GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 173, 174. ROMA NELLA STAMPERIA DELLE BELLE ABTI 1837. GIORNALE DI SCIENZE LETTERE ED ARTI TOMO LXXI APRILE, MAGGIO E GIUGNO 1837. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI Ì837 SCIENZE Rivista di alcuni lavori di medico argomento pubblicati dai signori proff. Medici^ Ferrarese, Paolini, e Barelli. I. Michaelis Medici in bononiensi archigymnasio P. phjsiologiae professoris dissertationes nonnul- lae ex novis commentariis academiae scientia- rum instituti bononiensis excerptae. - Bono- niae, 1835. - Q. uattro sono le memorie in questa raccolta com- prese; la prima di esse porta il titolo di „ Obser- vationum anatomicarum de ossium structura spe- cimen, cum tabula aenea. „ Dopoché il precla- ro anatomico pavese prof. Scarpa si fé , egli e già un tempo, a redarguire i cultori tutti di que- sta scienza per lo erramento in cui eran vissuti sul titolo della struttura delle ossa, le quali a suo avviso dovean considerarsi di una tessitura reticolare, al- veolare, spugnosa : vi si oppose il chiar. prof. Me- dici con un buon numero di „ Esperienze intorno „ alla natura organica delle ossa „ nel secondo vo- lume degli opuscoli scientifici di Bologna. Surse quindi il cel. prof. Speranza a sostenere la causa ^ h Scienze 4el suo maestro Scarpa ; e nel terzo volume dei memorati opuscoli aggiunse il prof. Medici nuovi argomenti per roborare la sua tesi nelle „ Consi- ,, derazioni intorno alla tessitura organica delle os- sa. „ Ma tornò a trattar la questione l'illustre Spe- ranza, acchetandosi benché non convinto il fisiolo- go di Bologna. Avendo però il prof, di Pavia fatto nuovamente di pubblico diritto la sua dottrina (1), ed avendo il prof. Medici ripetute ed aumentate le sue osservazioni sull'argomento, ha riassunto a discuterne, seguendo nel metodo dell'attuale suo la- voro il metodo istesso dello Scarpa. Questi con in- gegni sintetici, analitici , e patologici vuol dimo- strata la cellulare tessitura delle ossa; ed il N. A. in tre parti pur divide il suo scritto, comprovane do con sintetiche, analitiche, e patologiche osserva-^ zioni esser le ossa composte di fibre e di lamine insieme tessute, Spettano alle sintetiche osservazioni le indagi-=- ni eseguile intorno alla primigenia struttura delle ossa; e posto per fermo non rinvenirsi nel feto fi- bre e lamine, ma bensì cellule e macchie, sarebbe giusta la deduzione che i corpi adulti della istessa organizzazione fruiscano, se in tutto il decorso del- la vita immutate persistessero le organiche forme primordiali. Ma qui è dove il N. A., fiancheggiato da luminose ed innumerevoli osservazioni di va- lenti fisiologi, dimostra il successivo cambiarsi del- le forme organiche nelle successive età dai globuli elementari alla moltiplice tessitura delle parti. I (j) De anatome et patheologia ossium commentarii. Ticini, Rivista medica 5 cangiamenti, che seguono le vicende della vita nel- la specie umana, sono pur fatti palesi dalle di- verse organiche trasformazioni che scorgonsi negli animali e nei vegetabili d' ordine inferiore: le ra- ne, i filugelli, varie stpecie di pesci e d'insetti ne offrono il grazioso spettacolo. E quante sono poi le parti organiche pronunciatissime nei feti e can- cellate negli adulti? quante le nuove che si acqui- stano o che più pronunciate si appalesano nelle maggiori età dell'uomo adulto? quante le altre che una pretta trasformazione organica additano? val- gano di esempio per la prima i reni succenturia- tl e la gianduia timo; servano di esempio per la se- conda la fibrosa tessitura del cervello e del cer- velletto negli adulti ^ di cui non avvi vestigio nei feti; servano di esempio per la terza asserzione i vasi e dutti linfatici in fibre legnose convertiti e trasformati. Ma senza gli argomenti di analogia, la tessitura medesima delle ossa adulte offre discre- panza dalle primordiali, siccome quella delle ossa pinne e delle cilindriche, e quella perfino delle va- rie parti di un osso medesimo ; discrepanza che torna in sostegno della opinione del Medici. Le sperienze infatti per il N. A. istituite nelle ossa dei feti, in quelle dei neonati si della specie uma- na e sì dei bruti mercè dell'acido idroclorico di luto, ed iterate con ogni diligenza fino alla etk provetta degli animali e degli uomini , lo hanno assicura- to „ ...... primam ossium rationeni neque fibris „ neque larainls expressis saltera (cranio humani „ foetiis dempto ) conspiciendam esse , totamque „ hujusmodi ossium structurum in substantia retl- „ culata vel cellulosa, ufi Scarpa jure meritoque if contendit, esse positam. Sed quod ad secundam 6 Scienze „ ossium ratlonem cellularis textus In tuheribiis so- „ lummodo atque in plus minusve longo fistulae „ medullaris latet spatio: in parietibiis autem, sive „ in corticc, fibrae laminaeque ante oculos dare a- „ perteque observantur. „ La quale ultima conclu- sione relativa alle ossa degli adulti viene confer- mata da varie figure che al numero di 15 sono rappresentate in apposita tavola, da cui apparisce chiaro quanto differente sia dalla cellulosa la or- ganizzazione loro fibrosa , lamellare ; cui pur ag- giunge l'autorevol divisamento del Prokaska, ciijus sententia corporis organisatio in vitae curricido permutatur. Si cambiano infatti i principii elemen- tari dell' animale sostanza , si cambia la tessitura primitiva, e cambiansi pure , siccome il dimostrò Denis, le proporzioni dei principii nei diversi sta- di della vita cosi nel sangue come nei nervi , nel tes- suto cutaneo e nelle ossa. Le patologiche osservazioni concorrono a con- validare la vetusta opinione dal N. A. difesa. Se non che in istretto conto additar non potrebbero le me- desime, che una declinazione delle parti del norma- le stato di organica forma impressagli dalla natura. Cosa infatti desumer si può dall'anatomico nel fongo cerebrale per investigarne la tessitura dell' encefa- lo? cosa nella scirrosa depravazione dell'epate per conoscere di questo la struttura ? cosa nei morbosi cangiamenti dell'istesso tessuto osseo nelle istorie patologiche additati, e pe' quali emerge essersi le ossa cangiate in una massa quasi carnosa o rossa e fibrosa, o fongosa e molle, o callosa, e perfino in flui- da poltiglia? Dalle quali riflessioni partendo il pro£ Medici, analizza con valide ragioni gli argomenti del- lo Scarpa sul conto dell'esostosi vere, delle altre da Rivista médicì i èssolùl denominate spurie, discutendo in tale incón- tro la genesi del callo osseo nelle fratture ed il per- vertimento del tessuto osseo nei rachitici. E ne de- sume, cli6 le morbose enunciate alterazioni non di- mostrano essere cellulare ù spugnosa la naturale struttura delle ossa, ma si Lene una svariata aber- razione dallo statò sano degli organici elementi del- le medesime. Di gran peso poi ella è un' osservazio- ne dal Medici fatta nel cadavere di una ballerina, in cui rinvenne sanissime le superiori estreriiita delle due tibie, mentre la inferiore in ciascuna di esse presentava falcetti o manipoli di fibre disposte à foggia decorrente increspata e come di capelli pet- tinati „ iit quidam fibrarum fasciculi vel nlanipuli ^, ita disponantiir dispeScanturque, ut ossium cor- „ tex crispus et veluti cincinnatus videatur „ . I)el pari la svariata proporzione di elementi nelle altre morbosità, ben diversa dalla primitiva e naturale, non depone per la rettitudine di un giudizio ò cri- terio probabile per statuire con Tappoggio delle pa« tologiche osservazioni la vera e naturale organizza- zione delle ossa. E già lo stesso Scarpa, quasi contrad- dicendosi apertamente, aveva sprezzfato il valore di questo genere di prove, e redarguito coloro cbe usar ne volevano in difésa dell' impugnato divisamento. Di gran lunga: però più Convincente è sicuro egli è il giudizio che si tragge dalle osservazioni analitiche per conoscere ed iscuoprire la reale struttura dell* òsseo tessuto. Le macerazioni negli acidi minerali istituite delle ossa adulte e perfezionate sommini- strarono a' contendenti scrittori argomento di mól- te ripetute sperienze, in virtù delle qitali il celebre anatomico pavese asserisce diniostrata cellulosa la fabbrica delle ossa; laddove il eh. fisiologo di Bold^ 8 Scienze gna trovasi per esse persuaso „ ossiiim tuberà, ma- joremque vel minorem cavi medullaris partem cel- lulosa gaudet textura, corticem vero, sive cilindrica, sint ossa, sive complanata, fibris et laminis compin- gi „. Arrise di già a tal divisamento il Beclard ; il quale, dopo aver richiamato ad esame le opinioni de- gli autori, ne conchiuse doversi ammettere nelle ossa le lamine, le fibre, le areole, queste piìi marcate nel tessuto spongioso, quelle piìi sviluppate nella sostan- za compatta. Ma siccome da un processo istesso, qual si è questo della macerazione, si trassero diversi risulta- menti, e ciascuno intese di veder favoreggiata la propria sentenza; cosi non riputiamo inutile per di- singanno de' lettori il trascrivere originalmente il metodo dal prof. Medici tenuto nello istitutlre i suoi molti cimenti e sulle ossa cilindriche e sulle piane, e su quelle della umana specie , e su quelle dei bruti. „ In acido idro-clorico dlluto demersi partem femo- „ ris secundum longlludlnem secti. Quae cum dls- „ cretum mollitudlnis gradum assecuta fuerlt , „ non modo in superficie externa internaque , „ sed etiam in parietum crassltudine textum fi- „ brosum ostendit. Maceratione diutlus perdu- „ età, adeo in quibusdam ossls punctis molllties ,. increvit , ut quidam se se attolerent fibrarum „ flocculi , vel fasciculi , in qulbus ut diligcn- ,, tius incumberem , os e menstruo eduxi , inque „ vini spirltum infudl. Jucundumque visa fult hos „ peniciilos in limpido liquore, quotlescumque vas, „ quo ille continebatur , coramovebam , lluctuare. „ Quorum fibrosorum fasciculorum nonnulli cum „ se se ab osse sujunxissent , vaslsque petiissent „ fundum, sensim adeo liquorem defudi, ut ejus- Rivista medica 9 „ dem vasis fundo adhaeserint; aerlque, ut exsicca- ,, rentur, exposui. Interna vasis superficies atro erat ,, colore obducta, flocculi levissime suljflavi, ideo- ,, que eorum fibrae nudo vel oculo tam dare aspi- „ ciebantur , ut nihil ultra requirendum esset. „ Erant, ut ita dicam, figarae albae in area nigra. „ Reliqua ossis pars acido minus subactas fibras „ evolutas, liberasque minime ostendebat. Id tamen „ praestitit, ut fibrae partim detectae, propriisque „ in sedibus adhucpermanentes opportunitatemper- „ belle pollicerentur suam dignoscendi dìrectio- „ nem, suumque incessum. De qua quidem dire- „ ctione ut me ipsuni magis magisque tutiorem ,, redderem, non solum ossa moUissima ac humore „ perfusa, sed etiam ossa in vario sìccationis gradu, „ quin imo ossa post macerationem prorsus exsicca- „ ta pervestigari. Quae sane difFerentiae quantum „ valeant ad osseum textum sub diverso aspectu „ porrigendum, possibilemque in observatoris ani- „ munì injiciendam securitatem quisquìs in hoc ad- ,. ministrationum anatoriicarum genere versatus „ facile profitebitur.,, Ognun ravvisa da ciò esser di- retto il riferito processo alla sottrazione della terra animale per conoscere la struttura delle ossa ; ognun d'altronde ravvisa non discorrersi in esso dell'azion del fuoco, di cui neppur fece menzione il Medici negli altri suoi scritti, cosicché a torto incol- pato egli viene dal Rudolphi di Berlino dell' uso di un tal presidio , che cjuesti dichiara inammissibile, sebbene alla fine potrebbe dirsi praticato dal cele- bre Leopoldo Caldani, il quale se riscontrò lamine neir osso bovino, non le vide giammai nell' ossa umano. io Scienze Nel femore umano pertanto osservò il Mecticij siccome di sopra si è detto , fibre longitudinali ; parallelle in genere, tal fiata fra loro discostanti ed oblique; rassomigliando cotal disposizione delle fi* bre ossee a quelle nervee descritte dal Prokaska e dal Reil, ed ai filamenti delle cortecce delle piante rappresentati dal Malpighi. Biforente talvolta ap- parivano, nel mentre che emettevano altre da un lato un filo clie o con obliquo o con trasverso an- damento andava con altra fibra a comunicare. So- miglievole organizzazione egli rimarcò nella tibia umana di fibre e di lamine, non che nell'osso dell' omero, siccome si legge nelle figure dell' annessa tavola superiormente menzionata. ^ Dalle sperienze poi istituite nelle ossa piane emergono le medesi- me e forse più evidenti dimostrazioni di fibre, di lamine, di fimbrie nelle ossa parietali ed occipitali spettanti al cranio di diversi uomini. Cosicché non dubita asserire ,, corticem eorum laminis sibimet ,, ex ordine impositis esse constructum. „ Ne al- cune particolarità risguardanti la struttura delle ossa del cranio è giusto di pretermettere, le quali anderemo colle parole stesse del N. A. a riferi- re „ diductis in utraque superficie lami* „ nis nonnullis, et aliquando externa tantum di-* „ ducta, obviam se se oculis offerunt permultae vel „ appendices vel fimbriae, vel filamentorum por- „ tiunculae, protensae, et veluti jacentes in super^ „ ficie proxime supposita laminae, aut amotae, aut „ eversae. Paullulum complanatae apparent, vide- „ turque quamdam eas vim compressisse. Sunt ,, multiformes. Exhibent aliae portionem unius fi- ,, li variae longitudinis, aliae sunt bifurcae, aliae „ crucis instar eflìctae, ramosae aliae, omnes por- Rivista medica. H „ ro ita moLiles, ut acus acie erigi possint, atque „ undique flecti, quamvis suis, ut ita dicam , ra- „ dicibus profundiori ossium parti firmiter ad- „ haereant. Quae quidem appendices in lamina su- „ periori vel vestigia sui impriniunt , vel illam „ perforant, et quodammodo astringunt cohibent- „ que. In nonnullis tamen ossium spatiis appendi- „ ces istae desunt, laminaque superior spatiis iis „ respondens nec impressa est, nec perforata, sed „ levis et continuata. Idem de secunda lamina, de „ tertia, deque aliis affirmo. Sed ad penitiorem os- „ sis partem procedendo, fimbriarum vel appen- „ dicum cresci t numerus, congruenterque laminae „ magis magisque aut imprimuntur, aut perforan- ,, tur. ,, (Della verità delle quali cose esibisce il N. A. nelle figure la dimostrazione) „ Ossis autem „ centrum fimbriarurti congeries tota est, tomen- „ tum efficiens , quod in naturali ossium ambiti* „ cuspldcs, vel sagittas quasdam emittit limbum ,, costituentes denticulatum, quae paribus aculeis „ ex osse contiguo exeuntibus sese innectendo sa- „ turas excitant. Patent cellulae eo in tomento per- „ multae , unde oritur diploes , quae propterea „ quod minus dura coactaque est, quam reliqua os- „ sis pars, sinit ut vehementum ob ictum capiti „ inflictum internum ita d ictum cranii tabulatum „ dimoveatur, ab externoque recedat. Ast ex plu- ,, rimis conflatur utrumque laminis. Cui adden- „ dum est fimbrias nonnumquam sui indicium „ praebere in externa cranii emolliti superficie , ,, quin lamina aut dempta, aut eversa sit ulla, pa- ,, riterque in craniis nulla maceratione subactis-r „ In limbis porro lateralibus, externisque parieta- „ lium in suturam squamosam desinentibus firn- 12 Scienze „ hrlae vlslbìllores sunt, laminarum autem sepa-» ,, ratio difficilior, quocl ossei corticis imminutioni „ tribuendum videtur. Haec interea cranli structu- „ ra differì ab ea quae ad ossa pertinet suprade- „ scripta , ad aliaque, de quibus verba facturus „ sum. In bisce enim omnibus appendices ex la- „ minis exstantes fibrarum, quibus laminae ipsae „ intexuntur, portiones sunt, dum in cranio sejun- „ guntur laminae , quin appendix ulla iis adhae- ,, reat. Quin imo appendices omnes, postquara la- „ minas perfora verunt, in propriis slstunt sedibus, „ ossiumque centro oriuntur. Non deerit fortasse „ qui hanc cranii structuram nimis artificiosam i „ inusitatamque existimet Sed quaestio „ quaevis est supervacanea. Agi tur de factis. Per- „ vestigentur patienter , et procul partium studio „ bumani cranii ossa, posteaque an ego hallucina- „ tus sim, an naturae opus baec corporis organa „ molientis attigerim judicetur. „ Avendo poi il N. A. arricchito le sue osserva- zioni con esperimenti tentati nelle istesse forme sulle varie ossa dei bruti diversi, attesta averne ognora conseguite le istesse risultanze. Dall' esame delle cilindriche e piane ossa bovine, che accurata- mente descrive, s'impegnò a ripeterne i cimenti nel- le ossa delle pecore, dei cani, dei gatti, e dei coni- gli. Che anzi a maggior dilucidazione della cosa, scb- ben già apertamente dimostrata con le altre sue sperienze, ìnstituir volle un esperimento in ossi di bue trasversalmente recisi, trattandoli quale coll'aci- do idro-clorico, e quale col nitrico; ed innumerevoli fibre manifestamente osservò tamquam spissum por- rectumque capillamentunij qual lo dipinge nella re- lativa figura. Rivista medica ^3 Per tal modo il valore delle analitiche osserva- zioni del eh. prof. Medici aggiugne il colmo delle prove le piìi dimostrative alla opinione da essolui sostenuta. E bramoso forse il N. A. di convincere piìi luminosamente i leggitori dell' abbaglio, in cui per questo istesso mezzo di osservazioni cadde il cel. anatomico di Pavia in riporre fra i sog^ni e le chi- mere la presenza delle fibre e delle lamine nell' os- sea tessitura che questi fermamente ritenne per cel- lulosa , non omette d'investigarne alcuni motivi che ragione ci rendono della discrepanza di avviso e di resultanze. Cimentò lo Scarpa le ossa umane; ma in queste non nega il Medici esser piii difficile otte- nere le lamine. - Istituì il primo gli esperimenti suoi negli anfibi, nei rettili, nei pesci; ma non si co- nosce se essi eran giunti ad epoca di età matura , e tace le esperienze sulle ossa bovine, sulle quali so- lertemente s'intertenne ÌI secondo. - Usò il Medici l'acido sempre diluto ne' suoi esperimenti , affin di serbare intatta la naturai tessitura delle ossa; ne per cotesta industria, egli dice, possono ritenersi artifi- ciosamente nate le fibre e le lamine,le quali certamen- te non si ravvisarono nelle sostanze delle tuberosità e nelle ossa dei feti, sebbene trattate al pari di quel- le degli adulti con gli acidi medesimi operanti sol- tanto la sottrazione della terra animale, rendendo così svelata la naturale struttura delle ossa, - Si val- se il Medici degli acidi sempre diluti, laddove le ma- cerazioni operate cogli acidi concentrati perturbano la organizzazione primitiva delle ossa , e diflformano e cancellano anzi le lamine e fibre delle medesime ; lo che ebbe motivo di riscontrare lo stesso fisiologo di Bologna usando dei secondi, per l'azione dei qua- li vide la commutazione delle ossa in gossjpium vel 14 Scienze tomentum. - A compimento della sottrazione della terra animale operata già colle infusioni delle ossa negli acidi , usò da ultimo il Medici la macerazione neir acqua: lo che pur qualche avvertenza richiede. Da che se essa, e singolarmente nella state, a lungo protraggasi, distruggonsi pur le fibre e le lamine , siccome addiviene in ogni altro fibroso tessuto ; lad- dove se sia entro certi limiti circoscritta, evidentissi- me offre e lamine e fibre. - Non vuoisi finalmente passar sotto silenzio, che più agevolmente rimarcan- si le lamine nelle ossa cilindriche dei bruti, che in quelle della specie umana, mentre 1' opposto si ris- contra nelle ossa piane. Conchiuder dunque fia lecito, che le sintetiche e le patologiche osservazioni a somministrar non va- gliono un plausibile e giusto criterio per isvelare e conoscere la primitiva forma organica del tessuto os- seo, e che „ observationibus analyticis solis adhi- „ benda est fides, quae ubi rite sciteque peragan- „ tur , ita videlicet ut naturalis ossium organisatio „ servetur incolumis, eorum corticem fibris lamlnis- „ que strui dare aperteque testantur „ . Non man- ca pertanto nell'attuale stato della quistione, che l'e- same imparziale ed il savio giudizio dei dotti per ri- solverla, II. Conseguita altra memoria a quella , di cui si è finquì tenuto proposito ; ha essa il titolo di - Ex- perimenta et consideratlones de mota cordis^ et de sanguinis circuitu.-Scopo del prof. Medici si è nella medesima dimostrare, all'appoggio di esperienze e di ragionamenti, esser piìi conciliabile col divisa- mente sostenuto dal Wilson la soluzione delle già Rivista medica 15 promosse tllfficolta alla opinione degli altri fisiolo- ghi difesa recentemente dal Legallois. Ritiene per tal modo il N. A., ascrivendosi al parere dello scrit- tore inglese, e fiancliiaggiato dai nuovi per esso isti- tuiti cimenti, che non per la diretta azion cerebrale della spinai midolla e dei gangli eseguiscasi il movi- mento del cuore e la circolazione del sangue, ma bensì per opera dei nervi cardiaci; giacche, se godo- no i nervi di una forza lor propria, bisogno non hanno della integrità del sistema nervoso per prov- vedere alle funzioni di quegli organi, alla formazio- ne dei quali concorrono. Son pertanto i nervi car- diaci che somministrano alle fibre carnee del cuore gli argomenti che le rendono irritabili:,, Suum ner- „ vis cardiacis tribuatur, et exinde colligetur eo- f, rum actio in cordis motu atque in sanguinis cir- „ cuitu sine apparatus cerebro-spinalis auxilio.,, A tale disimpegno di officio opina il Medici essere del- la composta indole organico-dinamica 1' azione dei nervi cardiaci; e dileguate egli ravvisa con tal con- ghiettura le già memorate difficolta. Da che ammes- so, risiedere negli stessi nervi cardiaci l'azione dei nervi necessaria al cuore, comprendesi agevolmente perchè compiasi la circolazione del sanguigno flui- do nei feti acefali, negli animali decapitati, ed in quelli nei quali si distrusse lo spinai midollo; e per- chè fornito sia di nervi il cuore; e perchè per 1' a- zione dei patemi dell' animo commovasi. Ma non pili oltre su tale argomento, avendone già reso con- to in queste carte al quaderno di maggio e giugno 1834 e 1835 nell' aver tenuto ragionamento del ma- nuale di fisiologia dello stesso prof. Medici, che pur ivi trattò cotal subjetto. 46 Scienze III. De quadam cordis diruptione, vel potius rosione, deqiie nonnullis considerationibus phjsiologico- pathologicis ad eam spectanctibus.-Cum duabus tabulis litographicis. Bononiae 1 834. Due cose ti propone il prof. Medici in questa dottissima memoria , dopo aver premessa la de- scrizione del morbo di cui fu vittima il paziente : squittinare cioè il modo con cui avvenisse codesta erosione del cuore , le crasse e robuste pareti del quale perforandosi, non chiamarono in isce- na c[uel gravissimo e terribil quadro fenomeno- logico che associarsi suole alle altre morbosità ledenti piìi o meno la tessitura di questo visce- re : indagare se alla erosione del cuore tribuir debbasi la cagion della morte, ovvero ad un vizio dell'encefalo, di cui nella seguente istoria si riferi- sce la descrizione. Singolare è di sua natura il caso, ed interessanti tornano le quistioni che il sublime filosofo di Bologna si propone a discutere senza il modesto convincimento di risolverle appieno. Un tal Luigi Sblisiga bolognese, sessagenario, sellaio, ottimamente conformato e nutrito, sorpreso da gravissima e perfetta emiplegia del sinistro lato del corpo nel 21 aprile del 1830, venne in quel giorno stesso ricevuto nel maggiore spedale di det- ta citta, senza offrir sintomi ad altra malattia per- tinenti. Si attenne indarno il prof. Medici al metodo antiflogìstico, e quindi alFuso dell'estratto alcoolico di noce vomica ( da un quarto di grano fino a cin- que grani se ne portò gradatamente la dose ), ai ve- Rivista medica i H sclcatori, alle frizioni fosforate. Nel tempo d'elTesti- ve vacanze il dottor Bacialli, che del professore so- steneva le veci, altri presidii con somma prudenza pose a contribuzione, fi'a' quali non sono a tacersi r uso interno ed esterno dell' ammoniaca, altro ve- scicatorio , ed il raoxa fra le scapule colla mira di rivellere. Rinvenne il Medici al suo ritorno l'Infermo nel medesimo stato, e volto anzi in peggio per T an- damento cronico del morbo. Si appalesarono quindi nel dì primo del seguente dicembre manifesti fe- nomeni di turgor vitale-* per lo che venne un salasso istituito, e ripetuto poscia per la ragion medesima in sul declinare del mese. Al primo giorno del se- guente gennaio apparve un certo dolor precordiale con una certa difficoltà di respiro , ed applicaronsi delle sanguisughe all' anterior regione del torace. „ Sed postridie sine sensibili morbi incremento , ,, sine ex trema virium defectione, suique compos ,, aegrotus improviso ex vita decessit „. Le necroscopiche indagini svelarono quanto siegue. Fra la dura meninge ed il destro maggior lobo del cervello si rinvenne un abbondevole ver- samento di siero sanguigno al peso di circa una li- bra: rossa la intera superficie del lobo: turgidi i vasi tutti: il tessuto di esso lobo presentava nella sua parte posteriore una sostanza giallognola sciolta e corrotta: sì profonda era codesta lesione, che cancel- late scorgeansi quasi le cerebrali circonvolazioni : se irregolare non fosse stata la sua figura, sarebbesi potuto equipararla ad un mezzo scuto. Niun segno di offesa rin\arcavasi nel tessuto piìi profondo del lobo, nelle rimanenti parti del cerebro, nel cervello enei midollo allungato. - Rappresentava il pericar- dio tm' ampia e tumida vescica di atro-rosseggiante G. A. T. LXXI. 2 18 Scienze colore, e trasparir vi si scorgevano de' corpicciuoU nuotanti in un liquido, che vi si conteneva, il quale al peso di circa tre libre nell' apertura del sacco si conobbe essere in parte un siero rosso ed in par^ te fibrina. JNfon declinava, a riserva del colore ros^ so-fosco, dallo stato fisiologico la interna membrana sierosa del pericardio e la esterna fibrosa. Corri-' spondeva il volume del cuore alla età ed all' abito dell'infermo: naturali n'erano la figura, il colore, la densità del tessuto, ma nella sua media ed anterior faccia rimarcavasi una macchia di color di melo- grano, che ben lavata e diligentemente si conobbe essere un vero forame, in cui lo specillo introdot- to penetrò agevolmente nel sinistro ventricolo del cuore. Era esso dunque una rottura del cuore, per cui uscito n' era il sangue raccolto nel pericardio, ed ivi diviso in siero e fibrina. Il lume del forame ammetteva appena un' ordinaria penna da scrivere; dilatato il medesimo fino alla cavità del ventricolo, costituir si vedeva un vero condotto, di cui Ja su- perficie era molle e del color del granato, siccome dell' istesso color del melo grano e della stessa mol' lezza si era pur l' inferior parte dell' ventricolo me- desimo, il quale nel rimanente era perfetto. Total-" jnente superficiale si era codesta offesa , ne alcun vìzio venne dato di riscontrare nel fondo del ven^ tricolo e neir apice del cuore» Compiuta la descrizione de' necroscopici tro^ vamenti, s'impegna il eh. A., con quella solerzia e dottrina che gii è propria, in ricercare quali fossero gli argomenti che la rottura del cuore operassero : se fra le improvvise e violenti meccaniche azioni la- ceranti ad un tratto le fibre del tessuto del viscere squittinar se ne debba la ragione, o se questa un Rivista medica 19 effetto fosse di cause lentamente ledenti la sostan- za di queir organo : la quale ultima conghiettura meglio aggrada al N. A. di abbracciare. Lungo sa- rebbe il tutte qm riferire le anìmadversioni singo- lari con tanta sapienza sparse suU' argomento , ma sommariamente a riferir ci facciamo le principali di esse, che T opinion di lui valgano a dimostrare. Si offre in sulle prime il dubbio, se a pregressa llo- gosi tribuir si debba il patologico avvenimento in quistione : ma il Medici discostandosi dal parere del cel. Testa non vi consente: e tanto più, quanto che sebben quest' ultimo non impugnasse la possibili- tà di rottura del cuore per la sola azione di cau- se meccaniche , pur non dubitò di asserire che in- dizio forse di preceduto flogistico processo non sia giammai mancato, talché il grado pur semplice di rammollimento od oscurazione di colore dalla in- fiammazione dovesse ripetersi. E contro la manìa oggidì invalsa di tutti derivare da un tal processo ì mutamenti o trasformazioni organiche, quasi che senza llogosi o cronica o acuta o lenta o sorda non potessero quelle appalesarsi , riflessioni accumula e ragioni sode per escluderla ove i sintomi pro- pri di essa non sieno fatti sensibili. Vari canoni fisiologici, già nelle sue opere sviluppati, pone in campo il N. A. sul rapporto della riproduzione per desumerne quindi, che alterar si possono e local- mente e generalmente le organiche molecole ele- mentari e fluide e solide , separatamente le une dalle altre; che le seconde tui'bar si possono sen- za r opera delle prime, e che in quel modo stesso con cui pervertesi in genere 1' organizzazione de* solidi, senza flogistico avvampamento di tutto l'or- ganismo, alterar si possa e scomporre indipenden- 20 Scienze temente da infiammazione il tessuto peculiare di una parte del corpo. Glie se dal concorso di due condizioni materiali risulta 1' organizzazione, della chimica cioè e della meccanica; dal pervertimento o deli' una o dell' altra sorger possono molti e sva- riati vizi locali della organizzazione. Le variate prO' porzioni dei principali e primitivi elementi risguar- dano la prima, come dell'ossigeno, idrogeno, carbo- nio, azoto , calce, ferro, fosforo ec ; la densità , la figura , la distribuzione ec: spettano alla seconda. Il pervertimento poi di tali condizioni può inge- nerare maggiori vizi se riunite concorrano nell'al- terazione, e se ledasi ancora 1' equilibrio delle fun- zioni di assorbimento e di esalazione. Ne quest' ul- timo disquilibrio può essere esclusivamente parto- rito da processo flogistico, potendo queste due di- namiche operazioni pervertirsi, sebbene non soffra r organizzazione un cangiamento nel modo e nel grado simiglievole a quello che dalla flogosi si esi- ge. Se la flogosi per fermo è un modo o forma di una peculiare organica trasformazione, non ne sie^ gue per certo che ogni trasformazione organica pro- mani soltanto da flogistico processo. Che tanto lato e profondo esser può il fonte degli organici vizi lo- cali, da non escluderne a parere del N, A. la forma- zione di quei tessuti , cui piacque a Beclard ap- pellare accidentali, come i tubercoli, lo scirro, il carcinoma, la melanosi , e gli altri tutti, dei quali favellarono Dumas, Cruvellier, Mckel, Buffalini, ed altri dottissimi scrittori. Discende dopo tali premesse il sig. Medici a manifestare la possibilità della corrosione della so- stanza del cuore, senza l'appariscenza di que' lela-» li e gravissimi morbosi fenomeni che accompagnar Rivista medica 21 sofgliona altra volta le men gravi e men profande lesioni di quel viscere; siccome del pari addiviene di rinvenire o nelF epate o nel polmone o nell'en- cefalo colle necroscopiclie indagini le più sorpren- denti patologiche mosse senza che indizio veruno proprio e patognomonico pronunciate ne avesse in vita le rispettive morbosità, dalle quali esse deri- varono. Concesso il giusto valore alla memorata possibilità di avvenimenti, contemplar si debbe la lentezza con cui nell' andamento loro procedono codeste corrosioni. Quindi è che il N. A. apprezzan- do pure r imperio delle forze meccaniche e delle chimiche sulle funzioni della vita, è di avviso, che la somma lentezza, con cui e meccanicamente e chi* micamente si operano tali corrosioni molecolari , faccia si, che dove queste accadono , ivi gli effetti consistano; e perchè illese serbansi le altre parti, egli è perciò che mancano per necessita que' sin- tomi che dalla preternaturale loro azione deriva- no , e per vinili della somma lentezza del mor- boso processo mancano altresì o appena adombrati rimarcansi que' fenomeni, che propriamente spet- tano air organo in cui la sede del morbo è stabili- ta. Fiancheggia il Medici tali sue assertive con l'ap- poggio di varie patogeniche dilucidazioni sulla car- dite acuta e lenta, da quest' ultima scendendo alla lesione di un qualche punto del viscere senza flo- gosi; e ne conchiude „ ... admodum probabile mihi „ videtur, quum organicae degenei-ationes occulto „ secretoque modo procedunt ( praeter lentitudi- „ nem praedictam ), opus dissolvens in cellulari „ autprimiter, aut facilius fieri, quae quum hinc „ mmus alacriter quam caeteri textus actionibus „ omnibus afficiatur, quumque illinc fibras cun- 22 Scienze „ ctas circumdet, ac limitet, et quaJantenus sepa- „ ret, eas ad degenerationeni sensim parat, eisque „ communicat, ut tota localls organica compages „ demum corrumpatur „. Sul conto finalmente della cagione ultima del- la morte del suo infermo , se dai trovamentì ne- croscopici entro il cranio o piuttosto dalla lesione del cuore ripeter debbasi , non rìsguarda il N. A. esser conciliabile colle funzioni della vita una rot- tura del cuore con versamento di materiale sangui- gno al peso di circa tre libre nel pericardio. Av- verte nulladimeno che precede alla morte qualche indizio dimostrativo di derivarla dalla offesa cere- brale , poiché esclamò l'infermo presso a morire, che gli si togliesse dal capo il grave peso che Top- primeva: „Tollite, quaeso, tantum onus, secus mo- „ riar. Haecque verba pronuncians, extremumef- ,, fudit spiritum „. Altre riflessioni pur concorro- no a statuire piuttosto nel guasto cerebrale la re- pentina morte, ma non mancano di peso le altre che fan piegare il N. A. a derivarla della rottura del cuore. Sebbene poi modestamente conchiuda :„Non- „ ne aegroti nostri mors utrique causae abscri- ,, benda ? „ IV. De mira quadam costae reproductione. Observa- tio cum tabula litografìca.-Bononiae 1835. Alla verità non più in oggi impugnata della ri- produzione dell'osseo tessuto aggiunge novello argo- mento di conferma la presente osservazione. Ra- rissimo egli è il trovare associata la nobiltà dei Rivista MEDtcA 23 fiatali air amore ardentissimo delle scienze o delle naturali discipline. Degno d'imitazione rendesi sot- to di un tal aspetto T egregio giovane conte sig. Giovanni Bentivoglio , che riunendo in se queste doti non comuni aveva già tratto dal pericolo di morte una pecora di 14 mesi di età, da lui cimen- tata con legatura e taglio di porzione della carotide primitiva sinistra. Altro sperimento volle nella me- desima istituire, di porre cioè allo scoperto, dopo la recisione dei comuni tegumenti e dei muscoli intercostali del destro lato del torace, la prima co- sta spuria, asportandone la parte media nella lun- ghezza di un'oncia e piìi del pie bolognese; il pe- riostio ancora e porzioncelle dei muscoli interco- stali vennero asportate, ma intatta si serbò la pleu- ra. Niun incidente molesto intervenne, airinfuori di una lieve emorragia : coli' aiuto di una sutura cruenta rimarginò la ferita in quindici giorni. To- sto risanò 1' animale, e prospero visse per altri tre anni e mezzo. Perito essendo quindi di fame per incuria del custode, fa assoggettato alla sezione il cadavere. Ninna offesa si rimarcò nella pleura e nel polmone : che anzi tanto apparato d' integrità vi si scorgeva, che sembrava non essersi ivi eseguita la or divisata operazione, di cui manifestavano il punto la cicatrice esterna degl' integumenti e Tade- sione di questi ai muscoli. La costa, nella quale era- si la riproduzione compiuta, presentava quasi na- turale e proporzionata la curvatura propria delle altre, sebbene alquanto piìi depressa in virili della minor crassezza del nuovo pezzo riprodotto. Inu- guale mostravasi la esterna superficie di essa , e tre piccoli vani vi si scorgevano privi di ossifica- zione e perforanti la costa, che aprivansi nella in- 24 Scienze terna levigatissima di lei superficie. Alcune asprez- ze pur si notavano ne' margini senz' altra discre- panza di note fra il novello pezzo e 1' antico. Disse- cata longitudinalmente la costa, si rinvenne fra la porzione riprodotta e la vecchia dell' osso una rea- le continuità dell' organico tessuto osseo , e somi- gliantissimo al primo il novello riprodotto , la so- stanza però di cui era piii densa e compatta. Entra quindi il N. A. nel vasto campo delle fisiologiche dottrine, e si sforza con ogni maniera di ragioni e di argomenti rendere opportuna spiegazione del fatto, applicandovi i suoi principii fisiologici spar- si già nelle sue opere, e nel suo applaudito Manua- le. Seguendo egli i pensamenti del Blumenhach, due modi di riproduzione accenna, di forma V uno , di materia 1' altro, e stabilisce esser la prima ,, rege- „ nerationem cuiusvis textus praeditam ordine par- „ tium, unde formae organicae emergunt: ,, laddo- ve la seconda si ha quando ,, prò textu ablato „ sese offert substantia formis organicis destituta, „ siveamorpha, quae vel eadem scatet chimica com- „ sitione, qua partes absumptae donabantur , vel „ ab ista plus minusve recedi t ,,. Statuite queste divisioni, s' impegna a dilucidare con vari esempi e con riflessioni sul processo riproduttivo cjuali sieno i casi, nei quali o l'uno o 1' altro dei precitati modi di riproduzioni avvenga, e con quali condizioni: co- me anche quali sieno i casi, nei quali possa essere ciascuno di questi modi manchevole, discostandosi dai tipi organici il niso formativo a in quantità o in qualità. La riproduzione quindi alle altre supe- riore è quella „ in qua et novae formae organicae, „ novaque materies a formis atque a materie prae- „ xistentibus haudquaquam discriminantur „. £ Rivista medica 25 l'ossea riprotluzione, di cui qui è parola, noverar si debbe fra le ben assolute e perfette riproduzioni, sic- come il conferma la identitk di struttura o delle for- me organiclie cosi nelle parti laterali o antiche della costa, come nella porzion media recente o ripro- dotta. Manca, e vero, per l'ultima e più concludente delle prove 1' analisi chimica del pezzo riprodotto dal N. A. non eseguita per il piacer di serbarlo sen- za distruggerlo; ma in onta di ciò è pur dimostrata l'identità della parte dagli effetti indotti in questa dall' azione dell' idro-clorico. E per mirabil magi- stero della natura si operò codesta riproduzione nel- la disposizione ed ordine pur delle forme esterne, non avendo mancato pur di riprodursi il novello periostio, che limite costituir doveva alla direzio- ne ed apposizione del succo osseo. Argomento e su- bietto di meditazione offre d' altronde cotale avve- nimento non solo ai fisiologi, ma ai cerusicì ancora per trarne felici risultanze nei casi patologici, an- corché compiuta non si conseguisse in tutt'i numeri la riproduzione dell'osso asportato. E che, sufficien- te esser non può allo scopo vicario di questo la ri- generazione della sostanza, o sia il tessuto manche- vole delle pristine organiche forme, o consista sol- tanto nella riproduzione della materia ? Al qual ef- fetto volle il N. A. ulteriori esperimenti istituire ne- gli animali a sangue caldo, siccome lo Spallanzani li aveva di già praticati negli animali a sangue freddo: e dai medesimi, col felice successo che ne ottenne di lodevole e prodigiosa riproduzione, venne egli tratto costantemente a conchiuderne , che gode V organi- smo di una forza insita capace di operare qi^Isiafì riproduzione di materiale. ( sarà continuata ) TONELLI. 26 Di alcuni singolari stabilimenti rurali in America. V/uali e quante mai fasi non presenta il conti- nente americano alla filosofia della storia, e ad uno sguardo scrutatore , che si volga alternativamente al confronto di quel nuovo mondo coll'antico! Igno- to pochi secoli indietro al genio europeo, arresta le vele d'un audace nocchiero d'Italia , e ostenta due vasti imperi organizzati sovra una strana foggia di civiltà. Un pugno d'avventurieri vale a debellare milioni di nativi armati , e ad introdurvi una re- ligione tanto opposta all' antica , quanto è il vero dal falso. La ferocia de^conquistatori opprime i vin- ti fino allo sterminio , e quindi a supplire alla de- ficienza di essi cerca e rapisce all'Affrica vittime no- velle per immolarle col peso di lavori enormi e mi- cidiali sul terreno conquistato. L' emulazione d'al- tri naviganti esplora nuovi mari , invade nuove re- gioni , e giunge a dimostrare col fatto la sfericità della mole terraquea , che sospesa e mobile nell' immensità degli spazi del sistema solare sostiene i hostri passi. Vaste ed insalubri caverne vi divorano migliaia di vite prima di lasciarsi rapire le ricchez- ze metalliche, lusso d'ogni ornamento^ e misura e rappresentanza di ogni merce in tutti gli slati del- la terra- Si fondano colà novelli stati r e potenze europee » che respingono gli indigeni verso le più Stabilimenti d'america 27 inospltl terre, ingigantiscono in brev'epoca, e giun- gono ad emulare l'industria e la possanza delle madri— patrie. Si nega a quelle regioni l'antichità de' grandi regimi sociali , e l'esistenza di vetusti monumenti del potere e dell' industria : ed ecco che si scuoprono magnifiche vestigie di città gran- dissime anteriori alle fondazione degli imperi del Messico e del Perii ; e fregian cosi quei terreni an- che dell'archeologico decoro. Queste e cento altre circostanze sono oggìmai pili o men cognite , e prese a soggetto di storiche meditazioni : ma altri fatti tuttora trascurati , o mal noti, possono presentare interesse ulteriore agli studiosi delle vicende delle regioni e delle nazioni. E fra questi fatti mi cade attualmente la considerazione su di un avvenimento, dirò così , di storia civile geo- logica , ossia suir immigrazione che coli' uomo, tra- versando vasti oceani, fecero nell'America varie spe- cie di animali domestici , e le sorti che ivi incon- trarono. È noto che quando le romane conquiste si estendevano nell' Asia e nell'Affrica ne recavano in Italia , in un colle torme degli schiavi , e colle spoglie opime de'vinti , anco nuove specie di utili piante ed animali , che si naturalizzarono in que- sto suolo e formarono una progenie di dovizie , che anche a traverso della diuturna oppressione de' bar- Lari è fino a noi pervenuta. Gli spagnoli però e gli altri esploratori e conquistatori delle regioni ame- ricane del secolo XVI, posti in circostanze diverse, non solo stabilirono di trarre dal nuovo mondo in Europa le ricchezze minerali , animali , e vegetali ; ma vollero altresì in retribuzione , o piuttosto co- me testimonj delle fatte conquiste , recarvi e la- sciarvi gli animali domestici piìi utili , il cavallo. 28 S e I 6 « Z £ la vacca , il porco , e la pecora. Anzi allorquantlo' le navi europee non potevano lasciare uomini a popolare i vasti spazi dell'America australe, vi ab- bandonavano alcune coppie de'suddetti animali, af- fidando ad essi il libero dominio di quelle terre, nell'intendimento però, che ivi moltiplicandosi quel- le specie recassero vantaggi ai successivi invasori. In fatti emancipati quegli animali dal dominio dell' uomo, e posti in suolo feracissimo, si accrebbero a dismisura in istato di selvaggia liberta, od ap- pena ritenuti come proprietà da qualche europeo stabilito nei luoghi. Sovente l'avidità mercantile si rese ove quegli esseri sono pili copiosi ed indipen-' denti, dichiara istantemente col fatto una guerra micidiale, e della strage fatta esporta solo le sala- te cuoja in trofeo per ridursi in suola, ed abbando- na alle bestie carnivore le denudate carcasse. Su tal proposito merita speciale osservazione l'odierna repubblica dell'Uraguai, il cui suolo oc- cupato già dalle vaganti tribìi dei guarani, che ne vennero espulse dai portoghesi, viene in oggi popo- lato da cavalli, vacche, ed uomini, e diviso in no- ve Provincie , delle quali è capitale Monte-video. Pongo in luogo secondario gli uomini, poiché que- sti vi figurano appena in numero di 700,000 in- dividui sopra un'estensione di oltre 60,000 miglia quadrate, cioè in proporzione di poco piìi di una persona a miglio, mentre circa 82 ne conta la no- stra Europa, e piìi centinaja le contrade piìi popo- late di essa. Gli animali poi suddetti vi esistono in numero di circa 8 milioni , in guisa che se i cavalli avessero l'intelligenza, che finse loro il fan- tastico GuUiver, potrebbero agevolmente soggioga- re quella scarsa popolazione umana, la quale ap- Stabilimbnti d' america 29 punto vive nella massima parte colla carneficina quotidiana di quelle numerose mandre. Ad eccezio- ne adunque della capitale, che conta circa 10 m. abitanti, dei paesi di Colonia e Maldonado, nei quali esiste qualche popolazione riunita, il rimanente del- la repubblica è formato di stabilimenti rurali chia- mati estanciasj dei quali vogliamo dare un cenno desunto dagli archivi di commercio dell' anno scorso. Ogni estancia adunque si estende per uno spa- zio, che varia dalle 4 o 5 leghe quadrate fino a 50 e 60. Si calcola, che una lega quadrata di terra basti al nutrimento di 1000 a 1500 animali. L' abitazione del proprietario è situata circa il centro dell' estan- cia, e si compone di tre o quattro tuguri situati in modo da formare una specie di corte. Il primo e più importante serve di abitazione al padrone e sua famiglia: il secondo è destinato alla cucina, e luogo di riunione de' negri e degli impiegati: il terzo è il dormitorio, e il deposito degli utensili. Alcune cor- na di cervo o capri o conficcate dalla parte più gros- sa nelle pareti fanno l'officio di attacca-panni, e vi si appendono, oltre gli oggetti di vestiario, anche le briglie, e simili arnesi: il quarto, quando esiste, for- ma il pollajo ed il porcile. Questi tuguri sono costi- tuiti rozzamente, e coperti di paglia e di giunco. In vicinanza evvi un piccolo recinto, ove coltivasi qual- che pianta di cavolo e di cedriolo: ed alla distanza di 100 a 150 passi è situato il corrai, o parco, for- mato di pali alti dieci a quindici piedi conficcati irt terra, il quale serve a racchiudere i cavalli necessari ai lavori del giorno seguente. I lavori d'una estancia sono eseguiti sotto la direzione immediata del capo, Q noaggiordomo, che ha il titolo di capataz , dei ne-» 30 Scienze gri e del salariati chiamati geones. Il vitto di tutte queste persone consiste in un enorme pezzo di Lue arrosto. Quando questo è giunto a cottura, si pianta lo spiedo in un Luco, e ciascuno vi si pone attorno armato di un gran coltello, e taglia, e mangia di quella carne a sazietà. Nondimeno dopo l'arrosto per un uso assai Lizzarro si mangia un pò di lesso, ed infine si Leve il Lrodo, che serve quasi di terza pie- tanza. Il pane ed il vino figurano assai di raro in questi pranzi , ma 1' acqua è la comune bevanda. Schiavi e salariati mangiano insieme, ed il padrone fa altrettanto colla sua famìglia, Non vi è però alcu- na differenza di alimenti, ne nella maniera di cuci- narli: solamente il padrone colla famiglia fanno uso di forchette e cucchiai di ferro battuto, gli altri si servono di pezzi di corno di bue appuntati, e di con- chiglie. Dopo il pasto ciascuno va al suo letto, il qua- le è una pelle di Lue, su cui si stende, a modo di ori- gliere o materasso, la sella e gli altri arnesi; ed il pancho , ossia mantello, serve di coperta.Il letto stes- so del padrone è una semplice stuoia di scarcia ; gli altri individui della famiglia dormono sovra una pella distesa su quattro pinoli. Una volta alla setti- mana gli animali sono riuniti in un dato luogo: il pa- drone li conta, li passa in rivista, e sceglie quelli che deLLono servire al vitto della settimana. Oltre questi lavori aLituali ve ne sono altri, che han luogo solamente una volta all'anno. Il primo ed il piìi es- senziale è quello della merca, poiché la merca costi- tuisce il diritto di proprietà. L'animale, che non ne ha alcuna, appartiene al padrone del campo ove si rinviene, Si fa quest' operazione suLito che i vitelli ed ì poledri sono pervenuti all'età d'un anno. Quan- do poi l'animale è giunto a due o tre anni, si effettua Stabilimenti d'America 31 la castrazione. Finalmente l'ultima operazione, che riguarda l'amministrazione di un estancia, è quello di domare i poledri, e per tale oggetto si attende che abbiano compiti i tre anni. Dal fin qui esposto risulta, che le risorse dei particolari e dell'erario pubblico sono dovute quasi esclusivamente al commercio degli animali predet- ti, poiché r agricoltura e V industria manuale sono quasi nulle in quello stato. Il principale commercio adunque consiste in carne salata, che è esportala al Brasile ed all'Avana. L'operazione della salata si ef- fettua in ispeciali stabilimenti, che sì chiamano sa- ladèros. Il saladero è composto di uno o più appic- catoi per sospendere le carni situate a sette od otto- cento passi dall'abitazione sul punto piìi elevato. Al- cune fosse al pie degli appiccatoi per ricevervi una ;specie di salamoia , che cola dalla carne prima di avere assorbito il sale, e di essersi prosciugata, ed al- cune graticce di legno piantate in terra per lo stes- so oggetto di disseccare le carni, sono presso a poco tutto ciò che costituisce questa sorta di stabilimenti. Questi disseccatoi somigliano interamente agli im- biancato! di tele d'Europa. Vi sono dei saladèri ove si uccidono ottanta a cento buoi per giorno. Non vi è forse al mondo un luogo piìi ributtante di un sala- dero. Gonvien figui'arsi ruscelli di sangue nero e denso, che scorrono in tutte le direzioni, e formano sempre un fango fetidissimo,nel quale il piede si im- merge a mezza gamba. L'estensione di tre o quattro- cento passi è tutta ingombra di pezzi di carne di una sordidezza stomachevole, ed un altro spazio presso a poco eguale coperto di cuoi col pelo , che si fanno prosciugare, e tutt' all' intorno migliaia di crani e di carcasse servono di pascolo a gran quantità di por- 32 Scienze ci, (li cani, di polli, e di augelli di rapina. Questa concerìe d' immondezze sparge attorno, per la cir- conferenza di quasi una lega, una puzza insopporta- bile, la quale sarebbe micidiale, se V aria non fosse sommamente salubre. Oltre ai cavalli addetti a ciascuna estancia, e soggetti al dominio immediato dell'uomo, in cpielle stesse contrade ne esistono mandre, o piuttosto tor- me numerosissime, che sono selvagge e vanno vagan- do liberamente per quelle semi-deserte regioni. Cliiamansi bagunles , e si fa ad esse la caccia con grande apparato. Si riuniscono per tale oggetto al- meno una trentina di persone a cavallo, tutte som- messe alla direzione del capo, per conto del quale ha luogo la caccia. La prima attenzione che si deve ave- re si è quella di conoscere la direzione, che sogliono prendere questi animali quando sono inseguiti. Ot- tenuta questa cognizione, si stabilisce un parco im- menso, ni fondo al quale avvene un altro molto men grande, che comunica col primo per mezzo d'una sola porta; questo serve a stancare i baguales, ed a condurli nel luogo, ove sono poi uccisi. Dall' ingres- so del parco partono due linee di forti pali rinfor- zati con traverse, e prolungate spesso alla distanza di una lega, ed allontanandosi Funa dall'altra in ma- niera da formare una manica, di cui l'ingresso e tal- mente largo, che stando ad una estremiti non si ve- de l'altra. Giunto il giorno della caccia, e riconosciu- ta la posizione dei baguales, il capo dispone gli uo- mini in due bande, l'una all' ingresso della manica, l'altra in mezzo, con alcune giumente chiamate g-z^/c^e dirette a partire di galoppo , e a non arrestarsi se non al fondo del gran parco. Dopo ciò otto o dieci persone facendo un gran giro vanno a dar la caccia Stabili'wrnti d'america 33 ai baguales, irisegiientloli in modo da fare ad essi prendere la direzione dell'ingresso della manica : e ciò effettuano correndo a tutta briglia, alzando gran- di grida , ed agitando larghe bande di tele co- lorate. Allora incomincia la caccia. A misura, che i baguales passano avanti alle persone impostate, queste si uniscono alle altre per inseguire la preda. Colui che trovasi alla guardia delle guide, subito che vede i baguales, da'un colpo di frusta alle guide stes- se le quali partono a gran galoppo. I baguales veden- dole correre, affrettano anch' essi il corso per rag- giungerli, ed entrano così tutti spaventati e senza esitanza nel gran parco. La gente a cavallo vi è giun- ta quasi contemporaneamente, e si pone di fronte al- la porta, affine di dar campo a dieci o dodici perso- ne di scender da cavallo, e chiuderla con grossi pa- li. In questo punto la caccia è terminata : il massa- cro non incomincia che due giorni appresso. I Jja- guales li passano senza mangiare e senza bere, e ciò ad oggetto di estenuarli, e poterli pili agevolmente massacrare. I prodotti di queste caccie sono assai lu- crativi: lo stabilimento di un parco, o corrai^ capace di contenere quattro o cinque mila cavalli, e che esige una spesa di circa 4000 franchi , produce col- la vendita de' suoi cuoi, non compreso il crino, che è pure un oggetto assai considerabile, un guadagno almeno di undicimila franchi. Ciò che troviamo principalmente osservabile negli esposti fatti si è la vita solitaria, e semi-selvag- gia dei proprietarj di quegli stabilimenti, che come anacoreti si confinano in que'deserti, rinunciando on- ninamente ai piaceri della società civile, dei quali appena hanno notizia. Hanno costoro obliato la loro origine, e le reminiscenze tradizionali dell'Europa : G. A. T. LXXI. 3 34 Scienze ma hanno però conservato quella ferocia, della quale son celebri i Cortes ed i Pizzarro , poiché sebbene l'uomo abbia per natura il diritto sovra tutti gli ani- mali, pure la civiltà, anzi l'umanità ha determinato i mezzi ed i limiti di esercitarlo, e chi eccede questi è un crudele, un inumano. La stessa America però ci somministra esempi sul buon uso di questo diritto riguardo ai porci, i quali sono piìi ben trattati che nella stessa Europa. Nel Messico esiste una bellissima razza di porci riguardata come un importante articolo di commer- cio , e le cure che sono impiegate per questi ani- mali sorpassano in guisa ciò che si pratica altrove , che è opportuno somministrarne qualche notizia. Le fabbriche destinate a tal sorte di stabilimenti so- no considerabili: consistono in una casa pe'direttori, e per gli impiegati; una bottega ; un ammazzatoio; un locale per pelarli; sale, che contengono vasi ove è deposto il lardo, ed i vasi di legno ove si conser- \a il grasso, o strutto, oggetto importante della cuci- na spagnuola; piU camere ove xi fanno sanguinacci per vendersi ai poveri, e finalmente una manifattu- ra di sapone, nella quale sono impiegate le interiora dei porci. J porcili, che contengono 800 a 1000 te- ste, sono nella parte posteriore dello stabilimento» Consistono m varie rinchiuse, assai ben costruite cia- scuna di 30 piedi di lunghezza. Vi si entra mediante alcune basse volte, innanzi alle quali è un terreno aperto;che comprende tutta la lunghezza della corte. Nel centro evvi un acquedotto in pietra , riempiuto di acqua pura fornita da un pozzo all' estremità del fabbricato. I porci possono solamente passare il lor grugno ne' buchi formati nel muro, in guisa che non possa lordare l' acqua. Questo è il solo liquido, Stabili^iknti d'America 33 che sia loro concesso. Si nutrono di maiz legger- mente umettato, che si sparge in terra. Il porcile, e lo spiazzo ove gli animali passeggiano, som tenuti col- la più grande nettezza. Molti indiani addetti allo stabilimento sono incaricati della cura dei porci, ai quali fanno sovente prendere Ijagni freddi, poiché si crede che la nettezza contribuisca a procurar loro un grasso prodigioso, che forma il loro principale prodotto. Si ha egualmente la premura di renderli lieti, e soddisfatti, e non s'udirà senza riso, che due fanciulli sono impiegati dalla mattina alla sera a calmare le loro risse, ed a cantare per disporli al sonno. Si scelgono a tale oggetto fanciulli di buoni polmoni, e di una speciale attitudine a tal mestiero. Questi si succedono l'uno all' altro a fine di cantar tutta la giornata con sodisfazione de' loro uditori, i quali sembra che ne conoscano il merito. Le spese di stabilimento ascendono ordinariamente a circa 300,000 franchi, e le vendite possono essere valutate a fr. 10,000 la settimana. Queste notizie non presentano, è vero, esempi molto idonei a migliorare la nostra industria in si- mili speculazioni, ma non mancano altronde di pre- sentare un qualche interesse sotto il rapporto d' im ramo della storia d' America M. K. 36 Lezioni di fisica sperimentale di Saverio Barlocci, professore di detta facoltà neiruniversità roma- na della sapienza, e membro del collegio filo- sofico , ad uso degli studenti della medesima università Tom. IL Parte 3, 4, 5, 6, 7 ed 8. lio- ma tipografia di Pietro Aureli 1837. D opo aver premesso l'autore nel primo tomo le principali nozioni di fisica generale e la teorica del calore, di cui già abbiamo reso conto ai nostri let- tori in altro articolo ('1), imprende a trattare nel se- condo volume della sua opera di tutte le altre parti che abbraccia la fisica sperimentale dalla terza fino all'ottava parte che formano il. compimento di tutto il corso scolastico. Si tratta nella parte 3. delle pro- prietà fisiche dell' aria, cioè del suo peso, elastici- tà, e compressibilità. Quivi si narrano le scoperte di Galileo e di Torricelli, la storia del barometro ed i suoi usi per la livellazione dei luoghi in distanza, e per la misura delle altezze, e si descrivono gli ef- fetti dei sifoni e delle trombe idrauliche. Dopo ave- re esaminate le leggi fondamentali deli'aereostatica, e riguardata l'aria in istato di quiete, si considera quello di moto e si esplorano le cause da cui i moti dell'aria dipendono, È dessa suscettiva di due spe- cie diverse di movimento: l'uno è con moto di tra- slazione, per cui le masse considerevoli di aria si (f) V. Decembre i856 pag. 286. Lezioni di fisica 37 trasportano da un luogo all'altro con direzioni e ve- locita varianti, e da cui hanno origine i venti : l'al- tro è un moto tremolo di vilirazione, che serve alla propagazione del suono. Il suono deve considerarsi solto tre aspetti diversi t 1. nei corpi sonori che lo producono ; 2. nei mezzi che lo trasmettono ; 3. nell'organo dell'udito eli' è destinato a ricever- ne la impressione. Il suono nasce nel corpo riso- nante dalle vibrazioni delle sue particole che os- cillano con moti alternativi di dilatazione e di con- trazione, e dalla maggiore o minore frequenza di queste ondulazioni derivano i toni musicali degl' istromenti armonici: quindi ne discendono le leg- gi fondamentali di acustica. Il suono impiega un tempo per propagarsi in distanza, che se si rife- risce allo spazio percorso, ci da la misura della sua velocita , che dalle piìi recenti sperienze di Prony, di Humboldt e di Matliieu fu fissata a tese 169 per secondo alla temperatura di O. Si ripor- tano quindi le sperienze fatte a Ginevra dai signo- ri Colladon e Sturm, che fissarono la propagazio- no del suono per l'acqua quattro volte circa piìi celere che per l'aria; come anche le esperienze di Biot e Gay-Lussac a Parigi, da cui risulta che nel- le masse solide delle condotture di ferro fuso la velocita del suono è 10 5 maggiore che nei li- quidi. Non si trascurano in questo capitolo le prin- cipali nozioni sulle sperienze di Chladni sulle vi- brazioni delle lamine elastiche, come anche l'ana- lisi delle pili verosìmili ipotesi per rendere ragio- ne della percezione distinta dei variatissimi e niol- tiplici tuoni dei musicali concerti per mezzo dell' organo dell'udito, ch'è destinato a ricever ne le im- pressioni. 38 Scienze La parte 4. comprende un solo capitolo de- stinato a far conoscere i metodi che si «sano per pesare i corpi e per determinare i rapporti delie loro specifiche gravita, ove esattamente si descri- ve l'uso della bilancia idrostatica, dei pesa-liquori e dei gravimetri, ed i metodi per la riduzione di temperatura e di pressione, onde istituire sperien- ze comparative in parità di circostanze. A questo effetto fu d' uopo valersi delle formolo riportate nel testo per porre a calcolo tutte le cause che potrebbero influire a far variare i risultamenti delle sperienze. Termina questo capitolo con un elenco delle gravità specifiche dì alcune sostanze solide, liquide ed aeriformi. La parte 5. comprende il trattato della luce. Si accennano da principio i due sistemi che ven- gono seguiti dai fisici in questo ramo importan- tissimo delia scienza quello cioè della emissione e quello delle vibrazioni: si premette la descrizione e l'uso dei principali stromenti per isperimenta- ra le proprietà generali della luce o nella sua emanazione diretta dal corpo lucido o nella sua riflessione e refrazione pei mezzi diafani. E lode- vole è per verità il metodo che V autore siegue anche in questa parte, quello cioè di applicare le due ipotesi separatamente alla spiegazione dei prin- cipali fenomeni, e di porle a confronto onde giu- dicare della loro idoneità per rendere ragione dei fatti confermati dalle osservazioni. Gamina 1' auto- re nel bel principio sulle tracce del newtoniano sistema, come quello che offre allo studente una concezione più facile delle proprieà piìi comuni della luce che debbono chiaramente comprender- si dal fisico per rendersi familiare l'uso degli is- Leziowi di fisica 39 tromenti diottrici e catadiottici. Dei principali di essi se ne dà descrizione in separati articoli. Passa quindi a considerare i difetti delle lenti, l'uno pro- veniente dall' aberrazione di sfericità, l'altro da quello di refrangihilità, additando i rimedi sw^- geriti dalla scienza per ripararvi coU'associare in- sieme dei vetri di diversa forzii refrattiva nella struttura delle lenti acromatiche , dall' uso delle quali ottenne l'astronomia i suoi prodigiosi avan- zamenti. Ma la luce, che ci rende visibili tutti gli og- getti della natura e dell' arte che ci circondano , è ancora la causa che ce li fa apparire colorati da variatissime tinte. Dopo aver esaminato i fe- nomeni della luce indecomposta, doveva perciò ri- volgersi lo studio e la considerazione ai fenomeni della colorazione. Quindi è che sulle tracce del gran Newton si descrivono le principali sperienze sulla eterogeneità dei raggi costituenti la luce bian- ca del sole e la diversa loro refrangibilita, e con- siderati prima i colori nella luce, vengono poi a contemplarsi nei corpi. I principi! della newtonia- na dottrina servon qui di scorta per render ve- rosimile ragione di uno dei pili astrusi e difficili fenomeni; e le teoriche sugli accessi di pili facile riflessione e di più facile trasmissione vengono im- piegate a conoscere da che dipender possa quella disposizione che hanno le diverse sostanze a riflet- tere o a trasmettere piuttosto un colore che l'altro per comparire colorate da variatissime tinte. Ma diverse sono le fonti da cui deriva la teo- rica delle vibrazioni. La luce consiste in un ete- re singolarmente sottile, che riempie tutto lo spa- zio del creato ed i pori de' corpi. Quest' etere è 40 Scienze suscettivo di oscillazioni come l'aria per le oscil- lazioni dei corpi sonori ; ma le onde lucide sono infinitamente pili sottili delle onde sonore : come le onde sonore, cos\ le lucide debbono riguardarsi propagate in una sferica espansione, il cui centro è quello ove si produce lo scuotimento e chiaman- si raggi cpielle linee che da questo centro si con- ducono a qualsivoglia punto di questa sfera. Il P. Grimaldi, che contemplò per il primo i feno- meni della diflVazione, gettò i primi fondamenti della teorica delle ondulazioni. Le ampiezze delle ombre formate dai corpi sottili irradiati dalla luce introdotta per un piccolo foro in una camera os- cura, le frangie*sluminose ed oscure, che alternati- vamente si producono dentro i confini delle om- bre e costeggiano lo spazio oscuro, erano fenome- ni difficili a spiegarsi nel sistema della emissione riguardando i raggi come tante sottilissime linee divergenti da un centro. Si cercò per questo mo- tivo di renderne ragione colle nuove teorie delle vibrazioni, già sostenute un giorno da Ugenio e da Joung, ed ampliate quindi da Fresnel. Giascun'on- da comprende l'alternativa di due movimenti, l'u- no in avanti che dicesi di condensazione , 1' altro di ritorno in dietro che dicesi di rarefazione. Se due sistemi di onda si sovrappongono e si combi- nano in modo che i moti di condensazione dell'u- na sieno coincidenti con quelli di condensazione dell'altra, e così quelli di rarefazione , i moti si aggiungeranno e si rinforzeranno e vi sarà mag- giore rifulgenza: ma seguirà il contrario se i sud- detti moti saranno in opposizione fra loro, giacche vi sarh in questo caso estinzione di luce, ond'è che luce contro luce fa nascere oscurità. Ora queste Lezioni di fisica 41 fasi (Il opposizione e di accordo nel moti vibra- tori! delle onde eteree dipendono dalle differenze nelle lunghezze degli spazi percorsi dai raggi ri- feriti ai centri di scuotimento, e su queste fasi si fonda la teoria delle interferenze, come può veri- ficarsi colTesperimento di Fresnel che si descrive nel §. G02 dell' opera. Variano le ampiezze del- le ondulazioni nei Sette raggi primitivi della luce, e secondo i calcoli di Fresnel nei raggi violetti più refrangibili equivalgono a 423 milionesime parti di millimetro, ed a 620 nei raggi rossi me- no refrangibili. La produzione del color bianco si fa dipendere in questo sistema dalla mescolanza di ogni specie di ondulazioni. Si applicano nel cap. X queste dottrine ai fe- nomeni della riflessione e refrazione della luce. Per rendere ragione della riflessione ammettono i se- guaci di queste nuove teorie, che restando un'on- da luminosa sferica nel piano di separazione di due mezzi eterogenei, l'onda riflessa dev'essere parimenti sferica, e che i centri di ambedue le parti dell' onda cadono in una linea perpendicolare al plano di separazione e precisamente ad eguali intervalli dall'uno all'altro lato del medesimo. Per ispiegare i fenomeni della refrazione si suppone, che le vi- brazioni dell' etere si comunichino alle minime particelle de' corpi refrangenti , come anche alla sostanza eterea fra esse interposta. Se il moto vibratorio si propaga in una massa più lentamen- te o più rapidamente di quello che si manifesta nella massa che lo comunica, ossia d'onde provie- ne la luce, in tal caso soffre essa una deviazione dal suo cammino rettilineo e si refrange. Il fenomeno della doppia rifrazione e pola- 42 Scienze rita della luce, che richiamò l'attenzione e Io stU" dio di Ugenio e di Newton, di Malus, di Biot, di Arago e di tanti altri illustri fisici, forma il sog- getto del cap. XI di questo corso. Quivi non si trascurano le principali nozioni e le fondamentali sperienze per dare agli alunni della scienza una chiara idea di quanto può esservi di più interes- sante in questa parte: per la doppia refrazione, che la luce soffre nel penetrare un cristallo di calce carbonata doppia ci apparisce V immagine de- gli oggetti che riguardiamo a traverso di essa. Fu questo fenomeno attribuito da Newton ad una spe- cie di polarità, di cui supponeva dotate le mole- cole luminose a somiglianza delle molecole di una magnete, e si riguardò polarizzato un raggio quan- do le forze attrattive di un cristallo avevano agi- to in modo sulle molecole del raggio stesso da de- terminarle a rivolger tutte lo stesso polo dalla me- desima parte dello spazio. Malus scopri che i raggi di luce si polarizzano ancora per riflessione quando cadono sotto un angolo di 35", 25 sopra una lastra piana riflettente. Un raggio polarizzato differisce da uno che non lo è, perchè si sottrae alla riflessione , alla refrazione , alla interferenza sotto quelle circostanze , sussistendo le quali un raggio ordinario soggiacerebbe a siffatte modifica- zioni. Malus rilevò e verificò coli' esperienza, che quando la luce riflessa sotto un certo grado di ob- bliquita entra in un corpo che gode della doppia refrazione, vi stabilisce le stesse modificazioni, co- me se avesse traversato un primo corpo dotato della stessa proprietà, la cui sezione principale co- incidesse col piano, secondo il quale essa era stata riflessa. Arago rese più interessante questo fenome- Lezioni di fisica A3 no introducendo neiresperienza una lamlnetta di mi- ca o di calce solfata , e vide in questo caso la luce decomporsi ne' suoi elementi, e presentare una se- rie di colori complementari gli uni degli altri: ciò che apri il campo a nuove indagini ed osservazioni. Per conciliare i fenomeni della doppia refrazio- ne e polarizzazione della luce col sistema dell'emis- sione, e per rendere ragione come fra le particelle che compongono un raggio altre si polarizzino in certe circostanze e sian rielesse, altre sfuggano la po- larizzazione in diverso senso e sian trasmesse, si valsero i seguaci di detto sistema della teorica, degli accessi di facile trasmissione, e di facile riflessione ; ma i fautori delle dottrine di Fresnel trovando in- concepibile l'ammettere una polarità nelle molecole luminose che debbono di loro natura essere prodi- giosamente sottili, ricorsero al sistema delle vibra- zioni supponendo che i moti oscillatorii delle mole- cole eteree nei raggi polarizzati o per refrazione o per riflessione, si scompongano allorché questi en- trano nei cristalli doppiamente refrangenti, pren- dendo direzioni trasversali e normali alla direzione del raggio, ossia all'asse di polarizzazione. Nel cap. XII si tratta della struttura dell' oc- chio, e della visione degli oggetti ; ed una fisica de- scrizione dell'iride, ossia arcobaleno chiude la teori- ca della luce. La grande influenza che 1' elettricismo eser- cita su tutt'i fenomeni della natura ci fa conosce- re quale interesse debba porre il fisico nello stu- dio delle sue proprietà. È desso un agente pode- roso, diffuso, e disseminato in tutti gli esseri dei tre regni, e varii sono i mezzi che in oggi la fi- sica possiede per isvolgerlo ed eccitarlo, per rac- 44 Scienze coglierlo e condensarlo , per misurare i gradi di sua intensità, ed esplorare le leggi di sua azione. Questi sono gli oggetti interessanti su cui verte la teoria dell' elettricismo, che forma la 63. parte di questo corso di fisica. Il modo di svolgere la elet- tricità per mezzo dello stropicciamento die V idea di costruire la macchina elettrica: la proprietà che hanno alcuni corpi di facilmente trasmetterla, al- tri d'impedirne il passaggio, fece scoprire la boc- cia di Leida, e gli altri apparati per condensarla. Per la spiegazione de' fenomeni elettrici, si riguar- da da alcuni la elettricità come composta di due fluidi, cioè del vitreo, e del resinoso , che stando in intima combinazione fra loro , costituiscono la elettricità naturale dei corpi. Altri si figurano l'e- lettrico qual fl^uido semplice, sottilissimo, suscetti- vo di condensazione e di rarefrazione , che si comporta presso a poco come il calorico, che può esistere in istato libero, o in istato latente nei cor- pi. Queste sono le due notissime ipotesi di Dufay e di Franklin seguite dai fisici per rendere ragio- ne dei fenomeni elettrici , le quali vengono con molta chiarezza sviluppate dall' autore. Passando quindi alla teoria sulla influenza delle atmosfere elettriche in distanza, spiega gli effetti della bot- tiglia di Leida, dei condensatori e dell'elettroforo. Descrivendo i varii elottroscopii si parla della bi- lancia elettrica di Coulomb, con cui fu scoperta la legge che seguono le forze elettriche in distanza , e la quale si è trovata analoga a quella della uni- versale attrazione. Dall'elettricità sviluppata per istropicciamento passa r autore a considerare quella che si ottiene dal contatto di due sostanze etorogenee: e qui si Lezioni di fisica 45 ila luogo a discorrere delle scoperte del Galvani e del Volta, e degli apparati elettromotori, a cui sono debitrici le scienze fisiche e chimiche dei ra- pidi e segnalati loro progressi fatti in questi ulti- mi tempi. Si dimostrano colla teoria del lodato Volta e si calcolano gli effetti degli apparati elet- tromotori, facendo note le diverse modificazioni che hanno essi subito per produrre maggiori effetti , come negli apparecchi di Wollaston e nelle pile dette zamboniane senza V intervento di sostanze li- quide. Ma la teoria voltiana non andò esente da censura per parte di alcuni fisici d'oltromonte, che volendo escludere il contatto fra le cause eccitatrici di elettricità ripeter vollero unicamente dalla chi- mica azione gli effetti prodotti da questi ingegnosi apparecchi. Perciò, esposte le principali obbiezioni, cerca l'autore di sostenere con ragioni assai plau- sibili e sperienze istituite direttamente a quest'og- getto le dottrine del dotto fisico italiano. Parlan- do della elettricità animale si occupa dei fenome- ni elettrici della torpedine, e riporta in tale cir- costanza i risultamenti di alcune sue proprie spe- rienze, facendo conoscere nello stesso tempo anch^ quelle istituite nell'anno scorso dal P. Linari prof! di fisica nell'università di Siena, che riuscì ad ot- tenere da questo pesce la scintilla elettrica. Analoghi agli effetti della elettricità sono quelli- prodotti dal magnetismo. L'autore, dopo aver espo- sto le proprietà delle calamite tanto naturali quan- to artificiali, parla delle analogie fra l' elettricità ed il magnetismo. Da un'idea chiara dei principii della teoria di Ampère , ne descrive gli appa- recchi, ch'egli ha voluto modificare rendendoli piìi semplici e pili idonei all'esercizio delle sperienze. A6 Scienze Rileva finalmente essersi ora spinte tant' oltre le analogie ed i fatti, da non potersi piìi porre in dubbio che i fenomeni magnetici altro non sieno che fenomeni elettrici, potendosi per mezzo di cor- renti elettriche circolanti in sistemi di spirali imi- tare e riprodurre tutti quei fenomeni, che nasco- no dall'azione scambievole di due calamite e dall' azione del magnetismo terrestre sulle stesse cala- mite. Ma fin qui non si arrestarono le moderne sco- perte sulla elettricità. Un nuovo campo ad inte- ressantissime osservazioni e ricerche si apri dopo la bella scoperta di Faraday sulla proprietà sin- golare, che hanno le correnti poste in circolazione dagli apparati elettromotori, dì suscitarne delle al- tre nei conduttori metallici sottoposti alla loro in- fluenza, che si distinsero colla denominazione di cor- renti indotte^ o e str acorrenti. E riservato a quest' oggetto il capitolo V dell' opera. Ivi si fa conosce- re come le magneti abbiano anche la proprietà dì suscitare correnti elettriche nei fili metallici che si espongono alla loro influenza, per cui si chiamò la prima induzione volta-elettrica , e la seconda magneto-elettrica. Fedele alla storia dei fatti e del- le scoperte non trascura 1' autore di tributare le dovute lodi a tanti distinti fisici italiani, che am- pliarono singolarmente colle loro osservazioni e scoperte questo ramo importante della scienza. De- scrive i varii apparecchi idonei per questo gene- re di ricerche, fra i quali riconosce come il più semplice ed ilpiìi utile quello inventato non ha gua- ri dal Newman , di cui dà la descrizione ed il di- segno, onde possa la studiosa gioventìi valersene con profitto a nuove indagini ed a nuove ricerche. Lezioni di fisica 47 Termina questo corso con un appendice, la quale supplisce ad un breve ma interessante trat- tato di meteorologia. Ivi ha saputo l'autore racco- gliere quanto v'è di più nuovo ed importante nella meteorologia elettrìca,riportando principalmente le scoperte dei nostri fisici italiani, e dando fine a que- sto suo lavoro coli' esporre una sua particolare ipo- tesi sulla orìgine della elettricità atmosferica che aveva gik fatto conoscere al pubblico fin dall' anno 1829, e che venne dipoi anche confermata dalle spe- rienze di alcuni fisici italiani. Ecco ciò che contiene l'opera del prof. Barloc- ci. Ora converrebbe dire qualche cosa sul merito di essa: ma noi vogliamo lasciarne intieramente il giu- zìo al pubblico, mentre ogni nostro elogio potrebbe credersi dettato dall' amicizia che ci lega da molti anni con questo fisico. Ci limiteremo semplicemente a riportare alcune espressioni, che nell'annunziare la di lui opera si leggono in un articolo di un altro giornale italiano quanto accreditato altrettanto im- parziale (1). // sig. prof. Barlocci, nome chiaro al- tresì per originali lavori, ha saputo in questa sua opera mettersi in tal posizione, che i dotti ravvi- sino e le difficoltà superate e i vantaggi che pos- sono derivare alV istruzione della gioventù. Le sue lezioìd sono elementari, quali si convengono a gio- vani. Chiarezza d' idee, ordine rigoroso e facile , nessun fasto di dottrina, non soverchia discussione, non erudizione pesante, sono pregi che rendono queste lezioni commendevolissime ed utilissime Pietro Carpi (i) Biblioteca Italiana gennaio iSS^ pag. 109. 48 Ragionamento per la restaurazione de bagni mi- nerali presso Tis'oli. Di Agostino Cappello. Art. I. A ubbllcavasi nel 1819 una storia di Tivoli, ed essendo noto allo scrittore, che io piìi per mia istru- zione che pel desiderio di divenire autore andava da parecchi anni raccogliendo , e tuttora riuniva quanto di maggiore interessamento poteva essere utile non solo ad un medico pratico, ma dilettevo- le eziandio ad un amatore delle scienze naturali , annunziava egli come certa la pubblicazione de'miei lavori intorno quella citta (1). La qual cosa era nello stesso tempo ricordata da un ilhistre defon- to compilatore di questo giornale (2). Perlochè io mi vidi obbligato inverso il pubblico di mandare alla luce le mie coserellc, che per isvariate circo- stanze non furono del tutto ancor pubblicate. Nelle diverse edizioni di alcune delle medesime, piìi vol- te da me ricordossi di render conto delle acque ti- burtine, e precipuamente delle virtùi medicinali del- le famose acque albule, e della loro analisi chimi- li) Viola, Storia di Tivoli tom. Ipag. 44 5. (a) Giorn, arcadico tom. Ili pug. i54 nota. Acque Albule 49 ca non mai più istituita, dacché cotanto avanzossi la scienza in cosiffatte utilissime investigazioni (1). Nel prossimo passato anno fu creduto in Ti- voli inedito un ms. del cel. Jndrea Bucci sopra quelle acque rinvenuto nell' archivio di essa cit- ta; ma fu tosto per me chiarito ( siccome vari au- tori ed io stesso aveva rammentato) (2) che l'opera era stata edita per cura dello stesso autore: che anzi risposi colà, che confrontato quel ms. in cine- siACasajiatense coli' originale pubblicato, non po- chi errori e mancanze aveva io rincontrato. Ma se diverse e maggiori opere fecero immortale il Bacci, e divulgatissime esse veggonsi, è cosa certa che ra- rissimo si è il discorso suo intorno le tiburtine al- bule diretto appositamente ad una principessa che gliene aveva fatta graziosa richiesta. Per siffatta ra- rità dunque, e per altre più valevoli ragioni, mal non SI appose il chiar. prof. Monti di eccitarmi di proposito a far nuovamente di pubblico diritto il ragionamento del Bacci. Quindi egli giudiziosamcn- te mostrò ai cittadini di Tivoli le manifeste utilità che derivavan loro dalla ristorazione de' bagni ia discorso, e cinque tiburtini proprietarii statuirono alcuni fondi per principiare un' opera cotanto sa- lutare. Il Monti dipoi mi diresse un'assennata let- tera , che io, poiché egli di Tivoli passò medico condotto ni Ancona, estimo di pubblicare non tan- ,nn, YY^""" '"5 •'^'•"'■°b'« P^S- 3 nota 1823; eGior. arcadico tom. XX pag. X62 nota. Saggio sulla topografia fisica di Tivoli pag 9, eo3 e seg. 1824, o Giorn. arcad. tom. XXIII. Opuscoli scelti scientifici i83o pae. 128 ifi'i fi s » ,«^ , jw pdg. 120, juj-o-Sj e ibg ilota, 170-2, e 192, (2) Opusc. cit. pag. 166 nota. G. A. T. LXXI. A 50 S e I E M Z E lo per dimostrare il suo desiderio pel ristoramento de' bagni di quella citta, quanto per tenerlo obbli- gato a trasmettermi le sue mediche osservazioni su di quelle acque, che io so aver egli istituite con savio accorgimento, onde congiunte colle mie, vie- meglio si confermi la vetusta celebrità delle albu- le tiburtine. Reputo inoltre distribuire il mio la- voro in pili articoli, a misura cioè che si accumula-' no i materiali relativi alla quistione per farli subi- to di pubblica ragione. Laonde questo primo artì- colo conterra la lettera del Monti, e quanto si è per me brevemente raccolto dai diversi autori antichi che parlarono delle acque albule, ad eccezione di quei che ricordansi dal lodato Bacci nel suo discor- so , per esser cjuesto compreso nel presente arti- colo: ne si mancherà apporre al medesimo qualche mia annotazione. Il secondo articolo, oltre tuttociò che cade oggi sott' occhio, comprenderà le proprie-^ tk fisico-chimiche di esse acque, e la terapia in che si rinvennero proficue da me e dal prof. Monti. Gli articoli successivi conterranno non meno la storia delle costruzioni novelle, che gli annuali risulta- menti dei ristabiliti bagni, se i tiburtini proprietà^ rii daranno opera a quanto si è per loro solenne-? mente promesso (1). Prima dunque di venire ^1 proposito, vuolsii 1 riportare la lettera del Monti, (i) II sig. dott. Monti nel partire per Ancona mi rimise CQ'» pia delie condizioni e degli oneri impostisi da tjuesti signori. Acque Albule 5I Al chiarissimo sig. professore Agostino Cap- pello consigliere nel supremo dicastero di sanità degli stati romani etc. Mio pregiatissimo amico, Di Tivoli 12 Xbre 1836. Fin da quando io venni eletto a professare la medicina in questa amena ed illustre citth, vergen- do il lago delle acque sulfuree , dette albule, esi- stenti a quattro miglia di distanza sulla destra del- la via tiburtina , non che le reliquie delle antiche terme che presso di esso rimangono , io mi sono sempre maraviglialo ed insieme doluto che a niu- no, a' nostri dì, sia venuta nell' animo la delibera- zione di dare opera alla restaurazione delle mede- sime terme, a fine di rendere comodo ed universale l'uso benefico delle suddette acque per la cura delle molte e varie malattie, a cui le sperimentate virtù terapeutiche di esse grandemente soccorrono. Ne è da dire, che manchino gli argomenti dimostrativi del- la loro squisita elficacia ; che non solo da' medici antichi e moderni la è stata celebrata e portata a cielo, ma eziandio da' principi, per cura de' quali si edificarono e si andarono abbellendo le antiche terme di Agrippa, di cui oggi si veggono gli avan- zi, e le quali, ruinate dalle barbarie de' tempi , si restaurarono dipoi nel sec. XVI. E desideroso io sempre di trovar modo, per quanto per me si possa, acciocché questa delibcx'azione venga una volta in animo di alcuno, a voi mi rivolgo , o mio pregia- tissimo amico , mandandovi una copia del mano- 52 Scienze scritto del Bacci, ritrovato negli arcliivii di questo municipio , e contenente il suo discorso intorno alle suddette aeque albule , nel quale si trovano in elegante ragionamento raccolti i documenti anti- chi e moderni della loro efficacia medicinale , non che indicati ì generi de' morbi, contro cui , come potentissimi rimedi , si sperimentarono. Del qual discorso, che fu edito a' tempi dell' autore, non es- sendo oggi possibile trovare esemplarle, in fuori delle grandi biblioteche, ho stimato che il ripro- durlo colle stampe possa acconciamente al deside- rato fine servire. E di rivolgermi a voi per cotale cfrsetto, oltre alla cordiale nostra amicizia, mi sono Oc ' cagioni due cose. In primo luogo a me pare che avendo voi promesso nel dotto vostro saggio intor- no alla topografia fisica di questa citta ( nel quale avete discorso con vero sapere geologico la natura e r origine di varii terreni che costituiscono il suo- lo tiburtino) uno speciale e doppio lavoro per riferire non meno le vostre cliniche esperienze in questo ospe- dale raccolte, che quelle fatte sulle proprietà me- diche delle acque albule, e col darne eziandio una nuova ed esatta analisi chimica, potreste ora assai convenientemente pubblicare almeno il secondo, fa- cendo con esso seguito al discorso del Bacci. Io pure appresso vi manderò le mie analoghe osservazioni rac- colte colla pratica di piìi di cinque anni, e le unire- te, se vi aggrada, alle vostre. Così dal complesso di tutte queste osservazioni giudico che verrU a formarsi una dottrina forse compita delle virtìi terapeutiche di queste accjue albule. L'altra cagione poi che mi muove a rivolgermi a voi , siccome fo, si è l'esser voi slato sempre studiosissimo delle cose tiburti- ne, intorno alle quali avete scritto con molta vostra AcQt'E Alblle 53 meritata lode molte ])ell('. memorie, che sono poi tornate di grande vantaggio a questa citta. Intorno a che basti il rammentare i lavori sulla idrofobia , e la vostra predizione espressa nel citato saggio della calamitosa rotta del fiume Aniene avvenuta nel novembre del 1826, e ( ciò che più è importante ) r aver voi primo a tutti dimostrata con ragiona- menti geologici e idraulici la necessita della diver- sione del medesimo fiume, mandata poi ad effetto dalla magnificenza del sommo regnante pontefice Gregorio XVI per tutela della citta. Persuaso adun- que che presso di voi sia per trovar grazia questo mio pensiero, io vi prego perchè mi siate cortese di compiere tuttociò clie vi ho proposto colla mag- giore sollecitudine che vi sarà possibile. Ed e' mi pare che sia per voi cosa degnissima il concorrere colla vostra opera ad una novella restaurazione di queste terme, dalle quali certo non solo questa citta ed i vicini luoghi, ma Roma ed i forastieri potran- no trarre grandissimo beneficio. Il dotto Bacci, no- stro piceno, esercitò la medicina in Tivoli, e fu poi medico del gran Sisto V (1). Egli scrisse delle acque (i) Piceno è il eh. Moali. Di s. Elpidio a mare, nato d'illustri e nobili genitori , fu il Bacci, celebratissimo soprattutto per le sue opere de Tkerinis, e de Vinis. Nei libri sul Tevere rammenta più volte le sue osservazioni fatte in Tivoli, quando per più anni vi esercitò la medicina (Bacci, Del Tevere l^ag. 201-2). La qual cosa, quantunque narrata dal vecchio Antonio del Re (Delle an- tichità tiburtine pag. i55) è obliata da tutti i moderni storici di quella città, siccome è del pan dimenticata nella Biblioteca Picena edita in Osimo 1791- Nella miscellanea, in cui discorre il Bacci delle albule , parla poi delle acque aicetose presso Roma, e delle acque di Anticoli. Il compii. 54 Scienze albule pe* grandi soccorsi che da esse trasse pep la salute degli infermi , in un tempo, in cui le an- tiche terme di Agrippa essendo state restaurate per generosa cura di un tiburtino illustre, erano in gran- de celebrità presso gli stranieri. Voi pure, che oso chiamarvi piceno (1), come il Bacci esercitaste me- dicina in Tivoli , e foste dipoi medico consulente dell'immortale pontefice Leone XII. Quest' analogia di circostanze tra voi ed il Bacci vi sia adunque di no- vello argomento per muovervi a dar mano con ogni studio all'indicato proposito mio. E caramente salu- tandovi, con grandissima ed affettuosa stima mi ri- protesto. Affino amico Benedetto Mojiti Nessuno ignora perdersi nell' oscurità del se- coli r uso dei bagni, e volendo riandare nei pri- mitivi tempi la reale loro utilità, sarebbe lo slesso che avvolgersi maggiormente nel bujo. Imperocché pili r empirismo e la superstizione che un ragio- nato medico avvedimento furono guida agli antichi nella pratica de' medesimi. Ne incombe a noi ridi- re i modi come furon essi usati dagli ebrei, dagli egizi, dagli assiri, dai medi, dai persiani, dai greci, e precipuamente dagli etruschi, mentre illustri au- tori sui bagni, ed in ispecie il lodato Bacci ( de Thermis), diedero minutissime istoriche relazioni. (i) Giur. aroedico tom. XLIII pag. g5. Cantalamessa Lettera •torica ìutorDO monsignor Colocci di Jesi pag. 5. Acque Albule 55 Neppufe è da maravigliarsi se gli avi nostrlj nel mondiale conquisto spandendo ovunque la fiaccola del romano incivilimento^ importassero seco loro dai soggetti quanto di migliore usanza ^ di civile abbellimento, e di comodità pubblica rinvenissero. Per le quali cose, come in potenza, così in grandez- za avanzando i romani le nazioni tutte antiche e moderne, veggonsi oltremodo superiori anche nei bagni, pel numero, pel lusso e magnifii enza; ed oggi ancora arrecano immenso stupore negli stessi pri- vati bagni i laceri avanzi dei superbi e grandiosi loro stabilimenti. Ne solo miravan essi a tutelare la sanità, ma racchiudevano ancora apposite sale de- stinate al disco, al dardo, al pugilato , alla corsa , al nuoto, ed alle stesse filosofiche discettazioni e let- terarie elucubrazioni. Ne scarsi , ma amplissimi do- cumenti ci si mostrano apertamente dalla storia e dagl' insigni monumenti delle acque albule tiburti- ne. Estimiamo perciò, siccome fu sopra enunciato , riprodurre le lapidarie iscrizioni, per narrar indi quello che ne dissero i moderni e gli antichi scrit- tori delle medesime. Il pregio, in cui tenevansi dai romani le al- bule tiburtine, era talmente grande che le appel- lavan santissime. I AQVIS ALBVLIS SANCTISSIMIS VLPIA ATHENAIS M. VLPII. AVG. LIB. AB. EPISTV US. VXOR D. D. 56 Scienze Ne poca si era la religiosa importanza che essi vi mettevano, dacché si venerava ivi una statua con- secrata alla dea Igia figlia di Esculapio, della quale parla anche il Bacci. La medesima ammirasi ora nella sala a croce greca nel museo Pio demen- tino (1). II. PROGVLVS SAGERDOS M. D. M. IGIAE. SAC. AD AQVAS ALBVLAS D. D. Altra edicola sacra ad Apollo Licio fu trasferita al museo capitolino, e dal Sebastiani è trlbuita a L. Elvio Felice, di cui parla la base tiburtina ri- portata dal Muratori nella sua collezione (2), ed è la seguente. IH. SIGNVM APOLLIN TVTEL L. HELVIVS. FELIX PATER. GVM. FILIO ET CLAVDIA. SABINA MATER VOTO. SVSGEPTO S. P. L. M. (i) Opuscoli cit, pag. i64-5. (2) Pag- 77- Acque Albule 57 Una terza statua vedesi consecrata ad Attide da Proculo sacerdote d' Iside , la cui iscrizione esisteva già in Tivoli alla chiesa di s. Benedetto, e dal Muratori così trascritta. IV ATTIDI. AVG. SAC. C. IVLIVS SP. F. IVLIANVS PROCVLVS SACERDOS M. D. M. I. AD AQVAS ALBVLAS D. D. Ben si avvisava Ammiano Marcellino quando soleva comparare le romane terme alle provincia : gli storici di fatto, in parlando delle albule, dissero, che il bagno pubblico era capace di bagnare con- temporaneamente mille persone, oltre i bagni par- ziali che lo attorniavano. La qual cosa sembrerebbe quasi incredibile, se non si riflettesse che per in- curia derivata dalle barbariche invasioni disalveato r antico corso delle albule , allagando esse per se- coli tutta la pianura presso Tivoli, cambiossi to- talmente il suo territorio, siccome fu per noi chia- ramente dimostrato nel citato saggio. Ma pe' ba- gni in discorso destasi il desiderio di conoscere i fondatori delle magnificenze quivi stabilite , men- tre è quistlone se debbano attribuirsi ad Agrippa , od allo stesso Augusto. Col nome di terme di Agrip- pa furono comunemente chiamate, e si sa che neir edilità sua 170 furon le terme per esso fondate. La seguente iscrizione però fa propender^ alcuni per suo fondatore Augusto. 5g Scienze V. AD AQVAS ALBVLAS CAESAR AVGVSTUS. EX. S. C. P. CGXL. Le altre iscrizioni, presso le acque albule rin- venute, sono le seguenti. C. CLAVDIVS TI. F. QVIR SEVERVS ALBVLIS VII AQVIS ALBVLIS. SA. . . , G. VMBRENVS LAVIGAN. PRO SAL. S. V. S. L. M. Vili .... LBVLIS D. D. . . . . ELADVS AVO. L. (1). (i) Le accennate iscrizioni sono tratte dal direni storici ti* burtini; e dai classici autori Muratori, Fabretti, Gratero<«tc. Acque Aleule 59 Ne pochi preziosi marmi, colonne etc. discor- se dal Bacci , furon ivi scavate, e dai rimasi ru- deri furon rilevati gli splendidi portici , dei quali eran questi bagni abbelliti (1). Nel prossimo pas- sato secolo si trassero da quel suolo colonne di ver- de antico (2). De'pilastri notati da questi autori col- le camerelle pei bagni, e de' sotterranei condotti di piombo , pe' quali si conduceva Y acqua , parle- remo noi nel 2° articolo, in cui all' analisi chimica precederà quanto pertiene ora allo stato fisico dei tiburtini laghetti (3). Ciò che chiaro quindi si scorge, si è lo splen- dore vetusto dei bagni di Tivoli. Lo stesso Au- gusto reputavali preziosi; e sovente portavasi cola (ove tal fiata alzava tribunale nei portici del vici- no tempio di Ercole ) per usarne coi più grandi ed i piii sapienti della sua corte: il che fu talvolta praticato eziandio da' suoi successori (4). Fredde furono queste solfuree tiburtine acque dagli antichi reputate (5), e tali sono tuttora , e nulla osta la particolarità da Pausania notata pel calore risentito dopo alcun tempo della immersio- ne. Imperocché temperato è il medesimo ; e seb- bene per lo scomponimento, a cui soggiacciono le (i) Volpi lib. i8 cap. i3. (2) Cabrai e del Re pag. 64. (3) Si darà inoltre un architettonico disegno di ciò che oggi si mostra. Le poche piante inoltre che vegetano all'interno delle albule saranno descritte per cura di un'illustre nostra collabora- trice, la eh. sig. Elisabetta Fiorini-Mazzanti dimorante ora nella città di Tiburto. Il compii. (4) Svet. in Aug. (5^ Vilr. lib. 8, Strab. lib. V, e Plia. lib. 32. 60 Scienze acque per 1' azione reciproca delle sostanze mine- ralizzanti fra loro e fra gli esterni oggetti, insorga talora temperatura anche eccedente, tuttavia questa non si rinviene nelle nostre albule. Il gazoso bu- licamento e l'evaporamento delle medesime non sono , come vedremo nel 2° articolo , cagioni da innalzare fortemente la loro temperatura, che sem- pre provasi fresca e temperata da chiunque si diede il piccolo pensiero di sperimentarla. Ci fu quindi sempre di sorpresa il leggere presso un re- cente storico, che le albule sono calde a tal segno, che in tutta V ampiezza del lago scorge si un bu- licamento non interrotto^ e come se as^vampasse nel loro fondo un ardente fornace (1). I versi di Mar- ziale, dallo scrittore riportati in sostegno dell'asserto, sono tortamente interpretati, ne il Bacci, che del pari li riporta, da'loro 1' interpretazione di questo storico (2). Chiama Marziale fumanti le albule, ma non mai calide, ne la bianchezza e 1' evaporazio- ne medesima portano necessariamente un' alta tem- peratura. Le stesse acque del fiume Aniene, pili fredde delle albule , evaporano incessantemente nella loro caduta, senza che si riscontri calorico sensibile da chiunque ne faccia la prova. Passiamo pertanto al discorso del Bacci. (i) Viola tom. cit pag. 253. {i) Itur adherculei gelidas qua Tiburis arces. Caaac[ue sulphureis albula fumat aquis. Epig. i3 lib. i. 61 Discorso delle acque albule, bagni di Cesare Au- gusto a Tivoli. Rivisto dal proprio autore e ri- stampato di nuovo in Roma per Antonio Plado stampatore camerale MDLXIII. Alla illustrissima et eccellentissima signora du- chessa, la signora donna Giovanna d' Aragona, Xo ho riputato a mio gran favore, illustrissima et eccellentissima signora, che essendo da molti anni in qua ritornate in riputazione le tanto appresso de- gli antiqui famose acque, hoggi Lagni de Tivoli , V. S. illustrissima et eccellentissima sia degnata chiedermene informatione. La quale se Lene è di non piccola consideratione , è però menomissima parte del desiderio, ch'io tengo di servirla. Et do- ve msino a hora queste acque sono state usate da molti senza ordine et debito modo , et che è più senza pur saper quello che elle si siano ; per lo avvenire, la buona mercè de' vostri virtuosi e ge- nerosi commandamenti, le potranno usare con più sicurtà, et con più certa isperienza di miglior suc- cesso, havendone qualche lume. Dove ne resteranno insieme meco obligatissimi à V. illustrissima et eccellentissima signoria. Quegli per il giovamento che ne riceveranno, et io per havermi ella data cau- sa col comandarmi di giovare a' molti; et di sodisfa- re ad alcuni altri miei signori et padroni, che mi hanno chiesta e desiderano la medesima informatio- ne. Fra' quali havendomi io proposta V. S. illustris- smia et eccellentissima, come per più degna guida 62 Scienze et splendore di questi pochi miei discorsi, se cono- scerò, che questa mia obedienza et osservanza in- verso di lei le sia grata, piglierò animo di dare in luce alcune altre mie fatighe di maggior' importan- za per giovare al mondo. D. f^. illustr. et eccell. slg. ser. Andrea Bucci delle Therme Le acque albule, che sì ritrovano lungo la via Valeria (1) nel territorio di Tivoli, circa XIII mi- glia discosto da Roma, illustrissima et eccellentissi- ma signora, per quanto ne mostrano certe segnalate proprietà che vi si trovano, molti vestigi antichi, le grandi esperienze, e la celebre memoria che ne fan- no molti degnissimi scrittori, sono da essere liavute in grandissimo pregio. Et già da'gentili furono te- nuti come cosa sacra. Perchè in questi tempi, che non si trovava la cognitione che si ha oggi del vero Iddio, in ogni luogo, dove si trovavano simili acque dotate di qualche rara virtìi, si riputava, che ellefos- sero specialegratia de li dei, et lo oraculo di qualche divinità. Di qui è che le aoque,et massime queste de' bagni, erano chiamate sacre, e dedicate alle ninfe, a Neptuno, a Esculapio, alla madre della sanità, et al- tri simili: che poi per levar via questa abusione so- no state cognominate da santi, bagno di s. Maria, di s. Giovanni, di s. Giuseppe, di s. Giorgio, e di altri molti che a questo proposito potremo raccontare. Si come anche si legge in molti autori greci e latini , (i) Chiamava^i valerla dopo Tivoli, ma da Roma a Tivoli era la via appellala tiburtina. Il compii. Acque Albuik 63 che chiunque avesse provata, o vista qualche notabi- le ìsperienza di simili acque, le consacravano appres- so o uno altare, o una cappella, o una tavola, o qual- che imagine, come ne abbiamo testimonianza parti- colare di una pietra di marmo trovata a questi ba- gni,nella quale si fa mentione di un certo Proculo sa- cerdote, il quale vicino a queste acque albule consa- crò un sacello alla madre delli dei Igia, dea allora tenuta della sanità, con queste parole. Proculus sa- cerdos M D. M- Jgiae sac. ad aqiias alhulas D. D, E volgare opinione che al tempo di quella ^per- stitione de' gentili, la sibilla tiburtina tanto famo- sa le incantasse, et le rendesse buone ad ogni infir- miti. Del luogo non è da dubitare. In questa pianu- ra (dice Strabene al V libro) corre l'Aniene fiume, e appresso le acque chiamate albule,fredde,et salutife- re a molte infirmila, si a beverie, come a bagnarvisì dentro. Et Plinio al XXXI libro al 2 capitolo dice : Sono presso a Roma le acque albule, che guariscono le ferite, e sono fredde.Quanto alla natura di esse, li antichi (come per avventura accade anche hoggidi) per l'odore che vi si sente 11 presso pensorno et scrissero molti, che elle tenessero di solfo : la qual materia tuttavia, come nelli nostri discorsi nei libri delle tlierme habbiamo dimostrato , per ogni poco che sia mescolata etiamdio con qualsivoglia sorte di terreno si fa sentire et puzza. Tali si pensò che fos- sero Martiale, quando disse in quel? epigramma: - Itar ad herculei gelidas qua Tjhuris arces Canaque sulphureis alhula fiimat aquis- Seneca similmente nelle questioni naturali, Vitruvio al Vili libro, Si Ilio Italico al XII \ et fra li autori 64 S e 1 E N Z .:. greci Pausanìa, et molti altri le nominano sulfuree. Ma Galeno scrittore accuratissimo, et diligentissimo in tutto quello che importa alle cose della medicina, et che vedde molte esperienze di queste acque, dice espressamente in molti luoghi, che la miniera loro è alluminosa (1). Hoggi, che piU diligentemente sono state considerate da molti valenti huomini qui in Roma, troviamo per via di distillatione , che come son le miniere cjuasi tutte miste, vi è una mistura principalmente di allume con le sue parti salse, et non nitrose come certi vogliano, perchè non puol'es- sere allume senza sale, et il nitro non fa in Italia co- me ben dice Plinio: et con alquanto di solfo manife- stamente. Alcuni dicono esservi anco del ferro , il che pili facilmente io concederei loro, per essere tut- ta questa campagna di Roma piena di pozzolana , che tiene assai di ferro: et per segno nella villa fa- mosissima di Adriano imperatore, che è lontana dal- le albule circa due miglia, vi nasce una fontana d'a- cque infra le altre, che dal sapore volgarmente è chiamata l'acqua ferrata, et fa buono effetto a ri- stringere i flussi. Quanto poi si può conietturare e- steriormente, danno segno queste acque che in fondo menino sustantia, liquido, perchè mescolate con es- so,nascono di colore di latte bianchissime, donde eb- bero il nome latino albule. Per la qualità poi della mistura d'allume con solfo, qualunque cosa si acco- (i) Le cnlcaree inci-ostazionl e deposizioni sono state dagli antichi , e dal Bacci reputale alluminose: errore in cui è ca- duto ancora qualche medico verso la line del prossimo passato secolo. Cabrai e delPiepag. 67-8. Intorno il qual argomento si è minulamcnle trattalo nel nostro saggio più volte ricordato. II compii. Acque Albulè 65 stì loro, ò che vi stia drento per qualche spallo di tempo, ò legno che sia, ò sasso, ò erlja, si cuopre tut- ta di una scorza di pietra bianchissima. Fu cosa de- gna di riso il vedere gli anni passati una tartaruca che si era di modo impretata , praticando in certi pantani di questa acqua, che appena si poteva piìi muovere. Per tutto il canale, dove scorrono in fiume, vi si trovano spesso serpi, e Incerte imp retate. In- torno per dove schizzano la posatura si indurisce al sole in varie foggie, che paiano propriamente con- fetti bellissimi. Et vi si generano pietre spongose , che volgarmente chiamano tartari, che tanto oggi di- lettano in quelle fontane rustiche , che si usano in Roma. Tutta la pietra travertina è generata da que- sta acqua, per dove in spatio di tempo è venuta al- lagando, et ha fatto posatura. Empedocle, che scrisse in versi la filosofia, disse che le acque calde erano molto appropriate a generar la pietra. Et Vitruvio è di opinione, che le albule siano in fondo caldissime, ma che si raffreddino poi per altissimi meati, donde vengono a sorgere. Io credo, che quel poco odor di solfo proceda dal caldo che le riscalda sotterra, che poi esalando dove trova da sfogar' fuora via, si sente per un miglio et pi li lontano , massime da quella banda dove tira il vento. Al sapore et alla vista son più grate, tengano del solfo e dello accetigno , con una certa parte astrettiva, come ha rallume. Al toc- carle fredde , ma calde, intrato che altrui vi è dentro massime per due ore avanti il giorno, la quale proprietk è notata da alcuni scrittori per miraculo- sa. Il lago è chiuso parte di un muro antico , et par- te di una pietra che V acqua istessa si ha creata in- torno di circuito di trecento braccia et piti, ma pro- fondissimo di tal maniera, che per longhissima fune G. A. T. LXXI. 5 C6 Scienze mandatavi a basso, appena in certi Iati Si è toccsrfa il fondo. Glttandovi per prova una pietra nel mez-^ zo, la vedrete profondare come in un mare, et stare- te per buon spatio, che quasi ve ne sarete scordato, quando vedrete apparir di sopra una grandissima quantità di bollori, che con larghi giri et strepito, butteranno per ispatio di un'hora infinita feccia (1). Per altro sono bellissime a vederle et simili nel la- go alla tranquillitìi del mare con un certo bollor vi- vo, massime la mattina in aurora, che le fa sprizza- re un braccio alto, et con certe isolette, che vi son generate sopra da quella melma, che vomitano tutte vestite di herba, che con gran piacere di riguardanti vanno come barchette a nuoto, secondo che il vento ora in qua, or' in là le spinge, cosi salde, che tali di esse sostengano sopra oltra a' dieci persone (2). Non manco fneravigliosa è la copia di questa vena che sì sia la bellezza, et la sua profundità , atteso che per il canale, per Io quale oggi scori'ono nel Teverone , (i) Questo fenomeno, da noi riportato nei citati opuscoli scelti pag lyo, avviene quando tutti i curiosi gittando sassi nel laghetto delle isole galleggianti , ecpitasi poco dopo quasi una piccola tempesta dovuta a una gran parte di gas che syolgesi dal fondo- Si osserva che sulla linea di passaggio del gas, l'ac- qua acquista una limpidità , la quale si deve alla dissoluzione del calcario in virtù dell'acido carbonico che si svolge. 