quale mos- so a tenera compassione de' suoi casi, gli disse parole di tanto conforto , che 'l tolse giù dal crudele pensiero di Vite decl'hxustiii Ravegnawi 211 voler ivi finire di mi'^eria e di stento. Perchè 'I corli- giano 1 volta in isperanza la disperazione , tornò alla corte, e fatto scaltro delle altrui iniquità , la beffatri- ce donna scherni siffattamente, che la trasse alla mor- te, nde avuto bando delia persona , poi condannato nella testa , potè fuggirsi , e salvo alle paterne case si ridusse . Giulio Somasco , che tu l'editore di questo libro , dice : essere pieno di molti belli avvertintenti a cortigiani e a tutte le sorti d'uomini ,e leggervisi per entvo discorsi d'amore^ di gelosia , (Vim'idie , d'in- gratitudine , d'inimicizie , di frodi e cose altre siffat- te. Anche questa opera del Pascoli fu bene accolta dal- le genti , e non andò guari che fu ristampala. Dopo di che , trovandosi egli da parecchi anni in Piacenza, già attempato, ivi descrisse in prosa latina // giudizio di Paride ridotto a senso mistico ; della quale materia aveva disi)utato pubblicamente secondo l'usanza. E da- tolo poi alle stampe, lo volle dedicato a Giuseppe Vivo- li , dolio ravegnano e suo proteggitore . Secondo che dice l'abate Ginanni, pare ch'ei chiudesse in patria il suo ultimo giorno , ma tace l'anno della sua morte. Nel- le prose del Pascoli è molta erudizione , ne lo stile è spregevole, sene togli alcuni pochi traslati che sen- tou di vizio. I versi sono languidi e freddi : tuttavolla nel lamento della Verginee qualche calore di affetto; perchè l'editore , che fu un tal Giovanni Negro , lo giudicò molto degno ed atto a commoi^ere a dei'ozione I e pietà i cuori umani. Dal Rosini , del Penuotto , dal Passerino, dal Grescenzi fu Gabriello celebralo per uo- mo di vita intera, cospicuo per pietà; le quali virtù e a dolere che non si trovino sempre congiunte con ie .facoltà dell'ingegao e colla dottrina. H 212 Lkttbraturà /iG. CELSO MAJNCINI Conleporaneo ed amico del Pascoli fu Celso Man- cini; e^li pure religioso dell'ordine ialfiariense , e uo- mo d'iiigfgiio sottile e speculativo, che condusse qua- si tutta la vita nello studio della filosofia ; non si però che anche ad altre discipline non intendesse, avendo det- to il Borsetti ch'ei fu lecdogo , filosofo , oratore e poe- ta insigne de' suoi di. A tutte le sue opere ( una sola eccettuala ) diede la veste dell'idioma latino , non per ignoranza della nuova favella, si per quasi una pompa dell'antico sermone. Nel1586 avendo composto tre libri Della cognizione dell'uomo^ gl'intitolò al grande Carlo Emanuele principe del Piemonte, dicendo di aver tolto a far quel lavoro punto dallo stimolo deW onore: parole che non dovettero essere discare a quel giovane guerriero, cosi ambizioso di fama. Dopo questo tempo cadde infermo di pericolosa malattia ; e tornava appena a rifiorire nel- la sanità , quando cure d'animo molestissime lo trava- gliarono. Intanto Alfonso II , avuta cognizione del sa- liere di lui , lo chiamava a Ferrara a leggere pubblica- mciito la morale filosofia nella università; ed ei vi si con- dusse , e nel 1591 mandò fuori tre opuscoli , la mate- ria de' quali è tutta intorno le cose della filosofia. Nel primo parlò da' sogni : ne sj)iegò le naturali cagioni : disse della varietà loro : recò le sentenze di Democrito, di Sinesio , di Porfirio , di Aristotile e degli altri filoso- fanti , e pose in fine l'opinion sua , poco dissimile da quella del Muratori nella forza della fantasia umana .. Al trattato de' sogni segue una di'^putazione del riso e del ridicolo; materia che, al dire di Quintiliano, fu difficile anche ai due sommi intelletti di Dcmosteae e Vite degl'illustri RAVEGNANr 213 tli M.Tullio. Il Mancini definì che sia '1 riso , e quan- te sieuo le sppcie del ridicolo addimostrò. Nel terzo o- jiMRcolo raj»ionò del corno si formi la visione , o sia del- l'atto del vedere ; quislione che fu molto celebro appo gli antichi . Queste scritture del nostro ravcf^nano, che si ponno tenere come la parte seconda dell'opera su la cognizione dell' uomo , vennero in fama e fu- rono ristampate di la dai monti , secondo clic han- no detto il Draudìo e '1 Mangeti. Egli avvenne poi che l'anno 159i fu nella Romagna e in altri luoghi d'Ita- lia una grande carestia e mortalità di gente ; perchè tutte le menti erano commosse a spavento : si che, al di- re del Muratori , non altro che pianti e grida si udiva- no per ogni parte. Cadde allora in animo a Gelso di scrivere una operetta italiana a corforlo di quelle mi- serie ; ma ella ( a dire quello che me ne pare ) fu ra- gionata troppo sottilmente co' pensieri de' filosofi. A que- sta opera un tal don Calisto Galante da Imola fece un proemio , nel quale dice che i concetti dell' autore sono vestiti cfuno stile puro , candido , 7ietto^ con pa- role sigtii/tcr/niì e proprie. Ne questa fu adulazione : che Io stile è veramente fiicile , chiaro ed alcun poco ele- gante. In appresso se ne andò a Roma , dove fu accetto a Ciazio Aldobrandino , detto il cardinal di s. Gior- gio , nipote di Clemente Vili , che allora sedeva. E qui avendo ogtii comodità di studiare scrisse e mise in lu- ce la grande opera Del diritto de' principati , o sia del- la ragion di stato ; la quale fu carissima al papa e a tutta la corte , perchè ei tolse a difendere i diritti del pontificato contro le opinioni di Ambrogio Cata-. rino , di Nicolò Sarulero , di Domenico Soto e di al- tri teologi celebratissimi di quel secolo. E' questa ope- ra divisa in nove libri , ed ogni libro in capi, secon- do le materie : è piena di utili documenti ed ornala di begli esempi tolti dalle storie. Non voglio che mi paia 2ì4 Letteratura fatica porre qui volgariizati alquanti de' suoi politici apotecjnii. Dic'egli : ,, La forza di uu principe essere posta meglio nelle leggi e nella sapienza, che nelle ar- mi : la sua vita dover essere a tutti di esempio. — Noa dover il principe amare più i nobili che gl'ignobili : non calcare i buoni, non sollevare i pravi.- Avere Iddio dato a* principi le ricchezze non tanto a lume e splendore della maestà loro , quanto perchè gli studi e le virtù de' sog- getti abbiano incremento. ,, Quindi esaltò con bellissi- me lodi Leone decimo , Paolo terzo e Gregorio ter- zodecimo , i quali usarono magnanima liberalità in ver- so de' letterati , e n'ebbero in cambio l'immortalità del nome. Voglio anche ricordare altri due ravcgnani , che scrissero di politica poco dopo al nostro Celso , cioè Apollinare Caiderini ed Aurelio Marinali ; il primo de' quali ebbe composti cento discorsi sopra la ragione di stato di Giovanni Boterò , coraechè soli ventisei vedes- sero la luce : il secondo scrisse della monarchia del pon- tefice romano , ma la sua fatica non fu veduta , ed in- l sieme con altre opere di lui stassi nascosta nella biblio- teca del Vaticano . Ora , tornando al nostro proposito, il pontefice , grato ai prestati servigi , premosse il Man- cini al vescovado di Alcssano nelle Puglie ; e questo fu a' 19 di aprile del 1597. Quindici anni resse Gelso la sua chiesa con giustizia e bontà; e dato alle opere belle, arricchì 'l tempio di suppellettili: ampliò il palazzo ve- scovale : larghe elemosine al popolo distribuì. Ne aven- do per la nuova dignità intralasciati i suoi filosofici stu- di , nel 1(06 die a stampare un commentario di cose metafisiche , ch'io non ho potuto vedere ; e dopo sei anni, nel 1612, finì in Alessano i suoi giorni , come ha testimoniato l'Ughelli. Fu di natura melonconico , di complessione dilicala , di fievole sanità ; e forse per questo ci tolse nell'accademia degl'informi '1 nome di Egro. Visse caro a molti signori e principi , e le su© VitK eegl'illusTri Ravègnani 2i5 cose furono celebrate co' versi di Giulio Morigi, di Pan- dolfo Zalamella , di Gio. Maria Maioli suoi dotti concit- tadini. Seppe alcun poco di greco , e nel latino scri- veva con molta facilita. Disse ei medesimo : che non ispregiava alcuno e da tatti apparava volentieri : eoa tutto questo però sì la vita e si gli scritti di lui furono morsi dal dente reo dell'invidia. Ma egli non se ne die- de pensiero , ne usci di sua quieta natura , nimica di accattar brighe . Erangli dinanzi alla mente le parole del gran Boccaccio a Pino de' Rossi : ,, non dovere al- cuno uomo , quantunque giustamente e santamente vi- va , maravigliare ne impazientemente portare , se tro- va chi la sua fama e le sue opere con ignominioso so- pranorae s'ingegna di violare o di macchiare . „ Cosi fece il nostro Celso ; e manco misero e pili lieto gli corse il cammino di questa vita. 47. LORENZO SCALABONI . Parmi che non sia da lasciar senza lode la pietà, la modestia e la dottrina di Lorenzo Scalaboni , cele- bre evangelizzante e scrittor sentenzioso e morale. Que- sti nella giovinezza di sedici anni rinunciò il monda e fece professione nella regola de"^ frati eremitani di S. Agostino; e posciachè ebbe compiuto V ordinario corso degli studi nel suo loco natale, 1' affetto alle lettere in lui non scemò , anzi cogli anni andò sem- pre crescendo-. Era suo diletto leggere ne' volumi de* padri santi , greci e latini , a' quali non poneva in- nanzi altro libro che V evangelio. Ed avendogli la be- nignità de' cieli concesso lunghissima vita, ei potè con- durre un numero grande di opere, che uscirono quasi tutta alla luce , lui vivo ; nelle quali trattò sacri su- 216 Letteratura bietti, ed ebbe in pensiero di comporre gli animi al- la pietà e alla religione ; a quella religione oh' è mae- stra di pace e di amore, e luce splendentissiraa di ve- rità. Da prima fece alcune operette in prosa italia- na , ma di picciol valore . Poscia verseggiò quattro canti di sesta rima su la creazione e reparazione del mondo. Mise anche a stampa meglio che trecento so- netti a celebrazione della Vergine ; e ridusse in ver- si italiani il Magnificata la Salve e. ^\m\\'\. divozioni. E queste poesie , comechè non guaste dagli arditi tra- slati cosi in pregio a' suoi dì , non hanno però ne bellezze di concetto, uè nervi, ne grazie di stile ; ed egli slesso schiettamente il confessò. Le migliori ope- re di lui , a giudicio mio , sono le prose latine ; e se la dizione non è sempre in esse elegante , è baste- volmente corretta. L'ab. Ginaniii annovera insino a ven- tisei opere scritte dal nostro Lorenzo, ed impresse in Roma, in Bologna, in Pesaro, in Ravenna. Ne' suoi discorsi morali su la passione di Cristo recò in mez- zo gli apotegmi de' cristiani dottori. Ragionò della di* gni'i del sacerdozio , che non si ha a conferire agi* indegni : parlò de' vizi della gola, dell'avarizia, del- la simonia : disse della oppressione de' buoni ed esal- tamento de' tristi , e cose altre somiglianti . Diceva anche : dovere 1' oratore sacro adornar le sue parole con r arte dell' eloquenza , ma non falsificare la veri- tà. Pervenuto alla età di ottantun' anni , di niente al- tro si doleva che di non poter più gustare la dolcez- za degli studi ; perocché avea debole la memoria, i suoi occhi si erano quasi oscurati, gli tremavano le mani, e tutte le forze erano presso che abbattute : solo di- ceva stargli nel pensiero il gelo e '1 silenzio della tomba . Laonde non sia qui inutile il ricordare a' gio- vani che lo studio è un conforto della vita , e che la vita senza la doltrinu è come uaa immagine delia Vite decl'illlstai Ravegnani al 7 morte. Ebbe Lorenzo alcuni onori nella sua religio- ne , e li meritava , coniechè poco se ne curasse. In Roma slctte tre anni : fu anche in altri luoghi , ma non vi fermò la sua dimora , non vi avendo trovalo quiete , secondo che disse ei medesimo in questi versi : ,, Varcai, paesi molti , ne trovato ,, Ho mai cosa che rjueti '1 mio pensiero. Onde si tornò alla patria, nel convento dell' ordine, dov' ebbe grado di maestro in teologia ed uilicio di priore . Ed essendo amico delle opere belle , ragunò nel cenobio molti Hbri per lo studio : adornò la chie- sa di suij[>el!ettili, la restaurò di culto divino . Fu in predio a' cardinali Antonio Barberini , Pietro Al- dobratidiao e Luigi Cappoui ; ma più che 1' estimazio- ne de' principi dovette rall.'grarlo l'amore che gli por- tava Domenico Valeriani suo concittadino, retore e poeta non ignobile di quel secolo . Oltre gli storici nostri hanno fatta di lui lodevole commemorazione il Mirco, il Maracci, il Ginelli, il Graziano, I' Elsio, r Herrera, il Gandolfo, T Allevordio, T Allacci. Mo- riva Lorenzo il giorno l3 di giugno, l'anno della cristiana salute 1G49 e della sua vita ottantesimoter- zo , lasciando al mondo V odore della sua bontà e delle egregie sue virtù . /*8. SERAFINO PASOLINI . Se bene Serafino Pasolini sia stato il manco ce- lebre degli storici nostri, pure merita che '1 suo no- me non si taccia . Il lignaggio di lui fu antico ed illustre , e vuoisi venuto da iiologua e trapiantato qua 218 Letter aturà ia sul finire del secolo quailocleclmo . Suo padre si ap- pellò Piermaria, la madre fu Isabella Biancoli, e nacque a' I9 di giugno del lG46, AI Lnttesinio gli era stalo posto il nome di Pierfrancesco , che ^joi fu mutato iu quello di Serafino quaudo il giovanetto vesti l'abi- to de' canonici lateranensi nel cenobio di S. Maria in Porto delia patria . Quivi apprese !e sacro scienze , e poscia per quindici anni le professò : diede anche opera alle lettere, come si poteva in queirinfame se- cento - Ma una dolorosa infermila degli occhi , che '1 tenue per sette anni continuamente indisposto, gli tolse di poter meglio profittar negli studi . La na- tura , che gli negò altezza d' ingegno , diegli animo ijoa basso e desideroso di durevole fama. Perchè ven- ne pensando come potesse far cosa che i posteri aves- sero a ricordare. E veduto che molte memorie di pa- tria istoria si erano perdute per la negligenza degli uomini e 1' ingiuria del tempo , si mise a scrivere i Lustri ravennati ; istoria condotta a modo di annali, eh' ei tolse dal principio della città e continuò insin quasi agli ultimi suoi giorni , dicendo egli slesso di aver corsi i ravegnani fatti pel giro lunghissimo di tremila trecento ventisette anni . E nella lettera di dedicazione al libro terzudecimo scrive: che bel com- porre quella istoria ha ,, avuto per primario oggetto, con la rimembranza de' nostri insigni antenati , in- fiammar i posteri a mantenere e accrescere le glorie di questa non raen nobile , che antichissima patria. „ Alto e magnanimo concetto, da non potersi a bastan- za lodare ! Cosi avesse egli saputo e voluto riordinar meglio quel suo lavoro , ed usar diligente cura nelTap- purare le cose ; imperocché ci è nolo ch'ei le metteva in carta cosi come le veniva raccogliendo da ogni fat- ta libri, o le udiva dalle credule genti. Che in quan- to a' tropi viziosi ed altre mende dello stile , ne voglia- Vite degl'illustri Ravegnani 219 mo chiamare in colpa quel secolo delirante. E que- sto ho voluto qui toccare non per frodarlo della lode che gli e dovuta ; avendoci egli conservata la memo- ria di alcuni fatti degni di ricordanza , massimamen- te della età in che visse ; ma solo perchè non sieiio dai poco esperti tenute vere tutte le cose che in quella sua storia si leggono. Vi ha di lui altri opuscoli di- voti , storici, filosofici, i quali (secondo me) hanno manco pregio de' Lustri ravennati . Ma del suo affetto verso la patria e verso gli studi ben mi piace di ad- durre un allro splendido testimonio , ed è questo : di' egli pel primo si adoperò perchè fosse instiluita una biblioteca pubblica a utilità e comodo de' suoi concittadini . Il qual lodevolissimo desiderio di lui (cosi troppo di sovente o l'ignoranza o l'avarizia o la malignità stanno contro alle opere sante e belle) non potè avere etTetto insino al ^Q,2^ in che fece la benigna fortuna che fu eletto in capo del magistrato niufiicipale il conte Girolamo Rota , cittadino 'ornato di lettere e della patria zelantissimo ; il cui nome è qui posto ad onore, onde vegga chi vive che la memo- ria de' buoni non muore mai . Emmi pur dolce e de- bito il ricordare che Vincenzo Coronelli cosmogra- fo ; il quale disse questa citta quasi dilettissima sua patria ; la nuova biblioteca con dono delle sue opere decorò. Furono al Pasolini due fratelli, Ignazio e Che- rubino , cultori anch' essi delle lettere e da lui ama- ti teneramente. Ed ebbe pur caro insin che visse quel Giuseppe Giusto Guaccimauni ravegnano, stato suo di- scepolo nelle cose di filosofìa ; il quale fu poi in vo- ce di poeta, appregiato dalla regina degli sveci, ed onoralo dell'amistà di Alessandro Marchetti , di Fran- cesco de Lemene e di Carlo de' Dottori . La vita di Serafino fu di sessantanove anni e sei mesi, ed il gior- no che va innanzi alla festa del natale di Cristo, nel ITI 5, di questo mortale secolo trapassò. 220 BELLE ARTI J^ita di Matteo Kessels scultore , scritta da Filippo Gerardi . A llorchè io vado fra me e me considerando i molti e v» ri accidenti , soliti intravenire nella vita dì noi poveri mortali , parmi scorgere fra le altre cose , che coloro, ì quali produssero al mondo ciliare e lodate opere di ma- no o d'ingegno , pressoché tutti sortirono i natali ia povera condizione. E ciò penso io avvenire per questo, che gli uomini a cui dal nascere fu amica laf fortuna assai raro volgonsi ai buoni sludi , come quelli che ri- putando vile ed inutile ogni qualunque fatica , si ten- gon contenti a goder nell'ozio le ricchezze, che il caso o l'industre virtiì dei maggiori donava loro. E per lo con- trario quegli che nacquero e crebbero nella miseria , per poco che abbiano l'animo generoso , commossi dal tisogno , gagliardo sprone a ben fare , e più dalla cu- pidigia di fama non peritura , si mettono con sollecitu- dine a coltivare la mente , e si travagliano per modo nel- le ottime discipline che superato , hcnchè a fatica, ogni ostacolo , degni si rendono del nome di grandi , e la be- nevolenza e la estimazione si procacciano de' loro si- mili. La verità del £\n qui detto sembrami provala da in- puraerevoli esempi d'ogni tempo , che per esser notissi- TiTA DI Matteo Kessels 221 slml uon accadrà qui ricordare; quantunque gioverà dire che si vide a maraviglia dimostrala dal fatto di Matteo Kessels scultore d'altissimo merito , del quale tolgo a narrare brevemente la vita. E corto io mi con- fido di muovere col suo esempio la ginvcnlìi a non mai disperare di se slessa per povertà , ma piuttosto ad imi- tarlo , col darsi di buon'ora agli sludi , sicuramente so- stenendo tutti i travagli del vivere , e mirando soltan- to all'acquisto della gloria , che pure talvolta non va scompagnata dal possedimento delle ricchezze. Matteo Kessels nacque in Maest,richt il 20 mag- gio del 1784 da Gioacchino^ e Margherita Caniels. Egli ebbe due maggiori fratelli , l'uno di nome Gu- glielmo , l'altro Enrico , ambidue venuti poi in fama d'uomini ingegnosi , quegli come valente architettore , questi come abilissimo e sottile meccanico. Gioacchino Kessels esercitava nella sua patria il mestiere di ebanista , nel quale ( secondo udii afferma- re da chi lo conobbe di persona ) salì in riputazione di eccellente, a segno tale che venne chiamalo in Fran- cia , perchè ornasse co* suoi lavori le stanze di quella Splendida corte. Egli per tanto dalle sue fatiche ritrae- va il bastevole ai bisogni della famiglia, ed alla educa- zione de' figliuoli. La morte però lo colpiva all'impen- sata, prima che di loro potesse ricogliere il molto frut- to , che se ne andava promettendo , lasciandoli per so- prappiìi poco provveduti dei beni della fortuna. Il nostro Matteo^ perduto il padre, ( contava forse allora il sesto anno ) in compagnia de' fratelli seguiva la madre , la quale ricovrava presso i suoi parenti. In- di a pochi anni , da uno zio veniva mandato in Venlo affinchè apprendesse l'orificeria , e di là a Parigi , per ivi dar opera con profitto maggiore a così fatta profes- sione. Fu in quella cospicua citta, conforme trovo nota- 222 BelléAuti to , che il Kessels apparò i rudimenti del disegnare nel- la pubblica accademia , e che innamorò perdutamente di quell'arte , che in tutta la vita ebbe carissima. Tanta poi era l'assiduita con cui attendeva allo studio , che gliene sopravvenne un fiero indebolimento di forze ; on- de , a risanarne, lasciava tosto Parigi, recandosi in Am- burgo presso il fratello Guglielmo. Non soggiornava a lungo con esso lui, e nel 1806, abborrendo dall'es- sere scritto soldato ne gli eserciti francesi , si partiva alla volta di Pietroburgo. Giunto cola, acconciavasi con certo Camberlen scultore liammingo , e si dava a model- lare statuette d'ogni sorta , le piià d'argento e di ce- ra. Lavori eran questi, da cui s'intravedeva il pronto e vivace ingegno del giovinetto , tanto da concepirne lie- tissime speranze. Per otto intieri anni dimorò il Kessels in Pietro- burgo , lavorando continuo , sì per avanzare nell'arte, si per campar la vita; sino a che l'Europa , rotta e sanguinosa per le atroci e lunghissime guerre , ricorapo- ftasi la Dio mercè in pace , egli volle rivedere la patria. E fu appunto in essa che gli venne pòrta più d'un' oc- casione a mostrare quanto già valesse , conducendo con garbo parecchi ritratti , e meglio ancora ra )deliaudo in cera una ingegnosa allegoria alludente alle nozze del principe ereditario di Olanda colla principessa Pauw- lona di Russia. Quindi a non mollo il Kessels lasciava nuovamen- te Maestricht , e se ne ritornava a Parigi , ove si ab- batteva neir altro suo fratello Enrico , direttore in quel tempo di una rinomatissima fabbrica d'orinoli di mare. Questi forniva al nostro Matteo sufficienti mez- zi a proseguire ne' prediletti suoi sludi , frequentando la scuola del bravo Girodet , [ìittore tenuto in molta stima dai francesi . Egli per altro non si tratteneva in Parigi che soli quattro mesi , entratogli nell' animo ii Vita di Matteo Kesselr 223 desiderio di veder Roma: per cui sì partiva alla vol- ta dì questa famosa citta , prima e principalissiraa se- de delle arti Libile. Quali fossero per via i pensieri del giovinetto artista , quali gli affetti che agitavaogli il cuore , lascio che sei considerino coloro , che bra- mosi di ammirare i tanti prodigi delle arti , in que- sta capitale del mondo raccolti , mossero le mille vol- te da paesi stranissimi per visitarla. Giunto il Kessets in Roma , ove ero fermo do- vesse un giorno levar di se bella fama , lutto quanto gli si parava dinnanzi scrabravaglì cosa stupenda: ad ogni passo sospìnto trovava di che maravigliare ognor più , e sentiva svegliarsi nella mente il pensiero di por- re in opera tutte le sue forze , per uscire anch' egli , quando che fosse , dalla comunale schiera degli uo- mini. E stabile in questo proposito , tolse ad istudiare senza posa ne' capolavori degli antichi e dei moderni artefici. Ricevuto alla scuola dell'egregio Thorwaldsen^ docile si mostrava agi' insegnamenti suoi , e non mai si lasciava stancare dalla fatica; talché in poco spa- zio profittò in guisa , che il maestro non dubitava far- gli condurre in marmo due suoi bassorilievi , rappre- sentanti il Giorno e la Notte , opere con molta sa- pienza immaginate da quel raro ingegno. Pur tuttavia quel giovine scultore, che a gran pas- si procedeva nel cammino delle arti , forse da que- sto sarebhesi trasviato , o almeno più tardi sarebbe giunto a toccare la perfezione per difetto di mezzi, e di opportune occasioni. Non v' ha dubbio che la na- \ tura non produca gli uomini di vasta mente : ma ci vogllon poi le occasioni , che li faccìan valere ; e molti grandi ingegni perirono , e molti ne periranno per mancanza di queste, quando pure non riparassero a tanta sventura coloro , che soli il potrebbero , soc- correndo con maggior larghezza al merito indigente. 224 B E L L K A R T I Ma il Kessels per sua Luona sorte visse in tem- pi quando le arti s'ebbero un generoso proleggitore in uno de' piiì grandi uomini clie mai le coltivassero. Questi , venuto in gran fama e ricchezza mercè di lo- ro , gli averi colle nobili fatiche acquistali volentieri spendeva per vantaggiarle , animando co' premi qua' giovani , che ad esse con amore intendevano. S' avvede ognuno che io qui parlar voglio di AINTONIO CA- NOVA , raro esempio al mondo di virtiì e dottrina, il quale (a dirla col massimo de' prosatori viventi) dovendo nascere , non poteva a meno di non nascere italiano. Ora dunque , per tornare al proposito nostro , aper- tosi nuovamente uel I3l() il concorso d' belle arti , co- sì detto, Canova, da lui che l'instituiva, il Kessels si presentò fra i concorrenti al premio assegnato per la scul- tura. Quattro erano i giovani competitori : ii subbiello della prova fu una statua di S. Sebastiano trafitto dalle frecce. lì nostro Matteo ed un Gandoì/ì di Bologna vinsero in mei ilo gli altri due. II lavoro del primo vea- ne commendato per franca esecuzione , quello del se- condo per conveniente composizione. Gli egregi acca- demici di S. Luca , dai quali dovevasi giudicare della beuta delle opere , sentenziarono , che il premio ugual- mente si dividesse fra i due nominati giovani , perchè pari di merito. Risaputosi in Maestricht l'esito 3el concorso Cano- vay il comune di quella città, tenendosi onorato dalla vir- tù del Kessels, e volendoglisi mostrare grato, lo pre- sentava con una scatola d' oro , sopravi scolpito il suo nome. Di più , la corte olandese , mirantk) ad inco- raggiare un suddito, che un giorno avrebbe potuto cre- scere rinomanza alla nazione , facevagli una provvision meusuale affinchè con agio attendesse a perfezionarsi nell'arte sua. Cou siffatti ajuti il nostro scultore si Vita di MatTeo Kessels 225 dava rlsolntaracate al lavoro. Primi frutti de' suoi sta- di furono, a tacere delle cose di minor conto, un piccolo discobolo seduto , commesso all'artista dallo spagnuolo altea (t Alba ; ed un altro discobolo parimenti seduto , ma in grandezza quanto il naturale , ordinatogli dal signor Labouchére di Londra . Un bellissimo gesso di questo si vede nella sala dell' accademia romana di S. Luca , a cui Io donava lo stesso autore : e gì' intea- denti lodano in questa statua la bene espressa movenza , ed il gentil modo con che sono condotte le patti tutte del nudo. Circa un tal tempo la corte olandese gli or- dinava una statua colossale del dio Marie in atto di riposare; la quale come appena l'artefice ebbe termina- ta , mandavala al suo destino. E tanto aggradimento incontrò questa sua opera , che la real munificenza vol- le aggiunto alla ricompensa l'onore, creandolo cavaliere dell' ordine del leon belgico. Il Kessels lieto per gli ottenuti favori , e veden- do pressoché stabilita la sua fortuna, pensò di accasar- si : e nel 1820 tolse in moglie Francesca Albifes., giovane di squisita gentilezza e di esimia bontk Do- po ciò egli attese con tutta quiete a condurre a fine que' lavori , che già gli erano stati commessi , e ad incominciarne parecchi altri , clie di mano in mano gli venivano ordinati. E scolpì pel duca di Devonshire un discobolo in piedi , maggiore in grandezza del naturale : opera lodatissima sì per la novità dell at- teggiamento , sì per l'eccellente maniera con cui fa lavorata , e dalla quale ben si conobbe , che non soltan- to egli ottimamente conosceva l'arte greca , ma che sa- peva eziandio rifrarne le più riposte bellezze , e farle sue , senza pur ombra di servile imitazione. Fece pel baron dif^ink una figura di donna piangente sopra un'ur- na , ed un Cristo legato alia colonna , il quale venne giudicato come egregia scultura ; pel signor Mimler di G.A.T.LXIX. 15 226 Belle Auti Amsterdam lavorò un Amoiiiio giacenle in alto «31 aguz- zare ì suoi dardi , opera pieuissiuia di grazia e di vi- vacità . Condusse in marmo ìi monumeato , che il conte de Celles volle posto alla memoria della dilet- tissima sua consorte nella cliiesa de' fiamminghi qui in lioma. Ed in questo monumento l'artista seppe far mo- stra della polente sua immaginativa , ed esegui felice- mente un peiisiere molto ardito e difficile. Lavorò inol- tre pel duca di Devonsfiire un piccolo discobolo , ed una Venenna , la qunle dagl' intelligenti venne repu- tala opera nel suo genere finitissima. Al conte Potoski fece di marmo due busti colossali , l'uno rappresentante il Salvatore , l'altro la nostra Donna , le teste de' quali furono precipuamente commendate per quel certo non so che di bellezza celestiale , che nei volti loro scorgevasi. Scolpi due bassorilievi funerali, il primo pel sig. //ere, per la signora Otway-Caue il secondo; e pel re di Baviera un busto di Bacco, ed un altro busto colossale dell' am- miraglio f^an-Trops. Il nostro artista condusse eziandio molle opere in marmo, pregevolissime, quantunque di minor momento, le quali non istarò a ricordare, essendo mio pensiero tener discorso del sublime gruppo,// d///av/o, ordinatogli dall'inglese sig. Guglielmo Jones Clysta^ il quale da ciascuno è risguardato come il suo capo lavoro, WKessels in quest'opera si volle discoslare da quan- to aveau fatto coloro , che prima di lui trattarono il subielio medesimo. E però non si tenne contento a far sì che nei tre personaggi, dai quali il gruppo è formato, apparissero soltanto lo smarrimento e la disperazione , da cui l'animo loro doveva esser tocco all'aspetto del più tremendo fra' gaslighi del cielo; ma, ad ottenere uu ef- fetto più commovente, gli piacque riunire in essi quel- le altre gagliarde passioni , che con legami potentissi- mi stringono un'amorosa famiglinola. Immaginò egli per- tanto un padre, una mudiu , ed un teucro ligliuolino , Vita di Matteo Kesskls 227 i qiKili atterriti dall' universale allagamento , pieni di spaveuto si sian messi alla cerca d'un luogo, ove ri- covrarsi , a campare dall'imminente morte che li mi- naccia. E trovala una gran rupe , tuttavia sovrastante alle acque , a quella traggono in fretta , e si studiano come meglio possono di guadagnarne la cima : ed ceco propriamente il punto dall'artefice tolto a rappresentare. Vedesi in fatto l'uomo , che pervenuto appena al- la sommità della rupe , vi si pianta su gagliardamente, affinchè non abbia a precipitare nell'impeto della' forza, che gli è mestieri adoperare per trarre a se la diletta com(>agna , e con lei il caro figliuoletto. Mirasi poi la donna , chea gran fatica giunta a mezzo il salire , svi- gorita e quasi fuori de*sensi, abbandonasi con tutta la persona al sostegno portole dal consorte;, se non che dl- rebbesi , l'amor di madre ministrarle ancora tanto vigo- re da sorreggere con un braccio il diletto fanciullo. E questi , sentendo scemare a poco a poco il materno aju- to , per un naturale istinto sì aggrappa alle vesti della genitrice. Scorgesi da ultimo urs serpe , figurante il ne- mico comune , il quale strisciandosi su per la rape, par che goda del loro male, ed alto levando il capo ,. sembra dire : Per le mie arti ruorao mise il peccato nel mondo: ed ecco che Dio sdegnatone sperpera ed annienta l'umana razza, tanto da me abborrila. Potentissimo è il sentimento che si chiude nel vol- to di quell'infelicissimo tra' padri: vi si ravvisano impres- si il dolore e la disperazione , che a prova gli lacerano il cuore. Egli volge gli occhi al figliuolo , è vedutolo vicino a precipitare , vorrebbe soccorrerlo, m\i non si attenta lasciar la consorte per tema di perderla ; e co,- 81 piò grave si fa il suo strazio» Intanto le acque , che a furia battono il pie della rupe , e si accavallano spu- manti , danno bene a conoscere , che in breve que' tre sventurati saran tranghiottiti dall'oudc. 45^ 228 BrLLK Arti Certo è , che qiianJo prima fui a vedere que- sto lerrii/ile e maraviglioso gi'uppo, un brivido it)i- provviso mi corse per tutta la persona ; e quante vol- te tornai a vederlo , altrettante fui compreso da cosi grave terrore , da s\ alta pietà , che mi fu forza pian- gere. Ne io dubito punto , che qualunque persona si farà ad osservarlo , se dotata di cuor sensitivo , nou potrà non gelare di paura, non lagriraare di compas- sione. Taluni dissero , non potersi rappresentare in iscul- tura un episodio dell' universal diluvio , perchè con so- le due o tre figure, senza il soccorso delle opportune parti accessorie , determinanti assolutamente il subiet- to , non è dato indicare con esattezza un fatto , avve- nuto in quella tremendissima catastrofe ; per la qual cosa il gruppo del Kessels doversi risguardare soltanto come Vepisodio d'una innondazione qualunque. E sia pure siccome voglion costoro ; a noi non pertanto ba- sterà vedere, che i personaggi, i quali in esso gruppo hanno luogo, esprimono a puntino e con efficacia som- ma i varj e gagliardi affetti a cui dehbon essere in pre- da in un momento per loro così fortunoso. Ed allor- ché in una scultura , qual' è quella di cui parliamo, oltre il filosofico comporre, si trovan raccolti eziandio i pregi dell' unità di azione , del purgato disegno , del- le naturali ed acconcc movenze , senza troppo andar sofisticando , sarà lecito reputarla co' più avveduti , non che maravigliosa , tale che da parecchi secoli non se ne vide la simile. E questo io dico a tutta sicurtà : perchè lodando l'opera d'un artefice defunto, non temo d'incorrere nella brutta taccia di adulatore. Frattanto la fama delle mirabili opere dal Kessels condotte propalatasi maravigliosamente in ogni parte, Yinstituto de' Paesi Bassi lo volle annoverato fra' suoi socj ; ed altreltaulo fecero indi a non mollo le accade- Vita di Matteo Kkssels 229 mie di belle arti di Amsterdam e di Anversa. Nel 1829 la insigne accademia romana di S. Luca , nel di 20 dicembre, lo nominava accademico di merito residen." te ; onore clic a questi giorni non suol compartirsi se non che a quegli artefici , i quali abbian già dato indubitabili prove di profondo sapere. A questo modo era dovunque riconosciuto e pre- mialo il merito del Kessels : ed egli da così solenni testimonianze di pubblica stima traeva argomento di sempre far meglio , e si prometteva per l'avvenire cose maggiori. Quando incominciò ad essere travagliato da una lenta infiamraagione ne' visceri principali del pet- to: onde , a sminuirne la intensità, ebbe ricorso a fre- quenti salassi; in uno de' quali il chirurgo, nel forar la vena del braccio sinistro, punse per disgrazia un lendine , talché quello subitamente enfiavasi , cagionan- dogli dolori acerbissimi. Lunghe cure bisognarono a sa- nare l'offeso braccio , quantunque neppur per intero , in guisa che mentre visse l'ebbe malconcio e non al tutto trattabile. Scorso alcun tempo da questo fatto, // Kessels^ tras- curando la prima malattia, venne soprappreso da un af- fezione organica , che poi fu seguila da un principio ó^idropisia di petto, la quale resistendo pertinacemente a tutti i soccorsi dell'arte medica, lo afflisse con maeggia per tutto . Il movimento della figura è forzato : le pieghe, che la cing^ono anzi- ché la vestano, non sono ne dignitose ne naturali, talché a rigore potrebbe dirsene leso il carattere . Essa ritie- ne troppo dolio statuario e dell' accomodato: cosa ripren- sibile in pittura , poiché ne allontana l'evidenza , e uè fa cessare l'interesse. Ambedue queste prerogative dell'arte , quantunque Discorso del Podesti 2^1 difficilissime, non si ottengono con l'apparenza della dif- ficolta . Se essa vi si palesa, non vi rimane che il solo artificio , il quale signoreggiando sull'evidenza traveste la varila : e se pur giunga ad allettare la vista , non ricerca lo spirito, ne ragiona alla mente. Fra gli altri grandi italiani il Correggio e lo stesso Andrea del Sarto nelle loro ultime maniere , caddero in questo difetto : il quale è bene che dal giovane si distingua con sana critica sulle slesse opere di que' maestri fra mezzo agli altis- simi pregi che vi risplendono: onde egli si persuada che non sempre è bello ne veramente difficile ciò che tale rassembra. 11 che seguendosi da taluno, non eccitato per proprio convincimento , si assuefa a rendersi inaccessi- bile al vero bello ed al vero difficile, essendo entram- be queste prerogative dell' arte nella semplice natura immedesimate. Per la qual cosa l'evidenza non deve essere pos- posta alla convenzione, ed al cosi detto bello ideale, che il più delle volte la prima sagrifica. Il bello ideale non è che il risultato del bello reale, che solo nella , natura si rinviene. i A quest'intento l'artista guidato dalla sana filoso- j Ila , e da una costante osservazione , potrà di leggieri !| comprenderla, e porre nell'opera sua sceltezza e prò- j prieta , come meglio s'addice all'epoca ed al soggetto. Un dipinto che a tali pregi congiunga vivace simul- 1 taneo tingere ed ombreggiare, che pervenga a promuo- j vere e mantenere ne'riguardanti que'medesirai sentiraen- ij ti che l'artista intese addimostrare , dovrà di diritto oE- (| tenere il nome di classico, qualunque siasi la cosa che (j rappresenti. .1 Ivi adunque senz' altro sarà il bello ideale, o, a li meglio dire , lo scelto , ivi lo stile , ivi il classico. Ne ìi si confonda l'opera col subielto. Questo può essere clas- si sico e celebrato: quella dispregevole ed abbietta. ' G.A.T.LXrx. 16 2\2 Belle Arti Imperoccliè l'intera e stabile bellezza io pittura non è un'illusione , o la concorrenza d'un principio re- gnante ; ma si compone del copioso ed uguale aggrega- to di sentimenti , e di praticati studi. Ed è perciò che si vede quanto poco influisse alla realta la pretta imi- tazione delle greche sculture , quantunque reputate ec- cellentissime , essendo universale opinione nella scor- sa epoca , ch'elleno contenessero principii inalterabili e fondamentali d'un bello loro proprio , il quale fu deno- minato bello ideale ; mentre che si comprova colla ra- gione e coll'esempio , che le più belle produzioni del- Tacheo scarpello sono appunto quelle, che meno ritengo- no del sentire freddo e architettato della scuola , e più alla relativa ed animata natura si uniformano . Sebbene sieno queste utilissime per 1' esercizio de* giovani , che smarrirebbero in sulle prime la via fra !e volubililk della natura, nuUadimeno però il loro carattere non è appli- cabile a quello della pittura. Essa più vasto campo richiede : la sua speciale prerogativa e il dimostrare l'agilità e la pieghevolezza de' corpi animati circuiifusi dall'aria. La composizione stessa che in iscultura è una, quivi è varia e raoltiplice, non limitandosi soltanto in lineare e prospettica e in alternativa de' gruppi e delle masse ; ma eziandio si concepisce in composizione locale e generale de' toni , delle luci e delle ombre , e in parziale e universale de* colori e del promiscuo artificio esecutivo. E qui giova ricordare, che il pittore d'istoria, sic- come imitatore dell' universa natura , trattando le cose animate e di sottile speculazione può dirsi un concorso di più menti che tendono ad un medesimo fine. Il perchè V anima sua armonica dessi esaltare, e dilata- re, e mettersi in continua tensione per comunicare al- le parti lo stesso movimento con equabile proporzione. Che se vi adissero le sole forze materiali, l'opera Un- DiSCORiiO DEL PODESTI 243 guifebbe . Invano 1' artista si sforza col meccanismo e col soccorso delle maniere di dar vita e moto alle tele : uu tale prestigio e il risultamento di alcune mo- dificazioni nel genere e nella specie, di svariati piani e sinuosità, le quali intese e combinate nella relativa im- piessione compongono un tutto animatissimo . L' artista , siccome dissi , educato dalla ragione', innalzato dalla poesia, si sforzi inoltre di sentire e ri- tenere le utili impressioni, acciocché ne' soggetti d'al- ta immaginativa, come ne' celesti, negli straordinari e soprannaturali , si valga del soccorso della memoria, ove le corrispondenti situazioni non si possono rinveni- re sul vero die per combinazioni parziali. Il maraviglioso Raffaello a questo altamente inten- deva: e se alcuni difetti in lui appariscono , da altro non derivano che dall'intensità nell' operare , e dimo- strare gli oggetti nella massima evidenza ; difetti con- donabili , perchè i meno pericolosi . Ciò bene spesso accadeva a Tiziano oltrepassan- do ì confini del colorire. Paolo Veronese, che noi vol- le Imitare, riuscì , se non più fuso e insinuante , per certo più vero ; e se per V indole della veneta scuola non parla allo spirito , e poco o nulla conobbe ele- ganza ( proprietà che mollo era serbata agli artisti del quattrocento ), potè colla parte scenografica, colla pro- miscuità de'toni e coU'illusione con che pennelleggia, di- stingue ed illumina i vari corpi e le varie materie , po- tè, dissi, aprire agli studiosi la via meno fallace di am- pliare le loro idee, e riscontrarle sulla verità, posciachè si saranno assuefatti a ragionare sull' antico, e sulle ope- re raffaellesche . La pittura italiana vanitosa di sua grandezza , pei Tizi anzi discorsi perdette affatto T indole propria , e le dilicate primitive impressioni. Nulla più dubitando gli artisti , dal freno di ragione disciolti islupidivauu. 1§ * 244 Belle Arti L*arte perì , noti potendo esistere ove non è natu- ra e filosofia. Senza dubitare non si acquista la scienza. Neil' abbiezioiie in che cadde , era dato al Garacci redimerla, ed a' suoi migliori discepoli ritornarla alla di- gnità e air impronta di sua antica bellezza . Lungi il Curacci di ricomporla in sistema , e d'in- sinuarla su determinati precetti , invitava con l'esem- plo ciascuno a secondate le proprie inclinazioui , col meditare i capolavori de' greci , le antecedenti scuole 7 '7 18 «7 i> » 2 „ ,. 4 >9 1 I 4 '9 9 il ^ó _9 34 SE „ deh. S.v. moil. O o ■ì 10 ■jl 9 i3 6 5 3 1 9 Oo 7 2 6 3 a 6 S a. 0 0 N. d. 0 0 >j » N. d. 0 0 N. '1. SO. „ 0 0 N. d. S. m. 0 0 s d. E. „ N. „ 0 0 t, a5 2, a5 3 o 0 5o I 20 Ilo 40 N. d. S.v. forti „ deb. 0 0 N. d- SO j> 0 0 N. d. 2ug. al). t.l.l pio. f' 53 2> ab l.t.p io. ab. 9' oo 6, 00 Sillg ah. a 3 a 3 5 1 4 2 1 2 3 1 6 a iiuv .tutto ,, sol. Irai, z.cliiar.oriz.nu. nuvtutlo „ pioTe z.ch.m.n.or.s.lu. chiarÌMimo aer.n.leg.sp.jo.lu chiar. ■v'ap.or. chi a. mi Ìl-. nuvoloso „ pio.pie.p chiar. .,vì. ser.iiuT..sp. sol.l raui.s.p.lu. ,, po.s'tl. chia 0(0 ma. i''- ':,!• 6'- if^i sur. t'ìì _ »9 s3 5'- ser. ser. ser. IIIU, 'ter. nia. §<■■ \3er. Btcomet. a8/j.i Zi. 6 » » 7 Terna. 'i'ermomeU'O 10 ao I4 ìo 5 » " 2 »» „ 0 »» a 7 1» >» 3 »» » >j » 9 » 4 o 8 ». l « 3 10 5 18 13 5 8 S 17 l3 >4 ter. ma. ler. ma. 27 gt. 8 5 , 7 13 5 i" 5 1 s 5 1 5 h 1 14 5 lo b ■ 7 i6 1 12 ^. »9 i8 i4 MCUO min. 10 « Igrom. Vento Pioggia 3^ 32 9 N. deh. 0. ,. N. „ 3 38 6 3 34 ti »» » » q, 0 0 0 so. Zi,. 1 ^ ! »7 ' 6 l. d. 0 o »7 4 ;3o 1 10 N. d. o o 1 ^ 6 N. .1. SO ra. 0 o 26 45 35 *7 5o N. ite. " fmo. 5» nj. f. » m. »7 47 27 11 a8 'ffia. 9 3 8 4 7 5 6 7 16 5 13 5 ~8~5 16 5 12 5 11 5 -- i5 i5 9 * 5 1 N. q. 0 òo SO m. 10 0 0 s N.d. 90 • » 7 .f » 5 N. d. 19 S. in. 5 0 0 E-rapoi;. Stato dal Qie j 5 nuv sol.lral. 'se'. «"Tsp. chia"«- » 4 2 4 eer. nu. sp. cliiaris. »er. mi, »p. cliiarii. tiUT.tol.lral. 3 1 » '> 1* SO f. 3 0 0 3 ,SE d. 31 i N. fle. 6 1 SSE fmo. pie. pio. o,lÌ75 1 1 " I 5 cliiar.uu.ori. nuT.iol.lca). tulLocopeilo ,^ soI.Ual. „ pioTf 3 5 I 0 „ sol. hai. cop. yiiove 2 1 ler. nu.fp. ■ ser.nu. "étmamm^a ^ft. Kairgjggaa'agaaaaaaBaag'^ O«*erv«tioni Meteorologiche }( Collegio Romano )( Aovemùre i836. u — ma. fi'- ner. i6 »9 ^'• ! sei: I i8 '""■ \tsr '■ ma. ser. ser. 1 scr. gì- ser. è'- ser. a3 IH i a5 Il iitd. a6 jgi. il !"'■■- i| I ma. I27 «'• 1 : *'^''' wj I ma. t 28 *'■• Baromet. » „ 3 >) 1 " 7 .. „ 9 « 1 1 u » 9 7 9 7 12 5 9 12 5 i'ciiuunieljio I i3 3 5 : — -« 9 ' 8 8 ! '^ • l3 I 1 3 17 37 42 i4i 28 4 gs ma. »» „ 5 l'T aq 8^- j> 4 0 |12 scr. j, ò 7 IO ma. i 3o » 2 3 4 8 12 6 \ser. fl j> 6 1 1 4 i5 I '^ 6 Vento S. d. SE 1^ E. m. N. 4 0 0. d. 0 0 » » SO. ni. s. d. 0 0 N. d. i Pioggia pio. noi. NO. d. N. d. S. n- o ., d. N. '[■ i> ]N. d ; S- 3, li 57 o,75mat. O, 00 p.lu.cou. ■2, 2U „ ni. s. 0 0 1, l'j 0,75 E 1. lOE d. W. f. 0, yJ „ m. E.*SE"d. 0 u livapor. j Slato dal Cielo- a, 1 I i"^>'. 1,10 .p.p. ,, sol.Ual. o 3 uuv. chiar.po.nu.oii Taporoso coperlupiove z.chiar.oriz.nu. copeiiopiove uuv. z.cli.oiiz.nuv. nuf. piove „ «ol.iral. ris.vap .uu.sp. cli.gr.nu.or. 11 ■v.Tp.oriz. ser.vap. coperto nuv.tulto „ «ol.tiaL sei'.i)u..<[i. o 5 1 5 o 4 o 4 uuv ,, soI.Ual. ,, tulio oiiz'.iiuv.z.p.cli nuv.tulto , „ O 1 j , I D I -.ji/V OTTOBBRE E NOVEMBRE 1836. VOLUMI ce V, COVI ^m v^sSa GIORNALE AECABICO DI SClEDfZE, LETTERE , ED ARTI ROMA »KLLA. STAMPERIA DEL GIORNALE PRESSO ANTONIO BOULZALER 1836. 257 SCIENZE Saggio sui fenomeni d'induzione magneteletfrica letto air accademia de* Lincei il giorno 8 agosto 183^). P . M- ubblicata che fu la Memoria del sifj. Faraday sul- r induzioae elettrodina uica , e trovate :n Firenze le calamite elettriche {'\ )^ il sig. Ippolito Pixii immagi- nò un ingegnoso apparato , nel quale si fa girare ve- locemente una forte calamita a ferro di cavallo vicino a un pezzo di ferro dolce della stessa forma , attorno a cui è avvolto in molti giri un filo di rame, coperto di seta . Si ottiene cosi una serie poco men che con- tinua di scinlillette , e se la calamita sia potente e mol- le sieiio le spire del filo, possono aversi le scosse , le analisi chimiche , ed altri effetti. In seguito di questa invenzione il defunto cav. Nobili volse l'animo a per- fezionare le calamite elettriche , e inventò le calami^ te a doppio giuoco e le calamite conjugate (2). Po- steriormente si è immaginata in Londra un' altra mac- china magnetelettrica , eh' è a un dipresso quella di Pixii perfezionata : è piiì semplice e meno volumino- sa. Non gira , come in quella , la calamita , ma ben- sì, come nelle calamite conjugate del Mobili, il ferro (i) V. Meni. Sopra Inforza elettromotrice del m smo o descrizione delle nuove calamite elettriche ec. di Nobili e V. Antinori nelle Mem. ad Osscn'mioni ee. d. L. Nobili T. 1, p 207 , 219. (^2) V. op. cit. T. II. p- 5o, 65. G.A.T.LXIX. n 258 Lettuuatura dolce. À due cilindri di questo//' ( fig. I.) congiun- ti da un altro pezzo trasversale sono avvolti i fili di rame coperti dì seta bianca ( si vuole che il color del- la seta non sia al tutto indifferente ) : i prolungamen- ti de'due fili congiungonsi in modo da recare due cor- renti dello slesso nome a un dischetto metallico el corpo umano, allorché si riceve la scossa. L'estremità d'uno de' fili tocchi il mercurio: se quel- la dell' altro alternamente viene immersa nel mercurio e tratta fuor d' esso , ecco nell' acqua una bella scin- tilletta, mentre la punt.=ì passa dal mercurio nell'acqua. Queste scintille appajono assai bene se I' apparato es- so pure scintilli, essendo armato di punte. Sostituisca- si a queste la rotella piena, onde la corrente passi pel ponticello ae , ma tacita e senza scintille: non cessa- no le scintille nell* acqua, ma sono più deboli e spes- so incospicue alla luce del giorno. Quant' è all' arrovenjirsi de'fili di platino, osser- (i) Y. l'Appendice. 266 Letteratura vo s(;llanto, che se il filo è sotllllssinin, vediamo questo bel fenomeno assai facilmente, henchè la corrente va- da alternamente in due opposte direzioni, e cangi que- ste rapidissimamente ; fatto che iion si era finora osser- vato , per quanto io sappia , colla pila del Volta. Mi viene assicurato che alcune macchine simili alla nostra, ma più grandi , mantengono roventi a un tempo me- desimo parecchi di questi sottili fili di platino. La no- stra fa roventi soltanto i sottilissimi , quali son quelli ottenuti coir ingegnoso metodo di WoUaston. Non ci riuscì di arrovcntire con essa un filo di platino, il qua- le pareva assai sottile e diveniva rovente al primo chiu- dersi d' una pila di quasi cento piccole coppie ( si sa che per questo fenomeno sono mal atte molte e picco- le coppie ) : applicato poi all' apparato a cassette di rame, di sei elementi di pollici 12 e 8, si fuse in istan- ti , dissipandosi in moleculc luminose . Considerando come nelle macchine magnetelettri- che la corrente non passa, come nelle pile del Volta, da un* ampia superficie nel filo metallico, ma senza più in esso filo si suscita, mi è caduto in pensiero d'esplo- rare se nel filo di rame avvolto attorno al ferro dolce o in altri fili di rame o d' ottone con esso comunican- ti s'innalzi sensibilmente la temjieratura in virtù della corrente, o se piuttosto ciò solo avvenga, allorché la corrente passa dal filo , ove s' e destata , in altro ove è il suo corso considerabilmente impedito ( per la na- tura men conduttrice e per la troppa sottigliezza di questo ) , ciò che parevami assai più conforme a quan- to sappiamo intorno al calore destato dalle correnti elet- triche, or sien durevoli o istantanee. Di fatto ho veduto che un'eccellente termometro metallico di Breguet non dava segno d'elevata temperatura, allorché passava la corrente della nostra macchina pel cilindretto o filo d'ot- f tone , eh' è V asse d' esso termometro, e ne pure scor- Induzione magnetkiettrica 267 rendo per un filo di rame nudo, notabilmente più sot- tile di quello in cui erasi suscitata, e toccante le spi- re, clic formano il corpo di quel sì geloso leimomeiro. Ciò risponde, secondo eli' io penso, all'obbiezione cen- tra il sistema di Ampere, cbe pone delle correnti elet- triclie nelle calamite, obbiezione tratta da! non riscal- darsi da quelle le calamite (1), Non e nella calami- ta cagione alcuna di riscaldamento, mai non passando le correnti in essa sujiposte in un conduttori-, il qua- le pili che il precedente ne impedisca il corso. Vengo agii effetti magnetici della corrente d' in- duzione. E' ora assai noto a tutti i fisici che l'allon- tanarsi o r avvicinarsi d' una calamita ad un lungo fi- lo metallico ( specialmente se av^'oUo attorno al fer- ro tlblce ) devia l'ago calamitato del galvanometro , eh' io direi piuttosto roometro. Golia nostra macchi- netta, andando la corrente sempre in un verso, è de- viato dalla sua situazione primitiva , di un gran nu- mero di gradi , talora di f^O, l' ago del moltiplicatore del Nobili , e dondola di qua e di la dalla nuova di- rezione. Se sospendasi per qualche istante il girare e poi si riprenda, si hanno oscillazioni maggiori, talvol- ta di 180". o in quel torno, e accade alcune volte che 1' ago descriva piìi cerchi intieri. Se la corrente è dop- pia , r ago va or di qua or dì la secondo 1' impulso primitivo. Spesso , se il manubrio si giri poco velo- cemente , dondola di quh e di là dalla sua prima situazione , ed accade parimente talora che descri- va successivamente piiì cerchi. Se /, /' fanno non più di un quarto di rivoluzione, purché fra tanto la punta entri nel bagno o ne esca, 1' ago devia di più gradi. (i) Pouillet Elem. de phys. T. I. P. II, p. 3o6. 2fi8 S e I E N a E Ho più volte touf.ilo di fai- camminare la stessa cnrreule e pel moltiplicatore e pel ponticello ae^ po- nendo l'estremità de' fili di quello ne' forellini a, e, ove già erano i capi di questo : le oscillazione o manca- viino o erano miairae, quando la coirente era doppia, essendo in opera le due punte : la corrente semplice cagionava deviazioni sensibili e regolari , come allora che manca il ponticello, ma però assai piccole. Sosti- tuendo alle punte la rotella, l'ago o resta immoto o almeno picculis'^irai sono i suoi movimenti, se la cor- rente può passare a un tempo per la via pili breve del ponticello . Allorché la corrente va soltanto per la via lunga del mollipliealoie, non veggo scintille, be-ichè l'elet- trico esca delle punte; ma allora una seconda corren- te , che esca de' bagnuoli del mercurio reca alla lin- gua e scossa e sensazione di sapore. Ripongo al suo luogo il ponticello. La corrente, che passa per esso, di scintillazione viva e continua , e , se si voglia , accende 1' etere o abl)rucia una foglietta d' oro : quel- la che corre ne' fili del moltiplicatore ( terminate in a e in « ) produce deviazioni nell' ago , anche mag- giori che prima ; e quella , che per mezzo delle ap- pendici ( terminanti in e e in « ) invade le braccia e le scuote continuamente e vivamente. Cosi i fenomeni magnetici , elettrici , luminosi e calorifici si produco- no a un tempo per la presenza d' una calamita! Qual complicazione d' effetti , chi voglia ricorrere per cia- scuna spezie di fenomeni a un diverso fluido impon- derabile ! Mentre una corrente mette in movimento 1' ago del moltiplicatore, può ancora una corrente destala dal- la stessa calamita passare per l'apparato destinato al- le analisi e scomporre T acqua resa più deferente da alcuae gocce d' acido. InDIiZIONE MAGNETELP.T'TniCA 569 Si crederà senza difficolta che la correnfe desta- ta dalla nostra macchina , passando per una spirale di filo di rame , abbia ora dato, ora rovesciato i poli magnetici all' acciajo racchiuso in essa. Piuttosto mi ha sorpreso il non calamitarsi di qualche a£^o da ru- cire cimo strettamente da più giri del sottil filo del moltiplicatore. Il sig. prof. Botto osservò che colle correnti ma- gnetelellriche d' induzione può darsi al ferro dolce uà magnetismo passeggiero. Si è fatta passare la corrente della nostra macchina per un filo di rame , che ve- stiva un ferro dolce curvato a ferro da cavallo, pe- sante circa una libbra : è divenuto subito calamita tem- poranea , ed ha retto il suo proprio peso. Il fervo , cir è stato cosi per qualche tempo magnetico , anche cessata la corrente , ritiene il peso ; ma se 1' ancora cada o sia tolta , si trova privo a un dipresso d'ogni virtiì magnetica. Ciò era stato pure osservato nel fer- ro ciilamilalo a tempo dalla corrente voltiana. Se la coirfnite maguelclellrica d' induzione, che gira attor- no al ferro dolce , muti ad ogn* istante direzione, è sensibile alla vista e anche all'udito un continuo oscil- lare dell'ancora collocata sopra una tavola ed avvi- cinata ai poli ; e ponendo sotto questi una carta con un poco di limatura di ferro, si vede questa agitar- si e brulicare . Ma se la corrente vada sempre in un verso , benché sia necessariamente ad ogn' istante in- terrotta , le oscillazioni non si osservano o assai me- no : i brevi interrorapiraenli , come pur or dicevamo, spesso non distaccano l'ancora, ma il rovesciarsi de* poli non può farsi senza che ognun d' essi passi pel zero della virtù magnetica, e altronde l' adesioue ge- nerata dalle correnti alternanti è affatto momentanea ne Ila tempo di rinvigorirsi . Se uno stesso filo di rame cinge due o anche sei barre di ferro dolce in forma 270 Leti-eratura di ferri da cqvallo , tutte divengono calamite. Se so- no due fili , ciascuno de' quali gira attorno al suo ferro , e i quattro capi de' due fili sono in a ed in e, si hanno bensì due calamite , ma più de- boli , e se col filo di una si chiuda il circolo più tardi , questa è più fiacca , almeno allorché i due fi- li sono d' egual grossezza , e non differiscono molto in lunghezza. Nelle sperlenze di Moli (1) e in quelle del prof. Dal Negro (2) la cori-ente elcttric;» non aumentava la forza magnetica dell' acciajo calamitato. Ho vo- luto fare anche su questo punto qualche tentati- vo. Circondata con filo di rame una calamita arti- ficiale, si e fatta passare per quella la corrente vol- tiana destata col mezzo di due piaslrette , una di rame, V altra di zinco, e non si e veduta la forza della calamita accrescersi punto dalla corrente andan- te nella direzione delle correnti , che Ampere suppo- neva nelle calamite : ma se la corrente voltiana pro- cedeva in verso contrario , la calamita sembrava in- debolita e talvolta lasciava cadere il suo peso. Lo stes- so ho osservato facendo passare nel filo di ramo la cor- rente d'induzione della nostra macchina. Con (jucsia ho veduto pure alcuna volta , che accrescendosi , mentre la macchina era in azione, il peso della calamita , ma però non oltre alla carica che altre volte avea soste- nuto , essa lo reggeva , ma al sospendersi della cor- rente lasciava tutto cadere. Ciò, se mal non mi appon- go , prova che la con ente ajufava l'acciajo calamita- to a sostenere quel peso , che erasi accresciuto, dopo- ché essa corrente era stabilita , e che perciò 1' azione (t) Anu, de chimie et de pliys T. L. p, 328. (2) Aan. delle .Scienze deIR. Lomb. Veneto i832. p. 286. Induzione maonetklettrica 271 della corrente non è affatto nulla sulT acciajo magucliz- zato. Pare a me che , quantopiù ha racciajo di forza magnetica, tanto meno sia atto a riceverne dalle correa- tì elettriche, e nulla ne riceva , se sia saturo di vir- tù magnetica ; ma che però possano diminuir questa , almeno a tempo, le correnti contrarie. La nostra macchina , se i ferri giranti //cinti dal filo di rame sieno troppo prossimi ai poli della cala' mita , continuamente romoreggia: se sleao a questi alcua elle raen vicini , opera tranquilla e senza alcun incom- modo frastuono, vantaggio che manca alle macchine for- nite di ruote dentate metalliche , qual'è quella di Pixii. Ci siamo a caso imbattuti nella nostra ad una situazio- ne così fatta , che operava senza strepito quando il cir- colo ora chiuso metallicamente , ma romoreggiava qua- lora quello era era o aperto o chiuso da poca acqua or- dinaria. Dunque l'ingrato romorio era prodotto ora dal- la mancanza or dalla debolezza della corrente. Sem- bra che neli'avvicinarsi del ferro dolce ai poli , se for- maiisi attorno a quello correnti assai intense e dirette in verso contrario a quelle che il sistema di Am- pere pone nella calamita , esso ferro divenga mea for- temente magnetico , e però Tattrazione fra esso e la ca- lamita sia minore di allora che la corrente o manca o è più debole. Invero è da credere che un ferro, il quale at- taccato a'poli d'una calamita sostiene un dato peso, deb- ba essere più intensamente magnetico , e possa regger- ne uno maggiore, qualora giringli attorno correnti elet- triche analoghe a. quelle , che suppongonsi nella cala- mita e per converso. 'L'esperienza lo ha confermato. La corrente destata da una piccola coppia rame-zinco si e fatta scorrere per mezzo del filo di rame attorno a un ferro dolce curvato a ferro da cavallo : questo gravato di considerevol peso aderiva alla calamita, la quale poi lo lasciava cadere subitochè aprivasi il circuito voltia- 272 InDCZIONE MAGNP.TKLETTRICA no: per Topposito il ferro cadeva dalla calamita, che Io sosteneva, tostochè chiudevansi il circuito, se aveva la corrente direzione contraria. Mi e piaciuto sperimentare se potevano colla no- stra macchina prodursi gli effetti più particolarmente chiamati elettrodinamici , cioè le attrazioni e le ripul- sioni, che la corrente elettrica soffre dalla calamita, e quelle che mutuamente fra di fra di loro esercitano le correnti. Un mio collega, il P. Czarnocki, che mi ha prestato la sua opeia iu queste indagini , ha immagina- to e costrutto a tal uopo un apparatino assai semplice e leggiero , che ne ha dispensato dal ricorso alla gran macchina di Ampe're. Nel disco di legno D(fig. II) sono in altrettante cavita collocati quattro vaselletti- ni di ferro m , r , j , ?^ , in ciascun dei quali si pone qualche goccia di mercurio : p » 9 « ed^ sono tre stri- sce di stagnolo. Due asticelle metalliche A , B sorgo- no dal disco e sostengono simili vasellini x, z. Tè un telarino di legnò, attorno a cui fa 50 giri un filo di ra- mo coperto di seta, le cu" appendici g, /^, sono legate a un pe2zo n di legno o d'avorio, chefescc del disco, e si fan- no, quando piace, terminare ne' vassellini u , ed m. Il condultorino mobile e o d t b l e raccomandato a'vasel- linì X ed r. La corrente indotta viene es. gr. pel roofo- ro ein J : passa per q in r : ascende per co : segue il cammino pel filo metallico mobile d t b l : Aa x per A e per p passa iu m : per h entra nel filo che cinge il telarino : percorsolo lutto, per g sbocca in u^ e tor- na alla macchina pel rooforo /. Prendo in mano il te- larino T, e presento un suo Iato ad un lato del con- duttore mobile, es. g. dt. Se la corrente va nello stes- so verso nel lato presentato di T e in quello del con- duttore mobile, questo è tirato e s' avvicina a quello. Capovolgo T : il filo mobile è respinto dallo stesso la- Io di T e se ne allontana. Tolgo dal mercurio le ap- Induzione magnìetklettrica 273 pendici di T : pongo il looforo i nel vasellino m : pren- do una calamita a ferro da cavallo, coi poli vicini, e di forza mediocre , e avvicino i due poli , un di qua un di Ik , al filo mo})ile : questo è subito tirato , ed entra fra le gambe della calamita. Se rovescio questa, il filo è respinto con pari forza. Al conduttorino mo- bile codtbl può sostituirsene un' altro aft ( fig. HI), immergendone i capi a , t ne'vaseìiini z, x { fig. II ). Non è , al parer mio , punto inverisimile , che possa- no con una simil macchina raagnetelettrica tutti ri- petersi gli sperimenti , che si fanno colla macchina d' Ampere e ancora altri analoghi , senza far uso del- la pila , ne di quella macchina , ingegnosissima sen- za fallo , ma alquanto complicata. La felice applica- zione dell' altaleno ( bascule ) non è più necessaria , quando alla pila si sostituisce una così fatta macchina, nella quale la corrente si rovescia col sol solo girar del manubrio in verso contrario. Alloia , è vero , si rovescia la corrente e nel conduttor mobile e in quel- lo che su d'esso opera; ma ciò non è alcun malo: pe- rocché se il conduttore, cho dee suscitare i movimen- ti d' attrazione e di repulsione è assai leggiero e ma- neggevole ( come il cilindro elettrodinamico d' Ampe- re e il nostro telarino rettangolare ) si presenta al con- duttor mobile la corrente nella direzione che più pia- ce senza il soccorso d'alcnn ingegno meccanico. A dir vero , ho tentato senza successo alcune fra le S])erien- ze di Ampere, cioè la rotazione continua d' un cilin- dro d'acciajo calamitato sul suo asse , e i nsovimcnti del conduttor mobile per la sola azione del globo ter- restre; esperienze che anche a me riesco uo assai bene cogli apparati d'Ampere e con un valulu elellromoto- re. Ma siccome la corrente d'induzione opera negli ai- tri casi come la corrente voltinna, e siccome la terra in ogni altra occasione opera alla foggia d' una gran G.A.T.LXIX. ''l8 274 - Scienze calamita, e genera ancora le correnti d' incìuzionc, co- si, pare a me, non dee dubitarsi che possano gì' in- dicati effetti ottenersi o da simile, ma piià potente niac- china o da mano più destra nel condurre gli esperi^ menti. Prima di passar oltre rendiamo in brevi parole quanto or s' è detto e diduciamone quello che pare as- sai provatamente seguirne. Le correnti mngnetelettri- che scuotono assai agevolmente le mani anche asciut- te , producono facilmente le analisi, e assai bene le scintille e accendono i combustibili. Tuttociò , s' io m' appongo, prova che operano a modo di correnti ab- bastanza intense. Non dico che abbiano molta tensio' ne : dacché con questa voce suole indicarsi l' eflfetto elettrostatico, che si palesa nell' elettrometro, ne ap- appartiene alle veloci correnti , le quali non possono produrlo se non cessando d'esser tali- La tensione sem- bra rispondere alla velocità virtuale della meccanica, ed è solo della i^elocità attuale , che noi qui parlia- mo. L' elettrico destato dalla calamita può dividersi in [)\ù. rivi o in pii!i correnti, restando assai efficace e producendo assai bene effetti i più svariati per mez- zo di varj conduttori : è dunque in certi casi abba- stanza copioso. Producono poi queste correnti assai bravamente alcuni effetti elettromagnetici o, più in ge- nerale , elettrodinamici , che sembrano , se mal non m' avviso , richiedere in esse una certa continuità. La corrente della nostra macchina o d' altra analoga non può essere a rigore continua , quando va sempre ia una direzione e gode d' una certa forza; perocché l'in- terruzione è necessaria a far la corrente più intensa e sopratutto a far che corra in una sola, non già in duo contrarie direzioni : consegue dunque da questi espe- rimenti , eh' essi non hanno duopo di perfetta conti- nuità ; ma, per mio avviso, ne coubegnila pure che Induzione magnetelettbica 275 possiamo in pratica considerare essa correntp come ab- bastanza continua al pari forse eli ogni altra couo- sciula. Se la si fa passate pel corpo umano e ner po- ca acqua comune, diviene meno continua ; e allora ve- do immoto l' ago del moltiplicatore , il quale pure e assai sdegnoso e si risente al circuirlo clie facciano correnti poco copiose o non molto veloci, purché ab- bastanza continue. Anche la lovetitozza permanente del platino sembra indizio di sufficiente continuità. Da tut- to ciò consegue che nelle nostre correnti riuniti tro- vansì i diversi pregi, che nelle correnti elettriche pos- sono desiderarsi , e i quali non è facile trovar con- giunti ; come non è punto agi^vole con app;irato di genere diverso ottener tanti efTotti dell'elettricità in mo- to, quanti ne producono le macchine magnetelettriche. Verigo per ultimo ad esporre e, se mi venga fatto, a spiegare, alcuni paradossi, che a me in questi cimen- ti sonosi ofìerli , de'quali ho addietro alcuna cosa toc- cato . Ho detto che gli efl'etti fisiologici trovansi af- fievoliti e non sì prova la scossa , se la corrente pas- si solo per la persona , ma si ha se passi a un tem- po scintillante per altra via tutta metallica. Il No- bili esservò simil fatto nelle sue calamite. Ecco come lo spiega. ,, La corrente che traversa la lìngua non „ la scuote; perchè è troppo debole in grazia del con- „ duttor umido, eh' è obbligata a traversare : quan- „ do invece il circuito è tutto metallico , si forma una „ corrente molto più forte, che all'atto dell' inter- ,, ruzione acquista tale tensione da produrre la scin- », tilla a traverso V aria e la scossa sopra gli organi ,, preparati a ricevere quel residuo d' elclettricita, che „ non va per l'altra via (i). „ Invero anche nella {i) Mem. ec. T- II p. Sg, Go. 18 * 27G S e I K N Z K nostra macchina , se la corrente non passi scintillan- te fra i conduttori metallici, ma tacita scorra per via tutta metallica , come allorcliè sostituiscesi alle pun- te la rotella piena, essa corrente si mostra poco at- ta agli effetti fisiologici ; dacché se può aversi qual- che commozioncelja alla lingua , manca affatto alle mani. Noti pertanto non so acquietarmi a quella spie- gazione. Ma prima d' esaminarla , fa duopo {issarne il sen- so , che a me non riesce chiarissimo. O si vuol dire che r interruzione rinvigorisce la corrente e fa ch'es- sa possa e scintillare nell' aria e scuoter gli organi col residuo che non va per la strada più breve ; ov- vero che la corrente è forte e copiosa per esse- re il circuito tutto metallico , e che allora , se ven- ga essa interrotta , gran copia d' elettrico si gitta nel- la via chiusa in parte dalle membra umane , dive- nuta migliore o almeno non men buona dell' altra in- terrotta. Questa spiegazione è più dell' altra plausibi- le : ma , a dir vero , ne 1' una ne l'altra sembra suf- ficiente a dar ragione de' fatti da me osservati. Glie l'elettrico non passi tutto per la via più bre- ve voglio concederlo: ma che tanto ne avanzi da for- mare una seconda corrente assai più intensa di quella che soltanto scorre pel corpo umano, e che questa se- conda corrente passando per via non solo più lunga , ma , se punto veggo , peggiore della metallica , ben- ché interrotta, cioè per due persone o ancora per quat- tro, possa a queste scuoter le mani, ciò, secondo che pare a me , non è probabile. E' da osservarsi ancora che r interruzione del conduttore metallico è mìnima, scoccando la scintilla fra la punta e il mercurio , ap- pena quella è uscita di questo, come pure che il bre- vissimo spazio è occupalo piuttosto da pallottoline e vapori di mercurio che dall' aria , la quale debbe es- Induzione magketelettrica 277 ser cacciata prima dalla punta, indi dalle scintille me- ilesirae , che fanno una corrente pressoché continua , specialmente se adoperisi l'apparalino a due punte. Abbiamo veduto che se all' elettrico, mentre scor- re pel ponticello, si apra la via del moltiplicatore, al- lora le scintille non pajono men belle, e l'effetto sul- r ago sembra maggiore di allora che l'elettrico va sol- tanto per esso, almeno allorché si fa uso d'una sola punta. Fin qui si può dire che il residuo d' elettrici- tà che non va pel ponticello produce 1' effetto sull'ago. Ma s* apra una terza strada, ponendo ne' forellini ove pescano i fili del moltiplicatore 1' estremità de'condut- tori , che impugnansi per la scossa , e questa , come abbiamo accennato , non manca , benché le mani sie- no asciutte, ne è minore di allora che la corrente non passa pel moltiplicatore, ne troviamo diversità nella scintilla o si abbia la scossa o no , o passi o non pas- si la corrente pel moltiplicatore, mentre si ha la scos- sa. Se r elettrico non passa tutto per la via più bre- ve , passera il residuo per la via tutta metallica del moltiplicatore , nel quale può sempre girare or sia in un verso o in un altro. Come dunque una forte cor- rente penetra per la mano asciutta e trapassa l'imper- fetto conduttore ch'è il corpo umano? Persuaso di que- sti fatti per iterata e molte volte reiterata esperienza, non saprei trovar sufficiente la spiegazione riportata. Secondo ch'io penso , se la corrente trovi una stra- da migliore dì quella del conduttore interrotto o alme- no egualmente buona , dovrà cessare o assai diminui- re la scintilla. Dì fatto se mentre la corrente della no- stra macchina passa scintillante pel solito ponticello, aggiungo ne' forellini a ed « ( fig. I. ) un conduttore lutto metallico non troppo lungo, benché assai più del mentovato ponticello, le scintille cessano o almeno non iscorgoQsi alla luce del giorno. Mancano pure esse scia- 278 Scienze lille, se la corrente doppia ( da a in n ) debba pas- sare per poca acqua acidula. Al conduttore che sospen- de lo scintillare ne sostituisco uno più lungo, cioè quel- lo della flg. Il, escluso il telarino T, come allora che abbiamo mostrato l'azione della calamita sulla cor- rente mobile : ecco di nuovo le scintille , ma assai piccolette. Rendo molto pili lungo il cammino della corrente , facendola passare ancora pel filo avvolto al telarino T : le scintille si fanno piili vive e più grandi, e intanto la corrente va per qnesto lungo con- duttore abbastanza copiosa ed intensa; poiché, se le- vasi un filo dal mercurio , scocca una scintilla. Se a questo conduttore sostituisco il moltiplicatore del No- bili , cioè una strada alquanto meu lunga, ma più stretta e più tortuosa , essendo alquanto più sottile il filo metallico in questo strumento , e i giri più nume- rosi e più piccoli che nel telarino , le scintille so- no pure assai vivaci e per avventura tanto belle, quan- to allora che niun conduttore può nulla sottrarre al- la corrente scintillante. Così è pure se la corren- te doppia scorra col mezxo di due conduttori per uà dito umano o per le due mani e pel corpo , or sia che a un tempo passi pel moltiplicatore o che non passi per esso. Pare che in questi casi il conduttore or troppo lungo , ora troppo imperfetto non si mostri supcriore ne uguale al breve conduttore metallico , ben- ché interrotto , poiché a questo nulla sottrae. Ne si creda che per la lunghezza e sottigliezza del secondo conduttore , la corrente scintillante nulla o pressoché nulla per quello deviando, solo scorra per esso la cor- rente che va in verso opposto : non gik ; perocché la corrente va pel filo lungo assai intensa anche allora che in grazia dell' apparatino a due-puute la corrente scintillante e doppia; e le deviazioni dell'ago sono o mag- giori 0 non raiuori di quelle che ottengonsi sottratto il Induzione magnbtelettrica 279 ponticello. Ho (alto motto della sottigliezza de'fili: peroc- ché, se mentre la corrente passa pel ponticello, apro ad essa un'altra via anche più lunga, cioè una spirale di filo di rame più grosso di quello del moltiplicatore e di quel- li adoperati ad esplorare gli effetti elettrodinamici , al- lora sì che la scintilla assai s' indebolisce . Se la corrente non può andare se non che pe* fili metallici lunghi e sottili del moltiplicatore , è que- sta interrotta del pari di allora che passa pel ponti- cello ; ed essendo questo troppo più grosso e corto di quelli, per quelli dee scorrere assai piiì scarsa: di- fatto non vedo ia tal caso scintille. Dunque appli- cando in n e in e ( fig. I. ) le appendici per la scos- sa, proveremo commozione maggiore del consueto? Tut- to al contrario. Le scosse alle mani mancano affat- to, comechè possa aversi qualche scossetta alla lin- gua , come addietro ho accennato. In somma , quanto più resta valida la corrente metallica interrotta , tanto è più forte la corrente secondaria che scuote. Finalmente , se e vero , che il conduttore tutto metallico trasporta gran copia d' elettrico , e notabil porzione di questo resta addietro , s' e interrotto, al- lorquando per mezzo della rotella piena non v' ha in- terruzione , e la corrente va soltanto pe* fili del mol- tiplicatore , la deviazione dell' ago sarà assai maggio- re di allora che si esperiraenta colle punte. Ho ten- tato più volle r esperimento , e non ho osservato l'ef- fetto magnetico costantemente maggiore in un caso che Dell' altro. Abbiamo veduto che le scintille nell' acqua sul mercurio sono minori in grazia d' essa rotella : ora, neir ipotesi che esaminiamo, dovrebbono essere mag- giori. Qual sarà la conclusione di tutto questo? Come spieghiamo gli esposti paradossi o , eh' è lo stesso , da qual legge fisica li facciamo dipendere? Rararaeti- 280 S e I i: N z E tiarao come , secoadochè ha scoperto Faraday , una corrente elettrica al destarsi o al cessare suscita o in- duce un'altra corrente elettrica in un filo metallico. Ponendo mente a' fenomeni fisiologici della corrente voltiana , io aveva sospettato che la corrente , la qua- le passa per una porzione del corpo animale, potesse indurne qualche altra in altre parti del medesimo (1). Posteriormente Faraday ha fatto vedere (2) che la cor- rente voltiana , la quale percorre un filo conduttore abbastanza lungo, all' aprirsi del circolo eccita una corrente elettrica d' induzione in un secondo condut- tore comunicante colla corrente induttrice, che tal con- duttore può essere la lingua o il corpo dell' uomo, che impugna le appendici metalliche , che i fili eorti sono inetti a questi effetti , e i lunghi assai meglio li producono qualora sieno ravvolti in elica e che an- zi talvolta con uno di questi raen lungo si ha mag- giore effetto che con uno più lungo , se questo non sia avvolto in elica o noi sia che in parte . Dopo ciò , s io mal non mi appongo , la spiegazione che cer- chiamo è abbastanza indicata. 1 fenomeni in que- stione sono effetti d'induzione prodotti, non già im- mediatamente dalla calamita , bensì da una corren- te elettrica indotta. Sono fenomeni , dirò così , di se- conda induzione. Invero questi effetti allora osservansi che la correlile principale andante in un filo metal- lico continuamente si apre e scintilla, e la lunghezza d'essi fili , che qualche affievoltmento dovrebbe cagio- nare nelle correnti ordinarie , sembra rendere tali effetti più poderosi. Possiamo dunque , pare a me , concludere che la corrente , la quale passa per le punte, e ad ogni istante (i) Istituzioni fis. chim. T, III L. IV. C. XXIX. (2) FJiii. Trans P. I. i835. Pibl. Uaiv. Juiu i835. p. 128. Induzionr imagnetelettrica 281 s'interrompe , risvegli e induca una simil corrente nel conduttore chiuso, di cui fanno parte le membra. Può avvivare al tempo stesso più d'una corrente , cioè e quella che va pel moltiplicatore e quella che passa pel corpo umano. Ma però , se in luogo delle punte sia la rotella , che pesca dì continuo nel mercurio , allora la corrente va in due versi contrarli, ma non acquista per l'interruzzione quella tensione, che la fa scintillare, e produconsi assai debolmente gli effetti fisiologici. Faraday veramente dice che se offrasi alla corren- te voltiana un conduttore migliore che non è li corpo umano , la corrente indotta o, come la chiama, l'esfra- corrente non si divide , ma tutta passa par quello. Ciò osservava , adducendo a toccamento i' mezzo delle ap- pendici, le cui estremità impugnava. Ne pure le nostre correnti producono in questo caso alcun effetto fisiologi- co ; ne li producono se ne' forellini ae insieme co' capi del ponticello sieno l'estremità delle appendici che do- vrebbero recar la corrente nel corpo umano. Simiglia- taraente se a queste appendici sostituiscansi in «, e in e i conduttori dell'apparatino per le analisi chimiche o i fili del moltiplicatore, nel primo caso manca l'analisi, e nel secondo i movimenti dell'ago sono, secondo quello che di sopra s'è detto, or debolissimi, ora insensibili.Ma però, se la nostra corrente allora appunto che s'interrompe, ciob allora che esce del mercurio , trovi aperta piìi d una strada non interrotta , può indurre in queste delle cor- renti abbastnnza energiche , benché una sia tutta me- tallica , e dell'altra faccia parte il corpo umano. Ciò «i vede facilmente se , mentre la corrente scintilla e le appendici collocate in n, e in a scuotono le mani, si col- lochino i fili del moltiplicatore in n ed in e o ancora in in n ed in a. Faraday ha osservato che gli effetti d'induzione del- la corrente voltiana sono maggiori , se il filo contorto 282 S e I K N Z K in elica , in cui produconsi , è avvolfo aftorno al ferro dolce. Ho tentato d'avere la scossa , non colle consuete appendici terminate da grossi tubi, ma con sottili fili dì rame terminanti in due cilindretti d'ottone , un de' qua- li io teneva in bocca , e l'altro fra le dita bagnate con acqua : sentiva le scosse , benché deboli , alle dita e qualche sensazione al polso. Aggiunsi ad uno dei fili conduttori uua lunga spirale, che cingeva un grosso pez- zo di ferro dolce foggiato a ferro da cavallo , e que» sto tanto allungamento d'un sottil filo , anziché nulla di» minuirc l'effetto, parve che piuttosto l'accrescesse, e che la sensazione al polso fosse notabilmente maggiore. Qui peraltro non sembra che manifestisi l'azione immedia- ta d'una corrente induttrice propriamente detta , ma quella piuttosto del ferro , che divenuto calamita tempo- raria per l'azione della corrente elettrica , reagisce so- pra questa , ne impedisce l'afflevolimento , anzi ancora la rinvigorisce. S' io mal non intendo , possiamo dire che que- ste macchine raagnelelettriche ci presentano in un co' fenomeni dell'induzione magnelelettrica , quelli ezian- dio dell'induzione , che Faraday chiamò voltaelettrica e che piuttosto sarebbe da dirsi col defunto professo- re Resti-Ferrari , elettroelettrica ; perocché non sono le correnti volliane le sole atte a produrla. Domanderà forse taluno : l'induzione della corren- te elettrica sopra un'altra vicinissima , non peraltro co- municante con quellii , potrà, osservarsi coll'aiuto di ta- li macchine ? Veramente qualche tentativo da me fatto è riuscito infruttuoso. Sembra nondimeno che debba potersi osservare, adoperando macchina piiì possente, benché questo effetto sia più difficile ad ottenersi de- gli altri di sopra descritti. Ma egU è tempo oramai di por fine al mio dire. Ciò che mi pare potersi conchiudere dalle cose fi- iNDtlZIONE MAGtTETELETTRICA 283 nova discorse , si è : i. La corrente indotta dalla ca- lamita può produrre per induzione un altra corrente: 2« Può destarne al tempo stesso piti d' una : 3. Si in- ducono abbastanza energiche queste correnti di secon- da induzione, se il circuito della prima si apra scin- tillando : in caso diverso 0 mancano cosi fatte corren- ti o sono assai deboli : 4. Queste correnti si stabili- scono e si manifestano ne' conduttori , che comunica- no col conduttore scntillante, ma restano chiusi e non s'aprono in un con esso , il che peraltro non esclude che porzione deirdettrico vada per la via breve interrotta ed avvivi la scintilla. APPENDICE IN.