11 compii. (2) Nel 1 articolo parlerassi delle medesime, e della rapida vegetazione delle piante che vi allignano, e per la quale il cele- bre Davy ne istituì analisi chimica nel maggio del i8i4> avendo noi stessi fatto raccogliere, e quindi inviare le dette piante in Roma per urgentissima ricerca fattacene da un professore di quest' università romana, la cui lettera sarà parimenti riferita nel 2 articolo. 11 compii. Acque Aóule (57 iìlt*este che fussé un fiume. É cosa chiara parimente che elleno sono state in riso, et in gran riputatione anticamente , et in segno ancora vi si veggono ap- presso li vestigli di un gran portico in quadro, con i suoi bagni ordinati d'intorno intorno, et gran pas- Séggiatol; a uso, et comraodita di quelli che le beve- vano elevati con un' ordine di bellissime colonne di marmo verde mischio, che domandavano i latini Ti- berlaco, le quali pochi anni sono, sendo tutto il luo- go rovinato, fra le dette mine ritrovò la s. mera, di papa Giulio HI et le pose per ornamento della sua fontana, nella vigna fuori la porta Flaminia, che so- no tenute di un valore inestimabile. Vi si vede tra le altre maraviglie un bagno appartato tutto lastricato di un mischio bellissimo , con pareti et volta di un bellissimo musaico. Et in mezzo il bagno pubblico grande da potervisi bagnare mille persone insieme , et d'intorno altri bagni particolari, et stufe, che nel levar via quelle ruine, ultimamente ha fatte disco- prire il magnifico M. Vincenzo Mancini de Tivoli , dell*una e l'altra legge dottore, et dignissimo restau- ratore di detti bagni (1). Tutti segni finalmente di un nobilissimo edificio, et da durare eternamente, se oltre al tempo, che alla fine consuma ogni cosa, non gli fossero sopraggiunte le spesse ruine di tante guerre passate. Ne però saprei io facilmente assegna- re chi fosse stato l'autore de una si regale et magni- fica spesa. Vo' pensando di Marco Agrippa, il quale sendo genero del grande Augusto, la terza volta che luifuconsule,secondo si legge et si vede in molte ma- fi) Questa restaurazione sembra essere stata di poca durata, siccome diremo in fine di quest' articolo. 68 Scienze ravigllose antiqiiìta, fece gran professione tll ornare et mai^nificare la citta eli Roma di opere immortali , et particularmente fu curatore perpetuo delle acque durante quello imperio, secondo scriveFrontino scrit- tore onorato de que' tempi. A questo si aggiunge un segnalato testimonio di Svetonio, il quale narra nel- la vita dì Augusto, che si dilettò molto del bagno del- le acque albule, per conto delli nervi. Et di poi nel- la vita di Nerone, che in quella sua tanta delicatezza, se le fece condur certe volte per lo acquedotto dell' Aniene in Roma fin' alle sue therme, che egli hebbe presso a Monte Cavallo. Il che ci conferma l'autorità de' famosissimi medici di quella età, che a moltissi- mi difetti del corpo le approvorono. Et principal- mente Antonio Musa medico di Augusto , il quale quanto facesse stima delle therme naturali , ne mo- stra la spessa mentione, che di lui ne fanno gli au- tori. Et Horatio specialmente scrivendo a Vaia. Così Andromaco medico di Nerone, Asclepiade , Archi- gene, et altri. Galeno poi non facendo egli memoria di nessuna altra acqua in Italia, che pure al suo tem- po ve ne erano assai , di queste mostra averne fatte molte esperientie. Et specialmente nel primo libro delle facoltà de' semplici al cap. VII dove approva le albule a sanar le ulcere, et le piaghe , et che di- seccano tutti i mali che nascono per via di dellussio- ne. A questi autori si riferiscano tutti gli altri che di poi più specificamente ne scrissero.Fra li quali è necessario recitarne cjm tutto quello che ne scrive Aetio di autorità di Archigene al cap. XXX del XI libro per esser molto al proposito, et secondo 1' uso che si ha oggidì di queste acque , così dicendo. Alle ulcere della vesciga inoltre non sarà inutile prova- re le acque naturali, cioè le aluminose, et sulfuree , Acque Albule 6'9 et altre slmili, come sono le albule, di un' tempera- mento, e di una tepidezza di latte. Et soggiunge : Del modo di Levere le acque albule. Conferiranno adunque le acque albule (dice lui) se vi saranno propinque, et altre simili bevute dopo lo spasseg- giare della mattina a buon'ora, il primo dì alla mi- sura di tre mine, arrivando di poi sin' a cinque , et sei mine. Perchè oltre che lavano gli intestini , la loro aria fuliginosa fa che la vesciga non senti tanto il dolore, et con quel vapore piìi lucido separa gli humori, et lascia il sangue piìi netto. Anzi che le medesime acque purgano utilmente le ulcere et pia- cevolmente se ne scendano a basso: di modo che a sanar 1' infermo non potrai trovar medicamento piìi efilcace di questo. Il medesimo replica lo istesso Ae- tio di autorità di Galeno al cap. XXXIII del mede- simo libro alla scorrettione delli reni, dicendo: Sarà anco buono venire al bagno dell'acqua fredda, mas- sime se tenesse virtìi di qualche medicinale qualità, come sono le acque albule, le quali prese etiandio per bocca, giovano grandemente. Sono di sapore al- quanto salse, et al toccarle di una tepidezza di latte. Il medesimo approva di sotto al flusso delle donne, di autorità di Sorano. Paolo Egineta poi , parlando in generale delle acque aluminose al cap. LII del primo libro, dice che convengono alli vomiti del san- gue, a chi si volta facilmente lo stomaco, alle super- flue purgationi delle donne, et che però conferiscano molto a quelle, che spesso si sconciano. Tutto que- sto, senza molte altre autorità, abbiamo raccolto dal- li antichi scrittori di queste acque. Le quali essendo state molte centinaia d'anni tralasciate, che non ne era pur restato il |nome , non già che le virtìi non siano state sempre le medesime, ma siccome tutte le 70 Scienze cose humane son sottoposte a varie mutatloni, et la bontà di Iddio a tempo, et luogo ci fa copia delle sue gratie , ultimamente son tornate in luce. Mercè dell'illustrissimo et reverendissimo cardinal di Fer- rara protettore, et padre di cjuelUi patria, il quale di poi che ha fatte seccare tutte le paludi che occupa-» vano quella amena pianura, si son discoperte, et noi dopo alcune esperientie, per qualche professio- ne che habbiamo fatta intorno a questa materia del-? ]e acque, le habbiamo riconosciute , et rimesse d^ dieci anni in qua ne l'uso di prima. Vi è oggi un concorso grandissimo, et si restaurano tutta via. Do-? ve habbiamo visti maravigliosi effetti a farle bere, et a uso di bagno, in tutte le sopraddette infermità. Confortano lo stomaco, fanno miglior appetito, pur- gano per da basso, et per urina. Giovano mirabil-r mente al mal della renella, et a quelli che non pos- sano urinare, sia ò per ardore, o per viscosità, o per carnositade. Giovano anco alle donne sterili, et njas-; sime a quelle che per difetto del flusso bianco, o di lubricità di matrice non si potessero ingravidare; et tanto nel bagno, quanto a beverie. Alle indispositio- ni però antiche , et fredde sono di manco valore , benché facendone bagni hanno segnalate virtìi di diseccare, et di risolvere ogni sorte de infiagione , corjie de hidropico, et di milza; et fanno anco sma-r grire i corpi grassi , et ripieni. Saldano le piaghe vecchie, et ritirano i nervi attratti pelle ferite, do- vo però non sia mancamento di spstantia, q non sia-^ no tronchi affatto. Nelle stemperanze pqi calde delle reni, della madre, et del fegato, donde suole tutto il corpo, et molto piìi le gambe empirsi di grosse pia-r glie, ancorché havessino origine da mal franzese, le ho trovate cflìcacissiu^e: già non dico io, che qui v£^- Acque Albl'LE 7f dino a curarsi di prima posta quelli che hanno il mal francese: tutta via se à simili allazzarati non giovino totalmente, manco si è visto che lor faccino altro nocumento, ne risentir le doglie , come fanno alcuni altri Lagni piii caldi, et massime se teng-ano di argento vivo (1). Che si ha da notare per una del- le maggiori gratie, che possino ritrovarsi ne hagni, ehe per essere di temperata qualità, et non violente @ieno facili, et dì sicura prova insino ai sani. Ilor co- me possa essere che quest'acqua facendo pietra per tutto dove passa, et dove tocca, et nondimeno bevuta non solo non facci pietra in corpo , anzi purghi la renella, non mi parve prima di darne altra ragione per dui rispetti (2). Principalmente perchè gli in- telligenti sanno molto Lene che qui non è il luogo di queste dispute, dove se ne scrive per una sempli- ce historia, et sì accenna che di tutte le appertinen- tie delle acque se ne ragiona distesamente in sette liLri. Notissima dovreLLe essere quella sententia di Aristotele nel primo della physica , cioè, che un' istessa causa non è atta a fare il medesimo effetto in qualsivoglia cosa , ma determinato ef- fetto procede da determinata causa. Di poi alli vol- gari non fa di Lisogno allegar loro ragione alcuna , conciosiacchè non la intendereLLono ne piìi, ne me- no, ma si dovreLLero star contenti al Quia et alli (i) Pel tanti lavori, da illustri chimici istituiti, fia qui non vedpsi che alcuu'actjua contenga argento vivo, e sali mercuria- li. Il compii, (2) Sebbene non vi fu e non vi sarà forse mezzo terapeu- tico per isciogliere la pietra, giovano però moltissimo alle affe- zioni calcolose le bevande acidulate, e le preparazioni carbona- te siccome vedremo nel u articolo. Il compii, 72 Scienze effetti che vi si veggonoret non dire questa acqua fa pietra in terra, adunque la deve far anco in corpo, come se questa mirabile fabbrica del corpo humano fusse quasi una chiavica Oppilata^ et il calar nata- rale et la vita non vi stesse per niente. Dico a co- mune utilità che non è 1' acqua la causa che fa la pietra, perchè la posatura che fa in terra , o in un legno, non la può fare in corpo, dove il calor natu- rale è quel che opera, et purché non sia impedito ò dal sonno, ò da qualche altro disordine , si serve della forza di questa acqua per medicina, la scaccia per ogni via, et purga seco ogni superfluità che tro- va. Parimente è da sapere che la prima importanza al mal della pietra è rimediare prima che la si fac- cia; et uno delli valorosi rimedii son queste acque, et altre simili che astergano le reni, et purgando la viscosità, et le renelle, et rinfrescando, ne levano via ogni cagione. Fatta che ella è, invano si ricorre etile acque, né ad altro rimedio. Delle preparationi al bagno. La intention nosti'a non è stata tanto dì cele- brare le virtù di queste acque, che assai son mani- feste per loro medesime: quanto ho stimato essere maggiormente necessario di mostrare il modo di u- sarle bene, Concio sia che della cosa de'bagni, per trascuragine de'seculi passati, et parte per dubbio, che scioccamente alcuni medici havevano, non si le- vasse il concorso loro et alle speciarie, se n'c tenuta si poca cura, che fin al d'i d'oggi una cosa di tanta importanza alla vita humana era ridotta totalmen- te in mano, et arbitrio de' volgari con poco utile lo- ro, manco onore della medicina, et senza gratia a Acque Albule 73 Dio, dator di questo, come d' ogni altro Lene. Prin- cipalmente adunque deve esser noto a ciascuno que- sto proverbio, che - I bagni sono 1' ultima appella- tione de* medici. - A salute di quelli, che ne haran- no di bisogno, et a correttione de' volgari , i quali governandosi piìi a volontà, che a ragione per una ò due esperientie, che n'habbino viste , si danno a credere senza pensar piìi innanzi, che alli bagni si faccino miracoli, et vi si guarisca di ogni infermità. Anzi raro è quel bagno, che vaglia più, che a due, ò tre cose principali: come queste albule a rinfre- scare, a purgar le reni, et a diseccare: vagliono poi a certe altre infermità come si è detto , perchè sì guariscono per queste vie. Di poi se non è ben sicu- ro di pigliare un siroppo senza conseglio di medico, come possano costoro assicurarsi del bagno , dove per li varii casi, che vi intervengono, i sani ci metto- no in compromesso la sanità, gli infirmi la vita? Il che fu notato in un bel distico antico , che fu tro- vato nelle therme di Diocleziano, degno di essere scolpito in oro. Baliiea^ vina, veniis corrumpwit corpora sana ; Corpora sana dahunt balnea^ vi?ia, venus» E chi non sa, che le ricchezze, le bellezze, le forze, et ogni sorte di beni,ritornano in danno a chi le usa male? Però è necessario principalmente, prima che altrui si muova, haver il consiglio del suo perito medico, il quale sapendo minutamente la qualità del bagno, et in che può giovare, et in che può nuo- cere, et visti bene tutti i bisogni, et le infermità del patiente, gli darà tutte le avvertentie necessarie a oprarlo bene. Come a dire, che si deve disponere \ 74 Scienze con animo, et di buona voglia a pigliar il bagno , che si purghi, et si alleggerisca quanto tìa di bisogno di tutte le superfluità del corpo, acciò non si risen-^ tino nel bagno, et si prepari che se in qualche parte debole,© infetta fusse dubbio di nocumento,vi si ad- vertisca prima, con buona regola di vita, con untio- ni difensive, et altri provvedimenti. Il qual ordine perchè richiede il giuditio particulare de' medici , lo rimetterò alla prudentia loro. Fo ben' sapere a chi si trova in questi bisogni, che tre sorte di huo» mini vanno al bagno» li disperati da'medici, et que- sti vanno, come si suol dire, per rimettersi alla fu- cina, et per lo più vi muoiano, et bene spesso se ne dà a torto la colpa al suo medico et al bagno. Altri che ben si consigliano, et ne ritornano consolati, et tal volta sani di si grandi infermità, che se in tutto le forze della medicina si veggano mai miracoli, si veggano a' bagni. Li terzi sono li inconsiderati, che corrano in fretta, et li troppo assegnati, che men- tre pensano a fuggir le male spese, non si accorgo- no che i bagni, senza il consiglio de'medici, son la purga delli avari. Et di questi simili si verifica quel proverbio, che comunemente si suol dire a chi torna piggiorato dal bagno-Andasti al bagno per le doglio- .Se // bagno conviene a ognimo. Di qui è chiaro che se ben questo bagno si loda et è provato a sanar molte infermità, non si ha pe-. rò da pigliar per conclusione, che sìa utile egual- mente a ognuno. Perchè riducendosi tutta la forza della medicina nel sanare il particulare , et non lo universale, tutte quasi le sue regole patiscono eccet- tiene, et massime nelli estremi. Al proposito si co- Acque Albule T5 me non si cava sangue regolarmente ne a' putti, ne a'vecchi decrepiti per grave infermità che loro liah- bino, che nelle età olì mezzo et robuste è rimedio realissimo: così questi duoi estremi, cioè la pueritia et la vecchiaia, vengono a essere escluse comunemente dal bagno. Proibiva Galeno nei libri di conservar la sanità alli putti ogni sorte di bagno minerale, co- me diseccativo , et a quella età molto contrario, pe- rocché impedisce loro il crescere. Ai vecchi poi non è men dannoso per essere eglino di poco vigore, et il bagno minerale troppo risolutivo. La conditione di questi seguono alcune complessioni gentili, et di donne, et magiormente se fussero gravide, come an- che gli estenuati dal lungo male, deboli, et mal sa- ni, ò febbricitosi, ò tisici, perchè in questi casi non conviene il bagno in modo alcuno, All' incontro pe- rò è necessario in certi particolari rimettersi al giu- ditio del prudente medico: perchè saran de' vecchi robusti , et de' putti sani , et donne per altro sane, che comporteranno il bagno agevolmente, quanto se e' fussero nel grado de' giovani. Similmente havendo rispetto alla conditione del bagno, se è violento, ò nò. Questo habbiamo di vantaggio nelle albule, che se acqua di bagno si può pigliar con sicurtà, queste per essere di un temperamento cjuale elle sono, non Qperano con violentia alcuna, et purché siano ado- perate regolatamente, son sicure a ogni conditione i\ì persone. Del tempo del bagno. lì tempo d' andar al bagno non si può limitare per regula alcuna generale, eccetto che si deve eleg- gere in Cjjuella stagione che l'acqua del bagno conser- 76 Scienze va, et mostra più il suo valore. Nessuno quasi se ne ritrova utile l'inverno per le piogge continue, che le stemprano: da primavera in tutta la state fin'aU'au- tumno, moltissimi, et chi prima, et chi poi: altri per esser troppo caldi di natura, non convengano, se non da primavera, et nell'autumno. Altri per esser fred- di amano il maggior caldo dell' anno, et maggior- mente perchè cessano allora le piogge, et venga- no manco a contaminarsi. Le nostre albule , ben- ché siano pili tosto fredde, che calde, non di me- no sono manco utili ne' gran caldi , che in prin- cipio della state : prima perchè se bene l'aria de Tivoli è molto celebre, nientedimeno in quel pia- no, ove sono li bagni, per il sol Lione l'aria non e molto sana , che è forse una delle prime avvcr- tentie, che si deve haver ad ogni bagno. Et dipoi per una ragione particulare di queste acque : le quali ( come habbiamo detto di sopra ) hanno per natura certi spiriti vivaci di un caldo temperato , che ne' gran caldi svaniscano, et le privano di vir- tù , dove sentendo l'aria fresca si uniscano , et le fanno migliori. Et però il d\ quanto è maggior caldo di sole, che par' gran' cosa, son' più fredde: da mezza notte fino all' aurora , che è la miglior ora di pigliarle, sono alquanto caldette : da quel- la in poi si ritira più in dentro quel vivace bol- lore , et esteriormente durano fredde tutto il dì . Onde il miglior tempo di pigliarle sarà dal mez- zo aprile , maggio, et giugno, per insino a s. Gio- vanni, et per il settembre sin' a mezzo ottobre. Acque Albule 77 Se conservano la virtù portate altrove» Per la medesima ragione è chiaro , che non hanno la medesima virtìi queste acque portate al- trove, che alla vena propria. So io bene che alcu- ni medici l'hanno fatta condurre, et 1' hanno data qui in Roma con buon successo, tuttavia d'alcuni se ne son' visti molti mali effetti. Et infra li altri vidi r anno passato una honorata donna che pi- gliandola in Tivoli, lontano non più di tre miglia dal bagno, le sopraggiunse la febbre: et ritornatase- ne in Roma vomitò per tre giorni solfo et cholle- ra , fin che quando le parve di essere scarica, fi- ni di vomitare, me presente, il solfo et l'anima in- sieme. Air uso del beveria adunque è necessario andar sul luogo proprio : ma a uso di bagno , se bene haveranno perso alquanto, riscaldate però sì potranno usare utilmente: a costume di quelli im- j peratori , che se le facevano venire a Roma , co- me racconta Svetonio di Aiigusto , che per conto j de'nervi , dice lui, che si dilettava entrar in una I tina grande di queste acque riscaldate , e starvi j dentro alzando or una gamba, or l'altra. E al me- I desimo modo 1' ho fatto io tal volta usar qui in ! Roma a doglie dì giunture, et a certe rogne gras- se, et alle infiagioni frigide del ventre , o delle 1 gambe , et simili. i // modo di pigliar V acqua alhiila. j La mattina dunque innanzi all'alba si deve an- dare sopra il lago proprio, et affondarvi ciascuno il suo vaso almeno un braccio a dentro, et imme- 78 Scienze diate Leverne due, o tre tazze, secondo altrui ptiJij et sì assuefa a pigliare perchè! tuttavia gli tornea ra più facile. Deve darsi poi à passeggiare, finché sentendo calata 1' acqua dallo stomaco, ritornerà a pigliarne altrettanta , perchè cominciando di lì a poco a purgare , è tale uno ^ che ne piglierebbe senza fine. Ma tenghi pur ognuno qiiesto tei^mind $ di beverne per spatio di un'hora quanto solamen- te lo stomaco gli ne comporta, et non sforzi nien- te la natura. Suol purgare questa acqua bevuta pei* cinque vie , per di sotto , et per urina ^ et que- ste sono le ordinarie, et le migliori : per vomito, et massime a chi è facile di stomaco, et lo lascia per l'avvenire più gagliardo ; per sudore a quelli che si affatigano , o che sono di rara testura. Ul- timamente a certi fa sputar tutto il dì , et questo è segno della debolezza dello stomaco , che fatica a smaltirla ; et a cjuesti tali io do per consiglio , che ne piglino manco, faccino più esercitio, digiu- nino più , et usino cibi più leggieri. Se il bagno non facesse operatione. Io ho osservato a tutti i luoghi dove si be- ve acqua di bagno , massime in Italia , dove ne sono le più et di virtù nobilissime, che per qual- sivoglia cagione , ad alcuni certe volte non purga- no, come dovrebbono. O sia perchè quell'anno la stagione è contraria al bagno, o perchè il patien- te non si sìa prima ben preparato , o perchè egli habbi lo stomaco debile , o che ne pigli poca , o ci facci sopra troppo esercitio. O veramente, che per lo più suole essere , fin che il corpo non si assuefa a quella sorte di purgatione, non è gran Acque Alt^lle ?9 fatto , se dura fatiga per due, o tre dì, fin clic si avvia da se stesso, et purghi facilmente. Però quan- do r acqua non facesse operatione , io do comu-^ ncmente due aorte di rimedj. Prima, chi fusse sti- tico di natura , visto il Lagno non operarli le pri- me mattine quanto a ragione dovrebbe, ajuti la de- bolezza del corpo, prima col vivere di cose mol-' lificative, come sono prugne in minestre, uve pas* se, brodi, et simili. Di poi provino una o due mat- tine bere nella prima presa del bagno qualche cosa che abbi del solutivo. A' piìi nobili si dissolve in tiìi bicchiere dell' acqua medesima del Jjagno una ò due once di manna » a' poveri un cucchiaio di ragia di ottimo vino, ò vero un poco di salgemma. Per cosa comune , non è meglio di tre ò quattro oncie di mei rosato solutivo. Se il difetto però ve- nisse dallo stomaco, et che l'acqua del bagno fusse di natura manco calda del bisogno, si aiuti riscal- dando l'acqua al foco, si come si fa a certi bagni di Germania, ò al sole, come a certi altri in Ro- magna. Altri provino a farsi clisteri dell'acqua me- desima. Altri che dubitassero dell'esercitarsi troppo, diminuischino lo esercitio.Ghi vi dormisse sopra, stia desto in ogni modo. Chi ne havesse presa poca il primo dì, provi il secondo et il terzo con due, ò tre misure di più. Alla fine a chi non tornasse bene il conto di pigliar l'acqua al regettarla, risolvasi che quel bagno per allora non fa per lui, et per pili sicuro rimedio lasci la impresa a migliore oc- casione. Del modo del vWere. La medesima importanza che habbiamo detta 80 Scienze delle preparationi, si deve anco intendere del modo del vivere al bagno. Il quale in generale vuole es- sere senza disordine, et adoperato con quanta co- modità più si può. Perchè chi disse bagno disse cO" modo et piacere. E di qui è che i poveri non pos- sano recare se non per il piii infamia al bagno , e non senza danno loro. Perchè a quel che io ho visto in molti Lagni d' Italia, fra 1' andarvi loro inconsideratamente , et senza esser ben pre- parati , fra li disordini che vi fanno , et le in- comodità che vi hanno, è veramente miracolo d'Id- dio che alcuno ne torni sano, et non vi rimanghino tutti. Quanto alla elettione de' cibi, debbe farsi se- condo le qualità, e dispositioni del patiente ; ri- spetto all' acqua non se ne dà eccettione alcuna, perchè bevendosi sgombra via ogni superfluità. È ben regola generale di tutte le acque de' bagni che non si debbano usare se non a corpo digiuno, et finito il bere si deve anche aspettare finché ella finisca la sua operatione senza mangiare altro ne bere, ne dormire : perchè quando sarà fermo il corpo, et la urina tornerà tinta del suo solito co- lore, sarà segno di essere «scita tutta a chi più presto, a chi piii tardi, circa 11 mezzo giorno, et il vespro. Allora si entrerà a tavola senza salza , perchè suol causare appetito pur troppo, et gli si deve pili tosto tener freno di non mangiare, ne be- vere piti dell' ordinario: mangiare adagio, bevere buon vino, masticar bene il pasto, et sopra tutto sieno cose buone per quanto si può. Il resto del di si deve passare senza dormire, eccetto a chi fusse solito sonnacchiare a sedere per dir di cinque pa- ter nostri , et chi se ne sentisse ancor gravar la testa, gli altri d'i se ne guardi. Notlficando a cia- scuno che in tutta la cosa de' bagni, non e acci- AcQtTK Albùlé si dente più ordinario ne più pericoloso che il dor=- Jnire del dì: perchè questo è causa per il più che l'acqua non si finisce di purgare, di modo che li Vapori più sottili della miniera penetrano nelle vi- scercj et aggravano la testa. Le parti più grosse fanno posta in corpo, la posta si pietrefà, et con- taminando gli humori, genera febri, et altri gravi mali, che ho già detto. Et perchè il sonno si causa dal mangiare, però si dice che si debba mangiare sobriamente. Del resto vivasi quanto le conditioni del luogo comportano senza incomodo, et allegra* mente, et senza dir suoni, et canti, et feste, si con- cedano a' bagni tutti i piaceri honesti, purché si faccino senza fatiga, et con misura. La cena per es- servi poco spatio sarà leggera: si dormirà poi suo sonno consueto, et solo , sin' all' alba che si deve i»itornare a bere: benché chi non fusse sollecitato da gran bisogno , potrebbe intramezzare qualche giorno senza pigliar V acqua, et maggiormente se fusse consigliato un dì bevere, et l'altro bagnarsi. Perchè malamente si può fare in un dì l'uno et l'altro : perchè bisogna prima padir l'acqua et di poi entrar nel bagno pur digiuno; perchè lo in- trarvi dopo questo, prima che sia padito, sarebbe errore. Meglio è bever prima quattro, ò sei, ò più dì, et di poi cominciare a bagnarsi. Né si prescrive tempo ò numero: ma il bevere dovrebbe arrivare per insino a dieci giorni, et non passar li quindici, presuposta sempre la tolerantia. Reggimento dopo il bagno* Finito il bagno ; perchè il corpo si troverà I ben purgato, et si deve conservar sicuro da ogni G. A. T. LXXL 6 82 Scienze accidente, però non deve alcuno , et molto mena gli infermi, allargarsi di vita. Tornerà adunque dal suo medico, et pigliera consiglio come debba re;^- gersi. Perchè altri torneran sani, ò almeno miglio- rati de' loro difetti, ma per avventura riscaldati, che haran bisogno di rinfrescamento, et tali gio- vani saran guariti dalle piaghe , et della rogna , ma havendo il fegato come una fornace , et ogni acqua che tiene di solfo, havendo potentialmente del caldo, per dubbio di qualche nuova ebuUitione, sarà necessario risanguinarli. Altri saran rimasti con qualche debolezza, e altri che non saran sanati in tutto, et questi debbano sperare indubitatamente, che servando i precetti del medico, et i debili mezzi del governo della vita, il giovamento sarà maggiore di poi, che durante il bagno. A' certi che saran sottoposti ad alcune infermità che non si sanano così di facile, et recano pericolo istantaneo della vita, come il mal della pietra , della renella , la difficulta della urina, il mal del fianco, ò del ma- trone, et simili: a questi laudo io che frequentino il bever di quest'acqua due volte Y anno, cioè il maggio, et cessati i caldi sul settembre: perchè ne ! risentiranno tal giovamento, quale saria di risusci- tar' da morte a vita. Queste sono, illma, et e cerna signora, come a dir le maxime, et le più generali avvertentie, che io possa darle in questa brevità del bagno. Rimet- tendomi di infinite altre circostantie, che vi si ri- cercano, ai nostri libri delle Therme, dove a be- nefitio di tutta la posterità, si darà da noi nuova notitia al mondo dei gran secreti della natura in tutte le acque, che insino a questa età habbino Acque Albulé ^3 havuto nome di qualche segnalata virtù ^ doxxri- que siano. (Qui ha fine il discorso del Bacci sopra le acque albule ). Ora la restaurazione di cui ha parlato il Baoci, conseguita a'suoi d'i e della quale appariscono mol- ti ruderi, diversi dai romani antichi, sembra dopo circa mezzo secolo andata in oblio.Imperocchè Tom- maso Neri, erudito medico tìburtino (1), niuna pa- rola fa della medesima. Ma ciò che piìi ci sorpren- de si e, che questo medico assai lodando un suo zio materno Vincenzo Colonna ( da altri storici ti- burtini portato alle stelle non solo come padre del- la patria, ma anche come medico valente (2) dimen- tica affatto il Bacci non ha guari defunto, insieme col suo discorso delle acque albule, al Neri certa- mente noto; moltopiù che il discorso indritto alla principessa di Aragona , lo dice il Bacci rivisto e ristampato in Roma. Probabilmente quindi la pri- ma edizione fu eseguita in Tivoli (3). Sembra quindi esservi stata qualcuna di quelle basse gelosie fra il Bacci ed il Colonna zio del Neri, altrimenti non sapremmo spiegare il suo si- lenzio . Imperciocché loda esso grandemente le (i) De tyburtini aeris salubritate. Romae 1622. L'opuscolo è scritto in quest' epoca; siccome rilevasi dall' intitolazione al cardinal Gozzadino vescovo di Tivoli. (2) Viol. Op. cit. tom. 3 pag. 275. (3j Quantunque nessun recente storico di Tivoli, a me co- gnito, parli di tipi in questa città, sono pochi di clie per caso vennero nelle mie mani alcuni epitaffi giocosi del Loredano, e del Michielc intitolati a monsignor Luigi marchese Bevilacqua governatore di Tivoli. Nella stamperia in Tivoli di Francesco Felice Mancini 1626. Il compii. 84 Scienze virtù medicinali delle albiile, ed i vantaggi speri- mentati in alcuni suoi malati , onde poscia escla- ma (1) : O utinam profecto inanimum tyburtinQnirìi caderet haec balnea resarcire (2) ! Fine del 1°. articolo. (i) Opusc. citato pag, 102. (1) Non facciamo parola dell'opinione di quel medico riferita da Cabrai (pag. 67 68), mentre egli coll'idea delle sostanze al- luminose (perdonabile ai medici de' secoli precedenti) crede ca- paci le acque d'impedire il traspiro. Il cbe ripugna all' espe- rienza antica e moderna. La sventura, di cui dassi cenno dal saddetto autore avvenuta a gente idiota , derivò dalla colon- na di gas acido idro-solforico cbe sulla riva del lago svolgesi tal fiata abbondantemente, ma non mai più accadde, né può fisica- mente succedere, dove furono, e saranno ristabiliti i bagni. Era sotto i torchi questo art., quando un illustre nostro amico e collega, il sig. cav. Pietro Ercole Visconti, ci ha presentata una terza edizione del lavoro del Bacci intitolato cosi -■ Discorso delle acque Albule , bagni di Cesare Augusto a Tivoli; delle acque di s. Giovanni a Capo di Bove nuovamente venute in luce; delle acetose presso a Roma e delle acque d' Anticoli, con alcune regole necessarie per usar bene ogni acqua di bagno , dell'eccell. medico M. Andrea Bacci delle Therme. In Roma per gli eredi di Antonio Biado, stampatori Camerali, l'anno iSSy; 4> di faec« 34' ^^ eomp. Bilancio della cassa di risparmio in Roma per V anno \ 836, e scritti fatti per la seconda g-e- nerale sessione della società tenuta il giorno 7 aprile 1 S3T. Rapporto e bilancio della cassa di risparmio per V anno \ 83G presentato dal sig. A, Feoli ra^ gioniere^ letto ed approvato nella sessione de- cima del consiglio d' amministrazione tenuta il dì \ febbraio 1837. X\*ò\ presentarvi, o signori, il bilancio della cassa di risparmio, che ha principio col '14 agosto 1836, epoca della sua apertura, sino a tutto dicembre del medesimo anno , ho stimato opportuno di unirvi alcuni cenni, tanto sul metodo, col quale fu im- piantata la scrittura ed ordinato il meccanismo di ricevere e rendere i depositi nei giorni stabiliti , quanto sulle notizie che dall' andamento delle ope- razioni della cassa ho potuto ricavare e sui depositi e sui depositanti. Serviranno i primi per sottoporli col bilancio ai sindaci, i quali nelT emettere sullo stesso il loro parere, potranno in pari tempo istruir- ci se i metodi stabiliti sieno suscettivi di migliora- mento. Ne saranno i secondi disutili per render noti agli azionisti ed al pubblico i movimenti che la cassa ha fatto in sì breve spazio di tempo, ed in qual grado abbia corrisposto allo scopo, cui mirò nella sua fondazione. S6 S e I E N z s CONTABILITA' DELLA CASSA I moltiplici e minuti dettagli, che hanno luogo nelle operazioni di una cassa di risparmio, esigono il pili grande ordine, sia nel meccanismo di ricevere e restituire i depositi, sia nel sistema di stabilirne la contabili ik. È di grande importanza 1' adottare in princi-» pio un sistema regolare, affinchè non ne segua l'ui- conveniente di doverlo presto variare: lo che seco implicherebbe lo sconvolgimento di ogni operazio- ne. Deve poi questo essere tanto semplice, qu-anto sicuro e spedito , perchè per poco che si rimanga arretrati nelle operazioni di una cassa di risparmio, inevitabile si rende il disordine, La cassa di risparmio in Roma eretta in socie- tà anonima, richiedeva, anche a termini di legge , una scrittura formale in parti doppie ; e cosi noi r abbiamo impiantata. Ma nelle doppie scritture delle casse di risparmio, in un conto cumulativo in- titolato Conto Depositanti^ possono in massa scrit- turarsi tutti i singoli depositi, che si ricevono, e quei che si rendono, ed è forza che i conti partico- lari dei depositanti figurino in separati registri, or inglesi ed i francesi che, come è notissimo, da lungo tempo si trovano di avere stabilite nei loro stati moltissime casse di risparmio, fra lo quali pri- meggiano quelle di Londra e di Parigi, chiaramente confessano nei loro rapporti di non aver potuto adot- tare sistema diverso, stante la complicazione delle molte e minute partite di una cassa di risparmio. Aggiungono però che ad evitare gl'inconvenienti, Cassa di Risparmio 87 che poti'ebbero derivare dal non essere scritturate in parti doppie le singole partite dei depositi e ri- tiri dei medesimi, è necessario di adottare dei me- todi di confronto o controlleria, dei quali ciascuno ne prescrive qualcuno: concludendo però, che il mi- gliore e pili utile dovrà sempre riguardarsi quello, che sia in analogia colla vastitk e colle circostanze di ciascun particolare stabilimento. Noi adottammo fin da principio un nostro pro- prio sistema , non molto dissimile da quelli prati- cati , e forse il più adattato per la nostra cassa na- scente : e possiamo lusingarci di non aver equivo- cato nella scelta, dopo che abbiamo conosciuto in fatto la speditezza e sicurezza, colla quale ci è riu- scito di disimpegnare le operazioni della cassa. A renderne in qxialche modo ragione incomin- ceremo con ordine a parlare del meccanismo col quale si disimpegnano le operazioni della cassa nel ricevere e restituire i depositi nei giorni stabiliti , par landò poscia del modo di redigere la contabi- lità. Allorché un individuo si presenta per la pri- ma volta alla cassa, per effettuare un deposito, vie- ne diretto ad un commesso che ritiene la rubricella ed il libro di notizie. Osserva questi se già figura il nome del depositante in rubricella, onde non acca- da r inconveniente di aprirgli un secondo conto : e quando ciò non sia, prende dal medesimo tutte le possibili notizie , cioè il suo nome, cognome, patria, domicilio, professione ed età, trascrivendole nel li- bro delle notizie, ove in apposita casella fa pure firmare il depositante, o vi nota essere il medesimo illetterato. Tal registro è utilissimo per conoscere la condizione dei depositanti e lo spirito che può 88 Scienze averli mossi a profittare della cassa , fa presentire i progressi sperabili nella medesima, e serve in fine di freno a qualunque male intenzionato per non ten- tare di appropriarsi 1' altrui libretto di credito, sa- pendo che può esser soggetto ad interrogatorii ed anche al confronto del carattere. Si confessa, che non siamo ancora riusciti a por- re questo libro in perfetta regola; poiché, per non infastidire con molte difficoltà i depositanti ed alie- narli dal venire alla cassa, ci siamo dovuti conten^ tare di ricevere quelle notizie che è piaciuto loro di esternare , ricusandosi talvolta di darle intera- mente col pretesto che, depositando per commis- sione altrui, non possono somministrarle complete. Col progresso del tempo, come di già si è incomin- ciato a praticare, maggiore esattezza si potrà otte- nere ; e soltanto 1' averlo introdotto nel nascere della cassa, fu di non piccola utilità, come si è os- servato nel chiudere il bilancio e come nella se- conda parte del presente rapporto si dimostra. Il commesso , alla cui cura è il libro di ru- Lricella e notizie, dopo aver raccolto ciò che inte- ressa sapere dal depositante, gli rilascia un piccolo bollettino stampato, chiamato mandato d'entrata ^ trascrivendovi il nome e cognome: e lo invia ad al- tro commesso che lo segue, il quale ammonito dalla presentazione di tal bollettino, che il deposito è am- missibile, in pari tempo che denota la somma e data nel mandato di entrata, fa che altro commesso a lui vicino riempia le stesse particolarità nel libretto da rilasciarsi: ed il libretto e mandato così riempiti passano al cassiere , che fa tirare il denaro , pone le firme nell'uno e nell' altro documento, ed ambe- due li passa al ragioniere , il quale da altro suo Cassa di Risparmio 89 commesso fa trascrivere nell' elenco dei depositi del giorno la partita, firma il mandato ed il libret- to, e consegna ambedue al provveditore. Questi, dopo aver firmato soltanto il libretto, Io rimette al depo- sitante, e presso di se trattiene il mandato che si tro- va munito delle firme del cassiere e del ragioniere. Al termine della seduta il cassiere ed il ragio- niere confrontano 1' elenco del giorno, e trovandolo d'accordo sui nomi e sulle somme, l'elenco viene chiu- so in forma di processo verbale e firmato dai suddetti e dal provveditore. Accadendo il caso di varietà nelle somme, o nei nomi, si ricorre ai mandati d'en- trata, a custodia del provveditore , e da quelli si desume V errore incorso: poiché ciò non può farsi sui libretti già consegnati e partiti coi depositanti. In modo all' incirca eguale si procede nei gior- ni delle restituzioni dei depositi. La persona che si presenta per il ritiro s' in- dirizza col suo libretto ad un commesso, che verì- fica il medesimo sul rispettivo conto corrente , e notando in un bollettino, chiamato mandato di sor- tita, la somma, alla quale ascende il credito e quel- la che si domanda di ritirare , lo dirige ad altro commesso, che trascrive nel libretto la somma ri- chiesta, e lo invia al ragioniere, il quale segna il ritiro neir elenco del giorno, firmando il mandato di sortita, che viene con ricevuta del richiedente ritirato dal cassiere a propria giustificazione nell' atto di pagare. Se la somma sborsata contiene l'im- portanza totale del libretto, questo viene ritirato ed annullato ; se in vece non contiene che parte dei versamenti, si rende al portatore dopo che le tre firme del provveditore, ragioniere e cassiere hanno documentato il ritiro fatto. Al termine della seduta 90 Scienze si fa Io stesso confronto come pe' giorni dei de- positi, e l'elenco chiuso in forma di processo ver- tale serve di documento per le somme in quel gior- no pagate. Tale è il metodo di ricevere e di restituire i de- positi: operazioni che si disimpegnano con tanta speditezza, che meno di mezzo minuto è sufficiente per eseguirne ciascuna, come il pubblico da se stes- so osserva e sperimenta. Ma il più importante poi è quello che segue, cioè di scritturarle nei registri della contabilità in modo semplice e preciso non solo per la scrittura generale, ma per quella par- ticolare di ciascun depositante. Per la prima, dopo aver fatto trascrivere nel registro dei depositi ed in quella dei ritiri tutte le singole partite risultate dall' elenco del giorno ì la somma complessiva, cui ammontano, si porta dal ragioniere nel giornale o gran libro : per le seconde, cioè per le singole par- tite di ciascun deposito, esistono tanti saldaconti , ciascuno dei quali contiene ^00 conti corrispon- denti ai numeri dei libretti, cioè dal N. 1 al 500 , dal 501 al 1000, e così di seguito. Un commesso di- rettore dei saldaconti dall' elenco chiuso d' accor- do estrae tutte le partite appartenenti a ciascun saldaconti, e ne forma separati cartolari, consegnan- do ognuno di questi al commesso che ritiene il ri- spettivo saldaconti. Questi sopra ogni partita vi estrae col metodo numerico gì' interessi a tutto il semestre vegnente. La riunione di tali transunti vie- ne confrontata con la partita complessiva di capi- tale e frutti esti'attivi dal ragioniere , e quando perfettamente bilanci, niun dubbio resta sulla re- golarità del lavoro settimanale. È allora che i com- messi pongono nei saldaconti a credito e debito dei Cassa di Risparmio 91 depositanti la partita del capitale ed interessi col metodo numerico: e cosi facendo in ciascuna setti- mana, al termine del semestre e dell'anno ogni con- to si trova in pari, ed in situazione di poter essere ad ogni istante chiuso ed estratto. Per eseguire l' operazione del bilancio setti- manale dei conti dei depositanti per il capitale e per gl'interessi, è indispensabile di applicare in modo di provvisione gì' interessi col metodo numerico an- che alle partite infruttifere , o siano inferiori a baj. 25 , che non devono fruirne, e quindi al ter- mine del semestre per via di storno togliere quei numeri che sono stati a tali piccole partite appli- cati a comodo, e per solo oggetto di poter effettua- re i bilanci settimanali. Bisogna confessare che il lavoro non è proporzionato alla parvità dell' inte- resse, poiché nel presente bilancio in N. 45 conti che si rinvennero infruttiferi, 1' applicazione degl' interessi, che lor si diedero a comodo, non superò la somma di bajocchi due , la scritturazione e se- parazione dei quali ha aumentato di molto il tra- vaglio, Deve qui poi notarsi, che se le partite infrut- tifere nei primi mesi sono state soltanto 45 , quel- le dal primo gennajo passato a tutto il semestre di giugno venturo ascendono a num. 1056; perchè col termine dell' anno essendosi accreditati ai deposi»- tanti gì' interessi, gran parte di questi non giunge a baj. 25, e perciò cade nella categoria delle par- titelle infruttifere. Le disposizioni del regolamento sono in vero precettive: ma si potrebbe senza timore modificar- le, trattandosi di far cosa utile ai depositanti e co- moda allo stabilimento, esonerandolo da spesa ed 92 Scienze opera eli commessi senza misura superiore all'im- portanza dell' oggetto. Stara ai sindaci di riferire il loro divisamen- to su tal proposito al consiglio: ed acciò possano in atto pratico prender cognizione ed occuparsene, si è qui creduto necessario di farne parola. Oltre 1 registri , dei cjuali si è parlato di so- pra , la cassa ha per la sua contabilita stabilito vari libri ausiliari , tanto pe' mandati che si ri- lasciano sopra il cassiere , quanto pe' certificati che si danno ai depositanti per gì' interessi che non possono ritirare prima della liquidazione del semestre e per le somme superiori agli scudi dieci, che non si pagano all' istante, e finalmente un re- gistro per le diffidazioni da parte dei depositanti in caso di smarrimento dei libretti , pe' seque- stri sui medesimi e per altri casi consimili. Con questi metodi senza incontrare ostacoli o difficolta si è potuto pel corso di quattro mesi e mezzo regolarmente e speditamente disimpegnare e bilanciare ogni operazione della cassa, desumen- dovi il bilancio che si presenta. Quantunque nuo- vi in simil genere di amministrazione ed assistiti da commessi non stipendiati, ma che gratuitamen- te si prestano , si è avuto il coraggio di offrirsi pronti a disimpegnare i depositanti nello stesso giorno, che si presentano, senza averli obbligati di rilasciare i loro libretti per riprenderli in altro giorno, come in tutte le casse di risparmio d' In- ghilterra e di Francia si pratica: si è potuto egual- mente pei pubblici fogli annunziare, che pel gior- no 31 dicembre la cassa era pronta a pagare gl'in- teressi scaduti nel medesimo giorno: lo che prova, che ogni conto era di già regolarizzato e chiuso. Cassa di Risparmio 93 NOTIZIE SULLA CASSA Il corto spazio di mesi quattro e mezzo per- corso dair apertura della cassa a tutto dicembre passato, nel quale si è creduto di formare il pri- mo Lilancio, somministra pochi materiali per estrar- VI le notizie atte a conoscerne i movimenti e i pro- gressi. Ove si fosse voluto imitare V esempio delle altre casse, clie hanno taciuto di darci tali noti- zie prima di vedere i risultati di un intiero anno, nulla si sarebbe dovuto dire. Ma il desiderio di far cosa piacevole agli azionisti ed al pubblico , ha persuaso di render note quelle particolarità che possono interessare. La cassa in 20 settimane, percorse dalla sua attivazione, ho aperto N. 2032 conti mediante al- trettanti libretti rilasciati ai depositanti. Ha rice- vuto 8M4. depositi: cosicché si può dire, che un depositante per l'altro ne ha eseguiti quattro. I libretti estinti per il totale ritiro dei de- positi che contenevano ascesero a 147, che è quan- to dire ad un sei circa per cento su quelli creati: e perciò 1 conti, che sono restati aperti al 31 dicem- bre, residuano al num. di 1885. La statistica dei 2032 depositanti è composta di N. 691 Inservienti ed artisti personalmente intervenuti; „ 239 Altri per mezzo di commissionati; „ 380 Possidenti ed impiegati; 1» 270 Luoghi pii ed opere pie; " ^'^^^_ Incogniti col mezzo di commissionati. W.2032 94 Scienze Le somme incassate dai suddetti depositi sono ascese a se. 73773. 80; in guisa che complessiva- mente un depositante per l'altro versò se. 36. 30, ossia se. 9. 07 1/2 in ciascun versamento raggua- gliato. Le somme ritirate ed in conto dei depositi e colla estinzione di i 47 libretti giunsero a se. 2236. 1 7. Distintamente poi trovansi depositati : N. 700 sino a se. 10 equivalenti al versamen- tu manale ai se. — 50 71 530 11 20 idem idem „ 1 " 1» 137 11 30 idem idem „ 1 50 11 278 „ 50 idem idem „ 2 50 11 239 „ 100 idem idem „5 - 11 115 „ 200 idem idem „10- lì 33 al di sopra di se. 200. " ' ' JN' 2032 Proporzionando questi versamenti con quelli avuti dalle casse di Parigi e di Milano negli anni 1834 e 1835, fin dove giungono i loro rapporti, si trovano presso a poco eguali, perchè gli se. 36. 30. a noi versati in mesi 4^ eguivalgono a se. 96. 80 in un anno , pari a franchi 526 ; e la cassa di Parigi . nel 1834 ebbe ragguagliatamente da ciascun depo- ^''•"'sitante franchi 480 ; come quella di Milano nel 1535 ebbe lire italiane 497. E similmente le somme di ciascun particolare deposito non diversificano molto da quei delle sud- dette casse, poiché, come dicemmo, da noi ascesero a se. 9. 07. ', ed in Parigi nell'anno 1833 a franchi 60 pari a Se. 11. 04, e nel 1835 fino a franchi 120 pari a se. 22. 08. Cassa di Risparmio 95 Nasce diiLbio se i risultati che hanno dato in complesso i depositi fatti nella nostra cassa sieno stali puramente per effetto di risparmio , o se sia in essi aggregato il calcolo. Noi non esiteremo un istante di ammetterlo, dopo che ci hanno istruiti tutti i relatori dei pro- gressi delle casse di risparmio d'Inghilterra e di Fran- cia , che anche in quelle casse marcatamente si scorge un calcolo in una parte dei depositanti. E se ' i|l calcolo esiste in quei regni, ove sonò innumera- bili stabilimenti di banche di deposito con inte- ressi, come potrà mancare nella cassa di Roma, ove non è alcun pubblico banco che riceva depositi col pagarne un interesse ? Ma questo calcolo non nuoce, ed invece giova alle casse di risparmio: cosi soggiungono i suddetti relatori, e noi potremo senza rischio ripeterlo con loro ; perchè l'esempio di coloro che depositano non i loro risparmi giornalieri, ma i loro modera- tissimi sopravanzi per ricavarne un interesse in ve- rità non del tutto lusinghiero, nel mentre che serve a loro stessi di eccitamento ed economia , sprona gli altri ad imitarli , pone in circolazione un de- naro inoperoso, attivandone la riproduzione, e serve in fine alla cassa per potere far uso dei piccoli be- neficii che da questo calcolo ritrae per erogarli e nelle spese indispensabili di amministrazione, ed in bene di quelli che ne profittano nello stretto spirito dell' istituzione. ,, , ,, , Si potrà in appresso con facilità limitare, se si voglia, il calcolo, quando per avventura si espe-- rimentera nel cprsp, completo di uno o più anni che progredisca in guisa da far trovare in imbarazzo pel modo di rinvestire i capitali che ci ^ì versano. 96 Scienze Intanto ci è di vera compiacenza il poter an- nunciare agli azionisti, che la nostra cassa dalla sua fondazione ha progredito con auspicii più lusin- ghieri, e tali da lasciare speranza, che la medesima in corto spazio di tempo gareggerà con quelle piii encomiate degli esteri stati. BILANCIO Breve è il ristretto del hilancio, come lo fu il tempo al quale si riferisce. Viene costituito l'attivo del medesimo da se. 68274. 90, rinvestiti in fondi pubblici, in crediti fruttiferi con ipoteche, ed in conti correnti con garanzia superiore ad ogni espet- tazione. Dal resto di cassa a contanti di se. 8007. 17 \fl somme proporzionate al bisogno : dal resto di se. 250 per interessi attivi non incassati nell' anno. Dal piccolissimo capitale di se. 328. 64 '\f2 in oggetti occorsi nel primo impianto, ed in libri e stampe preparate per V esercizio del '1837, polche quelle impiegate per 1' esercizio del 1836 si trova- no portate fra le spese d'amministrazione dell'anno. Il passivo lo forma il credito degli azionisti in se. 5 mila. Quello dei depositanti di se 71799. 93 4/2 fra sorte e frutti non ritirati dai depositanti medesimi. Il risultato del bilancio, dimostrato nel sotto- posto ristretto, presenta un sopravanzo di se. 60. 78 4/2, che deriva dalla dlEferenza fra gì' interessi lu- crati e quelli pagati e dalle spese d'amministrazio- ne. Si è dovuto accennare anche questa particolarità, più in riprova dell' esattezza dei registri, che per far pompa del tenuissimo profitto ottenuto dalla Cassa di Risparmio 97 cassa, la quale invece avrebbe avuto non piccola deficienza se il sig. principe presidente generosa- mente non avesse col locale fornite le occorrenti mo- bilie, e grimpiegati subalterni gratuitamente pre- stata la loro opera. Il desiderio in fine di porre in regola coli' anno le operazioni della cassa, fu, co- me ben sapete, che persuase di formare il primo bilancio, facendo insieme cosa grata ai socii nel pub- blicarlo. Potremo intanto presagire senza lema di millantare, che allorquando renderemo noto quello del completo anno corrente , i risultati ne appari- ranno assai più soddisfacenti: e forse ci sarà dato di corredarlo di copiose notizie e rapporti, onde e ne* socii e nel pubblico confermare quei sentimenti di sicurezza, che fin da principio sì ben li dispose in fa- vore dello stabilimento. G.A.T.LXXI. STATO ATTIVO E PASSIVO DELLA CASSA DI RISPARMIO IN ROMA AL 3i DICEMBRE i836 DESUNTO DAL LIBRO MASTRO DELLA ' MEDESIMA LETTERA A PASSIVO Capitale delle Azioni . S^- Depositanti diversi Co: di capitali Detti Co: di frutti . . . Boni al portatore . . Certificali per V esigema de' frutti SupsraV attivo di Se 5ooo 71457 63 362 3o 430 t 6 70 77356 63- 60 78- 77297 I 42 ATTIVO Binvestimenti diversi Co- di capitali • . . . Slr In fondi pub- blici. . . In crediti fru t- tiferi con ipo- teche In, conti cor- renti garan- titi. . . . Scudi 99 Binvestimenti in fondi pubbli- ci Co: de' flutti CASSA per ejfettivo contante presso il Cassiere . Delta Co : a parte Boni al portatore ...... Capitale di mobiUe'.e stampe per la rimanenza in essere al 5i dicembre . . . . Cassa Co : a parte dì certi- ficati per V esigenza de' frutti . Se. AGOSTINO FEOL| yisto ed approvato al consiglio dei 1 feb. 1837. P. BORGHESE PRESIDENTE ROSPIGLIOSI COLONNA. TORLONIA MORICHINI PR. DI SULMONA CAMPANA MARINI SACRIPANTI PIANCIANI GOZZANI Visto ed approvato da noi sottoscritti sindaci li 1 o marzo iSò-j. M. BRANCADORL G. GRANDIAQUET. 68274 25o 8007 117 43o 338 6A Dl;\I0STUA7J0NE DELLE RENDITE E SPESE A lUin\OVA IJEL DìCOlNTKO STATO ATTIVO E PASSIVO frulli passivi dovuti ai de- posiUmli al 3l dicem- Ire i836. . . . Se. Pagali in con- tanti . . 7q 58 Conti a credi- to in capi- talijrullì- jeri ed in fondi . Pagabili in forza di certijicati. frazioni inje- riori a bai. uno Se. 562 6 ~45F 85 Spese diverse di amministra- zione per la quota appli- cabile al servizio delC anno i836 Se. SopEKANO LE KENDJTE . Se. Se. 458 217 "075 60 58 Frutti attivi dovali da diversi al 5i dicembre l856. Se. Esatti a tutto die. sudd. Purtatifra le attività . Se. 480 73o 49 49 Frutti dovuti ai depositanti rimasti a beneficio della cassa perchè inferiori a *"/• 01 .... Se. 92 78 f 756 I707- 750 49 6 ai f- 736 170- um vm 100 Scienze Happorto del signori sodi marchese Francesco Brancadori e Gaspare Grandjaquet eletti sin- daci nella prima generale sessione della so- cietà tenuta il 19 febbrajo ISSI, presentata il giorno 10 marzo. Onorati dell'incarico datoci da questa rispet- tabile società di esaminare il conto dell' ammini- strazione della cassa di risparmio a tutto il 31 di- cembre 1836, e riferire quindi le nostre osserva- zioni ed il parere nostro intorno al medesimo, non esitiamo a dar compimento alla commissione rice- vuta, esponendo le cose da noi considerate sotto un triplice aspetto I. La regolarità ed esattezza del conto in se medesimo. H. Il conto reso, come prova della diligente e lodevole amministrazione, non che dell'avvedu- tezza adoperata nello stabilire il sistema delle scrit- ture e del giro de' conti. III. Il conto stesso, come prospetto de' felici \\ risultamenti, che la istituzione presenta, e che fino ji dal suo nascere sonosi avuti oltre a quanto potea | prevedersi e sperarsi. ii A portare un giusto giudizio del conto , che 19 eraci dato ad esaminare, ci siamo occupati di os- servare le scritture, dalle quali parte: i documenti che lo giustificano e che ne sono l'appoggio: non meno che lo stato della cassa, il quale formane , per cos'i dire, la riprova. È per noi una vera sod- disfazione il poter annunziare, che invece di osser- j- vazioni e rilievi , non dobbiamo che lodare e ri-» conoscere regolare in ogni sua parte il conto dell' Cassa di Risparmio 101 ammlnlstraizione di cui trattasi , il quale dal 14 agosto 1836, giorno dell'apertura della cassa, giunge a tutto il 31 dicembre dello stesso anno; presen- ta l'attivo nella totalità di scudi 77,297. 42, della quale somma appartengono ai depositanti se. 71, 437, ^; fa vedere come sì forte somma, in cosi ri- stretto tempo incassata, sia collocata in utili e prov- vidi rinvestimenti; e da per ultimo a conoscere l'a- vanzo che si è avuto in questo brevissimo periodo di quattro mesi e pochi giorni , calcolati i frutti ai depositanti e le spese che sono veramente pic- colissime, e tali che appena meritano di essere men- zionate. Non vi s'incontrano errori di cifre: le partite sono tutte regolari, ed il conto bilancia perfetta- mente. IVon può dunque dubitarsi della regolarità ed esattezza del medesimo. Dall'avere osservate, come dicemmo, le scrit- ture ed il giro dei conti ci siamo dovuti convin- cere , che il sistema adottato è il più preciso ed il pili spedito nel tempo stesso , e quello appunto che possa convenire ad uno stabilimento della na- tura del nostro. La situazione della cassa, il mo- vimento de' fondi, le rendite, le spese, il credito de' singoli depositanti, si scorgono a colpo d' oc- chio: e, quello che più è da lodarsi, mentile i conti sono in tanta regola ed esattezza tenuti , possono essere e sono perfettamente dal pari, e presentano il risùltamento bilanciato di ogni settimana. A ra- gione dunque abbiamo detto a principio, che il conto reso è prova della diligente e lodevole ammini- strazione, e dell'avvedutezza adoperata nello stabi- lire il sistema di scritture e di giro de' conti, che SI bene conduce a raggiungere lo scopo, a cui il re- 102 Scienze golamenlo, ossia legge fondamentale della cassa, e diretto. Non vuoisi però omettere una considerazione relativa ai registri saldaconti^ e questa al solo scopo di perfezionare l'opera, e non di criticare ciò che si è fatto; poiché lodevole anzi troviamo il metodo di apporre nei suddetti saldaconti il notamento dei frutti in ragione della somma depositata , in virtù di operazione numerica sempre eguale. Ma questo espediente, mentre porta a vincere le dif- ficolta che presenterebbero i conti intrigatisslmi e minutissimi de' frutti, porta altresì alla necessita di procedere a controposizioni di partite per detrarre ciò che corrispondereLhe alle somme inferiori a bai. 25, non fruttifere secondo i regolamenti. Sara della saggezza del consiglio di ammini- strazione il vedere se possa trovarsi modo di evi- tare anche 1' accennato sebbene lieve imbarazzo , ovvero se sarebbe espediente, per vincerlo radical- mente, di provocare la deroga al disposto negli ar- ticoli 21 e 22 del regolamento, d'onde ninna per- dita di conseguenza verrebbe all' amministrazione. E poi di lieto augurio il vedere dalle scrit- ture e dal conto come sino dal suo nascere la isti- tuzione della cassa di risparmio sia stata bene ac- colta dal pubblico. E certamente non può deside- rarsene maggior prova di quella, che se ne trae dai depositi sempre in proporzione crescente, e dalle restituzioni che son poche in ragione degl'introiti. La bontk della istituzione in se medesima era senza dubbio un argomento sicuro per presagirne gli etfetti; ma pure non sembrava sì facile che nel nostro popolo, nuovo a sifl'atte cose, prendesse ra- dice così presto e così fortemente una cassa di ri- Cassa di Risparmio IOS Sparmlo, che va contro alle abitudini della plehe di consumare quasi giornalmente ciò che guada- gna. E se pure vuoisi ammettere che concorrono a farvi depositi persone agiate, è lusinghiero il ve- dere come queste preferiscano il deporre nella cassa di risparmio col frutto del solo 4 per cento, vin- cendo le difficolta che seco porta il dividere una somma in tante partite di dieci o venti scudi. Si dirk forse da taluno che questa specie di depositi è alie- na dall'istituto: ma oltreché non possono essi evitar- si, lo giovano certamente nel senso di dargli credito e materia per ingrandirsi. Ne è poi così fuori dell' istituto, come si può credere da alcuno, che anche i men poveri ed alquanto agiati depositino i loro risparmi,! quali se portano somma maggiore, stanuo in proporzione colla condizione dei depositanti. Non è però da tacere che sì pronta e sì felice accoglienza devesi in gran parte ai rispettabili nomi, che figurano fra gli azionisti e formano il consi- glio di amministrazione, fra i quali il sig. prin- cipe Borghese presidente, che con tanto zelo ed im- pegno accolse la idea di questa cassa ed in piìi modi l'ha favorita. Chiudiamo pertanto il nostro rapporto tribu- tando le dovute lodi all'opera in se medesima, ed al consiglio che finora 1' ha diretta. E rendendo grazie alla intiera società, che coi suoi voti volle nominarci a sindacatori del primo conto della cas- sa, la preghiamo ad iscusarcì, se meno acconcia- mente di quello che avremmo voluto e che la cosa meritava ci siamo espressi, non essendo da piìi le nostre forze. iOU Scienze Discorso di monsignor D. Carlo Luigi Monchini consigliar segretario, letto nella seconda sessione generale tenuta il dì 7 di aprile 1837. Nell'ordine de' LenJ materiali avviene l'opposto de' Leni morali: perocché questi possono esser pos- seduti non pur da molti, ma dagli uomini tutti, senza che alcuno ne tolga all'altro; laddove di quelli quanto più se ne ha, tanto più altrui se ne toglie. E ciò in fatti avviene nell'umana società, nella quale vi son que'che abbondano di beni oltre i bisogni, cioè i ricchi, vi sono que' che non valgono a sod- disfare i primi bisogni, e sono i poveri. Questa ine- guaglianza di sostanze è inerente all'umana natura, ed è generata dai vizi, dalle virtù, dalle sorti, dalle disgrazie pubbliche e private , insomma da qnell' immensa varietà che veggiamo nel mondo di vicende avverse e prosperose. In tutto ciò gli spiriti leg- gieri non veggono che un giuoco di fortuna : per Ja qual cosa la stolta gentilità finse questa ben- data agli occhi e posta su d'una instabile ruota , per significare il rapido successo de' favorevoli e contrari eventi, il dispensar ch'essa fa de'suoi doni a caso, non secondo ragione. Ma il filosofo cristiano innalza la sua mente a considerazioni più profonde, e scorge in questa ineguaglianza di averi un ordine mirabilissimo della provvidenza, che,avendo formato glisuomini per la società, mise infra loro tal diffe- renza di condizioni, perchè quindi ne sorgesse un forte argomento di unione e di concordia. Il paci- fico convivere del ricco col povero fu questione , che le antiche società non seppero sciogliere; essi sembravano naturalmente nemici, perchè l'uno ab- Cassa di Risparmio 105 bondante di ciò che manca all'altro, rimo nuotante nel superfluo, difettoso l'altro del piìi necessario: il primo tenace del suo fino alla durezza, il secondo desideroso dell'altrui fino al delitto. E vide il povero ch'era per lui un sicuro mezzo di sussistenza di- ventar proprietà del ricco , poiché allora non gli sarebbe mancato quel vivere, che davasi anche ai cani e alle greggi del suo padrone: dì qui lo stato indegno di schiavitudine, che pone l'uomo, la pili perfetta creatura di Dio, a paro delle bestie. Ma a gran mercè dell'umanità venne il vangelo a solle- varlo da quella abbiettissima condizione e ritornarlo alla propria dignità. Esso sciolse la questione del pacifico convivere, chiamando il ricco al sollievo e alla tutela del povero, il povero all'assistenza e alla gratitudine verso il ricco. In cotal guisa quella ine- guaglianza di fortuna, che pareva semenza di perpe- tua guerra, diventò cagione ubertosa non solo di pace ma di fratellanza; fecondò ne' cuori umani il senti- mento morale ; e videsi che la religione, figlia del cielo, era guaggiìi discesa a perfezionare la società, stato naturale dell'uomo. L'istoria delle romane istituzioni di beneficenza prova a maraviglia questa verità. Per non parlare di tempi da noi troppo remoti, tacerò le opere de* Pam- machii, de' Gallicani, de' Giovanni limosinieri, delle Paole, delle Fabiole , delle Eustochie, e d'altrettali persone nobili e ricche, che mostrarono la più amo- revole tutela verso i miserabili. Alcune di esse non diedero solo, ma profusero le loro sostanze a prò de- gl' indigenti, e si videro, con spettacolo veramente nuovo fra gli uomini, i principali di Roma spogliarsi pei poveri degli averi, e giungere a prestar loro i piìi umili servigi. Gli arciospedali del Ssmo Salva- 406 S e I K W I E tore e di s. Giacomo, che sono fra' primi della citta, rammentano le munificenze de* due cardinali Giaco- mo e Giovanni Colonna, s. Rocco la generosità di un card. Salvlati, il grande istituto di s. Michele, e quello di s. Galla la carità di Tommaso e Mar- cantonio Odescalchi , la migliore delle pie case che si abblan per le vedove le beneficenze de' prin- cipi Barberini, il rifugio della lauretanà per le don^ ne pentite il zelo della principessa d. Teresa Doria Pamfili, il conservatorio Borromeo un card. Vitalia- no, la scuola che sì fa gratis in Trastevere un don Carlo de' principi Massimo , 1' arciconfraternita della Ssma Annunziata un cardinal Torrecrémata, per non dir d'altri inoltissimi. Un monsignor Garmi- gnano, una marchesa Cavalieri, un Giovanni Stanchi, un Pietro Mire lasciarono tutto il loro a* poverelli o per dar sussidio a' chierici bisognosi, o per ricove- rare i sacerdoti infermi, o per rasciugare segreta- mente le lagrime di tanti poveri vergognosi, o per sovvenire in qualunque modo la vera e non colposa indigenza. E non vi ha nobile famiglia in Roma che o non abbia fondato qualche pia opera, o non man- tenga letti pe'malatl, o non dispensi doti per le zi- telle, o non abbia luoghi ne' pubblici ricoveri per mandarvi gl'infelici da lei protetti. A queste istituzioni fatte dalla pietà d'un solo molte altre debbonsi aggiungere, cui diede origine lo spirito di cristiano assodamento. Imperocché non e nuovo quest' unirsi insieme di molti per operar qualche benere le confraternite secolari, che comin- ciarono fin dal duodecimo secolo, ebbero veramente origine da questo. Si fonda in Roma appunto in quell'età il Gonfalone per dotar le zitelle e riscattare gli schiavi che allor facevansi da' turchi, la compa- Cassa di Risparmio 107 gnla tli Santo Spirito per assistere grinfermi, quella della Ssma Trinità per dar ricovero ai pellegrini e convalescenti. I curiali raccolti in società aprono una casa agli orfanelli in s. Maria in Aquiro, e alle donzelle a' ss. Quattro: formasi una congregazione per istabilire un monte di pietà a liberare i poveri dalle usure gravose, un' altra di prelati ed uomini di legge per patrocinare ne' tribunali i diritti dei miserabili soperchiati da' potenti. E siccome la re- ligione era stata quella che aveva informate tutte queste società , esse presero un aspetto tutto reli- gioso, ebbero chiese ed oratorii ed atti pubblici e solenni di culto, e vesti e pratiche che indicassero il dispregio del mondo e l'umiliarsi che facevano per l'amore de' poveri confratelli. Alle private fondazioni, nate sia dalla carità di un solo sia dalla carità associata di molti, la pub- blica amministrazione aggiunse le sue che furono molte e varie e qualche volta ancor magnifiche. Ne si avvisò di adoperar ciò per far tacere i poveri e dar loro gratuite quelle distribuzioni che nell'antica Roma pagana dicevansi congiarii, ma sembrò ai go- vernanti d'interpretare in quel modo la comun vo- lontà, staccando una parte delle pubbliche entrate per volgerla a sollievo degl' infelici. Alcuni grandi spedali e ospizi e conscrvatorii e case di lavoro s'isti- tuirono per tal via, concorrendovi altresì la munifi- cenza de' romani pontefici che per la parte piìi di- letta del gregge furono ancor prodighi del loro. An- che il clero cooperò al bene de' poverelli con ottimi istituti; e perchè Roma non usò mai di escludere da' suoi soccorsi neppur gli stranieri, ne men quelli di comunione diversa, molti stranieri vi fecero pie fondazioni: onde la carità in Roma, sia che si attenda 108 Scienze ai benefici sovvenitori, sia diesi attenda ai sovvenuti, può dirsi veramente cattolica. Ed in mezzo a questa varietà e dovizia di pubbliche opere caritatevoli non mancarono de' poveri ed oscuri, come un Giovanni Borgi, un Leonardo Geruso, un Giacomo Gasoglio, che datisi a raccorre da' ricchi romani quelle limosi- ne, delle quali essi furono mai sempre larghissimi, ebbero il vanto di fare ospizi, scuole, ricoveri da onorarsene anche la magnificenza d'un principe. Ma variano i tempi, e co'tempi le condizioni e le opinioni degli uomini. La carità de' nostri buoni pa- dri aveva immaginato e posto in esecuzione tante spe- cie di sussidii,che non v'è sciagura la quale non trovi il corrispondente soccorso. In mezzo però a tante dovizie noi mancavamo d' un'istituzione, che preve- desse i bisogni e cercasse di sradicare il male nella sua origine. I tempi e le opinioni la richiedevano : l'esempio di altri popoli dava incoraggimento e quasi assicuravano il buon esito. Voi , soci prestan- tissimi, soddisfaceste ai voti de'buoni,e la vostra ope- ra benefica fondando la cassa di risparmio sortì quell'eifetto che meritavano i vostri sforzi e 1 vostri schietti deslderii. Un generoso principe, che fu scelto a presiedervi, con novello tratto di munificen- za volle aprire per la cassa le sale del suo palazzo medesimo, e con ciò crebbe fiducia all'istituzione ed onore alla sua nobilissima famiglia: poiché la gloria piìi durevole viene dalle buone opere. Io però non istarò qui a dirvi ciocche già non solo voi, ma tutto il pubblico ben conosce: non ripeterò quello che con tanta verità e giustezza è stato scritto da' miei rispettabili colleghi i signori sindaci e ragioniere, e mandatovi a stampa per questa sessione medesima. Solo vi accennerò, che essendo la società della cassa Cassa di Risparmio 409 di risparmio la prima che sia stata stabilita in Ro- ma in questo genere di mutuo soccorso, ed avendo rapidamente prosperato con felicissimi auspicii, de- ve dare a voi e a tutti i buoni forte incoraggimento a fare altre simigliami istituzioni di pubblico van- taggio. Noi manchiamo della società d'assicurazione sulla vita, di quelle che garantiscano dagl'incendii, grandini ed altri disastri, facendo che quel male che se tutto cade sopra un sol capo e gravissimo ed in- sopportabile, ripartito su molti sminuisca e quasi si annienti. E qual bisogno non abbiamo noi di ban- che, che facilitando la circolazione de' capitali ali* ombra del pubblico credito dieno forte impulso alla nostra giacente agricoltura, sveglino e muovano l'in- dustria, accrescano il commercio? Giova sperare tutti questi vantaggi, perchè un bene facilmente ne ge- nera degli altri e si diiFonde. Infatti l'esempio della capitale ha mosso subito le Provincie all'imitazione: e Spoleto ha in quest'an- no stesso aperto una cassa di risparmio,che è la pri- ma dello stato pontificio dopo la romana. Essa ha adottato le nostre regole, ha avuto da noi tutti gli schiarimenti che ha voluto dimandarci, e gentilmente si è posta con noi in comunicazione. Simiglianti uf- ficii abbiam prestato perchè possa essere stabilita una cassa di risparmio nella seconda citta dello stato, che tuttora ne manca. La società vi si è già formata, già raccolte le azioni, già messo a stampa il regola- mento, ed aspettiamo di ora in ora d'intenderne l'a- pertura. Ancor Perugia ed Ancona sembra che vo- gliano presto giovarsi di questo bene. Molte poi delle nostre instituzioni di carità han potuto assai di bene ritrarre della cassa di rispar- mio; nel che essa è stata fonte di novelli vantaggi. 110 Scienze Per non esser soverchio nominerò solo la società de' compositori della stamperia camerale, la quale è or- dinata in modo , che ciascuno degli ascritti dà una moneta in ogni settimana, con che formasi una cassa, d' onde si trae un soccorso giornaliero per que' che infermano o sono convalescenti. Cotesta cassa, che stava infruttifera nelle mani di un socio, or si mol-? tiplica mercè della vostra istituzione. Mercè della vostra istituzione molti c|e' miei alunni dell'ospizio apostolico hanno agio di porre in serbo i loro pic- coli sopravanzi ogni settimana: e posso accertarvi che ciò ha messo in loro un maggior affetto al la- voro, un tal eguale spirito di previdenza, insomma gli ha renduti migliori. E l'islesso sommo ponte- fice volle addimostrare in qual conto tenesse cjuest' opera santa ; imperocché comandò che vi fossero collocati 2000 scudi dalla segreteria de' brevi, per- chè stessero a fondo di cento doti di 20 scudi l'una, date ad altrettante povere zitelle di Roma. Così quella elemosina, che distribuita negli anni prece- denti alla spicciolata non produceva alcun frutto, depositata con savissimo accorgimento nella cassa di risparmio servirà a togliere dal pericolo della seduzione ed onestamente maritare tante fanciulle, pcco dunque, prestantissimi soci , come nelle cristiane società , secondochè vi accennava fin dal principio di questo mio discorso, si ottiene l'unione e la concordia, e il pacifico convivere de'ricchi e de' poveri. Ecco come voi fondando una cassa di risparmio in Roma vi avete fortemente cooperato, dando un novello impulso alle buone istituzioni , ajutando le già stabilite; sicché cosi andate com- piendo uno de' piii sacri doveri, che abbia l'uomo in questa terra. G^ssA DI Risparmio 111 Elenco dei cento soci della cassa di risparmio in Roma Consiglio di amministrazione Presidente 1 . S. E. il sig. principe D. Francesco Borghese. yice-pre si dente 2. S. E. il sig. principe D. Giulio Cesare Rospigliosi. 3. S. E. il sig. duca D. Alessandro Torlonia. 4. S. E. il sig. principe D. Marcan- fr ... . / Ionio Borghese. ^ ° ^ 6. Monsignor Pietro Marini uditore della sacra rota. 6. Sig. conte Vincenzo Pianciani. 7. Sig. cav. D. Vincenzo Colonna. Segretario 8. Monslg. D. Carlo Luigi Morichini vice-presidente dell' ospizio apostolico, Direttore 9. Sig. Giovan Pietro Campana. Provveditore 1 0. Sig. marchese Niccola Sacripante. Ragioniere 11. Sig. Agostino Feoli. Cassiere 12. Sig. cavalierGozzani di S.Giorgio. ALTRI SOCJ 13 Sigg. Alhertazzi fratelli 14 „ Alborghetti conte Alberto 15 ,, Alibrandi Angelo 16 ., Altieri S. E. il principe D. Clemente IT ,, Amat monsig. Luigi, arcivescovo di Nicèa 18 „ Armellini Mariano 112 Scienze 19 „ Barberini S. E. il principe D. Francesco 20 „ JBeccari Gaetano 21 ,, Benedetti avv. Francesco 22 „ Bernetti Sua Eiiiza Rma il cardinal Tommaso 23 „ Biondi marchese Luigi 24 „ Bofondì monsig. Giuseppe udit. della s. rota 25 „ Borghese S. E. la princip. D. Adelaide 26 „ Borghese S. E. donna Caterina principessa dì Sulmona 27 „ Borghese D. Camillo. 28 „ Brancadoro marchese Francesco 29 „ Brignole Sua Emza Riha il cardinal Giacomo 30 „ Benucci Giacomo 31 ,, Cagiati Francesco 32 „ Cardinali cav. Luigi 33 „ Cavalletti Fabio 34 „ Cavalletti marchese Ermete 35 „ Cecchi Giovanni 36 „ Chiaveri Agostino 37 „ Chiaveri cav. Luigi 38 „ Chierichini P. Procurator generale per la com- pagnia di GesU 39 „ Chigi S. E. D. Sigismondo principe di Cam- pagnano 40 „ Ciacchi S. E. Rma monsignor Luigi governa- tore di Roma. 41 „ Conti S. E. il principe D. Cosimo. 42 ,, Cortesi fratelli. 43 „ Costa Paolo. 44 „ Cristofari Girolamo. 45 ,, Dedominicis avv- Enrico. 46 „ Degregorio Sua Emza Rma il card. Emmanuele penitenzier maggiore. Cassa di Risparmio 113 47 „ DemattliGìs dotfc, Giuseppe. AS „ Dipietro monsignor Camillo lulit. della s. rota. 49 „ Durante- Valcntini avv. Girolamo. 50 „ Feoli Filippo. 51 „ Feraioli Giuseppe. 52 ,, Freeborn Giovanni. 53 „ Forti Giuseppe. 54 „ Fumaroli Pietro. 55 „ Galanti monsig. Girolamo assessore del teso- riera to. 56 „ GamberiniSuaEriizaRmail cardinal Anton-Do- menico segretario per gli affari di stato interni. 57 „ Grandjaquct Gaspare. 58 ,, Grazioli barone Vincenzo. 59 „ Graziosi Gio: Battista. 60 „ Ianni avv. Giovanni. 61 „ Jullien Pietro. 62 „ Kolb cav. Carlo. 63 „ Lante della Rovere S. E. il duca D. Giulio. 64 „ Lozzano conte Antonio. 65 ,, Manari monsig. Niccola vice-presidente della congregazione civile dell' A. G. 66 „ Massimo S. E. il principe D. Camillo. 67 „ Mencacci fratelli. 68 „ OdescalcIiiSuaEmza Riiia il cardinal Cario vi- cario di Roma. 69 „ Odescalclii S. E. il principe D. Pietro. 70 ,, Orsini S. E. il principe D. Domenico senatore di Roma. 71 „ Orsini S. E. la principessa donna Luigia sena- trice di Roma. 72 „ Pacca Sua Emza Rma il card. Bartolomeo de- cano del sacro collegio. G. A. T. LXXI. 8 114 Scienze 73 „ Patrizi Sua Emza lima il cardinal Costantino, 74 „ Patrizi marcliese Filippo. 75 „ Pisoni Filippo, 76 „ Polverosi Camillo. 77 „ Rem-Picei cav. Agostino, 78 „ Hicci avv. Filippo. 79 „ Sacchetti marchese Girolamo. 80 „ Sala Sua Emza Rma il card. Giuseppe Antonio prefetto dclli^ s, congregazione de' yescovi e re» gola ri, 81 ,, Santucci Ignazio, 82 „ Senni Vincenzo, 83 ,, Sforza Cesarini S. E. il duca D, Lorenzo, 84 „ Silvestrelli Gio. Tommaso. 85 ,, Sneider Antonio. 86 ,, Spinola Sua Emza Rma il cardinal Ugo Pietro, 87 „ Stolz avv. Gaetano. 88 ,, Tadolini prof. Adamo. 89 „ Theodoli P. D. Paolo cellerario del monastero di s. Paolo. 90 ,, Torlonia S. E. la duchessa donna Anna Maria, 91 „ Torlonia S. E. donna Anna duchessa di Brac' cianOf 92 ;, Torlonia S. E. il commendatore don Carlo, 93 „ Torlonia S. E. Don Marino duca di Bracciano, 94 „ Tinelli avv. Pietro. 95 ,, Tomassini Filippo, 96 „ Trocchi Felice, 97 „ Troni conte Tiberio, 98 ,, Valentini cav. Vincenzo, 99 „ Weld Sua Emza lima il card, Tommaso, 100 „ pacchia monsig. Giuseppe uditore della sacra rota. 115 maumiiuaBMt^Bi— M—iiii ii ■ii— LETTERATURA Prospetto dei lavori epigrafici italiani posteriori al 1830. 0, 'fFrlrc in compendio il prospetto di ciò che in una data scienza ed in un' epoca detcrminata fu operato in Italia , oltre clie può esser utile alla sto- ria generale dei progressi dello spirito umano, ser- ve anche piìi ad un giusto confronto fra gli ita- liani e le altre nazioni, onde conoscere il grado che i primi si meritano rimpetto alle seconde , nello avere contribuito all' aumento degli studi. Queste considerazioni ci furono di sprone a tentare un lavo- ro di tal fiitta intorno 1' antica epigrafia. Impren- diamo quindi a discorrere quanto in Italia si operò a vantaggio di essa negli anni posteriori al 1830. Non volemmo rimontare pili oltre , perchè la materia assai vasta avrebbe fatto sì che questo qualunque •scritto star non potesse limitato entro i conlini che ad un giornale letterario si addicono : e questa ra- gione stessa ci obbligò ad anntmciare di alcuni la- vori appena il titolo. Procurammo non ostante di tutto ricordare ciò che ad aumento dell'antica epi- grafia fu in Italia operato ; e ricordammo di fatto quanto venne a nostra notizia : ma chi potrebbe assicurare che nulla si desideri in questo prospet- to ? Certo noi non mancammo di diligenza, non di buona volontà : ma ninno ignora quali e quante sono le difficoltà che nel paese nostro si oppongo- 11G Letteratura no alle comunicazioai letterarie : quindi vogliamo lusingarci eli meritar perdono , se alcune opere , che dovevano aver luogo in cjuesto scritto , ci re- starono ignote. Due cose ci crediamo in obbligo di- chiarare : 1. che questo ragguaglio si stringe ai lavori, i quali riferisconsi alle epigrafi greche e al- le romane t forse altri , piìi degnamente assai dì noi , spronato dal nostro esempio , darà opera per fare altrettanto delle epigrafi etrusche e delle egi- ziane : 2. che il nostro scritto non prende di mira la patria degli autori , ma sì il luogo nel quale furon pubblicate le loro opere : perchè , come di- ciamo patria quella citta che ci vide nascere, co- s'i la Italia è patria di quelle opere in essa pub- blicate , benché scritte da autori non nati in Ita- lia. E con ciò non intendiamo detrarre alcun che alle altre nazioni per arricchirne la nostra j non detrarre alle prime , perchè tutti sanno che Bockh, Osann, Kellermann, Gerhard, Franz , ed altri po- chissimi i cui nomi si avranno in questo prospetto, non sono italiani, e fanno con le loro opere la gloria di altre nazioni : non arricchire la seconda , per- che non aJjbisogna di ricchezze straniere quel pae- se in cui nacquero e scrissero i Fabrctti , i Maf- fei , i Marini ; e che attualmente vanta un Bor- ghesi , un Labus , un Vermiglioli, un Cazzerà, un Avellino , un Aldini , per tacere di altri moltissi- mi. Ripetiamo dunque che noi imprendemmo a far ricordo dei lavori epigrafici venuti a luce in Ita- lia , senza distinzione di nazionalità degli autori, E nella fiducia di far cosa grata agli amatori di questi studi , scendiamo senz'altro al ragguaglio. Cui daremo principio da quc' lavori che pre- sentano insieme raccolte le iscrizioni tutte spet- tanti ad una città ; e primamente ricordiamo le Lavori epigrafici 1 1 T iscrizioni perugine del professor Vermiglioli (1). Vero e che quell'opera fu una seconda edizione ; ma venne tanto accresciuta dal nobile autore e di monumenti e di illustrazioni , che in gran parie può dirsi nuova. Il che sarà chiaro a qualunque voglia por mente , come nelle sei classi contenute nel primo volume , e spettanti tutte a'monumenti etruschi , mentre nella prima edizione contavansi 294 epigrafi, in questa seconda se ne hanno 515. Ma di queste dicemmo non voler render conto : quindi ci stringeremo a dire che nel secondo vo- lume sono 405 iscrizioni (41 in piìi della prima edizione) , divise in otto classi : divinità : impera- torie , onorarie e pubbliche : militari : funeliri : greche : cristiane : miscellanee : false. L'anno do- po , essendosi accresciuto il gabinetto archeologico di Perugia di alcuni altri monumenti scritti , lo stesso sig. Vermiglioli li pubblicò in una elegante letterina (2). Il di lui nome è bastantemente cono- sciuto in Italia e fuori : dire che ne'suoi lavori la dottrina va sempre unita ad una lodevole diligen- za , non sarebbe se non ripetere ciò che molti han già e replicatamente detto. Noi facciamo voti per- chè in molte altre città d'Italia possano emergere uomini tali che lo somiglino nell'amore della scien- za , in quello della patria. Il professore Pier Vittorio Aldini ci die raccol- te e giudiziosamente illustrate tutte le lapidi di Pa- (i) Antiche iscrizioni perugine raccolte dichiarate e pubbli- cate da G. B. Vermiglioli : edizione seconda accresciuta e cor- retta - Perugia i833-i834 voi. i in 4. (■2) Di alcuni monumenti inediti del gabinetto di Perugia , lettera di G. B. Vermiglioli eie. - Perugia i835 in 8. 118 Letteratura via (1) , tutte quelle di Como (2). Le prime non superano le quaranta ; sole ventiquattro però ne potè l'A. eh. trascrivere dagli originali. Le seconde ascendono a ITO , e son divise in otto capi ; cioè : deità e genii : imperatorie : Plinio Cecilio ed altri illustri per dottrina e per eariclie civili e militari: magistrati ed ufliciali municipali : seviri ed augu- stali : collegi delle arti : privati. Di amhidue que- sti lavori del professore di Pavia fecero onorata menzione e proclamarono lodi diversi giornali d'I- talia : e quelle lodi furono meritate ; perchè non desideri in essi erudizione usata con sobrietà dove ne è bisogno , non a caso e vanamente; non de- sideri sana critica, giusto criterio , sagaci interpre- tazioni. Non meno nobile, non meno istruttivo e per la scienza vantaggioso è il lavoro intrapreso dal dottor Giovanni Labus intorno le epigrafi del museo della reale accademia di Mantova (3). Fino ad ora ne vedemmo illustrate 27 , e con quella dottrina , per la quale l'egregio autore a ninno è secondo in questi studi. Anche per opera di luì ven- ne a luce una ristampa dei monumenti gabini (4) già da oltre nove lustri pubblicati e aumentati da Ennio Quirino Visconti. Ognun sa che la terza par- te di quell'opera contiene le antiche iscrizioni esca- vate a Gabi ; molte altre ne sono sparse fra le no- (i) Sulle lapidi ticinesi, esercitazioni antiquarie del prof. P. V- Aldini- Pavia i85i in 8. (2) Gli antichi marini comensf figurati e letterati, raccolti e dati in luce da P. V. Aldini -Pavia i 855 iji 8. (3) Museo della reale accademia di Mantova- i83o-i834, voi. 3 in 8. (4) ftlonumenti gabini della villa piuclana descritti da E. Q. Visconti, nuovamente pubblicati per cura del doti. Gio. La- bus. Milano i855 in 8. Lavori EPrcRAFicf 119 ie Jellc due prime parti. L'editore eh. corredò l'in- tero lihro di Lelle annotazioni , lo arricclù di una dotta pref^Tzionc; e ne ottenne meritate lodi dai giornali romani (1) e lombardi (2). I monumenti letterati di Monfelione furono rac- colti e dati in luce dal Capiall/i (3). Non sono mol- ti i marmi scritti ;; assai piìi le fi|i,uline ; e fra que- ste la piìi antica di data certa che si conosca; quel- la cioè che ricorda Q. Laronio console saflTetto nel 721 di Koma. L'Orti ci die raccolti e distribuiti in sei classi i ventotto marmi scritti antichi di Colo- gnola (4) ; ed aggixtnsc nove frammenti d'iscrizio- ni trovati da poco tempo nel pago degli arusnati. Lo stesso sig* Orti radunò e pubblicò gli antichi marmi scritti di Garda ; quelli di Bardolino ; gli altri dell'antica Arilica. Essi non sono molti , ne molto interessanti (5) ; quindi ne die alcuni altri trovati in Val-policella , territorio veronese , ai quali aggiunse qualche nota il Borghesi (Bollett. Arch, Roma 1836 p. 141), Per cenno fattone da un giornale sappiamo che le iscrizioni antiche di Albenga furon raccolte e dichiarate dal prefetto del- la pubblicai biblioteca (G). Ne a nai giunse notizia che dopo il 1830 venissero date in luce altre rac- colte di epigrali spettanti ad una qualche citta , oltre le ricardate, (r) Giorn. are. Gemi. i83o p. i'2j. (2) Bibl. italiana. Mag. 1836 p. 3oi. (5) Memorie dell'islituto archeologico. Roma i835 in 8. voi. I p. iji. (4) Gli antichi marmi delle gente Sertoria ec. illustr. da G. G- Orti. Verona i8j3 iu S. (5) Di alcune antichità di Garda, di Bardolino, dell'antica Arilica ec. -Verona i8.'^6 in 8. (6) Genova i835 in 8. ■120 Letteratura Per opera dei signori Borghesi e Kcllermann (1) avemmo alle stampe 31 iscrizioni desunte fra le molte pili che lo Steìnbuchel aveva pubblicate ne- gli annali di Vienna. Appartengono esse agli stati austriaci ; e vengono dottamente corrette in assai viziate lezioni. Ve ne ha dedicate a Giove , a Diana, alla Fortuna di Verona, a Silvano , al Gonio anti- genio, a Libero e a Libera; ed una a Giove ottimo massimo ed a Marte custode inalzata, mentre era semplice prefetto di un' ala di cavalieri, da quel Pertinace che poi sali al trono imperiale : vi sono alcuni frammenti dì elogi spettanti al secolo augu- stèo ; uno ad onore di un figliuolo di Costantino; uno ricordante alcune opere pubbliche fatte restau- rare da Settimio Severo ; e molti sepolcrali. Fra questi alcuni spettano a' militari ; ed in uno si ha la voce AERA per stipendia ; ed avvene uno di un capo-comico , il quale avendo vissuto circa cento anni, nel suo titolo sepolcrale fece scolpire: ^/Z- quoties mortims swn^ sed sic numquam ; alluden- do alle teatrali rappresentanze. Anche ve ne ha due cristiane. Le lapidi esistenti nel giardino dei conti Giu- sti di Verona , in numero di trenta , trovarono un editore nel nobile sig. Orti (2). Non sono di mol- ta importanza ; e fra esse ve n' è taluna falsa , taluna di dubbia sincerità. Lo stesso sig. Orti (3) (i) Bollettino dell' istituto archeologico. Roma i835 in 8, p. 36. (9.) Gli anliclii monumenti greci e romani clie si conserva- no nel giaifliuo dei conti Giusti di Verona , illustrati per cura di G. G. Orti. Verona i855 in 4- (3) Gli antichi marmi alla gente Sertoria veronese spettanti, ed illustrali da G G. Orti- Verona t833 iu 8. Lavori epigrafici 121 pubblicò le lapidi veronesi spettanti alle genti Ser- toria e Domizia ; quattro son quelle della prima , sette le altre della seconda. Pure da lui avemmo raccolte le indicazioni di tutte le antiche epigrafi ricordanti cacciatori (1) ; e di tutte quelle che fiin menzione dei diversi collegi di nocchieri (2) ; e del- le altre ricordanti la legione undecima (3). Anche il marchese Biondi (4) ci clic un bel fascicolo d'i- scrizioni , fra le quali molte son cpielle de'mililari. Ma rapporto alle antiche epigrafi risguardanti la romana milizia , due opere furono pubblicate in. Italia durante il periodo di tempo in cui si racchiu- de il nostro discorso , che reputiamo meritare spe- cial menzione : una cioè dai Kellermann , una da noi stessi. La prima (5) , nella quale la somma dottrina va di pari passo con la diligenza , è un completo trattato intorno la milizia degli antichi vigili. Le due basi, argomento dell'opera, sono illustrate per modo , da non lasciare cosa alcuna a desiderare. (i) Antica lapide inedita illustrata da G. G. Orti - Verona j834 in 8. (2) Di alcune anlicliilà di Garda etc, memoria di G.G.Orli. Verona i83() in 8. (3) Gli anticlii marmi della gente Serloria etc. illustrati da G. G. Orti Verona i833 in 8 (4) Atti dell'acc. romana di archeologia. Volume sesto. Roma i835 in 4- ( (5) Vigilum romanorum latercula duo caelimontana , ma- gnam partem militiaa romanae explicanlia , edidit atque illu- stravit, appendicem inscriptionum quae ad vigiles pertinent , laterculorum militarium hucusque cognitorum omnium, et in- scriptionum variarum militarium adiccit Olaus Kcllermauu da- uus. Romac i855 in 4. 122 Letteratura Di ogni carica , di ogni ufficio tle'vigili si ragionai accuratamente : e si ha per ultimo una raccolta di 317 iscrizioni tutte spettanti alla romana milizia , e divise in tre classi. Ai vigili si riferisce la prima contenente 98 lapidi suddivise in otto paragrafi r la seconda contiene 27 lalercoli militari : la terza 192 iscrizioni militari diverse. Molte altre lapidi, e moltissime correzioni alle pubblicate da altri sona sparse nelle note di questo nobilissimo lavoro, giìi altre volte da noi (1) e dal Borghesi encomiato (2): per il quale l'autore illustre si meritò uno dei pri- mi e più distinti seggi fra i cultori dell'antica epi- grafia. Dell'altra opera (3) non possiamo noi proferire giudizio ; anzi ne avremmo taciuto , se il dovere che ci siamo imposti non ci avesse stretti a farne menzione. Quindi noteremo soltanto, che in essa, oltre la illustrazione di trenta diplomi imperiali di congedo ai militari , si Irovan raccolte tutte le notizie (o per meglio dire quelle che noi conoscem- mo) che presta l'antica epigrafia cosi rapporto alle ale ed alle coorti degli ausiliari , cosi agli equiti singolari , cosi alle navi de'romani , cosi ai diversi titoli delle coorti pretoriane. In una appendice si tratta dei nomi delle legioni ; od oltre a ciò sono riportati nel libro 638 marmi scritti e da poco tem- po venuti a luce. Intorno tali diplomi però è no- stro obbligo ricordare come altri lavori parziali , pubblicati durante l* epoca che abbiamo presa a (i) Giorn. arcadico, voi. 66 p i8o. (2) BoUett. deirislh. arclieol. Roma i835 p. 170. (3) Diplomi imperlali di privilegi accordati ai militari , rac- colti e coinentuti da C. Cardinali, Velletri i835 in 4- Lavori epigrafici 423 discorrere , precedessero il nostro che tutti poi li raccolse. Il cav. BaiUe illustrò un diploma di Ner- va (1) : il Cazzerà (2) sette ne aggiunse ai pubbli- cati dal Vernazza nel 1817, e di quel lavoro del professor di Torino rendeva bel conto il Borghesi (3) : il Cavedoni (4) ne pubblicò uno nuovo di Ve- spasiano; e noi stessi uno nuovo di Adriano ne in- serimmo negli atti della romana pontificia accade- mia di archeologia (5). Sappiamo che posteriormen- te uno in Napoli ne fu scoperto relativo all'impe- ratore Alessandro Severo , e che d'esso dottamente trattò l'Avellino ; ma non ci giunse ancora alle ma- ni il terzo volume de'suol opuscoli , nel quale e^ a stesso ci scrisse averlo inserito. Assai pregevole reputiamo un altro lavoro del lodato professor Gazzera (6) ; non solo perchè da esso si ha notizia di molti monumenti della Sarde- gna ; e di una nuova colonia della Giulia Augusta Usellls ; e si assicurano i veri nomi de' consoli dell' a. 158 di Cristo : ma anche piìi , perchè condottovi dal subietto , che è la illustrazione di un nuovo de- creto di patronato e clientela , aggiunge la notizia , (1) Memorie deiracc. di Torino, voi. 55. (2) Memorie dcH'nccad. di Torino , voi. 35- (3) Sulla notizia di alcuni nuovi diplomi ec. del prof. Co- stanzo Gazzera , ragguaglio di B. Borghesi. Memorie dell' istit. di archeologia. Fase. i. Roma i854 in S. (4) Notizia e dichiarazione di un diploma imperiale deirimp. Vespasiano : di Celestino Cavedoni. Modena i852 in 8. (5) Volume sesto. Roma i855 in 4- (6) Ui un decreto di patronato e clientela della colonia Giu- lia Augusta Vsellis , e di alcune altre antichità della Sardegna , lezione del prof. Costanzo Gazzera. Memorie dell' accad. di To- rino , voi. 55. 124 Letteratura e riporta II contesto di tutti i monumenti consimili finora conosciuti, in numero di ventisei. Queste spe- ciali monografie noi le crediamo utilissime ai van- taggi della scienza ; perchè facilitano i confronti , dai quali limpida scende la verità a chi sappia doverosamente rintracciarla. E noi stessi demmo una monografia delle tessere anfiteatrali ornate di con- solato (1); assai più completa di quella che altre volte avevamo prodotta in istampa (2) , e che ave- va meritate le aggiunte e le lodi dei dotti Lahus (3) e Borghesi (4). Essendo venuto il discorso sulle tes- sere gladiatorie , dobbiamo ricordare che alcune ne pubblicò e ne illustrò dottamente al suo solito il pur ora lodato Borghesi (5): una dell'anno di R. 693 ne die alle stampe il Capranesi (6) ; una rinvenuta presso Modena il Gavedoni (T) ; ma non avendo egli bene stabilito l'anno cui spetta, lo fece il Labus (8) fissandola al 735 di Roma. Anche l'Arditi (9) scris- se di una tessera anfiteatrale ; e produsse una sua nuova opinione intorno la spiegazione della sigla SP. che in quella specie di monumenti s' incontra. Noi per amore del vero credemmo dover con traddi- (i) Diplomi imperiali ec. pag. i2t e scgg- (2) Nel volume 2 delle Memorie romane di ant. e belle arti. (3] Delle tessere anfiteatrali. Diss. del MorccUi, con note del Labus. (4) Giornale arcad., voi. 54 gen. i832. (5) Giorn. arcad. 1. e. p. 66. (6) Bollelt. dell'istit. arcbeol. Roma i85j p. 44 {■]) Bollett. citato. Roma i834 p- '^ji. (3) Bollett. dell' istituì, arcbeol. Roma i855 p. 107 (g) Le tessere gladiatorie , memoria del comni. Arditi. Na- poli iSj'i in ,. Lavori epigrafici 12o re (1) la sentenza del dotto napoletano; e fummo ben contenti nel leggere che la nostra opinione non fu dissimile da quella del eh. Labus (2). Il Guarini die alle stampe una raccolta di si- gilli segnatorii (3): sono in tutto 22T; quindi è ben lungi dal potersi dire un lavoro completo di quella specie di monumenti. Oltre a trenta bolli figulini escavati in Arezzo pubblicò il Fabroni (4) ; ed altri ne aggiunse il Kellermann (5): di due trovati presso Modena ebbe a scrivere il Cavedoni (6). Delle leg- gende, che dipinte si leggono sulle mura di Pompei, fecero cenno V Avellino (7), il Bonucci (8), e gli editori del reale museo borbonico. Su di esse aven- do il Bechi promessa un opera speciale, ne siamo tuttora in attenzione. Alcune lapidi di Pozzuoli ven- nero illustrate dal Gcrvasio (9) e dal Lucignani(IO): molte pili pompeiane dal Guarini e dall' Avellino, Il primo sin dal 1823 ne aveva pubblicate alcune rmiarchevoli per la menzione dei MINISTRI. AVG, e dei IIVIRI. V. A. S. P. P, sigle che interpretò s^otis (i) Giorn. arcadico voi. 65. Roma i835. (•2) Nella prefazione alla ristampa de' mon. gablni. Milano i855 in 8. (3) Alcuni sigilli anticlii spiegati da R. Guarini. Napoli »834 in 8. Appendice de' sugelli, senza data in 8. (41 Bollelt dell' istit. arch. Roma i834 p- 102 i5o. (5) Op. cit. Roma i833 p. 119. (G) Lett. al eli. Zannoni in 8. (7) Bolletl. citato. Roma i83i p. 11. (8) Op. citai. Roma i833 p. 141.- i834 p. 33. (9) Osservazioni storico-critiche intorno ad una iscrizione puteolana. Napoli i832 in 4- (io) In velus inarmor Utteratum PateoUs effosum ec. Napoli i83i iu 4- 426 Letteratura annuis saluti puhlice procurandis. Non piacque al secondo tale interpretazione, e volle piuttosto leg- gervi duumviri urbi annonae solemnihus puhlice procurandis. Rispose il Guarlni in una seconda edi- zione de' suoi opuscoli dell' a. 1830; ed in allora r Avellino pubblicò la propria opinione (1). Ne qui si fermò la disputa , perchè replicò il Guarini (2) e replicò r Avellino (3). A noi basterà aver ricordata questa letteraria contesa, senza entrar piìi addentro nel merito di essa: che non è questo il nostro scopo. Questo SI dobbiamo notare, che nelT ultimo opu- scolo dell' Avellino vedemmo raccolti tutti i marmi pompeiani di tali duumviri. Sono 45, diciassette dei quali con data certa di consolato. Prima di condurre il discorso intorno que' la- vori epigrafici, che imprendono ad illustrare spe- cialmente un sol marmo, dobbiamo far ricordo di alcuni altri che aggiransi intorno piìi e diverse iscri- zioni. E ci gode l'animo nel poter dare principio dal nome del dottor Giovanni Labus. Due lettere egli diresse al sig. Orti intorno alcune iscrizioni larinati. Nella prima (4) ridusse a buona lezione un marmo di Traiano; scuopri i veri nomi di Faustiniano console dell' a. 262 dell' E. V; riportò al secolo di Augusto (i) Osservazioni intorno il libro intitolato Insacra nonnulla pompejorum etc. Comni. R. Guarini: del cav. F. M. Avellino. Na- ' poli i83i in 8. (2) Risposta all'opuscolo intitolato: Osservazioni ec. Napoli i832 in 8. (3) Opuscoli diversi di F. M. Avellino, Volume secondo. Napoli i833 in 8. (4) Lettera i.a del dott. Gio. Labus a Gio. Girol. Orli iulor- no alcune epigrafi antiche. Milano i83i in 8. Lavori EPiGRAnci 127 una epigrafe eli C. Vibio Postumo. Nella seconda (1) scrisse dell' onor del Lisellio; del modo usato da al- cuni liberti d' indicar il padrone piuttosto col pre- nome 0 col cognome , di quello che col gentilizio; corresse, emendò, e ridusse a sana lezione una assai mal concia e mal letta epigrafe. In cjucste due let- tere, come in ogni sua produzione, si dimostrò egli per quel valente in epigrafia, che tutti gli amatori tli SI fatti studi hen sanno. Il Bellenghi (2) ci die al- cune lapidi spettanti all' antica Tofico; alcune di FaleriailDeminicis (3); alcune di Ceri il Visconti (A): presone motivo dal traforo del monte Cattilo in Ti- voli, alcune iscrizioni ivi trovate pubblicò il Fol- chi (5), assai più il Viola (6). L'Amati ne fece note molte fra quelle trovate nel sepolcro de' Volusii (7): e ne pubblicò altrove alcune della campagna roma- na, altre trascritte in Francia dal Vescovali, una nomcntana assai pregevole (8). Il De Mattheis da due nuove iscrizioni scoprì qual fosse la sede dei fabraterni veteres invano finora cercata dai geo- fi) Lettera 2. a del dott. Gio. Labus a Gio, Girol. Orti intor- no alcune epigrad antiche. Milano i83i in 8. [1] Atti della pont. accad, di archeologia. Voi. IV. Roma j85i in 4- (5) Sopra 1' anfiteatro ed altri raonumeuti di Faleria. Giorii. 3rcad. voi, 55. Koinu i852 in 8, (4) Atti della pont. accad. di archeologia. Yol- VII. Roma j836 in 4- {l}) Atti della pontificia accad. di archeologia. Voi. VI. Roma j835 in 4. (6) Lettere sul traforo del monte Gatillo. Giora. arcad, voi. 55, j832 in 8. (7) Giorn. arcadico, voi. 5o. Roma i83i in 8. (8; Gioru. arcadico, voi. 56- Roma 1802 in 8. 128 Letteratura crafi (1). In maggior numero dei ricordati sono i la- vori del eh. Guarini, de' quali scenderemo ora a dare un sunto conciso. Diciassette antiche iscrizioni, fra le quali una sacra alle ninfe, e tre ricordanti antiche navi ro- mane, pubLlicò in appendice al ricordato suo lavoro intorno i suggelli (2). In altro opuscolo, dopo aver date alle stampe tre lapidi sacre (3), fra le quali una di Silvano pregevolissima, che tornò poi a puLbli- care il Kellermann (4), ed alcune onorarie, altre se- polcrali, cercò il perchè ne' monumenti trovati in una stessa colonia o municipio non sempre si nota la stessa tribù, e tentò la restituzione di un monu- mento metrico per un cavallo, tenuto per disperato dal Marini. Die altrove alla luce diversi latini fram- menti di Eclano, e dei contorni (5): quindi illustrò un bel monumento greco di sacra federazione dei frentani, e produsse altre lapidi sepolcrali celane- si (6). Seguitando i suoi commentarii, che da oltre tre lustri va pubblicando con tanto utile di cjuesti studi, scrisse della formola sepolcrale sub ascia^ ed imprese a diciferare alcune sigle del tesoro grute- riano lasciate senza interpretazione dallo Scalige- (i) Atti della pontificia accademia di archeologia. Voi. VII- Roma iSSg in 4- (i) Di alcuni antichi soggelli ec. Capo XI. (3) Vari monumenti con critiche osservazioni di R. Guarini. Napoli i835 in 8. (4) BoUctr. dell' istit. arch. Roma i835 p. i53. (5) Bollett. citato. Roma i852 p. Q07. (6) Excursus alter cpigraficus liber conim. XIII. M- Guarini Napoli i835 in 8. Lavori epigrafici 429 ro (l): produsse a luce alcune nuove epigrafi celane- si, ed un frammento di tavola alimentare dei bel- liani , monumento nobilissimo segnato coi conso- li dell' a. 101 di C. (2). Divise altro suo lavoro in cinque paragrafi (3), riportando nel primo alcune iscrizioni greche, e greco-latine: facendo nel secon- do talune correzioni al Reinesio: producendo nel terzo 24 iscrizioni latine non prima pubblicate, al- tre dieci nel quarto da tener care per menzione di cose militari sia di mare, sia di terra, pubblicando nel quinto un insigne frammento di calendario mar- moreo dei tempi di Augusto, scoperto a Cuma, e poi replicato in istampa dal Kellermann (4). Per ultimo il Guarini in altro opuscolo (5) ci die altri 14 monumenti gentileschi e due cristiani prove- nienti da Eclano, due lapidi avellinesi, otto chietine. 11 Kellermann, da poco ricordato, produsse a luce diciotto iscrizioni latine (6) , molte fra le quali im- periali, e con giudiziosi supplimenti. Venendo ora al lavori speciali intorno qualche marmo, e dando come è dovere la preferenza alle epigrafi greche, ricordiamo che il Weber ci die un* ara rastremata di Delos, probabilmente sacra a Net- fi) Excursus III. Bpigraphicus liber. Comm.Xf^. R. Guarini. Napoli i833 in 8. (2) Excursus ly. Epigraphicus liber.Cemm. XVI. R. Guarini. Napoli i833 in 8. (3) Satura non satura. £omni. XIV. R. Guarini. Napoli i834 in 8. (4) Bollet. dell' istil. archeol. Roma t835 p. i52. (5) Alcuni monumenti antichi spiegali da 1\. Guarini. Senta data in 8. (Q) Bollett. deli'islit. archeol. Roma i835 p. iSri. G. A. T. LXXL 9 j30 Letteratura tunìo, e dedicata da un Posidonio Samio (1): 11 Franz un monumento trovato in Oropo, sculto nell' ollm-- piade 114, in cui ci par nuova la menzione di un Apollo Parnesio (2), e quel!' ara ad Esculaplo posta da un padre per la salute de' figliuoli suoi, trovata suir acropoli di Atene nel 1835 (3). Per la sua sin- golarità assai rara è 1' iscrizione di un erme prove- piente da Tenos (4); il Bockh, che la illustrò, vi scuo- prì i nomi di alcuni che avean fatto consorzio di via, e forse quella società era di nauti, perchè distingue- si il primo col nome di navarco, gli altri per gli uffici di sacerdote, di medico, di scriba- In questa classe ( benché non molto conveniente ) riportiamo un marmo copiato in Chio dal Prokesch, ed illustra- to dal Bockh r5), perchè parla di giuochi dedicati ad Ercole e alle muse. Essi giuochi, musicali in par- te, ed in parte ginnici, furono eseguiti dai cittadini nel ginnasio in Ohio ; e mentre ne' secondi son di- vise le diverse età dei ginnastici, questa distinzione non si ha nei primi. Termina il marmo coli' elen- co dei vincitori, ed è certo anteriore ad Augusto, e fors' anche a Siila, Fra le greche onorarie, nobilissimo è un cippo di Rodi pubblicato dal Franz (6), e dottamente illu^ strato dal Gavedoni (7) , e scritto da tutte le quattro (i) Bollett. citato. Roma i832 p. 147. (3) Bollett. citato. Roma i835 p. 209. (3) Bollett. citato. Roma i835 p. 211. (4) Bollett. citato- Roma i83a p, 55. (5 Bollett. citato- Roma i83i p. 69. (6) Bollett. citato. Roma i834p. 2i5. (7) Osservazioni sull'antica slela scritta di I\odi,Qel Giom. di Perugia i835 in 8. p. ib3. Lavori EPicRAnci 131 parti, e con {sculture di corone di olivo e di pioppo. La leggenda di 122 linee dividesi in tre iscrizioni, tutte in onore di un tal Dionisio Alessandrino. Ac- cenna la prima la incoronazione di lui fatta dai dio- nisiasti e paniasti, dappoiché per 18 anni ebbe eser- citato r ufficio di archeranista, magistrato degli elia- sti ed eliadi. Contasi nella seconda, come questi lo coronassero dopo 28 anni di esercizio della stessa magistratura : e nella terza si leggono le molte ono- rificenze retribuitegli dopo averla tenuta per 35 an- ni. Due basi di Andros pubblicò il Tricoupì (1), una il Bockh (2) dei tempi iucirca degli Antonini, in onore di Aurelio Satiro stefanoforo ( magistrato eponimo ) in Teno, il quale per la ricevuta onorifi- cenza della statua fu generoso di assai largizioni: \\w erme di Atene il Franz (3) posta ad un Elio Apollo- nio, che dal lato paterno traea l'origine dai daduchi sacerdoti ne' misteri eleusini, e dal materno da una gerofantrìa. Nella ristampa del museo worsleja- no (4) avemmo la metrica di Asclepiade sacerdotessa di Diana Ortosia: nel bollettino dell' istituto archeo^ logico (5) quel marmo trovato nell' acropoli di Ate- ne, narrante i beneficii compartiti da Audoleonte re dei persiani agli ateniesi, e gli onori da questi in cambio retribuitigli di cittadinanza, corona aurea , statua equestre ; spetta essa epigrafe all'olimpiade 123 in circa: e dal Franz (6) una ateniese in onore di un Agrio Suturnino. (i) BoUett. citalo. Roma i853 p. go. (2) Bollelt. citato. Roma i83a p. 55. ^3) Bollett. citato. Roma i855 p iio. (4) Milano i834 'n 8 p. 69 (5) Roma i833 p. i53. (6) Bollelt. citato. Roma i835 p. 212. 132 Letteratura Non più di nove sono le greche epigrafi che parlano dì opere pubbliche, e che giunsero a no» slra notizia. Il Guarini da Capri ci die la leggenda della base di una statua (1): il Maggiore (2) un frammento spettante all' antico teatro di Segestat r Osann (3) con lungo e dotto lavoro dichiarò la leffsenda della colonna alessandrina volgarmente co- nosciata sotto nome di Pompeo, provando all'evi» denza come fosse stata innalzata dapprima in onore del grande Alessandro, quindi di nuovo, ma con altra base, in onore di Domiziano: il Franz (4) pro^^ dusse la leggenda scritta nella base di una statua sculta da Endeo, pubblicò un lungo ed interessane te frammento dì un decreto intorno una spedizio- ne fatta dagli ateniesi verso il principio della guer» jra olintia (5), e quindi in compagnia del Ross illu-^ strò un frammento di decreto attico per la fonda- zione di una colonna ateniese in Adria (Bollet. arch, Roma 1836 p. 132 ). Nobilissime però sopra tutte le altre sono quelle tre iscrizioni trovate in Atene, e pubblicate dal medesimo Franz (6), le quidi ben- ché assai mancanti e corrose, pure saranno da ognu^- na tenute in gran pregio per le molte cose che inse^^ guano. Paria la prima del rinnovamento delle murn (i) Bollelt. citato. RoDiaiSSa p. i55. (2) Bollett. citato. Roma i833p. t^o. Opuscoli archeologici dell' ab. Maggiore. Palermo i835 in 8. (3) De columna alexandrina Pompei nomine vulgo appellata eommentatio. Nelle memorie dell' istit. archeol. Roma i835 ia 8, p. 327. (4) Bollett. citato. Pioma 1 835 p. 212. (5) Bollett. citato. Roma i835 p. 2i3. (6j Bollett. citato. Roma i835 p. Sg, e 2i5. Lavori epigrafici 133 d' Atene smantellate per opera dei macedoni, in- torno l'a. 200 avanti G. G. come sa^^acemenle e per la forJiia de' caratteri e per altri argoiBenti opina il eh. editore: contiene oltre a 125 linee di scrittu- ra difficilissima a leggere per le lacune : quel re- stauro fu diviso in ditìci partii e locato ad altret- tanti architetti. Narra la seconda il rendiconto dei tesorieri di Atene ^ dopo avere per quattro anni amministrato l' erario della dea : questo marmo è anteriore all'arcontato di Euclide. Il terzo è por- rione di un catalogo delle cose preziose conservate neir acropoli. Non sappiamo se siano state ancora pubblicate le quattro tavole marmoree contenenti la spesa e l'entrata mensile degli hieromnemones^ de' quaestores » e de' praefecti rei frumentariae scoperte presso Taormina in Sicilia nel 1833, ed anteriori di tre secoli circa all' era cristiana (1). Ne son molte le iscrizioni greche sepolcrali. Alcune ne die il Labus nella prefazione alla ristam- pa del museo worslejano (2) : dall' isola di Taso qualche frammento comunicò il Prokesch (3): il Lombardi qualche epigrafe esistente nella provin- cia di Basilicata (4). Tre ce ne die l'Alessi da Ca- ktania (5): due da Capri il Guarini (6): una da Pa- lermo il Maggiore (7), il quale anche con la dovuta ^ (i) Bollelt. citato. Roma i836 p 6. (2) Milano i834 in 8. p. XII. (5) Deirisola di Taso, e degli antichi monumenti ec. Atti del- l' accad. archeol. voi. VI. Roma i835 in 4- (4) Saggio sulla topogr. della Basilicata. Memorie dell' istit. arclieol. Roma i835 in 8. p. igS. (5) Bollelt. citato. Roma i833 p. 172. t6) BoUett. citato. Roma i832 p. i55. , (7) Bollctt. dell' istit. archeologico Roma i833 p. 4 134 Letteratura esattezza lesse in Erlce (1) la greca iscrizione di L. Cecilio Metello fìi^liuol di Lucio, assai scorretta- mente pubblicata prima dal D'Orville e dal Torre- mozza: una ne avemmo di Siracusa dal signor di Paola Avolio (2). Di tutte queste però piìi pregevole assai è 1' epitaffio metrico di Didio Taxiarche pub- blicato dal Gerhard (3): spira attica venusta, ed è lodevole la italiana versione fattane dal Selvaggi. Se questi monumenti, de'quali venne arricchita la gre- ca epigrafia nel periodo di tempo che abbiamo tol- to a discorrere, non sono molti in numero; sono però assai considerevoli per la raritU, e formano una bel- la giunta al corpo delle iscrizioni greche del Bockh. Scendendo alle romane epigrafi , le ricordere- mo secondo le classi cui esse si riferiscono, come facemmo già delle greche. Una sacra a Silvano fu assai operosamente commentata dall' Orti (4): dot- tamente al suo solito il Borghesi illustrò un erme di Giove Terminale rinvenuto nella Romagna (5). L' Antinori (6) pubblicò alcune osservazioni intor- no una lapida sacra alla Vittoria: e provennero dall' Elvezia (7) due iscrizioni della dea Naria, una della dea Àrtione^ la quale dal verbo artire^ che s'incon- tra in Catone, vogliano fosse la preside agli innesti degli alberi. (i) Opuscoli archeologici dell' ab. Maggiore. Palermo i83f in 8. (2) Bollett. citato. Roma iSS'z p. 177. (3j Bollett. citato. Roma i83i p. yS. (4) Amica lapida inedita illustr. da G. G. Orti. Verona i834 in 8. (5) Bollett. citato. Roma i832p. 182. (6) Osservazioni di A. L. Antinori suU' interpretazione di una lapide letterata del sig- Martelli. Aquila i832 ia S. (7) Bollett. citato, Roma i832 p. 166. LAVORI EPIGRAFICt 13J) Di marmi relativi ad opere pubbliche ricordia- iTlo primamente que'frammenti datici dal Keller- mann fi) escavati nel foro romano , e spettanti al portico capitolino , e alla basilica Giulia ; e que' due marmi , relativo l'uno all'acqua Claudia (2) , l'altro all'acqua Trajana (3) , illustrati dal Fea. Lo stesso archeologo produsse in istampa una colonna miliaria della via salarla de' tempi d'Augusto (4) : una di Mazenzio ne die il Guarini (5) ; alcune della provincia di Basilicata il Lombardi (6). L'Orti illu- strò un'iscrizione ricordante l'anfiteatro di Lucca (7). Una bella iscrizione di restauro di una strada, e che inoltre vai molto a fissare il contrastato luo- go in cui anticamente sorgeva Ficulea, fu illustrata dal Ratti (8). Un marmo, in cui si fa parola di una piazza da mercato in Giulio Gamico a' tempi dell' imperatore M. Aurelio Alessandro, pubblicò l'Asqui- ni (9). Luigi Cardinali incominciò a stampare al- cune lettere intorno una lapide anfiteatrale veliter- (i) Bollett. citato. Roma i825 p. 33. (2) Bollett. citato. Roma i83i p. 58. (3) Relazione della scoperta di una interessante iscrizione del condotto dell' acqua traiana. Atti dell' accad. di archeolo- gia, voi. IV. Roma i83i in 4. (4;) Bollett. citalo. Roma i83i p. 139. (5) Osservazioni di Raimondo Guarini sopra un rotolo cela- nese. Napoli i833 in /j. (6) Saggio sulla topografia della provincia di Basilicata. Nel- le memorie dell'istituto di archeologia. Roma i835 in 8. p. igS. {"]) lUustr. di un'antica lapide ricordante 1' anfiteatro di Lucca. Di G. G Orti. Verona i83i in 8. (8; Sopra un'iscrizione ficulense recentemente scavata, diss. di Nicola Ratti. Atti dell'accad. di archeol. voi I V.Roma i85i in 4. (9) Sopra un' antica lapida inedita scoperta in Giulio Car- nico, lettera del conte Girolamo Asquini. Milano i834 in 8. 136 Letteratura na (1): il Kellermann die alle stampe un frammen- to , da cui rilevasi che Antonino Pio restaurò un Lagno pubblico in Tarquinj (2) : ed i signori Bor- ghesi e Palma illustrarono il cartello marmoreo col- locato già sulla residenza dell'attuario che esigeva il dazio posto sui bagni degli interamniti (3). Ab- benchè il Guarini (4) non per altra ragione ripro- ducesse alle stampe un marmo già cognito , se non per convalidare di diversi argomenti la sua opi- nione intorno la spiegazione della cifra SEXS , pu- re in esso marmo discorrendosi del restauro di un tempio d'Iside , era da ricordare in questa classe. Molte piìi sono le iscrizioni onorarie. II Campa- nari (5) ne die una innalzata dal popolo vulcente a Flavio Valerio Severo Cesare l'a. 306 di C. Il Bor- ghesi (6) migliorò di molto la lezione dei fram- menti del già conosciuto senato-consulto in bron- zo ad onore della memoria di Druso figliuol di Ti- berio ; e lo stesso insieme allo Speroni ci dierono l'iscrizione onoraria di un Q. Gecilio Attico escava- ta a Todi (7) : il Palma pubblicò un frammento in bronzo di legge repubblicana (8) : l'Aldini illu- strò un marmo opistografo (9). Dall'una parte pre- fi) Atti dell' accad. lett. volsca. Volume i. Roma 1834- in 8. (2) BoUett, cit. Roma i835. p. 27 (3) Bollett. cu. Roma i833. p. ii3 (4) Valore della cifra SEXS in un marmo di Pompei ; di R. Guarini. Napoli i836 in 8. (5) Atti dell'accad. di archeol. voi. VII. Roma i836 in4p-85. (6) Bollet. citato. Roma i83i. p. i36 (7) Boll, citato. Roma i836. p. 65. (8) Bollet. citato. Roma i836. p. io5. (9) Sopra un'antica lapida nuovamente trovata in Bergamo, lettera del prof. P. V. Aldini. Milano i833 in 8. Lavori epigrafici 137 senta esso la leggenda di una base di statua dal de- curioni di Bergamo decretata in onore di Massimo Cesare figliuolo dell'imperator Massimino; dall'altra conserva memoria di un gladiatore che in Bergamo restò vincitore negli spettacoli celebrati sottoGordia- no Pio. Il Borghesi lodato (1) illustrò il marmo di Sfalangio prefetto di Roma ; ci die quello di un Sesto Pedio Irruto che fu pretore (2); dichiarò una lapida gruteriana , per cui si determina il tempo della prefettura urbana di Pasifilo, e l'età di Pal- ladio Rutilio Tauro (3) ; lavoro per ogni Iato dot- tissimo , e di grande utilità per chi voglia inter- narsi nel labirinto della romana polionimia ; scris- se intorno due lapidi di Ottavia figliuola dell'au- gusto Claudio (4) ; e prese motivo di far molte e necessarie correzioni alla serie dei prefetti di Roma, illustrando un frammento d'iscrizione veneta spet- tante a L. Volusio Saturnino (5). Lo Stancovich scri- vendo delle tre Emone , antiche cittk e colonie ro- mane, ci die la genuina epigrafe di C. Precellio pa- trono di diverse colonie (6) : il Kellermann pubbli- cò quella di un prefetto de' graviscani (7), non ov- via per la menzione del prenome VRoculns : fi Labus una di Sesto Valerio Rufo (8) ; ed alcuni frammenti piemontesi il Cazzerà (9). In questa (i) Bollett. citato. Roma iSSa p. gS. (2) Bollet. citato. Roma i833. p. 65 (3) Memorie dell' acc. di Torino. Voi. XXXVIII i855, ini (4) Giora. arcad. Voi. 49» Roma i83i in 8 p. a3o. (5) Giorn. arcad. Voi. 49 Roma i83i. in 8 p. 280. (6) Venezia i835 in 8. (7) Bollett. citato. Roma i835 p. 27. (8) Bollett. citato. Roma i83i p. i4o. (9) Bollett. citato. Roma i832 p. 34. 138 Letteratura classe ricorfliarao la recente nostra operetta (1) nel- la quale demmo un saggio di correzioni sulla se- rie dei prefetti urbani del Corsini ; perchè nella massima parte si basa sopra gli antichi marmi scritti. Fra le iscrizioni sepolcrali reclama il primo posto il celebre testamento lapidario di C. Dasu- mio , trovato ne'fondì Amendola parte nel 1820 , parte nel 1830; l'Ambrosch (2), che ne die una stam- pa accurata , vi aggiunse le note di Bethmann , di Borghesi , di Niebhur , di Sarti , di Puggè. Il La- bus pubblicò un' assai rara iscrizione , nella quale la legione IX dicesi trionfatrice (3) ; titolo non prima letto nei marmi , non prima nei classici r l'Orioli (4) comunicò al pubblico un marmoreo frammento del già cognito epitaffio metrico di Pe- tronio Antigenide: alcune lapidi mortuali da Ve- jo pubblicò il Geli (5); alcune da Messina il sig. Carmelo la Farina (6) ; alcune piemontesi il Cazze- rà (7). L'Aldini illustrò un bel marmo di Casteg- gio (8): il Fea pubblicò quello di M. Aurelio Fron- tone (9), e Taltro di un negoziante di seterie (10). d] Lettera intorno la serie dei prefetti di Roma del Corsi- ni. Velletri i836 in 4- (a) Annali dell'istit. archeologico. Roma i83i in 8. p. 087. (3) Rpigrafe istriana pubblicata e spiegata dal dott. G. La- bus. Milano i833 in 8. {^) Bollettino dell'istit. di arch. Roma i83i p. 49- (5) Gli avanzi di Vejo illustrati. Memorie dell' ist. archeol. Roma i833. in 8 p. i. (6) Sposizioni di alcune lapidi sepolcrali rinvenute in Messi- Ba. Di Carmelo la Farina. Messina i832 in 8. [j] BoUett. citato. Roma i832. p. 34- (8) Vedi l'appendice alle esercitazioni sulle lapidi ticenesi. (9) Boll, citato. Roma i83i p. i25. (10) Giorn. arcad. voi. 5^. Roma l832 in 8. p. 204- Lavori epigrafici 139 Molte lapidi scritte tornarono a luce dagli scavi fatti operare in Ostia daireminentissimo card. Pacca; ma sola una o due mortuali ne die alle stampe il Campana (1): ed in altri scavi, operati ne'contorni di Roma dall' eccellenza del principe Borghese, se tornarono a nuova vita molte iscrizioni, una soltan- to ne pubblicò il Canina (2). Un marmo sepolcrale di Tarausia ci die il Guarìni (3); tre di Cìvitaducale il Gerhard (4); due di Brescello il Cavedoni (5) uno di Russia il Geli (6); uno d'Interamna il Palma (7). In diversi opuscoli (8) l' Alessi pubblicò diverse la- pidi di Catania; cinque di Chiusi ne die il Pasqui- ni (9); una di Volterra il Ciuci (10); una di Brescia ilLabus (11). Speciali illustrazioni di lapidi cristiane si eb- bero per cura della romana accademia di archeo- logia. 11 Settele pubblicò alcune dotte osservazioni intorno le lapidi pagane che si trovano ne'cimite- ri (12) ; e non men dottamente illustrò un antico (i) Boll, citato. Roma i834 p. l'ìg. (2) Bollelt. arch. Roma i834 P- ^04. (3) Osservazioni di R. Guarini sopra un rotolo celanese. Napoli i855 in 4- (4) Boll, citato. Roma i85i p. 129 (5) Boll, citalo. Roma i835 p. 102. (6) Boll, citato. Roma i83i p. 45. (7) Boll, citato. Roma i832 p. 209. (8j Boll, citato. Roma i853 p. 172. Lettera sopra un cippo disotterrato ne'contorni di Catania: Catania i832 in 8. Lettera sopra un'iscrizione latina rinvenuta in Catania; Catania i835 in 8. (9) BoUett. citato. Roma i833 p. 49. (io) Bollelt. citato. R.oma i835 p. 35. (11) Bollelt. citato. Roma i834 P- 234. (12) Voi. V. pag, 179. 14<) liETTKRATUftA monumento cristiano trovato in quello dì Clt'ìiLC& (1) : Filippo Aurelio Visconti scrisse intorno una iscrizione cimiteriale (2) che non presenta alcuna singolarità ; come poca ne presenta l'altra dichia- rata da Pietro Ercole Visconti (3); ed il Ratti nella illustrazione di un sarcofago cristiano (4) prese mo- tivo a riferire molte iscrizioni spettanti alla nobilis- sima famiglia Anicia. Chiuderemo il ragguaglio in- torno questa specie di monumenti epigrafici, ricor- dando che il Campanari (5) pubblicò alcune iscri- zioni di un cimitero cristiano scoperto presso 1 an- tica Vulcia ; e che il Pasquini (6) rese conto di un antico cimitero cristiano in vicinanza di Chiusi , 6 delle iscrizioni ivi trovate. Accelerando il cammino verso il termine di questo prospetto , ci resta a far menzione di que lavori epigrafici , pei quali fu o convalidata , o ar- ricchita di nuove scoperte la romana consolare cro- nologia. DI essi ci sembrò doveroso far separato ricordo , perchè li reputiamo più degli altri inte- ressanti. Molte sono le novità che in questo genere s'incontrano ne' diversi libri già qui innanzi ricor- dati : di essi però non faremo qui parola , per non duplicarne la menzione : diremo piuttosto degli al- tri, e non son pochi, che finora non trovaron posto in questa relazione. E per primo ricordiamo un li- (1) Voi. IV. p. 21. (2) Voi. IV. p. 8i. (3) Voi. VI. p. 39. (41 Voi. IV. p. 49. (5) Bolletl. archeoL Roma i835 p. 178. (6) Relazione di uq aatico cimitero ec Montepulciano t833 in 3. Lavori epigrafici 14i bro dell'esimio Borghesi (1) intorno V ultima parte della serie censoria dopo Siila : esso per molte ra- gioni ha qui luogo ; e perchè la censoria cronolo- gia è strettamente legata con la consolare; e per- chè molti monumenti epigrafici vi son prodotti dall* A. eh. , e perchè in una nota assai interessante supplisce i fasti ipatici del 718 con ambidue i con- soli suffetti. Questo lavoro però merita ben piìi as- sai che un brevissimo cenno ; ed in questo giorna- le se ne die già un sunto. Un nobile lavoro compiè ^ il Biondi (2) intorno un assai interessante fram- mento marmoreo , nel quale sono i consoli ordi- nari dal 713 al 718 di Roma , e dal 732 al 742 , ed anche il suffetti in essi anni: fra i quali due col- legi consolari prima affatto sconosciuti ; cioè i sur- rogati del 715 , e quelli del 716. L'A. eh. aggiun- se un nuovo frammento dei fasti consolari capito- lini , da unire a quella porzione della terza guerra punica , che dall'anno 607 di Roma va al 613; poi die un altro frammento di fasti palatini, il quale supplito a dovere ricorda i consoli dal 962 al 965 di Roma. Tutto il lavoro è pregevole per la dot- trina di cui l'ha sparso l'A. , per la diligenza che vi ha adoperata. La illustrazione del primo fram- mento, che forma il subietto principale dell'opera, è tale che non lascia cosa alcuna a desiderare. Non meno nobile , ne di minore importanza e quel frammento marmoreo di fasti sacerdotali , che dottamente come sempre far suole , ed ampia- (i) Alti dell'accad. di archeol. Roma i836 in 4. voi. VII. (2) Intorno un framm. marmoreo di fasti consolari, disser- tazione. Negli atti dell'accad. romana di archeol. voi. VI. Roma |835 in 4- p. 271. 142 Letteratura mente fu illustrato dal Borghesi (1). Incontransi ^ in esso i consoli degli anni di Roma 9G6, 971, 974, 988 e 989 ; l'A. con sana critica ne stabilisce i ve- ri nomi ^ e prende inoltre occasione di fissare al- cune epoche per lo avanti incerte o contraddette. Noi crediamo superfluo dilungarci nelle lodi di que- sto lavoro. Chi non conosce qual sommo cronolo- go sia il Borghesi ? chi non ammirò la dottrina sua nelle due dissertazioni intorno ai nuovi fram- menti capitolini , pubblicate da oltre 16 anni? So- lo è da dolere , che egli ci lasci tuttora in atten- zione della terza che avea promessa : e che non si risolva ancora a pubblicare l'intero lavoro sui fa- sti ipatici , intorno il quale ha spesi tanti anni e tante dotte fatiche. Queste opere del Biondi e del Borghesi , siccome collettive i consolati di piìi an- ni , dovevano per noi ricordarsi innanzi di quelle che prendono in esame iscrizioni ricordanti un sol consolato. Di queste faremo ora parola , tenendo possibilmente l'ordine cronologico dc'monumenti : ed il sig. Borghesi per ora lodato ci die in questa parte tante prove del suo valore , che dovremo as- sai spesso ricordarlo. E da lui incominciando , egli ed il Palma (2) ci dierono una colonna miliaria della via pretuzìa- na innalzata sotto il consolato di un L. Gecilio Me- tello . Poteva nascer dubbio se cpiesti fosse il Cal- vo console nel 612 , o il Diademato che tenne i fa- sci nel 637 : ma sapendosi per altri argomenti che (i) Frammento di fasti sacerdotali illustrato. Nelle memo- rie dell'istituto archeologico. Roma i855 in 8. p. -zSB. (2) Bollett. archeol. Roma i833 p. 100. Lavori epigrafici 143 il Calvo ebbe per provincia la Gallia Cisalpina , conviene necessariamente attribuire il nuovo mar- mo al 637 ; e per esso avrem saputo che il Diade- mato mentre fu console ebbe in provincia l'Italia. Il Cavedoni (1) comunicò al dott. Labus alcune i- scrizioni scoperte presso Modena; e fra queste una che portava scritto C . ANTONI . M . TVLI . COS; unico monumento che si conosca col nome de' consoli dell'anno 691. Il Borghesi (2), prendendo in esame un marmo pompejano dell'anno 747 di Roma , provò che al console Pisone non compete la nota dell'iterata magistratura; che sono da ri- porre fra gli apocrifi i consoli surrogati che la co- mune de'fastografi segna in quell' anno ; e che in esso gli ordinari eran di certo in carica sin verso la meta di ottobre. L'Avellino (3) esaminando un' altra iscrizione pompejana , ebbe a scrivere del collega ordinario di Domizio Enobarbo dell' anno di Roma 785; ed il Borghesi (4), ci die un epitaf- fio napoletano , la cui data conferma i veri nomi dei consoli dell'anno 59 di G. Pure dall'Avellino (5) avemmo un bel lavoro intorno un marmo spettante a C. Eprio Marcello. Si conobbe da esso com'egli avesse per due volte goduto l'onore de' fasci conso- lari ; ambidue i quali essendo di surrogazione, non (i) Lettera al dott. Gio. Labus. Modena i83i in 8. (2) Osservazioni sul consolato dell'anno ^4? ^^ ^- ^^^ volu- xne secondo degli opuscoli dell'Avellino. Napoli 1 833 in 8.p. 3o6. (3) Opuscoli , volume secondo. Napoli i833 in 8. pag. 262. (4) BoUett. archeol. Roma i83i p. 5o. ^5) Osservazioni sopra un'epigrafe del real museo borboni- co , nella quale si fa menzione di C. Eprio Marcello Napoli 'l83i in 4. 144 Letteratura potevasene con certezza stabilire il tempo preciso ; ma solo per lodevoli argomenti opinava l'A. eh. che il primo dovesse essere non anteriore alFanno 58 di Cristo , il secondo dopo il 74. Ed in questo pa- rere scendeva anche il Borghesi (1) : ma la sco- perta di un militare diploma (2) die argomento a poter fissare il secondo all'anno 74 i e circoscrivere il primo nel triennio dal 59 al 61. Il Borghesi esaminando con la solita sua dot- trina la tavola alimentaria Bebbiana , della quale fecemmo sopra menzione, fra le altre cose assicu- rò il vero prenome di Articuleìo Peto collega di Traiano nell'anno 101 ; egli si disse Quinto, non Sesto ; ed in quel!' anno godeva de' secondi fasci , non de'primi (3). Lo stesso (4) ci die un marmo di Oberpettau dedicato a Giove Dolicheno , che da molta luce intorno la zecca esterna delle medaglie di Settimio Severo, la quale assai probabilmente fu istituita a Pettau : forse quel marmo porta scritti i nomi de' consoli dell'anno 201. Lo Schoeringer (5) descrisse un bassorilievo di Gundershoflfen, in cui è notato il consolato di Caracalla e di Gela dell'an- no 208. Un bel marmo della tenuta di Marco Si- mone (6) die occasione ai signori Borghesi e Keller- mann di poter fissare indubbiamente all'anno 225 il secondo consolato ordinario di Ser. Calpurnio De- stro.Il Secchi, illustrando un antico peso in piombo (i) BoUett. archeol. Roma i83i p. i^-j- (a) V. i miei diplomi imperiali ec p. 91. (5) BoUelt. archeol. Roma i835 p. i46- (4) BoUett. archeol. Roma i835 p. i. (5) Bollett. archeol. Roma i8.34 p- 4^- (6J Bollett. archeol. Roma i833 p. 65. Lavori epigrafici 145 del museo kirckeriano (1), vi lesso 1 veri nomi di uno dei consoli dell' anno 235 : il Borghesi (2) dan- doci un marmo di Magonza sacro a Giove ed a Giu- none , con la data TER ETBIS GOS , lo fissò all' anno 2-^18 , e dottamente scrisse intorno quella for- inola numerale per segnare i consolati dei princìpi, XJna lapide larinate con gli interi nomi di Fausti- niano console nell' anno 262 fu illustrata dal Labus (3) : una greca cristiana di Catania edita dall'Ales- si (4) è insignita col nome de'consoli dell'anno 408: ima pur cristiana di Tai'quini coi consoli del 419 fu pubblicata dal Kellermann (5) ; ed il Labus in altro frammento cristiano restituì la data del 491 (6). Sono di incerta età i consoli M. Giovenzio Se- condo di un marmo bresciano edito dal lodato La- bus (T) t e Sesto Pedio Irruto di una lapida esca- vata nella tenuta di Marco Simone , pubblicata dai Signori Borghesi e Kellermann (8) : l'Orsi scrisse intorno un frammento d' antica iscrizione conso- lare (9); e sembra che tra i suffetti incerti de'tcm- pi che corsero fra l'impero di M. Aurelio e quel- lo di Settimio Severo debbano riporsi i nomi di (i) Campione di antica bilibra romana in piomho conser- vala nel museo kircheriano con greca iscrizione inedita ec. Ro- ma i835 in 4- (2) Bollelt archeol. Roma i854- p- 70. (3) Lettera I a Gio. G. Orsi intorno alcune antiche epigrafi. Milano i83i, 8. (4) Boll. arch. Roma i833. p. 73. (5) Boll. arch. Roma i855. p 27. (6) Boll, avcli. Roma i83i. p. i4o- (-) Boll. arch. Roma i834- p. 23^. (8) Bollettino archeol. Roma iS33. p. G3. (9) Sopra un frauiin. di antica iscriz. consolare ce. Verona l833. 8. G. A. T. LXXL 10 lAC Letteratura un marmo di Oberpettau sacro a Giove Dolicheno, datoci dal Borghesi (1). Questi sono i lavori epigrafici italiani dal prin- cipiare del 1831 a tutto lo scorso anno 1836; o per meglio dire , quelli che giunsero a nostra no» tizia. Per essi la scienza ha progredito non poco ; fu arricchita di assai nuove cognizioni , ebbe ar« gementi per confermare e correggere molti collegi consolari , sui quali basa, se non la più ampia , certo la più bella parte della cronologia j furono illustrati gli usi e le costumanze di que'romani che dominarono 1' antico mondo civile ; scoprironsi e dilucidaronsi nuovi fatti di que'greci che dicia-;- mo a tutta ragione i gentilissimi fra i popoli che furono. Per essi vedemmo ampliati di molto i ma» teriali , ondo formare un'opera che tutta debba ab-= bracciare la scienza epigrafica : per essi molte cit-^ tk poterono vantare una raccolta delle proprie an-? tiche iscrizioni. A questo rapporto sono anche mag- giori le speranze che ci lusinghiamo vedere frìi breve ridotte a realta ; perchè ci è noto esser già pronte o quasi per la stampa le lapidi padovane per opera del Furlanetto ; quelle di Giulio GarnlT, co per lavoro dell' Asquini ; quelle di Clorneto rac-i colto dal Falsacappa; i monumenti antichi di Tren- to e sua provincia per cura del Labus . Anche spe-; riamo che si ponga m^no di bel nuovo alla lllu-? slrazione delle mille e quattrocento epigrafi del reale nfjuseo borI)onico; essa una volta era slata af-^ fidata al Guarini « ed era già in parte pronta per la stampa , quando venne interrotta per rnodi chq (i) Bollet. archcol. Roma i835. p. ;. Lavori EprcRAFici 147 è bello tacere (1). Ma sopra di ogni altra cosa de- sideriamo veder a luce il museo bresciano illustra- to per cura del dottor Giovanni Labus. Quest'ope- sa accrescerà di molto la fama dell'autore illustre , il quale ci ha spesi venti anni di studi per ridur- la a quella maggior perfezione di cui poteva esser capace: e se a fortuna questi fogli giungono in sue mani , vogliamo lusingarci che servano di sprone, onde costringerlo a render pago il desiderio de'suoi amici , dell' Italia , di tutti gli amatori di questa scienza epigrafica. C. C. (i) liithopolamos , seu historiola alartus commentariorum in monumenta lUterata musei borl/oniei. R. Guarini - senza data. 8. 148 Francisci Guadagni advocati, in obitu Henrici de Andrea allocutio consolatoria. (V. il volume antecedente del nostro giornale a carte 315.) In liomìnum eventis ac gestis, Ioannes marchio cla- rìssime, cjuiddam, ni failor, est colligatum ac ne- xum, ita \\t aliud ex alio pleriimque sequalur: ea prorsus rationc, qua, si Virgilium audimus agricul- tionis scientissimum vatem, ex arborum quarum- dam radicibus densissima cernitur silva novaruni arborum pullulare (1). Idem autem evenire in hu- manitatis officiis, ac sobolescere novos illorum sur- culos ex iis, quac soluta iam fuerint, ipse mea do- ctus experienlia condidici. Etenim qui rogatu filii tui Hieronymi , ut de obitu eius fratris Aloisii te moerentem solarer, nescio quid elaboravi allocutio- nis incomptae, sentio milii non esse integrum recu- sare, quin, eodem ilio petente, pari nunc tibi cala- mitate perculso parem operam ac studium impen- dam. Novo siquidem amantissimus pater ictus es vulnere; et post Aloisium amissum, haud multis ab eius interi tu diebus clapsis, delitias tuas Henricum filium, aetate pubescentcm in spem ciarissimae fa- miliae maximam, extulisti. Mirum non est proinde, sì adeo illius iactura es afFectus, ut a dolore avellere animum difficultcr queas , ac , quo illi sit modus, levamine atquc ope ab aliorum alloquiis indigeas. In qua tibi, prò meis viribus, afFerenda, non omnia coUigam, quae apta esse ad rem video, quaeque in In obitu n. DE Andrea 1-49 cpistolls ac librls, ad moerentcs ex amissione libe- rorum scrlptls, iam alloriim sunt illustri labore oc- cupata. Illinc tibi, si quid e tuo usu, licebit assu- mere. '■ Consolandi studium illamne seniper adliibere cautionem debet, ut quem cerni mus de filii aut pro- pinqui cuiuslìbet interitu graviter afflictari , eius oculo velimus dcfuncti virtutes esse subductas ? Si quid video, e philosophiae scatebris tam mullafluunt ad commotos angore animos confirmandos , tradu- cendosque ad placidam quietamque constantiam pharmaca, in iisque laticibus tanta vis inest, ut ea etiam cautione neglecta, omnium aegritudo ac luctus illius queat efficacitate aboleri. Ea propter, in su- periori allocutione haud mihi silentium de Aloisii egregiis dotibus imperavi, atque adeo te adegi illas mecum recogitare ac volvere i nec minus idcirco meo sermone arbitror de tuae tibi calamitatis pon- dero esse detractum. Ita et nunc Henrici de obitu te solaturus, cui septimum ac decimum vitae annum agenti mors citissima obrepsit (a), sed praebita iam virtutum specìmina haud valuit eripere, non equi- dem verebor in illius laudes aliquantisper excurre- re. Quls enim in hoc sibi temperet ? Aut quae ora- tìonis magnificentia ac copia in co adolescente exor- nando videri possit immodica, qui litterarum amore quotidie magis incensus, dum lectitare, scripti tare, meditari desinit nunquam, nec rationem suae va- letudinis ullam habet, nimia ad extremum conten- tione fractus extabuit ? Indolis nimirum excelsae (rt) Natus est IV idus decembr. A. mdcccx;<7Ì;(Mrec§j {lento pede) quod in ore graecorumfuit, noUe adau- res admittere; sed pertinaci cura et intenta viamusque ad calcem celerrime devorare. Quod genus homines, nisi quìs monendo studeat generosos eorum impetus salutarem intra modum cogere; nisi illi monentibus sint audientes; aut nisi praevalida corporis habitudo cum immodico illorum labore luctetur; necesse est suis ipsi conatibus frangantur ac concidant. Atque ego non dubito societatis lesu patres, quos ille Ro- mae suorum studiorum auspice» ac modera tores in nobilium adolescentium contubernio sortitus est, Henrici ingenium tractando, sensisse non sibi rem fora cum Ephoro aliquo, stimulis egente, queis fo- deretur, sed cum Tbeopompo, quocum frenis esset utendum (2). Sed non ab omnibus, tenerioribus etiam aetate, facile est, quod velis, extundere. Versutia enim adolescentes quidam, vehementer magis quam caute sapientiam appetentes, utuntur, ac vigilum oculos fallunt, in se quamquam intentos : dumque ardori suo minime tempesti vis horis indulgent, ipsi sibi mortem consciscunt improvide. Tantam in Henrico tuo discendi cupiditatem eo magis suscipiendam arbitror, quod non quocum- que et cuivis patente in ephebeo versaretur, sed ge- nerosae, ut praemonui, stirpis adolescentibus con- stituto ; quibus in domibus profecto non desunt , quae litlerario a penso iuvenculorum animos avo- cent, alioque traducant. Quid ? Ut clari a maiori- Lus pueri in sapientiae tantummodo studiis hae- reant, nec curetui' simul, ut concinni, belluli , et magnorum spirituum homines fiant ? Devoranda est In OBiTU H. DE Andrea 151 feoi*um réctoriLus ac praeceptoriLus ista molestia , ut ad pubem sibi commissam alios accedere levissi- inaruni^ aut in posterum saltem differendarum re- rum praeceptores patiantur. Sibi namque consue- tudo imperiosa geri morem postulai ; animus licet moderatoriim repugnet, iique etiam e puerorum pa- rentibus, quorum mens sapiat vere sublimia. Quod de te àccidissé, tantaé prudentiae viro, praeque re- ligione ac litterìs omnia temnente, mìhi non est am- biguum. Vix igitur litterariis exercitationibus sta- tae horae fluxerunt, irrutnpunt magistri novae sa- pientiae : non illi quidem tetrici vultus frontisque rugosae ( quod ab occupata meditationibus mente sevei*ae Palladis fit alnmnis ) sed hilares, alacres , moribus faciles, ac blanditia omni circumfluentes. Hic composite moliri gradiis docet, vetans ne pedes rigeant, sed ire iubens talis extrorsum flexis. Totum deinde hominem fingere aggressus recto vult illum stare corporis trunco ; ita tamen ut scapulas depri- mat, et, retracto ventre, pectus exporrigat. Mox idem choreas ad tibiae cantura agitare, ac mille mo- tus parisiacos docebit; utinam! non illum etiam sal- tandi morem, sine quo nihii iam sapit, » * . neque fit laetutn, netjue amabile quicquani (3) ; quum utriusque sexus in profanis aulis amplexi iu- venes turbinatim volvuhtur. Ecce tibi alius , et ille quidem Mars merus praeliorum deus, qui certam viam ac rationem osten- dat, qua instructi gladiis adolescentes vulnus hosti valeant inferre, ac, qua parte sibi non cuvet, eaiu rimari, astuque repentino subire, ut occ.dione rae- sum xwsafftv, otcovv'iiji t£ kxgì ( canibus et \^olucfL 152 LEttERAttJftA cunctis ) insepultam praedam rellnqùat. DeclinàriJ* di aulem àdversos Ictus tam mullas artes discipùlis suis tradet, ilt illis minime verendum sit (nolim ta- men in dimicatione, nisi limbi'atili , periculiim fa- clant ) ne Imlusmodi praecepta exsecuti inlernecino in conflictu aliquid noxaei ferant ; ne illud quidem levissimum, quod ab impio Diomede piilclici'rima dearum tulil, quo tempore 'Afi^poaìa àia. nsnls, ov oi Xùpizsg xà/xcy àvztxc (4) i Hasta volain tetegit propulsa, deaeque Ambrosiian lupit peplum:, quod scilicet olii Formosis charites nianibus fecere (5). Sed adest iam arayclaeus Polliix, qitì iura ac lòges equitandi adolescentibus dicat, nec ignorare eos ve-" lit, qua Cyllarus sit arte regendus (6) , ut in re- ctum, aut in dextrtim sinistrumque latus agatur ; tum quomodo variare gyros gradusque monenduS sit, ac tolulim plerumque incedere : qui sane gra- dus vectionem sessori suavissimam praebet. Deni- que tam suis praeceptionibus adolescenti docilera , eiusque parentcm voluntati quadrupedem reddet, ut possit etiam inter cocnam saltantem cernere, nec minus oblectari quam sybaritae , qui et ipsi, teste Atlienaeo,condocefcccrant7rajoàTa^|y&)/ja?T5!)g^?7r;r5U5'.. TTjscj àuXòv bp)(/iaOa.i: {Inter epulandwn ecjuos . . . .ad tibias saltare ) (7). Hisce vel imaginibus vel exercitationibus, non omnes quidem ( manet enim in multis litterarum amor alte defixus, nec avocatione ulla unquam evel- li tur ) sed tamen adolescentes plurimi in ephebeis tu oBiTu H. DE Andrea 153 ftoÌ3lliI)ùs instituti plus aequo capiuntur, ac magis quatn esset optandum, ne illorum deinde in clvili- bus gerendis muneribus imperitia se in publicam péstem erumperet. Isti igitur duni in sua adolescen- tia niliil agitant, nihil cogitant , nihil somniant , nisi choreas, nisi pugnas, nisi decursiones equestres, Cgreglis libris indormiunt, neque expergiscuntur , nisi forte iila sibi ex Cicerone praelegi audiant: Epaminondas, princeps, meo iudicio^ Graeciae, fidi- bus praeclare cecinisse dicitiir ; Themistoclesque aliquot ante amìis , quiiin in epidis recusasset Ijram., habitus est indoctior (8) : vel il la ex Vir- gilio : Continuo pecoris generosi pullus in ar^>is .Altius ingreditur, et mollia entra reponit (9), cum iis quae sequunlur. Credo etiam illis excutit ad punctum temporis somnum Ascanius, et cum eo aiio- rum nobili um puerorum phalanx, quum in equis sublimes nùpph/^-^v ad Anchisae tumulum ludunt, alternosfjue orbibus orbes tnipediuntj bellique cient siniulacra sub armis (10): quod nìmirum in bis Tullii ac Virgilii locis earum, quas depereunt, exercitatìonum species occurrunl. Celerà, quae doctis voluminibus continentur, fasti- diunt, cum doctrinis commercium et bumanitate aspernantes, futurique aliquando ex indecoro ilio procerum numero, qui aut nihil omnino, aut equo- rum curatorcs agunt, quique in concbyliatis vesti- bus, et sub testudinibus auro laqueatis stabulum olent. •154 Lktteiìatura Longe ab hoc errore, immo insania, tuùs àb^ùié Ilenriciis. Nunic|uam palestrae ludos pruclens ado-- lescenliilus ad siiarum curarUm suramam pertineré est arbitratus, ac numquarn éi maioi* iucunditas orie-' l)atiir, qiiam quuin liber illi paitebat ad studia litle- rarum reciirsus. Qui igitur erectum et discendi fla-« grantissiniiim studium ad humanitatis disciplinas attulerat, surgentesque ex iis voluptates variais tota mente avidissime contrectaverat, idem, quum ad maiores facultates visus est moderatoribus propel- leudus , tam se illis addixit ac dedidit , ut hu- inanis iam rebus altior in una philosophia habi- tare animo videretur. Cuius quam capax illi mens csset, ineo perspectumest, quodannoMDGGGXXXV edidit, geometriae atque algebrae celebri experi- moato, viris eminentissimis De Gregorio, Pedicinio, Siila , Polidorio iure plaudentibus, clarissimisque matlieseos professor ibus Calandrellio, Pierio, Maz- zaiiio, et aliis praeterea e lectissima illa corona ado- Icscentis ingenium per interrogationes plurimas su* blimiler accurateque versantibus (a). Si auteni ma- la) Omnibus ille disciplinis ingenussese mirifice aptmn atque addictumostendit in publico gregoriano athenaeo societatis Jesu doctoribus tradito: priinuin quidem mitioribus relhoricae stu- diis, deinde logicae, luetaphysicae , geometriae ( ad hanc facul- tatem dixi memoralum hoc loco specimen perlinere ) tum etiam physiochemlae, ac physioraathesi. De quibus postremis experi- menlum erat septimo, qui lUi decurrebat, studiorunn suorum anno edilurus, nisi a nimio profìciendi conatu tabe contracta , Neapolim redire coactus esset ; ubi^ frustra adhibitis ad eius va- letudinera reparandam pharmacis, extinctus est. Sed quamquam illi mors postremum, quod parabat, experimeutum inviderit, ta- men iam antea acceperat sui in l'acultatibus singuUs miri pro- gresjus amplissima testimonia. Eteuim ex agouibus, qui prae- In obitu H. de Andrea 155 theniatlcis disciplinis Henricus, plusquam scribi a me possit, addictus ac deditus a radio et abaco ali- quando discedebat, nulla alia ex re, nisi ex grapliice sibi delectationem parabat. Quìn etiam consuevit, dum Tibure per autumnales ferias ageret, ea ex ur- be in finitimos pagos, praetoria, villas, veterumque aedificiorum reliquias prospectum capere, eaque li- neari opere, sane quana diligenter, in chartis expri- mere. Quamquam in hoc ipso liberali artificio a sua se matliesi non abstrahebat. Etenim grapliice a geo- metria lineam et magnitudinem accipit; ut ab opti- ce lumen, unibras, ac dotes alias ad sui operis abso- lutionem perfecta pìctura. Hinc Apellis magister Pamphilus, pingendi artem perfici posse negabat, et primiis in pictura omnibus litteris visus est esse eruditus (11), ac satis idoneo, ut ea tempora homi- numque iudicia ferebant, instrumento praeditus ad eam apte ac rite exercendam. Nam qui ante Pamphi- lum pictores a mathematicis opibus omnino deserti claruere apud graecos, Zeuxis, Timanthes, Andro- cydes, Eupompus, Parrliasius magnificis quidem, prò vanitate gentis illius , celebrati sunt laudibus. Verumtamen e tanta commendatione plurimum ego, si vera sequimur , puto esse decerpeadum ; et illa mioi'um causa in gregoriano lycaeo quot auiiis instituunlur, in- Dumera pube ea sibi praemia cupiente, deno Hericus in graecis latinisque litteris, et in philosophicis disciplinis nomismale do- natus est, et quasi olympionices concentusinter musicos pronun- tiatus. Milli prò gravissimo de Uenrici praestaiitia testiiuonio illud est etiam, eius et niorbum et obitum accidissc multo acer— bis^imum e soc. Jesu magistris, qui illum instituerant, quique coniectare prudenlissime potuerunt quo ab eiusmodiiniliis fuisset ille evasurus, si vilaiu longius in eadem animi coatentione pro- pagasset. 156 Letteratura miracula volucrum pietas Zeuxidls uvas rostro pe- tentium, et alia liuiiismodi graeca portenta tam cre- dulus lego, quara apud poetas Qiiadrupedesque hominuni cum pectore pectora àinctosf Tergeminumque virum, tergeminumque canem (12). Immo in ipsius Pamphili tabulis, qui opticen didi- cisse non traditur, sed in arithmeticis ac geometri- cis substitisse, aliquid semper mancum ac claudi- 1 cans deprehensum esse non ambigo. Sed haec cursim a me perstricta. Talem amisisse te filium, qui servatae moruni innocentiae tam mira ornamenta scientiarum ac li- beraliiim artium adstnixerat, idque sesqaimense vix transacto, ex quo Aloisii desiderio angebaris, non polest in rebus humana aestimatione miseris non miserrimum duci. Atque ego non inficior duris te ac tuam familiam casibus sub extremos praeteriti anni menses fuisse exercitam. Praeter enim gemi- natum funus, quibus tua funestata est doraus ac luctibus obruta , quam tìbi ! quam tuis omnibus ! quam praesertim equiti hierosolymario et consi- liario a rationibus publicis Francisco Xaverio filio tuo natu maiori dignum lacrymis accidit, buie de- iponsam nobilissimam iuvenem Mariam Aloisiam Brancacciam , V. C. Gherardi rufFanensium princi- pis prolem eximiam, omnibusque suspicicndis do- tibus cumulatim instructam , vitio quodam inte- stino vitales eius vires carpente, immaturum vitae exitum habuisse ! Utque eius decessus dolorem vo- bis inureret magis acerbum, eam iacturam fecistis, quum pene iam nuptiales faces arderent , rosas pene iam ;pargcrentur, et exceptura sponsam tua In obitu H. be Andrea 157 domus symplioniam pararet ac thalamum sterneret. Adde quod per ea ipsa tempora merito tibi adamata filia tua Clementina, coniux V. G. Ignatii de Gon- stantio marchionis divi Martini, e paterna ducum pa- ganicensium prosapia, leti in limine versabatur. Adde etiam aegrotasse illam ex angore animi e recens editi puelli morte concepto. Et illum quidem An- geli nomine vocari placuerat, ut gloriae deinceps monitus, quam historiis versibusque pangendis An- gelus de Gonstantio, ex eius proavis unus, quaesi- vit obtinuitque, ad eamdcm, accedentibus annis, lit- terariam praestantiam tota pectoris contentione fer- retur. Sed egregium consilium ac spem , ut sunt liumana omnia caduca ac fallacia, citissimus pueri obitus momento difflavit. Quid ego nunc ? Miserabilia haec esse, tetra, aerumnosa, ad patiendum tollerandumque difficilia non inficiabor; nec naturales homini sensus, con- tortulis quorumdam philosophorum ratiunculis utens , cadere in eum non debere contendam. Ut quae mala sunt et adversa, sentiat esse eiusmodi atque aversetur, largiendum est : multumque inte- resse necessario debet intcr hominis aifectiones ac vultum, si conviva amicorum sedeat, vel si in equu- leum imposi tus fidiculis torqueatTu-. Eamdcm au- tem vim habent ad creandum dolorem quae laedunt animum, ac quae corpus laniant: immo nulla essent corporis cruciamenta, nisi illa subirent altius et ad animum usque mearent. Vcrumtamen nihil forti viro tam laevuni potest ingruere, eiusque naturae tam inimicurn, quod non deleniat a germanae pbi- losophiae et a religionis fontibus ducta calami tatum paticntia. Utque aliquid de Henrico tantummodo attingam, cuius amissi ob causam haec est a me seri- 158 LetteIiatura ptio instituta, cogita, obsecro, quo in solo conslstas. Oculos non potes in aperta camporum ac maris in- tendere, quin occurrant Baiarum , Cumarum, Mi- seni, Pompeiorum, aliorumque olim nobilium op- pidorum te circum strata cadavera. Ergo solidissi- mis moeniJjus, longo columnarum ordine fultis por- ticihus, eductisque in altum quadrato e lapide tem- plis, thermis , basilicis , àmpliitheatris cadendum fuit. Numquid tantarum inter aedificationum labes interitusque mirari nos decet atque intoleranter ferre infirmo, prò comuni nostra conditione, ado- lescenti mortem fuisse oppetendam ? Humana ho- minem meditari par est , atque ita efficere ut nulla mala nec opinata ei possint incidere. Quae quum Anaxagorae cogitata essent assidue, illum, accepto nuncio de morte filii, constanti haec animo dixisse ferunt : Sciebam me genuisse mortalem (1 3). At cuinam Henricus e vita discedens est sae- culo ereptus ? Satisne modesto, et bonorum exem- plorum feraci, aut saltem non perditissimo ? Non- ne, qui vivimus, circumspectantes, haesitantes, pri- vatasque insidias ac rerum publicarum subversio- nes assidue verentes , vivimus ? Probos certe ho- mines aevum produxisse ad hoc aetatis taedet in- terdum ac piget. Non enim amplius cum humana consociatione versamur, sed in serpentum antris ac ferarum latibulis, quas irae immanes ac scelestae cupidi tates nostram in perniciem exacuunt. Equi- dem quum apud Aligherium lego infernos quosdam angues impiorum corporibus applicari atque effi- cere, ut illi ipsi conscelerati homines, quos vene- natae belluae insiliunt, iam non homines, sed angues sint (14), videor mihi imaginem nunc in terris im» mutatae et afFeratae humanae sobolis intueri. Haec In obitu H. de Andrea 1 59 donati prole pii parentes quum cernunt, cjuos ìn- ter, quam qui maxime , tuis tu moribus et incor- rupta religione explendescis {a) , plurimnm hoc tempore filiis timent ; praecipue si nondum slnt ver aetatis nìmiura lubricae praetergressi. Etenim dum exemplis, sermonibus, libris impiotate ac spur- citia teterrima imbutis, omnia redundant, quam fa- cile est adolescentibus, quos rerum humanarum in- scientia pervios fraudibus facit , inextrìcabiles in errores incidere ! Typhonem , a fastu , impietatis et errorum fonte, ita nuncupatum, perpetuas Isidi iStruxisse insidias aegyptii narrabant , tandemque Isidem, quae sapientiae dea, et Mercxu*io, vel Pro- metheo parente orta ab iis hahebatur (15), magni- ficum suo de hoste duxisse triumphum, quamvis («r) Dura illoruni bene multis, qui ad maiora rerurnpublica- rum negotia adhibentur, vulgare quiddara, nec dignitatisuaecon- sentanpum videtur, nobiscum (quos illi homunculos vocaqt)dere- Jigione3c pielate sentire, iis inibì Hceat clariss.acnobiliss, virum march. Joannem de Andrea, in utriusque Siciliae regno pluribus 3C sane illustribus praefecturi* fungentem , obiicere. In tantis , quibus ille affluii, ab ortu, a doctrinis, et a munerum splendore ornhitientis, propugnalorem se catholicae religionis ac pietalis studiosissimutn praebet. Quumque a religiosis l'amibis operas egregias suppeditarl ad Ghristi agrum colendum sciat, illi etiani atque etiam favet. Quas Inter societatis Jesu patres favore omni complexus est: quiqueiam A mdcccxxxi, Ferdinando I regnante, summmn regls scribam a sumptibuj publicis et vectigalibus ege- bat, multum lllis profuit, ut in urbem Neapobni et in alia circa Pharumintromitterentur oppìda , unde , externa vi dominante ac sacra omnia turbante, fuerant estrusi. Necdeindesua umquam auctoritateac gratia destitit illis adesse. Hanc adversus religiosas famihascaritatempientissimus marcbio nulla dissiniulatione obscu- rat actegit. Eius igitir hoc loco extare raonumentum volui , ut suppudeat sequentes advei'sa illius viri consiliis , quo nemo est aut instructior iitteri$« aut accuratius novit quidsit e republica. 460 Letteratura ille fuerit ex omni malitia ac frauda conflactus (IG). Haec si poetar una ingenium invenitj nec veteruni annalium ex fide prodierunt, sunt tamen ad spe-. ciem ac docuraentqm veritatis egregie conficta. Veri enim simile est caverò sibi sapientiam posse, et ad se circuniveniendam adhibitas machinatianes ever- tere. Sed numcpiid in adolescentis pectore, usu re- rum et experientia vacuo , vera et absolutasap len- tia consistet ? Jam , ut fàbulas aut saltem incerta praeter-» mittamus , in mentem revaca divinis esse litteris consignatum , quibusdam adole¢ibus lucis usu^ ram eripi , ac dono mortem dari , ne malitia mu-^ tet intellectum , aut ne fìctio aniinam eorum de~- \ cipiat. Fascinatio enim niigacitatis obscurat bona , et inconstaiitia concupiscentiae transvertit sensum sine malitia (IT). Id paganos ipsos vldisse , liaud, mihi perplexum.Narrat enim apud Giceronem Gran- tor, consternatum animo ob filli mortem Terinaeum Elisium venisse in psychomantium , ut calamitatis, suae causam dlsceret ; ab umbris. vero hoc tu,liss& responsum ^ Ignavìs homìnes vi vita mentibus errant.. Eutkrnous potitur fatorum inunere leto. Sic fuit utilius f.niri. ipsique. tibique (18). Et sane de multis constat , e verecundls, pacatls, sobriis , quales in adolescentia sunt visi , produ-!- cendo delude vitam , luxuriosos , llbidinosos , aut turbulentissimos extitisse ; ut de Alcibiade inter graecos , de Graccliis inter romanos accepimus » qui praeclaris ab initiis profecti ro& postea moliti sunt novas, patriaeque statum conati ab imo usque In oBiTU H. DE Andrea IGt convellere. Ergo , quum nostros ante oculos eius aetatis propinqui cadunt , quae facile decipi lar- vls altiora pollicentibus , aut animum efFeminanti- Lus queat , nostrarum est partium arcana Consilia venerar! longe cuncta providentis ac sapientissime gubernantis Dei : nec male cum iis , qui decesse- rint, aut nobiscum, qui carere illis cogimur, actum esse putemus, Quod sì natorum te properum funus eam ob causam dolore convelllt, quod suspicari nolis eos a coepto honestatis cursu , annis accedentibus , ve- la retrorsum fuisse daturos ; ac litteris tam bene excuUos moeres ea nominis gloria esse frustratos , ad quam praeclaris lucubrationibus editis , si vitae usus contigisset diuturnior , certam sibi viam mu- nivissent; dicam quideni audacius , sed tamen di- cam ( aliquid enim ex eo etiani scriptore mutua- bor , queni usu teris assiduo ) Aloisium et Henri- cum , utcumque a me posterltati narratum et tra- ditiun , perenni commendatione non cariturum, si- bique solutis parentalibus perpetuo superstitetn fo^ re (19). Nosti denique nil sapienti agendum nisi in tem- pore ac loco ; diligentesque in artificio suo lapicì- das illi esse imìtandos , qui e paratis sibi marmo- ribus alias aliasque malleis ac scalpris circumci- dunt partes , ut propinquis ad unguem quadrent. Jam , quae tempora vobis fluant quaeque propìn- quent , vidcs : dum nempe Augustiss. Rek Fea- DiNANDus II , ut pluribu3 rcglam suam domum ac felicitatem vestram pignoribus fulciat , novam sibi EX Austriaca inclyta Stirpe Conjugem parat , sua vos humanitale ac beneficentia beatu- ram. Quo quidem tempore gaudio gestit Siciliae G.A. T.LXXI. li 162 Letteratura utrlusq. regnum, ipsique videntur agri et circum- fusa feracissimis campis maria laetari. Haeocine li- bi, rem istic publicain gerenti viro, de eaque sol-» licito, ad domesticum luctum persequendum terri"» pestas idonea ? Non ita certe visum esset Demo-^ stheni , cui in sordibus luctuque iacenti ob fìliain recens amissam quum de Philipp! morte esset ali- latum , et athenienses idcirco omnes efferri laeti-^ tia rescisset , ne discreparet ipse a civium sensu , c/jM \ap.npèj iixdriyj i—ifTrj)[j.Bvog (cum splendida vei- ste coronatus ) processi t in publicum (20). Quem quoniani oratione concitata ac vehemenf ti, quum opus est , reddis, dare etiam operam de^» Les , ut ne in moderandis ad rei publicae statua^ animi affectibus a z'obusta eius virtute desciscas. (i) Virg. Georg. Lib. II v. 17 tom. I recens. Heyaii. (2) Quintilian. inst. orat. lib. II cap 8 ex recens. Spaldingii. (3) Ijucret. lib. I v- ^4 ^^ recens. Crecbii. (4) lliad. e. V. 33y et seq. edit. oxonien. A. mdcccviii, pag- 98, (5) Ex ititerprel. R Cunicbii edit, Roni. pag. io5. (6j Virg. Georg. III v. 89 et seq. ex recens. Heynii tom. II. (7) Athen. deipuosoph. pag. 5vo. Edit. Paris curante CausJ^- bono. (8) Cic. Tusc. disput. lib. I cap. 2 ex recens. Rohvtzii, (9) yirg. Ice. cit. v- 75 et seq. (io) Idem Aeneid. V. v. 384 et seq. tom. eod. edit. cit. (11) Plin. hist. nat. lib. XXXV cap. 36 ex recens. Harduinì. (12) Ovid. trlst. lib. IV eleg. 7 v- i5 et seq. ex recens- P. Burmanni. (i3) Cic. Tusc. disp. lib. Ili cap. 14 ex recens. Schutzii. (i4) Dantes Inf. cant. XXV. (i5) PIutarch.de Iside et oper. edit. Xylandripag. 352. (16) V. Carol. Stephanum in dictionar. hist. V. Typhon, (17! Sap. IV 1 1 et seq. (18) Cic. Tuscul. quaest. lib. I cap. 48 edit. Oliyeti. (ly) Tacit. in vit. Agricol. ex recens. Oberlin. cap. I^G. (20) Plutarch. in Deiposth. tom. I oper. edit.Xylandr.pag. 855. In obitu H. de Andrea 103 E fos inter qui cum Henrico De Andrea , mar- chione neapolilano , qaamdiu coUegii romani so- cietatis Jesu scholas frequentavit, coniunctissime vi- xerunt , uniis fiiit , qui eximia ingenui adolescen- tis virlule excitatus ac immaturi funeris àcerbita- te perculsus, ipsum in hoc commentariolo posteri- tati commendare curavit. HsNRicus De Andrea iv idus decembris anni MDcccxix natus Neapoli est nobili in primis loco. Patrem enim habuit Ioannem De Andrea marchio- nem , equitem torquatum ordinis hierosolymarii , pliu'iumque aliorum equestrium ordinum zonis exornatuin , Ferdinand! II utriusque Siciliae regis ab ccclesiasticis negotiis et a pubiicis sumptibus et vectigalibus: matrem vero Lucretiam Riveram mar- cliionissam, cuius erigo e marsorum comitibus prae- clara aeque ac pervetusta vix illi aliquod affert lau- dis incrementum prae virtutibus animi, queis ma- xime praefulget, pietate praesertim, liberalitate ac in prole educanda industria et seduli tate. Henricus domi puer crevit, ibique prima pie- tatis ac optimarum artium fundamenta iecit. Heic parentibus ac praeceptoribtis mirifice sese morige- rum praebens, suavem quam liauserat atque inge- nuam animi indolem coepit patefaccre. Nulla ta- men re magis nf^cessariorum amorem admirationem- l>ro La veritade onesta, ahi premio! ha morte. 184 Letteratura 25. L' UOMO E IL LEONE. Gareggiavan tra lor l'uomo e il leone Chi di forza vincea: e alla contesa Testimon ricercando, ad un sepolcro Venner, dove un leon rotte le fauci Dall' uom pinto era, simbol di valore. D' uom la mano qui pinse, il leon disse; Se leoni pingessero, prostrato Un uom vedresti. Testimon più certo Ben io darotti di virtude. E l'uomo A'spettacoli addusse: ecco son morti Qui uomin da'Ieoni agevolmente ; Testimon di colori non bisogna, Disse: vera virtìi qm viva pare. Qui '1 fatto insegna, che bugiardi un velo Cercano invan, quando la prova luce* 26. LA CICOGNA, L' OCA, E LO SPARVIERO. Venuta la cicogna al noto stagno, L' oca trovò sommergersi frequente Sotto quell'acqua, e'I perchè chiese. Ènostro Uso, r altra dicea; esca nel fango Troviamo, e da sparvier che ne minaccia Ci stiam sicure. Or la cicogna: Io sono Pili forte assai dello sparvier: se meco Stringer vuoi amista, rider potraiti Di tal nemico. Ed ecco aita, aita L'oca gridando, su pe' campi fugge; Favole Esopianè 185 Lo sparvier sopravvenne, e colle crude Unghie r afferra, la strazia e divora: E la cicogna involasi. L' afflitta Disse: Chi a debil difensor s' affida, Di peggioi* morte e' si convien che pera- 27. LA. PECORA E LA CORNACCHIA O- La cornacchia oziando si sedea Sul dosso della pecora, e col rostro Tondeala. Pazientò a lungo il giuoco La pècora in silenzio: alla fin disse: Se oltraggio tal recato avessi al cane, Tu da' morsi di lui non iscarapavi. La col*nacchia a rincontro: l'gik non oso Seder su forte collo, i' so chi deggia Sfidar dagli anni esperta: ai prodi amica, Aspra agi' inermi. Così mi crearo I numi, e vivo. Il vii, che a'buon flagello Toccar non osa i forti, è qui dipinto. 28. LA FORMICA E LA CICALA. 11 verno la formica si godea Trar dal buco a sciugarsi il grano, ch'ebbe Sollecita raccolto gik la state. La cicala affamata un tanlolino (*) Questa è pure la XXVdelle nuove Javolcy benché infoi'' ma diversa. 186 Letteratura Cliiedeane, e la formica le dicea: Tu la slate che festi? Ed ella; Tempo Non m' era di pensar all' avvenire; Qua e la errando i'cantava in siepi e pascoli. Sorrise la formica, e riponendo Il grano soggiungea: Tu che cantavi Si nella state, or vìa salta nel fredda. Il pigro a certo tempo s' affatichi Sempre, se giunto al verde poi non vuol*? Soccorsi mendicare, e nulla averne, 29. IL CAVALLO E L' ASINO. Un po' d'orzo al cavai V asin chiedea Pregando: ed egli; Volentieri, disse; Se d' avanzo n'avessi, con larghezza Di noi degna donartene vorrei. Ben verso sera alla stalla tornato Un sacco ti darò di farro pieno. L' asino allora: Un tantolin mi niéghis Che aspettar mi poss' io di piìi valore ? I gran promeltitor, che'l poco niegano, Al dare piìi tenaci anco si mostrano. 30. IL LEONE VECCHIO E LA VOLPE. Grave d'anni il leon tìnse languire. Il rege infermo a. visitar veniano Bestie frequenti, e ratio ei le divora. Ma pili cauta la volpe all' uscio stando Favole Esopiane 187 Della spelonca, di lontano inchina Il rege. A che non entri ? ai «lice: ed ella: Glie chemolti entrar veggo, enullo uscirne. Spesso il rischio d' altrui ai savi è scuola. 31. LA PULCE E IL CAMMELLO. Sul dosso d' un cammei, che curvo giva Di molte some, per caso la pidce Sedendo si piacea d'esser sì alta. Dopo lungo cammino insieme vennero Di sera allo stallaggio. Ecco d' un salto La pulce agevolmente a terra scende, Dicendo: Tu se'stanco, i'ti disgravo. Grazie, ei rispose; benché peso alcuno Da te non mi venia, ne or vien sollievo. Chi nella polve s'inorgoglia ha spregio. 32. IL CAPRETTO E IL LUPO. Uscendo un d\ la capra alla pastura. La prole a custodir disse all' ignaro Capretto: Bada ve, l'uscio non apri; Van molte fiere attorno agli stallaggi. A pena ella s'andava, il lupo venne Simulando la voce della madre: Apri, apri, dicea. Udii capretto, E pel fesso spiando: Il suon, rispose, Gli è della madre sì; ma ingannatore E nemico tu se', che della madre 488 Letteratura Fingi la voce, e dissetarti vuoi Nel nostro sangue, e cibarti le carnii Or vanne col malan, che'l ciel ti dia. Bar retta ai genitori è lode ai figli. 33. IL POVERO E IL SERPENTE. Del povero alla casa era già fatto Il serpe commensale, e largo pasto De' minuzzoli avea. In poco d'ora Quegli vien ricco, e al serpe fa mal viso , E della scure il fiede. Appo alcun tempo Ritorna alla primiera povertade. Visto mutarsi di fortuna il volto. Come varia del serpe anco la sorte, L'accarezza e lo prega di perdono. E'I serpe: Avrai rimorso di tua colpa Finche chiusa sarà mia cicatrice; Ma in me non isperate un fido amico. Bensì pace farò con questa legge: Che mai la scure iniqua i'non rammenti. Sospetto esser ci de' chi pria n'ofFese, E la grazia con senno si rintegri. 34, L' AQUILA E IL NIBBIO. In un ramo sedea mesta col nibbio L' aquila altera. Ed ei: Perchè ti veggio Atteggiata di pianto e di dolore ? Cerco sposo a me pan, e noi ritrovo. Me prendi, ei disse, ben di te più forte.- Favole Esopiane ^89 I E che ? puoi forse viver di rapina ?^ Spesso coir ugnemie rapii Io struzzo. L'nquila persuasa a tal si strinse. Appo le nozze non varcò gran tempo, Ed essa: Vanne, la giurata preda Per me rapisci. Il nibbio in alto vola, E immondissimo sorcio da lontano Arreca putrefatto. Ed ella: É questa La tua promessa fede ? Il nibbio allora: A toccar regie nozze l'avrei giurato Di poter tutto, ancor che mi sapessi Di poter nulla. Que'che ansiosi cercano Mogli di se maggiori mieton duolo Con onta, disposati a inette e vili. AVVISO DEL TRADUTTORE. A difesa della presente fatica contro i dispre- giatori delle favole e della poesia basterà ciò che scriveva il Gravina giudiziosissimo nel Regolamento flegll studi alla principessa Santacroce. Dopo aver discorso degli storici nota questo: „ Passeremo ora „ alla poesia, di cui si trae insegnamento forse mag- „ giore, se poesia intendiamo la sapienza ridotta „ m fantasia ed in metro, e non il puro rimbombo „ delle parole e le moderne arguzie : poiché le fa- „ vole sono unicamente tessute per esprimere coli' „ allettamento del metro, e col diletto della novità, „ tanto della invenzione quanto dello stile, la ve- „ ri là delle cose: conciossiachè altro di falso le an- „ tiche favole non abbiamo che i nomi de' perso- „ naggi ed i successi , ma i sentimenti misteriosi , „ che sotto que' nomi e finti successi si ascondono, „ sono con lunga esperienza raccolti dal tronco del 190 Letteratura „ vero. Del che possono essere a tutti di esempio „ le favole di Esopo, ciascuna delle quali è una ben ,, savia legge del viver civile. Perciò queste prima ,, delle altre meritano di esser lette ; acciocché ,, colla loro scorta si apprenda l'arte di rintrac- „ ciare sotto il finto il vero, per ritrovarlo poi ne- „ gli altri poeti ,,. Che se alcun dica : Il mondo è ito innanzi, ne fanno piìx per lui antiche scuole ; ri- ponderò, che uomini sono sempre uomini, il mon- do più o meno è sempre il mondo, se pure non si vuol dire, che peggiorando invecchia: ed uno e lo specchio della morale, degna di questo nome san- tissimo. Osservazioni sul bello. Art. X. E saminando le opinioni de' filosofi^ sulla bellezza, non e da tacere quella del Muratori, tanto piìi che consuona col principio dell' ordine, ,, Proprio è de' ,, saggi ( egli dice ) il cercare per quanto sia possi- „ bile in tutte le cose e fatture sue di far compa- ,, rire 1' ordine, ben sapendo che dove e ordine ,, ivi è bellezza, ed anche perfezione: dove disordi- ,, ne, ivi imperfezione e deformità „. Volendo dare idea dell'ordine soggiunse: „ eh' „ esso è una proporzionata disposizione di cose o „ azioni tendente sì nel tutto come nelle sue parti ,, ad un fine saggiamente eletto . . . Così troveremo S UL Bello 101 ,, r ordine In un giardino, che ha per mira il di- ,, letto onesto dell' uomo , se vi sarà varietà di og- „ getti tutti colla sua proporzione Leu distribuiti. „ Così in un esercito se gli squadroni ne troppo „ smilzi ne troppo carichi saranno esattamente „ schiariti ; di maniera che 1' un uomo non iniLro- „ gli r altro, l'una schiera l'altra, e possano a tutte „ le facce accorrere per difesa ed offesa. Cos'i in ,, una dipintura, in una tragedia, in una predica, nel- „ le vesti e in mille altre cose scopriremo ordine ,, o disordine, quanto più o meno le parti di quella ,, fattura e il medesimo tutto influiranno al fine, „ che in esse 1' uomo saggio a se propone „. E pas- sando ad osservare questo gran tutto, che è degna opera di Dio e fatta per l' uomo, mostra tra 1' altre cose che in lauta varietà riluce 1' ordine, e non e che apparente il disordine agli occhi degl'insipien- ti, mentre i savi ammirando il supremo artefice gridando ad una voce: Omnia in scipientia f ecisti ^ omnia, omnia : nota in seguito , che il fine prima- rio di Dio in crearci altro non può essere stato se non la gloria e T onor suo, e il secondario la no- stra felicith. Applicando la teoria all' ordine mo- rale nota altresì „ che le virtìi sono particolarmcn- „ te r ordine, che Dio esige dalle creature ragio- „ ncvoli e che conviene alla lor dignità : e per lo ,, contrario i vizi sono specialmente il disordine , ,, olle Dio ahhorrisce negli uomini, e disdice alla „ nobiltà della lor condizione .... Noi in tutte le ,, cose amiamo e lodiamo l' ordine: molto piì^i iu- ,, comparabilmente 1' ama e lo desidera Iddio. 1£ ,,' non potremo mai fallare se in lutto cercheremo „ qnal sia la volontà di Dio ... La fdicilà che si „ può sperar dal saggio quaggiìi consiste nella tran- 192 Letteratura „ quillita dell' animo, e nella contentezza del cuo- „ re: ma questa non si aspetti se non dall' ordine, „ proprio di cui è il mettere tutte le parti di un „ tutto al loro sito e in armonia. Dal disordine all' „ incontro non si genera che dolore ed affanno „, Parlando quindi piìi specialmente dell' ordine ri-^ guardo alla morale considera 1' uomo „ primie- „ ramente come fattura e creatura di Dio ; secon-^ ,, dariamente come persona sociabile , cioè desti- „ nata a convivere quaggiù con altre della sua me- „ desi ma specie ; in terzo luogo come persona par- „ ticolare, cioè un composto d'anima e di corpo „. E concliiude cosi:,, Ecco dunque tre oggetti, co'qua- „ li dee indispensabilmente l'uomo conservare quel- „ la buona armonia che la legge di Dio richiede, ,, ordine verso lo stesso Dio, ordine cogli altri mor- „ tali ( del commercio de' quali niuno può o non „ suole star senza, finche abita in questo piccolg ,, mondo), ed ordine in se stesso „, A noi basterà avere accennato queste cose, che r autore viene sviluppando nella Filosofìa mora- le (1). Lo stesso principio dell'ordine domina nelle sue Riflessioni sul buongusto^ e nella Perfetta poe- sia italiana. Quando la matta scuola del Marini per voler troppo avea posto il disordine in luogo dell' ordine, e turbato il regno delle nostre lettere, sur- se il Muratori, e richiamò i licenziosi al freno della ragione ed allo specchio dell' ordine. La necessaria riforma quanto a poesia indicò doversi fare colla scorta del buongusto : e questo parvegli definire o più presto dividere in fecondo e sterile^ particolare {i){Cap. xxrni.) Sui. Bello \9:\ ed universale. Il buongusto universale è guida alla mente per conoscere il bello, per cui intentlesi ciò che veduto o ascoltato o inteso diletta, piace e ra- pisce. Le bellezze poi intellettuali in due specie si dividono : T una fondata sul vero , V altra su quel vero che dicesi buono. Le scienze cercano e dimo- strano il vero per fine proprio ; la poesia e le arti si curano del vero e del verosimile congiunto al buono ed al bello soave. Ingegno e fantasia sono po- tenze necessarie al poeta, ma il giudizio le dee fre- nare e condurre. Quanto al proposito nostro ci basta avvertire, che il bello è ciò che piace, e piace generalmente ciò che è o si percepisce nell' ordine. Cosi la nostra opinione è una con quella del Muratori, che fu lu- me chiarissimo del secolo XVIII. Per veritk meglio consentiamo con lui, che col promotore dell' iden- tità assoluta, Schelling : secondo il quale il bello in relazione coli' arte è l' infinito rappresentato nel finito (1) : benché anche questa sentenza può ridur- si al principio deìVordine, in quanto che non si pub concepire per l' uomo rappresentazione dell'infinito nel finito, che non sia in ordine. Che se altri volesse nell'antica y?/oj"0/?a italiana cercare alcune opinioni sul bello da confrontare alla nostra, la quale si riposa nel principio dell' or- dine, non tralasceremmo di esporre tra gli altri i pensamenti di Plotino tra i neoplatonici fa- moso (2). Egli tocca di una triplice ascensione al (i) Manuale della storia della filosofia, Milano per Anto- nio Fontana voi. i pag. 3 13. (i) Ivi pag. 4ii. G. A. T. LXXt. 13 194 Letteratura mondo intelligibile mediante la musica , T amore , e la filosofia. Doppio è il procedimento dell' anima verso le cose alte e snpreme: l'uno conviensi a cjue' che salgono ancora, l' altro a que' che toccarono la cima; i primi vanno innanzi elevandosi dalle cose inferiori, i secondi dalle cose superiori alle prime o alla prima. Dalle inferiori si viene salendo col bello o colla musica, e dall'amore col trasporto verso i suoni, i numeri e le figure. Al sommo si perviene col mostrare che questi oggetti ammirevoli non sono il punto massimo : al che non basta qualche bello; ma ricercasi il bello in sè^ il bello medesimo^ razio-> naie o vero. Quanto alla feliciti^, Plotino tende (1) a consir derarla come uno stato, in cui sì vive bene: e que- sto stato, che non può aversi senza sentire ( ed è estraneo alle bestie ed alle piante ) è riposto per r uomo nel possedimento del vero, nel bene intelli- gibile. Quanto al bello, quel filosofo lo ripone in un principio al di sopra dei sensi, delle azioni e rappresentazioni delle arti, cioè nella forma supe- rante la materia in tutte le cose, e neir anima stes- sa, ossia in una perfetta proporzione o grandezza^ distinguendo gli oggetti che sono belli per parteci- pazione da quelli che lo sono in se o per se. Ora noi chiediamo, che si spogli questo lin- guaggio di tutto ciò che ha di misterioso, e si vedrà un vero semplice e nudo , vale a dire che quella perfetta proporzione di Plotino in altri termini è r ordine, principio e fondaniento di ogni bellezza. Col quale principio viene a risolversi una questio- (i) Ivi pag. 414. i SulBello 195 ne famosa a' nostri giorni: „ Se e come lettere ed „ arti possano mutarsi ed acconciarsi ai mutamenti ,, morali e politici delle nazioni: ,, dicendo, che all' ordinato incremento della civiltà , non alle vane utopie , lettere ed arti ponno accomodarsi finattan- tochè non si voglia snaturarle togliendo loro il pre- gio essenziale, che è quello dell'ordine. Ma intor- no a ciò riferiremo i pensamenti di uno squisito in- telletto col quale ci giova adagiarci in una sen- tenza (5). L'uomo, com'è e come opera ed imita, è il pro- dotto della natura e della religione. La natura lo fornisce di ordigni, lo circonda di oggetti , da cui provengono quelle infinite impressioni, le quali per natia virtii dell'anima fannosi immagini, idee, giudi- zi, sentimenti: così la mente comprender può l'uni- versale creazione, e l'uomo concepisce, sente, parla e vuole. La religione perfeziona 1' opera della na- nura, da lume e conforto all' anima ed al cuore, in- nalza r uomo ad un altro mondo pieno di misleri e di speranze, dove tutto è sublime, immenso, infi- nito, dove pare che Dio ponga i suoi tabernacoli e noi siamo chiamati per congiungerci a lui. Questi pensieri e questi sentimenti, finche sono conformi all'ordine, costituiscono la poesia : la quale nel suo primo e pili ampio concetto non è che „ una com- ,, mozione dell'animo eccitata dalla bellezza e fat- „ tasi manifesta agli altri o con azioni effettive e „ reali, o colle imitazioni operate dalle lettere e ,, dalle arti ,,. Pertanto della poesia, considerata come il complesso delle lettere e delle arti , sor- (i) Bibliot. ital. tom. LXXIX, pag. 3 e segg. 196 Letteratura genti principali anzi uniche sono natura e religio- ne ( quella principio, questa secondo noi concepi- mento dell' ordine) : V una fornisce copia d' ima- gini, di concetti, di fantasmi, 1' altra 1' arricchisce di altissime idee, di santi affetti, e di solenni ispi- razioni. Ma come 1' ordine supremo è immutabile, COSI natura e religione sono necessariamente immu- tabili ; imperocché natura ha sue leggi antiche co- me il mondo, e vive e si regge per esse; religione nelle sue dottrine, nelle sue istituzioni, ne'suoi pre- cetti mostra un carattere di stabilità, che diremo provenire dalla divina sua origine , ed afforzarsi eziandio dal gran numero di genti congregate in una credenza , dall' importanza degl' interessi che sonovi annessi, dalla energia dei bisogni e dei voti, che da essa soltanto ponno essere soddisfatti ed esauditi. Ora la poesia su queste basi fondata dee partecipare della loro stabilità, non agitarsi in con- tinuo ondeggiamento di dottrine e di regole, quasi che non riposasse nell' ordine, e traesse invece i suoi principii dal caso e dalle vicende de' tempi , e si fondasse sul capriccio degli uomini. Anche le nazioni nel loro corso serbano una certa regolarità ed un carattere proprio e nativo. Così la poesia, che è il fiore de' sentimenti della nazione, dee serbare in ogni tempo le sue qualità native e caratteristiche; così natura, religione e poe- sia devono concordare alla manifestazione dell' or- dine, che innalza V uomo fino a Dio e sopra sé stes- so alla felicità. Quindi non potendo mutarsi la sostanza della poesia, non è suscettiva di quel progresso, che e speciale alle arti meccaniche ed alle scienze. Per progresso in generaie s' intende un passo di più Sul Bbt. t. o 197 fatto verso la perfezione, ed in particolare una sco- perta che compia una serie di cognizioni, un nuovo rai>ionamento che distrugga un antico errore , un nuovo metodo che renda più agevole l'insegnamen- to, un' invenzione che migliori un uso pratico. Cosi progrediscono scienze ed arti, che da scienze dipen- dono: poiché sendo occulta agli uomini l'ultima es- senza delle cose, non si può per istudio discoprirla, ed il campo alle scienze è sempre aperto e indefi^ nito. Non così nelle lettere ed arti Lelle ; poiché r intima essenza della poesia è la bellezza ( il cui principio e fondamento poniamo nell' ordine ) , e bellezza si manifesta a chi sappia ben concepirla e sentirla, al che il tempo non può contribuire: anzi quanto pili un popolo è rozzo ed incolto, pili sono efficaci e produttive le impressioni della bellezza , e più la poesia, che di esse s'informa, sfavilla di luce pura ed immortale. Omero è sempre il signore dell* altissimo canto, Pindaro il poeta che vola sopra gli altri com'aquila. Eschilo e Sofocle i maestri della tragedia, Fidia, Prassitele, Policleto della scultura, Apelle, Zeusi, Polignoto e Timante della pittura: i rottami del Partenone attraversando i mari mostra- rono ancora alla nostra le maraviglie dell' età di Pericle. Così per uno slancio anzi che per un pro- gresso le arti conduconsi all' eccellenza. La quale consiste nel semplice e schietto ma- gistero di riprodurre la bellezza, di eccitare il pia- cere , d'inspirare la virtù: onde le arti toccheranno la cima quando le riproduzioni loro siano belle, pia- cevoli, virtuose. Ma quella cima è lubrica, e chi va oltre fallisce: onde al semplice si sostituisce il gret- to, al grazioso 1' aifettato, 1' ampolloso al sublime, il tumore alla grandezza , all'armonia il rimbombo. Perciò i greci sottoposero la poesia alla pubblica 498 LSTTKRATURA tutela, e regolarono la disciplina delle scuole, l'af- fetto drammatico de' componimenti, i simulacri de* numi, il numero delle corde della lira con leggi ap-- propriate. Spente le quali, la poesia decadde: ed è sentenza del Winkelmann, che „ le belle arti aven- ,, do Un punto fisso e stabile, far non poterono dopo „ r epoca degli antichi greci ulteriori progressi , „ e quindi dovettero retrocedere e decadere „. Così al principio del secolo XVIII i Manfre- di, i Rolli, i Lazzarini, i Ghedini, i Zannotti videro i guasti e la ruina, che il secolo precedente avea re- cato alla poesia con intenzione di farla bella, onde ' dovettero richiamarla all^ antica disciplina racco- mandandola alla musa del Petrarca, come a pura e gentile inspirazione. E in questi ultimi tempi do- po tanti rivolgimenti dovette il Monti richiamare la poesia a Dante, il Cesari la lingua àgli scrittori del trecento, il Canova le belle arti ai greci esem- plari. In tanta ricchezza di lettere e di arti, àdunatai dai principali uomini d' Italia dall' Alighieri al Csl-- nova, buono è starsi contenti, e conservare sì ricca patrimonio senza impazzire per novità. Con che la poesia serberà il carattere nazionale , quando lo perderebbe se ciascuno volesse farsi una poesiai in- dividuale ed insignificante secondo le proprie opi- nioni, la fantasia ed il capriccio particolare. | Si oppone, che non è a tenere la poesia Sem- ■ pre fei'ma ad un segno, ne torle vita, privandola di azione e di moto, potendo ella avanzare coi tempi e progredire. Ma noi teniamo , che il vero e solo scopo dell' universale poesia sia la riproduzione della bellezza. Quindi un campo immenso e inde- ■ finito alle lettere ed alle arti, la cui ampiezza non è stata trascorsa e in tutti i modi e in tutti i possi- SulBello 199 LUÌ oggetti: nluno avendo consitlerato ancora quei due gran tipi di ogni poetica invenzione. Dico la na- tura e r uomo. Scoprire qualche nuova bellezza , osservare gli oggetti sotto diversi punti, aggiungere nuove immagini, nuovi idoli, nuove ricchezze al pa- trimonio della poesia, sarà progresso : considerare la bellezza ne' grandi complessi piìi che nelle sin- gole parti, discernere le relazioni e consonanze tra gli esseri, e destar nuove e più squisite armonie, sarà progresso : addentrarsi nel cuore umano, stu- diare vieppiti gli affetti e le impressioni che nascono dalle vicende de' popoli, dallo spettacolo di essi, dai nuovi bisogni, conoscere le tendenze che ne de- rivano e farne tesoro alla poesia, sarà progresso : profittare delle straniere poesie, e coi loro artificii rabbellire , rinfrescare ( se vi ha luogo ) la nostra, sarà infine progresso. Ma non già il liberare egual- mente i grandi e i minori ingegni dalla soggezione alle regole : lasciar vaganti senza freno lettere ed arti : non credere virtìi i difetti de' grandi ingegni, e sopra quelli fondare teoriche e sistemi. Pertanto si crei e immagini e adorni e rinnovi quanto la po- tenza dell' ingegno può valere , e le condizioni de* tempi consentono : ma serbinsi inviolate le ragioni fondamentali della poesia , per cui soltanto essa può avere carattere e nome proprio e nativo. Ne con ciò s' interdice ogni slancio a splen- dide idee e ad una adeguata espressione. Eccellen- za d' ingegno, costanza d'applicazione produrranno gran frutti, cera' è a vedere dalle prove de' nostri poeti dall' Alighieri sino all' Arici. E non si dica, che la poesia deve interessarsi al moto della socie- tà. Concediamo dover essa concorrere onestamente al pubblico bene, non mai declinare dalla sua via e tralignare, non secondare perniciose tendenze, non 200 Lkttkratur a trasformarsi : non farsi amica al disordine; ma cu- stode perpetua dall' ordine, e aiutatrice della virtìi. Perchè il passato è scuola all' avvenire, bello è ram- mentare ciò che fu fatto di Lene negli ultimi due secoli. Al principio del XVII si volle trarre la letteratura dal languore e dalla mollezza , in cui erasi innanzi stemperata, restituirle nerbo e colore, e dalle smancerie d'amore richiamarla a degni e gra- vi subbietti. Perciò gì' ingegni maggiori si segre- garono , e lasciando quasi affatto ai minori 1' arte de'versi si diedero alla filosofia, ricercando la verità nella natura, sperimentando e colorando. Di questo amore del vero informossi la letteratura, e si ma- nifestò anche in essa quella sodezza e quella seve- rità di raziocinio, senza di cui il vero non si sco- pre : uscirono prose gravissime, e le carte del Ga- lileo e de* suoi discepoli, del Bellini, del Magalotti, del Redi, del Dati, del Pallavicini, del Davila, del Bartoli, del Segneri, e di tanti altri apparvero allo- ra, e sono tuttavia eccellenti , anzi maravigliose : degne in tutto del senno italiano. Nel secolo seguen- te dopo la pace d'Aquisgrana, gl'intelletti già forti passarono dalle scienze naturali alle morali e poli- tiche : le lettere si volsero al riordinamento della vita civile, per le cure del Vico e del Gravina e dei consorti. La poesia propriamente detta, che era stata (mercè di chiari ingegni e specialmente della scuola bolognese) redenta dalla perdizione del sei- cento, si unì anch' essa a quegl' illustri prosatori, e fu eccitatrice di virtù , fu flagello di vizi , e non mancò alle forme e leggi native. Dopo siffatta scuola de' maggiori, chi sarà mai che avendo fiore di senno voglia dire alla presente generazione: Ecco il momento di operare nella poe- sìa una radicale riforma, di sollevarla dall' abbai- Sul Bello 201 tlmento e dalla servitù in cui giacque finora, di to- glierne i rancidumi di cui è ingombra : un domi- nio di trenta secoli basti oggi mai ai greci autori, ponete da parte le opere loro, non vi fate schiavi alle regole, sia lìbero il volo agi' ingegni : bellezza non è necessaria a poesia, 1' uomo sulla terra è pel- legrino, è fatto per la patria immortale : dunque a rendegli odioso il mondo presente si estragga dalle miniere più vili delle istorie e si componga a fan- tasìa uno specchio di dolori, di miserie, di colpe, di vituperi, di abominazioni? Sconsigliati, quando ces- serà questa licenza arrogante, questa invereconda favella ! quando avremo una letteratura degna di noi! Quando non prenderemo il disordine per l'or- dine, ed un' epoca di travolgimenti per un' epoca di riforma; quando non giudicheremo i deliri esser sistemi , i traviamenti esempli imitabili ; quando crederemo che ogni paese aver deggia una lettera- tura propria fondata su principii positivi, non li- gia alle usanze straniere ; quando in una parola sa- premo porre elevazione nelle idee, temperanza ne' desideri, sobrietà nelle parole, in tutto dignità è amore dell' ordine. Conchiudendo in brevi parole noi diciamo: la poesia avrà tocco la cima, quando esperimenterà in tutto e pienamente l'eccellenza dell'ordine in modo d' innamorare ogni cuore, illuminare ogni mente, e promuovere la vera comune felicità (1). D. Vaccolini. (i) Vedi gli articoli precedenti, e singolarmente il discorso dell'ordine o sia del segreto della bellezza: Giorn. arcad. tom. LXyi pag. 522. 202 BELLE ARTI La reale galleria di Torino illustrata da Roberto d'Azeglio direttore della medesima. Torino per Chirio e Mina 1835-1836 in foglio. {Fascicoli I. IL IIL IV) Jr oteva Torino andar superba per molti puLLlici istituti , ma non poteva contare fra essi una pi- nacoteca. La generosità del re Carlo Alberto prov- vide a questa mancanza. Sacrificando egli il perso- nale diletto alla illustrazione generale del suo po- polo, donò al pubblico la propria collezione de' quadri: la quale così da domestica supellettile di- venne un patrio monumento, e tale, che per la ric- chezza può noverarsi fra i primi di Europa in tal genere. Da ciò molto utile conseguiterà all' arte , molto agli studiosi: imperocché non è da porre in dubbio, che la muta eloquenza di una galleria sor- passa d' assai gli insegnamenti de' piìi valenti pro- fessori ; "non essendo applicabile alla sola poesia il precetto oraziano Segnius irri tant animos demissa per aurem Quam quae sunt oculis àubiecta fidelibus^et quae Ipse sibi tradet spectator. Galleria di Torino 203 Ed in fatti n vario stile degli esemplari raccolti in una pinacoteca, si fa possente richiamo alla dis- simile natura degli ingegni. Quindi è che, come si diceva , la generosa risoluzione di quel hionarca sarà feconda di nuovo avvenire all' artcj e agli stu- diosi d' illimitato avanzamento. E se quel paese che produsse Cassini e Lagrangia, Alfieri e Colombo, il priricipé Eugenio e Massena , Caluso e Napione» Beccaria e Gerdil ^ Denina e Bodoni, ed altri mille de' qiiali Italia si gloria, non poteva ventare finora fra i priitii seggi nella pittura che il solo Gauden- zio Ferrari; il nuovo tempio dedicato al genio dell* arte, aperto all' emulazione dei cultori di essa, farà SI che un giorno saravvi forse chi, eccitato dalla contemplasiione del bello , s' innalzerà a contendere lina palma che può risorgere in oggi nella reale To- rino più verdeggiante. Queste cose andava discorrendo nel manifesto di associajiione del marzo 1835 il direttore della galleria Roberto d'Azeglio, iiome già caro all'Italia. E seguitava narrando , com' essa pinacoteca fu so- lennemente istituita nel sontuoso castello reale che è nel centro della metropoli. E perchè i musei, le biblioteche, i pubblici istituti consimili estendono e ConfeiMuano la nominanza di una nazione colta e gentile presso gli estranei, i quali sono dolcemente costretti a prolungare la loro dimora, più che al- trove, in que' luoghi che di tali istituti han più do- vizia: ne scende quindi un doppio vantaggio: si ac- cresce la intellettuale attività del popolo con la dot- trina che essi ci arrecano ; si accresce la materiale colle ricchezze che pongono in circolazione. Il desi- derio più volte espresso da tali eruditi forastieri , ed anche più il dovere di gratitudine verso il gene- 204 BellE Arti roso promotore di si utile stabilimento, fecero ri- solvere l'egregio direttore ad intrapromlere la illu- strazione della reale galleria di Torino: e v'è fon-- data speranza, anzi certezza, che il suo lavoro sarà di omaggio al principe, di decoro alla patria, d'incremento all' arte. Nella quale Italia nostra, dopo risorte le lette7 re, non ebbe mai timore del confronto con le altre nazioni. Verità è questa tanto dimostrata dai fatti, che non abbisognava di prove. Eppure dovemmo non ha guari sopportare la lettui-a di un opuscolo proveniente dalla Senna, nel quale quella verità si contrasta con impudenza tale, che per noi non può paragonarsi se non che alla crassa ignoranza di chi lo scrìsse. Ci sia perdonata dal benevolo lettore que- sta digressione ; perchè alla perfine non vogliamo esser sempre mutoli uditori: e se datoci fosse il potere di far un' autopsia morale di quel popolo che innalza al cielo la propria civiltà con parole or- gogliose, non sappiamo se questi si troverebbero le spesse volte d'accordo coi fatti. Un tal Carlo Lou- bens al num. 2 del giornale intitolato Le merciire de France^ revue complementaire du muée des fa- milles et des magasin pittoresques etc, oltre moltis- sime stravaganti accuse contro le scienze e le lettere d'Italia, che non è questo il luogo opportuno per esaminare, ardisce scrivere che nelle arti belle non avvi fra noi se non che una imitation servile et arrie- re; e nella pittura, specialmente, che gli italiani en soni a David et a son ecole. Signor Loubens, celiate voi, o dite da senno? Noi in pittura alla scuola di Da- vid? Noi, che possiamo dir quasi di non invidiare il tanto decantato cinquecento ? Eppure son calde an- cora le ceneri di un Appiani, di un Bossi, di un Lan* Galleria di Torino 205 di! Eppure vivono, e per la gloria tleire arti e dell' Italia adoperano magistralmente il pennello Camuc- cini, Benvenuti, Palagi , Agricola, Hayez, Coghetti, PoJesti , Sabatelli , Bezzuoli , Diotti , e assai pili maestri illustri che lunghissimo sarebbe enume- rare! Gli italiani servili imitatori nelle belle arti! Canova dunque, Tenerani, Finelli, Bartolini , sono imitatori! Sono imitatori Morghen , Longhi, Ga- ravaglia, Toschi, Rosaspina , Gandolfi, Anderloni , Calamatta! Imitatori Rossini, Bellini! . . Signor Lou- bens , confessate sinceramente che quando voi scri- veste queir articolo , una mentale malattia si era di voi impadronita: questa confessione vi potrà meritare una scusa presso i cortesi. Che se ri- maner volete fermo nelle vostre eresie, abbenchè per esse non siasi mai costumalo un autodafé., pure sappiale che uno ed unisono sarà il giudizio che ili voi formeranno presenti e futuri : voi potete l)ene arguirlo, senza costringerci a pronunziarlo. Forse questi fogli non verranno alle vostre mani: ciò poco monta: la vostra coscienza vi deve avver- tire a non iscrivere di ciò che non sapete. Giu- dicare una intera nazione, non è cosa da prendere a gabbo ; non è cosi facile il farlo, come lo scri- vere a migliaia articoli da giornale che al vostro somigliano. Ma torniamo in via. Non sappiamo se r opera del sig. d'Azeglio sia per recar nocu- mento alla prosecuzione di quella intitolata Dise- i^?ii Utografìci de quadri classici della galleria di S. M' il re di Sardegna. Pubblicavasi essa in To- rino dalla stamperia litografica di Demetrio Testa : annualmente ne veniva a luce un fascicolo : quello del 1835 ( era l'ottavo anno ) conteneva quattro li- tografie; la Madonna della tenda di Raffaello: il Bor- 206 Belle Arti gq mastro , di Rembrancit; Cosimo I de'Medici, del Bronzino ; ed un quadro fiammingo di Paolo Potter» Quattro fascicoli della reale galleria di Torino vennero alle nostre mani ; ed in essi non sappiamo qual pili lodare; se l'egregio estensore delle illu- strazioni ; o que' valenti che adoperano la matita e il bulino. Può dirsi ciie 1' impresa sia ancora sul principio ; perchè furono promessi ottanta fascicoli, Ma già questa ventesima parte, che ne venne a luce, ci fa garanzia che tutta l'opera riuscirà degna del sovrano cui è dedicata, degna dello scrittore e degli artisti che l'operarono, degna infine d'Italia, sede precipua delle belle arti. Quando in questo giornale (marzo 1836 p. 350 ) scrivemmo della pinacoteca veneta illustrata dal professor Zanotto ( e ci propo- niamo (1) di tornare a scriverne fra breve), notam- mo che si aveva in essa una serie di opere di una sola famiglia : perchè tutti i quadri sono di scuola veneta ; e veneto l'illustratore, veneti i valenti di- segnatori ed incisori. Per contrario in questa reale galleria di Torino abbiamo monumenti di ogni (r) Quando giunto ci sia alle mani un maggior numero di fascicoli, diremo pure della Imperiale e reale galleria Pitti incisa a contorno condotto, d'illustrazioni Jornita, e pubblicata da Luigi Bardi. Viene a luce in Firenze a fascicoli di cinque stampe ognu- no, con le relative illustrazioni, esaranno 90 fascicoli, al prezzo di dieci franchi ognuno. Il primo venne a luce nel i836; e contie- ne, I. Tommaso Fedra Inghirami dipinto da Raffaello, 2. Ritro- vato di cacciatori, pittura di Giovanni da s, Giovanni, 3. La ce- na in Emaus, di Iacopo Palma seniore, ^, La disputa della ss. Tri- nità, di Andrea del Sarto, 5. La pietà, di Bartolomeo da san Marco. I disegnatori sono Garavalia,Galendi, Rondoni.- gli incisori Fer- reri, Gatti, Rossi, Marri, Steinla; gli illustratori Inghirami, Cento- • unti. Masselli. Galleria di Torino ^01 scuola, sia nostra , sia estranea ; e se uno solo è r estensore delle illustrazioni, furono però impie- gati i primi bulini d'Italia. Questo aveva promesso il nobile sig. d'Azeglio nel manifesto d' associazio- ne, questo vediamo in fatto nei quattro fascicoli che abbiamo sott'occhio. In essi due incisioni sono di Francesco Rosaspina professore in Bologna ; cin- que del cav. Lasinio che tanta lode ebbe riscossa dalT opera sua adoperata in altre imprese consimili: una di Giovita Garavaglia già direttore della scuola d'in- taglio in Firenze, e per la immatura morte di lui terminata da Faustino Anderloni : una del cav. An- tonio Ricciani professore dell' accademia di Napoli: tre di Tito Boselli, sotto la direzione del cav. Toschi direttore dell' accademia ducale di Parma: e quat- tro del professor torinese Cesare Ferreri. Sono in tutto sedici; quattro cioè per ogni fascicolo ; ed al costo di franchi dodici per ogni dispensa se in fo- glio grande di carta imperiale fina velina, meno che alcuni esemplari avanti lettera ed in carta della Cina, il cui prezzo venne fissato a franchi venti. Questi valenti incisori che abbiamo ricordati, con molta dottrina imitarono nell' intaglio il fare variato del pennello, il sentimento dei dintorni, il sapere del chiaroscuro, proprii di ogni autore: non vi desideri tuoni gradevoli, beli' armonia , adatta varietà di tagli: tutte le tavole infine ci sembrano degne della bella rinomanza di che meritamente godono i chiarissimi autori. Ne minori lodi dobbia- mo retribuire ai valenti disegnatori, sia per la pre- cisione in ritrarre i dintorni, sia per aver conser- vato il carattere dei diversi originali , sia infine perchè ci sembra che in ogni parte egregiamente maneggiata abbiano la matita. Dei sedici rami dei 208 Belle Arti quali teniamo discorso, otto furon disegnati dal sig. Lorenzo Metalli; due per cadauno dai signori Ce- sare Ferreri, Enrico Gonin, Pietro Aries; uno dal sig. Silvestro Pianassi ; uno dal sig. Baldassare Reviglio. Bella varietà di soggetti si ha in questi sedici rami: istorici, mitologici, sacri, ritratti, paesi, ani- mali: ugual varietà di scuole e di autori. Nel primo fascicolo la prima tavola è una deposizione dalla croce di Gaudenzio Ferrari, ricca per molte figure. Ci sembra buon consiglio l'aver dato il primo posto ad un tal quadro: si perchè Gaudenzio è il più gran pittore che finora vantar possa il Piemonte ; si per- chè veramente fu pittore sommo, e secondo il giu- dizio del Lanzi, quegli che fra gli aiuti di Raffaello pili si avvicinò a Pierino ed a Giulio ; si perchè questo deposto è uno di que' sublimi lavori, nei quali seppe egli mirabilmente accoppiare il fare leonardesco al raffaellesco. Vero è, come notava il ricordato Lanzi, che un tal uomo, benché di genio trascendente, fu poco noto e poco accetto al Vasari^ quindi gli oltramontani^ che tutto il merito misurano dalla istoria^ mal lo conoscono^ e negli scritti loro lo hanno quasi involto nel silenzio. Ma a questo di- fetto del Vasari volendo porre riparo il sig. Gauden- zio Bordiga, pubblicò sin dal 1821 la vita del Ferra- ri, col corredo di molte ed interessanti notizie in- torno le opere di lui sì in plastica e sì in pittura: e di ciò non contento, sappiamo che tutte le opere di quel valente, disegnate ed incise da Silvestro Pia- nassi, e da lui descritte ed illustrate, sta ora pubbli- cando in Milano coi tipi del Molina in 4°. La seconda tavola del primo fascicolo rappre- senta una sacra famiglia di Pietro Paolo Rubens ; Galleria di Torino 209 come pur sua è la terza , in cui veggonsi animali alla caccia del cinghiale. La quarta è un paesaggio dipinto da Giovanni Predeman da Urles. Primo nel secondo fascicolo è un ritratto operato dal ri- cordato Rubens ; chi esso rappresenti è incerto. Vien poi il ritorno del figliuol prodigo dipinto da Gio: Francesco Barbieri detto il Guercino : quindi il ritratto di Erasmo, opera di Giovanni Holbein : infine una annunciazione di Maria Vergine, pittura di Orazio Lorni soprannomato il Gentileschi. Nel terzo fascicolo è del Guercino una santa Francesca Romana; di Carlo Dolci la immacolata concezione; di Daniello Crespi il s. Giovanni Ncpomuceno che confessa la regina di Boemia ; ed un paese di Both. Nella quarta dispensa infine si ha per prima tavola un quadro di Giulio Cesare Procaccini rappresen- tante s. Francesco e s. Carlo che stanno in adora- zione innanzi una statua di Maria Vergine : vien dopo Fulvia colla testa di Cicerone, pittura di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone; quindi la Fama, subblime concepimento di Guido Reni , infine un altro paese del ricordato Both. Che se ì valenti artisti, che disegnarono ed in- cisero tali quadri, ebbero da noi giusti e meritati encomi, non minori ne avrh il nobile ed egregio estensore delle illustrazioni. La perizia dell' arte , la erudizione, la dottrina, sono bei pregi di lui, non mai disgiunti da tuia dicitura bella e variata secon- do i subietti. Il linguaggio artistico, la perspicacia delle riflessioni, la spiegazione dei piìi minuti par- ticolari dei dipinti, ed in ispecie i suoi pensieri in- torno la scienza del colorito di Rubens, lo dichia- rano profondo conoscitore dell' arte. Quanto abbia egli studiato nella piìi riposta storia di essa , vien G.A. T.LXXL l'i 210 Belle Arti provato dalle diverse vicende che egli narra co- me sofferte da diversi quadri, dalle notizie che a larga mano egli sparge intorno gli studi, la vita, le maniere tenute dagli autori diversi ; e special- mente in alcuni particolari della vita di Guido. Son Lelle le nozioni che promulga intorno lo stato delle belle arti in Milano a' tempi del card. Federico Bor- romeo : convenienti le massime intorno i subietti truci, a proposito del dipinto del Morazzone, e quasi diremmo poetiche le descrizioni de' paesaggi. E già. il sig. d'Azeglio per altre prove è conosciuto in Italia e fuori come artista valente e dotto scrittore. Prosiegua dunque nell' impresa cos'i bene incomin- ciata, impresa che renderà il nome di luì piìi il- lustre, e sarà all'Italia di beli' ornamento e decoro. Non termineremo questo breve cenno, senza ricordare che l'opera verrà ornata di rami rappre- sentanti il prospetto orientale del regio castello, e quello occidentale, e l'interno scalone di quel pa- lazzo : opere grandiose dell' architetto Juvara: e che in fronte ad essa si avrà il ritratto equestre di sua maestà nell' atto di fare una rassegna, dipinto dal vero dal cav. Orazio Vernet , ed inciso dal cele- bre cav. Toschi. La generosità del re Carlo Alberto non è sen- za esempio in Italia nostra. Cogliamo volentieri que- sta circostanza per ricordare una consimile verifi- catasi, non sono ancora due lustri, nella colta e gen- tile Ravenna. Istituita colà per felic«; concepimento di monsignor Lavinio de'Medici Spada una provin- ciale accademia di belle arti, e per ferma volontà dell'Emo sig. cardinale Agostino Rivarola fatta sta- bile e durevole, ebbe nel breve correr di pochi mesi un proprio e conveniente locale, e fu per generosi- Galleria di Torino 211 th del comune, e per dono di molti illustri italiani arricchita di freschissimi gessi dei capo lavori di scultura antica e moderna, e di stampe nobilissime per la scuola d'intaglio. Dovevasi provvedere alla mancanza di esemplari in pittura; ne questo era fa- cile: perchè dipinture lodate sono tal merce, che non si acquista che a molto caro prezzo ; ne poi è così facile il rinvenirne. Invitati i ravennati che avevan quadri a depositarne i migliori all' acca- demia, tanto potè in que' nobili signori amor di patria, che per loro cortesia ne furono adunati nelle aule a ciò destinate ben sei cento, tutti buoni, al- cuni ottimi. Sono fra c|uesti ultimi un Leonardo, un Correggio, un Bastian dal piombo, un Innocen- zo da Imola, un Lodovico, tre Guidi, due Albani, due Tintoretti, un Sassoferrato, un Barocci , due Rubens, un Claudio, un Pussino , tre Both, due Ruthart, un Teniers, un Mieris, un Berghem, assai pili. I nomi di que' generosi che dierono alla pa- tria una così magnifica collezione di dipinti, e con essi tanta materia d'istruzione agli studiosi, merita- vano esser conosciuti da tutti ; ed a ciò provvide con pubblica lettera a stampa, indiritta all'egregio nostro professor Tommaso Minardi , il eh. conte Alessandro Cappi, che di quelT accademia è degno segretario. c. c. 212 Atti della pontifìcia accademia di belle arti in Bologna^ 1 836. Tip. della Volpe al Sassi in 8*^ di pag. XFILl^. V^ome si allegra il cuore degli aLitainti del pola all' apparire del giorno dopo la notte semestre, così e piìi gode l'animo agli amatori delle arti ingenue vedendo la luce degli atti di quella illustre accade- mia bolognese dopo dieci anni che facevasi desi" derare. Non che mancassero gli studi e l'onore de- bito ad essi; ma la pubblicità degli atti per mezzo della stampa eternatrice delle care cose mancò. Que- sto peccato di fortuna sarà riparato dalla munifi- cenza, che regna: bene è a sperarlo. Ecco intanto in edizione nitidissima elegantissima quanto riguar- da gli studi del 1835: ecco l'alba foriera di lieto giorno. Vengono prima i Discorsi letti in occasione della solenne distribuzione de"" premi il 19 maggia 1836. Aprì la funzione il N. U. marchese Antonio Bolognini Amorini pro-presidente, toccando alcun che sulla scelta de* soggetti pei concorsi accademici di belle arti „. A me basta, egli conchiude savia- „ mente parlando ai giovani con amore di padre, „ a me basta avervi dimostrato, come in iscorcio , „ quanto giovi la scelta degli argomenti per formar „ buoni artisti; che gli argomenti dalla nostra santa ,, religione, dalla patria storia, e parcamente dalla „ mitologia ancora dedotti sono da preferirsi a tutt' „ altri, come sono da escludersi onninamente gli Belle Arti 213 ,^ argomenti licenziosi, e quelli che spirano atro- „ cita e carnificina. L'uomo nato alla società, l'uomo „ incivilito, deve tener conto di tutto ciò che reca ,, a migliorare la sua condizione non a degradarla; „ che lo inchina a gentilezza di costume, non a fe- „ rocia „. Segue una orazione nobilissima detta dal N. U. marchese cav. Amico Ricci, che prese a subietto: Le arti considerate nella loro origine ed incremento pei culti religiosi e specialmente per la religione cattolica. Da Giove incominciamo , cantava Calli- maco nella letizia degl' inni: da Giove principio , o muse ; tutte cose sono piene di Giove , can- tava Virgilio in bocca di pastori. Ed il filosofo de* poeti Dante Alighieri notava con fino giudizio, che la nostra arte a Dio quasi è nipote. E senza ciò i monumenti e le istorie di tutti i popoli ci atte- stano che le arti ingenue figlie dell'ordine ebbero incremento e favore dalla religione, e massime dalla santissima e sola vera, la religione cattolica , che all' ordine morale è anima e vita. ,, Oh sì! nobile „ e cara è la religione ( esclama in fine l'oratore ) „ alle arti, e a voi ( parla co'giovani studiosi) toc- „ ca il dimostrarlo colle opere dell' ingegno, e con „ r istituto del vivere. Studiatela quest'eletta figlia „ del cielo, interrogatela con passione, scongiura- ,, tene l'oracolo. Ella vi risponderà nella veritk e ,, nella grandezza delle sue idee: e quando sarete „ certi d' averne inteso il divino linguaggio, pren- „ dete il pennello, e dipingete. Dipingete, e le opere „ vostre non daranno quella luce torbida e bassa ,, d'abbiette passioni, che danno a divedere non solo „ l'artista, che avvilisce il suo decoro, ma ben anche „ il cittadino malvagio : dipingete , e se talvolta 214 B K L L E A R T I ,, in opera lunga e difficile vi parrà, che s'arresti „ vinta da stanchezza la mano, sottentrerà il dito „ di Dio animando il vostro spirito a compierla e „ perfezionarla. Dipingete, e riconoscenti consecra- „ te al culto le primizie del vostro ingegno. Gano- ,, va non apparve più grande d' allora che offeri- „ re volendo alla divinità il meglio di quella mano, ,, che l'aveva reso sì illustre, affigurò colossale sulle „ sponde del Tebro in sembianza e forme divine „ la Fede medesima; d'allora che avvivò la vile „ creta nel gruppo della Pietà. Ma di pietà e di „ fede fu sempre caldo il suo petto, ne temette ri- „ cordarla libero e franco a que' grandi, che colla „ potenza soverchiatrice osarono oltraggiarla.,. Sire „ ( diss' egli un giorno con labbro composto a do- ,, lore al pili gran dominante dell' età nostra) sire, ,, le arti sono m>vilite perchè intiepidisce la religio- ,, ne, che le alimenta ,,. Perchè nulla mancasse a compiere quasi il trionfo delle arti belle nella indicata solennità, fuvvi pure un discorso detto dal professore Francesco Tognetti pro-se2,retario dell' accademia Delle lodi di Giampietro Zanottii di lui che fu primo segre- tario dell' accademia clementina di belle arti. Altri oratori nello stesso teatro fecero già suonare le lodi de' Primaticci, de'Garacci, de' Guidi, de' Zampieri , e di altri chiarissimi spiriti, che onorano le arti e Bologna: era debito di gratitudine ricordare degna- mente anche questo Zanotti, del quale l'oratore così tocca neir esordio ai giovani accesi ncll' amore de' cari studi: „ rammentando che fece studi conformi „ ai vostri principalmente nella pittura, che so- ,, stenne ufficio conforme al mio in questa stessa „ accademia, che ad entrambi noi lasciò documenti B E T. L E A R T 1 215 „ illustri, a voi del molto suo sapere nelF arte si ,, colle opere pittoresche, s\ colle scritture distinte ,, d' una luce che riflette ancora luminosa sulla via ,, che avete impresa a percorrere; a me deli' ope- ,, roso suo zelo per compiere con amore e fedeltà „ gì' incarichi vari ed onorevoli del geloso mini- „ stero, a tutti della prontezza del suo ingegno, del „ candore de' suoi costumi, della bontà e religion „ sua „. Così le prose dette in un giorno glorioso alle arti sono tutte nell' amore dell'ordine, che è prin- cipio di ogni bellezza: la quale non è ristretta a forme corporee, ma s'innalza quanto può volare lo spirito sino all' idee dell' eterno bello, dell' ordine eterno. La gioventìi animata da cos\ forti e savie parole prenderà sempre piìi cuore a superare la difficolta dell' erta, che conduce alla immortalità , e schiude opere degne non pure al se*colo presente, ma agli avvenire. Seguono i programmi e i giudizi pei grandi concorsi del 1835, e l'elenco dei premiati, che eb- bero pili care le corone dispensate per mano di Sua Elfi, il sig. cardinale Vincenzo Macchi, mecenate delle arti. Nomineremo i tre primi premiati; non consentendo la prescritta brevità di ricordare tutti gli altri, come vorremmo. Pittura storica. Soggetto. Demodoco cieco, che all' invito d'Alcinoo, sospesi i giuochi dati ad Ulisse ospite di luij canta sulla cetra, ed è festeggiato da scelti giovani feaci pronti alla danza (Omero, Oc/m. Vili ). Premiato sig. Gaspare Mattioli di Faenza. Scultura, basso rilievo. Soggetto. Socrate che rimprovera Alcibiade che sta scherzando fra le ninfe. Premiato sig. Camillo Gajani di Bologna. 