- I. Dopo la lettura di questa memoria ho rirevuto il T. iV del Traile de VélectrFbité et du viagnctìsme del sig. Becquerel. Ivi ho veduto ( p. 34 ) che il sig. Wheatslone ha ancor esso esaminato la scintilla elet- trica col mezzo d'un apparalo raagnetelettrico. Egli ha trovato che lo spettro della scintilla tratta dal mercu- rio consiste in sette strisce separate l'una dalT altra per intervalli oscuri , cioè in due strisce ranciate avvici- nate una air altra , una verde brillante, due verdi az- zurrine vicinissime, una porporina assai lucida e una violetta. Allorché la scintilla era tratta dallo zinco , o dal cadmio, o dal bismuto, o dal piombo allo stato liquido , otteneva de' risultamenti , i quali mostravano che il numero , la posizione e i colori delle strìsce va- riano per ciascun metallo. Soli lo zinco e il cadmio mostravano una striscia rossa, I fenomeni erano i me- desimi, osservando le scintille prodotte dalla pila vol- tiaaa ; ed erano pure gli stessi se la stiiUilla voltiana 284 S e I E N 7> E era tratta dal mercurio nel vuoto boileano o torrlcellla- 110 , nel gas acido carbonico ec. Da ciò il sig. Wheat- stone conchiude che la scintilla non è effetto della com- bustione del mjtallo. Che lo spettro della scintilla tratta dal mercurio sia a me apparso alquanto diverso , non dea rendere maraviglia. Chi ha in sua disposizione mezzi squisiti per osservare, vede distinto e separato ciò che congiunto e confuso si vede da chi ne manca. Ultimamente ci è piaciuto osservare colla nostra macchina magnetelettrica la scintilla tratta dalle amalga- mo di bismuto, di stagno € di zinco. L*ultima presentava il rosso ; indi almeno tre strisce gialle, il verde , Taz- zurro e il violetto. Nello spettro della seconda appe- na scernevasi il lanciato , e in esso , come pure in quello della prima , apparivano due strisce gialle vi- cinissime. Generalmente in questi pìccoli spettri, for- mati dalle particelle roventi del mercurio o puro o amalgamalo, si vede una''porzioncella o poco piìi d'un punto assai luminoso nelT azzurro , e uno spazio scu- ro prima del violetto. Ma io non pretendo accurata- mente descrivere questi spettri , che erano per avventura troppo piccoli e troppo mobili a motivo del conti- nuo oscillare del mercurio . Soltanto ra' h piaciuto mostrare che non è assai difficile osservare qualche differenza fra gli spettri prodotti da metalli alquanto diversi e scernere nello spettro qualche striscia oscura o luminosa. Anche nello spettro della luce elettrica ordinaria si tro- vano simili strisce, come osservò Frauenhofer. Whealsto- ne ha concluso dalle proprie indagini, che la luce elettri- ca risulta dalla volatilizzazione e dall'ignizione della ma- teria pesante del conduttore. E' la stessa conseguenza, che aveva dedotto in Italia dalle sue proprie ricerche il sig. Fusinieri. Il sig. Becquerel non è di questo pa- Indu35Ìone magnf.telettrica 285 rere. Chi non crede dover venire in quella sentenza , dovrà almeno , per quanto a me sembra, accordare al Faraday , che quasi sempre le scintille , se trattasi d'elettricità voltiana e specialmente duna sola cop- pia y debbonsi rijietere dalle particelle de' metalli , che servono di coiuluttori alia corrente. Soltanto ov' esso dice dalla combustione de' raetiilii, avrebbe detto meglio dall' if^uizione ; e alla scintilla voltiana avrebbe, mi pare, potuto aggiungere la scintilla d'induzione magne- telettrica. N." II. Sono da qualche tempo alle stampe due belle dis- «ertazioni intorno a'fenoraeni d'induzione raagnel elettri- ca del eh. professore Silvestro Gherardi , destinate al secondo volume de' Nuovi Atti dell' Accademia delle scienze dell' Istituto di Bologna. Io , allorché scrissi e lessi la precedente memoria , non aveva il menomo sen- tore di queste dissertazioni , che ho dipoi ricevuto dalla genlilezza del eh. autore. Se ne avessi avuta contezza , non avrei omesso di far menzione almeno dell'ingegnosis- simo apparato da lui immaginalo, oli' è descritto nella seconda ( Commentarium de novo quùdara apparatu ma- gneto-electrico ) . L'apparato , di cui ho fatto uso nelle descritte esperienzucce , non era certamente noto al sig. Gherardi, allorché fece costruire il suo, anzi, per quanto io credo, non era a quel!' epoca ancora ritrovato. Questo per le ordinarie sperienze sarà per avventura preferito , a motivo , se non altro , della sua sempli- cità , e del piccol volume ; ma di buon grado confes- so che quello del professor di Bologna è atto ad al- cune indagini , alle quali l'altro non potrebbe servire. Fra le sperienze descritte in quella dissertazione accen- no soltanto , come avendo egli coperto il mercurio , di cui esciva la scintilla, con olio , con petrolio , con 286 Sciènze alcool o con altro liquore , la scintilla fìon mancava , ma mostrava colore diverso secondo la diversità del li- quore ; e in queste circostanze non vedeva punto cre- scere o variare l'effetto chimico o la commozione , che si producevano per mezzo d'altro conduttore (p. 32) . G. B. PlANClAKl DELLA coMP. DI Gesù' Lezioni di fisica sperimentale di Saverio Barlacci professore di detta facoltà neW università roma" na della Sapienza e del collegio filosofico, ad uso degli studenti della medesima università. Tom. I. parte I e II. Roma tipografia di Pietro Aureli i836. JL_i autore dell'opera che qui annunziamo non ha bi- sogno de' nostri elogi, essendo già bastantemente cono- sciuto dai coltivatori delle scienze fisiche. I diversi scrit- ti da esso pubblicati, alcuni de* quali si trovano inse- riti nel nostro giornale, sono stati così favorevolmente ac- colti, che gli hanno meritato un posto fra i piìi distinti fisici d' Italia. Egli, dopo essersi occupato di varj og- getti relativi ad alcuni punti pii*i importanti della fì- sica, ha voluto ora rendere di pubblico diritto le lezio- ni di questa scienza, che con soddisfazione universale d'a ogni anno agli studenti della nostra università. Noi crediamo di far cosa grata ai nostri lettori presentando in questi fogli l' estratto del primo volume eh' è stato finora pubblicato. Premette l' autore nella prefazione e dichiara i motivi che lo hanno indotto alla compilazio- ne di questo corso, fra i quali quello principalmente si fu di dare agli studenti dell' università romana uaa scor- Fisica Sperimentale 287 la faclla e chiara per non ismarrirsi nel vastissimo cam- po che presentano le scienzìù forze le cui direzioni sieno con- vergenti in un punto o agiscano parallele fra loro, e dalla teorica dei momenti deduce il teorema fonda- mentale della statica per 1' equilibrio delle potenze ri- ferite ad un punto fisso su cui agiscono. Si applica- no poi queste dottrine alla teoria delle macchine sem- plici e composte, non trascurandosi di tener conto de- gli ostacoli che si oppongono al libero esercizio delle potenze meccaniche. Imprende perciò T autore a ragio- nare degli attriti , della rigidità delle funi e delle re- sistenze, venendo illustrato questo ramo con utili esem- pi ed applicazioni onde segnare la guida che deve ese- guire il meccanico per conoscere e valutare gli effetti che possono ottenersi dall' esercizio delle macchine. Dopo aver date le nozioni fondamentali sul moto e suir equilibrio delle forze in generale, doveva intra- prendersi r esame in ispecie di ciascuna di esse, almeno delle principali. Ed appunto questa è la traccia che siegue r autore nel suo testo, cominciando nel cap. VI a parlare della gravila ossia di quella tendenza che tutti corpi della natura hanno a discendere al basso, abbandonati che sieno a loro stessi e non ritenuti da verun' ostacolo in direzioni perpendicolari all' orizon- te, che gravita terrestre si appella. Fa quivi conosce- re gli esperimenti dell' insigne italiano Galileo Galilei, che ci somministrò per il primo le vere nozioni sul mo- do di agire di questa forza, ed a stabilire le leggi Fisica speriment\le 289 del molo uniformemente accelerato del gravi che di- scendono o verticalmente o per piani inclinali. Que- ste dottrine sono chiaramente esposte per mezxo di formole algebriche, e confermale coli' uso dell' inge- gnosa macchina di Atv?od , di cui si descrive il mec- canismo di costruzione ed il modo di adoperarla nel- lo esplorare e calcolare 1' azione della gravila. Ciò premesso, era ben naturale di estendere i li- miti di questa forza anche agli spazj del creato per far conoscere essere dessa il vincolo ed il legame che collega e connette tutto il sistema della natura, come appunto fece il Newton che camminando sulle tracce segnategli dal suo antecessore Galileo estese i limi- ti di questa forza anche nelT immensità dello spazio, addimostrando prima che la Luna si volge nella sua orbita per 1' azione di una forza projettile tangenzia- le congiunta coli' azione della gravita, e che in virtù delle stesse forze tuli' i pianeti si aggirano in orbite elittiche intorno al sole con mirabile ordine nel perio- do dei loro movimenti e coli' armonia delle stesse Jeggi. , . . , Ha quindi luogo l' esame degli effetti che pro- vengono dall'azione della gravita congiunta con una forza projettile, e la teorica dei moli curvilinei dei pro- jetti nel vacuo. Le fonti, da cui sono essi dedotti, co- stituiscono le teoriche sulle così dette forze centrali con- siderate nei circolo, d' onde col soccorso della geome- tria e dell' algebra e coi principj fondamentali della meccanica si deducono e si Rimostrano le tre leggi astronomiche di Kleplero, che sono il fondamento di tutta r astronomia. Si assegnano quindi e si determi- nano presso le piij accurate misure le dimensioni del- la nostra terra. Siegue a queste dottrina la teorica sulle oscilla- zioni del pendolo, della cui invenzione è pur debitrice G.A.T.LXIX. 19 290 Scienze la scienza al gran Galileo che ne trasse la idea dalle oscillazioni di una lampada, ed arricchì così la fisica del più importante islromento per la misura del tem- po in intervalli sempre uguali. Si dimostra qui co- fjli elementi di geometrìa la proprietà singolare del pendolo, qual' è il suo isocronismo, e se ne deducono le varie formole più opportune alla soluzione dei pro- blemi che possono presentarsi agli sUidenli suU' azio- ne della gravità. Dal pendolo semplice passando al composto , vengono accennati i metodi pratici e geo- metrici per la determinazione del centro di oscilla- zione. Uno dei mezzi, per cui il moto si comunica da un corpo all'altro, trovasi nell' urto e nella collisione dei carpi ; poiché ogni corpo resiste al moto per la sua inerzia, e nel resistervi ne riceve una quantità eguale a quella che distrugge nel corpo che lo percuote. Su questo principio sono basate tutte le regole dinamiche relative alla comunicazione del moto tanto nei corpi molli, quanto nei corpi clastici. Si considerano pertanto gli effetti risultanti dall' urto diretto dei corpi, e si stabiliscono le formole esprimenti le velocita che i cor- pi acquistano e perdono nella collisione, accennandosi la regola che deve osservarsi nella valutazione degli urti obbliqui ed eccentrici. Esaurito tutto ciò che principalmente riguarda l'equilibrio ed il moto dei corpi solidi, si passa a con- siderare ciò che concerne la meccanica dei liquidi. Si accennano le spcrienze di Ganton , Perkins ed Oer- sted per conoscere e determinare per mezzo del pie- roraetro il grado di loro compressibilità, e si dà con- to dei risultamenti delle ricerche dei fisici ginevrini Colladon e Sturm dirette allo stesso scopo. Determinate le proprietà distintive e caratteristiche dei liquidi, se ne deduce il principio della uniformità di pressione i Fisica spr:niMENT\LR 2qì la proprietà loro di porsi a livello in piani perpen- dicolari alla direzione della gravita, ed il modo di premere e gravitare sui fondi e sulle pareti dei reci- pienti. Le leggi della pressione e dell' equilibrio dei solidi immersi nei liquidi formano anche un capitolo in- teressante in questo ramo di scienza, e fertile per le sue applicazioni alla pratica e all' esercizio delle arti , per cui non si trascura il dettaglio delle principali sperienze e la cognizione dei fatti che possono essere i più utili e necessari. In quanto al moto dei liquidi si danno solo nozioni di quanto può appartenere alla fisica sperimentale , come è la ricerca della velocita degli ef- flussi dei liquidi dagli orifizi praticati nei recipienti , le dispense delle acque che si fanno da dette aper- ture sotto diverse altezze di pressione e per tubi addi- zionali di diversa lunghezza e di diverso diametro , co- me anche vengono esposte le cause che diminuiscono lo scolo dei liquidi , fra le quali la contrazione della vena fluida ed il modo di diminuirla per avere più abbondante erogazione. Termina questa prima parte del volume con una breve esposizione sui fenomeni che presenta l'azione capillare, dove sono chiaramente esposti i principi della teorica di Laplace modificati ed illustrati da Pois- son nella memoria da esso pubblicata nel 1831 T/iéorie de r action capillaire , e vengono per ultimo riportate le sperienze di Dutrochet sulla endosmosi ed esosmosi, cioè sulla introduzione e circolazione dei liquidi pei pori delle membrane vegetali ed animali. La seconda parte del 1 tomo dell' opera di cui ragioniamo è quasi intieramente dedicata alla (eoria del calore. Nel piirao libro si tratta diffusamente delle pro- prietà e delle leggi, con cui si propaga il calorico ; nel secondo si datino alcuni cenni suU' indole, sulla natura e proprietà di alcune sostanze semplici, per som- 292 S e I E w z E ministrare cosi le nozioni almeno elementari di chimica divenule in oggi tanto utili e necessarie per lo studio della fisica, per predisporre cosi ed introdurre gli allievi, che debbono seguire il corso di medicina, allo studio di questa scienza. Si accennano in principio le due ipotesi sulla pro- pagazione del calore tanto riguardato come sostanza sui generis, quanto come proprietà derivante dai moti vibratorii di una sostanza eterea sollilissima : ed e qui pur lodevole il metodo seguito dal nostro autore, di procedere cioè gradatamente e dai fatti i più certi alla cognizione delle cause. Cerca perciò di far conosce- re i fenomeni più generali che produce il calore nella dilatazione di tutt' i corpi e premette, quindi la cogni- zione e l'uso di quegl' istromenti che destinati sono a valutare ed a calcolare i gradi d'intensità e di ener- gia del calore. Esponendo le leggi delle dilatazioni dei corpi, prende qni nuovo argomento di onorare semprep- più il nome italiano, riportandogli esperimenti del pro- fessore di Pavia Alessandro Volta che fu il primo a dimostrare col fatto che i fluidi elastici haij comune il coefficiente di loro dilatazione, espandendosi tutti di egual quantità per eguali gradi di calore, e dilatandosi uniformemente- Non cosi accade nei liquidi e nei so- lidi nei quali la dilatazione cresce in una proporzione più rapida tanto più espandendosi quanto più si av- vicinano al loro cambiamento di stato. Quindi si esplo- rano le leggi di dilatazione nei diversi liquidi e solidi coir uso dei pirometri e di opportuni apparecchi, e si stabiliscono le formole per la riduzione dei volumi dei corpi ad una data temperatura o a quelle di O, for- mole, l'uso delle quali è indispensabile a chiunque si applichi a queste ricerche per confrontare i risulta- menti delle proprie colle altrui esperienze. 11 cap. IV riguarda le propagazione del calorico Fisica sperimentale 293 Dell' interno de' corpi . Vi si distinguono i huonì dai cattivi conduttori, e si slabllisce eoi pirometro di Biot la legge di propagazione del calorico da molecola in molecola , che può essere rappresentata da una curva logaritmica. Infatti le diverse distanze degli elementi della sbarra dalla sorgente costante di calore crescen- ti in serie aritmetica ne rappresentano le ascisse, e le dif- ferenze fra la temperatura di ciascuno di essi punti e quella del mezzo ambiente che decrescono in serie geometrica figurano le ordinale. Si osserva in questa sperienza che il pirometro si rende stazionario quan- do gii acquisti di calore, che fa ciascun' elemento della sbarra metallica, sono compensati dalle perdite che fa ciascun' elemento e per raggiaraenti e per comunica- zione al mezzo ambiente. Dopo aver considerato il calorico nei corpi, che dicesi condotto o repente , passa a riguardarlo in ista- to libero e sotto forma di calorico raggiante, quando emana ed è lanciato dalle superficie di tutt' i corpi per raggi oscuri, ma somiglianti ai raggi luminosi per le leggi di loro propagazione, facendo uso degli op- portuni apparecchi per raccoglierli e valutarne la in- tensità. Ila qui luogo la esposizione dei due sistemi , quello cioè della emissione e quello delle vibrazio- ni, per ispiegarne gli effetti, ed un breve cenno sulle dottrine del Rumford e sulle principali sperienze su cui si fondano : come anche si rendono noti i prin- cipi di Prevost suH' equilibrio mobile del calorico rag- giante. Non si trascura di far qui menzione delle ri- cerche interessanti di Leslie , Pictet , Berard , Fourier e si fanno principalmente conoscere gli esperimenti in- gegnosi del prof. Melloni di Parma, il suo apparecchio per isperimentare le proprietà del calore raggiante , con cui quel distinto fisico potè arricchire in questa par- te la scienza d'interessanti scoperte. 294 S e I i: N 2 E Si parla nel cap : X del calorico specifico e de? tre principali metodi per determinarlo, quali sono i già cof»niti dei miscuoli , della fusione del ghiaccio e dei raffreddamenti, additandosi le cautele da usarsi per bene sperimentare e le formole per esprimere i risultaraenli. La metamorfosi che subiscono i corpi per Tazione del calorico nel loro passaggio dalla solidità alla flui- dità e da questa allo stato di fluidi elastici, forma il soggetto del capitolo seguente, ove parlasi principal- mente delle sperienze di Dalton per determinare la for- za elastica ed espansiva del vapore acquoso e di quelle istituite a Parigi nel 1330 ad oggetto di conoscere la tensione del vapore sotto le più. elevate temperature , ri- cerche che sono in oggi del più grande interesse dopo essere divenuta la forza espansiva del vapore il princi- pale agente per l'esercizio delle macchine. E qui oppor- tunamente si da una breve storia sulla invenzione del- le macchine a vapore, da cui rilevasi rimontare questo scoperta ad un' epoca molto più antica di quella che co- munemente le si assegna cioè al secolo X conoscen- dosi dalla storia di Vincenzo Bellovacense che il papa Silvestro 11° prima Gerberto impiegato aveva la for- za elastica del vapore per dar moto ad alcune mac- chine e specialmente per la costruzione di alcuni orga- ni ed orologi. Dopo aver esaminati gli effetti del ca- lore, si passa alla cognizione delle sorgenti da cui esso deriva , fra le quali si annovera il sole , la combu- stione , l'attrito , le mescolanze e le chimiche azioni » la percussione , e la elettricità, corredando ciascuno di detti articoli di opportuni schiarimenti. Termina la teorica del calore con due capitoli, ia ano de' quali si tratta della temperatura del globo terrestre e dell'atmosfera che lo circonda, e nell'altro del- la temperatura degli animali e delle piante. Si di- chiaraao nel primo le congetture di Cordler , di Fou- Fisica Sperimentale 295 lier , e di Poissoa sull'esistenza del supposto fuoco cen- trale, e si espongono nel secondo le cause che manten- gono tanto negli animali quanto nelle piante un costan- te grado di temperatura diverso da quella del mezzo e dell'ambiente in cui essi vivono. Il secondo libro di questa seconda parte compren- de alcune considarazioni sulla composizione chimica e fisica dei corpi. Si da nozione delle cosi dette sostanze semplici, di quelle cioè che non è finora riuscito di com- porre ulteriormente accennando di alcune le proprietà. ed i caratteri, come l'ossigeno, l'azoto , il carbonio , il cloro , il fosforo , l' idrogeno ec. Parlando dell' azoto si fa conoscere cora'esso unito al gas ossigeno costitui- sca l'aria atmosferica che si respira, quali sieno le pro- porzioni in cui detti priucipii si uniscono per formarti l'aria respirabile, e quali i mezzi di determinare que- ste proporzioni co' processi eudiometrici. Cosi anche trattando dell'idrogeno si dichiarano le sue proprietà fi- siche e chimiche, com'esso sotto forma di gas si svolga nei processi della natura e dell'arte dalia decomposizione del- l'acqua, e come tenendo in soluzione diverse sostanze costuisca diverse specie di gas idrogeno distinte per le lore diverse proprietà, com'è appunto il gas idrogeno percarburato divenuto in oggi un oggetto d'industria e di economia : giacché, com'è già a tutti noto, s'impie- ga nella illuminazione delle strade , dei teatri e del- le fabbriche in quei luoghi ove sarebbe assai costo- so l'uso dell'olio. Questi sono gli oggetti che comprende il primo vo- lume del nuovo corso di fisica, di cui abbiamo qui da •• to un breve cenno che ci lusinghiamo sufficiente a faC conoscere avere l'A. pienamente conseguito lo scopo che si era proposto. Sembra infatti nulla avere oramesso o trascurato di ciò che vi è di più nuovo e d'interessante nella scienza : chiaro e facile è il linguaggio ch'esso tic- 205 Scienze ne per farsi intendere dagli alunni della scienza: tutto ciò che si ennncia e comprovato da dimostrazioni e da fatti, e da per tutto vi si scorge quella facilita e quel lu- cidus ordo che è il maggior pregio che possono avere le opere elementari destinate all'istruzione della studiosa gioventù. Pietro Carpi. Centuriae tres prodromo Florae Romanae addendae, auctore Petro Sanguinetti. 8." Romae ex typogra- fa Contedini. (Un voi. di pag. 140.) I 1 potere inserire nel nostro giornale 1' estratto di un lavoro sulle piante del nostro suolo è cosa per noi mol- to consolante. Giacche mentre in un'articolo dello scor- so anno deplorammo la morte immatura del professore di Botanica sig. Ernesto Mauri , e gli rendemmo così i purtroppo dovuti omaggi; nel segreto del nostro cuo- re deplorammo egualmente per la di lui perdita il de- cadimento di questa scienza nella capitr^le del mondo cattolico , nella già citta dei Cesari. Ma quali speran- ze ristorano i nostri animi , mentre vediamo un giova- ne romano accrescere di tre centurie la flora del nosfro celebratissimo suolo? E' vero che si conosceva da talu- ni scenziati della nostra citta quanto conto facesse il defonto Mauri dell'ardore con cui il sig. Pietro San- guinetti coltivava le scienze botaniche, e quali alti di- segni avesse formalo sopra di lui; sapevasi eh* eraglì scolaro ed amico, e che non faceva escursione Botani- ca senza averlo al suo lato j che caduto malato di lui Piante della Flora Romana 20T servissi , sino che gli fu permesso , per il buon anda- mento di queir orto, clic da esso fondato, sperava che potesse; conservare il suo lustro passando nelle mani del suo scolare ; conoscevasi quanto il sig. Sanguinetti fos- se stato grato ed affezionato al suo precettore per avel- lo assistito , e consolato di continuo nella penosi , e lunga malattia che le tolse la vita , trascurando per ciò fare puranco le sue aziende, ed i suoi interessi. Ma oppresso da sinistro fato oscuro e privo di mezzi neces- sari per coltivare le scienze naturali , chi mai avreb- be creduto che volesse cozzare con la fortuna, e sj)rcz- zarla contraria per amore della scienza? E' pure tant' è; neir oscurità ed avvilimento non ha trascurato i snoì studj , ed il frutto di questi fortunatamente vede la lu- ce sotto i migliori ausj.ici. Giacche vediamo tal lavo- ro dedicato ad un porporato tanto rispettabile per au- torità e dottrina, e tanto propenso a proteggere le scien- ze e le arti , quale è 1' Erainentissimo Cardinale Lui- gi Lambruschini. L'altissimo faccia, che possa rista- bilirsi in perfetta salute e le dia lunga vita per il be- ne delle scienze. Ecco dunque il catalogo sistematico delle piante che compongono le tre centurie publicate dal sig. San- guinetti per i tipi delli fratelli Contedini. DIANDRIA MONOGYNIA Veronica aphylla Lin. Sp. i4. sculellata Lin. Sp. 16. urticaefolia Lin. Supp. 83. praecox Ali. Auct. p. b. t. ^. f. t. Buxbaumi Ten. FI. Nnp. Pr. p. 6. Pinquicula grandiflora Wild. Sp. i. p. 100. Salvia pratensis Lin. Sp. 35. Tiberina Maur. in Ten. F'iag. in Abr. p. ^i. 298 Scienze TRIANDRIA MONOGYNIA Valeriana saliunca Ali. Ped. \ . p. 5. t. 70. montana Liti. Sp. 45. Fedia dentala J^ahl. En. 2. p. 20. hamata cannata R. et Sch. S. f^eg. i. p. 36x. Crocus vernus JIL FI. Ped. i.p. 84. iS grandi florus suaveolens Beri. Zaffer. It 3. biflorus MUl. Dict. Romulea columnae FI. Rom. Pr. p. 18. jS versicolor Gladiolus byzantinus Jlt. Kew. ed. 2. ìk \. p. ■102. Cyperus Tenoi ii Tineo App. ad Cai. Pl.H.R.Panor* p. 278. badius Desf. Ali. 1. p. 45. t. 7. /. 2. TRIANDRIA DIGYNIA Milìum paradoxum Scop. FI. Cam. 83. t. 1. Aira flexuosa Lin. Sp. 96. Crypris alopecuroides Schrad. FI. Gemi \. p. i67. Plileura alpinum Lin. Sp. 88. Gerard! Ali. Ped. n. 2ì35. Alopecurus genlculatus Lin. Sp. S9. Poa alpina Lin. Sp. 99. Festuca Halleri mi. Dauph. 2. p. 103. spadicea Lin. S/st. ed. 2. t. 2. p> 732. ciliata DC. FI. Fr. 3. p. 55. Broraus secalinus Lin. Sp. 112. interraedius Guss. Pr. FI. Sic. \. p. i4. maximus Desf. Ad. 1. p. 95. t. a5. Stipa tortilis Desf. Atl. \. p. 99. t. 31. /. 1. Aegyiops neglccta Req. Andropogon dislacbyos Lin. Sp. I48i. Piante della Flora Romana 299 Avena tenuis Wild. Sp. i. p. A48. vcrsicolor JVild. Sp. i. p. 452. villosa Beri. Exc. de Re. herb. p. 6. Nartlus strida Lin. Sp. 77. TRIANDRIA TRIGYNIA Thillca muscosa Lin. Sp. 186. TETRANDRIA MONOGYNIA Scablosa integrifolia Lin. Sp. i42. Pyrenaica Jll. Ped. 1. p. i^O. maritima Lin. Ani. 4. p. 304. « & argentea Lin. Sp. 2. p. 143. Cenluiiculus miniraus Lin. Sp. i09. Asperula neglecta Giiss. PI. Rar. p. 09. Piantago alploa Lin. Sp. i65. subulata Lin. Sp. 166. media Lin. Sp» i(33. Alchemilla vulgaris Lin. Sp. lyS. TETRANDRIA TETRAGYNIA ilaJIola millegrana Pers. S/n. I^l. i. p. 153. PENTANDRIA MONOGYNIA Myosolls alpestris Lechvi. Asp, 80. vcrsicolor Pers. Syn. i. p. 156. lappala Lin. Sp. 189. Anchusa Barrelieri DC. FI. Fr. 3. ;;. 632. Cyooglossura officinale Lin. Sp. 'ig2. magellense Ten. FI. Nap. ^. p. iS4. t. UT. Asperugo procurabens Lin. Sp. i98. 300 Scienze AnJrosace villosa Lin. Sp. 203. Echiura calycinum yiv. FI. It. Frag. i. p. 2. i. A. Soldanella alpina Lin. Sp. 206. Convolvolus sylvestris PTald. et Kit.Fl.R.Ung.t.2G]. Campanula latifulia Lin. Sp. 233. bononiensis Lin. Sp. 2.']4. linifulia rVild. Sp. i. p. 893. Lobelia Laurentia Lin. Sp. I3i. Rharaaus alpinus Lin. Sp. 280. Viola calcarata Lin. Sp. 1325. Verbascum macrurura Ten. FI. Nap. 3. p. 2 16. thapsiforme Schracl. Mon. Fcrb. al. densiflorum Bert. Jinoen It. p. 87. pblemoides Lin. Sp. 253. niveum Ten. FI. ISap. 1. p. 90. ]ychnits Lin, Sp. 253. (h , 7 argyrostachion Ten. Fig. in Ahr. p. 52. nigrum Lin. Sp. 253. pboeniceum Lin. Sp. 234- Hyosciaraus niger Lin. Sp. 257. Lycium barbarum Lin. Syst. Veg. 190. Hedera poetarum Bert. Prael. Rei Herb. p. 70. PENTANDRIA DIGYNIA Cynancbura vlncetoxicum Pers. Syn. i, p. 274- Herniaria hirsuta Lin. Sp. 31 7. {non FI, Rom. Pr.) Chenopodiura opulifolium Schr. S. Feg. 6. p. 258. rubruin Lin. Sp. 3 18. liybriduni Lin. Sp. 3i9. Salsola tragiis Lin. Sp. 322. soda Lin. Sp. 323. Atriplex patula Lin. Sp. i494 » ^^ ^^' Rom. Pr» p, 107. fi, 7 triangularis TVdd. Sp. A. p. 963. Piante della Flora Romana .301 UMBELLIFERA Hydrocotliyltì natans C^r. Nap. PI. Fase. I.t. 6. Bupleurum cernuum Ten. FI. Nap. i. in add. et p. 322. V. 3. t. 135. Torllis anthriscus Gmel. FI. Bad. \. p. 6i3. hetcropliylla Guss. Pr. FI. Sic. f. p. 'Ò2Q. Ligiisticum apioides Lam. Dici. 3. p. 577. Seseli glaucurn Lin. Sp. 372. Oenanthe globulosa Lin. Sp. 365. Tliapsia asclepium Lin. Sp. 375. Selinuni orcoseliaurn òcop. Car. n. 330. PENTANDRL\ TRIGYNL\ Tamarlx africana Desf. FI. udtl. 1. p. 206. PENTANDRIA PENTAGY.\IA Linum angustifoliura Sin. FL Br. i. p. 344. HEXANDRL\ MONOGYNL\ Narcissus iiicomparabilis Wdd. Sp. 2. p. 35. Allium angulosutn Lin. Sp. 3-iO. nigrum Lin. Sp. 340. FritilUria meleagris Lin. Sp. 436. Tulipa praecox Ten. FL Nap. 1. p. 110. Oruithogalum temiifulium Gtcss. Pr. Fl.Sic. 1 .p.\1j. Convallaria polygoiialum Lin. Sp. 451, Juncus maritimus Lam. Enc. 'ò* p. 26i. multiflorus Desf, Ad. 2. p. 3i3. i. 9i. conglomeralus Lin. Sp. 464. depauperalus Ten. Succ. Rei. etc. p. G2. 302 Scienze insulanus Viv. FI. Cor. Sp. AW. Diag. p. 5. acutiflorus Ehr. Gram. TG, trifidus Lin. Sp. 465. Loranthus aeuropeus Lin. Sp. i572. HEXANDRIA TRIGYNIA Rumex obtusifolius Lin. Sp. 478. triangularìs DC. FI. Fr. Sup. p. 368. Colchicum autumnale Lin. Sp. 9 i5 et Fi. Bom. Pr. p. 135 « , y5 , 7 OCTANDRIA MONOGYNIA. Epilobiura anguslifolium Lin. Sp. 993. Oenolhera Liennis Lin. Sp. 993. Clora serotina Kook in Reich. Cent. 3- />- G. i. 208. Erica scoparla Lin. Sp. 502. Acer campestre Lin. Sp, 327 , etFl. liorn. Pr p. \Z^ ^ colliaum. OGTANDIRIA TRIGYNIA. Polygonum persicaria Lin. Fl.Suec. 319 ( non Fi. Rom. Pr. ) convolvolus Lin. Sp. 522. DEGANDRIA MONOGYNIA. Pyrola minor LiSp. n. 567. secunda Lin. Sp. 567. DEGANDRIA DIGYNIA Saxifraga oppositifolia Lin. Sp. 565 Piante della Flora Romana .103 Ungulata Bell. App. ad FI. Peci, in Jccad. Taur. 5. p. 22:^». aizoon Murr. S. Veg. ed. ^^. p. k\\. moscata Murr. S. Veg. ed. iA.p. Ui/\. «, yS Gjpsophila diantlioides òibt. FI. Graec. /\. p. 76. t. 385. Dianlhus dellhoides Lin. Sp. 588. nionspessulanus Lin. Amoen. A, p. 313, DECANDRIA TRIGYNIA Silene infiala Sm. FI. Br. 2. p. 461. ( nofi FL Rom. Pr. ) Lrachipetala DC. FL Fr. h. p, 60L ncglecta Ten. FI. Neap. App. 5. p. 13. saxifraga Lin. Sp. 602. Graefferi Guss. PI. Rar. p. 177. /. 39. Arenaria grandiflora Lin. Sp. 608. Stellarla saxifraga Beri. Rar. It. PI. Dee. p. 35. DECANDPJA PENTAGYNIA Cotyledon horizontalis Guss. Pr.Fl.Sie. i. p. 517. Sedum atratum Lin. Sp. i773. raagellense Ten. FI. Nap. p. 26. Cerastium sylvaticum ÌV. et Kit. PI. Rar. flung. i . p. 100. t. (;7. aquaticum Lin. Sp. 629. DODEGANDRIA MO.NOGYMA Asarura europaeum Lin. Sp. 633. DODEGANDRIA DIGYNIA Agrimonia odorala Ait. Hort. Kew. 3. p. i58. 304 Scienze DODECANDRIA TRIGYNIA. Euphorbia pubescens Desf. FI. Ali. f. p, 386. DODECANDRIA DODECAGYNIA. Sempervivum arraclinoideura Lin. Sp. C65. ICOSANDRIA Dl-PENTAGYNIA Pyrus cuneifolia Guss. PI. Rar. p. 402. aucuparia Goert. Friit. 2, p. 45. Mesembriantlierauni nodifloruni Lin. Sp. 68T. ICOSANDIA POLYGYNIA Rosa dumetorum Thuil. FI. Par. ed. 2. v. Ì.p.2^ò0. parvifolia JVild. En. 5/,6. systyla Bast. FI. Supp. 3i. Rubus glandulosus Bell. Jet. Taxir. 2. p. 230. Fragaria collina Ehr. Beitz. 1 . p. 2G. Potentina apennina Ten. FI. Nap.p. i9i. (excl. s)n. Bocc. Mas. Tab. 9.) argentea Lin. Sp. 7i2. torraentilla Nestl. Poi. 65. de Tommasii Ten. FI. Nap. i p- 285. t. 54. x , (?> Dryas octopetala Lin. FI. Lap. 2i2. POLYiSDRIA MONOGYNIA Aclea spicata Lin. Sp. T22. Cislus affinis Beri. Ined. Ileliantlieraura salicifolium Pers. Syn. 2. p. 78. raaiifolium Lin» Sp. 471. Piante della Flora Romana 305 Savi Bert. Amoen. It. p. 78. POLYANDRIA PENTAGYNU Styli 2-5 Peonia corallina Rets, obs. 3. p, 34. Delphininm Ajacis Lin. Sp. 748. staphysagria Lin. Sp. 750. POLYANDRIA POLYGYNIA Hepatica triloba DC. FI, Fr. 4. p. 885. Ceratoceplialus falcatus Pers. Ench. 1. p. 34 1. Kanunculus brevifolius Ten. FI. Nap. Pr. Supp. 2. p. 08. Sequieri mi. Dauph. 3. p. 753. illyricus Lin. Sp. 776. montauus PFìld. Sp. 2. p. 1321. constantinopolitanus d' Urville En. PI. Arck, flabellatus Desf. A ti. 1. p. 433.^. \\k. peucedaiiifolius Ali. Ped. i. p. i4G9. Tiollius aeuropeus Lin Sp. 782, D[DYNAMIA GYMNOSPERMIA Teucrium botrys Lin. Sp. 786. pseudo-hyssopus Schreh. Unii. p. 45. Galeopsis tetrahìt Lin. Sp. 810. Stacliys heraclea Ali. Ped. 112. t. 84. /. i. poly^tachya Ten. FI. Neap. Pr. p. Z/(. germanica Lin. Sp. 8i2. Salureja tenuifolia Ten. Fi. Neap. Pr. p 33 Julia na Lin. Sp. 703. Thymus acicularis A:^^. Pl.Rar.Uns.2. p.\^l.t. I47. ^•A.r.Lxix. 9Q 306 S e I E N z I DIDYNAMIA ANGYOSPERMIA Bartsia trixago Lin. Sp. ed. 1. p. 602. Pedicularis tuberosa Lin. Sp. 847. foliosa Lin. Mant. 86. verticillata Lin. Sp. 840. Linaria alpina DC. FI. Fr. 3. p. 590. cyrrosa PFild. En. 2. p. 670. TETRADYNAMIA CÌIUGIPER AE -S YNGLISTAE Clypeola lonlhlaspi Lin. Sp. 9J0. Isatis alpina JIL Ped. p. 259. t. 36. /. a. Biscutella laevigata Lin. Mant. 225. GRUCIFERAE -SILICULOSAE Hutchinsia alpina DC. R, Feg. S. Nat. 2. />. 389. Lepidium latifulimu Liti. Sp. tì09. Thiaspi aivense Lin. Sp. UOI. Draba ajzoides Lin. Mant. 91. Eiophiia praecox DC. lì. Feg. S. Nat. 2.^.357. Alyssuni campestre Lin. Sp. 909. CRUCIFERAE-SILIQUOSAE Barbarea arcuala Reich. in Spr. S. Feg. 3.p. 8w4, Sisyrabrium Sopliia Lin. Sp. 920. colurauae lacq. FI. yJust. t. 323. Brassiea iacana Tcn. FI. Nap. Pr. 39 1. MONADELPHIA PENTANDiilA Eruiliura alpinuiu /' Ilerit. Ger. /, 3, Piante della Flora Romana 307 MONADELPHIA DECANDRIA Geranium macrorhizum Lin. Mani. 345. MONADELPHIA POLYANDPJA Lavatela eretica Lin. Sp. 973. DIADELPHIA OGTANDRIA Polygala amara Lin, Sp. 987. DIADELPHIA DEGANDRIA Genista candicans Lin. Sp. 997. sagittalis Lin. Sp. 998. Cytìsus argentens Lin. Sp. i043. Otionis spinosa Wall. Sch. Crit. p. 37. ex DC. Lupinus hirsutus Lin. Sp. iOJ5. Orobus variegatus Ten. FI. Nap. 1. p. i44. t. 68. Vicia dasycarpa Ten. F'iagg. in Jbr. p. 81. Ervura tetraspermuin Lin. Sp. i03. et FI. Roni. Pr. . p. 248. ys, 7 Ornithopus ebraclealus Brot. FI. Lusit. 2. p. 159. Oiiobrychis saliva Lam. FI. Fr. 2. p. 652. x , /S alba Desv. Jurn. Bot. yinn. 1814- Astragalus sesameus Lin. Sp. 1068. vessicarius Lin, Sp. 1071. aristatus V Herit Stirp. 170. Phaca austsalis Lin. Mant. 103. Bisenula pelecinus Lin. Sp. 1073. Melilolhus vulgaris TVilcl. En. 2. /;. 709. Trifolium rubens Lin. Sp. 1081. montanura Lin. Sp. 1087. caespitosura Re/n. Meni. 1. p. i62. 20* 303 S e I B N Z K suaveolens Wild. En. Hort. Ber. Supp. p. 52. parisiense DC. FI. Fr. 5. p. 563. ( excl. syn. Loisl. et Sin. ) Lotus hispidus Desf. Cai, H. Pars. p. 190. Requieni Maur. in Ten. f^i^gg- in Abr. p. Si. Trigonella prostrala DC. FI. Fr. 5. jD. 511. morispeliaca Lin. Sp. 10 5. Wildenovii Mcrat' FI. Par. p. 290. tuberculala ffild. Sp. 3. p. 14iO- nuiricoleptis Tin. Pug. i. p. 18. lappacea Lam. Dict. 3. p. G.^y. niurox Wild. Sp. 3. p. j410. disciformis DC. Cat. H. Mons. p. ia4. POLYADELPHIA Hypericuni Reicheri yHl. Dauph. 3. t. 44. SYNGENESIA POLYGAMEA AEQUALTS Jlieracium aureura F'ill. Dauph. 3. t. 33. Leoiitodoa cicoraceum autuninale Lin. Sp. il 23. Hypocheris dimorpha Brof. FI. Lns. 1. />. 332. pinnatifida l^en. Cai. H. lì. Neap. App. i. Carduus affinis Gus. PI. Rar. p. 334. Carlina acanlhifolia Ali. Ped. i. p. 156. Cacalia alpina Wdd. Sp. 3. /?. i735. POLYGAMIA SUPERFLUA Xeranthemum cylindraceura Sm. Pr. FI. Graec. 2. p. I72. Gnaphalium minimum Lob. le. t. 48. leoatopodium lacq. Aust. l. 86. Piaste della Flora Romawa 30^ diolcum Lin. Sp. II99. alpiuura Lin. Sp. 'I2m. Aster alpinus Lin. Sp. i226. Achillea ligustica Jll. Peci. i. p. 18 ». t. 58. punctata Ten. FI. Nap. p. 49. Chrysanthemura atratum Lin. Sp. 1252. Antliemis fuscata Brot, FI. Lia. p. 39i». secundiraraea Biv. Cent. i. p. mucronulata Bert. Amoen. It. p. fiG. Barrelieri Ten. FI. Nap. i. p. 245. ^. 81. tomentosa Lin. Sp. 22(30. Senecio laciniatas Bert. Amoen. It. p. i02. sylvaticus Lin. Sp. i'2\l. doronicum Lin. Sp. i222. Inula helenium Lin. Sp. i236. Doronicum Coluranae Ten. FI. Neap. Pr. p. 49- Bupleurum aquaticum Lin. Sp. 1274. POLYGAMIA FRUSTRANEA Centaurea dissecta Ten. FI. Nap.Pr.p. 61. cicoracea Lin. Sp. 1299. rupestris Lin. Sp. I298. Echinops ritro Lin. Sp. 1314. GYNANDRIA MONANDRI! Orchis cxpansa Ten. Sili. p. 455. galeata Larn. Dici. 4. p. 593. ustulata Lin. Sp. 1333. secnndiflora Bert. Amoen. It. p. 82. Serapias micropiiylla Ehr. Beit. 4. p. 42. palustris Scop. Carn. '9. Pinus balepensis Wild. Sp. 4. p. 496. DIOEGIA SYMPUYANTHERAE Rwscus Hypoglossum Lin. Sp. i474. 311 LETTERATURA Dissertazioni della pontifìcia accademia romana di archeologia. Tomo settimo. Roma^ tipografia della lì. C. apostolica i836 4.°/?^. di facce LXXXH-olS. Il eh. presidente dell' accademia intitolando questo settimo tomo delle dissertazioni alla santità di N. S. rammenta quella sentenza di Tullio : dovere lutti co- loro che ricevono benefizio prender esempio dai buo- ni campi , che abbondante frutto rendono al savio col- tivatore. Molto giustamente fece di ciò ricordo il sig. marchese Biondi : si perchè Gregorio XVI, felicemente regnate, con sinjjolar benefizio donò all' accademia lar- ghezza a poter dare alle stampe i suoi lavori : si per- chè l'accademia seguì l'ammaestramento del romano oratore , pubblicando in soli tredici mesi ben tre vo- lumi de' suoi atti. Noi che facemmo ricordo del quinto ( vedi il voi. QQ p. 1 1 (, ) , e del sesto ( /^. // voi. 67 P' 295 ) , imprendiamo ora a farlo del settimo : e ci sembra che non facilmente altre accademie possano van- tare in uguale spazio di tempo altrettanti lavori. Sien dunque rese per parie nostra somme grazie al genero- so bencfatlore ; grazie sien rese all' accademia , la quale ci prova co' fatti che Roma nostra fu ed è sem- pre maestra in questi studi archeologici. E' diviso il settimo tomo in due parti, cui riferi- sconsi le diverse numerazioni: la prima di facce LX.X.XU contiene la notizia dalle adunanze accademiche dal 4 di dicembre 1834 a tutto il dicembre iS35. Siegue il catalogo dei sodi. Molle fra le dissertazioni accennate nella notizia furoao pubblicate io questo o nel jpre- 31 2 Lkttératura cedente volume ; sì noia che taluna sarà pubblicata neir ottavo. Restano le memorie della chiesa diaco- nale di s. Niccola in carcere lette il 10 di dicem- bre i834 dall'Emo sig. card. Niccola Grimaldi acca- demico di onore : un ragionamento ad illustrazione del vestiario de" primitivi cristiani pronunziato nella tor- nata del 22 di gennajo 1835 da raons. Albertino Bel- lengliì ; un discorso intorno alcune moderne costU' manze romane che sembrano continuazione di quelle antiche^ letto dall' avvocato Francesco Guadagni il 7 di maggio :835 : una dissertazione sui tre antichi or- dini greci dorico , jonico , corintio , e sulla deri- vazione della colonna dall' albero, detta dall' ab. An- gelo Uggeri il 3 di dicembre i835. Oltre i sunti di queste memorie , sono nella notizia per opera del se- gretario , o di chi ne tenne le veci , i cenni biogra- fici e letterari di molti socii ordinari e corrispondenti passati a miglior vita. Sono essi ; Alessandro Viscon- ti ; Niccola Ratti; Stefano Piale; Luigi Bossi; Carlo Guglielmo d'Humboldt ; Melchiorre Delfico; Daniello Francesconi; Carlo Augusto Boeltiger.I treprimi avevano arricchiti gli atti accademici di molte loro produzioni. La seconda parte contiene otto dissertazioni , e tre elogi. Seguendo il nostro costume faremo breve cenno di ognuno fra questi scritti , tenendo l'ordine che essi tengono nella stampa. L Intorno i vasi fìttili dipinti rinvenuti né* sepolcri dell' Etruria compresa nella dizione pontificia. Con programma del i5 di febbrajo i835 l'acca- demia propose ai cultori delle antichità a trattare il seguente argomento, col premio di una medaglia di oro di quaranta zecchini a chi lo avesse con miglior sapere dichiarato. ,, In quali tempi , per quali specia- 1, litk di uso , e da artefici di quale nazione sono Atti dell' acc. aucheolog. 313 „ stati operati i vasi fittili dipìnti rivenuti in tanta co- ,, pia a questi ultimi anni ne' sepolcri dell' Etruria „ compresa nella dizione pontificia ,, Nella tornata del 18 dicembre i835 fu assegnato il premio alla dis- sertazione portante l'epigrafe : Eo pervenit luxuria , ut etiam fictilia pluris constent quarti murrhina : Plin. H. N. XXXV. VI. Aperta la scheda fu conosciuto ap- partenere la produzione al eli. Secondiano Campana- ri ; il quale la recitò poi nell' adunanza del 2S di gen- naio i836; ed ora per prima si legge in questo volume. Porta essa in fronte il tipo della medaglia «li premio : la quale dall' una parte rappresenta uno antico rude- re , ed il motto In opricum proferet -. MDCCCXy \ e all'intorno A. F. MMDLXXXFVII sedente D. N. Gregorio XP^I : dall'altra è sciiito ael mezzo Colle' gium antiquitatib . e xplicandis pontificia auctoritate in urbe institulum , benementi ; e all' iulurno Secundiano Campanario praemia virtutis. Queste cose ci parve doveroso riferire innanzi di dare il sunto della dis- seitazione.i[La partisce l'A. oli. in diversi articoli : di- vide nel primo i fitili in due classi , toscana Tuna , l'altra greca : dice nel secondo come , e da chi , ed in quale epoca s'introdusse in Etruria la fabbricazione de' vasi greci : parla nel terze delle qualità ed epo- che diverse della greca pittura di essi fittili : nel quar- to cerca se fossero operati iu Grecia , o ne' luoghi in cui furono escavati : tratta nel quinto delle con- tromarche che in essi si veggono : ael sesto del quan- do ne cessasse la fabbrica .- e nel settimo dell' uso cui furono destinati. Seguiamo passo passo l'A. in questi suoi ragionamenti. Onde ridurre l'argomento assai vasto entro pii!i t\- stretti limiti , in due classi divide il N. A , come no- tammo , essi vasi. Dice di artifizio nazionale quelli che han le fogge dell' arte uguali ad altre opere per 314 Letteratura la tesliraonianza delle epigrafi indubbiamente toscane : di greco quelli , che per disegno , forma , ornali so- migliano i vasi che portano greca scrittura. Di due sor- te sono i primi : di terra nera o nerastra alcuni, in- certo se cotti al fuoco , o diseccati altrimenti ; e que- sti , più facili a rompersi , ad altr'uso della vita ci- vile non poteron servire, all' infuori delle pompe fu- nebri; altri di terra colta, e del colore naturale della croia. La prima specie più antica è propria tuscanica ; e merita maggior attenzione di quella che vi ahbian fino- ra fatta gli eruditi, sì per lo stile antichissimo delle figure , sì pe' miti e ceremonie che portano effigiate , sì per bellezza di lavoro e per forma. O sono lisci ; e lodevoli per il buon garbo : o sono ornati di bas- sorilievi a stani[>a ; e giunsero a tale eleganza , che sem- bra esservi stato talvolta adoperato lo stecco. I rilie- vi sono di ogni sorta di fiorami , animali , figure ; presentano un tutto insieme più semplice e più no- bile delle stoviglie dipinte; più di esse durevoli ; non mai pitturati ; scritti talvolta, ma in etrusco. Gli altri di color della creta sono più pesanti dei greci ; o non han vernice , o è men lucida di quelli : rappresentano figure e soggetti diversi in color bianco, o nero, o rosso ; mostrano bupii senso nella composizione dei qua- dri, ma sono molto lungi dall' eccellenza che scorgesi nei greci. E ne fan prova due vasi indubbiamente etru- schi per le elrusche scritture , che l'A. adduce in due tavole diligentemente incise. In arabidue rozza è la forma del vaso , la vernice , i colori , ruvide le figu- re , meschina la invenzione : eppure son questi dei più finiti che provenuti siano dagli scavi vulcenti. Per con- trario i vasi di greco artifizio , per finezza di creta , per lucentezza di vernice , per forme , per composizio- ne , per eleganza , vanno per tutti i gradi dell' arte dal Luono all' ottimo; comprendono nelle rappresentanze Atti dell' Acc. Aroiieolog 3i5 ogni sorta di argomenti, trovansi ornali di greclie epi- grafi , intelligibili alcune , altre benché di chiava le- »ioDe non per anco interpretate. Fatta questa distinzione , ricorda l'A. eh. che negli scavi di Vulcia i vasi nazionali sì neri e si dell'altra specie trovaronsi sempre o quasi in tutte le tombe , an- che in quelle ove si rinvennero vasi greci ; per con- trario moltissime tombe non avevano altri vasi che na- zionali. Da questa generalità , e dal sapersi che i va- si nazionali trovan'ìi pure nell'Elruria marittima , e nel- la mediterranea , e nell'Umbria , e nella Campania , e nel Lazio, ne couchiude che in ogni più antico tempo la nazione etrusca ne fabbricò , prima anche del nascer di Roma : e che proseguì a fabbricarne sino agli ul- timi suoi tempi ; come fan fede alcune tazze vulcenti, con epigrafi quasi affatto romane. Per contrario se i va- si greci in abbondanza trovansi a Vulci , ed alcuni a Tarquini ed a Cere, altri luoghi dell'Etruria ne difet- tarono , abbenchè fossero non meno grandi e possenti dei ricordati. M;i perchè gli etruschi nelle pitture dei vasi liraitaronsi al meschino artifizio di sopra accenna- lo , pure essi ne' lavori di metallo non furon secondi ai greci, e le pitture delle grotte larquiniesi dimostra- no che avrebbero saputo ugualmente bene adoperare il pennello. Crede il N. A. che ciò accadesse per la re- ligione de' riti mortuali ; ed appoggia tale opinione con qualche antica testimoinanza , e diversi sagaci argomen- ti ; pe' quali dee dirsi che non si portarono a perfezio- ne quelle fittili pitture , perchè così le voleva la reli- gione , e perchè que' vasi a que' riti erau necessarj. Passando al secondo paragrafo ricorda 1' A. N. con Cicerone ne' libri De repuhlica, che all'età di Romolo le arti e le discipline eran già inveterate in Italia , e che nel secondo secolo della città la Grecia col torrente delle sue arti inondò le nostre contrade : 316 L B T T K U A T U n A ricorda che Deraarato pria di venire a stabilirsi a Tar- quini , avea navigato iti Etruria e commerciato con ca- sa altre volte ; e come nello espatriare portò con se artefici : quindi da Demarato doversi ripetere il prin- cipio della fabbricazione de' vasi greci in Etruria» Que- sto greco artifizio si propagò poi a Cere , a Vulcìa, i cui territorj confinano col larquiniese ; poi si estese a Polimarzo , a Cossa , e altrove , non però in un subi- to , ma gradatamente ; e forse non bastò a ciò la età di un secolo. E siccome tali fittili sono per la greca pittura qual più rozzo , quale mediocre , quale perfet- to ; per conseguenza come tali progressi sono opera di tempi diversi , così di diversi artefici. Ma qual era la condizione di questi greci artefici in Etruria ? godeva- no del diritto di cittadinanza ? perchè mantennero sem- pre il greco linguaggio ? perchè ninna tomba si è fi- nora trovata che indubbiamente spetti a greca famiglia ? A tali diniande risponde il N. A, esser uoto per gli sto- rici quanto difficili fossero gli etruschi a concedere i diritti di cittadinanza .- que'greci aver però goduto quel- lo di ospitalità ; quindi aver usata quella lingua che alla loro condizione di ospiti si conveniva. D' altra parte conoscersi che anticamente i diversi artefici for- mavano collegi diversi ; aversene di quello de' figuli special ricordo : scenderne quindi , che se i greci non ebbero 1' etrusca cittadinanza , neppure poterono venir incorporati all' etrusco collegio de' figuli ; ma doversi congetturare , che uno per essi ne venisse formato , on- de tener le due scuole divise. Rapporto poi alle tom- be , non potersi cosi francamente asserire , ninna es- sersene trovata di greci : alcuni argomenti negativi che si adducono, esser da altri di ugual valore contraddetti; essere strano il supporre che ni un greco morisse in Etru- ria ; e se questa nazione accordata aveva loro T ospi- Atti dell' Acc. Archeolog 3 '7 tallta in vita , doversi ritenere non averla niegata iu morte. Per distinguere le qualità ed epoche diverse della greca pittura sui fittili , li divìde il N. A. in tre or- dini> Il primo di forma più grossa, creta mediocre, fondo l>ianco tendente al giallo , colore delle figure rossastro , rappresenta ordinariuuiente animali posti m più giri , ed ha talvolta altre tlj^ure. Lo stile annun- cia r arte poco avanzata : son le ligure tozze e cari- cate ; male aggruppata la composizione: se liaimo scrit- tura, è del greco il più arcaico : soraiglian la cassa di Cipselo descritta da Fausania , i vasi mortuali scoper- ti dal Dodvyell nel pomerio di Corinto. Questi sono i pili antichi , e ad essi può assegnarsi V epoca dal se- condo secolo dì Roma al principiare del quarto. Al secondo ordine assegna il tempo di un secolo , sino al principiare del quinto : sono di forme piij svelte , di pili belle proporzioni , la creta ben manipolata , lu- cida la vernice: ra()presentano favole, storie, costo- manie di ogni fatta : ordinariamente le figure sono di color nero in campo giallo , o gialle in fondo nero : le graffiture determinano i contorni del pennello , de- finiscono le diverse membra delle figure. E' questo l'or- dine il pili ricco sia per numero , sis^, per forma dei vasi : ve ne ha degli scritti; altri no. Il terzo e quel- lo , in cui materia , forma , disegno , composizione , tutto e squisito : gialli su fondo nero , con V aggiun- ta del bianco in qualche accessorio ; le lettere sono del pili bel carattere : debhonsi riportare ai migliori tempi della greca pi llura sotto Alessandro e suoi suc- cessori. Queste epoche diverse corrispondono al corso naturale dell' arte , alla storia che Plinio ci da de- gli avanzamenti della greca pittura. Ne' primi tempi prevalse fra noi la scuola corintia ; quindi a poco a poco r ateniese ; i vasi del prim' ordine precedono *^^^ LETTERATURA r età di Polignoto ; molti del secondo si avvicina- no a quella di Zeusi e di Parrasio; i terzi sono contemporanei ad A pelle , a Protogene. Tali fìttili fiuDiJo operati in Grecia , o dove si scavano ? Questa questione fu per molti trattata , e poclii furon quelli che non si decìsero per la impor- tazione dalla Grecia. Fra que' pochi è il N. A ; e sag- giamente riflette , che se importati fossero d' al- tronde , si sarebbero per il commercio sparsi anche in altre assai citta , nelle quali erano in pregio le belle arti. Poi in Vulcia , in Tarquini , per quello che si è detto , non mancavano artefici a formarli : mancava forse la creta , V acqua , il fuoco ? La cre- ta a Vulci specialmente è abbondante , e di tale qua- lità , che può ridursi all' ultimo raffinamento. In jpro- va adduce l'analisi di essa, sia cotta , sia cruda ; per cui si dimostra che l' argilla, d' oggidì non è diversa da quella dei vasi ivi escavati. Anche piili : furon rinvenute a Vulcia antiche fornaci di vasi , ed in esse figurine di cotto , ed altri rollami : par quindi una stranezza niegare alle nostre città tali officine. Anche è una osservazione di qualche momento quella dei contrassegni, che quasi sempre in etrusche cifre o ca- ratteri trovansi grafiti sotto al piede de' vasi vulcen- ti : contrassegni indicanti il nome del possessore , o come altri vogliono il valore del vaso, l'essendo greca la fattura del vaso, e greci i caratteri , perchè so- no etrusche tali contromarche ? perchè queste son gra- fite col ferro dopo rollo e finito il vaso .-^ Ciò denoia sempre piiì , che non eran toscani gli artefici de' vasi dipinti alla greca. Quanto sia durata in Vulci ed altre citta la fab- bricazione di essi , non essendovenc testimonianza di scrittori contemporanei , convion argomentarlo dalla storia generale d' Italia. Forse qualche nocumento re- Atti dkll' acc. archeolog. 310 co a tali officine la vittoria di T. Coruncatiio sui vul- centi nel 473 ; perduta la indipendenza , più difficil- mente , almeno , le arti progredirono al loro perfezio- namento. Grandemente percosse poi quell' opificio il decreto del SoLl proibitivo de' baccanali ; innumerevo- le essendo la quantità dei vnsi dionisiaci. In fine la guerra sociale e la sillana dieron 1' ultimo crollo a queir arte. Tali vasi furono a'doperati per molti usi , come ftssi stessi dimostrano : pei sacrificj verso ^!i dei : per premio dei vincitori negli atletici corabattimenli ed in altre feste : per donativo di amore, di amicizia, di sposalizio, di ospitalità: per conviti, per lavande, per profumi , per attinger acqua , per conservare il vino , ed anche per suppellettili puerili. E qui , terminato compiutamente 1* assunto , ag- giunge il N. A. poche parole intorno la scoperta di Vulcia , che dcvesi a Vincenzo Campanari. Quella cit- ta esisteva in quel luogo stesso in cui furono ulfi- nianunte operali gli scavi ( checche altri ne abbian det- to ) , come si prova per molti argomenti: ai quali' fa sugello una iscrizione ivi trovata son due anni , spettante al 300 dell* E. V. , e ricordante l' ORDO ET POPVLVS VVLCENTIVM. II. Sulla musa Melpomene. Il eh. professore Salvatore Belli , uno de' cen- sori accademici , in questa dissertazione, letta nella t«raala del di 12 di febbrajo 1835 , imprese a pro- vare che il pugnalai o parazonio non fu mai attri- buito a Melpomene nel buon tempo dell' arte ; quan- do cioè la filosofia reggeva la mano , e guidava la mente degli artefici. Molti argomenti ne adduce iti appoggio i altri desunti dai fatti, altri dalla ragione. 320 Letteratura E già la origine della tragedia fu dal cantare le Iodi degli dei , e le imprese degli eroi , non dal porre in azione gli assassinii , le morti : e quando dal carro di Tespi passò per Eschilo alla conveniente dignità , sempre si guardò dall' insanguinare la scena ; ed inva- no si cercherebbe nei tre sommi tragici greci la uc- cisione di un personaggio sotto gli occhi degli spetta- tori ; scenderne quindi non esser dicevole il parazo- nio a quella musa che alle tragiche azioni presìede. Poi le sorelle eliconie futon sempre riguardate come simbolo di pace , schive di ogni opera di sangue e di armi : e non solo esse, ma qualunque nume quan- do è in loro compagnia è sempre disarmato» Quin- di Nuraa Pompilio , volendo ingentilir lo spirito guer- riero de' romani , consacrò un lueo alle camene : e quando tutte le divinità combatterono in Flegra per Giove , quando sin la molle Ciprigna si armò , sole le muse attesero sull'Elicona 1' esito del conflitto. Pia- cendosi esse dunque delle sole battaglie del canto , del suono, del ballo, mal conviene che ad una si dia un bellico attributo. A questi argomenti si aggiungo- no le autorità degli scrittori , quelle dei monumenti. Fra i primi , Eliano in pii!i luoghi ebbe scritto , niun artista aver giammai sculte o dipinte armale le muse : ne questo avrebbe asserito se ci fossero stali marmi o pitture che quella asserzione provassero non vera. Ed in fatti molti sono i niouumeuti dell* antichità a noi pervenuti ( e ne tesse l' A. eh. un lungo catalogo ) ne' quali vedesi effigiata Melpomene ; non mai però col pugnale o parazoulo ; ove se ne eccettui una slalua pria del Volpato , ora in Isvezia , operata però in tempi , nei quali r arte volgeva al basso ; e un denaro di Q- Pom- ponio Musa , non sempre da tutti pubblicato ugualmen- te. Ma chi vorrebbe sopra queste due uniche autorità dare il pugnale a Melpotueac , ed opporsi a tanti al* Atti dell' A ce. Arcueolog 321 tri assai più nobili raonumeuti di ogni fatta che gliel niegano ? D' altronde se fra gli scrittoli , Eliano eb- be asserito apertamente non esser mai state effigiate armate le muse ; altri assai scrivendo di esse , e ta- cendo di armi , confermano la sentenza di quello. Che se ciò non ostante il sommo Ennio Quirino Viscoa- ti , consigliando il ristauro della Melpomene vaticana, volle se le ponesse nella sinistra mano il pugnale ; certo non ricordò egli quanto Eliano avea scritto , e forse fu ingannato dalla estremità di uno scettro , o di una verga , da lui reputala estremità dell' impugnatu- ra del parazonior E se la terra ci rimandasse sopra un qualche monumento , in cui Melpomene facesse mostra di quell' attributo , piuttosto che crederlo ri- feribile al culto generale di essa , converrebbe opi- nare , che ciò fosse in forza di un culto speciale di qualche citta. Così fuvvi in Cipro una Venere bar- bata : ne ciò basterebbe per difendere chi pretendes- se , doversi tutte le Veneri ritrarre con la barba. Stiasi dunque Melpomene contenta ai ragionevoli attribuii della maschera tragica , e della clava, o dello scettro , e schivino gli artisti di darle il parazonio. Fin qui il N. A. , il quale avendo avuta occa- sione di ricordare le tespiadi menzionate da Plinio , dubitò col Visconti , non esser desse le muse , ma SI le figliuole di Tespi , con cui si giacque Ercole , secondo narra la favola.- nel che noi ben volentieri scen- diamo. Rapporto però al precipuo scopo di questa dis- sertazione , vogliamo permetterci un qualche dubbio ; dando cosi una prova , che gli stessi compilatori di un medesimo giornale possono disconvenire fra loro sen- za nuocere in alcun che a' mutui vincoli di amicizia, ai civili doveri di coveuienza, ^on ristaremo dunque dal dire , che forse il solo pugnale e parazonio non par sufficiente per chiamare G.A.T.LXIX. 2i 322 Letteratura armata una figura che lo porta. Certo non diremmo armale le statue di Caligola e di Macrino del vatica- no ; non quelle gabine di Claudio e di Germanico ; non quella di Agrippa dei signori Grimani a Venezia : ma £Ì le diremmo statue seminude all'eroica, con parazo- nio. Sappiamo che Marziale disse tale arma Militiae de- cus ; ma ci sembra che nelle ricordate statue sia se- gno di comando ; e se in esse statue eroiche di co- mando , può in Melpomene esser attributo di quella diva che presiede al canto delle azioni eroiche. Dun- que , se pur non e' inganniamo, può restar illesa 1* as- serzione di Eliano , e può attribuirsi a Melpomene il parazonio. Poi , forse non sono due soltanto i monu- menti dell' arte antica che diano ad essa quell' attri- buto. Scriveva il Visconti , esser cosi rappresentata iu altre immagini ; ne ricordava l' orma in una farnesia- na : noi la vedemmo con quell' attributo in una sar- donica ( Winck. raon. ant. ined. n, 45 ) , ed in una corniola ( Dolce 4, 42 ). E per ultimo , le muse che veggonsi nel rovescio delle medaglie di Q. Pomponio, per giudiziose osservazioni dell' Eckhel, si ritengono copiate dalle statue di quelle dive che Fulvio Nobilio- re trasportò in Roma da Ambracia quando trionfò de- gli etoli nel 568. JVe scende quindi che la greca sta- tua di Melpomene doveva , come nella medaglia , aver il capo coperto dalla pelle di leone, cinger al fianco il parazonio , appoggiasi con la destra alla clava , te- ner con la sinistra la maschera tragica e ed aggiungia- mo che quel denaro di Q. Pomponio Musa , per es- sersi trovato nel ripostiglio di Cadriano , dee precede- re 1* ultimo sovvertimento della repubblica sotto Cesa- re. Ci perdonerà , lo speriamo, il eh. Betti queste os- servazioni ; e lo preghiamo a volerne egli stesso giu- dicare. Atti dell'acc. archeolog. 323 III. Sult ultima parie della serie dei censori romani. Questa dissertazione, letta dal socio corrispondente Bartolomeo Borghesi nelle adunanze del dì 1 2 di mar- zo , e 9 di aprile 1825, hen corrisponde all' alla fa- ma di cui egli meritamente gode. Il rescritto codice vaticano, che tanto accrescimento portò alla prima sco- perta del Frontone , fece ricordo di un censore non prima conosciuto. Per collocarlo alla sua sede , dove- va necessariamente 1' A. eh. toccare le questioni che la fanno tanta intralciata dopo Siila, Divise quindi la dissertazione in due parti ; dicendo nella prima in quali anni , e con quali personaggi si provvide alla rinno- vazione della censura dopo il dillatorato di Siila ; in- dagando nell'altra il numero e la progressione dei lu- stri , anch' essa sorgente di dissidii fra i cronografi. Premessa la notizia della prima origine del cen- simento per legge di Servio Tulio, rinnovata dai con- soli, e nel 31 1 della citta affidata ad una speciale ma- gistratura che dal censo venne detta dei censori ; ri- cordato a qual grado di onorificenza salisse in appres- so , e quanto durasse , e come non si potesse eserci- tare da un solo individuo , ne due volte ; e fatta men- zione di altre leggi generali che ad essa riferivansi : nota poi come gli ultimi censori mentovati nelle ta- vole capitoline siano L. Marcio Filippo , e M. Perper- iia dell' an. varroniano 668. Le tavole stesse fan fede che sino al 679 non ne furon creati altri ; anzi alcu- ne testimonianze di Tullio e di Asconio Pediano prò* vano cho non furonvi censori sino al 6S4. Questa in- terruzione della censura per 15 anni deesi ripetere da una fra le tante leggi promulgate da Siila nella sua dittatura del 673 : e di essa si ha un cenno nell' ano- nimo scoliaste di Tullio nella divinazione contro Q. 21 '^ 324 Letteratura Ceeilio. Nel tempo slesso Siila abolì pure V autorità dei tribuni ; e come ad essi Gneo Pompeo la resti- tuì nel primo suo consolato d«l GS4 ; così risuscitò pu- re la censura ; e per molte testimonianze si prova che furono eletti L. Gellio Pojjlicola e Cn. Cornelio Lentulo Clodiano. Dopo questi furon censori nel 6^1)^ per fede di Dione e di Plutarco , Q. Lulazio Catulo e M. Licinio Geta ; ma deposero la magistratura per con- troversie nate fra loro. Da questa rinunzia in poi , tut- to è dubbioso nella serie sino al 704. Discordano i collettori de' fasti nella quantità e numero de' lustri celebrati in que'l/jauui; discordano nelle persone clie occuparono la censura ; e se i più opinano che fosse rinnovata tre volte , altri sono di diverso parere. Che nel 690 vi fossero i censori , i quali però nulla operarono , lo dicono Dione e Plutarco : du- rante il consolato di Tullio ed il seguente, non se ne ha indizio alcuno : Cicerone e Dione testimonia- ao che nel 693 e nel principiare del 694 vi eran censori : testimoniano i frammenti delle tavole ca- pitoline che non vi furono nel triennio susseguente; e testimonia Tullio che i comizi censorii dovevau farsi nel 6gS , ma ebbero luogo solo nelT anno seguen- te. Per tali ragioni i faslografi stanziarono che dopo Catulo e Crasso vi furono tre coppie di censori ; una nel 69O , 1' altra nel G93 , la terza nel GgO. Tenne diversa opinione il Dodwell , credendo che le due prime coppie dovessero stringersi in una. Egli 8Ì fondava sul secondo frammento degli atti diurni , ne' quali ricordansi censori nel G92 : ma chi non ri- tiene in oggi quegli atti per apocrifi ? Anche non reg- ge l'altro parere di quel dotto, recato a convalida- re quella sua opinione ; cioè che la censura, dopo la resistenza opposta da Appio , tornasse ad essere quin- quennale : e non regge , sì perchè niuu indizio ci Atti dkll' Acc Arciheolog 323 è che fosse abrogata la legge Emilia che la restrinse a diciotto mesi ; si perchè moltissimi fatti provano che anche dopo Appio Claudio non durò piti dei i8 mesi ; s\ infine perchè è certo che nel Qjl non eran- vì censori. E' certo , perchè Dione , ben inteso che sia , dice che i censori del 6c)0 rinunziarono : è certo perchè nel 692 recitò Cicerone l' arringa in favore di Arclùa innanzi Quinto suo fratello che era pre- tore. Ora, trattandosi in quella causa di censo, se vi fossero stati censori , da essi e non dal pretore sarebbe stata giudicata. Se per tali argomenti è co- sa indubitata che vi furou censori nel 69O , nel 603, « nel 699 , non lo è ugualmente il determinare chi essi fossero. Due opinioni piìi delle altre vennero in voga : vogliono i seguaci della prima che nel 69O fossero censori L. Aurelio Cotta e P. Servilio Isau- rico ; lasciano incerti quelli del 6 j3 ; allogano nel 699 M. Valerio Messalla Nigro , ed un incognito. Voglio- no i secondi nel 69O Gotta insieme a Metello Pio , e per la morte di costui reputano sciolto il colle- gio ; nel 6r)3 1' Isaurico e Mamerco Emilio Lepido; nel 69() Messalla Nigro e N. Calpurnio Bibulo. Fra questi sei , solo L. Aurelio Cotta per fede di Tullio tiene sicuro il posto. Se non poteva re- carsi in dubbio la censura dell' Isaurico e di Messalla Nigro , incerto ne era T anno , incerti i colleghi. In grazia di alcune iscrizioni si può ora assicurare , che essi esercitarono la magistratura insieme : e che la esercitarono nel 699 , si prova si perchè nel G9O uno dei posti era occupato da Cotta , si perchè nel 693 Messalla era console. Bibulo poi viene escluso , perchè non potendo essere stato censore nel 6)9 , non po- teva esserlo stalo nei due collegi precedenti , aven- do retti i fasci consolari solo nel 695. Dei tre po- sti che restavan vuoti il Panvinio ne assegnò uno a Me- 32G Lkttkuatura tello Pio, uno a Mamerco Lepido, solo perchè fu - ron principi del senato ; e secondo lui non fuvvi prin- cipe del senato che non avesse occupata o non oc- cupasse la censura. Ma per il Pio si risponde, che non fu principe del senato. Valerio Massimo lo dis- se princeps civitatis , e questo non è che un elo- gio privato , mentre il princeps senatus era un ef- fettivo titolo di onore. Anche piià : Metello tornò dal- la Spagna nel dicembre del G83 , e secondo attesta Plutarco , si ritrasse a vita totalmente privata : Io che il biografo non avrebbe asserito , se al termi- nare di essa nel 69O avesse ottenuta la censura. L'ad- iro , cioè Mamerco , veramente vien detto da Vale- rio Massimo principe del senato : ma se fino al 545 fu costumanza di conferire quell' onore al piiì anzia- no dei censori vìventi , in quell' anno si mutò in parte la costumanza , e si mutò del tutto quando fu eletto principe del senato P. Cornelio Lentulo con- sole suffetto nel 592 , che certo non fu censore , quan- do nel 684 fu eletto Q. Gatulo , che fu censore so- lo nel 689. Ma fu veramente Mamerco principe del senato ? Nel 668 il principato spettò a L. Valerio Fiacco : ad esso subentrò nel 684 Q- Catulo : que- sti sopravvisse di alcuni mesi alla elezione del se- noto fatta dai censori del Gf)3 : quindi è da rite- nere che fosse conservato nel posto , essendo questo invariabile costume. Resterebbe solo, che Mamerco potes- se divenirlo nel 699 ; ma per molli raffronti che fa il N. A. convien dire che egli in quell' anno piiì non viveva. Purgata la serie da questi tre intrusi , passa il signor Borghesi a profittare del nuovo brano di Fron- tone per supplirla in parte. Scrive il giovine M. Au- relio al suo maestro: Nonicn tribuni plehis^ cui ini' posuit notimi jétitius censor , quem scripsi , mitte Atti dell' Acc. Archeolog 32T mihi ; gli risponde Frontone: M. Liicilius tribunus 1)1 e bis civem romanurn cum collegae mittijuberent , adversus eorum sente ntiam , ipsus vi in carcerem compegit : ob eam rem a censoribus notatur. Facil- mente si vede che era questo il tema di una eser- citazione rettorica : ed un tal fatto, per le notizie che si hanno della gente Acilia , può dimostrarsi che ap- partenne ai tempi dei quali ragioniamo. Imperocché essa non fu delle più antiche di Roma. E' favola quan- to narra Erodiano facendola derivare da Enea ; e se Glandorpio ricorda con Livio una legge Acilia an- teriore ai decemviri , si deve nel padovano leggere Icilia. Il primo che di essa casa si conosca è Ma- nio Aeilio Glabrione trionfatore di Antioco , che Li- vio dice homo novus. Egli fu console nel 5G3 ; due anni dopo dimandò la censura, ma ne ebbe ripulsa: dal che si arguisce che il testo di Frontone noa può riferirsi a lui , ne ad un suo antenato , ma sì ad un discendente. La serie censoria anche prima del 565 sino alla dittatura di Siila non offre alcu- na lacuna : dunque dopo Siila è il nuovo censore ricordato nei libri di Frontone. Ed è egli Manio Aei- lio Glabrione figliuolo del tribuno autore della leg- ge de repetundis , e di Muzia nata da Q. Scevoia augure , nipote del console del 600 , pronipote del- l' autore della famiglia console nel 503. Prese egli ia moglie Emilia figlia di Scauro e di Metella nata da Q. Delraatico ; Siila lui la tolse, benché gravida, per unirla a Pompeo : per essa Glabrione era anterior- mente divenuto padre di quell* Aeilio che fu difeso da Cicerone , e che essendo di parte Giulia , nel 70S reggeva la Sicilia. Il nostro Glabrione era stato pre- tore nel 684 , console nel 687 ; nel 691 assistette in senato al giudizio contro i complici di Catilina ; fu pontefice , e fra quelli che nel 697 seateuziarouo si re- 328 Letteratura stitusse a Cicerone la casa ; e fu oratore. Ma* perchè nominato nel Briitus , perciò appunto si dee ritener raor- to quando quel libro fu scritto nel 707 : e forse non era più in vita sin da 700 , non essendo ricordato fra i consolari clie raccomandarono Scauro di lui cogna- to. Convengono anche a questi tempi le notizie dì M. Lucilio tribuno della plebe, che secondo Frontone fu nato dal censore Acilio. Solo al principiare del setti- mo secolo apparisce quella gente nel satirico C. Luci- lio , il quale ebbe poi parentela co' progenitori del magno Pompeo. Poco prima del 672 si ha un M. Lu- cilio Rufo triunviro monetale : e questi , ammesso il solito intervallo fra il triunvirato alla zecca , ed il tri- Lunato della plebe , ben poto coprire tal carica verso il 69O. Non è difficile il fissare a quale dei due collegi vacanti spetti il nuovo censore , perchè avendo egli con la nota censoria tolta la dignità di senatore a M. Lucilio , e sapendosi da Dione che i censori del 693 non la tolsero ad alcuno , conviene di necessita col- locarlo nel 6;y0 , e darlo per collega a L. Aurelio Cotta. Dei censori del 693 s' ignora il nome : solo si sa che non tolsero alcuno dal senato , anzi molti ve ne aggiunsero , anche oltrepassando il numero stabi- lito. Da ciò appunto con sagacilà il N. A. rileva , che doveron essere o amici di Glodio , o almeno non partitanti di Cicerone : perchè altrimenti , se fossero stati del partilo degli ottimati , largo campo avrebbero avuto a far giustizia , comecché eletti soli due anni dopo la congiura catilinaria , ed appena che Clodio con manifesta corruzione de' giudici fu assoluto. Do- vevan essere consolari ; e tanti ne vivevano allora , che per la loro abbondanza appunto si rende assai dif- ficile esternare un qualunque giudizio. Ben venlisei ne ricorda il JV. A. come viventi ; ma da questo numero devoQsi togliere L. Luculio, Pompeo, Ortensio, C. An- Atti dell' Acc. Archeulog. 329 tonlo , Cicerone , la vita dei quali è troppo nota , e »i sa che non furon censori : si devono togliere M. Perperna , Q. Gatulo , M, Crasso , L. Gellio , Manie Glabrìone , L, Cotta , e P. Isaurico , perchè si cono- sce r anno della loro censura : si deve escludere Q. Marcio Re , perchè mori nel G93 ; M. LucuUo e C. Pisone , perchè dichiarati inimici di Clodio ; L. Tor- quato e L, Murena perchè intrinseci amici di Cice- rone ; G. Cassio Varo e D. Bruto , perchè eransi ri- tirati dagli affari pubblici. Ciò non ostante restano C. Curione , Q. Cretico , Manio Lepido , L, Vulcazio , L. Cesare , C. Figulo , e D. Silano , tutti viventi do- po il G93 , contro nluno dei quali si hanno argomenti per nicgare la censura in quelT anno. Anzi sembra al N. A. esservi ragioni per credere che C, Scribonio Cu- rione fosse realmente censore. Egli tentò difender Clo- dio nel giudizio della violazione de' misteri della bea Buona; quindi nulla più facile , che Clodio per lui si adoperasse ne' comizi censorii. Tullio inoltre lo pa- ragona a L. Filippo , scrivendo che V uno e 1' altro gloriavansi di aver ottenuti tutti i più ampli onori che davansi dal popolo : fra questi era la censura ; e L. Filippo fu censore nel 668 ; onde pare che non do- vesse mancare a Curione quell'onore, per poterlo a Filippo assomigliare; Anche da Valerio Massimo si sa che egli in un tempo regolò i costumi pubblici ; e per fine, quando mori sul principiare del 70i, fu ono- rato del funere censorio. Per tali ragioni opina il sig. Borghesi che un posto fra i due censori del 693 pos- sa riempirsi col nome di C. Scribonio Curione. Proseguendo poi nella revisione della serie, nulla gli occore rimarcare di auovo intorno Messala e Servi- lio che ottennero quella magistratura nel 0)9 ; se fe- cero il censimento , non fecero il lustro, come si rile- va da Cicerone. Pel quinquennio seguente non v' è 330 Lktteratur a discordia ; tutti convengono che furon censori L. Cal- purnio Pisone Cesoniuo suocero di Cesare , ed Appio Claudio Fulcro padre della moglie del primogenito di Pompeo. Entrarono in carica al princiar di aprile del 704 : Appio si mostrò molto austero ; ma non fece il censo che alcuni moderni fastografi gli hanno attri- buito ; e non ebbe il tempo di farlo : perchè nel di- cembre duravano ancora i contrasti per la scelta del senato ; e il 20 di gennajo del 705 Appio era già in fuga da Roma insieme con Pompeo. Nel 708 il senato die a Cesare la potestà censoria per tre anni, col nuo- vo titolo di praefectus moribus ; e glie la confermò a vita nel 710, Fece egli il censimento , non dei cit- tadini romani , sì di cojuro che ricevevano il frumen- to dal pubblico. Nel 712 furon creali censori L. An- tonio e P. Sulpicio per attestato del marmo colociano. Alcuni collettori de' fasti dierono a questo secondo il cognome Quirino; gli attribuirono un consolato di sur- rogazione nel 7I8; lo crederono non diverso dal Qui- rino console ordinario nel 742. Tutto ciò è un cu- mulo di errori , come si prova per molti argomen- ti. Gonvien dunque cercare altro ramo dei Sulpicii per attribuirgli la censura del 712. Quello dei Gal- ba , il più illustre , due personaj^gi ricorda verso que- sti tempi , che potrebbero pretendere a quella magi-* stratura : P, Galba pretore nel 687 , competitore di Cicerone nel consolato; ma egli, per attestato di Plu- tarco e di Dione, fu ucciso nel 707. L'altro è P. Sulpicio Galba preside in Asia verso il 708 , e bisnon- no dell* imperatore; ma egli si uni ai congiurati con- tro Cesare , e fu con essi condannato; quindi per la legge Irzia non potev?a cuoprire magistratura alcuna. Similmente la famiglia patrizia dei Sulpicii Rufi non può darci il censore che si ricerca , perchè il console del 7o3 si disse Servio , non Publio , e mori nel Atti dei,l' A ce. Arciieolog 331 711 ; ed il figlluol suo , oltreché sarebbe slato troppo |»iovine , si prenominò Lucio. Resta la linea plebea dei Sulpicii Rofi. P. Sulpicio Rufo, legato di Cesare nelle Gallie , fu pretore nel 706 , quindi duce di una parte della flotta cesariana , e nel 709 proconsole iu Macedonia. Questi aveva meriti proprii e paterni pres- so la fazione di Cesare ; ed è egli il censore che si cer- ca , e col titolo d'imperatore è ricordato in una ghian- da di piombo del museo perugino. Questi censori del 7i2 procederon al censimento non dei cittadini , ma delle loro sostanze, onde gravarle di tributi ; e la cen- sura loro si sciolse per la rinunzia che far ne dovè L. Antonio onde assumere i fasci consolari nel 713. Dal 712 non si ebbe piiì censo sino al 72), in cui Ottaviano , per testimonianza delle tavole di Ancira , lo compiè insieme ad Agrippa. Rifintato poi pertinace- mente il titolo di censore perpetuo , ristabilì Augusto la censura , nominando nel 732 Paullo Emilio Lepi- do e L. Munazio Fianco . Intorno questo secondo noa v'è dubbio che fosse quel desso che tenne i fasci nel 7i2: rapporto al primo, lo crederono alcuni il console del 7o4, altri quello del 720. Attribuendo ad ognun d'es- si i fatti che secondo la storia loro appartengono, pro- va indubbiamente il sig. Borghesi, che quello il quale resse i fasci ipatici nel 720 fu il censore del 732. Que- sti non fecero certo il censo ; e son gli ultimi privati che insieme conseguissmo la censura : le cui incom- benze ricaddero poi agli imperatoli. Il perchè con es- si termina il JMT. A. la prima patte di questo suo dot- to lavoro * Il secondo assunto del quale sta nel mostrare il numero e la progressione dei lustri celebrali dai cen- sori, dei quali nella prima parte si è ragionalo. Parten- -do dalla testimonianza delle tavole capitoline , l'ulti- mo lustro in esse notato è il LXllI , operato da Fa- 332 Lktteratura Lio Allobrogico e da Licinio Geta nel 645, Censori- no asserisce che i lustri , compreso l'ultimo di Ves- spasiano nel 827, furono settantacinque; dunque dal 6^9 airS27 non se ne devono allogare che soli dodici. E* generale consen.=o fissare il LXIV nel 052 , fatto dal Numidico e dal Caprario ; ed il LXV" da M. Antonio e L. Fiacco nel G57. Per i rimanenti dieci variaro- no gli eruditi nel fissare gli anni ; e quasi tutti ne at- tribuirono sei ai tempi repubblicani, quattro a quelli del- l'impero. 11 N. A. onde stabilire il vero, imprende a de- terminare gli anni ne' quali costa che fu realmente com- piuto il censimento ; e tiene in ciò l'ordine retrogrado, idcominciando da questo di Vespasiano uell'anno 827 , di cui restano monumenti di ogni fatta. Apparisce da Pli- nio che il censimento, che immediatamente lo precedet- te, fu quello di Claudio ; ed attesta Tacito che questi nell'a. Sol celebrò il lustro. Per testimonianza di Sve- tonio si sa aver Claudio richiamata in vigore la censu- ra intermessa dopo quella di Lepido e Planco nel 732: dunque da quest'anno al 801 non vi furon censori ; e già si disse che quelli del 732 non fecero il censo. Tre volte però lo fece , e tre volte lus'rò la città Augusto; e lo testifica egli stesso nel monumento ancirano; nel 767 cioè insieme a Tiberio ; solo , e con imperio consola- re nel 746 : insieme ad Agrìppa nel 726. In questo di- ce egli medesimo , che il lustro non era stato fatto se non che 42 anni indietro ; e ciò ci conduce al 684 quan- do l'operarono Gellio e Lentulo. Questo dunque è l'ul- timo lustro repubblicano ; e ne' tempi imperiali se ne hanno ad annoverare cinque , ne più ne meno. Il lustro antecedente al 634 fu , come si disse sin dal principio di questo sunto, quello del 668 : e con esso siamo giunti a riattaccarci alle tavole capitoline. Es- se fia il 657 in cui dicemmo aver avuto Ipogo il lustro LXV , e il 068 intrappongono due collegi censorii : Atti dell'ago, archeolog. 33v'ì quindi ne scende che abbenchè in arabidue si fosse fat- to il lustro , la testimonianza di Censorino cadrebbe : perchè unendo ai sessantacinque i cinque dei tempi im- periali, e quattro al più dei tempi repubblicani, potrebbe il numero totale ascendere a 74 , non mai a 75. Ma v'è di più : que' due collegi censorii fral 657 e il 668 non compierono per certo il lustro , checche ne dicano i moderni fastografi. Cu. Domizio Enobarbo e L. Licinio Crasso furon censori nel 662: sorti fra loro contra- sti clamorosi , v'è ragion di credere che non durasse- ro nella magistratura gli interi 18 mesi ; perchè se Crasso , che mori ai i?0 settembre del 663 , per atte- stato di Cicerone contava quello per il primo anno in cui vacasse dai pubblici uffici , come poteva dir ciò r arpinate , se l'anno stesso fosse stato censore ? Infi- ne , se que' censori avessero compito il censo , non sarebbero stati nominati i loro successori due anni prima che il quinquennio spirasse. P. Licinio Cras- so poi e L. Cesare censori nel 605 , neppur es- si operarono il lustro per chiarissima testimonianza di Cicerone ; ed il passo di Festo , che se ne ad- duce in prova contraria , deesi intendere di censo incominciato senza prendere gli auspicii dagli augu- ri , e quindi non felice ed abbando nato. Dunque ai 65 lustri ricordati sino al G57 non possono aggiungerse- ne più di sette , ed il numero intero sarà di 72 , non di 75 come scrisse Censorino. Di questo suo errore però facilmente la colpa deesi rigettare sugli amanue- si : essendo facilissimo che nel codice le due unita, del numero LXXII non fossero perfettamente paralelle e potessero prendersi per una V. Esaurito cos\ pienamente e dottamente l'assunto , aggiunge il sig. Borghesi una tavola, nella quale sono notati i lustri e censori coi cor- rispondenti consolati secondo il computo capitolino dal- l' a. 661 della citta all'a. 826. 334 Letteratura Noi però non termineremo questo sunto , senza di- re di una lunga nota relativa ai consoli suffelti dell' A. Ti8. Quirino e Fianco , che altri avean voluto no- tarvi , per giuste ragioni ne erano stati esclusi: ma quell* anno richiedeva i suffelti ; argomento d'induzione se ne cavava da Dione ; prova sicura dal frammento de* fasti illustrato dal marchese Biondi ; certezza dalle tavole capitoline. Queste vogliono l'abdicazione di Gel- iio ; quello non altro conservò , che la prima lettera del nome di un suffetto, cioè una N. Crede il sig. Bor- ghesi che sia costui M. Nonio Gallo, di cui si ha ricordo in Dione come preside della Gallia celtica poco dopo il 718. Se il suo antecessore nella provincia fu con- solare, cioè C. Carrinate ; se fu consolare il succes- sore Messalla Corvino , si ha ragion per credere che a Nonio non mancasse quell' onore. Nella iscrizione che egli pose al padre (Mur. 725, 2) si dice setfenviro epu- lone ed imperatore , ma non console ; è vero : ma in que' tempi non si era ancora generalizzata la vana glo- ria di seguitarsi a chiamar console dopo di essere sca- duto dalla carica. D'altronde appunto di que' tempi il titolo d'imperatore non poteva concedersi se non ai con- .solari. Ma se egli fu figlio e nipote di due Cai , come dice il citato marmo muratoriano , non può esser egli il nipote di un Lucio , che i marmi capitolini danno per successore a Gellio nel 718 : dunque in quest* anno furono due i suffelti , e Nonio successe a Nerva. Per conoscere chi fosse l'altro suffetto, non converrà osar molta fatica , essendo in pronto L. Autronio Pe- to , cui finora gli eruditi cercarono invano una nic- chia ne' fasti. Egli nelle tavole trionfali vien ricordato come proconsole e trionfatore dell' Affrica nel 725 : e se noi stessi , con altri , lo confondemmo con P. Au- tronio , cui Augusto cedette i fasci nel 721 , giudi- cando errati I fasti dell' Appiano , ora conveniamo ael Atti dbll' Acc. Archeulog. n.^S crederlo di lui fratello , e fìf^lì ambidue di Autronio disegnato console nel 689. A Lucio Autronio dunque si darà nel 7i8 il posto in surrogazione di Gellio , veri- ficandosi in lui l'esser nipote di un Lucio , come vogliono i fasti capitolini. Chiunque ama questi utili studi , legga la dis- sertazione di cui terminiamo il sunto , e vi troverà per istruirsi assai più cose di quelle, che noi potemmo nella strettezza di questi fogli accennare. IV. Intorno gli antichi monumenti sepolcrali scoperti nel ducato di Ceri. Il segretario perpetuo dell' accademia cav. Pie- tro Ercole Visconti lesse questa dissertazione nelle adu- nanze del d\ 9 di aprile, e 4 di giugno i835. Era sta- ta già pubblicata con isplendida edizione per genero- sita del duca D. Alessandro Torlonia , il quale aveva ordinate le escavazioni ne' fondi di sua proprietà , ne aveva affidata la direzione al N. A., e cortesemente per- mise poi che si potessero \n questo volume replicare le tredici grandi tavole in rame , intorno alle quali si ag- gira precipuamente la dichiarazione. Il sig. Visconti dopo aver raccolto dagli antichi scrittori quel poco che si conosce intorno la città di Cere ; e dopo aver no- tato quanto la testimonianza dei monumenti supplisca al mancare delle storiche narrazioni , ne adduce in ispe- cial prova gli egiziani e gli etrusci : popoli man- canti di proprie storie, e benché giunti ambidue ad altissimo grado di possanza , benché divenuti maestri di religioni, di politica, di arti, pure di essi assai poco sapremmo , se le necropoli di Egitto e di Etru- ria da poco tempo scoperte , co' loro monumenti che per tanto correr di secoli tennero in loro chiusi ed il- lesi , non ci avessero fatta indubitata fede della loro 333 Letteratura civiltà, del loro ingegno , delle loro arti. Ma se, pro- siegue l'A. eh., i frutti derivanti dalie egiziane scoper- te son già venuti a buona maturità per le fatiche delio CharapoUioa e del Rosellini , non può ancora affer- marsi lo stesso per le scoperte etrusche. Molto si è scritto intorno ad esse , assai dotti vi si travagliarono , e vi si travagliano tuttora : ma taluni son sistematici , altri cercano una via dì mezzo , senza riflettere che non può esservene una tra il falso ed il vero. Quindi con- viene agli studiosi seguitare a far raccolta di fatti , i quali serviranno di materiale per innalzar poi redificio a suo tempo. E tra i fatti avranno un luogo distin- to i due monumenti tornati a luce nel tenimento di Ce- ri , facendo essi fede , per l'architettura in ispecle , di molta grandezza , e di un loro carattere particola- re , nel quale neppur raenoraaraenle influì la greca ci- viha di oltremare. Furono scoperti in un luogo detto Monte Abatone : ricordando il senso che Vitruvio , Pli- nio , e Lucano dierono alla voce abaton , cioè luo- go da conservare inviolalo , è manifesto che per tra- dizione si conservò di poco alterata quella denomi- nazione che ab antico aveva avuta la necropoli di Ce- re. Queste cose assai sagacemente discorre il N. A , e scende poi a dare un' esatta descrizione delle molte tavole ÌQ rame che ornano il suo lavoro. Esse con- tengono le piante , le sezioni , i prospetti dei due mo- numenti , ed alcuni antichi utensili in essi rinvenuti : fra i quali ricordiamo una tazza col nome del pit- tore Cantèo , nuovo affatto, e da assegnarsi alla scuo- la arcaica , come dimostra l'Ercole soffocante il leone , dipiato nel fondo del vaso. Atti deil' Acc. Archeolog. 337 V. Sopra due iscrizioni recentemente scoperte , ed atte a manifestare la sede degli antichi fabraterni Nella tornata del 2 di luglio 1835 il eh. prof. Giuseppe de Mattheis lesse questa disserfazione, nella quale seguendo Plinio, ricorda due diverse popolazioni de* fabraterni, i nuovi cioè ed i vecchi , ambidue nel paese una volta abitato dai volsci. Che una fosse cola dove sorge in oggi il piccol villaggio di Falvaterra , non è da dubitare , si perchè conservò l'antico nome , e si perchè la ubicazione e le distanze da altri luoghi convengono con quelle notate negli antichi itinerari . Multe iscrizioni antiche ivi trovate non lasciano poi alcun dubbio, che la sorgesse una delle due Fabrate- rie, anzi precisamente la nuova, ricordando essi mar- mi i Fabraterni novi e nolani. La vecchia però dove era ? Certo, per le parole di Plinio , non lungi assai dalla nuova : ma uiuna certezza ve ne era ancora , per modo che il Cluverio non seppe dirne alcun che , e suppose il Cellario , che la nuova sulla vecclùa fosse slata murala. La scoperta di due antiche iscrizioni , ri- cordanti i Fabraterni veteres , ha finalmente decisa la queslione. Esse furono rinvenute nel territorio l'una , l'altra dentro il paese di Ceccano : per soprappiiì si ricordano in esse i ìuvenes herculani , i cultores Her~ culis , ed esiste ancora nel territorio di Ceccano una contrada denominata casa d'Ercole. La vecchia Fa- trateria dunque era la , dove oggi è Ceccano , dieci miglia appena distante dalla nuova. Siegue poi l'A. oh. a cercare il quando la nuova sorgesse , e ragione- volmente gli sembra verso il GOO di Roma , avendosi in Patcrcolo ed in Frontino memoria di una colonia ivi de- dotta nel consolalo di Cassio Longino e di Sesto Cai- G.A.T.LXIX. "" '22 ^^^ I^ E T T E R A T u R A vino. Certo questa colonia fu dedotta nella nuova , por- che le lapidi ora rinvenute a Ceccano fan fede c!,e la vecchia fa municipio , mentre quelle ricordanti !u nuova la dicono colonia. Senza dubbio la nuova an- cor non era quando Annibale devastava l'Italia : perchè Livio ricordando il viaggio di quel capitano, quando partendo da Gapua e traversando il L\v\ , pel paese de'volsci si diresse ver.o Roma, mcn!re indica con molta precisione le città e le campagne devastate , cioè Aquino, Fregelle, Prosinone , Ferentino , Anagni , La- bico ec, non ricorda Fabrateria, la quale se in allora fosse sfata, avrebbe lo storico ricordata dopo Fre-el- le. Tenta in ultimo l'A. oh. distinguere a quale ddle due Fabratene abbiano voluto alludere gli scrittori antichi , che una ne nominarono senza alcun co-.nn- me : e sagacemente alla vecchia riferisce una testLo- nianza d. Livio , una di Silio Italico , una di Giove- nale : alla nuova la menzione che ne fanno Cicero- ne, Strabene, ritinerario di Antonino, e la tavola di 1 eutinger. Pienamente fu trattato il subietto , riducendolo a venta dimostrata. Solo ci spiacque che l'A. eh ri- cordasse fra i raccoglitori di antiche iscrizioni il giu- stamente e generalmente diffamato Ligorio : dal quale provenendo quella lapide muratoriana, in cui leg.esi COL. FABH. FRETERAL;non solo la diciamo mal trascritta , ma la riteniamo non vera : come non vera riteniamo quella di un soldato NATIONE THRAX ORIVND . FABRATERI . ITAL , che il Doni' ( VI 30) ebbe da schede , e che VA. N. non conobbe. Atti dell' Acc. Archeolog. 339 VI. Continuazione delle memorie sui luoghi una volta abitati ed ora deserti dell' agro romano. Il eh. Antonio Coppi nelle adunanze del 3 di apri- le e 14 di "leggio 1833 die lettura di questo suo la- voro , in continuazione di quello , di cui già reìidem- nio conto nel!' estratto de! quinto volume. Brevemente, secondo il nostro solito, ne daremo qui il sunto. Cere. I pelasgi fondarono una citta denominata Agi Ila : passata ai tirreni, fu detta Cere. Ebbe sede in essa Mesenzio che pugnò contro Enea : il prisco Tarquinio la ebbe in sua obbedienza ; Servio ne divise Je campagne in pena dell' aver riprese le armi. A Ce- re fuggiron le vestali quando nel 365 Roma fu presa dai galli , ed in ricompensa ebbero i ceriti ospizio pubblico co' romani. Ne' primi secoli del cristianesimo ebbe suoi vescovi ; de' quali se ne ha memoria sino al 102^;. Da una famiglia principesca passò all'altra, fino ai Torlonia ne' tempi nostri. Cerveteri ebbe antichi abitatori, come dimostrano le reliquie di molti sepolcri etruschi. La più antica memoria è in carta del I'ÌqO. Castel campanile mostra gli avanzi di una chiesa dedicata nell' anno mille. Galera. Sou così detti più luoghi nelle carte de* mezzi tempi , uno nel territorio di Selva Candida , che ebbe i suoi conti , i quali spesso si resero infesti ai romani pontefici. Loria. Al duodecimo miglio della via Aurelia era una villa denominata Lorio , nella quale fu educato Antonino Pio : egli vi costruì un palazzo , nel quale morì. Sulle ruine di esso fu fabbricato Castel di Guido , le cui memorie rintracciando il sig. Coppi nelle carte di archivio , ne ricorda i di- versi possessori sino ai giorni nostri. 