216 B E L L E A R T I Disegno di figura. Soggetto. Pausania morto di fame viene tolto fuori del tempio, e censegnato ai parenti. Premiato sig. Gaetano Serra di sant' Agata. Vengono appresso i programmi e i giudizi ai grandi premi curlandesi. Premiati furono in archi- tettura il sig. conte Giovanni Orsi di Ravenna, in incisione il sig. Antonio Marchi bolognese. Il soggetto di architettura fu una sontuosa basilica cristiana per una citta di provincia, deco- rata sulle norme del buon gusto greco e romano, con iconografia ed ortografia esterna ed interna : il tutto disegnato in foglio di altezza palmi rom. 4, e di lunghezza 3 e un quarto. Il soggetto à'incisione fu un quadro di autore classico non ancora lodevolmente inciso: la super- ficie del lavoro per lo meno di un palmo romano quadrato. Ilipremiato scelse il quadro rappresen- tante la B. V. assunta in cielo, sulle nubi, con an- gioletti intorno: lodata opera del celebre France- sco Albani, esistente presso gli eredi del fu conte Carlo Merendoni. Seguono i pi'ogrammi, e l'elenco de' premiati al concorso de'piccoli premi curlandesi, distribuiti come i grandi per mano del N. U. sig. conte priore Giuseppe Gozzadini conservatore del comune, rap- presentante S. E. il sig. conte commendatore Vin- cenzo Brunetti senatore di Bologna, assente. Sono indi descritti gli oggetti di belle arti espo- sti nelle sale della accademia: tra i quali ricordere- mo almeno vari quadri dipinti a olio del sig. Cle- mente Alberi riminese, socio d'onore: ed un quadro grande dipinto a olio del sig. Vincenzo Rasori bo- lognese , socio d'onore. Quest' ultimo rappresenta Belle Arti 21T la liberazione d' Annibale Bentivoglio dalla rocca di Varano, per commissione di S. E. il sig. conte Filippo Bentivoglio. Il prezioso libretto si chiude coU'elenco de'soci, tanto di quelli con voto, quanto di quelli d'onore: ci troviamo nomi di artisti già celebri, e di mecenati nobilissimi. Non mancano adunque favori ed esempi agli studi, onde i giovani crescendo di piìi in piìi neir amore alle lodate arti hanno aperta innanzi una via di virtù e di gloria: si accendano di nuovo zelo, e Bologna e le arti guardando alla luce del passato si confortino del presente e dell' avvenire ! D. Vaccolini. 218 Intorno un antico dipinto die nella chiesa de frati minori a Norcia, lodovico maku lonii bergoli all' sccellkntissimo signor gonfaloniere ED AGLI ILLVSTRISSIMI MEMBRI DELLA COMVNITA' DI NORCIA A, .vendo fatto pensiero di parlare di un nobile dipinto di questa citta , era al ben doveroso che io fermassi 1' animo d' intitolare questa mia te- nue fatica a voi , o ragguardevolissimi magistra- ti , che tanta parte o la più eletta parte formate di questo luogo. E ciò a buon diritto : però che si è questa T unica opera di belle arti avanzata al disfacimento delle famose concussioni di terra, che negli ultimi decorsi secoli inabissarono la cit- ta nostra , e nelle cui ruine perirono assaissime infelici vittime umane , e quanto di più mira- bile e pregevole vantava questo domicilio , cioè i dipinti di que' celebri Jacopo da Norcia e Cola dell'Amatrice. - E per questo mio scritto eziandio prenderete conforto e letizia nel rammentarvi, co- me i vostri maggiori usavano lodevolmente delle loro dovizie e nel culto della religione ed in no- bilitare questa loro cara patria con edificii e di- pinti pubblici. Perciocché per loro amore e pietà Intorno un antico dipinto 219 sì eresse 11 cenobio de' minoriti dell' Annunziata : si costrusse l'attiguo oratorio , e si die principio alle venerevoli adunanze de'terziarii; e si ebbe quel- la egregia dipintura , eh' è argomento del mio di- re. - E quivi i vostri padri soventi fiate , stanchi delle follie mondane od oppressi dalle sciagure, in- nalzavano umili preghiere a Dio: e nella calma del- la notte e nel silenzio del ritiro , trovavano beati conforti a' loro mali, e dolce riposo a' tumulti del- le loro passioni. E però, dicasi pur a nostro vi- tuperio , che ne'petti de' nostri avoli ed arcavoli , di lunga più che ne'nostri , fiorivano pietosi sen- timenti di religione : avendo essi lasciata tra noi lunghissima ed onoratissima memoria e lodevoli esempi a' successori. Non è dunque solo una intitolazione che ve ne fo : ma vi ofFero si bene una cosa vostra. Laonde possa la meschina offerta non esservi ora discara! E permettete al mio cuore la formazione di que- sto sol voto ; cioè che uniate la vostra possanza a' lodevoli desiderii de'cenobiti dell'Annunziata di to- gliere la degna pittura dal luogo , ov'ella trovasi, pieno d'umidore e con imperfetta luce: e collocarla all'adorazione pubblica ed in prospettiva più me- ritevole e vantaggiosa. Ella è già guasta di troppo: se permettete che più a lungo colà dimori, perde- rete senza fallo alle arti ed alla citta questo mo- numento degno di conservazione. Non facendo ora di mestieri che io vi ricordi, che l'amore ed il pro- teggimento delle lettere e delle arti imitatrici del bello e de'pubblici ed utili lavori , resero mai sem- pre onorati e famosi i rettori de'municipii (1): pe- (i) E qui sia lode (sopraagli altri cittadini) a cospicui signoi^i 220 BelleArti rò che per essi veramente è posta la linea au- rea , con che scernesi quella schiera di magnani- mi e di generosi che nobilitarono la eulta Italia, dalla feccia degli uomini o dalla plebe, che o non conoscendo o corrompendo ogni scientifico istituto ed ogni gentile e bella fattura di arte , la detur- parono e la invilirono. E fate me da ultimo ben iscusato , se forse in luogo di avervi recato utile e diletto , io vi diedi fastidio e rincrescimento : mentre il mio favellare ad altro scopo non mira, che a provarvi l'altissi- ma stima che per ognuno di voi e per tutti insie- me io nutro. State sani e vivete lungamente anni felici : e di me vi ricordate nella lettura di un vo- stro monumento patrio. Il tempio dell'Annunziata de'minorltì di Nor- cia è posto a pochissima distanza da'suoi muri. In un lato del vestibolo di quello si va per entro all' angusto e disadorno oratorio de' terziarii ; in che liodovico Scaramucci egregio gonfaloniere di Norcia, e Marco Antonio e Vincenzo Biicchi Accica , i quali sentendosi scaldare il cuore di vero affetto di patria e di grande amore pel bene pubblico, non isconforlati alle ripulse e non vinti dagli ostacoli (le quali cose non vanno mai disgiunte da'buoni divisameiUi ) , alla fin fine, dopo i molti desiderii vanamente formali per Io In- nanzi, portano il vanto di vedere sotto i loro auspici! dato prin- cipio alle strade provinciali che conducono a' delegatizi dipar- timenti e di Spoleto e di Ascoli — E non è a dire l'utile di que- sta loro opera ; perocché , come è noto a ciascuno , le vie che circondano e menano a Norcia , oltre essere ispide e disagiate, souo ben aiuo piene di ilirupi e di pericoli. Intorno un antico dipinto 221 nella parete anteriore e hell' unico altare scorgesi una tavola, che parvemi di considerazione merite- volissima ed ornamento nobile non pure di questa citta ; ma sì ben anco del bel paese do\>e il sì suona (1) : e di cui se tanto ora si veggono vistose e vivide e Id tinte e le ombrature » le espressioni de'volti , ad onta del molto umido lo- cale e della pochezza della luce, cjuant'ella di lun- ga non dovea essere più maestosa e sfolgorante nel primitivo suo stato , e se fosse stata posta in me- no infelice prospettiva ? E però fui confortato a dir di essa alcune pa- role : e se mi verrà taccia di ardito , non avendo talenti bastevoli a degnamente celebrarla , siami al- meno di scusa che a parlare di lei io sono il pi*i- mo. Dipinto certamente decoroso e mirabile ; ma ignoto agli stranieri, e veduto quasi da ninno o ben da pochi del luogo. Oscuro ed isconosciuto eziandio è il suo ope- ratore; non essendovi testimonianze che ce lo appale- sino, e ne antica tradizione che ci ricordi il suo no- me: sebbene, per volgare opinione , da certuni sori e semplici vogliasi dirlo del Sanzio. Tanto è esso in- signe e nobile, fino a crederlo di quell'inimitabile! Ma se ci è dato, senza nota di orgoglio, di poter modestamente esporre non un giudicio, ma i mo- tivi delle nostre congetture , appaleseremo e non senza esitanza il nostro sentimento, con indicarlo opera di Giovanni Spagnuolo, detto lo Spagna. E qui primamente si vuole in alciuia parte rendere (i) Il verso di Dalile è così concepito - // bel paese là dove il sì suona - lafer. e. 33 v. 8o. 222 Belle Arti scusabile la credulità di alquanti, che sedotti dal disegno e dal colorito della tavola, la ritennero po- scia dell' urbinate : mentre il dipignere dell' uno (quanto almeno alla prima maniera) apparisce as- sai simile a quello dell'altro. Ne essi furono vera- mente o i primi o i soli ad essere tratti in eguale inganno : però che ed altri assai, ed in altri tempi ed in altri luoghi eziandio, opinarono che la stu- penda Adorazione de re magi dell'abazia di s. Pie- tro di Ferentino, che ora trovasi a Spoleto presso i baroni Ancaiani, fosse fattura del Sanzio; laddo- ve è cognito, appartenere allo Spagna. E a dir vero non dissimili ( se non del pari perfetti) esser doveano i modi di colorire di en- trambi : però che ebbero gli stessi precetti , la stessa scuoia , e lo stesso insegnatore , cioè il sommo Pietro Perugino : onde non vorremo a- ver maraviglia , se le loro fatture non di rado ( se non da' più esperti , dal maggior numero al- meno ) si tolsero in iscambio. Perchè se lo Spa- gna non aggiunse alle grazie ed alla somma ri- nomanza dell' urbinate ; non cessa però di essere lume chiarissimo della buona pittura italiana. - Ma dal conoscersi d' altronde che Raffaello giam- mai non fu adoperato per lavori in Norcia ; ed a rincontro leggendosi che lo Spagna non solo pera- grasse questi alpestri luoghi , ove lasciò pur do- cumenti di sue pitture, come è a vedersi (e certo sembra degna di un tanto pittore) una testa bel- lissima di un Salvatore nel villaggio di Paganelli ; ma di pili che fermasse il suo domicilio a Spoleti, in che condusse eziandio donna , ed operasse mi- rabili dipinti e nella rocca ed a s. Giacomo di essa terra, e nelle sue prossime castella di Arene e di Intorno un antico dipinto 223 Morgnano : rende al postutto vana ed inetta la vol- gare credenza, che la tavola, di cui tengo argomen- to, sia del Sanzio, e fiancheggia ed avvalora mira- bilmente la mia opinione, ch'ella piìi presto possa dirsi opera dello Spagna. La figura della tavola si è paralellogramma , salvo la sommità , la quale è segnata da una curva tra l'arco interno e la cornice : e la sua al- tezza è di palmi undici e mezzo, e di sette ed once quattro e mezzo di larghezza. E vedi elegante tri- Luna che forma il Lei campo dell'egregio dipinto, i cui archi e la volta sono sostenuti, cioè 1 primi da laterali ed esterni pilastri, e l'altra da doppio ed interiore peristilio di colonne, i cui fusi si no- verano tre da ambe le parti, ed il rotondo o l'inte- ra loro canna rappresenta un marmo di colore ros- setto e giallognolo e verde. - E miri la Vergine, con sottile aureola in capo, assisa in sublime seggio , ricoperto di bellissimo tappeto screziato di stile ara- besco. Ella è vestita con sottana rossa e con manto verde cupo di mare: col braccio sinistro sorregge in sulle ginocchia il divino Infante tutto nudo e con isplendore d'oro in capo, e distende la destra sul capo di tre sottoposti devoti individui. L'almo sembiante ed i dolci sguardi di lei sono vezzosa- mente vòlti a guardare con compiacenza nel bam- binello. Esso è poi tutto soavità e tutto grazia, ed ha mosse le labhra a piacevole sorriso, e guarda e protende la destra a benedire s. Francesco di As- sisi , che dal lato sinistro è il piìi elevato. Il se- rafico, pieno di stupore e di letizia, col capo alto inverso il divin pargoletto ed in modo il pili es- pressivo favella con lui , e fa segno coll'indice del- la destra, che ripiega sopra il suo seno, di coni- 224 Belle Arti partir quella celeste benedizione che gli e divina- mente conceduta : ed intanto tiene colla sinistra una fasciuola di pergamena , in che si notano le precise parole : Concessa a duo vohis pari iure largior con caratteri che sanno un poco del gotico. Ed in essa si fanno a leggere e s. Elisabetta regina di Ungheria, e s. Luigi o Lodovico vescovo di Tolosa. Sostiene s. Elisabetta colla sinistra la linea inferiore della leggenda, e vedesi il suo capo cinto di corona reale, cui sovrasta anco un aureola, e colla destra solleva un aureo scettro che spuntale sull' omero destro ; rimanendo la corrispondente mano ascosa, per trovarsi ella quasi in iscorcio o per profilo, ed è vestita con sottana di color violetto scuro e con una guarnacca o sopratunica meta bianca e metà verde carico. E mirasi a costa di lei (com'è detto) il vescovo tolosano genuUesso , il quale è vestito pontificalmente , cioè tiara in capo con bendoni , guarnita di cinta d'oro e di gemme preziose, e con pastorale che sporgegli sull'omero sinistro, non ve- dendosi la mano , e colla chiroteca alla destra ed anello all'indice, con che accenna di leggere ma- ravigliato nella scrittura porta dal santo di Assi- si: ed indossa un pluviale magnifico e ricchissimo, ceruleo ed asperso di gigli d'oro, nei cui meandri o stoloni si veggono a minute figure egregiamente ritratti assai piti anacoreti: e nel suo cappuccio o riporto dorsale, di tutto ganzo d'oro, v'ha effigiato con sommo artificio l'Eterno Padre assiso che so- Intorno un antico dipinto 225 stiene Gesù Cristo pendente dal legno della cro- ce. - E questo si è il lato manco della tavola. A diritta ( come di sopra è detto ) scorgi s. Chiara , la quale beasi nel proteggimento e nella Leila visione della madre di Dio. Ella è situata al- quanto al di sopra e di s. Antonio, cosi nomato di Padova, e del serafico dottore porporato s. Bona- ventura : porta in capo un sarrocchino o piccolo pallio che le va a scendere sugli omeri; tiene il sog- golo, ed il colore della sua tunica è il tanè o lio- nato scuro, ed egualmente cenerino o tanè si è la sua cappa o mantello: e colla destra appoggiata al seno sorregge un giglio , simbolo della sua pu- rità ; e tiene colla sinistra un codice chiuso con in- voglia rossa e con cinta bianca. - Le succede piìi inferiormente s. Antonio adorno di sottile aureola, e guardante fiso con gaudio celestiale nella soavis- sima Vergine, e tenente pur colla destra un giglio: e stassene ripiegato su di un ginocchio, e sull'altro sostiene, medesimamente alla sinistra, un breviale, le cui pagine si ascondono alla vista de'riguardan- ti; stante che volgono inverso il santo padovano. - E segue da ultimo per fianco s. Bonaventura, che s imilmente genuflesso con un ginocchio, rimane as- sorto in contemplare i misteriosi concetti di quel libro. Egli pure trovasi in abiti pontificali e con mitra in capo, e sostiene il bastone pastorizio con entrambe le mani, le quali coprono le chiroteche con anello al dito anulare ; il suo pluviale è ra- bescato del colore della porpora, cogli stoloni ezian- dio rabescati d'oro e di figurine mirabilmente elabo- rate di varii santi padri: ed innanzi le sue ginocchia scorgi gittato in terra il cappello cardinalizio. In fondo poi dell' arco interno della tribuna G.A.T. LXXI. 15 226 Belle Arti vetlesi in lontananza V aria ed alcuni dirupi con virgulti e cespugli ed erti clivi di montagne. - Si notano pure fra le screpolature della tavola alcune liste di tela sovrapposte a'vizii ed a'movimentì del legno : il che in tempi posteriori fu fatto da ma- no sacrilega e con grave danno e deturpamento del- la nobile pittura; mentre è ben noto che rintonaco o le imprimiture nel secolo decimo sesto si ope- ravano nudamente sulla tavola e senza il ministe- rio della tela. Descritto cosi il quadro , non mi fermerò su tutti i pregi di esso; essendo ciò opera di altro inge- gno che del mio : mi sarà dato solo di far rilevare la mente filosofica e l'inventiva e la perfezione del valente artefice. - E primamente nella tribuna ve- di regolare e semplice architettura , che ci ricor- da lo stile puro di Bramante, ed in fondo e co- me da lontano vedi mirabilmente ritratta la sere- nità di un aere sottilissimo che ti sembra proprio di respirarlo ; modificata però più da presso dallo scabro di alcuni rotti sassi in oscure tinte, che vie pili da risalto alla leggerezza ed al ceruleo di quel- la. - E con savio accorgimento l'artista distribuì la situazione o positura delle diverse figure introdotte non solo ( come esigono i precetti dell' arte ) ad equilibrare o piramidare il quadro ; ma sì ben an- co a servire necessariamente e spontaneamente al- la unita dell'azione, cotanto indispensabile per le cose rappresentate e pei riguardanti che le mira- no. Imperciocché l'euritmia nella pittura è poten- tissima a rendere soddisfatto, mediante i sensi, l'a- nimo; anche prima che si muova e se ne contenti il raziocinio della mente. - E però tiene il centro in alto assisa in maestoso seggio la Vergine , nel Intorno un antico dipinto 227 cui volto leggiadro non pure, ma in tutta la per- sona ravvisasi una graziosa e piacevole movenza, ed una tenerezza di amore indicibile, ed una timidità, virginale. Ella compiacesi di volgere i suoi dolcis- simi sguardi verso GesU bambino, il quale ignudo e leggiadrissimo e soavemente ridente solleva una sua manina a benedire celestemente s. Francesco di Assisi, che sottoposto rassembra estatico alla bel- la visione ed alla salutazione del divino pargoletto. E certamente pregio grandissimo e raro di questa dipintura si è la beltk e la vivezza della testa di s. Francesco : perocché i suoi occhi sembra che guardino, e la sua bocca che parli: tanto è natura- le e mirabile la sua espressione ! Ed in quel volto santo e macero dalle penitenze miri e la carità e la povertà ; per cui potè calcare le cose terrene e transitorie, e fatto tutto divinamente innamorato, arse di bel desiderio di volare in cielo e congriu- gnersi eternalmente in Dio. Ma con quanta grazia di caro aflfetto non c'in- voglia a venerazione la s. Elisabetta, invocata dai devoti a proteggere le pietose adunanze de' terzia- rii, la quale con istupore ed attenzione miri leg- gere nella pagella tenuta dal santodi Assisi? Evi- dentissimo è il suo atteggiamento; e bello e giova- nile il suo volto, ove ravvisi un non so che di so- vrumano; però che sebbene di stirpe regale, e re- galmente educata e destinata al trono , ciò nondi- meno avendo avuto a vile e la nascita e lo scettro, volle seguitar Cristo, nel cui bacio e celestiale amo- re si morì nella sua verde età di poco men di sei lustri. - La segue a costa s. Lodovico vescovo di To- losa, il quale parimenti di regio sangue e destina- to a reggere i popoli, prese l'abito religioso di s. 228 BelleArti Francesco ed accomiatossi dalle cure terrene : ed in lui scorgi naturalmente impresso lo splendore regale, rattemperato da dolce umiltà cristiana. Degna di osservazione nel lato destro è la s. Chiara, che piena di serena e cara giovialità e di santi e pietosi desiderii, non mai saziati di riguar- dare ne'belli occhi di Maria , mostrasi tutta lieta e tripudiante, a cagione che la Vergine tiene span- ta la sua consolantissima destra sovra il di lei ca- po : ed in questa estasi di divini amori sospira e viene manco pe'riposi eternali. - Rapito medesima- mente in questa celeste contemplazione vedi s. An- tonio, che appariscente di volto come di animo pu- ro e candido, signoreggia potentemente gli occhi di chiunc]uc lo miri ed elficacemente li ritiene. E nel mansueto e dimesso sembiante del serafico dottore s. Bonaventura non puoi non ravvisare i suoi tra- sporti di amore angelico e tutte le altre mirabili sue virtìi. Egli sapiente al sommo , ma di lunga molto pili umile; egli benigno co'poveri, e scher- zevole cogl'innocenti fanciulli, e pietoso alle mise- rie degli sventurati i egli crudo alla superba ava- rizia de'signori potenti, e non timido insegnatore di venerare e difendere la nostra augustissima re- ligione. In tutta la tavola in somma vedi vaghezza e semplicità aurea di stile, e maestria e perfezione di disegno, di colorito, di ombre e di prospettiva; e volti giovanili, affettuosi e devoti: e non miri obiet- ti oziosi ed inutili; però che le persone non aven- ti parte ed interesse nell'azione si vogliono esclu- dere. Il concetto poi scello dall'artista è felicissi- mo; avendo introdotto persone, le quali verosimil- mente potevano soventi fiate convenire insieme , Intorno un antico dipinto 229 e come unite per caritatevoli ligami di amore ce- lestiale, e come astrette ad uno stesso istituto re- ligioso, e come viventi in uno stesso secolo. E ne saremo sì rigidi da non perdonare allo Spagna que- sta sua licenza di assembrare insieme persone non coetanee, ma di un medesimo evo: anacronismo, se * non lodato dalle sane regole , certamente almeno non raro a' pittori, come anche a' poeti nelle loro rappresentanze. E vogliamo infine far avvisati che sono in er- ronea credenza (venuta non so da che volgare opi- nione) coloro che ravvisano nel santo vescovo to- losano e nella s. Chiara le sembianze di s. Bene- detto e della sua sorella s. Scolastica, i quali si eb- bero nascimento in Norcia, e sono eletti a primari! e celesti proteggitori di essa. Ed è pur d'uopo pen- sare, che il solo amore e la venerazione per essi ed il forte desiderio di scorgerli effigiati (quand'anche non fossero ) per ogni dove , traggali così inetta- mente a vaneggiare: non ravvisandosi certo in quel- li i caratteri distintivi dell'ordine strettamente be- nedettino. Però che, coni' è a tutti noto, s. Scola- stica era badessa; e perciò viene rappresentata co' simboli privilegiati e proprii del suo istituto, cioè col bastone di primazia, ossia col pastorale: oltre l'indossare vestimenta di colore ben diverso da quel- lo delle Clarisse. E s. Benedetto eziandio effigiasi con abiti di negre vesti, e col corvo che recagli nel rostro un pane. E di piìi fanne fede della rappre- sentanza del santo vescovo tolosano il mirarsi il suo pluviale in campo azzurro tutto asperso di gi- gli d'oro, mentre s. Lodovico apparteneva alla fa- miglia d' Angiò , come figliuolo di Carlo II re di Napoli , di Gerusalemme e di Sicilia : ed i gigli 230 Belle Arti d'oro furono mai sempre i segni distintivi di que* che discendevano da'reali di Francia, com'erano gli Angioini. E qui basti di aver detto tanto. E se taluno sorgesse severo a redarguire queste mie lievi pa- role, perchè io, non pittore, abbia così alla spic- ciolata e diffusamente discorso della bellezza e del- la espressione de' volti delle figure rappresentate nell'egregio dipinto; risponderò, che ragionare di ta- li cose è conveniente materia anche al semplice in- gegno naturale. 231 VARIETÀ' Opere di Giovanni Rosini. Volume terzo. Elogi. - 8. Pisa pres- so Niccolò Caparro 1837. (Sono carte igS). VJuesto terzo volume delle opere di un uomo meritamente chia- rissimo nella italiana letteratura non ha d' inedito che una bel- lissima biografia del cavaliere Giuliano FruUani ; imperocché già si conoscevano gli elogi, che sono in esso pubblicati di nuo- vo, del Vacca, della Pelli Fabbroni e del Pindemonte. Bellissi- ma noi dicemmo quella biografia : e tal è al nostro senno : e tal forse sarà a quello di quanti aniano veder lodata con ele- gante dignità la virtù e la sapienza. Soprattutto poi ci è piaciu- to quel passo, dove avvertesi che lord Byron alcun tempo pri- ma della sua morte erasi già ricreduto delle sue antiche opinio- ni. Il che potrà essere di conforto a coloro, che fermi alFeterna ragione del bello, non lasciaronsi strascinare alla fama del poe- ta britanno, che subito empi tutta Europa: e di esempio a que- gli altri, che poveri d'intelletto abbandonano malamente la cer- ta via de'classici per seguire anche nelle lettere la moda degli stranieri. Sia qui prezzo dell' opera recare la nota VII , che il pi'of Rosini ha posta al suo nobile scritto. Eccola. „ Io lo seppi di certa scienza dall'egregio Aglietti (manca- ,, to di poco alla gloria italiana), che lo aveva udito dalla boc- ,, ca stessa del poeta. E la cosa è si vera, ch'egli medesimo l'an- ,, no appresso cosi ne scrisse a Murray nella lettera 298 , che 232 Varietà' „ trovasi nelle memorie pubblicate da Moore. - Più ci penso , „ e più mi persuado ch'esso (Moore ) e noi tutti quanti siamo , „ Scott, Soutej, Wordworth, Campell ed io siamo tutti ugual- ,, mente in una falsa strada: e che tutti seguitiamo un sistema ,, erroneo di rivoluzione poetica, che nulla vale. — E dopo que- „ sta ultronea e libera confessione , ne dice i motivi derivanti „ dall'esperienza, proseguendo nella lettera stessa: - Quello che ,, me lo ha conformato è il saggio che ne ho folto, percorrendo „ alcuno de'nostri classici. Pope principalmente. Ed ecco come. ,, Ho preso i poemi di Moore , i miei , alcuni altri , e gli ho ri- ,, letti in confoonto di quelli di Pope: e son rimaso realmente ,, sbalordito (e più che non avrei dovuto) e mortificato soprat- „ tutto dell'immensa distanza che in folto di sentimento , di sa' „ pere, di effetto, ed anco di fontasia , di passione e d'invenzio- j, ne, passa foa l'omaccino della regina Anna (cosi cbiama Po- „ pe ) e noi altri del basso impero. Credetelo bene : tutto era „ Orazio allora: tutto è Claudiano oggidì: e se dovessi ricomin- „ dar la carriera, ni' impronterei sopra un'altra stampa. — ,, A questa soleune abiura del gran poeta britanno ha fatto „ eco da poche settimane in qua il gran prosatore fi-ancese nel ,, suo saggio sull'inglese letteratura. - Questo amore (egli scri- „ ve) del difforme che ci ha presi, quest'orrore per l' ideale , „ questa passione pe' mostri, per le forme triviali e comuni, so- ,, no una depravazione dello spirito. Addietro dunque questa „ scuola animalizzata e materializzata che ( nell'effigie delV og- „ getto ) ci conduce a preferire la nostra faccia improntata con j, tutti i suoi difotti in una forma, alla somiglianza prodotta dal ., pennello di Raffaello. - Molti altri luoghi di quell' opera del „ signor Chateaubriant trovansi citati nel giornale dei Debats ,, 28 di ottobre i836, e meritano di essere osservati „, S. B. Varietà' 233 yHe (V uomini illustri di Roma e suoi dintorni, scritte da Fer- dinando Ranalli, e pubblicate con ritratti incisi in rame per cura di D, Gentilucci e C. — Roma. Xl oi auguriamo assai bene di un'opera, la quale ci si promette da un giovane ornai fattosi chiaro per gentile scrivere, com'è il sig- Ferdinando Ranalli. Ella tornerà certo carissima a quanti onorano la gloria italiana ; e soprattutto a Roma, lascia grande città di Europa die non abbia una particolare biografia de" suoi uomini illustri. E chi non vorrà vedere con diletto ed ossequio le immagini, non leggere con piacere le vite de' Colonna, degli Orsini, de'PIppI, de' Pallavicini , de' Segneri , de'Lancisi , de' Zacchia , de'VanvItelli, de' Metastasi, de' Visconti, e di tanti altri lumi della rinnovata civiltà d'Europa ? Imperocché il Ra- nalli intende solo scrivere de'romani, che fioriti sono dopo il se- colo XIII. Siamo stati pregati dal sig. prof. Francesco Cardinali di far noto al pubblico, ch'egli sta preparando per la stampa un'im- portante dissertazione matematica, nella quale verrà dimostrato; I. che in un'equazione qualunque algebraica mancante del se- condo termine , si può sempre generalmente fare sparire il ter- zo o il quarto termine , senza che il secondo ricomparisca ; 2. che la risoluzione delle equazioni algebraiche del sesto, settimo, ottavo, nono e decimo grado, dipende dalla soluzione di un'equa- zione di quinto grado; 3. che le pretese dimostrazioni del Rufini e dell'Allei, risguardanti l'impossibilità della risoluzione delle equazioni algebraiche di quinto grado, sono erronee. 234 Varietà' Orazione pel giorno onomastico di S. M. il re Carlo Alberto, 8. Torino, tipografia Chirio e Mina i836. ( Sono carte 58). Jjjgregio esempio di lodare un gran principe ha dato il signor cav. Pier Alessandro Paravia in questR sua orazione, in cui di~ partendosi dalle forme panegiriche, alle quali sono ornai stanchi gli uomini di porger le orecchie desiderose di udir verità e non iperboli, si è attenuto assai saviamente alle {storiche. Non pote- va quindi il re Carlo Alberto trovare chi meglio prendesse a di- scorrere le sue lodi : perciocché non per l'ingegno e per l'elo- quenza deiroratore ( benché ambedue sieno grandi e conosciute in Italia ) , ma per le proprie insigni opere è egli fatto , qual'è, a' suoi popoli venerando. Qui non ciance adulatrici e vili , ma trovi miglioramenti di cosa pubblica , ordinamenti di codici , inslituzioni di consigli di stato, protezioni di scienze e di arti , sollecitudini di rendere meno acerbe le comuni sciagure, carità, cortesia, giustizia, e quante altre virtù danno maestà vera ad un pastore di popoli, e il rendono oggetto dell' ossequio , della gratitudine, delle benedizioni de'sudditi. S. Betti. Varietà' 235 3lI museo Ch{aramonti aggiunto al Pio dementino , con la di' chiarazione di Antonio Nibhy professore di archeologia nell' università romana, pubblicato sotto gli auspiciidel regnante som- mo pontefice Gregorio Xyi, con infine le incisioni e le illustra- zioni di due statue di bronzo recentemente acquistate dalla so- vrana munificenza. Fol. mass. Roma nella calcografia della R. C, Apostolica 1837. ( Sono carte ii6, con 83 tavole la rame, oltre al ritratto di Sua Santità). Di questa opera, che ugualmente onora e la splendida prote- zione che concede alle arti e alle antichità N. S. Gregorio XVI, e la dottrina del oh. signor prof. Nibby , parleremo in uno de' venturi volumi del nostro giornale. AD ANTONILLUM NEPOTEM EX FRATRE de amanda domo. JLntonille, decor puerorum, lausque parentum, Callens historias, scn'ptumque ferentibus orbem Linteolis tenui loca quaelibet ungue notare; Discessa mihi nempe pater tuus et tua mater Moestitiam intulerunt, sed tu me (namque fatebor) Fiere facis, metuentem abducto oblivia dulcis Innasci patriae, rerumque a stirpe tuarum. lamque piacere minus devexi post iuga lurae Optavique lacum, et doctae depressa Genevae Moenia, et ambiguas Rhodani revolubilis undas. Die age, care nepos; memorem servabis amorem 236 Varietà' Italiae et patriae, quas nunc post terga relinquis ! Servabis patrui ? sed avum, pusille, domumque Corde geris, quam corde g'erit te quisque tuorum ? Si quem isthuc videas blanditum forte puello; Sic, dices, mihi fecit avus, sic fecerit olirà. Si vides campos cum messibus : Et mihi campi Suat, dices, cum messe mea, sunt gramina, sunt et Pascentes pecudes. Si magno culmine montes, Fagus ubi atque abies vigeant et plurima quercus , Porrecta quondam te maiestate tenebuat; Tunc vivides subeant coUes, tutique recessus Felsinei, et sparsos tuba quae concivit amicos. Sed tu, si pacem rerum, fundataque iura Pectoribus cernes, quid macte reponere possis ? Credo ego lacrimulas : annos aetatis iniquae Culpando graviter; diris praeeuntibus astris Mutatas sortes doctrinae -• nulla minorum Frena.- luem misere extantem teiTaque marique: Bai-bigeros vappas, atque omni ex ordine vulgus. Alois. Chrysostomus Ferrcccios Varietà' 237 Prose scelte del padre Daniello Bartoli, tratte dalle opere minori del medesimo, ad uso della studiosa gioventù. Volume primo. Pesaro dalla tipografia Nobili iSSj in 12. (Sono carte -ìZ-j. ) Impera sommainente utile alla gioventù studiosa imprende a fare il eh. professorMontanari pubblicando questa scelta di pro- se di uno scrittore che nel nostro volgare fu potentissimo. Impe- rocché io non so chi altri possa non dico vincere Daniello Bar- toli, ma stargli a petto per la varietà, l'efficacia, 1' abbondanza, la leggiadria, la novità. E bene un giorno dicevami il celebre padre Cesari , com'egli stimava avere avuto l'Italia un solo uo- mo, che con ogni proprietà d'italiani vocaboli avrebbe potuto volgarizzarci l'enciclopedia ; e questo essere il Bartoli. Non è tuttavia che le opere di si gran prosatore possano eoa pienissima sicurtà darsi a' giovani come esempio di scrivere perfetto. Perciocché è fuor di dubbio che anch' egli , special- mente negli scritti minori j lasciò talvolta strascinarsi al suo se- colo, che fu quello della corruzione dello stile ; e eh' ebbe alle mani, benché con signoria da maestro , certi modi così squi- siti ed audaci , che ben piacciono là dove il suo giudizio ed il suo buon gusto li collocò, ma trasportati altrove sarebbero non pure strani ma forse non tollerabili. Egli ha spesso del miche- langiolesco.- maniera grande, risoluta, fiera, terribile, ora da in- cendere,ora da sbalordire, sempre da maravigliare. Guai però a chi gli si accosta nisi plenuslitteris: anzi senz'avere quello stupendo vigore di animo, e quel modo gagliardissimo di sentire ! Il prof. Montanari con fina critica ragionando di queste cose nel proemio del libretto, che godo di annunciare, ha dato opera con grande sagacìtà che si abbiano per lui trascelti i più sicuri e splendidi luoghi degli scritti morali del Bartoli, perchè i novelli delle nostre lettere , com'egli dice giudiziosamente , non si git- tino senza riguardo a leggere alla rinfusa ne' libri di questo grande autore e maestro di gentil favellare. S. Betti. 238 Varietà' Corpus iuris cìvilis in quo Justiniani institutiones, digestae sive pandectae, codex, autenticae , seu novellae constitutiones et edicta , nec non Leonis et aliorum imperatorum novellae con- stitutiones, canones sanctorum et apostolorum , ac feudorum libri comprehenduntur , denique leges similes , seque in\>icein illuslrantes, contrariae, abrogatae , breviter notis indicantur. Praemissa est hìstoria chronologica iuris cìvilis romani. Edilio novissima juxta parisiensem an. i85o. Prima versio italica, stu- dio et opera F. Foramiti veneti iurisconsulti. Voi. I. Venetiis tipis losephi Antonelli ed. aureo donati numismate, i856. 1} u fatto quesito, anni sono, ad una illustre accademia ; Qual fosse 11 libro più inutile stampato da qualche tempo? Fu rispo- sto; Le Pandette tradotte in francese dal Pothier e poi volgariz- zate. Questa risposta ci pare adatta al caso nostro, e convenien- te all'opera di che parliamo. Savissimameute poi giudichiamo che rispondesse l'illustre accademia, poiché ninna cosa è più vana che tradurre un libro, il quale fuor della lingua sua propria , che è la latina, non è più quello, « non vale lo studio de'legisti. Infatti le leggi sono così gelose, direi quasi, delle parole in che sono esposte, che il rimutarle o portarle in altra lingua, è o al- terarle o guastarle. Oltre di che, mi si dica: A che piò si tradu- cono certi libri? Dirassi; Ad uso de' legisti. Ma qual legista è si magro, che non sappia di latino tanto che basti a leggere nel corpo del diritto ? E se vi ha chi abbia titolo di legista senza avere cognizione della lingua latina , sarà certo la peggior be- stia del mondo, a cui non varrà leggere né studiare le leggi in qual che tu voglia lingua: sarà un chiacchierone , un cantim- banco, un raggiratore, poiché non é possibile trovare chi volen- do professare le leggi, neghi prima studiare quella lingua , che è tutta lor propria, anzi ne è porta e chiave. Dirassi fatto a be- ne de'giovani ? Peggio: egli è non un far bene, ma un mettere pigrizia in chi deve affaticarci egli è un cr«scere il numero de' pseudo-legisti; è un togliere dalla mente de'giovani la più giusta cognizione delle leggi, onde si forma quel retto criterio , senza il quale è invano avere svolto molti libri, ed avere copia d' e- Varietà' 239 rudizione legale. Dirassi fatto perchè, chi voglia, possa nelle leg- gi vedere da se ? Pazzia, stoltezza ! A vedere nelle leggi e sen- tirne bene , non basta intendere le parole in che sono tradotte ; si conviene abbracciarne lo spirito, internarsi nei fini che si pro- pose il legislatore, filosofarvi sopra; e però il presentar gl'indot- ti d'un volgarizzamento del corpo delle leggi , sarà un fare de' prosuntuosi, che è razza peggiore di quella degli ignoranti, e dar principio e fondamento a nuovi errori nelle teste volgari, di che poi può nascere una moltitudine di mali non lievi, A niuno adun- que giova un volgarizzamento del corpo delle leggi, percliè i le- gisti sanno o debbono sapere bene di latino, e gli altri non pos- sono per molte cagioni avvantaggiarne. Può adunque a buon dritto tenersi vana, per non dire nocevole opera, il tradurre il corpo delle leggi. Ma dato pur che sia utile, il riuscirvi sarà dif- ficilissimo / perchè una lingua non risponde si bene all'altra da renderne il senso a rigor di termine , come occorre nelle leggi. Che a ciò poi sia riuscito il traduttore veneto nell' edizione ci- tala , sei veda chi potrà gittar tempo ad esaminare una tradu- zione del Corpo delle leggi. Io vi ho appena qua e colà appun- tato l'occhio, che ho veduto non sempre bene rispondere al te- sto latino la traduzione italiana; lustitia est constans et perpetua voluntas ius suuin cuir/ue tribuendi. La giustizia è la costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno ciò che per diritto gli appartiene . Oserei dire che nella traduzione non solo non si rende il testo, ma si guasta e si fa erroneo. Il testo dice: La giu- stizia è una costante e perpetua volontà di dare a ciascuno il suo diritto •• Ora l'attribuire in italiano ( preso in senso di dare, come domanda il testo ) risponde egli al tribuendi ? E che vo- glia usarsi dare , il mostra lo stesso volgarizzatore veneto , che traduce più appresso yw^ suum cuique tribuere , dare a ciascuno il suo. Chiederò poi se possa equivalere al jus suum cuique tri- buere, l'attribuire a ciascuno ciò che per diritto gli appartiene. Poiché, se non erro, altro è darmi il mio diritto, altro darmi ciò che mi vien per diritto. Saranno sottigliezze, se cos'i piace ad alcuno; ma noi risponderemo, non vi essere sottigliezza che scu- si si fatte inesattezze in un Corpo di leggi, Ius auteni cidle vel gentium ita dividitur. Oinnes populi,qui legibus et moribus regun- 240 Varietà' tur, partlm suo proprio, partim communi omnium iure utuntur ctc. Il diritto civile poi si distingue dal diritto delle genti in ciòcche tutti i popoli, che hanno leggi e costumi, si servono in parte del diritto ad essi proprio, in parte del diritto comune a tutti gli uo- mini. Io non perderò tempo a dimostrare rinesattissima traduzio- ne che è questa, perchè ognuno di leggieri può da se vederne gli sconci. Ben ho io ammirato una cosa che mi ha mosso a ri- dere, ed è questa: che mentre il veneto giureconsulto teme che la lingua latina non faccia intoppo ai progressi dei moderni le- gulei (non parlo de' venerandi giureconsulti che onorano se, la nazione loro, e la scienza delle leggi, huon numero de' quali la Dio mercè fiorisce anche fra noi, e va commiserando e ridendo il nuovo modo con cui si vuol facilitare 1' immenso studio del- le leggi), lascia poi in pretto greco ciò chealuogp a luogo vi ha di greco nel testo , come se chi non sa di latino debha poi sa- per di greco. Haec sunt magna nostrorum deliramehla doctorum! Dopo questo, come per sopradote, vi ha buon numero di errori si nel lesto e si nella tradutione; ed eccone alcuni che ci è av venuto di scorgere ed annotare, leggendo cosi alla grossa. PUNTATA VII. (si è oramesso di osservare le antecedenti ) I. Ordo in hoc opere servando - per servandus. Col. SSt, in arg. legis 2. PUNTATI Vili. 1. Senatoria filius est et his-^cris. Col. 585. L. 6. 2. Nani custode» furiosis non ad hoc solum adhibentur nequid perniciosus ipsi - per perniciosius. Col. 621. L. 14. 3. Nam et honorum possessionem dare potest - per honorum. Col. 633. L. I. 4 Nequis sibi vel 5m/jus dicat-per suis. Col. 637. in arg.L. i6. 5. Sed et mutue sunt acliones - per Sed et si mutuae, secondo le pandette fiorentine, ovvero - Quod si mutuae, secondo le comuni. Col. Gjy. L. ii. §. i. Varietà' 241 6. Judicari ivibere eo die quo - ]^er judieare iubere. Col. 639. L. i3. J. I. PUNTATA IX. 1. Quibus casibus jusdicenti /jarer» non cogitur - per parere. Col. 643. L 26. 2. Hoc edictio • per edicto. Col. 645. L. i. 3. Sed duci eam yeXfori passus e%\ - per ferri. Col. 647- L- *• $. I. in iìn. 4- Tamen, ut Severus d'icehat- pernec tamen. Col.65i.L.4.$.3. 5. Sed si hac legi emi - per hac lega. Col. 653. L. io. 6. Sub ilio quidam, qui vendidit consequitur- manca liberta' tem. Col. 653. L. io. $. i. "]. Utrum de domo suo -per sua. Col. 659. in arg. L. 18. 8. Si fidejussoribus ab arbitro -per 7?e fldejussoribus.Col.677. in arg. L. 9. 9. Vel alio simili casu ratione perdidisse probet - per raliones. Col. 75 5. L. 6. §. 9. 10, Eum dolo malo non exhibet-per cum dolo malo. Col.7i5.L.8. PUNTATA X. 1. See etiam tacite consensus convenire intelligìtur - per con- sensu. Col. 721. L. 2. 2. Si ob maleficium neflat ^ro5JjmMm-per /jrowiwjwm. C0I.725. L. 7. §. 3. 3. Pactorum quaedam in rem sunt, quaedam in persona - per personam. Col. 729. L. 7. §. 8. 4- De pacto tutori — per tutoris. Col. 735. in arg. L. i5. 5. Se si domanda la dote dal coerende del figlio -per al coere- de. Col. ^52. L. 33. 6 quibus divisse raatcrnara haereditatem - per rfiViiwe. Col. 751. L. 35. 7. E si può per pentimento rivocare - per Né si può. Col. 758. L. 46. G.A.T.LXXI. 16 242 Varietà* 8. Ncque ipse, (ilii ejus - manca neque. Col.ySg.L.'^^.J.i.infin. g.S'\a inefficace ai produrre un'azione-per e/5?cace.Col. 760.L.48. IO- Quid infuturum usuras a debitore acceperat - per Qui. Col. 765. L. 57. 11. Imperator Antonius - per Antoninus. Col 767. L. 60, 12. Ne qiiibus pacisci non licet - per De quibus. Ibid. in arg. L. 61. i3. Imperator Antonius et Verns-per Antoninus. Col. 769. L. 3. Dopo queste cose noi preghiamo il nobilissimo tipografo An- tonelli a voler meritare una nuova medaglia d' oro, non diremo già rendendo un pò più corretta la presente edizione (giacché in tali libri non si possono ammettere errori benché menojuissimi ) ina ristampando il corpo delle leggi co' migliori annotatori, glos- satori etc, e con tutto quel corredo che dà vero lume alle leggi ed ai legisti, vera utilità allo studio della giurisprudenza, ed al* la gioventù ch< a quello si consacra. P. T. ì NIHIL OBSTAT E. Jacoplni Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr. Dora. Buttaoni O- P S. P. A Maj IMPRIMATUR A. Pialli Archiep. Trapez. Vicesg. 'a u o '6 x6 17 i8 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 3o Ore 1 Baiomet. Term. Term mas. 0 12 Dmetro min. Igrom. Vento SO fmo. s „ SO.,, Pioggia ETapor. Stato del Cielo mat. gì- ser. 37/30. 6 K.4 » 7 0 „ 8 a 12 8 a 10 7 7 5 3° 27 9 3 li- 75 1 40 0 75 0 57 11. 4 8 cop. pio. assai ser. nuv. sp. nu-voloso mal. Si- ser. » 7 7 „ 8 7 » 9 3 IO 12 »7 55 i5 S. m. 3 2 mai. gi- ser. I» j. 4 „ IO 3 ., ,. 5 n ,, 1 „ 10 8 » Il 6 6 5 11 8 4 35 i3 3 38 7 SSE. „ N. d. 0 0 0 65 I 3 „ sole tralac. „ pallido nuTolosis. tutto mat. gi- ser. 5 5 i3 Q i3 f» 4 5 0. m. 0 0 • chiarissimo ser. vap. nu. ap. nuvoloso mat. gi- ser. « » 7 oR 0 2 0 5 12 9 6 7 8 6 7 5 a 12 5 3 30 4 3 33 4 SO. m. SE. d. pie. pio. 3 3 2 2 4 ser. nuT. sp. nuvolosis. pio. chiaro ali. nuv. mat. gi- ser. ., » 7 ., » 9 „ 1 2 8 12 9 " 0 G SO. m. S. d. •sereno nuv. gp. nuvol. sole trai, chia. nuy. oriz. nuT. sole trai, rhia. oriz. nuv. mat. gi- ser. mat. gi- ser. mal ■ gi- ser. ,,09 „ „ 6 ,. » 4 8 i3 9 5 »4 0 0 SO. f. 0 0 pie. pio. 1 i5 27 11 8 „ ■>, 0 ,, 10 8 6 5 i3 5 7 5 8 i3 9 5 5 i3 9 6 i5 II 2 33 0 .1 » S.f. 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Tomo secondo. 36 Cappello, Restaurazione de'bagni di Ti- voli. 48 Bilancio e rapporto della cassa romana di risparmio* 85 LETTERATURA Cardinali, Prospetto de'lavori epigi*afici italiani posteriori al i83o. ii5 Guadagni, In obitu Henrici de Andrea allocutio 148 Vaccolini , Traduzione di 34 favole eso- piane, appendice all' edizione torinese delle favole di Fedro 168 — 1 — Osservazioni sul bello. Art. X. 190 BELLE ARTI. D'Azeglio, Reale galleria di Torino, 202 Atti della pontificia accademia delle bel- le arti di Bologna. 212 Ioni; , Di un antico dipinto die trovasi in Norcia. . 218 Varietà. Tavole metereologiche. \W^ w GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 175. ROMA HBLLA STAMPEBU DELLB BEttE ARTI 1837, 249 SCIENZE Continuazione della rivista di alcuni lavori di me- dico argomento pubblicati dasigg. proff. Medici, Ferrarese, Paolini, Borelii, Valentini. (vecl.pag.3). Critiche riflessioni alle „ Memorie risguardanti la ,, dottrina frenologica ed altre scienze che con „ essa ìianno stretto rapporto, di Luigi Ferra- ,, rese ec ec. socio ec. ec. Napoli 1836. ,, Fase. I - fase. II - fase. III. N. ella prima delle enunciate memorie trattasi spe- cialmente ,, Della innocenza della dottrina frenolo- „ gica in ordine alla morale ed alia religione , non „ che della influenza ch'esercita la dottrina freno- „ logica sul perfezionamento e progresso delle co- „ gnizioni umane. ,, Consiste la seconda memoria neir ,, Esame di alcuni principi! fondamentali della ,, dottrina organologica del celebre Gali , con os- „ servazioni e modifiche interessanti del dott. Luigi ,, Ferrarese. „ Dopo due dialoghi fra un vecchio magistrato ed un medico giovane intorno ad alcune questioni di psicologia medico-forense, abbiamo nel fascicolo secondo una „ Memoria di un caso di nin- „ fomania assai singolare e della guarigione otte- „ nutane con un metodo di cura tutto nuovo. „ Al- tri due dialoghi leggonsi nel fascicolo terzo fra lo G. A. T. LXXI. 1 250 S e I E N Z K spirito e il corpo, i quali chiudonsi con una „ Breve „ nota sul modo di conciliare e porre in accordo „ le verità degli organologisti con quelle de' tra- „ scendentalisti puri. ,, Conseguita indi una memo- ria, nella quale si tiene ragionamento ,, della fi- „ siologia dell'amore o istinto per la propagazione „ (amativité) : della patologia dell'amore pel sesso „ diverso : della passione dell'amore del sesso di- „ verso considerata correlativamente alla morale li- „ Lertk sotto il rapporto medico-legale. ,, Abbiamo fedelmente esposto nel nostro Gior- nale Arcadico (secondo trimestre 1836) ed in vari altri fascicoli degli Annali Universali di medicina del eh. prof. Omodei di Milano un sunto dei la- vori medici dell'egregio prof. Ferrarese di Napoli. Abbiamo ivi ammirato la vasta erudizione, il fino criterio e la somma chiarezza dello stile del N. A., e tributammo elogio allo zelo indefesso di lui nel!' occuparsi sull'argomento. Altrettanto pur ora inten- diamo di confermare intorno al pregio delle qui sopra annunziate memorie. Ci dispensiamo presen- tare di queste un accurato compendio, sì perchè tessute essendo le medesime co' principii freno- logici già negli altri lavori del medesimo esposti, non sono che una successiva ripetizione, dilucida- zione ed applicazione di essi ; s\ ancora perchè da quel poco che saremo per dirne ci lusinghiamo che rimanerne possano i nostri lettori bastevolmente istrutti. Le modificazioni che il sig. Ferrarese nella se- conda memoria del primo fascicolo ha portato nei fondamentali principii della dottrina organologica di Gali risguardano, pria di ogni altro, la necessita di uscire dal perimetro dell'encefalo per conoscere Rivista medica. 251 l'esercizio e lo sviluppamento delle facoltà aflfetti- ve e delle intellettuali. Da che infinite sono le in- fluenze e le relazioni degli altri organi, visceri e centri nervosi delle parti interne del nostro cor- po, anche le piìi lontane. La dottrina frenologica, ricca delle cognizioni risultanti dalle belle scoper- te intorno agli organi cerebrali, viene meglio ri- schiarata dalla contemplazione delle influenze che vi spiegano i differenti stati e condizioni dell'ap- parecchio nervoso ed in particolar modo del gan- glionare, non che di quelle degli organi e visceri che sono sotto la dipendenza degli apparecchi sud- detti. - Ad estendere ed accrescere le disposizioni per le facoltà affettive intellettuali e morali vi ag- giugne il concorso di altre condizioni, come volu- me degli organi, consistenza, conformazione, tutte le varietà di struttura, ma specialmente il numero delle circonvoluzioni e l'ampiezza delle loro super- ficie. Nella facoltà specifica inerente a ciascun or- gano cerebrale vari particolari caratteri vi ricono- sce il N. A. , per cui off'ronsi difierenze , gradazio- ni in ciascun individuo. Cosi , a mò di esempio , la ferocia fu trista e fredda in Tiberio, fu arden- te in Caligola, fu imbecille in Claudio, fu sfrenata e senza rossore in Nerone , fu del tutto ipocrita in Domiziano. - Gali non ammette nell'encefalo ve- runa parte centrale che sotto il suo dominio le al- tre ritenga ; ma il sig. Ferrarese dissentendone os- serva, che il predominio di attività di un organo cerebrale, e quindi della facoltà di esso per uno sviluppo maggiore o per sensazioni di altri organi e visceri o centri nervosi anche lontani, può deci- dere del carattere dell'intiero andamento e proce- dere di tutto il sistema intellettuale. Osserva altre- 252 Scienze SI, che se al predominio delle sensazioni si aggiun-» ga una certa tenacità da non poter cosi volentieri essere ecclìssate o cancellate , e quelle degli altri invece oscura ed attutisce, si rimarcherà nel sogget- to un carattere ostinato; e se troppo oltre si giun- ge, una follia monomaniaca vedrassi comparire in iscena. Nella osservazione di ninfomania, riferita nella memoria registrata nel secondo fascicolo, noteremo colle stesse parole del N. A. , che ,, la novità ed „ il pregio consiste massimamente nell' offrire in „ questa terribile malattia dei sintomi decisivi ed „ evidenti di una condizione patologica primaria e „ quasi che tutta esclusiva nel cervelletto^ in op- „ posizione a quanto dai principali monografi in ,, tutt' i tempi si è preteso, cioè che la detta con- „ dizione sia sempre riposta negli organi genitali: ,, consiste ancora , per conseguenza, nell'aver gua- „ rito l'inferma con gli agenti diretti particolar- ,, mente in quell'organo, senz' aver avuto bisogno „ di adoperare dei rimetti creduti specifici sugli ,, organi genitali. ,, - Ridondante di cognizioni e d'interessanti vedute è pur la memoria nel terzo fascicolo inserta, e sugli stessi frenologi principii basata. Rìsguarda ivi il sig. Ferrarese il cervellet- to come r eccitatore di tutti gli atti , di tutte le propensioni, degl'istinti, dei sentimenti, e della me- desima passione dell'amore pel sesso diverso: e nel cervelletto ripone perciò la condizione patologica dei morbi erotici, sviluppandone con chiarezza le relative idee patogenichc. ,, E dimostrato, egli di- „ ce, da numerose osservazioni patologiche con ca- „ daveriche autopsie , che uno sviluppo eccessivo „ del cervelietto dà un' opportunità allo sviluppo Rivista medica 253 „ delle erotiche aifezionì, alla satinasi, alla ninfo- „ manìa, ec. „ Col cenno esibito delle precìpue nozioni com- prese nella seconda, terza, e quarta memoria dell' ili. prof. Ferrarese , non intendiamo aver oblia- to menzione della prima. Clic anzi, avendo in es- sa il N. A. appalesato un vivo interesse per di- chiarare e sostenere la innocenza della dottrina fre- nologica in ordine alla morale ed alla religiotie , avvertiamo esserci impegnati in una più profonda contemplazione delle difese da lui promosse contro le obiezioni accampate di materialismo, dì distru- zione della libertà morale^ di fatalismo^ di ateismo. E siccome nella corta nostra veduta di una spanna non ci riuscì rinvenire le sue difese ben valide ; così del nerbo delle opposizioni e di alcuni dub- bi insortici nell' animo tenemmo più fiate fermo colloquio con qualche valente teologo, onde tentare di veder con miglior luce in sì asti-uso subjetto. Molto e grave alimento essendosi da questi aggiun- to alle nostre dubbi etk ed alle nostre deboli co- gnizioni, ci confortammo in riprodurre forse e rin- novellare obiezioni che destituite non crediamo di peso, ne a menomare incapaci nel senso del N. A. l'assoluto valore della scienza frenologica. Nutriamo ferma lusinga di dar con ciò al eh. sig. prof Fer- rarese una ulteriore testimonianza di quella moltis- sima estimazione e rispettosa amicizia, da cui sia- mo verso lui penetrati. Metterci, è vero, non pos- siamo nel rango di quegli scrutatori profondi che il N. A. desidera nella introduzione alla sua prima memoria. Ma ci auguriamo almeno , che con più chiare dilucidazioni ed illustrazioni dell'argomento CI sia fatto palese l'erramento nostro , e convinti 254 Scienze pur ne sieno i depositari della fede, che timidi già scorgemmo altra fiata in piegarsi a favore della no- vella dottrina, non sofFerendo vederla ascendere i gradini del santuario, e sollevare il velo che con provvida sapienza del Creatore gli adorabili miste- ri asconde di nostra santissima religione. Del divinatorio sistema craniologico proposta dal Gali diedero già gTitaliani fin dai remoti tem- pi qualche chiaro indizio. Scrisse il Ghirardelli nel 1 643 la sua Cefalogia fìsionomica^ siccome riferisce Adelon nel dizionario classico di medicina ec; ne scrisse Lodovico Dolce fin dalla metà del secolo XVI, siccome dopo di Hock si accenna dall'Andres. I principali procedimenti craniometrici però do- po lo Splgello immaginati ed usati fino a Gali on- de pregiudicare dell' intelletto degli animali , co- me l'angolo facciale di Camper, l'angolo occipitale di Daubenton, il parallelo delle aree della faccia e del cranio di Cuvier, ed i metodi di Oken e di Spix, non presentavano l'odierna precisione della cranioscopia; e ben interessanti sono le conoscenze che oggidì possediamo sull'argomento frenologico. Ed infatti alle moltiplici nozioni, delle quali è ben ricca la notomia, han saputo i fisiologi aggiugnere spiegazioni ben chiare, ed i patologi le piìi rile- vanti dilucidazioni, valendosi dell'applicazione delle craniologiche dottrine per la contemplazione istes- sa dei fatti. Ne può negarsi che il sig. Ferrarese una grande luce abbia sparso su questo corpo di dottrina e colla scelta erudizione di cui è ornato e col fino criterio di cui è fornito. Mancati non so- no gagliardi oppositori a questo ramo scientifico , e fra essi debbono con onorata ricordanza nomi- narsi il Welther , l'Hufeland , l'Ackermann ed al- Rivista medica. 255 tri fisiologi ed anatomici che in varie parti lo at- taccarono. La difesa pur ne assunsero altri moltis- simi ; in onta di ciò per altro non sembra aver la frenologia toccato quell'apice di perfezione, che per il convincimento univoco e generale si desidera. Dubbi non moveremo sulla realtk e sul valore de- gli organi cerebrali, sulla minuziosa loro divisione più teorica che palese ed evidente ai sensi, sulla facoltà degli organi stessi se per parte de'piìi in- terni e sottostanti agli altri più atta ad imprime- re forme proprie sul cranio : dubbi neppur mo- veremo sullo stato morboso dei medesimi orarani se capaci di essere ecclissati costantemente da quel- li delle facoltà opposte. Circoscrivere intendiamo bensì i rozzi nostri accenti entro i limiti della in- dagine risguardante l'armonia della dottrina freno- logica colla morale e colla religione ; cosicché di- chiarare osiamo, che sia colle difese dall'egregio sig. Ferrarese inserte nella enunciata prima memoria, sia co' dialoghi successivamente annessi , non ci sembrano risolute le obiezioni promosse a carico della frenologica dottrina. Potrk dunque concedersi nel senso medico la esistenza di questi organi ce- rebrali e delle facoltà loro inerenti? Altri il deci- dano; e statuiscano altresì se da questa concessione discender si debba a riconoscere e quelli e queste soggette a cambiamento nel vario corso dell' età , nello stato sano dell'uomo, ed in quelle di perver- timento di salute. Ma ove partasi da questa pro- babilità per giugnere ad ammettere la necessaria dipendenza di una facoltà da quella parte cerebra- le, che vuoisi per organo ad essa proprio destinare, cosicché o esista o manchi quella parte nell'uomo, secondo che questi abbia o non abbia nella sua psi- 256 Scienze cologia la facoltà che n'era l'effetto, potrà fino ad un certo punto ritenersi per vero e per fermo un tale asserto; ma non potrà in pari tempo negarsi che discorde esso sia dai sani ricevuti principii della morale, del libero arbitrio, e dei dogmi pure della religion rivelata. Egli è ben vero, che V Eterno destinò l'uomo a vivere in società. Doveva l'uomo in conseguenza esser dotato di sentimenti interni richiesti dalla vi- ta sociale: come, a mò di esempio, della pietà^ che ne fa soccorrere i nostri simili ; della nozione del giusto e dell'ingiusto^ che costituisce una garanzia per ciascuno; àeWistinto religioso., che ne affeziona a Dio e forma per noi l'annunzio della immorta- lità cui siamo destinati. Ma se la energia delle fa- coltà è in ragione diretta della grandezza degli or- gani; se dell'attività maggiore delle facoltà rispon- de la buona struttura organica o il favor del tem- peramento ; se l'esercizio di quelle e la educazione non possono in un dato individuo spingere l'ener- gia delle facoltà oltre i limiti assegnati dal volu- me degli organi: ne segue, non doversi escludere che debba essere condannato ad un letargo intel- lettuale e morale chiunque abbia per una primi- genia conformazione lo svantaggio di possedere pic- coli gli organi delle facoltà intellettuali, e non sia stato in pari tempo favorito del miglior tempera- mento. Lo stesso sig. Palazzini, uno dei sagaci illu- stratori della dottrina frenologica, non isdegnò con- fessare, che non è dessa del tutto esente da dubbi, debolezze, difficoltà (Dizìon. class, ec. articolo Fisio- gnomonia). Aggiunse questo valente scrittore, incon- trarsi di leggieri nel pratico esercizio della cranio- scopia degl'inciampi in grazia ancora di quelle a- Rivista medica 257 Lerrazionl cui spesso soggiace l'organismo animale, ossìa in grazia di quelle incalcolabili ma pur pos- sibili mutazioni a cui va incontro ogni fisica legge, e della influenza di cui non si denno credere esen- ti le leggi della dottrina frenologica, le quali nep- pure dagli stessi suoi creatori sostengonsi affatto in- variabili. Or fra tali aberrazioni da queste leggi non immutabili può altresì noverarsi quel vizio di primigenia conformazione, di cui era poc'anzi di- scorso, e che può benissimo dar luogo a quella di- sarmonia che il sig. Ferrarese vorrebbe escludere dalla dottrina frenologica colla morale e colla re- ligione. Negli esseri infatti , nei quali abbiasi un fievole primigenio sviluppo degli organi delle fa- colta intellettuali , le più possenti manifestazioni dello spirito non saranno già i sentimenti morali e la intelligenza, ma s\ bene le affettive comuni, le passioni animali. Di tale asserto è garante il giu- dizio del prof. Broussais, il quale nel suo corso di frenologia riferisce che presso gli ottentoti gli or- gani degl'istinti dominano quelli dei sentimenti e della intelligenza. Ne bastevole ritener possiamo quella superficial protestazione, con cui vuoisi di- chiarar ch'esista „ la parte nobile e sublime del „ pensiero, quella che viene caratterizzata con fe- ,, nomeni di ragion piira^ quella da cui dipende la „ morali lU delle nostre azioni : „ da che e come potrà la intelligenza manifestarsi in chi per vizio di primigenia struttura abbiasi non pronunciati gli organi ad essa addetti? Una scienza, perchè sia ritenuta ed abbracciata tranquillamente, debb' es- sere per tutti i lati fiancheggiata da prove, e non infirmata da dubbieta ed inciampi. Che se piaccia al sig. Ferrarese escludere Yas- 258 S e I E N E K salutismo in tutti gl'individui; se piaccia escludersi la liberta morale nel senso amplissimo d'illimitata, non ne discende forse, che l'uomo cessa di essere moralmente libero? Ed in vero, chi abbia sortito in parte una organizzazione pia grossolana e meno perfetta, ed una mancanza positis^a della suscetti- bilità a meglio intendere e conoscere la natura del- le cose e di ogni sorta d'istruzione., non potrà dirsi che abbia una liberta meno estesa e piìi limitata; ma dovrà dirsi che ne sia intieramente privo! „ Le „ propensioni (son parole del sig. Ferrarese) e i „ desiderii , le passioni ec. sono in origine il ri- „ sultato dell'azione di forze fondamentali isolate; „ la volontà per lo contrario è il risultato dell'a- ,, zione simultanea delle forze intellettuali supe- „ riorl: in guisa che suppone l'attenzione, la rifles- „ sione, la comparazione ed il giudizio. Quindi l'a- „ zione degli organi e le facoltà loro poste in at- ,, tlvltà possono venir considerate, per facile mo- „ do d'intendere , come tante proposte in un as- ,, semblea, ove le nobili facoltà han seggio. In essa ,, si esamina , si giudica, e si delibera secondo i „ motivi , elementi di appoggio della decisione e „ risoluzione deliberativa di detta assemblea intel' „ lettuale. ,, Ma come potrà aver luogo l'attenzione, la riflessione, la comparazione ed il giudizio in un uomo, in cui non sieno pronunciati gli organi del- le facoltà intellettuali? Qual esame, qual giudizio, qual deliberazione al retto ed al giusto potrà isti- tuirsi , se siavi mancanza positiva della suscetti- vità ad intendere e conoscere; se non posseggansi gl'interiori motivi nobili per distorne l'uomo dal male; se non possano eccitarsi gli organi con fa- coltà opposte, perchè non pronunciati ed origina- Rivista, medica. 259 riamente difetto-si; se l'individuo dalla educazione, dall'esercizio delle facoltà , e dalle altre influenze esteriori che mancano, ricever non possa modifica- zione onde predominare sulle naturali inclinazioni? Chi avrà dunque la sventura di possedere simile organica conformazione e simili combinazioni riu- nite, goder non potrà delle ispirazioni della vlrtii, della ragione, della giustizia; facoltà che ci coman- dano il bene, il giusto, il grande e la venerazione: venerazione che dopo l'Essere Supremo sino all'ul- timo ministro della legge si estende, e dopo gli au- tori dei nostri giorni e tutte le superiorità intel- lettuali abbraccia eziandio il piti oscuro benefatto- re dei propri slmili. Ed in un uomo di tal tem- pra non dovrà dirsi necessaria l'azione al male, e perciò non imputabile? laddove nell'uomo costitui- to con deficiente sviluppo degli organi delle facol- tà affettive , e situato in combinazioni d' influenze opposte alle poc'anzi descritte, non saranno neces- sarie le azioni al bene per la energìa ed attività degli organi intellettuali, e perciò non meritorie? Favellando il eh. prof. Ferrarese della scien- za del diritto penale inculca ai magistrati di aver presenti nell'uomo delinquente gli stessi vizi orga- nici di conformazione primigenia-^ e va bene. Ma se quest'uomo, ripigliar ne giova, mal conformato ed imperfetto è incapace di azioni meritorie, non sa- rà ingiuria per il Creatore l' averne permesso si mala conformazione per non doverlo premiare, o per doverlo punire senza volontaria e deliberata col- pa dell'uomo stesso? Se forse per tal vizio di pri- migenia conformazione fermi furono nel pravo lo- ro disegno un Faraone , un Baldassarre , un An- tioco, un Giuda ed altri mille , non avrà dovuto 260 S e I É INf I K l'Arbitro Supremo degli umani destini ingiustamen- te punirli con un tristo avvenire? „ Tutti gli uo- „ mini conoscono ( è il sig. Ferrarese che in tal „ modo si esprime alla pag. 50 del fase. 3), che „ quando le facoltà della mente sono sane nell'in- „ dividuo, ei può esaminare le sue proprie azioni, „ valutare le cagioni che influiscono sul suo giudi- „ zio, e quindi prendere questa risoluzione ch'è più „ conforme alla sua ragione ed ai suoi sentimenti : „ o in altri termini, determinarsi con discernimento „ e volontà per questo piuttosto che per quell'altro „ alto. Dall'altro lato non vi è chi ignori che una „ moltitudine di cagioni possono disturbare l'intel- „ ligenza , alterare i sentimenti naturali , eccitare „ insolite propensioni, molestare o distruggere la li- „ bertk, far piegare la volontà ed anche forzarla ir- „ resistibilmente alle azioni più turpi ed abbomine- „ voli. ,, Ora in tali identiche condizioni dovrà tro- varsi quell'uomo che viziato sia per primigenia strut- tura, e mancante di pronunciati organi delle facoltà intellettuali. E la sìmiglianza del caso astringe qui ad applicarvi li medesimi or notati effetti del di- sturbo della intelligenza. Non potrà egli esaminare le sue proprie azioni; non sarà al caso di determi- narsi con discernimento e volontà: sarà per conse- guenza in lui distrutta la libertà morale; agirà egli necessariamente; non sarà imputabile innanzi al fo- ro umano. E dovrà poi dirsi giustamente colpevole cotesto individuo presso il tribunale divino? Nell'armonia delle due forze corporea e spi- rituale è riposta la saggezza dei nostri giudizi: ,, Ma „ se la veemenza disordinata (prosiegue il N. A.) „ di una passione giunge a dominare tutte le nobili „ facoltà dello spirito , come avvenir suole nelle Rivista medica 261 „ passioni nelle quali la parte istintiva è più pre- „ dominante, non bastano i precetti della morale, „ ne quelli della religione, ne lo stesso rigor del- „ le leggi per impedire il torrente impetuosissi- „ mo delle disordinate propensioni e quindi delle „ azioni piìi malvage. „ E non si oppone un tale concetto all' armonia della scienza frenologica col- la morale e colla religione ? Che se iscusarsi qui volesse il buon frenologo con avvertire, che viene così considerata la passione correlativamente alla liberta morale sotto il rapporto medico-legale; niun dubbio avremmo in rispondere, che anche il rap- porto medico-legale, affin di non includere assurdi, uopo è che sia poggiato sui principi! del retto e del giusto, e che parta da motivi suggeriti ed im- posti dalla sana morale. Assurdo del pari riconosciamo l'asserto del N. A. , allorché dopo di aver egli tenuto discorso della satiriasi per lunga e sforzata astinenza dai godimen- ti amorosi nel caso di grande sviluppo nel suo or- gano eccitatore, conchiude, che ,, se l'uomo si ab- ,, bandonera all'eccesso opposto colla maggiore sfre- „ natczza; sì nel primo come nel secondo caso per ,, colali cagioni si produrrà una irritazione ed un ,, eccitamento così forte nell' organo provocatore „ (nel cervelletto), che non è più in potere di lui „ arrestare il torrente delle idee lubriche e delle „ immagini voluttuose che vivamente gli assediano „ la mente. ,, Furonvi infatti non pochi individui perdutamente abbandonati a tutti gli eccessi della dissolutezza, fra' quali il sig. Ferrarese ci annove- ra un Piron, un Mirabeau, un Niccola Ghovier, un Francesco primo, una Semiramide regina degli as- 8'vi - una Giulia figlia di Augusto , una Messalina 262 Scienze moglie dell'imperatore Claudio, un Agrippina ma- dre di Nerone, una Faustina sposa di Marco Au- relio, una principessa Eusebia moglie dell'impera- tor Costantino, ed altri che nel corso della vita lo- ro hanno manifestata una propensione sfrenata per la voluttà. Ma , e come, soggiungeremo co' nostri sacerdoti, si arrestarono cotali disordinale propen- sioni nella licenziosa peccatrice del vangelo, nella Maria Egizìaca, nella Margherita da Cortona, nella Eudocia, nell'Afra ... ? Ne ci appagheremmo della risposta che i frenologi addur potrebbero, ricorso facendo alle trasformazioni organiche; poiché le mi- grazioni di trapasso non si operano che per suc- cessivi cangiamenti, e non già per istantanee mu- tazioni. Inconcepibili anzi tornano all'animo nostro nel senso della dottrina frenologica coteste trasfor- mazioni istantanee o mutamenti di alcuni a fronte della impenitente fermezza di altri. Declinando ben- sì dai principii frenologici ammirar possiamo quel- la superna luce^ che illuminat omneni hominem \>e- nientem in hunc mundum^ e per singoiar dono di cui la storia del vecchio e nuovo testamento, non che quella del cristianesimo, ci offre esempi di sor- prendenti istantanee mutazioni avvenute nella mo- ral condotta di tanti personaggi. E per vero sono hcn famose quelle di un Zaccheo, di un Disma, di un Saulo. Il primo, te- nace accumulatore di dovizie per mezzo d' ingiu- ste usure , goder doveva ( usandosi il linguaggio della frenologia) un pronunciatissimo sviluppo dell' organo dell' acquisivita, una prevalenza perciò di facoltà e di attività di questo sugli organi opposti: , in un istante però cessa in lui la facoltà istintiva dell'egoismo, predomina in esso la opposta facoltà Rivista medica 263 affettiva la benevolenza, e diviene largitore profu- so delle sue sostanze ai mendici. Il secondo, invec- chiato nelle Grassazioni, mentre nel Golgota paga il fio ben dovutogli pe' suoi reati, e Lestemmia, cangia in un baleno il falso giudizio dei suoi er- ramenti. Esce furente di Gerosolima il terzo per imprigionare in Damasco i novelli cristiani , cede alla illustrazione a cui resistito aveva Baldassarre nel convito, e diviene in sul momento un vaso di elezione. E passando dal sagro ispirato codice a me- morare la storia del cristianesimo, confessar dob- biamo leggersi in questa descritti avvenimenti tali, che spiegar non si possono con la scorta dei ca- noni dalla scienza frenologica proposti. Ci astrin- gono in vece i medesimi a riconoscere la possanza infinita di quell'Essere Supremo, che spesso colla sua grazia si mostra luclens in orbe terrarum., e di cui ben disse l'apostolo ai romani: ,, Quam incom- „ prehensibilia sunt judicia ejus, et investigabiles „ viae ejus! ,, Istantanei cangiamenti veggiamo ivi dipinti nella persona di tanti giudici e carnefici, che caldissimi zelatori del culto degl'idoli ed ini- mici fierissimi del nome cristiano, abbracciarono in un punto il culto e la credenza del Redentore , ispirati o pel coraggio e per la mansueta sofieren- za dei martiri, o per la sorpresa dei prodigi ope- rati per la mano di quest'invitti eroi da quell'E- terno , di cui con sommessa ammirazione si disse: „ Quis cognovit sensum Domini, aut quis consilia- ,, rius ejus fuit? „ E mentre immense schiere di fatti congregar potremmo , annotar ne piace sol- tanto la celebre conversione dell'istrione Genesio. Volle questi un dì, siccome riferisce l'Orsi al tom. 3 pag. 467, ricreare l'imperator Diocleziano in rap- 264 Scienze J)resentando al teatro pei' beffa le venerabili cere- monie del sacrosanto lavacro battesimale. Eccitò so- vrammodo le risa negli spettatori la vista di tal comica scena, ma si commutò essa nel fine in ne- ra tragedia. Da che illustrato da celeste lume l'i- strione, confessò la fede evangelica, attirandosi la in- dignazione dell'imperatore il quale dalla scena tra- dur lo fece al patibolo. Preveder non è arduo le obiezioni, che addur qui si potrebbero dai freno- logi con soggiugnere, che in Genesio la facoltà im- perante d'imitazione compi l'avvenimento; siccome in Zaccheo la stessa facoltà dell' accfuisivita ebbe luogo per il miglior acquisto dei veri beni, cioè degli eterni; ed in Saulo se cambiò il subietto pre- so di mira dalla facoltà della distruttività che lo signoreggiava, non cangiò la facoltà istessa. Di niun peso per altro ne sembrano cotali sofistiche inter- pretazioni dei frenologi; e se nelle sublimi cose di nostra religione tutto piegasse svelato e chiaro ali* umano intendimento, non sarebbe pili in essa il mistero, mentre in ciò appunto consiste il merito della credenza. ,, Fides non habet meritum , cui „ humana ratio praebet experimentum ,,. (Ambr. in ps. 118.) Se di quello che debbe credersi nella cattoli- ca religione avesse la umana intelligenza una chia- ra dimostrazione, non avrebbe piìi l'uomo diritto veruno al premio della sua fede dopo questa spe- cie di convinzione e di persuasiva. Tal è la dot- trina insegnata dalla chiesa, difesa dai padri. „ Quid „ est fides, nisi credere quod non vides? „ il disse Agostino. „ Omnis ratio et naturalis investigatio fi- „ dem sequi debet (leggesi in Tomm. da Kempis, „ I. 3 e. 58 de imit.), non praecedere nec infringe- Rivista mèdica 265 ,, re. Si talia essent opera Dei, ut facile ab hiima- „ na ratione capi possent, non essent mirabilia nec „ ineffabilia dicenda. ,, Alla sacra oscurità della fe- de debbono quindi cedere le corte vedute della ra- gione umana: ,, In captivitatem redigentes omnem „ intellectum in obsequium Gliristì. ,, (s. Paul, ad Cor. II e. X). E ben incorre in gravissimi errori chiunque intenda conoscere le cose speculative col senso, o penetrare le divine colla umana ragione. Or questi errori ha dovuto più volte la chiesa ad- ditare agl'incauti, ogni qual volta ebbe a riprovare le opere di alcuni scienziati filosofi, siccome con- tenenti principii o contrarii o discordi dalla vera cristiana filosofia. E ben conchiuse non ha guari (nel 18 maggio p. p. nell' adunanza dell'accademia di religion cattolica in Roma ) il reverendissimo padre Olivieri, valente domenicano, in un suo pro- fondo e filosofico ragionamento sulle „ Novissime „ questioni disputate nel seno della cattolica chiesa „ ec. ec. „ che chiunque si allontana dal magistero della chiesa, dalla voce del pastore, e dall' umile diffidenza di se medesimo, si troverà senz'avvederse- ne trasportato in quella che il profeta Isaia chiama religione della dissiinilitudine. Perniciosi dunque debbono dichiararsi tutt' i sagaci conati che si diri- gono a sostenere l'innocenza della dottrina frenolo- gica colla morale e colla religione, ed a far cre- dere dimostrata l'armonia della prima colle seconde. Inerendo a tali principii scorgiamo pur degli assurdi ulteriori e piìi luminosi nel fissare lo sguar- do a ciò ch'è relativo alla facoltà di quell'organo, da cui emana nel senso frenologico la propensione I ai sentimenti religiosi, ad un culto, ed allo stesso j senso della teosofia^ organo, per mezzo del quale G.A.T. LXXI. 18 266 Scienze il Creatore si ha voluto svelare al genere umano* Leggendo infatti nel primo fascicolo delle memo- rie del sig. Ferrarese , che la rivelazione istessa „ sarebbe stata assolutamente impossibile , se la „ specie umana non fosse stata preparata mercè la „ sua organizzazione: „ avremmo motivo di ^ledur- ne le più dispiacenti conseguenze, siccome sarà fat- to chiaro da quanto sarem per dire. Allorché tutti gli organi cerebrali si prestano in proporzioni u- guali (terza regola sarebbe questa, secondo gl'inse- gnamenti di Combe e di Fossati, per apprezzare gli effetti delle differenti proporzioni relative ) potrà l'uomo offrire „ dei contrasti nella propria condotta, „ secondo che le propensioni animali o i sentimen- „ ti morali faranno piegar la bilancia „ valutan- dosi ancor la modificazione per l'esteriori influenze. Ma, qui rispondiamo, se per vizio di primigenia conformazione manca la facoltà , 1' attività di un organo, uopo è che cessi l'uguaglianza di proporzio- ne nell'officio, uopo è che cessino i contrasti nella propria condotta fra le propensioni animali ed i sentimenti morali; e niuna modificazione relativa all'organo deficiente potranno imprimervi l'esterio- ri influenze. La felice organizzazione, a mo di esem- pio, del primo uomo dal fango del campo dama- sceno doveva ben presentare l'uffizio di tutti gli or- gani encefalici in uguali proporzioni, volendo usa- re per un momento il linguaggio frenologico. Quell' uomo innocente. Adamo, ricevè dal Creatore la giu- stizia originale, la santità e la immortalità, essendo stato creato in uno stato perfetto quanto all' anima e quanto al corpo. Aveva egli lo spirito ornato del- la conoscenza delle cose naturali ed anche delle so- prannaturali, per quello convenivasi alla sua condì- Rivista medica 267 zione : tal è la dottrina dei santi padri, e special- mente di Agostino, che descrive per eccellenza quel- lo stato felice del primo uomo nei cap. 26 del XIV lib. della Città di Dio. Era egli dunque illuminato nella cognizione di meriti e di demeriti, illustrato nella coscienza dei suoi doveri e della condanna per le trasgressioni. Modificata per altro l'attività dei suoi organi per l'esteriori influenze, fu tratto egli forse alla colpa dalla facoltà dell'organo della sti- ma di se; e pentissi dappoi per una nuova delibera- zione delle sue facoltà intellettuali. Avremmo dun- que cosi in Adamo il campione di un cranio, di un encefalo ricco di tutte le piìi favorevoli condizioni cranioscopiche, e che nell'officio dei suoi organi ce- rebrali in uguali proporzioni presentar doveva nel senso dei frenologi la indicata bilancia e contrasti. Ma qual preparazione organica, quale recetti- vità p suscettività di organi aver possono gì' idioti che di certi organi sien difettosi per vizio di pri- migenia strutturai' Ce ne appelliamo allo stesso sig. Ferrarese, il quale favellando della facoltà dell'or- gano della teosofia si esprime, che „ quando vi sia „ difetto primigenio di conformazione e sviluppo... „ si ravviserà fino a qual segno l'uomo può render- „ si incapace e sfornito /li ogni suscettibilità a si „ nobili idee e sentimenti. „ Dal che giusto sareb- be trarre la illazione, che possa l'uomo senza om- bra di sua colpa essere indifterente per la teosofìa-^ che possa senza reato non avere alcuna religiosa credenza, e tanto maggiormente se incolto e rozzo, non avendo ricevuto impulsioni dalle cose esteriori, non potendo perciò offrir contrasti nella propria condotta, e facendo anzi per tal modo le facoltà opposte precipitar la bilancia di cui parlano i frc- !268 Scienze nologi. Assicurano inoltre questi ultimi, che la ge- nerale rozzezza delle persone di bassa sfera si deb- he simultaneamente riferire e alla combinazione at- tiva predominante delle propensioni animali ed al poco accordo delle altre facoltà non avvezze ad a- gire insieme. Ma il sig. Ferrarese avverte, eh' era hen necessaria nell'uomo la suscettività a riceve- re la religione che Iddio aveva risoluto di rive- largli, e suscettività a comprenderla mediante una disposizione naturale. ,, In effetto, egli aggiugne , ,, se fate tutti gli sforzi, usate tutt' i mezzi imma- „ ginabili per far acquistare ad un idiota l' idea „ di Dio e della religione, vi accaderà quello stes- „ so, se voleste fare di un animale qualunque un „ architetto od un poeta; e ciò perchè sì nell' una „ come nell'altro mancano le disposizioni natura- „ li, o, secondo Gali, la receptivité. „ Or tali con- cetti del N. A. imprimono maggior valore alla illa- zione per noi superiormente enunciata, che possa cioè l'idiota impunemente non avere alcuna religio- sa credenza, che possa essere ateo senza divenire imputabile. Che anzi altra illazione più pernicio- sa ne conseguiterebbe, che siffatto individuo cioè o premiato o riprovato che fosse nel giudizio per il destino della sorte futura, lo sarebbe ingiusta- mente: ingiustamente premiato, non avendo nella vita del tempo accumulato meriti con azioni vir- tuose, perchè di queste non era capace; ingiusta- mente riprovato, non avendo nel suo viver terreno avuta facoltà di organi ed attività di essi per ope- rare le azioni della giustizia e della rettitudine. A maggior dimostrazione della disarmonia del- la scienza frenologica coH'augasta nostra religione desumer se ne possono dalle sagre ispirate scrittu- Rivista medica 269 re ben robusti argomenti. Quante minacce ivi non leggonsi per bocca dei profeti annunciate al po- polo israelitico, alle nazioni idolatre! Se queste pos- sedevano organi acconci a ricevere l'idea della ve- ra divinità e della sua punitrice giustizia, perchè non ne conseguitò un pili lodevole effetto? o se quelle razze non eran fornite delle opportune fa- colta ed attività di organi, perchè promulgarsi inu- tilmente dal supremo legislatore quegli ordini mi- naccevoli per mezzo dei profeti? Quando Mosè , p. e. , intuonò pili fiate a Faraone: „ Haec dicit Domi' nus: dimitte populum:„ può dirsi che il monarca di Egitto godesse della facoltà ed attività dell'organo teosofico, come dalla sua risposta apparisce? Che se tal fosse stata la sua infelice condizione, venne egli giustamente assoggettato dall' Onnipotente a quello stuolo di flagelli e di piaghe che sopra piombògli , e ch'ebbe fine nell'Eritreo? - Quante l'ampogne non leggiamo nel nuovo testamento essersi indiritte ai farisei dalla istessa increata Sapienza ! quante do- glianze agli abitanti di Corozain e di Betsaida! quan- te lagrime il Redentore non isparse alla vista della ingrata e sconoscente Gerosolima! E può dirsi dopo ciò, che il difetto degli organi teosofici armonizzi con la religione rivelata? - Omettiamo desumerne altri luminosi esempi dagli atti apostolici per robo- rare il nostro asserto ; omettiamo i rimproveri a- vanzati agli ebrei dal proto-martire, le lettere su- blimissime dell' apostolo delle genti ; ma ometter non possiamo di contemplare 1' assoluto comando dato dall' Uomo-Dio a' suoi apostoli in quelle sa- gre parole: „ Ite, praedicate evangeliuin omni crea- turae : „ e qui avvertasi che omnis creaturae nomi- ne signatur homo, a tenor della chiosa di s. Gregorio 270 Scienze il grande (Hom. 29 in evang. s. Marci, cap. 16 vers. 15). Or tale imperata predicazione suppone nel sen- so dei frenologi, che „ la specie umana vi fosse sta- „ ta preparata mercè la sua organizzazione : „ sup- pone secondo lo spirito della dottrina frenologica, che ogn' individuo avesse 1' organo della teosofìa , l'organo per mezzo del quale (siccome superior- mente riferimmo) il Creatore si ha voluto svelare al genere umano. Ma come poi conciliar si potrà quel terribil decreto, che all'enunciato positivo co- mando sussiegue in quelle altre ben tremende pa- role: „ Qui crediderit, et baptizatus fuerit, salvus „ erit; qui vero non crediderit, condemnabitur „ ? Se la condanna si pronuncia contro i renueuti alia credenza; se fra questi sarà giuoco-forza annoverar coloro che per vizio di primigenia struttura non go- dono di pronunciato sviluppo ed attività dell'orga- no teosofico, sarà giusta per essi la condanna? Uu uomo infatti sfornito di suscettività; un uomo mal conformato nelle parti nobili de' suoi organi cere- brali; un uomo incolto e rozzo, il quale non goda della energia degli uomini opposti in virtìi di pri- migenia imperfetta organizzazione; un uomo che al- la scuola di proba educazione non abbia attinto lu- mi per la conoscenza del retto e per 1' obbligo di abbracciare ed operare il giusto; un uomo quindi ignaro ad istituir paragone, esame, giudizio, delibe- razione neìVasseinblea intellettuale (circostanze che pur si esigono dal sig. Ferrarese) ; un uomo per- ciò incapace a saper contrapporre motivi da trat- tenere le azioni ree e malvage, potrà dirsi (dietro i principi i frenologici ) giustamente imputabile e degno della condanna deli'^'temo, il quale mentre è infallibile nei suoi decreti, è pur giustissimo? E Rivista medica 271 per un tale individuo non sarebbe stato anche di veruna necessità ( son parole del sig. Ferrarese le voci lineate ) il dono preziosissimo della divina GRAZIA ; tosto che nel suo organismo non avessero avuto luogo i contrasti fra le propensioni animali e le facoltà nobili della intelligenza; tostochc nel suo organismo avessero unicamente esistito quelle propensioni o suggestioni al male , derivanti dall' azione di alcuni determinati organi al male, per va- lermi dell'espressioni medesime dell'istesso N. A. sul proposito della rammemorata grazia? Ah! che tuttociò ripugna e si oppone agli attributi ineffa- bili della onnipotenza dell' Ente Supremo ; poiché in creando egli per tal modo un essere mal orga- nizzato, verrebbe a declinare dalle provvide misu- re di sua giustizia. Lo avrebbe egli infatti creato, il ripeteremo in epilogo , senza liberta morale , e senza il fine della premiazione nella vita avvenire! lo avrebbe creato o per ingiustamente beneficarlo, o per indebitamente riprovarlo, e rendere così inu- tile la profusione dei segnalati doni sparsi col be- neficio della creazione, della redenzione e degli aju- ti della sua divina grazia medesima! Ne dicasi esser necessario in società il grado delle differenze sociali. Sia pure, soggiungeremo, necessaria la general destinazione dell'uomo a dijQfe- renti uffizi e funzioni segnata nella serie ascenden- te, che abbia principio dalle umili fatiche del vil- lico per aver termine all'apice delle sublimi occu- pazioni intellettuali di un Newton e di un Cuvier. Non ne seguirà giammai per questo la necessita di associare questa destinazione col letargo intellet- tuale e morale, con quel difetto primigenio di or- gani non pronunciati , non liene sviluppati', che 272 Scienze renda (siccome per le cose già dette risulla) l'uo- mo incapace di ben oprare, di meritare, di salvar- si: lo che ripugna costantemente alla natura, all'or- dine, al corso della divina grazia. Non può dunque finqui stabilirsi , che la scienza frenologica sia in accordo ed armonia colla morale, colla religione, colla rivelazione. Ed in vece di farci dominare dal prurito di sublimi speculazioni, o di tentativi (sa- rem per dire) di accomodare alle nostre limitate vedute le immense idee del Creatore , confessiamo il debito che ci corre di ammirare ed adorare gì* imperscrutabili misteri che ci ha voluto nasconde- re. ,, Quod nescire nos Deus voluit, libenter ne- ,, sciamus : ,, disse Agostino nella prefazione al sal- mo sesto; e separando i medici sistemi, che accre- ditar vogliamo, dalle sublimi speculazioni teologi- che non andarem soggetti ad erramenti che il do- lor procurano della chiesa , ne incontrar potremo quel giustissimo rimprovero, che a quel cuoco no- mato Demostene fece Basilio il santo, allorché dis- segli, che stava pur male la sacra teologia tra le mestole e le pentole di cacina. ,, Tuum est, o De- „ mosthenes, pulmenta decoquere , non de theo- „ logia disserere (1). ,, TONELLI fi) Apud Corncliiim a Lapide in vcrsum ,, Altiera tu ne quatisieris- ,, (II Compii.) 273 Jnflcunmazìone del pancreas osservata durante una. costituzione epidemica di parotiti dal dott. Fi- lippo Conti di Recanati medico condotto in s. Na- to glia di Camerino, D. 'uè grandi oggetti occupar devono il patologo ed il medico clinico onde inoltrarsi air investiga- zione di una malattia, e determinarsi quindi alla scelta del piìi convenevole ed opportuno trattamen- to; stabilirne cioè i confini e la sede, Tuniversali- ta o la località, e indagar poi la causa prossima, l'essenzial fondo morboso, la vera etiologia. L'ana- tomia, la fisiologia, la patologia, la semejottica han' no vicendevolmente apprestati soccorsi vastissimi alla scienza: ma non è perciò, che ostacoli ancora non si frappongano a realizzare e riconoscere con precisione tutta l'immensa serie delle aflfezioni. Una numerosa raccolta pertanto di morbosi fenomeni in più individui contemplati, che riuniti ed insieme paragonati somministrar ci possano materiali alla costruzione di un piìi sodo lavoro, è la sola guida che condur ci deve a felicissimi risultati pel di- scoprimento delle condizioni patologiche di uno o pili organi. Quell'analisi rigorosa, che fissa lo stalo attuale delle nostre cognizioni, apertamente ci con- vince, che una esatta e ripetuta osservazione sol- tanto stabilisce le basi dei nostri ragionamenti, e lontana da essa precipiterebbe la medicina in mal fondate deduzioni. Infatti per l'osservazione si ^on sempre distinti gli uomini illustri, e sebbene ap- 274 Scienze parse sieno nei vari tempi nuove sette e nuovi si- stemi, nulla ostante colVappoggio dell'osservazione proclamarono le loro dottrine, e più o meno se- gnalarono le loro opinioni. La face adunque dell'osservazione può fornir- ci d'innumerevoli compensi per avanzarci nel di- scoprimento delle complicatissime ed oscure malat- tie, che in mille modi e sotto varie forme afflig- gono r umano organismo. Ed onde tendere a tale avanzamento non ci è dato, che battere quella stra- da, la quale i nostri più famosi padri calcarono per investigare con certezza e con meno di errore nell' arduo esercizio clinico le fisiche indisposizioni on- de ben trattarle e conoscerle. L'anatomia patologi- ca ci appresterà non iscarsi lumi, e le nostre fati- che saranno coronate di felici successi se sapremo apprezzarne l'importanza riducendo le nostre ricer- che al suo giusto valore. Presento quindi la storia di una costituzione epidemica di parotiti, le qua- li se pe' loro attacchi, andamenti, progressi e dif- fusioni non sono di molto vantaggio alla pratica per essere conosciutissime, nulla di meno per esser- si in ispecial modo trasportata la flogistica ascen- sione alla glandola pancreatica apporterà utili schia- rimenti alla patologia di quest'organo. Dall'ottobre 1835 in questa illustre terra di s. Natoglia dietro un rapido cambiamento di rigida atmosfera (per cui il giorno 18 ottobre la neve co- pri in notabil copia e le cime dei monti e le sot- toposte valli) fino a tutto maggio 1836 sviluppò una costituzione epidemica di parotiti che indistin- tamente attaccava persone di ogni etk e di ogni ses- so in numero vistoso. Ordivasi la malattia con quell' apparato sintomatico, che generalmente è solito ma- Infiammazione del pancreas 275 nifestarsi in sìmil sorta di flogistiche afiezionì, cioè sintomi locali, e partecipazione flogistica dell'uni- versale eccitamento : per cui in prima dolore in una o in ambe le regioni delle parotiti comprese le glandole mascellari, ingrossamento e tumore piìi o meno elevato o del colore naturale, o di un ros- so eresipelaceo; non di rado vi si univa una diffi- cile deglutizione con gonfiore delle tonsille; quindi dolor di capo o lancinante o con senso di grevez- za, rossore degli occhi, calor generale aumentato, febre sinoca. Frequenti erano le diffusioni ai testi- coli con gonfiore e tumore più voluminoso, dolore più sensibile e quasi eccessivo, febbre ardita. Nel- le femmine succedevano spessi trasporti alle mam- melle, ed i sintomi egualmente n'erano corrispon- denti. Ciò che poi è a rimarcarsi dal medico pratico si è, che nella maggior parte (contare si possono sopra 200 individui) appena incominciava un sen- so di dolore alla parotite, non manifestavasi ne gon- fiore ne tumore, ma fissavasi contemporaneamente un acuto dolore gravativo alla regione epigastrica, che in particolar modo rispondeva allo scrobicolo, con grave ambascia, incitamento al vomito con rutti acidi acquosi e limpidi, dipoi vomiti decisi accom- pagnati sul primo da materia alquanto giallastra spumosa, ed infine esciva biancastra fluida con sa- pore salino. Intollerante al tutto era lo stomaco ; una molestia ansietà con difficile e penosa respi- razione, un senso continuo di pressione e grevezza accusavano gl'infermi all'epigastrio. I vomiti non erano copiosi ma assai frequenti, calcolandosi nel corso di una giornata fino a 16 e 20 volte; all'in- troduzione di qualunque sostanza fluida, abbenchè 276 S e I K N a È in piccolissima quantitìi, era rimarcabile un cupo dolore pesante come se una pietra di qualche cali- bro premesse profondamente l'epigastrio. In alcuni compariva anche il singhiozzo ; il tronco poi celia- co o l'aorta ventrale sentivasi in tutti con un bat- tito piìi frequente ed assai pulsante, per cui scor- ger potevasi ancora ad occhio nudo. In altri pro- pagavasi il dolore dall'epigastrica regione a tutto l'addome con bruciore interno e quasi piccante, o a guisa di piccoli e fugaci morsi, all'esprimersi de- gl'infermi: e sotto questo stato il corpo rendevasi sciolto, presentando una forma di diarrea seguita sulle prime da materia giallastra spumosa, infine da una materia egualmente spumosa e biancastra a guisa di bianco d'uovo sbattuto, che non emette- va alcun notabile odor grave. Gli ammalati soggetti a tali evacuazioni lagnavansi di meno dolor di sto- maco e minor peso, l'incitamento al vomito pre- sentavasi co' descritti rutti, ma non mai si vide- ro vomitare. Così i vomiti come la diarrea duravano da 6 o 7 giorni. È a notarsi che gli individui affetti da que- sta forma di malattia non hanno giammai presen- tato complicazione o con le mammelle o co' testi- coli, e così quelli che furono colpiti in queste par- ti non ebbero a soggiacere agli sconcerti dell'epi- gastrio. Il corso della malattia non oltrepassava la 14 giornata, allorché veniva trattata con pronti e continuati rimedi. Che se alcuno mal soffriva un be- ne inteso trattamento curativo, protraevansi lenti sintomi alla regione epigastrica fino alla 40 gior- nata ed anche alla 60. Riportando ora alla sua vera forza i sintomi nosologici, la forma morbosa, ne stabiliremo la sedè Infiammazione del pancreas 2TT dell'organo affetto, che i segni individuali presen- ta di sua alterazione. L'analisi in vero della descrit- ta costituzione epidemica ci offre una serie di risul- tamcnti, che interessa davvicino la patologia e la clinica. La costanza de'morbosi fenomeni osservati in gran numero d'infermi costituiscono quell'appa- rato da caratterizzare a chiare note una vera pan- creite. O si guardino le parti morbosamente attac- cate sotto l'aspetto d'identità di organizzazione e di struttura, o di morbosa suscettività del pancreas a risentire l'azione di quel fuoco che per natura dell* infiammazione si diffuse dal centro attaccato, egli è sempre per noi un fatto certissimo la flogosi pan- creatica. Queste verità, ricavate dalla semplice os- servazione, costituiscono i piìi saldi appoggi per vie- meglio conoscere una malattia, che mai i pratici non calcolarono nella maniera da me descritta; e che r anatomia-patologica se ci presentò lo stato mor- boso del pancreas, non ci lasciò documenti onde es- sere ricercate le sue alterazioni nel corpo vivo. Que- sta tardanza d'investigazione ha le sue convincentis- sime ragioni e per gli uni e per gli altri. Imperoc- ché o parie vi prenda una continulth di pezzi fi- siologici, o la contiguità di altri visceri interessati a maggiori funzioni per il mantenimento della vita, od una relazione di concorso alla medesima funzio- i ne, o poca manifestazione di simpatia organica, o ! per la profondità della sede, o per trovarsi isolato il pancreas nel suo collocamento: o perchè infine ; l'anatomia-patologica marcò soltanto le alterazioni ! di tessitura e di organizzazione di alcuni visceri I pili cospicui senza poter calcolare se quei risulta- ! menti dipendessero da primitivi lavori morbosi di 1 altri organi o parti; il fatto sta che una benché ine- 278 Scienze satta monografia, una storia patologica sulle malat- tie del pancreas ancora non ci è pervenuta. L'illustre Morgagni però ci lasciò monumenti incontrastabili (epist. XXX de vomitu n. 8. 9. 11) che il pancreas ridotto allo stato di scirro, o tenden- te all'abito scirroso per flogosi pregresse, produce vomiti insanabili colla sua compressione al ventri- colo: che per questa morbosa disposizione del pan- creas il ventricolo stesso va a contrarre ingrossa- mento di pareti, aderenze nella sua interna super- ficie, come da presentare due stomachi per esser diviso in due cavitk. Non di rado poi si rinvenne affetto di malattìa senza segni ancora di vomito non disgiunto dai suoi sintomi particolari da desumersi dagli sconcerti del ventricolo, e da molti altri che l'accompagnano, secondo Riverio. Giacomo Sandrio, Eraclito Manfredi rinvennero le alterazioni del pan- creas unite ai vomiti: e Morgagni convenendo in am- bedue le descritte forme aggiunge: ,, Imo hoc viscus „ (il pancreas, epist. citata n.° 9) nec raro sine vo- „ mitu male affectum fateor a me ab aliisque de- ,, prehensum. Ejusdem tamen morbos a vomitioni- ,, bus non sejunctos et me conspexisse, et ab aliis „ saepe conspectos audivisse negare non possum. „ Prost nelle sue ricerche anatomico-patologiche ce ne ha lasciate amplissime descrizioni. Di pili il sacco pancreatico alterato nella sua qualità e quantità è produttore di molte forme mor- bose, al dire dei pratici. La causa prossima del flus- so celiaco è riposta fra le altre da Borsieri nello sconcertato travaglio di questa glandola. Wedeking pensa egualmente. Portai ne fa dipendere alcune forme di diarrea. La pirosi stessa, non che altre af- fezioni dello stomaco, hanno origine e dalla sconvol- Infiammazioxe del pancreas 279 ta funzione del pancreas, e dalla sua profonda le- sione : ed i sintomi della pirosi raccolti da tutti i pratici si toccano nei loro estremi in modo, da co- stituire una sola forma colla pancreite. E costante osservazione che il succo pancreatico, creduto da tut- ti i fisiologi necessario al compimento di una per- fetta cliilificazione nello stato sano, se per circostan- za morbosa o venga poco separato, o la secrezione succeda piìi abbondante, che nello stato normale; o per altri incontri di malattia dei visceri contigui si renda inerte, o nelle sue proporzioni fisico-chi- miche si cambi, da rendersi o troppo molesto, acre, piccante, e cpiasi inaffine, è incontrastabile l'inverti- mento dei movimenti, il pervertimento delle fun- zioni che gli appartengono, la comparsa pertanto di una fisionomia morbosa propria di una forma distintiva. Se tanta importanza accordarono medici illu- stri alla glandola pancreatica nelle funzioni della vita, avevamo al certo a riprometterci una serie di non comuni precelti ond' essere realmente illumi- nati intorno alla cognizione ed all'essenza di que- sta per anco oscura malattia. Che però ponendo sotto più maturo esame i suoi morbosi fenomeni , raccogliendo delle nozioni patologiche piìi chiare ed esatte, determinandosi le parti che vi sono morbo- samente intessute, dovremo necessariamente chia- rirci sull'essenza, sugli andamenti, sui progressi di questa malattia onde ben curarla. Laonde, che la pancreite da me osservata offra nel suo corso una costanza, una eguaglianza, ed una identità di sinto- mi con quelle malattie superiormente nominate dai pratici, riferibili per autorità loro ad una alterazio- ne del pancreas o del suo succo, basta confrontarne 2S0 S e I E N 2 É la fenomenologica sembianza per rimanerne convin- ti con la storia da me riferita. È ben vero, che a se- conda delle complicazioni morbose coi visceri con- tigui confondere si possono i sintomi della malattia che fissa lo scopo delle nostre ricerche; per cui più o meno intenso, continuo, parziale, o totale si an- nunciera lo sconcerto degli organi e della funzio- ne: ma per quanto confusi e complicati si manife- steranno i morbosi fenomeni, pur nondimanco po- co sfuggiranno quei tratti e quelle tinte che ca- ratterizzano le diiferenti e speciali malattie, perchè rimangano nascosti o mentiti quelli delFalterazio- ne del pancreas. Alle quali cose posta distinta con- siderazione, avremo una guida per conciliare tutte quelle differenze, che incontrar possiamo nell'unio- ne dei citati morbi, e sapremo rettamente confron- tare il valore dei sintomi, accordando loro indivi- dualmente il peso dovuto. Gli ammalati affetti di pancreite, come nei ca- si descritti, oltre all'acuto dolore allo scrobicolo , ambascia, incitamento al vomito, vomiti decisi, pre- sentarono una materia biancastra spumosa fluida con sapore salino. Tal fenomeno è stato in tutti co- stante, perchè caratteristico, provando esser primi- tiva la causa dell'affezione del pancreas. Un altro sintoma, che costituisce la parziale malattia pan- creatica, si è il dolore gravativo all'epigastrio sotto l'introduzione di qualunque benché piccola quan- tità di fluido. Poiché il dolore gravativo, il senso continuo di pressione e grevezza ci pongono al chia- ro sullo stato di turgore, gonfiore , ed aumentato volume del pancreas, che subir dovea quelle alte- razioni ch'erano proprie delle parotiti; mentre que- gli stessi cambiamenti che osservavamo nei testicoli Infiammazione del pancreas 281 da stabilire una marcatissìma orchite, o nelle mam- melle da esternare una infiammazione di un anda- mento proprio di quelle glandole con iscomparsa flogistica delle parotiti, ci danno ragione a crede- re che un eguale processo fisico-organico avente per base la flogosi preso abbia il pancreas. Gli sconcer- ti poi, che soffriva lo stomaco nello sconvolgimento di sue funzioni senza alcun segno di gastrica, forni- scono una serie di fenomeni da manifestarci una decisa pancreite. Lo stato di turgore del pancreas ci spiega l'abbondante secrezione che vi succede- va, dandoci ancora ragione dei vomiti frequenti. Per lo più il dolore e reiezioni addominali com- parivano in altri con materie piccanti, acri, mor- daci, e biancastre: il che è stato riferito da Dupuy- tren ancora. Portai, Roche, Wedeking alle malat- tie del pancreas, che in vari modi esternò sempre ristesso apparato. Rutti acidi, acquosi, acri, e lim- pidi si osservano, al dire di tutti i pratici, nella pi- rosi, che a comune consenso non è se non una for- ma morbosa della glandola pancreatica. Le pulsa- zioni del tronco celiaco, da cui il lembo superiore del pancreas è traversato, e dell'aorta ventrale con cui è in relazione per la sua giacitura sulla colon- na vertebrale, denotano la partecipazione flogistica di questi grossi vasi col pancreas. E se la nostra analisi spingasi sul dolore gra- vativo, il peso all'epigastrio di una grossa pietra da produrre ambascia e difficile respirazione ci farà dare anche a questi sintomi il loro valore, ponen- doli quali caratteristici della pancreite allorché e- sterni fenomeni isolati come nei nostri infermi. E di vero quando un fegato od una milza volumino- sa non vi concorrano a rendere complicato l'appa- G. A. T. LXXL 19 282 Scienze rato fenomenologico, avremo diritto sempre a rite- nere essenziale e distintiva la forma dell' infiam- mazione del pancreas , mentre i suddetti sintomi sono pure costanti. L'ambascia e la difficile respi- razione è effetto della pressione del pancreas reso turgido e gonfio, per cui il diaframma, con le cui gambe è in relazione, viene spinto nella cavita to- racica. Un occhio esercitato ed avveduto vi ravvisa però differenza nella difficolta che si osserva in tal caso da quella che è propria delle malattie pol- monari. Ed aumentandosi questi fenomeni dopo ringurgitazioni di piccolissima quantità di fluido, conosciamo i disturbi, che si accrescono all'affetto pancreas dal meccanico peso, per cui vengono ne- cessariamente turbati i movimenti toracici. L'analisi adunque di tutti i morbosi fenome- ni osservati nell'affezione pancreatica ci addita la natura flogistica di cjuesta glandola, e ci conduce a conoscere nel modo piìi conveniente su quali basi fondar debbasi la sua teoria patologica. E la ma- niera con cui l'abbiamo veduta ed osservata ci por- ta a considerare sotto un medesimo punto di vista le altre forme morbose, e le varie sembianze che insorgono a rendere questa malattia cenasi protei- forme. Così le molte e lente affezioni dello stomaco, la nausea, il vomito, i marasmi tante volte per dif. ficili e laboriose digestioni, tanti flussi addominali, e la pirosi stessa non debbono, allorché sicno sot- toposti a rigoroso esame i morbosi fenomeni, ri- ferirsi che ad una lenta pancreite. Portando ora per poco la nostra riflessione sui medici sussidi in questa malattia amministrati, am- piamente vedremo sanzionata e la sede della ma- lattia, e la natura sua, e l'essenziale sua origine. Infiammazione del pancreas 283 Stabilita infatti la flogosi pancreatica, i salassi ri- petuti generali e locali, il calomelano unito al dia- gridio , le preparazioni di ossido di ferro nero e di etiope marziale, il tamarindo, l'aloe, le infusioni di rabarbaro, la magnesia, e V ossido di bismut a rifratte dosi, infine la soluzione di muriato di ba- rite a seconda delle circostanze e dello stato del malato, erano le sostanze terapeutiche che si ado- pravano con felicissimo successo. Determinare poi non potrei con quali sintomi terminava il suo cor- so la nostra panerei te, mentre non vidi alcun se- gno straordinario della sua fine e dissoluzione. Ve- deva soltanto ristabilirsi a poco a poco le funzioni dello stomaco, calmare il peso gravativo all'epiga- strio, ed in pili casi vi si univa una alquanto fre- quente salivazione. Che se molti pratici hanno ve- dute terminare molte malattie dipendenti dal me- desimo fondo con l'evacuazione di molta saliva, co- me Nysten ha raccolto da piìi famosi autori , e Monro stesso ha veduto, accordar ci potremo die- tro la loro autorità , che la nostra pancreite ter- minasse nella maggior parte dei capi per quest'ac- cresciuta secrezione delle glandolo salivari. E con ciò ci confermeremo, che gli organi aventi una i- dentita di struttura e di organizzazione , sebbene spesso ignoti siano i veicoli di diflfusione, parteci- pano a vicenda della flogosi che in altri organi piìi lontani si accese. A descrivere però con piìi erudizione la no- stra pancreite avrebbe abbisognato esaminare lo stato suo fisiologico in tutta l'estensione, ed i suoi uffici, non che le indagini marcare del succo pan- creatico sulla sua natura tisico-chimica, e sull'im- portanza sua nelle funzioni della vita per ricavar- 284 S e I s n z K ne maggiori deduzioni patologiche. Ma poiché su tali cognizioni la fisiologia non ha oltrepassati quei confini che si hanno oggi sul modo di esistere di questa glandola, poco vantaggio avremmo ritratto da un inutile sfoggio scientifico che ognuno già de- ve possedere. Ond'è che ho stimato sufficiente pre- sentare la sua storia patologica, quale una sem- plice e nuda osservazione soltanto mi ha posto sott' occhio. Avvertendo infine esser vane le lagnanze dei pratici di non possedersi a' nostri giorni ma- teriali sufficienti sulle alterazioni di quest'organo: poiché se riandate si fossero le memorie lasciateci su questo ramo patologico dal nostro Morgagni , dal Sandrio, dal Manfredi e dal Riverio, la medici- na ricca forse ne andrebbe di una bene esatta monografia, e non offrirebbe molti vuoti sulla teo* ria patologica di un organo che per l'interessamen- to della vita reclama le piìi sottili ricerche. 285 •^ LETTERATURA Elogio storico-letterario di D. Baldassare Odescalclii duca di Ceri, scritto dair eminentissimo principe sig. cardinale Giacomo Giustiniani pro-segretario de* memoriali di Sua Santità^ prefetto della sacra congregazione delVindice ec. ec. D Baldassare Odescalchì duca di Ceri nacque il à\ U.^ di luglio 1748. I suoi genitori D. Livio Odescalchi duca di Bracciano e D. Vittoria Corsini ben conoscendo quanto fallace e pregiudicevole sia quella volgare opinione, che sembra dispensar dallo studio i giovani nobili specialmente se sian primogeniti ( e tale appunto era il nostro D. Bal- dassare ), come le prime lor cure riposero nell'in- sinuare nel cuor di lui i sentimenti di una soda cristiana pietà , così le seconde diressero ad or- narne la mente con lo studio delle scienze e delle lettere: raro e prezioso vincolo, per cui e la pie- tà si rende più risplendente, e lo studio può sol- tanto farsi utile alla società : e vincolo , che in grado eminente si ammirò in D. Baldassare da chiunque ebbe il piacere di conoscerlo. Fu egli do- tato dalla natura di un ingegno pronto e vivace, e di una singoiar forza d'immaginazione. Non è dun- que maraviglia se queste naturali disposizioni ben 286 Letteratura temperate e dirette il rendessero capace di far progressi considerabili nella studio delle am^ne lettere , e soprattutto della italiana poesìa. Ebbe egli a maestro il sacerdote D. Niccola Ferrari bo- lognese, valente scrittore latino e italiano in verso ed in prosa , colla scorta del quale potè egli ri- chiamare ad utilissima analisi i classici di queste due lingue , tutti i pregi ammirandone e le bel- lezze, e, ciò ch'è pili, le intrinseche ragioni di esse rilevando. Frutto di tale studio fu quella purità di lingua toscana, che in tutte le sue produzioni apparisce, ed un certa gusto che presenta.no le sue poetiche composizioni, ed attesta quanto fosse egli esercitato nella lettura specialmente dei due pri- mi fondatori di nostra lingua e poesia Dante e Pe- trarca, allo studio de* quali egli poi aggiunse l'al- tro delle opere di Gabriello Chiabrera, questo di- stinguendo fra i lirici de' tempi a noi piìi vicini. Ne fra gl'idiomi moderni credette dover trascura- re il francese e l'inglese, siccome quelli che piìi so- vente possano occorrere a parlarsi in società. Par- lava infatti l'uno e l'altro con mirabile speditezza e proprietà di termini e frasi ; ne soltanto li par- lava, ma ne conosceva i migliori autori, persuasa che anche la studia della letteratura straniera , quando si faccia con giusta criterio, possa non po- co influire a far meglia coltivare la propria. Det- te anzi un saggio di quanta fosse versato nella lin- gua inglese col traslata re da essa in italiano le let- tere di M. Flaminio a Settimio , opera di mada- migella Ellis Cornelia Knight. Se per l'indole de' suoi talenti, e per la particolar direzione del suo maestro si consagrò egli specialmente a coltivare la gentile letteratura , non fu però certamente del- Elogio di B. Odescalchi 287 le scienze digiuno. In una parola professò di seguir le muse in modo, che non dubitasse di porre il pie- de ne'penetrali della severa Minerva. Compi con assiduita il suo corso di filosofia , e profittò della dimora che fecero per alcun tempo in Roma i fra- telli Zanotti di Bologna , ed Eustachio specialmen- te, per istudiare sotto di esso le matematiche. Ma fra i diversi rami della filosofia egli preferiva la metafisica, siccome quella che il poneva in istato di sempreplù conoscere ed ammirare le sublimi verità della religione , delle quali il suo animo era pro- fondamente penetrato. Non isdegnò anzi di colti- varla in età ancora adulta , e col leggere , medita- re, e ridurre ad analisi i trattati piìi sani, e col conversare coi piìi dotti metafisici, fra i quali è ben naturale ch'ei distinguesse l'eminentissimo Gerdil, e forse dal conferire con questo dottissimo porporato, e molto più dalla lettura delle sue opere , egli si persuase ad abbandonare il sempre mal sicuro si- stema lockiano per seguire quello del Malebranche. Ascritto fra gli arcadi col nome di Pelide Li- dio, recitò frequentemente e sempre con lode in quell'adunanza le sue produzioni in verso ed in prosa; sovente ancora scrisse leggiadre composizio- ni o per occasioni particolari, o per corrispondere ai versi mandatigli da qualche letterato italiano suo amico, giacche può dirsi che non fosse in Italia uomo di lettere che noi conoscesse , e per aver egli ne'suoi viaggi cercato di frequentar sempre le plìi eulte società, e per avere alcuno di essi nel venire in Roma ambito di fare la conoscenza di lui. Tro- vansl le sue poetiche composizioni raccolte in un volume ch'ei fece pubblicare poco prima della sua morte , Yolendo quasi in certo modo denotare di 288 Letteratura aver appeso la sua cetera, e condannatala al silen- zio per occupar la sua mente di pensieri piìi seri. Sono esse dalla qualità dell'argomento divise in pro- fane ed in sacre. Tra le prime distinguonsi per la sublimità de'concetti e felicita delle espressioni la canzone per V acclamazione in Arcadia di Michel Angelo Cambiaso allora doge di Genova , e quel- la in morte dell'abate Cunich suo grande amico, e quasi, com'ei lo chiamava, altro suo maestro: e per quel carattere di moralità, eh' è tutto proprio del- l'ode, meritano particolare osservazione l'ode saffica per l'acclamazione in Arcadia del re di Svezia Gu- stavo IV, e la canzone diretta al sig. card. Della So- maglia, anch' esso intimo suo amico e compagno di studi, in cui imprende a provare come la poesia sia utile riparo nelle avversità. I poemetti sulle Sta- gioni sono degni di lode ; leggiadrissima ed ornata di tutte le grazie anacreontiche è la canzonetta alle ninfe d' Arcadia , e fra i sonetti ingegnosissimo è quello per la creazione del papa Clemente XIV, in cui sotto l'allegoria di una pianta il suo innalza- mento dal chiostro al soglio pontificio descrive. Tra le poesie sacre poi la parafrasi del cantico di Mosè e certamente degna di quel sublimissimo origina- le, e la canzone per l'ascensione al sacerdozio di monsignor D. Carlo Odescalchi suo figlio, in oggi innalzato alla sacra porpora, che può dirsi l'estre- ma voce di questo cigno canoro , dimostra a un tempo stesso quanto egli fosse e valente poeta , e tenero padre , e fervoroso cattolico. Tra i sonetti sacri poi quello sulla concezione di Maria Vergi- ne, e quello sulla passione di N. S. Gesù Cristo, possono essere additati come modelli di questo sempre dilhcilc componimento. Elogio di B. Odescalchi 289 Le sue prose recitate in Arcadia non sono stampate, sebbene potrebbero meritare di esserlo. Sono tutte scritte con purità di stile, e da tutte si rileva quanto grande conoscitore foss' egli del- l'arte poetica, essendosi proposto ne'suoi argomen- ti o direttamente o indirettamente di svolgere la natura e i precetti dell'arte. Così nel discorso re- citato per l'anno secolare di Arcadia egli ricorda il fine per cui sì celebre accademia fu istituita: il quale fu quello di ricondurre al buon gusto gl'i- taliani scrittori , e mostra come siano stati scelti i mezzi adattati a sì lodevole fine. Nell'elogio del- la rinomatissima Amarilli Etrusca, letto anch'esso nella sala del serbatoio , fa vedere come i primi vati debbono essere stati cantori estemporanei , e le ragioni rileva per cui questo canto , quando giunga a quella perfezione che in bocca di Ama- rilli si ammirava, debba riempire gli ascoltanti di straordinario piacere. In altri discorsi di tema li- bero dimostra con sode ragioni, che quantunque i poeti cerchino ne'loro componimenti di esaltar le lodi della vita pastorale e campestre , pure, con- vien confessarlo, il soverchio soggiornare in cam- pagna sarebbe loro dannoso per 1' esercizio della lor'arte, poiché lontani dalle popolose città, prive- rebbonsi del vantaggio e di osservare i moltiplici oggetti, e soprattutto d'indagare i vari sentimenti del cuore umano, che in esse e non in mezzo alla con- tadinesca semplicità si dispiegano : senza le quali osservazioni non potrebbono i poeti valersi lode- volmente di quella imitazione, che forma il prin- cipal diletto della poesia. Ma dove singolarmente egli dimostra la profonda sua scienza dell'arte è ne' suoi ragionamenti sulla drammatica. Aveva egli un 290 Letteratura trasporto particolare per questo genere di poesia, al punto che non solo conosceva pienamente le mi- gliori produzioni drammatiche antiche e moderne, ma non isdegnò ancora talvolta di calzar con plau- so il coturno ne'privati teatri di società. Non è pe- rò da sorprendere se della drammatica amasse sin- golarmente di ragionare, sviluppando que' precetti che ad essa appartengono. Più volte ne parlò in Arcadia , ora provando quanto alla favola tragica sia necessaria la qualità di maravigliosa , ora con sublime cognizione metafisica del cuore umano ren- dendo ragione perchè sia cosi grata e piacevole quel- la compassione che la tragedia di destar si propone, ed il problema sciogliendo, come accada che piac- cia sulla scena l'imitazione di una sventura, della quale poi, se in realta avvenisse, non si vorrebbe essere spettatori. Ma oltre a' suoi discorsi di Arca- dia, di altre occasioni si valse per trattare argo- menti alla drammatica appartenenti. Fin dall' an- no 1787 ei pubblicò colle stampe una sua elegan- tissima lettera diretta alla signora contessa Gurto- ni Verza, eultissima dama veronese sua amica, nel- la quale prende a trattare della tragedia del Vol- taire che ha per titolo il Fanatismo, o sia Mao- metto il profeta, additando i molti difetti che in essa sotto alcune bellezze nascosti si contengono: SI perchè essa non può produrre quelle dolci per- turbazioni, ch'eccitar deve siffatto genere di compo- nimento, rappresentandosi nel protagonista un uo- mo al sommo empio e dispregevole, che però re- sta impunito, ed anzi trionfa de'suoi malvagi di- segni, e la religione indegnamente oltraggiandosi: e SI perchè la tanto necessaria verisimiglianza è tra- dita, niuna ragion sulìiciente arrecandosi di quella Elogio di B. Odescaichi 291 fede che ciecamente mostrano gli altri attori ad un uomo che non la merita. Impiegò anche la sua temperante ma insieme giustissima critica a riguar- do del nostro Metastasi© in alcune riflessioni sul dramma dell'Antigono da inserirsi, secondo il desi- derio degli editori, nella ristampa delle opere del medesimo. In questa occasione, mostrando quanta sian poco convenevolmente introdotti gli amori di Antigono e di Alessandro verso Berenice, osserva assai giustamente come sia difficile nella tragedia il servirsi della passion dell' amore in modo che non pregiudichi alla gravita del coturno, e quan- to perciò sia da schivarsi Tintrodurre nel tempo medesimo piìi coppie di amanti, non essendo pos- sibile che l'una interessi, senza che le altre si renda- no dispregevoli e quasi ridicole. Ma se in tutte que- .ste sue produzioni non ispiegò che parzialmente le sue drammatiche cognizioni, vi fu bene una occasio- ne, in cui può dirsi ch'egli quasi compisse un pieno trattato sulla tragedia e sulla commedia: e fu allor- quando la reale accademia di Mantova per le belle lettere, nell'anno 1 T90, propose pel concorso al pre- mio il quesito sui vantaggi e svantaggi di quelle mi- ste drammatiche produzioni, che introdotte sul tea- tro singolarmente dai francesi nello scorso secolo sonosi dette tragi-commedie, o tragedie cittadine- sche, ingiungendosi di piìi l'indicazione di quelle re- gole, che potessero condurre que' nuovi drammi a quella perfezione di cui sono capaci. Volle adunque correre un tale aringo anche il nostro D. Baldassa- re concorrendo a quel premio: e se la dissertazione che in tale occasione ei compose noi riportò, ciò per chiunque conosce come talvolta si regolino que'let- terari giudizi, non dimostra che forse noi meritasse. 292 Letteratura E certo ch'essa non poteva essere ne più adattata al quesito, né più giudiziosa, i vantaggi particolari, al- meno apparenti, di tali drammi rilevando, che per alcun tempo poterono illudere non men coloro che amavan di scrivere per la scena, che quelli che ama- van di frequentarla: vantaggi però che posti a con- fronto colla maestà e col carattere maraviglioso del- la tragedia , rendono senza contrasto quei drammi ad essa inferiori. Quanto poi alla seconda parte del quesito , che concerne le regole onde perfezionare que'nuovi drammi, giustissimi sono i precetti ch'ei dà riguardo alla scelta della favola , al costume , ed allo stile, conchiudendo in fine che sebbene a sif- fatte tragi-commedie non possa competere che un luogo subordinato dopo la tragedia, e forse anche dopo la semplice commedia, pure quanto alla diffi- coltà sembrano dovere occupare il primo luogo: e perciò la gioventù italiana esortava a consagrare il suo ingegno piuttosto in compor tragedie , come a carriera più nobile e meno scabrosa. E qui non pos- siamo non ammirare la sua modestia nel vedere che egli si limitasse ad animar gli altri a percorrere uno stadio, in cui egli sembrava dotato di forze ba- stanti a precedere qualunque altro. Essendo egli in fatti così erudito ne' precetti della drammatica, e formatosi uno stile sempre purgato e poetico , sic- come dalle sue liriche produzioni rilevasi, abbiamo tutto il diritto di credere che se la sua soverchia mo- destia non lo avesse rattenuto dal porsi ad una tal prova , avrebbe potuto certamente concorrere an- ch' egli alla gloria di far risorgere il teatro italiano. Ma non fu certamente, ne mostrossi, il duca di Ceri nelle sue produzioni un semplice filologo: e la circostanza che porge a noi l'occasione di tesserne Elogio di B. Ooescalchi 293 il presente elogio , cioè la sua ben meritata aggre- gazione alla nostra accademia di religione, ci dimo- strò com' egli non meno che gli ameni argomenti letterari, sapesse eziandio trattare i. gravi e robu- sti della filosofia e teologia. Nel chiudersi in fatti delle nostre adunanze per le vacanze autunnali dell'anno 1802, con quanto piacere non udimmo noi il suo discorso, in cui con somma modestia e grazia insieme oratoria deponendo quasi la quali- tà di nostro aggregato , quella soltanto volle far valere di cittadino romano, professando la gratitu- dine della sua patria alla nostra accademia per lo scopo lodevolissimo di combattere gli atei e i deisti, che colle più sode ragioni dimostrò essere i nemici dell'ordine pubblico, ed i perturbatori della società? L'estratto di questo discorso dovrà aver luogo nella compilazione degli atti accademici: onde senza piìi parlarne passiamo a indicare il lavoro più grande eh' egli imprendesse, la cui sola idea forma 1' elo- gio della sua generosità, e del suo carattere, come la felice esecuzione di esso attesta l'estensione delle sue cognizioni. Non v'è certamente persona mezzanamente in- formata della storia dell' italiana letteratura , che non conosca la famosa accademia de'Lincei , e non sappia aver essa avuto per fondatore il principe Federico Cesi. Eppure può francamente asserirsi, non essersi fino a questi ultimi tempi conosciuto se non che il nome e dell' una e dell' altro : tal è il silenzio in cui giacque fin'ora la storia di quel- la celebre accademia non meno che dell' illustre suo fondatore , se le poche notizie ed anco inesatte si eccettuino premesse dal dottor Bianchi di Rimi- no al Fitobasanos di Fabio Colonna fatto da lui ri- 294 Letteratura stampare, e clie acquistarono ancora maggiore ce- lebrità per la disputa insorta fra il Bianchi me- desimo ed il professor Vendelli di Modena, se do- vesse o no Alessandro Tassoni risguardarsi ascritto fra i lincei. Ora saggiamente s'avvisò il duca di Ce- ri, che il trarre dalla oscurità un'accademia roma- na, la prima che delle scienze soprattutto naturali si occupasse, e che un dottissimo cavaliere romano riconosceva per suo fondatore , non ad altri che ad un cavaliere romano e della stessa sua condizione si appartenesse. Sembra dunque che il duca di Ceri non da altro motivo fosse indotto a pubblicare le sue Memorie storico-critiche delV accademia dei ìincei € del principe Federico Cesi fondatore della vnedesinia^ se non dallo zelo di fare onore alla sua patria, e rivendicare quello dello stato in cui Iddio Io avea collocato, e che di poco coltivatore delle let- tere e degli studi non di rado suole accagionarsi ; motivo che, come dissi, la nobiltà e generosità dell* animo di lui dimostra. Ma se lodevole è il motivo , che l'eccitò a farsi autore di cjuelle pregevolissime memorie, non meno è da commendai'si l'intrinseco merito delle medesime. Sono esse divise in tre parti. Nella prima si narra l'origine dell'accademia de'lin- cei , e le gravi persecuzioni che per essa dovè sof- frire il giovine principe Federico ed i primi suoi soci , al punto che furono obbligati ciascuno a di- sperdersi e ritirarsi in diverso paese. Nella seconda il risorgimento dell' accademia si espone, e la sua storia fino alla morte del principe Federico , con cui l'accademia stessa cessò: epoca per quell'accade- mia brillante, essendosi gloriati di ascriversi fra i lincei gli uomini più scienziati, di Europa, e d'Italia singolarmente; come Gio: Battista della I*orta, Gio- Elogio di B. Odescalchi 295 vanni Fabri, Fabio Colonna, e sopra tutti Timmor- tal Galileo. Questa seconda parte poi, la quale, se- guendosi gli annali dell' accademia , potrebbe per una certa uniformità di narrazione stancare il letto- re, è saggiamente ravvivata da digressioni interes- santi , connesse peraltro co' principali argomenti della storia de'lìncei, quali son quelli della inven- zione del telescopio, e dell'esame della condotta im- prudente tenuta dal Galileo pel suo impegno di sostenere con troppa pubblicità il sistema astrono- mico copernicano: condotta che poi produsse quel- la condanna, di cui si è menato tanto romore da'ne- mici di Roma. Piìi di tutte poi è di sommo interes- se il leggere la terza parte di queste memorie , la quale col presentare im estratto del Linceografo, o sia delle costituzioni de'lìncei , fa conoscere quale dovesse essere quell'accademia: come altresì con una diligente e giudiziosissima analisi delle poche opere rimasteci del principe Federico, ed in ispecie delle sue tavole fitosofiche , ne dimostra quale e quanto grande uomo fosse il principe e fondatore della me- desima. Apparisce da questa terza parte, che mal si opporrebbe chi volesse considerare l'accademia de* lincei come una di quelle tante che posteriormente sonosi introdotte nelle eulte citta di Europa , e che altro non sono che aggregazioni di dotti uomini, i quali di tanto in tanto si radunano per trattare di quegli studi e di quelle scienze che formano il loro principale oggetto. No : le viste di quegli antichi accademici furono di gran lunga più vaste : furono in una parola veramente lincee. Essi videro la ne- cessità che vi era di scuotere la polvere peripateti- ca , e stabilire un nuovo sistema di filosofia natura- I le, che facendo precedere le osservazioni e le espe- 296 Letteratura rienze delle teorie fondasse poi queste su* prìncipii stabili e fissi. A diffondere pertanto un così lodevo- le sistema per tutta l'Europa ebbero in animo i lin- cei di stabilire un ordine, dirò così, di persone ad- dette allo studio singolarmente delle scienze natu- rali, il quale, a guisa appunto degli ordini rego- lari , avesse la sua casa di abitazione nelle varie città, fornita di libri, macchine, istromenti, ed altro alla loro istituzione necessario , e fosse divìso in piìi gradi, e retto da' superiori tanto locali quanto generali : idea veramente grandiosa e sublime, la quale se ebbe difetto , fu forse quello di una so- verchia vastità: onde ne avvenne che non potè poi ridursi ad effetto, particolarmente essendo soprav- venuta l'immatura morte del principe. Quanto poi fosse esteso l'ingegno veramente singolare del prin- cipe Federico Cesi, e quanto profonde le sue co- gnizioni, sopra tutto di botanica, al punto di aver egli solo antiveduto ciò che da'posteriori naturali- sti è poi stato scoperto, e ciò malgrado della scar- sezza de'mezzi di osservazione, e di quel denso velo di cui in que' tempi piìi che mai ricoprivasi il volto della natura, ben lo attestano le tavole fito- sofiche da esso aggiunte ai commenti fatti dai lin- cei alla storia naturale dell'Ernandes: lavoro vera- mente straordinario, e non mai abbastanza loilato, e che pure esser non doveva che una parte di altra opera , in cui il Cesi da gran tempo occupavasi , ma per la sua immatura morte non potè condurre a termine, e die doveva portare per titolo Theatrum totius naturae : la quale opera se egli avesse po- tuto compire e pubblicare, può senza esitazione as- serirsi che sarebbesi potuta vantare l'Italia di ave- re ancor essa il suo Bacone. Si aggiunge in fine di Elogio di B. Odescalchi 297 queste memorie quasi come un appendice il cata- logo de' lincei , e delle opere si manoscritte e sì stampate, ch'essi lasciarono morendo. E qui si esa- mina l'indicata questione fra il Bianchi ed il Ven- delli, che giudiziosamente si decide a favore del pri- mo , provandosi cioè che il Tassoni non fu mai veramente linceo: e si dk termine alla ristampa del- le Prue seri ptiones linceae già pubblicate la prima volta da Giovanni Fabri, le quali sono un compen- dio del Linceografo, adattato peraltro allo stato in cui trovavasi allor l'accademia, piuttosto che a quel- lo a cui i lincei intendevano di sollevarla. Tali sono queste memorie del duca di Ceri, le quali o si con- sideri l'interesse dell'argomento, o il modo dell' es- posizione, o il giudizio delia critica, o finalmente l'eleganza dello stile, può dirsi con verità esser es- sa una delle opere pili pregevoli che illustrino l'italiana letteratura, resa in oggi anche piìi pre- ziosa , in quanto che i documenti originali , su' quali furono esse compilate , e che conservavansi nella biblioteca Albani, dopo le ultime vicende di Koma sono andati infelicemente dispersi. Abbiamo finora considerato nel nostro D. Bal- dassare (e tale era il nostro principale oggetto) la vivacità dell'ingegno e l'estensione delle cognizio- ni, ed abbiamo in qualche modo reso conto di quel- le produzioni che furono l'effetto dell' uno e del- l'altra. Restaci ora a parlare alcun poco dell'indo- le del suo carattere e del suo cuore , in una pa- rola delle sue qualità morali: e tanto più volen- tieri ne parleremo , quanto che nel farlo possia- mo in gran parte non perdere di vista , che di vm letterato singolarmente ci è stato commesso l'e- logio , sì per aver egli particolarmente proposto G. A. T. LXXI. 20 298 Letteratura alla g'encroslfa del suo cuore rincoraggiamenlo de' Luoni studi, e si per aver fatto uso speciale de'suoi lumi neiradempimento de'suoi doveri. E per inco- minciar da quest'ultimo, volle egli lasciarcene un chiaro e prezioso documento. Unito egli in matri- monio con Donna Caterina Giustiniani, colla qua- le visse sempre in una costante e non ordinaria concordia , divenne padre di piìi figliuoli. Ora nel- r occasione di aver concluso il matrimonio della sua figlia col principe di Piombino, credette non aver ben compito quella educazione diligentissima che unitamente alla sua consorte aveale data nel- la casa paterna , se avesse permesso che fosse an- data a marito senza darle gli avvertimenti neces- sari a regolare la sua condotta, e darglieli in iscrit- to , onde potesse , cjuando che fosse , richiamar- li ad esame, e potessero anche i medesimi avver- timenti servire alle altre sue figlie allorquando an- cor esse si maritassero. Compose egli dunque in questa occasione una savissima lettera diretta alla sua figliuola , nella eguale egli le dimostra i do- veri di una madre di famiglia verso Dio, verso il marito, verso i figliuoli, verso i domestici, e delle insidie e de'pericoli della società l'ammonisce, som- ministrandole i pili prudenti suggerimenti , onde schivarli, ed uscirne vittoriosa: lettera, che essen- do scritta colla ordinaria eleganza del nostro au- tore potrebbe, sebbene composta per una privata occasione, rendersi pubblica e gareggiar forte col celebre trattato del governo della famiglia di An- giolo Pandolfini, con questo inoltre che laddove lo scrittore toscano si propose di formare al più, sic- come egli dice, una buona massaia, il nostro D. Bal- dassarc ebbe in vista un oggetto piìi nobile, cioè Elogio di B. Odescalchi 299 quello di dare le istituzioni per una dama cristia- na e virtuosa. Quanto poi alla sua generosa pro- tezione de' buoni studi, e di coloro che li coltiva- vano, più testimonianze se ne potrebbero addurre. A noi basterà solo di osservare, che avendo egli fin dalla sua prima gioventii usato di radunare nelle sue camere in un giorno della settimana una con- versazione di persone letterate, a cui volle dare il nome di accademici occulti, senza imporre loro la legge di recitare alcuna composizione, ma solo per godere della loro società, non vi fu, si può dire, alcuno di essi , o ch'egli al bisogno direttamente non sovvenisse, o per cui con tutto il calore non s'impegnasse a procurargli un decente collocamen- to. Ma una prova singolare della sua munificenza dette egli allorquando il celebre abate Gunich tra- dusse in versi latini l'Iliade di Omero coll'incari- carsi di far magnificamente stampare a sue spe- se quella versione, non riservandosene che soli cen- to esemplari da distribuire a'suoi amici, e gli al- tri tutti all'autore donando: onde è che Se dell'iliaca sorte Il gran pittor si copre Di non suo manto, e dell'ospizio infido Ripete il Lazio le vendette e i danni, come egli stesso in morte del Gunich elegantemen- te cantò, debbesi ciò attribuire in gran parte a suo merito. Non restrinse però certamente il duca di Ge- rì la sua generosità ai soli letterati , ma univer- salmente la usò, siccome colui ch'era animato dal più attivo spirito di carila. Egli soffriva realraen- 300 Letteratura te al solo racconto delle altrui miserie, e non ave- va, per così dire, pace o riposo, se in qualche mo- do non le avesse sovvenute. E quante volle e quanto largamente non le sovvenne, fino a destinare vistosi raensuali assegnamenti! Ne poteva essere altrimen- ti e per l'indole del suo cuore naturalmente bene- fica , e per la nobile educazione da esso ricevuta, e soprattutto per quello spirito di vera e soda cri- stiana pietà, di cui era ripieno. Infuso questo nel- l'animo suo fin dalla piìi tenera eth, mai in lui non si rallentò: e sebbene egli nella sua gioventìi fosse piuttosto inchinato ai piaceri e divertimenti, seb- bene fosse di umore gioviale e scherzevole, fino a rallegrar talvolta egli solo la società , pure ne si vide mai trascurare alcuna delle dovute pratiche di religione, ne mai si udì motteggiare su cosa che potesse avere colla religione alcun benché lontano rapporto. Crebbe anzi molto in lui col crescer degli an- ni questo spirito di pietà , in modo che si udiva bene spesso in questi ultimi anni declamare sulla vanita de'piaceri del secolo, e protestar di se stes- so, che egli altro vero piacere non trovava che di trattenersi in chiesa ad orare. Con tali sentimenti, ed anche più fervorosi nel corso della sua malat- tia , cessò egli di vivere nel giorno 30 di agosto 4810 in età di anni 62, lasciando di se grata in- sieme ed acerba memoria a' suoi parenti ed ami- ci. Possa l'esempio di un cavaliere che seppe riu- nire in se stesso sentimenti di religione, esattezza ne'suoi doveri, cultura di spirito, e umanità di trat- to , essere seguito se non da molti (che di ciò non è permesso di lusingarci) almeno da non così rari imitatori ! 301 Le favole di Fedro tradotte da monsig. Tommaso jàzzocchl cappellano segreto di Nostro Signore. Seconda edizione col testo a fronte.S.IÌoma 183T. ( Sono carte IX e 36. ) X/ in dal 1823 avevaci dato monsignore Azzecchi il suo volgarizzamento di Fedro: ma non così bello e perfetto in tutte le parti, che potesse dopo tre- dici anni contentarsene il suo squisito giudizio in fatto di eleganze. Ha dunque il chiarissimo tradut- tore voluto rimettere, dirò cosi, sull'incudine il suo lavoro, e tornarvi sopra da quell'uomo eh' egli è tutto vago delle grazie veramente divine dell'aureo trecento. Oh il caro gioiello di lingua italiana che n' è uscito ! Imperocché tutto in esso è leggiadra semplicità: leggiadra, dico: che vuol piuttosto chia- marsi salvatichezza una semplicità che non ha leggia- dria. E certo in altro modo non era a tradursi Fe- dro^ a cui sembra che le stesse veneri latine, nella maggior loro ingenuità e nudità, guidassero la ma- no a scrivere le sue favolette. Ad alcuni, per quanto odo, non pare che mon- signore siasi bene apposto a volgarizzarci in prosa un libretto in versi: quasi intendesse imitare il mal uso, a cui per la povertà della loro lingua sono co- stretti di star contenti i francesi. Ma io veramente non credo, che il verso nelle favolette del liberto di Augusto sia cosa principale : anzi l'ho in tutto per secondaria, e come per aggiunta solo a piacere: prin- cipale essendo , per detto di Fedro stesso nel pro- logo del libro primo : 302 L E T T E R A 't U R A quod rUwn movete Et quod prudenti vitam Consilio monet. E quindi Esopo, primo ritrovatore di questo gene- re di componimento, scrisse in prosa: e non fu che Socrate, il quale per suo diletto prese a mettere in versi que'sapientissimi apologhi. Ora se potè il pili savio uomo di Grecia traslatare in verso la prosa di Esopo, chi vorrebbe con alcuna spezie di giustizia imputare a monsignore Azzecchi di aver traslata- to in prosa il verso di Fedro, scrittore che altro non fu iinalmente che un seguace, anzi piìi spesso un traduttore del filosofo frigio ? y^ esopus auctor quam inateriam reperii Hanc ego polivi versihus senariis (1). Non dirò come io tutto gioisca di vera gioia italiana quando vegga alcuna scrittura risplcndere neir oro de' nostri avi : e quindi non dirò pure quanto mi sia congratulato con monsignore Azzoc- chi , i cui studi pii^i cari sono sempre rivolti a fare che Italia rinsavisca una volta sull'uso della favella: usò che chiameremo , quando abbiasi puro e gen- tile, il maggior testimonio della civiltli di im po- polo , anzi dell' essere un popolo tuttavia libero. Non ch'io stimi (ne forse stimalo monsignore) che tutta la nostra favella sia nel solo trecento: percioc- ché non saprei togliere agli uomini il privilegio chtì loro consentono tutte le lingue vive: ne oppormi ci (i) Pliacclr. Piolof;. lib. i. Fedro trad. dall'Azzocchi 303 quel supremo giudizio di Annibal Caro quando cen- tra il Gastelvetro difese, non potersi stimar finiti la nostra lingua in que'valentuomini dell'età di Dante, del Petrarca e del Boccaccio, non essendo ella ancor morta. Ma ben dirò che nel trecento fu il secolo d'oro, e la maggiore e la piìi genuina e la più candi- da parte del volgar nostro: e che senza lo studio di que'primi maestri vano è sperare che lo scrivere italiano ed abbia fiore di gentilezza e sia secondo la schietta natura di s\ bello idioma. Io contrasterò sempre a'pedanti il fare piuttosto abuso che uso dell' antichitk: ma griderò nondimeno contro a'nostri li- bertini, che allora solamente voglionsi crear nuove voci quando sia certo che non le abbia il gran tesoro della favella (e perciò quanta pratica non si richie- de della favella medesima ! ), e quando sieno belle, vivaci, armoniose, e degne del labbro e dell'orecchio italiano. Altrimenti ogni cosa nello scrivere e nel parlare sarebbe a talento di chi piìi ardisce o per capriccio o per presunzione o per ignoranza : le lingue, con danno gravissimo si pubblico e s\ pri- vato, si muterebbero ogni venti o trent'anni, senza neppur bisogno di serbare alcun che dell'indole na- zionale: e sepolta e vana si rimarrebbe quella che Longino egregiamente chiamò luce propria dell'in- telletto, cioè tanta ricchezza di belle e scelte parole, quanta è nelle opere de'grandi scrittori che fioriro- no tutte le età di un popolo nobilissimo. E tu, sa- cro petto di Dante , ci avresti infine cantata una fo- la, quando pieno d'alta filosofia ponesti nel tuo poe- ma, tanto essere il dir favella qjianto nazione ! Chi volesse intanto im saggio del volgarizzamen- to di Fedro datoci da questo nobile alunno ed amico di Antonio Cesari, 1' abbia nelle quattro favolclte che qui trascrivo. 304 Letteratura ESOPO A UN ATENIESE. „ Un ateniese avendo veduto Esopo giuocare al- „ le noci con una truppa di fanciulli, ristette e lo „ derise per pazzo. Di che accortosi Esopo, uomo „ più da deridere che da essere deriso , pose un „ arco rallentato in mezzo alla strada: e, Olà (disse) „ uomo savio , spiegami perchè abbia io fatto ciò. „ Vi trae il popolo: quegli lungamente si contorce, „ ne sa penetrare il perchè del proposto quesito : „ alla fine si dà per vinto. Allora il filosofo vincito- „ re : Presto , disse, romperai l'arco , se lo terrai „ sempre teso : ma se lo rallenti, l'avrai buono a „ ciò che ti bisogni. „ Cosi qualche volta si dee ricrear l'animo, af- „ finche pili vigoroso torni poi alle usate medila- „ zioni. IL CAVALLO E IL CIGNALE. „ Un cignale voltolandosi in un guado, dove un „ cavallo era solito dissetarsi, lo intorbidò. Quindi „ nacque fra loro contesa. Il cavallo, sdegnato con- „ tro alla belva, dimandò l'uomo di soccorso; e ri- „ cevutolo sul dorso, tornò al nemico. Il cavaliere, „ dappoiché l' ebbe ucciso per forza di dardi, di- „ cono che cos'i parlasse : Godo di averti prov- „ veduto in che mi pregasti ; perche ho fatto pre- „ da, ed ho compreso quanto servigio si può avere „ da te. E così lo costrinse, benché per forza, a ri- „ cevere il freno. Allora colui afflitto : Mentre io „ stolto , disse, cerco vendetta di una piccola offe- „ sa, ho guadagnata la schiavitù.. Fedro trad. dall' Azzocchi 305 „ Questa favola avvertirà gl'iracondi a voler „ piuttosto senza vendetta ricevere offesa, che dar- „ si in potere altrui. IL LEONE RE. „ Niente è meglio all'uomo dello schietto par- „ lare. Questa massima deve certo approvarsi da „ tutti : ma la schiettezza suol tirare a rovina. „ Essendosi il leone fatto re delle fiere , e vo- „ lendo procacciarsi voce di giusto, si mutò dell'u- „ sato tenor di vita: e contento di poco cibo, stan- „ do con loro , teneva ragione a tutte con pura fe- „ de. Ma, poco dopo pentitosi, già comincia a mu- „ tar maniere, ed infine la natura ripiglia di fiera, „ coprendola però accortamente. Comanda alla vol- „ pe che accosti il naso alla sua bocca , e senta V o- „ dor del suo alito. Giuro , diss'ella , che io sento „ l'odore d' un generoso vino, d'un balsamo, d'una „ vera ambrosia. Allora il leone: Io ho fatto voto di „ sacrificare agl'infernali iddii coloro, che con vile „ adulazione non si vergognassero di fare oltraggio „ al vero. Disse, e aggrappatala colle unghie la fe- „ ce in brani. Rivolto quindi allo scimmiotto, gli ,, comanda altresì come aveva fatto alla volpe. Ma „ questo, credendosi divenuto piìi scaltro dall'esem- „ pio altrui, dice con franchezza, uscirgli di bocca „ il fiato piìi puzzolente del mondo. A questi detti „ il leone, mostrando colla increspata fronte fune- „ sti indizi di severità: Così tu, diss'egli, hai ri- „ verenza al tuo re ? così lo disprezzi ? così ad esso „ rinfacci i difetti dell'incolpabile natura ? ma un „ tal delitto avrai meritamente a pagare colla mor- „ te. E in questo dire, aperte le fauci, miseramen- 306 Letteratura „ te Io divora. In tal guisa la malvagità gli appre- 4f sto alla gola quel che bramava ,,. LE CAPRETTE E I CAPRONI. „ Avendo le caprette impetrato da Giove la f^ barba , i caproni recatolsi ad onta corniciarono a „ lagnarsi che le femmine li pareggiassero di auto- „ rita. Lasciate, disse Giove, che esse veramente go- „ dano di un tal vanto, e che si tengano Tornamen- „ to del vostro sesso, purché non vi agguaglino nel- „ la robustezza. „ Questa favola ti ammonisce di patir volentie- „ ri che nell'abito di fuori ti somiglino coloro, che „ ti stanno sotto nelle virtLi. „ Il libro è intitolato da monsignore ad un prin- cipe che per virtìi, per nobiltà, per sapienza più onora la sacra porpora : all' eminentissimo signor cardinale Giacomo Giustiniani pro-segretario de'me- moriali della Santità di JN. S. e prefetto della sacra congregazione dcirindlcc. Salvatore Betti. 307 Sopra le poesie inedite di Carlo Porta in dialetto milanese. - A S. E. lì. monsignor C. E. de'conti Muzzarelli uditore della S. lì. jR, D i queste tali poesie fu data un'edizione in Itallal fino dall'anno 1819: e tacquero i letterati; perocché ne parve inutil cosa rimproverare un libro che ben jjresto sarebbe dimentico , quando nessuna ragione poteva sostenerlo degnamente nella estimazione di noi e di coloro che ne'tempi verranno. Ora delle me- desime poesie è data una novella edizione ; intorno alla quale apriremo liberamente un nostro pensiero, avvisandoci che veramente sia dannoso il giudizio di quell'editore che viene a cavarcele dall'obblio, e per tal modo a spargere semi di mala fama contro la memoria del poeta. Carlo Porta nel dialetto milanese componcvai poesie si belle da vincere quanti a simll gaiezza di studi volsero la mente e l'affetto; non esclusine lo stesso Parini, il Tanzi e il Balestrieri. Dirò anzi che Palermo, Napoli, Firenze, Roma e Venezia potran- ne assai pochi mostrare de'loro cittadini, ì quali sì vivamente esprimessero le cose in poesia secondo la varia natura delle favelle municipali. E tanto pili stimiamo lodevole il Porta, quanto meno la dizione lombarda prestavasi agli ordini della poesia; peroc- ché tale dizione ( per le ragioni che qui non è luo- go discorrere ) e molto povera di quelle native ele- ganze, di che pure abbondano i tanti dialetti di que- sta comune pàtria. E di vero nel volume che si intitola ~ Delie 308 Letteratura poesie edite ~ troverai tanta leggiadria , e tal no- biltà di pensieri , una satira si acuta, ed argomenti sì profittevoli, che Lene avrai a dolerti che il Porta non fosse dalla natura inspirato a dettare con uguale eccellenza nella eccelsa favella (V Italia. Di che a mio credere sarebbe sovra lui voltata una fama one- stissima ed immortale , perchè superato avrebbe que'nostri vecchi, i quali si ridevano di un nonnul- la alla maniera delle femmìnette e dei bimbi; ed in- sieme avrebbe insegnato ai presenti, che la materia degli scherzi, ove sia trattata colle lettere, non deve scompagnarsi dalla umana dignità. Così nella pre- sente corruzione di molti intelletti e delle voglie umane , non avremmo que' tanti romanzieri che ci vorrebbono commovere a gioia, ora mostrando- ne il sorriso de'manigoldi, ora ponendoci innanzi le piìi sucide e ribalde fantasie della taverna e de* trivi. Prima qualità del Porta è la satira, colla qua- le ora ti morde nel vivo, ora ti muove gentilmen- te a virtìi ; quando informato alle grazie del Ve- nosino , quando tutto acceso nell'ira di Giovenale. Se non che egli piìi spesso prende ad imitare il grande Parini in quel mirabilissimo magistero, on- de r argutezza del poeta palatino è accordata al- le tremende ragioni di quello stoico che con alta fronte fulminava un secolo abbandonatamente vile ed infame. Magistero di satira che io non istimo di- sacconcio ai tempi che viviamo; perchè perduto il vigore di quello antico animo onde tenevam fron- te per l'intero mondo, tutto solamente ci è rima- sto di quei vizi, di cui si fé' madre ora la buona ora l'iniqua ventura. Talché i malvagi non pili ar- diti , ma snervati e molli, figurando i vizi con pa- role gentili, si travagliano a mettere in fondo la PoEsiK DEL Porta 309 gloria lasciatane da' padri nostri. Oltre alle cose , che poc'anzi dicevamo, avrai nel Porta una bellez- za ed efficacia d'immagini tutte piene di poesia, le quali ti vengono intere nell'animo, e te lo infon- dono di un soave dilettamento. È per conchiude- re , se questa giocondità di versi non giova ( che oggidì sarebbe temerità sperar tanto dalle lettere ) tuttavolta potremo libare per essi qualche poco d'o- blio alle amarezze della vita; ciò che pure non e picciol fruito. Non sapevamo quindi come avesse ad accrescer- si il buon nome del Porta , la cui fama in tanto ci venne graziosa in quanto i primi editori cerca- rono di metterci innanzi le poche cose e le mi- gliori. Onde non savio consiglio fece l'editore no- vello delle poesie inedite: di che appelliamo al sen- no de' leggitori, e a quanto siam ora per dire. E veramente, per ciò che è verso, componimenti per- fetti sarebbero quelli che prendono il nome da fra Pasquale, dai due Menichetti Biroeu e Tandeug- gia, e le evidentissime stanze di quella perduta Ni- na. Se non che in tali composizioni veggiamo trop- po all'aperto le vergogne del volgo, cioè di tutti coloro che non per santa ragione ma si governa- no a legge di sensi , e a moti di fantasia. Di che manca subito quell'utile dolcezza, che è fine prin- cipalmente d'ogni poesia. Che direm poi di quelle bestemmie e sacramenti orribili, de'quali fin la me- moria si fa grave e molesta al pensiero.'' Non chie- diamo con qual mente si divulghino infamie sì bol- lenti di vino e di lussuria; ma dal secolo vile sa- rem noi forse querelati di offesa patria, se ardita- mente diremo che si veneri la benedetta religione de'padri nostri.? Se diremo che eterno ed unico uf- 310 Letteratura ficio delle lettere è quel solo, onde gli animi si com- pongono alla virtù? Certamente il poeta gittava nel fango la sua anima gentile, allorché a tali sconcez- ze si rilasciava; ma è da credere che egli nel suo segreto gustar volesse il veleno della licenza; vele- no che spesso si fa dolce ai grandi filosofi ancora. Nondimeno è da negare che egli mirasse a guasta- re i popolari intendimenti, chi specialmente con- sideri di che buona vita foss'egli, e di quanto amo- re verso la patria (1). Onde nell'umile sepolcro si abbian pace le ceneri di costui; e piuttosto la ver- gogna ne torni sul capo dell'editore, il quale (sa Dio perchè) volle diseppellirne e ripor sulla bara le colpe di un trapassato. Aggiungo infine che i tem- pi tristissimi che viviamo non son degni di ascol- tare certe solenni sentenze, che il poeta alcuna vol- ta innestava al suo canto; la verità è tal cosa og- gidì, di cui presto innebria l'indiscreta e petulante razza de' ciurmadori ; e mette bene che quella si tenga per molti serrata nel buio, ove sappiasi che taluni de'cittadini potrebbono da lei ricevere di- sperati impulsi; e così perdere eziandio quell'ul- timo scorcio di bene che dalle vecchie sventure non fu consumato. E nulla poi dirò di que' tali sonetti , nei quali il Porta prende a beffare un uomo di altissi- me lettere; il quale avea stimato debito civile ri- pugnare la troppo cieca usanza di taluni , che col dialetto milanese adulavano e palpavano la gros- sezza de'plebei. Questi sonetti a me non paiono ne (i) Leggi la vita del Porla scritta si nobilmente da Tommaso Grossi. Poesie del Porta 3ti festosi ne sani: anzi non veggio in essi risplendere la bella mente del Porta ; esempio manifesto che qualche volta la dignità dell'ingegno prende il luo- go della non pura coscienza; e che la mente uma- na tutta in se medesima si ristringe quando cor- rotta volontà voglia trarla ad ignobili fini. Onde si voleano dimenticare anche i sonetti; perchè qual bisogno abbiam noi che si l'innovino le contume- lie che un bizzarro spirito può lanciare in un uo- mo sapientissimo? L'esempio di codeste brutte que- rele è omai troppo antico; e a buon conto quelle tali strida di Aristofane contro il beato senno di Socrate erano bastevole argomento a dimostrare la viltà, di cui le sacre lettere vanno infette sovente nel mondo. La Priiieide, come dissero i più, tien molto del fare dantesco ; forti e semplicissimi ad «n tempo ne sono i pensieri; ed hai come vive e isott' occhio quelle fantasie tutte piene di orrore , d'arguzie e di pietà. JNè si rimproveri il poeta per- chè quivi la sua vena talvolta meni un po' di fango; anzi di ciò stesso lodiamolo, perchè ci ha data una composizione tolta dal fondo della natura, e tal qua- le convenivasi a quella grossa semplicità del dia- letto milanese, e al maligno dlssennumc del Rocco Lombardo. Anche l'armonia segreta del verso, e l'ac- concia disposizione de' vocaboli si convengono a ren- der le cose doppiamente sensibili. Quanto poi alla politica materia onde in questo poema si disputa, il giudicarne veracemente sia istituto di quegli storici che scriveranno in tempi di libera fama. Peraltro noi ne credemmo non opportuna la pub- blicazione. Son già molti anni che que'versi corre- vano per le bocche d'Italia, forse per nuli' altro che per irritare quegli umori di parte, dei quali 312 Letteratura sarem sempre ammorbati noi, umano genere, fin- che la vita civile sia senza spiriti di virtìi. Le ot- tave del pittor Bossi non sono cosa mediocre; ma le poesie anonime, e que'versi che Carlo Porta scris- se nella nobile favella, sono cosa da vergognarsene il pili povero degli ingegni italiani. E queste cose io scrivea pensando come tanti manoscritti de'gravissìmi italiani non cerchi ne ri- saputi vengano da noi lasciati nella polvere, anzi nell'oblìo; pensando che il più delle nostre tipo- grafie si travaglia in un mercato continuo delle brutture straniere e delle nostre; alle quali non ci crederemmo abbastanza devoti, se deposta la santi- tà della vera letteratura non deponessimo con quel- la il candor del costume antico ed il pensare ma- gnanimo. C. GUZZONI DEGLI AnCARANI 313 1. // gran musaico pompeiano spiegato. Critiche osservazioni su quanto intorno a quello si è fi- nora scrittoi descrizione di altri capo lavori di artey di Giuseppe Sanchez bibliotecario della bi- blioteca reale borbonica ec. Napoli dalla tipogra- fìa Trani 1835 in 8. Di pag. 122 con una lito- grafìa. 2. Due lettere sopra il musaico di Pompei^ del prof, ab. Gio: Battista Baizini. Bergamo dalla stampe- ria Mazzoleni 1836 in 8. Di pag. 55 con una ta- vola colorata. 3. Gran musaico pompeiano : tombe di Ruvo , al- cuni vasi fittili del museo reale borbonico. Napo- li tipografia Plautifia ^ 836 in 8» Di pag. XVI e 32. JLl 24 di ottobre dell'anno 1831 in un' assai bella casa pompeiana, che dicono del Fauno, fu scoperto un musaico largo palmi diciannove ed once quattro e mezza, alto palmi dieci ed once tre (1), escluso il (i) Molto si scrisse anche intorno la grandezza di questo mu- saico dicendola superiore di ogni altro qualunque. Per questo lato però è ben piccola cosa vicino a quello rinvenuto 1' anno 1804 nella tenuta Torrenuova appiè del colle tusculano , per generosa cura dell'eccellenza del principe Borghese. Si stende in lunghezza palmi i4o sopra la di altezza ; ma due terze par- ti soltanto sono intiere. Rappresenta giuochi gladiatori! di va- rie specie : ha il pregio di essere scritto : ed è lavorato con molta precisione e maestria. G.A. T.LXXI. 21 314 Letteratura fregio che ha intorno. Pregevolissimo dal lato dell' arte, non lo è meno pel fatto che rappresenta. Già oltre a venti scrittori occuparonsi per ispiegarlo; ma non sappiamo se possa alcuno di essi cantar vittoria. Facilmente ognuno vi ravvisa una batta- glia nel momento in cui sta per decidersi dell'esi- to; il condottiero de'vincitori sopra focoso destrie- ro trafigge a morte un inimico di alto rango, men- tre questi è per {sbarazzarsi dal caduto cavallo e scendere a piedi: il eri compresi dall'anima in un solo concetto : con che si comprendono in una le definizioni prin- cipali del bello , e sino quella dell'uno nel vario. Il secondo chiama il bello un idea al pari della su- blime idea del vero e del buono , che deve avere ima perfezione formale e reale^ e nella quale deve sparire la forma sensuale, onde diventare forma ed espressione delV ideale. W terzo , distinguendo il bello dal suo piacere e dalla sua perfezione, lo col- loca nell'oggetto che presenta ai sensi o allo spiri- to una perfezione di armonie fisiche o morali^ tutte corrispondenti al loro unico fine (4). Benemerito della filosofia e delle arti nella dotta schiera de'bo- lognesi è Francesco Zanetti , che dal Morgagni fu salutato altresì col titolo d'eloquentissimo i perchè parlando del bello a ragione vuol essere ricordato. (i) Manuale della storia della filosofia.Vol. III. Milano 1806 pag. 822 e segg. G. A. T. LXXI. 22 330 Letteratura Da'suoi Pensieri (1) giova trarne tanto che basti a mostrare la sua opinione sulla bellezza. Egli ere- dea non mal definirsi dicendo, non essere la bel- lezza delle cose , che una certa disposizione che hanno a /piacere: non altro la bontà loro, che una certa disposizione a perfezionarsi. E svolgendo tale idea sembravagli, che si possa per tutte le cose sen- za alcuna eccezione affermare , non altro essere la bontà che la bellezza in quanto perfeziona, ne altro la bellezza che la bonlk in quanto piace. E fu chi notò essersi cosi incontrato colla opinione di s.Tom- maso, lume della religione non meno che della filoso- fia : il quale insegnò , che pulchriim est idem cura hono^ sola ratione dìjferens ; in quanto cioè il bello addii supra bonum quemdain ordinem ad vim co- gnoscitivam ; onde poi pulchrum dicitur id cuius apprehensio placet. Non si potrebbe egli , non si dovrebbe anzi cercare di ridurre in una le diverse opinioni sul- la bellezza? Quanto a noi abbiamo ricordato altro- ve (2), che bello è ciò che piace, che piace gene- ralmente, ciò che è o si percepisce nell'ordine: ab- biamo aggiunto che lettere ed arti gentili deggio- no conformarsi all'ordine, anzi rappresentarlo, se intendono al fine loro che è di piacere. Ecco adun- que lìGÌVordine in generale il segreto della bellez- za. Al quale principio universale per me stabilito riduconsi agevolmente, come i fiumi al mare, le opi- nioni de' filosofi sulla bellezza: le quali comecché disparate ponno strignersi (giova ripeterlo) in due grandi classi: l'una che vuole il bello tutto cosa di (i) Venezia l'jgg pag. 34- (2) f^edi singolarmente il Discono dell'ordine nell'Arcadico Lago i836. SulBello 331 ragione , 1' altra tutto cosa di sentimento. Quanto alla prima, è chiaro adagiarsi nel principio delTor- dine : quanto alla seconda, non può discostarsene; poiché ragione e sentimento sono realmente indi- visi nell'essere che intende e vuole, cioè nell'ani- ma: li distingue il filosofo per istudiarli; ma la na- tura gli grida, che ciò che acquieta lo spirito ap- paga il cuore, e tutto è verità, tutto è ordine, tut- to armonia. Per un' utile applicazione, seguitando diremo delle qualità di perfetto artista. Egli deve esprime- re perfettamente Vordine^ per cui gli bisogna es- ser fornito per eccellenza di mente, di cuore e di fortuna: la mente per la invenzione, il cuore per l'affetto, la fortuna per la opportunità del fare: e sembra dover concorrere insieme queste qualità , di cui le prime dipendono da natura e da studio, la terza dipende da circostanze. Se Michelangelo e Raffaello in antico, se Canova a' giorni nostri non avessero avuto e mente e cuore e fortuna, non avreb- bero dato al mondo quelle maraviglie, per cui so- no superbe a ragione Roma e le arti. Giova per- tanto , anzi è necessario , che gli artisti attingano alle fonti della vera filosofia, che è maestra dell' ordine, per formarsi la mente: abbiano da natura e da educazione cuore tenero e generoso, ricevano da' mecenati opportunità ed agio di fare cose de- gne de'secoli futuri. Studino adunque di forza allo specchio dell' ordine, e tutti a quello si compon- gano e lo esprimano; ma ciò non è tutto: abbiano da natura il sentire e il giudicare squisitamente, jC da' promotori nobilissimi le occasioni : senza le quali, ossia senza fortuna, e mente e cuore sareb- jbero indarno ! D. Vaccolini 332 Versi di Agostino Gagnoli reggiano. Seconda edizione accresiuta. Prato tipografia dei F. F. Giachetti 1836. J\| luno è nelle lettere leggermente versato, 11 qua- le ignori, che dopo essersi riformata in meglio l'ita- liana letteratura, mercè delle generose fatiche del Cesari, del Monti, e del Perticari, i quali nel pre- sente secolo spargendo tanta luce sopra di essa, e la riposero nella sua antica altezza di gloria, e fecero perciò risorgere anche il buon gusto della nostra poesia, nulladimeno ci rimangono ancora due classi di poeti, le quali benché tengano opposte vie , pur tendono ambedue ad oscurarla, e se fosse possibile, distruggerla. Luna classe è di quelli i quali tena- cissimi doloro falsi principii, e ciechi seguaci della scuola frugoniana, e dei sonettieri della passata ge- nerazione, chiusero pazzamente gli occhi e le orec- chie ad ogni riforma in fatto di lettere. Quindi con- culcano e tacciano siccome barbaro il primo poeta degli italiani, e gavazzandosi solo nella stravagan- za delle idee, e nella turgidezza dello stile, ninna cu- ra pongono nella lingua, scherniscono col nome di puristi que'sommi che tentano di ricondurli a'pri- mi fonti, di cui chi non beve sarà sempre vilissimo poeta, e pressocchc indegno di questo nome. L'al- tra classe è di coloro che propriamente pedanti ap- pellare si possono, i quali deliziandosi soltanto nel- la boria delle parole , e sempre amanti di novità , deposero come vili tutti quasi i poeti dello scorso Poesie del Gagnoli 333 secolo; rigettarono indistintamente tutti quelli del secento, sebbene alcuni pur meritassero di andar- ne eccettuati, come il Filicaia ed il Redi; pochi ne approvarono di que'del cinquecento, e forse i me- no degni; e solo levano a cielo i trecentisti, e in essi restringono ogni studio. Ma immemori de'pre- cetti delTaureo trattato del Pcrticari, prendono da questi oro e mondiglia confusamente , e abusano perfino l'Alighieri, da cui tolgono appunto le voci e le maniere più strane e già cadute di uso per comune consenso della nazione. Quindi non solidi- tà di pensieri, non robustezza di stile, non spon- taneità di rime. In questa guisa col cercare il so- verchio raffinamento della poesia, mettono tutta l'o- pera per respingerla nuovamente nell' antica bar- barie. Il eh. giovane sì^. Agostino Gagnoli reggiano, delle cui poesie imprendiamo a dire alcuna cosa, ha seguito gli esempi dei grandi : e senza cadere ne'due eccessi ha saputo tenere una via di mezzo, e ci ha dato un saggio di poesia veramente italia- na , la quale si potrebbe prendere a modello da chiunque ami professare quest' arte che ci rende tanto beata la vita. Il Gagnoli non ha preso a trat- tare argomenti gravi ed eroici, ma piuttosto amo- rosi, o amejji, o malinconici, come quelli che piii si confacevano all'animo suo: e gli ha esposti con variati metri, secondo che gli ha trovati piìi accon- ci alla loro natura. E se la maggior parte di cpie- ste poesie non sono scritte con grande ardimento di stile, egli è appunto, perchè gli argomenti me- desimi noi comportavano. In esse però e mantenuta sempre una dignitosa semplicità che t' incanta , e che non trovi certamente in chi non è vero poeta. 334 Letteratura Perciocché alcuni de'nostri trattano argomenti pa- storali con una soverchia gravità che all'epica piut- tosto si addice , ovvero adoperano tale semplicità che al vile e al plebeo prestamente si accosta. Or queste poesìe valgano a riprendere e trarre d'inganno quei severi pensatori, i quali vorrebbono che le muse non trattassero quasi altro che spade e pugnali , e loro vietano distrettamente gli amori e le campagne, ed ogni qualunque altro genere di te- nue argomento, siccome frasche inutili e noiose. Co- storo pongano mente , che anche i più celebri di- pintori non soltanto rappresentarono , a cagion di esempio, le battaglie di Troia e gli avvenimenti di Ulisse, ma ci pinsero insieme i fiorellini del campo, ì boschi, gli armenti: le quali cose pur danno grata vista : e Anacreonte prese ancor egli a cantare il ni- do di una colomba , una pianta, un ruscello, eppu- re menò tanto grido, e fu riputato tra i primi poeti di Grecia. E l'amore che è la prima passione dell'uo- mo , quella che ad ogni magnanima impresa lo gui- da, e tutto ingentilisce l'universo, non presterà ai poeti materia di nobilissimo verseggiare? Le bellez- ze poi di natura cantate sopra una lira servono mi- rabilmente a confortare lo spirito, e ci danno un dolce ristoro nei travagli della vita. Bensì raccoman- diamo a tutti quelli che imprendono a scrivere su tali argomenti di adoperare ogni cura onde recare qualche utilità morale, per non correre pericolo di essere veramente inutili, e di solo lusingare le orec- chie. Nel che non è lode che ])asti al merito del Ga- gnoli, il quale ha saputo saggiamente mischiare l'u- tile al dolce. E per fare primamente parola dei sonetti, dai quali il libro prende incominciamento, sembraci che PoEsiB DEL Gagnoli 33S il primo sia di ammirazione degnissimo, e contenga molta bellezza, perchè di stile assai robusto, e pie- no di gravi pensieri che l'autore ha vestiti di una magnifica allegoria. Negli altri alla sua donna trovi tutti pensieri delicatissimi, e ne'due seguenti ammiri un gusto ve- ramente petrarchesco : Vidi fanciulla d'angelico viso, Forse in quel punto dalla terza sfera Discesa, che mortai cosa non era, Ma veramente nata in paradiso. Avea sul labbro, e piìi negli occhi un riso Che mette in nudi campi primavera ; Ne si dolce è a mirar Cinzia alla sera , Come tenere in lei lo sguardo fiso. Ogni bel salutare a me non tacque, E accesa in volto d'amorosi spirti La man mi stese, ed il mio duol qui nacque. Ove mi trasse ? quale albergo entrai ! Era terra ? era cielo ? io noi so dirti. Ch'altro non vidi che que'santi rai. Ov'è il candido volto che disceso Parca poc'anzi dall'eterea via, Ov'è il bel guardo d'onestate acceso Che un paradiso a se d'intorno apria? Ov'è colei che servo mi ti ha reso, O crudo amor, ov'è la donna mia. Che quando il mondo fu a mirarla inteso Della felice gioventù fioria ? Ma perchè intorno si querela il vento. Perchè non splende più sereno il cielo, E il dolce loco d'allegrezza è spento ? 336 Letteratura Perchè lagnasi il rivo, e il capo abbassa Il languido fioretto in su lo stelo ? Oli come tutto si dilegua e passa I Il sonetto sopra Arqua, che noi altrove lodammo, merita singoiar menzione, perchè in pochi versi ci spiega a colpo d'occhio quanta cagione abbiamo di venerare quella terra. Non meno è bello il sonetto alla Vergine, quello a Cesare Bettellonl in cui parla all'afflitto amico con parole di dolcissimo conforto; e gli altri due, ne'cjuali piange la morte della sorella. Seguono i canti alla luna, degnissimo e leggia- drissimo argomento, di cui sembra che il Gagnoli si piacesse piìi che di ogni altro: e perciò vi ammiri una squisitezza di concetti, i quali siccome gli nascono tutti dal cuore, fanno una dolce impressione nell'ani- mo dei leggitori. Gravi e sentenziose sono le chiuse di questi canti, e sopra tutte quella dell'ultimo, la quale suona cosi : Tu non m'ascolti; omai Tramonti e dir mi sembri Co' moribondi rai Gh' io pur tramonterò. Ah! qual tu adesso, in breve Tramonterà mia stella: Tu sorgerai piìi bella, Io più non sorgerò. Sono egualmente pregevoli le poesie campe- stri per lo stile puro e semplice, per la naturalezza delle idee, e per la spontaneità delle rime. La quar- ta strofa del canto intitolato / campi rinchiude in brevissime parole tutti i piaceri che si trovano nel- la vita campestre. Poesie del Cagmou 337 Ombre romite, Dipinti fiori, Aure gradite, Terra fedel. Piime d'augelli, Canti d'amori. Chiari ruscelli, Limpido ciel. Il canto delle tortori ha una chiusa morale tanto pili Leila quanto inaspettata. Quello aWaicra autun- nale ti mette in cuore una dolce malinconia, e ti chiama a mente la caducità della vita. I due canti sopra Flora formano un poemetto tutto pieno di grazie. Il sig. Cagnoli si è provato anche nell'egloga, e vi è riuscito felicemente tanto per lo stile quanto per la espresione del carattere pastorale in una che trasse da un idillio di Gesner. In essa sono intro- dotti due pastori a discorrere le loro vicende che sono di sorte assai diversa, mentre l'uno lutto si allegra per la ventura di possedere una sposa che lo ama con singolare tenerezza, l'altro per lo con- trario dolcemente si lamenta che la sua amata noi curi: e finisce l'egloga con queste patetiche espres* sioni : O Amarillì, o angioletta in terren manto. Ve' come il cielo ascolli La mia preghiera, e quanto M'allieta il gregge e mi fecondi i colti! E tu sola non m'ami, e vuoi ch'io mora? Ah! se m'amai! gli dei, m'ama tu ancora. 338 Letteratura Belli sono gli sciolti intitolati ad un viaggia- tore per l'Asia. I seguenti risvegliano in pochi trat- ti le pili grandiose idee: Baciasti alfin la terra benedetta Della santa citta di Palestina. Deh! guai ti festi nelle sacre mura, Nella sua valle, ne'suoi nudi monti, Al Giordano che povero e silente Nell'asfaltico mar l'acque devolve. Al gran sepolcro! Al sol membrarti io piango, E tutta di pensiero erra in pensiero La smarrita alma mia. Casa di Giuda! Oh tempi, oh reggia, o aquile romane. Oh pie crociate, oh di torri cadenti Lungo rimbombo e polve e rovinio! Belli non meno e commoventi sono quelli ad El- vira, e senti come questi tre imitino perfettissima- mente natura nell'esprimerc un dolce suono che si perda nel silenzio di placida notte: e nota D'innamorato flebile liuto Commisi alla raminga aura, che in eco Si morìa mestamente lontanando. Rammenterò finalmente, a cagion di lode, il can- to delle vergini d'Israello in morte della figlia di Jefte, le odi all'Adelina e a Lilla, e in morte del- la sorella, e il canto airingegno con che chiudesi il libro. Se tutti i giovani ponessero mente e studio a scrtvere alla maniera dei classici, come ha fatto il Poesie del Gagnoli 339 sig. Gagnoli, non è dubbio che l'italiana poesia pre- sto ritornerebbe al suo antico splendore. Concios- siachè, sebbene in questo secolo non manchino som- mi scrittori, nuUadimeno i mezzani e gl'infimi so- prabbondano, e sono veramente saecli incommoda pessimi poetae, i quali coll'imbrattare le carte dei loro versi altro non fanno che oscurare e invilire la gloria nostra. E fosse in piacer di Dio che l'Ita- lia nostra avesse pure pochi poeti ma veri perchè non si abbia a convertire in vituperio quell' arte divina che il Salvini chiama meritamente dono del cielo! Gelestino Masetti 340 Atti delV accademia reale lucchese in morte di Teresa Bandettini Landucci fra gli arcadi A~ inarilli Etnisca. Lucca per Francesco Bertini ti- pografo ducale 1837 in 8.*^ di pag. 126 con ri- tratto. A, .ppena avvenuta la morte di questa insigne poe- tessa, non solamente nel giorno 7 di aprile del cor- rente anno la reale accademia lucchese recossì in quella basilica di s. Frediano, ove il signor aba- te don Lorenzo Tornei professore di filosofia nel regio liceo con funebre laudazione encomiò la de- funta, ma ai 30 del seguente maggio tennesi solen- ne adunanza per onorare una cittadina si illustre. Fu questa decorata dalla presenza di cjueirarcive- scovo, e di sua altezza reale la principessa Carlot- ta. Il eh. slg. avv. Fornaciarl diede alla medesima incominciamento con una sua elegante prosa , che tutta aggiravasi intorno al merito letterario della defunta: dopo di che seguirono alcune composizio- ni poetiche di vario metro di que'chiarlssimi soci. Tutte le cose recitate in tali occasioni sono riferi- te in questo volumetto, che stampato con nitidi ca-' ratteri, forma il supplemento al tomo IX degli atti dell'accademia. ]Noi per darne contezza ai lettori trascegliere- mo alcuni saggi s\ delle prose e si de'vcrsi. Il prof. Tomei, parlando dciringegno della Ban- dettini, COSI si esprime a cart. 9. ,, Ma a che avrebbe giovato lo ingegno senza la volontà? Sono spesso da Accademia Lucchese 341 piangere tanti ingegni elevati, che a tutl'altro dedi- ti, che alla bramosìa di sapere, gettano gli anni piìi belli della lor giovinezza nella crapula, nel giuoco, e nelle più nefande turpitudini, mentre la natura gli avea fatti per la gloria , la patria ne aspettava il consiglio, la religione la difesa. Questa buona vo- lontà non mancò certo alla gran donna. Conobbe di poter molto, e volle quanto poteva. Continuamen- te distratta, e continuamente dedicata allo studio ella fu. Si lodano a cielo una Bianca d' Este, una Cassandra Fedele , una Vittoria Colonna , ed al- tre celebri donne, perchè nella delicatezza del ses- so seppero volger l'animo agli studi, e farsi grandi nelle lettere. Ne io vò già dar loro biasimo se for- nite di bello ingegno ne usarono a prò delle let- tere e delle scienze. Anzi io reputo sommo pregio cjuella buona volontà, che le portò agli studi, e per cui vennero in quella fama, alla quale non sareb- bero giunte giammai se avesser solo praticato le arti donnesche. Ma a confronto della nostra Ama- rilli, mi va di molto a minuire l'ammirazione, che destasi al leggere la loro vita. Erano esse nate nelT opulenza, state sotto la direzione di maestri abilis- simi, invogliate da questi allo studio, incoraggiate, applaudite, premiate ne'primi passi della lor let- teraria carriera. Qual maraviglia che balzassero i loro petti di amor per lo studio , se avean dallo studio sì bel guiderdone? Ma la nostra Amarilli sep- pe unire l'amor dello studio a tutto ciò che gliel contrariava. Nella mancanza dei libri, traile disgra- zie domestiche, pensa allo studio: traile distrazioni della danza, e nel vagare da un paese ad un altro per procacciarsi pane, pensa allo studio: e vieppili s'infiamma d'amore per quello, e tanto anche sen- 342 Letteratura za maestri, e direi quasi senza libri mette a pro- fitto l'ingegno, che già in Bologna, mentre si eser- cita tuttora nel ballo, è salutata per celebre poetes- sa, ed è ammirato un suo sonetto, e più la vasti- tà delle sue cognizioni da un Colomas, da un Ca- sali, da un Aklrovandi, e soprattutto da un Lodo- vico Savioli, che si reca a salutarla, e maravigliato del suo sapere, la fa tosto annoverare nell'accade- mìa de'fervidi , e le esibisce perchè possa alla sua inclinazione soddisfare, le esibisce la sua amplis- sima libreria. Non ho dunque ragione di asserire ch'ella fu veramente grande pel suo ingegno, ma pili per la sua volontà , che volle porre a frutto ciò che natura aveale conceduto? „ Siccome però ad un sacro oratore ed in una chiesa assai piìi conve- nivasi di parlare di cristiane virtìi, cosi egli in ap- presso non mancò di minutamente descrivere la ca- rità , e le altre belle prerogative di animo della Bandettini, per cui non fu meno chiara di quello che lo fosse stata per l'ingegno. Le quali cose ci hanno veramente riempiuti di giubilo, e vorremmo vedere in tutti i letterati la modestia, la carità, e la religione, come rifulsero nella Bandettini, il cui esempio il eh. prof, esorta tutti ad imitare, ed in ispecie coloro che alle scienze ed alle lettere dan- no opera. Dopo un elogio cosi bello e pieno di erudi- zione, pareva che null'altro rimanesse a dire, o per lo meno che sarebbesi dovuto ripetere il medesi- mo da chi avesse corso lo stesso aringo. Ma a chi non è nota la valentìa del eh. sig. Fornaciari? Que- sti pili particolarmente tolse a descrivere il merito poetico della sua concittadina: e per farla da mae- stro, com'egli è, prese a considerare i tempi in cui Accademia Lucchese 343 scrisse la Bandettini, e gli aiuti ch'ella si ebbe: mo- tivo per cui tracciò brevemente un quadro de'tem- pi in cui visse. Noi volentieri il riportaremo, an- che perchè in esso parlasi del vero merito di quell' arcadia, contro cui non si cessa di lanciare conti- nuamente villanie. „ A portare diritto giudizio, dice il sig. Fornaciari a e. 28, d'uno scrittore fa di mestie- ri guardare ai tempi in cui egli si avvenne: qual si fosse allora la condizione degli studi, quali aiuti a- vesse, o quali ostacoli nel gusto allora signoreggian- te: senza le quali ed altre simili considerazioni si corre pericolo di non apprezzare abbastanza la vir- tìi di lui, o di fargli soverchio rimprovero de'suoi difetti. Per ammirare appieno le gentili poesie di Lorenzo de'Medici e quelle piìi gentili del Poliziano, e per non dar loro colpa di alcune plebee forme di nomi e di verbi, è da por mente alla rozzezza delle italiane lettere nel quattrocento, e alla man- canza allora di ogni regola della lingua. Chi non istupirà che il Segneri pervenisse a tanta eccellen- za di predicare, a quanta ne prima ne poi nella moderna Italia altri non pervenne in un secolo in che l'arte oratoria era in fondo? e chi non vorrà perdonargli qualche lieve e raro abuso d'ingegno nei concetti e nelle parole, e talvolta qualche so- verchio lusso di erudizione in una età, in cui le pre- diche erano un continuo tessuto d'inopportune dot- trine, e dei pensieri e dei favellari più strani? Do- po la meta del passato secolo, quando surse e co- minciò a venire in fiore la Bandettini, erano le ita- liane lettere in basso stato. Per non dire qui che della poesia, i più. dei versi erano poveri di cose e baie canore. Amorosi lai di pastori, le saette di Cu- pido, la facella d'Imene, i fiorellini e i zeffiretti 344 Letteratura della primavera ed altri si fatti erano per lo più gli argomenti degl'italiani versi. Se oggi è avuta in odio forse anco di soverchio la mitologia, allora si aveva di soverchio in amore, ed era per cos'i di- re il pan quotidiano de'poeti, e la fonte di molte poetiche composizioni, e il piìi carezzato ornamen- to di presso che tutte. Tolga il cielo che io accor- di la mia voce con quelli che di ciò accagionano Yarcadia, contro la quale, come tempo fa contro la crusca, è venuto in moda di scagliare maledizio- ni, senza un riguardo al mondo, che a lei dobbia- mo in tanta parte il ristoramento delle lettere sì mal conce nel seicento, e che a lei appartennero e forse per lei si formarono valentissimi poeti, ed alcuni di quelli stessi che nei tempi a noi vicini levaronsi a plìi sublime volo, e c'insegnarono di ri- chiamare la poesia a pili gravi suggetti ! Altre sono e troppo diverse le cagioni di quell' efifeminamento degl'italiani poeti. „ E qui il chiarissimo autore enu- mera le varie cagioni che ciò produssero, e come al- cuni proponevansi d'imitare il Metastaslo dettando rime in prosa o prose in rinia^ altri afifogavano in un mar di parole, e piìi che 1 prosatori del cinquecento allargavansi in eterni periodi, altri imitavano il va- te di Caledonla, tutti di gallicismi la loro lingua in- sozzavano. Gittate in tal guisa le basi del suo elogio, il prof. Fornaciari viene a parlare da filosofo degli studi della Bandettini, e ne pone nel vero suo lume tutto 11 merito letterario. Lunghe ed erudite note vi ha egli aggiunto per appendice, nelle quali leggonsi anche il sonetto del Mascheroni, quello dell'Alfieri, ed alcuni epigrammi italiani e latini del Pagnlni in lode dell'esimia poetessa. Venendo ora alle poesie, queste consistono ne' Accademia Lucchése 345 sonetti dei signori prof, cavaliere Giacomo Fran- ceschi , avvocato Pardo Pardi , abate don Pietro Pera canonico della cattedrale e bibliotecario di S. A. R. prof. Giuseppe Maria Cardella, avv. Giusep- pe Pellegrini, ab. ]Leonardo Maria Cardella di cui è anche un'ode italiana, abate Costantino Biancucci, in un epigramma greco con versione italiana del lodato sig. avv. Fornaciari, e in una latina elegia del nominato sig. prof. Giuseppe Maria Cardella. Leggesi in fine il sonetto di monsig. Muzzarelli socio corrispondente di quella reale accademia, e da noi già riportato nel Tomo LXX a cart. 252. Per dare però anche di questi versi un saggio, siccome al)- biam fatto delle prose, trascegliamo volentieri il sonetto del sig. canonico Pera (pag. 99): Se nobil sdegno ti scaldò la mente E a grave suon fu tua favella schiusa, Quasi del fiero ghibellino ardente L'alma crucciosa in te parve trasfusa: Se poi con voci d'alterezza spente Cantò pace ed amor tua dolce musa. Meravigliando ogni più schiva gente Pensò risorto il cigno di Valchiusa; Perchè tua fama al ciel spiegando i vanni Andrà con quella di Corinna a paro Del tempo o dell'invidia incontro ai danni. Ma dello stil, che ti fa tanto onore. Vivrà di tue virtìi nome piìi chiaro „ Da dove nasce il sol fin dove muore,,. I Nella latina elegia del Cardella scorgesi la l>uona imitazione de'classici, siccome ne fanno fede i se* Iguenti distici (pag. 102): G^A.T.LXXL 23 346 LKTTKRA.TURA Heu! modo doctarum fuerat quae cura sorarum Exigua tegitur eulta Amaryllls humo. Coetibus aJscribi vatum quid profuìt olii? Carmina quid blanda concinuisse lyra? . . . Quid memorem Calabri lacrymosa poemata Quinti Italicis dulci reddita voce sonis? Aut, quo non fuit illa umquam praestantior alter, Pulcra repentinis verba ligata modis? Heu! cuncta in nihilum recidunt, frustraque perenni Ora aganippea rite rigantur aqua .... e poco dopo Ast ea, sublimis superas invecta per auras, Nunc baurit coelo liberiore diem. Papius buie comes est et Luccheslnlus, atque Vates quos tellus Aesaris alma tulit. Horum colloquio frueris per saecula, tuque Auxisti numeros, sacra Amarylli, pios. Noi ben di cuore ci congratuliamo colla reale accademia lucchese per questi funebri omaggi de- gnamente resi ad una concittadina , che tanto ha onorata la patria. Possano essere questi di stimo- lo e di eccitamento altrui per correre animosi nel- i la carriera delle lettere e delle scienze, siccome ivi | fecero i Beverini, i Tominasi, i Bonamici, i Man- | zi, i Lucchesini ed altri di nobilissima fama! Prima però di dar compimento a questo ar- ticolo riferiremo un sonetto, che l'egregia sig. Ade- le Gurti milanese compose in morte della Bandet- tini: il quale sarà un altro fiore aggiunto a tal serio. Accademia Lucchese 347 Fornito ha la sua via pari a leggera Nube che per lo azzurro ampio veleggia: D'eteree glorie il di la cinse, e a sera Espero e l'aura ancora la vagheggia. Ardea l'anima in lei qual brilla altera Fiamma tra preziosi aromi e ondeggia A ogni soffio gentil: bella e sincera La piange il mondo e il cielo la festeggia. Però qui in terra per ricordo santo Eterne ella tessea vaghe corone Colle virtudi del suo nobil canto. Piìi sacro, itale donne, oh! par che suone Dolce voto d'amore, o d'onor vanto Su l'ale d'inno che ad alt'opre è sprone! F. Fabi Montani 349 VARIETÀ^ La divina commedia di Dante Alighieri ridotta a miglior lezio- ne coir aiuto di vari testi a penna da Già. Batista Nicco- lini , Gino Capponi, Giuseppe Borghi e Fruttuoso Becchi. — 8. Firenze tipografia Borghi e compagni iSSy. VJhi non crederà che la lezione della divina commedia dataci da uomini cosi chiari nelle cose de' classici, come sono il Nic— colini, il Capponi, il Borghi ed il Becchi, non debba essere e la più ragionevole e la più poetica e bella ? Ed in vero tal è : e lietissimi ne saranno quanti abbiamo studiosi del sacro poema: e volentieri vorranno congratularsene con quel fiorentino giudizio. Tutto è qui modesta critica e rara lealtà; tutto è vero e nobile desiderio di rendere migliore il testo di Dante ; ninno della il- lustre schiera intende farci, come de'pedanti accade, né del pre- suntuoso, né del maestro. Sicché dove pur abbiavi chi per sue ragioni o di poesia o di filosofia o d' altro non creda di potar accettare questo o quel cambiamento propostoci dai dottissimi, ec- co darglisi o a pie di pagina, o ne^Yx Avvertimenti che seguono a ciascuna cantica, non »olo le antiche lezioni di Aldo, della Cru- sca e delle stampe più riputate, ma tutte quasi le varianti de'mi- gliori codici che si conoscono. Il che non è a dire come ren- da preziosa quest'opera e veramente italiana. S. Betti 350 Varietà* Atti della società letteraria volsca veliterna. Voi. II. 8. Velletri tipografia di Domenico Ercole iSSy. ( Sono carte ti8g. ) VJ i congratuliamo di cuor sincero coll'accademia volsca di Vel- letri per questo secondo volume degli atti suoi. Ella ben mostra di non avere dimenticata la chiarissima rinomanza , che dì se levò nello scorso secolo non solo per Italia, ma per Europa- Oh possa fiorir sempre cosi alle scienze, come ai gravi studi dell'an- tichità ! Ed avere per lunghi anni ad indefessi cooperatori della sua fama que' due nobilissimi ingegni di Luigi e di Clemente Cardinali ! Ecco il catalogo degli scritti che sono in questo volum» .• I. Epigrafe istriana pubblicata e spiegala dal dottor Giovanni Labus; 2. Intorno la serie de'prefetti di Roma redatta da Eduar- do Corsini lettera di Clemente Cardinali al conte Alessandro Cappi: 3 Esame politico critico del primo stato legislativo di Ro- ma, e de' fatti che precedettero la formazione delle leggi delle '2 tavole : dell'avv. Giuseppe Pielromarchi; 4* Ragionamento in- torno la chinina semplice e combinata all' acido solforico, del dott. Francesco Rossi ; 5. losephi Alessi de nummo aetneo ine- dito; 6. Rapporto di mostruosa trasposizione dei visceri addomi- nali di un feto, del dott. Giuseppe Tonelli; 7. Ex quo fonte pro- manant mala, quae nostris bisce temporibus societatem assidue perlurbant, dissertatio Francisci Aloysii Cari; 8. Di alcuni tegoli scritti del museo borbonico , dissertazione del prof. Raimondo Guarini; 9. Aggiunte di Clemente Cardinali alla lettera intorno alla serie de'prefetti di Roma; io. Elogio di monsignore Onorato Caetani letto da Clemente Cardinali segretario deli' accademia ; II. Elogio di Ennio Quirino Visconti, letto dal medesimo Clemen- te Cardinali; \i. Elogio di Luigi Lanzi, letto dal medesimo Cle- mente Cardinali; i3. Elogio di monsignor Gian-Carlo Antonelli vescovo di Oioclia, letto dal cav. Luigi Cardinali < i4- Elogio di Giovanni Aiitonio Riccy , letto dal medesimo cav. Cardinali. S. B. Varietà* 351 Alarne poesìe di Alfonso di Lamartine recate in versi italiani dal conte Alessandro Cappi. 8. Ravenna presso A. Roveri e figli 1837. (Sono carte 22. ) J.^ oi preghiamo affettuosamente il signor conte Cappi a porre in altre cose il suo nobile ingegno , che in volgarizzarci le poesie liriche de' francesi ( nazione , come dice lo slesso Vol- taire (i),la meno poetica di quante altre sono in Europa), e quel- le soprattutto del Lamartine. L'Italia non ha bisogno di queste miserie, e molto meno di rinnovare il secento , il quale presso- ché tutto ritrovasi, anche col chiamare le stelle sabbia lucente del cielo, ne'versi di quel proteo romantico, ora spasimato di re- ligione, ora scettico, ora empio, e sempre pieno di squisitezze achillinesche ne' suoi concetti: come altresì non ha bisogno dell* opera che tanto indegnamente spendono altri in traslatarci gli scritti di quelle due vergogne ed infamie della Francia moderna, anzi della civiltà europea, Vittor Ugo ed Alessandro Dumas. Oh abbiamo, o letterati d'Italia, un poco più di nazional dignità! E sarà meglio, che questo tutto di ribadirci tante sentenze presun- tuose contra ciò che nelle lettere e nella filosofia ( lasciamo sta- re la santità della religione) fecero que' nostri grandissimi avi , che primi e soli con forza erculea cacciarono la barbarie da tut- ta Europa : e che fatta volentieri licenza ai fanciulli e agli stolti d'andar dietro alle novità per ciò solo che appaiono novità,si mo- strarono a tutta la terra e più profondi in vera sapienza, e più valenti in forti, onorate e durevoli opere, e più teneri d' amor di patria, che pur troppo non siamo tanti e tanti di noi, malgra- do delle ciance magnifiche che diciamo e scriviamo, scimmie de' ciarlatani di là da'monti, „ Maggioreggiando pettoruti e tronfi ! (i)De toutes les notiont polieslanotre estU tnoins poetiqu». Eisny sur la poesie epique e. g. 352 Varietà' Noti vuoisi con questo già contrastare al eh, signor Cappi di averci dato nella presente traduzione molti be' versi, di quelli che sa egli fare con tant' onore del nome suo e della sua patria. M. Di Bernardino Pinturicchio pittore perugino de' secoli XV e XVI, memorie raccolte e pubblicate da Gio. Battista Vermiglioli. Con appendice di documenti in buona parie inediti, e con il- lustrazioni nuove e copiose anche della vita e di qualche ope- ra di Pietro Perugino , onde emendare i biografi suoi, ed al- le omissioni loro notevolmente supplire. - 8. Perugia iSSy, tipografia Baduel, da Vincenzo Bartellì. ( Sono carte 288 e LXX col ritratto del Pinturiccliio in rame ). xJ'\ quest'opera in tutto degna del celebre autore, cb'è uno de* più solenni critici ed eruditi che onorino in questo tempo l'ita- liana letter.Ttura, si parlerà in altro volume del nostro giornale. Su la vita e su le opere delT abate D.fmrnico Scinà, discorso del barone Vincenzo MortiUnro. 8. Palermo, tipografia {lei giornale letterario i85y. ^Sono carte Sg ). KJ ni» gran srtpienza nello coso non mono della natura che de- • li slati r voniiln moni) nli'Itiilia nc'porhi mesi che sono corsi fin Varietà* 353 qui dell'anno iSSy: avendoci pur troppo la falce della morte mie- tuto tanti capi famosil Ecco infatti che più non sono né il Botta, né il Rasori , né il Balbo, né il Serra , né il Leopardiane il Mo- lon, né il Giovene! Ora alla perdita di tanto senno vuoisi ag- giungere l'altra di Domenico Scinà, uno de' primi intelletti che fiorissero cosi le nostre scienze come le nostre lettere. E certo chi v'ha, non dico in Italia ma in Europa, che non conosca quel- la sua maravigliosa introduzione alla fisica sperimentale : mara- vigliosa, dico, e già da uno scienziato chiarissimo celebrata co- me degna della mente di Newton? Chi non conosce le sue me- morie sulla vita e sulla filosofia di Empedocle, il suo discorso in- torno ad Archimede, la sua traduzione de'irammenti dì Arche- strato, il suo elogio del Maurolico , ed infine, fra tante altre no- bilissime opere, il suo Prospetto della storia letteraria della Si- cilia nel secolo KyiIIlVomo religiosissimo, egregio suddito, cit- tadino tutto amore e carità di patria, egli era veramente la glo- ria della Sicilia, la quale godeva mostrarlo alle genti di qua dal faro come una delle più ferme colonne, su cui fondavasi tutta- via il grande edificio delle scienze italiane dopo esserci man- cati il Volta, rOriani, ed il Piazzi. Ed anch'esso non è più! Po- che ore hanno bastato a rapirci quella preziosa vita , che omai logora dalle fatiche di 72 anni dovè cedere finalmente alla vio- lenza del contagio colerico il giorno 3i di luglio .' Era nato lo Scinà in Palermo nell'ultimo giorno di febbra- io del 1765: era isloriografo regio, pi'ofessore di fisica e cancel- liere della palermitana università, membro perpetuo della com- missione per la pubblica istruzione ed educazione della Sicilia, cavaliere dell'ordine di Francesco I. La vita e le opere del grand' uomo sono state assai dotta- mente illustrate dall'egregio signor barone Mortillaro in questo discorso, nel quale con diletto troviamo tutto rappresentatoci qual era Domenico Scinà , cosi nelle virtù come anche in que' difetti che sono retaggio della natura umana • ed in quel suo stimare, come i magnanimi nostri avi facevano, la più cara cosa e desiderabile dopo la virtù esser la gloria. Noi vogliamo sincera- mente congratularcene col chiaro e nobile autore.- se bene avrem- mo desiderato ( di grazia permetta egli al nostro animo questa 354 y A R .1 « T a' sincerità) che alcune troppo acri querele, nelle quali a vicenda si ofTessero lo Scinà e parecchi letterati viventi, si fossero da lui o passate sotto silenzio, o narrate con meno severità verso questi ultimi. Imperocché ci è avviso cheaque'benedetti,i quali nel ba- cio di Dio finirono la vita , non possa saper bene che per loro amore si svergognino i vivi, massime se gli ebbero a compagni e concittadini; e che il far perpetue anche al di là del sepolcro le inimicizie non sia cosa d'animo né pione cortese. Ciò principal- mente diciamo per le parole alquanto acerbe, che il signor baro- ne a carte 28 e 29 scrive contra il celebre Nicolò Cacciatore, il quale è pure una luce delle più splendide onde oggi s'illumi- na il bel cielo della Sicilia. S. Betti. yUa di Paolo Costa ravegnano scritta da Filippo Mondani. 8. Ravenna nella tipografia Roveri iSZ-j. (Sono carte a8). JTuò giudicare di questa f^ita chi ha letto nel nostro giornale tutte le altre de' ravegnani illustri, che ciba date il chiarissimo signor Mordani. Io non credo che si possa far meglio sia per gra- vità di giudizio, sia per dignità, sia per affetto, sia per eleganza; e ben proporrei ( e il dico con quanta sincerità ho nell' anima ) r esempio di questo autore a tutti coloro che qujnd' innanzi vor- ranno senza lusso o povertà scrivere vite o biografie. Questa del nostro celebre amico Paolo Costa è un vero gioiello. S. B. V A R J K T A* 355 Il ritorno a Bologna nel 1837. - i. Bologna tipografia Nobili e compagno iSSy. (Sono carte i5 ). Xl marchese Alessandro Baldassìni, come ci è occorso dire altra volta, è di que'genlili spiriti che fanno della bella Pesaro uno de' seggi dell'italiana sapienza. Caro alunno di monsignor Farini , egli se ne mostra ben degno usando soprattutto la sua giovinez- za nello studio de'classici. Essendo tornato dopo vari anni a Bo- logna, ha voluto ivi render fede a'suoi nobili amici cosi del suo piacere, come della memoria che serba di tanta virtù, di tanta dottrina. E veramente bello il vedere dal prestantissimo giova- ne ricordati in queste terzine i nomi illustri e di esso Farini, e del Venturoli, e del Tommasini> e dell'Angelelli, e del Costa, e del Marchetti, e del Gambara, e della Carniani Malvezzi , e del- la Pepoli Sampieri, e della Rossi Martinetti. Ecco alcuni versi del principio di questa poesia: Una soavità di rimembranze Profondamente a me ricerca il core, E si dipinge nelle mie sembianze. Or ch'io riveggo di virtù, d'onore L'almo felsineo albergo, ove allegrezza E cura di saver sì parton l'ore ! Nel primo tempo di mia giovinezza Qui la mente educai, qui lieta e viva Di verace amistà sentii dolcezza. Appena io fuor di puerizia usciva. Che, sospirando ai bei felsinei liti. Pur dolce il nome risuonar n'udiva. E chiaro spirto (1) a me diceva sul Viti; j. T'avrai nella città del picciol Reno „ Ad ogni opra d'onor possenti inviti. „ (i) Monsignor Pellegrino Farini rettore del collegio di Ra- venna. 356 Varietà' Se stupor mi percosse , e novo e pieno Fu mio contento allor che il pie qui posi , A questo dir la mia favella è meno. A'sommi avvicinai che gloriosi Noma la fama, e di saver portenti, E tenni in loro gli occhi miei bramosi. Vidi che a breve meditar contenti Non furo, e che seguendo onor verace A soffrir s'adusaro e veglie e stenti. S. B. Saggi d'iscrizioni italiane di Luigi Serafini. - Forlì dalla tipo- grafia Casali all'insegna di Francesco Marcolini iSSy, in 8. Oono XXVI iscrizioni italiane, e XIII Ialine aggiunte per sag- gio alle prime, e tanto le une quanto le altre sono per la maggior parte in lode di cesenati illustri. Spontanee, eleganti, dettate in buona lingua, piene di nobili sentimenti, ben poco lasciano a de- siderare. Il giovane autore ne ha donalo il titolo al eh. sig. pro- fessore Cesare Montalti di Cesena letterato ben noto, ed uno de' più valenti cultori della lingua del Lazio, dal quale i dotti atten- dono con ansietà la serie di quegli epigrammi latini, ove con tanta dignità e grazia di stile a uno a uno rappresenta come in ritratto i grandi italiani passati. Il sig. Serafini modestamente si scusa del- la tenuità del dono da lui offerto al suo amico, ed il prega di aver- lo nella sua protezione. Noi con piacere sciogliamo due delle sud- dette iscrizioni; la prima italiana in lode del Montecuccoli, 1' al- tra latina per onorare la memoria di Scipione Chiaramonti let- terato illustre del secolo XVII. Varietà* 357 RAIMONDO MONTECUCCOLl Sommo italiano Guerriero filosofo politico letterato Capitano di eserciti alemanni Vincitore in grandi battaglie Non vinto da Turenna da Condè Difendi tore della patria. Rammenterà il mondo La tremenda giornata di s. Gottardo Quando Salvasti Europa intera Dagli orrori di vicina Barbane SCIPIO CLARAMONTIUS Caesenas Ab . vetustissima . stirpe . prognatus Mathcseos . astrologìae . rerum . naturalium Universae . penae . philosophiae Supra . rationem . temporum . peritissimus Publicis . per . Italiam . magisteriis . funclus Plurimisque . editis . operibus Magnam . ingenii . doctrinaeque . faniam Ad . longinquas . late . regiones . propagavi! Amplissimo docendi . munere . Pisis . abdicato Apud . suos . cupide . se . recepii Ut . patriara . bistoriam . susciperet . absolveret Academiam . litterariam Studiis . excitandis . domi . ìnstituit Virtutum . omnium . cxemplar . se . praebuit Deccssit • oclogenario . maior Au . MDGLII. 368 Varietà' Questa epigrafe dovrebbe, secondo il desiderio deirautore, essere collocata nella patria biblioteca , ore in lunga ordinanza sono le immagini di coloro che hanno onorata quella illustre cit- tà , che in tempi difficilissimi diede alla chiesa due pontefìci di eterna ricordanza. Siccome poi il sig. Serafini ci promette di por- re in luce altre iscrizioni, cosilo incuoriamo a darci altri frutti del suo ingegno pronto e svegliato. F. Fabi Montani Saggio storiéo del cholera morbus di Montefano e di Monte- fiore nel i836 , del doti. Alessandro Terenzi governatore straodinario ec- Macerata per Antonio Cortesi xSSy. Xl sig. Terenzi in questo saggio descrive 'con molto seano ed esattezza i mali che nel i856 furono cagionati dal cholera nelle terre di Montefano e di Montefiore in quel di Macerata : narra gli atti di carità, e i saggi provvedimenti che dagli ottimi reggi- tori di quella provincia furono operati in prò della salute pub- blicii; e infine dice chiaramente de'metodi curativi, e dei preser- vativi, recando in mezzo le varie sentenze del Rasori, del Tom- masini e di altri savi in medicina. Sovratutto a noi par da loda- re l'ingenua prudenza, e quel vero spirito di cristiana filantro- pia onde va pieno questo libro; il quale eziandio sari utile a chi •criverà la storia di quell'orrendo flagello onde la giustizia d'Id- dio per mano degli stranieri ha colpito le terre d'Italia. Varietà' 359 Considerazioni sulla storia di Sicilia dal i532 al i-^Sg^da ser- vire di aggiunte e di chiose al Botta, di Pietro Lonza prin- cipe dì Scordia. Palermo i836. jl\. chiunque ami la Sicilia, e senta che dal primo sasso delle Alpi all'ultima pietra di Lilibeo noi siamo una gente avvinta in una gloria e in un fato, deve giungere caro il libro di questo principe di Scordia; ove leggiamo non pochi gravissimi casi , i quali certamente avevano ad esser conti agli avvenire; private li- bidini messe in loco di pubblica ragione ; con falsi nomi appel- late discipline le ingordigie vicereali; gli animi de'cittadini pre- gni di vizi forestieri, e piucchè mezzo barbari ; e colpe fortu- natissime ; e alcuna volta la virtù trionfare ; e 1' aere sereno di scellerati incendii e fumi contaminare; le carestie, gli impeti po- polari, la pestilenza orribilissima; e 1* adulazione ora fomento a strani delitti, ora premio ad ignavie peggio che stolide ed inu- mane. Delle quali cose si tacque il piemontese, che troppo lonta- no dalla patria e coli' intendimento occupato dai molti affanni , e da sollecitudine, non potè per intero studiare la rovina delle vi- cende italiche, né sempre battere al punto della storica verità. Piace a noi quella franca maniera onde lo Scordia si oppone al Botta ; inteso solamente ai fatti e alle cagioni loro; non furioso, non dissoluto dannatore; né ghiotto d'infamare il capo di un sa- piente, che su terra straniera e nella povertà della vita purgò gran parte delle colpe sue e del secolo. Per altro non cre- diamo che il Botta avesse obbligo di narrare quegli eventi che noi chiameremmo municipali ; dei quali molto minutamente lo Scordia ci ragiona ; perocché simili accidenti ed altre ziza- nic , delitti e sciagure minori sono materia di cronisti ; e nelle grandi istorie non hanno nome. Non già che si voglian per noi le storie piene dì finimondi ; gli interi popoli scarnati, o a guisa di macellabile armento, tratti in su e in giù per la campagna; le città divelte o rase;i regni conquassati ; i tiranni scannati, ed al- tre ignominie. Ma ben vogliamo che lo storico si tenga nella po»- scssitìu» di quell'alto ed antichissimo ufficio che gli fu senten- 360 Varietà' ziato da Marco Tullio, e che dal Vico gran padre della fìlosofiai gli venne finalmente rivendicato. Per tal forma lasciando in cu- ra de'notai le piccole virtù^ 6 le malignità e brighe de' fiacchi omìcciuoli, alla narrazione degli Umani travasamenti si avrebbe- ro ad unire le memorie intorno agli arcani della sapienza po- litica: ove pure si dicesse delle leggi, delle arti e del vario corso delle fcivilì fortune. Ed io credo che le deche di Tito Livio sia- no sovrano ed tinico esempio alle menti degli storici; se non che le avarizie, gli orbi tradimenti, e le rabbie del secol nostro sono subbietto troppo vile e disuguale a tant'altezza di lettere. Lo stile dèlio Scoì'dia è tutto franco ed ingenuo ; e le sen- tenze che lo informano sono dettatura di uno spirito grave e gen- tilissimo ; pure tien molto della scuola del settecento, comechè spesso s' infiori delle grazie del trecento (i). Sulle cose narrate noi terremo posata la fede nostra ; e interamente; finche almeno cagioni potentissime non ci traggano ad altro pensare. C. G. D. A. (i) Ed avvi eziandio qualche rancia dizione. Varietà' 36j Ci place qui riferire le epigrafi latine e l'elogio italiano , che il eh. signor professore Giuseppe Ignazio Montanari compose, collasua solita maestria, per onorare in Pesaro i funerali e la memoria di un sacerdote quanto pio, modesto, caritatevole al- trettanto dotto nelle scienze, soprattutto fisiche e matematiche . Pisaun . ad . Cassiani . martyr. In . funere . instaurato Seraphini . Merloni . sac. Adfores templi Heic . funus . instauramus SERAPHINO . MERLONIO . SACERDOTI Viro . pio . integerrimo . modestissimo Qui . in . philosophicis . disciplinis Publice . explanandis Omnem . aetatera . insumpsit Adeste . quotquot . estis Scientlarum . et . litterarum . amalores Ne • sua . laude . tanta . virtù» . careat G. A. T. LXXI. 24 362 Varietà' Ad molemfunebrem SERAPHINO . ALBANI . F . MERLONIO Sacerdoti . doctori . philosopho Qui . in , lyceo - pisaurensi . mathesiin . et . rem . nauticJiiN In . sacro . seminario . universam ; philosophiam XXX . annis . p . m . tradidit Vir . anliquae . simplicitatis Benignìtate . et . subsidio . egentes Pietate . el . doctrina . omnes . recreavit Vix . a . LVII . m.I.d.XXII.obiit.XVII.Kal.Ian. MDCCCXXXVII Auditores . et . cives . stipe . conlata Doctori . et . civi . optimemerito Die . XXX . ab .humatione lufta . tollemnia . cum . laudatione .persolvunt ELOGIO. Serafino di Albano Merloni sacerdote piissimo e precettore sopra ogni lode. i.1 acque in Pesaro nel 1778 il 24 d'ottobre. Giovinetto diligen- te e modesto compiè i primi studi nel patrio seminario. Sotto la disciplina di Antonio Coli canonico, uomo di sapere e lettere assai, tanto imparò delle cose filosofiche, che a venti anni pot« entrare in ufficio di ripetitore, e quattro anni appresso sedere in luogo del suo maestro, cht era stato posto alla cattedra di teo- logia. V A R I K. T a' 363 Neiranno 1811 fu chiamato ad iasegnare elementi di mate- matica e nautica nel pubblico ginnasio, e vi usò tanta diligenza, da crescere nella lode dell'universale, non meno che nell'amore' della gioventù. Il cavaliere Brunacci visitando nel 1812 i licei e le scuole del regno, si lodò spezialmente del sacerdote Merloni , e gli offerse cattedra di maggior lustro, del che egli per carità del luogo nativo modestamente lo ringraziò. Tutti convengono a dargli vanto di singolare dottrina, d'in- gegno molto svegliato e sottile, di chiarezza nell'insegnare. Cer- to è che della sua scuola uscirono di buoni frutti. Nel i835, in- cominciando a sentirsi spossato e debole della salute , ottenne dal pubblico un onorevole riposo. Fiorì nell'amicizia di sommi uomini. Insegnò geografia e astronomia a private lezioni. Fu dotto nelle fisiche, amatore del- le lettere, della poesia e della musica , a cui alcun tempo pose studio e fatica. Fu socio della patria accademia agraria: duode- cemviro della pesarese. Con carità senza pari sostenne la lunga vecchiezza de'suoi genitori. Die mano ai fratelli, e raccolse una sorella, unica che avesse , ora rimasta a piangerlo ad inconsola- bili lacrime. Modesto sopra ogni credere, elimosinierooltrele forze.Aven- do dato quanto denaro aveva, non risparmiava le proprie sue robe. Visse povero, e contento della sua povertà. Né a fatti, né a parole offese mai persona, anzi non gli pa- t.va il cuore che altri, lui presente, il facesse. Uomo di tanta vir- tùjnancò improvvisamente nella notte dei .7 di dicembre del i836per tocco d'appoplesia. Ebbe sepolcro nella chiesa priorale di san Cassiano in Pe- saro, ove nel giorno di trigesima, i suoi discepoli e gli amici gH rinnovarono le esequie con funebre laudazione. Ave nella pace di Cristo O benemerito o pio. La patria grata avrà sempre Il tuo nome in benedizione Le lui virtù in esempio. 364 Varietà' Programma del concorso Balestra che si celebrerà nelVanno ì 838 dall' insigne e pontijlcia accademia romana delle belle arti denominata di s. Luca. JLj insigne e pontificia accademia di s. Luca propone a'pittorì, scultori ed architetti i seguenti temi di belle arti pel solenne con- corso Balestra che si celebrerà in Campidoglio l'anno i838. PITTURA PRIMA CLASSE Nell'anno 1202, nella chiesa di s. Marco in Venezia, si riu- nirono solennemente i crociati veneziani, francesi e fiamminghi, e tutti giurarono, alla presenza del vecchio doge Enrico Dando- lo, di far l'impresa di terra santa, obbedendo per mare ai vene- ziani e per terra ai francesi. - V. Ranusio, Guerra di Costantino- poli per la restituzione degli imperatori Comneni, lib. l. Quadro ad olio in tela lungo palmi cinque architettonici ro- mani, cioè metro i,n5; alto palmi quattro ^ cioè metro 0,892. SECONDA CLASSE Cimone ateniese che si costituisce in carcere, affinchè il ca- davere del gran Milziade suo padre, morto per debito ne' ferri, possa esserne cavato e sepolto. -V. V^alerio Massimo lib. y.cap.'S. Disegno in figura, in foglio lungo tre palmi romani , o sia metro 0,670; alto due palmi, o sia metro o,^/^6, non compreso il margine. SCULTURA PRIMA CLASSE Pirro che uccide il re Priamo presso l'ara di Giove Erceo. r. Virgilio, Eneide lib. II. Gruppo in tutto ritiei>o, in gesso o in terra cotta, dell' altei- zo di tre palmi romani, cioè metro 0 ,6-}0, non. compreso lo ioccolo. Varietà' 365 SECONDA CLASSE Ulisse entrato che fu nella reggia di Alcinoo, seguendo i con- jigli di Minerva, abbraccia le ginocchia della regina Arete , la quale sedeva accanto al suo sposo in mezzo ai principali feaci , e le domanda ed ottiene ospitalità.- V. Omero, Odissea lib.VII. Bassorilievo in gesso o in terra colta lungo palmi romani €inque, cioè metro i,ii5, ed alto palmi tre, cioè metro 0,670. ARCHITETT U RA PRIMA CLASSE Una università. Questo importante edificio pubblico dovrà rappresentarsi con carattere dignitoso e conveniente al suo uso. S'innalzerà sopra gradinate non eccedenti, e poste innanzi a'suoi ingressi principali - Intorno ai portici del maggior cavedio ver- ranno disposti, un proporzionato teatro anatomico con palchi di libero accesso, i diversi musei di storia naturale, il gabinetto fisi- co e chimico, e generalmente tutti i luoghi destinati a contene- re o macchine o altri oggetti necessariialle applicazioni de'prin- cipii teorici delle scienze che sono quivi insegnate. Farà parte ugualmente del piano terreno un vasto giardino, entro al quale dovranno situarsi distintamente le stufe, le arancerie, ec. ; come anche una sala per le lezioni pratiche di botanica, ed altri mi- nori ambienti per l'abitazione del custode, per conservare le se- menze, gli attrezzi opportuni ec - Ne"portici del primo e del se- condo piano verrano collocate tutte le scuole di scienze sacre, non che di filosofia, di medicina, d; giurisprudenza , di agricol- tura, di nautica, di arte militare, di eloquenza, di lingue orien- tali ec. - Il terzo piano, che non deve mostrarsi nel principale prospetto j conterrà le abitazioni de'professori e degli inservien- ti con tutti 1 comodi necessarii. - Non deve mancare in quest' e- dificio una corrispondente biblioteca, che si vuol comoda e lu- minosa, e la cui collocazione potrà essere o nel primo o nel se- condo piano di esso ; e l'osservatorio con una piccola abitazione pel professore di astronomia e per un aggiunto. 