22^ 340 Lktxiratura Jìsio fu citta de' pelasgi. I romani vi dedussero colonia nel 505 : al principiare dell' citavo secolo ave- va un porto , dove voiea dirigersi Cesare reduce dall' Affrica : erano molte ville nel suo territorio : monu- menti e scrittori la ricordano sia' oltre la meta del se- sto secolo di Cristo. Sorgeva essa , dove in oggi è. Palo antica possidenza degli Orsini , poi degli Odescalchi. Ivi presso è la tenuta di Piilidoro , detta Paritoro in carte dell' undecirao secolo. Seha Mesia. Che i vejenti possedessero vma selva così nomata, e tolta loro da Anco re, lo afferma Li- vio : ma s'ignora ove fosse. Noniinano le carte del XII secolo una selva m<7^/a : saviamente però al sig. Cop- pi non basta quest' analogia per dir l'una non diversa dall' altra , e scrive piuttosto di molte altre tenute pres- so la via Cornelia, alla destra dell' Aurelia. Noi di- remo solo di due , santa Ruffìna cioè , che ebbe no- me dalla santa ivi martirizzata a'terapi di Valeriano , e poi fu sede vescovile ; e Boccèa, la quale par che sia dove anticamente era il fondo Basso al tredicesi- mo miglio da Roma , nel qual luogo furono martiriz- zati Mario e Marta nobili persiani insieme ai loro fi- gliuoli nel 270. Fregane^ lungo la spiaggia dal mare, vien ricordata per Silio Italico. Ebbe colonia romana nel 507, ne fan menzione Strabene e Plinio , e dalle distanze se- gnate nella tavola di Peulirìger sembra che fosse la dove oggi è Maccarese. Della qual tenuta , e di altre ivi presso il N. A. investiga con assai diligenza i pri- mi possessori , e ne segue passo passo i trasferimenti sino a'gioroi nostri. Arri nnLL'Acc. Archeolog. 341 VII. Sopra una mano voli va rinvenuta nel territorio cagliese , con qualche cenno del luogo dove fu trovata In (lue parti divise questa dissertazione il eh. mon- signor Antonio Bonclerìci , facendone lettura nelle tor- nale del 28 di febbrajo, e 25 di aprile dell' an. 1833. Il monumento in bronzo , assai diligentemente ritratto neir unita tavola in rame , fu trovato non sono molti anni al nord ovest di Cagli , due leghe in circa lun- gi dair abitato , in un luogo detto Piani di f^aleria- Molti ruderi cola esistenti fecero credere al Gentili che vi sorgesse anticamente VUrbino Metaurense : opinione sostenuta poi dall' Olivieri , combattuta da altri , che vollero riconoscervi piuttosto VUrbino Ortense. Il N. As però giustamente rimarca, che tale questione non sarebbe Stata , se visitati si fossero gli archivi : perchè avreb- bero conosciuto che que' ruderi stando in luogo, il quale sin da oltre sei secoli si noma Pian di Valeria , mo- strarono facilmente che a Valeria citta antichisima appartengono. Altri bronzi consimili eran già noti , e se ne avevano le illustrazioni del Pignoria , del Tommasi- ni , del Causseo , di altri. Il N. A. ragionevolmente li crede donarii ; e questo di Gibele. Di essa , e dell amasio di lei , e de' suoi simboli e sacerdoti va di- scorrendo , e quindi dell' introduzione in Roma di quel culto. Al quale proposito sembrandoci che egli non conoscesse , o per meglio dire non ricordasse una bella testimonianza di Verrio Fiacco sotto il giorno 3 di apri- le , ci permetterà che sia per noi qui riportata - LV- DI . M . D . M . I . MKGàLENSI.\ . VOCANTVR QVOD . EA . DEA . MIG/VLE . APPELLATVR . NO- LILIVM . MVTITATIONES . CENARVM . SOLITAE ^^2 LSTTERATHRA SVNT . FREQVENTER . FIERI . QVOD . MATER MAGNA . EX . LIBRIS . SIBVLLINIS . ARCESSITA MVTAVIT . EX . PIIRYGIA . ROMAM. Rappresenta il bronzo una destra mano ; il dito mignolo e l'anulare son contratti , distesi gli altri : un serpe si avvolge ad essa. Neil' interno a rilievo evvi una rana , una lucertola , una testuggine , ed un semi- busto , la cui copertura delia testa sembra più un pe- taso alato che un berretto frigio. Neil' esterno è una bilancia , fra i gusci delia quale un colo, e non lungi una vipera. Nel centro poi della mano è una noce dì pino : sulle estremità dell' indice e del medio veggoosi gli artigli di un aquila , su quella del pollice una te- sta di ariete , sulla seconda annodatura del mignolo un ciato ansato , e finalmente sotto la palma della mano un'ara. Questa moltiplicita di cose fece si che tali mo- numenti si dicessero panie: : e noi contenti allo aver- ne data una brevissima descrizione, ci dispensiamo dal tener dietro ai diversi ragionamenti dell' A. eh. in illustrazione di essi simboli. VIII. Sulle antiche custodie della santa Eucaristia. Lesse questa dissertazione monsignor D. Albertino Bellenghi nell' adunanza del i2 di dicembre i833. Certo è che fu sempre lodevollssima costumanza il con- servare la eucaristia nelle chiese ; ma certo è ugual- mente che ne' primi tempi conservavasi anche nelle ca- se. Quest' uso cessò dopo le persecuzioni. Neil' occi- dente era stato vietato dal concilio di Saragozza del 38 1, e dal toletano primo del 400, Continuò però si- no al dodicesimo secolo a favor delle monache ; alle quali nel giorno della loro consacrazione davasi un'ostia intera, affinchè dividendola in olio parli, da se stes- se su comunicassero uegli otto giorni consecutivi. Nei Atti dell Acc. Archeolog 343 primi secoli era permesso ai laici, ed anche alle fem- mine dopo essersi comunicati in chiesa, recare 1' cuca- ilslia agli assenti; anzi ne avean privativa le diacones- se di Siria : il concilio di Reiras lo vietò. A maggior diritto potevanla recare gli acoliti ; cui davasi a ciò neir ordinazione un piccolo sacco. I sacerdoti ed altri venerandi personaggi la recavan seco loro ne' viaggi,; costume dimesso nel!' occidente sin dal i464 ; e nell* oriente dopo la costituzione di Benedetto XIV Super graecorum : soli i papi lo conservarono .- e l' ultimo a porlo in uso fu Benedetto XIII nel 1727. An-tichis- simo poi , e quasi coevo agli apostoli , è l'uso di re- carla dalla chiesa agli inferrai. Tre erano i modi di conservarla : o nella sagre- stia in un armadio; o nel principale aliare della chie- sa, o in altro a ciò destinato , come tutt'ora si co- stuma ; o in un armadio sospeso al muro presso il mag- gior altare, entro prezioso vaso, esposto alla pubbli- ca visita. Di questo terzo modo ve ne ha tuttora un esempio nella basilica di S. Croce in Gerusalemme , e dottamente al solilo ne scrisse il gran pontefice Bene- detto XIV , che di quella chiesa era stato titolare : ed a questo modo si riferisce un marmoreo monumento nel- la chiesa di S. Gregorio sul monte Celio nella cappel- la detta de' Salviatì a mano sinistra. Questo marmo da inciso 1' A. eh. nclT unita tavola in rame. Veg- gonsi in esso sculti a rilievo il mistero dell'Annunncia- zione : e Maria Vergine col divin figliuolo venerali dagli angeli : ed un tempio , presso al quale santi, e martiri , e pontefici , ed altri angeli : e nell'abside l'ol- tirao padre che benedice il mondo , ed altre varie figu- re di beati , di monaci , di vescovi. Nel mezzo ovvi un foro che scuopre il luogo ove era conservata l'eucari- stia . All'intorno sono angeli in ginocchio , e quattro teste di cherubini: nella fascia, che ticu luogo di cor- 344 Letteratdra. nice, si legge FR . GG . HVIVS . MONASTERII . ROMANVS . ABBAS . FIERI . FECIT . HOC . OPVS. ANJXO . CHRISTI . MCGCCLXVJIII. I sacri vasi poi, ne' quali la eucaristia si conservava, erano per Io piii di due forme : in sembianza o di tor- re , odi colomba: tali colombe dicevansi repositorie, per distinguerle da quelle con le quali ornavansi i bat- tisteri e le tombe. Anche le cassette di avorio servi- rono a quest'uso , e poi le coppe , i calici , le pissidi di preziosi metalli. Termina 1' A. eh. con promettere che altra volta, ritornando sull'argomanto , dira della for- ma che davasi anticamente alla sacrata ostia , del cere- raoniale con cui amministravasi la eucaristia , del rito diverso praticato in varie chiese di rinnovarne le spe- cie , dell'uso e diligente custodia de' tabernacoli. IX. Notizie delV ab. Girolamo Amati accademico ordinario e censore , scritto da se medesimo. li primo maggio dell'a. 1834 'esse il segretario per- petuo queste notizie , che ora vengono puliblicate con alcune sue note. Avendo questo nostro giornale annun- ciata a suo tempo la perdita di quell'uomo dottissimo, ci dispensiamo dal tornarne a scrivere. Non possiamo però dispensarci dal notare la grave perdita fatta dal- la scienza nello smarrimento di alcune carte, nelle qua- li l'Amati avea notato il sistema o la chiave delle note tachigrafiche greche , da lui con gran fatica dedotta da un codice di S. Cirillo della Vaticana , che avea indo- vinato essere scritto con que* compendi. Grave perdila noi la diciamo, e siam certi che cosi ripeterà ognuno che sappia conoscerne la importanza. AtTi ciìLL Acc. Archuuloo. 3A5 X. Elogio del P. Francesco Ferdinando Jahalot maestro generale aelfordine de' predicatori , socio or- dinar io sopranumero. Il P. Maurizio Benedetto Olivieri recitò quest'elo- gio nell'adunanza del di 4 di giugno i835. Nacque io Jabalot in Parma da genitori francesi l'a. j780 : do- tato di pronta percezione , e di molta memoria , inco- minciò faustamente la carriera degli studi e ft^licimen- te progredì in essa. Entrato nell'ordine di S. Domeni- co, applicò alle scienze, alle sacre discipline , alle lin- gue dotte : divenne oratore di una rara reputazione , sali i pergami più distinti d'Italia , da per tutto fu sen- tito Con diletto e fruito , e sovente con ammirazione. Neiroicliue cuopri le cariche maggiori , e quella infine di maestro generale: in essa diede direzioni , stabili cat- tedre , prescrisse regolamenti di studi , colla voce e col- l'opera attese a riparare e a edificare , non cessando mai di salire i pergami . Giunto all' età di cinquantacinque unni , riposò uel Signore , desiderato dai confratelli nell ordine, e da quanti il conobbero XI. Elogio del cardinale D. Placido Zurla vi' cario di Sua Santità , prefetto della congregazione degli studi , e socio onorario dell' accademia. Questi ultimi deverosi uffici verso un* uomo , che ottenne nella porpora quell'onore che accompagna la dottrina e la virtii , furon resi nella tornata del dì 2i di gennaio i8?6 dal cav. Pietro Ercole Visconti segre-' tario perpetuo dell'accademia. Ricordevoli noi dell'ob- bligo che ci corre di esser brevi , dobbiamo necessa- riamente tacer gran cose : e dicendo solo della vita let- teraria del porporato , ricorderemo i titoli appena del- 34G Lktueuatiira le opere prodotte dal suo ingegno. I tre volumi In ot- tavo contenenti VBnchiridion dogniatum et morum fé conoscere quanto valesse egli nelle teoloqiclie discipli- ne , e come tutte le scuole lìramasse perre sotto la vit- toriosa insegna del grande A(]uinate. Quanto valesse ncU'eloqueiiza Io mostrò la funebre orazione del card. Gioannetti da lui composta ia una sola notte, e ([nel- la recitata al suo primo venir in Roma per la morte del card. Fontana. Amò la storia naturale , e ne rac- colse un sufliciefite museo : piìi tardi acquistò ogget- ti di belle arti , gemme scritte , cristiane iscrizioni , marmi e bronzi antichi , sculture ed altri oggetti di antichità. Fu superiore ad ogni lode quando tutto si die allo studio delia geografia , in ispecie del medio evo, a ciò spronato dal desiderio di illustrare la preziosissi- ma mappa disegnata dal camaldolese frate Mauro : e nel 180G usciva alla luce in Venezia quel planisferio, che mostrò alla repubblica letteraria quanta dottrina cosmografica possedesse il Zurla , quanto essa fosse di utilità. Poi non conleiUo, nel 1808 pubblicò le illustra- zioni dei viagg'i e scoperte settentrionali dei fratelli Zeni , rivendicando agl'italiani quell'onore che altri eb- bero qualche secolo di poi. Scrisse quindi dei viaggi e delle scoperte affricane di Alvise d! Ga da Mosto: si ado- però intorno al Milione di Marco Polo: raccolse e com- mentò le memorie tutte dei veneti più illustri viag- giatori. Venuto in Roma, disse nell'accademia di reli- gione cattolica de' vantaggi recali da questa alla geo- grafia e alle scienze annesse : decorato della por- pora , onorato di cariche sublimi , non perciò tra- scurò i prediletti studi. Molto addentro sentiva nel- le belle arti , e ne fan prova , cosi la disserta- zione tendente a dimostrare la unita del soggetto nel quadro della trasfigurazione , come il discorso a dichiarazione delle opere di religioso argomento Atti dem/ Acc. Arc:ieulog. 34T <3el Canova. E dal troppo affetto di lui alle arti bel- le deesi ripetere 1' immatura sua morte : perchè desi- deroso (li conoscere i classici monumenti di Sicilia , si mosse a quel viaggio pieno d'incomodi : e dopo per- corsa l'isola , ridottosi a Palermo infermo , si parti di questa viùi il di 29 di ottobre 1834 , di poco avendo trascorso Tanno sessaulesimo quinto. c. c. Lettera del prof. Salvatore Betti al chiarissimo signor Clemente Cardinali. I 1 on so dirvi a parole , chiarissiuìo signor Cardina- li , quanto io mi professi a voi grato del pensiero che avete avuto di dare nel giornale arcadico un sunto del- la mia dissertazione sulla musa Melpomene. Chi me- glio infatti di voi avrei potuto desiderar giudice di quel mio piccolo scritto : di voi che per gravità di dottrina siete così nominato in Italia e fuori, e sopral- lutto reputalo meritamente fra i più illustri maestii di antichità scritta e figurata che ci tioriscono ? Ne punto sonomi turbato alle contrarie sentenze, che con modestia pari ;il sapere avete qua e là mani- festato in forma di dubbi : perchè non cercando io ne' miei scritti che il vero, godo non pure di chi mi aiu- ta a conoscerlo , ma di chi mi avverte benevolmente a non presumere di averlo trovato. Io ho sempre pen- sato così: parendomi che il faro altra stima delle cor- tesi critiche sia un voler trasformare le scienze e le lettere dalla loro utilità in una detestabile ciurraeria . „ Delle giuste censure ( diceva il gran Redi ) io nou 348 Lbtukratora „ mi piglio maggior pena di quella, cirio soglio pren- ,, dere allora quando da' miei servitori veggio scama- ,, tare i miei vestiti per cavarne la polvere, e per as- „ sicurarii dalle tignuole. ,, Ma perchè alla vostra gentilezza è piaciuto di chia- mare me stesso giudice di que' dubbi , mi permettere- te dunque eh' io qui senz* ombra di presunzione ve ne dica il mio parere : il quale con più giusta ragioue sottopongo di cuor sincerissirao al vostro senno. Che il parazonio sia insegna di comando , come voi dite, io lo concederò volentieri. Ma parmi che deb- ba intendersi di comando militare fra' romani , presso a' quali fu proprio principalmente de* tribuni delle le- gioni. E quindi sta bene che Marziale , da voi allega- to , dicalo milUiae decus (i) : Militiae decus , et grati nomen honoris , Arma tribunicium cingere digna latus. Che poi non sia nvCarma^ come le altre tutte che ador- navano le persone di guerra, non posso ancora persua- derlo a me stesso. E noi chiama arma lo stesso Mar- ziale.'' Ed arma noi vogliono il Cajlus (2) ed il Buo- narroti (3)? Imperocché voi ben sapete, come anzi que- sto dottissimo fiorentino stimava , che non per altro il gladio si chiamasse parazoniò , che pel cingerlo che facevano a' loro fianchi i principali duci dell' esercito, invece di portarlo sospeso al collo come si costumava dai soldati gregari. E che fosse fendente, assai chiaro lo argomenta da ciò che Dione narraci di Traiano, il (i) Lib. XIV epigr. Zi. (i) Recueil d'antiq. toin. ii. planch. 95. (3) Medaglioni p. i36. Lettera di Salvatore Betti 349 quale di questo stesso militiae decus cingendo il fian- co ad un nuovo prefetto delle coorti, disse quelle me- morabili parole : Prendi il gladio , che in mio favo- re userai se lene e con ragione io governerò : ed userai a darmi la morte , se farò altrimenti. C!ie se hanno il parazonio, come voi eruditamen- te osservate , le statue di Agrippa , di Germanico, di Caligola , di Claudio , di Macrino; io potrei risponde- re , die alcuni di essi furono iniperadori , altri som- mi capitani : questi e quelli cioè addetti pei prima co- sa alla guerra : essendoché il titolo d' imperator non sia stato altro in origine che un titolo militare , preso poi dai padroni di Roma per mostrarsi princijìi degni di un popolo che reputavasi venuto gloriosamente da Marte. Ma di grazia, egregio signor Cardinali, si appro- verebbe un artefice, che per insegna di comando o di auloiila ponesse il parazonio a' fianchi di un pontefi- ce o di un magistrato meramente civile? Io già noi cre- do. E perchè non si approverebbe? Perchè fu bene il parazonio fra'noslri romani insegna di comando, ma non di comando pacifico e religioso: fu insegna di coman- do , ma di comando solamente guerriero. E dico fra* nostri romani : perciocché non credo che tale fosse pre- cisamente fra' greci: la qual cosa potrò altra volta di- scorrere, essendo qui materia di troppo lunga quistio- ne. Ora se vorrà darsi ad una podestà civile e sacer- dotale de' tempi eroici l' insegna del comando antichis- sima e comunissiraa a quasi tutte le genti , ra' ingan- nerei forse a proporre che le si mettesse in mano Io scettro? Sì certo, lo scettro : il vero attributo che gli avi nostri dettero a' pastori de* popoli , cioè ai re ed agli altri capi venerabili delle nazioni : attributo che poi si concedette a Giove ed a tutti gli dei , quando gli uomini avendo preso a rappresentarli in immagine 350 L^TTE RATtJRA. di carne e d* ossa , non seppero d' altro onorarli che degli umani simboli dell'autorità e della gloria. Per esso giuravano i principi sollevandolo, come dice Ari- stotele (i) , allorché dovevano render giustizia : esso portavano gli araldi, persone di un sacro potere : es- so recavansi in mano cosi Agamennone e Achille, co- me Crise e Calcante» e tutti coloro „ Che posti sono „ Del giusto a guardia e delle sante leggi „ Ricevute dal ciel (2) : con esso fu ritratto Alessandro il grande (3) da* suoi macedoni: esso era finalmente insegna tale di potestà, che ninno neppure arringar poteva ne' parlamenti sen- za Io scettro : „ Telemaco gioia di tali accenti , „ Quasi d' ottimo augurio : e sorto in piedi , „ Che il pungea d' arringar giovane brama , „ Trasse nel mezzo, dalla man del saggio ,, Tra gli araldi Pisenore lo scettro ,, Prese , e ad Egizio indi rivolto : O , disse , „ Buon vecchio, non è assai quinci lontano ,, L' uora che il popol raccolse : a te dinanzi , „ Ma qual cui punge acuta doglia , il vedi (4). E che non meno fra' greci , che fra gli etruschi e i romani antichi si usasse in significazione di autori- fi) Pollile, lib. Ili cap. X. {?) Omero , lliad. lib. I Traduzione del Monti v. 3i8. (3) Diodor, sicul. lib. XVni cap. VI. (4) Omero , Odissea 1. ii. Traduzione del Pindeniontc, ver- so 46. Lettera di Salvatore Betti 551 tà , e clie tanto valesse quanto asta pura, ci è scrit- to chiaramente dall' istorico Giustino (1) , e dotta- mente provato dal Vossio (2) ed a' nostri giorni dal marchese Tacconi (3). Laonde volendosi rappresenta- re il Genio irtijHTiosissirao del popol romano ( di cui non pohcbbe la terra immaginare cosa più eroica) non già il parazonio , ma si lo scettro gli posero per sim- bolo di comando , com* è a vedere nel celebre dena- ro di Gneo Cornelio Lentulo. Auzi i romani, che pri- ma ne avevano fatto 1' attributo de' loie dnc» ( come h anche oggidì de'raarescialli e de' generali supremi ) , Io diedero poscia a' con.s(3li ed a' consolari : Apud ma^ iores , dice Servio (4j , omnes duces cani sceptris ingrediebantur curiain : postea ceperunt tantum ex eonsulibiis sceplra pestare , et signum erat eos con- sulares esse. Se non che di queste cose non debbo a voi parlare, signor Cardinali chiarissimo, si per la somma dottrina che avete de' classici , e sì per es- sere slato trattalo dello scettro consolare eruditissi> roamenle dal grande senator Buonarroti (5), Queste sono state principalmente le ragioni, per le quali , dopo aver letto que' due passi di Eliano ^6) dove dicesi che niuno o scultore o pittore aveva mai ritratte armate le muse , io ra' indussi ad escludere an- che il parazonio dagli attributi della musa della tra- gedia ; e perciò non dubitai scrivere (7): ,, Veri an- (i) Lib. XLIII cap IH S- 5. (2) De iheologia gentil, lib. I cap. V. (3) De tribus basilidianis gcMmis pag. 27. (4) Ad Aeneid. lib. XI v. 2ÌS. (5) Medaglioni p. i85. (6) Vai-. Hist. XII cap. Il, e lib XIV cap. XXXVJI. (•]) Atti della pontificia accademia romana di archeologia tom. VII pag. n8 352 LfiTtfiRATtffeA ,, tichi e ragionevoli attributi da ornarsene le mani „ delia musa Melpomene diremo solamente essere (ol- ,, tre alla raasfcliera tragica ) la clava o lo scettro : „ questo a indicare che argomento della tragedia , co- ,, rae prescrive Aristotele , vogliono essere i grandi ,, principi o i re : quella, il più antico simbolo ,, della fortezza dato la prima volta all' Ercole gre- „ co da Stesicoro verso i' olimpiade XXXVIl, a si- „ gnificare che Melpomene e la musa degli eroi e de' „ semidei , il maggiore de' quali fu Alcide. „ J\è mi opporrò a chi volesse anzi credere cogli accademie' ercolanesi (1) , che clava poiroc^ov e scettro o-KUTrpo, erano fra loro sinonimi , e che spesso gli scrittori gire- ci scambiavano 1' uno e 1' altro vocabolo . Certo mi è duopo, signor Cardinali cortesissirao, confessare eh' io non potrei senza fare a rae stesso gran forza seguire un' altra opinione. Imperocché lo scettro ( o la clava , se cosi vuol credersi ) era tanto proprio di questa musa, che non pure fu posto qual vero attributo degli attori, ma anche degli scrittori di trugeJie (2) , a differenza del pedo che portavano in mano i comici. Ne affatto mi muove l' abuso che del pugnale o del gladio tragico hanno fatto fino all' or- rore i moderni poeti : che se il Parini a' nostri anni cantava (3): „ Queste che 11 fero Allobrogo „ Note piene d' affanni „ Incise col terribile (i) Tomo u pag. 22. n. 7. (a) Wìackelmaaa , Mon. lacd. par. TU cap. VI , e par. IV cap. IX. (3) // Dono , ode. Lettura iJi Saldatore Betti 353 ,, Odiator de' tiranni „ Pugnale , onde Melpomene ,, Lui fra gì* itali spirti unico armò : Ovidio invece , il poeta fra gli antichi doltissi- sìtno nelle cose della mitologia , tanto intendeva dire coir essere adorno dello scettro, o col prender lo scet- tro , quanto scriver tragedie. Di che bellissimo esem- pio, come voi sapete, è nella elegia XVIII del libro II degli Amori : Soeptra tamen swnpsi , curaque tragoedia nostra Crevit , et huic operi quamlibet aptus eram. Risit Ainor^ pallamque meam^ pictosque cothurnos^ Sceptraque privata tam cito sumpta maniL ; e poi nella elegia I del libro III : Altera me sceptro decoras altoque cothurno , Jam nane contracto magnus in orbe sonar. Stimo poi un puro equivoco ciò che dite del noti aver io conosciuta la gemma pubblicata dal Winckel- mann ne' Monumenti inaditi n.° 45. Compiacetevi di grazia leggere quanto che ne ho scritto a carte no del tomo VII degli atti dell' accademia romana di ar- cheologia, dov' è stata stampatala mia dissertazione. Ne ignorava parimenti quella del Dolce : ma chi par- lerebbe ora da senno di una gemma dataci dal Dolce? Quanto finalmente a'denari della gente Pomponia,io altamente venererò la sentenza del sommo Eckliel, che opinò essere ivi ritratte le muse come erano scolpite nelle statue che Fulvio Nobiliore ci portò d' Ambracia il 508 di Homa. Ma confesso di non potere intendere come Eliano , uomo dottissimo e fiorente in questa citta , non avesse iiotiiia di opere si pubbliche e si G.A.T.LXIX. 23 3 54 LBTTfitlÀt'ttAi famose : perciocché certo non avrebbe scritto con tan^ ta sicurtà : Nemo , vel fictor vel pictor, filiarum Jo- vis imagines armatas nobis exhihuit. Accogliete di grazia , signor Cardinali veneratis- simo, questa mia lettera .^benignamante secondo la vo- stra cortese usanza, e credetemi il più sincero de' vo- stri ammiratori ed il più ossequioso de' vostri servi. Salvatohe Betti. BELLE ARTI Cenno storico e critico sulla vita e sulle opere di Francesco Albani celebratissimo pittore bologne» se del secolo decimo sesto. 1 dire alcuna cosa della vita e dei pregi di Fran- cesco Albani , rinomatissimo pittore bolognese , for- se ad alcuni parrà soverchio dopo il molto che di lui è stato scritto ; ma se si ponga mente che il rinfre- scare a quando a quando la memoria di coloro che salirono a molta fama ingenera facilmente ne' pet- ti de' giovani studenti desiderio d' imitarne le virtù ed il valore , non si avranno del tutto inutili queste nostre parole. Nacque Francesco di Agostino Albani bolognese nel marzo dell' anno 1578. Avendo Agostino un fi- glio maggiore appellato Domenico , il quale si avvia- va assai lodevolmente alla carriera delle scienze , si CfiNNo STonico F, Critico 355 propose d'indirizzarvi anche Francesco , immaginando che l'esempio del fratello sarebbe sprone per invo- gliarlo a trarre il mag^iore profitto da' suoi studi. Vano o assai malagevole egli e per altro il compri- mere quella disposizione che da natura ci vien data, l^oco curando Francesco di studiare in latinità , il padre lo fece intendere all' aritmetica , dalla cui ap- plicazione sovente toglievasi , onde adombrare o su d' una parete od in carta qualche parte del corpo umano. Mancatogli il genitore nella sola età di anni dodici , Francesco intralasciò siffatti studi , ed entrò nella scuola di Dionigio Calvari , aperta in Bologna da questo fiammingo in sulle prime con non poco fa- vore di fortuna. Quivi ebbe a condiscepolo Guido Reni, già statogli compagno nel corso della lingua la- tina : il che rese pili intima la loro amista. Passalo Guido alla scuola de' Carracci , la quale fino dal suo nascere ebbe si alta rinomanza , anche all' Albani pre- se desiderio di proseguire i suoi studi pittorici sotto si valenti maestri , ed in ispecial modo sotto Lodo- vico , che n' era come il ctipo-scuola. I progressi dell' Albani furono presti e felici, di guisa che ben tosto [)0tè sporre al giudizio de'suoi con- cittadini alcuna delle sue opere. Vivamente attendeva questo giudicaraento , per conoscere quanto ei fosse di- scosto da Guido già proclamato dipintore di gran pre- gio. Bologna accolse con allegrezza le prime fatture dell' Albani , e da que' primordi ne inferì che sareb- tc riuscilo artista di alta celebrità. E qui crediamo acconcio di ri purgare 1' Albani , e lo stesso Guido di un brutto peccato , di che alcuni li vorrebbero mac- chiati fino nella loro prima giovinezza , ciò è d' odio e di bassa invidia. Imperocché ad ascoltarli sì avvi- serebbe che r Albani e Guido si odiassero fortemen- 23* 356 Beitu ARTI te non per altra cagione, che per livore di non po- tersi r un r altro superare nella maestria dell' arte. Quando in Bologna questi dipintori cominciaro- pò a gareggiare infra loro colle opere di pittura, non si conobbe risvegliata in essi che una nobile genero- sa emulazione di far chiari i loro nomi col valore del pennello. Anzi cotanto si strinsero in sincera ami- cizia , che volendosi V Albani condurre a Roma, on- de mettersi all' esercizio della sua arte sotto gli oc- chi de' più abili dipintori di quel secolo , Guido ne lo pregò ad indugiare alcun poco fino a che avesse compiti alquanti lavoii , onde potergli essere compa- gno in quel viaggio. Giunti entrambi in Roma , Gui- do fu scorta all' Albani , perchè questi potesse di su- bito avere occasione di operare , e 1' Albani gli si ad- adimostrò ollremodo riconoscente. Egli è vero che in progresso di tempo sorse alcuna inquietezza a rom- pere od alterare quella cordiale afiratellanza : ma pa- re doversi ciò attribuire più presto a certi non con- seguiti profitti, che ad altra qualsiasi cagione s men- tre avendo l' Albani prestata T opera sua in vari di- pinti affidati a Guido, non si trovò da questo, come egli credeva, bastevolmente guiderdonato. Comunque av- venisse il caso , è certo che fra questi due riputatissi- mì artisti , non già nimistà , ma non v' ebbe più ali* avvenire quella amichevole dimestichezza che scorge- vasi in prima , studiandosi ognuno di tenersi in guar- dia per non vedersi nel maneggio del pennello dall'al- tro superato. E questo fu che mosse V Albani ad offerirsi ad Annibale Carracci , il quale in allora dipingeva in Ro- ma con fama di valentissimo artista. In fatto trovasi notato ne' ricordi particolari dello stesso Albani , sic- come ci rapporta il Malvasia nella sna Felsina Pittri- ce , ch'egli pinse in S. Giacomo degli spagnuoli con Caitifo S-roRico t Critico 357 Annibale, il quale poscia, per contratta infermità, la- sciò principalmente ad esso lui l' incarico di compiere (]ue' lavori. Oltre questa , che puossì dire la prima sua grandiosa fatica in Roma, altre ne condusse a fine eoa indicibile appagamento di chi gliele commetteva. E' pu- re degna di speziale ricordanza la galleria Verospi sommamente lodata da que' tanti maestri , che in al- lora tenevano stanza in quella capitale. L' alta stima, che r Albani professava ad Annibale , ed il porgerà orecchio a' suoi consigli , il mise per certa via che guidò poscia ad una fama non mai da altri agguaglia- ta. Imperocché dilettandosi Annibale a ritrarre alcu- na fiata tavolette con baccanali , opina 1' ab. Lanzi, e molto acconciamente, che la vaghezza di quelle di- pinture ( ove su ameni paesaggi faceva spiccare ag- graziate figure ) invogliassero V Albani a conformarsi ad una tale maniera di figurare , scegliendo invece soggetti teneri ed afTettuosi. Del che avendo fatta buo- na prova, Annibale 1' incuorò a proseguire , accertan- dolo di un maraviglioso riuscimento , come di fatto avvenne. La tanta estimazione che TAlbani conseguì gli pro- cacciò molta copia di lavori , e sollecitava i giovani a cercare d' istruirsi nelT arte sotto si abile dipinto- re. Quindi Francesco aprì in Roma una scuola che tosto videsi contendere con quella di Guido Reni , suo gagliardo emulatore, Nel mentre per tanto che Fran- cesco era inteso ad espedire le molte opere commes- segli , gli sopravvenne caso, che grandemente gli con- turbò l'animo a modo, che non gli pareva piiì di ave- re, come per lo innanzi , la mente pronta a sceglie- re vivaci concetti , ne la mano presta ad eseguirli. La perdita di una dolce compagna , a cui erasi in Ro- ma unito , lo tenne per non poco tempo sì tristo ed affannato, che iu vederlo sembrava altro uomo da quello 358 Belle Arti che li appariva prima della pafita sciagura. I suol con- giunti per toglierlo da un luogo , che gli risvegliava di conlinuo si mesti pensieri , non rifinirono di cliia- raarlo alla patria , fino a c!ie egli appunto noQ v'eb- be fatto ritorno. E' vano il ricordare con quanto giubilo venisse accolto da' suoi concittadini , che sopramraodo si com- piacquero di riacquistarlo. Il primo desiderio che i bo- lognesi gli fecero aperto si fu eh' egli mettesse scuo- la , bramando molti giovani d' imitare la leggiadria di una maniera di penrielleggiare , che allettava e ra- piva gli ammiralori. Veggendosi richiesto per ogni do- ve di molti lavori , scelse alcuni scolari atti per vo- lere ad essergli di sollievo nel dar Cine a tante opere commessegli , e per disposizione d' intelletto a racco- gliere fruito dagli amorevoli suoi aramacstramenti, Fran- cesco Albani fu uomo senza dubbio di colto ingegno. E se si fossero raccolti i suoi scritti, molti dettami oggi si avrebbero a piìi grande soccorso dell' arte. Furonvi pocbi pittori che traessero , come 1' Al- bani , maggior profitto dallo studio della natura ac- compagnato da una intensa meditazione sulla storia vera e mitologica , e su quanto ha ideato l'immagi- nosa fervente^za de' classici nostri poeti. Da queste fon- li prese i tanto variati subbietti , specialmente mito- logici , eh' ei nel lungo corso del vivere si accinse a trattare. Non sì saprebbe bene stabilire se 1' Albani piii valesse nei presentare all' occhio que' lucenti arae- nissimi paesaggi , che cotanto ricreano l' animo in am- mirarli, o nel ritrarre que' gruppi di scherzevoli amo- rini e di ninfe festanti giocondissime. E quando egli ti para avanti l'01im[)o, non ti sembra di vedere cosa piiì che mortale? Vi fa capo un Giove maestosamente gra- ve e venerando. Due schiere di deità quali delicatamen- te tìnte, quali con' più vigore e robustezza colorite, al- Cbkno Storico £ Critico 359 ternano nna corona di leggiadre figure, che danno al quadro un effetto mirabile portentoso. Attorno vi splen- de un aere limpido raggiante che sottilmente ed a gui- sa di velo finissimo asconde , o più meglio appanna soltanto , la fascia zodiacale , con che di sovente suol cerchiare il favoloso suo empìreo. Se poi sopra un let- to di nubi o adagiata in una conchiglia ti raffigura Ve- nere dormigliosa , ovvero fra le selve la errante Dia- na , o Galatea in mare , od Europa sul toro , così te le addimostra che non puoi a meno di non rimanere allenito ad un bello sì inusitato e nuovo, che pare qua- si vincere il formato da natura. Ma tanto valore nel- 1 arte non andò franco da astiose censure. Guido , che rivenuto da Roma, aveva messa in Bologna rinomatis- sima scuola, sembrava disdegnare il dipingere dell'Al- bani , da lui chiamato troppo molle e lezioso. I suoi scolari ed altri seguaci di questo gran maestro, avvi- sando di farsegli vieppiù accetti , apponevano all' Al- bani altre pecche maggiori. Perchè gli rimproverava- no di non saper usare il pennello che a dipingere pic- cole e troppo lisciate figure , ma nel grande e nel vi- rile non avere uh eleganza ne vigorìa adatta ai su- bietti. Né a q uesto rfstavansi. Quegli angioletti , che in tanta copia introdotti ne' quadri di refigioso argo- mento , sebbene graziosissimi li dicevano conformi di corpo e di sembianze, a tal che l'uno ti pareva rico- piato dall'altro. Altrettanto volevano accadesse ne* vol- ti delle madonne, e così nelle effigie di que' santi e beati, che intrometteva nelle grandi sue dipinture. Per conoscere se costoro parlassero il vero non V* h al certo bisogno di lunga fatica. Trovansi an- che oggi giorno, e quasi in ogni dove , lavori dell* Albani eseguiti secondo la naturale grandezza dell'uo- nio. Il battesimo di Gesù redentore nel Giordano , quadro esistente nella pinacoteca di Bologna , il s. 360 Belle Arti Giuseppe nella chiesa de' filippini , i santi Sebastìa^ no e Rocco neHa parrocchiale di s. Giovanni in Per- sìceto , r Annunziata in quella di s. Bartolomeo ed altri tanti , possono tutti accertare della irragioncvo- lezza di queste riprensioni. Que' tronchi umani con tan- ta precisione di disegno veggonsi eseguili ! come ap- parisce sottile, vaga e delicatamente colorita la pelle che li ricopre ! Ove poi pii!i variazione e dissomiglian- za che negli aspetti di quelle tante figure ! Pare ad alcuni che vi sìa qualche cosa di con- forme nella movenza degli occhi delle madonne e de- gli angioletti; e per mostrarla, si attengono più a cer- te induzioni che al fatto. Pretendono costoro che es- sendosi r Albani, alcuni anni appresso il suo ritorno da Roma, congiunto in maritaggio con Doralice dei Fioravanti , giovane del corpo bella quant' altra mai , avesse costume di effigiare i volti delle vergini san- tissime , somiglievoli a quello della propria sua don- na , come di tale avvenenza da non saperne figurare altro più vago e leggiadro. Similmente avendolo Do- ralice in brevi anni renduto padre di dodici figliuo- li tutti ben formati e vezzosi , Francesco , anziché fa- re diligenze per investigare modelli , ricopiasse or 1' uno or l'altro di questi fanciulli ; ed ecco cagione di tan- ta consonanza nelle facce degli angeli e de' serafini ch'egli era solito dipingere. Ma vane sono le presun- zioni e le conghictture, ove i fatti le tolgano e le dis- raentiscano. L* Albani ebbe una maniera sua propria, e creos- si in mente un bello che andava adattando alle va- rie figure che dipingieva : ma ogni dipitore tenne mo- di eguali. Raffaele, immaginò sembianze di una avvenen- za che la diresti sovrumana. Questo bello per altro formava una guisa sua propria di dipingere , e non per ciò alcuno oserebbe asserire che le fisonomieraf- Cenno Storico k CRirico 3G1 iìgùrate dal Sanzio fossero eguali fra loro , e l'uaa assomigliasse 1' altra. Così adoperarono i Caracci , co- si lo stesso Guido Reni , cosi il Correggio , cosi in somma tutti i dipintori che appelliamo classici nell' arte. Laonde se I' Albani nel dipingere in grande , cioè al vivo , ideò volti di un bello tutto suo , non per questo sì può dire che ne' sembianti delle sue fi- gure serbasse uniformità : perchè tutti ad occhi veg- genti conoscono che quelle immagini , comecché va- ghissime e leggiadrissime , variano fra loro , ne al- cuna si appalesa eguale all'altra, sebbene pili fiate ripetesse anche i medesimi soggetti. Ma a renderlo sommo artista , pm che queste cen- sure , valgano e la estimazione in cui V ebbero i pit- tori suoi coetanei , e il gran desiderio che sovrani e prin- cipi mostrarono delle sue opere, e più d'ogni altra cosa la sua scuola che fu rinomata e fiorente di mol- ti allievi. Il Sacchi, il Cignani , i Mola , il Catala- ni, il Donini , il Torri, il Menzani , il Bibiena , il Pianoro ec. rinscirono pittori qual pili qual meno chia- ri e lodati. Anzi è voto universale che il Sacchi ed il Cignani , il primo in Roma , V altro in Bologna , fossero quelli , che mantenessero per lungo tempo ia Italia r onore del felice secolo della pittura , cioè del secolo dei Carracci, dello Zarapleri, di Tiziano, di Correggio, dell'Albani, di Guido Reni, e di altri valen- tiisimi pittori. Quello in cui si potrcbLe acconsentire si è , che se V Albani avesse dipinte soltanto tavole in grande , e non si fosse dilettato di trattare , con quella por- tentosa maniera di rappicciolire si graziosamente It fi- gure , temi affettuosi o vivaci , egli non avrebbe pt r certo toccata quell' ultima celebrità che consegui viven- te » e che anche dopo alcuni secoli alla nel mondo risuona. E se in oggi, lasciale a parte le favole della 362 Belle Arti mitologia , sulle tracce che segnò V Albani 6Ì figu- rassero casi storici , e specialmente fatti italiani e noti tanto a noi lontani , crediamo che queste fatture sareb- bero avidamente cercate dai cultori delle arti del bello* In adesso non sappiamo se per vaghezza del corren- te uso , o per maggior comodo in adornare stanze ed altri ricetti , si p;egiano assai certi quadri di cor- ta dimensione , e veggiamo ricercati paesaggi e bra- mate altre tavolette di scuola fiamminga o lavorate a quel costume. Se pertanto i giovani ben ammaestrati neir arte del disegno e del cobrare , e riforniti del- le altre opportune cognizioni , si dessero a presentare dipinture istoriche, imitando il pliì possibile la leg- giadria che r Albani ha adopers'.a ne* suoi lavori , a noi pare che certamente ne coglierebbero abbondoveli frutti, cioè sarebboQO e da', nostrali e dagli stra- nieri cercati di più spesse ordinazioni. Una avvertenza vogliamo qui porre prima di dar fine a queste nostre parole : ed e che se i giovani , appena si sentono in grado di cominciare ad operare da loro medesimi , non si veggono lichiesti di molti vantaggiosi lavori , deggiono considerare che nelle arti che servono al diletto e non al bisogno , la mezzani- tà non è pregiata , ma rimane oscura e negletta. Così restano oscuri e senza nome i mediocri poeti e sona- tori , perchè la poesia ed il suono essendo arti de- stinate a commovere o ricreare 1* animo , quale non aggiunge compiutamente questa meta non trova chi sofferente lo ascolti e gli dia lode. Per conseguire ri- nomanza , occorre durare incessanti negli studi , e non ismarrire se 1' età alcun poco s' inoltra senza averne pronto il premio. Chi trae da natura ferace ingegno , e sa ornarlo di utili insegnamenti , faccia cuore : che presto o tardi ne otterrà il debito guiderdone. Avv. Angelo Astolfi 363 PORTA DI S. SABINA IN ROMA -«- ' ella gazzella di Bologna N.° 84 è riporlafo un ar- ticolo del diario tomatio in data de' 9 luglio di quest'an- no I 53G. la esso ditiulosl il meritato elogio all' indef- fossa vigilarìie cura del magnanimo uo=tro sovrano pon- tefice Gregorio XVI a salvare dai tempo distruttore i moniimcuii di sacra antichità , con grata sorpresa ho k'ilo avere egli volte lo benefiche viste a salvare dalla estrouia lovina la porla della chiesa di s. Sabina sul monte Aventino. Colesta porta per la sua situazione al coperto di ogni insulto di atmosfera , e pel pochis- simo uso che si è fatto di essa , quasi miracolosa- ìiieiite ha potuto serbarsi integra per una serie di secoli nella primitiva sua forma sino a nostri giorni. Consi- ste essa in un quadrilungo circa JO piedi lutto di legno cipressino , e si divide nel mezzo in due paralel- Jogrammi contornali per ogni verso con ingegnoso traforo in più luoghi consunto, Sovra i suddetti paralellograra- nù , ossia imposte , perpendicolarmente sono pili riqua- dri con cornice operala siinetiicamente disposti. Nel- lo sfondo di essi veggnnsi sculti a rilievo con or- dinato compartimento gruppi di figure per esecuzione di dissegno non ispregevoli , rappresentanti fatti ri- marchevoli dell' antico e nuovo testamento. La parte poi Inferiore della porla, sottoposta ai detti paralellpgram- mi , vedesi essere stata lislorata e rifatta a più ripre- se. A detta del diario romano la porla è lavoro fallo sul cominciare del XIII secolo. Su quale fondamento abbia 1' autore stabilita la sua opinione, io noi saprei 3G4 Belle A r t ì iramaginare. Imperciocché, se si parla di porte del XIII e del XII secolo , erano per lo più arcate in terzo o sesto acuto. Se di figure in legno a rilievo , non ho mai potuto scorgere nei due succennali secoli che affa- stellamenti di figure talmente sconce, che appena si rav- visavano umane sembianze. Ove mai si trovavano per avventura opere di legno a riquadro con qualche sìme- tria e compartimento , sbandito essendo ogni gusto di arte e di giustezza di disegno ? Uopo h dunque ri- volgersi ai secoli pili lontani a vederne le forme , e i mo- di dei lavori e degli ornamenti , onde riconoscere il tempo in cui cotali opere furono fatte. I dotti annali- sti domenicani, sottili scrutatori delh memorie e de' mo- numenti che si trovano negli antichi cimiteri , hanno osservato , che le divine geste del nuovo e antico te- stamento , sculte nei riquadri delle imposte della porta di s. Sabina, trovansi in maniera consfraile sculte ed effigiale su i monumenti e sarcofaghi degli antichi ci- miteri: Qiiae gesta vel ostensa d'n>initas sunt in ve" fere ac novo testamento , in eisdein efftcta expres-^ saque sunt, ut effigi e.rprimique in sarcofagis ac mo- numentis caeteris veterum caemetcriorum consueve^ runt. ( Annales Ord. Praedic. Voi, I. Romae i756, pag. 563 ), Quale via più sicura , o meno incerta può trovarsi a scoprire la vera epoca del lavoro della por- ta di s. Sal)ina ? Giusta le esatte osservazioni dei sud- detti annalisti , cotali somiglianze non si riscontrano che nel V e anche nel VI secolo: nel VII non ap- pare alcun vestigio di tali rassomiglianze. Dovrà pur dunque dirsi la porta dis. Sabina fatta tra ilV e VI secolo ? Per quanto parer possa incredibile una tale epo- ca , le addotte prove inducono la mente più restia a persuadersi , che la costruzione della porla di s. Sabi- na sia stata fatta più secoli prima del tempo stabilito dal diario romano. PoRtA DI S. Sabina in Roma 365 Le grande iscrizione a lettere cubitali sovrastante alla porta , e affissa al muro istesso , dichiara che sotto il pontificato di s. Celestino I papa la chiesa di s. Sa- bina fu edificata da Pietro l'Illirico, e fu condotta poscia a termine dal successore Sisto III morto 1' anno ''lAO dell' era volgare. Lo stipite marmoreo che vuoisi del se- culo neroniauo , a cui è incastrala la porta , e queste circostanze che si addicono ad essa come appendici , non lasciano dubbio , che prima del XIII e XII secolo abbia esistito la moderna porta della chiesa di s. Sa- bina. ffr>,..^^, . .- r«r^Tc»J^. «— MK-i— VARIETÀ l'ami^'O della gioventù' AG L' ITALIANI Quando l'Amico della gioventk vide per la prima volta la luce , or sono quattro anni , egli comprese tutta la difficoltà della sua missione. Invitato a combattere per la causa della re- ligione , pel disinganno della più bella parte della società , e pel fine dell'uomo , egli vi si accinse con una tale purezza di principii che ha pochi seguaci oggidì, e che era indeclinabile dai redattori di lui. Si temè perciò fin d'allora che i suoi let- tori fossero per essere un circolo ristretto a pochi uomini di probità e d'animo ben disposto, sul quale il soffio impuro del- le prave illecitudini del secolo non avesse alitato giammai. Le scabrosità del cammino da esso lui intrapreso si ergevano viep- più avverse alle animose fatiche de' suoi editori a misura che 36G Varietà' facevano strada , la malevolenza degl'invidiosi , l'Intralcio dell» ciarle oziose di tutti coloro, e son ben molli , clie vivon sen- za infamia e senza lodo , i meschini pregiudizi degli uomini di facile credenza e il propugnare una causa guerreggiata da tutte le forze unite dell'einpieti. Ma Dio non manca a se stesso; e quando gli sforzi degli uomini sono imponenti, egli sa agli atti loro sostituire rirrcsistibile eloquenza dei fatti. Questo none luo- go da occupare con una enjnierazione dei fatti, coi quali negli. ultimi tempi la provvidenza ha fulminato i nemici delle monar- chie e della fede. B?.sti per tulio il dire, che l'opinione già da noi più peculirrmsute prc*a di'rnira, quella àe\\z> Giovine Italia, è ora confinata in qualche spregevole ed oscura gazzetta de' can- toni elvetici o di Barcellona. In questo tempo frattanto, in cui non avremmo d'aggiun- ger più , se non brevi e tenui cose , V Amico della Gioventù ri- nunzia alla linea iitì^ititù fin qui da esso seguita, per dedicarsi esclusivamente a- venia non verrà più seguito dai titoli di Giornale morale isto- rico politico e letterario , ma sostituirà a questi il solo nppella- tivo di Giornale di amena letteratura — Serie S-jcondn, meo. ininciando un nuovo numero progressivo. Se ne pubblicherà un fascicolo ogni mese di cinque fogli di stampa , essendosi veduto[]non esservi alle volte bastante spa» zio in fascicoletti di soli due fogli, come noi usavamo per lo pas- sato , a potere dar luogo per intiero a quelle diverse materie le quali d'ora in avanti formeranno la base del giornale. Tre fascicoli comporranno un torao. La carta ed i caratteri avran- no anch'essi un miglioramento, e benché per tal modo il nostro Amico venga a crescere di la fogli annui, migliori di carta e carattere , pure le condizioni di associazione rimarranno anche di presente eguali alle prime (i). (i) L'associazioue anuua è di i3 lijre Ital ,e la scmcst. di Ital. lire 7. Varietà' 3G7 ELENCO Vi fjuei generosi che ci hanno promesso soccorrerci colf opera e coi consigli , degnandosi di essere annoverati fra i nostri collaboratori. Barbieri Prof. Gaetano in Milano Bernabò Prof. Pietro in Bologna Berard Cle .in Roma Bandini P. Pietro priore a S. Marco in Firenze B. P in Modena Cabianca Jacopo in Vicenza Cavedonì Prof. D. Celestino ..... . . ìq Modena Gagnoli Agostino in Reggio Capozzi Francesco >a Liigo Cassi Conte Francesco in Pesaro Determes Giulio in Parigi Emiliani Prof. Luigi : in Modena Fornaciari Prof. Luigi in Lucca F. Dott i„ Modena Galvani Giovanni : . . in Modena Muzzarelli Mons. Carlo Em : . in Roma Muzzi Prof. Luigi Ac. della Crusca in Bologna P- M. A . id in Modena F- Dott. F in Modena Peruzzi Monsig. Can. Agost in Ferrara Rambelli Prof. G. F. , . . in S. Giovanni Riva Dott. Giuseppe in Modena Torricelli Conte F. M in Fossombrone Vaccohoi Prof. Dom. in Bagnacavallo Zanotto Francesco in Venezia Modena li 3o dicembre i836 Pei Redattori Il direttore proprietario Fkakcesc» Gaivani 368 Intorno a Caio Valerio Fiacco padovano , memoria letta al- l'I- e R. accademia di Padova li iZ febbraio 1827 dalso- cio attivo ab. Antonio Nodari. 4°- Padova, tipografia del- la Minerva i836. ( Sono pag. 34' ) vJon questo scrìtto assai ernclito ejgiudizioso monsignor Nodali rivendica a Padova l'essere stata patria di C. Valerio Fiacco , che più generalmente si reputava nativo di Sezze. Procede po- scia all'esame del poema dell' Jr^ofiautica : e contro il Tirabo- schi, che lo disse uno sterile ed arenoso deserto, ne fa cono- scere le principali bellezze, le quali secondo il Nodari non solo mo- strano che Valerio Fiacco non era poeta a dispetto della natura , come chianiollo esso islorico della letteratura italiana: ma il pon- gono più vicino a Virgilio , che non furono Lucano , Siilo Ita- lico e Stazio. Intorno a monsignore jingelo Colocci di Jesi nel Piceno ,Ji- losofo e poeta che fiorì ne' secoli\XV e XFI , lettera sto- rica di GiacintoCantalamessa Carboni. K Macerata tipogra- fia di Benedetto di Antonio Cortesi i836.^(sono carte Sa^. JUiligenlissirao sempre in tutte le sue investigazioni storiche il sig.Cantalamessa, ne dà qui molte annedote ed importanti notizie di quel monsignore Colocci , che levò fama bellissima di poeta latino nel secolo de'Bembi, de' Vida, de'Sanuazzari.Niuno quindi, che prenderà a trattare nuovamente della nostra letteratura di quel classico tempo, vorrà ignorare questo libretto, nel quale non pur si emendano molte cose scritte dal Tiraboschi e dal Lancel- lotti, ma parecchie se ne aggiungono da essi non sapute. Nel dar lode all'illustre autore di questo suo nuovo e si critico ed ©ru- Varietà' SOq dito lavoro, il commenderemo altresì di averne dato il titolo ad uno scienziato che tanto onora l'italiana medicina , al chiaris- simo signor prof. Agostino Cappello. S. B. versione di epigrammi greci. 8. Roma dalla tipografia Salviuc- ci x836. ( Sono carte 19 ). -E-< opera del signor abate Domenico Santucci, che pubblicolla a festeggiare gli sponsali del conte Luigi Franceschi con d. Laura de' principi Boncompagiii Ludoyisi. Gli epigrammi sono XXIV volgarizzati dal greco dell'antologia. E' in tutti un gran sapore di Hng'ua italiana , ed una bella facilità. Eccone esempi. Le cena di Salamino. Una cena a chi non basta ? Ma chi accetta il dolce invito Del convito Che prepara Salamino , Vede a prova che conviene Far due cene. Troia conservata da Omero Me d'alte torri instrutlo , Me pure Ilion superbo In cenere distrutto Ebbe l'età che assorbesi Quanto è , quanto già fu , quanto sarà. Sol pel divino carme D' Omero eterno io vivo , Tal che le argolich' arme IVon ponno farmi privo Della storia che sempre durerà. , J G.A.T.LXlX. 24 370 Vari b t a' i' invidioso Era Acele d'invidia si riarso , Glie visto il sozio in m;iggioi' croce appeso , Tutto comparve di livore sparso. Caroli BoHcheroni orntio habita in regio tnurinansi nthrnapo IH non. noi'embr. an. MDCCCXXXV. 8. Taurini edentibus Chirio et Mina in vico padano, ( sono carie 5o ). v^gni elogio che far potremmo a questa eloqiientissiraa orazione sarebbe da noi stimata minore di ciò eh' ella merita. Basti ch'è opera del cav. Bouchei-on. Noi inviteremo a leggerla quanii hanno amore alla latina eloquenza, e soprattutto coloro che o mal sentono o temono de'progressi della sapienza. Il celebre oratore ha mirabilmente risposto agli uni ed agli altri; né certo poteva si nobile causa avere più dotto e grave e libero difensore. Giovi in- tanto in onore del sommo pontificato della chiesa cattolica il ri- ferir questo passo. ,, Quae cum ila sint , propositum nobis scienliarum curri- ,, culum, si ve ad commune decus, si ve ad rcctam tolius gentis ,, inslilutionem , naviter et cum virtute obcanius. IXihil levius „ multitudine , quae incertis erroris pulsibus lactctur : nihil „ constantius populo , qui officii opinione ducatur. Tantum ., vero abest , ut aliquid a profeclu iugeniorum cavendum sit, ,, ut christiani nomiuis antistites , omnium primi post oc- „ casum romanae magnitudinis , a barbarico somno populos „ excitaverint. Unde, nìsia summis poutificibus, recentioris hu- „ manliatis primordiaPQui nimirum a Gregorio Vllad INicolaum ,, V et Leonem X , idest a densioribus occidentis tenebris usque ,, ad omnigeuam seculi XVI clegantiam , tanta coutentione ,, ia oppugnanda l'eri late et promoveudis bunisariibus fueruat, ^ Varietà' 3TII ,, ut inhistoria europeaium gentiumnihil sit coniunctìus, quara ,, humanus cultiis et rellgio. Inde eo etiam nomine venerabi- ,, biliores literae fuenint , quod tanquam manus et solatiura „ divinitus mortalibus oblaluni, viderentur. A pontificibus certe „ orsus ceperiint quotquot illustriores respublicae et principes „ eriiditioncm fovendo, egregie de hominum genere meriti sunt. ,, His aliqiiando adnumerabilur rex Carolas Albertus , vobis- ,, qiie praeclarum erit , amplissimi rei literariae moderatores^ „ summa cura diligentiaque effecisse , ut, instaurat's studiis, „ uberrimus ipsius provideuliae iVuctusad posterosperveniret.,, S. Bktti. Alcuni sonetti di Ginn Carlo di Negro patrizio genovese. 8.0 Ge- nova, tipografia dei fratelli Pagano i836. { sono carte Jj ). -Lie rime dell'illustre marchese di Negro sono gran parte del- l'istoria italiana di questa età .- peroiocckè non v'ba opera , che nella nazione levi alcun grido , che in pari tempo in quel ge- neroso spirito non trovi un cantore. INè le sole religiose egli can- ta religiosissimo: ma, dell'Italia com' è ardentissimo cittadino^ le civili , le g-uerriere , le letterarie. Questo volumetto , tutto fior d'eleganza , racchiude i nomi del Bellini , del Tommasini ^ del- la Verdoni, dell'Azeglio, del Brignole Sale, del ]VIojon,e di altri che onorano questa terra ; oltre ad un sonetto per la morte di Letizia Bonaparte, ed un altro per quella della giovane regi- na di Napoli ; il quale per saggio qui recheremo : Esser queste dovean l'ore beate Sparse di tanta gioia e tanto amore , Donna regal , di gioventù sul fiore , D'ogni virUite adorna e di bcltade ? 24 ♦ 372 Verista' oh speranze da un rio morbo troncate , Alta caglon di affanno e di dolore ! Qual suon di labbro , o palpitar di core Esprimere potria tanta pietate ? Del divino fattor opra perfetta Eri al guardo mortai nel tuo bel velo , Ma in altra sfarà a maggior gloria eletta. A noi cbe resta della doglia amara ? II figlio tuo cbe serbar volle il cielo Come parte di te quaggiù più caia . S. B. Elogio funebre a Ridolfo faccia benemerito conselicense det- to nella chiesa arcipretale di S. Martino dal professore Domenico Faccolini . 8. Lugo pel Melandri i836. (So- no carte 20. ) J^ on senza una gran dolcezza di animo abbiamo letto que- sto discorso , che onorò i funerali di un uomo di egregia bon- tà , il quale fu della sua patria l'ornamento ed il padre. E vo- gliamo darne una bella lode al nostro professore Vaccollni , il quale per tutti i temi sembra avere una particolare eloquen- za. Perciocché là dove le grandi azioni richieggono che il di- citore con sentenze e con parole s'innalzi, abbiamo spesso vedu- to il suo dire prendere abito di gravità e di magnificenza .- qui dove erano a ricordarsi le virtù domestiche e pubbliche di un cittadino di piccola terra , esso è tutto piano e soave, né trovi altro che carità, mansuetudine , e religione . Il che crediamo essese il vero scrivere con filosofia. S. B. Varietà' 37S Esercitazioni dell'accademia agraria di Pesaro. Anno V, se- mestre II. 8. Pesaro iS56 pei tipi di Annesio Nobili. ( Un voi. di pag. 76 con due tavole. ) V^uesto volume degli atti di una società sì benemerita ed illustre del nostro stalo , si degna della pesarese gentilezza e sapienza , si compone de' seguenti imporlanlissimi scritti : I. Viste economiche su i bacili da seta e sulla foglia del gel- so : del socio corrispondente canonico Angelo Bellani; 2. Di- scorso del socio ordinario cav. Gio. Battista Spina , in cui si tocca la materia del censimento e de' miglioramenti agrari! : 3. Lettera del socio corrispondente prof. Giovanni de Brigno- li di Brunoff intorno al dimagramento dei terreni che rispet- to al frumento possono operare il formentone e la canapa : 4- Risposta del socio ordinario e censore conte Domenico Pao- li alla lettera pi-ecedenle: 5. Di un foro annonario testé co- struito in Senigallia : memoria del socio ordinario e censore conte Giuseppe Mamiani della Rovere: 6. Sulla seta de'ba- chi educati col gelso delle isole Filippine , lettera del socio ordinario conte Antonio Buffoni: 7. Intorno ai meriti lette- rarii di Domenico Farini, lettera del socio ordinario e cen- sore conte Odoardo Machirelli al marchese Francesco Beldassini segretario dell' accademia. Memoria intorno alla vita ed alle opere di Donato o Don- nino Braììiante. S. Roma dalla tipografia Ferretti i836. ( Un voi. di pag. 1 13. ) xLra cosa ben degna del chiarissimo autore delle vite di Raf- faello € del Correggio il darci pur quella del Bramante, lu-- me immortale ed onore dell' italiana architettura. E noi vo- gliamo di cuor siucci'isàiiuo cuiigiuiularccuc col padre Luigi 374 V A R I a T a' Piingileoni de' minori conventuali , il quale ci ha mostrato con ciò una prova novella di quella pratica e diligenza eh' egli ha nello scrivere di belle arti. Qni la vita e le opere del Bra- mante sono dichiarate in tal modo , che poco vuoisi deside- rare di più. Il nome suo fu Donato o Donnino; il padre chiamos- si Angelo %liuolo di Renzo del castello di Farneta: la madre Vittoria di Pascuccio di monte Asdrubaldo , picciol luogo nel contado di Urbino , detto ora Fermignano , là dove l' insigne artista nacque e passò gli anni suoi dell' infanzia . S. B. JNel tomo LXVIII di questo giornale pag. i45 riportossi una lettera sopra l' idrofobia del eh. prof. Agostino Cappello, uno dei nostri compilatori , diretta al chiarissimo sig. barone Malvica a Palermo. In fine di essa /"pag. i56 - 8^ leggonsi i tentativi dell' ili. sig. Luigi ToffoH di Bassano comprovanti r esseuziale etiologia della spontanea rabbia canina dal Cap- pello già cotanto discussa e ragionata. Il sig. Toffoli ha indi diretto un opuscolo al romano professore, intitolato: Osserva- zioni sopra il rimedio pubblicato in Parigi d'ordine superio- re contro r idrofobia , edito in Bassano pel tipi del Basegglo nel dì 3o giugno i836. Su di che ci è assai grato di ri- produrre le parole con cui il Toffoli chiude l' indirizzo pre- messo alle suddette osservazioni .•„ Se questo mio critico esa- „ me ad un articolo pubblicato nella capitale della Francia non sarà coronato da avventurosi rlsultamenti , avrà almeno „ procacciato due soddisfazioni vivissime al mio cuore : la „ prima di avere dato un pubblico tributo di alta estimazione „ e doverosa riconoscenza al celeberrimo prof. Cappello di „ Roma , e la seconda di avere adempiuto ad un sacro do- vere di umanità ,,. Ora quasi contemporaneamente ha il sig. ToHoU pubijlicalo uu programma di maggiov sua opera , m Varietà.* 3^5 cui a seconda degli im|iorianfissìmi suoi replicati espeiimenli spegnerebbesi il terribile morbo della rabbia canina con fa- eillssinii mezzi di medica polizia , siccome aveva il prof. Cap- pello da più lustri divisato. L' opera sarà di circa fogli venti a centesimi venti al fo- glio pei signori associati, in bella carta e nitidi caratteri. Le associazioni si riceveranno dai principali librai d' Ftalia. C. G. // libro di L. Anneo Seneca intorno alla Provvidenza reca- to in italiano dal" ab. Giuseppe Brambilla . Prat» tip. Giachetti i836. 8. ( Sono pag. 24.) v^ uel sicuro giudizio del cardinale Gerdil considerando l'uo- mo sotto l' impero della legge ha occasione di notare le con- traddizioni dell' antica filosofia abbandonata al solo lume del- la ragione , e il trionfo dell'ordine aperto alla nuova filosofia, che giovasi dei lumi della religione. Ecco le sue parole (i) : „ La religione non Costa , Arte poetica. p. 65 ^^ Bandettini , Poesie estemporanee. p. T9 — 38a Cardinali , Alcune recenti opere italiane di archeologia. p. 105 — Papalini , Canio sull'esilio di Dante, p. i28 — Montanari , Discorso detto in Pesaro in occasione de premi distribuiti nel 1835. p. 133 - Cardinali , Diplomi imperiali di privilegi ac- cordati ai militari. p. ih\ — Tinelli^ Carmina. p. i5B — Montanari^ Lettera intorno un ode di Orazio tradotta da CI. Morelli. p. 1G4 — p^accolini , Osservazioni sul hello. Art. VII e Vili. p. i:4 — Serasa ., Arte di goder sempre. p. i8'3 — Mordaniy Pite degl'illustri ravegnani ( conti- nuazione ). /?. 192 — Atti della pontificia accademia romana di ar- cheologia. Tomo VII. p. — 3ii Betti , Lettera a Clemente Cardinali. p. — 34^^ BELLE ARTI Gerardi , Vita di Matteo Kessels sculto- re, p. 220 - Podesti , Discorso agli alunni dell' accade- mia romana di S. Luoa. p. 236 — 38f Astolfi , Cenno istorico e critico sulla vita e sulle opere di Francesco Mbani pitto- re, p. — 3S4 Porta di S. Sabina. p. — 363 yarietà. Tavole Meteorologiche. eimoineUo i Vento iV. d. 0 o i\ .1 , , q 0 11 5 ^43 ;; cu. J4 26 „ Imo. 8 » » NE L 11 N. „ 10 » lU tì 24 WNO £ 12 0 oj 4 ÌN. il. 6 27 !> ni. 8 0 2 1 4 , - ò ' t 7 9 « , 0 0 3 3 ^3 9 ÌS. q. 0 li W. d. 0 0 S. d. „ lU f, „ fmo. « m. 0 0 S.va.m.T 0 0 14 4 *' bo f. ., d 0 0 ■ — 3 ,. 8 SO d 3 S ui 4 0 0 10 S d 0 1 E „ E d In „ ■■■a INDICE DELLE MATERIE Contenute nel volume I69. SCIENZE Pianciani , Saggio su' fenomeni d'induzione magnetelettrica. p. aSy Barlocci , Lezioni di fisica sperimentale ( T. I. ) p. 286 Sanguinetti , Cenluriae tres prodromo florae romaaae addendae. p. 296 LETTERATURA P- Atti della pontifìcia accademia romana di archeologia. Tomo yil. p. 3it Betti , Lettera a Clemente Cardinali. p. 347 BELLE ARTI Astolfì , Cenno istorico e critico sulla vita e sulle Opere di Francesco Albani pittore, p. 354 Porta dj S. Sabina. p. 363 Varietà . Tavole Meteorologiche. g^^ H^« "ì^'' GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 170, ni, 172. GIORI>ALE DI SCIENZE LETTERE ED ARTI TOMO LXX. GENNAIO, FEBBRAIO, E MARZO 183T, R o ai A TIPOGRAFIA DELLE 13ELLE AIVTI 1C57. 1 Hi v-'-^ jit', • llf DIRETTORE DEL GIORNALE ARCADICO S. E. il si'g. principe D. PIETRO ODESGALCHI, memLro del collej»io filologico dell'università ro- mana, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, censore di arcadia ec. COMPILATORI BETTI SALVATORE, professore e segretario per- petuo dell'insigne e pontificia accademia di S. Lu- ca, socio ordinario e censore della pontificia ac- cademia di archeologia. BIONDI mai'chese commendatore LUIGI, presiden- te della pontificia accademia romana di archeo- logia, soprintendente generale degli studi di bel- le arti in Roma per S. M. il re di Sardegna , censore di arcadia. BORGHESI cav. BARTOLOMMEO, accademico del- la crusca. CAPPELLO prof. AGOSTINO, già medico consu- lente di Leone XII, membro della conurcuazio- ne suprema di sanità. CARDINALI CLEMENTE, consigliere governativo della legazione di Vellctri. CARPI PIETRO, professore di mineralog^ia e mem- bro del collegio medico dell'universitU romana. DE-CROLLIS DOMENICO, dottore in medicina. FOLCllI GIACOMO, professore d'igiene, di tera- peutica generale e di materia medica, membro del collegio medico dell'università romana, e del- la congregazione suprema di sanità. GERARDI FILIPPO, dottore in legge. IV POLETTI LUIGI, professore residente e cattedra- tico coadiutore di architettura pratica dell' insi- gne e pontificia accademia di S. Luca, professore ordinario nell' ospizio apostolico di s. Michele, professore onorario della R. accademia delle bel- le arti di Modena, socio ordinario della pontifi- cia accademia di archeologia. TONELLI GIUSEPPE, dottore In medicina. VISCONTI cav. PIETRO ERCOLE, commissario delle antichità romane, presidente del museo ca- lli telino , segretario perpetuo e socio ordinario della pontificia accademia romana di archeologia. COLLABORATORI DEL GIORNALE ARCADICO Al lNTALDI marchese Antaldo, consigliere della le- gazione, a Pesaro. ANTINORI marchese Giuseppe, professore, a Pe- rugia. ARMARGLI conte Leopoldo, giureconsulto, a Ma- cerata. ASTOLFI avv. Angelo, a Bologna. BARLOCCI Saverio, professore e membro del col- legio filosofico dell'università, segretario del con- sìglio amministrativo degli acquedotti, in Roma. BELLENGHI monsig. D. Albertino, benedettino-Ca- maldolese, arciv. di Nicosia, consultore delle sa- cre congregazioni de'vescovi e regolari, dell'indi- ce e degli aflfari ecclesiastici straordinari , socio ordinario della pontificia accademia di archeolo- gia, in Roma. BIANCHINI Antonio, segretario della società degli amici delle belle arti, in Roma. BRIGHENTI Maurizio, ingegnere, a Rimino. BRIGNOLI di BrunofF Giovanni, professore, a Mo- dena. BONAPARTE S. E. D. Carlo, principe di Musigna- no, in Roma. CAMILLI Stefano, a Viterbo. CAMPANARI Vincenzo, in Roma. CANxVLI Luigi, professore e bibliotecario, a Pe- rugia. CANONICI FACHINI marchesa Ginevra, a Ferrara. CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli. CASSI conte Francesco, a Pesaro. ri CECILIA Gio. Francesco, in Roma. CIAMPI cav. Sebastiano, a Firenze. CONTI ab. Andrea, presidente del collegio filoso- fico dell'università, in Roma. CONTI dott. FILIPPO, medico, a s. Anatoglia di Camerino. COPPI ab. Antonio, socio ordinario della pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma- CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, membro della reale accademia delle scienze, a Torino. DE-LUGA ab. Antonino, in Roma. DIONIGI ORFEI Enrichctta, in Roma. DUMOUGHEL padre Stefano, della compagnia di Gesù, astronomo del collegio romano, in Roma, FARI MONTANI Francesco, in Roma. FERRUCCI avv. Luigi Crisostomo, a Lugo. FERRUCCI Michele, professore, a Ginevra. FIORINI Mazzanti Elisabetta, a Terni. FOLCHI cav. Clemente, consigliere dell' insigne o pontificia accademia di s. Luca, ingegnere ispet- tore membro del consiglio d'arte, ingegnere del- la s. congregazione delle acque, membro della commissione consultiva delle belle arti , archi- letto del sacro tribunale della consulta, in Roma. FONTANA cav. Pietro, a Spoleto. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Ginevra. GUADAGNI avv. Francesco, membro del collegio filologico dell' università , socio ordinarlo della pontificia accademia di archeologia, in Roma. GUZZONI DEGLI ANCARANI Carlo, in Roma. JONII avv. Lodovico, giudice, a Norcia. LABUS dott. Giovanni, a Milano. LAMPREDI ab. Urbano, a Napoli. MAI raonsig. Angelo, protonotario apostolico, pre- lato domestico, segretario delle ss. ce. di propa- VII gainda fide e della correzione de'llbri della chie- sa orientale, segretario dell'accademia teologica, consultore delle ss. ce. dell' inquisizione e dell* indice, membro del collegio filologico dell'uni- versità, e della pontificia accademia di archeo- logia, in Roma. MAL VIGA barone Ferdinando, socio ordinario del reale instituto d'incoraggiamento, a Palermo. MAMIANI DELLA ROVERE conte Giuseppe , a Pesaro. MARCOTULLI dott. Luigi, medico, a Sezze. MASSARO' avv. ab. Antonio, in Roma. MORDANI Filippo, a Ravenna. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore, a Pe- saro. MORICHINI monsig. Carlo Luigi, referendario del- l' una e dell' altra segnatura, ponente del buon governo, prelato aggiunto alla s. e. del concilio, abbreviatore sopranumero del parco maggiore , pro-presidente dell' ospizio apostolico di s. Mi- chele, in Roma. MUZZARELLI monsig. Carlo Emmanuelc, prelato domestico, uditore della sacra rota, in Roma. Nx'VRDI ab. Luigi, bibliotecario, a Rimino. ODDI Giuseppe, professore e membro del collegio filosofico dell'università, in Roma. PAOLI conte Domenico, a Pesaro. PERKTTI Pietro, professore, in Roma. PERUZZI monsig. Agostino, rettore dell'università, a Ferrara. PIANGIANI padre Gio. Battista , della compagnia di Gesù, professore nel collegio romano, mem- l)ro del collegio filosofico dcll'universira, in Roma. PUCCINOTTI dott. Francesco, medico, in Firenze. PUNGILEONI padre maestro Luigi, minore con- vili ventuale, consultore delle sacre congregazioni de' vescovi e regolari e de'riti, in Roma. RAMBELLI Gio. Francesco, a s. Giovanni in Per- siceto. RANALLI Ferdinando, in Roma. RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Macerata. ROVERELLA conte Gio. Antonio, a Cesena. SALVI cav. Gaspare, ex-presidente e professore di architettura teorica nell'insigne e pontificia ac- cademia di s. Luca, ingegnere ispettore membro del consiglio d'arte, membro del collegio filosofi- co dell'università, architetto de'ss. palazzi aposto- lici e del sacro tribunale della consulta, in Roma. SANTARELLI michele, professore, a Macerata. SANTUCCI ab. Loreto , custode generale emerita di arcadia , membro del collegio filologico dell' università, incaricato di affari della santa sede presso la corte di Toscana. SCLOPIS di Salerano conte Federico, membro del- la reale accademia delle scienze, a Torino. SORGONI dott. Angelo , medico comprimario , a Narni. TORTOLINI ab. Barnaba, professore, in Roma. VACCOLINI Domenico, professore, a Bagnacavallo. VALDRIGHI conte Mario, a Modena. VENTUROLI prof. Giuseppe, presidente del con- siglio d'arte pei lavori di acque e strade, membro del collegio filosofico deiruniversita, in Roma. VERMIGLIGLI cav. Gio. Battista, professore, di^ rettore del museo di antichità, a Perugia. VESCOVALl Luigi, socio ordinario della pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma. VIOLA Sante, a Tivoli. VOLPICELLI doti. Paolo, professore, in Roma, SCIENZE Questioni di medicina legale secondo lo spirito delle leggi civili e penali veglianti nei governi d'' Italia. Del doti. Giacomo Barzellotti già P. P. di medicina legale ec. nella I. e R. università di Siena^ e ora di medicina pratica in questa I. e R. di Pisa : opera rifatta da esso sulla for- ma antica e portata a livello delle cognizioni attuali. Edizione 3 pisana^ e 2 italica. Tom. I pag. 293, 2'om. Il pag. 702. Pisa 1835. V. arie e ben giuste ragioni, che qui non è luogo a ridire, hanno mosso il chiar. N. A. ad accingersi ai rifacimento totale dell'opera, affin di rettamente ele- varla al livello de"* lumi attuali e delle opere pia odierne di medicina legale. Saggio avviso egli è sta- to codesto, giacche per tal modo senza deturpa- mento di altrui innesti, o di troppo distraenti an- notazioni, possediamo ricca di tutte le più recenti cognizioni un' opera, che pel complesso dei suoi pregi crasi di già meritata il novero di tante piìi o men rapide edizioni. Lasciò intatta la forma del suo lavoro l'egregio prof. Barzellotti, ma la mole ne venne notevolmente aumentata in libri, capitoli o quistioni, paragrafi e formole: e tutto ciò nell'or- dine seguente. Di sedici capitoli è accresciuta l'at- tuale edizione, ed in questa il numero delle formo- 2 Scienze le negli appendici eguaglia quasi quello tic' 50 ca- pitoli medesimi: laddove nelle altre corrispondeva il numero delle formolo a quello dei libri. Un sesto libro si è aggiunto al cinque libri che compone- vano l'opera per lo passato, e gravissima materia in esso discutesi, quella cioè dei contagi^ che il N. A. confessa di avere ingiustamente omessa nelle precedenti edizioni. Infra le nuove quistioni, e di- lucidazioni nuove tutte antiche de' primi cinque libri varie ne veggiamo noverate, delle quali non si era tenuta in essi menzione. Così nuova nel pri- mo libro emerge quella sulle epoche della vita: al- tra nel secondo risguardante le ricerche medico-le- gali su' cadaveri, in cui iniziato sia il processo pu- trefattivo sì sopra come sotto terra o in qualsiasi altro mezzo. Grave e necessaria questione! che ha mosso a' dì nostri il foro a commettere ed i periti ad eseguire con isperanza di successo infra la pu- tredine e le ceneri la ricerca della causa della mor- te, tanto più che le odierne animose indagini ne hanno mostrata talvolta la certezza, e spesso la pos- sibilità. Nuova questione pur discutesi nel libro terzo, di gran lume ai periti ed al foro, sul conto delle simulazioni e dissimulazioni dei vizi fisici on- de esimersi per essi da'doveri sociali, come dalle imputabilità criminali: nuove quistioni figurano da ultimo aggiunte nel quarto libro, atte a dilucidare i venefici ed a risolvere le materie dei casi pria non contemplati; e nel quinto, in cui il subietto dei ferimenti ed omicidj ha ricevuto latitudine ed incremento proporzionato a quello che lia conse- guito la scienza chirurgica: e sonosi pur le antiche questioni lumeggiate con de' casi sotto ogni rap- porto per giudicar meglio che in addietro della Io- Questioni di 3iedicina legale 3 tallta delle ferite. Ne qui è ad omettersi la qui- stione afifatto nuova, che il N. A. vi ha posta a di- samina; cioè se sopra il ritrovamento di reliquie animali, sìeno ossa, sangue ec. , si possa per qual- che mezzo stabilire se alla specie umana apparten- gano o a quella di altri animali, e nel primo caso se siano di uomo o di donna. Tultociò abbiamo brevemente posto sott' occhio dei leggitorr, onde metterli nel grado di apprezzare il giusto valore di xin' opera pressoché intieramente rifusa ed illu- strata dalfistesso autore dopo il lasso di circa 18 anni, cui stava ben a cuore il pubblicarla pììi sce- vra da mende e da omissioni , e più ricca di lumi e cognizioni di scienze e di fatti. In conferma quin- di della giusta preminenza che sulle altre edizioni alla presente si debbc, avremmo dovuto, tutt'i sin- goli paragrafi e capitoli percorrendo, di tutti esibir- ne contezza. Ragion però di brevità vietandoci co- tale impresa, ristringeremo l'attuale sunto alla con- templazione delle aggiunte quistioni teste enuncia- te, offrendone un quadro non molto prolisso, ma sufliciente a far conoscere l'alto pregio che le di- stingue. La questione prima del primo libro , il cui titolo si è, come ognun sa, quello di Jfrodisiologla o f^enere forense^ è la prima delle nuove nell'àl- lual edizione aggiunte, siccome superiormente di- cemmo. Scopo di essa egli è il discutere „ se sì „ possa stabilire con qualche precisione, per lume „ del foro , ogni epoca della vita umana dall' in- „ cominclamento dello sviluppo del germe nell'ule- „ ro o dalla concezione al progressivo suo iiicre- „ mento, e dopo la nascita liuo alla decrepitezza e „ morte senile. „ Come quistione sulla scienza delle 4 Scienze epoche della vita, omessa in pria dal N. A., quan- tunque ( com' egli pur attesta ) non trasandata dal- lo stesso Paolo Zacchia da lui assunto per Mento- re del suo aureo lavoro, presenta le dovute distin- zioni delle epoche della vita uterina da quelle che incominciando dalla nascita dell'uomo fino alla mor- te senile di questo protraggonsi. Rettamente infat- ti si tennero ben meritevoli di esser valutate le co- noscenze di quest'epoche, le quali nella vita uteri- na, divisa in quella di concepimento, di embrione, di feto abortivo, di feto che non può vivere, di fe- to vitale immaturo, e di feto maturo o nonimestrc, occuparono sì gli anatomici come gli odierni fisio- logi in istudiare ed osservare i vari casi, raccoglie- re e conservare i prodotti della generazione uma- na dai primordi infino all'ultima delle epoche del- la vita uterina. I caratteri di ciascun' epoca di es- si, quali già son riferiti in tutte le piìi recenti ope- re di medicina legale, e quali ebbe il N. A. la op- portunità di vedere nei piìi celebri gabinetti ana- tomici di Europa, son quivi con accuratezza con- trasegnati dietro le vedute del laborioso Hallcr, di Buifon, di Levret, di Rolando, di Berne, d! Orfi- la, di Mascagni e di Magendie. Distinto dopo 115 primi giorni circa dal concepimento, secondo l'av- viso del Rolando, lo stato di embrione, e pervenuto per lo sviluppo di lunghezza, di peso e di visibilità di rudimenti alla prima sua epoca di esistenza o di vita, se per violenza o per causa qualunque maliziosa venisse espulso dall'utero materno, nessuno riguar- derebbe questo atto come indilfcrentc per le leggi, dice il N. A., e quindi non quistionabile ne impuni- bile pel foro. Rapidissimo è l'incremento deircm- brione dopo quest'epoca prima: ed avvicinatosi ai Questioni di medicina legale 5 tre mesi, cessa di appartenere aircmbrione, ed assu- me il carattere di feto. Infra il terzo ed il quarto me- se corre il feto un rischio naturale o di esser esclu- so dall'utero: ed è per questo non istraordinario ac- cidente che l'Haller chiama questa epoca quella de- gli aborti. Deve su di essa il perito fiscale esser vi- gilante, onde non resti confuso uno sforzo sponta- neo dell' utero sul feto con una violenza crimino- sa esercitata suU' utero , e quindi non equivochi una causa naturale con una maliziosa. Perfeziona- to ancor non è al compir del sesto mese lo svilup- po del feto in tutti gli organi ed in tutte le par- ti: „ Non facendosi tampoco la secrezione degli umo- „ ri più importanti, come la saliva e la bile ec. „ per gli offici della digestione e chilitìcazione, se „ per avventura l'espulsione del feto dall'utero ac- „ cada a quest'epoca, debbo dirsi sempre abortiva-^ „ perchè il feto venuto alla luce non può vivere „ od esser vitale, checche ne dicano certi autori, „ che abbian potuto vivere dei feti di 160, 170 „ forse di 180 giorni; e saviamente scrivevano ì „ famosi giurisperiti Polibo ed Ulpiano, che non „ si tenesse per vitale un feto che nato fosse pri- „ ma di 181. Quindi le leggi romane hanno fis- „ sato la vitalità dei feti o la capacita a vivere ai „ 180 giorni compiti, o al giorno susseguente. An- „ che l'Haller, la cui autorità è mai sempre di gran „ peso nell'arte come nel foro, sostiene che un fe- „ to, il quale non abbia compiuto nell'utero 180 „ giorni, debba aversi per abortivo (1). (I) Ci permetta qui il dottissimo prof. Barzcllotti di soggiu- gnere, che qualche poco più di peso avrebbero meritalo i razio- cini non solo, ma i falli con tanto buon senno ed irrefragabili do- e Scienze Con non minor solerzia e precisione insiste il N. A. in descrivere i segni tutti, che distinguer ci fanno i feti dall'epoca del sesto mese compiuto fi- no al termine del nono, in cui avviene il perfet- to loro sviluppo nell'utero , o tutto quello di cui cumenti raccolti e discussi dall'egregio cav. Meli nella sua Giu- risprudenza medica sulla vitabilità de' figli nati prima del setti- mo mese e sui loro diritti civili ec. E quand' anche si volesse per un momento fare astrazione dal peso delle riflessioni sebbe- ne gravissime ivi inserte intorno alle eause acconce a promuove- re un celere naturale sviluppo dei feti nell'utero, intorno alle favorevoli circostanze di cotale sviluppo, per le quali le azioni degli organi vitali possono continuare nei feti venuti innanzi tem- po alla luce ; intorno alle così dette compensazioni fisiologiche, con le quali tende la natura a serbar la vita dei feti anticipata- mente nati; intorno alla influenza dei fisici agenti al serbamenlo della vita positiva di questi feti; quando in somma ridurre si vo- lesse al silenzio lo spirito delle argomentazioni teorico-fisiologi- clic, sarà giuoco forza ascoltare la voce della esperienza maestra di tutte le cose, la voce del fatto. Su di che ce ne appelliamo a quanto lo stesso chiarissimo Barzellotti scrive su tal subietto al §. CXIX pag. I27.