366 Varietà* Tutto ciò sarà espresso in numero sette tipi o tai>ole; eioi ire destinate alle piante dei tre indicati piani , uno spaccato in lungo ed altro e traverso, il prospetto principale, e finalmente uno studio intelligibile dei dettagli e modini principali , usando fogli ehiamati da due paoli , lungo palmi 3,5^/12, cioè metro 0,84»; e largo palmi 2,7/12. cioè metro o, 576. SECONDA CLASSE In un'area, che si estende in Xan^szzz. ducento sessanta pal- mi romani (cioè metri 58,089), ed in larghezza cento ottanta pal- mi ( cioè metri 4o,2i5), e che nei due lati maggiori corrisponda con due piazze, s'immagini una Bobile fabbrica per diversi usi di adunanze accademiche. Dovrà essa essere ripartita in due soli piani, in modo semplice e conveniente all'uso designato. Nel mez- zo della lunghezza del piano terreno dovrà porsi un vestibolo decorato di colonne ne'lati; per cui possano trapassare le carroz- ze dall'una all'altra piazza, senza incomodo delle persone a pie- di. Dall'una parte di esso vestiboto sarà una grande sala nel mezzo, con tre stanze in ciascuno dei lati per uso delle adunan- ze letterarie; e sarà dall'altra parte un'ampia e nobile scala nel mezzo per salire al piano superiore , con diverse stanze necessa- rie ne'lati, e addatte a'comodi della fabbrica.- Nel piano superio- re dovrà essere una grande e magnifica sala destinata principal- mente alle adunanze accademiche di suono e di canto, la quale possa contenere intorno a mille ascoltanti , e cento filarmonici. Nel medesimo piano dovranno esser pure alcune stanze di tratte- nimento per le persone invitate, e per uso particolare degli ac- cademici. - La decorazione esterna della fabbrica sarà ugualmen- te ripartita in due ordini, e distribuita eoa semplici ed analoghe disposizioni. Si chiedono, per dimostrare la intera architettura della fab- brica, le piante di due piani, i prospetti di uno de' lati maggiori e minori, e le sezioni sulle due linee di mezzo con qualche det- taglio dalla esterna ed intern;< decorazione. / disegni tutti dovranno essere condotti a 'buon effetto di ombreggiamento; salvo i dettagli che potranno lasciarsi « sol» V A R I K T a' 56T contorno;ed esibiti su fogli lunghi palmi3,gfi2, cioè metro 04^40» e larghi palmi i,jf\iy cioè metro 0,576. ORDINE DEL CONCORSO Il giorno della solenne distribuzione de'premi, da farsi nel- la grande aula capitolina, sarà stabilito dall'Emo e Rnio Sig. Card. Camerlengo della santa romana chiesa, protettore dell'accademia. Ogni artista, di qualsiasi nazione , potrà fare esperimento del suo valore in quella classe , nella quale non abbia ottenuto mai premio in alcuno de'concorsi capitolini. Le opere saranno consegnate al professore segretario perpe- tuo deiraccademia il giorno 5i di luglio i838. Ogni opera da presentarsi al concorso avrà scritta una epi- grafe, e sarà accompagnata da una lettera sigillata, che conten- ga il nome dell' autore e la patria , ed abbia di fuori l'epigrafe medesima, onde è notata l'opera. Nei giorni 6 e 7 di agosto i concorrenti saranno sottoposti a prove estemporanee sopra temi cavati a sorte. Queste prove , afiinchè bastino a far conoscere-se 1' opera presentata sia dell' autore che la presenta, consisteranno negli esperimenti che qui seguono : Per la pittura, nella prima classe , si farà un bozzetto d'in- venzione nei primo giorno e nel termine di sei ore, allo un pal- mo e due once, cioè metro 0,260; largo un palmo e mezzo, cioè metro 0,335. Nel secondo giorno, cnti-o il medesimo spazio di tempo , si dipingerà una mezza figura dal nudo ( nella misura così detta di Sassoferrato ), a fine di avere la prova dell' esecu- zione. Il medesimo, relativamente a' modelli, si praticherà per la prima classe della scultura. Nella seconda classe poi della pittura si eseguirà un sogget- to in disegno; e nella seconda classe della scultura un altro sog- getto in bassorilievo; e ciò nel primo giorno. Nel secondo giorno ai disegnerà da'piltori, e si modellerà dagli scultori una parte dal vero. NcU'architettara, quelli che concorreranno alla prima classe 368 Varietà' doTrauno nel primo giorno eseguire la pianta, l' eUvaziont e lo spaccato di un piccolo edificio , in fogli lunghi tre palmi e un dodicesimo, cioè metro 0,688; larghi due palmi e cinque dodice- simi, cioè metro 0,539. I concorrenti alla seconda classe saranno sperimentati sopra un soggetto più facile , in fogli lunghi palmi due e dieci dodicesimi, cioè metro o,633; larghi palmi due e uà dodicesimo, cioè metro 0,^6^, Nel secondo giorno essi concorrenti della prima classe faran- no una descrizione della fabbrica trattata estemporaneamente nel giorno innanzi; indicando il metodo di costruzione, e dando qual- che dettaglio in grande di una parte di essa fabbrica. E cosi fa- ranno in proporzione quelli della seconda classe. Le opere de'concorrenti con le rispettive prove saranno espo- ste al pubblico nelle sale accademiche per otto giorni, prima del giudizio dell'accademia; e per altri otto giorni dopo esso giudizio. L'accademia giudicherà delle opere de'concorrenti inappel- labilmente, ed in tutto secondo le disposizioni del cap. IV de' suoi pontificii statuti. Le opere premiate rimarranno in proprietà dell'accademia , perchè sieno collocate nelle sue sale cognomi degli autori. Il premio per le opere della prima classe della pittura, della scultura e dell'architettura , sarà una medaglia d* oro del valore di zecchini quaranta. 11 premio per le opere delle seconde classi sarà una meda- glie d'oro del valore di zecchini venti. Dato in Roma dalle stanze accademiche questo di i di agosto iSSy. // Conte Palatino Cavalier Presidente delV Accademia TOMMASO MINARDI Il Professore Segretario Perpetuo SALVATORE BETTI 369 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO LXXI, VOLUMI 175, i74, i7S DEL GIORNALE ARCADICO SCIENZE Tortelli, Rivista di alcuni lavori medici de" proff. Medici, Ferrarese, Paolini e Borelli.\i^%' 3 Alcuni stabilimenti rurali di America . . „ 26 Barlacci, Lezioni di fisica. Tomo secondo. „ 36 Cappello, Restaurazione de'bagni di Tivoli. „ 48 Rilancio e rapporto della cassa romana di risparmio i» S5 Tonelli, Continuazione della rivista di al- cuni lavori di medicina ec )> 249 Conti, Infiammazione del pancreas ... ,, 273 LETTERATURA Cardinali, Prospetto de* lavori epigrafici ita- liani posteriori al ]8d0 i» ^^^ Guadagni, In obitu Henrici de Andrea al- lucutio 1) l'^'S Vaccolini, Traduzione di 34 favole esopia- ne, appendice alV edizione torinese delle favole di Fedro « 168 370 Osservazioni sul bello. Art. X. . . . oi 190 Cardinal Giustiniani^ Elogio di D. Baldas- sare Ode scalchi . ,,285 Azzocchi, Le favole di Fedro tradotte . . ,,301 Porta^ Poesie in dialetto milanese . . . „ 30T Sanche z^ Baizini ed altri ^ Varie spiegazioni sul gran musaico di Pompei . . . . ,,313 yaccolini^ Osservazioni sul hello. Art. XI . „ 323 Cagnoli, Versi „ 332 Atti della reale accademia lucchese in mor- te della Bandettini „ 340 BELLE ARTI D'Azeglio, Reale galleria di Torino . . „ 202 Atti della pontificia accademia delle belle arti di Bologna «212 lonii. Di un antico dipinto che trovasi in Norcia «218 Varietà. Tavole meteorologiche. NIHIL OBSTAT E. Jacopini Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr. Doin. Buttaoni O. P. S. P. A Maj. IMPRIMATUR A. Piatti Arckiep. Trapez. Vicesg. Osservazioni Metereol ogiclie . )( Collegio Romano )[ Giugno 1837. 1 o I 3 4 5 6 7 8 9 I 0 I I 1 2 i3 '4 i5 Ore Baromet. Term. Terra esterno max. jinelro rtiln. Igrom. Vento 1 Pioggia Evapor. Stato del Cielo mal. Si- ser. .. „ 4 " )> 0 i3° 5 19 5 i3 7 i3 19 i3 .0» 0 1 1 0 I 35 3 0 0 SO. m. 0 0 4 8 chiar. vap. oriz. ser nuv. sp. cliiarissirao mal. §'■ ser. „ 0 0 2711 7 19 i 0 3 17 2 s" f. SO. d. N. „ 0. m. 0 0 ser. nuv. sp. chiarissimo niat. gi- ser. mal. si- se r. ,! » è ,, ., 9 ., ., 5 » ., 7 28 0 7 i3 19 14 12 5 18 5 i3 5 19 19 '9 ao 12 0 25 4 3 6 ser. nuv. oriz. „ spar. chiarissimo 10 1 22 3 SO. f. 0 0 3 „ nuv. oriz. nuv. sol. trai. mat. si- ser. mat. Si- ser. „ 1 0 „ » 4 „ ., 8 i3 '-9 14 1 1 II 2 3o 3 NE. <]. SO. DI. „ J. 2 8 chiarissimo ser. nuv. sp. chiarissimo » .. 9 .. » 6 .. .. 9 12 19 >4 i3 19 5 14 i3 20 »7 2 3o 3 16 3 0 0 SO m. 0 0 SO. "m, s. „ 3 ser. nuv. sp. chiarissimo mal. Si- ser. » » 3 » » > 1 30 JO 3 7 nuvoloso ser. nuv. sp; chiarissimo ser. nuv. sp. chiarissimo nuvoloso mat. gi- ser. -, » 4 » » 6 ,, « 5 22 1 1 1 5i 40 i5 17 3 2 3o 4 0 0 S. ra. E. A. 6 mat. si- ser. mat. si- ser. » M 3 » » 3 » » 8 16 5 20 16 i5 22 16 21 16 S. m. SO. „ 0 0 4 4 " „ a 0 » „ 3 >5 )) 0 24 12 1) « SO. m. 0 0 3 * nuvol. neh. ser. nuv. sp. rhiaroniiv.oriz. chiarissimo mal. si- ser. 24 i3 1 22 4 3 58 '7 S" rV. 0 0 1 Il > ti ., « 9 » » 7 •) 1; a » 9 mat. Si- ser. » „ 5 ,8 5 i> 11 ,,26 » „ 6 20 28 '7 7 55 22 E. d. SO. m. 0 0 nuvoloso sereno vap. chiarissimo ^^ 1 ^^ ^^ ■■■■■ ■MMHIH mm '3 o 6 16 T7 18 19 90 ai li ■j^ '4 45 a6 1- a3 29 .3o Ore Baroniet. Terni. Ti-rmu 111 ni. .7s metro min. Igrom. Vento N (Imo. SO m.' 0 0 Pioggia Eva por. Stalo del Cielo mtit. ser. 1» l> '■•3 0 36 20 ib 33 18 »7 aa 18 5 ~5 5 ^4" 5*^ 47 i3 li. 4 chiarissimo ii ntat. ser. " il 0 II 3 a 25 i3 16 17 7 36 3 i i5 3 3 20 4 N. d. SSO. m. 0 0 5 3 5 3 nuvoloso ser. nuv. sp. cliiarissimo mai. 28 0 11 il il 0 3 "8' 5 24 SO. m. oSO. „ 0 0 S. m. 0 0 H J) SO. m. 0 0 N. (!. 0. „ N. „ ser. \ap. nu.sp. rhia. nuv. oriz. ser. nuv. sp. chia. nuv. oriz. mal. ter. »9 23 18 io 2 3 16 23 16 5 5 5 25 3 3 4 4 3 4 mal. si- ser. 0 6 7 3 24 6 i5 •4 il 5 5o 5 1 ^^7 5 3o 11 »i mnt. 8*- ser. h »» » 1» ti 1 4 7 5 2 nuvoloso mal, ser. i5 2 3 16 0 0 SSO. li. NE. „ lam. tuo. pOc. pio. chiaro nuv.orir. mal. si- ser. mai Si- ser. »» 1 0 0 8 _7 )» 6 2 i4 2/ j6 l.Ti aa »7 5 5 *4 7 ;5 la 3 37 3 0. d. ' ^* S. „ I 00 a 5 ser. nuv. sp. nuvoloso pio. chiar. nuv. oriz 37 II l> 23 5 35 1 37 4_ 2 19 0 0 NNE. d. 0 0 3 nuv. sole trai, chiar. nuv.orir. mat. si- ser. a8 II >« 0 i5 30 »7 i5 23 18 fi 5 14 Òso'.' m. 0 0 0 75 a 4 nuTolosis. tutto » )i mat. si- ser. » » II 1» «1 fi i> » >l 1) 7 0 3 4 3 7 3 9 25 5 i5 5 '4 1 37 4 0 32 6 SO. in. 0 0 4 4 chiaris. ser. nuv. sp. chiaria. mat. gi- ser. li 16 25 s! d. 0 0 1 a5 nuvoloso ser. nuv. gp. chiaris. 9 3 a mat. gi- ser. mal. gi- Ser. mat. g'- ser. 16 22 18 5 24 5 i5 3 36 4 0 12 4 SO. "di. 0 0 3 6 : »> » 1» fi 7 6 »» 8 5 16 23 18 5 25 26 '4 N. d. SO. m. 0 0 3 8 nuvol. solo trai chiaris. 16 '9 i5 1 56 5 SO d. 0 0 Ms )} 4 /v' fi.'l 1 ■■ ■■ BHJI ^^" — ra^ ^^^^^^^j w ^^ri'Rf INDICE DELLE MATERIE Contenutene' voi. 175. SCIENZE Tonelli , Continuazione della rivista di alcuni lavori di Medicina ec. pag. 9.49 Conti, Infiammazione del pancreas. a^S LETTERATURA -, Cardinal Giustiniani, Elogio di D. Bal- 285 3ot 307 3i3 dassare Odescalchi- Azzecchi, Le favole di Fedro tradotte. Porta, Poesie in dialetto milanese. Sanchez, Baiziai ed altri, Varie spiega zioni sul gran musaico di Pompei. Vaccolini, Osservazioni sul bello (art.XI.) 353 Cagnoli, Versi. 332 Atti della reale accademia lucchese in morte della Bandettini. Varietà. Tavole meteorologiche. GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI MM VOL. 214. 215. 216. WÉ ROMA DELLA 9TAUPER1A DELLE BELLE ARTI 18:^7. GIORNALE DI SCIENZE LETTERE ED ARTI TOMO LXXII LUGLIO, AGOSTO E SETTEMBRE 1837. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 4837 SCIENZE Sul fenomeno vitale della reazione organica secon- do V intendimento delle moderne scuole mediche italiane. Dissertazione del dott. Angelo Sorgoni di Recanati membro di varie accademie^ ed at- tuale primo medico di Montolmo. jiir illustrissima magistratura ed agV illustrissimi signori consiglieri del comune di Montolmo, A. -llorchè ne'comizi di marzo 1833 da voi qui te- nuti io mi faceva avventuroso nel desiderio di esse- re per conseguire gli effetti della bontà vostra , e delle altre prerogative che vi adornano, ebbi moti- vo di compiacermi de'medesimi per la distinzione, in cui fin d' allora voleste che io fossi in mezzo a molti, che al pari di me miravano allo stesso scopo. Nella quale occasione mi è di molto conforto la ri- cordanza dell'uniformità di parere avuta a mio van- taggio da due vostri concittadini, il reverendissimo sig. canonico don Giuseppe Natali di bo. me. e 1' il- lustrissimo sig.Gaetano Lanzi, senza che tra loro fos- se succeduto abboccamento , mentre essi venivano destinati all'esame del soggetto da prescegliersi. In seguito di ciò io, sempre memore degli effetti della bontà vostra da me conseguiti, mi arbitrai di torna- re a mostrarvi la mia brama di essere nuovamente fatto degno delle vostre considerazioni , quando in quest' amenissimo luogo, il piìi distinto tra tutte le ragguardevoli terre del Piceno, vacava il posto di primo medico. Fu in siffatta circostiìnza, in cui ri- chiamandosi da altri due vostri concittadini, gl'illu- A Scisnxs strissimi sig.Paolo Bartolazzi e sig.Antonio Franchel- lucci deputati elezìonari nel nuovo concorso, quan- to già erasi valutato sul mio proposito, si trovaro- no i medesimi dietro replicata indagine di ugual pensare cogli antecessori deputati; per il che io ho visto soddisfatto interamente il mio addimostrato desiderio per la elezione che voleste fare sulla mia persona. Pertanto due circostanze furono queste, che hanno eccitato in me il piìi vivo sentimento di gra- titudine verso di voi, e che lo manterranno indele- bile per sempre nell' animo mio. E di questa mia gratitudine ho divisato darvi quella dimostrazio- ne , che per me sarà possibile; ma nel mio divisa- mento ravviso smarrito il mio pensiero per la consi- derazione, ch'ella non sia degna delle nobili vostre persone, e della grandezza delle prerogative vostre. Se non che confortato da quella bontà, di cui mi deste tanto saggio, io mi fo ardito di dedicarvi il mio presente tenue lavoro, come lieve prova della stessa mia gratitudine. In ciò fare intendo di dare una pubblica testimonianza delle vostre belle doti, e de'miei doveri. Vi prego di aver per accetta que- sta tenuissima dimostrazione de' sensi miei , per mezzo della quale amo che conosciate il mio rispet- toso officio verso di voi, e la mia ardente brama di cooperare per quanto da me si può al bene dell' u- manitk languente, al quale oggetto col massimo dei trasporti impiego le mie operazioni. Mi lusingo, che non isfuggira al vostro aggradimento questa mia dimostrazione, e che per essa sempre pili io possa incontrare il vostro beneplacito. Di voi illrhi signori Di Montolmo (Macerata) 2 marzo 1837. Obbhiio Uiiio e Diiio Servitore DUTT. AMGKLO SORGONI PRIMO MEDICO ReAZIONS ORCilNICA 5 SEZIONE PRIMJ. Esposizione de vari pensieri che si sono avuti in- torno al fenomeno della reazione organica, alcu- ni de" quali non adattabili alV intendimento che hanno dello stesso fenomeno le moderne scuole mediche italiane: ed altri, quantunque uniformi al medesimo intendimento y pure non ammissibili la datane spiegazione. INTRODUZIONE Le scienze naturali sono il complesso di mol- ti principii , ossiano massime o dottrine, fra loro collegati in modo , che uno ha stretta connessione coir altro. Ogni principio è il risultato de' fatti particolari conosciuti mediante l'esatta, accurata, e moltiplice osservazione delle cose naturali. Non v'ha scienza naturale oggi in particolar modo , che non vanti una tal derivazione ; ma intanto non cessano le questioni, che si tengono in molti rami scientifici. Il che reca non poca maraviglia, mentre se i primi fondamenti sono quelli, che si esigono necessari per la formazione d'una scienza ; se i risultati di questi fondamenti sono conseguenze de'medesimi , e se il complesso di queste conseguenze è ciò che si nomi- na scienza; reca , dicevo , maraviglia , come oggi singolarmente, che credesi il tempo de'tanti progres- si delle scienze, sieno questionabili tanti oggetti del- l'umano sapere. La medicina specialmente presenta un numero tale di questioni tra i cultori della me- desima, che il filosofo di ciò ammiratore ha persino desunto da tanti oggetti questionabili il dubbio sul- 6 S e I B M Z E l'esistenza di questo sapere scientifico. Ma no , che dubbio non esiste in tal proposito; e le questioni sono nate e nascono , o perchè molti fatti non si osservano, come ce li offre la natura, ma come una opinione preconcepita fa scorgere fuori di noi quello che è soltanto nel nostro modo di pensare; o perchè molti principii, che si desumono dai fatti, non sono decise conseguenze di veri e naturali fat- ti , o non sono desunti con quella sintesi rigorosa, che è l'unico mezzo d'una giusta induzione. Discen- de conseguentemente da tutto ciò, che la scienza, os- sia il complesso di questi principii, non può ave- re esatti fondamenti, né può essere un tutto coe- rente nelle sue parti, e deve avere in conseguen- za molti punti questionabili. Ove però i fatti fosse- ro bene osservati tali, quali ce li presenta la natura senza alcuna preconcepita opinione; ove fossero esa- minati in tutti i loro rapporti per poterli poi avvi- cinare mediante questi medesimi rapporti in quei punti, che li fanno essere a contatto, da cui noi ri- leviamo la ragione di loro esistenza ; ove i principii da questi fatti desunti fossero decise conseguenze de'medesimi, e stessero tra loro così connessi da formare un tutto coerentissimo colle sue parti: cer- to che la scienza derivante da tali principii sareb- be vera scienza, e non darebbe campo alle lettera- rie contese. In proposito di che non si può negare, che molte parti della medesima siano basate sui veri fondamenti scientifici , tali quali sono stati sopra contemplati ; ma è pure giuoco forza confessare , che in questo ramo di sapere sono ancora molti punti a doversi ridurre punti scientifici colla scor- ta di que'principii, da' quali soltanto, come ciò già si è notato , sorge la vera scienza. Ravvisata una tal Reaziome organica 7 verità, si stimò utile una ricerca sulle reazione or- ganica o vitale secondo 1' intendimento delle mo- derne scuole mediche italiane: ed è perciò che io, ponderando siffatto fenomeno vitale , ardisco d' i- stituire questa ricerca. In tale intrapresa andrò anzi tutto esponendo quanto di essenziale è stato detto relativamente alla reazione organica, e quin- di esporrò i fatti analoghi all'organica reazione se- condo i vari ordini, a' quali corrispondono : cer- cherò di trovar la ragione dell'esistenza di questi fatti mediante lo studio de'loro rapporti. Con tale ragione di loro esistenza procurerò di avvicinarli insieme, e vederli formare un tutto coerente colle sue parti , il quale per me esprimerà il princi- pio filosofico, o dottrinale, cui si riducano tutti i fatti di organica reazione: e sarà questo il risulta- to della ricerca, che qui si va ad intraprendere. CAPITOLO PRIMO. Definizione della reazione organica secondo V in-' tendimento delle moderne scuole mediche italia- ne^ ed esposizione delle idee avute da vari autori sulVorganica reazione con avvertenze intorno alle medesime. „ La reazione organica, secondo le moderne „ scuole mediche italiane, è quel fenomeno vitale , „ che si produce per l'azione di cause deprimenti „ SI morali e sì fisiche , ed è costituito dagli stati „ di avvilimento e di risaltamento de' movimenti „ dinamico-vitali. ,, Intorno il quale oggetto esponendo quanto di essenziale si è detto, verrò citando alcune cose ri- 8 Scienze guardanti la reazione organica, siccome si è parlato di essa da vari illustri autori. Il celebre Testa nel- la sua opera sulle azioni e reazioni organiche dice- va „ che la vita è un complesso indeterminato di „ azioni e di reazioni proprie de'diversi organi, dai „ quali risulta la macchina animale vivente, e che „ l'effetto della vita può esprimersi per un conti- „ nuo contrasto di questi poteri organici contro l'a- „ zione delle cause fisiche interne ed esterne ten- ,, denti a distruggere la macchina animale. ,, Molti altri autori presso a poco asseriscono le stesse cose. In siffatte espressioni però si ravvisano soltanto gli effetti ordinari e generali della eccitahilita , che possiede ciascim organico tessuto , e gli effetti ordi- nari e generali, che tanto le esterne, quanto le inter- ne potenze producono agendo negli stessi tessuti or- ganici. E difatti il tessuto, dotato di quella forza det- ta eccitabilità mercè della sua propria organizzazio- ne, vien determinato al suo particolar movimento od eccitamento dall'azione delle potenze sì esterne e sì interne ad esso corrispondenti: le potenze agiscono ne'tessuti, co'quali sono in relazione, e v' inducono particolari movimenti in conseguenza dell'organizza- zione del tessuto eccitabile. Mediante questa pro- prietà de' tessuti organici, e mediante l'azione sugli stessi tessuti delle potenze sì interne e sì esterne, si ha la manifestazione degli atti vitali tanto nello sta- to sano, quanto in quello morboso. Ma queste espres- sioni, azioni e reazioni organiche, come pure si vo- gliono chiamare, nel modo generale, con cui sono palesate, non rappresentano quel fenomeno della vita, che nelle moderne scuole mediche italiane si chiama reazione organica o vitale : siccome ciò può desumersi dalla stessa definizione dell'organica rea- Reazione organica 0 zione, e siccome pure ciò verrà dimostrato nell'espo- sizione de'fatti esprimenti questo fenomeno ; ed è per tal motivo , che le succitate espressioni del ce- lebre Testa nel loro senso generale non si adattano al principio che si vuole stabilire sui fatti di reazio- ne organica. Il chiarissimo dottor Freschi parlò pu- re sull'organica reazione , e 1' espose secondo 1' in- tendimento delle moderne scuole mediche italiane , siccome si vede negli annali universali di medicina compilati dal dottor Annibale Omodei, volume 73; ma si contentò di esporla soltanto come un fatto, che soggiace ad alcuni prlnclpli ; ed era d' avviso , che fin qui la medicina non ha saputo fissare la ragione di questo fatto medesimo. Oltre di riconoscere come un fatto positivo il fenomeno della reazione organica secondo gli odierni pensamenti , ne fu pur tentata la spiegazione da'medici di tutti i tempi. Galeno , Sthal, Hoffman, Boerhaave, Baglivi, Reil, GuUen , Monteggia, Giannini, Belli tentarono la spiegazione di questo fatto: ma i loro sforzi, al dire dell'illustre Tommasini, furono inutili. E per dare un cenno di siffatta spiegazione, prescindendo da quelle opinio- ni che non hanno alcun ragionevole fondamento, si esaminerà ciò che si è detto sulla forza conservativa, sulla forza medlcatrlce della natura, e suU'antispasi ippocratica, onde vedere se a queste cagioni può ri- ferirsi il fatto di reazione organica in discorso. jO Scienze CAPITOLO SECONDO. jinalisi della forza conservativa relativamente alla spiegazione del fenomeno della reazione organi' ca, ed alla sua insufficienza a tale spiegazione» Per forza conservativa si vuole intendere quel- la forza che produce gli effetti di attrazione e di re- pulsione od espansione, mediante i quali si voglio- no spiegare tutti i fenomeni vitali. Questo è ciò che secondo il parere di alcuni dicevasi ancora natura da Ippocrate e da Empedocle : questo è pur quello che secondo Kant costituisce il contrasto fra l'attra- zione e la ripulsione, da cui, egli afferma, sorge il movimento universale, e tutta la natura apparisce vivente: e questo è ancor ciò, che faceva dire all'il- lustre Puccinotti, conservarsi la vita, finche dura il potere di reazione tra la forza conservativa e le po- tenze fisiche e chimiche , colle quali la stessa forza conservativa contrasta. In questo luogo non si entre- rà nell'analisi della forza conservativa, come veniva generalmente intesa da'suddetti autori col nome di natura, ma bensì verrà considerata nella sua appli- cazione alla vita particolare dell'animale organismo. Vuoisi adunque che per questa forza conservativa il corpo oi'ganizzato abbia la facoltà di contraersi, e di espandersi , e quindi per siffatta facoltà possa pro- durre le contrazioni e le espansioni, secondo che in lui agiscono potenze contrattive od espansive: ed in tutto ciò si fa consistere la manifestazione di tutti gli atti vitali. In tal guisa si esprimeva il preloda- to professor Puccinotti nella sua Patologia Indutti- va. Intorno alle quali idee fa d'uopo riflettere, che Reazione organica 11 in questo modo di considerare le condizioni essen- ziali, per cui si ha la vita, altro non si ravvisa, che una maniera particolare di considerare tanto la ec- citabilitk , quanto le potenze, che agiscono sopra i tessuti organizzati. E veramente il dire, che la for- za conservativa ha la facoltà di produrre le contra- zioni e le espansioni , non altro esprime che un modo di vedere in dettaglio la eccitabilità , che ha la facoltà di produrre lo eccitamento : e così pure il dire , che si hanno le contrazioni e le espansioni, secondo che nel tessuto organizzato agiscono le po- tenze contrattive od espansive, non altro significa , che una maniera di vedere dettagliato l'eccitamento, che vien prodotto dall'azione delle potenze spiegata sopra i tessuti organici. E quantunque una espres- sione indichi il vital movimento in genere, e l'altra espressione significhi lo stesso movimento secondo un modo particolare di osservarlo, pure in tutti e due i casi è sempre lo stesso vital movimento prodotto dalle potenze agenti sul tessuto organizzalo. Ed e per tal foggia, che la forza conservativa, nel senso sopra esposto di avere la facoltà a produrre le con- trazioni e le espansioni, si modifica ne' vari tessuti organici nella maniera medesima, con cui si modi- fica la eccitabilità. E difatti se a tenore del parere del sopranominato professor Puccinotti la forza con- servativa, considerata ne'tessuti nervoso, muscolare , vascolare, e celluioso, prende il nome dì sensibilità, irritabilità, contrattilità , turgescibilità , che sono tante modalità conservative; si modifica ancora nel- la medesima maniera la eccitabilità considerala ne- gli stessi citati tessuti, nominandosi ugualmente co* medesimi vocaboli , co' quali Puccinotti nomina- va la forza conservativa. In conseguenza ne' citati A 2 S e I K K- t K movimenti spiegabili colla forza conservativa, o col- la eccitabilità nel senso generale, come sopra sono stati considerati, non altro si ravvisa, se non quanto è stato gik avvertito relativamente alle azioni e rea- zioni organiche di Testa ; e perciò nemmeno quivi si comprende quel fenomeno della vita , che nelle moderne scuole mediche italiane si appella reazione organica o vitale. Ne lo stesso fenomeno si comprende nel senso più esteso , che viene pure accordato alla forza con- servativa. Nel qual senso diceva Cicerone nel quin- to libro de'Fini: Ormie animai seipsiim diligit • et simili ac ortinn est^ id agii ut se coìiservet: cjuod hic ei primus ad omnem \>itam tuendam appetitiis a na- tura datur, se ut conservet. E di vero, che in ciò non si comprenda il suddetto fenomeno vuoisi nota- re , che la forza conservativa in questo senso intesa non altro esprime , che quelle naturali tendenze , istinti , appetiti , che ancora così sono nominati, le quali risultano dalla individuale organizzazione tan- to considerata nelle singole parti eccitabili formanti l'intero corpo organizzato dotato di eccitabilità , quanto nell'intera cospirazione di tutte le parti in- sieme concorrenti a quello risultato di naturale ten- denza , od istinto, od oppetito. Così per esempio la facoltà, che ha ciascun tessuto, ciascun viscere, cia- scuna parte di prendere dal sangue que' materiali , che sono omogenei a ciascuno di essi, e di tralascia- re nello stato sano quelli che gli sono eterogenei, e che fu detta da Darwin appetito animale, da Bichat sensibilità organica, da Bordeu gusto animale, da Brtglivi armonia tra i solidi ed i fluidi , e da altri ancora irritabilità elettrica , questa facoltà è la for- za conservativa nel citato senso intesa, la quale infi- Reazione organica. 45 ne non è altro che un risultato della propria orga- nizzazione di ciascuna parte, che mediante la sua af- finità di aggregazione attrae dal sangue i principii di natura uguale ad essa. Cosi pure la facoltà, che ha ogni viscere, ogni parte, di esercitare la sua pro- pria funzione , che pure vuoisi considerare qual'e- spressione di forza conservativa, non è altro che un risultato della propria organizzazione di ciascun vi- scere, e di ciascuna parte resa eccitabile dalla stessa organizzazione, che in rapporto con quelle potenze SI interne e s\ esterne analoghe alla relativa funzione si pone all'esercizio della medesima. Avviene per tal guisa che il polmone, eccitabile in forza di sua pro- pria organizzazione, a contatto dall'aria atmosferica esercita necessariamente la sua facoltà di respirare; lo stomaco in contatto de'cibi la facoltà di digerire ; i vasi linfatici assorbenti in contatto degli umori a loro analoghi esercitano la facoltà di assorbire ec; e cosi tutte le funzioni fisico-chimiche di nostra mac- china sono il risultato necessario dell' organizzazione producente la eccitabilità delle parti poste a contat- to colle analoghe potenze. La somma di tutte le fun- zioni fisico-chimiche insieme collegate, e necessaria- mente eseguite da tutte le parti eccitabili in forza della loro organizzazione col concorso delle analoghe potenze, produce nel comun sensorio quella natura- le tendenza di conservare il proprio individuo , la quale in ultima analisi non è altro che il necessario esercizio delle funzioni di tutte le parti insieme colle- gate, come risultato necessario dell'eccitabilità delle stesse parti organizzate, e delle respettive potenze agenti nelle medesime. Esercizio indispensabile, do- po che si sono realizzati i due dati di corpo orga- nizzato, e di potenze in lui agenti. Ed è perciò, che AU S e I E N I E frapponendosi un ostacolo ad un tale esercizio di funzioni sì per causa interna, e sì per causa esterna, nasce una serie di morbose operazioni, che esprimo- no il risultato delle organiche funzioni, e dell'altra classe pur di funzioni fisiche o chimiche , le quali per causa dell'ostacolo fisico o chimico si vanno a produrre. Risultato che nasce per una parte dal cor- po organizzato, il quale per la sua eccitabilità a contatto delle potenze in esso agenti deve produr- re necessariamente le sue organiche funzioni, e per l'altra parte deriva dall'azione fisico-chimica delle stesse potenze agenti su di lui. Quest'azione fisico- chimica è quella che fa obice al nostr' organismo fin dal principio di sua esistenza, e ne progredi- sce la opposizione in tutto il resto della vita coli' imprimere nel corpo organizzato le varie vicende dell'età, e col produrre infine la sua completa di- sorganizzazione. Il suddetto citato risultamento, che riguardato nell'eccitabilith è considerato un atto di forza conservativa, e riguardato nelle sunnominate potenze è causa di dolore, si può ravvisare in ogni funzione. La somma di siffatti risultati nelle fun- zioni essenziali alla vita sin dal suo principio è cau- sa di quel senso di avversità alla morte, il quale in ultima analisi non è altro, che la parte dell'ec- citabilità nella serie di quelle morbose operazioni esprimenti il risultato tra il corpo organizzato , che in contatto delle potenze in lui agenti, deve necessariamente produrre le sue organiche funzio- ni, e l'azione fisico-chimica che in esso esercitano le potenze sì interne e sì esterne. Ma in tutto ciò ben altro si ravvisa fuori di quel fenomeno della reazione organica delle moderne scuole mediche ita- liane, come si scorge nella definizione del fenome- Reazione orgjlniga. 15 no medesimo , e come sarà dimostrato in seguito nell'esposizione de'fatti analoghi a questo fenome- no. In conseguenza neppure siffatta reazione orga- nica si comprende nella forza conservativa secon- do il succitato senso contemplata. CAPITOLO TERZO. analisi della forza medicatrice della natura^ e delV antispasi ippocratica relati\> amente alla spiegazio^ ne del fenomeno della reazione organica, ed al- la sua insufficienza a tale spiegazione. Relativamente alla reazione organica molte co- se pure si sono dette, discorrendosi sulla forza me- dicatrice della natura: non sarà oggetto perciò inop- portuno l'esaminare qui brevemente a che si ridu- ca questa forza medicatrice della natura, onde po- ter conoscere , se da tale espressione possa desu- mersi il fenomeno dell' organica reazione. Intorno il qual proposito non si stara a notare come forza medicatrice della natura ne il principio conserva- tore di Sthal, ne 1' archèo di Van-Helmont, e ne qualunque altro arcano principio , che dalla sola fantasia degli uomini si fece sorgere per corregge- re le cause delle malattie, e per produrne la gua- rigione. Le cognizioni, che ci vengono dimostrate dall'attuale filosofia e patologìa, si oppongono as- solutamente a queste fantastiche supposizioni smen- tendole e rigettandole. Al contrario di ciò la stes- sa attuai filosofia e patologia ci fa conoscere, che tutte le forze, le quali concorrono alla manifesta- zione di tutti i fenomeni della vita, derivano dalla organizzazione, e non sono in conseguenza, e ne pos- 16 Scienze sono essere cose fuori dell'organizzazione medesima considerata ne'tessuti che compongono l'organismo Dunque nell'organizzazione con\ien fare indagine, onde vedere se è una supposizione la forza medi- catrice della natura, come oggi specialmente si cre- de da taluni, oppure se vi esiste qualche cosa, che agli antichi medici in modo particolare fece am- mettere questa forza. Ed intanto per giungere ad un tale scopo vuoisi riflettere, che il corpo orga- nizzato ha un certo dato periodo di durata nel cor- so ordinario di sua vita: il qual periodo è varia- bile col variar delle forme, e della maggiore o mi- nore complicazione delle parti concorrenti a costi- tuire lo stesso corpo organizzato, siccome ciò viene dimostrato dalle moltiplici specie degli animali. Ed è questo determinato periodo dì esistenza una leg- ge immutabile della natura. Ogni essere vivente dentro il periodo di sua naturai durata esercita le proprie funzioni in modo , che in forza della na- tura dell'organizzazione, e di quella delle potenze, che in lui agiscono, marca il suo incremento, lo stato , e la sua declinazione fino al completo suo disfacimento, allorché giunge a quel punto, che se- gna il termine del periodo di sua vita. Tutto ciò avviene nel corso naturale della vita di ogni esse- re organizzato. Ma perchè il periodo naturale di durata degli esseri viventi si completi in siffatta guisa, converrebbe che non si turbasse nello stes- so periodo l' equilibrio fisico-chimico delle parti organiche oltre cjuel grado stabilito per giungere alla fine in discorso. Pur troppo però sono le ca- gioni sì interne e sì esterne, che turbano oltre il detto grado un tale equilibrio , e producono cosi il numero infinito delle malattie, cui noi in ispe- HSAZIOME ORGANICA 17 cial modo andiamo soggetti! Evvi sempre dal pri- mo momento della vita sino alla morte un certo tal grado di disequilibrio tra le partì organizzate così per motivo delle stesse parti, le quali per quan- to sieno dotate di vita hanno pure le proprietà fi- sico-chimiche, che per le potenze sì interne e sì esterne, le quali continuamente agendo nelle parti organizzate, oltre il determinare la manifestazione della vita non cessano di esercitarvi le loro fisico- chimiche relazioni. Per siiFatti motivi nel tempo medesimo, in cui avviene la vita, si prepara anco- ra la morte. E nel corso medesimo della vita in qualunque età l'accennato disequilibrio può ecce- dere quel grado in discorso: ed allora si sviluppa 10 stato di malattia , che secondo il pensare del chiarissimo Puccinotti non è altro che un ,, disor- „ dine nell'unità della cospirazione organica avve- „ nuto per cangiamento di forma, mistione o mo- „ vimento vitale in alcuna parte dell'oro^anismo. ,, 11 che esprime un composto operato dall'organiz- zazione e dalle potenze esterne ed interne siccome un atto vitale. Ma questa morbosa operazione, che tende al disfacimento dell'organismo, e che le mol- te volte pure il produce, ha in opposizione la for- za fisiologica di quel periodo di durata, fissato dal- la natura con legge immutabile in tutti gli esseri viventi. Egli è vero, che le molte volte siffatta for- za fisiologica è inefficace a superare gli effetti del- le morbose cagioni: ma perciò non potrà dirsi, che non sussista. Quantunque faccia i suoi sforzi, non si produrranno per essa sempre que'salutarì risul- tati, che si desiderano: ne per essa si potranno im- pedire quelle morbose operazioni funeste o che si sviluppano nel decorso de'mali, o che sono conse- G.A.T.LXXII. 2 1S S e I E K X £ guenze fatali de'medesimi; perchè ella rimane in questi casi dalle distruttive potenze soverchiata , ove l'arte salutare andando con essa di concerto non la soccorra, o non abbia mezzi sufficienti a soccor- rerla, come ne esigerebbe il bisogno. Però non è già sempre, ch'ella rimanga soverchiata dalle po- tenze morbose: perchè o sola questa forza fisiologi- ca ne'casi lievi , o secondata dall' arte salutare ne* casi gravi, fin da'primi passi della malattia ella pro- duce que'movimenti, che se sono inefficaci nei casi sopra contemplati, in questi sono efficacissimi in quanto che per essi si producono que' modi di riso- luzione salutare in varie parti del corpo, da cui sor- gono le crisi, che sono l'opera della parte fisiologica esistente, secondo il prelodato Puccinotti, in ogni processo morboso. La qual parte fisiologica per me altro non è che la forza del periodo della durata na- turale di ciascun essere vivente. E questa è quella forza che vuoisi intendere per forza medicatrice della natura, e che fin dagli antichi tempi credo ab- bia prodotto l'idea di forza medicatrice , la quale sotto tante, varie e bizzarre sembianze venne pre- sentata in modo, che da taluni fu troppo idolatrata, e da altri forse troppo biasimata e rigettata. Ma sif- fatta forza fisiologica, siffatta forza medicatrice della natura nella maniera sopra esposta per me altro non è che la eccitabilità de'corpi organizzati ; imperoc- ché coll'eccitabilità al pari che colla suddetta forza medicatrice della natura si spiegano tutti i fenome- ni sviluppati nello stato morboso ; e parimenti que- sta forza medicatrice soggiace alle stesse leggi, cui soggiace la eccitabilità, mentre ambedue reagiscono alle potenze morbose diversamente secondo i vari tessuti organizzati; e secondo la qualità delle poten- Reazione organica 19 ze ambedue si modificano a tenore della diversità dei temperamenti; ambedue hanno piìi o meno energia a seconda de'diversi tessuti ; ambedue scemano col progressivo andamento del periodo di naturai dura- ta di ogni essere vivente. In conseguenza dalle pro- prietà eguali convien desumere le cause eguali, che è quanto dire in questo caso, la forza medicatrice della natura non esser altro che l'eccitabilità. Ora siccome ne'fenomenì contemplati relativamente a sif- fatta forza medicatrice non si comprende quello , che le moderne scuole mediche italiane denominano reazione organica (come ciò può desumersi dalla definizione dell'organica reazione e come si vedrà in appresso); cosi neppure nella spiegata forza medica- trice della natura si può rinvenire il principio filo- sofico o dottrinale , cui può ridursi il fenomeno vi- tale in questione. Si parlò anche dell'antispasi ippocratica in rap- porto all'organica reazione , e si credette pure di averla ragionevolmente spiegata. Noi vedremo in appresso a che si riduce siffatta spiegazione ; ci ba- sta ora d'indicare, non sembrarci adattata all'intelli- genza de'fatti dinotanti la reazione organica la data- ne spiegazione. 20 Scienze SEZIONE SECONDA. Esposizione de* fatti relativi al fenomeno della rea- zione organica secondo V intendimento delle mo- derne scuole mediche italiane. CAPITOLO PRIMO. Fatti di reazione organica secondo V intendimento delle moderne scuole mediche italiane costituiti dai due stati essenziali., avvilimento e risalta- mento ^ che accadono nelle vicende della vita senza esprimere un alterazione permanente. Non adattandosi all'intelligenza del nominato fenomeno della reazione organica ne quanto si dice sulla forza medicatrice della natura, ne quel che si riferisce alla forza conservativa , e ne quanto si è detto fin qui sulle azioni e reazioni organiche da va- ri classici autori, fa d'uopo rivolgersi ad altre ricer- che, onde conseguire se sia possibile quest* intento. La via da tenersi si reputa essere l'analisi degli stessi fatti , che dimostrano la reazione organica in discorso , sì perchè questo mezzo è piìi ragionevole di ogn'altro, sì perchè ancora questo medesimo mez- zo è l'unico, che conduce a fissare que'giusti princi- pii, da'quali sorge la vera scienza. Dovendosi adun- que percorrere siffatta via, si osserva in primo luogo nelle varie vicende della vita, senza che le molte vol- te scorgasi costituito alcun processo morboso, si os- I serva, diceva, che gli effetti deprimenti prodotti da cause sì morali e sì fisiche, e di queste ultime sieno quelle che direttamente deprimono 1' organismo , Reazione organica. 21 sieno le altre che indirettamente lo deprimono, co- me le sottrazioni, le privazioni, oppure le cause ir- ritanti, vengono susseguiti da altri effetti non a loro corrispondenti, senza che neppure questi ultimi e- sprimano alcun processo morboso secondo questo primo punto d'osservazione, in quanto che sono di poca entità le cause di tali effetti. Vedasi difatto quel che avviene nel nostro fisico per cause morali nel corso ordinario della vita dopo un fatto affliggente, dopo una dispiacevol notizia, dopo un lieve spaven- to o terrore. La superficie del corpo s'impallidisce , un qualche grado di tremore invade le membra: nel quale stato se avviene che venga esplorato il polso, ritrovasi esso piccolo e frequente. Tutto ciò indica quello stato nominato avvilimento. Ma non di molta durata è la manifestazione di questo stato: im- perocché dopo pochi istanti del medesimo quel pal- lore della superficie del corpo si converte in colore rubicondo, non piìi treman le membra, il polso pren- de un ritmo più elevato del normale, e quindi un lie- ve madore comparisce sulla fronte. Tale è il com- plesso de'sintomi, che costituisce lo stato di risalta- mento. Il delicjuio prodotto dalle morali cagioni si riferisce a'suddetti due stati. La successione degli e- sposti due stali, il primo di avvilimento, ed il secon- do di risaltamento, si osserva derivare ancora dagli effetti di potenze fisiche deprimenti secondo la nu- merazione sopra descritta delle medesime. Cosi suc- cedono le molte volte questi due stati dopo Y inge- stione di sostanze molto acide , e di altre che siano assai disgustose : succedono pure dopo d'aver intro- dotto nello stomaco una bevanda molto fredda, spe- cialmente in soggetto riscaldato : succedono ancora gli stessi due stati dopo la sos^pensione anche di non 22 S e 1 E if z E molta entità d'un atto abituale, e dopo una percossa anche lieve in parte assai sensibile; senza che in tut- ti questi casi, secondo il suddetto primo punto d'os- servazione, si costituisca alcuna permanente altera- zione, essendo fugaci i due stati nominati di avvili- mento e di risaltamento costituenti i casi qui con- templati. Lo stesso deliquio prodotto da fisica im- pressione è riferibile a questi medesimi casi. CAPITOLO SECONDO. Cause concomitanti , che modificano lo stato d* in- tensità delle due parti avvilimento e risaltamen- to del fenomeno della reazione organica. La manifestazione dei due stati avvilimento e risaltamento del fenomeno della reazione organica si modifica a seconda della più o meno entità delle ca- gioni deprimenti, della loro azione elettiva , della varietU de'temperamenti nei vari soggetti, del loro diverso stato, e della varia predisposizione de' mede- simi. Così, per esempio, se la causa deprimente è di lieve entità sviluppando reazione organica, si produ- cono gli effetti contemplati ne'suddetti due stati cor- rispondentemente a siffatta cagione : si nota ancora questa medesima corrispondenza , quando la cosa aumenta in intensità. Cosi pure per l'azione elettiva delle morbose potenze i due suddetti stati si modifi- cano in maniera, che se la potenza agisce elettiva- mente sul cuore e su i vasi maggiori, come il terro- re, nel primo stato a quel pallore della superficie del corpo, a quel tremore delle membra, ec. si asso- cia un qualche grado di palpilo al cuore, un lieve grado di difficolta di respiro, cui tien dietro il secon- Reazione organica 23 do stato sopra annunciato, al quale si aggiunge in questo caso un senso di calore nell'apparato cardia- co. Nella stessa guisa se le potenze deprimenti, quan- do producano la organica reazione, agiscono nel cer- vello, od in altra parte, i due stati sono espressi ol- tre i comuni notati sintomi anche con sintomi relati- vi all'encefalo, o con quelli relativi ad altra parte. Parimenti la causa fisica o morale, da cui deriva la reazione organica, quantunque lieve, produce eflfetti diversi secondo i vari temperamenti degl' individui. In un soggetto di temperamento nervoso assai sen- sibile essa produrra gli accennati due stati in un grado assai più marcato di quello, che li produce in un altro soggetto dotato di temperamento ner- voso meno sensibile, o di altro temperamento. Co- si ancora il vario stato, in cui può trovarsi l'orga- nismo, modifica i due stati sintomatici di avvilimen- to e di risaltamento sopra contemplati , in guisa che tutte quelle circostanze, le quali rendono sen- sibilissimo l'individuo nelle varie vicende della vi- ta, fanno essere più o meno forti gli effetti pro- dotti dalle deprimenti potenze: e perciò gli uomi- ni in preda de'patemi, come in preda dell'orgoglio, dell'amor della gloria, delle ricchezze ec, allorché incontrano un obice anche lievissimo alle loro pas- sioni, risentono i suddetti efifetti più di quegli uo- mini che non si trovano percossi da tali patemi. Le donne in mestruazione, in gravidanza, in puer- perio soflfrono anch'esse in siffatto stato i citati ef- fetti per causa anche leggerissima, più assai di quel- li che soffrirebbero se non fossero in tempo di mestruazione, di gravidanza, di puerperio. Il tro- varsi nello stato di convalescenza è ancora una si- tuazione, che rende assai sensibili gli efifetti sopra- 24 Scienze narrati. E quanto allo stato , in cui può trovar- si r organismo , si nota soprattutto , che il pas- saggio rapido, il quale avviene dallo stato di quie- te a quello, che succede mentre si produce un' im- pressione tumultuosa; da quello di speranza all'al- tro d'imprevisto timore; da quello di gioia all'altro d'imprevista tristezza ; e così pure il rapido pas- saggio, che avviene in un individuo dallo stato di calore a quello, in cui riceve una frigidissima sen- sazione; da quello, nel quale si ha la continuata sen- sazione di cose aggradevoli, all'altro che deriva da subalterna sensazione disaggradevole: si nota, dissi, che siffatti rapidi passaggi fanno in modo partico- lare risentire gli effetti, che sono stati marcati ne* due sopra descritti stati. La varia predisposizione ancora de' vari individui, onde essi sono atteggiati a rimanere affetti dalle potenze deprimenti, modi- fica i suddetti due stati sintomatici in guisa, che per siffatta predisposizione secondo che questa o è generale ne'grandi sistemi, o è limitata alle varie parti, i sintomi, che si sviluppano ne'due stati, o sono generali soltanto, oppure sono generali e par- ticolari relativi alle parti predisposte. In tutte sif- fatte circostanze, che io chiamerò cause concomi- tanti nello sviluppo dell'organica reazione, l'indi- viduo è piìi impressionabile dalle cause deprimen- ti: che è quanto dire, l'eccitabilità è più manife- stata in forza di quel particolare stato dell' orga- nica mistione, che risulla dalle varie vicende, cui soggiace il nostr'organismo. Quando pertanto le cau- se deprimenti in tutte le circostanze indicate pro- ducono l'organica reazione, sono di non molta en- tità, si sviluppano i due stati di avvilimento e di risaltamento nel corso ordinario della vita dentro Reazione organica 25 i limiti già considerati, senza che si costituisca al- cun processo morbosot CAPITOLO TERZO. Fatti di reazione organica, che oltre gli stati esseu' ziali di avvilimento e risaltamento si associano alCangioidesi, od ingorgo attivo di sangue. La reazione organica non è sempre limitata dentro gli osservati confini. Essa di sovente gli ol- trepassa, sì perchè le cagioni deprimenti tanto mo- rali quanto fisiche non sempre sono di quella lie- ve entità, che è necessaria, affinchè siffatta organica reazione non sorta da'limiti sunnominati : sì per- chè le molte volte sono assai marcate le indicate circostanze, che influiscono nel maggiore o minore sviluppo degli stati di avvilimento e di risaltamen- to. Ed è per tali cagioni, che si osserva in secon- do luogo, in seguito all'azione di cause deprimenti sì fisiche e sì morali, lo sviluppo de'nominati due stati, ossia della reazione organica con una perma- nente morbosa alterazione di piìi o meno intensità in rapporto all'intensità medesima delle cause de- primenti , e di quelle concomitanti. Così l'azione d'una forte causa deprimente non si limita, come ne'casi sopra narrati nel primo punto di osserva- zione, a manifestare soltanto lo sviluppo de'due sta- ti senza alcuna permanente alterazione; ma bensì produce i due stati medesimi di avvilimento e di risaltamento con assai piìi imponenza, e con alte- razione morbosa di vari gradi, ed anco tale , che le molte volte o sotto il primo stato, o sotto il se- condo è slata anche causa di morte. Ancor quivi 26 Scienze i sintomi di avvilimento sono il pallore della su- perficie del corpo, il tremor delle membra, la bas- sezza de'polsi: ma sono assai più intensi di quelli già considerati, ed a questi si aggiunge ancora qual- ch'altro sintoma, che vieppiù appalesa lo stato di avvilimento , come sarebbe il senso di freddo, lo scrosciare de'denti, lo smarrimento degli occhi. A* quali sintomi, che sono di più o meno lunga du- rata, tengono dietro quelli di risaltamento , ed al pari de'gia notati nel nominato primo punto d'os- servazione si sviluppano rossore, calore, il polso prende un vigoroso ritmo, le membra non sono più tremanti: ma tutto ciò succede con assai più inten- sità di cjuella , che avviene nello stato di risalta- mento nel contemplato primo punto d'osservazione: si aggiunge ancora alle volte in questo stato un mo- vimento febbrile della durata di alcune ore , che si risolve con abbondante traspiro. Per dimostra- re le quali cose si esporranno i fenomeni di rea- zione organica in questo secondo punto d'osserva- zione considerati, tanto prodotti dalle cause morali quanto dalle fisiche , sieno queste ultime o cause che direttamente deprimono l'organismo, o lo depri- mono indirettamente, come le sottrazioni, le pri- vazioni , o sieno le cause irritanti pe' loro rap- porti dinamico-organici. E quanto alle cause mo- rali si osservano fenomeni di reazione organica con permanente alterazione negli effetti, che sono pro- dotti in noi , per esempio, da un forte spavento: ne'quali effetti si osserva primieramente come im- medialo risultato delle cause morbose lo stato di avvilimento contrasegaato da' sopra esposti sinto- mi. Dopo del quale stato, ove non avvenga la mor^ te nello stesso avvilimento: nel qual caso non esi- Reazione organica 2T ste reazione organica, perchè manca la seconda par- te di questo fenomeno, ossia il esaltamento , che è una condizione essenziale allo sviluppo della me- desima reazione: dopo del quale stato di avvilimen- to , dissi , si manifesta secondariamente il risalta- mento caratterizzato da' sintomi sopra narrati con permanente alterazione ne'vasi centrali della circo- lazione del sangue : siccome viene distinta siffatta alterazione da'particolari sintomi relativi allo stesso centro del sistema vascolare sanguigno. La mede- sima alterazione è ancora le molte volte associata ad un movimento febbrile di parecchie ore. Gii stes- si effetti prodotti dallo spavento possono sviluppar- si tanto in un modo acuto, quanto in un modo lento, secondo che la causa morbosa ha agito in una so- la volta con grand'impeto, oppure ha agito con mi- nor impeto in più volte: in ambidue i casi si for- ma l'alterazione di piìi o meno lunga durata nelle suddette parti. Le amarezze , i dispiaceri ripetuti producono gli effetti sopra descritti con alterazione permanente nelle parti centrali del sistema vasco- lare sanguigno. I patemi d'animo, che agiscono elet- tivamente sul capo, cagionano fenomeni di reazione organica con predominio de' sintomi encefalici , i quali dimostrano in cjuesto caso succedere nel ca- po una permanente alterazione, che le molte volte è ancor causa di alienazione mentale. L'alterazione permanente in discorso non è altro che un ingor- go di sangue, come vien palesato dall'aspetto sin- tomatico, e come in seguito sarà dimostrato median- te altre ragioni. Anche per l'azione delle sostanze che direttamente deprimono l'organismo, singolar- mente per quella de'narcotici deprimenti o quando sono stati presi in dose troppo forte per equivo- 28 Scienze co, o per propinato veleno, o non proporzionata a' bisogni ed allo stato della macchina, si ha la rea- zione organica co'due stati di avvilimento e di ri- saltamento espressi da' sintomi generali descritti , e da'parziali sviluppati per l'azione elettiva di sif- fatte deprimenti cagioni dinotanti l'alterazione piìi o meno permanente, che consiste nell'ingorgo san- guigno in quella parte, in cui tali potenze spiega- no la loro elettiva azione. Cosi, per esempio, si so- no veduti i due stati di avvilimento e di risalta- mento con sintomi febbrili e d' ingorgo vascolare al capo in chi aveva preso forte dose di giusquia- mo: si sono pure notati gli stessi due stati con sin- tomi febbrili, o senza di questi, e con sintomi d'in- gorgo sanguigno ne'vasi stomachici in chi per equi- voco aveva preso forte dose d' ossido di bismuto. Le sottrazioni ancora sogliono produrre fenomeni di organica reazione con ingorgo di sangue pili o meno permanente in quella parte, che al medesi- mo ingorgo è predisposta. Si osserva infatti la rea- zione organica prodursi dal freddo con ingorgo di sangue al polmone in que' soggetti, che sono pre- disposti agl'ingorghi vascolari pneumonici. Molti ca- si di asma riconoscono questa cagione. Il gelo in- ternamente preso si è visto causa di reazione, se- condo gli aspetti qui considerati. L'emorragia è sta- ta pur causa di reazione organica con ingorgo di sangue piìi o meno permanente nel viscere predi- sposto al medesimo r cosi, per esempio, dopo una metrorragia si sono sviluppati i due stati di avvili- mento e di risaltamento con sintomi d'ingorgo di sangue nell'utero, e ne'vasi centrali della circola- zione: e così pure in seguito alle gravi perdite di sangue per lesione traumatica si è osservata la ma- Reazione organica 29 nlfestazìone dei due suddetti stati con sintomi d'in- gorgo di sangue in quella parte al medesimo in- gorgo predisposta. La stessa organica reazione ne' suoi effetti, che qui si contemplano, si è pure tal- volta osservata in chi ebbe a sostenere un numero di salassi portato oltre que'limiti prefissati dal bi- sogno, e dall'esatta cognizione de' fenomeni vitali. Le privazioni, come sopra diceva, ci danno talora esempio di reazione organica nel modo, che qui si considera: intorno a che si è notato il caso di pro- lungato digiuno, che ha dato motivo allo sviluppo dei due stati di avvilimento e di risaltamento con movimento febbrile, e con sintomi d'ingorgo san- guigno pili o meno permanente ne'vasi stomachici: la sospensione di certe azioni abituali ha pure pre- sentato consimili esempi. Le cause irritanti ancora producono le molte volte, come si disse, fenomeni di reazione organica con susseguente movimento feb- brile, e con sintomi d'ingorgo vascolare piìi o me- no permanente in quella parte o viscere , che è predisposto a siffatto ingorgo sanguigno, o elettiva- mente risente l'azione delle nominate cagioni. Sotto questo rapporto si osservano i due stati di avvili- mento e di risaltamento con febbre e sintomi d'in- gorgo vascolare in que' soggetti , che sono vessati dalle febbri intermittenti. In questi soggetti, secon- do le cause concomitanti già accennate nel feno- meno della reazione organica, si sviluppano sintomi dinotanti l'impegno, che prende uno od un altro viscere nello stato di risaltamento, in guisa che si vede le molte volte un grave impegno nella testa, nel cuore, nel polmone, ne'visceri del basso ven- tre, ec. ; come ciò dimostrano ad esempio le feb- bri periodiche encefaliche, cardiache, pneuraoni- 30 Scienze che, enteralgiche, ec. Sotto il medesimo suddetto rapporto si osservano ancora i due stati di avvi- limento e di risaltamento con sintomi d' ingorgo sanguigno, e con movimento febbrile negl'indivi- dui aflfetti da cholèra morbus. Oltre questi casi non è infrequente l'osservare, in seguito allo stato d'av- vilimento prodotto da altre cause irritanti, come tagli, punzioni, distensioni, ed altre di questa na- tura, non è infrequente, diceva, l'osservare in que- sti casi dopo l'avvilimento Io stato di risaltamento con febbre, e con sintomi d'ingorgo di sangue in quella parte al medesimo ingorgo predisposta. In proposito della reazione organica secondo questo punto d'osservazione narra il celebre Monteggia, che un certo soggetto preso da tale alterazione nel- la vescica, che l'obbligava all'introduzione del ca- tetere per espellere 1' orina , egli rimaneva affet- to ad ogni introduzione del catetere dai due stati di avvilimento e di risaltamento in modo, che per essi erano decisamente costituiti accessi di febbre intermittente. In tutti i descritti fatti considerati in questo secondo punto d'osservazione, quando lo stato di risaltamento ha un fausto esito, si nota esser proceduto un tal esito da critici salutari mo- vimenti, come dal sudore, o dalla emeto-catarsi, o dall'orina: quando poi non si producono siffatti salutari movimenti, o avviene la morte, perchè l'in- gorgo sanguigno ha cagionato paralisi su i nervi essenziali alla vita, oppure ha prodotto lo strava- so, ovvero avviene 1' appoplesia come effetto dello stesso ingorgo vascolare, oppure succede il proces- so infiammatorio nella parte ingorgata di sangue. In conseguenza in questo secondo punto d'osser- vazione, oltre l'avvilimento e il risaltamento, che Reazione organica 31 costituiscono la reazione organica , si hanno nella medesima sintomi di permanente alterazione rife- ribile ad ingorgo vascolare sanguigno. CAPITOLO QUARTO. Fatti di reazione organica^ che oltre gli stati es- senziali di a\>\>ilimento e di risaltainento si associano alV infiammazione. L'alterazione formata nel nostro organismo per lo sviluppo de'fenomeni di reazione organica non si limita air ingorgo sanguigno co' suoi immediati esiti: ma questa alterazione si sviluppa ancora con maggiore intensità, passando in molti casi quel sem- plice ingorgo vascolare sanguigno allo stato infiam- matorio per motivo della maggiore intensità delle cause deprimenti, della loro ripetuta azione, e della maggiore intensità di tutte le cagioni concomitan- ti , le quali nel primo e secondo punto di queste osservazioni vedemmo influire al maggiore o mino- re sviluppo dell'organica reazione. Ed è perciò, che in terzo luogo si osserva l'infiammazione accesa in varie parti come conseguenza della reazione orga- nica. Il quale risultato della reazione organica si nota le molte volte in seguito all'azione di cause deprimenti sì morali e si fisiche, sieno queste ulti- me o sostanze che direttamente deprimono l'orga- nismo , sieno mezzi che indirettamente lo depri- mono, come le sottrazioni, le privazioni; e talora lo stesso risultato avviene pure in seguito all'azio- ne delle cause irritanti. In questi casi la reazione organica non diflferisce nel suo sviluppo da ciò, che di essa si è notato nel primo e secondo punto di 32 Scienze queste osservazioni. Tanto lo stato di avvilimento succeduto immediatamente all' azione della causa morbosa, quanto quello di risaltamento succeduto al primo stato, si manifestano nel modo medesimo, che già si è considerato: nella stessa guisa pure, e per le stesse circostanze anche quivi si sviluppa lo stato di risaltamento con movimento febbrile, e col successivo ingorgo sanguigno in quelle parti, che o sono predisposte al medesimo ingorgo, o ricevo- no l'azione elettiva delle cause morbose. Solo si ag- giunge in questo terzo punto d'osservazione il pro- cesso infiammatorio acceso nelle parti ingorgate di sangue nella maniera sopra contemplata, il quale o può risolversi felicemente mediante i conosciuti critici salutari movimenti, o può passare a'noti esi- ti dell' infiammazione. Onde vedere esempi di tal morboso procedimento, si noti anzi tutto tra le cau- se morali lo spavento quando e stato fortemente inleso, o quando più volte si è prodotto dopo di aver cagionato la reazione organica percorrendo quelle fasi, che furono rimarcate nel primo e se- condo punto di queste osservazioni: in seguito alle quali si produce l'infiammazione de' vasi sanguigni o ne'punti centrali del sistema circolatorio, oppure si costituisce decisamente l'angioìte. In questa gui- sa ancora si osserva l'infiaipmazione lenta di qual- che tratto de' vasi cerebrali in chi vessato dall'or- goglio ebbe a sofifrire l'organica reazione per obici incontrati a questo patema. Parimenti negli stes- si vasi cerebrali si sviluppa la lenta flogosi, che è talvolta cagione ancora di mentale alienazione, in quella donna che ha sofiferto reazione organica pe' continui dispiaceri da lei incontrati nel suo non corrisposto amore. Hannosi pure esempi di cupa Reazione organica 33 flogosi al fegato accesa in seguito alla reazione or- ganica prodotta dall'azione di patemi deprimenti. Ricordo in tal proposito col più forte rammarico la disgrazia avvenuta alla più umana e più saggia delle madri, che formava il mio contento, la quale nella sua età più florida rimase vittima di cupa flogosi epatica sviluppatasi dopo continuati dispia- ceri cagionati dalla perdita di un suo amatissimo figlio, e dal timore di perderne altri in mezzo alle politiche vicende del cessato governo italico. Il pro- cesso infiammatorio molte volte si è ordito in varie parti del corpo in conseguenza della reazione or- ganica prodotta dall'azione di sostanze deprimenti. Così per esempio si narra dal Tommasini il caso d'una fierissima gastrite, sviluppata per organica rea- zione dopo il più spaventevole stato di avvilimento cagionato dall' ingestione fatta per isbaglio d' una gran quantità d'ossido di bismuto. Si hanno pure esempi di spinite accesa per reazione organica dopo 10 stato di sommo avvilimento prodotto da dose troppo forte di noce vomica. Le sottrazioni molte fiate sono causa, come si disse , di reazione orga- nica, dalla quale deriva il processo infiammatorio. 11 freddo porge infiniti esempi di questo fenome- no. E difatti dopo un più o meno lungo intiriz- zimento prodotto dal freddo, che equivale all'av- vilimento, primo stato della reazione organica, suc- cede il risaltamento , dopo di cui frequentemente si osserva svilupparsi 1' angina , la pleuritide , la pneumonite, la metrite, la resipola o la flogosi in qualunque altra parte predisposta al processo in- fiammatorio. Cosi pure si è osservato il caso d'in- fiammazione accesa in chi ebbe a sofi'rire gravi perdite di sangue , dopo che queste perdile me- G. A. T. LXXII. 3 34 Scienze deslme avevano prodotto il più grave stato dì av- vilimento. Si nota ad esempio la metrite svilup- pata dopo lo stato di sommo avvilimento prodot- to da una grave metrorragìa. Sotto questo rappor- to sono a considerarsi quelle esacerhazioni avve- nute durante Tinfiammazione accesa in qualunque parte , nella cura della quale sonosi fatte sottra- zioni o non proporzionate a'hisogni, o troppo ec- cedenti nella quantità ogni volta che si sono fat- te. Dopo queste sottrazioni o eccedenti in una so- la volta, o dopo un certo numero di volte, si pro- duce quello stato di avvilimento, a cui succede per organica reazione il risaltamcnto, che è causa del- le esacerhazioni in discorso. Le privazioni pure so- no cause alcune volte dell'organica reazione pro- ducente il processo infiammatorio. In questo pro- posito si devono calcolare gli effetti, che talora si notano in seguito all'astinenza delle sostanze ali- mentari , ove questa venga eseguita o per defi- cienza de'mezzi necessari all'uopo, o in modo non consentaneo alle savie viste di nostra santa reli- gione, o per qualsivoglia altra cagione. In questi casi succede nello stomaco la reazione organica co'due stati di avvilimento e di risaltamcnto, sic- come sono stati già considerati, che in sulle pri- me si riducono a semplici turbamenti dinamici a- naloghi a' fatti esposti nel primo punto di queste osservazioni , e che quindi colla ripetizione della causa, e co' repetuti dinamici turbamenti si pro- ducono gl'ingorghi vascolari nella guisa stessa, che furono considerati nel secondo punto di queste me- desime osservazioni: a' quali ingorghi in fine succe- de il processo infiammatorio. La gastrite si è pure sviluppata in seguito alla reazione organica prò- RSAZIONS ORttAMIOi. 35 dotta dall'astinenza delle sostanze alimentari per alcuni giorni in una sola volta continuata. Sono relative a tale infiammazione le osservazioni di Poz- zi, dì Giuseppe Hunter, e le esperienze di Dumas e di Magendie , i quali autori rinvennero lo sto- maco infiammato, ed anco ulcerato negli animali , ch'essi avevano fatto perire di fame. Da siffatte os- servazioni deducono gli stessi autori, che l'astinen- za, principale rimedio della gastro-enterite, possa addivenire causa occasionale d'infiammazione sem- prechè sia troppo rigorosa, e soverchiamente pro- lungata. Non sono pur rari i casi d'infiammazione accesa dopo lo stato di risaltamento avvenuto per reazione organica sviluppato dopo 1' avvilimento prodotto dalle irritanti potenze. Vuoisi riportare a questo risultato dell'organica reazione il processo flogistico, che ne'visceri del basso ventre partico- larmente si ordisce in chi fu piii volte vessato dal- le febbri intermittenti. Avviene in questo caso di reazione organica sviluppata co' sintomi di feb- bre periodica ciò stesso, che è stato già conside- rato nel secondo punto di queste osservazioni: pro- movendosi nello stato di risaltamento primieramen- te il movimento febbrile, e quindi colla di lui ri- petizione gl'ingorghi vascolari sanguigni ne'visceri predisposti: alle quali stasi di sangue succede il pro- cesso infiammatorio. L'infiammazione in vari punti, , che succede alla reazione organica nel cholera-mor- ( bus, è un altro fatto compreso in questo terzo pun- to di osservazioni. Relativamente alle irritanti po- I lenze avviene pur talora, che dopo l' avvilimento 1 prodotto dalla causa traumatica si sviluppa per or- ; ganica reazione uno stato tale di risaltamento, che j alcune volte suscita la flogosi la più micidiale non 36 SciBNSS solo nella parte, dove si ebbe l' immediato effetto dell' azione della causa traumatica , ma ancora in altre parti. Le operazioni chirurgiche molte valte offrono esempi di questa natura. Tali esempi di flo- gosi si hanno pure in seguito alla reazione orga- nica avvenuta per l'effetto di compressioni, pimzio- ni: e la stessa caduta con commozione cerebrale ha offerto il caso di flogosi ne'vasi cerebrali sviluppa- tosi nello stato di risaltamento avvenuto dopo un avvilimento estremo. Il Tommasini su di questo pro- posito espone il fatto successo nella persona del prof. Dentoni, il quale per caduta fu preso da tut- ti i sintomi di commozion cerebrale, cui tenne die- tro la flogosi encefalica. Immediatamente alla cadu- ta in questo soggetto si manifestarono i segni di mortale avvilimento , in modo che per non vedere estinta la vita, in tale stata si dovette ricorrere all' amministrazione di ricreante medicina. In questa guisa si riebbe il paziente, e stette qualche ora col riacquisto delle forze quasi allo stato normale; ma poi si svilupparono tutti i sintomi dell'encefalite, che, quantunque si salvasse l'infermo con molti sa- lassi, e con altri mezzi deprimenti, pure fu causa della perdita della memoria, che mai più non tornò. Dalle quali cose si può concludere, che in questo terzo punto di osservazioni, oltre gli stati di avvili- mento e di risaltamento costituenti la reazione or- ganica, si hanno gì' ingorghi vascolari sanguigni , ed il susseguente processo infiammatorio. Reazione orgawica 37 SEZIONE TERZA. Analisi degli elementi essenziali costituenti i fatti delV organica reazione. CAPITOLO PRIMO. Riduzione de* fatti della reazione organica , ed esame generale degli elementi essenziali de^ medesimi fatti. Tutti i fatti esposti ne'tre punti di osservazio- ne, come sono stati sopra considerati, sono que' fat- ti, che dalle scuole mediche moderne italiane si ri- feriscono alla reazione organica: intorno a'quali si faranno ora alcune riflessioni, onde conoscere la ragione di loro esistenza. Ed intanto questi fatti secondo i tre punti d'osservazione, ne'quali furono esposti, sono riferibili a tre ordini distinti in mo- do, che nel prim' ordine sono compresi que'fatti, ne' quali si notano gli stati di avvilimento e di risaltamento , che essenzialmente costituiscono la reazione organica con sintomi analoghi alla parte singolarmente interessata, senza che perciò si co- stituisca alcuna permanente alterazione, siccome al primo punto d' osservazione. Nel second' ordine si comprendono que'fatti, che oltre gli stati di av- vilimento e di risaltamento presentano, in conse- guenza di questi due stati, il movimento febbrile e l'ingorgo vascolare sanguigno, come al secondo punto di osservazione. Nel terz' ordine infine so- no compresi que'fatti, che oltre lo stato di avvi- limento e di risaltamento manifestano, come risul- 38 S e I B a s B tato del secondo stato, gl'ingorghi vascolari ed il processo infiammatorio, come nel terzo punto d'os- servazione. Perciò sono di lieve entità i fatti rife- riti nel prim' ordine , di maggiore entità i fatti del second' ordine, e della piii grave entità i fatti compresi nell'ordine terzo. Discende pure da que- sta medesima classificazione di fatti, che gli ele- menti dell'organica reazione sono gli stati di avvi- limento e di risaltamento, riconosciuti come basi essenziali di ciascuno degli esposti fatti. Per le qua- li cose vuoisi incominciare a considerare i fatti di- mostranti l'organica reazione in quelli esposti nel primo punto d' osservazione compresi nel prim' ordine: perchè trovandosi ivi isolati gli elementi essenziali della reazione organica, ed essendo della più lieve entità, si potrà meglio che in altro mo- do trovar la ragione di loro esistenza. La quale trovata, dovrà essere la prima hase del principio dottrinale da stabilirsi, mentre tutti i fatti espo- sti nei tre ordini sono riferibili ad un solo prin- cipio, la cui manifestazione è la reazione organi- ca. Pertanto i primi elementi quantunque lievi , che furono osservati ne' fatti del prim' ordine , i quali in grado maggiore d'intensità sono comuni a'fatti riferiti negli altri due ordini, sono i due slati di avvilimenio e di risaltamento, che costi- tuiscono l'organica reazione; in conseguenza con- viene analizzare ciascuno di essi per rinvenire la ragione dell'esistenza de'fatti in discorso. )L.o stalo di avvilimento è l'immediato effetto dell'azione del- le cause morbose deprimenti, sieno morali o fisi- che, o l'immediato risultato delle sottrazioni, delle privazioni, e delle irritazioni. L'avvilimento con- siderato come semplice fatto esprime due parti es- Reazione organica 39 senzlali, dalle quali è costituito; una è in rapporto col sistema nervoso, l'altra col sistema sanguigno. La parte in rapporto col sistema nervoso è mani- festata da quel grado piìi o meno di depressione delle forze vitali, che si scorge nello stato di av- vilimento, dalla deficienza del calorico, dal tremo- re delle membra: l'altra parte in rapporto al si- stema sanguifero è palesata da un difetto di cir- colo sanguigno , che si manifesta col pallor del volto, e di tutta la superficie del corpo. I quali effetti in questo caso considerati o avvengono len- tamente a seconda della lentezza dell'azione delle cause deprimenti, oppure avvengono con celerità a tenore dell'impeto nell'azione delle stesse cause deprimenti. Lo stato di risaltamento, parimenti con- siderato come semplice fatto, esprime pure due par- ti essenziali, dalle quali viene costituito: l'una è re- lativa al sistema nervoso, e l'altra è in rapporto al sistema vascolare. Al sistema nervoso sono rife- ribili i sintomi di piU o meno aumento delle for- ze vitali, d'aumento di calorico: al sistema sangui- gno poi sono riferibili i sintomi d'aumentato cir- colo del sangue, e le conseguenze del medesimo aumento. 40 S e I E N X E CAPITOLO SECONDO. Esame detrazione delle cause producenti Vorgani' ca reazione^ e degli effetti prodotti da quest'azio- ne relativamente alle massime sostenute dagli etiologisti nella spiegazione deWantispasi ippo- cratica , e dagli eccitabilisti nelV intendimento delV organica reazione. Per intendere ciascuna delle parti, che costi- tuiscono gli stati di avvilimento e di risaltamento, elementi essenziali della reazione organica si in ri- guardo al sistema nervoso, e sì in riguardo al si- stema vascolare sanguigno, conviene esaminare, 1." l'azione delle morbose potenze in rapporto a que- sti medesimi elementi, sieno tali potenze morali o fisiche, tra queste ultime sieno sostanze che o di- rettamente deprimono l'organismo, o indirettamen- te, come le sottrazioni, le privazioni, ossiano le cau- se irritanti: 2° si devono considerare gli effetti pro- dotti da quest'azione. Le cause morbose hanno col nostro organismo vari rapporti, mentre sono in re- lazione o colla sua composizione chimica, o colla sua meccanica struttura, o co' vitali movimenti risul- tanti dalla sua organizzazione ; pe' quali rapporti alcuni moderni scrittori stabilendo 1' azione delle cause morbose, la distinsero in azione chimico-or- ganica, in meccanico-organica, ed in dinamico-or- ganica: e furono distìnti perciò gli agenti in chi- mico-organici, in meccanico-organici, ed in dinami- co-organici: avvertendo in pari tempo, che isolata- mente ciascuna di siffatte azioni non si realizza in alcun agente, ma che tutte e tre si trovano con- Reazione organica 41 giunte sempre insieme, e che intanto gli agenti si distinguono nel modo citato, in quanto che eserci- tano una maniera di azione con predominio sulle altre due maniere. Prevalendo perciò nelle cagioni i rapporti chimico-organici, prendono esse il nome di cause chimico-organiche; prevalendo i dinamico- organici, sono nominate con vari termini, per la ra- gione che siccome da' rapporti dinamico-organici tra le potenze esterne ed interne agenti nel nostr* organismo e l'organismo medesimo risulta l'espres- sione dell'aumentato o diminuito eccitamento, dell* aumento o difetto delle forze vitali, dello stato di stimolo o di controstimolo , così tutte le potenze esterne ed interne possono essere considerate sotto questi rapporti, e perciò distinte in dinamico-or- ganiche, in stimoli e controstimoli, eccitanti e de- primenti, o in qualsivoglia altro termine, che in- dichi il modo d'agire dinamico-organico delle po- tenze relativamente a'movimenti dinamico-vitali del tessuto organizzato. Prevalendo poi nelle cagioni i rapporti meccanico-organici , queste si nominano meccanico-organiche, ed anco sono state dette po- tenze irritanti. Nell'oggetto, di cui qui si tratta, l'azione che meno influisce sul producimento dell* organica reazione è la chimico-vitale, non accaden- do nella produzione degli elementi essenziali di que- sto fenomeno alcun processo chimico-organico ; e quell'azione, che havvi la massima influenza, e che anzi, come vedremo, interamente è causa della rea- zione, e la dinamico-organica. Ma perchè quest'a- zione abbia a produrre la reazione organica è di necessita, che per essa si producano movimenti vi- tali dinamici ne'due sistemi nervoso e vascolare. In- torno i quali movimenti, necessari allo sviluppo del /^2 Scienze fenomeno in tllsoorso, non sono d'accordo gli auto- ri, che han parlato di siffatti movimenti vitali in rapporto all'organica reazione. Gli etiologisti allor- ché discorrono dell' antispasi ippocratica , che in molti casi si riduce all'organica reazione delle scuo- le mediche moderne italiane, dimostrano la ragio- ne di questo fenomeno ammettendo due maniere di movimenti vitali, contrattiva l'una ed espansiva l'altra: le quali due maniere o insieme coesìstono, secondo gli stessi autori, in varie parti del corpo, oppure l'una coll'altra si alterna, come accade nel- la maggior parte delle volte. Essi aggiungono pure, che il movimento di contrazione, il quale si pro- duce per esempio nello stadio del freddo in un accesso di febbre periodica, è succeduto da quello di espansione nello stadio del caldo. Questa alter- nativa di movimenti contrattivi ed espansivi è ap- plicabile, secondo gli etiologisti, in tutti i casi di antispasi ippocratica, in cui si collegano i due stati di avvilimento e di risaltamento. Intorno alla qua- le dimostrazione si riflette, che quantunque le due maniere indicate di movimenti fossero i decisi mo- vimenti non cjuestionabili dell' essere organizzato, essi esprimereb])ero in qualche parte il solo fatto, e non mostrerebbero la cagione dell'esistenza del medesimo. Imperocché si potrà accordare, che il movimento di contrazione succeduto immediatamen- te all'azione della causa morbosa, in cui vuoisi far consistere lo stato di avvilimento, sia susseguito dal movimento di espansione, a cui si crede di poter ridurre lo stato di risaltamento; ma non potrassi accordare, che in questo modo si determini la cau- sa, che produce il moto espansivo avvenuto dopo il tontrattivo; e ne per conseguenza potranno esse- Reazione organica 43 re spiegati co' suddetti movimenti tutti gli ele- menti sopraccennati, che costituiscono le due parti essenziali della reazione organica, l'avvilimento e il risaltamento. Ne per Tintelligenza della causa del moto espansivo succedente al contrattivo, nel caso che qui si esamina, sembra aver molto peso l'agir di due cause esterne nel nostr' organismo , come dicono gli etiologisti, l'una che produce movimenti contrattivi, e l'altra espansivi. Imperocché queste cause o agiscono contemporaneamente, o successi- vamente: se agiscono contemporaneamente, oltreché potrebbero elidersi dovendo produrre in un mede- simo tempo i loro effetti, non isplegano il fenome- no: perchè i due stati contemplati nella reazione organica si succedono, e non sono contemporanei, come dovrebbero essere, ove risultassero da esterne cagioni che contemporaneamente agissero. Se poi le suddette esterne cagioni agiscono successivamente, oltreché è molto difficile il caso, in cui le due ci- tale cagioni s'incontrino in modo, che quasi subito all' azione della potenza , che produce movimenti contrattivi, succeda l'altra, che produce i movimen- ti espansivi, coU'ammissione di queste due esterne cagioni, che sarebbero sempre necessarie allo svi- luppo della reazione organica, si va fuori di que- stione, mentre nel prodursi siffatta reazione ordi- nariamente non concorre altro che una esterna ca- gione; e quand'anche varie cagioni vi concorressero, sono esse della stessa natura. Ne per la medesima intelligenza del moto espansivo succedente al con- trattlvo sembra aver gran valore V ammettere in alcuni casi, siccome pur fanno gli etiologisti, l'a- zione d'una sola causa esterna, che in una parte determina moti contrattivi, mentre in un' altra la ^4 Scienze forza conservativa produce moti espansivi. Impe- rocché in quest' asserzione si troverà assegnata la cagione, per cui avvengono i movimenti contratti- vi: ma non si assegna certamente la causa, per la quale l'efficienza conservativa produce i movimenti d'espansione; causa che conviene assegnare, onde co- noscere la ragione dell'esistenza di tutti gli elemen- ti della reazione organica. D' altronde qual valore abbia questo modo di nominare i fenomeni vitali, il quale non più in la s'inoltra della semplice espo- sizione del fatto per quella parte che risguarda i movimenti de'tessuti organizzati, fu già considerato quando è stata esaminata la forza conservativa. Gli «ccilabi listi , discorrendo delia reazione organica, ■considerano un difetto di moto dinamico o di ecci- tamento nello stato di avvilimento, che succede all' azione della causa deprimente, ed un eccesso dello stesso moto dinamico ossia di eccitamento nello sta- to di risaltamento, che succede al citato primo sta- to in tutti i fenomeni, che risguardano 1' organica reazione. Il qual modo di considerare gli elementi della reazione organica non è sufficiente, a mio av- viso, a dimostrare la reazione dell'esistenza de'me- desimi; imperocché in primo luogo col semplice di- fetto od eccesso di eccitamento non si compren- de in tutte le sue parti il fenomeno in discorso , mentre non lo costituiscono i semplici movimenti vitali degli organici tessuti, in cui gli eccitabilisti considerano reccitamento: ed in secondo luogo in questa considerazione non rimane dimostrata la cau- sa, per la quale abbia a succedere un eccesso di eccitamento in conseguenza al difetto del medesimo. E per questa parte relativa al non assegnarsi la cau- sa dell'eccesso di eccitamento sviluppato in seguito Reazione organica 4& ad un suo difetto in tutti i casi di organica reazìo- fte, gli eccitabilisti si trovano all'unisono cogli etio- logisti. Tanto i primi quanto i secondi incontrano la medesima difficolta di non assegnare la cagione dello stato di risaltamento, che a quello di avvili- mento succede in tutti i casi di reazione organica» Questa e quella difficolta che ha dato motivo a tan»* te opinioni o del tutto immaginarie, o che non so- no adattate a risolverla, come sopra si è già dimo- strato; e questa è pure quella difficolta, che convie- ne superare, ove si voglia intendere il fenomeno dell'organica reazione, e dar di esso una plausibile spiegazione» CAPITOLO TERZO. Esame particolare dell'avvilimento, primo elemen- to essenziale del fenomeno della reazione orga- nica, visto in rapporto alla prima parte di essO' elemento relativamente a movimenti dinamici de* tessuti nervoso e sanguigno prodotti dalle ca— gioni della reazione organica. Per trovare la cagione del esaltamento nel fenomeno della reazione oi*ganica conviene tener conto delle parti essenziali riconosciute in tutti e due gli stati del nominato fenomeno. Queste parti essenziali, come vennero già indicate , sono rela- tive al sistema nervoso ed al sistema sanguigno. So- no relative al sistema nervoso, in quanto che esprit mono un difetto di eccitamento nello stato di avvi- limento, ed un eccesso del medesimo nello stato di risaltamento : sono poi relative al sistema sangui- A6 Scienze gno, In quanto che nello stato di avvilimento le par- ti indicate esprimono un difetto di circolo sangui- gno, e nello stato di risaltamento esprimono un ec- cesso del medesimo. In conseguenza dovendo analiz- zare le parti essenziali costituenti i due stati della reazione organica, non si possono limitare le consi- derazioni a'soli movimenti dinamici degli organici tessuti, ma ancora si devono considerare i movi- menti idraulici effettuati dal sangue nello sviluppo de'suddetti due stati. Le quali due maniere di con- siderazione sono COSI necessarie, che ove una se ne tralasciasse , l'indagine cadrebbe sopra una parte soltanto del fenomeno in questione : per il che se si considerano i soli movimenti dinamici del tessuto organizzato relnlivamente al fenomeno dell'organica reazione, l'indagine non sarebbe diretta che a que- sti movimenti, e rimarrebbero senz' esame i movi- menti idraulici del sangue ; e se questi soltanto ve- nissero considerati, sarebbero trascurati i dinamici movimenti de'citati tessuti. Ne l'esame di questi in- clude ancor quelli de'nominati idraulici movimenti; imperocché questi moti idraulici come possono es- sere eccitati da'dinamici movimenti del tessuto or- ganizzato, cosi possono essi eccitare gli stessi movi- menti dinamici dell' organico tessuto. Ed intanto, considerando ambidue i suddetti movimenti, si av- verte in primo luogo esser cosa manifesta , che in seguito agli effetti prodotti nell'organismo da tutte le cagioni sopra contemplate quando si sviluppa il fenomeno della reazione organica, avviene imme- diatamente per siffatti effetti un difetto di eccita- mento , una diminuzione delle forze vitali , uno stato di controstimolo come risultato delle morbose cagioni ; e siccome un tale risultato non può in al- Rsacioue: oRGAificA. A7 tro tessuto accadere che nel tessuto nervoso , essen- do questo il tessuto , che rende sensibili tutte le parti alle esterne ed interne impressioni , ed essen- do pur questo il tessuto , da cui derivano i vitali movimenti di tutte le parti del corpo, così il difet- to di eccitamento osservato nel primo stato della reazione organica è relativo al sistema nervoso. Il quale difetto di eccitamento non solo risulta, come già si è veduto, da quelle potenze che agiscono di- rettamente sul tessuto organizzato, ma ancora dalle sottrazioni, privazioni, ed anche dalle cause irri- tanti. Quanto alle potenze , che direttamente agi- scono suU'organizzato tessuto, il difetto di eccita- mento avviene per un' azione positiva, che le stes- se potenze hanno sull'organismo opponendosi all'ec- citabilitk del medesimo, e diminuendo in conseguen- za gli effetti della stessa eccitabilità posta in azione da altre potenze. Relativamente alle sottrazioni, il difetto di eccitamento avviene per diminuzione di quella quantità di sostanze, che mediante la loro azione dinamico-organica producono la normalità dell'eccitamento. K ben s'intende, che se per man- tenere l'eccitamento , o lo stato dinamico-organico nello stato normale, che è quanto dire per mante- nere lo stato normale delle forze vitali, si esige una quantità per esempio come dieci di stimoli, o di so- stanze , che colla loro azione dinamico-organico e- sercitino i loro rapporti mediante siffatta azione col tessuto organizzato; ove questa quantità venga di- minuita per causa di sottrazione , deve pure dimi- nuirsi lo stesso eccitamento , e lo stato delle forze vitali. In questa guisa , quantunque per diversi rapporti, si ha il medesimo risultato relativo al di- fetto di eccitamento tanto nel caso di azione positi- 48 Scienze va prodotta da sostanze, ohe hanno un'azione diret- ta sul tessuto organizzato , quanto nell'altro caso di sottrazione di quegli agenti , che sono necessarj al normale sviluppo delle forze vitali e dell' eccita- mento. Le privazioni per un altro rapporto vanno parimenti a produrre il medesimo risultato. E ve- ramente la nostra macchina, affinchè possa mante- nersi nello stato normale di eccitamento e di forze vitali, si trova in necessita di riparare le perdite, cui incessantemente soggiace. Se a queste perdite non ripara , incontra il difetto sopra contemplato nelle sottrazioni : mentre anche in questo caso re- stano diminuiti que'materiali, che sono necessari al- lo sviluppo dello stato normale si delle forze vitali, e SI dell' eccitamento. In conseguenza ancor quivi il risultato di depressione nell'organismo e uguale a quello considerato nel sopra esposto caso di azio- ne positiva deprimente esercitata da potenze , che direttamente agiscono nel tessuto organizzato , ed uguali pure a quello considerato nel caso di sottra- zione. Lo stesso risultato viene ancor prodotto dal- le potenze, che ordinariamente colla loro azione meccanico-organica predominante producono effetti meccanico-organici: che è ciò quanto dire colle po- tenze irritanti. Nel caso in discorso però il fatto po- sitivo è , che coU'azione delle medesime potenze si sviluppa lo stato di avvilimento contemplato qual primo stato dell'organica reazione ; ed è pur cosa di fatto dimostrata, che quest'avvilimento anche quan- do succede all'azione di cause irritanti esprime un difetto di eccitamento, una diminuzione delle forze vitali , insomma uno stato di controstimolo. Per in- tendere questo fatto conviene ritenere, come già si è avvertito, che le cause irritanti possono essere in Reazione organica 49 rapporto nell' organismo co' dinamici movimenti in modo, che in seguito alla loro azione oltre gli ef- fetti meccanico-organici si sviluppano ancor quelli di diminuito eccitamento. E ciò accade per la ragio- ne , che la potenza irritante essendo pur dotata di azione dinamico-organica , come sopra sì è veduto, può produrre gli efifetti dinamici assai rimarchevoli, nel mentre medesimo che per essa sono prodotti gli effetti meccanico-organici. Sotto il qual punto di vista il risultato della depressione vitale, contempla- to in relazione alle cause irritanti, è uguale a quello considerato ne'sopra esposti casi. Nella quale pro- duzione di effetti meccanico-organici e dinamico- organici, che derivano dalle potenze irritanti, non si deve confondere l'irritazione col dinamismo, essendo Len distinte tra loro queste due alterazioni. L'ir- ritazione si deve considerare sempre come un affe- zione locale, che ha sintomi locali , e di simpatico risentimento, diversi affatto da quelli del dinami- smo, perchè non riducibili a questo modo di alte- razione, e che si risolve nel solo caso di espulsione della causa irritante. Al contrario il dinamismo è un affezione generale, secondo le scuole mediche moderne italiane , che ha sintomi generali dinami- ci, che può curarsi co' mezzi terapeutici di azio- ne dinamico-organica predominante , e che può ri- solversi co' noti movimenti critici. E perciò seb- bene dalla causa irritante si possano produrre ef- fetti meccanico-organici e dinamico-organici, pure l'irritazione è sempre distinta dal dinamismo. Ri- conosciuta una tal distinzione, va a dissiparsi la dif- ficolta relativa alla depressione vitale prodotta da potenza irritante : la quale difficoltà nasce dalla massima sostenuta , che la irritazione a lungo pro- G. A. T. LXXII. 4 50 Sciemze"^ tratta produce rinfiammazlone. Imperocché egli è vero, che la irritazione considerata come affezione locale nel modo sopraesposto, ove a lungo si man- tenga, cagiona il processo infiammatorio , il quale si deve ritenere come risultato dell'irritazione, men- tre da essa si produce un afflusso di umori nella parte irritata , dal quale afflusso poi s* ingenera la flogosi; ma egli è pur vero, che la depressione del- l'eccitamento, la deficienza delle forze vitali, lo sta- to di controstimolo risulta dal dinamismo conside- rato come afl"ezion generale prodotto dalla causa ir- ritante, distinto, come si è veduto, dalla irritazione. Ove si volesse notare una prova di fatto della distin- zione sopra considerata in riflesso allo stato di de- pressione coll'irritazione congiunta, si può rimar- care Io stato di controstimolo , di depressione delle forze vitali, che sussiste mentre il dolore prodotto dalla causa irritante si assoccia all'irritazione, spe- cialmente avanti che questa sia pergiunta al grado di flogosi. CAPITOLO QUARTO. Esame particolare delV avvilimento in rapporto alla seconda parte di quest'elemento essenziale della reazione organica^ cioè in rapporto ai moti idrau- lici del sangue prodotti dalle cagioni della or- ganica reazione. Esaminato 1' avvilimento , primo stato della reazione organica, nella sua parte elementare relati- va a'movimenli dinamici, che hanno origine dal si- stema nervoso, ora è da indagarsi lo stesso avvili- mento nell'altra sua parte elementare relativa al Reazione organica 51 cìrcolo sanguigno. In questo elemento del primo stato della reazione organica si nota in generale un difetto di circolo sanguigno nel generale dell'orga- nismo, che maggiormente è rimarchevole in quella parte, nella quale elettivamente agisce la potenza deprimente, o che è predisposta a rimanere altera- ta con siflfatto difetto di circolo per le note cagioni. Questo circolo, reso così difettoso, non può confon- dersi col difetto de'movimenti dinamico-vitali, sic- come ciò si è già osservato nelle considerazioni fatte su i movimenti dinamici; ma conviene intenderlo per un deciso depauperamento di circolo dello stes- so sangue ne'vasi in genere, e specialmente in quel- li della parte, nella quale la potenza morbosa spie- ga azione elettiva, o che è predisposta a tale depau- peramento. Imperocché le cause producenti il di- fetto di circolo essendo in questo caso i movimenti dinamico organici avvenuti per nervosa influenza ne'vasi sanguigni, ed essendo tali movimenti depres- si, depresso è pure il circolo del sangue. Gli stessi movimenti relativi al circolo del sangue non si rea- lizzano ugualmente per influenza nervosa in tutti i vasi sanguigni, mentre le cagioni morbose depri- menti, nel produrre i loro effetti di depressione nel generale dell'organismo, li fanno essere più intensi nella parte, in cui elettivamente agiscono , o che è predisposta piìi delle altre a rimanerne impressio- nata. Si consideri difatti la noce vomica, che agendo nel nostro fisico spiega la sua azione elettivamente sul midollo spinale , il giusquiamo su i nervi cere- brali : così pure il terrore , che prende di mira i nervi cardiaci, le opposizioni all' orgoglio, che in- teressano l'encefalo: e si consideri pur ciò stesso in qualunque altra cagione deprimente, che abbia un' 52 SciBnzE azione diretta sul nostro organismo. Le stesse sot- trazioni e privazioni negli eflfetti , che producono relativamente allo stato dinamico, lasciano pur rav- visare un predominio di essi effetti in qualche parte, che già trovasi predisposta più delle altre parti a risentire tali effetti. Si noti in proposito quanto ac- cade in quella donna , che è vessata d' abbondante metrorragia : l'utero in questo caso, ed i vasi mag- giori si trovano predisposti piìi d'ogni altra parte a rimanere impressionati dalla medesima sottrazione. Notisi quel che avviene in chi rimane abbrividito «lai freddo: l'apparato pneumonico in tal soggetto a pre- ferenza di altre parti risente gli effetti di questa ca- gione. Quanto si dice delle sottrazioni considerate / nelle perdite sanguigne, si può dire di qualunque altra sottrazione. Ed in rapporto alle privazioni , i cui risaltamenti sono stati già avvertiti, vanno ad uguagliare in certo modo gli effetti delle sot- trazioni : per il che anche in questo caso esse po- trebbero esser soggette alle stesse considerazioni : pur nondimeno anche in via di fatto porgono esem- pi del predominio di una parte a confronto delle altre in rapporto allo sviluppo degli effetti prodot- ti dalle medesime privazioni. E veramente l'asti- nenza da'cil)i, per esempio, o per impotenza, o per- chè portata oltre i limiti prescritti dalla nostra san- ta religione, quando è causa dell'organica reazione, produce i suoi effetti nello stomaco a preferenza di qualunque altra parte. Le irritanti potenze, allor- ché per esse sono prodotti effetti dinamico-organici di avvilimento, manifestano questi effetti medesimi in una od in un'altra parte a seconda della predi- sposizione delle parti medesime , del punto impe- gnato dalle potenze in discorso , de'simpatici risen- Rkazione organica 53 timentl, od a seconda dì qualunque altro rapporto. In proposito di che molti fatti ci offre non solo la medicina, ma anche la chirurgia, che comprovando sviluppo degli effetti dinamico-organici di depres- sione , che si manifesta allorché il dolore prodot- to dalle cause irritanti è suscitato in una od in un' altra parte del corpo. Si nota in questo caso l'av- vilimento, che oltre la sua manifestazione generale co' già citati sintomi, presenta ancora sintomi lo- cali dinotanti il predominio d'azione in qualche par- te ; perciò si vede in questo caso o impegnata par- ticolarmente la testa, od il cuore, od altra parte in relazione a'rapporti di predisposizione , di località interessata dalle cause irritanti, da'simpatici risen- timenti, o da altro di consimile natura. In conse- guenza delle quali cose si ravvisa esser cosa dimo- strata , che gli effetti dinamico-organici prodotti nell'organismo per nervosa influenza dell'azione di causa deprimente non si realizzano ugualmente in tutti i nervi, ne perciò in tutti i vasi sanguigni , ma bensì sì sviluppano con predominio in quella parte, che è pìii delle altre in relazione colle mor- bose potenze. Alla stessa conseguenza dì predomi- nio in una parte soggiace ancora il difetto de' moti idraulici del sangue ; imperocché quel difetto di essi moti, che si è considerato nella seconda parte elementare dell'avvilimento, non avviene ugualmen- te in tutti i punti, ma predomina in quella parte, nella quale ha luogo il predominio de'movimenti dinamico-organici di depressione, come sopra sono stati considerati. E di vero i moti idraulici del san- gue sono in rapporto co' suddetti movimenti di- namico-organici in modo , che come non si produce una causa perturbatrice , la quale ne rompa l'equi- 54 S e I E N Z K librio, essi sono airunisono, e vanno di pari passo nell'adempimento delle loro funzioni. Le osserva- zioni fatte in antecedenza su i fenomeni generali di depressione, e su quelli relativi alla parte dove si è appalesato il predominio di essi, dimostrano non solo il difetto generale de'movimenti dinamico-or- ganici , e quello particolare di essi in rapporto alla parte singolarmente interessata ; ma ancora dimo- strano il difetto de'moti idraulici del sangue tanto generale quanto parziale, che si associa all'altro di depi'essione de' suddetti dinamico-organici movi- menti. CAPITOLO QUINTO. Conseguenza, che deriva dalV esame delV avvilimen- to considerato nelle sue parti di difetto de movi- menti dinainico-vitali dei tessuti ed idraulici del sangue. Resi difettosi i movimenti dinamico-organici de'solidi non ugualmente in tutti i punti , ma con predominio nelle parti singolarmente interessate dalle morbose cagioni ; e resi pur difettosi i moti idraulici del sangue con predominio in quella par- te singolarmente impegnata : avviene per tal diffe- ferenza d'impegno tra lo stato generale ed il parzia- le il disequilibrio del circolo sanguigno , espresso da difetto del medesimo circolo di maggiore inten- sità nella parte singolarmente predominata dalle cause morbose, e di minore intensità nel generale del vascolare sistema. Disequilibrio , che avviene o nelle sole arterie o nelle sole vene, o tra le arterie e le vene, secondo la varietà delle cause morbose, e Reazione organica 55 della varia predisposizione delle parti : disequili- brio , che avviene per lo più rapido , ma lento an- cora accade, secondo che le cause morbose hanno agito con impeto oppur lentamente : disequilibrio infine di maggiore o minor momento a tenore del- la maggiore o minore entità delle cause morbose de- primenti, della loro azione elettiva , della varietà de'temperamenti ne'vari soggetti, dello stato diver- so di questi, e della varia predisposizione de' mede- simi. Allo sviluppo di siffatto disequilibrio, tanto nello stato sano quanto in quello morboso, si oppo- ne lo stato dell'organismo relativamente a'movimen- ti dinamico-organici del solido vivo sì generali e si parziali prodotti dalle corrispondenti potenze ester- ne ed interne agenti su i tessuti organizzati. Cosi quando tali movimenti sì generali e sì parziali sono assai sviluppati, essi fanno obice agli effetti prodot- ti dalle potenze deprimenti per modo, che da que- sta opposizione è impedito il suddetto disequilibrio. Così pure nello stato di malattia, cjuando i movimen- ti di depressione sì generali e sì parziali cagionati dalle potenze deprimenti sono controbilanciati dagli accresciuti dinamico-organici movimenti dalla ma- lattia indotti tanto nel generale quanto nella parte singolarmente affetta , non può succedere il dise- quilibrio ne'moti idraulici del circolo del sangue. Parimenti si oppone a siffatto disequilibrio un tem- peramento poco sensibile specialmente alle morali impressioni, quantunque prodotte da cause depri- menti. Gli si oppone pure 1' abitudine, che rende meno sensibile l'azione delle cause morbose. Supe- rate tali difficoltà , ed avvenuto per le ragioni anzi- dette il disequilibrio ne'moti idraulici del sangue , si forma un accumulamento, ingorgo, o stasi sangui- 56. S e l E N Z B gna nelle parti , dove hanno elettivamente prodot- to i loro effetti le potenze morbose. In tal modo an- che nel presente caso si ravvisa la massima, -che gli estremi si toccano- E cosi le potenze stimolanti, ed eccitanti producono l'afflusso sanguigno in quella parte, che a confronto delle altre viene maggiormen- te stimolata; per effetto ancora delle cagioni deprì- menti , come si è veduto , si ha la stasi del sangue nella parte più delle altre depressa. A questo fatto converrebbe dare molto peso, allorché si vuol de- terminare l'azione de'rimedi , mentre non sempre gli effetti ultimi , gli ultimi risultati provenienti dalle morbose cagioni sono in immediato rapporto colle medesime cagioni ; imperocché cjuesti risalta- menti possono toccarsi nel tempo stesso che le cau- se sono tra loro opposte. In tal proposito la con- catenazione degli efietti in rapporto alla loro causa immediata potrk istruire intorno la corrispondenza tra l'efifetto e la sua immediata cagione. Corrispon- denza è questa, che sempre rinviensi in tutte le co- se, che possono essere sottoposte alla nostra analisi. CAPITOLO SESTO. Esame particolare del risaltamento^ secondo ele- mento essenziale del fenomeno della reazione organica , visto in rapporto alle sue due parti componenti relative al tessuto organizzato ed al saìigue. Ma lo stato di avvilimento dopo una durata più o meno lunga viene susseguito dal risaltamento , secondo stato dell'organica reazione. Per conoscere la ragione dell'esistenza di questo secondo stato con- ' Reazione orgànica 57 vien valutare, siccome si è fatto per il primo stato , ciascuna delle due parti , delle quali egli si compo- ne, vale a dire la parte relativa al sistema nervoso , e r altra parte relativa al sistema vascolare. Xn quanto a'nervi fa d'uopo valutare la ragione dell'au- mento piìi o meno delie forze vitali manifestato nel suddetto stato di risaltamento, del maggiore svi- luppo del calorico: ed in quanto a'vasi sanguigni si deve tener conto dell'aumento di circolo, e delle sue conseguenze. Nel far ciò ogni indagine deve essere incominciata nel punto stesso , nel quale si è ter- minato l'esame dell'avvilimento: mentre la ragione da ricercarsi esprime una continuazione di rappor- ti tra i due stati di avvilimento e di risaltamento. Ed intanto l'indagine fatta sul primo di questi due stati fu terminata nel disequilibrio del circolo del sangue , che dimostrò un accumulamento o stasi di questo fluido nella parte predominante dell' azione delle morbose cagioni ; e perciò fa d'uopo ora valu- tare ciascuno degli effetti, che succedono a siffatta stasi sanguigna. L'accumulamento, ingorgo, o stasi del sangue, come si è notato nel disequilibrio del circolo pro- dotto dall' azione delle morbose potenze dopo un certo dato tempo , che è in proporzione collo stato dell'eccitabilitk , e colle già nominate cause conco- mitanti relative all'entità della causa morbosa diret- ta, alla varietà de'temperamenti ne' vari soggetti , allo stato diverso di questi, ed alla predisposizione de'medesimi: la stasi del sangue , dissi, induce un nuovo apparato di fenomeni, mentre diventa essa un maggiore stimolo, una causa eccitante alla parte, che elettivamente era rimasta impegnata dalle morbose cagioni :, la quale maggior quantità di stimolo ecci- '68 S e I K M a; E ta il tessuto organizzato alla produzione di maggiore sviluppo de'movimenti vitali tanto in rapporto a' movimenti dinamici dello stesso tessuto, quanto in rapporto al circolo sanguigno. Per siffatto stimolo il sistema nervoso eccitato ad aumento di moto di- namico-organico manifesta un aumento di forze vi- tali, sviluppa un maggior grado dì calorico , e per lo stesso stimolo non solo si accrescono i movimenti dinamico-organici de'vasi sanguigni ; ma ancora lo stesso circolo del sangue si accelera di concerto co- gli stessi movimenti dinamici del tessuto vascolare. vSono troppo note le dimostrazioni fatte in proposi- to allo sviluppo de'succitati fenomeni risguardanti i tessuti in discorso, e lo stesso moto accresciuto del sangue in conseguenza ad un aumjento di stimolo negli "stessi vasi sanguigni ; ond' è che qm si stima inutile la ripetizione di queste medesime dimostra- zioni. Dalle quali cose necessariamente discende la causa del risaltamento , secondo stato dell'organica reazione, non essere altro che un ingorgo di sangue, come si nota nel disequilibrio del circolo sanguigno prodotto dall'azione delle potenze deprimenti sul generale del nostr'organismo, e su quella parte spe- cialmente, nella quale le morbose cagioni produ- cono i loro elettivi effetti. Quest'ingorgo , o stasi sanguigna, nel disequilibrio descritto esprime a mio avviso la cagione de'moti espansivi succeduti a'con- trattivi degli etiologisti : questa stasi di sangue esprime pure, secondo l'esposto modo di vedere, la causa dell'accresciuto eccitamento venuto in segui- to al difetto dell' eccitamento medesimo a tenore delle idee degli eccitabilisti: e questa stasi di san- gue , per quanto a me sembra , toglie il velo ai fatti riferibili al fenomeno della reazione organi- Reazione organica 59 ca, secondo le dottrine delle moderne scuole me- diche italiane, rinvenendosi per essa sanguigna sta- si la ragione della esistenza di que' fatti risguar- danti la reazione organica , che furono compresi nei tre già descritti ordini. E per vedere , che l'ingorgo o stasi sanguigna, notato nel disequilibrio del circolo prodotto dall'azione delle potenze mor- bose deprimenti, spieghi la ragione dell'esistenza dei suddetti fatti, qui si verrà applicando questo prin- cipio a ciascuno dei tre ordini de'fatti narrati, ed in primo luogo verrà applicato al prim'ordine de' medesimi. SEZIONE QUARTA. Applicazione del principio stabilito nella stasi san- guigna come causa della reazione organica a tre ordini de^ fatti relativi a questo fenomeno^ on- de dimostrare la ragione delVesistenza de'me- desimì. CAPITOLO PRIMO. Applicazione del principio nominato in questa se- zione a fatti di reazione organica compresi nel prini ordine per dimostrarne la spiegazione rela- tiva tanto alla genesi de^medesimi^ quanto alle viste terapeutiche che essi ammettono. Nel prim' ordine sono stati compresi c[ue'fatti riferibili al fenomeno dell'organica reazione, ne' quali si notano soltanto gli stati di avvilimento e di risanamento con sintomi analoghi alla parte sin- golarmente interessata, senza che perciò si formi €0 S e I E N 2 K permanente altei'azione. Nell'esposizione di questi fatti sono stati considerati essenzialmente i due stati di avvilimento e di risanamento, ed i sintomi ana- loghi alla parte interessata. Si è già veduto l'avvi- limento essere in rapporto colle cause morbose de- primenti , il rlsaltamento in rapporto colla stasi di sangue formata nel disequilibrio del circolo pro- dotto dall' azione delle sunnominate cagioni ; alla quale stasi sanguigna sono pure riferibili i sinto- mi analoghi alla parte interessata. Per conoscere la ragione delle quali cose in dettaglio, convien ve- dere ciascun de'suddetti fatti in rapporto alle loro cagioni secondo gli effetti da loro elettivamente pro- dotti. E siccome queste furono distinte in cause, che direttamente deprimono l'organismo, ed in al- tre che indirettamente lo deprimono, a cui si ag- giunsero le cause irritanti; cosi di ciascuna di esse fa d' uopo avvertire i singolari afifetti sviluppati nelle parti, che sono state specialmente impegnate oltre quelli relativi al generale dell'organismo. E discorrendo anzi tutto delle cause morali, queste oltre i due stati di avvilimento e di risaltamento producono singolari effetti, che si osservano negli stessi due stati secondo la parte elettivamente im- pegnata da siffatte cagioni. Così per esempio il ter- rore, ne'fatti riferiti nel prim'ordine, produce ne' due stati di avvilimento e di risaltamento alcuni sintomi relativi al cuore, ed a'vasi sanguigni della centrale circolazione, come lieve difficolta di respi- ro, qualche lieve grado d'irregolarità ne'moti car- diaci. L'avvilimento in questo caso è prodotto im- mediatamente dal terrore: il risaltamento ha per sua causa immediata l'ingorgo di sangue ne'suddetti vasi centrali della circolazione, che avviene nel di- Reazione organica 6f sequilibrio di circolo cagionato dall'azione elettiva del terrore sugli stessi vasi; ed i descritti sintomi parziali sono riferibili al medesimo sanguigno in- gorgo avvenuto nel citato centro della circolazione. Lo stesso deliquio cagionato da cause morali, che hanno un'azione elettiva su i vasi centrali del cir- colo sanguigno, è spiegabile col medesimo esposto principio; imperocché l'avvilimento, primo stato del deliquio, è un effetto immediato delle cause morali deprimenti; nel quale stato di avvilimento avviene, come gik si è notato, il disequilibrio nel circolo del sangue con accumulamento del medesimo nelle parti centrali della circolazione, d'onde nasce quel momentaneo sospendimento di circolo, che costitui- sce il deliquio del suo primo stato; e quindi da questo medesimo accumulamento sanguigno sorge il risanamento, che è il secondo stato del deliquio, come immediato effetto dello stesso ingorgo sangui- gno. I particolari sintomi consistenti in qualche grado di difficoltà di respiro, d'irregolarità ne'mo- vimenti cardiaci, sono prodotti dal medesimo ingor- go di sangue. Tien dietro allo stato di risaltamento un madore nella fronte, che talora si diffonde ad altre parti della superficie del corpo: il qual ma- dore non è altro che la critica espressione dell'or- gasmo de'vasi sanguigni. Così pure le opposizioni rapide o lente, che l'uomo dedito all'ambizione in- contra al suo patema', producono il disequilibrio del circolo del sangue coll'accumulamento di que- sto fluido ne'vasi cerebrali; e perciò lo stato di av- vilimento in questo soggetto risulta immediatamen- te dall'azione della nominata causa; il risaltamento è effetto immediato dell'ingorgo di sangue ne' vasi cerebrali ; al quale ingorgo sono pure riferibili i 62 S e I E N e K sintomi encefalici, che si sviluppano in questo me- desimo soggetto. I fatti di reazione organica pro- dotti dalle cause fisiche , che direttamente depri- mano l'organismo , sono pure intelligibili median- te il disequilibrio del circolo sanguigno coll'accu- mulamento del sangue in quella parte singolarmen- te interessata dalle suddette cagioni. E veramente la reazione organica, che succede le molte volte al- l'impressione d'una sostanza molto acida , è spiega- bile collo stesso principio : l'avvilimento è prodot- to dall azione dell'acido ; il risaltamento deriva dal- l'accumulamento di sangue avvenuto nello stomaco per il disequilibrio di circolo cagionato dall' azione dell'acido sul generale dell'organismo , ed elettiva- mente sullo stomaco : qualche sintomo gastrico svi- luppato nello stato di risaltamento è riferibile al suddetto ingorgo di sangue. Collo stesso principio del disequilibrio del circolo sanguigno sono pari- menti intelligibili i fatti di reazione organica com- presi nel prim' ordine in rapporto alle sottrazioni ed alle privazioni. E di vero la reazione organica , che succede spesse fiate all'ingestione di sostanze ge- late, si riduce nelle sue parti elementari all'avvili- mento prodotto dal freddo; al risaltamento, che de- riva dall'accumulamento sanguigno ne' vasi centrali della circolazione prodotto nel disequilibrio di cir- colo per la causa in discorso ; ed a qualche grado di celerità nel respiro, che deriva dallo slesso ingurgo di sangue. Un'impressione di aria fredda in sogget- to riscaldato le molte volte produce la reazione or- ganica, che è spiegabile nel modo medesimo , con cui si sono spiegate le parti elementari del suddetto fatto di organica reazione per ingestione di sostanze gelate. Nel caso del freddo come causa di reazione Reazione organica 63 organica si può dire , che se egli si considera come sottrazione del calorico , il freddo viene posto nelle sottrazioni : se poi si considera nel freddo un prin- cipio positivo, come oggi sostengono valenti chimi- ci e fisiologi, con tale opinione il freddo resta com- preso nelle cause, che direttamente deprimono l'or- ganismo. In siffatte cause pur viene il freddo anno- verato, se esso si ritiene, come pensano Terianò e tutti i fisiologi alemanni, quale polarità del calorico. In ciascuno di tali casi il fenomeno della reazione organica è sempre il medesimo nella sua natura e ne'suoi elementi. La sospensione dun atto abituale, quando produce la reazione, corrisponde agli stessi effetti dalle sottrazioni prodotti; è perciò spiegabile il fatto di reazione organica cagionato dalle priva- zioni collo stesso principio, col cjuale s'intende l'or- ganica reazione prodotta dalle sottrazioni. Spesse volte anche l'irritazione , secondo che si è veduto ne'fatti compresi nel prim' ordine, offre esempi di reazione organica, che pure sono spiegabili col me- desimo sopraesposto principio. Si consideri ad esem- pio quanto succede dopo una lieve percossa nella callosità di un dito delle estremità inferiori senza che si formi alcuna lesione traumatica nello stesso dito. Il dolore, che succede a cjuest'urto , il quale esprime 1' avvilimento , primo stato della reazione organica, è un eft'etto immediato della stessa causa irritante ; il risaltamento poi, che avviene come se- condo stato , è l'effetto di quell'ingorgo sanguigno momentaneo al capo cagionato dal disequilibrio di circolo, che è stato prodotto dalla causa irritante , dopo che essa aveva promosso simpatici movimenti dinamico-organici con predominio al capo : i sinto- mi encefalici , che hanno luogo in questo fatto di G4 Sciènze organica reazione, sono spiegabili per il medesima ingorgo di sangue ne'vasi cerebrali. In tutti questi fatti relativi alla prima sezione in discorso tanto ri- sguardanti le cause , che direttamente deprimono l'organismo, quanto risguardanti quelle, che indi- rettamente lo deprimono, e risguardanti pur anco gli effetti di depressione prodotti dalle cause irri- tanti in questi fatti di prim'ordine , sono fugaci i due stati di avvilimento e di risaltamento a motivo della poca entità delle cagioni, e delle circostanze concomitanti. In questi fatti medesimi , siccome la fugacità de'fenomeni ordinariamente non ammette alcun metodo curativo , così per l'ordinario nessun rimedio viene amministrato in essi : e se il caso si presenta , in cui ha luogo l'amministrazione de'me- dicinali, si devono valutare le indicazioni curative , che si appalesano. Queste indicazioni sono in rela- zione alle cause corrispondenti al fenomeno della reazione organica ; e siccome le cause di un tal fe- nomeno sono due , che furono già considerate; così due ancora sono le indicazioni curative. L'una causa è deprimente, che produce Io stato di avvilimento : l'altra è uno stimolo , che consiste nell' accumula- mento sanguigno, da cui deriva lo stato di risalta- mento. In conseguenza la prima indicazione curati- va si riduce nell'opporsi alla depressione coU'uso di qualche sostanza stimolante, che immediatamente corregga lo stato di avvilimento, come per esempio l'odorare le così dette acque aromatiche : la secon- da indicazione consiste nell' opporsi all' accresciuto eccitamento, all'aumento delle forze vitali, ed al di- sequilibrio sanguigno, che si nota nello stato di ri- saltamento : il che convien fare coll'amministrazio- ne di qualche sostanza deprimente , come una he- Reazione organica 65 Vanda acida , e di rado colla sanguigna sottrazione. Neir amministrare i medici presidii ne'casi sudde- scritti, ciò che pure molto importa di avere in con- siderazione si è il passaggio dallo stato di avvili- mento a quello di risaltamento per poterlo frenare ed anco impedire. Per conseguir ciò conviene agire in modo, che colla massima sollecitudine sieno ap- prestati que'presidii, che dietro le sopraddette viste terapeutiche sono stati indicati. In conseguenza del- le quali cose tanto in rapporto alle genesi de' fatti compresi nel prim' ordine, quanto in rapporto alle viste terapeutiche che essi ammettono, si può sta- bilire , che lo stesso prim' ordine comprende fatti o fenomeni di reazione organica con fugaci ingorghi di sangue , che si presentano nel corso ordinario della vita senza che per essi si costituisca alcuna permanente alterazione. CAPITOLO SECONDO. Applicazione dello stabilito principio della reazio- ne organica ai fatti compresi nel second^ ordine per conoscere la loro spiegazione relativa alla genesi dei medesimi. Però l'ingorgo di sangue, che si è considerato ne' fatti ri sguardanti il prim' ordine soprannomi- nato , non è sempre così fugace , come in questi fatti stessi si è notato : ma il medesimo ingorgo sanguigno a piìi lunga durata si estende con mag- giore o minore diffussione nel generale dell'orga- nismo. I fatti compresi nel second' ordine dimo- strano la verità di questo principio. E che real- mente una tal verità risulti da questi fatti si co- G. A. T. LXXII. 5 66 Scienze noscera mediante quella loro spiegazione, che per' me sarà possibile, atta a far intendere la ragione di loro esistenza. Nel far ciò si terra quell'ordine medesimo, che si è tenuto discorrendo de'fatti com- presi nel prim' ordine , secondo che sono prodot- ti dalle cause deprimenti morali o fisiche , sieno queste ultime o sostanze che direttamente depri- mono l'organismo , o indirettamente come le sot- trazioni , e le privazioni , oppure sieno le cause irritanti pe' rapporti di depressione da loro in- dotti. Ed intanto discorrendo anzi tutto de' feno- meni di reazione organica compresi nell' esposto second' ordine relativamente alle cause morali , si è veduto , che il forte terrore per esempio produ- ce i due stati di avvilimento e di risaltamento in un grado d'intensità assai maggiore di quello, che si è notato ne'fatti compresi nel prim' ordine: gli stessi due stati sono di piìi lunga durata, manife- stano grave impegno ne' vasi centrali della circo- lazione , interessano gravemente i rapporti essen- ziali della vita, in modo che nell'uno o nell'altro stato è avvenuta talora pur anco la morte. I quali due stati sono in proporzione colle potenze mor- bose considerate nell'azione deprimente del terro- re ; e neir ingorgo di sangue avvenuto nel dise- quilibrio del circolo sanguigno prodotto da siffat- ta cagione deprimente. I sintomi considerati nello stato di avvilimento sviluppato dopo il forte terro- re sono proporzionati alla forza di cjuesta causa morale ; come ancora gli effetti considerati nello stato di risaltamento sono in proporzione coU'in- gorgo di sangue ne'vasi centrali della circolazio- ne, in cui il terrore ha spiegato particolarmente la sua azione, inducendo ivi l'ingorgo di sangue me- Reazione organica 67 diante il disequilibrio di circolo, conseguenza del- la stessa sua azione. E siccome i sintomi cardiaci in questo caso oltre all'essere molto intensi, sono anche permanenti per un certo dato tempo, cosi essi sono riferibili alla maggiore intensità e durata dello stes- so ingorgo di sangue ne'vasi centrali: e siccome pu- re quest'ingorgo vascolare può giungere ad un gra- do tale , che o porti compressione a'nervi essenzia- li alla vita, e cagioni in questo modo una micidia- le paralisi, oppure produca la rottura delle stes- se pareti vascolari , e si sviluppi in questa guisa fulminante appoplesia, cosi la morte in questo caso è il risultato dell'ingorgo di sangue ne'vasi centrali della circolazione avvenuto nel disequilibrio del cir- colo sanguigno prodotto dall'azione del terrore. L'in- gorgo di sangue ne'suddetti vasi centrali della cir- colazione si manifesta ancor lentamente, e si fa così pure di lunga durata in chi è afflitto da ripetute amarezze. In questo caso a poco a poco si va for- mando l'angioidesi negli accennati vasi a seconda della ripetuta azione della causa deprimente , e del susseguente disequilibrio del circolo sangui- gno singolarmente spiegato ne' vasi medesimi in forza dell' azione elettiva della morale potenza in discorso. I patemi d' animo , che agiscono eletti- vamente sul capo, come per esempio l'avversa sor- te in chi è predominato dall' ambizione , quando essi son forti, o sovente ripetono i loro tristi ef- fetti , apportando fenomeni d' organica reazione , producono ne' vasi cerebrali un durevole ingorgo di sangue col disequilibrio di circolo cagionato dall' azione di sifiiitlc inorali cagioni. Ed è per- ciò , che r avvilimento di tali fatti di reazione organica è riferibile all' azione deprimente de' ci- 6S SciKNZE tati patemi , ed il risaltamento con sintomi ence- falici deriva dall'ingorgo di sangue durevole ne'vasi cerebrali contemplato nel citato disequilibrio. La perdita della ragione, che le molte volte si compren- de negli effetti prodotti da'patemi d'animo, che elet- tivamente agiscono nel cervello, è il risultato in que- sto caso di reazione organica dell'ingorgo di san- gue ne'vasi cerebrali. La morte ancora, che avvie- ne pure talvolta come conseguenza dell'azione di questi patemi, deriva dal medesimo ingorgo di san- gue ne'vasi cerebrali giunto al grado o di compri- mere la sorgente dell'innervazione, o di produrre la rottura delle pareti vascolari. Dall'ingorgo di san- gue, avvenuto per il disequilibrio di circolo pro- dotto dall'azione di morali potenze, deriva pur ta- lora un movimento febbrile della durata di parec- chie ore , il quale senza essere il risultato di un processo flogistico, non è altro che un generale ri- sentimento di quell'ingorgo di sangue avvenuto in una parte piuttosto che in un' altra a tenore dell* azione, che elettivamente hanno le morali potenze in discorso. Le cause fisiche, che direttamente de- primono l'organismo ne' casi di reazione organica per loro indotti , siccome furono contemplati ne' fatti del second'ordine, soggiacciono allo stesso prin- cipio d'ingorgo vascolare nella parte, dove agisco- no elettivamente, quando ne'suddetti casi produco- no il disequilibrio del circolo sanguigno. Si noti ad esempio l'azione del giusquiamo, allorché siasi preso in troppa dose, o per avvelenamento ; essa cagiona il fenomeno della reazione organica, produ- cendo i due stati di avvilimento e di risaltamento con sintomi encefalici. L'avvilimento è l'immediato effetto dell'azione deprimente di questa sostanza: il Reaziowk organica 69 rlsaltamento vien prodotto da quell'ingorgo di san- gue, che accade durevole ne'vasi cerebrali per l'a- zione elettiva di tal farmaco, inducendo il disequi- librio del circolo sanguigno : i sintomi encefalici, di durata più o meno lunga, derivano dalla sud- detta stasi di sangue ne'vasi del cervello, la quale parimenti può estendersi a più o meno spazio di tempo. Così pure il bismuto , allorché succedono per esso fenomeni di organica reazione, agendo elet- tivamente nello stomaco, e producendo il disequi- librio del circolo sanguigno, cagiona nello stomaco stesso un ingorgo di sangue più o meno permanen- te, che è causa di sintomi opposti a quelli che fu- rono prodotti dall'azione deprimente di questa so- stanza: ed è per siffatta ragione, che l'avvilimento anche in questo caso risulta da tale azione depri- mente , ed il risaltamento co' sintomi stomachici deriva dall'ingorgo nello stomaco, come si è sopra considerato. Ciò stesso che dicesi del giusquiamo e del bismuto ne'casi di reazione organica prodotti da tali farmachi, può essere applicato a qualunque altra sostanza, che direttamente deprime l'organis- mo in qualunque caso di organica reazione cagio- nato dalla medesima sostanza. In conseguenza di che si conosce la ragione, per cui talvolta siano acca- duti fenomeni di reazione organica in seguito all' amministrazione troppo ardita di sostanze depri- menti non proporzionata a' bisogni della macchina, ed in opposizione alla natura de'vitali fenomeni. Per sififatta amministrazione si disequilibrava il circolo sanguigno con ingorgo di sangue in quella parte singolarmente interessata dall'azione delle sostanze deprimenti amministrate, ed avevasi cosi un' esa- cerbaziene dello stesso malore, che si prendeva a 70 Scienze comLattere. Le sottrazioni ancora col produrre fe- nomeni di organica reazione riferibili al second'or- dine inducono nell'organismo quel disequilibrio di circolo sanguigno che si è già considerato. In que- sti casi le cagioni nominate concomitanti hanno mol- ta parte specialmente per ciò che risguarda la pre- disposizione. E difatti si notino ad esempio gli ef- fetti prodotti dal freddo in chi e predisposto agi' in"^orghi vascolari del polmone: succederà alla pri- ma impressione del freddo lo stato di avvilimento, che è in rapporto a tale cagione; dopo di che non tarderà molto a svilupparsi il risanamento con sin- tomi pneumonici relativi alTingorgo di sangue pre- dominante nell'organo del respiro; e perciò in for- za di queste cagioni si sviluppano insulti asmatici, oppure accessi di altra forma, secondo la causa con- comitante della predisposizione. Le stesse gelide so- stanze introdotte nello stomaco anche dietro viste terapeutiche, quando non siano saviamente ammi- nistrate, possono portare il disequilibrio del cir- colo sanguigno notato nella reazione con ingorgo di sangue in quella parte al medesimo predisposta. L'emorragia talvolta ha prodotto l'organica reazio- ne colla stasi sanguigna più. o meno permanente nel viscere predisposto a questa causa fuori di quel qualunque rapporto, che potrebbe avere nello sta- to di risaltamento una cagione irritante , od uno stato di stimolo nella macchina diverso da quello che si contempla nel fenomeno in discorso. Così per esempio si è dato il caso, che in seguito ad una metrorragia dopo tutti i sintomi di avvilimento pro- dotti da questa sottrazione è avvenuto un forte in- gorgo di sangue permanente nell'utero, che è stato causa di risaltamento con sintomi riferibili a que- Reazione organica 71 sto viscere. II quale ingorgo di sangue nasce da quel disequilibrio di circolo avvenuto nella depres- sione dello stato generale , e di quella parte più delle altre predisposta allo stato di depressione , siccome è l'utero in questo caso in forza della sot- trazione. Lo stesso disequilibrio di circolo colla sta- si sanguigna durevole nella parte alla medesima predisposta avviene pur talvolta in chi per causa traumatica ebbe a soggiacere a gravi perdite di san- gue. Nasce in questo caso medesimo il fenomeno della reazione organica anche facendo astrazione dalla causa traumatica, che con tal fenomeno po- trebbe avere influenza, il cui stato di avvilimen- to è l'immediato effetto della perdita sanguigna, e il risaltamento è prodotto dall' ingorgo di sangue più. o meno permanente, che formasi in quella par- te al medesimo predisposta nel disequilibrio di cir- colo avvenuto nella depressione cagionata dalle sot- trazioni sanguigne. Questo stesso fenomeno di rea- zione organica prodotto da causa consimile si nota pur talora in quel soggetto, che venne sottoposto ad un numero ben grande di salassi per vincere una malattia infiammatoria, che lo affliggeva. In tal soggetto dopo un'abbondante sottrazione sanguigna, quando i movimenti dinamico-vitali de'tessuti or- ganizzati non possono pi li far valevole resistenza per essersi illanguiditi col metodo di cura depri- mente e colle sanguigne sottrazioni, succede il di- sequilibrio di circolo per causa della predominan- te depressione in quella parte piìi delle altre alla medesima predisposta; nel qual disequilibrio di cir- colo avviene l'ingorgo di sangue piìi o meno per- manente nella detta parte predisposta; e cos'i dopo l'avvilimento, immediato risultato delle sottrazioni, 72 S e I E II 2 B si ha il rlsaltamento, che e TefFetto del nominata ingorgo sanguigno. Da siffatto risaltamento nascono le impreviste esacerbazioni della malattia presa a curare colle annunciate sottrazioni. Da ciò stesso si conosce dannosa esser la pratica di cavar simgue sino al deliquio. Per ragione eguale a quella qui esposta nel producimento delia reazione organica in seguito alle sottrazioni avviene ancora questo fenomeno in conseguenza delle privazioni. E difatti si nota la reazione organica con piìi o meno per- manente ingorgo di sangue ne' vasi stomachici in chi ebbe a sostenere privazione delle sostanze alimen- tari. 11 qual fenomeno di reazione organica in que- sto caso risulta, in quanto all'avvilimento, dallo sta- to di depressione avvenuta a motivo della priva- zione in discorso: ed in quanto al risaltamento, de- riva da quell'ingorgo di sangue più o meno per- manente, che si costituisce ne' vasi stomachici pel disequilibrio del circolo avvenuto nella suddetta de- pressione, a motivo della predisposizione dello sto- maco a sentire piìi d'ogni altra parte gli effetti del- la nominata depressione. 1 sintomi riferibili alla stomaco sono in relazione alici stasi sanguigna in questo viscere, e si mantengono fino a tanto che si mantiene la stessa stasi. In tutti gli esposti casi di reazione organica con ingorgo di sangue in qual- che parte avvenuti in seguito all'azione delle po- tenze, che o direttamente o indirettamente depri- mono l'organismo, accade talora un movimento feb- brile di parecchie ore, il quale non è altro che un generale risentimento del considerato ingorgo san- guigno. Dalle cause irritanti in fine si sviluppano fenomeni di reazione organica con ingorgo di san- gue nelle parti al medesimo ingorgo predisposte, ReAZIOIXG ORGAmCA 73 secondo i fatti compresi nel second'ordlne. Le feb- bri intermittenti offrono innumerevoli esempi di questa natura: si osserva lo stadio del freddo di queste febbri corrispondere all'avvilimento dell'or- ganica reazione, ed al risaltamento corrispondere lo stadio del caldo, che deriva dall'ingorgo di san- gue con diffusione generale, il quale avviene in que* visceri, come il fegato e la milza, che o sono pre- disposti a siffatto ingorgo, oppure elettivamente ri- sentono l'azione delle morbose potenze, dopo che si è formalo un disequilibrio di circolo nello sta- to di depressione prodotto dalle potenze morbose. Quanto piìi si ripetono gli accessi febbrili, ossiano in questo caso i fenomeni di organica reazione, tan- to pili si nota permanente l'ingorgo di sangue ne* visceri soprannominati. Lo stesso fenomeno dell'or- ganica reazione per la causa in discorso si osserva nel cholèra morbus. Nello stadio del freddo di que- sto malore si ha l'avvilimento, primo stato della rea- zione organica, nel quale accadendo il disequilibrio di circolo sanguigno con ingorgo di sangue ne'vasi, che elettivamente risentono l'azione della morbosa cagione, si suscita quindi per siffatto ingorgo san- guigno il risaltamento qual secondo stato della rea- zione organica, che corrisponde allo stadio di rea- zione del cholèra moi'bus. Le cause irritanti trau- matiche porgono esempi della reazione organica se- condo i fatti compresi nel second'ordine pe' l'ap- porti dinamico-vitali, che si sviluppano dietro sif- fatte cagioni. Si noti ad esempio il dolore, conse- guenza della causa irritante traumatica , il quale esprime l'avvilimento, primo stato dell'organica rea- zione : nel quale sviluppandosi il disequilibrio di circolo, avviene per esso un ingorgo di sangue in 74 S e I £ N Z B que'vasi che sono al medesimo predisposti; e per quest'ingorgo si suscita il risaltamento, secondo sta- to dell'organica reazione. In tutti i descritti fatti compresi nel second'ordine, prodotti dalle cause de- primenti si morali e sì fisiche, per essere intera- mente spiegabili col principio stabilito , convien valutare l' influenza, che ha in essi ciascuna delle cause concomitanti, vale a dire la maggiore o mi- nore entità delle cause morbose, la loro azione elet- tiva, la varietà de'temperamenti ne' vari soggetti, lo stato diverso degl'individui, per cui l' eccitabilità risponde più o meno all'azione delle cause morbo- se, e la varia predisposizione de'medesimi. CAPITOLO TERZO. Applicazione dello stabilito principio della reazio- ne organica ai fatti compresi nel second' ordine per conoscere la loro spiegazione relati\>amente alle viste terapeutiche, che essi ammettono. La importanza de' fatti di quest'ordine esige un metodo curativo, che è basato sulle stesse indi- cazioni, con cui si videro costituite le viste tera- peutiche relative "i fatti compresi nel prim' ordi- ne. Ancor quivi perciò due sono le indicazioni cu- rative, che si desumono dalla varia natura delle ca- gioni produttrici i due stati di avvilimento e di ri- saltamento corrispondentemente al fenomeno della reazione organica. In conseguenza una causa essen- do deprimente relativa all'avvilimento, e l'altra es- sendo eccitante relativa al risaltamento, come gik furono considerate, le indicazioni curative consi- stono prima nel correggere lo stato di depressione, Reazione organica. 75 secondo nel correggere lo stato di accresciuto ecci- tamento, e gli effetti prodotti dal medesimo accre- sciuto eccitamento considerati nell'ingorgo di san- gue pili o meno permanente in quelle parti, che o sono predisposte allo stesso ingorgo di sangue, op- pure elettivamente risentono l'azione delle morbo- se potenze. Nella soddisfazione di siffatte indicazio- ni curative, siccome sono interressate parti special- mente impegnate dalle morbose potenze, cosi nel metodo curativo fa d' uopo valutare ancora 1' a- zione elettiva de'rimedi riconosciuti atti a vincere le due alterazioni generali, per poter combattere con tale elettiva azione gli effetti locali stabiliti nelle va- rie parti : alle quali indicazioni si può aggiungere quella diretta a ripristinare l'equilibrio del circo- lo sanguigno. Ed intanto per curare lo stato di avvi- limento prodotto dalle cause deprimenti convien far uso di quelle sostanze stimolanti, che oltre la loro azion generale manifestano un'azione elettiva in cor- rispondenza a quella parte, in cui le cause depri- menti oltre gli effetti generali hanno prodotto sin- golarmente i loro effetti particolari palesati nello stesso stato di avvilimento. Così nell' avvilimento prodotto dal terrore , nella cui azione i vasi cen- trali della circolazione sono singolarmente impe- gnati, si devono adoprare quelle sostanze stimolan- ti, che oltre la loro azione diflfusa nel generale del- l'organismo, producono singolarmente i loro eflFetti ne'vasi centrali della circolazione ; come sono per esempio certe acque cosi dette cordiali, qual è 1' a- cqua di cannella, l'alkermes, ec. In questo caso han- no pur luogo le frizioni stimolanti alla cute atte a richiamare un afflusso di sangue alla superfìcie del corpo, onde ridurre cosi ancora all'equilibrio il cir- 76 Scienze colo sanguigno. Se con tutto ciò però si sviluppa lo stato di risaltamento con ingorgo di sangue perma- nente ne' vasi centrali della circolazione, allora il metodo curativo deve esser diretto a vincere questo stato tanto col mezzo di medicinali, che agendo su i vasi centrali della circolazione possono reprimere gli accresciuti dinamico-vitali movimenti, come l'a- cqua coobata di lauro-ceraso, la digitale purpurea, ec., quanto colle sanguigne sottrazioni proporzionate al bisogno. Così pure nell'avvilimento prodotto dai patemi d'animo avente azione elettiva nel cervello si devono amministrare quelle sostanze stimolanti , che oltre la loro azione sul generale dell' organi- smo, hanno pure quella elettiva nel capo , come l'ammoniaca, il muschio, ec: ancor quivi si adopra- no le cutanee frizioni pel suddetto oggetto. Se pe- rò tali presidii non sono sufficienti ad impedire il risaltamento, e questo stato si è sviluppato, la me- dicatura è diretta dall' altra accennata indicazione desunta dall'aumento di stimolo ; e perciò nel caso in discorso oltre l'amministrazione delle sostanze deprimenti , che hanno un'azione elettiva nel capo, come per esempio l'atropo belladonna, hanno luogo le sanguigne sottrazioni proporzionate alla entità dello stato di risaltamento : si adoprano ancora in questi casi i purganti drastici, dietro le idee secon- do alcuni di sottrazione compensative, secondo altri di rivulsione e di contro irritazione. Le medesime viste terapeutiche, regolate secondo le indicazioni curative sopraesposte, dirigono il metodo di cura da praticarsi allorquando si sviluppano fenomeni di reazione organica per l'azione di potenze fisiche , che direttamente deprimono l'organismo: ed è per tal ragione che anche in questi casi il metodo cura- Reazione orgabica 77 tivo diretto a combattere l'avvilimento è opposto a quello, che serve a combattere il risaltamento. Nel far ciò, oltre gli oggetti generali prodotti da'medici presidi!, si deve ancora essenzialmente valutare 1 a- zione elettiva, che ciascun farmaco possiede atta a soddisfare le particolari accennate condizioni cura- tive. Siccome ne'casi di reazione organica, che qui si contemplano, possono aver luogo tutti i casi di av- velenamento prodotti dalle cause deprimenti; così il metodo curativo da tenersi in questi casi medesimi, oltre che deve essenzialmente soddisfare alle indica- zioni dirette a vincere gli stati di avvilimento e di risaltamento, e l'ingorgo sanguigno secondo le espo- ste viste terapeutiche , deve ancora soddisfare a quanto può dedursi dalla qualità della sostanza ve- nefica introdotta nell'organismo. Così per esempio nel caso di forte ingestione di atropo belladonna , ove non siano per anco sviluppati i sintomi di grave avvilimento, potrà facilitarsi l'espulsione dell' in- dicata sostanza o per vomito mediante un blando emetico con acqua comune tiepida , o per secesso con olio di ricino o colla cassia. Quando però si è manifestato l'avvilimento, fa d'uopo amministrare l'etere , il liquore anodino : e se allo stato di avvi- limento tien dietro il risaltamento con sintomi d'in- gorgo di sangue al capo , si devono adoprare le so- stanze deprimenti sopra indicate, che hanno azione elettiva nel capo, non disgiunte dalle opportune san- guigne sottrazioni. Secondo queste medesime viste terapeutiche deve esser regolato ciascun caso di av- velenamento prodotto da potenze deprimenti , nel quale sia avvenuto il fenomeno dell'organica reazio- ne. Tutti i casi di reazione organica prodotti da cagioni che indirettamente deprimono V organis- 78 S e 1 È N I E mo, oppure prodotti da cause irritanti, esigono un metodo curativo basato sugli stessi stabiliti fonda- menti : avuta sempre 1' avvertenza di considerare non solo lo slato generale di avvilimento e di risal- tamento, ma ancora la parte singolarmente impe- gnata nel fenomeno dell'organica reazione, per po- tere scegliere tra i rimedi atti a soddisfare le ad- dimostrate indicazioni quelli, che mediante la lo- ro azione elettiva prendono in mira la parte sin- golarmente interessata. Qui cade in acconcio il no- tare, che il fenomeno della reazione organica, quan- do è in rapporto con una causa irritante, gli effetti prodotti da questa causa possono essere dissipati ta- lora coH'espulsione della medesima cagione, e ta- lora coir amministrazione di particolari sostanze : come la china distrugge il periodo morboso delle febbri intermittenti, ed il mercurio, secondo Pucci- notti, vince gli effetti immediati del contagio cole- rico. Nel metodo curativo diretto a vincere i fatti di reazione organica compresi nel second' ordine conviene sommamente avvertire il passaggio dallo stato di avvilimento a quello di risaltamento per poterlo impedire od almeno frenare; per il che sol- lecitamente 02,ni cura deve aversi onde si vinca la depressione, e torni all' equilibrio il circolo san- guigno disequilibrato dietro 1' azione di potenze deprimenti, che il nostro fisico non poteva sostene- re colla normalità de'suoi dinamico-organici movi- menti, per cui incorreva in tal disequilibrio. Vo- gliono essere in conseguenza i mezzi terapeutici prontamente amministrati diretti dall' indicazione curativa , e proporzionati alla quantità della de- pressione. Se con tutto ciò accade il risaltamento, si esige ancor quivi la massima sollecitudine nel- Reazione organica 79 ramministrazione de'medici presidii, affinchè quel- l'ingorgo di sangue contemplato ne' suddetti fatti non passi a risultati di grave entità. Fa d'uopo an- cora avere nel medesimo stato di risaltamento som- ma avvertenza allo stesso uso de'mezzi deprimen- ti, affinchè sieno proporzionati a'bisogni del gene- rale dell'organismo , ed alla parte singolarmente impegnata : ove questa proporzione fosse oltrepas- sata , succederebbe, che l'eccesso de'movimenti di- namico-organici considerato nello stato di risalta- mento , sarebbe soverchiato dalla depressione : da cui risulterebbe di nuovo quel disequilibrio nel circolo del sangue, che si è contemplato nello sta- to di avvilimento: ed a questo potrebbe tener die- tro il risaltamento, se la eccitabilità nel tessuto or- ganizzato rimanga ancora in quel grado da poter rispondere proporzionatamente allo stimolo pro- dotto dall'ingorgo di sangue avvenuto nel nominato disequilibrio del circolo sanguigno. Conviene pa- rimenti aver l'avvertenza di amministrare gì' indi- cati medici presidii deprimenti in dose moderata adattati al bisogno della macchina: mentre in una dose troppo forte, ed amministrati in tumulto, pro- durrebbero con impeto gli effetti deprimenti tanto ne'movimenti dinamico-vitali de'tessuti organizzati, quanto ne'moti idraulici del sangue , da cui nasce- rebbe l'ingorgo di sangue notato nel disequiliI)rio del circolo sanguigno: il quale poi servirebbe di sti- molo ad eccitare il risaltamento , se la organizzazio- ne non trovasi talmente alterata da non sentire pro- porzionatamente alla sua eccitabilità lo stimolo in discorso. Nella cura dello stesso stato dì risaltamen- to conviene pure avvertire, che que'medici presidii, i quali per la loro azione sul tessuto organico han- 80 Scienze no molti rapporti col circolo sanguigno, come l'uso delle immei'sioni fredde, l'uso interno del gelo, non devono essere amministrati interottamente, ma ben- sì con metodo continuato, affinchè quel dato grado di depressione, prodotto da tali mezzi in opposizio- ne a'movimenti dinamico-vitali dinotanti accresciuto eccitamento, non resti turbato dagli elletti del dise- quilibrio de'moti idraulici del sangue: il quale tur- bamento avverrebbe se l'amministrazione di tali presidii venisse interrotta, mentre in quest interru- zione mancherebbe l'obice agli accresciuti dinami- co-vitali movimenti; e così si darebbe campo al risaltamento, ove fosse già avvenuto il disequilibrio del circolo del sangue. Per questo motivo medesimo si esige molta avvedutezza nel praticare l'ammini- strazione de'rimedi deprimenti in quanto all'inter- vallo di tempo tra l'una volta e l'altra, in cui vengo- no dati al paziente; ed in quanto alla sospensione de'medesimì. In generale poi nell'amministrazione delle sostanze deprimenti bisogna aver sempre mol- ta attenzione a' moti idraulici del sangue relativa- mente al disequilibrio di circolo, che dietro l'azio- ne di siffatte sostanze potrebl>e avvenire ; ed avve- nuto, sarebbe causa di trista conseguenza per il fe- nomeno della reazione organica, che produrrebbe. Il qual disequilibrio non potrà esser temuto, quando i movimenti di depressione cagionati dalle potenze deprimenti saranno bilanciati dagli accresciuti di- namico-organici movimenti indotti dallo stato di malattia : non potrà esser temuto quando una gra- duata depressione generale ed elettiva arreccata dai medici presidii sia in esatta relazione col gene- rale accresciuto eccitamento, e con quello parziale del viscere o tessuto singolarmente impegnato : non Reazione orgawica 81 sarà temuto infine lo stesso disequilibrio di circolo, quando si eviteranno le forti impressioni si morali e SI fisiche , che tanto sconcertano la sanguigna cir- colazione, e fino a che lo esiga il bisogno saranno praticati senza interruzione que'mezzi terapeutici , che hanno molta correlazione co'moti idraulici del sangue. In conseguenza delle quali cose tanto in rapporto alla genesi de' fatti di reazione organica compresi nel second'ordine , quanto in rapporto ai mezzi terapeutici riconosciuti necessari nella cura di questi medesimi fatti, si può stabilire, che il se- cond'ordine in discorso comprende fatti o fenomeni di reazione organica , ne'quali oltre i due stati es- senziali di avvilimento e di risaltamento , si ha un ingorgo vascolare, od un'angioidesi più o meno per- manente in qualche viscere o parte come risultato del disequilibrio del circolo del sangue prodotto dalle potenze deprimenti. CAPITOLO QUARTO. Applicazione dello stabilito principio della reazione organica a fatti compresi nel terz ordine per conoscere la loro spiegazione relativa tanto alla genesi de* medesimi, quanto alle \>iste terapeuti- che che essi ammettono. L'alterazione considerata ne' fenomeni di rea- zione organica compresi nel terz'ordine, oltre i due stati essenziali che la costituiscono, non si limita all'ingorgo di sangue, od all'angioidesi in qualche viscere o parte formata nel disequilibrio di circolo sanguigno, prodotto dalle potenze deprimenti , ma a maggiore entità siffatta alterazione si estende , G. A. T. LXXII. 6 82 S e I E If Z E mentre essa giunge al grado d'infiammazione. Già ne' fatti considerati nel terz' ordine si è dimostrato, che in ciascuno de'medesimi non solo si sviluppano i due stati di avvilimento e di risaltamento coU'in- gorgo di sangue pili o meno permanente in qualche parte o viscere, ma si sviluppa ancora il processo infiammatorio, che tien dietro al medesimo ingorgo sanguigno. Si è veduta la manifestazione di questo processo ne'fatti di reazione organica compresi nel terz'ordine, tanto prodotti dalle cause morali quanto dalle fisiche deprimenti, siano queste ultime o po- tenze che direttamente deprimono T organismo, o siano quelle che lo deprimono indirettamente, op- pure siano le cause irritanti che inducono tali fe- nomeni. In ciascuno di siffatti fenomeni, prodotto da qualsivoglia delle sunnominate cagioni, hanno luogo tutte le parti morbose considerate nell'analisi de'fat- ti già esposti relativi al primo e second* ordine. JNel medesimo modo in questi fatti siccome in quelli si producono i due stati di avvilimento e di risalta- mento, che sono le parti essenziali, da cui è costi- tuito il fenomeno dell'organica reazione : e sì pro- duce pure l'ingorgo di sangue in quel viscere o par- te , che o al medesimo è predisposta , o elettiva- mente sente l'impressione delle potenze morbose. Il quale ingorgo sanguigno risulta ancor quivi dal di- sequilibrio del circolo del sangue prodotto dalle po- tenze che deprimono l'organismo, allorché a'movi- menti di depressione per esse indotti non si contro- bilanciano nell'organismo per causa di malattia o di temperamento movimenti relativi di accresciuto eccitamento si generali e si locali, tanto se la de- pressione è prodotta lentamente, quanto se è suc- ceduta con impeto, per cui assaissimo sia rimasto Reazione oROAifici 83 sconcertiìto il cìrcolo sanguigno. Oltredlchè in cia- scuno de'fatti di reazione organica compresi nel terz' ordine si sviluppa, come dicevo, l'infiammazione in forza della maggiore entità della causa morbosa , della ripetuta sua azione, come avviene in tanti ca- si, ed in forza pure della maggiore entità delle cau- se concomitanti già considerate. E quest'infiamma- zione non è altro , che una conseguenza di quell' ingorgo di sangue, che si è contemplato in tutti i fatti di reazione organica compresi nel second'or- dine. Quando dopo certo tempo un tale ingorgo di sangue non cede cogli opportiuii mezzi terapeutici sopra indicati, e quando i tessuti eccitabili sono in grado di rispondere proporzionatamente agli stimo- li, lo stesso ingorgo sanguigno è susseguito dall'in- fiammazione nel viscere o parte medesima , dove egli si è sviluppato. Imperocché in cjuesto luogo stesso si realizzano i due dati essenzialmente ne- cessari alla costituzione del processo infiammatorio, i quali siccome ha dimostrato il prof. Goldoni, a cui aderiscono quasi tutti quegli autori che han parlato della genesi dell' infiammazione, essendo i due fattori idraulico e dinamico, il primo è lo stes- so ingorgo sanguigno, il secondo è il reagire de' tessuti eccitabili proporzionatamente alio stimolo considerato nel fattore idraulico, ossia nell'ingorgo di sangue. Sviluppato cos'i il processo infiammato- rio nella parte, in cui era accaduta la stasi san- guigna, egli esige per esser frenato e vinto quello stesso metodo curativo diretto dalle medesime vi- ste terapeutiche, che sono state dimostrate nel me- todo di cura riconosciuto necessario a frenare e vincere i fatti di reazione organica compresi nel second'ordine. Soltanto quivi devesi aggiungere una 84 S e 1 s n a £ maggior quantità in ciascuno de'medici presidii da amministrarsi in proporzione alla quantità di ma- lattìa che si prende a debellare. Premessi i neces- sari mezzi curativi in rapporto all'avvilimento ed al risaltamento già notati, il salasso, specialmente ne'fatti di reazione organica compresi nel terz'or- dine, conviene istituirlo secondo l'importanza del processo infiammatorio, e ripeterlo a tenor del bi- sogno. In concerto delle sanguigne sottrazioni si devono praticare gli altri mezzi terapeutici sì in- terni e sì esterni: le sostanze medicinali da ammi- nistrarsi secondo le indicazioni, che sono stale con- template nel metodo curativo visto ragionevole ne' fatti di reazione organica compresi nei second'or- dine, e secondo le stesse avvertenze nel medesimo trattamento curativo, si devono dare al paziente in dose proporzionata alla maggior quantità di ma- lattia, che si prenda a debellare ne'fatti in discor- so. Così pure i medici presidii da praticarsi ester- namente, allorché si danno opportune circostanze per essere adoprati, debbono porsi in uso con quelT energia eh' esige l' importanza del morbo, e la sua quantità. Quivi pure hanno luogo le viste terapeu- tiche dirette allo stato dell'organismo, secondo le avvertenze contemplate nel metodo di cura relati- vo a'fatti di reazione organica compresi nel secon- d'ordine: le quali avvertenze sono riferibili al pas- saggio dallo stato di avvilimento a quello di risal- tamento, alla sollecitudine nell'amministrazione de' medici presidii, alla proporzione de'medesimi con lo stato morboso particolare e generale, alla loro gra- dazione nell'essere amministrati, all'evitare l'impe- tuosa loro azione, all'evitar parimenti l'amministra- zione interrotta specialmente di que'mezzi terapeu- Rkazions organica 85 tici, che hanno molti rapporti co' moti idraulici del sangue; infine le stesse avvertenze sono riferi- Bili all'attenzione, che continuamente si deve ave- re sulle relazioni tra i movimenti dinamico-vitali de' tessuti organizzati, ed i moti idraulici del san- gue. In conseguenza delle quali cose tanto risguar- danti la genesi de' fatti dì reazione organica com- presi nel terz'ordine, quanto risguardanti il meto- do di cura che loro si addice, si può stabilire, che il terz'ordine in discorso comprende fatti, o feno- meni di reazione organica, ne'cjuali oltre i due stati essenziali di avvilimento e di risaltamento si ha un ingorgo di sangue piìi o meno permanente con suc- cessiva infiammazione. CAPITOLO QUINTO. / fatti di reazione organica secondo lo stabilito principio tanto per via delV analisi^ quanto per la sintesi formano un tutto coerente colle sue partii il quale esprime il principio filosofico o dottri- nale che si ricerca , e dimostra la ragione di ciò che sembra contrariare alcune delle odier- ne mediche dottrine relativamente al fenomeno dell'organica reazione. Veduti tutti i fatti di reazione organica secon- do il principio del disequilibrio del circolo san- guigno prodotto dalle azioni delle potenze morbo- se deprimenti, per mezzo di questo medesimo rap- porto, che ha espresso la ragione di loro esisten- za, tutti i fatti suddescritti sono talmente uniti da formare un tutto coerentissimo colle sue parti. E veramente si conobbe, che gli elementi essenziali 86 SciSIfKE «li ciascuno di tali fatti, considerati neiravvilimento e nel risaltamento dopo l'azione deprimente delle potenze morbose, non ammettono altre cause fuori dell'ingorgo di sangue nel disequilibrio del circolo sanguigno per modo tale, che in qualsivoglia fatto di organica reazione, secondo l'intendimento delle moderne scuole mediche italiane, si realizzano sem- pre questi due dati di avvilimento in rapporto im- mediato colle cause morbose deprimenti, e di ri- saltamento in immediata relazione coU'ingorgo di sangue accaduto nel disequilibrio del circolo san- guigno. Sono decise conseguenze di questo princi- pio riconosciuto nel disequilibrio del circolo del sangue tanto l'ingorgo , stasi sanguigna, od angioi- desi più o meno permanente, che accade in un vi- scere piuttosto che in un altro, in una piuttosto che in un'altra parte a seconda dell'azione eletti- va delle potenze deprimenti , e della predisposi- zione delle stesse parti , onde sentire elettivamente l'impressione delle potenze morbose; quanto il pro- cesso infiammatorio , che succede all'ingorgo san- guigno. La quale successione di effetti insieme col- legati, provenienti da un solo principio in tutti i fatti compresi nei tre ordini , si rende manifesta anche con ordine inverso a quello già tenuto nelle esposte riflessioni. E di vero riconosciuta l'esisten- za del processo infiammatorio ne'fatti di reazione organica riferiti nel terz' ordine , questo processo suppone necessariamente l'ingorgo sanguigno per esser costituito in quella parte, in cui l'infiamma- zione si accende, mentre siffatto ingorgo di sangue è causa essenziale del processo infiammatorio , e perciò senza di questa causa l'infiammazione non può svilupparsi. In questa guisa dall'esistenza dell* Reazione organica. 87 infiammazione conseguita ancor quella dell'ingorgo di sangue piìi o meno permanente, il quale sicco- me è compreso negli elementi dell'infiammazione ne'fatti di reazione organica riferiti nel terz'ordi- ne, COSI e pure isolato ne'fatti del second'ordine in quelle parti, che o sono predisposte al medesimo ingorgo sanguigno, o risentono elettivamente l'azio- ne delle potenze morbose deprimenti. L' ingorgo sanguigno poi non può formarsi se non si disequi- librano i moti idraulici del sangue, ossia lo stesso circolo sanguigno: il quale disequilibrio può essere fugace come ne'fatti di reazione organica compresi nel prìm'ordine, ed è in immediato rapporto colle cause morbose deprimenti. Dalle quali cose risulta, che il terz'ordine de'fatti di reazione organica com- prende l'infiammazione, conseguenza dell'ingorgo di sangue più o men permanente, il quale deriva dal disequilibrio del circolo sanguigno prodotto dalle cause deprimenti; che il second'ordine de'fatti di reazione organica comprende l' ingorgo di sangue pili o men permanente, risultato del disequilibrio del circolo sanguigno, che deriva dalle deprimenti cagioni; e che il prim' ordine de' fatti di reazione organica comprende il fugace disequilibrio del cir- colo del sangue, che è in immediato rapporto colle nominate cagioni. In conseguenza tanto coU'analisi quanto colia sintesi rimane dimostrato, che unico è il principio, da cui derivano tutti i fatti di rea- zione organica, qual'è il disequilibrio del circolo del sangue prodotto dalle potenze deprimenti, non essendo che risultati di questo medesimo principio l'ingorgo, l'accumulamento, la stasi sanguigna, o l'angioidesi, e l'infiammazione. In questo modo tutti i fatti di reazione organica ridotti ad un solo prin- 88 S e I E n z s ciplo formano un tutto coerente colle sue parti , che esprime per me il principio filosofico o dot- trinale, che si ricerca: il quale perciò non è altro „ che un disecjuilibrio nella circolazione del san- „ gue prodotto dalle morbose potenze deprimenti, „ da cui deriva l'ingorgo di sangue o fugace, o più „ o meno permanente, e la flogosi. „ Tutto ciò conosciuto, si vedranno nelle loro ra- gionevoli relazioni alcuni pimti patologici e tera- peutici, che non sembrano avere que'giusti rappor- ti di corrispondenza, i quali esistono tra causa ed effetto. Sembra difatti esser contrario a questo prin- cipio lo sviluppo d'uno stato di accresciuto eccita- mento, e della stessa infiammazione dopo T azione di una causa deprimente: come pure sembra con- trariare i rapporti tra causa ed effetto il metodo cu- rativo deprimente da tenersi in uno stato morboso sviluppato per l'azione di deprimente cagione. Le quali opposizioni però rimangono dissipate coli' e- sposto principio. E veramente dalle cose dette si è rilevato , che gli effetti di depressione costituenti lo stato di avvilimento sono immediatamente pro- dotti dalle cause deprimenti; e perciò in cjuesto sta- to è palesissima la corrispondenza de'rapporti tra causa ed effetti. Il risallamento poi ed il processo infiammatorio non sono effetti delle cause depri- menti , come irragionevolmente alcuni hanno vo- luto ritenere folcendo critica alle moderne scuole mediche italiane, dicendo che in queste scuole si ritiene la massima, che gli effetti non sempre cor- rispondono alle cagioni, ed adducendone in prova il fenomeno della reazione organica come vien so- stenuto dalle medesime scuole mediche ; per cui questo stesso fenomeno, quantunque per mille fatti Reazione organica. 8§ si ravvisi , venne pur anco negato. E se il risalta- mento ed il processo infiammatorio si sostenessero per eiFetti immediati di cause deprimenti , di cui formavasi accusa , converreI)be convenire nell'ac- cusa medesima: mentre ciò è un errore^ un incon- gruenza , ed ancora una manifestissima contraddi- zione. Ma Io stato di risaltamento ed il processo infiammatorio dipendono da una causa ben diversa da quelle deprimenti, da cui risulta l' avvilimen- to. Imperocché nel fenomeno della reazione or- ganica si ravvisa tra le cause deprimenti e il ri- saltamento ed il processo infiammatorio esistere un fatto, che rende ragione di questi risultati, i quali sono in immediata relazione col medesimo fatto, e non colle cause deprimenti. Questo fatto è l'ingor- go di sangue formato nel disequilibrio del circolo sanguigno, il quale, siccome si è veduto , è quello stimolo, che eccita il tessuto organizzato a maggio- re sviluppo de'movimenti vitali tanto in rapporto a'moti dinamici dello stesso tessuto, quanto in rap- porto al circolo sanguigno. In conseguenza lo stato di risaltamento ed il processo' infiammatorio non sono effetti delle cause deprimenti , ma immedia- ti risultati del nominato ingorgo di sangue ; per il che anche in questa seconda parte del fenome- no della reazione organica si trova esatta corri- spondenza tra cause ed effetti. La stessa relazione di corrispondenza tra causa ed effetto esiste anco- ra tra il metodo curativo e lo stato morboso svi- luppato nel fenomeno della reazione organica; im- perocché in questo medesimo fenomeno si sono di- stinti i due stati di avvilimento e di risaltamento, ciascun de'quali ammette im metodo curativo a se corrispondente. L' avvilimento in immediato rap- 90 S e I E N Z K porto colle cause deprimenti esige, per essere fre- nato e vinto, medici presidii, che inducano movi- menti dinamico-organici atti a vincere la depres- sione delle forze vitali, come sono i cogi detti sti- moli, o potenze eccitanti: il risaltaraento poi ed il processo infiammatorio, in rapporto immediato col- l'ingorgo sanguigno, per essere frenato e vinto esi- ge e sanguigne sottrazioni ed altri mezzi terapeu- tici capaci a deprimere l'eccesso de'movimenti di- namico-vitali. In questi fatti è palese la relazione tra causa remota prossima e metodo curativo ; in conseguenza anche tra lo stato morboso sviluppa- to nel fenomeno della reazione organica e l'analogo metodo curativo si trovano corrispondenti gli effet- ti colle cagioni. Alla quale corrispondenza tra cau- se ed effetti, secondo le esposte riflessioni, si è ve- duto riferibile il fatto di accresciuto eccitamento, che si sviluppa talvolta con esacerbaziene di una malattia infiammatoria presa a debellare in segui- to ad abbondante sottrazione sanguigna, ed a dose troppo forte di mezzi terapeutici deprimenti. Quan- tunque questi fatti 'sembrino contrariare il princi- pio di corrispondenza tra causa ed effetto, pure per le cose gik dette si vede dissipata una tale oppo- sizione per essersi rinvenuti i rapporti immediati tra il fatto e le sue cagioni si prossime e sì remo- te, ne'quali rapporti si manifestò la corrisponden~ za degli effetti colle cause analoghe relative a que- sti medesimi fatti. Dalle cose fin qui dette si è rilevato, l.** che il fenomeno della reazione organica, secondo l'inten- dimento delle moderne scuole mediche italiane, non è relativo a quanto si è esposto da alcuni autori sulle comuni azioni e reazioni organiche, e che del Reazione organica 91 medesimo fenomeno , quantunque espresso da altri autori secondo un tale intendimento , pure non è ammisibile la fattane spiegazione. 2.*^ Che tralascia- ta ogni fantastica opinione per l'intelligenza della reazione organica, si è esaminalo la forza conser- vativa, la forza medicatrice della natura, e quanto si è detto suU'antispasi ippocratica, e si è veduto un tal esame non condurci alla spiegazione del no- minato fenomeno. 3.° Ch'esposti i fatti relativi alla reazione organica secondo la varia entità delle cau- se deprimenti, da cui sono prodotti, e secondo l'al- terazione in essi riscontrata , si sono stabiliti tre ordini de' medesimi fatti : il primo ha compreso que'fatti di reazione organica, in cui si notano fu- gaci i due stati , che essenzialmente costituiscono questo fenomeno vitale, cioè l'avvilimento e il ri- saltamento : il secondo ha compreso que' fatti di reazione organica , che oltre tali stati presentano un permanente ingorgo , stasi , od accumulamento di sangue, oppure un angioidesi in qualche parte: il terzo ha compreso que' fatti, che oltre i nomi- nati stati manifestano l'angìoidesi ed il processo in- fiammatorio. 4.° Che il principio capace a fare in- tendere la ragione dell'esistenza di questi fatti è il disequilìbrio del circolo sanguigno, da cui deriva 1' ingorgo di sangue, o l'angìoidesi, e l'infiammazio- ne, quando nella macchina non esistono dati opponi- bili allo stesso disequilibrio prodotto dalle cause deprimenti. 5.° Che con questo medesimo princi- pio si sono dimostrati intelligibili gli stessi fatti secondo l'ordine a cui appartengono, essendo cia- scuno di essi riducibile al disequilibrio del circolo sanguigno, ed alle sue conseguenze di parziale an- gioidesi e di infiammazione. 6.° Che riavvicinati 92 Scienze gli stessi fatti, mediante il principio stabilito, alFin- tendimento della ragione di loro esistenza, essi han formato un tutto coerente colle sue parti, il qua- le ha espresso il principio filosofico o dottrinale, che si ricava , e per esso si sono vedute dissipate quelle opposizioni , che sembravano fare obice a qualche principio fondamentale delle moderne scuo- le mediche italiane. Il solo vivo desiderio di cooperare, per quan- to da me è possibile, al bene dell'umanità languen- te, ed all'incremento della scienza , che con vero trasporto io professo , fu 1' unico stimolo che mi determinò ad esporre i miei pensieri , quali essi siano , sulla reazione organica secondo V intendi- mento delle moderne scuole mediche italiane. Nel far ciò , anzi che pretender sugli stessi miei pen- sieri quanto esige la somma importanza dell'argo- mento, ebbi solo in vista di prendere quella par- te, che nel medesimo argomento dovrebbe prende- re ogni filantropo amatore delle scienze salutari. ■^5; L'armonia delle forze sì fìsiche e sì morali dell'uomo lo porta a vivere in società, r \~Jlìe la sociabilità sia un dono di un' infinita intelligenza , è una proposizione che non esige molto studio per essere da tutti intesa e pregia- ta. I contraddittori la combattono con parole nel punto istesso in cui ne risentono i vantaggi. Solo per farsi un nome descrivono l'uomo imboschito, aven- te pace con tutta la natura : vagheggiano questa Società' umama. 93 finzione , se ne compiacciono, infingendosi di non iscorgere in quest'essere l'opera della mano di Dio, ma uno scherzo, come la pensano, della natura sur- to a caso su dalla terra. La sconcezza o a meglio di- re la irrazionabili ta de'loro vaneggiamenti non ri- chiede sottili ricerche per farsi conoscere sovverti- trice dell'ordine sociale , come non ricerca venefic' erba molta fatica per essere divelta di mezzo a salu- tifere pianticelle. Non è quindi mia intenzione il noiarvi,o signori, con lunghi investigamenti nel far- vi motto delle contraddizioni di que'traviati ingegni, i cjuali nel voler grandeggiare come ardimentosi pensatori, come uomini vorrebbono invilire se stessi e tutto il genere umano. Che cosa ella è cotesta amabile sociabilità se non un'aurea catena , che agli animi colti e gentili allaccia il volgo idiota , ravvicina il povero al ric- co, ed accomuna la capanna alla reggia? Di piìi agevola al cuore ed alla mente la pratica delle vir- tìi, ed assicura a prò dell'uman vivere coU'auloritk delle leggi il retto titolo di acquistare e possedere. Dal bisogno senza dubbio di coltivare la terra nac- que la divisione territoriale, e il primo agricoltore fu il primo, se bene si guarda, che acquistò su di un campo da lui penduto frugifero il diritto di pro- prietà. E un volo di calda fantasia (1) anziché una discussione filosofica l'invettiva del sofista di Gine- (i) Non sempre coerente a se stesso il filosofo ginevrino — Le primier, scriveva, qui ayant enclos un terrait, s'avisa de dire, ceci est à moi .... fut le vrai fondateur de 1» societe' civile — J. G. Rousseau, Discours sur l'origine de l'inegalité panni les hommes. Neuchatel toni. 2 pag. 61. Cito questa edizione delle opere di Rousseau della quale mi sono servito. 94 Scienze vra contro il primo che osò dire: Questo è mio. I giuristi di purgato acume ed i profondi metafisici hen sanno, non essere altrimenti un'usurpazione la fabbrica di un casolare in piaggia inospite e selvag- gia, il dissodare per la prima volta uno o più iugeri per istrappar dalla terra di clie nutrirsi. La su- perficie del nostro globo non è al certo cosi ristret- ta, che non abbia potuto nell'infanzia del mondo far parte ad ogni famiglia di un pò di terreno da lavorare. Fatta la scelta , stabilitovi il soggiorno, l'accorto coltivatore ne acquistò il possesso, di gui- sa che al volgere degli anni niuno per interesse privato potè legìttimamente contrastarglielo. Di qui l'ineguaglianza civile. Fissata la proprietà (1) indi- viduale accade, com' è secondo l'ordine delle pre- senti cose , che alcune famiglie laboriose furono in ìstato di porre in serbo le raccolte soprabbondanti al loro bisogno, mentre per il contrario altre fami- glie nemiche del travaglio lasciarono ingrandirsi il cardo e lo spino dove biondeggiar doveva la spica: onde per la dura legge , che la fame impone ai vi- venti, astrette furono a cedere ai facoltosi il retag- gio paterno. Aggiungansi le piogge soverchie , le grandini , un cielo negante tal volta una stilla di acqua, e mille altri impreveduti disastri, che non di rado illudono la speranza del misero agricoltore, {i)Il Taita sente cosi bene comeLock, che una fiera uccìsa da un altro non può essere sua, che un prodotto di un suolo coltivato da un altro non gli può appartenere senza il consenso di chi lo ha coltivato. Filangieri tom. i pag- 4o. Melchior Gioja avvicina l'uomo al bruto con ammettere il possesso di fatto aoa di proprietà. Il diritto di proprietà per lui è una chimera. SoeiBTA' UMANA 95 , e si vedrà che il bisogno può aversi qual padre del- l'inegualianza civile. Tutte le discussioni (1) azzar- dose intorno allo stato naturale far non possono, che nelle popolose regioni alcuni individui non ab- bisognino di molte cose, ed altri non ne abbiano di soprappiìi.Si gli uni e sì gli altri necessitati sono dal- la sociabilità ad istarsene insieme. Dico popolazione numerosa, affinchè non mi si abbiano ad affacciare le leggi di Licurgo prescriventi la comunione dei beni. In Isparta ogni cittadino era soldato mantenuto dal pubblico erario , e gli schiavi soli erano forzati alla cultura de'campi. Oltracciò Sparta non era che un pugno di gente; e questo pugno di gente, se pu- re fu mai qual volevasi da Licurgo , per ismania di conquista, e dal bagliore dell'oro adescato, adottò in breve una forma di governo ben diversa dalla pre- scritta da quel legislatore. Tale comunanza di beni ideata da Socrate, ammessa da Platone nella sua re- (i) Il dottore Agretti appicca ad un suo scritto su la testi- monianza del tempio di Marte in Todi (Perugia 1818 pag. 5o e 5i) una nota che nulla ha che fare col restante del libro. Ma ciò poco importa. Il male si è, che ivi afferma ciò ch« discorda dal codice più venerando delle nazioni. Non ho che a trascri- vere le sue parole. Eccole: - 1 figli non conobbero gli autori de' loro giorni, perchè nati di madre che non vedevano più ec. — Cita il Vico in conferma di quanto asserisce. Ma che prova egli con ciò? Nient'altro se non che non evvi stravaganza non pub- blicata da qualche sofista in aria filosofica. E stravaganza anzi eiTore la massima del cav. Luigi Bossi (Storia d'Italia lib. i par. i) di far nascere dalla terra i primi abitatori di alcune par- li del nostro globo, quasi non fossero tutti discendenti di Ada- mo. Protesta è vero di fare astrazione dalla storia mosaica: ma tale protesta è nulla sul labbro di chi tende a distruggerla, di chi richiama in vita i sistemi di Robinet, di Teliamed, di Leves- que, e di alili ai quali dispiace la dottrina della creazione. 96 Scifirvzs pubblica, dal filosofo di Stagira annoverata fra i sogni d'infermo, verrebbe ad isbandir dalla terra l'armonia sociale ed a spegnere l'industria ravviva- trice del mondo sensibile. Per non uscire dal semi- nato nulla dirò della legge agraria, che qui produs- se dissensioni funeste fra la nobiltà e la plebe. Nul- la di quanto Romolo assegnò agli dei, ai vagabondi compagni, al re. Piìi lagrimevole cosa a se richiama la mia attenzione : voglio dire i mali della vita, che non rispettano età: ed entrano furtivi nelle grandi pili spesso che nelle piccole case. Non è in potere della sociabilità il fare che non si sentano. Può ella minorarli, lenirli, e nulla piìi. Qual vantaggio si lu- singano di ottenere non pochi famigerati scrittori d'oggidì nei insozzare i loro scritti d'impuri sofismi, nel voler trasformare questa nobilissima fattura, quale l'uomo, in un essere abbietto e misero? Abbel- lano questa male immaginata degradazione (1) dallo stato naturale eoa tutti i vezzi dell'arte: ma 'Ai ab- bellimenti loro possono allettare la fantasia , non mai cattivarsi una mente sana. Se in quadro di ma- no maestra vedrò rappresentarsi un fatto insussi- stente, ne loderò bensì il magistero, ma non potrò non dolermi nello scorgervi sagrificata la verità. Ammiro, a modo d'esempio, il cartone rappresen- tante una guarigione miracolosa (2) delineata dal , (i) Pag. ia6 cit. ediz. - Reprenez, puisqu'il depend de vous, votre antique et première innocence, allez dans les bois. - (a) P. Jeanne de Aitala .. . Pictor Christianus eruditus ... Malriti i^3o pag. 3. Pictor. . cujus nomen et reverentiae causa tantum adnotatur in margine .... non tam depingit oculisque represenlat .... quam deturpai . . . miraculum . . . . ac tem- pli strucluram, quae nihii mìnus habet quam illiiw Salomoui- Società' umana 97 sommo urbinate, e nell' ammirarla dico fra me: E un peccato, che questa leggiadrissima composizione non istia in perfetto accordo con lo storico sacro, dal quale sappiamo, che il sanato non era altra- mente zoppo, ma attratto in amendue le gambe! Co- sì mentre veggo con piacere nella cosi detta Zinga- rina, che il Correggio possedeva la somma delle grazie, mi disgrada l'osservare la Vergin Santa vesti- ta alla foggia di una zìngara vituperosa. Ciò basti dei due principi delle scuole romana e lombar- da: ne io gli ho mentovati, se non per rendere via più palese l'obbligo che corre ad ognuno di non mai sagrificare all'immaginativa ciò che prescrive il do- vere. Cade in questo difetto Rousseau per abitudi- ne, vi cadono di frequente coloro che ne seguono le pedate. Ridottisi, è suo il pensiero, ridottisi casual- mente persone d'ogni età e d'ogni sesso all'ombra di una quercia di molti secoli, sul volto d'ognuno ride- va quella giovialità tutta propria d'un animo tran- quillo. Colui fra loro, così egli, che osò dire: Que- sto è mio : fu quel desso che aprì il varco alla nu- merosissima schiera di morbi allora allora sbucati dagli antri (1). Questo favoleggiamenlo è bene ac- ci.. . Claudus enim ... in quo miraculum illud patratuiii est, pictor ut describeret loto coelo abeiravit . . . non sibi confige- ret alterum tantum pede claudum, et cui nimiruni abscissa l'ra- cassaque fuerit tibia eie. Museum Fed. Borromei . . . pag. iig. — Corregiensis itein opus e*t tabula, quam vulgo Cingaram appella vere . . . Corrupit ejus operis gloria m ailifex ipse deco- ris leges violando, tribuendoque latrunculae aegyptiae habituin Virginis. (i) Pag.6. -En depouillant cet èlreainsi constitué de tous les dons surnalurels, qu'il a pu recevoir, en le considérant en uft mot tei qu'il a dù sortir de» mains de la nature, je vois un ani- G. A. T. LXXII. 7 98 Scienze colto e rimesso in campo da persone vogliose di rin- tracciare l'etli dell'oro dove non è. Ad essere piena- mente convinti sarà Lene osservare se il succitato crocchio era formato da gente sociabile, o ferina. Nel primo caso, i non viventi di aria, come si favo- leggia del camaleonte , potevansi dire l'un l'altro: 11 frutto che ho in mano è mio: io voglio assaporar- lo in pace. In secondo luogo, bisognoso ognuno di saziare la fame, il frutto non era più di chi l'aveva raccolto, poiché o cedere dovevalo o difendersi a prezzo di sangue. Guai a colui ch'era men forte o meno astuto! Ma il crocchio, recatosi innanzi alla fantasia, non v'è piìi: e le genti, che facevano calca sotto l'albero frondoso, sono scomparse. Giacche ai nemici dell'ordine è caro il fingere ciò che non fu mai, possiamo noi pure arrogarci una discreta liber- ta. Fingiamo adunque che una donna abbia trovato mal ... organisé le plus avantageusement de tous ...La nature traile tous les animals abandonnes à ses soins avec un predile- ction qui semblc niontrer combien elle est jalouse de ses droits... L'homme en devenant sociable et esclave, il devient foible ec. — La-Harpe ebbe a dire che negli scritti di Rousseau tutto in- ganna, sino la stessa verità. L'annotatore di Le Maistre afferma, che non si debbe ammirare tanto per Io stile, perchè nulla defi- nisce, adopera malamente i termini astratti ec. — Pag. 119. S'agit-il quelque fois de disputer son repas ! . . . Gomme i' orgueil ne se mele de combat, il se termine pur quel- ques coups de poing ; le vainqueur mange, le vaincu va cer- cher fortune, et tout est pacifiè. •- L'homme sauvage quaud il a dine est en paix avec toute la nature, l'ami de tous ses .semblables . . . O homme de quel- que contrc'c quc tu sois, queiles que sojent tes opinions , ecu- te, voici ton histoire telle que j'ai cru la lire, non dans les li- vres de tes seirdjlabcs qui sont meuteuis , mais duas la nature qui nou nieut jauiais. -- Società' umawa 99 un favo di mele e poche ghiande, cibi destinati all' uomo di bosco, e che postasi a sedere stia \\ li per nudrirsene. Frattanto, volendo proseguire la finzio- ne, esce d'agguato un uomo velloso e d'orrido ceffo, che stimolato dalla fame si slancia a quelle ghiande e a quel favo, e lo divora: e la donna atterrita non fa poco nel darsi a subita fuga. Ecco un languido ab- bozzo della felicita di chi vive solo solo nelle bosca- glie. Rigidi solitari, non fo qui parola di voi: perchè se la voce di Dio lungi vi trasse dal consorzio degli uomini, non vi esentò dall'obbligo di amarlo e di rientrarvi esigendolo imperiosa necessita. Tornia- mo a noi : io mi so bene che il selvaggio vien detto di sensi acutissimo e pieno di coraggio, onde porlo al di sopra di zotico villanzone. Ma il buon villano esercita un'arte, su cui poggia la ricchezza delle na- zioni, vò dire l'agricoltura. Quest'ultima parola ne ricorda il ben'ideato ragionamento dell'illustre acca- demico marchese Luigi del Gallo, teste qui letto ed applaudito, intorno ai mezzi di farla rifiorire nel- l'agro romano. Non m'inoltro più in essa, perchè lo spossato contadino a se mi richiama, mentre all'im- brunire del giorno si riconforta della lunga fati- ca in compagnia della povera famiglinola con esca salutare. Sia pure, come fuor di ragione pretendono i sovvertitori della pubblica tranquillitU, piìi forzoso e scaltro il selvaggio del conladino (1): che questi su (i) Pag. 12. — Si la naUire nous à destinòs à ètre sains, j'ose presque assiirer que l'etat de reflexion est un'ùtat contre nature, et que l'homme qui medile est un animai deprave --.... Les paysans sont rustics, grossiers, mal-à droits; les sauvages con- nus par leur grand sens le sont encore par la subtilité de leur esprit. Generalment il n'y a rien de plut fin qu'uu sauvage, ni rien de plus lourd cli'un paysan — 100 S e i K v t n di lui primeggia per eccellenza , lasciando tutt* al- tro da parte, nel professare una religione che ac- coppia la carità del prossimo alla dilezione di Dio. Cotesti interpreti della natura, che nell'interpretar- la si contraddicono a vicenda, dovrebbero sceverare le cose comuni a tutti gli uomini da quelle per le quali un uomo dissomiglia dall'altro. Non potranno eglino mai fare che le cose con danno del vero ne appaiano diverse da quello che sono. Uomini d'alto sapere pareggiano il vaneggiar loro a notturna lar- va, che grandeggia fra l'ombre e in sull'aurora si risolve in nulla. Del numero di questi vaneggia- menti è l'idearsi il bambino non bisognoso di chi si occupi di luì , il supporlo giunto all' efa della robustezza in grado di affrontare i piìi forti e di vincere ; esposto sempre alla rabbia delle fiere car- nivore, astretto sovente a cimentarsi con essoloro, ecco che avviensi per sua disgrazia in una delle piìi truci che a un subito 1' investe e lo sbrana senza pietà. Gli si dia pure gagliardo temperamento, quale appunto veggiamo nella gente di campagna: essendo certo che una educazione disagiata ed un cibo gros- L. Seneca lib. 4 de beneficiis cap. i6. -Quo alio tati sumus, quam quod mutuis juvamur officiis? fae nos singulos: quid sumus? Praeda animaliura ac victimae . . . societatem lolle, et unitatem generis huniani, qua vita sustinetur^ scindes etc. — Conobbe questa verità Platone -Nullus, cosi egli, nostrum dixerat, ex se ipso sufficiens est, sed niultorum indiget. — La voce della natura parla al cuore della madre e l'astrin- ge, anziché ad abbandonarli baniboletti alla discrezione della fortuna, ad alimentarli, a difenderli in guisa di porre se stessa in dimenticanza per salvar loro la vita. Bieifferd, Dissertatioa sur l'educatioa physique des enfans. Socuta' umana 101 solano ingagliardisce le membra , niente dì meno sarà sempre astretto a vivere dì se in forse, e a tingere del suo sangue o l' erba o l'arena. Ecco il bel vivere del selvaggio, per quanto largheggiare si voglia nel menomarne i bisogni e nello assegnar- gli i mezzi di difesa! Inoltre la natura lo guida al- l'associamento, senza di cui non può aversi perpe- tuità della specie. Sognino pure un vago connubio, si figurino la paventosa donna già madre di pili fancmlletti, le mettano a prò della prole l'ali alle piante per nudrirla e per educarla , che ad onta degli approvatori di assurdi sistemi rotta la benda dell'errore in sì strana maniera di pensare e di scrivere, non iscorgeranno appariscenza di vero. Ol- tre a ciò la prova del passaggio dalla selvatichez- za alla sociabilità aver deve in prova un fatto e non un sogno senza piedi e senza capo. Ed è so- gno il dire che il selvaggio, quando ha saziata la fame e la sete, è l'amico di tutti. Infino a certo se- gno potrebbe per avventura, pienamente satollo, non pensare alle tenzoni, dalle quali ebbe un bel che fare ad uscire malconcio. Ma come dir si potreb- be amico di tutti chi non conobbe 1' amicizia di viso ed ignoronne il nome.? È fuori del verosimi- le il sostenere, che prima di venire a contrasto, bi- lancia la diiricoltà del vincere con quella di trova- re altrove di che satollarsi. Principia, ecco fanta- stica idea, e termina la pugna a forza di busse: il vincitore mangia, e il vinto va in traccia di miglior fortuna. Buon per noi che ad ispogliare questo pa- radosso dal velo dell'illusione non abbiamo d'uopo che di opporre Rousseau a Rousseau (1)! Lo stato, so- (i) Prèface pag. 22 - N'exisle plus, qui n'a peut élre point 102 SCIKNKK no sue parole , naturale non più esiste, proLaLil- mcnlc non ha- mai esistito , e forse non potrà esi- stere giammai. Ciò stando, a che chiamar naturale uno stato che trascende i confini del verisimile ? Perche passare dal mondo reale all'ideale, e dare una mentita all'istoria dell'universo per tacciare di orditori di menzogne tutt'i libri e tutti gli uomini? Ma che ! fra tanti bugiardi sono eglino i sofisti i soli solissimi sopra la terra , di labbro schietto e mondi di cuore ? no certo. Per quanto si sforzino d'animare la natura per comunicarle le loro idee, alza questa la voce e gli avverte, che lungi dall'in- terprctarla a dovere, addimostra di non ravvisarla ne punto ne poco chi ristringe il ben essere dell'uo- mo al nudrimento, ad una femmina , al sonno leg- giero. Ne la conosce chi ne limita i mali al dolore del momento, alla fame ed alla lunga schiera de'mali presenti, e vorrebbene escluso l'estremo, lamorte(l). existé, qui probablement n'exislera jnmais- È lecito ai poeti fin- gere un'età, in cui la terra porgesse spontanea agli uomini i suoi prodotti. Ma è bene un mettere in discredilo la filosofia il soste- nere essere gli uomini nati come nascono i funghi. Tra il numero di questi deliranti si è distinto Diderot nella cosi detta da lui interpretazione della natura. Immaginossi un essere di tutti gli esseri, che passato per tutti i gradi del regno animale sia giunto finalmente a t'ormare un filosofo, e per via retrograda tornato allo stalo primiero. E bello l'udire da lui, che l'intelligenza di questo filosofo animale sta in ragione delle masse. Si scacci que- sto filosofo aniniale dallo scanno filosofico, e vi si faccia assidero un grosso facchino, il quale per virtù di maggior massa saprà meglio intendere e ragionare: se tu non ridi, dì che rider suoli? ;i - Les seuls biens qu'il conoisse dans 1' univers sont la liourituro , un feinelle et le repos; les seuls maux qu'il craigne sont le deuleur et la falni. Je dis le douleur et non la mort.- car jainais l'animai ne saura ce que c'est quo mourir, et la connois- Società* umana 103 Questa morie è una brutta cosa per gli scostumati, e perciò dicono che non fu conosciuta in questo no- stro mondo, se non quando diedero gl'uomini un ad- dio ai bei giorni della natura. Sotto il velame degli accennati loro sofismi, che mai si nasconde ? L'uo- mo bruto che divora. Un bruto che cede in robu- stezza al leone, in astuzia alla volpe, nella finezza de'sensi all'elefante ed al cane, e per farla breve in tutto al di sotto de'quadrupedi. Se nel parlare del timore della morte pretendono, che cjuesto senti- mento non metta l'animo in tumulto dell' uomo iso- lato, finche non è mortalmente ferito, possiamo esse- re seco loro d'accordo: non già sino al punto, in che lordo di sangue sente venir meno le forze e stramaz- za a terra. Ma in questa ipotesi chi può discernere sino a qudl grado il timore della morte giugner pos- sa nel selvaggio, allorché avviensi in chi può strap- pargli le carni, o strozzargli il respiro? Potrebbono affermare , che alcuni giovanetti trovati tra le bo- scaglie non ne avevano idea : ma resta a provarsi che quest' infelici barbaramente abbandonati alla ventura, non l'ebbero mai davanti agli occhi, e che sance de la mort et de ces terreurs est une des premieres acqui- sition que l'honime ait faites en s'eloignant de la condition ani- male. ~ A ragione, scrive Adam Ferguson (Essai sur l'histoire de la societé civil, tom. primier ). Il subsistue les hypoteses à la realité ... il confbnd ce qui n'est qu'imagination et poesie avac ce qui est science et raison. — Tanto può dirsi di tutti coloro che nel giovine mondo erroneamente si avvisano non esservi stato altro divario tra uomo e uomo se non quello che oggidì passar veggiamo tra fiera e fiera. Storici senza critica e di nin- na fede rigettano le antiche tradizioni, tengono la storia niosai- ca in conto di favola, senza mai dare una benché minima pro- va delle franche ed empie loro asserzioni. t04 S e I E N z s ila alcuni fatti rarissimi possa inferirsi essere Tuomo nato per vivere senza timore della morte nelle fore- ste. La natura in buona logica si debbe prendere nell'universalità, non già in alcuni individui che non fanno regola generale. Il misantropo ginevri- no (1) vide una veritk, ma la vide da lunge senza poterla afferrar per ogni verso, con asserire non potersi altramente formare un linguaggio senza linguaggio. Gli era d'uopo l'aggiungere che la men- te non può formare un linguaggio senza possedere delle idee astratte, poiché il fanciullo primamente intende i vocaboli, indi a ppco a poco gli espri- me colla voce. Sono verità di puro fatto , che le lingue non si creano, ma si comunicano, e che la parola è un dono esigente comunicazione di pen- sieri : veritk delle quali non v' è interprete della genesi, che parlato non ne abbia, di quel libro di- vino che il novatore non potrà lacerare giammai, ne smentire l'incredulo. Troppo lungo sarebbe l'an- noverare le opinioni de'filosofanti relative al come e al quando si è potuto inventare un linguaggio di convenzione. Ben qui e in acconcio ripetere con (i) Pag. 20. - Le premiere langage, le plus universe! , le plus energique et le seul dont il eut besoin avant qu' il fallut persuader des hommes asseniblis, est le cri de la nature. — Plato de recta nominuru ralione; Marsilio Facino interprete. — Forte vere diviniora quadam potentia quam humana suut nomina inslituta. ~ Nuovo saggio dell'origine delle idee, tomo terzo pag. iBg del cav. ab. Carlo Rosmini. La sacra storia, fonte unico d' ogni verità, ci dà una vera idea dell'orìgine del linguaggio, e chi da lei si diparte non com- prende come siasi inventalo. 11 parlare è antico quanto l'uomo; e la società, come l'esperienza ne insegua. Io perfeziona- Società* umawà 405 Platone, che le parole furono imposte alle cose mer- cè d'una potenza superiore all'uomo: che l'uomo della natura, qual vienci delineato dalla penna tin- ta nel fiele de'favoleggiatori, è un'impostura, un de- lirio: che questo sublime lavoro della mano dì Dio è destinato a passare la vita (1) co'suoi simili , a comunicare ad essi i pensieri , i bisogni suoi, e a secoloro dividere con la speranza del cielo i beni e i mali di quaggiìi. P. Luigi Pungilioni Min. Cohv. (i) Vix uUum animai reperies . . . qiiod vocari homine in- felicius debeat, si iste relictus sibi sit atque a ceteris deseratur. Ubaldus Cassina. De morali disciplina humanae societatis. Homo naturaliter est animai sociale. S. Tbomae summae pars prim> Quaestio XCYI artie. HI. 106 Memoria intorno alla vita di D. Camillo Mariani professore nella scuola romana de' sordo-muti. A S. E. R. monsignor Antonio Traversi arcivesco- vo di Nazianzo ec. ec. I.XJL tlì 13 di maggio nell'anno 1832 mancava all'amore de'buoni quel valente prete Camillo Ma- riani, che per ben 43 anni intese in Roma alla edu- cazione de' sordo-muti , e del quale non sappiamo se sia più da riverire l'alto ingegno , o da lodare quella rara bontà di costumi ond'era non piccolo ornamento alla santa religione ed alla patria. Ben questo diremo, che la benedetta memoria di costui sarà agli avvenire di moltissimo esempio, quando pure abbia a durare nel mondo qualche amore per la virtli. E però imprendiamo a raccontare alcuna cosa della vita sua ; di che forse ci sapranno gra- do que'buonì che santamente sdegnosi vanno nel vedere il secolo vile far plauso a coloro, cui la for- tuna eresse piìi in alto, o che in ogni sorta di col- pe civili più baldamente si arridono. 2. Meno che umile ed oscuro nascimento eb- besi D. Camillo ; perocché i parenti suoi , o che snaturati fossero , o sventurati immensamente dal cielo, o d'ogni bene disperati, lasciavano che di lui appena venuto nel mondo si pigliasse ogni gover- no la fortuna ; e si godesse ella pure cogli affanni la dolcezza dell' esser padre. La quale veramente siccome a Dio piacque gli si mostrò al tutto beni- gna, perocché il fanciullo era da' pietosi cittadini NoTiziK dsll'ab. Mariani 107 allevato ; finche negli anni e nell' ingegno cre- sciuto fu accolto a studiare nel venerabile semina- rio di s. Pietro in Roma ; ove fece tali viste di se, e nella vita e nelle lettere e nella teologia, che in breve fuvvi ordinato sacerdote ; indi a non molto graduato professore di eloquenza. Dal che tu vedi quanto sia in noi la potenza dell'ingegno , princi- palmente ove per savi costumi venga nudrito, e raf- forzato da un saldo volere. Che veramente l'uomo anche misero, e vilmente conceputo, può apparir nobile non pure nella vana e sordida mente del volgo ( devoto sempre alle cose che p«iono ) ma anche nell'intelletto di coloro che sono avuti degna- mente per gentili e per maestri di civile sapienza. Chiamavano a'quei dì rettorica l'arte petulantissi- ma del garrir ciance, aiutata da parole gonfiamente lanciate, le quali non teneano dell'italiano, ne del forestiero; perocché ogni dizione nostra in quelle di stranieri popoli si era fatta distemperata e ba- starda. I sapienti gridavano ai corrompitori ; ma egli era indarno : perocché l'educazione civile era meno che lìuona in molte terre della patria nostra. Onde chi può dire il leggiadro, e tutto nuovo gene- re di eloquenza che dovea essere in molte di quelle scuole, dove l'arte de'retori se n'andava tutta in giuochi di parole, e dove tutt'altro sapeasi che di favella italiana? Il Mariani, che sentiva suonarsi nell'anima il bello, provvide in molte parti che l'e- ducazione non fosse più lo strazio degli intelletti ; i quali pili oltre non potrebbero vivere se a loro la beata luce del vero si denegasse: e miseramente finiscono poi, quando alla negazione di questa luce si aggiungano i pesi di ribalda o stolta dottrina. Per la qual cosa dalla scuola del Mariani uscivano 108 SCIKMZK sacerdoti savissimi, ed alla buona eloquenza infor- mati ; che anzi a non pochi di costoro fu data assai lodevole e giusta fama, per quanto almeno conce- deanlo i tempi e le condizioni di questa comune patria. 3. Morto l'abate Silvestri professore nella scuo- la de'sordo-muti in Roma , il De-Pietro, cardinale pio e di memoria santissima , invitava il Mariani ad istruire que'poverelli, di cui la sventura men gra- ve è la mancanza de'due organi principali all'intel- ligenza delle cose; parlo de'sordo-muti. E avvegna- ché il Mariani da principio se ne scusasse modesta- mente come nuovo affatto in questo genere di arte e d'insegnamento, nondimeno tenne l'invito : non tanto per compiere il desiderio del cardinale, quan- to per operare in prò degl'infelici. Se non che bi- sognava che egli si facesse da capo ( come dire ) fan- ciullo; perchè gli era d'uopo studiare nei più minu- ti elementi di un'arte difficilissima, e piena di noie: nel che, se piìi valga pazienza o umiltà d'ingegno, è cosa ben difficile a dire. Ma ben egli s'ebbe a rac- cogliere assai dolce frutto delle sue fatiche, allor- quando postosi a educare que'miseri che a guisa di umani buoi si viveano al mondo, senza cognizione di cosa alciuia civile, senza religione, senza Dio , potè mirabilmente in quel vuoto intelletto loro formar giudizi e regole di raziocini , senza di che la mente umana è quasi morta cosa ; e cosi con quel suo linguaggio e ragionamento di cenni se- guitando a lavorare nell'animo de'discepoll, potè lo- ro molto di quel bene comunicare, onde 1' uomo è fatto socievole, e meno discara è la vita. Insegnava anche loro il come dovessero per segni di mano ri- mandare e dispensare le idee che sentivano in men- NoTiziK dkll'ab. Maruni 109 te: e come per gli occhi raccogliere quel parlare visibile tanto della scrittura quanto della mano. Per tal forma il sacerdote, recando in atti le idee meno sensibili, giunse a riscuotere in que'giovanetti la vi- va natura, e finalmente a dar loro l'idea di se mede- simi, di Dio, del mondo universo; delle quali cose se ad un uomo manchi la fede, che altro terrà egli d'umano se non la scorza ? 4. Tanto amore avea posto D. Camillo in questi discepoli suoi, che già per gli anni e per le fatiche sentendosi a poco a poco il calor della vita raffred- dare, ne volendo lasciarli d' ogni bene deserti e or-' fani di maestro ; si volse ad insegnare gli accorgi- menti e la ragione dell'arte al Giovazzini sacerdote d'ingegno e di molta carità pieno. E intanto si di- sponeva ad aspettare cristianamente l'ultima ora del vivere: la quale, poiché cosi piacque a Dio ottimo massimo, fu nel giorno 15 di maggio dell'anno 1823, come già è detto. Oltre questo fu il Mariani umile di spirito, di maniere gentili, caldo a benfare, gran compassione ne'miseri. Ond'era molto innan- zi nella grazia di Pio VII e di papa Della Genga, uomini di memoria beatissima, i quali a grandi ma- niere di affetto l'ebbero piìi volte onorato. Si dolse- ro della sua morte i buoni che lo conobbero: non tanto perchè del pio sacerdote rimanessero privi, quanto perchè nella patria loro spegnevasi un non bugiardo esempio dell'operoso e del casto vivere. G. GUZCONI DEGLI A.VCJLRkVl. no Regolamento per V istituzione di una cassa di ri' sparmio in Bologna^ approvato da Sua Eminenza Reverendissima il sig. cardinal Vincenzo Macchi legato della città e provincia con decreto del 1 4 luglio 1 837. Pei tipi della Volpe al Sassi in 8. di pag. \ 6. I Jo spirito di carità e di previdenza, che nella pre- sente civiltà anima i generosi: e T esempio stesso della capitale e di altre citta in Italia e fuori : e il desiderio di rendere la classe indigente sollecita del proprio bene , che difFondesi nell'universale : ecco ciò che ha mosso la pietk de'chiari bolognesi a pen- sare la istituzione di una cassa di risparmio nella cittk loro , che essendo ricca di tanti stabilimenti di carità non doveva oggimai rimanersi priva di questo : il quale soccorre il povero senza farlo ar- rossire, gli assicura un sollievo nella vecchiaia e nell'infortunio, lo assuefa alla parsimonia, al lavo- ro, all'ordine, alla previsione, e lo preserva dai pic- coli vìzi del vino, del giuoco, del lusso , che sono la peste delle povere famiglie e della morale. Ecco qui appresso il sunto del regolamento: e basterà a dare un'idea di questa nuova beneficenza , che onora la carila de'bolognesi. Avremmo dato vo- lentieri i loro nomi, se per modestia non si fossero essi tenuti dal pubblicarli. Vogliamo però ralle- grarci seco loro, e ringraziarli di tanto amore alla classe indigente; senza tacere, che l'elenco dei sov- venitori contiene i nomi di eminentissimi signori Cassa di Risparmio Mi cardinali, di principi, di nobiltà, di ecclesiastici e di quanti vanta Bologna fra i più illustri suoi cit- tadini (1). Una società di cento private persone stabilisce e dirige gratuitamente la cassa con un fondo di cin- quemila scudi formati da cento azioni di se. 50 l'una: il quale viene impiegato in fondi pubblici, ed in capitali fruttiferi. Le azioni sono infruttifere ai so- ci, servendo la rendita alle spese deiristituto : ogni azionista non può avere che un voto deliberante , comunque abbia più azioni. Cogli ava'nzi della cassa si formerà prima un fondo di riserva per ogni eventualità ; poi si farà luogo ad opere di beneficenza. Le azioni saranno rimborsate in tutto o in par- te, come prima formatosi il fondo di riserva si co- nosca cessato o minorato il bisogno di ritenere il capitale delle azioni. La cassa è presieduta e diretta da un consiglio di 12 soci: e sono presidente, vicepresidente, diret- tore, vicedirettore, segretario, vicesegretario, e sei consiglieri. Tali uffici sono gratuiti; durano in ca- rica sei anni tre de'consiglieri ; gli altri tutti tre anni. Due sindaci verificatori del rendiconto sono nominati annualmente. Niun socio nelle adunanze può farsi rappresen- tare: e quando sia legittimamente impedito, e nel solo caso di elezione alle cariche, può notificare in iscritto al presidente le nomine che intende di fare. Le deliberazioni sono a pluralità di voti, concorren- i do all'adunanza un terzo almeno de'soci non impe- diti. Non potendosi deliberare la prima volta per (i) Gazzetta di Bologna del 28 settembre iSSj, nura. n5. 112 S e I s if z X manco di numero, basterà alla seconda un quinto de'soci non impediti : e la maggioranza si avrà da due terzi de'voti. Il presidente raduna il consiglio almeno una volta al mese , e l'intero corpo almeno in occasione del rapporto de'sindaci sul conto annuale. Il consi- glio non delibera se non colla metà de' membri pre- senti. La cassa è aperta le domeniche e i mercoledì dalle nove della mattina alle due , salvo ne' dì so- lenni della s. Pasqua e dal s. Natale. Le domeni- che si ricevono i depositi, i mercoledì si restituisco- no ai richiedenti. Un intendente, un ragioniere, ed un cassiere fuori del corpo sociale servono all' a- zienda. Non si ricevono depositi meno di baj. cinque, ne pili di se. sei. Dal giorno appresso decorreranno i frutti del quattro per cento a favore del deposi- tante sulle somme non minori di baj. venticinque. Al 30 giugno ed al 31 dicembre si fa il cal- colo dei frutti, che pagansi tosto in luglio e gen-^ naio rispettivamente, c|uando formino un baiocco: i frutti minori si accumulano ai successivi. Nel ca- so però, che uno voglia ritirare l'intero deposito, ed estinguere il suo libretto di credito, gli si pa- gheranno i frutti a tutta la giornata. Se entro lu- glio e gennaio rispettivamente non saranno stati ri- scossi, i frutti si accumuleranno al capitale, ren- dendosi tosto fruttiferi col primo di agosto o dì febbraio rispettivamente. E se ne fa nota nei li- bretti di credito, che sta alla diligenza dei depo- sitanti di presentare. Le restituzioni fino a se. quattro si fanno il giorno della richiesta: le altre di maggior somma Cassa di Risparmio 113 quindici giorni dopo , cessando i frutti il giorno della domanda. Se il credito di un depositante salirà , tutto compreso, a se. seicento, cessa di essere fruttifero; essendo la cassa istituita a sollievo delle classi in- feriori, e per custodire ed aumentare piccole som- me, che non potrebbero dai particolari venire util- mente e cautamente impiegate. All'atto del primo deposito i ricorrenti hanno gratis un libretto di credito col sigillo e colle fir- me regolari : si segnano in esso i depositi succes- sivi, i frutti capitalizzati, ed i pagamenti. Le somme si restituiscono soltanto dietro l'e- sibita del libretto, ed a chi lo esibisce. Smarren- dosi da alcuno il libretto, deve avvisarne immedia- tamente la cassa; onde curare la salvezza del cre- dito, e la rinnovazione del libretto. Ogni anno sarà pubblicato il rendiconto nelle forme. Sciogliendosi la società (per effetto di circo- stanze maggiori, non mai per libera volontà de'so- ci) restituiti i depositi, pagati i frutti, e rimbor- sate le azioni, e sanata ogni passività, il rimanen- te sarà erogato in opere di beneficenza. Le modificazioni a un bisogno saranno propo- ste dal consiglio alla società, le cui deliberazioni so- no vincolate all'approvazione del provvido governo. Giova sperare che quest' opera di beneficenza in Bologna, come in Roma ed altrove, fiorirà: e che quanti vivono onestamente a mercede se ne giove- ranno anche dal lato della morale; perocché, come toccammo, cotali istituzioni sono ad un tempo di economia, di carità, e di morale. D. Vaccolini G. A. T. LXXn. 8 M4 LETTERATURA Dello stato politico della Marca d'Ancona nel se- colo decim o secondo. Dissertazione III, letta nel r accademia dei Catenati di Macerata il gior- no 20 maggio 1837 dal marchese Amico cav. Ricci. Ocopo principale dell'ultima mia dissertazione fu quello di rappresentare come in una pittura la sfor- tunata condizione della nostra Italia ne'tempi delle prime dominazioni settentrionali. Oggi ponendo in chiaro lume la storia delle epoche che queste segui- vano, prenderò ad argomento di mio discorso le vi- cende politiche, alle quali soggiacque la provincia nostra nel secolo duodecimo , i cui avvenimenti si collegano con quelli dell' Italia intera: perlocchè vano sarebbe di quelli far parola, se di questi si tacesse. Non è opera dì lieve momento lo svolgere in breve l'istoria degli importanti fatti, che caratteriz- zano quest'epoca, nella quale i costumi d'Italia subi- rono sì fatta trasformazione, che la rozzezza gotica e longobardica cangiossi quasi in gentilezza, ed il lin- guaggio ripreso aveva della vetusta romana elegan- za. Mi sforzerò di esporre coteste istorie con quella chiarezza e con quella brevità che l'argomento ri- Stato Politico della Marca 115 chiede , confidando io nella benignità vostra, e nel- la cortese attenzione con cui solete ascoltarmi. Mi conviene pertanto dar principio dalle do- mestiche e terribili discordie insorte fra il IV e il V Arrigo imperatori, che agitavano l'animo degli ita- liani, ed il tenevano incerto de'loro futuri destini. Mentre cotesta scissione lacerava la Germania , e mentre lo scandolo si divulgava di un figliuolo ri- belle che detronizzato il proprio genitore lo cac- ciava a morire entro un oscuro carcere, la Borgo- gna associata da Corrado I alla corona, e le città di Lombardia insofferenti dell'imperiale autorità, seriamente pensando alla loro politica esistenza in- cominciarono a prendere parte ne'pubblici affari , e ribellaronsi dall' impero: per cui fino dall'anno HOT, come si legge in un documento pubblicato da Lodovico Antonio Muratori, troviamo il nome di un Landolfo, che intitolavasi segretario del consoli di Milano (1). Questi mal'umori, che cominciavano fino da quest'epoca a manifestarsi ne'paesi di Lombar- dia, molto pili agevolmente e con rapidità è a cre- dersi che si distendessero anche nelle altre città di Romagna, dell'Esarcato, della Pentapoli: che non minori erano colà le cagioni di pubblica sconten- tezza. Colali ribellioni de'capi feudali dettero ani- mo ancora ai meno potenti di seguirne l'esempio. Imperocché i duchi, i marchesi, i conti, i vescovi ed i popoli piii non avevano in rispetto l'imperiale potestà. Le prime a scuotersi furono le città ma- rittime , il cui commercio , somministrando piìi che alle continentali maggiore attività d'industria, (i) Muratori^ Annali toni. XII part. I. 116 Letteratura più pronti modi d'arricchire, e più estese cognizioni di sociali ordinamenti, rendeva piìi idonee ad assu- mere nuove forme di vivere civile. Genova dun- que, Lucca e Pisa, per quanto leggiamo nelle oscu- re e scarse memorie dell'undecimo secolo, compa- riscono prime ad assumere grado di citta indipen- denti; Milano, Pavia, Asti, Cremona, e Lodi non tar- darono però molto tempo ad imitarne l'esempio. Nella marca di Ancona, nel ducato spoletino, e nel comitato fermano assai piìi tardi si operò un tal cangiamento, perchè la forza de'ministri imperiali troppo era efficace a trattenerne l'impero. Invasi da Arrigo IV i dorainii pontificii, reg- geva per l'imperatore questa provincia Guarniero tedesco, che al titolo di marchese di Ancona ag- giungeva ancora, giusta un documento riportato nel Cronicon Farfense, la dignità di duca di Spoleti. Ebbero allora i nostri avi a sperimentare di che sapesse il duro ed aspro governo degli antichi teu- toni , al cui confronto era assai dolce e benigno quello dei pontefici. Imperocché fino dai primi tem- pi, in cui i pontefici in questa citta e provincia pre- sero potere, o per mezzo di donazioni, o per vo- lontarie dedizioni , permisero che si governassero con leggi e statuti particolari, e con autorità di da- re sentenze tanto nelle cause civili, quanto nelle cri- minali. Laonde creavansi due o più consoli, o de- curioni, presso de'quali rimaneva il reggimento del governo, e l'autorità dì decretare paci e guerre ; tutte le quali franchigie di municipii furono dai pontefici a cjuesto paese piceno concedute, riserban- dosene la sovranità e Valto dominio. L'eruditissi- mo cardinale Stefano Borgia nella sua storia del- la chiesa di Velletri riporta un sigillo, nel quale Stato Politico della. Marca 117 si legge - Signum comunis Keletrl^ sit urbis popic- lis libertas imperialis. Cosi la città di Jesi s'inti- tolava - Respuhllca Aesina., libertas ecclesiastica. Quella di Sanseverino - liespublica Sancto Ses^eri- nas relicjuit septempedanorum - come scrisse Otta- viano Gentili dei signori di Ravellone nella sua ope- ra De patriciist opera che con tanto elogio viene ricordata nelle memorie per l'istoria delle scienze e belle arti di Trevoux (1); e così ancora la città di Eecanati , come rilevasi dalle antiche memorie di quell'archivio, lungamente si governò dai duum- viri , onde nello stemma ponevansi le iniziali S. P. Q. R. a significazione della libertà di quel municipio manifestata per le parole Senatus Populusque lìe- cinitensiS' Così si reggevano le cose nostre finche le schie- re dell'imperatore Arrigo nemiche del papa, dopo aver fatta Roma squallida e sanguinosa, arrecarono il turbamento nelle provincie soggette a' pontefici. Ne è a credersi , che gl'imperatori avrebbero permes- sa la continuazione di quelle franchigie che la santa sede a loro concedeva. Egli è però ben fiicile l'imma- ginare quanto ardentemente abbiano desiderato i marchigiani di emanciparsi del giogo imperiale ; però lo scaltro ed ambizioso Guarniero metteva in opera tutta la forza del suo ingegno e delle armi per tenere il popolo in soggezione, ne lasciava sfug- gire alcuna opportunità per frastornarlo dall'amore degli antichi signori , e tutto guadagnarlo a suo (i) Gli istorici municipali piceni ne fanno speciale menzio- ne, e fra questi con maggiore chiarezza uè fa parola il Maran- goni nella storia di Civitanova. 