„ Ma quando un solo caso ben avverato vi fosse del- ,, le une come delle altre nascite , cioè che questi feti precoci „ e serotini abbian potuto vivere, questo solo sarebbe sufficiente ,, per ammetterle e non rifiutarle. Ora non uno ma più di que- „ sti casi sono stati raccolti, che non possono mettersi in dubbio „ Si, aggiugueremo, non uno, ma più casi di parti avvenuti in- nanzi r epoca di i8o giorni si contano per constatati; non sarà dunque di tanto lieve peso 1' opinione di varj scrittori che am- mettono la vitabilità dei feti prima dell'epoca or divisata. Robo- reggiano questo asserto anche alcune sanzioni ed interpretazio- ni di leggi. Mentre perù non intendiamo portar decisione in con- troversia siffatta, abbiani ritenuto come debito d' imparzialità , senza menomare la estimazione utilissima che per il preclaro prof, di Pisa abbiamo costantemente nutrita e nutriamo, come debito d'imparzialità il rammentare ai leggitori del presente sun- to il valor delle ragioni che assistono i varj famigciati scrittori , che non risguardauo per abortivi i feti venuti alla luce pria dei i8o gloriai compiuti. (Il Compii) Questioni di medicina legale 7 in esso possono esser suscettibili. Precoce^ imma- inro^ anticipato^ seLhcne non abortivo, e capace di campar la vita, riguardato venne il parto che si eifettuò all'epoca del compimento del sesto mese: la lunghezza ed il peso del feto , le proporzioni delle tre cavita. Io stato del tessuto cutaneo e cjucl- lo dei vìsceri si rimarcano opportunamente deli- neati. Le stesse norme son seguite dal N. A. nella descrizione dello stato delle parti negli altri mesi susseguenti , senza omettersi menzione del tessuto osseo a forma delle interessanti osservazioni che possediamo dopo i tempi dellTIaller, non che del- le varie dimensioni del cranio, e dei riscontri final- mente da trarsi dalle appartenenze del feto nella sua vita uterina. In altri due separati articoli ci parla quindi il N. A. delle epoche della vita estrauterina, distin- te in quelle della nascita, dell'allattamento, della dentizione, o della prima e seconda puerizia^ dell'a- dolescenza, pubertà, giovinezza, maturità, vecchiaia, e decrepitezza; epoche fondate nelle successive ri- voluzioni cui soggiace il corpo umano, epoche in- dicate dalle proprie caratteristiche o segni distin- tivi che successivamente le determinano. L'esisten- za indipendente, che il feto nella sua emancipazio- ne dal seno materno assume, è opera della prima rivoluzione, che ben lascia le marche dell'epoca in cui e accaduta, onde per esse potersi la medesima conoscere e stabilire. Preziose nozioni qui abbia- mo per la soluzione dei varj casi, che risguardar possono lo scopo forense. Lo stato del cordone om- bilicale vien preso in sulle prime a disamina be- ne scrupolosa onde regolarne, pe' segni che offre , r epoca della nascita del feto , e se vivo o morto 8 Scienze sia questo uscito dall' utero materno. Conseguita quindi la considerazione del distacco o disquama- zione della cuticola, secondo 1' ordine con cui si scorge avvenir nelle parti. Sussiegue la descrizio- ne accurata dei segni meno equivoci, che additar possano 1' epoca della morte del feto, cioè lo sta- to delle due aperture o dischiuse o più o meno obliterate, cioè del forame ovale e del canale ar- terioso. Fa stima il N. A., che i gradi di ristrin- gimento di queste due comunicazioni dopo la na- scita, la figura e posizione loro rappresentano per avventura i giorni di vita che può aver menati il feto dopo la sua uscita dall'utero, o stabilir quel- li della distanza che vi è passata dopo la morte. Bernt ha proposto un termine di paragone per meglio giudicarne ; ma Orfila non ne fu pago, avendo rinvenuto delle anomalie nelle osservazio- ni dello scrittore alemanno. Siccome però la na- tura nel processo della ossificazione osservasi mol- to regolare e costante; cosi dati meno equivoci questa ci somministra nello stato di ossificazio- ne delle varie parti dei feti per meglio determi- nare le epoche della vita loro o della morte, astra- zion fatta per altro dalla ossificazione ed eruzio- ne dei denti, la quale per se sola render si po- trebbe ingannevole. Pili manifesta e riflessibile si è dai due ai sette anni la progressiva ossifica- zione, r andamento di cui nelle varie parti va successivamente descrivendoci il N. A. unitamen- te alle dimensioni del tronco e delle estremità , accompagnando cosi l'umano organismo per il cor- so delle varie epoche della vita fino alla decre- pitezza. Innanzi di abbandonare il primo libro dispen- Questioni di medicina legale 9 sarci non possiamo Scoperte del P. Linari 55 punto quella, cui i cultori delle scienze fisiclie con forte interesse cercavano dì scuoprire pei progres- si delle stesse scienze , e più particolarmente poi della elettrica. Effetti d'elettrica tensione^ di proprietà chimica e calorifica» Convengono tutti gli scrittori delle proprietà elettriche della torpedine in asserire : che all'istan- te in cui essa dà la scossa, alcun degli osservatori di questo fenomeno non havvi mai ravvisato segni d'e- lettrica tensione. I primi luminari della fisica presero forte impe- gno per questa importante ricerca. Wals inutilmen- te tentò di vedere una qualche attrazione e repul- sione tra due midolle sferiche di sambuco. Volta, e quanti fisici, dopo questo dotto elettrista, anche con indicatori scelti tentarono di scuoprirvi la piìi pic- cola tensione propria a quelle elettricità, che la danno, trovarono questi sempre inerti , e morti nei propri modi loro di accennarla. Gay-Lussac ed Hum- boldt , dopo attentissime proprie loro osservazioni sulle proprietà della mentovata scossa, conchiusero dicendo : non esservi di proprio alla scossa stessa della torpedine alcun effetto d'elettrica tensione. A fronte di tutto ciò il prof. Linari, dal mero fatto astretto, dee annunziare di avere al contrario nella scossa di detto pesce ravvisata anzi la proprie- tà di effetti d'elettrica tensione, mediante la diver- genza , che la scossa stessa produceva nelle lamine d' oro di un suo delicatissimo elettro-scopio. Il che per questa fatta otteneva, troncando cioè all' istante della scossa simultaneamente la comunicazione, che 56 Sciènte il condensatore elettroscopio aveva e con la teri*a , tì con una delle superficie del pesce. Allora, dietro il solito stacco verticale del supcriore dall' inferior piatto condensatore, tosto le dette lamine d' oro di per se stesse aprivansi, e rimanevano sensibilmente divergenti: effetto di elettrica tensione. Quest'appa- recchio, o macchina, che per tal ricerca aveva pre- cisamente fatto costruire , era stata eseguita sotto la sua direzione dall'abile sig. Bertoni macchinista del- la stessa università. Lascia frattanto di farne la de- scrizione 5 poiché essa è fatta secondo i metodi più scelti e raffinati che nella sua dotta opera „ Traitè de r electricité et du magnetisme „ accenna il Sig. Bc- querel; ed è arricchita degli ultimi perfezionamenti scoperti , ed applicati a questa stessa macchina dal sig. Peltier, onde per la medesima possasi sulle sue lamine apprezzar senza errore anche la più tenue elettricità. Soltanto egli fa osservare: 1 che i piatti erano grandi in diametro 7 pollici, e di rame a gros- sa doratura d'oro buono; 2 che le dita, che toccavano, al momento della scossa, il piatto superiore dell'ape parecchio, lavavansi precedentemente in acqua stil- lata, ed osservavansi tutte le precauzioni , che esige la delicatezza di questa esperienza; 3 che il filo di comunicazione tra il condensatore, ed una delle due facce del pesce, era corto. Sopra 40 in numero furono i colpi di scossa tratti da piìi d'una delle torpedini con effetto. L'am- piezza della divergenza delle lamine era piìi gran- de, o pili piccola in ragione della intensità della stessa scossa. Lasciando indietro le più piccole os- servate divergenze , e dando a stima in numeri di gradi d'arco l'ampiezza stessa di ciascuna delle me- desime; le amplitudini perciò di queste potevano va- Scoperte del P. Limàri 57 lutarsi trai 10 ed. i 12 gradi d'arco dì cerchio, il cui raggio era la lunghezza d' una di dette lamine d'oro. Importa per quest' esperienza , che le torpe- dini siano sane, e nella grandezza almeno tra gli 8 e i 12 pollici , allorché vogliasi osservar sensibile la divergenza in esse lamine. Siccome poi la bontà della macchina del con- densatore-elettroscopio portava il vantaggio, che nei momenti d'ambiente asciuttissimo le lamine per ten- sione elettrica avessero una durata sensibile nella presa lor posizione di divergenza; così l'istesso pro- fess. Linari profittò di questo importante effetto di essa tensione, onde scuoprire per questo nuovo fat- to i poli elettrici , e la posizione di ciascun di loro neir apparecchio proprio della torpedine. Il che to- sto al medesimo si presentò facile a conseguirsi. Poi- ché col metodo delle elettricità conosciute avendo scoperto, esser di elettricità positiva le correnti di comunicazione eolla superficie del dorso, d'elettri- citk negativa quelle comunicanti colla superficie del basso ventre: ossivero avendo in sostanza ravvisato , che tutte le correnti lanciate dalla scossa del pesce uscivano costantemente dalla superficie del dorso, ed entravano da quella del petto ; perciò da questa co- nosciuta lor proprietà conchiuse , i lor poli , ossia quelli dell'apparecchio proprio alla torpedine, esse- re il positivo, alla sua superior superficie ; il nega- tivo, alla inferiore. Questi suoi risultamenti, dedotti dalla legge del nuovo fenomeno di elettrica tensione, ne incontraro- no la lor conferma in quei, che di nuovo dedusse da quelle di deviazione dell'ago nel galvanometro. Conosciuti dal prof. Linari i poli elettrici, e la posizione di ciascun di essi nell'apparecchio, od or- G. A. T. LXX. 5 58 Scienze gano elettrico della torpedine col mezzo degli ef- fetti delle proprietà fisiche dell'agente, che produce la scossa, cercò di ravvisarli per maggior loro con- ferma per quelli delle proprietà chimiche. A questo riguardo pose in primo luogo nel circuito della corrente, mediante due fili d' oro di zecchino, un tubetto di vetro ripieno d'una forte so- luzione di nitrato d' argento. Il tulaetto era chiuso in ognuno dei suoi estremi con sughero e cera di Spagna; ed i medesimi fili d'oro, ciascuno dalla pro- pria parte coli' altra estremità lungo 1' asse del su- ghero nel medesimo tubetto internata, si stavano di fronte alla reciproca distanza di poche linee. Allor- ché dunque la soluzione fu esposta alla effettiva azio- ne delle correnti lanciate dalla scossa, dopo non pic- col numero di colpi dì questa , il filo d' oi*o, che guardava il dorso del pesce, si presentò niente cam- biato nel suo naturai colore: l'altro filo , che era di- retto al basso ventre, venne ricoperto dall' argento, che visibilmente osservossi raccolto sopra del mede- simo. Per una seconda volta essendo stato ripreso ristesso sperimento, col metter nel tubetto nuova quantità della medesima soluzione, il fenomeno ri- comparve ugualmente, e nel modo sopra mentovato. Sottopose in secondo luogo, all'azione della cor- rente della scossa, dell'acqua rinchiusa in un pic- colo apparecchio di decomposizione. I due fili in essa immersi , e pe' quali la medesima faceva par- te del circuito, erano dì ferro. Perciò all' istante d' ognuna delle scosse, date dal pesce, detti fili ve- devansì comparire : quello comunicante colla su- perficie dorsale dì esso pesce, inattivo, al più co- perto di qualche bolla d'aria, ma per altro ossi- dato ; l'altro, che riferivasi alla superficie del di Scoperte del P. Linari 59 lui bassoventre, all' intorno di se stesso coprivasi di copia di bolle e fili d'aria, che veloci salivano al livello dell'acqua. Invertendo la corrente, 1' i- drogene usciva dall'intorno del primo, ed inattivo presentavasi il secondo. Dal che dunque i risultamenti delle proprie- tà chimiche dell'agente produttore della scossa del- la torpedine , esattamente coincidendo con quelli delle fisiche, corroborano maggiormente dì verità la di sopra dal medesimo prof. Linari dedotta con- seguenza; che l'organo, o l'apparecchio proprio di essa torpedine, ha i suoi poli elettrici; il posi- tivo alla superiore , il negativo alla inferiore sua superficie. Infruttuosi non furono i tentativi, che il prof. Linari praticò, se non per decisivamente scuopri- re , almeno per ravvisare una qualche nota pro- prietà calorifica nelle elettriche correnti tratte dal- la torpedine. A fine per tanto di riuscire nei medesimi , intrapresi per sì rilevante ricerca, erasi costruito un apparecchio termoscopico consimile a quello già conosciuto di Peltier, onde per un certo ana- logo modo in dette correnti notar comparsi mar- catamente sensibili quei piccoli effetti di proprietà calorifica, che Peltier col ritrovato suo termosco- pio nelle deboli elettriche correnti scoperto aveva. Nella costruzione del proprio apparecchio il prof. Linari giovato erasi della descrizione, che il sig. Becquerel nella citata sua opera „ Traité de l'èletricitè ec. „ fa di quello del sig. Peltier me- desimo. Il detto consimile apparecchio termoscopico del medesimo prof. Linari consisteva adunque in 60 Scienze un elemento di pila termo'-elettrica composta di due piccole sbarre parallelepipede, lunghe ciascu- na 30 mill. di bismuto l'una, e d'antimonio 1' al- tra , e quasi pe' loro stessi metalli saldati in cro- ce, sotto la figura della lettera X. Questo elemen- to rimaneva fissato nella meta della lunghezza d'un cilindro di legno verniciato di gomma lacca, e so- stenuto orizzontalmente negli estremi del suo as- se dai proprii loro perni. Ad uno di questi estre- mi dell' asse stava applicato un meccanismo, per cui dietro il rapido scatto di una molla trasmet- tendosi un moto di rotazione da una parte all'al- tra intorno a detto asse ed al cilindro , questo all'istante, nella direzione del moto ricevuto, alza- va le une aste dell' elemento termoscopico da un lato, ed abbassava le opposte dall'altro. Al di sotto delle aste dell'elemento, ed in un medesimo piano erano quattro dischetti di rame, e verniciati di gomma-lacca alla inferiore lor su- perficie. Due di essi stavano in contatto colle superfi- cie dell'estremità delle aste ascendenti, prima che queste tratte fossero al moto : gli altri due colle superficie dell'estremità delle aste discendenti egual contatto prendevano: all' istante che di queste il corso di lor movimento essi medesimi arrestavano. I primi dischetti erano i termini delle ap- pendici dei fili reofori , i secondi gli estremi di quelle del filo del galvanometro. Questo era il sen- sibile di Nobili. L' elemento termoscopico dunque faceva parte della corrente elettrica, o termo-elettrica : secon- do che stava il contatto o delle aste ascendenti co' dischetti : delle appendici dei fili reofori , o Scoperte del P. Linari 61 delle discendenti con quelli di quelle del filo del galvanometro. Una tavoletta quadra di legno ben secco sosteneva, e teneva fissati e disposti sopra di se , nel modo indicato, e l'apparecchio termoscopi- co , e le appendici dei fili reofori , e del filo del galvanometro. Ciò premesso , e supposto aperto il circuito alla corrente elettrica , al comparir del segno di scarica della scossa , fattasi contemporaneamente scattar la predetta molla, il cilindro o bilanciere prendendo il moto nel senso mentovato , passava dalla rottura della circolazione di detta corrente elettrica, all'aprimento di quella termo-elettrica. Il misuratore della intensità della corrente elet- trica consisteva in un galvanometro poco sensibile, in quanto che il filo intorno all' ago era cortissi- mo, non facendo che una sola evoluzione dall' una parte e dall'altra del medesimo ago. Peraltro que- sto filo era coperto di seta verniciata sopra da gom- ma-lacca. I fili reofori erano corti. La sensibilità poi dell'elemento termoscopico era anticipatamen- te stata sperimentata per mezzo di una debole cor- rente elettrica da un elemento galvanico di tre pol- lici di diametro, ed immerso in acqua non molto acidula ta. Venendo all' applicazione fatta di esso appa- recchio alla corrente prodotta dalla scossa della torpedine, devesi notare precedentemente; 1 che, nella serie di correnti lanciate dalla scossa di det- to pesce, parte faceva del circuito elettrico il mi- suratore, o meglio, indicatore nel caso nostro: 2 che i colpi di scossa tratti da più torpedini minori non furono di 30 ; 3 che 1' andamento delle cor- renti era supposto dalla superficie superiore all'in- 62 Scienze feriore dell'apparecchio della torpedine ; 4 che tan- to le correnti positive, quanto le negative eran sem- pre fatte, nel termoscopio, dal bismuto all'anti- monio. Premesso ciò, eccone i risultamenti. Le correnti positive hanno dato per media mas- sima nell'ago del galvanometro gradi 5, per media minima gr. 2. L'indicatore dell'intensità della corrente della scossa ha dato per media massima gr, 1 0, per me- dia minima gr. 5. Le correnti negative hanno parimente dato per media massima gr. 4, per media minima gr. 1. L'indicatore ha dato per media massima gr. 9, per media minima gr. 4. Osservazioni sopra le proprietà elettriche ed elettro-fisiologiche. Mentre che una delle torpedini mostravasi prossima alla morte, il prof. Linari premendo col- le dita le superficie opposte d'uno degli organi del- la medesima , contro le dita stesse sentiva , come Spallanzani e Bosc, una continuata serie di piccoli colpi somiglianti a quelli , che da il polso della mano. Tolte quindi le dita, ed applicate con pres- sione, in lor vece, le estremità del filo del galvano- metro, subito l'ago di questo all'istante del lancia- mento d'ognuno di detti piccoli colpi sensibilmen- te deviava, e con oscillazioni dirette sempre verso un istesso senso. Il qual senso era quel medesimo, ch'esse oscillazioni , sebben con altra considerabi- Scoperte del P. Linari 63 lissima ampiezza, Tistesso ago faceva, impulso dai colpi dell'ordinaria scossa della torpedine. A proporzione intanto, che l'intensità dei col- petti andò scemando, l'ago del pari nelle amplitu- dini delle sue oscillazioni decrebbe. Ciò non ostan- te il medesimo ago, mercè d'esser sensibilissimo, proseguendo a palesar notabili dette sue oscillazio- ni ancora quando i piccoli colpi al senso delle di- ta appena mostravansi distinguibili, da esse rile- var faceva reale sempre l'esistenza di questi piccoli colpi, sebben tenuissimi in intensità ridotti fosse- ro. Allorché poi spento comparve qualunque segno della stessa loro esistenza, o delle più piccole trac- ce d'elettriche scariche , l'ago medesimo cessò da ogni sua oscillazione, fermandosi costantemente im- mobile sul punto zero, a fronte che per la durata d'incirca 12 minuti di tempo appostatamente, ed in modo continuato aperto alla corrente tenuto ne fosse il circuito. Nel numero non minore di 40 torpedini abili o non abili, procuratesi dal prof. Linari per sotto- porle ai suoi sperimenti, trovò esser queste quasi tutte femmine e la maggior parte pregne. I maschi oltre l'esser magri, e piccoli, in parità di grandezza, meno energici d'elettrico si mostrarono. Per tale imprevisto, ma ben augurato inciden- te, dietro la dissezione che fece di quasi tutto il predetto numero delle femmine, ebbe luogo di po- ter osservar nella doppia lor matrice il feto dal suo primo embrione fino alla perfetta sua maturità. Questa osservazione pertanto non solo riuscì utile al medesimo per riscontrare in fatto ciò, che dall' ittiologia sapevasi, cioè che questo pesce è dei vi- vipari , le cui femmine madri partoriscono i lo- 64 Scienze ro piccioli alla spiaggia del mare liberi a se stessi pienamente, perchè bisognevoli non più di nutri- zione, ne di materna assistenza; ma ancora per la sua diretta ricerca, cioè se questi piccioli e prima d'uscire dall'utero materno e neonati godano l'istes- sa proprietà, che il restante dplla loro specie. A questo riguardo infatti premendo legger- mente colle dita 1' organo d' uno dei cinque , che viventi in una delle matrici, dissecandone le supe- riori pareti, trovati avea immediatamente in ciascu- na delle ripetute pressioni , sentì altrettante pic- cole scosse; quindi trattolo fuori, e posto il mede- simo sopra isolatore dell'elettrico, i colpetti di scos- sa manifestaronsi notabilmente piìi forti. Fenome- no, cui Spallanzani accusa aver parimente osserva- to. Applicate dipoi alle opposte superficie del pic- colo di lui apparecchio elettrico le punte del filo del galvanometro, l'ago di questo per taluna delle scossette lanciate dal detto neonato pesce compì qua- si il cerchio d'una delle sue rivoluzioni , ed inoltre dietro la legge di sua deviazione rapporto al senso della direzione della corrente , che fuori del suo piano lo trae, indicò che nei due elettrici apparec- chi del parto e della madre le polarità respettive dell'uno erano identiche a quelle dell'altra. Gli al- tri piccioli, tratti parimente fuori dall'istessa ma- trice, ed immersi nel liquido loro elemento, imme- diatamente si fecero osservar natanti, e proporzio- natamente alle lor proprie forze dar la scossa co- me i provetti. Frattanto il prof. Linari, dopo avere sotto più riprese per il corso di due giorni adoprate alcune torpedini per trar da esse l'elettrica scossa, morte che queste furono, aperto il loro stomaco, all'incir- ScOPEKTfi DEL P. LlNARI 65 ca trovò, che il medesimo era ripieno di piìi pe- sci tra piccoli e grossi. Il peso d'uno di questi ulti- mi oltrepassava once sei toscane, ed il peso della torpedine minor non era di sei libbre. Il detto pe- sce appena cambiato era dallo stato suo naturale, come per poca pììi, per poca meno diflferenza mo- stravano d'esserne i rimanenti. Il sugo gastrico nel- lo stomaco stesso appariva non esservi in quella quantità necessaria alla lor digestione. Altre poi , nel cui stomaco le digestive funzioni ben effettua- te riscontrate furono, esse medesime oltre 1' esser- si mostrate vigorose e sane , aver date più ener- giche le loro elettriche scosse, aver in fine dentro maggior durata di tempo eguali sperimenti subito, morirono anche piìi tardi delle prime. Questo fat- to mostrerebbe tendere ad annodarsi all'opinion di Davy , cioè che in questo pesce 1' elettrico flui- do superfluo alla difesa, ed all'acquisto della preda, serva alla digestione dello stomaco. Poiché in quest' ipotesi, dietro sì forte detrazion di fluido, median- te il lanciamento delle scosse elettriche, operata, gli effetti delle forze digestive, nello stomaco delle pri- me torpedini, insensibili apparir dovevano. Siccome poi 1' istesso Davy congettura an- che, che il superfluo fluido elettrico serva al pesce stesso di mezzo onde procurarsi l'ossigeno ; per- ciò il prof. Linari medesimo stima non fuori di ana- logia con detta congettura questo seguente suo fat- to. Sei di questi pesci avendoli posti in una gab- bia di vinco, e quindi fatti stare per lo spazio di cinque giorni ad una data profondità dentro al ma- re, trovò questi pesci attissimi , irritati a dar là scossa, ed energici e sani come se in quell'istante 66 Scienze per Tordinaria pesca liberi nel mare fossero stati presi, e da esso senza veruna offesa tratti fuori. Dopo di ciò per estensione e per seguito dell* esperienze elettro-fisiologiche fatte sulla torpedine da Galvani, da Spallanzani, e da altri rinomati fi- sici, il prof. Linari si è occupato in far le seguenti sue sperienze: 1. Aperto ad una torpedine il cranio, e recisi i nervi da un lato del piìi grosso dei tre lobi del cer- vello; l'organo, corrispondente alle diramazioni di detti recisi nervi, operava, allorché una punta del filo del galvanometro toccava questo lobo, e l'altra l'inferior superficie di esso organo. Forse i recisi predetti nervi tornavano come a riunirsi. Lacerato poi il cervello, veruna parte dell'organo principa- le del pesce operava. 2. Tolta ad una seconda la pelle , che copre il cranio, quindi con una delle estremità del filo del galvanometro toccata l' inferior superficie dell' orga- no principale , e con l'altra estremità punta la det- ta nudata parte , l' organo non operava : mentre al contrario nel resto del corpo del pesce osserva- vansi delle commozioni. Aperto poi il cranio , e toccato colla solita estremità del filo il più grosso dei lobi del cervello , od all' intorno di esso toccati i nervi , all' istante di ciascun di tali toccamenti molte rivoluzioni fece 1' ago del galvanometro. Pri- ma ferito , quindi lacerato , ed in ultimo tolto il cervello , in ciascun di questi casi sotto le stesse punture 1' ago del galvanometro giammai deviò da zero , ed intanto in varie parti del corpo del pesce stesso fortissime contrazioni osservaronsi: il che mo- stra , che tali conti:azioni non erano che puramen- te muscolari. Scoperte del P. Linari 67 3. Ad una terza, recisale longitudinalmente la parte del dorso, ove i quattro grossi fili nervei nel respettìvo lor organo inserisconsi, e recisi quindi i due intermedj di essi nervi, allorché co'due estremi del filo del galvanoraetro venne punto l'organo loro corrispondente nelle opposte sue superficie , operò. Reciso di poi il terzo, posto presso le pinne pettora- li , r organo operò. Reciso il quarto, o 1' anteriore, r organo non operò. In ciascuno di questi casi un grosso cartone intercettava la comunicazione tra le parti di detti nervi recisi. k. Ad una quarta dissecato il petto , quindi al- lacciato il gran vaso sanguigno del cuore , e questo da detto vaso reciso , e tratto fuori dalla cavità del petto medesimo, ciascuno degli organi punto nel- r opposte superficie dagli estremi del filo del gal- vanometro , operava. Tagliati ( esp. 3 ) i quattro grossi nervi ad uno di detti due organi , questo 'ferito non operava , il sano sì. 5. Ad una quinta finalmente , 1. recisi i due organi in modo , che soltanto per la loro anterior parte al resto del corpo congiunti rimanessero: ve- runa di queste due parti dell* organo principale , punta come sopra ( esp. 4 ) , operò al galvanome- tro : 2. aperto il cranio , e punto il cervello con un estremo del filo del galvanometro , mentre l'al- tro stava in contatto al di sotto d'uno dei due or- gani: alcun di questi, sebben T animale vivesse an- cora, non operò. 6. Applicato al cervello , ed ai nervi ad esso attorno , le correnti elettro-magnetiche , che da forte calamita armata d' ancora a filo spirale trae- vansi , tosto ai colpi istantanei di queste correnti varie parti del corpo del pesce si commossero , e 68 Scienze varie altre fortemente sì contrassero ; ma gli or- gani elettrici niun segno di commozione e di con- trazione mostrarono. Le torpedini adoprate per queste cinque pre- cedenti sperienze , sebben sane e vigorose fossero, erano piuttosto piccole; le adoprate in quelle, che seguono, erano morte, ma grosse. 1. Scoperto il cervello ad una da pochi mo- menti morta , quindi le due estremità del filo spi- rale del predetto apparecchio elettro-magnetico ( 3 sp. 5) applicate, 1. sopra vari punti del cer- vello : 2. in diversi modi sopra i nervi , che dal medesimo cervello alle diverse parti del corpo con loro proprie diramazioni vanno: da questi due ca- si ne risultò , che per il primo osservaronsi delle sensibili commozioni nel corpo del pesce : per il secondo si videro fortemente commoversi e con- trarsi quei muscoli, co'quali in respettiva relazio- ne erano i nervi toccati ; ma in alcun di ambedue detti medesimi casi non mai gli organi elettrici si commossero. I risultamenti di questa e della 5 delle spe- rienze coincidendo con quelli di Davy, conferme- rebbero che gli organi elettrici di questo pesce non sono muscolari. 2. Dissecato il petto a piìi d' una delle tor- pedini già da pili ore morte , e sottoposto il lor cuore air azione delle correnti elettro-magnetiche, questo si contraeva , e distendevasi piìi o meno ve- locemente , secondo che più corti , o più lunghi erano gU intervalli tra il colpo dato da una cor- rente , e quello d' un' altra. I medesimi moti di si- stole e di diastole nel cuore di questi animali , col mezzo della medesima azione di dette correnti Scoperte dei P. Linari 69 r istesso prof. Linari potè tornar di nuovo ad os- servare anche 1 6 ore dopo la lor morte ; mentre poi nel cuore d' un grosso nasello suscitarli non potè , che un' ora dopo che spenta ne era la vita. Quando il sangue nel lor cuore è divenuto coagula- to, il fenomeno più non comparisce. Le torpedini , che al pr. Linari servirono per tutta la menzionata sua serie d'esperimenti, in gran- dezza erano dai 7 ai 12 pollici. Appendice. Scintilla tratta dalla pila termo-elettri- ca dal comm. cav. f^incenzio Antinori direttore deiri. e R. museo di Firenze^ e dal p. Santi Li- nari delle scuole pie, professore di fìsica deWI. e R. università di Siena, ed osservazioni di que- st'ultimo sopra detta scintilla. All'epoca in circa dei primi d' aprile del cor- rente anno 1836 , nella quale il sig. cav. Antinori potè procurarsi , per replica del prof. Linari ad una sua lettera , la notizia che il medesimo prof. Linari a Talamone nel 27 marzo del suddetto cor- rente anno con spirali elettro-dinamiche e con ma- gnete temporaria dal pesce torpedine aveva tratta r elettrica scintilla , prese a ragionare con se stes- so , dicendo : Se tali mezzi applicati fossero alla pila termo-elettrica, chi sa che dalle correnti sue circolanti in un consimile apparecchio ugualmente non se ne traesse il fenomeno stesso della scintilla! Fatto questo ragionamento, e provando , in effetto la ottenne. Alla circostanza , nella quale notifica- vagli il prof. Linari con amichevole sua lettera d' essere nel caso di pubblicare i surriferiti suoi la- vori fatti sul detto pesce torpedine , già al medesi- 70 Scienze mo per altre lettere notificati fin dal tempo in cui esso prof, gli effettuò, credette opportuno il sig. An- tinori di pregare 1' istesso prof, di unire in appen- dice ai medesimi 1' annunzio di detto suo osservato fatto. Il prof. Linari si esibì di ciò fare , convenen- do di voler prima tentar di trarre anch' esso la det- ta termo-elettrica scintilla. La quale nel mese d' ot- tobre dell' istesso corrente anno in efietto avendo ottenuta, ora fa noto al pubblico il fenomeno sepa- ratamente osservato. Intanto il medesimo prof. Linari aggiunge qui alcune sue osservazioni riguardanti il mentovato con- seguito fenomeno della scintilla , e le proprietà del- la pila , da cui è stata tratta. Osservazione i. Con apparato composto di ma- gnete temporaria , e di spirali elettro-dinamiche a filo lungo 154 metri da una pila di Nobili termo-elet- trica , e di soli 25 elementi , traeva una scintilla brillante , che facevasi osservare anche in mezzo alla luce diffusa del giorno. 2. Con una spira sem- plice a filo lungo 8 piedi costantemente nell' oscuro comparir vedeva la scintilla allo stacco per ogni interruzione di corrente: con filo lungo 15 pol- lici vedevala di rado , ma distinta ; con pila rad- doppiata anche per un filo lungo 8 pollici , sotto lunghezze minori di quest' ultima , mai piìi com- parvegli. In qualunque dei predetti casi la comparsa di detta scintilla non potè osservarsi , che al solo stacco comunque cortissimo ne fosse il filo. Talmen- techè per il momento sembragli , che tale scintilla termo-elettrica aver non si possa, che nel mentova- to solo caso dello stacco. Al qual sentimento va di conforme parere anche il sig. Antinori ; poiché dai lumi , che attualmente si hanno sopra l'elettri- I Scoperte del P. Linari 7t che correnti , apparisce , che siavi tutto il fonda- mento di poter sospettare , che una corrente , la quale circola per vie tutte metalliche, rifuggir non possa r influenza d' induzione. Il fatto per altro sa- rà quello , che ciò meglio in seguito dimostrerà. 3. Detta pila di si pochi elementi , e dentro si ri- stretti limiti di temperatura del ghiaccio , e del- l'acqua bollente con fili corti e terminati da estremi- tà ossidabili, dava benissimo la decomposizione del- l' acqua , facendo sensibilmente sviluppar 1' indro- gene da una di esse estremità. 4. Posta una mischian- za di sai marino umettato da acqua e di nitrato di argento tra due laminette d' oro orizzontali , e co- municanti respettivamente coi fili della pila <, que- sta , dopo aver agito sulla mischianza , segni evi- denti d' argento ripristinato ha fatto comparir sulla laminetta, che guardava l'antimonio. 5. Un ago ver- gine, strettamente circondato in spira dal filo del circuito, è rimasto ben magnetizzato dalla di lei cor- rente. 6. Sotto r azione di questa medesima corrente distinto osservavasi il fenomeno del palpito del mercurio. 72 Lezioni sulle malattie nervose per ser\>ire di prole- gomeni ad un trattato completo intorno alle me' desime. Del professore Francesco Puccinotti. Fi- renze 1834 (1). F. ece di già conoscere il sublime N. A. fin dall'an- no 1826 nel giornale di medicina analitica del eh. Strambi©, in un saggio sulle differenze essenziali del- le malattie, la necessita d'innalzare al grado di con- dizione morbosa dalle altre distinta la nevrosi. Di- mostrò ivi doversi questa in moltissimi casi risguar- dare come un morbo idiopatico e particolare del pro- cesso vitale dei nervi , non riducibile all' impero delle due o delle tre ricevute diatesi. Rimarcò altre- sì , che per non esser sempre prodotta da una cau- sa unica e sui generis, non poteva ritenersi come morbo specifico la nevrosi , non potendone i vizj di assimilazione organica costituire la particolar natu- ra: tanto piìi che una notevole indipendenza fisiolo- gica havvi fino ad un certo punto tra i poteri della funzione nutritiva o quelli della sensoria. Si fecero indi luminosi progressi mercè de'travagli di molti sommi nei rami relativi alla dottrina delle nevrosi , ma non si ebbero solide riforme e perfezionamenti (i) Sembrerà larda la menzione di un lavoro pubblicato da olire due aoni : la conoscenza perù dei pregi del medesimo ser- virà di compenso all'indugio frappostovi dalle nostre occupazio- ni. Non esiliamo quindi ulteriormente ad esebirne il presente estratto compilalo già da molli mesi per altro giornale. (//Com/>j7.) Malattie nervose 73 per la insufficienza del metodo. La influenza delle dottrine fisiologiclie, che dall'epoca della riforma fin quasi all'ultimo decennio ebbero dominio nelle scuo- le d'Italia, trattenne con forza incredibile il progres- so della ragion clinica per la via da calcarsi. Il sen- sualismo si accordava mirabilmente colla passività della vita predicata da Brown , e quindi 1' influen- za di un popolo straniero rivolse gli spiriti italiani verso Condillac e Tracy , ed ovunque s' insinuò il sensualismo francese. Ne fu che dopo lungo pensare e predicare, che l'Italia discacciò il sensualismo dal- le sue accademie, e si ripresero a costruire le scien- ze con materiali del nostro suolo e con maniere e con stile tutto nostro. Il piìi valutabile frutto però che fra le questioni del dogmatismo diatesico e del- lo scetticismo bufaliniano ne derivò alla scienza , fu quello di convincersi del bisogno di riformare il metodo filosofico. Se pertanto il predetto sensuali- smo , come sembra , ha ritardato il progresso della intera scienza medica, non è maraviglia che le prin- cipali parti di essa , come lo studio delle malattie nervose , abbiano subito il medesimo destino. Studiossi il N. A. nella sua Patologia induttiva^ della quale si rese contOiper noi in queste carte ( al quaderno di maggio 1829, non che negli Annali di medicina del eh. Omodei ai fascicoli di giugno e di agosto di detto anno), di accennare ai punti princi- pali sii'qnali dovea ricostruirsi la teorica dei morbi nervosi ; ma piacquegli dappoi occuparsi con mag- gior latitudine in raccorre gli opportuni materiali per un corso di Lezioni di filosofia medica^ x\n pro- spetto di cui egli offre nel proemio di cui e discorso. Il voto per altro che in questo rimaneva per la istru- zione dei giovani , cioè un Trattato delle malattie G. A. T. LXX. 6 74 Scienze ner\fOse , lo spinse ad arricchire le parti del suo primitivo divisamento , e dilatarne così e comple- tarne la esposizione. Soggiornando il Puccinotti nel- la eulta Firenze , ed invogliatosi di meglio stabilire i principii che sostengono la dottrina delle indicate morbosità, confessa aver potuto fruire di una decisa utilità neir assistere alle sperienze del cel, prof. No- bili intorno alle correnti elettriche , nell' osservare i nuovi fenomeni elettro-magnetici , ed intenderne da lui stesso le ingegnose novelle spiegazioni. E men- tre si propone fra qualche altro anno di rendere di pubblico diritto il completo trattato sulle malattie nervose , ha creduto espediente per pili motivi il publicarne in queste lezioni i prolegomeni. LEZIONE I. Delle malattie nervose in generale : importanza ed opportunità del loro studio. A questo genere di studii ci chiama la situazio- ne attuale, e il bisogno delle scienze, il progresso e lo stato presente dell'anatomia, della fisiologia, del- la fisica e della stessa dottrina dell' umano intendi- mento : dalle quali discipline siamo oggi in potere di trai're quella copia di ajuti e di schiarimenti, che non avrebbero per lo addietro saputo somministrar- ci. Con un saggio di vasta erudizione mostra il Puc- cinotti come e quanto lo spirito odierno della medi- cina tenda preferibilmente alla illustrazione di que- sto genere di morbi; che anzi a siffatto studio aggiu- gne che pur ci chiama la stessa filosofia co' suoi at- tuali progressi. „ Essa , da Lock e da Condillac si- „ no a questi ultimi tempi dominata dal sensuali- Malattie nervose 75 smo^ non vedeva più oltre di un moto, di una vi- brazione nelle funzioni dei nervi , e la passivila del principio pensante doveva andare d' accordo colla passività della vita organica , fondamento del dinamismo browninno e rasoriano, e dell'ap- parenza filosofica dei loro sistemi. Oggi .... l'as- similazione se ha atterrato il principio della pas- sività della vita organica e modificato il vitalismo, somministrando le idee dei processi dintesici e delle affezioni semplici del misto ; così la sensa- zione, nel modo in che è riguardata oggi , oltre air isolarsi per un' attività propria degli altri fe- nomeni, e indicare il modo speciale con che voglio- no essere riguardate in patologia le sue alterazio- ni , somministra poi insieme i principii in se me- desima delle sue alterazioni, e i dati meno incerti per conoscere e valutare i rapporti di questi can- giamenti subbjettivi, con ciò che dal mondo este- riore partendo li suscita o li mantiene. L' attivi- tà della vita è oggi dunque di accordo colf attivi- tà del principio pensante : ed ecco come la filoso- fia odierna modificatasi , può entrare quale ele- mento di cognizione , i cui interessi si avvicen- dino con quelli dell'oggetto da conoscersi , onde percorrere tutta la sfera di una dottrina, che no- vellamente si stabilisca intorno a malattie, le qua- li spesso nel morale dell' uomo hanno tanto il lo- ro principio che il loro fine „. Come cagioni poi d' impegno a questo studio si pronunziano dall' A ; che il trattare delle nevrosi è r unico mezzo per distinguerci dagli antichi e per convincerci della nostra preminenza sopra essi; l'op- portunità del tempo in virtìi della gloriosa ritirata di alcuni riformatori ; l'opportunità del luogo , cs- 76 Scienza sendo V Italia il luogo , ov' ebber culla quei chia- rissimi ingegni del Galvani e del Volta , ed essendo che si trasse in Firenze la prima volta dalla magne- te quella scintilla, che al Nobili fu luce che disvelò le principali leggi delle correnti elettriche ; la dovi- zia maggiore delle cognizioni anatomiche e fisiologi- che che render possono tanto maggiore la facilita di distinguere le cause delle malattie, e quindi stabilir- ne le vere indicazioni terapeutiche. E tanto è vero, che lo studio della fisiologia del sistema nervoso può condurci facilnìente alla cognizione delle cause delle malattie in proposito , che al dirsi soltanto causQ delle alterazioni della sensibilità apresi dinanzi al pensiero un teatro immenso e svariatissimo, in cui vedesi 1' alternarsi di un triplice ordine d' influenze e fisiche e morali e civili , colle qiiali è in continuo rapporto quella umana sensibilità medesima , che riconosciamo aver deviato dalle leggi che natura le impose. E qui la dottrina dei rapporti etiologici , senza cui la scienza clinica si annienta , tocca il suo maggior grado d' importanza. Per le quali co- se emerge , che lo studio delle malattie nervose è il voto odierno della scienza , quantunque pur sembri che possa essere quello della società , se uno sguar- do voglia darsi alle cause che le determinano , unq sguardo alla letteratura eh' è sempre quell' aggrega- to di formole intellettuali che rappresenta lo spirito di quella età in che si vive. ,, Il secolo infatti inclif „ na alla mestizia , si dice oggi s la vita dei sensi „ air incontro consiste neli' espansione 3 e quanto „ per r incessante operare di cause civili si rompo- „ no i legami della società e si sparge sopra essi il „ veleno della dilfidenza e delle discordie , ognuno ,, si riconcentra e si macera di pene morali e di cor- MÀLAttlÈ NfìtlVÓSÉ 77 (togli , 6 svolge tì fomenta le sorgenti di doloro- se affezioni. L' arpa dei bardi j dice Schiller , oggi non tocca che flebili corde e hort rJsuona che di funeree melodie. Egli chiama sentimentalità, il carattere della letteratura moderna. Qtiesta im- pronta di malinconie fa pi'eferire le descrizioni delle selve romite , dove uomini penitènti sal- meggiano A pie delle crocij le tombe tra i cipres- si e tra i salici babilonési a fioco lume di luna , i cimiteri dove svolazza e lamentasi l' Upupa e si aggirano le anime dei defonti j è cose altre somi- glianti o triste o spaventevoli. Con queste dispo- sizioni infelici delle odierne menti i mali nervosi si aumenteranno A dismisura : e vale l' opera dei medici filantropi il tenersi apparecchiati alla co- gniizione di essi e ai migliori trattamenti che po- tranno loro convenire. Sul declinare del passato secolo un potere sovrano universale, cui era pari la pili energica volontà, informava di se stesso la gran massa sociale. Questa urtata sempre e senza posa ad agire colla massima energia fisica e mora- le , e soddisfatta nella partecipazione della glo- ria del suo movente ^ doveva facilmente esaurirsi nelle sue forze j ed il brownianismo, che sovveni- va a questi morbosi accidenti di debolezza , dove- , va essere accolto con entusiasmo , e vantare per , allora molti fatti in suo favore. AH' appressarsi dello scioglimento di cotesta gran macchina politi- » ca che aveva fatto stupire l'Europa, i popoli con- , servavano ancora tutti quegli interni stimoli che , pocanzi spingevanli all'eroismoi ma mancò loro il , mezzo dì disfogarli mercè le opere delle armi e , r ardore di ima gloria ch'era prossima a spegner- , si. Questo decadimento della forza nervosa a con- 78 Scienze „ fronto di una vita vegetativa tuttor gagliarda e su- „ perstite, e senza perdite corrispondenti per la di- „ minuzione degli esercizii continuati e violenti del „ corpo , portar doveva il sistema sanguigno a tale „ proclività e predominio di morbi , che tenendo il „ carattere d' infiammatorii dovevano chiamare la „ scienza a valersi di tutt'altri mezzi per poterle es- ,, sere utile. La patologia flogistica del Tommasini „ conobbe questa opportunità, e il secolo dovrà es- „ sergli sempre riconoscente. Oggi , o eh* io m' in- „ ganno , o lo stato delle popolazioni trovandosi in „ un diverso punto civile , deve atteggiarsi tanto fi- „ sicamente che moralmente a diverse disposizioni „ morbose. Oggi tutto è forza di mente e non di „ braccio nelle grandi potenze sociali : le picciole „ non le governa che la paura, e quella specie di ti- „ tubanza morale , che , per rimeritarla degli im- „ mensi travagli di spirito che costa , viene appel- „ lata prudenza. Questo bisogno di mostrare sempre „ una fronte diversa da ciò che si rimescola nei cuo- „ ri , porta il predominio della vita sensifera sulla „ vegetante , e per conseguenza una disposizione a „ nuovi moti nervosi, e costringe la scienza alla ri- „ cerca di nuovi mezzi e di nuove dottrine per ri- „ pararli , modificarli , e guarirli „. Con questi ed altri egualmente vivi colori delinea il N. A. l'in- fluenza precipua delle civili cagioni sulla qualità, in- dole e genio dei morbi che ne sussieguono per la di- sposizione dell' umano organismo, sotto l'opera di quelle cause allo sviluppo di morbosità differenti sempre nei diversi tempi legate all' azione delle pri- me. Se non che vestendo tali malattie il piìi spesso un abito cronico , e piìi facilmente delle altre alte- rando neir infermo i poteri della ragione , quanta Malattie nervosk 79 pazienza si esige nei medici nell' osservare , nclì' as- sistere, nel persuadere , quanto profondo studio , quant' amorevolezza ! Ma all'incontro v' ha perfino dei medici che fuggono T isterico e 1' ipocondriaco, come i tormenti della professione. Altri scusano la loro impazienza e la loro ignoranza col dire che sono incurabili, quasiché di altri mezzi fuorché di quelli delle farmacie non dovesse volersi il medico nella cu- ra dei mali. E che ? Forse a nulla possono le persua- sive di raziocini dopo le cognizioni prese sul cuore umano ? a nulla possono forse la dietetica , la com- miserazione, i consigli, insomma la medicina morale, bellissime risorse da non doversi negligere e calpe- stare da un medico filosofo ? LEZIONE II. Del metodo necessario a seguirsi nelV insegnamento delle malattie nervose. Può questa considerarsi come il primo anello , da cui dipende il subjetto delle seguenti lezioni. Più si fa ivi conoscere il piano che il N. A. sarà per te- nere nello studio, anzi meglio, nel suo trattato com- plèto delle malattie nervose , e che qui seguiremo in compendio. Ammaestra in sulle prime a saper os- servare , abbisognandovi ognora di criterj diagno- stici onde fissare gli stati diversi d' idiopatia nello stesso morbo, ed i farmachi dì azione diretta sulla speciale vitalità nervosa, e per la entità loro e varie- ^ ta di natura differenziarli. Così nella nevrosi può in- contrarsi una condizione da non iscambiarsi colle al- tre comuni ad altri generi di morbi. Ed affin di co- noscerla , uopo è rappresentarla come devianienlo 80 Scienze dallo stato sano, deviamento legato come effetto col- le sue cagioni. E qui, affin di poter discernere le ca- gioni dello stato morboso dei nervi, salisce a far uso del principio generale di già ammesso nella sua su- periormente citata Patologia induttiva. ,, E fuor di „ dubbio , egli dice, che quelle stesse cagioni che „ hanno ima maggiore e più diretta affnità fisiolo- „ gica colle funzioni della vita scnsifcra nello stato „ sano apriranno il varco più facilmente delle al- „ tre alla innormali la della stessa vita , e sapranno „ meglio e prima delle altre imprimere un parti- „ colare carattere patologico alla idiopatia che ne „ regge lo stato moi'boso. „ Ed ecco la fisiologia e la patologia prestarsi a vicenda soccorsi per la intelligenza dei fenomeni. Morbus linde sit, è uno dei principali postulati della clinica. „ E perciò „ le cognizioni dello stato presente dell' anatomia „ del sistema nervoso servirà non solo ad illumi- „ narci sulle sedi diverse che possono prendere i „ morbi a lui appartenenti, ma varrà anche di gui- „ da alle induzioni fisiologiche intorno alle sue fun- „ zioni e proprietà diverse, le quali vedremo spes^ „ so modellarsi sulla diversa struttura somatica e „ località delle diverse parti che la costituiscono. „ Ripone nel secondo posto di distribuzioneMi materiali per siffatto studio V occuparsi di tutt' i fatti che appartengono alla fisiologia dei nervi an- che per il lato delle cognizioni attuali dell'anato- mia comparata, intitolando questa parte d'insegna- mento : Stato attuale della fìsiologia delV apparato cinestetico^ ossia sensifero-motorez in cui si appren- derà ad assegnare un giusto valore alla indipen- denza fisiologica del sistema nervoso , contrappo- nendole le leggi della innervazione e della con- Malattie nervose 81 nessìone dinamica^ e determinando insieme le sim- patie. Condotti a questo punto per concludere e connettere insieme le leggi di questa vita, dobbia- mo porre in rapporto i fenomeni già ordinati col- le cause loro assegnabili, e queste e quelli in rap- porto col centro anatomico già anteriormente per la induzione stabilito. Compiuta questa operazione intorno al suhstratum empirico dello stato sano del sistema nervoso, ed ordinato, distribuito e connesso mercè dell'analisi e della induzione nel modo indi- cato, fa d'uopo passare ad eseguire le medesime ope- razioni del metodo sopra i fatti dello stato morboso. Fa d' uopo incominciare dall' ordinamento della enorme massa dei fatti clinici. Ma qui per non pre- cipitare in un abisso di eccezioni, e smarrire la lu- ce preparata innanzi coll'anatomia e colla fisiolo- gia , non conviene tenere i fatti che si chiamano clinici come sicuri punti di partenza per indagare le leggi del deviamento dallo stato sano al morbo- so; sceverarli bensì fa d'uopo da tutto quel soprap- piìi che l'arte vi ha posto, imitar dovendosi l'ope- rato di un architetto, di un geologo, di un natura- lista. Altri fatti vi sono innanzi ai fatti clinici. Nei primi per la semplicità loro non parla che la sola natura, non essendovi immischiata altr'arte se non quella che suggeriscono gì' istinti morJ)osi mede- simi. Nei primi , come piìi prossimi allo stato sa- no, possono meglio spiarsi le sorgenti della devia- zione allo stato morboso, e debbono essi costitui- re quella norma sicura per inoltrarsi negl'intricati fenomeni del fatto clinico, ed applicare a questo l'analisi e la critica ; senza i quali soccorsi questa massa enorme di casi clinici non saprebbe mai dar- 82 Scienze ci veruna induzione sicura per la patologia del si- stema nerroso. E cosi il punto intermedio tra lo stato sano ed il morboso costituirà una serie di fat- ti, nei quali il morbo lasciato in preda alle forze naturali si svolge sotto l'impero di conosciute ca- gioni , percorre libero certi suoi stadi , presenta certe maniere di crisi spontanee, per le quali egli ritorna all'intero possesso de' suoi poteri fisiologi- ci, cioè allo stato di sanità. L'enumerazione di que- sti casi, che appartengono a quella maniera di em- pirismo appellata per il N. A. empirismo piiro^ l'a- nalisi dei fenomeni che presentano ci somministre- ranno risultati induttivi da poter porre in corri- spondenza con quelli già stabiliti intorno allo sta- to fisiologico della vita sensifera. Senza questo pun- to intermedio dell' empirismo puro, havvi oscurità nella immensa serie dei morbi nervosi che la cli- nica ci presenta, prodotti per ogni fatta di cagio- ni , risolventisi in mille modi diversi , curati con mille e tutte disformi maniere terapeutiche. Ab- biamo in vece per esso un modello per la critica della ragione pratica , la quale impone tosto per prima operazione analitica l'avvicinare fra loro quei fatti che si accordano per somiglianza di cagioni, di crisi o di metodi curativi intrapresi. Discende per tal modo il N. A. ad insegnare come possa determinarsi la differenza tra le nevrosi sintomatiche e le idiopatiche; dirige le sue vedute al modo di trar profitto dalle nozioni fisiologiche in- torno alle diverse proprietà sensorie dei centri prin- cipali del sistema nervoso. Né dimentica la possi- bilità della complicazione delle nevrosi , allorché cioè son mantenute contemporaneamente da due fondi patologici di natura diversa, suscitate da cau- Malattie nervose 83 se nelle quali l'opera della riduzione riconosce un diverso modo di agire e diverse affinità colle fun- zioni alterate. Ne finalmente gli sfugge il valor di quel problema clinico, di determinare cioè qual sia in questi casi l'alterazione primaria, quale la secon- daria, e quale la natura di entrambe. LEZIONE III. Stato presente delPanatomia del sistema nervoso. Ricercandosi la fondamentale organizzazione degli esseri, trova il N. A. nello scheletro che lo sostiene quei primi elementi di unita che ci ser- vono come di guida unica e sicura attraverso lo spazioso labirinto della natura vivente. E qui con uno sguardo erudito a tutti gli esseri dei tre re- gni della natura trova che il tipo loro originario non si allontana da una certa uniformità di orga- nizzazione. Nelle indagini intorno alla progressiva formazione del sistema nervoso stabilisce doversi tenere due metodi: il primo dei quali consiste in seguirlo coU'anatomia comparata degli esseri, in che se ne trova appena un abbozzo, sino a quelli in che ha conseguito o in parte o nel tutto il suo piìi per- fetto sviluppo; mentre con l'altro convien seguirlo nel suo procedere secondo la progressione organi- ca 0 i periodi della vita nell'uomo stesso. Fluisce come risultato di queste ricerche il suddividere in tre grandi sistemi tutto intiero l'apparato nervoso, nel ganglionico cioè, nel cerebello-spinale, e nel cerebrale. Colle fin qui ricevute cognizioni secon- do le odierne anatomiche investigazioni discorre di 84- S e I ii N i El ciascheduno di essi con somma dottrina, i*fporieri« do nel grande ganglio semilunare il centro di tutta il sistema gangliforme , il centro di convergenza dell'apparato sensifero. Intorno alle quali cose non c'interterremo, perchè sono elleno di pubblica cono- scenza per chi trovisi in corrente con gli anatomi- ci lumi del giorno. Ciascuno degTindicati sistemi, egli conchiude, ha „ un organo nervoso, che insie- „ me coir altro lo connette e serve di reciproco „ conduttore delle proprietà e degli officii. Donde „ risulta quella unità di composizione, di modi fi- „ cazione, di un solo tipo organizzatore, che oggi „ come nel sistema osseo l'anatomia riconosce an- „ che in quello dei nervi, e la filosofia lo esten- „ de a tutto il creato. Così la superficie del glo- „ ho, l'atmosfera che lo circonda, la massa enor- „ me delle acque atlantiche che ne dividono i con- „ tinenti , e gli stessi abissi i più profondi della „ natura sono per noi altrettante espressioni del „ pensiero sublime dell'Eterno che tutto fece ed „ ordinò secondo un tipo unico e supremo di ar- „ te e di sapienza. „ LEZIONE IV. Stato présente della fìsiotogid del sistema nervoso. Contemplata là indispensabile tìnionc è 6ot* rispondenza tra la fisiologia e la patologia^ l'appli-' cazione di questo pi*incipio alla storia delle malat- tie nervose guida a discoprire le leggi dei devia- menti dei materiali anatomici del sistema nervoso dallo stato sano. Ma qui si fa innanzi in sulle pri- Malattie nervose 85 me la consitlerazìone della indipendenza fisiologica di tutto il sistema, e quindi quella dei principali centri di azione che li costituiscono. Officio primi- tivo proprio e dimostratissimo nel sistema dei ner- vi egli è il generare ed esercitare la sensibilità ed il movimento. Si modifica questa funzione sensoria o motrice nei tre centri principali del suddetto si- stema, e da ciò rimane pur dimostrata la legge del- la indipendenza fisiologica. Il sistema ganglionico cogli altri centri non ha che rapporti di trasmis- sione sensitiva, La sua indipendenza, come del pa- ri la sua influenza sul sistema spinale e cerebrale, e la influenza di questi sopra di lui, sono in oggi fatti incontrastabili. Egli presiede ad una partico- lare sensibilità; dalla sua influenza dipendono tutte le funzioni che sono relative alla conservazione del tnateriale dell'organismo. Anche il midollo spinale ha un ordine di funzioni modificanti e conducevo- li a risultati fisiologici diversi da quelli dell'ence- falo e del simpatico, e perciò di separata provin- cia contrassegnata da una specie di fisiologica indi- pendenza, quale pure nel terzo centro debbe con- siderarsi. Per amor di brevità omettiamo di se- guire il N. A. in tutti gli altri interessanti con- cetti, arrestandoci alla conghiettura dei fluidi im- ponderabili, se quale sia di essi il piii affine alla vitalità del sistema nevro-muscolare, cioè se la lu- ce, il calorico, il fluido galvanico, l'elettrico, o il magnetico. Il Volta già stal)iii, che tra il fluido gal- vanico e r elettrico non vi era discrepanza. Oggi il Nobili accarezza l'opinione che tutte le correnti possono ridursi a termo-elettriche, e che il calo- rico si?i il principale elettromotore. I varii e sor- prendenti fenomeni di analogia che hanno ottenu- $6 Scienze to i fisici moderni tra l'uno e l'altro dei suddetti imponderabili, gli hanno infine condotti a pensare, ch'essi non sieno che le diverse sembianze di una materia eterea che riempie 1' universo , e le cui modificazioni costituiscono la luce ; modificazione oh' entro i corpi della natura vivente lo converte in quel fluido, che al N. A. piace chiamare etere nerveo. Quindi le principali affinità etiologiche del sistema nervoso colle cause esterne tanto di vita quanto di malattìa, saranno con tutti quei principi! imponderabili, nei quali si svolge l'etere fisico del morbo esteriore. Campo maraviglioso ed infinito di considerazioni e di ricerche ! Ma „ vedere questa „ immensa catenazione di rapporti non è dato che ,, ad uno solo. „ LEZIONE V. Patologia generale del sistema nervoso^ e prima dei tipi originarii e semplici del suo stato patologico, A rimuovere ogni illusione, che surger potreb- be nella indagine dello stato patologico, avvisa il N* A. I che le considerazioni patologiche, per partire da un vero di fatto e non da speculazioni teore- tiche, devono imitar la natura nel suo puro e vero linguaggio, ed interpretarla con metodo filosofico e senza teoretiche anticipazioni. Il vero punto di par- tenza per tali ricerche egli è quello stato sempli- ce e naturale che meno si discosta dallo stato sa- no. In esso travedesi la maggior parte di quelle trame che tuttora lo legano in sanità, sussister do- vendo nello stato morboso della macchina poteri Malattie nervose 87 superstiti fisiologici, che mantengono ancor vivo e permanente il legame ch'esiste tra lo stato sano ed il morboso. Egli è sulla somma di cotesti poteri superstiti e sulla importanza vitale del sistema or- ganico d' onde partono , che anche di mezzo allo stato patologico il più diffuso si traggono spesso i piìi giusti criterii sul prognostico. Si misura sopra esso la quantità di azione medicamentosa che sarà la macchina per sopportare, amministrando un ri- medio ; ad essi si riportano finalmente i sintomi attivi, le salutari metastasi e le crisi, l'insieme dei quali movimenti ed operazioni organiche simulta- nee allo stato morboso appellansì dal N. A. poteri superstiti fisiologici , che per lo innanzi dicevansi forza medicatrice della natura. Ma non solo non ispengonsi nello stato morboso tutti cotesti poteri fisiologici ; che anzi per una certa benefica legge di compensazione uno talvolta supplisce all' ufficio di altr'organo, e talvolta si rimarcano attività ap- pena credibili. Or dove tali attività agiscono libe- re e spontanee, e dove niun rimedio dell'arte colla sua azione le sovvenne o le interruppe pel pro- scioglimento del morbo , ivi è che debbono assu- mersi i modelli, i tipi primitivi dello stato mor- boso ; ivi e non altrove debbono togliersi i fatti che costituiscono il semplice e più naturale punto di partenza alle investigazioni patologiche, come per ogni altro genere di morbi così eziandio per quel- li delle nervose affezioni, e così ritirarsi indietro fin ai fatti dell' empirismo puro per trovare la ve- ra e prima base sperimentale della scienza. f, Il modo più semplice di esistere della nevrosi „ è quello della nevralgia , dove cioè ella si mani- „ festa per dolore circoscritto a qualche tratto dei 88 Scienze „ cordoni nervosi. Una forma la piìi semplice del- „ la nevralgia è quell' indolenzimento , quel cram- „ pò che investe le masse nervo-muscolari dell' e- „ stremità , qifando si tenne a di lungo in situazìo- „ ne disagiata ed immobile alcuna delle medesime „ parti. Interrotto per alcun poco così il circolo „ nervoso, nasce nei cordoni suddetti una specie di „ eteroidesi o congestione di etere nerveo: le estre- „ mita nervose cutanee si paralizzano, s'ingorgano i „ capillari , e destano un senso molesto di formi- „ colamento e di prurito , che soddisfacendolo con „ una forte e ripetuta confricazione , T etere ner- „ veo affluisce di nuovo alla cute , si dissipa 1' ete- „ roidesi, e i muscoli riprendono la loro elasticità, „ la loro libertà di azione antagonistica , e cessa la „ nevralgia „. Delle nevrosi, che attaccano a grado a grado tutto il sistema senziente facendosi centro del tronco ganglionico, desume il N. A. 1' esempio dalla nostalgia ; mentre la forma piìi semplice del- la nevrosi, avente sede nel centro cerebello- spinale, ci si offre da quei movimenti di tensione opistotoni- ca che dopo il sonno siam costretti dare al tronco , in virtli di accumulamento di etere nerveo fattasi durante quello nei fascetti anteriori e posteriori del- lo spinai midollo. Discorre quindi di quella che ha sede nel centro encefalico ; e per tutti questi fatti semplici è chiaro , che i poteri superstiti fisiologi- ci valsero da se soli a restituire i centri affetti allo stato primiero di armonia e di salute. In questi fatti medesimi, che la natura ci presenta nella sua sem- plicità , addimostra esistere una serie costante di rapporti fra le cause che li promossero , i sintomi loro, e le maniere che tennero nel loro proscioglier- si, e che tutto si aggirò nella sfera anatomico-pato- Malattie nervose 89 logica del sistema affetto. Due altri criteri impor- tantissimi (li qitì apprentlonsi , 1' uno risguardantc il tipo delle cause per la loro riduzione , l' altro il tipo terapeutico , ossia quello dei rimedi per la elettrica loro azione. L' intermedio de' sintomi può somministrarlo, e lo somministra in fatti inaltera- bile , r empirismo clinico. Questo tipo intermedio però a nulla vale , se non è afforzato nel suo signi- ficato diagnostico dagli altri due. Si apre dappoi strada il N. A. a tener proposito della endemicità della nevrosi, della sporadicità loro, della influen- za del morale in ingenerarle. E mentre sotto l'impe- ro di alcuna dominante dottrina i cimenti terapeu- tici cominciarono da un fatto non interamente spie- gato ne cognito , è di avviso il pr. Puccinotti , che questi tipi primitivi morbosi, che la natura istessa ci presenta , siano pure i modelli delia imitazione terapeutica. LEZIONE VI. Dei fatti clinici : del modo di coordinarli^ e di depurarli , e in proposito della divisione sintomatica delle malattie nervose. Con le norme fin qui pronunziate si giugne a di- latare la base empirica della scienza di siffatti mor- bi: e provveduti così del tipo di confronto acqui- stato dalla natura medesima di mezzo ai fatti dell' empirismo puro , possiamo inoltrarci nella serie di fatti clinici , e schierarci dinanzi tutto quel mul- tiplo fenomenale ed artificiale di che sono composti, end* esaminarlo, coordinarlo e depurarlo in guisa che presenti i maggiori schiarimenti ed i pili reali G. A. T. LXX. 7 90 Scienze vantaggi alla dottrina dei mali nervosi. E qui il N.A. volendosi rendere più utile in questo ramo di medi- co insegnamento, ammaestra in sulle prime alla con- templazione analitica di cotesti fatti del clinico em- pirismo da doversi risguardare in due modi : cioè in quel ricchissimo deposito clinico intorno alle malattie nervose d' ogni maniera dai pratici osserva- te, giudicate e trattate, o in quella serie di casi nel nostro esercizio pratico conosciuti , e convenevol- mente trattati. Ma a ciò fare si esige , che prima di valersi di cotale esperienza , noi abbiamo acqui- stata r arte di giudicarla , e così ottenere il fine della critica dei fatti. Siccome per altro una retta critica impone di coordinare questa serie intricata di clinici consigli , perciò non trascura egli le piìi accurate regole di logica medica per ben riuscire nella depurazione dei fatti clinici medesimi, i qua- li rischiarati per le debite forme di studio della cri- tica della ragion pratica , di studio dei rapporti , di studio di eliminazione , somministrano critcrii etiologici da poterci servire di norma alla intelli- genza di quei casi che dovremo conoscere e trattare noi stessi. Svolge dappoi 1' importante argomento della sintomatologia delle affezioni nervose : ed obliando la distribuzione sistemativa dei sintomi delle nevro- si nelle metodiche nosologie anteriori a Gullen, s'im- pegna in esaminare le successive che gli sembrano più avvicinarsi al metodo filosofico formante base della sua. Rileva egli con molta sagacia le inesattez- ze sparse nelle metodiche sistemazioni proposte da Gullen , da Reil , da Swcdiaur , da Sprengel , da Giuseppe Frank , e da Reimann. Parti quest' ulti- mo scrittore da un rettissimo principio , cioè da Malattie nervose 91 quello che alcune parti, alcune provlncic nel siste- ma nervoso si osservano , in cui le sue funzioni in un partlcolar modo diverso dalle altre si appalesa- no ; ed in vista di tal principio , lo stato morboso di esse , le deviazioni di queste loro proprietà assu- mer debbono una forma particolare. Muove anche egli il N. A. dallo stesso principio , come 1' uni- co che possa condurre alla men fallace sintoma- tologia del sistema nervoso affetto ; ma col soc- corso dell' analisi fisiologica pili esatta in oggi in- torno alle funzioni dei nervi , avvisa schivare gli errori di Reimann. „ Ciascun nervo, sappiamo og- „ gi, è composto di filetti, V uno dei quali serve ,, al moto, r altro al senso i e quelli a doppia ra- „ dice servono all' uno ed all' altro contempora- „ neamente , e nei centri dove si riuniscono o „ d'onde partono v'ha emanazione o affluenza di ,, moto e di senso .... Questa distribuzione e diver- „ sita di ofìlcii nei diversi filetti nervosi , secon- „ do eh' essi sono a doppia o semplice radice, se- „ condo che partono o metton foce alle parti la- „ terali, o anteriori o posteriori del tronchi e del- „ le masse eentrali del sistema, è portata al mas- „ simo grado di evidenza oggi dall' illustre ana- „ tomico Bell. Ora dunque su questa base spe- „ rimentale noi possiamo stabilire tre ordini prin- „ cipali di sintomi nelle nevrosi. Il primo , con „ prevalente deviazione del senso , che abbraccc- „ rà in genere le così dette nevralgie. Il secon- „ do , con prevalente deviazione della motilità , „ che comprenderk molte di quelle affezioni ner- „ vose , che i nosologi riducono agli spasmi. Il „ terzo rlsguardera le affezioni della motilità e „ del senso , in quanto insieme riunite costituì- 92 Scienze „ scono una deviazione della coscienza istintiva „ dei centri del sistema sensìfero. A questi ordini „ saranno sempre subordinati tre generi , ciascu- „ no dei quali si riferirà: 1." al centro ganglio- „ nicos 2° al centro cerebello-spinale: 3.° al cen- „ tro cerebrale. A questi generi verranno subor- „ dinate quelle specie particolari di nevrosi che „ mostrano per i loro sintomi predominanti di ri» „ durvisi. Cos'i il 1.^ ordine, che diciamo nevralgia, „ ha un primo genere che riguarda i deviamenti „ del senso generale o comune del tronco ganglio- ,, nico. Al quale vanno a riferirsi le seguenti spe- „ eie; cardialgia, enteralgia, isteralgia, sternodinia, „ odontalgia. . . . Un secondo genere riguarda le „ alterazioni di senso del tronco spinale : e qui „ le specie saranno; rachialgia, e le nevralgie cu- „ bito-digitali , ileo-scrotale , femoro-poplitea , o „ sciatica, femoro-pretibiale, e la plantare. Un ter- „ zo genere abbraccerà quelle del centro encefa- „ lieo; e qui la cefalalgia, la perosopalgia, l'otalgia „ ec. Il secondo ordine, che diremo con Reimann „ diseretisie^ cioè con aberrazione di motilità, di- „ stribuito anch'esso nei tre generi suddivisati, ci „ darà quanto al 1.° le specie di disfagia, di au- „ temesia, di palpito di cuore, di dispnea spasmo- „ dica, di singhiozzo: quanto al 2.'' il tetano, l'in- ,) cubo, il trismo, lo spasmo cinico: quanto al 3." „ la palpebrarum nictitatio, lo strabismo, la verti- „ gine. Il terz'ordine ... ci darà contemplato nel „ primo genere Tageustia, la polioressia, polifagia, „ bulimia, cinoressia, lycoressia, la pelidipsia, lo „ isterismo, la ipocondriasi. Il 2.° genere, la cho- „ rèa o ballismo, l'epilessia, l'isteromania ec. Quan- „ to al terzo, le catafore, V apoplessia, la catale- Malattie nervose 93 „ psla, il sonnambulismo, la fotobia, 1' amavrosi, „ l'anosinia, la disecia, l'ambliopia, la nichtalopia,, e le varie specie di alienazioni mentali. È ben lun- gi il N. A. dal credere perfetta cotesta distribu- zione sistematica, quantunque gli sembri che non vada incontro alle imperfezioni rimproverate nelle altrcii „ Tuttavia siccome in essa non si tratta che „ di sintomi, e perchè abbiamo con ogni diligen- „ za schivato di farvi entrare la condizione pato- „ logica delle nevrosi, errore in che caddero i no- „ sologi che ci hanno in questo lavoro precedu- „ to , crediamo che non sia per arrecare veruna „ idea o prepostera o erronea, intorno a ciò che „ diremo in seguito sui varii modi intrinseci di „ essenza delle malattie nervose medesime ,,. Co" ordinato e depurato per tal modo il materiale cli- nico intorno ai sintomi che le nevrosi j>resentano, discende al pili grave e malagevole argomento della patologia di esse, ch'è quello che risguarda la de-» terminazione della loro intrinseca natura, LEZIONE VII. Della condizione idiopatica delle malattie nervose, e dei mezzi che restano onde completarne la diagno,si. Varie nozioni rammenta e premette il pr. Puc» cinotti pel retto intendimento della sua opinio- ne, in cui mira a collegare la medicina italiana col- le dottrine degli elettricisti. Rimembrati perciò al- cuni assiomi della fisica sperimentale per additarli come guide delle meditazioni dei medici intorno al modo intrinseco di esistere dei morbi, ne avvisa. 94 Scienze che nel modo di esistere della nevrosi non pos- siamo per una parte andar piìi oltre delle alte- razioni materiali di tessuto visibili o al di fuori du- rante la vita, o deducibili con sicurezza da lesioni meccaniche portate sopra parti dove l'anatomia c'in- segni diramarsi tronchi nervosi , o apprese finora da ciò che ci palesarono gli studi di anatomia patologica. Per 1' altra parte i limiti delle nostre deduzioni stanno segnati in sull'ofìlicio, in sulla pro- prietà vitale, dapprima in genere attribuita ad un apparato sensifero-motore , i cui fenomeni relati- vi al senso ed al moto sono tutti traducibili nella esperienza, dappoi in particolare attribuita ai cen- tri del detto apparato, dove fenomeni di un or- dine indipendente e di una piena attività ci dan- no il diritto di supporre un processo sensorio, ima elaborazione sensitiva, alla ultima di cui legge si rapportano nello stato fisiologico tutt'i modi diversi della sensazione, nel patologico stato tutte le cal- colabili (non tutte le possibili) alterazioni di cote- ste maniere intrinseche della sensibilitàt Con varie maniere di raziocini esamina quindi il N. A. se le varie condizioni patologiche del siste- ma nervoso appartengano in origine agi' involucri della sostanza propria midollare dei nervi 5 e se la nevrosi non sia mai primaria, ma sempre sintomati- ca. Dimostra che il principio di ogni nevrosi con- siste sempre nell'alterazione dei suoi modi speciali di vita ; ne la scienza ci pone ancora nel caso di poter assegnare a coleste alterazioni nessuna lesio- ne materiale della polpa nervea che loro sia cor- rispondente. Confessa trovarsi convinto, che le or- ganiche lesioni non segnano mai il primo fenome- no della nevrosi , ma che quando quelle coesisto- Malattie nervose 95 no con questa , nel mentre che questa incomin- cia dai modi particolari di vita del sistema sen- ziente, di die ancora la scienza non ci offre lesio- ni materiali corrispondenti , che quelle sieno re- feribili sempre a processi acuti o a conversioni di morbi estinti in altri sistemi organici , in comu- nicazione anatomica col medesimo apparato nervo- so. Senza di che o non esisterebbero malattie ner- vose propriamente dette , o tutte le malattie po- trebbero ridursi ad altrettante nevrosi : estremi egualmente viziati e lontani ambidue d;i quel ve- ro che vuoisi dai fatti conseguire. L' opinione del N. A. intorno alle influenze patologiche degl'involucri dei nervi e del sistema sanguigno vien fatto palese nel dissentire da chi ebbe concetto, che nulla fosse V azione dei nervi senza il ministero del sangue, e che entro a que- sto risiedesse la vera condizione delle affezioni dei nervi. Risguarda egli in vece nel sistema sangui- gno un elemento precipuo di relazione coi nervi; al quale oggetto ha la provvidentissima natura fatto conoscere , con tanta proporzione e finezza d' arte , vasi da per tutto ove sono nervi, „ L'olfi- „ ciò loro, prosiegue il N. A., sembra determinato „ a mantenere due condizioni opposte nelle mas- ,, se nervose. La prima è cV irrorale di umidità ,, per mezzo di una perenne esalazione sierosa , „ onde conservare la conducibilità nelle correnti ,, di seconda classe , quali debbono essere le ner- „ vo-elcttriche : la seconda e quella di sommini- „ strare l'elemento termico alle correnti, onde le „ idro-elettriche , che partono dalla periferia, co- „ stituiscono tutto un sistema di correnti termo- }} idro-elettriche. Ammesso questo principio, s'in- 96 Scienze „ tendorcb1)e la vera sorgente di quelle nervose „ affezioni che si suscitano por condizioni patolo- ,, giclie esistenti nel sangue ; ma queste nervose „ affezioni in origine non sarebbero poi altro che ,, sintomatiche , consistenti cioè in cambiate ten- „ sionl o direzioni di correnti, per effetto dì cam- „ biata conducibilità nei conduttori umidi , o di ,, cambiata situazione o grado del termico elemen^ „ to. Non vi sarebbe nessuna differenza tra que^ ,, ste nevrosi e quelle che nascer ponno per un ,, vizio {strumentale dello stesso tronco ncn-voso , ,, che formando un ostacolo al circuito libero del- ,, la corrente può impedire il suo moto d' irradia- ,, zione o di convergenza , poi suscitare un accu- „ mulamento di fluido nel punto dell' ostacolo, e ,, dar luogo in seguito ad uno sbocco , ad una ,, esplosione 3 può infine invertere ancora il cor- ,, so della corrente medesima ,,. Vengono per tal modo ad intravedersi quelle prime e giuste linee di demarcazione che i morbi aventi sede in que-» sti organi dividono da quelli, la originaria sede dei quali è riposta nelle condizioni di vita del siste- ma sensifero. Ma per questi morbi aventi erigi-' Ilaria diretta sede nei nervi riflette il N. A., che se i fattori dinamici della vita emergono nel si- stema sensi fero-mot(M'e , colla sensibilità e colla irritabilitk , tutti i fenomeni di sensazione vanno a metter capo nella prima , tutti quelli di rea- zione si rapportano alla seconda. La vita però di ogni sistema , oltre al suo dinamico antagonismo per cui si manifesta , acquista il suo modo par- ticolare conservativo del materiale eh' essa prende dalla natura esterna , assimilandolo e converten- dolo a fondamento della stessa condizione dinami- Malattie nervose 9T ca che la sostiene ; processo che chiama subietti- vo , o come altri direbbe , dinamico-plastico , di elaborazione sensoria. E qui , sostenuto dai grandi progressi della dottrina della elettricità , discende a parlare dell* eccitamento nervoso , il motore del quale per il consentimento generale dei più riputati odierni sperimentatori sembra essere fuori di dubbio un imponderabile , cui già. chiamò etere nerveo. Con- siderato come imponderabile egli ha le sue pola- rità , le sue correnti ; rimane però a stabilirsi la corrispondenza tra la forza del vital movimento e la forma o direzione delle correnti medesime. Al qual effetto rammenta alcune considerazioni in venti proposizioni fisiche che le risguardano, e ten- dono a comprovare che le due maniere di corren- ti nervose (diretta ed inversa) sono in corrisponden- za col moto contrattiro ed espansivo dell' eccita- mento nerveo, e perfino colla modificazione orga» nica del nervo istesso. Rappresentasi in cotesta /or- ma una serie di moti or semplici or conduttori della sensazione che dal centro alla periferia , da questa al centro , si dirigono con perenne alter- nativa. Questa proprietà deireccitamento, che nel cisterna sensifero è piìi palese che in qualunque altro della macchina , ci dà il diritto di contrase- gnarla col mezzo dei due poteri , chiamato 1' uno dall' A. di sinergia o convergente , e divergente r altro o radiante o di energia. Questa forma dun- €|ue dell' eccitamento nervoso dipende da cotesti due poteri, i quali nello stato patologico col pre- valere che fanno 1' uno suU' altro ci designano i due modi di esistenza dinamica della nevrosi. L'e- tere nerveo , non essendo altro che una modifica- 98 Scienze zione del fluido elettro-magnetico esterno , man- tiene anche nella macchina umana le sue partico- larità: e comportandosi anch' egli a norma della forma prevalente nell' eccitamento nervoso, si cen- tralizza , si accumula e si diffonde , in modo che il suo polo positivo corrisponde alla forma con- trattiva 0 di centralizzazione ; il polo negativo alla espansiva o di radiazione. Egli è chiaro così , che il N. A. nelle malat- tie dell' eccitamento nervoso ( in sostegno di che altre varie ragioni ne adduce ) mira piuttosto alla forma morbosa che questo assume , di quello che al suo grado o alla sua quantità ; da che queste due condizioni non possono cambiare che per ope- ra di un maggiore o minore afflusso o accumula- mento di etere nerveo. Questo egli è il fenomeno intermedio tra la malattia dinamica e la idiopati- ca, fenomeno che già si appellò eteroidesi' JNel qual caso la malattia ancora non sussiste per se, ma con- tiene già in se l'elemento unico per il quale co- mincia il suo processo idiopatico^ facendosi cotesto elemento rappresentante delle cagioni dinamiche, e potendo anche sussistere, allorché queste hanno cessato di agire. Siccome alla infiammazione pre- cede la enioidesl ossia flussione sanguigna; siccome alla condizione reumatica precede la leucoidesi os- sia flussione linfiare : così la eteroidesi collocata tra i turbamenti dinamici, e la formc^zione di un pro- cesso dinamico-chimico, precede quest'ultimo, fa- cendosi talora il suo principal fenomeno generatore. È subordinata la eteroidesi ad alcune leggi che accennate pur vengono dal N. A. , il quale disren- de poi a parlare della condizione idiopatica delle nevrosi , ossia del suo modo di esistere dinamico-^ Malattie nervose 99 chimico. Premette, che tutt' i fenomeni del sistema nervoso si rannodano ad un fenomeno ultimo della funzione nervea da lui chiamato potere modifican-' te , che nei tre centri del grande sistema nerveo si esercita in un modo attivo, iiipone quindi la essen- za della nevrosi idiopatica nella pervertita capaci- ta degli elementi degli elettro-motori che manten- gono il circuito termo-'idro-i-elettrico vitale , e nel cambiarsi per tal modo la direzione non solo, ma la tensione e l'indole delle correnti nervose. Chia- ma egli paraestesia T alterazione idiopatica del pro- cesso sensorio, e stabilisce i caratteri patognomoni- ci dei due modi essenziali , nei quali in virtli delle cognizioni che possediamo ci è dato conoscere che risolvasi,* cioè iperestesia ed ipoestesia. Tra i carat- teri del primo rilevasi sostanziai diminuzione del potere modificante ; sono i nervi sensorii a prefe- ^•enza dei motori quelli che soflfrono. I^a pervertita condizione della corrente termo-idro-elettrica sem- bra consistere in questo caso nello scemarsi dell'e- lemento termico accessorio e nel ridursi alla sola condizione idro-elettrica primitiva; quindi si hanno facili decomposizioni chimiche , inversioni di po- larità e facili le flussioni dell' etere nerveo fra i centri non affetti. Fra i caratteri del secondo pri- meggia il sostanziale accrescimento del potere mo- dificante: i nervi preferibilmente affetti sono i mo- tori. Gl'impulsi espansivi violentemente eccitati e mantenuti accrescono l'elemento termico delle cor- renti, e in questo stato patologico prevale d'ordi- nario in esse l'indole termo-elettrica. Dopo avere con ingegnosa penetrazione diluci- dato gli enunciati caratteri distintivi principali tra l'uno e l'altro modo di esistere della paraestesia:, 100 Scienze e dopo aver segnato il termine delle investigazio- ni, avverte che allorquando la idiopatia nervosa è stabilita, lo stato morboso dinamico passa ad esse- re una conseguenza, una figliazione di questa, e che quindi i poteri centralizzanti e radianti , almeno dal centro dove il processo idiopatico esiste, resta- no a lui subordinati e da lui promossi, LEZIONE Vili. Fondamenti della terapia generale delle malattie nervose. Fiancheggiato il N. A. da queste regole da usar- si per le maniere diagnostiche, intraprende in sul- le prime a ricercare i mezzi convenienti allo stato morboso dinamico del sistema dei nervi ; quindi della eteroidesi ragiona , nel tipo empirico della quale sembra la natura indicarci due modi onde risolvere il condensamento nevro-elettrico. Consi- ste il primo di essi in una emanazione sensoria, che potrebbe quasi paragonarsi alla elettrica esplosio- ne ; il secondo è una specie di derivazione o re- vulsione della eteroidesi da un luogo all'altro. I fat- ti che comprovano le discorse avvertenze , men- tre appalesano i modi di spontanea risoluzione che manifesta 1' eteroidesi , offrono le imitazioni tera- peutiche da farsi consistere nel favorire la direzio- ne delle correnti nervose , per le quali 1' impon- derabile condensato mostra voler emanare dall'or- ganismo; e nell'uso convenevole del metodo revul" sivo dovuto ora alle leggi elettro-dinamiche delle correnti nervose, ed ora alla sensazione piacevole o alla dolorosa. Malattie nervose 101 Per iàtablllfe i fondamenti terapeutici della nevrosi idiopatica , ossia con processo dinamico- chimico, è mestieri fermare innanzi, che distingue il N. A. la commozione sensoria dalla capacità sen- soria; che i turbamenti di quella ponno corregger- si, cambiando solo la direzione delle correnti; ma che le alterazioni di questa, che costituiscono lo sta- to idiopatico, non si emendano che mutando le con- dizioni degli elettro-motori nervosi. Queste condi- zioni si disse aver due modi principali ed i più sottoponibili nelle loro fenomeniche apparenze ai calcoli clinici. L' uno di cotesti modi è la sostan- ziale diminuzione di essa capacita; e la cura perciò di cotale stato patologico sarà direttamente quella di rifondere con mezzi terapeutici gli elementi di siffatti elettro-motori ; e per avere uno sviluppo di correnti che supplisca al difetto delle naturali e che per il concorso dei conduttori umidi vitali e dell'elemento vitale termico assumer possano qua- lità prossimamente vitale anch'esse. Quindi in tale stato morboso non si può solo avere in vista di somministrare sostanze elettro-negative o elettro- positive fra loro disgiunte, col solo scopo di agi- re sulla direzione delle correnti: ma la vera indi- cazione è quella di somministrare elementi etero- genei che ajutino sostanzialmente l'azione degli elet- tro-motori nervosi, svolgendo correnti d'ambedue le specie. L'altra condizione idiopatica della nevrosi è co- stituita , siccome si disse , da un potere modifican- te , morbosamente accresciuto. Deprimere l' eccita- mento nervoso non vuol dire altro che determina- re una inversione nella corrente di un medesimo conduttore , ovvero destarne un' altra di contraria ^02 Scienze direzione in un altro condutlore. A moderare per- ciò la tendenza espansiva dei parosismi, che accom- pagnano lo stato idiopatico iV iperestesia^ gioveran- no tutti quei farmachi ^ che controstimolando de- terminano nella fibra nervosa un movimento di contrarici direzione ^ cioè contrattivo; tra i mine- rali andranno a preferenza adoperati quelli che la fisica moderna riconosce come eletro-positivi ; e fra le sostanze vegetabili e le alkaloidi quelle che il fatto ha contestato per controstimoli di primo grado. Ciò però non basta , da che non si avreb- be cura per tal modo che della sola parte dinami- ca della iperestesia , cioè altro non si farebbe che temperare la violenza degli accessi che l'accompa- gnano. Devesi in vece portar la cura sugli elementi elettro-motori e sminuirli, onde la condizione pre- dominante fermo-elettrica si abbassi nella sostan- ziale intensità, e si rimetta in giusta proporzione il circuito terma-idro-elettrico del centro nervoso affetto. E qui all'elemento termico sovra])bondante nelle correnti deve rivolgersi la mira, abbassando la temperatura o con bagni o immersioni o asper- sioni fredde , o coli' uso interno di bibite ghiac- ciate. Ma nlun altro agente terapeutico sapra arre- care né pili pronti ne piìi efficaci effetti medicamen- tosi in simll genere di affezioni quanto il salasso ; di cui il profitto potrà riuscire o diretto o indi- retto. Legata è perciò , come ognun vede , sulla dottrina istessa delle correnti la terapia di tali ne- vrosi: se non che rimane ivi per la prima condizio- ne proposto a tentarsi l'uso di alcuni connubi! far- maceutici , che lungi dall'essere riprovevole , desi- dera il N. A. che possa in oggi venir sottoposto ad una migliore ragione pratica , ad una sobrietà Malattie nervose t03 filosofica che lungi dall' urtare la medica riforma apra per una parte una novella via di ricerche e di risultati, come per l'altra sparga una luce ancor nuova suir empirismo terapeutico dei nostri clas- sici maestri. Costituito per tal modo nella eteroge- neità degli elementi terapeutici il tipo del tratta- mento terapeutico delle nevrosi , da modificarsi , scamhiarsi, o semplificarsi a norma delle circostan- ze , ed a norma delle precitate condizioni , e da modificarsi altresì allorché la nevrosi sia sintoma- tica di altri e diversi fondi patologici, avverte da ultimo il N. A. , che delle modificazioni di que- st'ultima provenienza si riscrha favellare nei ca- si speciali e nelle cliniche loro varietà. Giacche subjetto di questa ultima lezione fu per lui ,, l'e- „ sporre c[uella parte di terapeutica che poteva ,, comparire relativa alle dottrine elcttro-tì>olus batatas. Patata dolce, patata del- la Virginia di Catesby , apichu de'peruani. Questa pianta, che sembra quella stessa che l'infelice La Peyrouse rinvenne a Porto-Rifugio, le cui radici di gratissirao sapore avevano fino a 15 piedi di lun- ghezza , ed uno di diametro, e quella pure da cui il sig. Gabriel nel giardino di s. Gloud a Parigi ot- tenne tuberi del peso di 50 libre francesi, mi ecci- tò a tentarne la coltivazione nel 1829. Alcuni tuberi della grossezza di una pera non solamente crudi fu- rono da me trovati del grato sapore della castagna prosciugata, ma sottoposti a diverse preparazioni cu- linari si trovarono di gusto squisito. Indussi alcuni amici a sperimentarne come me la coltivazione in suo- lo ben lavorato e concimato, e generalmente produs- sero air intorno steli lunghi e diffusi. Anche le fo- glie si trovarono essere un buon erbaggio per cucina; ma il prodotto non corrispose in alcun modo alle nostre aspettazioni, ne a quello che i nostri Filippo Re, Moretti e Manetti di recente avevano annuncia- to, poiché i tuberi si trovarono esili, e non pili gros- si d' un dito. Volendo poi conservare questi tuberi nel verno ad onta di averli collocati fra la sabbia arida , e nell'ordinaria temperatura d'una stanza, tutti perirono o riducendosi ad una sostanza legno- sa priva di vita, o corrompendosi quelle che si tro- varono men custodite nella guisa descritta dai pre- detti coltivatori. Io accusava la nostra poca diligen- za nella coltivazione, per giustificare la tenuità del prodotto. Ma dalle osservazioni posteriori del Ce- ra e del Lomeni conobbi , che essi non eranp stati di me pili fortunati in tale cultura. Sono persuaso, che con cure straordinarie di stufa per la conser- vazione de' germi, e di suolo idoneamente esposto 112 Scienze e preparato, possano ottenersi migliori risultamen- ti. Ma queste diligenze possono praticarsi da qual- che dilettante di orticultura o per curiosità, o per ottenere un cibo di lusso, ma non mai da chi voglia farne coltivazione estesa per uso ordinario, cui im- porterebbero non lieve dispendio, senza che potesse sperarne un lucro colla vendita: poiché questi tu- beri o non sarebbero ricercati perchè non cogniti, o ricusati perchè dispendiosi. Beta vidgarìs. Betterave, frane, barbabietola. Quando nel 1828 fu annunciata T opera di Brun- fault sulla zuccherificazione di queste radici , e lo sviluppo che acquistava in Francia un tal ramo d'industria, volli tentare qualche chimico speri- mento sulle nostre abituali barbabietole dette vol- garmente radiche-rosse , le quali son forse una mera varietà delle betteraves francesi. Il risulta- mento se non fu felice, pure mi eccitò a procurar- mi da Parigi le semenze della hettera\>e champetre, e della bianche de Prusse per farne sperimento della cultura, indi della zuccherificazione. Fu distri- buito il seme a molti orticultori , e si ottennero co- piosi prodotti, sebbene varj a tenore della natura, lavorazione, e concimazione del suolo: ma in partico- lar modo il sig. marchese Alessandro Especo ne ot- tenne delle radici di 30 e 35 libre di peso. Rap- porto però alla zuccherificazione vidi , che era ne- cessario un dispendioso apparato, senza il quale non potevano ottenersi risultamenti soddisfacenti e pe- rentorj: ed era pur indispensabile uria speciale at- titudine e pratica in quelle complicate operazio- ni. Pur insorse chi volle ( anche coadiuvato dall' Emo Albani, che fé' dall' erario pubblico sommi- nistrare la modica spesa occorrente) tentare gli cspc- Coltura di piante esotiche 113 rimenti dell' estrazione dello zucchero. Io fui desti- nato a presiedere alle esperienze , ed a fornire al governo un rapporto in proposito : ma alcune cir- costanze fecero interrompere gli esperimenti, dai' quali però si conobbe, che intraprese di tal natura con un pratico direttore estero sarebbero state uti- lissime. È però in oggi serotina ogni ulteriore sto- ria di tal coltivazione , che trovasi universalmente stabilita nello stato pontificio, ed ogni osservazio- ne sul processo di zuccherificazione; poiché si è or- mai in Francia giunto ad ottenere dalie betteraves r otto per cento in peso di zucchero, secondo i me- todi di Laurence ed altri. Orjza montana. Riso secco della Cina. Molti anni indietro era stata introdotta nel territorio vi- terbese la coltivazione del riso comune acquaiuolo: ma più per invidie o pregiudizj volgari, che per verace nocumento che recassero alla salubrità del- l'aria, essendo essa distante otto o dieci miglia dalla citta, fu invocata la proscrizione di tale cultura, che fu finalmente decretata. Sebbene io non mi occupi di speculazioni agrarie, pure allorché udii il primo annuncio del riso secco, e del buon risultato otte- nutone in Brescia dal sig. Rosa, mi procurai alcuni grani nella speranza che potesse ottenersene van- taggio «lai coltivatori e speculatori, poiché abbia- mo qui copia di orti e terreni irrigabili. Il pro- dotto fu vario in quantità e qualità , ma la coltiva- zione fu per varj anni dimenticata, o piuttosto non dedotta a notizia di sufficiente numero di persone: sono però di opinione, che riassumendosi, come sem- bra, potrà ottenersene vantaggio da chi coltiva le or- taglie. Io ne ottengo, da poche piante coltivate per pia- cere, un prodotto annuo considerabile. Molti insetti però, e specialmente le formiche, ne sono avidissime. 114 Scienze Helianthus tuberosus. Topinambour, pero di terra , tartufi bianchi. Questa pianta dell' America meridionale prospera in Viterbo in quasi ogni sor- ta di terreno come altrove: ma non incontra la for- tuna delle patate, sebbene pììi dojicigni ne siano i tuberi. Io credo, che in vista della sua feracità e rustichezza potrebbe farsene soggetto di qualche speculazione. Gossjpium herhaceum. Cotone. Veramente se il tentativo della coltivazione del cotone nell' Italia media potè essere ragionevole all' epoca del blocco continentale di Napoleone, in oggi non possiamo porci in concorrenza co' paesi più. caldi per otte- nere e porre utilmente in commercio un tal pro- dotto: tanto pili che il basso prezzo, con cui le mac- chine inglesi ce lo forniscono filato, ne rendono an- che sotto tal rapporto quasi inutile la coltivazione. Io ne coltivo alcuni individui ogni anno come pian- te insolite, e mi persuado che i contadini potreb- bero ottenere con poca cura il materiale pel loro vestiario. Magnolia grandiflora. Lauro tulipano. In quin- dici anni una pianta da seme mi è pervenuta all'al- tezza di oltre 20 piedi, ed alla grossezza del tron- co di circa due piedi di circonferenza con una espan- sione di rami, e vegetazione vividissima. Fiorì di 10 anni, e mi produce piii di 100 fiori all' anno. Ho ottenuto in istufa le piantoline da seme, che non potei ottenere in pien' aria. Poligonum fagopjrum. Grano nero. Ne otten- go due raccolte, l'una appresso l'altra, in ogni an- no. Sovente i grani cadono a tenore che si matu- rano. Potrebbe però recare qualche utilità semi- nandolo dopo il raccolto del grano. Coltura di piante esotiche 115 Hordeum zeocriton. Riso di Germania. Il pro- dotto sarebbe copioso e la coltura facile: ma man- candoci le macchine per brillarlo, e ridurlo a quel- la sfericità e bianchezza colla quale ci si reca in commercio, non presenta un gran vantaggio. Varie altre specie, delle quali ormai è resa comune la coltivazione , non meritano di essere ri- ferite; onde ec. S. Camilli Lettere del doti. Luigi Pacini. 1837. Deir effcacia dell" unguento di atropa belladona nelVernie incarcerate^ lettera diretta al eh. sig. dottor Tonelli di Roma dal dottor Luigi Pacini professore di notomia umana e comparata nel R. liceo di Lucca. Pregiatissimo signore, He .0 letto, è già qualche tempo, nel giornale ar- cadico pel mese di marzo di quest'anno, che men- tre ella si è fatta a render conto del Prospetto delle principali malattie curate nelVanno 1833 e 34 nella clinica chirurgica del R. liceo luc- chese., mostrando dispiacenza che dall'autore di quel libro nel discorrere della necessita di ese* guire con sollecitudine Verniotomia sia stato o- messo di far menzione dell'utilità tanto costatata della belladona per ridurre i tumori erniosi in- carcerati , abbia mostrato di non sapere se io 116 Scienze „ pure scrittore contemporaneo sia o no seguace di „ queir efficacissimo farmaco applicato sui tumori „ medesimi. A dissipare pertanto dall'animo di lei „ questo dubbio, e mostrarle per lo contrario esser- „ ne io caldissimo apprezzatore in questo paese , „ mi tolgo ora la liberta rispettosa di sottoporre „ al suo dotto e perspicace giudizio alcune noti- „ zie, per le quali le sarà ampiamente manifesto in „ quanto pregio appunto io tenga questo rimedio, „ perchè utilissimo in pratica come più e pili volte „ ho avuto luogo di verificare, e come tale lo tro- „ vo da molto tempo registrato in molti giornali „ d'Italia e d'oltremonte. E prima di tutto le deb- „ ho ingenuamente confessare, che in leggendo il „ suo articolo rimasi non poco meravigliato come „ ella avesse potuto venire condotto in tale dubbio, „ allorquando cosi si esprime sul conto mio: — „ Non sappiamo se il contemporaneo scrittor luc- „ chese, il sig. professor Pacini, intorno la chirur- „ già italiana abbia pur creduto usarne silenzio, „ essendosi limitato a tener proficua la belladona „ e lo josciamo per preparare una piìi ampia di- „ latazione della pupilla onde l'operazione della ^, cateratta riuscisse piìi agevole e sicura , opinar „ dovremmo, ch'egli nella convinzione teorica del- „ la facoltà rilasciante e torpente della belladona „ contro gl'inguinali incarceramenti, poca o ninna „ fidanza riposto abbia nella veracità delle accen- „ nate sanazioni. — Le quali parole dettate da un „ uomo della sua dottrina, che io stimo assaissi- „ mo, sono di molto peso, perchè atte a farmi so- f, spettare per lo meno ignaro delle cose utili a „ sapersi presso coloro, che non avessero letto le ,) mie Riflessioni critiche sullo stato attuale della Lettera del Pacini 117 „ chirurgia italiana date fuori fino dal 1832. In „ queste alle pagine 56 e 57 cosi ho scritto : „ „ Di altra cosa italiana relativa all'ernie non ha „ punto discorso il critico, voglio dire dell'uso di „ un unguento carico di estratto di helladona ap- „ plicato sul tumore ernioso: col qual rimedio, con- „ forme trovasi scritto in due giornali medici d'Ita- „ lia, cioè nell'osservatore medico di Napoli, e nel „ giornale dell'Omodei pel mese di maggio e di „ giugno di quest'anno, si sono fatte già a quest* „ ora rientrare nel ventre un bel numero di ernie „ incarcerate. Mentre non vuoisi porre in dubbio „ questi fatti , è da desiderare ardentemente che „ tal presìdio, adoperato ove convenga, possa tor- „ nare di tanta utilità da render meno frequente „ il bisogno di praticare un' operazione : che seb- „ bene in tempo opportuno eseguita, ne di per se „ stessa pericolosa, può nondimeno diventarla per „ le conseguenze che ne derivano. ,, E qualora io ,, potessi darmi a credere, esserle scorse queste pa- „ gine inosservate o averle col tempo non piìi pre- ,, senti alla memoria, lo che può benissimo acca- „ dere , non saprei poi spiegare 1' altro punto del „ suo articolo ove dice , cìt io mi sono limitato a „ ritener profìcua la helladona e lo josciamo per „ preparare una pia ampia dilatazione della pu- „ pilla, onde l'operazione della cateratta riesca pia ^, agevole e sicura. Della qual cosa, gentilissimo „ signore, ho appunto taciuto nel mio scritto, per „ esser quest' applicazione tentata con frutto per „ la prima volta in Germania dal Lagenbek e dall' „ Himily molti anni sono, e non altrimenti in ita- ,, lia, come ciò è accaduto nei casi di ernia incar- ^ cerata. JXè tale mia trascuratezza e casuale^ per- 118 Scienze „ ciocché mentre non si vogliono da me porre in „ dubbio i fatti che ne provano la salutare efficacia „ per ottenere la dilatazione della pupilla, non opi- „ no doversi in generale ricorrere allorché si de- „ prime la cateratta, istruito dalla sperienza ; la „ quale per ben due volte mi mostrò Timminen- „ te pericolo di veder passare il cristallino nella „ camera anteriore dell'aqueo nell'atto di depri- „ merlo nel vitreo, per essere appunto la pupilla „ soverchiamente dilatata. Non opino certo di que- ,, sta guisa allorché eseguiscesi l'estrazione di que- „ sto corpo. Ad oggetto poi di convincerla anco „ coi fatti, tenersi da me come prezioso ritrova- „ mento l'uso di questo rimedio nei tumori ernio- „ si incarcerati, godo di assicurarla, che non solo „ io, come ^ia le dissi, ho piìi volte adoperato la „ belladona, ma eziandio alcuni dei miei amici e „ colleghi istigati da me medesimo l'hanno posta in „ uso parecchie volte e sempre utilmente nell'er- „ nie incarcerate ; tra i quali mi piace a cagion „ d'onore di qui nominarne specialmente due , i „ professori Bandettini e Puccinelli del R. liceo, „ pratici distinti in questa cittk. Nella quale posso „ accertarla, esser molto apprezzati gli avanzamen- „ ti dell'arte nostra, e tranne pochissimi restii, tut- ,, ti sono grandissimamente amorosi dei medesimi. „ Lochè sarebbe desiderabile che divenisse virtìi „ comune in quanti sono i coltivatori dell'arte chi- „ rurgica, affinchè da essi maggiori frutti ne tr.ies- „ se r umanità. Do termine a questa lettera, forse ,, un poco troppo prolissa, col far voti perchè il 1, problema del dottor Meola di Napoli abbia la „ da lui desiderata soluzione la mercè di nuove „ sperienze , onde d'ora in poi anco nella clinica I Lettera del Pacini H9 nostra sìa fatto benefico impiego della belladona applicata in forma di unguento sugi' intestinali incarceramenti: ed i giovani allievi, fatti certi dei reali vantaggi della medesima, non siano un gior- no così corrivi a praticare V erniotomia', opera- zione sempre difficile, in grazia delle frequenti e numerose complicazioni da cui soventemente è congiunta. Le quali, egli è certo, non verranno poste in dubbio nemmeno dall'autore dello scrit- to da lei SI compiacentemente analizzato: che se- condo ciò che pare, mostrasi cotanto caldo par- tigiano àe\Y erniotomia, cui egli ricorre con mol- ta sollecitudine e così spesse volte. „ Profitto di quest'occasione per protestarle i sentimenti della mia alta stima, coi quali mi pre- gio di essere Di V. S. Illma Lucca 20 dicembre 1836 Urne servitore Prof. Pacini 120 Al chiarissimo sig. dott. Luigi Pacini prof, di no- tomia umana e comparata nel R. liceo di Lucca. Risposta del dott. Giuseppe Tonelli. ,, La parentesi è una forma assoluta di par- „ lare, frapposta nel ragionamento, o per dichia- „ razione, o per restrizione di un periodo, di un „ sentimento, il quale non abbia immediata rela- „ zione cogli altri contenuti nel discorso. ,, Gatti, Ortografia italiana. E sempre andai (tal Amor diemmi aita) In quegli esili, quanto e' vide, amari, Di memoria e di speme il cor pascendo Petrarca, Canzone XLV. PREGIATISSIMO SIGNORE, N< on prima del 29 perduto marzo mi è pervenu- to da Roma l'esemplare da lei fattomi tenere del- la lettera , di cui si è compiaciuta graziosamente onorarmi. Veramente per quanto ella ha di dottri- na, altrettanto io credo avere di coscienza di me medesimo; e di c|ueHe sue lodi, da quel nonnulla che io sono, sentomi affatto immeritevole. Cosicché debbo le medesime alla sua benignità giustamente rapportare, e vorrò di esse per mio debito di gra- titudine perpetuamente rammemorarmi. Immerite- vole pur sentomi dell'alto favore che mi comparte con quelle accusazioni, che a mio carico si è de- LETTERA DEL ToNELLi 121 gnato spargere nella istessa sua lettera. E lungi dall'esonerarmene, Lenchè rispettosamente, volen- tieri al sostegno dell'alta sua stima avrei preposto il silenzio, quante volte la sua lettera avesse figu- rato nelle carte del Giornale Arcadico. Ivi nel con- fronto del suo col mio scritto ( al qual confronto vengono da curiosità naturalmente invitati i letto- ri ) avrebbe ognuno agevolmente rinvenuto la ri- sposta bella e fatta del secondo al primo dei di- scussi periodi. Giacche per altro ha creduto ella va- lersi di altri tipi, mi è giuoco-forza imitarla , ed anche a coloro che non abbian lettura del preno- minato giornale presentarmi co' miei documenti pel giudizio della ridicola insorta quistione. Ri- dicola al certo , poiché non supera il valor della cifra di una parentesi ; cosicché non varrebbe la pena imbrattarvi delle carte, e spendervi un otta- vo di ora di quel prezioso tempo che scarsissimo mi rimane dalle mie occupazioni ed assunti impe- gni, I genuini documenti che vado a produrre so- no il periodo del mio scritto estratto dal Giornale Arcadico pel mese di marzo 1836, pag. 295, lin. 7 e seg. , ed il periodo della sua lettera estratto dal suo opuscolo {P acini Lettere, pag. 20 lin. 10, e seg.). Il paragone di essi sarà il risultato comparativo che guiderà il tribunale del pubblico al giudizio ed alla pronunzia della sentenza. Periodo di Tonelti. .... Che se il dotto sig. De Filippi nel suo lavoro „ Dello stato attuale della chirurgia „ (1) (i) Bibliot. Ital. voi. LXXVI pag. 242. G. A. T. LXX. 9 122 Scienze favellando delle operazioni dell'ernie , divisò pur egli ometterne menzione (non sappiamo, se il con- temporaneo scrittor lucchese sig. prof. Pacini „ In- „ torno la chirurgia italiana „ abbia pur creduto usarne silenzio), essendosi limitato a ritener pro- ficua la belladona e l'iosciamo per preparare una pili ampia dilatazione della pupilla onde l'opera- zione della cateratta riescisse piìi agevole e sicura: opinar dovremmo, ch'egli, nella coijvinzion teorica della facoltà rilasciante e torpente della belladona contro gl'inguinali incarceramenti, poca o ninna fi- danza riposto abbia nella veracità delle accennate sanazioni. Periodo del sig. prof. Pacini attribuito a Tonelli, .... così si esprìme sul conto mìo: ,, Non sap- „ piamo, se il contemporaneo scrittor lucchese, il „ sig. professor Pacini, intorno la chirurgia italia- „ na abbia pure creduto usarne silenzio, essendosi „ limitato a tener proficua la belladona e lo jo- „ sciamo per preparare una piìi ampia dilatazione „ della pupilla onde l' operazione della cateratta „ riuscisse pili agevole e sicura, opinar dovremmo ,, ch'egli nella convinzione teorica della facoltà ri- „ lasciante e torpente della belladona contro gl'in- „ guinali incarceramenti, poca o ninna fidanza ri- ,, posto abbia nella veracità delle accennate sana- „ zioni. „ Or dalla comparazione degli esposti periodi non salta all'occhio ancor dei non chiaro-veggenti, ch'ella, sig. prof, chiarissimo, dal mio periodo ha Lettera del Tonelli 123 tolto il primo inciso di essa; ha rimosso le cifre della parentesi avente un senso distinto dal perio- do; ed ha amalgamato il concetto della parentesi con quello del rimanente periodo? Nella quale ope- razione non viene ella (forse anche non volendolo) ad attribuirmi un sentimento, un discorso che non è più il mio, un sentimento travisato, il qual nasce da un periodo mutilato e reso informe colla riu- nione indebita del sentimento di una parentesi ; mutilazione, travisamento che mi si rende cagione della ingiusta di lei accusa? Non avrebbero avuto luogo le sue maraviglie alla pag. 20 ; non la do- lente sorpresa alla pag. 21 da lei sperimentata suU' uso della belladona per la dilatazione della pupil- la, onde meglio eseguire l'operazione della caterat- ta. Nel periodo infatti da me scritto è ben chiaro, che tutto il periodo risguarda il sìg. De Filippi, il quale nel suo lavoro non fete alcuna menzione dell' uso della belladona nell' ernie ; laddove alla pag. 237 della Biblioteca italiana voi. cit., in con- ferma degl' importanti perfezionamenti dei quali venne arricchita la terapìa chirurgica, si limita per gli effetti e per gli usi della belladona a conside- rare la dilatazione della pupilla, senza far parola alcuna dell'applicazione di essa nei tumori ernio- si. È chiaro altresì, che la sola parentesi risguar- dava la meritissima di lei persona: avendo io sem- plicemente scritto, non sapere se anch'ella nel suo lavoro ne avesse usato silenzio, non conoscendos-i da me il suo lavoro medesimo che per il solo la- conico annunzio fattone pure dalla stessa Biblio- teca italiana. Comprendo che la forza espansiva dei suoi meriti siasi resa intollerante della rilegazione infra le cifre di una parentesi , e che urtandone 124 Scienze gli angusti limiti per ampliarne 1' area distriitte ahbia le vestigio della parentesi stessa ; ma ove su questa operazione si faccia poggiare la sua accusa a mio carico, la risposta è bella e fatta: il giudi- zio del colto pubblico già può dirsi pronunziato: io sono dalla menda imputatami assoluto. Facendomi però a riflettere all'infortunio in» contrato dalla mia parentesi , non troverei soddi- sfacenti modi per concepirlo ed iscusarlo. O dir dovrei, ch'ella non abbia letto il periodo cogli oc- chi suoi, ma lo abbia bensì udito leggere da altri senza l'accorgimento di quella benedetta parentesi; o dir dovrei che il valor di una parentesi avesse tralasciato ella di apprezzare. Ma non sapendo per-» suadermi , come uno scrittore di alta rinomanza, qual ella si è, abbia potuto incorrere in un reato, che parrebbe doversi ridurre q a grossolano ab- baglio o a sagacissima malizia i avrei immaginato di chiedere in grazia, se mai in virtù dei suoi me-, riti avesse ella conseguito qualche ampio diplo- ma dal frullone con privilegio di escludere dai ri- spettivi loro diritti le parentesi, e tutte annullarle nei discorsi. Se ciò fosse , decisa sarebbe ogni quif stione a favor di lei, ed io dovrei congratularme- ne a capo chino per l'onorifica innovazione che per opera di lei verrebbe ad introdursi ; innovazione eclatante, e che fin qui ignota mi era, trovandomi a vivere in un angolo dello stivai d'Italia. Lo esor- tarci per altro a far di pubblica conoscenza sif- fatto decreto e per norma degli scrittori , e per quiete delle povere parentesi^ che per tanti secoli hanno pacificamente goduto il diritto di racchiu- dere , di comprimere fra le inviolabili loro cifre una forma assoluta di discorso da non confonder- • Lettera del Tonelli 125 si colle precedenti ne colle susseguenti proposi- zioni. Pongo qui fine alla mia giustificazione , alla quale mi ha chiamato la circostanza di menda che mi gravava per un periodo da lei travisato, per una parentesi da lei negletta. Era Len sufficiente , eh' ella senza urtare in questo scoglio per sostegno del- la sua sapienza non buccinata dalla mia parentesi, si fosse compiaciuta dichiararsi partigiano della belladona , ed accennare all' uso di cotal farmaco nelle sue cure. Avrebbe così riempiuto il vóto la- sciato dalla mia penna in quella mal augurata pa- rentesi, ed avrebbe cosi evitato la noja di questa mia risposta. Mi duole, ed il cielo sa che mentir non mi piace, anzi non sol dìspiacenza ma rossore io sperimento in aver con questa mia lettera forse alcun poco macchiato il sublime di lei merito. Le ne chieggo mille scuse, e la prego di non voler- melo attribuire a fallo , avendo esposto la verità nel suo nudo sembiante, e bastandomi non merita- re per questo titolo rimostranza veruna. Da che massima estimazione io nutro per gli scienziati tut- ti , e sentimenti della più alta considerazione io serbo per la meritissima di lei persona, di cui con ogni venerazione e rispetto mi dichiaro Paliano presso Roma 6 aprile 1837 Umilissimo servitore GiosEPPE Tonelli 126 LETTERATURA Cenni intorno a tre operette nicmismatiche. Operiamo che non siano per dispiacere al cortese lettore questi brevi cenni intorno tre operette nurav smatiche ultimamente venuteci alle mani. Le due prime son parte di» un lodato nummografo italiano; la terza, proveniente dal nord dell'Europa, interes- sa Italia nostra, perchè imprende a combattere una opinione del dottissimo Ennio Quirino Visconti. I. Osservazioni di D. Celestino Cavedoni sopra le antiche monete di Atene. Modena presso Soliani \ 836, 8° di facce 36. Abbenchè \ Odulnet, il conte di Winchilsca , il Corsini, r Eckhel ed altri di proposito scrives- sero intorno le medaglie ateniesi \ pure per non aver essi bene esaminato ogni particolare di quel- le, furono cagione che si credesse, la celebrità delle arti greche nelle monete di quella nobilissima città non reggere al confronto delle monete di altre mi- nori città della Grecia. Al che guardando il N. A. produsse al pid>blico l'operetta qui annunziata: di- cendo in essa delle monete di quella città famosis- sima, così in oro, come in argento ed in bronzo. Operette numismatiche 127 Negava 1' Eckhel che alcuna moneta ateniese in oro fosse giunta fino a noi ; dubitava deìV aureo ateniese del museo luinleriano ; anzi sforzavasi di provare coH'autorita degli scrittori antichi, che Ate- ne non coniasse giammai moneta in oro. Ma, oltre- ché Aristofane chiaramente nelle Reme ricorda gli aurei ateniesi; oltreché ciò conferma Fllocoro pres- so lo scoliaste di quel comico : ora quel nummo hunteriano non è piti unico ; altro simile essendo- vene nel regio museo di Torino, descritto dal Mion- nes ; altro trovato lunghesso la via che dal Pireo conduce ad Atene , avendolo posseduto il Fauvel dapprima, poi il Gadalvene : e questo rispondendo al peso dello statere , assolve in certo tal modo Ar- pocrazione, rimproverato dall' Eckhel per aver ri- cordati gli stateri attici. In questi aurei si ha la testa di Pallade con elmo di forma prisca e sem- plice ; e nel rovescio la civetta di stile arcaico con le lettere A0H, o A0. Questi tipi di prisca maniera se si posero sulle monete d' oro, primamente bat- tuta in Atene nell'olimpiade XCIII. 2, essendo ar- conte Antigene, dan motivo a credere che si usas- sero nel tempo stesso anche ne' tetradrammi in ar- gento. Quindi ne scende, che que' tetradrammi che presentan la testa di Pallade con 1' elmo adorno , non vennero in uso a' tempi di Pericle, come par- ve air Eckhel, ma sì forse a qua' di Filippo, o del magno Alessandro. Le monete di argento dividonsi in monete di stile prisco, e di nuovo stile. Antichissime son le prime ; fra le quali è da riporre un octodramma del Brondstet pubblicato dal Mionnet. Narra Plu- tarco come Temistocle assegnasse otto dramme a ciascun cittadino, il quale prese avesse le armi e 128 Letteratura salite le navi; nulla più facile, che dopo la batta- glia di Salamina facessero gli ateniesi improntare monete reali di otto dramme ognuna, per usarne air impromesso stipendio. Queste monete di stile vetusto durarono sin verso la olimpiade centesima. Quelle di nuovo stile durarono, secondo l'Eckhel, sin verso i tempi di Mitridate : ma il N. A. osser- vando che nella scrittura di alcune si usa 1' w, ed il sigma quadralo C, ben riflette che durarono a Lattersi fino a' tempi degli Antonini ; costando che allora soltanto incominciarono tali forme di lettere a comparire sulle monete imperatorie di Megara etc. I tipi son costanti, e già sufficientemente dichiarati dall' Eckhel, il quale volle poi riferire alle feste e riti sacri o profani ateniesi i simboli varianti che veggonsi neir area del riverso. Ma in ciò mal s' ap- pose; e meglio il Cupero, il Corsini, il Visconti li re- putarono distintivi o insegne allusive ai nomi de ma- gistrati corrispondenti. Di pochi però questi dotti ne indicarono la ragione ; e fra questi pochi di al- cuni non esattamente : per il che il N. A. discorren- done distintamente ne da la dichiarazione di 37, se- condo r ordine alfabetico dei magistrati. E ne de- sume con sicuri argomenti, che tali simboli varianti han relazione al principale de' magistrati monetari, sia per allusione etimologica^ come la. face, «jpavov, al nome «PANOKAIII ; Diana apt<7zo^ovlin di ottimi consigli, al nome ETB0TATAH2 di buoni consigli ; Cerere, Eviiocpsioc, abbojidanza, al nome ETMAPEMIÌ2; ^pe, <^ojvj, la parte del miele che viene a galla , al nome ZQIAO:^; vitta di lana, oizciu, al nome IKEIIOS etc, sìa per allusione di omonimia mitica ed istorica^ come il trofeo posto sulla prora simbolo di Temi- stocle vincitor de' persiani, in riguardo al magi- Operette numismatiche 129 strato 0EMI2TOKAH2; la sfìnge accosciata allusiva al rnatcmatico alessandrino Diofanto , in riguardo al magistrato AI0$ANT02 ; la figura i>irile nuda astata allusiva ad Eumele duce de' ferèi a Troja, in riguardo al magistrato ETMHA02; il cervo stante allusivo alla lunga età di Nestore in riguardo al magistrato NE2TQP etc. sia per allusione di sempli- ce omonimia, come V elefante simboleggiante An- tioco re, al magistrato ANTI0X02; la figura pallia- ta stante con tazza nella d. e bacolo nella s. simbo- leggiante il cinico Diogene, al magistrato AlOFEvvjg etc. Vedemmo con soddisfazione che l'A. oh. in no- ta alla interpretazione di questo nummo (p. 10 N. 11 nota 10 ) divide la opinione per noi esternata ( V. voi. LXIX p. . . . ) riguardo ad un bassorilievo del giardino Giusti in Verona^ nel quale il eh. Orti aveva veduto un Esculapio : al Cavedoni sembra ri- conoscervi Diogene ; noi lo dicemmo ritratto inco- gnito, perchè pare che non molto somigli alle note sembianze di quel cinico. Ecco quindi scoperta una certa somiglianza fra le monete di famiglie romane e tali monete ate- niesi , che potrebbero chiamarsi di famiglie atti- che. I tipi delle prime spiegansi osservando allu- sioni di semplice etimologia , ovvero di omonimia ora semplice , ora slorica o mitologica del tipo o simbolo, col nome del magistrato monetale: le ate- niesi mai non mutarono i tipi principali, ma con la varietà de'simboli rendonsi pregevoli per le rela- zioni di essi ai nomi de' magistrati monetali. Altra somiglianza dei nummi delle due nazioni sta in ciò, che nei piìi antichi tipi non altre lettere si veggo- no che quelle indicanti il nome della città ; poi vi si introdussero in nesso i nomi de' magistrati mo- 130 Letteratura netali; in fine vi si scrissero ora raccorciati , ora interi. Tre i magistrati monetali furono in Roma ; tre per lo piii, e forse sempre, in Atene ; essendo negligenza dei descrittori dei nummi quando com- pariscon due. Ma se niuna differenza di potestk fuv- vi tra i triumviri monetali di Roma, in Atene i due primi magistrati eran costanti, variava il terzo ; il primo aveva autorità sopra il secondo ; ed il sim- Lolo e relativo quasi sempre al nome del primo. Per tali osservazioni è chiaro, non poter reggere la opi- nione di coloro che si avvisarono di riscontrare nel- la civetta che posa sopra un olivo avente due soli rami sfrondati : gli richiama a memoria 1' olivo sacro di Pallade, combusto insieme al sacrario dai persiani, e che secondo Erodoto fu visto nel gior- no dopo aver rimesse le frondi : la testa di Medu- sa co' serpenti gli ricorda il dono di un'egida au- rea col capo di Medusa nel mezzo, fatto secondo Pausania da Antioco, e che vedevasi nel fastigio del teatro in Atene : 1' Apollo nudo stante con le gamhe incrociate, ramo di lauro nella destra posata sul suo capo, e lira nella sinistra, rappresenta l'Apol- lo Licio che era in Atene, ed una copia del quale si conserva nella galleria di Firenze r la donna tu- nicata che colla destra si appoggia allo scettro, e nella sinistra tiene e riguarda un fanciullino »:he le fa festa, è senza meno il simulacro della Pace con Pluto bambino in braccio , che Pausania rac- conta aver Cefisidoro fatto agli ateniesi : sei tipi diversi gli richiamano a memoria Teseo, 1' eroe di Atene: il cinghiale, come uno dei cacciatori della belva caledonia; la figura virile che si caccia dinan- zi un toro, il vincitore del toro di Maratona ; il bu- cranio ornato d' infule, il sacrificio di quel toro fat- Operette numismatiche 131 to da Teseo ad Apollo Delfinio ; il caduceo , quello che nelle oscoforie portavasi adorno di corone, in memoria del vittorioso ritorno dell' eroe da Cre- ta ; il grappolo d' uva, o le spighe , l'aver Teseo promossa 1' agricoltura ; la figura virile e barbata sedente sopra uno scoglio, ricorda Egeo che aspetta e guarda se torna il figliuolo. Diciam per ultimo di una sua opinione, che lodevolmente il N. A. correg- ge in quest'opera. Il Sestini, nel Museo Hederv. P. 1. A. 77. N. 4, aveva ravvisato Solone in una meda- glia rappresentante un uomo sedente in seggiola , in abito di filosofo, con pileo largo in capo , e con la destra stesa inatto di arringare. Erasi opposto a tale opinione il sig. Cavedoni (Cenni sul vantaggio etc), perchè parevagli, appoggiandosi a Luciano, che Solo- ne non usasse pileo, non maniche lunghe: ma scon- tratosi in un passo di Plutarco, narrante come quel savio comparve pileato nel foro di Atene, e fattosi gran concorso di popolo, pronunciò una sua elegia; si accosta al Sestini ; e trova anche una ragione delle maniche lunghe nella vita molle di quel sa- vio. Appositamente vogliamo dar termine a questo cenno , col ricordo dell' enunciata correzione del- la propria opinione, perchè da essa ricaviamo una bella prova dello studio che ripone il N. A. nella ricerca del vero , anche quando questo s' incontri esser contrario al proprio esternato parere. //. Lettera numismatica a D. Celestino Ca^'edoni intorno ad alcune monete antiche dell'isola di Creta. Perugia 1836, Ò. di facce 42. Dirige l'italiano nummografo questa eruditis- sima lettera al eh. sig. Roberto Pasbley professore l32 Letteratura nel collegio della SS. Ti'inità a Cambridge , da cui stiamo attendendo una estesa e piena illustrazione di quanto si riferisce alle antichità , alla storia , alla geogi^afia della celebratissima isola di Greta. Divide il N. A. la lettera in due parti i descrive nella pri- ma le monete cretesi del R. museo estense , che han- no qualche particolarità degna di osservazione: espo- ne neir altra alcune sue osservazioni sopra i tipi di monete cretesi pubblicati gik da altri^ e specialmen- te dair Eckhel, dal Sestini^ dal Mionnet- Non più di 31 sono le monete descritte nella prima parte ; cioè 8 del comune di Greta ; una di Aliarla ; una di Aptera ; una di Gnosso ; due di Gi- donia; due di Eleuterna ; due di Cortina ; quattro di lerapitna; una di Litto ; due di Phaesto ; due di Rauco; una di Ritimna; e due di Sibrizia. Reputan- do far cosa grata agli amatori di questi studi , ri- portiamo qui la descrizione di quelle che furono primamente in questa lettera pubblicate. HIERAPITNA 1. Caput muliebre turritum ad d.)( lEPAIITT- NiaN 0AY02, et IlEA in nion ìgr. palma fructifera et aquila staiis ad s. ARG. 1. Questo medaglioncino in argento, benché somigli quello che si ha nel Mus. Hunter. tab. XXX f. 15, pure era inedito il nome del magistrato $AY02 2. Caput lovis laureatum ad d.^(^ IEP A pal- ma fructifera iuxta quam aquila stans ad d. et re- spiciens ad s. ARG. IV. 3. Caput muliebre turritum ad d. )( palma fructifera iuxta quam aquila ad s. stans: in area nAT. in monogr.-AER. III. LASOS 4. Caput lovis laureatum ad d. )( AATI .... Operette numismatiche 133 Jlpollo niidus ad s. stans d. extenta sagittam, s. ar- cwn humi attinet, AER. IV. PHAESTVS 5. Protome lovis cornupetae ad s. superne /)( ^ magnum intra qiiatuor globulos ARG V. Moltissime poi sono le correzioni fatte dal N. A. agli editori precedenti delle altre medaglie : a cagion di esempio il Pellerin Suppl. Ili PI. V f. I lasciò il serpe che ornato elmo di Pallade in una moneta di Allaria; in una di Aptera aggiunse le ali e tolse la larga testa al petaso di Mercurio, Ree. PI. XGVII f. 4 ; in una di Gortina PI. XGVII f. I I rappresentò nuda una figura che ha il pallio raccolto sul petto e suU' omero destro : il Sestini, Mas. Hederv. tab. III f. 12, attribuì a Palermo una moneta di lerapitna: il Mìonnet, Descr. N. 315, non avverti in una di Ritimna che il braccio e la mano s. di Mercurio sono nascosti sotto la penula etc. Ma per dare al cortese lettore una prova della dot- trina e diligenza dell' A. N. riportiamo qui la de- scrizione della medaglia N. 15, e la nota che la con- seguita. Caput Apollini s laureatum ad ^. )( EAEY0EP- NAICIN Apollo seminudus cortinae reticulo taenia- rum coopertae ad s. insidens^ d. extenta pomum , s. cortinae cui adstituta est lyra innititur. ( v. Mion- netN. 148) AER. III. „ Questa medaglia fu descritta da molti, ma „ con minore esattezza. Il Sestini non bene disse che „ Apollo siede sopra una pietra ( Mus. Hederv. N. „ 2 ): l'Eckhel e il Mionnet non si accorsero che la „ cortina sia coperta di un reticulo dt infule o vitte ,, sacre di lana ; ne diede però indizio il Pellerin 134 Letteratura „ nel suo disegno ( PI. XGVIII f. 19 ). Su quelFor- „ namento ragionò il Visconti ( M. P. C. T. I e T. „ a. II ) ; io vi aggiunsi altri riscontri ( Marmi „ mod. p. 193); edora aggiungo una pittura er- „ celanese ( voi. IV tav, 64) non rettamente de- „ scritta dagli illustratori di essa; e un'urna etrusca „ di Volterra ( Gal. Fir. S. IV T. I p. 74 ) nella ,, quale lo Zannoni ravvisò la cortina striata^ ma „ doveva dire dittata. Del resto 1' Apollo della no- „ stra moneta ha qualche indizio, ma non evidente, „ di arco e faretra suW omero „. Venendo alla seconda parte della lettera di cui scriviamo, si compone essa, come dicemmo, di molte osservazioni del sig. Cavedoni sopra i tipi delle monete cretesi da altri pubblicati. Ovviamen- te si correggono i precedenti editori, che pure fu- ron sommi nella scienza. Pej: esempio, credeva l'Eck- hel che in moneta del comune di Greta Giove fosse cinto dagli astri, perchè Nonno dice che in Olimpo ha egli la sua magione piena di astri. Meglio assai il N. A. ricorda con Ateneo che le sette pleiadi di- cevano aver portata 1' ambrosia a Giove bambino nato in Greta. Il Sestini ed il Mionnet non ricorda- rono altra moneta d' Acso che in bronzo ; mentre potevan vederne una in argento nel Liebe, Gotha Num. p. 163, che non manca nel R. museo estense. Quelle monete che il Pellerin ed altri assegnarono alle isolette o scogli Glidi di Gìpro, debbonsi piut- tosto attribuire a Chersoneso di Greta. Una mone- ta coloniale con le teste di Ottaviano e M. Antonio, ed i nomi dei decemviri T. Fufio ed M. Emilio e le sigle G. I. N. G. fu dal Florez attribuita a Gartagena della Spagna Tarraconese; ma quella medaglia pre- senta nel rovescio il laberinto, che ninna relazione Operette numismatiche 135 può avere con Cartagena ; il perchè ( sapendosi an- che che il nummo dei'ivi dall' oriente ) , propone il Cavedoni di leggere Colonia hdia Nova Cnossos, e riferirla a Cnosso di Creta, che testifica Strabone essere stata colonia romana. La figura succinta con cane vicino, in medaglia di Gidonia, che il Mionnet disse Diana, non può esser tale, perchè sarebbe tipo ripetuto , trovandosi la testa di Diana nel diritto ; piuttosto è Pro cri che rifugiatasi in Creta ebbe da Diana quel celebre cane che narra Igino. Il capo muliebre, che in monete di Laso dai nummografi di- cesi testa di Diana, per la mancanza di arco e fa- retra par piuttosto da credere di Latona; tanto più che per un' epigrafe presso Chissul, Antiq. asiat. p. 126, è noto che i magistrati di Laso nell' alleanza loro con gli olonzii giurarono per Latona. Nell'uo- mo nudo imberbe paggiato ad un tronco d' albero, e tenente nella destra un gallo , che vedesi in me- daglia di Phaesto, piuttosto che ravvisarvi Idome- neo secondo Eckhel , o Iasione secondo Cadalvene, è un Vulcano, oppure uno dei telchini. Ma non la finiremmo per ora, se tutte volessimo qui accenna- re le giudiziose e sagaci osservazioni del N. A. Il perchè chiuderemo c]uesto cenno riportando le sue ^tesse parole intorno un preteso nummo di Falan- na di Creta pubblicato dal Sestini ( Lett. T. HI p. 145; Desc. N. V p. 224 ). „ Tanta è la somiglianza ( cosi il Cavedoni ) „ dell' unica moneta di Falanna con quelle di Argo „ dell' Argolide (Millingen, Anc. coins p. C2 ), che „ altra differenza non v'ha fra esse, se non se dell' „ cpigrafeMAANNAIi2N invece dell'altra APFEmN. „ Dopo che il Sestini nel principio de' suoi studi „ numismatici descrisse e pubblicò quella moneta 136 Letteratura „ di Falanna, non se ne è mai più vista, che io mi „ sappia, altra simile; e d' altra parte è noto come „ il Sestini in quel tempo prese abbaglio e fu gab- „ bato dal falsario Osman bey, assai esperto nel „ trasmutare le epigrafi delle antiche monete (Eck- „ hel, Addenda p. 20, 28, 30). Mi nasce quindi il „ sospetto che quell' antica moneta del museo ain- „ slieano altro non fòsse che una moneta d'Argo, „ nella quale quell' impostore, od altri, avesse mu- „ tata l'epigrafe APrEIQN nell'altra ^AAANJyAIQN, „ per cosi mutare una medaglia non molto rara , „ in altra rarissima e aflPatto nuova. Il proposto dub- „ bio si conforta osservando, che ad Argo dell' Ar- „ golide dee restituirsi altra simile moneta che si „ attribuiva già ad Argesa di Tessaglia (Sestini, „ Mus. Heders^. P. I p. 94 ), „ Segua il sig. Gavedoni a darci cosi bei frutti de' suoi studi, e sia certo di riceverne la meritata lode, scevra d'adulazione, che noi ^bborriamo quan- to r ingiusta critica* IH. Notice dans la quelle il est pronte qiìune me-' daille portant la tete da roi Mnaskjrés de l Apolloniatide na pas plus existé , que ce sou- vrain meme, son pretendu rojaume et sa mere* Arse. St. Petersbourg^ de Vimprimerie de l'acadc- mie imperiale des sciences 1 835, 4. y?g-. Noi r ingrazieremo sempre que* dotti che in fat- to di archeologia si vanno occupando in correggere le opinioni non sufficientemente ridotte a certezza , e pubblicate in ispecie da coloro che giustamente han nome di sommi: perchè tanto merita quell'agri- coltore che sparge sul terreno utili semenze, quan- Operette numismatiche I37 to quello che ne svelle le erbe nocive ed Infruttuo- se. E già la infallibilità non è della umana specie ; qual più qual meno siamo soggetti ad errare; for- tunato colui che meno d'altri cade in abbaglio! D'al- tronde pili la opinione che si combatte deriva da uomini lodatissimi, piìi ritorna in bene degli studio- si il farlo , quando non poggi essa sul vero : per- chè la fama che meritamente quelli godono può fa- cilmente indurre in errore i contemporanei ed i futuri ; i quali fidati su di essa potrebbero abbrac- ciarla senza sottoporla a maturo e critico esame. Questi vantaggi potrebbero derivare dalla Notizia che abbiamo sott' occhi. Una medaglia in argento, esistente a Parigi nel- la raccolta del sig. Allier de Hauteroche, avea con- sigliato il sommo Visconti ad aggiungere ai ritratti dei satrapi delle diverse regioni di oriente, quello del re Mnaskire, di cui oragli semI>rato poter leg- gere il nome su quel nummo. Esso dall' una parte ha il ritratto già noto di Fraate IV, con le due vit- torie volanti nel campo, che sembrano volerlo in- coronare : dall' altra il busto di un giovane princi- pe, che all'abbigliamento si potrebbe prendere piut- tosto per quello di una donna; ma nel costume par- tico o persiano sulle medaglie evvi difficolta in deci- dere se certi ritratti sian di giovani principi, o di regine; e poi la leggenda lo dichiara per uomo. Essa dice MNAGKYA KIA...TON Kar BAGIAIGGHG APGHG BAGIAsa: ; cioè // re Mnaskire figliuolo di Cia ... e della regina Arse. Forse la regina Arse fu figliuola, o attinente almeno per parentela , di Fraate IV; ed il re Mnaskire facilmente è quello di cui parla Lu- ciano, narrando che visse sino a 96 anni. Per queste ragioni avemmo nella greca iconografia il ritratto di G.A. T.LXX. 10 138 Letteratura Mnaskire ( voi. Ili p. 27G tav. IK N. 7 cdiz. ml^ lanese). Un esemplare di questa medaglia da poco acqui-, stato dal gabinetto imperiale di Pietroburgo , e che r autore della Notizia dice di perfettissima conser- vazione, secondo lui fa prova, 1. che la testa del rovescio è femminile ; 2. che la leggenda fu mal letta. In essa infatti è scritto M0Y1H2 ^aaikiaar}^ QEM 0TPA]>fIA2. Il busto dunque rappresenta la regina Musa dea celeste^ prima divinitìi dell' orien-? te, che dissero Astarte^ Urania afrodite^ Dea cele-r ste^ Dea siria, Dea frigia, Cihele etc. , il cui culto era sparso dalla Frigia, dall'Assiria, dalla Persia sino air Afifricc^ bagnata dal mediterraneo , come ebbero provato Creuzer e Munter. Quindi, secondo l'autore della Notizia, debbesi escludere dalla iconografia greca il creduto ritratto di Mnaskire, che npn ha niai esìstito ; come un sogno è il preteso suo regno , un sogno la di lui madre Arse; e per ultimo gli sembrai che nel diritto non si abbia neppure a riconoscere Fraate IV. Dalle quali cose potrebbero realmente derivare que' vantaggi, de'quali dicevamo in princi- pio. Ma per non incorrere nella taccia di aver trop- po facilmente abbracciata questa nuova opinione ^ ci sia permesso esaminarla partitamentc, Concediamo al N. A. che il ritratto di Mnaskire debba essere espulso dalla greca iconografia : prò-? veremo però ora, che tal correzione non si deve a lui, ma sì allo stesso Visconti. Non conveniamo che la medaglia in questione rappresenti nel rovescio il busto di Astarte o dea Urania - non convenia- mo che sia dubbio il ritratto di Fraate IV nel di- ritto : non conveniamo che sia un sogno il regno di Mnaskire. ^- Operette numismatiche 13'J Ed infatti , come negar fede a Luciano, che ne' macrohii CXVI l'icorda quel principe? MvaijxtjS/jg (5i ^ocaCkvj^ ■nxQ^vaì'yìV gc, x«t vrjivqv.o'jxa. ''s^-t^Ocv ''stvj. Si dira che il samosatense lo addita come re de' par- ti : sia pure ; ma non sì potrà dire una invenzione quella testimonianza del greco scrittore. Che se fos- se vero che quel nome Mnaskire m^Ha sua origine non altro sia che l'epiteto lìfinochetr ( germe cele- ste ), come crede 1' orientalista de Sacj ; forse potè appartenere a vari principi ; e non potre!)])esi ri- tenere per certa la opinione di alcuni moderni, chv. noverano Mnaskire come decimo fra i principi nel- la serie degli arsacidi. Anche meno conveniamo che il diritto non rap- presenti Fraate IV. Ci paion chiare le somiglianze fra questo nummo, ed il ritratto di esso Fraate che si ha nella dramma pubblicata ed illustrata dal Viscon- ti ( Icon. Gr. voi. Ili tav. V, N. 5 ); e nel medaglio- ne in argento (Visconti op. cit. voi. HI tav. V, N. 5 ); nel quale per soprapplìi veggonsi le due vittorie te- ner alzata sulla testa del re una ghirlanda quasi per incoronarlo, somigliantissime a quelle che si hanno nel nunmio creduto di Mnaskire, In esso la testa del rovescio è femminile, non v' ha dubbio ; ma non rappresenta Jstarte ; s\ la regina Termusa moglie di Fraate IV, e madre di Fraatace re dei parti. Questo ci disse il medesimo Visconti, che lodevolmente corresse se stesso in un beli' articolo che può leggersi nel giornale de' let- terati (Parigi 1817, f. 731 e segg.), Tre nuove dram- me d' argento, simili in tutto a quella del sig- Allier de llauterochc, lo posero in grado di fare una tale scoperta. Quella aveva i caratteri dell' iscrizione mal impressi e ripercossi due volle per colpa del 140 Letteratura monetiere ; quindi disordinali, di diflicile interpre- tazione, non è a fiir maravii^lia che fosse stato egli per essi indotto in errore. Le tre nuove medaglie, una presso milord Northwicli , due nella raccolta del sig. Rousseau, presentano la seguente leggenda: 0EA2 0TPANIA2 . . . OY2H2 BAllAUlrig ; della Dea celeste ; la regina . , . usa. Il supplimento del nome di essa regina si ha da Giuseppe Flavio ( Jfnt, luci. lib. XVIII e. 7 §. 4). Racconta lo storico ebreo, come Fraate IV s' innamorasse di una giovine schia- va italiana inviatagli da Augusto, e nomata Termu- sa ; come la facesse sua sposa ; com'essa concepisse il disegno di far passare la corona al proprio figliuO' lo Fraatace , facendone escludere i figli legittimi che Fraate già aveva ; e come nel concepito disegno riuscisse, cos'i inviando in Roma per ostaggio i figlia- stri, come facendo perire il già vecchio Fraate, L'au- tore della Notizia può assai fàcilmente confrontare la medaglia del gabinetto imperiale con quella di milord Northwich ( Visconti Icon. Gr. voi. HI tav, V, N. 6 ) ; vedrà chiaramente che 1' una non è di-> versa dall' altra ; e se quella di Pietroburgo con- servò nella leggenda una lettera di piìi . . . M0T2H2, ciò convalida il supplemento fatto dal dotto italia- no TcjsMOT^H^ Se le conseguenze che da questi fatti derivano fossero state favorevoli all' opinione dell' A- della Notizia^ ben volentieri lo avremmo ringraziato per le ragioni addotte nel principio di questo sunto. Ma la opinione di lui in molte parti non essendo giusta ; e la vera lezione ed interpretazione del mo- numento dovendosi a quello stesso Visconti, contro cui era diretta l' accusa ; credemmo dover nostro , si per nazionalità, sì perchè in questi studi cerchia- OpEttEtT^ NUMISMATICHE 1 /l 1 ilio il vero, e quello soltanto apprezziamo , difen- dere dall' ingiusta accusa quel Visconti , che a dire di un dotto, era la più bella conquista dalla Fran- cia fatta suir Italia. E veggiamo che facilmente nascerà nel benigno lettore il desiderio di conoscere chi sia 1' A- della indicata Notizia. Noi non possiamo con matematica certezza soddisfare una tal curiosità : l'opuscolo che abbiamo sott' occhio è anonimo : leggiamo che è estratto dalle memorie dell' accademia imperiale delle scienze in Pietroburgo, voi. Ili, dispensa sesta; ma non essendoci quel volume giunto alle manij non possiamo dire se anche in esso 1' autore volle restar nascosto. Ciò non ostante non resteremo dal parteci- pare al pubblico un nostro sospetto. Son già sedici anni, che vedemmo pubblicata in un giornale lom- bardo (Bibl. Ital. voi. 24) la dissertazione di un nobi- le russo intorno le opere del nostro Visconti: ci sem- bra che della medesima penna sia la Notizia, della quale abbiamo tenuto discorso. C. C. U2 f^olgarizzainento delle nuove favole di Fedro , fatica del prof. Domenico f'^accolini. B. fello è tenere in pregio la lingua latina, eredi-' tà di gloria e di sapienza, che i nostri padri ci la- sciarono. Dacché le facili dottrine degli stranieri ci empirono le orecchie, e tentarono le vie dei cu orci noi fummo meno grandi e meno degni di noi stes- si e degli avi. Una trista sperienza ci giovi, e la futura generazione impari a disprezzare le dottrine de'novatori, le quali sono veleno al cuore e tene- bra alla mente. Noi abbiamo negli scrittori del se- col d'oro dovizia di greca e di latina sapienza^ ami- ca eterna della ragione, e lume a tutto il mondo. Del bel numero è il liberto d'Augusto: nelle cui favole ha brevità, proprietà, varietà, semplicità, eleganza , e quella disinvoltura che par nata me- glio che fatta, ed ha scuoia perpetua di costumi. Buono è che i giovanetti a fonte sì pura ])evano i precetti della morale, ed assaporino le squisitezze della lingua latina, che è tutta virtìi; tanto che coli' incendio dell' impero non inaridì. Forse aspra la trovano al primo gusto; ciò accade come alle acque medicinali, che un pò di amaro ti acquista fior di salute, ed ima quasi i)catitudine. Ma tutti forse alla prima noi crederanno: così ne facessero prova! co- sì non si lasciassero trarre a lusinghe di falsi pia- ceri! Novelli Ercoli, quali si tengono, rammentino il bivio: le molli rose a viltà, le spine adducono a gloria immortale: e a questa mirino, e a questa Nuove Favole di Fioduo 1A3 veglino, e su e il lungo pianto „ Eva tergendo, il cor di speme accese. E pare a me, se mal non mi appongo, che sia pre- feribile il modo, con che chiudesi il sonetto nella 174 Letteratura detta edizione di Bologna. Del resto io m' ho speran- za ch'ella riceverà e vedrà con piacere queste l)revi scritture di tal uomo, del quale con molta lode par- leranno le storie della italica letteratura. Ogni cosc- rella che sia caduta dalla penna dei grandi letterati merita di essere diligentemente conservata, e deesi quindi, siccome una preziosità, raccogliere da chiun- que ami gli studi e giustamente pregi i valorosi scrittori: cosi avidamente raccoglievansi le volanti foglie, nelle quali la sibilla scriveva i suoi vaticinii. E qui supplicandola io, monsignor mìo venerati ssi- mo, a continuarmi l'alto onore della sua cara beni- volenza, con tutto l' animo a lei mi raccomando, e con ogni maniera di stima e di ossequio me le offero Di Ascoli a' 20 di febbrajo 1837. Suo devino ed obbmo servitore Giacinto Cantalamessa Carboni. Lettere due di Paolo Costa scritte a monsignor Giuseppe de^ marchesi Zacchia delegato aposto- lico della proi^incia di Ascoli. Eccellenza reverendissima. Rendo infinite grazie all'È. V. R. dell'onore, che l'è piaciuto di compartirmi ponendomi nel numero degli accademici truentini, e desidero che mi sia data occasione di mostrarle la mia gratitudine. Frattanto mi rallegrerò coU'E. V. R. delle cure, che si prende a bene della umanità, la quale sarebbe molto fortu- Sonetto del Costa 175 nata se tutti coloro, che reggono i popoli, si dessero cura di togliere dalle citta, per quanto è possibile , l'ignoranza, clie è cagione della piìi parte de' mali , onde è afflitta la società civile. Predandola a conser- o vanni la preziosa sua benevolenza, me le ofFero ri- spettosamente Dell' E. V. R. Bologna li 11 gennajo 1820. Devmo ed Oblmo servitore Paolo Costa. II. Monsignore Reverendissimo Bologna li 27 luglio 1820 Rispondo breve alla sua lettera, riserbandomi a scriverle più a lungo fra pochi giorni. La ringra- zio prima di tutto delle amorevoli espressioni, che ella usa meco, e le chieggo scusa del non avere potu- to compiacere il suo desiderio componendo un so- netto relativo alla festa, che vogliono celebrare i poeti dell' accademia da V. E. fondata. Le mando questi due, che sono di argomento sacro, e forse non al tutto sconvenienti alla detta festa. Me le ofFero in- tanto pieno di rispetto e di stima Suo Devmo ed Osmo servitore Paolo Costa. 176 Letteratura Sopra la concezione di Maria. Sonetto di Paolo Costa. E ancor ravvolto all'arbore funesta Quasi in trionfo, o rio serpe, ti stai? E bieco levi la sanguigna cresta Nove frodi pensando e novi guai ? Vedi che cinta di stellata vesta, Riflettendo da se gli eterni rai. Già s'avvanza, t' è sopra, e ti calpesta Quella, a' cui piedi incatenato andrai. O natura non piìi squallida ed egra ! O dolce, o sospirata alta vendetta. Che i cieli alluma, e piìi gli abissi annegra! Ecco dal sen d'Abramo a Dio s'affretta Lo stuol de' padri, e in vista si rallegra ^ Che dietro l'orme sue le genti aspetta. 177 Biografìa di Francesco Barbaro veneziano , descritta da Giuseppe Ignazio Montanari, \i nella Venezia, la quale, per dire col poeta, fu po- sta dagli dei a mostrare quanto possono gli animi umani spinti da desiderio di libera vita , e quanto la virtìi e la sapienza civile bastino a popolare il mondo di eroi , fu chiara e famosa sempre per cit- tadine bontà , e per pubbliche provvidenze non so qual più. E bene a ragione tutti i secoli andati ma- ravigliarono, che da un fondo di mare si levassero moli sì superbe a formare una citta specchio a tutte le nazioni: e quanti ancora si volgeranno argomen- tando dalla durazione di lei e dal poderoso suo im- pero la saviezza de'reggimenti, piangeranno il gior- no in cui traboccò dall' antica sua altezza ; se non vogliam dire ch'ella ora sente il meglio di que'beni che per quattordici secoli di gloriosa signoria cer- cò, la tranquillità e la pace ; doni che sole poteanle venire dalla mano del più venerando e potente de' monarchi d' Europa. In questa citta adunque trasse di nobilissimo lignaggio i natali nell'anno 1398 Francesco Barba- ro, del quale e 1' Agostini, e il Foscarini , e il Maz- zuchelli, e il Tiraboschi, e lo Zeno, e il Quirini, ed altri molti, dai quali ho tratto il meglio delle me- morie che ora do, come di miracolo d' ingegno e di valore parlarono. Gli fu padre Candiano Barbaro senatore amplissimo della veneta repubblica. Fino 178 Letteratura dalla prima giovinezza egli si porse tale da fare al- trui conoscere quale diverrebbe in appresso, uno de pia caldi motori di tutto ciò che poteva tornare a prò delle lettere (1). Ebbe a maestri gli uomini più lodati dell' età sua, Giovanni da Ravenna, Gaspari- no Barzizza, Vittorino da Feltre, Guarino da Vero- na, nomi chiari quant' altri mai nella storia delle lettere ; e sotto la costoro disciplina apprese il gre- co e il latino. Recatosi a cagione di studio a Pado- va , vi die prove assai di svegliatissimo ingegno , e nel 1416 recitò due nobilissime orazioni, l'una in morte del Corradino, Y altra in occasione della lau- rea legale conferita al Guidalotti. In quel tempo egli pure fu onorato delle insigne del dottorato in legge. Fu in quell'anno ch'egli, come avvisano gli eruditi, scrisse il trattato de re uxoria^ del quale di- remo pili sotto. Preso dall' amore dei libri, non eb- be appena riposto pie in patria, che si diede a tutt' uomo a raccogliere quanti più seppe e potè codici, onde formare una ricca biblioteca, e volgeva in cuo- re di visitare persino la Palestina: cosa che poi gli andò in dileguo. Non varcava oltre il ventuneslm' anno quando venne creato senatore; e fu ben maraviglia non solo in si verde età vederlo seduto in quel consesso che, sto per dire, reggeva le cose d' Europa , e a tutti i signori d' Italia metteva leggi e freno , ma vederlo adoperato in gravissime bisogne della reppublica. In questo stesso anno, che fu il 1419, condusse in moglie Maria Loredano, la quale gli portò in casa (i) Ginguenè, Storia della letleraliira italiana, voi. 4- pag- *48' Milano iS'iS. Biografia di Francesco Barbaro 179 (Ioti assai rare dell' animo e dell' ingegno, ricchez- za e noljiltk, e in appresso sei figliuoli: l'uno de'qua- li a nome Zaccheria fu degno d'essere ricordato con Iodi dalla posteri la, per grandi e singolari virtìi che ebbe, e per buoni servigi resi alla patria. Di lui però non ci rimangono che due lettere conservateci dall'eruditissimo cardinale Quirini (1), ed una pos- seduta in Firenze dal Gori, e citata dal Manni. In oltre in un medaglione di bronzo abbiamo l'effigie di lui. Delle cinque femmine nuli' altro è a sapere se non che due sortirono a nobilissime nozze , tre scelsero la pace del chiostro. Ma per rendermi a Francesco , del quale è il primo mio ragionare, dirò che nel 1422 per la fil- ma che egli aveva di savio e valente signore fu dal- la sua repubblica designato prefetto di Como : al cjuale carico egli si scusò , e meglio tenne andare podestà e capitano a Trevigi , ove per un anno si condusse com' era da lui, in modo da lasciare di se desiderio e grido. Passando a que' giorni per Vinegia l'imperator Paleologo, Francesco Barbaro e Leonardo Giustinia- ni, pur egli cittadino di grand'essere, furono a com- plimentarlo in greca favella a nome della repub- blica, e il Barbaro si distinse in maniera che più non avria potuto se anziché nativo di Venezia, fosse stato cittadino d' Atene. E ben fu maraviglia ( se pure si dee credere a ciò che taluni affermano, an- che contro la sentenza di molti storici e critici) che negli ultimi anni della vita ( o fosse forza d' infer- mità sofferte, o il soverchio usare della memoria ) (i) In epislolas Francisci Barbari diatriba card. Quirini, pag. 537 e scg. 130 Letteratura nulla pili si conoscesse di quella lìngua , che con gentilezza ed eleganza aveva parlata in gioventù , con tanta profondita studiata, e fatta cosa sua pro- pria, da vincerne il suo stesso maestro Guarino da Verona. Nel 1424, mandato a Vicenza in officio dì po- destà, fé quel meglio che poteva onde entrare nel- r amore e nella stima de' cittadini. Egli die mano a riformare gli statuti loro , e a fare che Giorgio Trapesunzio fosse quivi chiamato ad insegnarvi let- tere greche. E però in fronte allo statuto si legge un elogio del Barbaro, tanto piìi da pregiarsi per- chè da indizio certo della universale benevolenza a lui posta, e perchè è cosa del Guarino. Quando la repubblica veneta all' invito de'fio- rentini, coi quali aveva stretta lega contro il duca di Milano, aveva fatto disegno di tirare il papa alla lega stessa, o almeno distornelo dal favorire il Vi- sconti, mandò a lui ambasceria di due onorevolis- simi cittadini P'rancesco Barbaro e Marc' Antonio Morosini, i quali da Martino V furono raccolti con segni di somma benevolenza, e il Barbaro n' ebbe insegne e titolo di cavaliere. E comechè 1' animo del papa piegasse naturalmente a pace, ne volesse menare guerra contro persona, pure vegglamo che si die pensiero assai di fare che il duca di Milano si stesse ai patti. Questo fu nel 1426. Nel 1428 poi troviamo che il Barbaro venne onorato d' altra no- bilissima legazione. Il papa sempre inteso, come di- cemmo, alla pace aveva mandato a Ferrara Nicolò Albergati cardinale che fu di santa Croce, uomo degnato del titolo di beato. ,, Venuto a Ferrara il ,, medesimo cardinale santa Croce , vi vennero pa- Biografia di Francesco Barbaro 181 „ rimenti (sono parole del Pigna) (1) tutti gli „ ambasciatori de' potentati che si trovavano im- „ plìcati in questa guerra. E perchè pareva che le „ cose andassero lente, i veneziani spedirono nell' „ entrare del febbraro Francesco Barbaro ,, (elet- to a ciò dal consiglio dei cento il 3 dello stesso me- se ). Egli esposte le cagioni della sua legazione, la quale riusc'i a buon fine, riprese via per Roma, e di là venne a Firenze in officio d' ambasciatore. Venuta la città di Bergamo in potere dei vene- ziani (ed era in conseguenza delle condizioni di pace poste al duca di Milano), fu nominato al governo di quella Francesco Barbaro, e surrogato a Marco Giu- stiniani che prima n' aveva tenuto il reggimento, e aveva gettate le prime fondamenta della gloria che quivi coglierebbe il novello podestà e capitano che a lui succedesse, come il Barbaro stesso afferma in una sua epistola che è 1' ottantanovesima. Quando avrò detto che in questo carico il Barbaro si con- dusse da quel grand' uomo eh' egli era , e che nei due anni che fu al governo di quella città parve a tutti degno di rappresentare la veneziana repubbli- ca, avrò espresso abbastanza il mio concetto, si che alcuno non abbia a ricercare piìi innanzi. In frattanto le cose tra i veneziani e i Visconti si erano di nuovo turbate forte , anzi andavano di male a peggio: e la repubblica non volendo piìi es- ser giuoco alle fraudi del duca di Milano, riaccendeva la guerra contro lui. Aveva ella dato il comando delle sue schiere a Francesco Bussone dal nome del- la patria detto Carmagnola, il quale feroce delTani- (i) Storia della casa d' Este, lib. 6. pag. 449- 482 Letteratura mo quanto prode deU' armi, di difensore del Vi- sconti gli si era voltato contro acerbissimo nemico, fosse che non gli paressero Lene compensati i suoi veramente grand^ servigi, fosse che il Visconti adom- brasse iV un uomo che sapendo come T aveva rial- zato, poteva a sua voglia valersi degli stessi mezzi ad abbassarlo, o fosse anche mala arte ed invidia di corte che l' aveva tolto giii del favore del duca. Fatto è che il duca lo allontanò da sé: ond' egli ina- sprito dall' ingiuria, gli volse le spalle, e si offerse ai veneziani, i quali a lui fidarono lo stendardo di s. Marco. Egli guerreggiando a piìi battaglie contro il duca riportò solenni vittorie, ma alla fine de'conti quando metteva meglio usarne , noi volle: sicché avendo dati segni di piegare di nuovo a pace col primo signore, cadde in sospetto de' veneziani i qua- li poi lo punirono di morte. Provveditore al cam- po del Carmagnola in quell'anno , che fu il 1431, erano Delfino Vcniero e Francesco Barbaro (1) che fu poi uno de' sei consiglieri che dierono voto di morte contro di lui : conciossiacchè appena tornato a Venezia il Barbaro fu elevato al grado di consi- gliere, grado cui altre sei volte sostenne con onore suo e della repubblica. Ma perchè della morte del Carmagnola non tanto gli antichi quanto i moder- ni levarono querele, e quella repubblica, che fiorì suir altre per giustizia e magnanimità, chiamarono infida e sleale, quasi avesse lui innocente per Reis- simi fini sagrificato , siami concesso fermarmi un poco su ciò. (i) V. lettera del card. Quirini ad Almorò Barbaro provvedi- tore generale di Palmanova. Biografia di Francesco Barbaro 183 Il Carmagnola non era in se che uno di qne' soldati di ventura, nei quali quanto alto levava la prodezza di mano, tanto di sovente ci perdeva l'ono- re. Costui non aveva certamente date le piìi grandi prove di paragonata delicate?-za al Visconti: di ami- co gli era tornato contro nemico, e pareva cercare signoria per tutto, e volerla a danno di chi si fosse. Certo è che combattendo dapprima pe'veneziani ave- va mostrato avere veramente mal animo al duca, e bramare di prenderne acerba vendetta: ma quando gli si offerse il destro di farlo, mutarono d'improv- viso faccia le cose, si che il suo lento procedere, la restituzione di ottomila prigioni fatta contro il vo- ler de' provveditori della repubblica (1) dopo la (i) Per quanta riverenza io abbia al chiarissimo Manzoni, non posso darmi a credere che fosse lecito ai soldati vincitori rila- sciare i prigionieri all'insaputa dei generale, e però in questa parte non pare che egli tenesse abbastanza stretto ragiona- mento. Se egli come poeta voleva fare un eroe del Carmagnola, egli lo ha fatto, ed era certo da lui il farlo : come storico però oso dire che senza migliori fondamenti noi potrebl>e. Infatto sul conto de' prigionieri rilasciati, e delle altre colpe del Carmagno- la si legga quanto ne scrisse il cronista Andrea Navagero contem- poraneo (ch'egli è tutt'altro dal poeta oratore e storico Andrea Navagero, come può vedersi negli otto libri della letteratura ve- neziana di Marco Foscarini alla pagina iS+e iGo) il quale certo non fu ritenuto da timore a scrivere, perchè non pubblicò storia alcuna, anzi morendo ordinò chela fosse data alle fiamme, e si vedrà uscir vero quanto io ho asserito. Eccone le parole (Murato- ri, Scriptores rerum italicarum t. 25 pag. log'.t ioqSJ; - ,, Ma i prigioni per poca cura del capitano della signoria la maggior par- te la notte fuggirono, e i pochi restati furono da esso capita- no il giorno seguente, eccettuato il Malatesta, liberati. ,, - E po- co appresso : ,, - Ma egli ( il Carmagnola ) se bene conosceva il grandissimo terrore e pericolo, in che eia tutto lo stato del duca, per negligenza, o forse per malizia, non volle prose. 184 Letteratura fortunata battaglia di Maclodio, il soccorso negato alla flotta veneta pericolante , e poi battuta, 1' ab- bandono di Cremona ed altre cose, diedero a vedere eh' egli volgeva in cuore pensieri d'accordo col du- guire la vittoria, anzi consumandoli tempo in dividere le prede, dava tempo al duca d'unire le genti fuggite, o lasciate a quello, e con nuovi danari cavati dalle sue città rifare nuovo esercito, iadicio manifestissimo del mutato o corrotto animo suo ... E la signoria, sebbene la ricevuta vittoria e la speranza d'ampliar molto lo stato suo la rendeva alla pace alquanto difficile, i con- tinui travagli, ma molto più la sospetta fede del capitano suo la rendeva assai facile. ,, - Poscia, parlando dell'avere abbandonato ]\icolò Trlvisano capitano dell'armata del Po, dice;,,- Vedendo esso capttmio ;il Trivisaao) mancata la maggior parte delle gen- ti sue, né avendo soccorso, come dovea, dal generale dell'eser- cito, non senza grande sospetto d' intelligenza col duca di non mostrarsi sopra quelle rive, non potendo più resistere montò in un brigantino, e lasciata l'armata, fuggi a seconda del fiume: pag. logS ec. ,, Infine discorrendo dell' avere assistito Cavalcabò che era entrato a Cremona, e scalate le mura ne aveva presa la por- ta di s. Luca, e tenuta sino a'di, cosi c'esprime pag, 1096: - ,, Ma non essendo soccorso secondo l'ordine del capitano, essendo le- vata a romoi'e la città, uè a quella potendo resistere, fu forzato ritirarsi e tornò all'esercito. Da queste e da molte altre cose era appresso la signoria gravemente cresciuto il sospetto del suo ge- nerale ,, - E pag. 1097. ^"^ dipoi dal collegio segreto esaminato al tormento, dal quale avuta la verità di quantoper intelligenza col duca aveva mancato dal debito suo, e quello che tentava ope- rare contro la signoria, per deliberazione del consiglio dei dieci colla giunta de' V di maggio fu condannato che fra le due co- lonne gli fosse tagliata la testa, e confiscati tutti i suoi bsni. „ fiè meno chiara è la cosa per autorità del Bighi citato dal chia- rissimo Manzoni, poiché ì& ivase, quasi facti insciens, importa non che il Carmagnola ne fosse ignaro, ma quasi che ne fosse ignaro, che vai quanto dire fingendo d'essere ignaro. Anche il dire, ordi- nò che pur questi (che rimanevano prigionieri) si rilasciassero se- condo l'uso, è ambiguo assai; poiché qualcuno potrebbe credere che l'uso fosse del rilasciare 1 prigionieri, mentre il Bighi dicen- do - iubeo solita lege dimltti, - non altro intende che colle usa- Biografia di Francesco Barbaro 185 ca, e forse li mandava ad effetto. Falso è però ciò che alcuni dicono, questi sospetti soli essere stati in uno e 11 processo e la condanna del Carmagnola : polche fino dal 1427 adombrando i veneziani di lui, te prescrizioni, cioè spogliandoli dell'armi e di tult'altro,e lasci- andoli solo salvi della persona. Voglio anche aggiungere che il Bighi stesso vien confessando la mala fede del Carmagnola, quan- do, dopo aperta rimostranza de'provveditori, ha tanto d'animo da rilasciare pur i quattrocento prigioni che rimanevano. A' di nostri forse questo solo basterebbe ad un capitano per essere su due pie moschettato. Meritano anche osservazione le parole - apud quosdam partium fideliores - e le altre che seguono , colle quali si prova sempre più la colpa del veneto generale, speziai mente ove si dice: „ Vulgo putant fuisse Carmagnolam omnium potiturum, si mox habita Victoria ad roaenia Mediolani prope- rasset; ilaque in ea re veteris aniicitiae memorem Philippe ope- ram praebuisse. - E perchè ognuno legga il j)asso del Bighi così com' è alla dislesa, io qui appresso lo pongo, (v. Murat. Loc. cit. tom. XIX p. io4). ,, Memorabilis quidem ac tristis casus Philippo. Ibidem vero qui vicerant victoriam damnabant, tanti ducis periciilum miseran- tes, ut nnillas audire posses per castra venetorum, qui rem conver- ti optarent. Itaquepernoctem qui capii erant, inermes passim di- missi. Mane commissarii ad Carmagnolae tentorium conveniunt, id ipsum quaerentes: quid enim opus esse bello, quandoquidera aliud nihil agitur, quam ne bella unquam finiantur, dum vi- ctus eadem die in libertatem redil; non exercitum Philippi ea nocte, sed ipsum Philippum e vinculis dimissum. Haec quaesti abiere. Ductor, quasi facti insciens, suos interrogat, quidnam sit de captivis factum. Respondent, omnes fere ab sociis dimissos. Vix qiiadrigentos in castris apud quosdam parlium fideliores re- stitisse. Ego, inquit, si caeteris nostrorum benevoleutiae ea for- tuna contigit , istos quoque iubeo solita lege dimilti .... Haec nunliata Philippo animum gravibus curis incenderant, qui tan- tum detractum rebus suis videret, nec facile superesse reficien- do exercitui sumptum: qui praeterea summum fere ex Jiostibus periculum, si praeseulem fortunam armati victores sequantur ... Vulgo putant fuisse Carmagnolam omnium polilurum , si moxij^ habita Victoria ad maenia Mediolani properassct: itaque in care G.A. T.LXX. 13 186 Letteratura ne tenendolo di fede intera , non perderono mai di mira alcun suo passo. Ad onta di questo non vol- lero però mai prendere risoluzione di sorte, finche non si ebbero prove certe e di fatto: e questo fu quando i provveditori, fra'quali il Barbaro, svelaro- no di molti secreti rilevantissimi agli avogadori. Allora si raunò il senato a piìi tornate , e 1' ultima andò dal vespro sino all' alba del di vegnente. I se- natori erano oltre a dugento; vi aveva anche de' fa- migliari del Carmagnola : tutti convennero nelle colpe di lui, ne persona si levò a difesa. E che cia- scuno fosse convinto della fellonia del Carmagnola, me ne da argomento 1' avere tanti uomini tenuto in se per otto mesi il segreto, si che ne per pietU di un tanto generale , ne per amista che a lui lo strin- veteris aniicitiae memorein Philippo operam praebuisse Ipse potiiis crediderim, noluisse post terguni ductores relinqiiere, qui l'orsan collectis reliquiis omnia capta perturbarent etc. ,, Non sembra poi doversi rispondere all' accusa che si dà ai ve- neziani dell'avere sott' altro colore chiamato a sé il conte: poiché quella fu arte di politica necessaria, trattandosi di volere nelle mani un reo che aveva in suo potere tutte le forze dello stalo. E se egli è vero che salus populi suprema lex esto, il senato ve- neto adoperò in quel miglior modo che poteva per non mettere a pericolo la repubblica. Se questi tratti d' artifiziosa politica si debbono coudannare^non vi è stato che molto di somiglianti non ne abbia, non principe spezialmente in quelle età. Per convin- cersi di questo giova leggere le storie di que' tempi. Il dire poi a difesa del Carmagnola, che non si è mai saputo a quali condi- zioni losse per rappacificarsi col duca, è dir poco assai. Se le trattative erano iniziate, il tradimento era manifesto abbastanza per punir lui giustamente di fellonia. Non creda alcuno che io mi opponga al chiarissimo autore degli Sposi Promessi per ispi- rilo di parte; che io il lo solo per amore del vero e senza meno- mare a «l grau4' uomo punto della stima, che da tutta Italia gli si prolessa. Biografia di Francesco Barbaro 187 gesse, vi fu chi tradisse o vendesse la fede data alla repubLllca. Ora chi può supporre in ogni senatore un perfido, un micidiale ? Chi può darsi a pensare che negli otto mesi, in cui si agitò la quistione, nul- la si mettesse in carta per compilare un solenne processo ? Ben sarà indubitato, che posto quel pro- cesso a confronto alla maniera de' nostri, sarà in molte parti difettivo: ma non potrà perciò dirsi che fosse ingiusto il giudizio che ne uscì, se furono mantenute tutte quelle norme che le leggi veneziane, avute a que'tempi per le migliori del mondo, pre- scrivevano alla formazione de' giudizj. La tortura , e ognuno sei sa, fu sventuratamente riputata mezzo legale ad estorcere la confessione del vero: e quan- tunque ella sia uno de' più grandi peccati dello spirito umano, veniva addottata da tutte le legisla- zioni europee : e per incolpare i veneziani dell'ave- re posto a' tormenti il Carmagnola , conviene chia- mare in colpa tutto il mondo che li permetteva. Che se vogliasi dare credenza al Sandi (6) , egli non sostenne la tortura, ma alla sola vista del fuoco mi- nacciato, confessò e ratificò la sua fellonìa , e finì coir essere convinto propriis literis et domesticis testibus, per usare le parole degli storici contem- poranei , e col venire condannato con tutte le so- lennità della legge. E che egli stesso si sentisse reo, parmi poterlo indurre dall' esclamar eh' egli fece son morto, poiché si vide tratto alle carceri. Un in- nocente avria detto sono calunniato, o altro : l'idea della pena capitale nasceva in lui dalla coscienza della sua reitk. E però il signor 'Darò fra* moder- no) Parte seconda, l. 2. pag. 56j. 488 Letteratura ni (1) e pochi altri gridino a loro posta : il giu- dizio degli uomini integri purgherà i venezv»ni da macchia si turpe, se abbastanza non furono vendi- cati da quanto asserirono il Sabellico, il Giustiniani, il Sanudo, e quel che più vale il Poggio che si pia- ceva quando gli venisse il destro mordere i vene- ziani, e sempre scoprir le colpe altrui , per tacere di ciò che scrisse il Veri al libro secondo Delle cose veneziane, e il Laugier nel sesto tomo al libro 21. E a me, il confesserò schiettamente, è pur di gran peso il giudizio di Pietro Verri che dà per ispac- ciata la difesa del Carmagnola nel capitolo 15 del- la sua storia di Milano: e ben mi pare che per di- chiararlo poco istruito delle cose eh' egli scriveva, più che ardite affermazioni abbisogni avere alla mano prove di fatto (2). A ribadire poi 1' opinio- ne del Verri in capo a chichessia io credo giovi as- sai r autorità di Carlo Botta, che si bene le colpe de' tempi andati, e de' veneti appresso esaminò: „ La „ sua anteriore condotta , dice egli parlando del „ Carmagnola nel libro 12 della storia de' popoli (i) Chi vuole conoscere quali e quanti sieno gli errori di que. sto francese istorico delle cose venete, legga 1' opera insigne del conte Domenico Tiepolo , nella quale trionfalmente si abbattono le false opinioni di chi scrisse storia di popolo e di tempi che non gli erano abbastanza conosciuti. (2) Con pace del chiarissimo Manzoni, a me sembra che il Ver- ri sia bastantemente istruito degli andamenti e della condotta del Carmagnola, la reità del quale non fa egli dipendere da confes- sioni estorte nei tormenti, ma da un esame esattissimo dei prece- denti fatti. E perchè ognuno ne giudichi da sé, prego il lettore a Jeggereper intero quanto il Verri scrive intorno al Carmagnola.,, Il ,, conte Francesco Carmagnola diede una sconfitta ai ducali ec... ,, sino... 1' ultlm' atto della sua vita colla infedeltà, pag. Sg. a 6i. voi. V storia di Milano. Biografia di Francesco Barbaro 189 „ italiani, non provava in lui grande delicatezza „ di principio, fuvvi altronde un solenne giudi- „ zro CAPITALE : ma questo giudizio non venne „ accompagnato da tutte le forme protettrici dell' „ innocenza (del che si deve chiamare in colpa „ la maniera de' giudizi di que'tempi, non i vene- „ zianì). Che sia di ciò, prima di fare del Carma- „ gnola un eroe , converrebbe essere ben sicuri „ eh' ei fosse innocente , quando pure altri non „ voglia esporsi al rischio di santificar lo spergiuro „ e il tradimento ,,. Ne mi cesserò dal parlare di questo, se prima io non tolga un' objezione che da taluno si fa. Di- cono perchè, se il Carmagnola era reo, gli misero le sbarre alla bocca onde impedirgli la parola? Essi adunque temevano che favellando avrebbe potuto mettere a romore il popolo, a tumulto la citta. A cui io risponderò in prima, che se la repubblica avesse temuto che costui trovasse favore appresso il popolo, non l'avrebbe condotto con esemplarità di supplizio a finire fra le due colonne sulla gran piazza di s. Marco, poich' ella non n' aveva duopo. JVon le mancava un fondo di carcere, un laccio se- greto ; ne le sarebbe stato difficile colorire il fatto per modo, che il popolo al risaperlo il giudicasse opera di ragione veduta e giustissima. Ma la re- pubblica, che ben conosceva la giustizia della sua causa, e le reità del Carmagnola , voleva mostrare al mondo nel supplizio dì lui quale premio ella serbasse ai traditori. Conciossiacosaché fidando le sue armi sovente a condottieri estranci, le conve- niva atterrirli tanto colla severità de'castighi, quanto gli allettava colla magnificenza de' guiderdoni. For- se il vedere un uomo, di quel essere che era il Car- 190 Letteratura manola, uscire colla bocca sbarrata avrebbe do- vuto svegliare piìi forte la feroce pietà popolare , se il popolo avesse riputato lui senza colpa: e que- sta barbara mostra di tormento avrebbe destate più rapide le ire. Non per tanto il popolo die se- gno di commiserazione, ma si applauso della giu- stizia del senato. La sbarra adunque posta alla bocca del reo non fu tanto per torgli V uso della favella , quanto per mantenere un modo di pena usato in Francia a punire gli spergiuri, i sacrileghi, i bestemmiatori fin dai tempi di s. Luigi re, e po- scia divulgato in Italia e in Ispagna e altrove com'è agevole vedere negli statuti delle antiche repub- bliche italiane, e delle citta che a proprie leggi si reggevano. Che se si vorrà dare biasimo e mala vo- ce a questa forma di pena, io non mi opporrò certo, ( e qual uomo potriavi opporsi?), solo che non si imputi a ferocia dei veneziani, ma sì a quella bar- barie di costumi e di ferree leggi per le cjuali la tortura si ebbe in luogo di prova del vero. Che se queste cose non bastano a convincere coloro che senza fondata ragione maledicono a ciò che 1' anti- chità ebbe per santo, ed amano trovare colpe per tutto, solo che loro si offra occasione d' imprecare a chi non può piìi levarsi a difesa di se e de' suoi fatti, guardino attentamente ciò che fu riferito dal diligentissimo Antonio Quadri nel suo compendio della storia veneta , e quanto venne dettato dalla eloquente Giustina Renier Michiel nell' opera suir origine delle feste veneziane ( tom. V dalla pag. 86 alla 132) nel rapido cenno eh' ella, non so se piìi con gravità di giudizio , o con carità di citta- dina, fa della sentenza di morte del Carmagnola ; poiché ove sia vero ( com' esser deve ) quello che BroGRAFiA DI Francesco Barbaro 191 ella asserisce, cadono a vuoto tutte le parole. In fat- to ove vivano coloro che possono render fede dell* avere visto quel processo, e dell' averlo esaminato, e trovatol giusto: ove siano, com' ella dice, persone di onesta paragonata e di sapere: che pili resta a cercare ? Il Carmagnola fu ben punito : giudice se- vero, ma non ingiusto, fu il veneto senato. Della qua- le cosa io sarei convinto abbastanza, ancor che altro non si sapesse della storia se non che il Barbaro fu un de' giudici, e die voto di morte : poiché anima SI virtuosa e integerrima , e per tale rispettata in vita e appresso morte, non avria certo, per servire a mali fini altrui, voluto sopra se e sopra i figliuo- li suoi il sangue del giusto. E se noi giudichiamo che Aristide, Catone e chi altri vi fu in grande fa- ma di rettitudine fra gli antichi non potessero ope- rare cosa se non buona, tale pure sarà lecito argo- mentare a me del Barbaro. Ma sia fine di questo, e perdoni in grazia chi leggera queste parole ; mi- rando al buono intendimento mio, che è stato di as- solvere affatto da una vergognosa taccia il piìi ve- nerando degli antichi principati italiani. Ora, seguitando alla vita del Barbaro, dirò che fu nel novero di que' dodici ambasciatori che la serenissima repubblica elesse a degno corteggio dell' imperador Sigismondo quando per recarsi al concilio di Basilea attraversava gli stati veneti. Il Barbaro gli fu incontro con una squisita orazione latina , che tornò gratissima a quella corona , la quale lui donò in un cogli altri del titolo di cava- liere. E in tanta stima sah presso 1' imperatore e presso papa Eugenio, che lui a gara richiesero alla repubblica nelle bisogne loro. L'imperadore lo in- viò suo ambasciadore ai boemi, e il pontefice lo in- 192 Letteratura viò a Cesare ed al principi della Germania : con- ciossiacchè, per passare della fedeltà sua e della somma lealtà nel condurre a buon successo ciò che gli era commesso, egli sosteneva per modo sì onorevoli legazioni, che il suo andare precorso dal- la fama aveva faccia di trionfo , e rendeva piena- mente la grandezza d' un senator veneziano. Ne sa- prei dire quanto fosse piìi innanzi in lui 1' esper- tezza o la giustizia: solo afifermerò che tutti piega- vano volentieri all' inchieste di lui , F onoravano senza fine, e il giorno in che egli si partiva pren- deva aria di pubblico lutto. Neil' ottobre del 1434 fu eletto podestà di Verona. Le accoglienze della sua venuta , e le ono- ranze con che fu seguito il suo ritorno, dicono ab- bastanza quale ei si porgesse. Il chiarissimo abate Girolamo Tatarotti conservava, non ha guari, con altre l'orazione con che il Barbaro venne pubbli- camente elogiato dal veronese Martino Rizzoni. Ap- presso ritornato a Venez a, fu con piena ambasce- ria della repubblica a papa Eugenio , indi ai fio- rentini. A non molto fu creato ambasciatore all'im- perator Sigismondo : ma gli fu forza scusarsi di quella legazione per grave infermità da cui venne soprafatto. Erasi appena riavuto, che per pubblico decreto gli convenne portarsi al campo in officio di vice-provveditore , officio lasciato per mala salute da Pietro Loredano suo suocero. E perchè i nemici della repubblica tramavanle contro, e Brescia pareva luogo acconcio a lor mene, il senato veneto credè ben provvedere alle pubbli- che bisogne mandando il Barbaro a capitano di quella cittU. Al primo giungervi egli si die pensiero di comporre le discordie intestine, conoscendo che Biografia di Francesco Barbaro 193 mal si fronteggia nemico esterno ove si abbiano ne- mici interni a frenare. E tanto bene egli ne usci , che a pubblica testimonianza di gratitudine ebbe in dono da quella citta una onorifica insegna. Poi quando Nicolò Piccinino coli' armi di Milano strin- se d' assedio quella piazza, che dalla dominazione dei duchi era venuta a riposare sotto le ali del leo- ne di s. Marco , egli con savissimi provvedimenti, e con grande sicurezza d' animo e di consigli bastò a rintuzzare oste poderosa , e stornare pericoli as- sai, sicché mantenne la città alla repubblica , la pace a lei. Dopo questo fatto, non meno al Barbaro che a'brescianì glorioso, egli volle che Evangelista Manellino , a se famigliare ed amico, descrivesse in un commentario latino le cose di quell' assedio ; opera che fu poi attribuita al Barbaro stesso, e del- la quale toccheremo pili sotto. Operate tali maraviglie di senno e di mano che bastarono la salvezza di Brescia, non è a stupire se tutta la citta fu in onorare il Barbaro. E perchè le onoranze furono molte e fuor dell'usata, le nar- rerò. Nel duomo il 13 settembre del 1440 a vista di tutti fu presentato di uno stendardo e di uno scudo tutto messo a oro: e l'oro era il men da pre- giare a petto del lavoro e dell' animo de'donatori, che ad una voce lo salutarono padre della patria. Ambrogio Avogadro, giureconsulto di grande grido, in una splendida orazione che andò poi alle stampe ne celebrò le lodi, e die a vedere qual cuore aves- sero a lui i bresciani : egli stesso per volere dell* universale lo accompagnò a Venezia, e alla presen- za del senato ritessè piti beili e piìi sfolgorati gli encomi. 194 Letteratura Se dirò che il popolano Valerio, o Marco Tul- lio sventata che ebbe la furiosa congiura di Cati- lina, non ebbero accoglienze piìi liete dalla patria riconoscente, di quello che da Venezia ricevesse il Barbaro poiché fu tornato di Brescia , la quale la mercè di lui si sentiva ancora libera e possente, non dirò che il vero. Il famoso pennello del Tintoretto ebbe a ritrarne al vivo l'immagine, che fu poi collo- cata nella sala del consiglio maggiore , con appiè una epìgrafe degna di Brescia che 1' intitolava, e del Barbaro cui era intitolata — Calamitosissima ex obsidiojie, Consilio in primis, multimodague prae- fecti arte Brixia sensata. — E ben è certo che s'egli non era, quella citta saria caduta fra gli artigli dello sleale nemico, e forse tutta l'Italia avrebbe toccato sventure gravissime. Prova dell' animo forte del Barbaro è, ch'egli si tolse meglio restare solo alla difesa della citta tanto che n'uscisse il prode Gat- tamelata a capo delle genti ch'egli capitanava, onde per le valli e le montagne di Lodrone e di Trento potesse entrare nel veronese, e assicurare alla re- pubblica quella parte che era affatto sfornita, e me- glio gli sapeva , com' egli stesso scrisse al nipote suo Almorò restarsi in pericolo in quella città già stretta di bloco, che abbandonare a rischio immi- nente r intera repubblica. Cosa tanto piìi da am- mirare, perchè allora quella misera città aveva da combattere e la forza del Piccinino, e la furia della pestilenza che forte gittava per entro. Erano ridotti al numero di due mila i difensori: alla peste si ag- giungeva la fame : ma 1' amor santo di patria ba- stò a sostenerli. Ristretti intorno al Barbaro, me- schiarono l'armi, e respinsero il nemico , e sé e la patria liberarono. Biografia di Francesco Barbaro 195 Neir anno vegnente appresso fu mandato prov- veditore a Verona, carica che gli cessò col cessare della, guerra: e qui pure si guadagnò nuovi onori, poiché è a nostra memoria che Tobia del Borgo con solenne orazione si lodò di lui in quella pubbli- ca piazza innanzi a tutto il popolo veronese. Ritornato alla patria, fu fatto di nuovo consi- gliere, indi savio del consiglio, carica onorevolissi- ma , della quale essere stato insignito pure una volta tornerebbe a grande vanto di chi si fosse: ed egli ne fu onorato ben dodici volte. Nell'anno 1443 andò al marchese di Mantova per alcuni lavori da condursi intorno 1' Adige. Scelto con Nicolò Rai- mondo a recare le congratulazioni dei veneziani ai marchese Lionello d'Este, che allora si aveva tolto in moglie Maria di Alfonso re di Napoli , se ne scusò. Il 13 di dicembre del 1444 fu ambasciatore al duca di Milano, onde distorlo dallo stringere al- leanza col re di Napoli: ed è voce che mentre il complimentava, gli venisse meno la memoria : del che avvistosi il duca, lo rimise al filo del suo discor- so. Era appena tornato di quella legazione, che i vicentini e i veronesi lo richiesero a giudice di con- tesa nata fra loro: ed egli con soddisfazione d' amen- due, da quel savio che era, la compose. Appresso fu capitano di Padova, dignità a cui era stato designa- to mentre ancor si teneva presso il duca di Milano. Giunto a Padova, fu salutato da Lauro Quirini con pubblica e nobilissima orazione. Sul cessare del 1446 fu spedito a Lionello d'Este, perchè a nome della repubblica il consigliasse a non dare pe' suoi stati il passo alle truppe de' nemici di Venezia ; e Tanno appresso sarebbe tornato al medesimo prìncipe per -196 Letteratura accordi di pace, se gravissima febbre non glie lo avesse impedito. Ciò fu cagione che a fine di ricrea- re r animo colla dolcezza della quiete e degli stu- di, alcun tempo si stesse a diporto in una villa del trevigiano. Ma sul fare del mese di luglio del 1448 gli fu forza andare luogotenente nel Friuli: nel quale officio con soddisfazione e plauso di quella provincia si condusse sino al maggio dell' anno ve- gnente. Non si parti però tosto, ma per pubbliche bisogne si fermò alcun poco: e vi ha chi crede ( e certo non è senza ragione il crederlo ) che essen- dosi data voce che 1' Austria ai confini faceva ap- parecchi di guerra, la repubblica segretamente gli desse officio di provveditore. Fuor dubbio è però che resosi in patria, dopo avere ricomposte le cose del Friuli, fu onorato del tìtolo di principe del se- nato, o a dire venezianamente, della carica di pre- consultore , come attesta il Contarini. Ebbe pure in -quella occasione pubbliche lodi da Giovanni di Spi- limbergo, che recitò a suo onore una grave e digni- tosa orazione. Nel 1450 fu di nuovo capitano a Padova, e nel 1452 venne creato procuratore di s. Marco, dignità che era la cima d' onore cui mirava la veneta no- biltà. Egli vi aveva concorso due anni innanzi , e non senza dolore si era visto anteposto Michele Ve- niero: ma 1' averla ottenuta due anni piìi tardi dì quello eh' egli bramava, non terrà che da gran tem- po egli non 1' avesse meritata. E però la coscienza del sentirsene degno, e del vedersi come tale giudi- cato da tutti, gli tolse dell'animo ogni amarezza e gli rese più dolce il possederla quando piacque al senato. Due anni soli però, a gran danno della ve- neta repubblica, ebbe a godere della novella carica: perchè nell' età ancor fresca di 56 anni mancò a Biografia di Francesco Barbaro 197 mezzo gennaio nel 1454 : età breve se vogliam com- putarla dal numero degli anni, ma che equivale a lunga e decrepita se volgiamo 1' occhio a quanto il Barbaro operò. Fu pianto da tutta la repubblica, dai piìi chia- ri principi d' Italia, e da quanti il valore di lui co- nobbero e seppero pregiare. Ebbe sepolcro nella chiesa di santa Maria gloriosa, in voce de Frari^ e fu onorato di solenni esequie e di onorevole epilaf- fio. E qui mi piace riferire le parole che quell' im- menso e profondissimo Apostolo Zeno scriveva al car- dinale Angelo Quirini il 9 maggio del 1742, lodan- dolo dell' avere illustrata colle sue diatribe la vita civile e letteraria del Barbaro: „ Il vecchio Barbaro „ era stato fin ora assai considerato e stimato per „ dottrina e per senno e per grandi azioni dentro „ e fuori della repubblica ; ma in avvenire sarà ,, riguardato e distinto come uno di que' grandi „ uomini che il cielo sta molli secoli a riprodurre, ,, quasi geloso che la frequenza ne scemi all'opera „ il merito , e al merito la venerazione. Egli per „ verità è stato impareggiabile e massimo per ogni „ parte eh' e' si consideri: ma vostra eminenza ha „ gran merito d' averlo fatto conoscere qual egli è „ stato. Quale altra possa a quella grande anima „ pareggiarsi, difficilmente saprei. „ Certo è che il nome del Barbaro durerà glo- rioso finche si leggeranno gli annali di quella fa- mosa repubblica di Venezia, che fu principale in Italia, presso la quale al dire di monsignor della Ga- sa si conservarono le ultime reliquie dell' italica libertà (1), e fu maravigliosa non meno nella du- (i) Vedi la lettera 07 al Gualteruzzi nell'edizione di Venezia >~28, voi. 3- -Io scrissi quanto io potei favoritamente, perchè 198 Letteratura rata che nella sua condotta, e finche sarà fiato di gentilezza nel mondo. La vita del Barbaro fu tutta continuata di opere lodate, e ben si può dire che egli tutto quanto era si donò alla repubblica. Forse di qui venne che presto si logorò ; perchè non pare doversi attendere a chi prolungò gli anni del Bar- baro sino oltre 84, sebbene Enea Silvio Piccolomì- ni lui dica confectus senio , poiché troppi sono i monumenti che ne avvisano il contrario. I suoi costumi furono dolci ad un tempo e severi, degni in un di Publicola e di Catone, Non cercò cariche, e n'ebbe tante, da doversi scusare d'al- cune , come del capitanato nel regno di Candia, e del rettorato dell* isola di Negroponte. Amator del- la patria, ogni cosa per lei fece e sostenne: ed amò piuttosto pericolar egli della vita , che vedere la repubblica in atto di ricevere il minimo danno. Schiatta d'uomini ben rara al mondo, spezialmente a' dì nostri, in cui non d' altro si largheggia alla pa- tria che in parole, sovente ambigue, sempre coper- te e mal sicure. Fiori neir amicizia de' principali uomini dell* età sua, e a tutt' uomo protesse le lettere e le scien- ze, e quanti da quelle si facevano nome. „ Noi lo questi signori (i veneziani) ottenessero le decime: che in vero me-, ritano d'essere aiutati, poicliè aiutano questo residuo di libertà che ci è rimasta. -E il Giovio.-Il dominio veneto indubitato gon- faloniere delle reliquie della libertà d'Italia- E il Gibertir-Paren- domi vedere in essa (nella repubblica veneta) la viva immagine dell' antica grandezza e della vera libertà d'Italia. - Vedi Pino, r^uova raccolta di lettere. Biografia di Francesco Barbaro 199 „ vegglamo ( che mi varrò delle parole stesse del „ grand' istorico della letteratura italiana Girola- „ mo Tiraboschi ) noi lo vegglamo in commercio „ co' piti dotti uomini di quell'età, col Poggio, con „ Ambrogio camaldolese , con Antonio Panormita, „ col cardinale Bessarione, con Francesco Fielfo , „ con Giovanni Aurispa, trattar con essi della sco- „ perta, dell' acquisto, e dell' emendazione di an- „ tichi codici. Fra il furore delle arrabbiate contese, „ con cui i letterati di quell' età si mordevan furio- „ samente F un l'altro, non solo egli si mantenne „ tranquillamente neutrale, ma pose ancora ogni „ opera per unirli in pace, come raccogliamo dalle „ lettere da lui scritte in occasione di liti tra Ni- ., colò Niccoli e Leonardo Aretino, e tra esso Nic- „ coli e Francesco Filelfo, tra Guarino e il Poggio, ,, e fra il Poggio stesso e il Valla. „ A lui furono anche infinitamente tenuti Flavio Biondo, Giorgio da Trabisonda, il poeta Porcellio, Matteolo da Pe- rugia, e pili altri dotti del suo secolo. Della sua pietà ci fanno fede gli scritti suoi , non meno che il sapere con che zelo avvocò la causa d'alcuni monasteri, e con quanta forza scrisse al cardinale Scarampo perchè egli movesse il sacro collegio e il papa a correre in soccorso de'cristianì, che erano sopraffatti dallo stendardo del falso pro- feta , e dessero mano alla imperiale Costantinopoli che pericolava, e poi appresso miseramente cadde. Fu lieto del vedere il figliuol suo Zaccaria comporsi allo specchio delle paterne virtù, il nipote suo Er- molao vescovo che fu prima di Trevigi , poi di Ve- rona, fare ritratto delle avite e delle paterne. O fosse da natura , o dalle soverchie fatiche, pare che non avesse salute ben condizionata ; certo 200 Letteratura egli patì di gotta, come rilevasi da una lettera del Filelfo a lui diretta. Niuno ci ha tramandato di che malattìa finisse; ma se è lecito indagine in ciò, po- tria dirsi che d' un insulto di gotta al petto ; cosa facilissima ad avvenire in un uomo cosi spossato dal peso degli affari pubblici e degli studi ; tanto piii che pare questa malattia essere eredita conti- nuata di casa Barbaro. E perchè il ricercare di ciò più a lungo sarebbe piìi presto vanita, ora mi farò a parlare delle opere lasciate dal Barbaro, onde si paia che non fu meno grande nella veneziana , che nella letteraria repubblica. Prima opera del Barbaro fu l' orazion funebre in lode di Giovannino Corradini distinto medico ve- neziano, letta come dicemmo in Padova mentr' egli era agli studi, dettata con eloquenza schietta, e pu- rezza di modi latini. La seconda fu un' orazione a lode di Alberto Guidalotti cavaliere ed esimio dottor di leggi pe- rugino, che aveva presa stanza in Padova. E pur questa fiorita di alti sentimenti, e di bella latinità. La terza fu il trattato de re uxoria^ il quale ebbe tanto grido, che appena, molt' anni appresso, fu uscito de'tipi di Giodoco Badio Ascensio in Pa- rigi nel 1513 per cura del celebre giureconsulto Andrea Tiraquello (edizione eseguita sopra un esem- plare trasferito in casa del Guarino in Verona nel 1428), se ne vide nel 1533 un'altra impressione ad Flagenau, poi nel 1 602 una terza ad Anversa, e ven- tisette anni dopo un'altra ristampa fatta dal Gian- sonio in Amsterdam. Edizione latina fatta in Italia non conosco io: e conviene dire che tanto piacesse la traduzione datane da Alberto LoUio per le slam- pe d«l Giolito nel 1 548, da scemare e togliere desi- Biografia di Francesco Barbaro 201 derlo dell' originale latino. Se non è da credere che prima del volgarizzamento del Lollio ne andasse per l'Italia un altro, di mano dello stesso Barbaro: sospetto che mi e nato , e mi pare non affatto senza Luon fondamento. Conciossiacchè si legge in una let- tera del dottissimo Ermolao Barbaro, nipote che fu al nostro Francesco: Sed utraque lingua librum de re uxoria condidit pene puer- la quale lettera è riferita in parte dall' Agostini, e diretta al P. Ar- noldo Bossio. E questo risponde a capello con la notizia che ne dk Anton Francesco Doni nella sua libreria edita in Venezia del 1550, alla pagina 56, ove sta scritto nella classe delle opere tradotte: Francesco Barbaro.^ del tor moglie: col che due cose mi pare si trovino vere ; l'una è che vi era una tra- duzione anteriore a quella del Lollio, 1' altra che il traduttore n' era lo stesso autore. Infatto se il Doni avesse voluto accennare solo all' opera non al nome del traduttore, o avria detto - Del tor moglie di Francesco Barbaro -oppure avria aggiunto-opera tradotta da incerto.-Ma ponendo a capo il nome del Barbaro, come è usato a fare indicando il nome del traduttore, parmi potersi conchiudere che il Doni parli del volgarizzamento fatto dal Barbaro, e luì stesso noti come traduttore. Anche ciò che sta nel frontespizio della prima edizione del volgarizza- mento del Lollio, apertamente dichiara che si aveva una anteriore traduzione: P rudenti ssimi e gravi do- cumenti circa l'elezione della moglie dell' eccellen- te e dottissimo messer Francesco Barbaro venezia- no, al inolio magnifico e magnanimo messer Lorenzo de' siedici cittadino fiorentino, nuovamente dal la- tino tradotto per messer Alberto Lollio ferrarese ; ove quel nuovamente non si avrebbe certo quando G.A.T.LXX. 14 202 Letteratura il Lolllo si fosse saputo primo a tradurre quell'ope- retta. E confesserò candidamente che questa fu la prima cosa che mi fé entrare in dubbio di ciò , e mi fé cercar modo in confermare la mia opinione. Che se mi fosse lecito avventurare un giudizio, io penserei che la traduzione del Lollio non fosse che la stessa del Barbaro ripulita e ridotta a migliore lezione. E tanto piii mi va a sangue questo pensiero, quanto trovo che nel cinquecento molti davano ope- ra a ripulire, rifare o vogliam dire raccorciare le vecchie traduzioni, e Aldo Manuzio e Remigio fio- rentino ed altri lo fecero con lode. Imperocché es- sendosi nel secolo decimoquinto usata poca gram- matica , e quasi sconosciuta 1' arte di colorire con bei fiori di favella le scritture, i cinquecentisti non risparmiarono fatica a rimettere in onore i libri che per poco sarìano stati come troppo disadorni lasciati air oblivione. Io prego la cortesia de' veneziani eru- diti, e spezialmente del valentissimo signor Ema- nuele Antonio Cicogna, che con tanto senno va illu- strando le antiche memorie della sua patria, a por mente a queste mie induzioni, ed esaminare se io mi apponga o no al vero. Lodovico Franco novarese in Vercelli fece nel 1778 una nuova edizione del libro del Barbaro, cambiando il titolo dell' opera da quello che sta neir edizione del Giolito, e ponendo in frontespizio u queste parole - La scelta della moglie, opera di Francesco Bai*I>aro gentiluomo veneziano, tradotta dal latino per Alberto Lollio ferrarese - edizione la quale nel resto è pienamente conforme alla venezia- na succitata. Non tacerò ancora che Martino Du Pin voltò il li])ro de re uxoria in francese, e dopo lui Claudio loly fé il somigliante. Biografia, di Francesco Barbaro 203 A dire della erudizione e della bontà de' pre- cetti e del dettato di questo libro, o trattato che vo- glia chiamarsi, non ispenderò parole: che tornereb- be inutile affatto , dopo ciò che ne hanno giudicato i contemporanei , e il senno di quattro secoli ve- nuti appresso. Occasione a questo libro diedero le nozze di Lorenzo di Giovanni de Medici fratello di Cosimo padre della patria, il quale conduceva in moglie Ginevra de'Cavalcanti. Il Barl)aro, nella sua prima età visso in Firenze, si era ristretto a Loren- zo colla pili salda amicizia, la quale sempre viva si mantenne ; e come giovinetto degli ameni studi, cosi negli anni piìi maturi trattò con lui delle cose della repubblica , come è chiaro dalla lettera a lui scritta per la lega de'veneziani co'fiorcntini contro il duca di Milano. Questo trattato, che sente assai della nobiltà di que'di Plutarco, fu composto da lui, come dissi a suo luogo, nell'età di soli 18 anni , e quel che più è in soli venticinque giorni: del che ren- de fede una lettera di Iacopo udinese diretta al Barbaro stesso : Opus scilicet illitd piilcherrimum de re uxoria intra quintum et sfigesimum diem a te in iuventute absolutum . . . Bene a scemare un pò la maraviglia giova osservare, avere egli tratta la materia da messer Zaccaria Trivisano , come il Barbaro stesso accenna nel proemio e nel fine del trattatello, e come attesta il dottissimo Zeno in una lettera diretta all' abate Giusto Fontanini, ove a lungo parla di messer Zaccaria , uomo al dire del Biondo e dell' Alberti non meno di saggio e pru- dente consiglio ornato che di eleganti lettere. A sciogliere poi il dubbio d'alcuni, se il Trevisano des- se materia a voce, o avesse egli stesso innanzi scrit- 204 Letteratur a to un libro su tale argomento, soccorre a maravi- glia una lettera riportata dall'Agostini, la quale è di Pier Paolo Vergerlo il seniore , a Nicolò de'Lio- nardi medico veneziano, dalla quale apertamente si raccoglie che il Trevisano aveva scritta una epi- stola sullo stesso soggetto : Miratus sum in eo ope- re viri hidus non tam ingenium , quam diligen- tiam; nam illud qiiod iamdudum , monstrante mi- hi clarissimo viro Zaccaria Trivisano quamdam ipsius epistolam ab eo conscriptam , facile de- prehendi. Mi passerò della strana opinione del Bayle, che sì piace di affermare questo non essere al tutto la- voro del Barbaro : perchè per me sono pienamente nella sentenza del chiarissimo Iacopo Morelli (1) che gli stranieri , e spezialmente quelli che hanno quasi sempre mal copiato le cose nostre, non siano giudici tali da doversi perdere tempo ac^ udirli, o a confutare le loro travolte sentenze. Or seguitando il novero delle altre opere del Barbaro, è a sapere che egli voltò in latino dal gre- co di Plutarco le vite di Aristide e di Catone, delle quali egli donò il titolo a Zaccaria suo fratello , e videro poi la luce in Venezia nel 1478, e in Basilea nel 1535. Il dottissimo e più volte mentovato padre Ago- stini ci die nella vita del Barbaro 1' orazione da lui avuta a Ferrara alla presenza di Sigismondo impe- ratore, tratta da un codice del nobilissimo procu- (i) Vedi.-Operette Voi. 3. Venezia i8ao, in alcune lettere di- rette al dottor Testa di Vicenza. Biografia m Francesco Barbaro 205 ratore e storico delle lettere veneziane Marco Fo- scarini. Prima il P. Pez, poi il P. Gianandrea Astezati ci diedero 1' orazione che il Barbaro recitò nel 1438 nel tempio de' ss. Faustino e Gioviano in Brescia , nel prendere eh' egli faceva il reggimento di quel- la citta. Giovanni da' Spilimbergo attribuisce al Barba- ro il commentario de ohsidione Brixiae che va sot- to il nome di Evangelista Manelmo, o come voglio- no gli eruditi Manellinò: e nella sentenza di lui è pure r eruditissimo Mazzuchelli. All' opinione di questi però si oppone gagliardamente il Foscarini nella sua storia , e prova che sebbene il Barbaro avesse l'animo a scrivere la guerra, della quale nac- que r assedio di Brescia, e si paia da alcune sue let- tere eh' ei r abbia scritta , pure molte altre aper- tamente a quelle contradicono , e mostrano il con- trario. Io non porrò lingua a giudicare fra tante cime d'uomini: ma solo mi permetterò di osservare, che rilevandosi da una lettera del 31 marzo 1440, che per servire al Biondo, cui il Barbaro era usato somministrare continuamente notizie, aveva ordina- to altrui scrivere quel commentario : e sapendosi che Evangelista Manellinò gli fu compagno, aiutato- re ed amico nell' assedio di Brescia, e poscia lodan- dosi piii che molto di lui per lettera a Lodovico Foscarini allora podestà di Vicenza, e levandone a cielo r ingegno e la dottrina; pare potersi credere che il Manellinò ad istanza del Barbaro gettasse in carta quel commentario , e che il Barbaro poi ri- forbendolo, e ponendovi per entro di que'modi cal- zanti che erano suoi propri, improntasse allo stile dell' autore il colorito dello stile suo proprio. Dirò 206 Letteratura ancora, che modesto uomo com' era il Barbaro non avria comportato di scrìvere tutta di colpo una sto- ria, nella cpiale egli era il soggetto principale, e in cui gli sarebbe stato forza tacere di molte cose a lode solo dì lui tanto, le quali in bocca del Manel- lino avriano acquistata piìi fede, e meno invidia. In un codice vaticano sta pure un discorso del Barbaro sotto nome dì - Apologia ai milanesi in fa- vore del popolo bresciano: - e in un codice della li- breria dell'amplissimo senatore che fu Iacopo So- ranzo si legge un altro discorso dallo stesso Bar- baro letto di presenza al popolo di Brescia nel ces- sare la sua prefettura. Nel 1 743 in Brescia uscirono a luce le lettere latine dì Francesco Barbaro scrìtte incominciando dal 1425 sino al 1453: ma quell' edizione non è SI completa che non lasci desiderio d' altra piìi am- pia e migliore. Al quale desiderio molto prima avria certo soddisfatto pienamente Ermolao Barbaro ni- pote a Francesco, se avesse, come gli andava per r animo, fatta egli e pubblicata intera la collezione delle costui lettere latine. Vero è che buon com- penso alla mancanza di quella ne porse 1' erudi- tissimo e pili volte lodato cardinal Angelo Quirini, il quale raccolse e pubblicò oltre a trecento lettere del Barbaro tratte da vari codici: non si però che piti altre non ne rimangano ancora inedite. E ben utile sarebbe che alcun de'moderni, valendosi delle fatiche del Quirini e degli altri che a lui precor- sero, tutte insieme raunando le lettere del Barbaro già stampate, e le moltissime inedite, ne facesse un buon volume: che esse spargerebbono mirabile lu- ce sulla storia di quc' tempi, di cui molti parlano, e pochissimi hanno vera contezza, e sulla politica Biografia di Francesco Barbaro 207 della repubblica veneta, anzi italiana, nella quale allora ebbe si gran parte il Barbaro. Lo stesso lodato cardinal Quirini ci ha dona- to della prefazione che il Barbaro antepose alle storie italiane di Flavio Biondo; e l' Agostini ne riferì V elogio epigrafico che il Barbaro fé a lode di quel famoso guerriero italiano Gattamelata da Narni, la cui morte fu onorata del pianto del se- nato e del popolo veneziano, e accompagnata dalle lagrime di tutti i prodi : ed ebbe in sorte che la memoria delle sue virtìi fosse tramandata ai po- steri dalla penna del Barbaro, l'immagine del suo volto dal pennello del Mantegna. L' Argelati nella biblioteca de' volgarizzatori ricorda, che il libro intorno la milizia lasciatoci da Frontino fu recato in volgar nostro dal Barbaro : non fa però cenno del dove si trovi il manoscrit- to, che a lui venne veduto. Ma tempo e ormai di porre fine alle parole , che forse di troppo soverchiano. Solo mi sia lecito in sul fine rammentare, che uomini di quell'essere che il Barbaro non sorgono piìi, o almeno rarissi- mamente fra noi, quasi che non vi abbia più ter- reno che basti a produrne : e dare un tributo di lode riverente a quell'inclita Vinegia, che nel suo grembo tanti ne vide nascere, e crescere ad altez- za sublime. La quale cosa le tornerà sempre dolce a memoria: e compensando fato con fato, si cono- scerà ancora viva e gloriosa al mondo qual fu , perchè umana potenza non vale a cancellare ciò che la storia segnò ne' suoi fasti in ammirazione ed esempio delle eth che verranno. 208 Del hello , nella sentenza di Antonio Raffaello Mengs , del cav. Giuseppe Niccolade Azara e del Genovesi ec. JLl Mengs ebbe nome di pittore filosofo nel se- colo XVIII , ne vuoisi dimenticare la sua opinio- ne sulla bellezza. Ma prima parmi toccare della educazione di lui alla chiarezza dell' ordine. Figlio di pittore nacque in Ausig ai 13 marzo 1728 , e furongli imposti i nomi di Antonio e Ilafiaello in memoria di quel miracolo d' Urbino, e di quel da Correggio : suoi trastulli furono lapis , carte , e strumenti atti allo studio del disegno , a cui di sei anni fu messo. Condurre a mano linee rette in po- sizione verticale orizzontale ed obliqua ; poi de- lineare i contorni delle parti dell' uomo ; poi om- breggiare ; poi studiar chimica e anatomia ; poi sempre disegnare colle ragioni della prospettiva ; poi in Italia , domicilio delle belle arti , studia- re i pili perfetti modelli dell' architettura, il Lao- coonte , il torso di Belvedere , e le opere di Mi- chelangelo alla cappella sistina : e, piìi che altro- ve, formarsi allo specchio delle belle pitture di Ercolano. Tra i moderni preferì Raffaello pel disegno e per la espressione, Correggio per la grazia e pel chiaroscuro, Tiziano pel colorito. Il primo occupa- va il suo intelletto , il secondo il suo cuore , il terzo non gli passava gli occhi. Profittò del me- Del Bello 209 glio di tutti e tre per formare il suo stile. Educa* to all'ordine, ebbe il cuore tutto virtìi: solo non ser- vò misura nello spendere, intantochè ne' suoi ul- timi diciolto anni ebbe guadagnati più di ottanta mila scudi, e rimase a pena di che pagare i fune- rali. Ma non venne meno alla sua morte la genero- sità del re cattolico Carlo III e l'amicizia del cav. don Giuseppe Niccola de Azara: il quale curò che ne fossero date in luce le opere (1). A spiegare la bellezza , che tiene una visibile idea della perfezione, Mengs dice: come del punto matematico indivisibile , e propriamente parlando incomprensibik^ a farci una visibile idea ci valghia- mo del punto fisico; cosi conviene figurarsi la per- fezione come il punto matematico indivisibile , e contenente in se tutte le proprietà e gli attributi celesti: e non potendo questi trovarsi nella materia che è imperfetta , si è immaginata una specie di perfezione adattata all' umana comprensione : cioè quando i nostri sensi non giungono a capire che vi sia imperfezione in una cosa, allora questa ap- parenza di perfezione chiamasi bellezza (2). Ricercando la causa principale della bellezza conchiude, che la bellezza proviene dalla uniformi- tà della materia colle idee; le idee provengono dal- la cognizione della destinazione della cosa; questa cognizione nasce dall'esperienza, e dalla speculazio- ne sugli effetti generali delle cose; gli effetti gene- rali provengono dalla destinazione, che il Creatore (i) Vedi Opere di A. R. Mengs. Bassano iJoS, tomo I pag. XI e segg. (2) Vedi pag. 7. 210 Letteratura ha voluto fare delle cose; questa destinazione ha per fondamento la disposizione graduata delle perfezio- ni della natura; e di tutto finalmente la prima causa è nell'immensità della divina sapienza (1). Con altre parole io ho altrove mostrato nell' ordine il segreto della bellezza, Enumerando gli effetti della bellezza Mengs dice, che la bellezza è l'anima della materia, che ha un potere, il quale rapisce ed incanta, che tra- sporta i sensi fuori dell'umano : ella è la luce di tutte le materie, e la similitudine della stessa di- vinità (2). Segue dicendo, che nella hellsiza T arte può superare la natura: e qui è dove si mostra consen- siente con me nell' ammettere in realta il principio ì^^X ordine. Con una buona scelta si possono assai migliorare, come egli nota, le cose naturali : vede- si chiaro nella poesia e nella musica : questa non è altro che una raccolta di tutti i toni, che si tro- vano nella natura, in un ordine misurato, che dal- la scelta riceve un motivo , e riceve uno spirilo capace a muovere l'animo dell'uomo : e questo spi- rito è l'armonia. Cosi la poesia non è altro che la favella ordinaria degli uomini, di cui sono posti in un misurato ordine prima i sentimenti, poi le pa- role; e colla scelta delle più sonore e grate di que- ste si è trovata, per mezzo di una specie di armo- nia, la misura delle sillabe. Ora, egli continua, sic- come la musica e la poesia hanno una forza infi- nitamente maggiore di quel che l'avrebbero i toni (I) Ivi pag. 9. (•2) Ivi pag. a4. Del Bello 211 e le parole se fossero messe insieme alla rinfusa e senza ordine^ cosi anche la pittura, degna sorella delle suddette, riceve d^AVordine in cui vien po- sta, e dalla Jjuona scelta, che vi leva tutto ciò che è superfluo e senza significato, una forza maggiore, anzi tutto il suo essere (1). La bellezza adunque, secondo lui, è la perfe- zione formata e visibile della materia, siccome la perfezione assoluta è uno spirito invisibile. La per- fezione della materia consiste nella sua conformità colle nostre idee, le quali consistono nella cogni- zione del suo destino. Una cosa è perfetta quando non ha che un' idea del tutto conforme alla me- desima. Le perfezioni nella natura sono distribuite come tanti offici * quella cosa , che piìi è capace ed atta ad adempiere il suo officio, è nel suo ge- nere la pili perfetta; perciò anche il brutto diven- ta qualche volta bello per via del suo officio . . . Come il Creatore della natura ha posto una peiv fezione in ogni cosa, e ci fa apparire tutta la na- tura bella, ammirabile e degna di lui; cosi deve anche il pittore mettere e lasciare in ciascuna es- pressione, in ciascuna pennellata, un contrassegno del suo spirito e del suo sapere acciò l'opera sua sia sempre e da tutti stimata degna di un' anima ragionevole. Ed io aggiungerò, conforme all'or^Z/ze, e degna dell' uomo, che da' filosofi e tenuto come il miracolo dell'ordine (2). Venendo a parlare del gusto, Mengs dice t che proviene dal sapere scegliere queste o quelle parti, (i) Ivi pag. i6. (2) Ivi pag. i8 e seg. 212 Letteratura rigettando o tralasciando quelle che non hanno le qualità necessarie. Nell'arte una cosa si dice dilet- tevole, vera, significante, sempre che queste qualità non siano intralciate e confuse; ma che una di es- se vi predomini, e l'inutile sia rigettato. Così Raf- faello nell'invenzione delle sue opere cominciò su- bito dall'espressione, in maniera che non mosse mai im membro ove non fosse precisamente necessario, e non avesse dell'espressione; non ammettendo nulla che non servisse all'espressione principale. Così le opere di lui sono di un gusto espressivo : e così tralasciando tutto l'inutile, che non serviva all'og- getto principale, Correggio acquistò il gusto del gra- to e dilettevole, Tiziano quello della verità (1). Il cavaliere don Giuseppe Niccola de Azara co- mentando le opinioni di Mengs dice, che l'unione del perfetto e del piacevole e ciò che rende le cose belle. Perfetto è per me quello, cui niente manca ne nulla avanza di quello, che noi crediamo debba avere: è piacevole quello che fa un'impressione mo- derata nei nostri sensi. L'ignorante (egli dice) può giudicare dell'impressione materiale, che ricevono i suoi organi della vista, ma del perfetto non può giudicare che il solo intelligente che abbia osservato minutamente le proprietà e qualità delle cose, e confrontate fra loro, ed abbiavi riflettuto per rile- vare il mancante ed il superfluo relativamente al lo- ro destino: onde la loro perfezione. Sicché del bello è giudice competente soltanto chi ha esaminato mol- to, e resa ben eulta la sua ragione; potendosi asseri- re, che la scelta o il giudizio sul bello sia sempre in (i) Ivi pag. 39 e seg. Del Bello 213 ragione dell' intelligenza dell' artista o dell' osser- vatore. Il contrario della bellezza e la bruttezza , la quale (ei continua) consiste nella imperfezione e nello spiacevole (1). Le quali opinioni, ma. che tengano il bello tutto cosa di ragione, sia che vi aggiungano il sentimento, vanno a riuscire nel principio dell' ordine per me stabilito come fondamento e ragione di ogni bel- lezza. Nel quale va a riuscire altresì la definizione che data è dal Genovesi, filosofo riputatissimo del secolo XVIII, colle parole del quale e con un tratto del Pallavicini a questo discorso darò fine (2). „ Diconsi belle quelle cose, nelle quali havvi perfezione, unita, ordine, e proporzione. La bellez- za dunque è un' acconcia congruenza delle parti col tutto, la quale diletta maravigliosamente la vista. Quindi chiamiamo il mondo bellissimo, perchè le di lui parti con maraviglioso ordine e proporzione so- no connesse e fra se e col tutto. Questa può dirsi perfezione metafisica. Ma v'è anche la fisica, la qua- le è posta nella congruenza delle cose colla costitu- zione dell'animo umano; la quale costituzione d' a- nimo essendo tanto varia, quanto gli uomini : quella bellezza è pur tanto varia quanto sono varj gli uo- mini. Finalmente e' è una certa bellezza morale la cui forza deriva dalla consuetudine e da' costumi, in virtìi de' quali talvolta succede, che alcune cose si (1) Ivi pag 93. [1) Genovesi, Isùtuzioai di metafisica. II edizione. Napoli 1791 a pag. 3i. 2H Letteratura reputino oneste e belle, anche quando noi sono , se se ne formi giudizio secondo la regola e la ragione.,, Così egli, che travide, come altri, il principio universale deWordine da me spiegato, e fece quasi come colui che porta il lume innanzi, e se non gio- va tanto, che piti non giovi quello che viene ap- presso. E qui non voglio tacere 1' avviso del cardinale Pallavicini intorno al hello (1):,, Il bello, egli dice, „ non è altro che una specie particolare di bene, il „ quale per l' eccellenza dell' esser suo cagiona o „ nell'occhio o nell'intelletto una cognizione dilet- „ tevole di se stesso Quindi, soggiunge. Io „ stesso nome di bello fu appresso i latini un accor- „ ciamento di benulus, ch'era diminutivo di benusy „ detto nella prima lor lingua invece di bonus. „ La qual definizione, se ben si consideri , si vedrà concorde a questa: essere il bello una specie parti- colare di bene, il quale per virtù àeW ordine cagio- na o neir occhio o nell'intelletto una cognizione di- lettevole di se stesso. E così la sentenza di quel sa- vio consuona colla mia, che pone l'ordine principio e fondamento della bellezza (2). D. Vaccolini. (i) Del bene lib. II p. 1 e. w. Milano i83i pag. i6i. (7.) Vedi gli articoli precedenti nel voi. 206 a pag. 174 « segg. e la altre osservazioni sul bello ne' volumi anteriori dell' Arcadico. 215 Ad ampUssimwn virum march. Joannem de An- drea in equestrihus ordinihus hlerosoljmario , Constantiìi. y Caroli III, Francisci I , D. Jose- phiy ac D. Gregorii ma/oribus insignibus exor- natiini , aicgusdss. regis utriusq. Sicil. Ferdi- nandi II summitm scriham a sunipt. pubi, et vectigal. ite ni a religios. negot. , in obitu ejus fì' liorum Aloisii et Henrici, Francisci Guadagnii adv. rem. consolatoriae allocutiones duae. In obitu Aloisii de Andrea equitis hierosolymarii, et in neapolitana decuria XII viri litibus ju- dicandis. v/uaraquam rerum mearuni ita cursus agitur, no- vique domestici funeris , post germanam sororem amissam, ita minis terreor, ut non mei sit temporis alienis luctlLus afFerre solatium, sed meae aegritu- dini, undecumque possim, levamina corrogare, non potai tamen, Joannes marchio clarissime, non mo- rem gerere antistiti domus pontificalis ac proto- notario apost. (ìlio tuo Hieronymo , qui me adire non dedignatus impense petiit, ut in moerore tibi eximendo meas, quaecumquc sunt, vires experiar. Te enim narrat dolore confici ac temperare num- quam a lacrymis ob fratris sui Aloisii lugubrem 216 Letteratura atque acerbisslmum obltum , quem àn<^ xr,g x^X>jj y.ocì pzc^ nomen ducens teter rimus morbus in amoe- nìssima tua prope Neapolim villa diros, ut solet , inter cruciatus extinxit. Ipse quìdem antistes de- siderio fratris amissi, quem unum ex omnibus prae- cipue dilexit ^ vehementer angitur. In primis ta- men de tuo pertinaci luctu ac squallore , prò sua in te pietate, cruciatur. Frustra autem tibi curam demere, aut minuere saltem , suis conatus episto- lis, putavit praestare me id aliqua posse, artis di- cendi ac solatricis curarum philosopliiae, ut retur ipse, non imperitum. In quo sane sui benignitate animi falsus est, eiusque oculos , cetera perspica- ces, nescio quae hebetarunt ac deceperunt ofFuciae. Nihilominus, quod me Hleronymus iusslt ingenio, doctrina , moribus toti iam urbi probatus, eniten- dum mihi atque experiundum censeo : praesertim quum opellae haud inutilis spem timido ostcndat vetus adagium : Saejìe etiain est olitor yalde oppurtuna locutus. (1) Molestìam tibl abstergendam si suscepisset Ledae ac lovis filia, ob formae elegantiam nobilis, eadem- que virium apprime callida, quas natura herbis ac fruticibus ingeneravit , sane illa ex iis succum tibi expressisset oblivioni inducendae idoneum, quoque bausto, possit nemo lacrymam fundere, 'Ou5' ti GÌ nixirocvc^jòcv] javjrvjpTc nocrip re, Ovò' èl oinponàpoùvj ààù.(peòv ii(piXó'j ufòv XocXxdj d;^{Ò3i)cV ò S' of^xXiJ.siaiv òp'2to. (2) In obitu a. de Andrea. 2-17 Non saeva parentem Si rapiat misero parcaruin dextera utramqucy Non videat corani si fratrem aut germina cara Vulnif,co concisa peti per viscera ferro (3). Centra ego si laticls illlus miri ( non hic Homerum fabulas loqui arbitremur ) copiam mihi fortuna tribueret, non eum tibi miscendum censerem, nec te fieri obliviosum cuperem, ut saevientis doloris a vulnere convalesceres. Quapropter, non adversan- te, atque adeo volente me, recoles quaecumque in Aloisio ab ineunte eius aetate ad extremas usque vitae metas maxime amavistì. Recoles de eo puero atque adolescente indolem haud sane puerilem, lon- ge seductam ab omni vel rudi impetu, vel levitate, tamque christianae ac litterariae disciplinae doci- lem, ut nihil supra. Illud quoque tempus recorda- bere, quo, invitus quidem, verumtamen sine cun- ctatione, ut iubebas, e tuo sinu complexuque disces- si t, ac Romani venit Immani tatis artibus imbuen- dus , deindeque ad philosophiam pregressurus in dementino ilio nobilium adolescentium contuber- nio, cuius preclara instituta meros reipublicae prin- cipes ac mera lumina pepererunt. Ibi non eum so- mniculose cessasse memineris ; tuoque eum animo volvc qualem se quantumque praebuerit in annuis, quae illic ab adolescentibus eduntur, litterarii profe- ctus experimentis. Non enim dubito quin pervulga- to e rumore, aut e litteris amicorum resciveris, Aloi- sium tuum in illis doctrinae periculis Mariae Jfloi- siae Etruriae reginae, ac deinde lucensium principi^ virisqiie emine nti ss imi s Bartholomaeo Paccae^ Law- rentio Littae , EmmanueU de Gregorio , Fabritio G. A.T.LXX. 15 218 Letteratura Ruffo^ tum ctiam Fuscaldi marchioni Tìiomae Spi- nellio regio apiid pontiftcem oratori ( qui omnes praestantissimi viri eiustlem olim coUegii alumnis accensebantur ) fuisse miraculo: sive ex Irriguis poetarum attjue oratorum hortulis laetiora prome- ret, sive ex agris philosophorum aritlulis severio- ra. Ncque vero mlrandum est discendi cupidissimum adolescentcm tantos ac tam properos Romae in llt- teris habuisse progrcssus, quum in eo contubernio perbene eruditis ac navìs doctoribus somaschiani sodali ti i uteretur , praecipue autem Aloisii Par- chetti V. C. ex ore penderei, qui de theologicis, de physicis, de metaphysicis, de rebus historia tradi- tis, de veterum linguarum indole ac viribus , vel ex tempore, disserit tam luculenter, ut, ilio audito, possis exarata diuturnis multorum curis volumina praeterire. Secutum est tempus illud, quum Neapolim, te iubente, reversus aliis operam disciplinis dedit; ita tamen ut perelegantes graecae, latinae, ac vernacu- lae linguae scriptores numquam penitus a se re- moveret, eosque ex intervallo reviseret. Praesertìm autem, ut suas delitias, Flaccum osculabatur, et e recentioribus Aligherium ; ex iisque decerpcbat , quos, sive, scriberet sive loqueretur , suae orationi llosculos illigaret. A libris autem defatigatione coa- ctus quum discedebat, delectabatur sapientum allo- quio. Horum domos ilare ; hos ad se adeuntes offi- ciose , hilariter , peramanter excipere ; horumque comitatu septus amoeniora circa JNeapolim, vel in- tra eius ambitum, loca perambulare. Frequens erat cum praesulihiis doctissimis Angelo Antonio Scot- to^ Angelo Ciampio^ Ioanne Rubeo^ cum canonico Francisco item Rubeo^ cum Theodoro Monticellio In otìitu a. de Andrea 219 e avito erga litteras studio, ab avita et inconcussa erga Borbo- nios principes maiorum suorum fide degener esse videretur. Versabantur illi ante oculos, quum alii (a) Quippe qui in lucem prodiit Neapoli xiv kal. novemb. a. MDccciv , decessit vero x kal. eiusdem inensis a. mdcccxxxvi , condilus delude In familiari sacello ac sepulcro , quod est in D. Dominici Maioris tempio neapolitano. Nec de Aloisio reticendum, baptismate sancto illum fuisse expiatum a (^en. vifo Francisco Xaf. Bianchio e solidatio pauliano , quod et barnabitarum dl- citur. Cuius de viri sanctimouia, prodigiis etiam at'firmata , late quidem fusus est rumor: nobis tamen nihil in animo est pronuu- tiarcj nìsi priua fuerit a romano poqtiflce pronuntiatum. 224 Letteratura usque ab ultima tuorum origine magno in honore habiti viri, gloriamque immortalem assecuti , tum propiora ad tempora descendendo, Franciscus Xa- verius, avus sibi paternus, tui autem studiosissimus pater ; recolebatque secum quanto fuerit ille usui fideliter a se culto regi ; quam gravia honorificis in praefecturis ei negotia tractanda permiserit ; quan- tamque sibi Xaverius integritatis doctrinaeque apud neapolitanos ac siculos opinionem coUegerit, quum iurisconsultorum disertissimus , et disertorum iu- risconsultissìmus , superaddita virtutum omnium commenda tione, ferretur. Tute ipse illi eras omnium, quae in lauditìssìmis quibusque viris efFerri pos- sìnt, dotium atque ornamentorum exemplar. Tuis ipse gestis ei vel tacitus calcar subdebas ad gloriae perennis eamdem semitam insistendam. Non illum namque latebat, quantum operae in liberalibus di- sciplinis excellenti vir ingenio collocaveris , atque ita esse factum, ut nihil in iure vel civili vel sacro, nihil in rerum gestarum monumentìs, nihil in ra- tione bene gerendae domi forisque rei publicae , nihil denique in ulla te facultate praetereat, a qua vel utilitas vel honestae delectationis fructus esi- sta t. Non ignorabat insuper tuas semper cogitatio- nes fuisse conversas ad obligatam catholicae reli- gioni ac legitimo regi fidem, si tempus posceret , etiam cum vitae impendio, praestandam. Non igitur, quo tempore galli omnia per Italiam sacra ac pro- fana suae lubidinì substernebant, per foedam te in- constantiam addixisti illorum fiorenti fortunae. Re- iectis muneribus, quae tibi quaestuosa atque illustria deferebant, et ea utens animi excelsitudine , quae obliterari nullo unqnam tempore mereatur , tuis maluisti in villis latere, ibique lilterisac despectae In oBiTU A. DK Andrea, 225 lune pietatl vacare, quam a probatis antea consiliìs, et obsequlo in ecclesiam regemque desciscere (a). Unicum tibi fuit agresti ilio in recessu solatium ita- licam Taciti interpretationem et inchoare , et pro- segui , et ad umbilicum , ut veteres loquebantur , adducere. Quam denique a te in vulgus edi, iam non precibus, sed prope convicio studiosi linguae utriu- sque petunt, efìlagitant. Iam si Aloisius ad genus Lucretiae matris suae, lectissimae foeminae, cogitationem intenderei, erat illi in conspectu Rivera stirps generosissima , e marsorum comìtibus ducta, ex qua editi heroes iu- venem hortarentur, ut vestigia sua persecutus con- tento cursu per ea graderetur. E qua veterum ima- ginum ac titulorum referta familia Dominicum Ri- veram S. R. E. cardinalem memorasse sufficiat , ob rerum usum et omne genus litteras a scriptoribus gravissimis commendatum (4), laudemque ea etiam de causa promeritum, quod homo, ut qui maxime, ad iracundiam pronus, eam , ne extrorsum erum- peret , ita compressam habuerit , ut nemini um- quam in negotiis agendis ira tentari sit visus (5). Quamquam nefas erit ex ea ipsa stirpe pientissi- mum virum omnino indictum relinquere , qui no- (a) Quod pertìnet ad debitara cathoHcae ecclesiae fidem praestandam , ea se fide vir pientissimus repelli a parlibus' gal- lorum dorainantium prae se ferebat, sibique ab illis oblata com- pendia publicorummunerum aversabatur; ea praesertim de cau- sa « ne iurameato adigeretur nihil adversus eorura leges facere. In quibus quum essent capita quaedam de coniugum divortiis , quae cum scitis ecclesiae confligerent, haud tanti apud se esse dicebat humanos honores ac lucra fragilia, ut prò iis assequen- dis aeternorum vellel boDorum iacturam pati. 226 Letteratura stFa memoria vixit, et maternus avus fuit Aloisio, march. Laelium Riveram equitem hierosolymarium, vehiculationi publicae summa cum potestate prae- fectum , eomdemque commendatorem in ordine , quem Franciscus I utriusq. Sicil. rex condidit. Hic est ille Rivera, qui quum de Pio VII in gallorum potestatem redacto rescivisset, eum non solum ar- ate custodiri, sed etiam ita parce ac contente liabe- ri, ut a pecunia gravissime laboraret , non dubita- vit eius inopiae levamen submiltere, et in re peri- culi piena contempsit impendens sibi a sua pietate discrimen. Et vero Plus, ab ingrati animi vitio, ut a minima quavis labe, alienus, se Laelio memorem coUatae sibi opis prodidit. Etenim, ipsius rogatu , minime recusavit, quin Aloisium, et ex eius fratri- bus natu maiorem Franciscum Xaverium ( nunc ci. virium, quoque iure potes filio gloriari ) prius- quam clementinum collegium ingrederentur , sua ipse manu sacro ilio chrismate inungeret, quo no- stri confirmantur animi ad aspera quaevis prò Ghri- sti famulatu ac legibus perpetienda. Ita pontifex indulgentissimus benefico erga se viro , quod a se petebat, eratque adolescentibus perhonorificum, re- pendit officium. Sed loqui mittamus de Pio, cuius recensere vir- tutes nec levis est operae, nec nostri instituti ; ac de Aloisio perpendamus, quomodo illius animum , suapte natura recti bonique appetentem, affici opor- teret domesticis virtutum exemplis, quae a maiori- bus suis fuisse edita, ex historiarum fide accipiebat. Sane iunior Tliemistocles (sic enim tradidit Cicero) noctes ducebat insomnes, ac dum cives alte sterte- bant, ipse ambulabat in publico. Quae res a non- nuUis animadversa fecit ut ex eo quaei'eretur, quid- In obitu a. de Andrea 227 nam curarum el quietem eriperet. Miltiadis tropaeis se a somno suscitarla ille, verum aperiendo, respon- dit (6). Atqui Miltiadcs, in marathoniis campis pro- fllgator ad summum evectae persarum potentiae , nulla sanguinis cognatione Themistoclem attingebat. Quanto magis putandum est Aloisium, acris ac stre- nui animi iuvenem, exarsisse ad cupiditatem in iis excellendi, ob quae perpetrata maiores suos claruis- se didicerat ? Magnis igitur nisibus effecit, ut qua celeri aetate, si honestatis cupidine teneantur, nec se flagitiis contaminandos dediderint, vix rudem at- que dilulam virtutis imaginem, ne dum integra li- neamenta, in se valent exprimere, et raagnum quid praestant, si viris apprime doctis haud peregrinar! in litteris videantur, ea ipse aetate propior doctri- nae fastigio, omnique virtute cumulatissimus habe- retur. Hinc illum herculanensis , illuni tiberinus, ìllum francofurtiensis , illum alii litterarii coetus florentissimi sibi socium optarunt. Illum , quoties Romam venit adultior, vel ut oculis bene eruditis romanae maiestatis monumenta reviseret , vel ut fratres duos natu minores soc. lesu patribus in ado- lescentium nobilium ephebeo regendos traderet , omnes certatim ordines fieri a se plurimi indiciis mirum in modum extantibus ostenderunt. Praeci- pue autem viri eminentissimi Emmanuel de Grego- rio ac Paulus Polidorius (quos purpurati senatus ornamenta illustria appellare absque suspicione as- sentationis licet ) in honore illum habere sunt visi. Quid plura ? Ipsi romani pontitìces Leo XII, lux- que caliganti buie saeculo oborla GREGORIUS XVI, a singulari significatione paterni in eum amoris non abstinuere. Haec quum ita se Iiabeant, et tam gravia facta fuerint de ilio iudicia, eat nunc aliquis veterum sy- 228 Letteratura rorum aut aegyptiorum disciplina institutus , qui post suorum funera, quasi et ipsi animam exhalas- sent, alte sub terram depressos in cuniculos descen- debant, nec solis radio tangi se patiebantur, eat, in- quam, nunc aliquis enervium animoque languen- tium discipulus barbarorum, deque Aloisio pronun- tiet, immaturo eum interitu concidisse. At barba- ros contra eruditis vocibus graeci latinique scripto- res reclamitant. Non lapsu annorum, sed gestis, vi- tam hominum nostri metiuntur, diuque illos vixis- se putant, quos venturo saeculorum decursui bene temperati mores et ìUustria promerita commen- darint. Stai sua cuique dies; brei>e et irreparabile tempus Omnibus est vitae; sed famam extendere factis^ Hoc vìrtutis opus (7). Quae piena sapientiae verba ncque suo , ncque ali- cuius mortalis ore Virgilius inculcat, sed ea loquen- tem ipsum hominum ac deorum, ut putabat, patrem ìnducit, quo efFati auctoritas a nemine detrectetur. Nihil nostra interesse virgilianus lupiter putat u- trum mortali vita scrius citiusve fungamur ; quum diu vixisse cornicibus quoque contingat, noxiisque reptilibus spolia novantibus. Virtutis opus pera- gendum est homini ; illique unico est datum , re- liquis autem animantibus denegatur, famam factis extendere. Id qui assequitur, fregerit quamquam sese labore assequendi, fructumcapitrecte factorum amplissimum: utpote quum immortale praemium iactura mortalis corporis redimat. Infinitus essem propemodum, si in eamdem sententiam testimonia promere graecorum vellem. luverit tamea de ora- In obitu a. de Andrea 329 tione meminlsse aJj Isocrate in domestici laris um- bra, ut soleLat, elaborata, et ad macedonem Philip- pum mlssa : in qua numerosus ac disertisslmus se- nex quum regi persuasum vellet, ut graecorum ur- bes, se mutuo vastantes, pacandas invicem suo in- terventu atque auctoritate susciperet, utque persas Graeciae exitio imminentes suis opìbus cunctis ag- grederetur , E'vGv[j.oi) (inquit) cri rh [xsv ffójjtxa 5vvjtcV x«£ r-^v (p^(J-'(}^ ^>jv Tw XP^'^9 a\)ixnot.pa.y.oXòvaoo) àSa'^jarsiag p.txcxX(X[x^àvo[xev etc. (8) Cogita vero quod quidem corpus mortale omnes habemus. Secundum aìitem gloriarriy et laude s^ et f amarri tempore decurrentem^ immortalitate potimur. Sed nae ego desiplo, qui famae sonitus memo- ro, perinde ac si magni illius clamores atque boa- tus quid solidi habeant, ac quasi Aloisius buie tan- tum mercedi recte factorum inhiaverit. Multum is operae, ut christianis praeceptis mature imbutum et ex animo addictum decuit, in perlegendis libris insumpserat, quos habemus vitae magistros, quippe a viris scriptos divino spiritu ailatis. Ex iis didi- cerat de bono nomine^ et apud mortales aestima- tione, quae recte pieque gestorum' plerumque est Comes, haud penitus curam esse abiiciendam. Ve- rumtamen longe praestantiora sciebat post mortem praemia in sui ipsius fruitione illis a Deo esse pro- posila, qui voluptatibus respuendis, libidinibus re- frenandis, suisque diligenter explendis officiis, uni se virtuti devoverint, nihilque, illa improbante, sint ausi. Hinc non alia ille de cansa maiorum suorum, inique in primis, fieri aemulator ac quam simil- limus studuit , nisi quod semper incorruptae ca- tholicae religionis apud vos studia flagrarunt, ac 230 Letteratura numquam tluxistis elus cultu et ementlatis moribus caducos honores ullos aut emolumenta potiora. Ut enim qui scopuloso mari atque aestuoso in regio- nes tendunt alicui iam nautae magna inter pericu- la, sed fausto denique cum eventu, petitas, ex il- lius cursu ac discriminibus nituntur discere, quo- modo gubernaculo sit utendum, ne ad scopulos aut vada adhaerescant, neve ad infesta barbarorum la- trociniis littora compellantur : ita Aioisius quid vitatu esset optimum , quidve petitu hauriendum sibi e vestris fontibus duxit, certe perspicuis, nec facce ulla turbatis. Omnino totus ille semper fuit in iis consectandis, per quae emendatior fieri pos- set ac melior; rebusque humanis utebatur ut instru- mentis, quorum ope tenere portum posset sibi exo- ptatum, ac tranquillitatis plenum nullo umquam tempore defecturae. Quapropter quum morbus il- lum invasit, quo in Campania qui tunc aegrota- bant tantum non omnes e vivis eripiebantur; qui sane morbus et arcessitis illieo peritissimis medi- cis, et ipsi statim Aloisio visus est letifer; non ani- mum demisit, nec eiulatui ac gemitibus, vel acer- rimos inter dolores , indulsit. Mutuatus est enim a CUristo illorum patientiam. Tum secum volvens instar Christi pauperes esse, eumque sibi benefa- ctum ducere, quotiescumque pauperibus bene fiat; e nummis peculii quasi castrensis (sic enim vo- cant iurisconsulti) quos sibi comparserat, paupe- res iussit ferre levamen. Hac sibi praemissa ad tu- tum beatae immortalitatis iter commendatione , e corporeis vinculis evolavit. Cui quandoquidem, Nu- mìnis auxìlio , fuit datum in liac late exundante flagitiorum colluvie In obitu a. de Andrea 231 Tenuisse animum contra sua saecula rectuniy Aldus et vitiis exseruisse caput (0); non est invidenda recte factorum nierces , quam suo sibi voto properam accersivit. Attamen, si recente adhuc ex amissione eius vulnere, tibi raptum Aloisium dolenter flevisti, non equidem crimini id vertant, ncque hoc a te fa- ctum dicam, invita Christiana aut profana philo- sophia. Stoicorum quidem natio, quorum maxime virilis sapientia fuit, saltemque in verbis magni- fica , non statim iubet in propinquorum funeri- bus nobis lacrymas exarescere. Dum recens iactu- ra pertùrbat , dat aliquid humanilati ; nec , Sene- ca teste , naturam vult exuamus (10). Quin etiam de sectatore eius philosophiae M. Aurelio , iam- que cum Antonino Pio romani imperi! consorte , legimus, eum in obitu paedagogi olim sui lacry- mis maduisse. Quumque gravis eius moeror in au- licorum reprensionem ac malignas voculas incidis- set, traditur adoptivi filii causam apud iniquos il- lius iudices ab ipso Antonino fuisse susceptam , ai ente: Pennini te UH ut homo siti ne q uè enim phi- losopliia vel iinperium tollit affectus (1 1). Praecla- ra vox quidem; quae fletibus, ob funus paulo ante ductum efFusis, optimam ex humanitate defensio- nem adhibeat. Sed te squallore ac luctu, ob filium funere elatum, iam ultra mensem tabescere, id ve- ro tuae non est philosophicae gravitatis atque con- stantiae. Addo etiam, a tibi naviter eulta religio- ne abhorrere. Nam si attractus in caelum Paulus, quique inde nobis caelestia praecepta detulit, ipse etiam indulgentia utens , manare nobis lacrymas sinit, quas in nostrorum interitu doloris acerbitas 232 Letteratura exprimit ; idem tamen, intercursu temporis, earum imperai modum haberi ac finem fieri : ncque ita nos angl patltur, ut o'iix.'^'ixp^ng ilnt^oc anguntur (12). Cui sententiae D. Augustinus lucem efFundens, no- stras in funere nostrorum lacrjmas vult esse con- solabiles quas cito reprimat fìdei gaudium^ qua creduntur fìdeles, quando moriuntur^ paullu- lum a nobis abire, et ad meliora transire (13). Haec cogita, vir clarissime. His, et quae va- les per te coUigere, libi alils medere solatiis: ani- mique aegri tudine demum pulsa, talis fac vigeas , qualem diutissime te vigere, tura publicae, tum do- mesticae rationes efflagitant. ( Sarà continuato ) (i) Paul. Manut. in Adagiis. Edit. Venetae A. mdxci. col. 337. (2) Odyss. A. V. 224 et seqq. Edit. Oxonien. A. mdcccviii. pag. 54. (3) Ex interpretatlone B. Zamagnae. Edit. Senen. pag. Sg. (4) V. Brenkmanum in Hist. Pandect. lib. iv. pag. SgG. March. Scipion.Mafieium Anliq. Gali. Ep. xx. Guarnaccium Hist. pontiff. romanor. et cardd. Tom. II. pag. 656 et seqq. Novae- sium Elementor. eiusd. hist. Tom. XIII. pag. 196, uè alios enu- merem. (5) Guarnacc et Novaes. locls citt. (6) Cic. Tusc. disp. lib. iv cap. ig. Ex recens. Schutzii. (7) Virg. Aeneid. X, v. 467 et seqq. Ex r«cens Heyn. tom : IV. edit. Taurin. (8) Isocr. Orat. et Epist. Tom. I. edit. Parisien. A. mdcxxxi. pag- 249. (9) Ovid. in Consolat. ad Liviam v. 45- Edit. P. Burmanni. (ro) Senec. Epist. xcix, cap. i4 edit. Ruhkopfii. (11) lui. Capitolin. Hist. Aug. Tom. I. edit. Lugduno Bata- vae A.MDCLXxi, pag. 273. (12) D. Paul. I ad Thessal. iv, i3. (i3) D, Aug. de Verb. Apost. Serra. XXXII, Tom. 5, edit. Parisiens. PP. Maurin. 233 Elogio di Teresa Bandettini letto nel serbatoio di arcadia gio 1837 arcadia dal doti. Luigi Rossi il dì 11 di mag- A S. E. REVEREND. MONSIGNOR CARLO EMMANUELE MUZZARELLI UDITORE DELLA S. R. ROTA LUIGI BOSSI A Doi., ottimo monsignore, che ai severi studi, nei quali tanto vi distinguete, unite i piacevoli dell' amena letteratura in modo che il nome vostro suo- na chiarissimo nella repubblica delle lettere , oso dedicare questo mio tenue lavoro, non perchè in- fatti n è degno, ma perchè vaglia piuttosto a di- mostrarvi i sentimenti di gratitudine che nutro a riguardo vostro. Perocché tali furono le acco- glienze , delle quali mi foste cortese nel mio ar- rivo e nella mia dimora in questa città di Roma, che ingratitudine in me sarebbe il non ricordarle per tutto il tempo della mia vita, impossibil cosa affatto il contracambiarle. G. A. T. LXX. i6 234 Letteratura. L^e gli elogi ai grandi, che trapassarono, formano parte dei civili bisogni, por dobbiamo ogni studio perchè si scrivano a chi n' è degno. Ma come tes- serne uno eguale al merito di Teresa Bandettlni chi è povero di conoscenze , e nell' arte del dire inesperto ? Ove per altro si rifletta che, nata el- la sotto il cielo d' Italia alle rive del Serchio , a me per patria appartiene ; mi si perdonerà , sic- come affetto, il mio ardire, se, sperando che la ve- rità della sua stessa bellezza si rivesta, ne di accat- tati ornamenti abbia mestieri, pagherò io pure, qua- lunque siasi, un tributo alla virlìi. Necessario è in fatto alcuna volta esprimere i sentimenti che la stes- sa patria a prò degli ottimi nostri c'inspira, onde in qualche maniera sia operativo quel dolcissimo no- do che strettamente ci lega, e del quale non dubitasi da chi lo sente. E ciò tanto maggiormente se si con- sideri la dignità della persona che io intendo a lo- dare, la quale non dopo la sua morte, ma anche in vita ebbe lode e ricompensa, ne fu quindi, se il sa- pere non bastasse a se stesso, della deplorabile con- dizione di tanti sommi. E sì, che dei talenti singola- ri della Bandettini, che difficile sarebbe stato T oc- cultare, troppo dovevano essere consapevoli, oltre la repubblica delle lettere, i vari governi i quali ga- reggiarono in premiarla con privilegi e con doni(1). E qui anzi tratto dirò, che sebbene imprendendo a lodare tal donna per l'altre sue virtU, non fosse per Elogio di Teresa Bandettini 23^ mancare ne a chi '1 facesse vastità di materia, ne a lei bellissimo encomio, nulladimeno è mio divisa- mente in questo elogio considerarla principalmente come poetessa celebratissima, la quale colle sue poe- sie pensate e studiate, non che co' suoi maravigliosi improvvisi, alla nostra Italia un onor duraturo, e a se stessa un seggio, che difficilmente sarà per essere secondo, assicurò nella piìi tarda posterità. Il dì 12 di agosto 1763 fu primo a Teresa Bandettini, che nacque in Lucca da onestissimi ge- nitori, ed alla quale punto non valsero a dar nome ne le avite ricchezze, ne la nobiltà dei natali, quelle di stolta superbia, queste d'insano orgoglio spesse volte cagione. E di vero che solo la sua mente e 1' inde- fesso suo studio la spinse per quella via, che tanto recar le doveva onore e conforto, e cui facilmente superò: che chi è nato per 1' immortalità non sale, ma vola dalla bassezza della fortuna all'altezza della gloria. Sì; quella poesia, che figlia della natura parla col suo linguaggio, che sul!' ali del pensiero scorre per ambidue i mondi, che le passate vicende ci rap- presenta, e talvolta con profetica voce ci trasporta nel futuro, guidata nel medesimo tempo dallo stu- dio e dall'arte, si vide in tutta la sua luce risplen- dere in quella prediletta del cielo, arricchita dei pili be' pregi, e poetessa dal suo nascere. Maravi- gliarci dunque non dobbiamo se all'etk di sette anni componesse ottave senza alcuna instruzione, e se co- si per tempo intraprendesse la sua orrevolissima carriera (2). Fin d'allora era forza alla fanciulle tla cedere all'impero della sua anima naturalmente poe- tica: e caro l'ascoltarla con quella spontanea foggia d'improvvisare, che sovente s'ode nei trivi delle po- polose citta, ove le tenzoni ingiuriose o ridicale si 236 Letteratura rinnovano del trovatori provenzali, sola in un an- golo di una stanza cantare improvvisando un'ottava, e poscia correndo all'opposto, rispondere con un'al- tra a nome del suo immaginato competitore. Cosi nell'innocente esercizio di quella poesia passava la sua felice stagione, e a poco a poco crescendo in età, col sagrifizio della domestica beatitudine, mettevasi per la via a lei destinata. Compiuti appena tre lustri, la madre, perocché già il padre morendo 1' aveva alle sue cure ab- bandonata per sempre , mossa dalla povera sua condizione, stimando che la Teresa fosse per vendi- carla in tal guisa dei torti dell'ingiusta fortuna, l'a- scrisse siccome ballerina al teatro, e si vide per la prima volta calcar le scene in Firenze. Dal che se a lei ne lode viene , ne biasimo, perchè per nostra ventura anche in quel tempo, in qualsivoglia stato l'uom fosse posto, lodevole o biasimevole lo faceva- no solo le azioni; potrei per altra parte trar motivo di maggiore splendore per questo elogio ove abbiso- gnasse di SI meschini argomenti, perchè vie maggior- mente si die a coltivare la poesia, intenta sempre ad abbellire il suo spirito, anche quando le sue com- pagne brigavano di ottenere sulle scene plauso e protezione (3). E come poteva essere intenta a menar danze, e ad affettare quegli atti tanto scioccamente applauditi colei, che già si sentiva capace a vincere il cuore umano e le anime piìi duramente sorde? La bellezza dei versi di un improvvisator veronese, per avventu- ra da lei ascoltato, l'eccita ad improvvisare in pubbli- co per la prima volta (4), ed in pubblico gli improv- visa un elogio: ognuno ammira la sua facilita, e la incoraggia ad esercitarsi in quell'arte: ella raddop- Elogio di Teresa Bandettini 23T pia i suoi studi, e nello stesso tempo percorrer la vedi le prime citta d'Italia: e in modo che ritrar noi saprei con parole, nelle piìi colte società lode riceve da tutti i dotti. Ed in questa luminosa carriera tanto più ella è lodevole , quanto che a quell' unico suo esercizio univa il calcar delle scene , le quali non abbandonò finche nel 1792 non fu a ciò stimolata in Trieste da Vincenzo Guinigi lucchese e dal baron Brigido governatore di quella cittk. Ed ecco che io qui sarei a considerare la Bandettini nel suo mag- gior trionfo, e come donna maravigliosa, voglio di- re come vera poetessa estemporanea : ma primie- ramente desidero mostrare qual fosse il suo valore nei versi pensati e studiati , nei quali una tacita forza ti sofferma ad ammirare i sublimi pensieri, che gli animano , e le tante vaghezze di che sono sparsi. Fu nel 1786 che ella, essendo ancor giovinetta, die alla luce due volumetti delle sue rime varie, le quali chiaramente dimostrarono quale fino al- lora fosse stato il suo studio sui classici, e come, delibando e rendendo a se proprii i pili bei fiori del Petrarca, e attingendone la semplicità, la pu- rezza e l'eleganza dello stile, avesse appreso l'arte difficilissima delle muse (5). E poiché vastissimo è il campo delle sue lodi, astenendomi di buona vo- glia dal minutamente osservare alla sua produzione in quattro canti di ottava rima la morte di Ado- ne, che necessariamente fu bella perchè parto di si bello ingegno, la trovo nel 1794, calzato il co- turno, indirizzare una tragedia il Polidoro alla ce- lebre Angelica Kauifaman, a colei, che con valore e maestria eguale a quella dei pili rinomati arti- sti, si distinse nella pittura eroica e sublime, e che 238 Letteratura in bel dipinto ritrasse la tragica amica in atto di improvvisare. Ne volendo io passare affatto sotto si- lenzio i pregi di un tal lavoro, riportandomi a quan- to già intorno ad esso fu scritto, dirò che l'illustre poetessa fece con questo eccezione a quanto la sto- ria letteraria ci dimostra, cioè che in tutti i generi di poesia si sono le donne distinte fuorché nell'epico enei tragico; perchè l'epica e la tragica poesia una singolare energia di spirito, e una rara forza di com- binazione richiedono. Né l'esimio dottore Francesco Franceschi che fu concittadino della Bandettini, e di tali cose ottimo conoscitore, disse piii del vero al- lorché parlando di quella tragedia scrisse : „ I pri- „ mi lavori di mille tragici di gran fama, e di Cor- „ neille medesimo, riuscirono inferiori di assai a „ questo della celebre lucchese poetessa:,, e inoltre, (al quale giudizio intieramente si sottoscrissero gli stessi dotti estensori delle efemeridi letterarie di Ro- ma) „ che essa ci richiama alla greca semplicità da „ cui si è tanto deviato in questi ultimi tempi per „ correr dietro alle stragi e agli orrori; che l'azione „ è bene scelta, perchè grande e interessante; che i ,, caratteri son quelli dell'istoria, e sostenuti sino al- „ la fine; che il dialogo è naturale e fluido, ed ha ,, quella vibrata celerità, che non reca oltraggio ,, alTorecchio e alla lingua; che in fine lo stile è pu- ,, ro e eultissimo senza mistura alcuna di lirico (6).,, Ai versi pensati e studiati, che io ho preso ad esaminare, non si rimane frattanto la sua gloria: che im'altra stupenda produzione ci offre nel 1805 col suo poema la Teseide (7), il quale essendo nella let- teraria repubblica più che conosciuto, me, cui sapere e autoritìi manca a giudicar di tal cosa, disobbliga dall'osservarc a tutte le sue parti per darne a questo Elogio di Teresa Bandettini 239 luogo giudizio. Non credo per altro di andare errato dicendo che quella Teseide è una assai bella poe- sia, e che ( facendomi lecito di esprimermi colle pa- role del mio eh. concittadino sìg. marchese Anto- nio Mazzarosa) „ se il poema la Teseide avesse il „ suo eroe non fra i favolosi, ma tra gli storici, „ sarebbe più letto e piìi ammirato (8). Appartengono parimenti ai suoi versi pensati e studiati quelli , che essa compose in particolari occasioni, se mi è lecito dire ciò che ognuno ne pensa , quasi tutti degni di quella rara mente , e conformi al soggetto che prendeva a cantare. In essi in fatti scorgi originalità, ricchezza d' imma- ginazione, esattezza, e armonia di espressione; in essi una poesia che subito al cuor si comunica di chi l'ascolta; in essi, e questo è massimo pregio e però pregio di pochi, si piglia di mira quella tan- ta raccomandata utilità, perchè mentre dilettandoci s'insinua nell'animo nostro, corregge il costume, e ignote verità ci appalesa. Con questi poi ove talu- no prese a encomiare, fu lodatrice del vero meri- to , ne adular volle chi grande sol nacque , sde- gnando coi suoi versi comprai- protezione , e au- mentare i suoi piccoli averi. Molte cantiche e can- zoni ci ha pur lasciate in morte di sommi uomi- ni, e di persone a lei care, e fra i pregi, che le a- dornano, trovi quello, in tali cose desideratissimo, dell'espressione di un vero dolore. Tutti, o Teresa, colle visioni in morte del gran Vincenzo Monti e della principessa Rospigliosi, ricorderanno per sem- pre quella Canzone in cui piangesti la morte dell* unica tua figliuoletta, quando volò al cielo la ^^'^' Letteratura Fanciullina lattante La cui lingua non anco Facea dolce lusinga Della fida nutrice al teso orecchio (9) ; che sì vivo vi dipingesti il dolore da farlo a chi- unque eternamente sentire. Che se si volessero ad una ad una ammirare tutte le bellezze di quei versi pensati e studiati sarebbe mestieri considerare ad una ad una quasi tutte le sue produzioni, perchè quasi tutte belle, quasi tutte eguali. Ma come qui il mio ufficio è soltanto discorrere brevemente i particolari piìi no- tabili della vita letteraria della Bandettini, così an- che credo sarà per bastare, se per tutti i suoi versi pensati e studiati, e per la stessa sua seconda tra- gedia la Rosmonda^ mi contenterò dei caratteri ge- nerali che ho saputo superiormente accennarne , e parlerò invece degli studi, ai quali fu tutta intenta nel mentre che della poesia faceva l'unica sua de- lizia. Sapendo ella da chiunque il proprio ingegno invilirsi, sebbene grandissimo, ove non sia da con- tinuo studio alimentato, e colla contemplazione del passato e del presente instruito ; sapendo ella bre- ve essere il volo del piìi elevato spirito, che tanto nelle scienze, quanto nelle arti e nelle lettere tutto da se presuma ed i passati esempli disprezzi; quan- tunque di grandissimo ingegno e di molte doti arric- chita, oltre all'usarsi nello studio della scienza del- la natura , della storia universale e della mitologia, volle pur dedicarsi alla profonda meditazione dei classici della latina e della greca lingua, e le bel- lezze di Virgilio e di Omero non solamente assa- Elogio di Teresa Bandkttihi 241 porare ma gustare. Cosi crebbe i doni della natura: € se da questi primi poeti, maestri sovrani del bello, procurò trarre norma ed esempio ad esprimere i suoi pensieri; niente essi perdettero della loro ori- ginalità , perchè son sempre originali , sempre nuovi. Ma qual fosse il suo sapere nella difficilissima lingua greca, e qual lode, oltre a se, recasse al bel sesso mostrando dov' egli arrivi nei più profondi studi, chiaramente manifestò quando alcune cose di greco (10), tra le quali i Paralipomeni di Omero di Quinto Calabro Smirneo prese a tradurre in bellissimi italiani versi. E se a questa produzione la stimolò il celebre abate Cesarotti, il quale, co- me ella asserisce (11), coi suoi consigli ed ajuti la determinò ad incominciarla, maggiormente ci con- vinceremo del possesso , che ella aveva di quella lingua. E qui siccome io non iscrivo per adulare ma per la verità, dirò che quest'opera la quale eb- be lodi fino dal suo nascere, e che oggi dai dotti si legge e si ammira, fu in alcuna parte criticata dai più severi censori. Che quel volgarizzamento in fatti troppo si allontanasse dal testo e meglio la sembianza, la franchezza, gli atti, i panni avesse di una parafrasi, di quello che fosse una fedel tra- duzione, fu giudicato da alcuno, il quale volendo poi parlare più sensibilmente, nel tempo stesso che lo- dava la bella e varia armonia di que' versi italiani, il sapore di pretta e nobile lingua, la grazia e la sceltezza di molti concetti, l'artificio di alcuni poe- tici quadri, aggiungeva : „ La chiarissima nostra „ poetessa poco diversamente adoperò da quell'ar- „ chi tetto, che pigliato V assunto di fabbricare un „ tempio in tutto conforme ad altro antico, venne 242 Letteratura „ formando un edificio consimile bensì nella pian- „ ta e nelle grandi proporzioni , ma disparato e „ moderno negli archi, nei fregi, nelle statue, ed ,, in altri ornamenti da lui scelti ed accozzati a „ capriccio; attalchè nuovo poteva chiamarsi, e di ,, prima giunta apparir più vistoso del suo prototi- „ pò, ma non quale, a sdebitarsi dairobbligazione, „ doveva dall'artista essere eseguito (12). Ad onta delle quali osservazioni, che per altro io non so se sieno per essere conformi all'universal giudizio dei dotti, ove sieno bastanti a convincerci dell'esisten- za di alcuni difetti in quella traduzione dei Para- lipomeni , volentieri saremo cortesi alla Bandettinì di quella scusa che ella giustamente si merita; ri- flettendo che molto bisogna concedere ad una mente creatrice, che diflìcilmente si fa schiava agli altrui pensieri, particolarmente quando è d'uopo riempie- re le lacune, che talvolta interrompono l'originale, e scostarsi dal medesimo, allorché la materia sem- bra men atta ad essere rivestita delle nostre fogge. Ma e tempo oramai che io consideri la nostra poetessa, come poetessa estemporanea, perchè nell' improvvisar versi fu somma e maravigliosa. Non farò parola dell'utilità, che dalla vera arte d' im- provvisar versi deriva: che inutil mi sembra il mo- strare aversene da essa tanta, se non piìi , quanta dalla poesia meditata e studiata ne viene ; e por- terò invece l'opinione contro l'esistenza della me- desima da taluno manifestata, dalla quale trarrò argomento per ciò, che nel presente discorso mi resta a dire. Che l'arte degli improvvisatori non altro sia che LUDus IMPUDENTI AE^ csscudo assolutissimamcnte e in ogni maniera impossibilissimo parlar (fogni co- Elogio di Teresa Bandettini 243 JTrt, improv\Hso, e bene: è stato già scritto da un pri- mo italiano scrittore, che presentemente spende la sua vita ad onore della filosofia e delle lettere (13). La quale proposizione se noi teniamo per vera in proposito di quest' arte di parlar d'ogni cosa su- bitamente e in versi, perchè, come la storia let- teraria e' insegna dei passati , e senza salir tanto nell'epoche, come vediamo quasi in tutti i presenti improvvisatori accadere, Tunica virtù dei medesimi, se pur sempre, è nello strancarci le orecchie coli* armonia del verso e della rima ; nulladimeno non siamo così contrarii ad ammettere, che possano al- cuna volta sorgere veri improvvisatori che d' o- gnì cosa sappiano parlare improvviso e bene. E per non recar noja con lunghe leggende dirò che veri improvvisatori furono sotto il magno pontefice Leo- ne X, tranne anche in quel tempo coloro che am- messi alle sue cene, mentre improvvisando cercava- no dì dare ad esso diletto, e di ottenere a lor me- desimi applauso, venivano pubblicamente beffeggiati e derisi (14): e senza aprii'e quelle carte che tanto onore recano alle italiane lettere, che veri improv- visatori esisterono non è molto tempo, tra i quali, perchè d'ogni cosa poetando parlò bene ed improv- viso^ la nostra Teresa Bandettini. Essa in fatti riu- nendo in grado eminente le disposizioni naturali al- l'improvviso poetar necessarie, memoria pronta e te- nace, immaginativa ardente e particolare tendenza all'armonia del ritmo, la gloria oscurò certamente del cavalier Perfetti e della Gorilla Olimpica, e quella eguagliò del Gianni e dello Sgricci. />' ogni cosa improvvisando parlò la Bandetti- ni, perocché trattò di tutti quelli argomenti che furono ad essa proposti proporzionatamente alle 244 Letteratura sue cognizioni per altro estesissime. E tanto deve aver pure inteso in un vero improvisatore richie- dersi quel dottissimo scrittore ; che ove per esser tale si richiedesse possesso di tutto lo scibile , io parimenti sarei del numero di coloro che per r ammission di quest' arte hanno scritto in contra- rio. E in brevi termini dirò, bastare, ad aversi un vero improvvisatore, che immediatamente ben fac- cia quei versi che pensatamente farebbe e con istu- dio. Or non fu alla Bandettini proposto soggetto alla mitologia appartenente, cui non isvolgesse per modo da far conoscere a tutti, che in quel mondo poetico francamente e sicuramente sapeva ella muo- vere il passo ; non soggetto d' istoria , in cui la cognizion profondissima che ella n' aveva chiara- mente non si scorgesse. Fin nei segreti della pili recondita filosofia penetrò ella arditamente: e men- tre cantava del giudizio di Paride si udì spiegare, parlando in persona di Minerva, la teoria de'colori con una giustezza da filosofo, con tutta Y eleganza di un poeta (15). E non dimostrano eglino un par- lar di ogni cosa nel suo vero senso gli improvvisi // giudizio di Paride, la morie di Bidone, il giura- mento di Annibale, gli spartani alle Termopili, la scoperta delV America , la fisica delle piante , la pluralità dei mondi , il viaggio aereostatico , /' ori~ gine del terremoto , /' istinto dei bruti , e tanti e tanti che ci stancheremmo volendo tutti accennare? jy ogni cosa improvvisando parlò bene la Ban- dettini, ed anzi piìi che bene, se parlar piìi che bene è dir cose vere, belle, non vili, che almeno vagliano il tempo e l'attenzione di udirle. I suoi estempora- nei versi non temono andar soggetti , come i pen- sati e studiati, alla piìi severa critica, la quale anzi scorge in essi quelle bellezze, che all'orecchio sfug^ Elogio w Terbsa Bandettini 245 glrebbero di chi solo improvvisar gli ascoltasse. E qui, per convincerci di quanto asseriamo, farebbe d' uopo che sotto gli occhi ad una ad una ci pones- simo le sue estemporanee composizioni (16), ed in esse osservassimo tutto quanto è di degno; ma come in ciò siamo stati prevenuti dalle dotte fatiche del eh. scrittore sig. avv. Luigi Fornaciari (IT), così ba- sterà che io riferisca quant'egli ha notato, cioè valer non poco quegli improvvisi per la invenzione, per la condotta, e pel dettato. In essi ammirò quell' im- maginoso poetar robusto, quella non ordinaria dot- trina tutta infiorata di rose, quella disposizione ini- mitabile, quelle digressioni adoperate segnatamen- te per dare un' utilità morale agli argomenti, che di lor natura non la porgono , e quella locuzione non mai disgiunta da una maravigliosa chiarezza, e da una semplicità, senza di cui non vi è grazia ne dignità vera. Che poi a questi improvvisi, non facen- do solamente ritratto dei pensieri e delle opere del proprio secolo, dobbiamo dar lode ; parmi sicura- mente decidersi coU'autorita del eh. professore Sal- vator Betti, splendido lume dell' italiano sapere , che nel passato 1836 scriveva al celebratissimo Giambatista Niccolini quell' auree parole : ,, Non immagine dunque ne specchio di un secolo vuol essere la poesia, ma specchio ed immagine di tutti i secoli : perciocché di tutti i secoli è la sapienza , di tutti il buon senno. „ (18) Ond'io concludeva che fino a quando esisteranno fra noi sapienza , buon senno, intelletto e sentimento del bello, seguiteran- no ad esser cari gì' improvvisi della Bandettini. Essa parlò d'ogni cosa bene ed improvviso., per- chè senza esservi prima apparecchiata , ne aver tempo de pensarvi, se non quanto bastava per rac- coglier la mente. Improvvisatore (disse il marchese 246 Letteratura Cesare Lucchesini quando combatteva i falsi giudi- zìi contro l'arte d'improvvisare ) è colui che sopra determinati argomenti , scelti da altri , dice parec- chi versi air improvviso, cjoè senza esservi prima apparecchiato, ne aver tempo da pensarvi se non quanto basti a raccoglier la mente „(19).Che se frat- tanto alcuno niegò poter tutto questo avvenire, e fu contrario ad ammettere quest'arte d' improvvisare , venne senza dubbio a ciò mosso dalla credenza che gF improvvisatori nei loro canti inserissero parec- chi versi , composti prima con agio ; della quale opinione fu pure il francesce Raoul-Rochette (20). Ma potranno mai eglino aver parlato di questa no- stra poetessa, cui appena veniva proposto un sog- getto qualunque, al volto, agli atti, alle parole tale sì mostrava, che pareva tutti i versi che le usciva dal labbro provenissero solo dall' ardentissima sua im- maginativa, per non dire da un subitaneo furore , da una repentina ispirazione ? E come versi com- posti prima con agio inserire nei suoi estempora- nei, quand' era da sublimi pensieri innalzata, o da cari affetti veramente commossa ? Come quelli adat- tare a quanto, l' immaginativa nuovamente le di- pingeva? e se in parte il faceva, come nel resto con- servar con quelli egualianza ? E certamente che im- provviso poetare fu quello in Bologna nella casa del principe Lambertini, quando, dopo avere improv- visato sopra diversi temi , le fu proposto quel toc- cante argomento e degno della squisita sua sensibi- lità, la morte di Maria Antonietta di Francia , nel quale giunta agli ultimi momenti dì quella vittima ingiusta, con si vivi colori la dipinse, che seppe ca- vare il pianto dagli spettatori; e soffocata ella stessa dalle proprie lagrime, dovette interrompere il can- to , che terminar pon potò per 1' emozione del sua Elogio di Teresa Bandettini 247 cuore (21). E qual più luminosa prova del poetare veramente improvviso della Bandettini, che il torna- re diverse volte a cantare nella stessa accademia sopra il medesimo argomento mutando condotta e me- tro ? Il q'-al arduo cimento sostenne qui pure in questa sala, dove per ten otto volte V argomento medesimo le fu proposto , ed ella sempre il trattò con nuovi modi ed in nuovo aspetto (22). Qual maraviglia dopo ciò se Y accademia de- gli oscuri di Lucca eresse nelle sue sale, ove an- ch' oggi si vede , il marmoreo ritratto di quella poetessa, e in prosa e in rime celebrò il ritorno che ella fece alla citta sua (23) ? Se V eroe dei due se- coli, dopo che dall'alpi piombò sulle povere italia- ne terre, molto la lodò nel suo passare da Modena, ove da essa volle in due versi improvvisati un saluto ? Se il rigido Alfieri a suo onore compose un sonetto, che vale a porre il suggello all' autenticità della fama della medesima (24) ? Qual maraviglia se il cantor di Bas-ville (25) , e quello dell' ar- monia (26) la celebrarono colle loro poesie, e un Rondinetti le dedicava il suo poema sui bruchi (2T)? Se si ebbero ad onore di corteggiarla i due Pinde- montl, il Parini, il Cesarotti, il Passeroni, il Bettinel- li, il Bozzoli, il Mascheroni, il Tamburini, lo Scarpa, ed altri moltissimi italiani ingegni, tra i quali più d' uno strinse con essa amicizia ? Se coi soci si af- fratellò delle più celebri accademie ; della virgi- liana di Mantova, degli apatisti di Firenze, dei fer- vidi di Bologna , e oltre a tante altre dell' ar- cadia , della tiberina, e della latina della prima citta del mondo ? A te parlo , o Roma , madre e stanza dei severi studi delle arti, e delle lettere, che in questo serbatojo, mai sempre ai dotti ono- ranza e sostegno , volesti eternare la sua memo< 248 Letteratura ria, 0 meglio la maraviglia da cui fosti colpita nel- r ascoltarla improvvisamente poetare, volendo che di Amarilli Etrusca (come a te piacque appellarla, e come fu poscia da tutti appellata ) oltre all' ap- pendersi in questa sala il ritratto, fr^-* il plauso dei tuoi dotti pastori si ornassero le tempie colla tanto desiderata corona di lauro. Il qual'onore del- la corona se ebbe pure solennemente a Perugia per mano del conte Reginaldo Ansidei, e a Mantova per quella del Bettinelli ; io non so dove trovare piìi durabili monumenti per la sua vera gloria , per la sua fama immortale: che non si glttano le corone, le quali, se non è somma, difficilmente si posano sul capo della virtìi. Fu poi la Bandettini ottima moglie del suo de- gno concittadino Pietro Landucci , il quale tolse a marito nel 1789. Non s'inorgoglì pe'doni che aveva avuti dalla natura, e che tanto crebbe col suo stu- dio: sentendo invece basso di se , come è uso del vero saggio, del quale è inseparabil compagna l'umil- tà. Amò grandemente il prossimo, e di esso fu nei bisogni, come potè, aiutatrice colle sue onoratissime fatiche ; e sempre seguitando i precetti della cat- tolica religione, trovò in quelli conforto nel quinto giorno del passato aprile: quando tornò a quel Dio che aveva tante volte cantato, lasciando sebben set- tuagenaria r Italia tutta a lamentare come troppo presto avvenuta la sua morte. E tu, o citta mia, citta di quella virtuosissima, che nei tempi piìi tristi allegravati cogli utili suoi versi, pensa che i sommi uomini non s' imitan col pianto. Ah possa il cielo pietoso alle recenti tue per- dite dei tuoi Lucchesini , de' tuoi Papi , de' tuoi Franchini, ridonarti di queste anime pellegrine, on- de nelle sociali cose affatto non si disperi !! 249 ANNOTAZIONI (i) Biblioteca italiana di Milano, tom: i (i) Del doti. Francesco Franceschi. Elogio. Lucca presso Francesco Bonsignori 1794 '^^ 8. (3) Biografia degli italiani viventi. Lugano 1818 voi. \, (4) Biografia cit. voi. I. (5) Biblioteca italiana cit. tom. i. (6) Ej'eineridi letterarie di jRowaio/n. 23, contenente le opere enunciate nel 1794- (7) Sulla Teseide è un assai lungo articolo nelle Efemeridi letterarie di Roma dell' anno 1806 fac i4o, al quale per altro a me è piaciuto il preferire il brevissimo del sig. marchese An- tonio Mazzarosa. (8) Articolo tratto dal Giornale politico letterario di Lucca del 10 aprile 1837, n. 3i. (9) Antologia romana. Roma 1792 tom. 19. (io) Vedi anche un'elegante parafrasi di una traduzione in greco del marchese Cesare Lucchesini di alcuni versi del sig. Gagliuffi , che incomincia „ Quanti, o regina, scorrono .,. Luc- chesini, Opere. Lucca tom. i3yìif. igi. (11) Prefazione alla traduzione dei paralipomeni ec. Edi- zione modenese della società tipografica 181 5 voi. 1. [il] Biblioteca italiana cit. tom. i. (i5) Giordani, Opere. Italia voi. X. (i4) Tiraboschi, Storia della letteratura italiana tom. 7. par- ie IV fac. 2oo3. ediz. mil. {i5) Discorso di Pelide Lidio nell'adunanza tenuta dagli ar- cadi il di a marzo 1794» quando fu collocalo nella sala del ser- batoio di Arcadia il ritratto della sig. Teresa Baudettlni. Roma presso i Lazzarini 1794- (16) Si vedono oggi pubblicate in Lucca in nitida edizione per Fraucesco Bertini per ordine dell' augusto Carlo Lodovico, G.A.T.LXX. 17 250 Letteratura che volle (raro esempio!) ne anticipasse la necessaria spesa il pubblico tesoro. A queste sta unita una elegante e dotta prefa- zione del già nominalo sig. marchese Antonio Mazzarosa (17) Articolo sulle poesie estemporanee di Amarilli elrusca. Giornale Arcadico tom. 49- (18] Sugli scherzi anacreontici del marchese Luigi Biondi, lettera al celebratissimo Giambatista Niccolini. Roma i836. (19) Lucchesini, Opere, tom. 1, fac. 69. (2oj Recherches sur 1' improvisation poétique chez les ro- mains. (21) Biografia degli italiani vii>enti cit. (22) „ Se i latini avessero veri improvvisatori „ Lezione del marchese Cesare Lucchesini. Lucchesini, Opere tom. 2. (23) Prose e rime in onore della celebre signora Tereia Ban'iettini lucchese, fra gli arcadi Amarilli Etrusca, recitate nell' accademia degli oscuri di Lucca il dì i3 ottobre 1794- Lucca presso Francesco Bonsignori 1794 •" 8. Precede le composizio- ni degli accademici il solenne decreto esteso a foggia d'iscrizione lapidaria, con cui viene stabilito che ; ,, Laudes celebrentur , eiu- sque dici acta in vulgus tjpis edantur, itemque piacere uti Teresiae Bandettiniae imago exniarmore in academia statuatur „. (24) Qui portoper intero il conosciutissimo sonetto di Alfieri. Ed io pure, ancorché de'fervid'anni Semispenta languisca in me la foga, Io pur la lira, end' alto cor si sfoga. Chieggo, e fremendo sciolgo all'aria i vanni. Quali in me si adoprar magici inganni ? Chi tal poter sul canto mio si arroga? Donna, il cui carme gli animi soggioga. Rimar mi fa, benché tai rime io danni. Ma immaginoso poetar robusto Pregno d'affetti tanti odo da lei Scaturirne improvviso e in un venusto ; Che or di splendida palma i' mi terrei Pe' suoi versi impensati andarne onusto. Più che mai speri da'pensati miei. Un altro sonetto compose poscia l'Alfieri, nel quale qua- si in pentimento delle lodi date nel primo, sembra da lui invilirsi alcun poco la maiavigliosa arte di improvvisare- Elogio di Teresa Bandèttini 251 „ Quanto divina siala lin^a nostra „ Ch' estemporanei metri e rime accozza. Ben ampiamente ai barbari il dimostra Più d' un ctrusca improvvisante strozza. Nasce appena il pensiero, e già s'innostra Di poetico stil;nè mai vien mozza La voce, o dubitevole si prostra, Né mai 1' uscita rima ella ringozza. Più che diletto, maraviglia sempre Destami in cor quest' arte perigliosa Che sragionar fa 1' uomo in vaghe tempre. Pare ed è quasi sovraumana cosa .• Onde invidia for z' è che V alma stempre D' ogni altra gente a noi laudar ritrosa. Del quale però ecco come, con moltopiù calzante raziocinio, ribatte le accuse e dilegua i dubbi, servendosi delle stesse rime, il dotto padre Francesco Antonio Fasce professore di lettere umane nel collegio nazareno, Quanto sovrasti altrui l'Italia hostra, Che eulte rime improvvisando accozza. Ad ogni cor gentile assai il dimostra La docile a cantar ausonia strozza. L'animoso pensier de' suoi s' innostra Schietti colo)% né mai la voce é mozza: Che a lei serva la rima ognor si prostra. Tal che una volta sol non si ringozza. Quindi un dolce stupor ne nacque sempre.- Sia pur grande l'impresa e perigliosa, Neil' oprarla ragion non cangia tempre. E benché paja enorme e strana cosa, E la mente a capirla invan si stempre. Non avvi alle sue lodi alma ritrosa. Avendo frattanto qui portato quel notissimo sonetto di Alfieri, ciedo non dispiacerà certamente al lettore che parimenti 252 Letteratura qui ponga il seguente, nel quale a quello si fa allusione, fatto in morte di Teresa Bandettioi dal eh. monsig. Carlo Emanuele Muzzarelli, Di Tersicore fu ne' suoi verd' anni Costei seguace, del tuo Serchio onore; Quindi più saggia dispiegava i vanni Con magnanimo ardire a voi migliore. E quante non durò pene ed affanni Emula surta di un gentil cantore, Finché non si assidea sovra gli scanni U' per volger di età 1' uom più non muore! A lei le grazie, a lei le sante muse Arrisero seconde, e in un Sofia, Che tutte fonti del saver le schiuse : Che se di grande il nome or le contrasta Turba che i lauri altrui sfrondar desia : Sappia che un di piacque a Vittorio ("), e basta. (25) Il Monti il 2 marzo 179Ì, quando fu collocato nella sai» del serbatojo di Arcadia il ritratto di Amarilli Etrusca, compose ad onore di lei quell' ode „ Nembo di guerra intorno freme, e morte. ,, (26) Angelo Mazza compose pure ad onore della Bandetti- ni r ode ,, Dunque io cantar di vergini ,,. Poesie di Angela Maz- za, Pisa 1816, tomo I fac. tf^b. (27) I bruchi, libri dieci ad Amarilli dell'abate Lorenzo Ron- dinetti. Modena per G. Vincenzi e compagno 1829. E più dell' abate Rondinetti si legge un sonetto sul carattere di amarilli Etrusca, che sta fra' sonetti dell'abate Lorenzo Rondinetti ferra- rese. Modena per G. Vincenzi e comp. i8i5, fac. ii5. Adige, Brenta, Mincio, Arno, Ticino, Dora, Serchio, Panaro, il picciol Reno; L* Istro lontano, 1' Eridan vicino. Il regal Tebro, il mar d' Adria, il Tirreno; (*) Allieri Elogio di Teresa Bandkttini 2§l3 Bei serti a gnra offersero al divino Estro che ferve ad Amarilli in seno; E il gallo , parco lodator, fu sino, Quando un giorno la udì, di sé nien pieno. Teseo per lei fra sommi eroi si asside; E Polidoro sulle scene il pianto Solo per lei spesso eccitar si vide. Pur fasto vano, che sul cor può tanto Di donna, cui si applaude, ella deride, E amìstade e candor le stanno accanto. L' opere delle Bandeltini, che la fecero salire a tanta gloria, sono: Le rime varie. Edizione del 1786. Voi. 2. La morte di Adone, produzione io quattro canti di ottava rima. Ediz. del 1790. Il Polidoro tragedia. La Teseide poema in 1 voi. Ediz. del i8o5. I Paralipomeni di Omero di Quinto Calabro Smirneo.Tra- duz. dal greco. Ediz. del 18 15. Voi. 2 in 8. Rime estemporanee. Lucca Ediz. in 3 volumi in 8. del i835 e i836. La Rosmunda tragedia, alcune visioni in morte di sommi uo- mini e di persone a lei care , e molte altre composizioni in di- verse occasioni di feste, di nascite, di sposalizi! «e. tutte degne di quella bellissima mente. 254 BELLE ARTI Breve ragguaglio sulla direzione dei lavori eseguiti in Tivoli per la diversione delVAniene. AlL EMO PRINCIPE IL SIG. CARD. AGOSTINO RlVA- ROLA PREFETTO DE LAVORI DELL AnIENE. Jr er soddisfare al desiderio della Eminenza Vostra Rma diretto a conoscere i motivi o le ragioni, per le quali abbia io fatto qualche cambiamento nell'ese- guire il progetto per la diversione dell'Aniene in Tivoli, occorrerebbe impiegare molti fogli in ri- portare le giornaliere incidenze che hanno dato causa ad alcune rettificazioni o aggiunte , con cui pervenni allo scopo prefisso , e per il quale ebbi dal chirografo ssriio e dalla onorevolissima fiducia di V. E. R. la facoltà di modificare o variare quel- le cose che in atto di esecuzione da me si crede- vano necessarie. Non pertanto io mi farò ristretta- mente ad esporle colla norma delle circostanze e difficolta che mi si presentarono nell'eseguire que- sta opera del tutto nuova per noi, e dipendente in gran parte da fisiche incognite combinazioni, a su- perare o secondare le quali non bastano talvolta tutte le risorse della forza e dell'arte, come ce lo dimostrano gli antichi esempi denotati nella classe di monumenti irritae spei. Lavori in Tivoli 255 Sebbene allorquando mi si «lesto nella mente l'idea di traforare una montagna per condurvi un fiume, come sonosi dagli antichi e moderni trafo- rate per aprirvi strade, io mi portassi immediata- mente a Tivoli per istudiare la possibiltk del pro- getto concepito, e sopra tutto la topografia, la geo- logia, e l'andamento del fiume ove voltarlo ed ove ridurlo al suo corso, con tutto ciò dopo approvato il progetto presentato dalla commissione apposita, e decretatane dalla SANTITÀ' di N. S. P. GREGORIO XVI la esecuzione, feci nuove ispezioni di località e nuove considerazioni coi colleglli di commiss o- ne e n' ebbi la conferma , che i punti i piìi op- portuni ad effettuare la deviazione e scarico si era- no quelli già disegnati e stabiliti nel progetto: on- d' e che feci por mano subito allo sterramento , e quindi a fare prove diverse di taglio sulla pietra con piccone, e con zeppe di ferro, e con picciole mine, intanto che si combinavano dalla commissio- ne amministrativa dei piccioli appalti e cottimi per dare campo agli speculatori di fare i loro esperimen- ti, ed all' amministrazione stessa di conoscere i sag- gi a cui si poteva giungere nell' ammissione delle offerte. A tale sterramento e taglio di pietra mi av- vidi, che dalla parte dello sbocco la stratificazione di corteccia secondaria si presentava tutta contro- corrente, ed era disposta a divellersi ad un qual- che urto, a modo che m' indussi a nuove riflessio- ni sulla velocità e forza che acct^sterebbe l'acqua contro gli strati nell'uscire dai cunicoli , lasciandole la cadente da me attribuita nel progetto, e stimai in- fine conveniente di diminuire questa per metà portandola dal due all'amo per cento: oltreché fino 256 Beile Arti d'allora mi determinai di costruire una gran bri- glia all'uscire dell'acqua dai cunicoli a sicurezza del fondo e ciglio della nuova caduta, ammessa già nel rapporto degli 8 luglio 1830 e suggerita dal rispet- tahilissimo sig. professor Venturoli in un colla di- minuzione di cadente. Risolute queste cose, ed approssimandosi il tem- po d' internarsi col taglio nel monte nelle dimen- sioni stabilite, mi occupai a congiungere i due pun- ti d'imbocco e sbocco con una linea esteriore, che passona di necessita sul dorso del monte: e questa prolungai cogl' istromenti geodetici fino a rincon- trare dalla parte di citta una fabbrica, sulla quale segnai il termine della linea, dalla parte di cam- pagna ossia dello sbocco fino a ritrovare un punto neir opposto monte, ove feci piantare lo scopo e termine della linea capitale. Su questa controsegnai le due linee parallele che determinano gli assi dei cunicoli, legate a punti stabili e facili a rincontrar- si in ogni mia visita tanto dalla parte di citta quanto della campagna. Fu quindi facile il collo- care gli scopi o paline di traguardo, su i quali do- vevano dirigersi i lavoranti nella intrapresa dei due cunicoli, tanto all'imbocco quanto allo sbocco senza tema di divergere, e il cui spostamento in cjualun- que caso si manifestasse subito. L'altra operazione, che immediatamente intx'a- presi, fu quella di stabilire il piano o ciglio ori- zontale , sul quale basar doveva la prima sezione e configurazione dei cunicoli all'imbocco, dalla cui posizione dipendeva la soluzione del problema di variare corso all'Aniene senza alterare le soglie di derivazione per gli opificj,nè alterare il superio- re, andamento del fiume. Piìi d'una livellazione, fatta Lavori in Tivoli 257 con diverso istromento legata al ciglio della chiusa del fiume, determinò il basamento della figura dei cunicoli ed il ciglio d'imbocco, a cui in appresso nella soglia stabile artificiale feci qualche picciola variazione, calcolandovi anche la poca pendenza del pelo d'acqua del fiume dal punto della diversione al ciglio della chiusa stessa. Maggior disagio costò il determinare in luogo il piano o ciglio ultimo di sbocco risultante dalla pendenza stabilita pe* cu- nicoli, SI perchè la vera lunghezza dei cunicoli di- pendeva dalla esattezza della topografia esterna sem- pre difficile ad aversi in un luogo montuoso, sì per- chè doveva raggirarsi col livello lungo la costa al- lora inaccessibile di quel luogo. Ma intanto che all'imbocco si preparava il pia- no verticale, sopra il quale si tracciava la figura dei cunicoli, ove tutto sembrava ritrovarsi a seconda del progetto, dalla parte dello sbocco la stessa favo- revole direzione delle statificazioni manifestava nuo- vi pericoli per ciò che riguarda la strada di Quinti- gliolo, che passa sopra lo sbocco de'cunicoli stessi. Nel configurare la traccia dell'arco circolare per l'ul- timo tratto dei cunicoli, come al progetto, si conobbe che gli strati tagliati nella parte superiore, trovandosi in una curva troppo aperta, si distaccavano in parte o si rendevano deboli e pericolosi, come erasi già pre- sentito prima della adozione della curva acuminata, o gotica per il restante dei cunicoli ; così m'indussi ad adottare anche per questo ultimo tratto la stessa curva, ed a continuare l'andamento diviso dei due cunicoli, onde lasciare fino allo sbocco il sostegno del pilone di mezzo a tutta la massa stratificala. Ed opportunissima ritrovai per tale circostanza l'esecu- zione già ideata ( pag. 75 - Memorie e documenti 258 Belle Arti descritti per la storia della chiusa dell' Aniene in Tivoli ec. ) di un marciapiede che servir possa a praticarvi in ogni tempo ed in piene ordinarie, onde accorrere in qualunque evento ad operarvi quelle provvidenze che abbisognassero: cosicché lasciando al pilone una grossezza maggiore di masso a piedi d'un metro per parte suU' altezza di m. 2, si dava a questo un rinforzo competente. Queste essenziali va- riazioni, che nascevano dalle considerazioni su i fatti che si discoprirono collo sgombro della corteccia terrosa e nel tagliare la pietra per formare l'imbuto e lo sbocco, ne condussero seco altre risguardanti la larghezza dei cunicoli e la pendenza del cuspide del- la volta. La diminuita pendenza esigeva che si tenesse più larga la sezione dei cunicoli, ed abbondando nei risultati del calcolo stabilii la diminuzione di lar- ghezza da darsi dall'imbocco allo sbocco all' uno per cento , cifra per se stessa facile per la regola degli esecutori e per le rispettive sezioni. Calcolando poi sopra i metri 280 di lunghezza dei cunicoli ( lun- ghezza assunta dopo che i piazzali furono alquanto protratti, e perciò diminuita di m. 14 circa quella dei cunicoli ) la larghezza sullo sbocco risultava di m. 7. 20, essendo quella d'imbocco di m. 10 compre- so il marciapiede. Sopra la larghezza adunque dello sbocco dovevano impostarsi le curve gotiche colla stessa descrizione grafica di quella dell'imbocco, e ne venne che se all'imbocco il cuspide per natura geo- metrica doveva essere alto dal piano della soglia m.9. 70, allo sbocco era di m. 8, ossia doveva progre- dire con una pendenza del mezzo per cento circa. E perchè queste due diverse pendenze di fondo e di cuspide venissero ad ogni metro di avanzamen- Lavori in Tivoli 259 to esattamente eseguite, feci preparare due aste rette della lunghezza di metri 4 Tuna, ed altre simili di minore lunghezza per le occorrenze, sopra le quali nel lato piano orizzontale feci collocare una squadra con pendolo tìsso dal vertice dell'angolo, perchè in- dicasse sempre la orizzontalità del piano, e neiraltro lato opposto feci conformare la stessa asta in modo che la sua altezza in testa fosse in una estremità ( in quella di m. 4 di lunghezza) di centim. 4 piìi alta, e COSI formare un lato inclinato dell' 1 per cento. L'asta per la volta con un congegno simile in- verso indicar doveva la sua pendenza del 2 per cen- to.Con questi istromenti di ordinario maneggio tanto l'ingegnere esecutore quando gli appaltatori o loro caporali dovevano regolare (come fecero) le penden- ze e col dato di ristrinzione di sezione dell' 1 per cento, ossia del 1/2 per parte nei lati dovevano rego- lare la larghezza dei cunicoli ad ogni metro di avan- zamento» Protratto quindi il lavoro in modo che piìi non si scorgessero gli scopi esterni per l'allineamen- to, si fisserebbero ad ogni dieci metri dei pendoli bianchi visibili sospesi alla porzione di cuspide ese- guita e da me rincontrata, onde mai non mancasse agli esecutori la direzione lineare. Si attaccò intanto la esecuzione del taglio chiu- so. Il metodo prescritto nel piano era a scaglioni, acciò gli uomini senza bisogno di ponti o altro co- modo potessero dal cuspide tagliare liberamente i massi. Ma la qualità della pietra calcare stratiforme, e la irregolarità che si formava nella esplosione del- le plcciole mine ammesse dalla superiorità, non per- mise agli impresarii di mettere in esecuzione questo metodo regolare, e convenne sostituire quello di un piano inclinato molto esteso che salisse dal piede al 2G0 Belle Arti cuspide per potervi fare accedere le carrette vuote e rinviarle al basso caricate di breccia e di sassi, e per avere l'altro vantaggio di sviluppare molto più di forza che non avrcbbesi potuto fare con gli scaglioni regolari, ed inline per potere distribuire più libera- mente le mine ove faceva di bisogno. Cos'i il lavoro ha proceduto da una parte e l'altra, cioè con due pia- ni inclinati opposti che si unirono infine col loro vertice al punto d'incontro nel cuspide del volto. Anche sull'uso delle mine si fecero diversi saggi dagli impresarii prima allo scoperto e quindi nel- l'interno : molta attenzione si pose sulla direzione , sul calibro , e sugli eflfetti relativamente alla volta e figura che dovevano prendere i cunicoli. Sul modo poi di avere il minore fumo possibile nella scarica di esse, che in causa della mancanza di ventilazione si tratteneva nell'interno e ritardava la lavorazione, uno di essi impresarii sig. Vanelli esibì il ritrovato di usare in luogo delle mlccie alcuni cannellini di carta leggermente intrisi di polvere in pasta, dai quali si ottenne molto vantaggio. I cunicoli riuscirono perfettamente allineati ed a poca differenza colle pendenze assegnate. Le lun- ghezze misurate in piano sonosi ritrovate nel euni- colo destro di m. 278, e nel sinistro di m. 263. 50, prese a piombo dei cuspidi da imbocco e sbocco. E provenuto da tali minori lunghezze, che essendosi fis- sata la sezione ultima allo sbocco, quando s'incomin- ciò il lavoro sul dato della lunghezza di m. 280 si è dovuto coi ritocchi conformare le sezioni verso lo sbocco alla ritrovata lunghezza, ed ingrandirle al- quanto, Fu in tempo che si operavano questi ritocchi, che feci eseguire la gran briglia artificiale allo sboc- Lavori in Tivoli 261 co cornposta di grossi massi di travertino stagionato da secoli, tirati da Colle Nocella, disposti alla pro^ fondita di un metro e mezzo raguagliati , e collegati tutti fra loro con calce, masso di muro, e con una forte legatura di ferro grosso, di cui la fascia prin- cipale abbraccia tutta la parte in avanti, e con late- rali catene fra i massi si stringe col lato di dietro per mezzo di grossi paletti. Compita questa briglia, feci intraprendere te due briglie all'imbocco con si- mili massi che costituiscono la soglia stabile dell'im- bocco livellata, come dissi, al pelo d'acqua a pari del ciglio della chiusa, onde avere la perfetta corrispon- denza del pelo d'acqua relativo alle soglie delle boc- che degli opificj. Un idrometro, che feci collocare a questo pelo d'acqua, serviva in ogni giorno per espe- rimentare in ogni stato del fiume il punto da me as- segnato in corrispondenza dell'idrometro che sta al ciglio della chiusa ; e così mi accertai che in ogni circostanza del fiume non sarebbesi alterata l'altezza d'acqua per gli opificj. Avrei voluto intraprendere alcune picciole bri- glie entro i cunicoli ( come alla mia relazione 8 lu- glio 1830 pag. 61 delle memorie e documenti ec. ) specialmente ove trovai qualche strato di materia sciolta; ma eravamo già prossimi all'epoca voluta per la immissione dell'acqua entro i cunicoli, e mi limi- tai ad eseguire alcune più bisognevoli murature tanto nel fondo quanto nei lati dei cunicoli: riservandomi a tempo opportuno di sostituire un laterizio nei lati ove s' incontrano gli strati scomposti e leggeri, di niuna maraviglia essendo l' avere ritrovato in un monte di calcare secondaria degli strati più legge- ri, come ne abbiamo ritrovati dei più duri e com- patti. 2G2 Belle Arti Passando alle opere esteriori che hanno re- lazione colla diversione, porrò primieramente fra queste i portoni costrutti alla imboccatura dei cu- nicoli non contemplati nel piano, e costosi per la robustezza con cui sonosi dovuti fare, ma di gran- de utilità e comodo per le visite e per le inci- denze che potessero avvenire entro i cunicoli stes- si, chiudendoli ambedue, o l'uno o l'altro, per pra- ticare in quelli all'asciutto. Questi grandi repagoli mobili servirono mi- rabilmente per r altro fine eziandio di poter pre- parare una piena artificiale, e quindi sboccarla al- l'improvviso nel primo giorno, in cui le acque dove- vano incamminarsi pei cunicoli e precipitarsi per la nuova caduta. L'artificio di questi portoni è tale, che essendo due porte per cunicolo chiuse ad angolo, nel mentre una di queste con canapo viene forzata ad aprirsi contro-corrente, 1' altra staccata dalla prima viene aperta dalla corrente stessa in senso opposto, scor- rendo ambedue sopra grosse carrucole di metallo e girandosi attorno grossi perni di ferro trattenuti al di sopra da grandi anelli bene impiombati, fermi nel masso e poggiati aldi sotto entro lucerne o conche di metallo infisse nei massi della briglia su' quali gira la porta. E questa poi composta di una intelaratu- ra di grossi travi di rovere, bene connessa e ricoper- ta da erte tavole dello stesso legno, il tutto inchioda- to, ferrato, ed incatramato a perfetta regola di arte. Anche il così detto piazzale avanti l'imbocco, os- sia imbuto per l'invito delle acque, ha subito varia- zione da quanto erasi accennato nella pianta che fa- ceva parte del progetto. L'aggiunta stessa dei porto- ni indusse alla necessita di fare due piazzette latera- Lavori in Tivoli 363 li airimbocco per potervi manovrare airoccoi:*renza i portoni stessi, oltre alla piazzetta sopra il taglia-ac- qua che riunisce i due marciapiedi ; ma il maggio- re lavoro si fu nell'approfondare tutto il piazzale a due metri sotto le soglie dei cunicoli. Difficile si ren- deva questo approfondamento,clie doveva farsi sotto il pelo d'acqua del fiume ed in un suolo a destra breccioso, a sinistra di pietra durissima. Un argine, che fu lasciato lungo la sponda del fiume, alto due metri sopra l'acqua e che fortunatamente fu ritrova- to di una deposizione argillosa stretta ed impermea- bile , ci die opportunamente comodo di potere ese- guire questo abbassamento interessantissimo, e che in realtk era il mezzo per voltare le acque verso i cuni- coli, le quali collo scaricarsi verso questa bassura avrebbero asportato il fondo stesso dal fiume verso il gorgo, e di qui innalzandosi le acque sarebbonsi di- rette ad entrare nei cunicoli. Fu inoltre escavata una fossa piìi profonda dei due metri suddetti lungo l'ar- gine, allorquando doveva gettarsi a basso. Preparato cosi il fondo del piazzale, si abbassò e si assottigliò quanto piìi si poteva l'argine, e col mezzo di alcuni travi posti a leva al di dentro del fiume, allorché l'acqua incominciò a formar i fon- tanazzi sì die moto alle leve coU'ajuto delle corde passate alla estremità del trave , e tirate dalle piaz- zette. L'argine crollò entro la fossa, ed aprì il var- co al fiume per gettarsi entro quella gran vasca ; indi si rialzò presso le soglie dei cunicoli e s'incam- minò per essi, lasciatovi correre per quanto tempo si reputò sufficiente alla prova. Fu osservato però da che furono intrapresi i lavori, che il filone dell'acqua bassa e delle mezze piene erasi diretto verso la sponda sinistra, e che 264 Belle àri*i faceva duopo di qualche repellente per piegarlo ver- so i cunicoli. Fu pertanto disegnato sul luogo, pres- so molte osservazioni, la direzione , il numero, e 1* estensione di tali repellenti, detti pennelli, che do- vevano invitare e forzare il pilone a quella parte; e fino dalla primavera passata s' incominciarono a costruire le sole palificate, sospendendo la riempi- tura il piìi tardi che si è stimato, alfine di non da- re urto airargine summentovato. Sono questi pennelli costrutti a cassone con pali di castagno intrecciati di legna verde, e riempi- ti di sassi e fascine; che però dovendo continuamente contrastare con l'urto dell'acqua, in ogni anno pro- babilmente avranno bisogno di un qualche restauro sino a che la piantagione di salci, che si fark nel principio del prossimo inverno, non abbia bene al- lignata. Avrei voluto munire le fronti di tali pennelli di gabbioni e buzzoni, ed avrei voluto ritagliare anco- ra pili la sponda destra, e togliere specialmente una punta forte di terra e muro che esiste nella sponda al termine della vigna Tomei; ma non vi fu il tempo ad eseguirli, ed eravamo troppo impegnati in altre preparazioni per la memoranda giornata dei 7 di ot- tobre cadente, e speriamo che si possa o in questo autunno se diverrà più sereno, o nella futura estate potere effettuare tali cose, allorché si darà contem- poraneamente compimento all'interno dei cunicoli. Un altro lavoro, non previsto nel mio progetto, si fu quello del muro circolare di decorazione al di sopra dei cunicoli. Per rispettare l'antichità si opinò di lasciare il muro reticolato antico, che si trovò nel fare lo sterramento avanti le bocche dei cunicoli . Era però questo già alquanto degradato: ma stante Lavori in Tivoli 2fi5 la STia grossezza pareva resistente al poco carico
  • c gettare alle fiamme, non essendovi per sorte libro, in cui per l'umana imperfezione un qualche errore od equivoco trascorso non sia. L'argomento provere]>])e troppo; e però nulla prova; ond'è che delle cose a'ioro tempi accadute debbasi tutto ciò credere a'contemporanei scrittori, che eifeltivamen- te erroneo dimostrato non venga. In secondo luogo non si deve la fatta opposizione in alcun modo esti- mare, perchè ed il J^^asari ed il Graziani non fu- rono già di RafiaelUno soltanto contemporanei ; ma per più speciali motivi eziandio del medesimo otti- mi ed assai ben istruiti conoscitori: il frasari per- chè stretto di lui amico : perchè alla lunga, e re- plicate volte stette e domesticamente conversò con esso; essendosi dell'opera sua servito in Roma, Na- poli, e Firenze, come or dirò ; e rispetto a mon- .sig. Graziani basterà il dire , essere stato eziandio di lui concittadino. Glie però , se specialmente il frasari potè ne'libri suoi errare, o in qualche mate- ria specialmente congetturale, o in cosa che dall'a/- trid sola informazione dipendere potea, come spesso accade in opere vaste, non il potè certo per rappor- to a Raffaellino. In terzo luogo poi non deesi al-- r accennata opposizione dare ascoltamento, perchè degli allegati scrittori V assertiva intorno al luogo natio di Raffaellino abbracciata viene, se il solo Titi si eccettui, da tutto il resto de'biografi che del lo- dlato artefice favellarono, dal Baglioni , dal Celio, 276 Belle Arti àa\Vu4lio si rappresenta (1). Da altri però, sebben meno che rettamente, si stima che dal solo suo pen- nello eseguite eziandio fossero le storie di Moshx\.e\.- rOreb (2). Rimasta appena opera si sorprendente delle logge compita , Leone instancabile nel mostra- re la grandezza e generosità dell'animo suo, com- mise in mezzo a tant'altri lavori allo stesso Raffaello d' Urbino , ohe la gran sala del palazzo vaticano, detta poi di Costantifio^ dipingere intieramente si dovesse de'gloriosi fatti di questo imperatore si ca- ro alla cristiana religione, e si della romana chie- sa benemerito. E già il sovrano artefice fatto ne avea schizzi e disegni, ed eziandio dato un qualche incominciamento (3) ^ allorché spietata morte im- (i) Orland. Abeced. Pitt. art. Raff. del Colle. Tit. Guid. di Rom. pag. 426. (a) Taja, Descriz. del Palaz. Vatic. Rosiui, Mercur. errarti, pag. 45. Rom. 1760. (3) Vasar. FU. di Raff. d'Urb. Tom. V pag.ZoS.cit. ediz. G. A.T. LXX. 19 282 Belle Arti provvisamente tolse di vita Leone-^ e quindi morto Raffaello medesimo, non altro fecesi per allora di tanta opera; ne di essa alcuna cura si prese il suc- cessore Adriano f^J non tanto per la brevità del suo pontificato , quanto per rimediare possiJjilmente al grave sbilancio al pubblico erario dalla rileva- ta magnificenza di Leone arrecato (1). Ond' è che non solo la vaticana sala abbandonata rimanes- se , ma le stesse arti belle sotto tal pontificato sì fattamente languissero , che i piìi valorosi arte- fici ebbersi quasi a morir di fame (2). Che però assai probabilmente io penso, che forse a quest'epo- ca sfortunata debbansì riferire alcuni lavori , cui Raffaelluio diede mano per meglio tradurre sua vita, siccome quello che coi disegni di Giulio Ro- mano a fresco operò entro la porta del palazzo del cardinal della Valle in un mezzo tondo, una Nostra Donna che con un panno copre un fanciullo che dorme; e dalle bande un s. Andrea apostolo, ed un s. Nicolò: il qual dipinto, al dir del Vasari, fu te- nuto per eccellente (3); e l'altro lavoro di un s. Mi- chele a mano destra nella chiesa della Morte (4); e per non dilungarmi io stimo che a tal' epoca infe- lice avrà eziandio qualch' altr' opera condotto , di cui al presente od il nome ignorasi dell'autore, o (i) Vedansi in proposito due lettere di Girolamo Negri a M. Antonio Micheli da Roma: una del i4 agosto i522 , e l'al- tra del I settembre anno detto, nel Lib- I. delle Lettere de' prin- cipi, Venezia appresso Ziletti. i564- (2) Vasar. yit. di Giul. Roman. Tom. VII. cit. cdiz. (3) Vit. di Giul. Rom. pag. -208. Tom. VII. (4) Titi, Guid. di Rom pag. 88. cit. ediz. Intorno a Raff. del Colle 283 ad altro illustre allievo attribuiscesi della scuola raf- faellesca. ^ Comunque sia, passato Adriano dopo soli ven- ti mesi di pontificato alla luce eterna , riconforta- ronsi alquanto le arti sorelle quando sentirono, es- sere stato alla cattedra di Pietro sotto il nome di Clemente FU innalzato un cugino del gran Leone nella ersona del cardinal Giulio de Medici. E n'eb- bero ragione ; giacche salito egli appena a tal di- gnità, a se fece tosto chiamare Giulio Romano , il primo, come dissi, ed il più eccellente allievo del- la scuola raffaellesca , affinchè co'cartoni e disegni dal maraviglioso di lui maestro in gran parte la- sciati , si desse fine sotto la sua direzione alle di- pinture dell'anzidetta gran sala di Costantino (1). Che però una delle quattro grandi istorie, che ol- tre gli ornamenti la decorano, fu intieramente af- fidata al pennello di Raffaellino (2). Esprime que- sta la Donazione, che di Roma fece detto impera^ tore alla romana chiesa ; ed in sì fatta storia veggon- si de'gruppi di bellissime femmine, che inginocchia- te si erano ad osservare la cerimonia di detta do- nazione, e sul terzo gradino del pontificio trono ve- desi Costantino con un ginocchio piegato a terra of- ferire al s. pontefice Silvestro, di pontificali abiti ri- vestito, una Roma d'oro qual simbolo della mede- sima, e dietro al nominato pontificio trono vescovi, religiosi ed altri. Vi si scorge inoltre un povero che chiede l'elemosina, bellissimo: un putto che sopra (i) Vasar. yU. di Giul. Rom. pag. 202 Tom. VII. cit. ediz. (a) Taia, Descriz. del Palaz. Vatic. Vasi Itiner. de Rom, pag. 709. Tom. Il ediz. in 12. Montagnani, Descriz. delle pitt. di Raff . nelle stanze vatican- pag. 46. Fea , Descriz. di Rom. jSU BelleArti un cane graziosamente scherza ; ed in queir uomo salito sul basamento di una colonna, avvolto in man- tello che sta per cavarsi la berretta, si ravvisa Giu- lio suo maestro unitamente a diversi letterati del suo tempo, fra' quali il Marnilo ed il Fontano, Nell'esecuzione di questo gran dipinto si portò Raf- faellino con tanta eccellenza, che di molto l'altra sto- ria superò lavorata dal Fattore (1). Ma RaffaellinOf oltre all'enunciata storia, colorì eziandio tutte le ca- riatidi, che sono nel basamento della gran sala, le quali alzata tengono una mano al capitello, e bas- sa l'altra, accennando air impresa medicea propria di Clemente F"!! (2), il quale però fino dall' anno primo del suo pontificato 1524 ebbe la compiacen- za di ammirare tal magnifica sala del tutto com- pita ; siccome ben mostra l'iscrizione sotto il Bat^ tesimo di Costantino. Era già sì gran lavoro al suo termine perve- nuto, quando non tanto a Giulio Romano , quanto eziandio a Raffaellino convenne partire da Roma. Il che fu per essi assai buona fortuna, giacche trat- tenendovisi più lungamente a lavorare, come sa- rebbe naturalmente accaduto , si sarebbero forse ritrovati a quel tremendo saccheggiamento , che neir anno 1527 fu da Borbone dato alla misei'a Ro- ma, in cui patirono cotanto, al dir del Vasari nelle loro vite, il Peruzzi, il Vaga^ Marcantonio^ il Par- migianino , il Rosso, e tutti quelli che infelicemen- te vi si ritrovarono. Ora a Giulio convenne ire a' servigi di Federigo Gonzaga marchese di Mantova, così persuaso dal celebre conte Baldassar Casti- (i) Quatrem. yU.di Rajf- d'Urb. not. alla pag. 397. cit.ediz. (1) MontJgnan. Descriz. delle Pili, di Raff. pag, 53. Intorno a Raff. del Colle 285 gitone dì lui ambasciatore in Roma (1) ; ed a lìaf- faellino recarsi da Francesco I duca d' Urbino, che ne lo invitava. Aveva questo principe fino dall'anno antecedente 1523 ottenuto dal pontefice Adriano VI r assoluzione dalle censure contro di esso fulmina- te dal di lui antecessore papa Leone ^ ed insieme la restituzione, ossia novella investitura del suo sta- to (2). Glie però rientrato nel medesimo , e quindi condottosi a Pesaro, avea già per opera del valente architetto e suddito suo Girolamo Gensa fatto ri- staurare, e di un'altra tori'e accrescere un suo vec- chio palazzo nel monte sopra detta citta appellato dell'Imperiale (3). A Raffaellino pertanto quivi ap- pena giunto fu dal duca ordinato, che di sue dipin- ture ornare il dovesse. Mise egli immediatamente le mani all' opera, unitamente a Francesco da Forlì, sebbene egli di sua mano la maggior parte condu- cesse delle storie ; mentre Camillo Mantovano an- dava dipingendo tutti i paesaggi, le frutta , ed i fiori, come in si fatto genere rarissimo (4). L'enun- ciate storie rappresentavano le piìi nobili e valo- (i) Vasar. yit. di GluL Rom. pag. 210, tom. VII, cit ediz. (2) Guicciard. Stor. d' Ital. lib. i5 pag. mihi /^i5. Reposat. Della zecca di Gubbio pag. nn, tom. II. (3) Dair armi, che ancor si veggono in questo vecchio pa- lazzo, sembra che un Malatesta il fabbricasse, e perchè nel suo passaggio per Pesaro l' imperatore Sigismondo ne gettò la prima pietra, si chiamasse poi col nome d' Imperiale non solo il palaz- zo, ma eziandio il colle pria appellato Monte Accio, Questa no- tizia mi fa ad erudizione sapere il eh. sig. marchese Antaldo An- taldi, ch'io qui nomino a cagione di onore. (4) Queste dipinture, al dire del prelodato sig. marchese .//«- taldi, sono danneggiate assai, ed inispecie quelle di una sala clie 1 gesuiti stranieri ricoprirono di bianco, quando espulsi dalla Spagna e dal Portogallo vi furono ricoverali. 286 Belle Arti rose geste del lodato signore (1). Ed in ciò esso con gli altri sì fattamente al piacere del medesimo corrispose, che primieramente fatto gettare a terra ciò che in altra stanza aveano contemporaneamente colorito / Dossi ferraresi (2), volle che da Raffael- lino unitamente agli altri due nominati artefici fos- sero tosto rifatte (3): le quali opere dovette egli ese- guire parte nell' anno 1 524, secondo il tempo in cui ebbe fine la sopradescritta sala di Costantino^ e par- te nel corso dell' anno \ 522 (4). (i) Vasar. Vit. di Girai. Gang, tom Vili, pag. -228, cit. ediz. (2) Dosso e Battista fratelli Dossi di Ferrara furono due valentuomini, e specialmente Dosso , di cui un s. Gian-Battista nella chiesa de' roccliettini di Ferrara può stare a confronto con quello , che dicesi di Raffaello d' Urbino nella galleria di Firenze (Vasar. vit. di Girolam. Geng. pag. 228, tom. Vili sot- to lanot. I. vit. ediz.). Che però se le dipinture da essi eseguite furono gettate a terra, ciò sicuramente accadde per colpa di Bat- tista, il quale essendo eccellente negli ornati, e specialmente ne' Dae^t, volea a dispetto del fratello, da cui era inseparabile, ezian- dio operare da fgurista {Lanz. star . pitc.pag. 23 1, tom. II part. II. cit. ediz.). (3) Vasar. Vit. di Girol. Geng. tom. Vili pag. 228. Ma que- sto biografo diversamente parla nella vita di Alfonso Lombardo alla pag. 212 del tom. VI., ove asserisce che i Dossi furono con- dotti a dipingere nell' Imperiale molto dopo di Raffaellino ec. mentre ivi ci narra -c/ie aveva molto innanzi fatto in quel palaz- zo molte pitture Francesco Morozzo da Forlì , Raffaello del Colle ec.-E nel luogo stesso alla pag. 2t3 ci fa sapere, che get- tato a terra ciò che dai detti Dossi era stato lavorato, fu fatto da altri, senza dir da chi, ridipingere con disegno del Genga. (4) Nel vecchio palazzo àeW Imperiale dipinse eziandio -j^w- giolo Bronzino; ma dopo anni cinque circa, dacché aveavi lavo- rato Raffaellino , cioè dopo 1' assedio di Firenze {Vasar. Degli acad. del diseg. pag. 80 tom. XI cit. ediz.). Ma quest' assedio ebbe luogo nel i53o. {Vasar. Ragion, pag. Sg. Ediz. Aret, del 1^62. Pignot. star. lib. V cap. Vili toni. 9). Intorno a Raff. del Colle 287 Frattanto Giulio Romano^ che, come dissi, era- si recato a' servigi del marchese di Mantova , avea non lungi da questa citta in un luogo chiamato // 7^e già edificato un sontuoso palagio , detto però ancor esso del Z'e, e ciò con quella maggior cele- rità che il nominato marchese , cui non mancava ne voglia ne mezzi, desiderato avea: e volendo esso che tal palazzo fosse dal medesimo intieramente di- pinto , Giulio mandò tosto per Raffaelliuo , di cui oltre Giovanni da Lione era stato solito piìi spesso servirsi (I), come quello che pili d'ogni altro suo creato ne avea appreso lo stile (2). Alla chia- mata però di tanto maestro convenne a detto Raf- faellino ( che dovea esser giunto alla fine de'suoi lavori ) abbandonare lo stato d' Urbino , e solleci- tamente partire per Mantova (3): ove giunto si re- cò prontamente ad eseguire insieme con Benedetto (i) Vasar. Vit. di Giul. Rom. pag. 208, tom. VII, cit. ediz. (2) Vasar. ibid. (3) Sembra che il Vasari quando scrisse la vita di Giulio Romano o ignorasse, o non rainiiientasse che fra i suoi allievi, da'quali fu aiutato a dipingere il palazzo del TV, vi fosse eziandio RaJJaeUino ; giacché ivi non ne parla affatto. Ma si vede ch'egli ne fu ben informato, o sei rammentò, allorché si pose a scrivere la vita di Cristoforo Gherardi , ove nel principio della medesi- ma chiaramente ci narra, che fuvvi eziandio il predetto Raffaél- Uno, il quale ci dice che da Mantova fece immediato ritorno alla patria sua s. Sepolcro. Giovanni Bottani nella sua Storica descri- zione delle pitture del Te alla pag. i5 scrive, che il marchese Federico assegnò a Giulio -wi" assai decente abitazione, eia ta- vola non meno per lui, che per due suoi scolari, uno de' quali era Benedetto Pagni da Pescia, che avea seco condotto da Roma ec- rimanendo con ciò incerto chi fosse l'altro. 31a dal di sopra detto si comprende, che un si fatto scolare certamente Raffnellino es- ser dovette. 288 Belle A.r t i Pagni da Pescia e Rinaldo Mantovano le tante bel- lissime invenzioni di detto Giulio : siccome fra le più insigni quelle si furono, in cui le varie disav- venture si rappresentano di Psiche cagionate dallo sdegno di Venere : il di lei sposalizio con Cupido alla presenza di Giove e di tutti gli dei^ i superbi giganti da Giove percossi con lampi e folgori , la storia di Dedalo che a volare insegna ad Icaro suo figlio, il quale per troppo avvicinarsi al sole , li- quefatta la cera che ferme tenea le ali sue, preci- pitosamente cadde, ed altre pili storie con be' ca- pricci, ed ornamenti di dorature, e stucchi, e bassi rilievi, che seppe il terribile e fecondo ingegno di Giulio inventare ad abbellimento del suddetto pa- lazzo (1). Avendo Raffaellino atteso a si splendido lavoro, che perfezionare si dovette nel corso dell' anno 1526 e forse in parte del seguente anno 'I52T, final- mente dopo molt' anni dacché mancar ne dovea fe- ce ritorno alla sua patria di s. Sepolcro (2). Ridi- re non si può con precisione quando ciò acca- desse. Si sa per altro che quando monsignor Leo- nardo Tornabuoni , fuggendo dal soprannominato sacco di Roma, al suo vescovado di s. Sepolcro si riparò , egli già vi dimorava (3). Ma tutti sanno che si orrida scena ebbe luogo nel maggio dell'enun- (i) Vedi la narrazione del F'afar. vit. di Gìnl. Roni. pag. 211 e seg. toni. VII cit. ediz., e nel BoUatii, che esattaniente le descrive nella sopracitata su» Storica descrizione di queste di- pinture. (a) Vasar. nel luogo so/iracitato. (5) Vasar. Fit del Rosio pag. 'ig| tom. VI cil. ediz. Intorno a Raff. del Colle 289 ciato anno 1527 (1). Che però egli tornar vi do- vette in alcuno de' primi mesi di tal anno. Ed ora alquanto lunga fu la dimora eh' ei fece nella sua patria: giacche, meno il trattenimento di pochi mesi in Firenze per la cagione che a suo luogo sarò per narrare, trattener vi si dovette per circa anni un- dici, vale a dire fino all'anno 1539 circa, in cui fu egli invitato a nuovamente recarsi nel ducato d'Ur- bino, come in appresso risulterà. Ne a tal tempo però lavori mancarongli: e primieramente in detta sua patria tutte dipinse le seguenti tavole, cioè nel- la cappella di s. Gllio ed Arcamo , imitando lo stile di Giulio Romano suo precettore e di Raffael- lo d'Urbino, colorì una Risurrezione di Gesù Cristo^ eh' è quella in s. Rocco , in cui assai bene es- pressa mirasi 1' imponente maestà di Dio che risor- ge, e le mosse varie di spavento in quei militari che il sepolcro ne custodivano , cosicché fu opera lodata assai (2). Quindi ad operare si pose pe'frati minori osservanti un' Assunzione assai leggiadra e pel disegno e per le tinte (3). Similmente per la (i) Giunse Borbone presso le mura di Roma verso la sera del di 5 maggio con 4o,ooo uomini del tutto privi d'artiglieria, ed il di 6 detto incominciò 1' assedio, ov' ei restò morto. Marat. Annal. cV Ilal. ad ann. Bonaparte Descriz. del sacco di Roma. Cellini Vit. toni. i. fiag. un, noi. i. ediz. milan. dell'anno 1806. (2) Vasar. Fit. dì Cristof. Gher. pag. i35, tom. Vili. cit. ediz. (3) Vasar. luog. cit. Questi frati, che ora abitano entro la città, dice qui il Vasari stesso, e dietro il medesimo il iawsf nel- la sua stor. pili. foni. 1 pag. 160 , che abitavanoyMOri di s. Se- polcro; perchè all'epoca in cui egli scriveva essi realmente abi- tavano/«ori della medesima in un convento appellato s- Maria, della neve alle radici dell'Appennino. Essi furono introdotti in città neir anno i53o. Stor. manoscr. del Borgo, cap. II. §. i 290 Belle Arti chiesa cattedrale lavorò un' altra Risurrezione di N. S. che al presente appesa scorgesi nella tribu- na, o coro de' signori canonici: ed in questo dipin- to la figura del Salvatore del tutto 1' altra assomi- glia sopradescritta , ma il campo ed i soldati a cu- stodia del sepolcro sono affatto diversi ; e sopra la porta che conduce alla sagrestia vedesi di suo un lunettone^ entrovi un Padre Eterno circondato da angeli , che sono bellissimi. Operò inoltre una santissima Vergine delle grazie nella tribuna della chiesa di tal titolo, e nell' altra di s. Leo eseguì a fresco un s. Leone papa, sebben da taluno attri- buiscasi ad un qualche artefice della di lui scuola , e non manchi chi di Cherubino Alberti il creda. Inoltre Raffaellino dipinse altra gran tavola da al- tare rappresentante uvì Assunzione della Madonna^ la quale già pendea in una sala di que' PP. con- ventuali di s. Francesco. Al presente è questa assai rovinata : ciò però che se ne vede, e special- mente le teste che sono ben conservate , è tan- to eccellente che considerato eziandio da' primi pittori, che sono passati per s. Sepolcro^ hanno as- serito che vi possa aver dato delle pennellate ezian- dio il divin Raffaello d' Urbino. (1) Egli così stava in patria lavorando, allorché giunto l'anno 1536 gli convenne, siccome già motivai, dare una scorsa a Firenze, onde aiutare il frasari nel condurre a (i) Questa tavola in tempo del governo francese fu traspor- tala in Arezzo; ed ora la possiede il sig. D- Atanasio Angelucci canonico della cattedrale aretina. Non può per altro sussiste- re che V urbinate vi abbia lavoralo , giacché Raffaellino , come ho dimostrato, la dipinse dopo il suo ritorno in pallia da Man- tova, cioè dopo il xSnj: e Raffaello mori nelV anno iS'JO. Intorno a Raff. dbl Colie 291 fermine gli onoratissimi apparati che per ordine del duca Alessandro vi furono eseguiti nella ve- nuta di Carlo V^ a cui in dett'anno piacque recarsi in Italia, ed in ispecie a detta capitale. Ed in tal' oc- casione la porta di s. Pier GattoUni, la facciata di Via Maggio a s. Felice in piazza, ed altri princi- pali luoghi della medesima rimasero e di architet- ture e di pi tture in gran parte decorate dall' illu- stre pennello di Raffaellino (1). Avendo egli così dato fine da una sì fatta com- missione, si ridusse nuovamente a s. Sepolcro , ove ripigliando i suoi lavori molti ne condusse per que- sta nostra patria. Il frasari li accenna soltanto in genere^ dicendo, che egli alcune altre opere pe' no- stri frati serviti colorisse (2). Or delle medesime la prima consiste in un' illustre tavola di un Deposto di croce. EU' è questa però di poco avanti indietro, e di tinte in genere tendenti al rossignolo , ma di belle teste raffaellesche ripiena, di figure assai cor- rette, e di ben naturali panni ricoperte. Nel sog- getto gradino poi veggonsi in piccolo espresse tre storie : cioè in quella di mezzo la Risurrezione del Salvatore con più soldati che atterriti sen fuggono: neir altra a cornu evangelii il Salvatore stesso, che con bandiera spiegata libera i ss. padri dal limbo; e nella terza quando in forma di ortolano appari- sce alla Maddalena; in uno de' piedistalli sotto le colonne dell' altare si ravvisa la cena in Emaus, e neir altra il Salvatore risorso, che alla Vergine se- dente apparisce: tutte queste figurine sono pronte (i) Vasar. Vit. di Cristo/. Gherad. pag. i38 tom. Vili. cit. ediz. (a) Idem ibid. pag. i3i. 292 Belle Arti e graziose. A' lati poi questa stessa tavola ornata viene da tre angeli vestiti per parte , che sosten- gono diversi istromenti della passione di N. S. La seconda tavola , che Raffaellino dipinse pe' detti frati , esprime una Nunziata. Dell' altra è assai piii perfetta, e per 1' estrema venusta della f^er~ gine cosi bene esprimente la sua umiltà e mo- destia, e per la castigatezza del disegno, e per quel- la robustezza di tinte, che tosto il palesano per va- loroso allievo di Giulio Romano (1). La terza final- mente è una Preseritazione al tempio di non mi- nor bellezza dell' altra. Scorgesi nella medesima la verginella Maria, che sta devotamente salendo i gradini dèlia scalea che al tempio conduce , ed in capo alla medesima il sommo sacerdote che com- preso da rispettoso e modesto rallegramento è ve- nuto colle braccia alquanto aperte ad incontrarla : dietro al medesimo un bel coro figurato si ravvisa di musici , i quali col canto loro 1' augusta ceri- monia festeggiano , e di fronte a' medesimi due belle e ben pronte figure, che in mano portano due torchi accesi. Quindi nell' ima parte, e nel pri- mo piano della medesima si ravvisa una inatrona nobilmente vestita (2), cui una tenera fanciulletta (i) Sebbene il X«nzi facciaparola della deposizione, a gran- de maraviglia però nulla dice di questa eccellentissima Nunzia- ta, che pure le sta dirimpetto. Vedasi la mia Istruz. stor.pUt. torti. I. pag. 69, e seg., ed ivi alla pag. on^ una mia lettera inse- rita nel Gior. Arcadico di Roma. (2) Questa nobile matrona , che chiaramente si scorge essere un ritratto, facilmente era una dama della patrizia ed estinta famiglia Uccellari, che qual patrona dell' altare avrà fatto fare questa tavola a Raffaellino. Un si fatto patronato passò poi alla casa Bruni egualmente nobile , ed estinta. Vedi la cit. Istruz. stor-pitt. tom I. pag. 324. Iwf ORNO A Raff. dki. Colle 295 che le sta dinanzi tiene con la sua manina stretto un dito della bella mano, che essa pendente tiene alle ginocchia. Dietro alla medefima veggonsi diie femmine^ una delle quali voltando buona parte delle spalle e della testa al riguardatore, fa pompa deir^ assettamento delle sue bionde ed inanellate chiome ; dall' altra banda poi a cornu epistolae, e nel piano stesso sono collocate due donne di assai provetta età e di piti basso rango, inginocchiate, col capo e colle spalle coperte da biancastri panni tendenti al giallo e colla maggior naturalezza piegati, le quali al pari delle altre sono due pregiatissime figure (1). Ma oltre all'enunciate tre tavole pe'ridetti fra- ti serviti, altra rarissima ne colorì per questa chie- sa di s. Francesco de'padri conventuali. In questa si ammira /' Assunzione di Maria vergine al cielo. I ss. apostoli^ fra' quali nel primo piano sono s. Pie- tro e s. Paolo , tutti veggonsi devotamente raccolti attorno al venerando sepolcro ; e nelle piìi accon- ce e naturali attitudini i vari loro affetti vivamen- te esprimono: e chi attento mira il già vuoto se- polcro, e chi al cielo gli occhi innalza per osservare della J^er^ine la maraviglioaa ascensione^ chi il suo Stupore appalesa , e chi devotamente in se stes- so vedesi raccolto , mostrando il solo s. Paolo con cert* aria di fermezza , che il caso sorpresa non gli arreca. Quindi nella parte superiore di questa (i) Neppure di questa tavola parla il Lanzi. Avendo la me- desima un pò patito, fu mandata in Roma, ove fu ammirata da quasi tutti que'professori, ed il valoroso sig. Pietro Caniuccinì^er ordine dell'eminentissimosig. carisma/ GaZe^^J? camerlengo di s.chie- sa magistralmente la ristaurò. Vedi Istruz.stor-pitt, toni. I. pag- loi, noia £. 294 Belle Arti tavola, Maria si osserva in umile e delicato sem- biante air empìreo innalzarsi , tutta di gaudio ce* lestiale ripiena, ^ sedente sopra nuvole da più an- geli festosi rette, e corteggiata, i quali lasciano odo- rosi fiori cadere a basso. Finalmente appiè di que- sta tavola a cornu epistolae evvi a mani giunte il ritratto del devoto che la fece fare, il quale mostra la sola testa ed il petto, ed è Antonio di Bartolo- meo Albizzini patrono di questa cappella (1). Il Lanzi^ che in questa nostra patria venuto, vide co' propri occhi questa tavola, asserisce che Raffaellino in essa-comparisce grande, leggiadro, finito, guanto può dirsi', ed avendo a fronte ( cioè nella chiesa stes- sa ) un bel quadro del frasari (2) lo fa quasi cade" re in avvilimento (3). Dopo si fatti lavori Raffaellino altra tavola co- lorì per questa chiesa parrocchiale di s. Michele arcangelo , in cui si osserva Nostra Signora seden- te in una tribuna col divino Infante in braccio, cui da una banda il martire s. Sebastiano sembra umil- mente offrire una freccia, istromento del suo mar- li) Pazzi, Stor. ined. della famiglia. Albizzini^ o Albezzini, Me\y archivio di cattedrale. Questa é quella stessa famiglia , cui appartenea eziandio la celebrata tavoletta di Raffael lo d^ Ur- bino dello sposalizio della Madonna, ora in Milano nel palazzo di Brera. Vedi in proposito una mia lettera inserita nei Gior- nale Arcadico di Roma, e riportata nella mia Istruz. Stor. piti, tom. I. pag. 317. (2) Questa, eh' è realmente una delle più belle tavole del frasari , rappresenta la coronazione della Madonna, ch'esso co- lori per la signora Gentilina Vitelli. (3) Stor. pitt. pag. 161, tom. I. II fu cav. Wicar , viste tutte le qui accennate tavole di iJ ^''■^- ^diz (a) Islruz. stor. pitt. toni. 1 pag. 23, not. 2. Intorno a Raff. del Colle 299 quella si fu eh' esegui in Gubbio in una cap- pella laterale all' aitar maggiore della chiesa di s. Pietro di que' monaci Olivetani, perchè chiara- mente porta la data del 1540, come apparisce dalla qualunque siasi iscrizione che gira sulla fascia del cornicione, la quale sicuramente apposta vi fu dopo che le dipinture e gli ornamenti di detta cappella ebbero il loro compimento : ed ecco a curiosità il suo tenore , sebben composta nell' italiano secolo della latina eleganza PARES ADYTVM BENEPIGTI. EXI NOMINE DIVI. CONDEGORAT. FVNDAS NOVA THVREA DONA PEGES. ANNO DOMINI MDGGGCGXXXX. Laonde Raffaellino nella nominata cappella di- pinse una Natività di N. S., e a fresco due storie «li s. Benedetto , le quali sono alquanto inferiori alla prima, perchè dal pennello indubitatamente aiutato di alcun suo creato. In proposito però sog- giunge il Lanzi^ che eziandio in questo vi sono-^^e' ritratti \^ivi, ed architetture bene ideate, e vi è ag- giunta una f^irtù in alto, che pare vedervi una Si- billa di Raffaello - (1). Nella citta stessa inoltre ei colorì la vecchia cappella del Santissimo Sagra" mento in cattedrale, ed eziandio varie figure orna- mentali ai due altari laterali all' aitar maggiore , ora condannate all' obblivione ed alia distruzione. Recatosi quindi in Urbino, molte opere egli intra- prese. E primieramente operò sei tavole bislunghe (!) Stor. pitt. s>6i, tom- I,cit. ediz. 300 Belle Arti entrovl altrettanti apostoli, i quali al presente veg- gonsi nella sagrestia di quel duomo: e sebbene mon- signor Lazzari, materiale scrittore di belle arti, li creda di Pietro della Francesca, così confondendo il vecchio e secco stile di questo col raffaellesco di Raffaellino (1), il Lanzi però li riconosce effettiva- mente per cosa di mano dello stesso Raffaellino, e di più asserisce che-belli sono, e sfestiti grandiosamen- te i suoi apostoli nella sagrestia del duomo d^ Urbi- no in piccioli quadri bislunghi, e di colore assai for- te-(2), e per cosa di mano del medesimo artefice haii- noli sempre ravvisati i conoscitori delle arti belle. Similmente nella sagrestia della chiesa parrocchia- le di s. Paolo sono due quadretti che rappresen- tano .y. Pietro e s. Andrea apostoli (3) , e nelT altra della ssnia Annunziata de' padri carmelitani scalzi dipinse una Madonna del Soccorso (4), la quale stas- si col bambino in mezzo ad altri santi, cioè a s. Gian Battista e s. Cristoforo, e si scorge in atto di torre al demonio già a terra rovesciato un fanciulletto , che di una leggerissima tunica di velo rivestito, la- scia vedere tutto il nudo, ed è una vaghissima figu- ra che ben esprime lo spavento. Nel primo piano di questa tavola evvi una donna inginocchiata che il soccorso implora della tergine. In s. Agostino ve- dasi altra tavola di simil tema (5), ed in cpiesta si <" (l) Compend. Stor. delle chiese d' Urbino e delle pitture in esse esistenti , pa§ 33. (l) Stor. pitt. toni. I png. i6i, cit. ediz. (3) Lazi, luogo sopracit. png. 71. (4) Lazz. ibid.pag. \^q: (5) Questa tiivola sia sempre coperta , e soltanto si scopre in qualclic circoslauza di pubblica calamità. Intorno a Raff. del Colle 301 osserva la ssma tergine in una aperta campagna, che sta in atto di torre dagli artigli del comune ne- mico un fanciullo, e dall' altra banda una donzella in ginocchio, la quale con le mani giunte mostra implorare soccorso in quella terribile circostanza. Egli è da compiangere che la testa della Madonna ed il suo manto celeste sia stato ristaurato, e dan- neggiato da imperita mano (1). Nulla piti eh' io sappia lavorò Raffaellino in Urbino. Condottosi però in Cagli ebbe a fare altra bella tavola, la quale trovasi collocata nel primo altare di mano manca all' entrare nella chiesa di s. Francesco^ ove in mezzo ad una vasta campagna rappresento Maria ssma col divino infante sulle braccia , sedente in una specie di trono con bal- dacchino al di sopra , le cui cadute vengono ca- pricciosamente sostenute da due vaghissimi puttini. Ella è messa in mezzo a destra da s. Hocco inginoc- chiato, e da un santo religioso creduto un S.Francesco d' Assisi , ed a sinistra da s. Sebastiano martire an- cor esso innanzi la Madonna inginocchiato, e mezzo nudo con alcune frecce , dalle quali sta vivo san- gue stillando, da santo Stefano in abito levitico, e da un santo vescovo^ di cui non si conosce il nome. Nobile è questa tavola perchè, anche a senso del eh. Lanzi., ed il paese e le figure sono del tutto raf- faellesche (2). (i) Queste notizie relative alla città di J7rèj/zo nella maggior parte io debbo agli eruditissimi signori marchesi Antnldo e Rai- mondo fratelli Anlaldi, versatissimi nelle arti belle, e delle me- desimo ottimi conoscitori, ch'io qui nomino a cagione di onoi*^ , •ed a' quali professo le dovute obbligazioni. (2l Stor. pitt. tom. l.pag. i6i, cit ediz. 302 Belle. Arti Nel corso intanto dell' anno 1 543 essendo sta- ta a compimento condotta \r fortezza di Perugia, incominciata per ordine di papa Paolo III fino dall' anno 1540 con disegno dell' illustre architetto Antonio da s. Gallo (1), fu quindi Raffaellino in- vitato da M. Tiberio Crispo castellano della mede- sima a dipignervi: che però partitosi egli dallo sta- to d'Urbino, recossi alla predetta citta di Perugia, dove unitamente a Cristoforo Gherardi suo concit- tadino ed allievo, ad Andrea Doni, a Lattanzio del- la Marca, e a Tommaso Paperello da Cortona dipinse la cappella di detta fortezza, ed i fregi dell' appar- tamento (2). Il sig. Orsini però in si fatto lavoro non sa ravvisare quell'impegno che gì' intelligenti ricercano nelle opere de'valenti artefici (3). Ma se ciò a comune giudizio sussiste, conviene ancor dire che loro quella perniciosa fretta si facesse, la quale appunto incominciò generalmente a prender piede verso la meta di questo secolo XVI, e la quale poi vieppiìi eccitata dalla fretta de' pontefici Gregorio e Sisto, fu a tal epoca una delle cagioni del decadi- mento delle artij perchè d'altronde i detti artefici erano, come ognun sa, realmente valentuomini, e di quell'ottima scuola che il dipignere di pratica abor- riva. Ma ciò sia com' esser si voglia, terminata ap- pena opera sì fatta, essendo il Vasari nel seguen- te anno 1544 stato condotto in Napoli da don Gian Matteo fi?' Aversa generale de'monaci di Monte Oli- (1) Orsin. Guid. di Perug. pag- 325- (2) Vasar. vit. di Cristo/. Gherar, pag. i^S tom. Vili, gU cdiz. (3) Citala Guid. pag. 027. Intorno a Raff. del Colle 303 veto perchè gli dipingesse il refettorio d' un loro monastero fabbricato già dal re Alfonso I (1), con- venne tosto a Raffaellino recarsi in detta capitale; ove giunto insieme con Stefano Veltroni^ aiuto prestò ai detto l^asarl^ ed a buon termine tal lavoro con- dusse (2). Dovette questo aver fine presso a poco entro il 1545, giacche all' anno ,yeg/ir'«/(? egli, forse chiamato, si trovò in Firenze^ ove co' disegni fra gli altri del Bronzino fece i cartoni delle storie di Giu- seppe ebreo per que' superbi arazzi , con cui il gran Cosimo I granduca di Toscana addobbar volle la saia del consiglio de' duecento (3), i quali ap- punto neir ottobre dell'anno 1546 eransi già inco- minciati a tessere (4). Fu tal tessitura eccellente- (i) Vasai" nella sua vita Ioni. I pag- i^, cit. ediz. (i) Vasar. yU-di Crislof. Gherard. png. t49) toni. Vili. '""(3) Vasar. Vit. degli accad. del diseg. pag. 84j tom. XI, ci(. ediz. (4) Ciò risulla da due distinti contratti stipulati fra Nicolò Carchiera e Gioi>anni Rostel da una parte, ed il canonico Pier Francesco Ricci dall' altra, maggiordomo del serenissimo duca di Firenze Cosimo I, rogati da Giambattista Giordano notar» ducale sotto il 20 ottobre i546. Ecco il tenore del primo, ùv- /few promette detto Nicolò Carchiera di Fiandra maestro di arazzi al detto sig. maiordomo, ricevente come sopra, dare ipannid'oro, e di argento, e seta, e di lana fine, in caso che sua eccellenza si contenti che esso gliene faccia, per ducati dodici d'oro l'alia, e di quello stoffa , o più. fine , coni' è il panno, quale maestro Ni-i colò pur ha a mano in telaio di presente , eh' è quasi finito , dei primi disegni del Bronzino e del Snh'iati della storia di Joseph. Ecco il tenore del ieco/jf;?o contratto: Ommissis ec. iv'i-Item pro- mette detto Giovanni Rostel maestro ec. al detto maiordomo, ri- cevente come di sopra, dare i panni d' oro d' argento, e seta, e di lana fine, in caso che sua eccellenza si contenti che esso gliene faccia, per ducati dodici d'oro l'alia, e di quello stoffa, o più fine com" è il panno, il quale detto maestro Rmlel liain telaio di pre- sente, che è quasi finito de' primi disegni della stona di loseph del Pontormo e di Raffaellino. 304 Belle Arti mente eseguita dai due prodi maestri Niccolò Carchiern (\'i Fiandra, e Giovarmi Rostro Rostel, che il lodato Cosimo splendido protettore delle scienze, delle arti, e delle piìi speciose e utili maestranze, aveva già chiamato a Firenze, e quivi collo stipen- dio di annui scudi 500 per ben dieci anni trattenne per introdurvi, siccome felicemente accadde, un'arte si nobile (1). Ma tornando a'nominati cartoni, furo- no questi con tal perfezione e bellezza da Rajfael- lino condotti, che dallo stesso frasari furono assai encomiati (2). E proseguendo egli a starsi in Firen- ze, altri più disegni diede di sua invenzione per sì' fatti arazzi^ e fra gli altri co' suoi e del Sahiati fu- rono tessuti in oro, argento, stame, e seta quattro arazzi rappresentanti le quattro stagioni con figure (i) Dai libri de' Sahiati di Cosimo I, n. 5q^ pag. ^i,c\ò a.^- parisce, ove così si legge \y\- Maestro Giovanni Rostel arazziere di Bruselles con previsione di scudi 5oo di moneta V anno per lavorare in Firenze, et insegnare ai putti cominciando il mese di marzo i554-E vieppiù risultai dall'ultimo pagamento che insaldo degli anni dieci fece Cosimo a maestro Rostel, ivi-Antonio de' No- bili, notaro depositario, pagate in viriti di questo nostro mandata a Lattanzio Gorini proveditore aglietto di pratica scudi 8i8. per pagarli a maestro Giovanni Rostel arazziere per resto e saldo della sua provisione di dieci anni finiti per tutto il 19 di ottobre iSSg, a ragione di scudi 5oo simili V anno , secondo la convenzio- ne infra di noi, e come dichiara il contratto rogato per mano di ser Gianbattista Giordano sotto il di 5 settembre 1649/ ^ P'gH'^- tene ricevuta con farne debitore detto Lattanzio. Dato a Pisa il dì l'x di dicembre iSSg. Il duca di Firenze (2) Vasar. Vii. degli accadem. del diseg. pag. 84 lom. XI, citat. ediz. Intorno a Raff. del Colle 30& intiere , ed emblemi analoghi, con fregio di putti atteggiati in diverse maniere, alti braccia nove, e larghi braccia cinque e due terzi: indi con gli stes- si suoi disegni e del detto Sahnati ne furono con- dotti altri pezzi sei esprimenti la favola di Fetonte con vaghissimo fregio à\ satiri e putti., alti braccia sette ed un terzo: larghi braccia cinque e due ter- zi, ed altro pezzo tessuto in oro, filaticcio, e seta, tut- to con disegno di Piaffaellino^ che figura Bersabea che si adorna, e David in distanza, con architetture e fregi, alto braccia 6 e un quarto, e di egual larghez- za (1). Mentre tali cose andava operando, il frasari , che al di lui partire da Napoli erasi ivi trattenuto a condurre qualch' altr' opera, sen tornò nell' ottobre dell' anno 1546 alla volta di Roma (2), ove appena giunto fu invitato dal cardinal Farnese a tutta di- pìngergli colla massima sollecitudine la gran sala del palazzo della cancelleria. Che però fatti i relativi cartoni e disegni esprimenti le più magnanime ge- ste di papa Paolo III di detta illustre famiglia , convenne quindi, per chiamata del detto frasari., a Raffaellino lasciar Firenze, e tosto recarsi a Roma : (i) Questi arazzi, ed altri più assai che tuttavia esistevano dopo tante civili vicende nella guardaroba medicea, or parte de- corano le ville reali , e quella specialmente di villa Calano , e parte raniassata scorgesi nella cappella della signoria di palazzo vecchio. Queste notizie relative all' arazzeria di Firenze date da valente penna, ed assai ben istruita delle cose di quella metro- poli sua patria , io debbo alla cure dell' erudito sig. crtc Pier Lorenzo Semini mio rispettabile amico e cognato , dimorante nella medesima, cui qui professo la mia riconoscenza. (2) Vasar. f^it. di Crislof. Gherardi pag. i^g.toni. Vili, cit, ediz. 306 Belle Arti e quivi giunto di modo 1' aiutò unitamente ad altri professori, che in soli cento giorni quello strepitoso lavoro rimase perfettamente compito (1). Dopo la quale opera, che terminare dovette ne'primi giorni dell'anno 1547, la pittorica storia fin qui nota più di esso non parla (2): che però poteasi con tutta buona critica supporre eh' ei passato sen fosse, o in patria, od altrove , alla luce del cielo. Ma non è molto, che de' convicentissimi documenti ritrovati si sono, da'quali, come in appresso si vedrà, risulta, esser esso molti anni pili vissuto, ed essere in detta sua patria agli eterni riposi volato. Avendoci pertanto il Passeri fatto sapere , che egli lungamente in Pesaro si trattenesse (3), convie- ne necessariamente dire che terminata la suddetta opera della cancelleria^ di nuovo alla predetta città si restituisse: giacche quando la prima volta vi si portò per le dipinture Ae\Y Imperiale ^woxì lungamen- te dimorare vi potè, chiamato da Giulio Romano a Mantova: e ritornato quindi nel 1540 in detto duca- to, ebbe a condurre s\ in Gubbio e si in altre città del medesimo tutte le sopradescritte opere, e non ebbe certo campo da poter ritornare a Pesaro, ed ivi lungamente trattenersi : essendo stato nel sopra- citato anno 1543 a ben corti intervalli da tal ducato chiamato a Perugia, a Napoli, e a Roma. Conviene dunque ripetere che Raffaellino terminato, come dis- si, il lavoro della cancelleria iàcesse ò^\ nuovo ritorno nel nominato ducato, ed a Pesaro in primo luogo si (i) Vasar. nella suavit. pag. q8, tom. I, cit. ediz- (2) Lanz. Stor. più. pag. i6i, toni. I, cit. ediz. (3) Tralt. della pili, in maiol. pag. 223. Disc. 6, cit. ediz Intorno a Raff. dkl Colle 307 dirigesse. Ed a tal epoca credere ragionevolmente si dee, eh' egli V opera vi eseguisse assai importante, di cui COSI precisamente parla il lodato Passeri: - T.\itto intiero dipinse un portico di questa corte di Pesaro^ che madama Vittoria consorte del duca fece fare appresso al suo quarto, che poi con- vertito in rimesse è stato tutto guastato e deforma- to. Quel gran pittore oltre alla giustezza del dise- gno, e la mirabile freschezza del colorito, aveva uri anima così formata sul gusto antico, che se tornasse^ ro al mondo i pittori del tempo degli Antonini non difjtculterehbero a credere, che que" miseri avan- zi, che ne rimangono fossero, opera deWetà loro-{]). Ed essere pur dovette a quest' epoca stessa che potendo esso lungamente dimorare nel detto ducato d' Urbino, egli formasse quel contratto di società col celebre plastico di Gubbio Giorgio Jndreoli (2) di cui in quella citta tutt' ora viva la memoria si serba: in conseguenza di che è pur fama, che le piìi rare dipinture che da detto Andreoli si eseguivano tie' celebri piatti ed altri vasi, a quella stagione sì in onore (3), dallo stesso Raffaellino disegnate fos- (i) Passer. Slor. della piti, in maiol. discors. 6, pag. 3q3, cit. ediz. (2) Quest'artefice vivea a' tempi di Raffaello d'Urbino. Di- pinse varie stoviglie pel duca d'Urbino eziandio co' disegni del detto divino maestro, con rarissime vernici di color d' oro e di rubino, e lavorò eziandio de' belli bassi rilievi in creta. Di esso parlano il sopradetto Passeri nel citato suo trattalo delle maio- liche , ed il Ranghiasci nell' Elenco storico de' professori eugu- bini infine del toni. IV delle vite del frasari cii. ediz. (3) A tal proposito non voglio omettere di rammentare, che eziandio in questa nostra patria eranvi bellissime manifattu- 308 Belle Arti sero (1). Avrà esso poi al tempo stesso sicuramente altri lavori eseguito, di cui non rimane piii alcuna memoria: e forse quella stessa Leila tavola che trova- vasi, e tutt' ora per sorte si troverà, in casa Mosca di Pesaro, prima però spettante a quella de' signori Passionei di Fossombrone, nella quale vedesi colori- ta la B. tergine e s. Giuseppe^ clie inginocchiati ado- rano r infante Gesù (2). Quanti anni poi RaffaelUno a quest' epoca in Pesaro e nel ducato d' Urbino si trattenesse, igno- rasi. Si sa però che già fatto vecchio erasi nell'anno 1562 alla patria sua di s. Sepolcro restituito, dacché vi tenne al sacro fonte un figlio di Girolamo Alber- ti (3), e che giunto il 12 gennaio dell' anno 1566 finalmente vi spirasse l'ultimo fiato, avendogli fatto la cassa^ con cui fu seppellito, Lodovico fratello del nominato Girolamo, che, qual bravo intagliatore in re di vasellami -cAe avevano colori preparati in una maniera particolare che si chiamavano alla castellana.-Così il Piccolpasso presso il Passeri nella citat. stor. delle piti, in maiol. pag- 3i8 cit. ediz. (i) Questa notizia io debbo all' erudito sig. conte Domenico Fabiani bibliotecario della pubblica libreria di Gubbio^ cui qui rendo le dovute grazie. (2) Di ciò cortesemente mi avverte il prelodato sig. marche- se Antaldo Antaldi. (3) Ciò si dimostra da un ricordo cbe trovasi in alcuni g'/or- nali di memorie esistenti in casa de' signoria/ieri/ di s. Sepolcro, de' quali più precisa menzione si farà nella nota seguente : tutti scritti di raaao di Alberto Alberti: in cui si legge, che al moti- vato anno i5G2 Raffaello del Colle tenesse al sacro fonte un figlio a Girolamo di lui fratello. Ecco le precise parole di detto ricordo, ivi-^^i 6 gennaio iSSt. nacque a Girolamo un figlio, al quale yurono posti i nomi Cesare, e Gaspero, Eusebio , ejìt suo compare RaffaelUno dal Colle pittore- Intorno a Raff. del Colle 309 legno, avrà la medesima voluto ornare di qualche pic- ciol lavoro di sua mano, quale eragli permesso dal- la ristrettezza del tempo, onde in ogni modo la virtù di tant' uomo distinguere (1). Che tal morte poi (i) Che la morte ài Rajfaellino , tutt'ora ignorata da'biogra- fi, realmente avvenisse sotto l'accennato anno i566, chiaramen- te risulta da altro ricordo, che registrato trovasi in alcuni anti- chi e manoscritti giornali sì di estranee e si di domestiche me- morie di casa Alberti di s. Sepolcro, già motivate nella nota an- tecedente, le quali furono ultimamente a caso ritrovate fra tante altre vetuste negligentate carte dal vivente sig. Francesco di detta nobile famiglia che tanti illustri artefici ha dato alle arti sorelle. L'enunciato ricordo, a me gentilmente comunicato, cosi parla, W\ - Rajfaello dal Colle pittore \i gennaio i566 che Vico (cioè Lodovico) li foce la cassa per seppellirlo-! nominati gior- nati trovansi intieramente scritti di mano di Alberto Alberti, e sono assai pregevoli non solo per le belle notizie che vi sono relative alle opere degli Alberti, e loro continue gite da s. Se- polcro a Roma, e viceversa; ma eziandio per rispetto zWa opere e fatti degli altri artefici del detto secolo XVI di cui vissero contemporanei. Il lodato Alberto, oltre la metà del secolo stesso, andava tutt' ora operando, di esso parla il Baglioni , e lo dice ivi- intagliatore di legname assai buono— { Vit. di Giof. Alberti pag. 69. Ediz. napol. iy33). Ma il fatto sta eh' egli fu assai buon disegnatore, ed affatto poi eccellente nel detto suo magi- stero d' intagliatore , di modo che sotto il 17 marzo 1676 fu in Campidoglio eletto console di tal arte , ed il di io del seguente maggio ne assunse l'incarico: così egli notò ne' detti suoi gior- nali. In casa de'predetli signori ^/ier^t ancor si conservano delle bellissime casse tutte istoriate, cotanto al ridetto secolo in mo- da, delle quali assai vantaggiosi prezzi si sono offerti da' cono- scitori delle arti che passati sono per s. Sepolcro . Fu dello Al- berto eziandio architettore ; e di sua invenzione fu il palazzo or detto delle laudi al duomo , e le sontuose logge da belle e grosse colonne rette , che lo sostengono , fino ad ora cre»iu- to disegno del Vasari , ed eziandio di Antonio figlio del va- lente ingegnere ed incisore Remigio Cantagallina. Fu quindi Alberto eziandio architetto militare : e di suo disegno è la for- 310 B E L L E A R ,T I accadesse in s. Sepolcro dubitar non si può, giac- cliè si legge che il menzionato Lodoi>ico, non molto tempo dopo tal picciol funerale lavoro, valeadire nel- l'aprileseguente, sen partisseda Borgo s. Sepolcro per Roma, ove a perfezionarsi nell'arte condusse Ales- sandro suo nipote, e figlio di yfllberto scrittore de' giornali or nominati in queste note (1). Oltre a che le memorie tutte, che trovansi ne' rammentati gior- nali, ravvisansi scritte da detto Alberto colla data di Borgo s. Sepolcro (2), in cui qual patria, si egli e sì i nominati dì lui fratelli Lodovico e Girolamo, avevano la loro ordinaria residenza, eccettuato però quel tempo, nel quale i medesimi in Roma fermi si tezza , che Cosimo I fece nel i556 fabbricare in s. Sepolcro ; il che tutto egli notò negli spesso citati di lui g^/orre^i//. Né qui spe- ro mi sarà vietata dal cortese lettore una non del tutto inutile digressione, per avvertile che il medesimo Alberto fu padre dei due valorosi artefici Cherubino e Giovanni Alberti, cui egli stes- so comunicò fino alla loro gita in Roma i precetti dell' arte : il primo già bravo incisore, e quindi pratico e spiritoso pittore di Clemente FUI; il secondo, che fa epoca nella storia dell'arti per essere stato uno de' primi prospettici , il quale per ordine del nomalo pontefice tutta a buon fresco colorì la gran sala cle- mentina in vaticano, che al dir àeìBaglioni nella di lui vita,, fu 1 opera piìt famosa, che fino a quel tempo di prospettiva veduta si fosse. Di questa stessa Ì»m.\g\ìai Alberti furono altri illustri ar- tefici : Romano cioè , che ad istanaa dell' accademia di s. Luca di Roma scrisse un trattato della nobiltà delia pittura, edito in Roma neir i585. Durante di lui figlio. Michele creato di Da- niello da Volterra, Donato, Girolamo soprannominato, e Cosimo valente scultore: de' quali tutti fanno memoria gli abecedari , ed il Lanzi {Stor. pitt. pag. noo, toni. I). Ond'è che monsig. Gra- iiani stupefatto ebbe a dire di tal famiglia-m qua domo nasci non fitri pic.tores viderentur, itaaparentibus filiis, velati per manus, firs traditur [De script, invit. Minerv. lib. I pag. f{òtom. I). (i) Sopra citati giornali (i, Sopra citali giornali, in cui sempre si \cgge- Adì ... Si andò o andai a Roma o altrove- A di ...si tornò ec. Intorno a Raff. del Collk 311 stavano spesso chiamati (1) ad eseguirvi quegli ec- cellenti lavori d' intaglio in legno, i quali non solo ne' sacri templi (2) erano cotanto in onore , ma eziandio, come motivai , ne' palagi, e nelle abita- zioni de privati, nelle quali tuttora si ravvisano de- gli armadi., porte, casse, ed altri simiglianti mobili riccamente fregiati di belle e corrette storie, ca- pricciose maschere, arabeschi, ed altre speciose in- venzioni. Fu Raff'aellino assai apprezzato da Raffaello d'Urbino, il quale per conseguenza non isdegnò di averlo ad esecutore delle divine sue invenzioni. Eb- belo poi per lo suo valore carissimo eziandio Giulio Romano. Laonde dissi già che fra tutti i suoi crea- ti, oltre a Giovanni di Lione (3), più spesso e più specialmente «a^/ e^j-o si serviva, siccome quello che più degli altri aveva la di lui maniera apparata (4). Quindi è che il di lui stile è in genere raffaellesco , ma con più di specialità a quello si accosta di Giulio, (i) Citat. giornali di casa Alberti. (a) In molte chiese cattedrali^ ed in altre specialmente de' monaci e frati, veggonsi de' cori ornati di sì tatti singolari inta- gli alternati con altri lavori di tarsia e di commesso rappresen- tanti delle storie: fra le quali meritano distinzione le esistenti nel coro di questa nostra chiesa cattedrale, e le due cantorie sotto gli arconi collocate della cupola, ove intagliate veggonsi delle storie, maschere, ed altri ornati, come sopra da tarsie alternati, eh' io giù descrissi nella mia Islruz. stor. pitt. tom. I pag. 23 nota I, e pag. 3 1 . (3) Né il frasari, uè altri ch'io sappia, ci fa sapere la patria di questo artefice discepolo diGiulio: ma nella Slor manoscritta del borgo s. Sepolcro, autografo che presso di me si conserva , trovo nella Parte III. §. V, ch'ei fu nativo di detta città, e qui- vi si addita precisamente per Giovanni del Lione. (4) Vasar. Vit. di Giul. Rom. pag. 208, tom. FU, cit. ediz. 312 Belle Arti come Io si ravvisa dalla fierezza del tocco , e dalla maggior robustezza delle sue tinte. Avendo egli fin- che stette in Roma poco di sua invenzione dipinto , sempre da Raffaello d'Urbino adoperato e da Riu- lio ad eseguire i famosi loro disegni ed invenzioni in vaticano, ed in altri luoghi della detta capitale, così da taluni si opina eh' ei fosse di scarsa fantasia, e quindi privo di fertile invenzione. Ma chi vuole disigannarsi, e ben conoscere quest' uomo su tal og- getto, esca da Roma e da qualunque altro luogo ove così si stimi, e vada a Pesaro a vedere i miseri avan- zi delle dipinture, e nella villa àeW Imperiale, e nel cortile di quel palazzo ducale rammentato di sopra: vada in Urbino e nelle altre città di tale stato da me ugualmente ricordate: si rechi alla di lui patria di s. Sepolcro, e piìi che in qualunque altro luogo ven- ga in questa nostra citta , e le tavole ammiri ve- ramente magnifiche , che di esso vi si conservano, e vegga nella chiesa cattedrale le di già motivate dodici storie del vecchio testamento negli stalli del coro de' canonici-, vegga pure l'enunciate dieci tavo- lette de'miracoli del ssmo Sagramento in nostra casa esistenti: vegga finalmente le eccellenti e moltiplici storie in quegl'innumerabili vasi, di cui ho di sopra parlato, delle quali la maggior parte fu non tanto co' disegni di Raffaello d' Urbino e di Battista Franco condotta e dipinta, ma eziandio con quelli di i?r/^ae//mo (1); vegga, il ripeterò, tutto ciò, e ri- marra tosto persuaso del dovizioso, sobrio , e no- bile suo inventare. (i) Quati-euìer. VUdi Rnff. d'Uri), pag. 193 nella nota, cit. eflii. Intorno a Raff. del Colle 313 Relativamente diWespressione , allievo esso del- la prima scuola del mondo, ben seppela dare a' suoi dipinti; e chi noi credesse, fissi lo sguardo sull'ange- lico viso umile e modesto della f^ergine Annun- ciata nella chiesa di questi PP. serviti ; ed alla di- vota sua posizione. Oh com'essa ben esprime 1' im- provviso suo turbamento all' apparire dell' angelo annunciatore; non meno che la sua rassegnazione, e la grandezza del mistero che quindi le si annun- cia ! Osservi di piìi l'altra descritta tavola dell' As- sunzione di Maria al cielo nella chiesa di questi PP. minori conventuali di s. Francesco • ammiri gli animati e diversi affetti de' ss. apostoli, i varii lo- ro movimenti, ed insieme il gaudio celestiale della tergine ; dia finalmente un'occhiata nella stessa di lui patria di s. Sepolcro alla Risurrezione di N. S. rapporto alla quale lo stesso Lanzi attesta , che - // Signore die risorge è pien o di maestà 4 e con atteggiamento di sdegno mirando i custodi del se- polcro, li empie di terrore ; pittura di grandissimo spirito - (1). Non parlerò poi del suo modo di com- porre e di colorire, perchè a prima vista tutto vi si vede lo stile di Giulio piìi speciale di lui precetto- re : stile di gran forza, e talvolta nelle carni ten- dente un pò al rossignolo (2). Ne qui poi voglio del tutto tralasciare di far parola eziandio delle di lui morali e sociali qualità. Per rispetto alle quali si (i) Star. pitt. tom. I, pag. i6o cit. ediz. (2) Ho già scritto in una nota antecedente che il fu cav- Wicar qua venuto, osservate avendo attentamente le tavole di RaffaelUno, le volea assolutamente per opere di Giulio Romano , tornandole più volte a vedere nel giorno stesso. Instruz. stori pitt. tom. I pag. 5a5. G. A.T. LXX. 21 314 Belle Arti può francamente dire,ch'ei non conobbe orgoglio di sorte alcuna, essendosi più volte abbassato , come dal fin qui ragionato risulta, a lavorare su' dise- gni del Vasari di lui tanto men valoroso artefice; ed a condurre de' cartoni per li soprannominati arazzi di Cosimo I su' disegni del Bronzino. Fu il me- desimo eziandio uom benefico e generoso , ed affat- to scevro da quel nero livore, il quale, al dir dnl Vasari in piìi luoghi , era sì comune agli artefici eziandio del tempo suo, e da esso stesso sperimen- tato (1). Che però trovandosi Raffaellino nella sua patria di Borgo s. Sepolcro quando vi capitò il Ros- so fiorentino, di buona voglia cedettegli una tavola che da quella compagnia de' battuti era stata ad es- so allogata, affinchè di quell'eccellente professore qualche opera in detta sua patria rimanesse (2). In fine ben conoscendo fra le morali virtìi quanto in- teressi il non interrotto impiego del tempo , non tanto a se stesso, quanto al bene della società, fu in- defesso nell'operare; giacche oltre il gran dipingere ch'ei fece, prestò eziandio i suoi lumi, i suoi talen- ti, e la sua assistenza nel perfezionare le manifattu- re delle majoliche e delle terraglie , che di que' tempi fiorirono specialmente in Pesaro ; che però il Passeri punto non esitò a dire — segnatamente per le fabbriche di Pesaro conferì molto a perfezio- narle la dimora , che qui fece lungamente Raffaello dal Colle detto altramente dal Borgo — (3). (i) Vasar. nella sua v'it. toni. I pag. ro cit. ediz. {ji) Vasar. Vit. del Ros5. fwrent. pag. 294, toni. Vili, cit. ediz. (5) Star, della piti, in maiol. pag. 323 cit. ediz. Intorno ▲ Raff. del Colle 315 ARTICOLO III. Degli allievi di Raffaellino. Passando ora a favellare degli allievi eli' egli in patria educò alla dipintura, non v'ha dubbio alcuno che la città dì Borgo s. Sepolcro al secolo XVI un buon numero di distinto merito non ne producesse; cosicché il eh. Lanzi la chiamò un - seminario di pittori — (1). Egli però stima che tutti qìiesti , od almen di essi la maggior parte, dallo stesso Raffael- lino istruita venisse (2) , ed enfaticamente soggiun- ge ch'egli mandò in Roma - una colonia di pittori suoi concittadini - (3). Ma a dimostrare quanto esso s'inganni , per mancanza forse di agio a meglio indagare i fatti , conviene premettere , dodici in tutto, oltre Raffaellino , essere stati i borgheggiani pittori di merito distinto , i quali al secolo XVI vissergli contemporanei, i quali lutti in varj tem- pi a Roma si recarono. Di questi i primi quattro , vale a dire Durante del Nero, Michele Alberti, Leo- nardo e Battista fratelli Gungi, non furono certa- mente allievi di Raffaellino: perchè essendo essi na- ti sul principio del nominato secolo (4) , quindi al- lorché Raffaellino da Roma e poi da Mantova alla patria si restituì, e vi potè aprire scuola, cioè nel 1527, i medesimi erano già pittori fatti. E però ben (i) Lans. Star. piU. tom. I pag. 199. cit- edii. (3) Lanz. ibid. tom. I pag .igQ. (3) Lanz. ibid. tom. I pvg. 458. (4) Ticoz. Dit. de'pitt. Orland. «beced. pitt. a' r«l«t. mrtÌ9. 316 Belle Arti si sa, che a Durante del Nero servi da maestro uni- camente lo studio della natura , ma nella sua sem- plicità , e co'suoi difetti ; laonde nel suo stile pun- to non trapela il raffaellesco (1 ) ; siccome ne fanno fede quelle dipinture che per ordine di Pio IV^ unitamente di^\ Zuccheri^ al Baroccio,e ad altri egli di sua mano eseguì in Vaticano nel palazzetto di Belvedere ; Michele Alberti fu creato di Daniello da Volterra (2) e con esso nella Trinità, de monti colorì la Strage degV innocenti (3). Non s' ignora poi , che Leonardo Cungi si formò in Roma da per se stesso con lo studio de'piìi grandi maestri, e spe- cialmente dell' eccellentissimo Michel Angelo Buo- narroti (4), della cui celebrata cappella sì a perfe- zione il disegno condusse, che fu a rigoroso prez- zo comprato da Pierin del V^aga , che sei tenne ca- ro fino alla morte (5). Finalmente rapporto a Bat- tista , di Leonardo minor fratello, studiò con esso, e col Vasari con cui per molt'anni stette (6). Ripe- to dunque, che ninno di questi quattro artefici fu al- la scuola di Raffaellino. Tutta pertanto la questione si riduce agli al- tri otto rimanenti artefici ^ i quali nacquero circa (i) Lanz. Stor. pitt. toni. 1 pag. 200, cit. edlz. Ticoz. Diz. de' pitt. al suo artic. (1) Tlcos. Diz. de' pitt. al suo artic. (3) Titi Guid. dì Roma, pag. 543, cit. ediz. (4) Stor. manoscritta di ./. Sepolcro presso la mia famiglia, part. Ili §. y, degli uom. illusi . nelle arti. (5) Vasar. yit. di Pier, del Kag. tom. VII pag. 292 cit. ediz. (6) Vasar. Vit. di Crist. Gherar. tom. FUI pag. 141, e nella sua vit. pag. i3 cit, ediz. Intorno a Raff. del Colle 317 la metà del predetto secolo XVI, vale a dire a Gio- 'vanni de'Vecchi , a Raffaello Scamlnossl, a Sante di Tito, a Durante Alberti, a' due fratelli Cherubino e Giovanni della famiglia stessa, a Remigio Canta- gallina e a Cristoforo Gherardi. Ma a risolvere tal disputa conviene così distinguere: o credere si vuole che Raffaellino al l^/jg terminate le dipinture del- la Cancelleria alla patria sua se ne tornasse; e qui- vi poi la sua scuola riaprisse; ed in tal caso suoi allievi, ma unici, esser forse potrebijero Raffaello Scaminossi e Giovarmi de^P^ecchi; giacche degli al- tri non s'ignora , aver la dipintura da ogni altro maestro apparata fuori che da Raffaellino. Che però di Sante di T'ito si sa, che in Firenze studiò sotto il Bronzino ed il Cellini:, e quindi a Roma si perfezionò (1). Durante Alberti tutto in Roma stessa si formò, perchè in essa giunse avendo soltan- to un — qualche principio nell'arte — (2). Di fatto in tante opere ch'ei vi colorì al Gesìi, alla Madon- na de' Monti, alla Chiesa nuova, ed in altre chiese , in verun modo si ravvisa neppur da lungi il gu- sto raffaellesco. Per rapporto a Cherubino e Gio- vanni Alberti in oggi si sa, che i precetti dell'ar- te furono loro dettati da Alberto loro padre fino al momento , ch'egli per perfezionarli li condusse in Roma (3). Relativamente a Remigio Cantagalli- na, fu specialmente ingegnere, ed incisore in rame fi) Lanz. Star. più. toni. 1 pag. 189. Ticoz. Diz. de' piU . al suo artic. (1) Baglion. i>it. di Durant. Alber. pag. Ili cit. ediz. (3) Nelle sopracitate antiche tnemor. da esso Alberto scritte. 318 Belle Arti che de! celebre Callot fu primo maestro (1). Fi- nalmente di Cristoforo Gherardi or più precisa- mente parlerò. La voluta però dal Lanzi colo- nia di borgheggiani pittori tutta nel fatto caso ai due nominati de' Vecchi e Scaminossi si ridur- rebbe. Quando però per opinione assaLi pia probabile stimar si voglia che Raffaellino anzidetto, dopo la spesso nominata opera della Cancelleria, novamen- te tornasse in Pesaro a lavorare : e quivi al dir del sopracitato Passeri lungamente si trattenesse , in tal caso restando dimostrato che la di lui scuo- la in patria cessasse fin dall'anno 1539 o 1540, in cui egli si recò a Gubbio, ne segue, che de'predet- ti dipintori nessuno e poi nessuno potè essere al- lievo del medesimo , perchè o nacquero essi poco prima, od eziandio dopo dell'enunciata di lui par- tenza da detta sua patria. Fra' primi sono Giovan- ni de'Vecchi, il quale precisamente venne al mon- do nell'anno 1536 (2), soli anni tre prima della me- desima. Rapporto a Raffaello Scaminossi , sebbene verun biografo abbiaci lasciato scritto quando ei precisamente nascesse, e quando spirasse ; oontiit- tociò il medesimo essendo stato eziandio intagliato- re in rame , egli è notissimo che all' anno 1609 tuttora operava incidendo le 43 stampe nel libro (i) Ticoz. Diz. de^pitt. al suo artic. Di questo professore erano nell' estinta casa Schianteschi di Borgo s. Sepolcro de' bellissimi paesi assai francamente tirati di penna, ch'era uno stu- pore a vederli. Non so al presente ove i medesimi si lùtrovino. Egli al modo stesso in penna ne disegnò molti dalle invenzioni di Giulio Parigi. Ticoz. Diz. de' piti, al suo art. (a) Baglion^ Fit, di Giov. de pecchi pag. 22 cit. ediz. Intorno a. Raff. del Colle 319 intitolato — Il simulacro dell'arte, e delV uso della scherma -- (1). Or fingendo per un momento eh* egli a tal anno appunto sen passasse agli eterni riposi, e di piìi accordando al medesimo la non or- dinaria età di anni 80, ne verrebbe quindi che na- to fosse nel 1529. Essendo pertanto Raffaellino partito dalla patria nel sopraccennato anno 1539, o 1540, non si rende perciò in alcun modo possibi- le , che detto Scaminossi in soli anni dieci , cioè parte in quelli àeW infanzia., e parte in quelli del- la prima fanciullezza, potesse sotto il di lui ma- gistero pittore addivenire ; e molto meno da esso apparare lo stile raffaellesco , come da tulun bio- grafo si suppone (2). Durante Alberti venne a re- spirare r aure vitali nell' anno 1538, e Sante di Tito , oltre che fu allievo indubitato del Bron- zino e del Cellini , in ogni caso nato sarebbe nell'anno stesso 1538 (3) ; e cosi ambedue questi professori nati sarebbero un anno prima della sud- detta partenza di Raffaellino dalla patria. Fra que' dipintori poi che vennero alla luce del mondo mol- to e molto dopo la medesima, e però incapaci ad essere di lui allievi , contar si debbono Cherubi- no e Giovanni Alberti: de' quali il primo nacque nel 1552, ed il secondo nel 1558 (4). Laonde già (i) Gori Gandellin. Notiz. stor. degli intagliai, art. Scanti- nassi. (a) Ticoz. Diz. de'pitt. arde. Scaminossi. (3) Baglion. yit. di Durante Alberti pag. Wì cit. ediz. Or- lon. Ticoz- ne' loro Abecedari, e Diz. artic Sante di Tito. (4) Baglion. i>it. di Cherub. Alberi, pag. ia6,e di Giovan. Albert, pag. 67 cit. ediz. Lanzi Stor. pitt. tom, I pf^g- 201 cit. ediz. 320 Beli, eArti dissi avere i medesimi i primi pittorici insegna- menti appresi da Alberto loro padre. Rapporto finalmente al Cantagallina egli è ben manifesto, che passò ai piìi nell'anno 1624 (1); e ciò solo basta per tosto comprendere ch'egli discepolo giam- mai non potè essere di Raffaellino^ partito già dalla patria sua, qui ripeto, fino dall'anno 1539 o 1540. Dopo tuttociò evidentemente apparisce che l'immaginata colonia di pittori suoi concittadini, che il Lanzi asserisce aver Raffaellino mandato in Ro- ma, in verun caso sussiste ; e che Yunico ed in- dubitato di lui allievo in patria, di sopra motiva- to, si fu Cristoforo Gherardi detto il Doceno. Na- to questi nell'anno 1500 (2), ed al ripatriamento di Raffaellino nello spesso nominato anno 4527 ri- trovandosi il medesimo tuttora in s. Sepolcro^ fu, come attesta il frasari, da esso preso nella sua bot- tega, com'allora diceasi, ossia studio; e quindi ben potè per tutto il tempo che detto suo maestro vi si trattenne approfittare de' suoi pittorici inse- gnamenti ed esempi. Bensì cjui per un di più avverto, che detto frasari sembra prendere equivo- co , quando ci narra che il Gherardi avesse soli anni sedici allorché fu accolto nella scuola di Raf- faellino (3); giacché se certo rimane, com'egli stes- so accenna, che questi in patria non tornasse che terminate le pitture di Mantova, cioè nello spes- so notato anno 1527, egualmente dimostrato resta che r età del Gherardi anzidetto camminando al (i) Ticoz. Diz. de' piti. Orland. abeced. pili, al suo artic. (2) Orland. Abeced. Ticoz. Diz. de' piti, al suo artic. (3) Vasar. FU. di Cristof. Gherard. toni FUI pa§. i55. Intorno a Raff. del Colle 321 pari del secolo, minore non fosse di anni ventiset- te'^ e che cosi essere realmente dovesse si può in qualche modo eziandio congetturare dal sapersi, che a quest'ora egli era già un professore assai valen- te in dipingere quadrupedi^ uccelli^ e grottesche d'ogni sorte (1). Le cose ch'egli in tal genere la- vorò in questa nostra citta, nel palazzo de'signori marchesi f^itelli^ sono affatto vaghe e stupende. Fu- rono queste a pili adattata occasione già da me con particolarità descritte (2). Ed ammirabili egual- mente riuscirono le altre, ch'egli unitamente a del- le bellissime storie operò nella villa di s. Giusti- na nel palazzo spettante a' signori marchesi Bufa- lini (3) , ove esso più mesi ritirato si stette per avere , ma per mera semplicità ed inavvertenza, tralasciato di rivelare una congiura che in sua pa- tria andavasi da' ribelli tramando contro Cosimo I. Finalmente , per nulla omettere che abbia stretta relazione con Raffaellino , dirò che il me- desimo, in quegli anni che dimorò nel ducato d'Ur- bino, altr'eccellente allievo formò nella persona di Benedetto Nucci da Gubbio. Apprese questi spe- ditamente lo stile raffaellesco, il quale specialmen- te riluce nell'opera sua migliore del s. Tommaso che cerca la piaga del Sali^atore , esistente nella detta città di Gubbio; ma eziandio in tutte le al- tre che di esso veggionsi nelle circonvicine città di quel ducato. Egli passò agli eterni riposi nell'an- (i) Vasar. ìbid.pag i36. (a) Istruz. stor. piti. tom. I pag. 53 e seq. e pag. \6!\- (3) Memor. di alcuni tifernat. artefici del disegno tom. II pag. i5g. 322 Bkllk Arti no 1575 (1). Tuttociò emmi riuscito sapere e con- getturare intorno a JRaffaellino del Colle , il cui non abbastanza conosciuto valore, se per mezzo di questo mio tenue lavoro si renderà pure un pò più generalmente palese, avrò pienamente ottenuto quel- l'unico scopo, a cui tutti gì' ingenui stimatori del di lui distinto merito virtuosamente aspiravano. (i) Lanz. Star. pitt. tom. l pag. 460 cit. ediz. Reposat. nel- la Zecca di Gubbio. Append. al toni. II pag. 465 Ticoz. Diz. de' pitt. al suo artic. Ranghiasci, Elenco de' pitt. eugub. injin. del tom. ly del Vasar. vit. de' pitt. ec. pag. 548 cit. ediz. Al reverendissimo ed illustrissimo signor dottore D. Antonio Massari professore emerito di ma- tematica , e vicario foraneo di S. E. R, il ve- scovo e principe di Reggio. Amatissimo signore I Ja memoria del mio venerabile e caro maestro si è fatta un compagno, anzi un conforto della mia vita. Ed ella, che da gran tempo conosce l'animo mio, ben sa di quale e quanto amore io stimi de- gna la memoria sua ; e che la mia gratitudine non si è rallentata ne per la lontananza ne pel lungo silenzio; che pur tanti danni sogliono imprimere sugli affetti de' volgari. Io sempre rammenterò quel- la cara pietà onde la S. V. provvedeva dì recare a qualche onore questa mia giovanezza inferma ; e Lettera del Guzzoni 323 come ella d' indole umana , e nudrita nella beata sapienza antica pasceva la mente mia, quando di buone lettere , quando di quelle eterne verità, in- nanzi cui si arrestano e le ire dei tristi, e le consue- te vendette delia fortuna. Se non che, stretto da al- tri studi e da altre cure, ormai mi veggo ritarda- to e forse distolto per sempre da quel nobilissimo fine a cui ella mi invitava: che già questo spiri- to delle lettere poco o nulla può incarnarsi nell'ani- mo mio; e appresso io vedo l'italiana sapienza a tale abbandonamento e perdizione condotta, che la so- la speranza del ristorarla sarebbe in un par mio temerità non che follia incomportevole. E di vero a chi ha fame di buon frumento io non potrei of- ferire altro che fioretti e piccole piante : carità ve- ramente risibile. Onde è bene che io mi resti total- mente inoperoso, come non operosi stanno i nobilis- simi ingegni italiani : i quali io vedo santamente di- sdegnosi e delle forestiere dottrine, e della superba viltà del secolo. Alla presente lettera unisco un tenuìssimo la- voro che io vorrei dedicare alla S. V. confidandomi che ella si degni di accoglierlo colla sua usata cor- tesia. Di che vedrassi che se il desiderio della fama mi consuma indarno, restami tuttavia per conforto il buon volere; dal quale pure non ritrarrò frutto che non debba essere consacrato al mio ottimo benefattore e maestro. — Quapropter ab haec^ vir doctissime, Ubi et summae obsen^antiae et gratis- simi animi off cium nitro debere fateor^ et praesti- turum polliceor., nec non memoriam tui benefìcii benevoleìitia sempiterna culturwn esse promitto. Recipe interim pignus hoc qìuile illud sit cumque, et crede numquam mihi erga te gratam animi 324 Belle Arti benevolentiam defuturam (1). Così al maestro suo quel nostro Giovanni Pico, il quale forse sarebbe stata la potentissima delle menti italiane , ove non gli avessero fatto ingiuria le miserabili scuole de' tempi ; ed io ho voluto aiutarmi a queste soa- vi parole, giacche in verità non trovo modi che si- gnifichino meglio quel che io sento nel fondo del- l'anima quando penso alla S. V. - La prego di te- nermi vivo nella sua grazia, e con ogni affetto e ri- verenza le bacio le mani. Di Roma li 10 di marzo 1837. Il suo umo ed affmo Carlo Guzzoni. I. Il sig. cavalier Pietro Camporese, uno dei valenti architetti romani, ha pur finalmente pub- blicata l'invenzione di quel temporaneo mausoleo, col quale s' intendea dì riverire e di riconoscere la memoria di Raffaello d'Urbino. Al giudicio degli intelligenti è cotal macchina cosa invero stupenda : perchè e quanto alla maestà di molto si conforma all'antico, e quanto agli scompartimenti ne son be- ne ordinate e graduate le membra ; ond'hai quella SI cara armonia per cui il sontuoso si accorda a maraviglia col vago. Per questo abbiam voluto met- tere alla veduta del pubblico i pregi di tale inven- zione: non tanto perchè sia emendata in parte una colpa della fortuna , la cjuale da quella valente dea che ella è , e come sovente fa d'ogni magnani- fi) Ms: — Ioanni canonico Tamasiae praeceptori vigilantissi- mo eucharislica oratio a loanne Pico dicala. Lettera del Guzxoni 325 : mo pensiero, cosi pur questo del Camporese avria gittato a disperdere nell'obblìo ; quanto perchè i giovani siano confermati all'idea del Lello e del ve- ro colla mercè de'Luoni esempi. I quali pure così nella poesia come nella architettura si fanno me- glio efficaci delle stesse regole. II. Or quanto alla figurazion della macchina, di- co primieramente che la pianta ne gira in tondo, e con assai lodevole pensiero. Perchè dovendo il ca- tafalco posare nella gran cella del Pantheon, ogni mole m quadro, e qualunque altra rettangola, ol- tre P essere non molto acconcia alla ragion de' catafalchi , t' avrebbe ingenerato con sue linee mastre un disaccordo assai grave coll'interiore del- la cella medesima ; e invero gli spazi ne sareb- bero stati divisi in forma troppo irregolare dal convenevole. Pare a noi che l'artista avesse la men- te a un mirabile pensiero di Donato Bramante; il quale concepiva di collocare il famoso tempietto di montorio quasi centro a un gran porticato di forma rotonda, che nelle sue proporzioni , come altresì negli ordini e nei finimenti dell'arte si compones- se ai modi esteriori di quel tempietto. Esempio ai giovani di quella veneranda unita, per cui la Grecia, e poscia Roma diedero esempio a tutto il mondo ci- vile ; e per cui dopo tanti secoli ci dura in fiore tuttavia tanta sapienza ; e al quale nondimeno ve- demmo contraffarsi dal comune de' passati architteto- ri, 1 quali altrettanto poveri di senno quanto intem- peranti nella presunzione, ti congegnavano insieme un bastardume di gotico , e di egizio, e di arabo col greco ; ogni cosa viluppi e tritumi con quan- te fantasie bollir possano in capo ad un farnetico. Nondimeno si piantano i tribunali ; e il volgo rie- 326 BklleArti co e il volgo mendico si ammirano delle ridevoli giullerie. Le quali però da' nepoti nostri ( se non vergogneranno di parer barbari ) saranno tenute in quel dispregio istesso in che ora le hanno de- gnamente i pochi savi del secolo. III. Il piede pertanto, onde levasi la macchina di cui ragiono, è un cotale massiccio che gli archit- tettonici chiamerebbero - Stereobate - messo a cor- nici e a liste quanto semplici, altrettanto natura- li e leggiadre. Ed è il suo ciglione arredato ricca- mente di fiaccole , e di statue rappresentanti le prefiche ; ogni cosa collocato nella competente pro- porzione sì delle altezze e si degli spazi ; ciò che punto non pregiudica all'onesto riserbo degli or- namenti che in tal genere di edifici è principal- mente domandato. Danno la salita ad esso quattro padiglioni, ed altrettante scale, che col dovuto or- dine s'inframmettono nel gran giro dell'impalcatu- ra ; e ciò si destina pei sacerdoti che si faranno intorno al tumulo a pregarvi la comun pace dei defonti. Indi sale una magnifica saldezza, la quale per ciascun punto delle sue diagonali ( che rispon- derebbero ai quattro punti del cielo ) sporge ali* infuori due colonne appajate d' ordine greco-pe- stano, che è stile di maniera gravissima ; e che ti gitta nell'animo come una sacra riverenza di reli- gione. Di che poi tale saldezza viene ad essere co- me divisa in quattro lati, o facce che in se com- prendono altrettanti riquadri, quale per ricevere la scritta e il titolo del sepolcro , quale per in- cassarvi stucchi a bassorilievo istoriati delle varie fortune, sulle quali giravasi il corso della vita di Raffaello. Un architrave a bucrani con sua cornice ad antefisse le si rivolge sopra, e tondeggia : ma Lettera dei Guxzohi 327 non a filo ; perocché vi sporge convenevolmente, e fa gomiti sovra quei punti in che le colonne fanno ala per legarsi col maschio del sodo. Ed ecco ma- niera onde l'artista, senza travagliarsi in un vano puntar d'immaginazione e di artificii, ebbe formati quattro spazietti per quegli acroteri ove posano le quattro muse, o vogliamle dir dee delle arti libe- rali : che per verità è pensiero tutto gentile. All'in- dentro poi della cornice , o piìi veramente a piom- bo della sottoposta saldezza, elevasi un semplice tamburo che porta in alto tre scaglioni, l'uno in convenevole rastremazione coU'altro; ne questi de- stinati sono al salire ; ciò che l'artista ebbe indicato col mettere in pios>ere i dorsi loro. Ma vi stanno per una maniera ( come dire ) di scamilli, o di contraf- forti condottivi a sostenere il restante dell'edificio. Altro architetto, giunto forse a cotal punto della sua^ invenzione , col giuocar di fantasia e di errori ti avrebbe piantato proprio quassù medesimo o un attico, o uno stereobate, non considerando punto il valentuomo che gli attici non debbono sostenere che vasi, o consimili ornati; che lo stereobate è princi- pale fondamento di qualunque edificio , e che lo slanciarlo così in alto sarebbe ( come dire ) un puntellarlo sovra le nuvole. Mail Camporese, dal lume della ragione scorto all'intendimento del bel- lo e del vero , col gittare quegli scaglioni vide modo di far base all'arca ( di cui sarà detto fra po- co ) per forma che la sua invenzione si tenesse pur- gata non meno del primo che dell'altro errore. Nel giro di questi scaglioni si inframettono otto dadi a sostenere altrettanti tripodi ; e questi, se non di se- vero , almeno paiono di hen pulito lavoro. 328 BélleArti IV. Ed eccone giunti alla gran cassa, ove si fìn- gevano riposte le ossa dì colui che partecipando la natura umana fu lo stupore e la delizia di tutto il mondo civile ; le ossa ( dico ) di quell'italiano che novellamente fondava in questa patria il fato di tutte le arti greche e latine. Pel quale noi ora, in pei'petuo e sempre avremo sulle genti un impe- rio, che ne dare ne togliere ci potrebbero i violenti del mondo , e quella fortuna che cogli stolti ludibri suoi or alto, or basso mena le invilite anime de'mor- tali. Deh ! come , e quando, o mirabilissimo Raf- faello, preparavi a noi sì inviolabile, e tanta ma- niera di gloria ? Quando la virtù de' tuoi era tut- ta volta in profondo , talché da' mari e dai mon- ti, e del trionfo sicure, qua dentro si travasavano le avarizie e le scelìeraggini forestiere. Ora bea- ta la tua mercè : che se non temuto ne riverito, corre almeno per le genti invidiato il nostro no- me ! Ma torniamo al sarcofago. Il quale , co- me poc' anzi dicevamo , è portato alto da quegli scaglioni , ed ha figura ottagonale. Quattro delle cui faccio son messe a bassorilievi con en trovi stemmi , ed altre imprese artistiche francamente intrecciate. Nelle altre poi si comprendono altret- tante composizioni di storia, le quali rappresenta- no cjualcuna delle geste di Raffaello. Nobile e non senza un segreto di morale dottrina direm noi que- sto concetto del Camporese: che ad ornare di ul- timi doni la tomba dell'Urbinate non pensasse mo- do altro migliore, che fregiarlo di que' fatti me- desimi onde la sua fama risuona. Ciò che mi ri- duce al pensiero di aver gik visto in alcune citta d'Italia i monumenti di tali uomini, il cui nome durerà lontano quanto l'amore della sapienza. Nel- Lettera det. Guzzoni 329 la fronte de'qiiali monumenti gli scultori intaglia- vano a grandi lettere -- // nume di costai avanza- re ogni altra maniera di lode — . Glie tanto si vie- ne a comprendere nel magistero di quelle poche parole, che noi cos'i alla buona abbiamo svolto in favelha visibile. Ed oh! quale e quanta minor su- perbia , e minor copia di figurate menzogne tra- vaglierebbe gli animi dei cittadini, ove nelle tom- be si avessero sempre a scolpire le opere vere di colui che vi ha dentro a riposare le ceneri! Sarò io querelato come turbatore della pace, e della re- ligione de'morti ? Questo non sia. Ma abituatosi co- me in presente il mal fare, è debito civile ad o- gnuno ii dire che tante adulazioni e ipocrisie do- vrebbero gittarsi lontano dai sepolcri: e in perpe- tuo. Che per tal forma non avremmo noi sovente lo spettacolo scellerato di colpe fortunate ancor dopo morte ; cioè quando finite le parti di questa commedia mondana , avrebbero del paro ad esser finite le bugie e le altre insolenze , nelle quali i tristi malamente si involsero. Se non che vi sono si grosse scelleragglni e tali , che il mantello del- l'adulazione non arriva a coprirle. E sia pure che i poeti attendendo a palpare le arroganze presenti prendano a .salnif^ggiare co'vorsi i vizi dei trapassa- ti ; pongliiam pure che gli artisti mettano al mer- cato se stessi per vendere a contanti e 1' ingegno, e la benedetta dignità dell'arte loro ; sorgono alfine i severi estimatori delle cose umane ad impedire che il vizio si usurpi il nome e il luogo santo della virtù. V. Frattanto a compiere la descrizione dell'ope- ra mi gioverò delle parole di un chiaro architet- to, il quale non ha molto provvide alla fama del G. A. T. LXX.. 22 330 Belle Arti Camporese : svolgendone partitamente e alla diste- sa le ragioni di cotal mausoleo. Cosi il sig. cava- liere non avrà in tutto a dolersi che i pregi suoi restino da me adombrati per manco di dottrina e di ingegno. „ Ha questo dappiè un adornamento di due ,, zoccoli e modanature consimili a quelle che si ,, veggiono e si lodano cotanto e meritamente, per ,, eleganza, nel gran piedestilo della colonna Tra- ,V iana. Quindi in cima a' suoi lati nascono timpani „ o fastigi : tal che son questi in pari jiumero di „ quelli, unendosi fra loro , nell'imo declive, per „ via di antefisse con entrovi rappresentanze di ma- ,, schere. Le quali, come ognun può conoscere, stan- ;, no in questa sorta di opere Lene a proposito , ,, poiché alludono al breve corso della vita dell'uo- „ mo, ed a' vari mutamenti di lui nella scena del „ mondo , dove cotest' essere ragionevole viene , „ vede, opera, e parte spessissimo carico di delit- ,, ti , rarissime volte di virtìi e di gloria non peri- „ tura. Ma quell'echino, ossia ovolo, che è subito „ sotto a que'fastigi, con accompagnamento di un ,, tondino, e di un filetto, è egli alquanto grandi- „ cello ? Sta egli in tutta ragione delle predette „ modanature da basso del sarcofago ? La sua cor- „ pulenza aggrava ella gli ornamenti posti su per ,, essi fastigi, e su per le facce dell'ottagono ? Que- „ sti dubbi, ingeneratimisi nella mente consideran- ,, do quell'echino nelle relazioni teste discorse, io ,, non vò per altro risolvere cosi per appuntino, ne ,, tampoco fuggevolmente per non dare in qualsia- „ si modo di sottigliezze e grammaticherie stucche- „ voli di pedanti. Il perchè ne basti eh' io gli ab- „ bia gettati, onde ( quantunque parino forse a un Lettera del Guzzom 331 „ nonnulla) chiunque è discreto giudichi del quan- ,, to pur valgono, e reggono ,; Dico pertanto come sul comignolo di que'fa- „ stigi o frontoni s'informano acrotori con lampa- „ de sepolcrali , lodevolmente richiamanti quelle „ attorno attorno il ciglio dello stereobate della fu- „ nerea mole. Appresso e dietro le medesime, cioè „ a colmo del gran sarcofago , posano due sodi o „ corpi orbiculati; il primo dal secondo diviso per „ un falso pianetto. Ma questo secondo corpo però „ non è liscio, ma è ornato in giro di patere e festo- „ ni; i quali, secondo l'uso, son fermati con fettuc- ,, ce o nastri svolazzanti , a borchie o scudetti. „ Uno sguscio rovesciato e intagliato di foglie, avvi „ dappoi a finimento del medesimo, e a posamen- ,, to di un piedistilo in tondo, messo in mezzo dal ., genio della pittura e della architettura, amen- „ due colle faci capivolate a spegnersi : nel tanto „ che su di esso innalzasi grandeggiante la statua „ di colui che ancora colle sue dipinture, ad ogni ,, eleganza e verità composte, è vivo, e ancor for- ,, te parla , e per elle quasi da sovrumano armoni- ,. co concento ci sentiamo toccare sulle più deli- j, cate corde de'nostri affetti, scuotere con entusias- „ mo, e rapire fa dove a lui è piaciuto . . . Dico la „ statua del grande da Urbino „ Principal pregio di questa macchina o pegma „ funebre sta non v'ha dubbio nel suo insieme, uno, „ vario e accomodato con saggio avvedimento al sito, „ disposto e capace di ricevere nella qualità e quan- „ tita di ordinazione che essa macchina mostra, co- „ sì negli spartimenti del tutto, come ne'suoi or- „ namenti. Osservo che il suo levarsi da terra su ,. queir ordine di imbasamenti, di padiglioni, e di 332 Belle Arti ,, scale , contribuisce in modo mirabile a darle „ grandezza, maestà, imponenza. Trovo che il suo ,, componimento, benché risultante di pili moni- „ menti gli uni sugli altri, non è però spezzato, ma ,, che anzi è unito con passaggi ragionati e armo- „ nici ; di maniera che la medesima rassembra , ,, cfuaì è realmente,un tutto ordinato di convenien- ,, ti proporzioni, e fatto con leggiadria e bella ma^ „ uiera di profili e movimenti. Non profusione „ di ornati insignificanti , non smerlettature ridi- „ colose infruscanti gli occhi abbelliscono la mo- „ le, ma il liscio succede alla decorazione , e que- „ sta a quello misuratamente. Il piramidare ed il ,, suo elevarsi, dirò così, a piìi zone, la sua forma, ,, la sua magnificenza di colonne e di statue, tiene „ di molto de'mausolei di Augusto e di Adriano, ,, Per le quali tutte cose l'effetto di esse non po- „ trebbe essere se non sorprendente, quanto il di- „ segno ne è elegante. E piii sorprendente addiver- ,, rebbe certo di notte tempo al lume delle fiacco- ,, le, simmetricamente e con grazia su per la me- ,, desima disposte, incominciando dalle niezze lu- ,, nette, delio imbasamento fino a cima della gran- ,, d'arca mortuaria. Il catafalco eretto nella bitsili- „ ca di s. Lorenzo dall' accademia fiorentina del di- ,, segno ne'funerali di Michelangelo fu certo una ,, gran cosa, se si presta intera fede al Vasari, e mas- „ sime per le sculture del Bellini, e dcll'Ammanna- „ to, e per le dipinture del Bronzino, di esso messex' ,, Giorgio, ed altri assai. Ma questo merito non ar- ,, chitteltonico potrcbbesi di leggieri raggiungere ,, anche oggi, che abbiamo i Tenerani, i Finelli, i ,, Camuccini, i Minardi, i Coghetti, i Podesti. Vi- „ di quello per Canova, del Valadier, ne mi stupii. Lettera del Guzzoni 333 4, Quello di Carlo III Ideato dal Milizia era un tem- ,, pio quadrilatero con colonne doriche greche, e „ senza cella, sull'andare de'rotondi, che per Vi- „ truvio si appellano monopteri, e non un cata- „ falco. Il perchè di tale sua scienipiaggine e' fu ^, meritamente sferzato dal cav. Onofrio Boni . „ Quelli di Mauro Tesi, amico intrinseco a un al- „ tre filosofante nelle arti , voglio dire al conte „ Algarotti, sono baroccherie, tabernacoli , altari- „ ni. E tabernacoli e altarini saranno sempre qtie' ,» catafalchi, che non terranno il modo de' niauso- „ lei, cioè quando saranno aperti e non figurati ,, in massiccio ,,. VI. Così il Gaspcronl da quell'uomo di lette- re, e profondo conoscitore che egli è di questa pri- mogenita delle arti umane. Il quale ancora ci die- de lume a conoscere le altre qualità dell'edificio : in qua e in fa tramischiando alla sua narrazione i veri ed eterni principii dell'arte secondochè gli parve richiedere rintelligenza del vero. Quindi no^ tava, osservatore discreto ma sottile, alcuni difetti (minuzie poco men che invisibili ) però dovuti te- nere in gran conto da luij e da quanti si onora- no di purgato intelletto. Onde maggiormente si acquisterà fede ad ognuno che il Gasperoni giudi- cando si tenne dentro al purissimo vero^ e che le laudi, onde egli si fii cortese all'amico, non sono infette da amore di parti , né da spirito vile di adulazione. Se non che avremmo udito volentieri il Gasperoni parlante di quelle tali lunette che stan- no incise nel vivo dello stereobate. Non sarebbero elle inopportune ? anzi disformi alla vera ragio- ne degli imbasamenti ? poniamo che quei lumici- ni, onde sono rischiarate ncll'indcntro loro, valgano 334 Belle Arti alcun poco ad impedire che gli sbattimenti delle lampadi superiori pregiudichino quel grande ap- parato che proprio si leva a fior dì terra. Ma che per questo ? Dovevara noi trarre profitto da que- gli sconci, pei quali si contraddice alle regole pri- mitive dell'arte P Lasciamo che di tali orbi consi- gli si giovi la scuola de' romantici ; il maturo e ben nutrito senno del Camporese non avea neces- sita d'ingrandire a cosi povero aiuto. Forse e da credere che que' tali semicerchi, ove fossero stati condotti a semplice graffito, avrebbero dato mostra migliore. Perocché secondo la ragione del murare ( come nel Pantheon si vede) e non avremmo offeso il massiccio dello stereobate , e saremmo eguahnen- te restati immuni da quell' importuno scorciare de' chiari colle ombre, di che il Camporese troppo ti- mido si parve di soverchio travagliare. Ad ogni modo meglio dai pregi messi in ap- parenza da noi, che per queste umili parole, l'o- pera del Camporese sarà tenuta degna di fama sincera e durevole; e cosi sarà bellissimo confor- to all'architetto l'aver trovata lode nella voce di quel secolo, che si ammira di tanto celebrate in- venzioni. C. GUZZONI DEGLI AnCARANI 335 VARIETÀ' Ilsig. prof. Zantedesclii ha indirizzato all'ateneo di Brescia una nota Sulla polarizzazione de' conduttori diretti a determinati punti del globo. Assicura egli che dalle sue recenti sperieuze è stato condotto a stabilire le seguenti leggi ! 1. J^isposto un conduttore di prima classe isolato nella dire- zione da est ad ovest , esso ha l'estremità , che guarda occidente ( a cielo sereno), elettrizzata positivamente dal levar del sole fin presso al mezzodì, e per converso ha positiva dopo mezzodì la parte che guarda oriente. La corrente elettrica, dice 1' A. , pa- re quasi che muoja , durante la notte, per risvegliarsi , per cosi dire, colla natura vivente al sopravvenire del sole. La tensione presenta de' gradi d'incremento e di diminuzione; ma io, scrive l'A. , non ho potuto ancora determinare il tempo della massima e della minima. •1. Collocato un simile conduttore isolato nella direzione da nord a sud, ha costantemente positiva l'estremità diretta al sud. L'A. venne a questi risultamenti , mettendo in comunicazio- ne co' capì del filo del moltiplicatore l'estremità de' conduttori. La nota del sig. Zantedeschi porta la data de' io gonna jo iSSy. Il 3o gennajo furono comunicate all'accademia delle scienze di Parigi le seguenti esperienze dal sig. Peltier ( Conipte Rendu iSSy, n. 5 p. 172). Collocate orizzontalmente nel meridiano ma- gnetico una piastra di rame lunga 5 diecimetri e larga Gcenli- raetri, e attaccato alla sua estremità nord uno de' fili del galva- ttometro , si stropicciava quella con altre piastre di rama , di tt 336 Varietà' centimetri quadrati, che aveva un manico di legno o di resina , e alla quale era attaccato l'altro filo del galvanometro. Dodici strisciate da nord a sud Aicevano deviare 1' ago di circa 3o : la deviazione indicava l'elettricità negativa. Strisciando da sud a nord, la deviazione era in verso contrario. Se la piastra grande era nell' equatore magnetico , l'effetto era nullo. Posta quella nel meridiano magnetico, ma verticale, stropicciando la faccia occidentale, le deviazioni erano notabilmente maggiori che stro- picciando l'orientale. Allorché è orizzontale, le deviazioni sono maggiori, se strisciasi nella faccia superiore: minori se sull' in- feriore. Gli effetti che offre la piastra orizzontale, sottoposta solo alla forza magnetica del globo, si riproducono esattamente, ma con diversa energia , se essa piastra è posta sopra una barra calamitata, con tramezzo una sottil tavoletta. Le esperienze riu- scivano pare , allorché il sig. Pellier sostituiva al rame il pioni- bo , Io zinco, o lo stagno. G. B. P. Elogio del conte Leopoldo Cicognara detto iielV accademia del- la crusca dal segretario ab. Fruttuoso Becchi la mattina dei 9 settembre iSS/j. 8 Firenze , tipografia della speranza iSSj. " Xiaccomandiamo questo elogio a tutti coloro che bramano sa- pere della vita e delle opere di un uomo chiarissimo , che all' età nostra è stato bella luce d'Italia: perciocché il sig. ab. Beq- chi le ha qui non meno elegantemente che diligentemente dis- corse. S. B. Varietà' 337 Dell' anello nuiìale , epistola del marchese Amico cai>. Ricci per le nozze della sor'elta Alba col N. U. signor Giuseppe Lazzari- ni. 12. Macerata tip. di Giuseppe Cortesi. [Sono pag. 45.) o, 'Il la cosa gentile che è questa lettera ? NèJ gentile solo, ma tutta piena di bella e di varia erudizione. DI che vogliamo since- ramente congratularci col eh. marchese Ricci , proponendo il suo esempio a tanti poetastri che ancora vanno gracchiando in- torno a'talami degli sposi il canto dei corvi e dei gufi. O Giove, liberaci una volta da questa peste di poesie per nozze! S. B. Discorso sull' agricoltura di Sicilia , detto da A. Coppi neW accademia tiberina il di io aprile i83j. 12 Roma tipografia Salv lucci 1857. [Sono pag. 22.) JJN on men pratico delle cose economiche che delle istoriche il sig. ab Antonio Coppi, chiarissimo continuatore degli annali d' Italia del Muratori, ci ha dato questo discorso veramente pieno di belle ed importanti notizie suU' agricoltura della Sicilia; isola da lui conosciutissima non come semplice viaggiatore , ma co- me osservatore filosofo. B. Dell' insegnamento della pittura , ragionamento del prof. Miche' le Ridolfi socio di varie illustri accademie. 8 Lucca tipogra- fia Berlini 1837. [Sono pag. 38.) XJne sette a'nostri giorni dividono in gran parte la pittura ita- liana: quella dei puristi, e quella de' barocchi. Sono i primi per lo più gente che assai vantandosi di metafisica, e poco o nul- la operando nell'arte , vuole con sottili discorsi sovvenire alla mancanza della fantasia, ed alla imperizia della mano. Sono gen- te i secondi impaziente di ogni freno, che usando i più ifacciati colori e le più strane movenze, cercano di obbagliar gli occhi, 338 Varietà' piuttosto che di contentare la mente. Direste I primi per maci- lenza esser venuti dall' eremo , o sorti dal sepolcro: direste i secondi aver passata tutta la vita ne' bordelli e nelle taverne. Quelli si accostano al far tedesco, questi al francese e al britan- no. I veri artisti però ( che ancora ne ha l'Italia e molti e famo- si ) dispregiando ugualmente si gli uni e si gli altri, non resta- no di gridare italianamente a' protervi settari! : Bella natura ! Raffaello ! Leonardo ! Correggio ! Sono malattie del pari la tisichezza e l' idropisia l Con questi savi tiene generalmente il sig. professore Ridolfi , benché alcuna volta sembri pendere nel purismo; ma non sì che partecipi la temerità di certo moderno artista, non vergognatosi stampare in Roma , che meglio sareb- be stato se Michelangelo, siccome Giuda, non ci fosse giammai vissuto. Ecco alcune sue opinioni : ,, Lo studiare nei primi maestri dopo il risorgimento dell'arte, ,, io la credo ottima cosa per un principiante, purché non si „ fermi ad essi, ma se ne serva come di scala per arrivare ai mag- ,, giori, cioè ai cinquecentisti, dai quali sarebbe poco agevole e „ troppo pericoloso lo incominciare. ,, Giotto e i successori suoi hanno colto bene spesso il senli- „ mento vero della natura , il semplice facile e dolce di lei , ed ,, il Masaccio ha portato la espressione di quel sentimento ad ,, un grado eminente. I successori poi del Masaccio hanno certo „ aggiunto un maggior perfezionamento nella esecuzione , nel „ chiaroscuro, nel colorito : ma ciò è stato bene spesso a danno ,, della espressione e della verità. Io penso dunque, che in que- „ sto principio possano convenire si coloro che dicono doversi „ incominciare lo studio della pittura dai trecentisti, come quel- „ li che credono i soli cinquecentisti doversi osservare e studia- „ re. Imperocché chiunque vuol toccare la perfezione nelle arti „ deve studiar bene i principii ed i progressi delle medesime, e ,, come dice il Minardi, battere quelle vie per le quali precede- ,, rono gli stessi grandi ingegni, vie segnate dalla natura, fuo- „ ri delle quali é precipizio e ruina. Lo studio delle antiche „ statue se può essere utile fatto con discrezione, non può esse- „ re che dannoso fatto indistintamente, e molto più ne'principii „ dell'arte. Imperocché , come dice il Vinchelmano, I greci di Varietà' 339 „ una certa età si dettero al convenzionale e si allontanarono ,, dalla verità delle forme , seguendo più un sistema che la na- ,, tura. Cosicché chi studia in questi , senza prima essersi ben ,, formato alla natura, o confonde la fattura degli uni coll'ope- ,, ra dell'altra, o si dà facilmente a credere la natura voler es- „ sere ritratta non com'ella è, ma come glie la mostrano questi, ,, che a lui son messi davanti come ad esempio. ,, Quindi necessariamente nel giovane o un falso concetto del- ,, la natura , o uu falso modo di osservarla ; quindi difficile ,, sempre, se non impossibile, il ridursi al vero : e quindi infi- „ ne troppo spesso pitture che non possono esser greche, e che „ certamente non son nostre, e le quali a niente giovano , se ,, non al più a farci prova della molta abilità dell'artista, col te- „ stimonio del suo guasto giudizio ,,. Checché sia di queste opinioni, ed anche di altre dall'egregio sig. prof. Ridolli esposte con eleganza non meno che con chia- rezza, e dirò anche con un certo sentimento di convinzione, ciò che niuno vorrà contrastare si è , che le scuole di pittura in Italia e in tutta Europa hanno manifestamente bisogno di una riforma, che le riconduca alle vere tecniche e pratiche de'nostri grandi maestri. S. B. 2?e' nuovi lavori eseguiti nella diaconia de^ss. yito e Modesto, descrizione del principe D. Pietro Odescalchi dei duchi del Sirmio. Fol. Roma della tipografia di Pietro Aureli iSSy. ( Sono cari. 36 , con un rame ]. Una delle chiese più antiche di Roma, quella dei ss. Vito e Modesto , era caduta in tale stato da vergognarsene non solo la maestà ecclesiastica, ma la dignità romana. Il sommo pontefice Gregorio XVI, adorato signor nostro, sempre intento com'è alla con«ervazione di quanto v'ha di prezioso nelle nostre antichità', ha voluto che senza più ella fosse riparata ne'suoì grandissimi gua- sti, e rabbellita, affidandone la commissione al zelantissimo suo 340 Varietà' tesorier generale monsignore Antonio Tosti. L'insigne prclatrt diede subito l'ordine de' lavori , i quali con incredibile celerità furono condotti dal valente architetto sig. cav. Pietro Campore- se; ed in pari tempo pregò il signor principe D.Pietro Odescal- chi, che gli piacesse coll'aurea sua penna non pur descriverli, ma fare una breve istoria cosi del tempio , come delie pitture e delle illustri memorie che vi si conservano. Si chiaro nella lette- ratura italiana è il nome dell'Odescalchi, che non vuoisi qui di- re, con quale accuratezza , dottrina ed eleganza abbia egli in quest'opera cercato compiacete sommamente la santità di N. S, e l'egregio ministro. S. B. Corso di filosofia del sacerdote veneto Antonio ùiusti profes- sore di filosofia neW I. R. liceo-convitto di Fenezia. — Trai' tato Primo. Logica. Fenezia i836 Al sig. Giusti è, a nostro credere, uno di que'rarl maestfl che fermano le dottrine loro sovra ben provate e immobili fonda- menta. I suoi precetti, se non al tutto nuovi, sono certissimi: ed ancora è lodevole quell'ordine e quella maniera, colla quale ci vengono rappresentati . Il professore veneto con molto discer- nimento va esaminando i sistemi sì della nuova e si della vecchia filosofia : e non devoto a partiti di sorta alcuna, ci disegna il be- ne ed il male che in quelli comprendesi. Sovrattutto è da lodare li Giusti per la schietta morale , del cui spirito va piena l'o- pera sua a differenza di tanti moderni libri di ideologia, ove tutto è scandalo, e sedizione di male dottrine. Nel prossimo fa- scicolo daremo intorno a quest' opera una distinta analisi, della quale per ora è derivato il presente annuncio. Auguriamo frat- tanto all'autore l'elogio dagli uomini sapienti, che è pure l'uni- ca mercede cara a coloro che coli' animo e colla mente inten- dono al bene della gioventù , e al decoro della patria. C. G. D. A. Varietà' 341 yUa di Bonifazio Asioli da Correggio compilata da D. Anto- nio Coli. - Milano per Ricordi iSSy. Sono pag. ii8. - Xn questo gentile libretto è descritta assai nobilmente la vita di Bonifazio Asioli : maestro la cui memoria famosa in Italia è tuttavia maggiore di meriti che di fama. Le parole del biogra- fo ci dicono vivamente come 1' ingegno di Bonifacio si nutrisse fino dagli anni della vita primiera, come quindi crescesse, e fi- nalmente di quali frutti abbia egli giovato la patria. Grande se noi Io riguardiamo come compositore; grande ancora ove si con- sideri qual precettore di metodi nuovi , e qual ristoratore delle tante stranezze, cui la fame dell'oro straniero e la soverchia li- cenza aveano indotto il comune de' musici moderni. Né tanto questo libro si fa commendevole per le esatte e pure notizie biografiche, quanto per quel fino discernimento onde il sig. dot- tor Coli ci viene di quando in quando svolgendo le ragioni e il segreto della graziosisslma delle arti, fermando i suoi precetti sul- le norme della natura, e sul magisterio degli affetti umani che sono ristrumento d'ogni liberal disciplina. Verso la fine del li- bro l'autore con ottimo consiglio prende a ricordarci la vita di Luigi, di Giovanni e di Giuseppe fratelli di Bonifazio, uomini non meno di lui accesi nel bello dell'arte e cari all'Italia; e pur di essi le opere e i fatti ci va discorrendo. Pertanto stimiamo che ogni savia e cortese persona saprà grado al sig. doti. Coli non tanto perchè ricordava ai presenti questi egregi professori della moderna musica, quanto perchè ha saputo degnamente nar- rarli al giudicio della posterità. C. G. D. A. Teoria induttiva del periodo algido colerico. Discorsi di Gio- vanni Franceschi già prof, sostituto alla cattedra di patolo- gia nella università di Macerata. Macerata da' torchi di Giu- seppe Cortesi i836. (Sono pag. 66.) Uopo avere l' egregio scrittore rampognato que' medici, che per bassi fini con vituperio eterno piegaronsi a negare la cho- 342 Varietà' lerlca contagione (ai quali noi aggiungeremo la schiera degl'i- gnoranti scrittori), afferma di essersi oggi la scienza sdebitata per le fondamentali e sperimentali verità che misero in chiara luce l'indole attaccaticcia del cholèra delle Indie. Passi poi a provare e la dinamica azione nel contagio sui gangli nervosi, e le plastiche risultanze morbose che nei diversi organi ne pro- rompono, mostrandosi assai addentro delle odierne mediche dottrine. Noi ci dilungheremmo di troppo, se volendo ingolfarci nella sua teorica induttiva elettrico-animale, e quindi in alcune terapeutiche spiegazioni, dovessimo dar conto delle ingegnose sue ipotesi sopra quella teorica generalmente ragionate. Dicia- mo bensì (qualunque esso sia il contagioso elemento) esercitarsi sempre dinamicamente il suo primo, o lieve, o grave, o violen- to tocco nel gangliare sistema de' nervi, derivandone poscia gli svariati patologici risultamenti, inclusive la fenomenologia spa- ventevole dello stadio algido dall'autore precipuamente contem- plalo. La terapia del quale, rarissima a conseguirsi felice, stante il vitale esaurimento del centro del sistema suddetto, o dei gan- gli investenti alcun organo essenziale a vivere , sarà in ogni modo sempre ragionevole, e non esclusiva, siccome taluni vor- rebbero: di che con appositi esempli fassi l'autore a provar la fallacia. Mal quindi non si appone, che se fantastica reputa la flogosi nello stadio algido colerico, possa essa stare nello stadio di reazione; laonde se disconviene in quello il metodo flogisti- co, vuoisi in questo assennatamente adoprare. C. F. D. Varietà' 343 Memorie storiche de' principali avvenimenti politici d^ Italia se- guiti durante il pontificato di Clemente settimo. Opera di Patrizio da' Rossi fiorentino, per la prima volta pubblicata. Roma tipografia delle belle arti. {Sono usciti fnora 5 volumi.) v^uesta storia, che vede la prima volta la luce, ha ia fronte al I volume una bella lettera del sig. Carlo Guzzoni degli Anca- rani, diretta al sig. commendatore Moutlinho, e una prefazione del sig. (Giuseppe Torà. Convien confessare per amor del vero , che il sig. Guzzoni e il sig. Torà provvedendoci dell' opera nominata si resero benemeriti delle nostre lettere e della umana società, perpetuan- do colle stampe gli scritti di chi volle mettere nella memoria de* posteri parecchi terribili avvenimenti, che lor dovessero servire di ammaestramento e di guida nel diffìcile cammino della vita. In queste memorie, volendone pur dire alcuna cosa, si di- scorrono storicamente i principali avvenimenti politici dell' Ita- lia accaduti nel pontificato di Clemente VII, ed in ispecie l'ese- crabile sacco di Homa datole da gente barbara , e nella più par- te eretica, guidata da un capitano barbarissimo e di ninna fede. Autore di tale istoria fu Patrizio de-Rossi da Firenze, il quale, compilava il suo lavoro servendosi delle memorie lasciategli dal- l'avo suo, che fu quello stesso monsignor Francesco de' Rossi il quale trovavasi in Castel sant'Angelo in quel terribile sforzamen- to, per cui nella capitale delia cristianità si videro rinnovati i più atroci fatti de' popoli disumani. Io sono per credere che questa storia abbia ad esser gratissi- ma e profittevole agli italiani^ vuoi per lo stile onde fu scritta, vuoi per la materia grave che in essa comprendesi. E qui parmi di poter affermare, che quanto alla storica verità non vi è luogo a rivo- carlain dubbio, perocché non s' incontrano mai nell' opera nar- razioni di fatti che siano contraddette dagli altri storici. Oltredi- chè none da supporre che quel Francesco de'Rossi, che per lato dì donna fu nipote di Leone X, e fratello al famoso cardinal Luigi de'Rossi, nel porre insieme le memorie, di cui il nipote Patrizio 344 Varietà' si servi nell' opera sua, volesse impudentemente mentire sugli occhi stessi de' contemporanei con certezza di infamia, e col ri- schio di esser gridato pubblico mentitore. Frattanto è bene trascrivere alcune parole del sig. Guzzoni, alle quali crediamo che i savi facilmente vorranno aderire. - „ ,, Questa istoria discorre cose gravi , e di grandissimo esempio: j, e lo scrittore, che viveasi in un bel tempo per 1' oro di nostra ,, lingua, non mancò di dar vita ai pensieri in modo conforme „ al suo secolo Con alto e verace animo paiono a me ,, dettate da questo buono de' Rossi i giudizlintorno agli uomini ,, principali della sua storia. Non parlerò di quelli che egli reca j, intorno ad alcune materie morali , poiché in alcune parti le ,, parole forse soverchiano il verOj e appresso la filosofìa di que' ,, dì, che verginella ancora era tutta nelle delizie de' platonici, ,, non vedea ben dentro alle vere e tremende cagioni de' fatti „ umani. Di che in tempi di più largo senno si fece maestra a j, noi l'esperienza. E certamente alcuni istorici del secolo XVI, ,, comechè di acutissimo intelletto, e non tìmidi amici del vero, ,, parlarono talvolta sentenze alle quali non potremmo or noi „ intieramente ratificare. Se non che le opinioni stesse degli an- ,, lichi meritano di essere esaminate con sottile giudicio da'ne- ,, poti, essendoché tali opinioni sono sempre indicio di que'po- ,, polari intendimenti: onde poi col tramutarsi de' tempi si va- 5, riauo i casi delle umane repubbliche. ,, Pare a me che 1' eloquenza del de-Rossi sia tutta pura e „ sincera, e che proceda con quel temperato discorso che prin- 5, cipalmente si conviene allo storico. Né in questi libri vedremo ,, quella pompa increscevole di politici insegnamenti , di che ,, piaccionsi cotanto i moderni storici: le quali tolgon luogo all' ,, ordine in che debbono essere disposte le materie di qualun- „ que narrazione. Il sentenziare vi è breve, non che moderato." ,, talché ogni cosa vi appare ritratta dal fondo della natura. E „ a trovar fede al vero costui volle esser sobrio nelle descrizioni 5, e in quelle parti ove soglionsi esercitare le fantasie de' reto- ,, ri: ma se ne togli alcuni piccoli sconci di stile, e alcune me- „ tafore le quali paiono alquanto licenziarsi all'ardito, non aviai Varietà* 345 „ a desiderare nel de-Rossi né purità di favella , né quella cor- ,, rispondenza a cui devono strettamente comporsi le idee , « „ senza la quale ogni opera di lettere civili è in profondo. In- „ tanto augurerò a me stesso che questo mio giudicio non sia „ difforme a ragione .- non che io voglia tenermi saldo , e menar ,, vampo delle sentenze mie, ma perchè abbiasi il dc- ,, bito onore un italiano, al quale parmi che per tant'anni fosse „ fatta ingiuria dalla rea non curanza degli uomini ,,. Ora poi a parlare della autenticità del mss. dirò, che »e pure da alcuno se ne dubitasse, il signor Guzzoni toglierà via ogni dubbio pubblicando dopo i quattro volumi, in cui si con- tiene la storia, un quinto volume di documenti, alcuni de'quali finora inediti, ove darà notizia di certe copie di tali manoscritti che conservarsi in varie biblioteche di Roma. Frattanto non sia discaro sapere, che il manoscritto or pubblicato vedesi più volto citato dal buon Remino nella storia delle eresie ( tom 4 P^g- ^77» ^79 ^Isll' edizione veneta i^35), e che al presente un il- lustre professore tedesco ha scritto una storia de'pontefici, e de* governi loro (i) nella quale con non molto ordine(per dir vero) parlando di Clemente VII ha affastellate diverse citazioni de* manoscritti romani, di che viene non poco buio alla storia. Il si- gnor Guzzoni sta esaminando 1' opera dell' autore tedesco affini di far chiari ad ognuno que'passi, di cui si é fatto bello a spese di noi italiani. Io mi son creduto in debito di dire queste cose intorno l'ope- ra del nostro Patrizio, acciocché l'autore ne avesse almeno in parte 1' onore meritato , ed anche per dare un attestato di cara gratitudine ai signori Guzzoni e Torà che si pigliarono la bella cura di far pubblica una storia importante , e che forse si sa- rebbe potuta perdere, non la consegnando alla perpetuità della •lampa. Che se un giornale straniero [Vl/nwers) (2), quantunque (i) L'opera è intitolata- Die Romischen Pabst , ihre Kir- che, und ihr slat. - etc. (2) N. 195. Ann. V, pag, 473. G. A, T. LXX. 23 346 Varietà* ioesattamente, fece parola dell'opera del De-Rossi, e delia fatica durata dagli editori nel pubblicarla, non so perchè anche que- sto nostro giornale non dovesse dar loro una qualche rimunera- zione di laude, quando l'Antologia di Firenze, e il Progresso di Jfapoli, e il Giornale pisaijo tanti encomi fecero, e merilamente, al Capponi ed al Molini pel desiderio costante che mostraro- l}o di illustrare la patria istoria: e quando tanti e dissoluti en- comi si prodigano in mille altri giornali a cploi'o che pongono in mostra cose tali, in cui, se ne togli la venerazione dovuta alle cose antiche, nulla trovi di che accrescere il patrimonio delle cOr gnizioni umane. £l0gi di XL illustri italiani descritti da Melchior Missirini. Fif reme i85j. \^uesto chiarissimo professore ha fatto un bel dono all' Italia pubblicando gli elogi di 4o illustri italiani. Tali elogi sono detr tati in forma d'epigrafe • componimento che tiene il mezzo tra la prosa e la poesia. Brevità, energia di espressione, criterio giustissimo neir assegnare le lodi che a ciascuno illustre si dee, sono i principali pregi del Missirini. Il quale è valente eziandio nel temperare a suo prò gli affetti di chi legge, od ascolta. Ma vogliamolo ancora lodare perchè si è sequestrato dall'uso di al- cuni magri pedanti d'oggidì, i quali, tutti in gloria di sé stessi, credono di aver parlato la favella degli oracoli, nelle iscrizioni loro adoperando parole monche, o barbare, o gremite di cotali punti e sigle, che ti viene a mente la colonna di Duillio, e se altro vi ha di tal colonna più antico. Diche tuttavia si applau- de la moltitudine, spesso devota a quello cui meno comprende. Speriamo che il sig. Melchiorre vorrà con ugual senno continua- re l'impresa, e dar lode ancora a quegli altri cittadini d'Italia, i quali han dimostrato che questo paese bastava in ogni tempo * tutti i miracoli dell' umano potere. Carlo Cattanu. V A R 1 E T il' 347 Ne Iella biblioteca Albani in Roma esistono alcuni frammenti del- la vita di Alessandro VII scritta dall' amico suo 11 celebre car- dinale Sforza Pallavicino. Il sig. abate Cecconi ne ha pubblicato un saggio: di cui assai imperfettaiuente e con molti errori han- no parlato ì giornali francesi. Il sig Guzzoni ha già copiato con moltissimo amore e diligenza il proemio e due capitoli di que- sta vita importantissima. Speriamo che il nostro giornale potrà in breve onorarsi della pubblicazione de' medesimi. D. C. C. Apocalisse di S. Giovanni evangelista recata in versi italiani da Agostino Peruzzi canonico della metropolitana di Fer- rara. Ferrara tip. Bresciani iSS^jjrt 8o. dipag. 104. Xj Apocalisse, ossia il libro delle rivelazioni, che 1' apostolo ed evangelista s. Giovanni ebbe nell' isola di Palmo, ultimo de' li- bri canonici del nuovo testamento, altro non è cheÌAStoria pro- fetica della cattolica chiesa di Gesù Cristo. Così il eh. autore nel- la introduzione, dove si fa ad interpretare i misteri di questo, che noi diremmo altissimo poema: dal quale più che d' altronde il sommo Alighieri tolse le penne per quel suo volo, che lui rese tra' poeti come aquila. Note perpetue furono aggiunte appiè di pagina dall' autore medesimo a dichiarare il senso , che a mol- tissimi de'lettori sarebbe oscuro. La versione è in terz4 rima , ad imitazione appunto di quella vena dell' Alighieri , ed ha forza, evidenza e dignità. Ben è da ammirare tanto più il traduttore, in quanto che qualche tratto di quel divino libro non si presta cosi facilmente a poesia. Flaminio Scarselli intitolò la sua versio- ne nello scorso secolo alla santità di Benedetto XIV : più mode- sto il Peruzzi l'ha donata ad un suo allievo chiarissimo, monsi- ;348 Varietà* signore D. Luigi Pauri cameriere segreto di N. S., canonico del» la cattedrale e rettore del seminario di Ancona. Da più anni era compiuta questa traduzione , ma il degno scrittore non si risol- veva di darla in luce; noi la vedemmo, ed aggiungemmo i no- stri conforti perchè non ne privasse il nostro secolo. I vari saggi usciti in qualche giornale posero in desiderio i savi del bel pae- se di averla tutta solt' occhio, quasi una gioia che veduta solo in parie e da lontano si vuole avere in mano ed osservarla mi- nutamente. Quel desiderio è al fine appagato , e noi vogliamo rallegrarcene coli' autore e colla età nostra, la quale non sem- pre si piace di romanzi e di novelle, che dove trovi suono di ce- tra più degno non vi porga l'orecchio. Ed auguriamo clie ciò sia per questa, giacché la morale e la religione raccomandano l'ope? ra e la versione. Eccone alcuni tratti del cap. XXI, dove si tocca ^a rinnovazione del cielo e della terra. Nuovo ciel, nuova terra allor m'apparve, Poiché l'antico cielo al guardo mio, E la terra di pria colmar disparyo. Per gli stellati circoli vid' io La santa Gerosolima novella. Tutta luce, calar dal sen di Dio, Per leggiadria cosi splendida e bella. Come vergine sposa al caro amantf Nel giorno delle nozze si rabbella. £ un forte grido ludii dal corruscante Trono intonarmi; Ecco la reggia, in CM? S' avrà suo regno Iddio coli' alme sante. Egli lor Dio, elle popol di lui; ,, Aperto in nuovi amor l'eterno ^morc „ Cesserà il pianto degli eletti sui. Non lagrime, non morte, non dolore. Non gemito tara, non sarà quivi Mutato è tutto) affanno né clamore. Varietà' 349^ Quegli, che si sedea signor de' vivi, Tutto, disse, per me già si ricrea • Vero tu vedi, e quel che vedi, scrivi. Io son l'alfa e 1' omega, soggìungea, Principio e fin. Ed io darò, che al ri» Dell' acqua viva chi sitisce bea. Chi vincitor dell'aspra pugna uscio, Qui tutto avrassi ne 1' eterna pace: Esso a me figlio, ad esso io sarò Dio. Ma il codardo, l'incredulo, il mendace. L'idolatra, e chi 'I ferro opra e '1 veneno. Chi rotto é a vizi, e a fornicar procace^ Della seconda morte cadrà in seno. Ove del foco e dello zolfo ardente L' eterno divampar mai non vien meno. Eccone ancora alcuni tratti , coi quali si chiude il capo te- ffOCenleiChe è V ultimo del libro. Chi questi carmi ascolta o legge, astenga Dall' appor verbo a questo libro- o tremi. Che delle piaghe il duol lui non avvenga Dal divin dito. O se verbo ne scemi. Dio raderallo dal libro beato Di que',che ascrisse a' suoi seggi supremi. "Ed ei, che tutto in ciel m' ebbe dettato. Dice; Ecco io vengo; io tosto vengo-Oh sia! Vieni, Gesù deh vieni! -E a voi a lata ti» grazia, o figli, di Gesù si stia 250 Varietà' Noi ci staremo per riverenza dall' aggiunger parola. Già i savi leggitori da pochi fiori conosceranno che valga tutto il giardino, D. Vaccouni yita del servo di Dio padre Francesco da Torricella brevemeti' te descritta dall' abate Guido Paggetti-Pesaro i836, in 80. pag. 3o. E questo scritto un breve ed elegante racconto delle singolari e sincere virtù che fiorirono tutta la vita di Francesco da Tor- ricella minore osservante. La semplicità de' costumi, 1' amore del prossimo che fa scala all' amore di Dio, la pietà stragrande anzi TOaravigliosa del P. Francesco, vi è messa in pieno lume, e di- pinta con tutta la vivezza de'colori. I fatti narrati sono distesi con ischietezza che mostra verità. Sulle altre virtù risplende vera- mente quella dell' umiltà: in prova di che giovi riferire un bra- no dello scritto, che potrà anche «'leggitori tener fede dellabon- tà dello stile del eh. sig. ab. Guido Paggetti. ,, Azioni cotanto luminose operavansi da questo servo di Dio: ma egli per fuggire gli applausi, e non montare in superbia, adaltri sempre ne attri- buiva la cagione .- quindi servivJsi dell' olio di s. Antonio, delle reliquie de' santi, e dell' acqua che da esso benedetta era tenu- ta mirabile a sanare gl'infermi. Ma il grido di tanta virtù , per quanto ei si studiasse nasconderlo ( poiché è proprio de' buoni occultare la propria virtù, come de'malvagi l'infingerla ed osten- tarla) risuonava ornai non solo nella sua terra natale, ma in più lontani paesi eziandio, nei quali eia commendato e avuto in som- ma riverenza, e non era chiamato con altro nome, che cpn quel- lo di padre Francesco buono, e come a tale si aveva da ogni parte a lui ricorso ,, Noi ci rallegriamo di cuore coli' illustre scrittore che ciba dato cosa di tanto pregio, qual è questa vita- rella , a cui maggior peso pur si accresce dall' essere dedicata Varietà' 35^ a quell'onore della i. romana porpora, Tommaso cardinale Ria- flo Sforza legato dì Urbino e Pesaro, che con tanto senno e in- tegrità conduce la nostra provincia. Ecco le parole con cui l'au- tore presenta all' eminentissimo principe la sua fatica-,, Avendo io a consolazione delle anime religiose brevemente descritta la vita di frate Francesco da Torrìcellai uomo di tutta pietà, si mi venne pensiero di presentarla a persona che per pietà parago- nata e per tutte le altre virtù fosse singolare , onde lo scritto mio meglio si raccomandasse, e più si acquistasse di fede presso i leggitori. E mentre in tal pensiero io mi stava, mi corsero agli occhi e la pietà e le virtù famose dell' E. V. Rma, e ben mi par- ve avere trovato sopra il desiderio mio. Se non che volgendomi a guardare 1' umiltà della scrittura mia, lo stile inornato, i modi bassi e poco convenienti all'altezza dell' E. Vj quasi mi cadde dal cuore ogni conforto, e me stesso l'nnanzi me accusai di teme- rario, o almieno d'incauto. Ma considerando che la vera pietà, di die si fa specchio l'È. V. Rilna, Va congiunta alla più nobile be- nignità e cortesia, entrai a speranza eh' ella facendo ragione del buon intendimento mio, e riguardando meglio la santità delle cose che lo stile in che sono esposte, farebbe grazia a me ed allo scritto mio. Laonde ardisco venirle innanzi , e porla nelle inani di lei perchè se l'abbia come cosa sua, e prenda in tutela anche r autore, che con tutta riverenza s' inchina al bacio della s. por- pora „. Noi crediamo aver detto tutto quando affermeremo che il sig. ab. Paggetti fé' cosa veramente degna di un tanto porpo- rato. G. I. M. 352 V A R I « T Elogio storico di monsig. Angelo Massarelli di Snnseverino, ve- scovadi Telese e segretario del concilio di Trento, scritto dal canonico Giovanni Carlo Gentili di Sanseverino. - Macerata presso Alessandro Mancini iSSy, di pag. yilt ^i in 8.- De ecclesia septempedana libri III, auctore Ioanne Carolo can. Gentilio e Sanctoseverina. Pars prima.- Maceratae 1 836 ex officina Alexandre Mancini, pag. XI 3oi in 8.- vJuesto elogio ne dà a conoscere quanto sìa degno il Massa- relli di avere nella luce de' più tardi posteri, come visse nell' amore e nella estimazione di principi, porporati, e sapienti illu- stri in un tempo di controversie per la romana chiesa , quale si fu il secolo XVI. Chi sa esporre con tanta chiarezza, evidenza, e venustà di dettato la vita e le opere di uomini benemeriti del- la religione e delle lettere, come sa farlo il eh. sig. can. Gentili , riscuoterà maisempre il plauso dell' universale. Né devesi a lui sola lode di forbito italiano scrittore, sì bene di pregiato isterico sacro, dacché si è fatto ad illustrare con la- voro per ogni rispetto commendevole r antica chiesa settempeda- na : e ne ha posto di già a luce il volume i succcnnato , ove dietro una breve prefazione , in che addita le fonti alle quali ha attinto le notizie, ed il modo che ha tenuto nell'esporle, ven- gono tre elaboratissime diseriazioni: la prima versante De pri- sca septempedanoruni civitate , la seconda De antiquis septem- pedanorwn monumentis , la terza De nova septempedanorum civitate. Colle quali dissertazioni si è fatto strada a parlare poi in appresso, parlitamente in tre libri, della chiesa settempedana, il primo de' quali trovasi compiuto in questo volume , e suddi- viso in cinque capi .• /, De christianae religionis apud septempe- danos initiis ; //, De cathedra episcopali; III. De dioecesi ; ly. De canonicorum collegio, et tempio maxima ; f. De clericorum seminario. Varietà.' 353 Noi ritroviamo in quest'opera eleganza di latino stile che nulla toglie alla debita semplicità e chiarezza della narrazione, molta erudizione sacra e profana, non che esattezza cronologica.* pregi tutti che varranno ad ottenere all'egregio autore un seggio eminente nella schiera di que' bennati, che fecersi ad illustrare in Tari tempi i fasti della cattolica chiesa. FRANCESCO Càpozzi Operazione chirurgica straordinaria in Bagnacavalla. U na giovinetta del contado di Bagnacavallo '( Angiola Roton- di ) di buon temperamento e di sembianza pubere , quantun- que non ancor mestruata all'età di 20 anni, avea da forse 3 anni un tumore presso al bellico, secondo tutte le apparenze di natu- ra follicolare, il quale a certi intervalli soffriva recrudescenze flogistiche, ultimamente accompagnate da febbre con discurìa , dolori ai lombi ed alla coscia. Risoluta di estirparlo, affidossi al chiaro signor dottor Giuseppe Marmani, chirurgo primario del- la città : il quale accintosi all'operazione , e fatto il primo ta- glio trasversale sui tegumenti, sentì fuggirsi tra mano il tumore: poi scontratolo più profondo, spinse coraggiosamente il ferro fin dentro la cavità dell'addome. Uscinne allora un pezzo di omen- to aggrovigliato, alquanto morboso , ed intriso di nero sangue. Ma non rendendo questo all'esperto operatore suffìcienta ragio- ne del volume del tumore, introdusse V indice nella ferita , e trovato quivi presso un corpo assai resistente , il trasse fuori con ottuso uncino allo scoperto. Era l'utero normalmente con- formato col collo affatto libero dalla v.Tgina rivolto verso la spi- na, e il fondo alla parete anteriore dell'addome ! Maravigliand© ripose tosto il viscere , asportò porzione di omento , e chiuse convenientemente la ferita. Si approssimava questa dopo grave corso alla completa cicatrizzazione, quando insorsero tumefazio- ne gravissima del ventre , vomito , iscuria , dolori lancinanti «i 354 Varietà* lombi ed alle cosce, e soprattutto senso di fortissima distensione alla vulva. Esplorata la parte, trovolla,'come l'andava sospettando, chiusa perfettamente da una grossa membrana protuberante allo infuo-" ri; onde aprilla con larga incisione, da cai uscirono molte libbre di sangue rappreso. Pose poi cura a mantenere con una siringa aperta l'incisione : dalla quale 1' inferma, già ridotta in buona condizione di salute, ebbe negli scorsi mesi di settembre e di ot- tobre (i836) facile e regolare mestruazione. Nel rendere i giusti encomi all'intrepida e sagace condotta dell'abilissimo chirurgo, non possiamo a meno di sollecitare e pubblicare la storia di questo fatto veramente straordinario , a feconda per giudizio nostro di nuove utilissime deduzioni fisiolo^ giche (i). Albo felsineo. Strenna per V anno iSS^. Anno ti. Tipi delta Volpe al Sassi , con rame in i6 di pag* 112. Jujcco il secondo anno di vita per questa Strenna Bolognese, la quale non é altro che una raccolta di varie prose e poesie di autori bolognesi per nascita , o per domicilio, o per elezione. Meritano prima di essere ricordate le versioni dal greco, cioè la Tavola di Cebete in prosa italiana del conte Antonio Saffi di Forlì: alcuni Delti e fatti di Eliano, di Plutarco , di Diogene Laerzio volgarizzali dal p. d. Raffaello Notari: un opuscolo di Plutarco della virtù e del vizio tradotto dal dott^M" G. Bussi. Poi le prose originali, come le Istruzioni a nuova $posa in forma di lettera indiritta dal chiarissimo sig. marchese professor Massimi- (i) L' operazione seguì ai primi di luglio del i836. Questa re- lazione poi fu comunicata dal eh. collaboratore professore Dome^ nico yaccolini di Bagnacavallo. Varietà' 355 liana Angelelli alla degna sua figlia impalmata al principe Her- colani: poi il Discorso della pubblica e prii'ata istruzione det- talo dal dottor Gianfracesco 3fagnani: poi altra lettera Della buo- na educazione de' Jìgli indirhla alla cognata sua dal celebre pro- fessor don Paolo Venturini : argomenti di vera utilità. Per la forza dell'uso oltrepotente, e più degli stranieri che no- stro , non mancano noi>elle ed avventure ti'atte anche da croni- che e manoscritti del secolo XVI e del susseguente. La Benefi- cenza sagace è una novella della gentilissima signora Angiola Campeggi , che tende a mostrare come sia bello il sollevare la miseria e il pagare le offese co'beneficii. Passione e vanità è una novella del sig. avvocato Filippo Martinelli. Marta Hall è un racconto, che il sig. avvocato Carlo Monti trasse da fonte oltre- montana, e che pubblicato nella gazzetta di Bologna, indi in un foglio di Napoli, diede argomento ad un dramma di tal nome del sig. barone Cosenza. Un giorno della mia vita è descritto dal sig. avvocato Gaetano Ballanti. Francesco II di Francia é una av- ventura descritta dal eh. prof. Pietro Bernabò Silorata di Porto Maurizio, e tratta da un manoscritto della famiglia Tanneguy di Chatelaudren presso San Brieue, del 1623. Le ultime ore del poeta Chatterton sono un zibaldone storico spigolato dal eh. sig. Salvatore Mazzi. Da ultimo è un Racconto tratto da una cronaca del secolo XVI, e pubblicato dall'egregio signor Ange- lo Astolfi : tocca di uomini e di cose di Bagnara , di Mordano, e della città d'Imola. Ci giova con parole di onore ricordare una lettera del eh. sig. marchese cavaliere Amico Ricci di Macerata, dove propone con molto senno al sig Vincenzo Morani, pittore pensionato di S. M. il re di Napoli in Roma, un argomento a dipingere, tratto non da croniche o da leggende, o dalla cieca mitologia, ma dal lume delle sacre carte : è l'incontro di Abigaille con Davidde- Del sig. avvocato Luigi Morzocchi sono alcune scene, che or- dinate potevano fare una commedia. Del preslantissirno signor conte Giovanni Marchetti , che ingentilisce tutto ciò che tocca , poche cose veggiamo; poche almeno al desiderio nostro .• una versione dell'ode V di Orazio, ed il sonetto già pubblicato per le nozze Hercolani-Angelelli. Del sig. dottor Luca FivarelU vi 356 V A R I B T a' ha Vlnno a s. Filippo Neri uscito già per quella stessa occasionfl'. De'buoai versi non mancano del signor prof. Vincenzo Valorani di una squisita eleganza, del dottor don Gaetano Golfieri òà mol- to spirito, del sig. Giacomo Vincenzo Bevilacqua di non comu- ne delicatezza, del sig. Francesco Capozzi di Lugo di grande facilità, del chiaro sig. Francesco Valdem di non ingrata malin- conia, e del Borzaghi e del Faldi, e sopra gli altri di quel fiore di gentilezza del sig. marchese jintonio Tanari; a'quali tutti è debito mostrarsi riconoscenti del grande amore, che pongono ai buoni studi. Non vorremmo avere dimenticato alcuno Ae'i nomi degli auto- ri, né alcuna delle cose loro ; ma se mai fosse , intendiamo ci sìa perdonalo: nostro animo si è di onorarli quanti mai sono. Una cosa vogliamo e dobbiamo osservare alla Strenna del i838 e de- gli anni avvenire ; che non si piaccia tanto di novelle e di av- venture fatte allo specchio di que' mostri , che dicono romanzi Storici. Maestra della vita è la storia, e noi impariamo non dai sogni, ma dai fatti veri e degni alla presente civiltà ed all'italica gentilezza. Officio è delle lettere non di secondare la moda de' i'omanzi per lo più pervertitori della mente e del cuore, e cosi spesso nemici della pace domestica e civile; ma di opporsi alla corrente, e ridurci a'rivi di chiarefresche e dolci acque per be- ne nostro e delle future generazioni. Questo bene non può na- «cere che dall'ordine, e l'amor dell'ordine tocca alle lettere di porre negli animi con dettati pieni di senno e di leggiadria ! D. Vaccolini, V A » I K T a' 35T Giurisprudenza criminale, JL/a teorìa dei delitti e delle pene, composti dall'avvocato fisca- Je presso il tribunale di appello in Bolog^na Carlo Coniali negli anni 18'ì'j al i83o, viene riprodotta. Questa opera è concepita sulla base di opere in materia cri- minale non dettate dalle circostanze, o da vedute di tempo, o da quelle di località, bensì da interesse generale nello spirito di una utile riforma delia criminale legislazione , e sua applicazions nei casi pratici. La medesima ebbe il suffragio dell'ebbero; e venne riguardata opportuna per lo studio della scienza e giurisprudenza crimi- nale, deducendo per una catena di piincipii le conclusioni pra- tiche del criminale diritto nelle applicazioni ai più particolari bisogni della sicurezza sociale e della giustizia. Inoltre non ò nn lavoro di soli principii speculativi di diritto, ma eziandio di regole pratiche. Il rinomatissimo professore di gius criminale nella I. e R. università di Pisa signor cavaliere Gioi'anni Carmignani, autore della Teoria acci amatissima delle leggi della sicurezza sociale, pronunciava sopra questa opera del Contoli, essere la medesima scritta con grande perizia di diritto, ordinata, e piena di sape- re e di erudizione; e soprattutto alla pratica utilissima; sicché il suo autore potesse ben gloriarsi di essere tra gli scrittori del tempo uno dei più benemeriti in ciò che più interessa la indi- viduale sicurezza degli uomini. Sia quindi 1' annunziato un libro opportuno ed all'insegna- mento ed allo studio. Questa opera, composta di sei volumi in ottavo mezzano di circa mille pagine, in carattere garamone, con note in testino, trovasi vendibile presso l'infrascritto tipografo in Bologna, strada san Mammolo N. 96, al prezzo di scudo uno e baiocchi ottanta. , pari a lire dieci italiane. 358 Varietà' Chi ne acquisterà sei copie avrà la settima gratis , e i signo- ri librai per ogni sei copie di commissione avranno il terzo di sconto, pagamento a pronti contanti. Bologna li "iS marzo jSSj. Il tipografo editore Carlo Gamberini In morte di Adelaide Trevisan, Padova tipografia e fonderia Cartallier. Ediz. 2, in 8 - i835. In morte di Antonietta Trevisan Gabardi. Stamperia ed anno come sopra. X in dal 1829 furono per la prima volta in Padova dalsig. Fran- cesco Trevisan publicate le rime di alcuni illustri poeti per la morte della sua figlia Adelaide avvenuta nell'anno antecedente; e da lui con pietosissima lettera indirizzate ad Antonietta Gabar- di unica sopravvivente di 9 figli immaturamente periti. Quan- to dispiacere eccitasse in ogni anima gentile la perdita di una vaga giovinetta adorna delle più care virtù, e che sebbene a poco a poco vedesse avvicinarsi la morte, nondimeno coraggiosa la incontrava Sotto l'usbergo del sentirsi pura, e ne ragionava come di un imminente viaggio , solo calendole del dolore del padre e della sorella, io noi dirò, potendolo bene ognuno da per se stesso immaginare. Come pure non è mestie- ri il ripetere con quanta cortesia venisse accolta questa collezio- ne di poesie, ove fra gli altri leggevansi i nomi del Ricci , del Cicognara , gli ultimi due sonetti composti da Ippolito Pinde- nionte, e la notissima anacreontica del Vittorelli SulV ottantesima anno ec , oltre una latina iscrizione del Furlanetto , la quale venne incisa Varietà* 359 nella tomba di Adelaide. Questi versi te non valsero a togliere {1 dolore del padre, il mitigarono almeno, ed assicurarono alla fanciulla una vita ben lunga nella memoria de'posteri. Non erano però ancora corsi sei anni quando il misero geni- tore venne novellamente a sentire i colpi della sua avversa for- tuna, ed il più grande e irreparabile danno soffersene : imperoc- ché la morte gli tolse quell'Antonietta, eh' era l'unico suo con- forto, ed in cui la sua vecchiezza si riposava. Ed invero educata colle più grandi cure nella pietà ed in tut« te quelle [altre cose, che al suo sesso e condizione addicevansi, formava la delizia non solo de'genitori, ma di quanti la cono- scevano. Oltre il ricamo e le altre arti donnesche , nelle qua- li a maraviglia era istrutta, aveva apparato da Pasquale Soldan così bene il disegno, che aveva meritato le lodi del Cicognara : e la musica da Antonio Calegari in guisa, ch'erasi perciò acqui- stata la stima di quel difficilissimo ingegno dell' Asioli. Le quali cose congiunte alla bellezza delle forme e alla bontà dell'animo, la faceano in sommo pregio tenere : e veniva da molti deside- rata in isposa. Maritata ad Olivo Gabardi di Carpi, tutta la sua cura pose in adempire i suoi nuovi doveri senza trascurar quel- la di figlia. Per due lusti-i che visse col suo compagno non in- termise giammai di scrivere tre volte la settimana ai suoi geni- tori, nulla scemando del suo affetto. Seppe ia modo avvincersi l'animo del suocero e de'suoi cognati, che quale sorella la si te- nevan cara. Educò i figli con vera tenerezza materna, da se me- desima lattandoli, e tutti i doveri di buona genitrice adempiendo. Costretto il Gabardi ad allontanarsi dalla patria ed a riparare in Bologna, trovò un verace sollievo nella sua buona consorte, la quale come in Carpi cosi in questa città venne da ognuno ammirata. E benché molte di quelle gentili signore, di cui la dotta Bologna è ricolma, avessero familiarità con Antonietta, era nondimeno congiunta in tenera amicizia colla Ferrucci e colla Martinetti. Nel novello soggiorno peraltro non dimenticò questa saggia sposa i suoi attinenti « che anzi trovandosi ella a villeggiare, ed avendo inteso essere il suo suocero infermo, abbenchè fosse ospi- te di egregia amica volle senza indugio ricondursi in Carpi , 360 Varietà* superando ogni ostacolo che le si frappose. Appena giunta ebbt non solo dal suocero e dai cognati , ma da tutti que' concittadi- ni non dubbie significazioni di affetto e di stima. Restituitasi in Bologna, fu dopo non molto colta da pleuritide; infermità cui andò incontro per la sollecitudine verso due figli infermi, e per visitarne, benché incinta, un altro, che a motivo di salute respirava l'aria campestre. Dal primo istante giudicos- si insanabile il morbo; il perchè vani riuscirono tutti gli argo- menti dell' arte. Corroborata dei conforti della religione, tra le lagrime del genitore , che venuto era per l'ullima volta a rive- derla, e tra il compianto degli amici e de'congiunli, placidamen- te attendeva l'istante (sono le sue parole) di andare in paradiso a godere una vita perennemente lieta e tranquilla. Fin dal 1826, benché .sana di corpo, avea segnata l'ultima su» Tolonlà; ed indirizzava il suo testamento al marito, dicendogli che 81 avesse in dono la metà de'suoi capelli: l'altra metà voleva che il padre si tenesse per suo ricordo; che leggesse a ciglio asciut- to quel foglio ch'essa aveva scritto a man ferma, e senza spar- gere una lagrima , perché conosceva ; essere questa vita un lampo, piena di spine e di afflizioni, e sperava uscir ne, e trionfar- ne con quella religione che insegnalo le avevano i genitori. E con tali senlimenli, nel più bello della sua età, coraggiosa dividevasi dal consorte, dal genitore, dai figli, e da tutte le altre persone che l'eran care. II vecchio genitore, dopo aver dato sfogo al suo duolo, divisò per quanto era in lui di onoiare II nome della sua cara Anto- nietta ; e lo stesso dolore gì' ispirò un nuovo consiglio , quello cioè d'invitare alcune poetesse italiane a cantare le virtù, ed a sparger fiori sulla sua tomba ; affinchè la lode data ad una donna dalle donne medesime maggiormente si acquistasse fede. Corrisposero le gentili alunne delle muse, e nello scorso anno insieme colla ristampa delle poesie per Adelaide, cui venne ag- giunto un sonetto, che in allora avea composto il eh- monsig. Muz- zarelll amico della famiglia Trevisan, videro la pubblica luce quelle per la G^bardi. Leggonsi in questa raccolta i nomi di Teresa Albarelli Vor- doai , della contessa Vittoria degli Emilii Carminati, di Vitto- Varietà' 361 ria Madurelll Berti, della contessa Silvia C urloni Verza, di Ed- vige de'Battioli degli Scolari, di Massimina Fantastici Rosellini, del- la contessa Cornelia Sale Mocenigo, della chiarissima improvvi- satrice Rosa Taddei, di Adele Curti, della contessa Caterina Mu- rari Risenfeld, di Angela Veronese Mantovani { Aglaia Anassili- de), di Angela Scacerni Prosperi , di Caterina Franceschi Fer- rucci, di Luisa KiriakI Minelli , della marchesa Eufrosina del Carretto, di Lucietta Confortini Zambusi , ed una latina iscri- zione del eh. sig. Michele Ferrucci. Queste poesie ci sembrano scritte con molto amore di lingua e buon gusto, ed in esse più o meno a lungo narransi le virtù e le azioni della defonta. Non è nostro divisamento di portarne giudizio in particolare , ma diciamo con verità che sono buone e degne di esser lette avendo in se molti pregi ; come pure non sarà inutile il notare, che questa è la prima raccolta, che facciasi di poesie tutte scritte da sole donne per uno stesso ar- gomento. Avremmo peraltro desiderato di vedere fra si chiari nomi quelli ancora della Bandettiui, della contessa Caelani, della Or- fei, della Massoni, della Guacci, della contessa Carniani Malvez- zi, della Ricciardi, della Piermarini, della Pieraldi, e di altre an- cora, che passo sotto silenzio per non esser prolisso , le quali tanto onorano colla gentilezza e coli' ingegno la nostra penisola. Sappiamo però, che alcune di esse richieste, non poterono, con loro dispiacere, acconsentire al gentile invito. Noi ben di cuore ci rallegriamo colla nostra Italia veggendola anche oggi giorno fornita di si bel numero d'illustri donne, ed a proposito cade qui il ripetere i noti versi del ferrarese ( can- to XX st. 2 ); he donne son venute in eccellenza Di ciascun^ arie ove hanno posto cura, E chiunque all'istoria abbia avvertenza Ne sente ancor la fama non oscura: con quelli della seg. st. 3; G. A. T. LXX. 24 362 Varietà' Ben mi par di veder che al secol nostra Tanta ^'irtù fra belle donne emerga Che può dar opra a carte et ad inchiostro Perchè nefuiiiri anni si disperga. Né si risponda da qualche severo nemico della cultura delle donne, clie qui il poeta ha voluto essere gentilmente cortese, Come con donne sempre esser si vuole- Imperocché, senza parlare di quelle ch'egli nomina, e che a suo tempo erano veracemente illustri , e le cui opere tuttodì leggia- jnOjPlatone nella sua repubblica sostiene gagliardamente il parti- to del loro ingegno, ed altri autori in gran numeio hanno fatto il medesimo. Colle quali parole pognamo fine a quest'articolo , in cui se ci siamo alquanto diffusi in parlare della Gabardi, lo abbiamo fat- to, e perchè ci sembrano degne di essere promulgate le sue vir- tù, ed anche per ispargere una benché piccola stilla di consola- zione nel cuore del genitore non meno, che del vedovo consorte. Francesco Fabi Montatisi Sul miglioramento del sistema ipotecario. Progetto del dott. An- drea Russo. Napoli tipografia di Francesco Masi i854- SuW applicazione di nuove vele alla navigazione. Pensieri del dott. Andrea Russo. Napoli dalla Società tipografica i855. Xl vero oggetto che devesi proporre per iscopo il filosofo è tut- to ciò che può tendere al miglioramento ed al vantaggio della società. Questo sempre hanno avuto in mira le leggi ed i trova- ti degli uomini, i quali tanto più sono stati apprezzati quanto più hanno corrisposto al fine suddetto. Tale lodevole mira ha avu- to il sig. dott Russo, noto per altre produzioni, negli opuscoli Varietà 363 da noi accennali. Nel primo si propone per oggetto la sicurez- za del sistema ipotecario di tanta necessità quanta lo è la pro- prietà medesima. Divide in due capi la materia; riguardando pri- niierainente le ipoteche in rapporto alla sicurezza: quindi esami- nando il regolamento del servizio interno per le consen'azioni delle medesime. Questi due capitoli sono ripartiti in varie sezioni, nelle quali viene esposto brevemente quanto ha ad essi rappor- to. Vi aggiunge per appendice le ri/orme di competenza de' di- rettori generali e particolari. Nel secondo opuscolo primieramente osserva , che i mezzi per migliorare la navigazione (senz'includervi quello del tirar i le- gni con gli argani e con gli animali) sono stati tre: cioè i remi, che si posero in uso circa l'anno del mondo 23oo ; le vele ado- perate circa il "2700; e le ruote, le quali a guisa di tanti remi circolarmente posti, mossi dalla forza del vapore, portano avanti la nave col moto di rotazione. Quest' ultimo metodo, dic'egli, fu quasi a'nostri giorni perfezionato; perchè sull'esempio de' porto- ghesi e de'polacchi il sig. Du Quet e il sig. Du Verger nel 1799 presentarono all'accademia delle scienze di Parigi marchine atti- vate da tali ruote. Passa di poi il sig. Russo a considerare , che quantunque il vapore abbia recato vantaggio alla navigazione , presenta in se molti pericoli; non si rende adatto ai lunghi viag- gi per la provvisione dei combustibili, e die dandosi un vento a prora al di là della forza medesima del vapore, non possano na- vigare : ed è perciò spesso ritardata la loro partenza. Per ov- viare a tale gravissimo incomodo presenta 1' autore il suo pro- getto.- e stabilita la base che i molini a vento con volanti orizon- tali hanno la particolar proprietà di girare con ogni vento (p.i3.), descrive primierauìente il modo di applicar queste vele alle na- vi, tenendo presenti amendue le specie di volanti in essi usati. Esamina qual potrebbe essere la loro forza , quale velocità po- trebbero comunicare al naviglio; ribatte le opposizioni che po- trebbero farsi; enumera finalmente i vantaggi che da tale appli- cazione conseguitarebbero. Questo scritto è accompagnato da oppQrtuiia erudizione, e bea mostra la perizia dell' autore in questa scienza. Non lascia fin dal bel principio di avvertire, che di un simile progetto parlava nel giorno 7 gennaio i853 /' Indi- fatare, anno y, e lo aveva tratto da un giornale inglese (Vnite^ i^ervice journal ) ; e che l'ingegnere sig. Bruscetti ha fatto su tal proposito dei lavori, i quali sì accennano nella biblioteca italiana : ma eh' esso però non avea potuto approfittare di tali cognizioni , perchè contemporanee (p. 8.), Forse anche questo progetto sarà di grande utilità alla navigazione ,- ma la più sicu- ra maniera per accertarsene è quella di porlo in opera; per lo che sarebbe desjderabjle , che qualche principe , o almeno qualche ricca società di comtperci'anti, s'interessasse a mandarlo ad esecu- zione : jmperpcchè la forza di un privato, e molto meno di uu ^omp di lettere, non potrà giammai giungere in questi casi a verir ^care col fitto le teorie. pRANCESco Fab; Montani 365 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO LXX, VOLUMI 170, 171, 172 ìdel giornale arcadico Nota de compilatori e de collaboratori del giornale. SCIENZE Barzelletti^ Questioni di medicina legale, pag. 1 Linari^ Scoperte elettriche ec ....,, 50 Puccinotti^ Lezioni sulle malattie ners^ose. „ 72 Camilli, Cottura di alcune piante esotiche in Viterbo ............ '10^ Pcicini e Tonelli ^ Lettere . . . : . . ,,115 LETTERATURA Cardinali^ Cenni intorno a ire operette nu- mismatiche .......... „ 126 ÌKaccolini^ F~olgarizzamenio delle nuo\>e fa- vole di Fedro . . „ 142 Montanari^ Epistola in morte di Antonio Cesari. ....:..... . „ 166 CantalamesÉa-Carboniy Lettera intorno uii sonetto di Paola Costa . . . . . .- a 1 SO' 36B Montanari^ Biografia di Francesco Barbaro. „ 1 77 ì^accolini^ del hello ^ secondo il Meiigs^ il de-Azara^ il Genovesi ec „ 208 Guadagni^ In obitic Aloisii De Andrea . „ 215 lìossij Elogio di Teresa Bandettini, , , ,. 235 BELLE ARTI Folcili^ Ragguaglio sulla direzione de' la^ vori eseguiti in Tivoli per la diver- sione deWAniene ,..,,..„ 254 Mancini., Intorno alla patria., alle opere ed agli allievi di Raffaellino del Colle . ,, 269 Guzzojii, Sul mausoleo temporaneo ideato dal cav. Pietro Caniporese i?i onore di Raffaello , . , . „ 324 p^arietà. Tavole meteorologiche NIHIL OBSTAT E. lacopini Gens. Theol. IMPRIMATUR Fr. Doni. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR Aut. Pialli Archiep. Trapezuut. Vicesg. Osservazioni Meleorolo"ic 0 Zie ;(' Collegio Romano )( Gennaro 1837, 3 1 Ore- mai. ner. mal. S'- SC'f. mai. gì- ser. Baiomel. Tc-i-m. eslerno 'i'L-iiiia max. me Ilo min. 0" Jgiom. Vculo Pioggia Evapor h 0 7 Sialo del Cielo 1 a7p.ioZi.o » „ 5 23 0 9 „ 1 4 :. 2 9 1« 4 2 1 4 1 2 5 1 / 5 0 6 3 10 27 i3 N, mod. COpilto niivu leso thiaussimo 2 " 3 0 0 N. .1. 0 7 gelalo 0 5 » „ 2 8 » 3 0 » 2 9 5 8 9 35 7 5 20 3 5 27 7 3 " 4 mat. si- seri mat. ser. » » 5 " 3 5 ,,5 7 „ 6 5 „ „ 6 0 5 6 3 0 0 0 N. d. 0 0 0 5 nuvoloso ehiatis. 5 0 5 6 3 0 6 _4__5 e" 8 7 •> )) 0 5 " mat. si- scr. 1} 11 2 „ 5 4 „ „ 3 lì ■ 0 )7 7 2 4 0 0 SE d. 0 0 pio.not. l,lin,35 I 5 6 ser.nuv.sp. co perto 7 mat. si- ser. „ 4 5 „ 3 7 8 5 4 S. m. E „ SE d. s „ 0 0 N d. NE „ 0 0 1 4 nuv. nuv .niez. 8 mat. si- ser. » » 0 1) )• 2 7 10 6 5 10 7 0 6 0 1 12 0 2 coper. piov. 9 mat. si- ser. » „ 7 „ 5 1 » » 5 6 9 7 6 9 7 3 5^ 9 3 4 !) 6 6 0 5 0 0 67 0 2 mez. nuv. 0 mat. si- ser. ,, ,, 0 » 4 4 „ 5 5 9 lo 95 5 0 6 0 SE d. 0 4 nuv. lutto ' 1 mat. si- ser. mat. Si- ser. „ 1 6 ,, 0 5 27 11 8 5 0 10 0 0 28 i5 0 0 51 " 0 9 3» 2 " " j> 28 1 ó " N d. >t 1' 0 7 ser.nuv.sp. 3 mat. Si- ser. » „ 7 )) 2 0 » » 5 2 5 8 4 8 10 9 2 5 23 2 0 d. 0 0 S m. SO „ SSO d. S ni. 0 d. N „ pio.not. 0 5 nuv. chiaronuv.oriz. 4 mat. Si- ser. mat. Si- ser. 27 11 0 „ lo 0 » 9 0 II 7 0 2 0 2 25 0 85 0 7 icuv. piove 6 » 8 6 .» 9 5 » 10 6 7 5 9 5 4 5 9 5 7 5 21 0 9 » chiaria. \ser. ' niat. •28 gi. ìser. 4 ' 29 mat. gi- ser. 3o '"«'• gi- ' mot. 3i '"ci- 9 3 „ 5 11 3 J 4 9 I 14 S f. SO m. o o o IN d. N d." pio. ruoJ, 2 25 1 70 3 00 2 35 X 55 1 5 17 1 i 1 1 0 cop. pio. azaai nuvoloso ciliari ssimo 1 1 ** 5 coperlo » 0 0 2 7 „ piove chiaro nuvoloso cliiarissiino 0 7 puiiss. scivctzioni Meteorologiche )( Collegio Romano ]{ Fehhraro iSS?. o i6 Ore ma. gi- ser. Baromet. Term. Terme max. metro min. i 7" Igrom. Vento Pioggia Erapor. li 1, 3 Slato dal Cielo W 28p.i //.; ,,26 ,. 5 0 j) 4 0 ,. « 6 « }' 1 » 3 3 „ 2 S » ). 2 0 7 1 2 10 5 ,3° i3 0 21 i3 NE. A. NNE m, NE d. N. „ 5> J) li 4, 47 nuvol . 17 '""• T 18 "'"• §'• \ser. 19 T- i ma. 20 .ser. 8 12 9 3 5 3 8 i 4 1 3 j 3 8 [ 6 j i ^ 1 7 2 » ! 0 7 21 Io 1 chiarissime 4 12 8 6 - l 3 0 0 1 1 ser. nu, sp. >» cliiarissimo „ 1 8 „ „ 5 ,, » 7 4 n 7 3 II 9 12 0 20 1 N. ({. 0 SO (1. 0 0 » „ 5 » 0 7 » „ 5 12 0 i5 3 N d. S m. SSE ti. 1, 17 2 0 4 ). nuv. oriz. ser.nuv.sp. nur. u piove li 21 22 ma. si- ser. t) i> 2 » „ G „ I 4 9 lo 8 10 1 0 SE m. E <1. ma. si- ser. ,,20 » » 2 » » 0 7 lo 8 12 0 4 0 0 0 5, 57 0 a chi ar.ijuv. oriz, nuv.tutto chiar.oriz.nuv. nehaioso ser. nu. sp. chiaris. 1 ser. , ma. 24 ier. il ma. i ^'- ser. ma. ier. ma. 27 gj. «er. » !» ;) » » 7 » ,, 5 5 IO 7 12 0 17 0 X 27 10 7 „ 8 5 » ,> 9 8 1 1 4 11 0 36 6 S m. SO fmo. NNE f. 2, 2$ a nuv. „ sol .Irai. » » 8 » " 4 2 7 4 I 8 _4_ 8 5 8 0 33 20 N d. „ va. „ f- 1 6 ser.nuv.sp. nuv. chiaris. >5 5> 5> „ lo 2 ,, „ 4 »> J> •' 4 9 0 3 1 1 42 23 „ ni. E a. i 4 nuv.sol.tral. nuv. lutto 5 5 ; 8 N a. E m. N f. „ d. 0 0 1 1 1 1 5 ser. nuv. sp. 28 ma. si- sor. J> J> f« .. „ 7 1 7 3 5 5 5 la 45 20 1 2 chiar. 1 ' Osservazioni Metereologiche ][ Collegio Romano ]{ Marzo liZ-]. mat. si- ser. mal. si- ser. mat. Si- ser. Baiomet, 2 7/jo.ioZ ■•9 » 9 7 »i 10 o »j 7 4 » Ò 9 " 7 o 5> 6 5 « ), 7 » 7 1 „ 5 5 o Term. Terra onietro esterno max. min. 4 5 5 6 4 5 2 4 9 Igronj. Vento t'^ SE, d. 20 S. m. 3 Ef. 8 SE. m. 7 E. f. .5 NE. d. 4 N. ni. 5o o. „ i5 N. f. Pioggia Evapor, Slato del Cielo I nuvoloso e h. pò. nu. oriz nu volo3.sol.tral li 5 11 O 0 IO 8 2 N. q. 0. IO ,, ra. 45 „ d. 35 ,, m. 21 „ d. 54 •> » 55 » V NNE. m. 12 E. d. 0 0 '9 N. d. 5i „ q. 0 jS „ ni sso. i3 I 0 o 4 25 5 10 0 i6 3 5 8 I 0 (1 N. .1. S. 1 o u -~ N. q. S. ni. SE. i: ■ s'dr SE m. S. d. iV.' ^.lam V