118 LETTERATURA profitto. Propizie al suo scopo gli parvero le oppo- sizioni, colle quali il pontefice Pasquale II giusta- mente contrastava alla smodata ambizione ed in- saziabile avarizia dell'imperatore. Perchè a far'onta al legittimo successore di s. Pietro favorendo que- gli un antipapa, Guarniero or costringendo colle armi , or subornando co'danari, si adoprò che l'e- lezione cadesse nella persona del monaco Aginolfo suo favorito, detto poi Silvestro III, sul divisamen- to che favorendo le mire di Cesare, si mostrasse grato verso chi gli procurò tale onore, conferman- dolo a signore delle usurpate provincie (1). Cotali macchinazioni di scellerata politica erano in quel secolo si frequenti, che mentre tenevano mal sicura la tranquillità dei pontefici, influivano a poco a po- co ad intiepidire ne'sudditi quell' amore e quella fedeltà , che prima avevano per essi , non sapendo per chi dovessero levarsi in insurrezione, ed esporsi a tutti i pericoli di una sanguinosissima guerra. E perchè gli ecclesiastici , che in quei tempi spe- cialmente erano oltremodo potenti , e le nobili e ricche famiglie attorniate dal favore popolare , e perciò meritamente giudicate il baluardo dello sta- to, sostenere potevano gl'interessi della moltitudine, e co' numerosi aderenti fare gagliarda resistenza agl'imperiali ministri , questi a nome dei loro pa- droni si adoperavano a renderseli amici; largamente promettendo , e concedendo ancora privilegi e do- vizie di vasti e fertili possedimenti. Guarniero ITI nel 1135 edificò il monastero di Chiaravalle nel territorio di Camerino lungo la via (i) Muratori, Annal. loc. cit. Stato Politico dklla Marca 119 del fiume Chìenti, ed arricchitolo di molte terre ne fece dono all'abate Ugone. Il successore Guar- niero IV ( nome tramandato di primogenito in primogenito) nel 1140 cedette a nobile personag- gio il castello di Virginio de'Ginevrini, ed i nomi dei Salinguerra, dei Gibboni e degli Arduini po- tentissimi signori leggonsi nelle alienazioni delle nostre campagne di Sarrociano nel territorio ma- ceratese (1). Alle quali elargizioni favoriva lo scis- matico Anacleto, che gravissimo danno cagionò agli interessi ecclesiastici e secolari di tutta Europa. Ma Innocenzo II, che per sottrarsi alla violenza di questo suo rivale dovette ricovrare in Francia, ben- tosto si propose di pacificare le tumultuose discor- die dell'Italia meridionale. Perlocchè con l'aiuto del santo abate Bernardo, personaggio sapientissimo, al quale andremo sempre debitori della tanto deside- rata pace, fece le piìi vive e premurose istanze all' imperatore Lotario III perchè colla forza delle ar- mi ponesse un fine allo scisma, restituisse lui al va- ticano, e ritornasse all'ubbidienza della santa sede gli stati usurpati e i ribelli. Acconsentì il pio impe- ratore a coleste suppliche , e bentosto inviò un e- sercito in Italia , per le cui forze costrinse primie- ramente Amadeo di Savoia a prestargli ubbidienza, sottomise le ribellate cittk lombarde , e ridotta a suo potere la Toscana, guerreggiando nella Roma- gna giunse in Fano , dove per un documento pub- blicato dal Compagnoni abbiamo a credere , che cola risiedesse Federico marchese della Marca, e successore del defunto Guarniero (2). (i) Gompaga. Reg. Pie. pag. 71. (aj Idem pag. 70. 420 Letteratura L'esercito di Lotario avanzossi fino ad Anco- na, e trovandola pronta a fare resistenza, la cinse di assedio. Ma dopo un aspro combattimento dovet- te la citta arrendersi, perduto avendo, al dire del- l'annalista sassone, due mila de'suoi combattenti, e sottoposta all'obbligo di allestire a servigio degli imperiali cento legni ben'armati, pronti a veleg- giare ovunque il duce avesse voluto indrizzarli. Da Ancona, come racconta l'Uspergense, Lotario si sa- rebbe dipartito, e direttosi verso Spoleto, sormon- tati i gioghi dell' Apennino ove avrebbe sostenuta nuova lotta per entrarvi : ma è pili probabile, che prendesse invece la via di Fermo, narrandoci lo stes- so annalista, che l'imperatore in questa citta cele- brò la pasqua di quell'anno, la quale gli venne som- ministrata dal vescovo Lamberto, e che di la pene- trò nella Puglia (I). Per le guerre di Lotario questa provincia, che fu soggetta per mezzo secolo a' principi germani^ cessò di essere chiamata Marca Guarneriana, e nuo- vamente fu sottoposta al governo del pontefice. Era però sfortunato destino d'Italia , che questa pace aver non dovesse lunga durata. L'inopinata morte di Lotario: l'impegno del successore Corrado per intraprendere la guerra di terra santa (lo che di- straeva la sua mente dalle cose d'Italia): la turbo- lenza fomentata da Ruggero conte di Puglia , il quale approfittandosi di questa opportunità per ri- cuperare i perduti suoi possedimenti mosse di nuo- vo guerra al papa ; e finalmente la creazione del (i) Marat,, A.\xn3\ì- Porti conte Giuseppe^ Tavole siaottlclie dalU cose più notabili della città di Fermo. Stato Politico della Marca ^2t nuovo antipapa Vittore IV, immersero di nuovo in «n mare di dissensioni e di guai, non tanto la ferma- ne, quanto tutte le italiane provincie. Tutti i quali avvenimenti ci avvicinano ad una delle piìi inte- ressanti epoche della storia della Marca. Il desiderio di reggersi a comune con leggi proprie distendevasi nell'InsuLria, nella Toscana» nel Veneziano, nell'Emilia: e le altre parti d'Italia, non giunte ancora a quel fine, ainlentemente vi si adoperavano. L' esempio recente delle prossime cit- tà di Lombardia era per que'popoli uno dei gran- di eccitamenti ; grandissimo era poi quello del fa- vore sperato dal greco imperatore Mannello Co- mneno, il quale voglioso dell'assoluto dominio della Marca istigava gli anconitani ad emanciparsi dal- la pontificia dominazione. A queste circostanze si aggiunsero le parole di Arnaldo da Brescia, la cui mentita austerità di costumi, la cui eloquenza im- petuosa, determinò gl'italiani a disciogliersi dalla monarchica autorità. Laonde i romani, ingannati dalle arnaldiane declamazioni, tumultuarono. Furo- no innalzati al governo senatori, consoli e prefetti- Cotesto amore di novità diretto dall'universale i- gnoranza , corrotto dall' effrenatezza de' costumi e dalla perversità dei tempi, penetrò negli animi del popolo marchegiano , e lo travolse nella comune condizione del resto d'Italia. Abbiamo già osservato , e vuoisi rammentare come cangiamenti di tal sorta sogliono piii fre- quentemente accadere nelle città marittime. Furono visti gli anconitani fino dal 1145 contrarre alleanza col Comneno, allestire contro i veneziani pederosa flotta, di cui Guiscardo Brancafiamma fu ammira- glio, far pace e guerra alla guisa di stati indipen- i2^ L«TT»RATWRA denti. Non tardarono molto le altre citta a seguirne l'esempio: perocché il Comneno, mandato già un suo legato, somministrava per ogni dove danaro, proteg- geva il commercio, incoraggiava i popoli ad unirsi all'anconitana repubblica , costringeva colle armi gli ostinati. Osimo, Recanati e Fermo non solo, ma SI ben' anche i piccoli castelli, ad imitazione della capitale della Pentapoli crearono due consoli, un se- nato, ed un consiglio chiamato allora di credenza. Era questo un ordinamento non istabilito sulle leggi confermate da esperienza, un governo popolare e di ventura. Le riminiscenze dell'antica repubblica ro- mana non ebberoTorza sufficiente a distruggere in un colpo le abitudini radicate nelle costumanze feudali: ne perciò potè formarsi nella stessa Roma una nuo- va repubblica, in tempo in cui vivevano uomini di costumi diversi assai da quelli che conquistarono tanti popoli. In deficienza pertanto di un corpo di leggi fondamentali non poteva sperarsi salvezza : che dalla forza e dalla necessita, non dalla riflessione, nascevano immediati provvedimenti. Tutto dunque era impeto momentaneo, ferocia e volubilità, che agitavano e Roma e le altre italiane citta come na- ve in furiosa tempesta. Gli anconitani poi lasciavan- si facilmente sedurre dai blandimenti e dai favori del greco imperatore, mentrechè veramente erano a lui ubbidienti e soggetti: essendo condizione dei deboli l'appagarsi di fallaci apparenze, sottoponen- dosi ugualmente al duro bisogno de'proteggitori po- tenti, e padroni dei loro protetti. L'indipendenza acquistata dalle altre città in- nalzò gl'italiani all'ambizione di conquiste : quindi si generarono le rivalità fra vicini : sulle quali me- Stato Politico della Marca 123 schine passioni si stabiliva il diritto internaziona- le, d'onde nacquero le guerre civili, i tumulti po- polari, i combattimenti fra le prossime citta , le discordie, le fazioni, le stragi e tutti gli altri mali, che non cessarono di riprodursi in tutti i seguenti secoli, e che ebbero si grande influenza nel carattere distintivo degli italiani. In cosi fatte condizioni tro- vavasi il Piceno nel 1153, quando al pontefice Eu- genio III succedeva il brevissimo regno di Anasta- sio IV, e germogliavano i primi semi delle verten- ze fra il papa e Federico Barbarossa, che produs- sero tristo frutto di sangue e di rovine alla misera Italia. Nell'ottobre del successivo anno 1154 scendeva in Italia il nuovo imperatore tacitamente macchinan- do la distruzione delle mal formate repubbliche. Ne furono sbigottiti gl'italiani tanto maggiormen- te, quanto minori erano i mezzi di difesa propria contro un esercito poderoso ed agguerrito, che mi- naccioso scendeva le alpi. Ma Federico nascondeva entro di se il suo mal pensiero, anzi con accortezza teneva dubbiosa la sua futura condotta. Nei campi di Roncaglia ofFrivangli ubbidienza i feudatari italiani, fra'quali erasi accompagnato il duca di Spoleti (1): tacendosi però dalle storie se verun rappresentante delle provincie nostre si mo- strasse in quella prima assemblea. Prese quindi stan- za per alcuni mesi l'imperatore in Lombardia, ed il modo con cui trattò que'popoli fece ben conoscere, che non era suo avviso il continuare in quella tra- scuranza delle italiane cose, di cui aveva fatto uso (i) Idem a pag. i5g. 124 Letteratura l'antecessore Corrado. Conviene però ben suppor- re , che istruito assai nel dissimulare egli fosse, mentre nel viaggio ch'egli intraprese Tanno appres- so per Roma, lo vediamo prima accondiscendere al- le preghiere di papa Adriano , che a lui ricercava l'eretico Arnaldo per punirlo de' suoi errori : e quindi essere chiamato dai romani a proteggere la nascente repubblica, là ove volevano rinnovellasse non la gloria degli imperatori , ma sì bene quella dei consoli. Vana fiducia in un uomo, cui non ad altro anela che a farsi tiranno! Di tale verità eb- bero ben presto a convincersi i romani: imperoc- ché le storie ci narrano quale spaventevole aspetto prendesse la potenza di Federico , appena ebbe ricevuto la desiderata imperiale corona da papa Adriano. Non è mio ufficio di entrare nelle partico- larità , che sono a tutti note, ed aliene dal mio argomento; ma non ometterò di far conoscere coni* egli trattasse la provincia della Marca. Dipartitosi Federico da Roma nell' estate del 1155, prese la via di Spoleto, ed ivi superò ben presto le resistenze che gli si opponevano dagli spoletini, onde gravissimi danni n'ebbero a soffrire que'cittadlni; e quindi non per la via di Gubbio, come dall'autore della vita di s. Ubaldo viene nar- rato, ma verso Ancona si diresse, ove la splendidez- za e gli onori con cui sforzaronsi di accoglierlo gli ambasciatori del greco imperatore non furono va- levoli a non far mendicare all'augusto teutonico ca- gioni di guerra contro il Comneno. A miglior tempo però riserbava i suoi pro- getti l'imperatore, occupato ora solamente di ricon- durre in Germania i suoi tedeschi stanchi di piìi rimanersi in Italia, ove a cagione di un'epidemia, Stato Politico della Marca 125 avvenuta nel loro restarsi in Roma, avevano perduti molti dei loro compagni. Sorgeva dunque l'anno 1 1 57, ed a precedere il Barbarossa in Italia vi giun- gevano Rinaldo suo cancelliere, ed Ottone conte pa- latino. Taceremo la storia della guerra longobar- dica avvenuta in quest' anno : non faremo parola dell'altra de'siciliani co'grcci, ne dei danni che la chiesa soffriva per lo scisma di Vittore III protet- to dall'augusto. Dirò soltanto, che giunti questi per- sonaggi nella Pentapoli, non tardarono ad avvedersi, che le mire del Comneno non si restringevano al solo possedimento di Ancona, ma che sotto il falso pretesto di portare le armi contro il re Guglielmo di Sicilia raccoglieva gente, e prodigava danaro per estendere i suoi dominii sulle altre citta maritti- me dell'adriatico. Ai rimproveri che i greci capitani ehbero ad ascoltare dagli imperiali seguivano avvenimenti dì grande importanza; mentre schierato l'esercito te- desco in Italia, di cui Federico stesso era il du- ce, fece alto in Ancona, e cintala per la seconda volta in istrettissimo assedio, rinnovellò su di lei le terribili sventure cagionate prima dalle armi di Lo- tario. Per quanto que'miseri cittadini astretti dalla necessita opponessero armi ad armi, pure fu vano il loro difendersi: posciachè oppressi dalla stan- chezza e dalla fame, con le mura diroccate, e senza speranza di risarcirle in breve tempo, e colla va- na fiducia di un lontano soccorso, riconobbero esse- re miglior partito quello di concordare. E si con- cordarono di fatto pagando grosse somme di dana- ro , e dando quindici ostaggi a garantia di ulte- riore pagamento agli imperiali. E quindi liberi d'assedio poterono occuparsi di riattare le rotte 126 Letteratura mura, e fornirle di nuove munizioni e difese, pre- vedendo prossimo un nuovo pericolo: che di peri- coli e di o£fese erano pieni que' tempi sventurati. il breve spazio di tempo, che trascorse dell'e- poca di cui scrivo al 1170, fu tutto consumato in preparamenti di guerra: mentre ben iscorgeva il principe d'oriente di quanta importanza era per lui il conservare il suo impero d'Ancona, con cui può dirsi , che in quasi tutto il littorale dell' a- driatico avesse un dominio. Alle opere di guerra aggiungeva quelle della politica: e quindi fattosi egli fautore della lega lombarda, e scudo al pon- tefice, molto confidava negli aiuti di essi: mentre in aperta confederazione coi germanici eransi stret- ti i veneziani , e a cotesti unite eransi pure le schiere degli osimani e di altri popoli della Marca, i quali rosi dal verme delle municipali invidie era- no ad Ancona inimici (1). A rinnovare questo italico incendio di discor- die accorreva Cristiano, arcicancelliere imperiale, col fine di preparare piìi libera la via alle ven- dette di Federico, che non mai abbastanza sazio di sangue si proponeva con un nuovo viaggio in Ita- lia ridurre tutti i paesi ribelli ad umile devozio- ne. Fu prima cura dell'arcicancelliere di concor- dare Genova con Pisa: ma non riuscendovi, i pi- sani ricalcitranti ai suoi voleri n'ebbero la peggio. Convocò nelle vicinanze di Siena un parlamento, ove intervennero alcuni feudatari della Marca par- tigiani dell'impero: gli altri a questo avversi, e per la lega propensi, si rimasero alle loro dimore. Tut- (ij Peruzti , Slori» di Ancona. Stato Politico della Marca 127 te le quali faziose scissioni furono principii di con- tinuate guerre civili ed esterne, borgata contro bor- gata, signore contro vassalli, cittadini contro citta- dini. Al che s'aggiungevano le circostanze per na- turale situazione del paese propizie al guerreggiare di que' tempi, per la prossimità de' paesi, per la montuosità del terreno, e per l' audacia e ferocia ch'era nell'indole degli abitanti. Chiusa l'assemblea, e stabilito l'accordo fra l'imperatore ed i venezia- ni, e tentatasi dall'arcicancelliere con minacce e con gravi offese la gagliardìa dell'animo degli anconi- tani, e fatta, come fu detto, con essi triegua, per le diverse guerre a cui gl'imperiali erano chiamati in Roma, in Sicilia, in Lombardia, Federico, seb- bene vinto e mal ridotto, ritornò a nuovo assedio contro Ancona. A tribolare la quale città, che era dal Comneno imperatore greco protetta, mandò a capo dell'esercito Cristiano elettore di Magonza, e strinse nuova lega co'veneziani, i quali schierate le loro navi contro Ancona chiusero l'adito alla ma- rina con numerosa flottiglia comandata da Sebastia- no Ziani figlio del doge. A cotal rinnovato asprissi- mo cimento s'apprestarono gli anconitani: le forze dell'inimico erano poderosissime e soperchianti : ma la ferma volontà di quelli nello star saldi nella difesa della patria fu sì efficace, che per sette me- si resisterono all'assedio il piìi doloroso che mai sia stato. Sperava l'arcicancelliere vincere l'ostinata re- sistenza degli anconitani, mostrando ad essi sotto gli occhi le fiamme che incenerivano tutte le pian- tagioni, i casolari, ed ogni cosa circostante alla cit- tà; speravano que'veneziani d'intimorire que'prodi col lanciare nelle mura baliste e travi ferrate che S^S LETTKRATUnA le sgominassero. Ogni offesa, ogni minaccia fu vana, anzi riuscì piìi dannosa agli assedianti, che agli as- sediati. Però glimperiali, conoscendo non potere vincere per valore, si persuasero poterlo per cru- deltà : imperocché chiusa ogni via di terra e dì mare condussero gli abitanti di Ancona a lagrime- vole estremità d' inopia e di fame , e nel tempo stesso più inferocirono colle armi. Nondimeno gli assediati fiacchi di corpo serbarono fortezza d'ani- mo, e non cessarono di fare audaci sortite, dì op- porre le spade alle spade, di offendere chi gli of- fendeva, di travagliare in terra gl'imperiali, in ma- re i veneziani, ì quali fecero prova di condurre le loro galee tanto prossimamente alle mura d'Anco- na, che poco restava a scalarle, ed entrare vittoriosi € vendicativi nella città. Tanto pericolo rinvigorendo vieppiìi il cuore degli anconitani, essi tutti d'ogni classe e di ogni età e d'ambo i sessi s'affaticavano a respingere in alto mare quell' inimico. Una donna , che aveva animo virile , generoso, audace , pose fine a quel combattimento , gittando sermenti intrisi in pece, €d altre sostanze di pronta accensione, nei torrioni d' onde i nemici travagliavano la citta : laonde vi pose il fuoco, ed in tal guisa abbrucciò le macchi- ne offensive, abbattè i baluardi, esterminò gran nu- mero di soldati della lega, gli scampati fugò. Non- dimeno le galee venete non si discostavano dal por- to, non cessavano di minacciare, di dare il guasto: però a salvamento della patria offertosi spontaneo e volenteroso un certo Giovanni da Ghio, cittadino pieno di carità, si gitta a nuoto, non cura i colpi «li freccia contro il corpo di lui scagliati, scampa dalla morte, giunge al luogo ov'era la gomena che Stato Politico della Marca !29 teneva fissa sott'acqua l'ancora dello smisurato ga- leone, d'onde venivano più forti i colpi contro le mura, con ferro tagliente la tronca, e per questo ardito trovato il galeone è dal vento contrario spin- to in alto mare , e gli anconitani salvati. Nulladimeno la carestia , la miseria e la di- sperazione era giunta a tale, che gli anconitani chie- sero Cristiano di onorevolmente capitolare. Ne eb- bero crudele inumano rifiuto : d' onde seguì tanto terribile il furore del popolo , che tutti unanimi ad una voce giurarono volere fermamente piuttosto morire , che arrendersi alla costui discrezione. Il quale proposito con grande efficacia animò un vec- chio di venerando aspetto con parole di sdegno con- tro l'inimico, di carità verso la patria, di esaltamen- to per la gloria che da tanto giusta guerra se ne sa- rebbe ritratta, di speranza ne'soccorsi che potevano aspettarsi dalla generosa contessa di Bertinoro, e dal valentissimo signore di Ferrara : e negli aiuti dell'imperatore di Costantinopoli tutti amici e pro- tettori di Ancona , nemici avversi all'impero. A se- conda degli animosi e prudenti consigli di cjuel vec- chio, furono subitamente spediti a que'principi mes- saggeri supplichevoli di aiuto e di pietà : ed intan- to nell'aspettazione del ritorno di quelli, gli anco- nitani morivano estenuati dalla fame, spossati dalle fatiche: erano costretti cibarsi di ogni cosa immon- da, che fosse trovata per sostenere la loro vita mise- randa: ne per tanto sfinimento di forze cessavano gli uomini di combattere, mentre costoro vedevansi ca- dere morti di fame le spose, i figli, i vecchi loro pa- dri. Dal feroce imperiale arcicancelliere furono con arte d'inaudita crudeltà ingannati , posciachè costui loro dette a credere avere in suo potere prigionieri G. A. T. LXXH. 9 130 Letteratura gli ambasciatori ch'erano per via verso Bertinoro e Ferrara ; non avessero speranza nel soccorso, si ar- rendessero per vinti. Rimase stupido il popolo di Ancona a sventura tanto dolorosa : però la menzo- gna di costui si rendette bentosto chiara per l'inat- teso ritorno degli ambasciatori recanti conforto e consolazione, assicurando solleciti aiuti d'armati e vettovaglie fornite da Aldruda contessa di Bertino- ro, e da Guglielmo III di Marcheselli signore di Ferrara. Gli eserciti di questi principi con celere cammino giunsero sulle alture di Falconara schie- rati in lunghe linee, e rifulgenti d'armi : la quale propizia ventura die quasi nuova vita agli anconita- ni , ed agli imperiali e veneti abbassò l'orgoglio. Perciocché incominciati appena che furono i com- battimenti , rarcicanccUiere comandò al suo eser- cito che si ritirasse : la qual ritirata fu anzi fuga, posciachè nel campo i soldati lasciarono armi e bagagli di ogni sorta: e finalmente i veneti, abban- donati dall'armata di terra, discostaronsi anch' essi dal lido d'Ancona, e senz'onore ritrassersi navigan- do verso le loro lagune (1). Non terminarono però qui le sciagure della provincia: imperocché quello stesso che aveva si fieramente travagliato Ancona , raccolte ch'ebbe le disperse sue genti , le condusse verso Fermo, ove trovando il popolo poco disposto all' imperiale ubbidienza, gravò su di esso la mano , concedendo il saccheggio della citta ai soldati , i quali non mai sazi si abbandonarono all'inaudita crudeltà d'incen- diare le case, dopoché rapaci ne uscivano con ricco (i) Saraceni e Peruzzi, Stor- Anconitana. Stato Politico della Marca 131 botino. Sciagura non nuova in altre citta, o terre della Marca: sapendosi per Romualdo salernitano , che Cristiano: Ad ducatwn spoletinwn et ad mar- chiani veniens., multa castra regionis illius depo- pulatus est, et cepit (1). Mentre queste cose avvenivano in una delle estreme parti d'Italia, Federico informato dell'infe- lice rovescio sofferto in Ancona mostrava di piegare l'animo a sciogliere ancora l'assedio di Alessandria, dove era presente, ed a sentire amichevoli propo- sizioni dai confederati, non già per amore della pa- ce, ma perchè abbisognava d'una tregua finche dal- la Germania venissero numerosi rinforzi. I legati pontificii, furono i primi a proporre a lui pacifici concordati: ma egli frapponendo or l'una or l'altra difficolta senza nulla risolvere di positivo, trattenne quel negoziato, finche scesero in Italia gli attesi aiu- ti. Non cosi però potè illudere l'accortezza de' mi- lanesi e degli altri della lega lombarda, i quali av- vedutisi dell'inganno disposto avevano così bene i loro eserciti , che formando questi un argine im- pedivano agl'imperiali, che scendevano le alpi, di congiungersi coi compagni, che coprivano la pia- nura. L'imperatore conobbe allora il pericolo che gli sovrastava : e ad allontanarlo non ebbe altro scampo, che quello di travestirsi, e così sconosciu- to penetrare fino all'alto di quelle balze, onde pren- dere egli medesimo il comando del novello eser- cito, e presentare animosamente agli alleati la bat- taglia. Questa ebbe luogo il 29 di maggio del 1176 fra Lignano ed il Ticino. Memoranda battaglia, in (i) Rerum Italie 432 Letteratura cui fece l'estreme prove Tllaliano valore, fugando e disfacendo le teutoniche schiere: battaglia , che non può essere taciuta da labbro italiano, ancorché scorra sfuggevolmente la storia del secolo decimo secondo. Federico intanto, scampando la vita, ebbe an- che la fortuna di ricovrarsi sicuro in Pavia. Tro- vandosi colà al coperto d'ogni agguato, compose l'a- nimo a redimere la perduta potenza: essendo natura degli uomini di forte tempra, maggiormente contra- stare colla fortuna quanto più questa si mostra av- versa. Laonde primieramente pensò, che ad ottene- re condizioni a lui favorevoli eragli d'uopo di ado- prarsi a separare gl'interessi del papa da quelli delle citta lombarde : giacche ridotti soli quei della lega, e segregando cosi la discussione religiosa , eh* egli aveva con Roma per la scomunica contro di lui fulminata , posto avrebbe i lombardi nella necessi- ta di ridurli a ragionevoli componimenti. Sì fatte considerazioni produssero , che Federico cedendo alla forza dei motivi politici eh' ei ben sapeva con accortezza apprezzare, e forse al rimorso del male operato contro la chiesa , inviò quattro dei princi- pali baroni della sua corte a papa Alessandro , che dimorava allora in Anagni. Ammessi alla pontificale presenza, esposero parole di pace: per cui essendo il papa tanto per carattere, quanto per istituto, della pace ardentissimo, facilmente vi s'indusse: ma sicco- me voleva, che fosse piena ed assoluta, così non in- tendeva acconsentirvi qualora non vi si considerasse- ro compresi i signori della lega lombarda, il redi Sicilia, e l'imperatore di Costantinopoli. Queste fu- rono le parole da Alessandro in pubblico pronun- ziate: alle quali però non potè attenersi , forse Stato Politico della. Marca 133 astrettovi da soverchia insistenza dei mandatari im- periali, allorché concedendo ad essi una privata udienza concordò con loro gli affari della chiesa. Fe- cero le citta collegate lagnanza per non vedersi com- prese in quel trattato: dal che mosso l'animo del pontefice, dotato com' era di non ordinaria gran- dezza, ed indole generosa ed umana, cominciò pri- ma a scusarsi, dicendo di non avere da essi ottenu- to incarico veruno per trattare e decidere dei loro interessi, ne aver'essi inviato alcun rappresentante in quell'assemblea. Ma sentendo poi , che non gli era possibile sottrarsi dal trattare anche i negozi dei confederati, promise di recarsi a Bologna per occuparsi delle cose loro coli' imperatore. Insorse- ro delle difficolta pel luogo prescelto al congresso, ne si dileguarono finche non si convenne, che Fer- rara dovesse essere la citta, ove alla pace d' Italia si ponesse il suggello. Le storie di quel tempo nar- rano i nomi di molti vescovi e signori , che forniti di ampli poteri sostenendo le ragioni de'loro man- datari, sottoscrissero di poi il finale accordo. Taccio- no però tutte di un nostro compatriotto chiamato Gentile vescovo osimano, il quale da papa Alessan- dro grandemente amato e slimato , fu ancora a lui vicino in quel negozio, e lo confortò de'consigli suoi (1). Se a Ferrara non pertanto si definirono le trattative, superaronsi però le spinosissime dif- ficolta che rimanevano a discutersi in Venezia, ove il papa insieme cogli inviati si era trasferito. I pre- liminari del concordato non davano ai lombardi (i) Compagnoni monsig. Pompeo, storia dei vescovi d'O- *imo. 134 Letteratura speranza di pace stabile, ed appena scorgevansi ga- rantiti da breve tregua : imperocché non si voleva far parola di alcuno dei diritti , che avevano gran cura di conservare. Ciononostante le cose presero un migliore andamento, ed il trattato definitivo del 25 giugno 1 1 83 conchiuso a Costanza supplì a tutto quello, che si era omesso nelle assemblee di Ferrara e di Venezia. Risulta da questo trattato, che a garan- tia di alcuni feudali diritti di lieve importanza l'im- peratore rinunziò ai signori d'Italia rutile dominio su tutte le città nel feudo comprese: che le piccole repubbliche ottennero diritti di regalie : e le leggi municipali, le quali attesa la piccolezza de'territorii ebbero autorità di leggi di stato, non rimasero sog- gette ad altro esame, se non a quello de'magistrati e de'cittadini: dimodoché, per ciò che riguarda la franchigia da ogni autorità straniera , aveva appa- renza di assoluta liberta. Mentre queste cose avvenivano nelle citta di Lombardia, e se ne approvava l'accordo anche da Corrado, il quale diede la sanzione a quel diploma, intitolandosi duca di Spoleti, e marchese di Anco- na (I); Roma si restituiva spontanea all' antico suo signore, che ai senatori prodigava concessioni e pri- vilegi, contentandosi soltanto di moderare quella liberta che co'suoi diritti contendeva. Egualmente può dirsi , che avvenisse nella provincia nostra , ove coi cardinali legati, che vi s'inviavano, si conven- nero pacifici e tutelari accordi. In Ancona dilegua- ta era ogni taccia di orientale dominio: ed Alessio , che succeduto era all'impero del padre defunto nel (i) Marat, Aunal. loc cit. Stato Politico della. Marca 135 settembre del 1180, diminuita trovava reredità di lui per questo italico lido. Lucio III, che della tia- ra del premorto Alessandro cingeva la fronte, a gui- derdone di devota sudditanza accordava a parecchie città della Romagna, della Marca e di altre provin- cie il privilegio di battere monete. È a pensarsi, che Ancona non fosse esclusa da cotali concessioni , ben- ché non rimanga delle anconitane monete memoria più antica di quella del 1220 (1). Era però fatalissimo destino, che in Italia ap- pena appariva speranza di pace , qualche altro fla- gello fosse pronto a travagliarla. Morto Lucio III a Verona, gli succedeva Urbano Ili, cui fu vano ogni consiglio , ogni preghiera , ogni minaccia per in- durre Federico a restituire i beni della contessa Matilde , sebbene solennemente l'avesse egli pro- messo. Non dissimile del padre apparve per la pri- ma volta in Italia Arrigo VI, il quale in dispregio del pontificale carattere , fecesi coronare re d'Italia per altrui mani in Milano. Non contento il nuovo re di essersi mostrato in tal guisa avverso alle leggi della chiesa, percorse i pontificii dominii, ed ovun- que apportò danni e rovine. Oltredichè Arrigo unissi in matrimonio con Gostanza di Sicilia senza farne parola ad Urbano , come se la Sicilia non fosse feudo papale. E siccome sogliono le prime disavventure non andare disgiunte da altre, così a compiere le agitazioni ed i travagli del pontefice si accumularono le notizie della disfatta dei cro- ciati battuti da Saladino , dell'assedio posto a Ti- ro, e di tante altre dolorose vicissitudini: sì che (i) Peruzzif lY dissert. Aucoaitaua nell'appendice pag. 96 136 Letteratura oppresso dall'affanno dovè soccombere, riserbando poi al non immediato di lui successore Clemente III l'ufficio di far prova di cristiana rassegnazione, sop- portando l'anunzio, che poco stante gli giunse della funestissima perdita di Gerusalemme, avvenuta nel 1187. A riparare tanta disavventura s'adoprò Fede- rico ambizioso di fiaccare l'ottomano orgoglio: per- locchè raccolse numerosi crociati, fra' quali accor- sero solleciti i popoli di qua dal regno di Napoli, annoverandovi l'Uspergense gli anconitani, i came- rinesi, i pesaresi e que'di Macerata, i quali tutti inalberando nei loro vessilli la croce, siccome ne contrasegnarono di panno rosso gli omeri, cosi scol- pirono poscia nel rovescio le immagini de'santi tu- telari impressi in monete d' oro o d' argento : sì che r Ughelli (1) narrando particolarmente dei cro- ciati maceratesi dice : Ex una parte insculptus videtur di\>us Julianus tutelaris insidens , et ve- xillum gestanSf quod intiis molam Maceratae in- signe includitur, his litteris: s. lulianus'. ex alte- ra vero parte criix exprimiturt De Macerata. Pro- va non dubbia dell'antichissimo culto osservato nel- la città nostra a questo santo. La cristiana flotta salpava intanto: ed ancorata che fu alle orientali sponde, vedevasi Federico piìi d'ogni altro agognare alla vittoria. Ma egli prima di essersi incontrato con l'inimico cedeva al comune destino , per un malore cagionatogli da un bagno da lui preso nelle fredde acque del Cidno, fiume d'Armenia, mentre assai riscaldato si trovava per il calore dell'atmosfera, e per un violento militare (I) lui. sacr. toin. II. Stato Politico della Marca 137 esercizio. In cotal guisa questo principe, che aveva sentito gli effetti dell' odio e dell' amore suscitato a vantaggio e contro di lui, e perseguitata la san- ta sede, venne a morire in lontane regioni , poco compianto, e poco glorioso, perchè l'uomo dimen- tica facilmente l'altrui valore, se gloriosamente per disavventura la sua vita non chiude. Quasi contemporanea alla morte di Federi- co avvenne l'assunzione al pontificato di Celestino III , il quale benché conoscesse quanto il nuovo imperatore Arrigo VI fosse mal'affetto alla chiesa, e di costumi poco umani , ciononostante fu astretto per la vacillante fedeltà dei romani di dare la co- rona a lui ed a Costanza sua moglie. Gli augusti sposi partirono di poi per la Puglia coi loro eserci- ti per cacciarvi Tancredi. Vi trovarono seguaci , mentre questi non mancano mai a coloro, che pro- mettono nuove leggi e miglioramenti : ma di poi tutto dimenticano quando a signoreggiare sono giun- ti. Non furono però ne potenti, ne numerosi in gui- sa da reprimere cosi il valore di Tancredi, come gli sforzi del suo esercito , il quale dopo breve resi- stenza costrinse l'imperatore a fare ritorno in Ger- mania con la sua armata dispersa e vinta, lascian- do in Puglia la moglie in ostaggio al vincitore. Tancredi però generosamente libera la ridonò al marito di lei. Cotesto trionfo fu bentosto amareg- giato dalla morte avvenuta in quell'assedio del suo primogenito : al quale acerbissimo dolore non po- tè sopravvivere. Perlocchè appena Tancredi ter- minò il corso di sua vita ( sebbene al governo di Puglia rimanesse pupillo Guglielmo affidato alla cura della sua madre Sibilla ) prestamente Arrigo seguito da' suoi tedeschi valicò le alpi, e di nuo- 138 Letteratura vo presentò guerra alla Sicilia : ove non trovando chi facesse vigoroso argine al suo esercito, penetrò facilmente, e ne divenne signore. A congiungersi col marito non tardò l'impe- ratrice Gostanza, la quale venendo di Germania fu astretta rimanersi in Jesi: nella quale citta nacque da essa un figliuolo, che prendendo il nome del- l'avo fu chiamato Federico II , la cui natura ap- parve non dissimile a quella dell'avo per l'avver- sione ch'egli ebbe ai papi, e pe' danni che egli ar- recò alla chiesa con gli scismi da lui fomentati e protetti. Girca 1' epoca in cui ebbe luogo un av- venimento SI inatteso nella nostra provincia , ci at- terremo alla narrazione di Riccardo da s. Germa- no (1) storico contemporaneo, il quale non solo as- serisce : Imperatrix Exii civitate Marchiae filium peperit nomine Fredericum., mense decembri, in fe~ sto s. Stephani: ma di più soggiunge, che la stes- sa imperatrice Costanza, dopo la morte di Arrigo avvenuta in Messina , assunto eh' ebbe il governo del regno, non meno che la tutela del figliuolo Fe- derico, lo fece venire da Jesi, dove l'aveva lascia- to, affidandolo alla cura dei conti di Gelano o di Cupersano: per le quali cose si conosce come il pic- colo augusto rimanesse in Jesi fino all' età di quat- tro anni , cioè poco appresso alla sua elezione al trono imperiale nella dieta di Germania concorda- ta nel 1196. Allorquando Federico I moriva nell'Armenia, trovavasi al governo della Marca , al riferire del (i) Muratori, Rer. ital. Baldassini, Storia di Jesi pag. 36 ; Compagnoni, Reg. Pie Stato Politico delia Marca 139 Campagnoni (1), col titolo di rettore Gottevaldo uno dei nipoti di Guarnieri: ed a questo succedeva quel Corrado Moscaucervello, cosi detto dagli ita- liani per la stranezza e volubilità di suo pensare : benché io sia di opinione non avere egli avuto in questi luoghi, che il solo titolo di marchese, sen- za aver su di essi esercitato un dominio. Imperocché sembra, che Arrigo l'avesse più in istima di buon soldato, che di esperto politico, essendo dopo l'asse- dio di Napoli stato lasciato dal detto Arrigo a guardia di Capua nel settembre del 1191, e l'anno appresso scelto a duce supremo degli eserciti regii stanziati nella Puglia , dopoché vi morì Bertoldo nell'assedio di Monte Uodone (2). Di questo dominio però, che non vi esercitò Corrado, divenne signore Marcoaldo eletto dall'augusto Arrigo nel 1194 duca di Ravenna e marchese di Ancona, mentre a Corrado per impe- riale conferma non rimaneva che il solo ducato di Spoleto. Le nostre istorie raccontano cose lagrime- voli di cotesta epoca sventurata, in cui i faziosi ac- cesi d'odio e di vendetta non risparmiavano ne fer- ro ne fuoco; onde molti paesi furono distrutti, do- vendo i miseri superstiti ricorrere all'ospitalità de* vicini per avere ricovero. Dirò soltanto degli abi- tanti di Monte Filottrano, i quali ricevuti da quei d'Osimo, n'ebbero a caro prezzo il favore, obbligan- dosi a scegliere quel paese a perpetua loro dimora , non potendo piìi dare opera alla riedificazione delle demolite loro case (3) ; ne mi pare doversi passare (i) Comp., R. Pie. pag. ^S. (2) Muratori, Annal. tom. VII. par. I. pag. H2. (3) Martorclli, Stor. di Osimo pag. 8o. 140 Letteratura in silenzio il lungo e penoso assedio, a cui astretti furono dal teutonico duce quelli di Ripatransone , non di altro colpevoli , se non di non volere sop- portare la tirannia di colui: per la qual cosa cinse- ro il loro paese di mura, a fine di salvarsi dalla sua ferocia (1). Nel tempo in cui queste cose avvenivano, ascen- deva alla cattedra di s. Pietro Innocenzo III, prin- cipe di animo forte, di mente acutissima, e adatto a sostenere i diritti della chiesa e del trono: e nel tempo stesso Costanza, madre di Federico II, pre- stava devozione al papa ed aveva dichiarato nemico del regno Marcoaldo. Il cacciare costui da un usur- pato dominio non era difficile a papa Innocenzo : imperocché, al dire di Sismondi „ i signori ale- „ manni sì fattamente avevano abusato del loro po- „ tere, che tutti i loro sudditi erano disposti alla „ rivolta. Le citta che si trovavano comprese ne' „ loro governi, pili piccole e più deboli che quel- „ le di Lombardia, non avevano sollevate le loro „ pretensioni fino all'indipendenza. La loro ammi- „ nistrazione municipale erasi ad un dipresso ri- „ masa qual s'era formata nel secolo X. Queste cit- „ tà confidavano di trovare maggiore liberta sotto „ il reggimento della chiesa, che sotto quello di „ militari stranieri; e tutte aprirono le porte ai „ prelati inviati per ricevere il loro giuramento di „ fedeltà. „ Prime furono Ancona, Fermo, Came- rino, Fano, Jesi, Senigallia, e Pesaro, e riconobbero (i) Tanursi, StorÌA di Ripatransone. licioni, TUssert. sull'esi- stenza di Ripa o Ripatransone prima dell'anno 1198. Fermo 1827. Caneellotti, Storia di Sanseverino. mss. pag. 19. Stato Politico della Marca 141 la sovranità del papa. Si confederarono Osimo ed Ancona, ed i patti che fra loro si statuirono furono tutti diretti a proteggere la chiesa, ad offendere chi ne disturbasse il pacifico dominio. Si leggono essi riprodotti dal Fantuzzi nel sesto volume della storia di Ravenna; documento autorevole a chiarire la storia di questi tempi. Fecero poi parte di que- sta lega Fermo, Civitanova, Macerata, Monte Lupo- ne, Monte Santo, Gastelfidardo, Castelubaldo, Mon- tecorno, ed altri luoghi. Si stabiliva nel tempo stes- so un' altra alleanza non dissimile nelle condizioni fra i fabrianesi ed i sanseverinati, come si legge nel- ristoria di Civitanova scritta dall'ab.Marangoni, do- ve originalmente ne sono riportate le condizioni (1). I marchigiani intanto ritornavano sotto l'antico dominio de'pontefici. Perlocchè Innocenzo assistito da* suoi cardinali si occupava in Orvieto a comporre un nuovo ordinamento di governo , che soddisfaces- se ai bisogni sociali de'suoi soggetti, e li ponesse ai coperto di nuove invasioni: tutte le quali cose egli fece con leggi prudenti e giuste. Laonde concedeva ai cittadini la elezione di un podestà, il quale avan- zasse in potere gli altri magistrati, e che reggesse il governo in tempo così di pace, come di guerra. Ordi- nava inoltre che cotesto podestà forse nativo di altro luogo, che del paese al cui reggimento era posto, no- bile di prosapia, versato nella scienza della legisla- zione: che dell'autorità di lui non dovesse trascorre- re tempo più lungo di un anno: il consiglio del co- mune avesse facoltà di trattenerlo. Altro magistrato, che aveva titolo di capitano, fu conceduto dal ponte- (i) Marangoni, Stor. di Civitanova pag. i3o. 142 Letteratura fice alle sue provincie con autorità di giudicare delle cause civili, ed infliggere pene ai rei. Riserbava a se il pontefice il determinare a quali citta si convenisse il privilegio della elezione dei sopraddetti magistrati. Dalla qual costumanza non molto discostavansi i fio- rentini: perchè siccome al papa apparteneva la scel- ta dei luoghi ove seder dovessero i magistrati su- premi, cosi alla signoria era quello della scelta dei magistrati delle provincie. Sebbene prudenti ed utili fossero coleste leg- gi nell'orvietano consesso decretate , nondimeno non furono valevoli ad ingentilire gli animi, ed a calmare il furore che invadeva gli abitanti delle citta e delle borgate di mattamente l'una contro r altra offendersi e lacerarsi ; perlocchè scissi ed inimici fra loro talvolta erano aggrediti da popoli stranieri, ne a tanto danno erano sufficienti a ripa- rare i patti espressi nell'alleanza di difendersi da qualunque aggressore : ne mancava talvolta a que- sto tristo effetto la condizione de'pontificii legati, ai quali si dava facoltà d'intraprendere la guerra. Le discordie, che la Germania laceravano per la successione all'impero fra i due pretendenti Filippo duca di Svevia, ed Ottone IV de'duchi di Sassonia e Bruswinch , distendevansi anche in Italia e nella provincia nostra. Perlocchè aperte erano le fazioni fra citta e citta. Tutte le quali cagioni danno mo- tivo di chiamare sfortunati que'tempi, in cui mai non si aveva tregua dalle guerre civili, mai dalle invasioni straniere, mai dalle prepotenze. Sarebbe lagrimevole il racconto delle partico- larità della guerra, che si accese nel 1-199 fra gli oslmani ed i recanatesi, i quali dovettero soppor- tare stragi e devastazioni, e molte castella espugnate Stato Politico della Marca 1^3 e rovinate. A sedare nuovi e più lunghi eccessi fu d'uopo fare ricorso all'autorità del cardinale di san- ta Prisca, con cui non saprei se più per rispetto di popoli, o per sazietà di sangue, convenissero i con- tendenti a finale accordo (-1). Ma quello che è piìi degno di considerazione si è il conoscere a quali estremi giungesse talvolta l'odio fra vicino e vici- no: essendomi avvenuto di leggere nelle storie, che non potendo parecchie delle nostre piccole borgate sostenere senz'aiuto i loro pretesi diritti, davansi spontaneamente suddite alle citta vicine , le quali assumevano o il proteggimento di que'diritti, o tal- volta di guerreggiare per esse. Così , per esempio, avveniva del castello di Aiano, che nel 1 1 98 si dava a Tolentino: ed in appresso imitavano que'horghi- giani gli uomini di Villa Marina, di Murano, di Col- le di Buccolo, del castello di Pitino, e gli altri di Piega e di Monte Nereto (2). Moltiplicandosi questi disordini, conobbe il pontefice che vano sarebbe stato lo sperare, che gli animi si tornassero a concordia , senza 1' esercizio della sua autorità: al qual fine inviando nella Mar- ca il cardinale Ottaviano suo congiunto, munito di supremo potere, ottenne che col molto adoprarsi di questo prelato si venisse ad un finale accordo, fir- mandone le condizioni gli ambasciatori spediti dal- le diverse citta e terre della Marca a Polverigi, pic- colo castello soggetto ad Ancona, il giorno 10 di febbraio del 1202. Per quest'atto i fermani e gli uo- mini delle castella del loro contado, Torredipalma, (i) Peruzzi, Stor. di Ancona tom. I. pag; 382. (2) Santini, Stor. di Tolentino pag. 99. 144 Lbttkratura, Pioggio s. Giuliano, Morrò, Monte Lupone, Monte- granaro, Sangiusto, e gli osìmani e gli iesini promet- tono e giurano lealmente e senza frode, perpetua pace agli anconitani, al loro contado, ai loro allea- ti, cioè Santelpido , Montolmo, Castelfidardo , Ca- merano, e a tutti della lega di Fano, di Senigallia e de'loro contadi, ed a' pesaresi, ed a que' d'OfFagna: e similmente gli anconitani, i senigalliesi, i cameri- nesi, i recanatesi, e quelli di Castelfidardo, di Givi- tanova, di Santelpidio, di Montolmo promettono e giurano pace ai fermani, ed a tutti gli altri popoli sunnominati. Rimettonsi a vicenda, e si perdonano le offese, le rapine, grincendii, gli omicidi, le ferite, le catture e tutti gli altri mali e danni recati: si rico- nosce e si dichiara sostenere l'autorità dei cardi- nali legati : ed in fine si nominano i rappresentan- ti delle citta che v'intervennero, ed i testimoni. Il notaio fu un Tancredi di Ancona, al quale pubbli- co ufficiale fu parimente un anno dopo ordinata la ratifica di questo trattato, a cui intervenne co- me magistrato supremo di questo nuovo consesso Uguccione dei conti Guidi podestà di Jesi (1). Degno termine di questo secolo fu il trattato di pace di Polverigi. I buoni ne speravano tran- quillità: però le fazioni, non ancora spente negli animi de'marchigianl, davano timore di nuove vices- situdini, le quali noi vedremo, nella continuazione dell'istoria nostra, quali e quante furono, e come siensi nella Marca manifestate. (i) Le condizioni di questa pace sono estesamente riferite dal Compagnoni nella Regia Picena, e dal Baldassini nella sto- ria di Jesi, come non ne tacciono i ragguagli tutti i nostri sto- rici municipali. U5 Dissertazione del sacerdote Sebastiano Santucci romano^ scrittore latino nella biblioteca vatica- 7ia, sulla lapide di s. Filomena vergine e marti^ re, con le animadversioni critiche sulle di lei memorie^ riferite dal sacerdote don Francesco De Lucia, e compilata da monsig. D. Giuseppe De P ove da. §. 1. F ra i molti corpi de'ss. martiri, che ogn'anno sì estraggono da'sacri cemeteri e catacombe di Roma, nel 1802 fu ritrovato il corpo di s. Filomena ver- gine e martire, nel cemeterio di Priscilla nella via Salaria. Il di lei sacro corpo riposava entro una nicchia , la cui parte anteriore era ermeticamen- te chiusa da una lapide di terra cotta, divisa in tre pezzi, ma insieme congiunti. Su di essa lapide vi sono impressi alcuni straordinarj ed interessan- ti emblemi, e parole dipinte col minio, come può vedersi alla pagina ultima. la un lato di questa si vedeva al di fuori, incastrata nel muro, l'ampolla di terra cotta, contenente il di lei sangue. Il det- to sacro corpo, nell'anno 1805 fu donato al signor D. Francesco De Lucia ; e quindi dopo varie vicen- de, esposto alla pubblica venerazione nella chiesa di s. Maria delle grazie, nella terra di Mugnano, dio- cesi di Nola, nel regno dì Napoli. La detta lapide, fitantechè tenevasi in molto pregio per la sua rari- tà, si volle conservare nel tesoro delle sacre anti- G. A.T. LXXIL 10 146 Letteratura cliità ; ma pure nell'anno 1828 fu trasmessa alla detta chiesa, e collocata presso il corpo della santa verdine e martire. 2. Prima di esporre i miei sentimenti sull'inter- pretazione degli emblemi lapidar], veggo necessa- rio riportare alcune rivelazioni che si dicono fatte dalla santa ad alcuni suoi divoti , giacche sopra di queste tanto il De Lucia, relatore delle memorie , quanto monsignor De Poveda compilatore delle me- desime, appoggiano in gran parte le loro opinio- ni sull'interpretazione de'simboli, che sono impres- si sulla lapide medesima. §. 3. Prima rivelazione. La prima delle tre rivelazioni dicesi fatta ad una monaca anonima nella cittk di Napoli, ed è ri- portata dal De Lucia nelle sue relazioni isteriche tom. 2 pag. 31 in questi termini. „ Io, cara sorella, „ ( parole della santa martire ) sono figlia di re, di „ un dominio della Grecia, e mia madre era anche „ di sangue reale, ma non avevano prole; e perciò „ facevano continui sacrifizj e preghiere ai loro „ falsi numi. Viveva in nostra famiglia un medico „ romano, di nome Publio, ora santo in cielo, ma „ non martire. Questi , compassionando la loro ce- ,, cita ed afflizione per la sterilità di mia povera „ madre , spinto dallo spirito santo, fu incoraggia- „ to a parlare loro della nostra fede, e promise la Sulla. Lapide di s. Filomena 147 „ prole, se avessero ricevuto il s. battesimo. La ,. grazia, che accompagnò le sue parole, illuminò la „ loro mente, ammollì i loro cuori, e si fecero cri- „ stiani, e dopo poco tempo mia madre concepì, ed „ io nacqui a capo dell'anno, il di 10 gennajo, e fui „ chiamata Liimena^ perchè concepita e nata nella „ luce della fede , alla quale assai si erano affezio- „ nati i miei genitori: quando poi fui battezzata fui „ chiamata Fi-Lumena^ figlia della luce, che stava „ nell'anima mia, per la grazia già ricevuta nel bat- „ tesimo. Perciò nel farsi il mio libro in Mugnano, „ fu anche così interpretato il mio monumento se- „ polcrale, per consiglio celeste, coU'infondere nel- „ la mente dello scrittore tali pensieri , senza suo „ accorgimento , e senza capirli per tali , come lo „ sapevano quelli che formarono quella scrittura , „ posta al mio sepolcro in Roma. „ Era assai l'affetto e somma la tenerezza, che „ mi portavano i miei genitori, e specialmente mio „ padre, il quale non poteva stare un'ora senza di „ me: e per questo motivo fui portata in Roma, „ essendo di anni tredici, terminati a gennajo, e fu „ nell'occasione di una guerra, intimata a lui in- „ giustamente dall'orgoglioso Diocleziano, per ma- „ nifesta prepotenza. Il mio povero padre, veden- „ dosi assai inferiore di forze, si portò in Roma, „ per venire a qualche patto di pace, e seco portò „ mia madre per mia compagnia , e cercò udienza „ dal tiranno^ e quando l'ebbe ottenuta , portò an- „ che me , e mia madre a palazzo. Quivi mi guar- „ dava fissamente Diocleziano, e mentre mio padre i48 Letteratura „ si giustificava con calore ed affanno siiiringiusti- „ zia della guerra a lui mossa, disse l'imperatore : „ Non più v'affannate; sono finite tutte le vostre an- „ gustie; consolatevi: voi avrete tutte le forze del- „ l'impero a vostra protezione, purché acconsenti- „ rete ad un sol patto, ed è di darmi la vostra fi- „ glia Filomena per mia sposa. Fu accettato il pat- ,, to da'miei poveri genitori, e in casa cercavano di „ pci'suadermi della mia somma sorte, di essere „ imperatrice di Roma. Io subito rifiutai l'offerta , „ dicendo che, io era obbligata a Gesù Cristo no- „ stro Dio, per voto di verginità, fino dall'undeci- „ mo anno di mia vita. Mio padre voleva persua- „ dermi, che essendo fanciulla e figlia, non poteva „ disporre di me, e con forte autorità mi offeriva „ l'accettazione delle nozze, e sdegnoso mi minac- „ ciava : ma il divino sposo mi die fortezza pel ri- „ fiuto assoluto , che io gli diedi. Mio padre si tro- „ vò imbarazzato assai , a cagione della mia negati- „ va che prese l'imperatore per pretesto di mala „ fede, e scusa d'inganno ; e per assicurarsi disse: „ Portate alla mia presenza la principessa Filome- „ na, e vedrò io se possa capacitarla. §. 5. „ Venuto in casa a prendermi, e non potendo ,, persuadermi mio padre ad acconsentire all' im- „ peratore, dopo le carezze e le minacce , s'ingi- „ nocchio piangendo con mia madre, e mi dissero: „ Figlia, abbi pietà di noi tuoi genitori, abbi pietà „ della patria e del regno : ed io risposi : mi pre- „ me più Dio, e la verginità , che voi. Il mio re- „ gno e la mia patria è il cielo. In questa tempc- Sulla Lapide di s. Filomena 149 „ sta eli affanni convenne cedere all'imperatore, e „ portarmi mio padre a quello , il quale mi trattò „ sul principio con onore , e afictto, e promesse; „ ma nulla ottenne. Discese alle minacce, e nep- „ pur la vinse ; e con furia e rabbia accesa dal de- ,, monio, mi fece inserrare in un profondo carcere, ,, che stava sotto le stanze dell'armeria del pala?- ,, zo imperiale : ivi fui incatenata, e posti mi fiiro- ,, no i ceppi alle mani ed ai piedi , per farmi ce- ,, dere alle nozze, da esso bramate al sommo , per „ opera del nemico infernale, dal quale era gover- „ nato il suo pessimo cuore, acceso da quel mostro „ con fiamme lascive. In ogni ventiquattr'ore veni- „ va a tentarmi ; mi faceva sciogliere per darmi un „ poco di pane e di acqua, e di nuovo mi tormen- „ tava; ed alle volte faceva degli atti immodesti, per „ accendere la mia concupiscenza; ma il mio sposo ,, celeste mi custodiva. Io poi non cessava a racco- „ mandarmi al mio Gesù , e alla sua purissima „ madre. §. 6. „ Erano già decorsi giorni trentasette , e mi „ comparve la celeste regina, circondata da luce di „ paradiso , col pargoletto in braccio , e mi parlò „ così: Figlia, altri tre giorni dovrai soffrire di car- „ cere, e dopo quaranta giorni uscirai da questo „ luogo penoso. A queste parole fui animata da fe- „ stevole gioia, e poi mi disse: E uscita, sarai cspo- „ sta ad una fiera battaglia di atroci tormenti per „ mio figlio. A questa notizia tremai , e mi vidi ,, nelle angustie di morte ; ma la celeste regina mi „ incoraggi , così dicendomi : Figlia mia , diletta 150 Letteratura ,, più dalle altre, perchè porti il nome di mio fi- „ glio, e mio : tu ti chiami Lumena : mio figlio „ tuo sposo, ha il nome di luce, di stella, di sole. ,, Io mi chiamo aurora, stella, luna piena, e sole: ,, Io ti ajuterò : ora è la debolezza della natura che „ ti umilia : allora avrai la fortezza della grazia , „ che ti assisterà , ed avrai, oltre l'angelo tuo cu- „ stode, l'arcangelo s. Gabriele , che significa for- „ tezza, che fu in terra il mio custode, che io man- „ derò in tuo soccorso, come a mia dilettissima tra „ le altre figlie. Così incominciai a ravvivarmi , e ,, sparì la visione, restando nel carcere molto odo- ,, re, che piìi mi sollevò. 5. 7. ,, Finalmente disperando Diocleziano di tirar- „ mi al suo sentimento , si appigliò al mezzo dei ,5 tormenti, per intimorirmi, e per farmi retroce- „ dere dalla mia verginale fedeltà al mio sposo ; „ perciò mi fece ignuda ligare ad una colonna , in „ presenza di molti suoi cavalieri , e di altri mili- ,, tari del suo palazzo, e poi mi fece flagellare, di- „ cendo : Giacche rifiuta ostinatamente un impera- ,, tore , quale son'io , per un malfattore condanna- ,, to dalla sua gente a morte, merita come quello ,, essere trattata dalla mia giustizia. Vedendo poi ,, il tiranno, che il mio corpo era coperto di piaghe „ e sangue, e poche ore mi restavano di vita, costan- „ te nella mia fede, mi condannò a farmi spirare „ nella prigione , ove di nuovo fui trascinata. Sta- ,, va io desolata aspettando la morte, per riposarmi „ nel mio sposo, quando mi compariscono due an- „ geli pieni di luce, i quali con prezioso unguento Sulla Lapide di s. Filomena 151 mi unsero , e subito mi guarirono meglio di pri- ma. Nella mattina seguente, sapendo ciò l'impe- ratore, s'istupidì, e nel vedermi più bella e sana alla sua presenza , mi voleva far credere , ch'era stato il suo Giove , il quale mi voleva assoluta- , mente imperatrice romana, e mi fece onori e ca- , rezze, guidato dal demonio con fiamme piìi ar- , denti d'impuro affetto , per tirarmi all'intera ro- , vina ; ma io lo convinsi , e lo assicurai degl'in- , ganni infernali, illuminata dallo Spirito Santo , , che calò in me nelle mie battaglie ; e non sapen- , do che rispondere con i suoi assistenti alle mie , ragioni a favore della fede, stizzito come un lio- , ne, ordinò che subito con un àncora di ferro li- , gata al collo, fossi gittata, annegata e sepolta vi- , va nel Tevere , e fosse così perita per sempre la , mia persona e la mia memoria. Ma Gesii, per far , pompa della sua onnipotenza , a confusione del , tiranno e degl'idolaJri, mandò di nuovo i due , bellissimi angeli, che nel cadere spezzarono subi- , to la corda, e 1' ancora cadde nel fondo del Tevere , ove presentemente ancora esiste coperta di terra: , ed io fui portata sulle loro ali, ed uscii senza es- , ser toccata da una stilla di acqua. §.8. „ Nel vedermi il popolo così gloriosa, sana, „ senza esser toccata dalle acque, fece bisbiglio , e „ molti si convertirono alla fede di Gesìi Cristo. „ Disperato il tiranno gridava, essere opera di mia „ magia, e pili ostinato di Faraone, mi fece strasci- „ nare per mezzo Roma; e poi mi fece sagittare ; „ ( forse nell'anfiteatro, luogo solito di questi tra- 152 Letteratura „ gici e crudeli spettacoli ): e quando mi vide tut- „ ta trapassata dai taglienti strali, svenata e mori- „ bonda, mi fece per crudeltà strascinare di nuovo „ in prigione, per farmi morire desolata , e senza „ conforto. Ma l'onnipotente mi donò un dolcissimo ,, sonno, e svegliata mi trovai sana e bella piìi di „ prima. Saputo questo l'imperatore, si arrabbiò di „ furia e crudeltà, e ordinò, che ignuda di nuovo „ fossi trapassata dalle frecce piìi taglienti , fino a „ che fossi estinta ; ma per volere dell'Altissimo si „ tendevano dagli arcieri gli archi , ma le frecce „ non si muovevano dal loro sito , e il tiranno gri- „ dava contro di me , come fossi stata una maga. ,, Ordinò, che si fossero le frecce infuocate dentro „ una fornace, credendo così distruggere le mie „ supposte magie, e spogliata di nuovo fui esposta „ a tale condanna ; ma il mio sposo mi liberò da „ questo tormento, col fare rivoltare le infuocate „ saette contro i sagittarj, e ne morirono sei ; ed „ alla vista di quest'altro miracolo, tanti altri si „ convertirono, e il popolo si sollevava a favore del- „ la fede. Il tiranno, temendo altro di peggio, mi „ fece subito decapitare; e così l'anima mia volò tut- ,, ta trionfante e gloriosa in cielo , ricevendo dal „ mio sposo la corona della verginità, che tanto mi ,, costò, e mi rese per tante palme di vittorie assai ,, distinta al suo divino cospetto. Questo giorno, tan- „ to per me fortunato, fu il decimo di agosto, di „ venerdì, alle ore diciannove e mezza. Perciò, co- „ me dissi , l'Altissimo fece succedere in questo „ giorno la mia traslazione in Mugnano, con tanti „ segni di sua celeste assistenza, per farla riuscire „ gloriosa. „ Sulla Lapide di s. Filomena 453 §. 9. Seconda rivelazione. La seconda rivelazione o visione, dice il De Lu- cia, nel primo tomo delle relazioni istoriche, accad- de in persona di un giovane artista, egualmente ano- nimo, ed è riferita in questi termini. „ Questi ve- „ deva il tiranno Diocleziano perduto di amore per „ s. Filomena. Egli in ogni condanna a nuovi sup- „ plizj, sperava la di lei condiscendenza, e che per „ l'atrocità della pena fosse per cedere avvilita ; „ ma stante la sua fermezza nel soffrire i tormenti, „ smaniava di rabbia ed impazziva, per non po- „ terla piegare ad essere sua sposa. „ §. 10. Terza rivelazione. La terza rivelazione o visione dicesi fatta dalla santa ad un sacerdote , egualmente anonimo , e si legge nelle memorie istoriche del De Lucia tom. I pag. 56 ; dicendo, che il detto sacerdote passeggian- do un giorno solo nell'aperta campagna, d'impro- viso si vide comparire innanzi una incognita don- na, che tenne con lui il seguente dialogo: ,, Filom. E vero, che in una vostra chiesa ave- „ te esposto un quadro di santa Filomena? „ Sacerd. ,, Si. ,, Filom. Che ne sapete voi di questa santa? ,, ,, Sacerd. Tanto quanto a stento si è potuto ricavare „ da una lapide trovata nel suo sepolcro. ,, Filom. E „ niente di più? „ Sacerd. E niente di più. „ Filom. 154 Letteratura „ Oli quanto v'è di più su questa santa! e quando Io „ sapra il mondo , resterà pieno di maraviglia. Sa- „ pete voi la causa della sua persecuzione, e de'suoi „ martiri? „ Sacerd. Non è a nostra notizia. „ Filom. „ Fu la negativa delle nozze, che fece all'impera- „ tore, che perdutamente amandola, la pretendeva „ per isposa, ed essa si negò per conservare la sua ,, verginità a Gesù Cristo, a cui per sempre l'aveva „ donata.,, Sacerd. Fatemi grazia, sapete voi di cer- „ to tutto ciò? Ditemi, dove l'avete letto? Noi andia- „ mo cercando notizie di questa santa; perciò fa- „ temi sapere il libro che avete letto, se lo sapete „ di certo. „ Filom. A me si domanda se lo so di „ certo? a me? In qual libro l'ho letto? Lo so pur „ troppo di certo, lo so sicuramente, lo so, lo so.,, (E così disparve la visione). §. 11. Diocleziano venne in Roma la prima volta. Diocleziano nella prima sua venuta in Roma non perseguitò i cristiani. In queste tre rivelazioni trovansi diverse cose, le quali producono un mal umore ne'devoti di s. Fi- lomena, e specialmente nell'animo mio. Impercioc- ché io, al grido de' prodigj operati dalla santa , avendo fatto ricorso al di lei patrocinio in una mor- tale infermità, ricuperai perfettamente la primiera salute; volli quindi conoscere le di lei maravigliose operazioni, che circolavano stampate in diversi to- mi, e pubblicate tanto dal De Lucia, quanto da mon- signor De Poveda. Dopo aver io lette e ben ponde- rate le loro relazioni, non senza mio grandissimo Sulla Lapide di s. Filomena 155 dispiacere conobbi, che in conto alcuno non pote- vasi prestar fede certa a quelle rivelazioni, che io avrei desiderate per credibili e sincere. Impercioc- ché si scorgono in esse diversi tratti e proposizio- ni, le quali punto non si accordano colla veracità e genuita dei fatti che si raccontano. Quello però, che più di tutto dispiace, è un troppo evidente anacro- nismo; giacche tutti i fatti e i detti relativi alla san- ta si annunziano accaduti in Roma fra s. Filomena e Diocleziano, mentre questo principe risiedeva in Nicomedia. Vero è , che due volte egli si portò in Roma, in tutto il tempo di sua vita ; ma pure in ninna di queste due venute si possono attribuire a Diocleziano i fatti accaduti con s. Filomena, come vengono riferiti nelle sue rivelazioni. Imperciocché Diocleziano da Nicomedia si portò la prima volta in Roma nel terz'anno del suo regno, per farsi ri- conoscere come sovrano di tutto l'impero, nel qua! tempo Massimiano Erculeo non ancora era stato da lui associato all'imparo. Accadde questa venuta nel mese di settembre, l'anno di Gesìi Cristo 285, ne sì trattenne in Roma piìi di due mesi: giacche, secon- do Zonara e il Tillemont, nel medesimo anno 285, nel principio dell'inverno , trovavasi di nuovo in Nicomedia , e vi tornò con piacere e sollecitudine, giacche niente amava il soggiorno di Roma, ne l'in- dole de'romani. Altra piìi forte ragione stimolò Dio- cleziano a ritornare senz'indugio a Nicomedia; ed è che a quell'epoca l'impero romano era assalito da' persiani, bagaudi, germani che infestavano le Gal- lie, e da altre nazioni tanto nell'Oriente, quanto nell' Occidente. Fu in queste circostanze, che Dioclezia- no, per far fronte a tanti nemici, associò all'impero Massimiano Erculeo , creando ancora due cesari 456 Letteratura nelle persone di Galerio, che ritenne presso dì se, e di Costanzo Cloro , assegnato per socio di Massi- miano. Questa divisione dell' impero romano fra quattro sovrani fu da Diocleziano combinata in Ni- comedia nel mese di aprile dell'anno medesimo 285 dell' era cristiana , e immediatamente dopo il suo ritorno da Roma. Egli però in tale operazione con- servò sempre la preeminenza sopra gli altri tre so- vrani, i quali di buon grado lo riguardavano come capo dì tutto l'impero , stantechè lo riconoscevano come autore della loro inaspettata grandezza. In quei due mesi pertanto , ne'quali Dioclezia- no dimorò in Roma, è certissimo che non esercitò alcun atto di ostilità contro ì cristiani, e molto me- no che pensasse a contrarre nuove nozze. Diocle- ziano in fatti in quell'epoca non solamente non per- seguitava i cristiani, ma di pili li stimava e li pro- teggeva; su di che merita di udirsi l'istorico Euse- bio , il quale nel tom. T cap. 1 e 2 così parla della condotta di Diocleziano verso i cristiani: ,, Non so „ degnamente esprimere con quale libertà si pre- „ dìcasse la parola evangelica avanti l'ultima pro- ,, cella , e in qual pregio e d'onore essa fosse ap- „ presso lutti gli uomini sì greci, come barbari. I „ nostri principi davano mille testimonianze di „ bontà a coloro , che la professavano ; e affidavano „ loro governi di provincie , dispensandoli dalla „ necessita di offerire i sacrifizj, ch'erano ad essi „ dalla pietà vietati. I palazzi imperiali erano pie- „ ni di fedeli , che si recavano a gloria con le mo- ,, gli, co'loro figliuoli , e co'loro servì di adorare „ sotto gli occhj doloro padroni il nome di Gesìi „ Cristo, e godevano piucchè tutti gli altri ufHziali „ del favore e della fiducia degl'imperatori. Ad e- Sulla Lapide di s. Filomena 157 „ semplo de'sovrani i procuratori e governatori di „ provincia rendevano ogni sorta di onori a'capi „ della nostra religione. Le nostre assemblee dive- „ nivano tanto numerose, che le antiche chiese non „ erano più bastanti a capire una immensa molti- „ tudine di popolo, e ne fabbricavano di pììi spazio- „ se in tutte le citta. Tal'era la nostra felice condi- „ zione, finche abbiamo meritata la divina prote- „ zione con una santa e irreprensibile condotta. „ §.12. // martirio di s. Filomena non potè accadere per opera di Diocleziano nella prima venuta. A questa predilezione , che Diocleziano aveva per i cristiani, si aggiunga, ch'egli era coniugato in matrimonio con Prisca, dama di singolare nobiltà e virtii, a cui egli portava un affetto singolare, abben- chè fosse cristiana. È certo poi, che Diocleziano al- l'epoca della prima venuta in Roma, a tutt' altro pensasse che a ripudiare Prisca, per contrarre un nuovo matrimonio, essendo cosa certa, che vent'an- ni dopo , allorché si portò per la seconda volta in Roma, era tuttora congiunto in matrimonio con la medesima Prisca ; ne si sa, che dopo la pubblica- zione del ferale editto , punto l'inquietasse, perchè professava la religione cristiana. Il martirio pertan- to di s. Filomena non potè mai accadere per opera di Diocleziano nella sua prima venuta in Roma; tan- to più che allora la chiesa cristiana godeva una per- fetta pace, e Diocleziano non aveva al fianco ne Mas- simiano ne Galeri© istigatori e promotori della per- secuzione. 158 Lkttkratura' §. 13. Diocleziano venne in Roma la seconda volta in settembre il 302 di Gesù Cristo. Molto meno poi potè ciò accadere nella secon- da venuta di Diocleziano in Roma. E qui premetto, che questa seconda venuta accadde sei mesi dopo la pubblicazione dell'editto di proscrizione; giacche, secondo il Petavio, fu pubblicato nel mese di mar- zo l'anno di Gesù Cristo 302, e non già 303 come vuole Eusebio. La di lui venuta pertanto in Rom^, per la seconda volta, accadde in settembre dell'anno medesimo 302. Il citato autore nel razionale de'tem- pi tom. 2 e. 10; dopo aver provato che il passo di Eusebio lib. 8 e. 3 è apocrifo, e che l'editto di ge- nerale persecuzione non debba assegnarsi all' anno 303, ma al 302 di Gesù Cristo, soggiunge : Anno potius 302 perseciitionem coepisse^ nobis ista per- suadent : Conciliabulum cìrthense etc; con quello che siegue. Ciò sia detto in anticipazione, e schiari- mento di quello che in appresso sarò per dire, re- lativamente al tempo, in cui la santa soffrì il marti- rio, e per opera di chi lo soffrisse. §. 14. Diocleziano nella seconda sua veìiuta in Roma non ebbe parte nel martirio di s. Filomena, Vediamo intanto , che neppure nella seconda venuta può attribuirsi a Diocleziano il furore eser- citato contro la santa vergine , come neppure l'idea Sulla Lapide di s. Filomena 159 d'un secondo maritaggio. È indubitato, che Diocle- ziano aveva, come si disse di sopra, una somma av- versione ai soggiorno di Roma e ai romani; suo mal- grado però fu necessitato a por larvisi la seconda volta, per la celebrazione delle feste, che dovean farsi in occasione del trionfo , che già da diciasset- te anni innanzi era stato decretato ad ambedue gì* imperatori ; e di piìi per solennizzare l'anno vige- simo del suo regno, e per il possesso che dovevano prendere del consolato, Diocleziano per la nona vol- ta, e Massimiano per l'ottava. Egli pertanto a tal ef- fetto si portò in Roma ai 17 di settembre 302 di Gesìi Cristo , sei mesi dopo la pubblicazione dell'e- ditto. Dopo aver celebrate le dette feste con molta sollecitudine ed economia , ai 20 di dicembre del- l'anno medesimo 302 , parti improvvisamente da Roma per ritornare a Nicomedia, ad onta del rigo- re della stagione , e il grave deterioramento della sua salute.Due soli mesi pertanto si trattenne in Ro- ma nella sua seconda venuta, e assai mal volentieri; a segno tale, che neppure volle prendervi il posses- so del suo nono consolato , ma si contentò di ese- guire tal funzione a Ravenna, e con la massima ra- pidità. Egli poi in SI breve tempo non si sa che esercitasse in Roma alcun atto di giurisdizione, ne di ostilità contro i cristiani , e molto meno che avesse idea di contrarre altre nozze. Imperocché egli era nell'età sessagenaria, talmente però dete- riorato nello stato di sua salute, che al dire d'Eu- sebio, Hist. Eccl. cap. 8, restò col capo indebolito, e poco meno che istupidito, da che cadde un fulmine nel suo palazzo a Nicomedia, per cui una parte di questo fu consumata dal fuoco. 460 Letteratura §. 15. Diocleziano non esercitò in Roma il sovrano potere in quei due mesi. Sebbene poi Diocleziano fosse riconosciuto per capo di tutto l'impero romano, pure si sa di certo che ciascuno de' quattro sovrani esercitava libera- mente la sua autorità negli stati di loro pertinen- za; ne Diocleziano ha voluto mai smentire la supre- ma autorità, che loro era stata da lui accordata nel- la divisione degli stati; in conseguenza è certo, che in quei due mesi di trattenimento in Roma, punto non si spostò dal solenne trattato convenuto fra lo- ro. Deve credersi altresì, che Massimiano, per il ri- spetto e la gratitudine che gli professava, e sempre mantenne con rara costanza, si astenesse in quei due mesi dall'esercitare ogn' atto di queirautorita , la quale avesse potuto disgustare il suo augusto bene- fattore. Egli poi ben vedeva che non poco disgusto gli avrebbe recato lo spargimento del sangue de'cri- stiani, contro i quali non sottoscrisse il' fatale decre- to, che per debolezza di testa, e per istigazione del furibondo Galerlo, che allora trovavasi in Nlcomedla. É da riflettersi inoltre, che essendo que'due mesi consagrati alle pubbliche feste, Massimiano non pen- sasse che a rallegrare lo spirito malinconico di Dio- cleziano, il quale si sarebbe maggiormente turbato, se nelle pubbliche allegrezze vi avesse mescolate delle luttuose tragedie; è da credersi pertanto, che durante la pubblica allegrezza, e la dimora di Dio- cleziano in Roma, si tenesse in sospeso ogn'atto di ostilità contro i cristiani. Sulla Lapide di s. Filomena 161 §. 16. Si conferma, che Diocleziano non ebbe parte nel martirio di s. Filomena. A tutto ciò si aj^giunge, che il cesare Costan- zo Cloro , la cui giurisdizione si estendeva an- che in tutta l'Italia, per quanto fu dal canto suo, non permise che ne'suoi stati si eseguisse l'editto con la pena di morte: ne Massimiano si opponeva alle determinazioni eh' egli prendeva a favore de' cristiani, attesa la stima e il rispetto che tutti ave- vano per un uomo di somma probità e saviezza (juaT era Costanzo Cloro. Gioverà su questo proposito riportare uno squarcio del Grevier , continuatore della storia romana di M. Rollin, corredato dall'au- torità di Eusebio de Vita Constantini, lib. I. cap. 13 e 15. « Costanzo, die' egli, i cui costumi e le « cui massime ripugnavano (allo spargimento del « sangue), credette nulla di meno di non poter iie- « gare affatto quello, che dall'editto esigevasi. Com- " portò che i tempj fossero atterrati, ma risparmiò « la vita degli uomini ... Il fanatico zelo di alcu- « ni governatori e magistrati coronò molti cristiani « nelle Gallie e nelle Spagne; ma Costanzo non eb- « Le alcuna parte in queste violenze , e tollerava « quello cìie non osava impedire . . . Lasciò pertan- « to agire alcuni forsennati, ch'erano lungi da'suoi « occhi, ma nella sua corte protesse il cristianesi- a mo, ... e giudicò particolarmente degni della sua « fiducia quelli eh' erano più fedelmente attaccati « alla religione cristiana ». Egli poi per ben co- noscere quali fossero i veri e migliori cristiani, che G. A. T. LXXII. 1 1 162 Letteratura trovavansi a lui soggetti, usò il seguente stratagem- ma riferito da Eusebio, e quindi dal Crevier nel luogo citato di sopra. « Aveva Costanzo Cloro molti « cristiani nel suo palazzo: dichiarò loro, che non « voleva soffrirne alcuno; che perciò si determi- « nassero o a sacrificare , se volevano conservare « le loro cariche, o a dimettere le cariche, se non « volevano sacrificare: molti ulììziali della sua corte « ubbidirono agli ordini di sacrificare, per non per- (c dcre i loro impieghi , altri preferirono la lo- « ro religione ad ogni umana speranza. Quando « si furono gli uni e gli altri ben dichiarati, Co- « stanzo dichiarò, che non poteva fidarsi di uomi- « ni, che avevano abbandonata la loro religione, e « che coloro, i quali mancavano di fedeltà al loro a Dio, non erano capaci di conservarla per il loro « principe: quindi li discacciò tutti da se, e li li- « cenziò ignominiosamente; ritenne gli altri nella « sua corte, e di più li distinse fra tutti gli altri; « li promosse alle cariche, e credette di non avere « migliori amici. » Dette accadere per errore di quei muratori^ che chiusero il sepolcro della santa. Poste le suddette riflessioni, le quali m'indu- cono a rigettare le tre riferite opinioni, mi sem- bra, che r interpretazione più naturale e piìi sem- plice possa essere la seguente. Deve primieramen- te osservarsi, che questa lapide è composta di tre pezzi, ciascuno de'quali, considerato da se solo, non ci presenta alcuna spezzatura ne di lettere, ne di emblemi, come può vedersi nelle due linee indi- canti la divisione e congiunzione di ciascun pezzo. È poi molto verisimile, che l'incisore della lapide, dopo aver ultimato il suo lavoro, abbia consegnate le tre tavolette al muratore, affinchè con quelle chiudesse il sepolcro. E cosa poi molto facile e or- dinaria, che il muratore imperito, e foi'sc anche incapace di leggero, abbia per isbaglio collocato nel primo posto quel pezzo, che doveva esser collocalo Sulla Lapide di s. Filomena 185 nel terzo. Ammettendosi questa semplicissima e mol- to probabile ipotesi, e collocandosi la prima tavola nel terzo posto, senza scomporre le altre due , si leggerebbe la scrittura nella sua massima chiarezza e semplicità, senza lesione alcuna degli emblemi, e senza bisogno di ricorrere ad altre stirate e detorte interpretazioni; giacche si leggerebbe in tal modo: PAX TEGVM FILVMENA Questa congettura può essere anche avvalorata dal taglio, che si osserva tanto a destra quanto a sinistra della lapide medesima: giacche ponendosi il primo pezzo nel terzo posto, il taglio esterno del primo pezzo combinerebbe quasi perfettamente col taglio esterno di quello , che ora si vede per terzo. Dissi quasi^ giacche in questa ipotesi, nel depurare la lapide dalla calcina che congiungeva i tre pezzi , deve darsi luogo a qualche scrostatura ai due lati esterni della lapide, senza però che possa essere ac- caduta alcuna lesione delle impressioni, rimaste in- tatte, e conosciute dal custode prima dell'apertura. Mi sembra pertanto , che la mia ipotesi sia la più probabile delle altre, come la più semplice e la piìi conforme all'uso di quei cristiani, nel tramandarci le memorie dc'santi martiri. §. 28. Vàiicora nel caso nostro è simbolo di martirio, e non di alcuna virtù. È tempo omai, che si venga a ragionare sugli emblemi, che si veggono scolpiti siilla lapide, e far 186 Lbttkratura conoscere, che monsignor De Povecla, nelle sue in- terpretazioni, si scosta in gran parte dalle opinioni più accette. Incomincerò dall'ancora, che si vede im- pressa nel principio della lapide num. 1, e che mon- signor De Poveda vuole, che sia simbolo di fortezza e di costanza. Generalmente parlando egli dice be- nissimo; talvolta però può avere altro significato; e nel caso nostro convien credere, che sia simbolo di martìrio. Può per esempio significare, che sia stato un istromento di supplizio, come fu adoperato per s. Placido e suoi compagni, come si legge presso il Surio ext. 5 octobr. „ Mamucha jussit, sanctos Dei „ martyres Placidum, Eutichium, Victorinum, et „ Flaviam strictius ligari, et super tibias eorum an- „ choras navium poni , et super anchoras lapides „ magnos superponi, ut hoc dolore compulsi, Chri- „ stum negarent. „ Non ripugna poi, che l'ancora potesse significare l'ultimo supplizio; imperciocché e certo, che molti martiri consumarono il martirio coll'annegazione nelle acque, gettandoli con enormi pesi o ne'fiumi, o ne'pozzi. Così fu praticato co'san- ti martiri Valentiniano ed Ilario , i quali furono „ cum saxi pondero in Tyberim praecipitati. „ Mar- tir. Rom. 3 nov. Così con s. Agapio, il quale ,, lapi- „ dibus ad pedes appensis, in mare praecipitatus ,, est. ,, Baron. in notis martyrol. 18 nov. Una quan- tità di martiri battezzati da s. Alessandro papa fu- rono condotti in alto mare per ordine del tiranno, il quale „ Illic alligatis ad colla lapidibus, mergi „ precepit. „ Id. Baron. 10 aprii. Lo stesso fu fatto con s. Quirino vescovo, come cantò Prudenzio hymn. 8 de Quirino. I santi Floriano e Claudio con un sasso al collo furono precipitati nel fiume, Bar. 4 mali , et 3 decem. ; i Santi Agatopede diacono e Sulla Lapide di s. Filomena 18T Teodulo lettore ; le sette vergini, s. Esìchio furo- no tutti con enormi pesi al collo gettati nelle ac- que, Bar. 4 aprile, 18 maggio, 18 novembre, nel- le annotazioni al martirologio romano. Porterei la cosa in infinito, se volessi enumerare tutti quei san- ti che consumarono il martirio, annegati nelle ac- que con pesi attaccati al collo. Non è pertanto un pensiero che si allontani dal vero, se si creda, che alcuni fra tanti di questi martiri abbiano ottenu- ta la palma del martirio, coli' essere gettati nelle acque coll'àncora al collo, piuttosto che co'sassi. §. 29. La santa fu gettata nel Tevere coW àncora al collo. Nel primo emblema dunque, ravvisato nell'an- cora , v'è un buon fondamento da credere che la nostra s. Filomena sia stata trattata in tal modo , e che non sia simbolo di virtìi, ma di supplizio ; da cui ne sia stata liberata per divina virtù, come an- cora dagli altri che la santa ha sofferti. Ecco per- tanto le mie riflessioni in prova della mia opinione. Nell'ancora, di cui si parla, si osservano alcuni se- gni tutti particolari, ne si veggono in alcun'altra di quelle poche àncore che sono scolpite in qual- che lapide. Son questi una fune, attaccata ad un anello nella sommità della medesima, ed oltre a ciò un anello nella parte inferiore, come se avessero voluto indicare, che quella fune è servita per at- taccare l'ancora al collo' della santa, e così gettarla nelle acque. E poi cosa certa, che quando col sim- bolo dell'ancora volevano rappresentare alcuna vir- tù, non v'imprimevano mai la fune alla sommità, 4S8 Letteratura ile l'anello nella parte inferiore , dove si attacca- vano degli altri pesi, per assicurarsi vieppiù che il paziente rimanesse a fondo. Si accordi pure, che quelle poche ancore, le quali si trovano impresse nelle lapidi cristiane, sieno simboliche di virtìi: in niuna però di queste si ved e la fune attaccata al di sopra , ne l'anello posto al di sotto; e dirò, che in nlun conto vi devono essere, quando coU'ancora vuoisi simboleggiare una qualche virtù ; imper- ciocché in tal caso la fune e gli anelli sarebbero almeno inutili a tal'oggetto, e forse anche mancan- ti di senso comune. E chi mai direbbe che la fu- ne o gli anelli fossero necessarj per esprimere l'e- sercizio delle virtù ? Questa opinione viene dimo- strata dal fatto. Nella molta quantità di lapidi di questo genere riportate dal Boldetti, dal Keller, dal Bosio, dal Ruinart, pochissime lapidi si veggono le quali abbiano l'impronta dell' àncora. Queste non v'ha dubbio che sieno simboliche di qualche vir- tù in niuna però si vede attaccata là fune nella parte superiore , ne 1' anello al di sotto . Per qual motivo dunque la sola àncora impressa nella nostra lapide ci presenta la fune e gli anelli, se non perchè servì d'istromento di supplizio ? A tutto ciò aggiungasi l'autorità del eh. Mazzolari, il quale pun- to non dubita, che l'ancora, di cui si parla, sia un simbolo di supplizio. Ecco le sue parole nelle Vie Sacre tom. 2 pag. 67: « Singolare affatto in questo « genere fra tutt'i secoli dc'martiri è la lapide di « creta cotta con le lettere colorite di minio di • s. Filomena : nell'estremità vi è Vàficora^ varie « frecce , una palma ed altri segni di simil sorta, " per indicare il genere de^martirj sofferti. » Che se questa lapide, al dire del citato autore , trovasi SuLLi. Lapide di s. Filomena 189 singolare in tutte le sue parti, dobbiam credere che fra queste singolarità vi si debba anche contare l'an- cora come simbolo indicante uno de'diversi supplizj. §. 30. Vemhlema al numero 3 è una palma e non uno scorpione. Il secondo emblema, che vedesi scolpito al nu- mero 3, è la palma. Monsignor De Poveda però non vuole che sia una palma , ma uno stromento di martirio chiamato scorpione^ cosi dicendo al cap. 8 §. 2. « Il secondo tormento di s. Filomena furono « gli scorpioni «. Neppure però in questa sua opi- nione possiamo andar d'accordo; e pienamente con- vengo col sentimento del eh. Mazzolari , il quale nelle Vie Sacre tom. 2 pag. 67, ragionando sui pre- gi di questa lapide, dice: « Nell'estremità v'è l'àn- « Cora , varie frecce ed una palma «. Io ben' in- tendo che su tali materie ad ognuno è lecito ab- bracciare quella opinione che crede : a me però sembra che monsignore siasi attenuto alla meno ve- risimile; imperciocché non è in conto alcuno credi- bile, che c[uei diligentissimi cristiani, 1 quali han- no empito di tanti diversi emblemi la nostra lapi- de, abbiano poi voluto omettere la palma, che ha il pili certo e piìi espressivo significato di trionfo; quella palma, io dico, che trovasi impressa c|uasi in tutte le lapidi de'ss. martiri, e bene spesso du- plicata e triplicata sopra una lapide sola, come ve- desi nelle opere di Boldetti, Bosio ed altri; con che si dimostra che quei cristiani ben conoscevano esser la palma uà seguo il pili certo di vittoria. È cosa 190 Letteratura poi troppo notoria , che gli antichi tanto cristiani, quanto gentili, facevano uso di questo segno per esprimere una vittoria di qualunque genere essa fosse. Con la palma indicavansi le vittorie bellicose tra le armate; le vittorie nelle cause civili o cri- minali ; le vittorie ne' giunchi olimpici , nemei , istmici , pizii ; la palma s'imprimeva nelle meda- glie, nelle pareti delle case; sì portava nelle ma- ni da'vincitori in segno di qualunque vittoria , e perfino di quelle che si riportavano dai giovanetti ne'loro trastulli, e dagli stessi animali ne' loro com- battimenti. Chi volesse vedere una ben intesa col- lezione di tali verità , potrk consultare fra gli al- tri l'Angeloni e il Barzìo. Mi sembra pertanto una cosa assai contraria al costume e ai sentimenti di que'primi cristiani che in una quantità di trionfi, ri- portati da s. Filomena, ed impressi con altrettanti simboli, avessero poi trascurato di notarvi quello, che era di maggior importanza, mentre poi lo nota- vano con premura nelle vittorie di pochissimo ri- lievo. §. 31. iSV conferma il §. antecedente. Quell'emblema pertanto che da monsignor De Poveda al numero 3 viene chiamato scorpione , al- tro non può essere che una vera palma. In confer- ma di questa verità pongasi mente alla forma tanto della palma, quanto dei scorpioni. « La palma, dice « il Durante alla pag. 3'H, è un albero grande con « il tronco scaglioso : i rami solamente in cima al- te l'intorno con foglie lunghissime, doppie e strette Sulla Lapide di s. Filomena 191 « come una spada ». Tutte queste proprietà io le trovo nella palma di s. Filomena ; doppiezza di ra- mo, sottigliezza, e acume come una spada. Che se non vi si vede la lunghezza del suo fogliame , ciò deve attribuirsi non tanto alla ristrettezza della tavola , quanto alla consuetudine de'cristiani, i quali im- primevano le palme col fogliame cortissimo, conten- tandosi di darci un grossolano indizio di quella pianta, indicante vittoria, e non già per darci un saggio di botanica. Nell'opera del Boldetti si veg- gono scolpite molte centinaja di palme sopra diver- se lapidi : fattone il confronto con quella di s. Fi- lomena, si vede a colpo d'occhio che più o meno so- no tutte simili. La forma poi degli scorpioni, come ci viene delineata dal Gallonio pag. 46, è ben diffe- rente dalla forma di qualunque palma, sia dell'Egit- to, sia dell'Asia: egli ci fa vedere il disegno degli scorpioni, consistenti in un'asta lunga, nodosa e ar- mata in una estremità di certe punte atte a lacerare le membra. La forma è presso a poco, come la qui descritta. Riflettendo poi , che il tiranno di s. Filomena la fe- ce tormentare e coll'àncora, e con triplice qualità di frecce, e con le piombarole, non è credibile che ol- tre a ciò la facesse anche percuotere con gli scorpio- ni, i quali presso a poco equivalgono alle piomba- role. Deve credersi pertanto che i pretesi scorpio- ni altro non sieno , che una vera e reale palma. 192 Letteratura §. 32. // simbolo posto al numero 5 non è un verricolo 0 pilo, ma una freccia imperfetta. Il terzo simbolo posto al numero 2 sono le frec- ce ; ed io fra queste conto anche V istromento , che si vede al numero 5. Monsignor De Poveda però lo chiama /a^c/a, oppure pilo , ossia verricolo. Co- sì egli nella nota al §. 4 pag. 53 : « Si è dato il no- « me di lancia al geroglifico numero 5 della lapide; « tuttoché a noi sembri piuttosto un verricolo , op- « pure un pilo ». Parlerò per ora di quest' istro- mento, ri serbandomi a parlare delle frecce al §. 42. Lasciando da parte che tale istromento sia sta- to mal'impresso, non tanto dal primo artefice nelle catacombe, quanto dal moderno incisore , io non veggo in esso alcuna sembianza ne di lancia, ne di verricolo, ossia pilo. La forma della lancia è trop- po cognita.- e, al dire del Nieuport, consiste in un' asta, che nell'altezza è superiore di un poco all'al- tezza di un soldato : all'estremità di quest' asta è attaccato un ferro di figura prossima all' ellitica , e non mai triangolare: detto ferro è lungo in cii'ca mezzo palmo romano: largo piìi o meno un decimo di palmo, e termina in una punta acuminosa, piat- ta, e tagliente d' ambe le parti. Il Boldetti, citato da monsignore, ci presenta la forma di due lance, le quali, in quanto alla parte ferrea , sono tali e quali io qui l'ho descritta. Vedasi il citato autore al cap. CO pag. 315. L'emblema pertanto, che si vede nella nostra lapide al num. 5, tutt' altro ci presenta che una lancia. Sark dunque un verricolo Sulla Lapide di s. Filomkxa 493 o un pilo? Molto meno. Gfic che dicano diversi autori sulla forma di questo istromento, io mi at- tengo al JNicuport. Quest'autore , che ha trattato egregiamente su i riti e i costumi degli antichi ro- mani, sulla traccia di Tito Livio, ci porge la de- scrizione del pilo, ossia verricolo, usato dai roma- ni. Egli al cap. 3 de armis §. 1 e 2 così parla. ,, Ha- „ Lebant milites hastas velltares septem, quae erant „ crassitie unius digiti, longitudine tripedali, cum „ mucrone novem digitorum^ qui teniàssimus erat, „ ita ut telum remitti non posset.,. Quindi ai §. 2: „ „ Habebant milites pila, quae romanorum propria „ tela fuerunt. Ea erant vel rotunda ea crassitie, ut ,, piane manum implerent, vel quadrata, ambitu „ quatuor digitorum; longitudine ligni quatuor cu- ,, bitorum, cui ferrimi hamatimi (ne facile telum re- „ velli posset), paris fere longitudinis, firmissime „ adnectebatur, sed ita, ut pars ejus dimidia ligno „ esset adfixa ; mucro vero extaret cubiti unius et „ dimidii; adeo ut totius pili longitudo esset cuhito- „ rum quinque cum dimidio: crassities ferri, ubi li- „ gno committebatur, erat digiti unius et dimidiì^ „ unde patet gravissimum omnino fuisse, ita ut ja- „ ctu omnia perforaret. „ §. 33. Si conferma il §. antecedente. Da questa descrizione si vede quanta differenza passi fra il pilo , ossia verricolo, e l' istromento segnato al num. 5. Il pilo pertanto altro non è che il giavellotto, di cui facevano grand'uso i sol- dati romani. Ogni soldato, secondo Tito Livio cap. G.A.T.LXXII. 13 194 Letteratura 26 §. 4 , ne aveva sette , e li scagliava contro i ne- mici con un effetto micidiale; ne potevano i nemici mandarlo indietro, giacche la punta sottile e un- cinata, dovunque si fosse conficcata, non potevasi più estrarre senza reciderla. In oltre l'asta del pi- lo era lunga quattro cubiti: e compresovi il ferro, l'intero pilo era lungo cinque cubiti e mezzo: l'asta nella sua grossezza empiva la mano nella impu- gnatura : il ferro incastrato nell' asta aveva una grossezza di un dito e mezzo: la sua punta sot' tilissinui e uncinata era lunga un cubito e mez- zo , e tutto il pilo cinque cubiti e mezzo. Quindi una sola occhiata, che si dia al preteso pilo o ver- ricolo di monsignore, basterà a conoscere, che in esso non si ravvisa neppure una di quelle qualità, che dal Nieuport ci vengono descritte; E chi mai direbbe, che l'emblema del num. 5 abbia la lun- ghezza di cinque cubiti e ìnezzo, la punta sottilissi- ma, uncinata, e lunga un cubito e mezzo? Non rav- visandosi in detta figura le proprietà che conven- gono al verricolo, ne viene in conseguenza, che il detto istromento tutt'altro può essere che il pilo o verricolo. 11 dire poi, che il preteso verricolo abbia la forma triangolare, con questo si prova, che non è ne pilo, ne verricolo, giacche dal Nieuport nella sua dettagliata descrizione del pilo facilmente si rileva, che il pilo avesse tutt'altra figura, che la tri- angolare, la quale non può ammettere ne sottigliez- za di punta, ne uncinatura , ne lunghezza di un cubito e mezzo. Che se in esso simbolo non si veggono quelle alette che sì veggono nelle altre frec- ce, ne la sulliciente lunghezza dell'asta, di tali man- canze se ne renderà ragione in appresso §. 42. Da tutto ciò mi sembra potersi stabilire, che l'cmble- Sulla Lapide di s. Filomèna 195 ma al num. 5 non sia ne lancia, ne pilo, ne ver- ricolo, ma una freccia iniperfelta, impressa avve- dutamente dai primi cristiani in cpiel modo , cioè senza le consuete alette; e ciò per le ragioni che in appresso si addurranno nel paragrafo 42. Si ri- fletta intanto, che l'impressione di quest'emblema, fatta dall'incisore della prima edizione, ci presen- ta una forma, che molto si accosta alla forma del- le altre frecce ( Vedi la lapide lett. A. ). Ond'è cre- dibile che l'incisione della seconda edizione siasi presa la liberta di dare all'emblema quella mo- struosa forma triangolare, simile ai padiglioni delle nostre basiliche. §. 34. L'emblema al numero 6 non è un olivo ma un giglio. Passando innanzi a considerare gli altri emble- mi, non senza mio rincrescimento ho notato , che monsignor De Poveda ha dato il nome di olii'O alla piìi bella mappa de gigli ; imperciocché io punto non dubito che i cristiani di quell'epoca col simbo- lo del giglio abbiali voluto indicare il pili raro e pili bel pregio della santa, qual'è quello del i^oto di verginità. Questo fatto così straordinario e così marcabile, di aver la santa dedicata a Dio la sua verginità fin dall'eth puerile, non è in conto alcuno credibile, che quei cristiani l'avessero passato sotto silenzio, stante che un tal voto fu la causa principa- le, onde la santa vergine soggiacesse a tanti tormen- ti; e non potendo a noi trasmettere gli atti della sua vita, in qual'altro modo più espressivo avrebbero 196 Letteratura potuto manifestarci un tal voto, se non con la map- pa di un giglio? È poi questo fiore, presso tutti gli autori SI sacri e sì profani, il simbolo che unica- mente indica la verginità, e non senza ragione; giac- che il suo candore, la sua fragranza, la sua Leila e gentile forma rappresentano a maraviglia le qualità d'una vergine; e lo stesso Plinio lib. 21 e. 5 sembra che ne abbia dato qualche cenno col dire: „ Lilium „ flos obtinet proxlmara a rosa nobilitatem eximio „ candore „. Il giglio pertanto per la nobiltà del suo candore e fragranza assai ben a proposito si pone per simbolo della verginità , specialmente quando a Dio è consagrata con voto ; e questo dob- biamo credere che sia stato scolpito nella lapide di s. Filomena, in cui concorrono tutte le più nobili e pili sublimi qualità d'una vergine, le quali non po- tevano meglio simboleggiarsi che col giglio. Facen- do poi riflessione alla forma tanto dell'olivo quanto del giglio, si conosce che il preteso olivo niente par- tecipa dell'olivo , ma ha tutte le sembianze del gi- glio. Odasi su di ciò il Durante, il quale nell'erba- rio nuovo pag. 299 cos'i descrive la pianta dell'olivo e del giglio. ,, Le olive, die' egli, hanno le foglie „ lunghe e nella fine appuntate^ grosse, grasse, di „ sopra verdi, e da rovescio bianche: la sua rami- „ ficazione è molto copiosa e densa ,,. Il medesimo autore alla pag. 191 fa la descrizione del giglio in tal modo: ,, Il giglio è una pianta che produce le „ foglie lunghe, liscie, grassette, e simili a quelle „ del Pancrazio: produce il gambo alto due cubiti, „ tondo, liscio, grasso, e fermo: nella sommità csco- „ no ora tre, ora quattro, ora piìi ramoscelli, dai ,, quali nascono i capi lunglii tre dita, i quali pian „ piano maturandosi, diventano bianchi, apronsi, Sulla Lapide di s. Filomena 197 „ convertendosi in gigli candidissimi, le cui foglie „ sono al di fuori strisciate ,,. Chi non vede da que- sta descrizione, die nell'emblema scolpito al nume- ro 6 tutto è indicante il giglio descritto dal Duran- te , e niente partecipa delle qualità dell'olivo ? E dove mai si vedono nel preteso olivo le foglie Imi' ghe e appuntate ? dove la ramificazione copiosa e densa, come sono gli olivi ? Si veggono al contra- rio le foglie corte e ovali, e la ramificazione scarsa e rada come sono i gigli. Che se non vi si vede l'in- tera formazione del giglio, ciò avviene perchè que- sto fiore è stato rappresentato non ancora ben matu- ro, giacche i bottoni che si veggono chiusi, hanno tutta la forma del giglio non ben maturo; che con- siderandosi aperti, ci presenterebbero una bella e copiosa mappa di gigli. Io per verità non so inten- dere, come monsignor De Poveda, escludendo l'em- blema del giglio, possa asserire che s. Filomena era una vergine. E d'onde mai si raccoglie che fosse una vergine, se non dal giglio? S. 35. L'olivo non è simbolo proprio o primario della verginità. Monsignore però non resta appagato dell'espo- ste ragioni: vuole che questo simbolo sia un olivo; e che l'olivo sia simbolo della verginità. Egli so- stiene la sua opinione dicendo al cap. 9 pag. 56: « che il giglio è un simbolo inusitato in tutti i mo- « numenti de'martiri, qual indizio di verginità. » Inoltre, che il giglio indicante verginità « si op- « pone alla costante pratica degli antichi, che ap- 198 Letteratura « propriarono il giglio all'emblema della speranza, « attesoché sì trova in piìi medaglie romane, dov'è « la figura paludata in piedi, avente nella destra un « giglio coll'epigrafe Spes Puhlica: Spes Populi R.» Dice in fine, che l'olivo, secondo l'opinione dell'Ar- righi t. 2 1. 6 e. 44 p. 143, credesi un indizio della verginità. A queste eccezioni facilmente si rispon- de. E quanto alla prima , sia pur com' egli di- ce, che il giglio sia inusitato ne^ monumenti de' mar- tiri; ma si ricordi, ch'egli stesso, unitamente al eh. Mazzolari , hanno riconosciuto , esser la lapide di s. Filomena un monumento molto antico, e singo- lare fra molte migliaja di lapidi di questo genere. La quantità e complicazione de' diversi emblemi , che in essa si vedono; l'ancora con la fune; le frec- ce di diversa specie; il nome della santa diviso; il giglio, il saluto, son tutte cose che riunite insieme non si veggono in alcun' altra lapide. Neil' opera grande del Boldetti io conto sopra 1500 lapidi impresse, e ninna ci presenta alcuna freccia indi- cante un particolare e replicato supplizio. Nel Bo- sio ne conto circa 400 , e in ninna apparisce al- cuna freccia. Il Ruinart parla dettagliatamente di tutti gli emblemi, che si veggono scolpiti sulla la- pide de'ss. martiri, e non fa neppure una parola delle frecce: I tre citati autori parlano spesso del- le àncore; in ninna però di quelle, che da essi si citano , si vede la fune attaccata , ne 1' anello al di sotto. Tutti questi emblemi straordinarj però unicamente si veggono nella lapide di s. Filomena. Che maraviglia pertanto, se in essa lapide solamen- te si vegga ancora la straordinaria impressione del giglio? Chi avrebbe coraggio di dare una in- ierpretazione stirata, dclorta, e capricciosa agli al- Sulla Lapide di s. Filomena 199 tri emblemi, sol perchè non si veggono nelle altre lapidi ? Sia pur dunque cosa inusitata 1' emblema del giglio; la rarità però e la singolarità di tutto il complesso della nostra lapide deve persuaderci, che anche il giglio debba contarsi fra le cose sin- golari, che in essa si veggono. Essendo poi una co- sa rarissima, che una giovanetta di soli nove anni , con voto solenne^ siasi o!)bligata a mantenere il- libata la sua verginità, e che per mantenerla siasi assoggettata a' più crudeli tormenti, è da credersi che quei zelanti cristiani, per notificarci un fatto così raro, ponessero nella lapide un segno, egual- mente raro e inusitato. §. 36. // giglio non è simbolo proprio della speranza. Vuole inoltre monsignore, che l'olivo sìa l'em- blema della verginità, e il giglio l'emblema della speranza, dicendo, esser costante pratica degli an- tichi^ che pongono il giglio per emblema della spe- ranza, avvalorando questa sua opinione con le me- daglie romane. A queste speciose asserzioni non po- che risposte ci si presentano. Primieramente que- sta costante pratica degli antichi punto non si ve- de nelle lapidi sepolcrali de' ss. martiri, benché anr tichissime. Soorransi pure tutte le lapidi che fin* ad ora sono state estratte da' sacri cemeterj: si os- servi la quantità grande delle lapidi nel primo in- gresso del museo vaticano: si svolgano le opere del Boldetti, dei Bosio, dell'xArrighi, e di tanti altri, e si vedrà, che neppur una di queste lapidi ci pre- senta il giglio come simbolo della speranza. E que- 200 Letteratura sto silenzio o mancanza , nella vasta quantità delle lapidi sacre , potrà chiamarsi costante pratica de- gli antichi? Ma vediamo coU'autorita, che fra i mol- ti significati dati all' olivo, non si trova mai cjuello della verginità; e se taluno, benché rarissimo, ha opinato che l'olivo fosse anche simbolico della ver- ginità, ninno mai ha creduto che l'olivo potesse uni- camente simboleggiare la verginità e molto meno, quando sia consacrata a Dio con \>oto. Ecco intanto come parlano diversi autori. L'Arrighi nel t. 2 lib. 6 cap. hh pag. 143 , parlando dell' olivo , cosi si e- sprime: „ Pulcra quidem et mira sunt rerum arca- ,, narum simbola, quae speciosa, rudi quidem sub „ corticc, arbor (olea) complectitur; haec enim, ut „ paucis singula perstringamus, misericordiae^ pa^ „ cis et victoriae hierogliphycum adumbrat; haec „ fluctuanti ac naufrago quondam orbi , noemicae ,, columl)ae ministerio advecta,/)rtce77i retulit; haec ,, refundendum \n^\iev pietatis oleum praesefert ; „ haec molli stillantlque liquore prodituros in are- „ nam ungere-^ haec wctores festivis frondium ser- ,, tis redimire consuevit. ,, In questa dettagliata enumerazione di simboli dati all'olivo, punto non si trova la verginità : tutto al piìi potrà dirsi , che a qualche raro autore, fra i molti simboli dati all' olivo , sia piaciuto dargli ancora quello della verginità: riflettendo perù sull'espressioni di que- sti autori, si conosce che hanno voluto coli' olivo esprimere alcuna di quelle virili, esercitate da una vergine. Il medesimo autore, citando ancora l'auto- rità di s. Agostino alla pag. 646 soggiunge: „ Pro- „ be nosse oportet, olivam in victoriae item sim- „ bolum, ipso Angustino teste, mirifice aptari: oli- „ va, inquit, solcbat imponi victoribus in ludis Mi- SuiLA. Lapide di s. FiioMBifi 201 ), nervae, quod ejus fructuum inventricem Mlner- „ vam tradunt. ,, Paolo Pedrusi nella sua volumi- nosa e classica collezione delle antiche medaglie , riferisce tutti i significati, che si attribuiscono ali* olivo. In niun luogo però si vede, che l'olivo si ri- conosca per simbolo della verginità. Mi contenterò di riferirne ì passi principali. JNel tom. 3 de'Gesari pag. 9, parlando di Adriano imp. dice: „ Replica la ,, Pace i tributi di onore all'impero di Adriano col „ ramo di olwo nella destra, e la cornucopia nel- „ la sinistra ,,. Nel medesimo t. 3 pag. 63 parlando della felicità sotto il di lui governo, dice che la figu- ra di donna stando in piedi „ tiene nella sinistra il „ corno ubertoso, e nella destra un ramoscello di „ olivo: „ con che l'olivo viene posto per simbolo àcW abbondanza. Alla pag. 113; parlando di altro Au- gusto dice, che : ,, La libertà tiene nella destra un „ ramo di olivo., che è simbolo di pace. ,, Monsignor Antonio Agostini, celebre trattatista sulle medaglie antiche, alla pag. 41 cos'i parla dell'olivo: „ In alcu- „ ne medaglie si vede la Pace , che abbrugia con „ una fiaccola accesa un monte di arme : in molte „ altre v'è una figura, che in una mano ha un ramo „ di olivo., e nell'altra una cornucopia, simbolo del- „ \! abbondanza e della pace. ,, Il Bosio nella Roma sotterranea, alla pag. 649, parlando dell'olivo, dice : „ \Solivo è sim])olo di pace: così Tertulliano. I gen- „ tili nel domandar la yo(ì[ce portavano in mano un „ ramo di olivo : così Virgilio disse : Pacificaeque „ manu ranium praetendit olivac. S. Ambrogio an- „ cora cosi si esprime: Hunc quoque (ramum olivae) „ pacem petentes pracfcrre consueverunt.,,11 mede- simo s. dottore vuole ancora che sia simbolo della /egge, dicendo : „ Per runium olivae legem possu- 202 Letteratura „ mus intelligere, vel acclpere : per folla autera „ virentia , eos qui per legem salvi facti sunt: „ S. Girolamo vuole che sia simbolo dell'uomo giusto convertito a Dio : ,, Sanctum virum ( dice) et con- ,, versum ad Domìnum olivae frugiferae comparai „ scriptura, quae dicit in alio loco: Ego autem sicut „ oliva fructifera in domo Domini : ,, vuole ancora che significhi la sinagoga. Cos\ ancora s. Bernardo e s. Agostino applicano l'olivo alla carità^ e s. Grego- rio m.igno alla misericordia. Per non dilungarmi di troppo in un argomento cos'i vasto e così chiaro , concluderò coll'autorita di Plinio il quale dice, che l'olivo è anche indizio di vittoria di minor conto ; giacche coH'olivo si coronavano i trionfanti coll'ova- zione : così si legge nel lib. 5 cap. 4: „ Oleae hono- ,, rem romana majestas praehuìt , turmas equitum „ ex ea coronando , itemque minoribus triumphis ,, ovantes. ,, Tutti i citati autori sembra che abbia- no esauriti tutti i significati che possono darsi al- l'olivo; ma neppur uno ha detto , che sia simbolo della verginità. L'emblema pertanto posto al nume- ro 6, deve credersi un giglio, e non l'olivo. §. 37. Si conclude che il simbolo al numero 6 è un giglio. Che se l'olivo non può credersi simbolo della verginità, forza è il dire che l'emblema suddetto sia un vero giglio , giacche cjnesto unicamente rap- presenta Si bella virtìi. In prova di che mi restrin- go a produrre l'autorith di un solo fra le molte, che ne potrei citare. Il P. Lorenzo Stramusoli nell'Ap- parato dell'eloquenza tom. 4 §. 4 pag. 782 riporta i Sulla Lapide di s. Filomena 203 sentimenti di Giovanni da s. Geminiano, il quale in Similit. lib. 6 e. 76 così dice:,, Yirginitas assimila- „ tur lilio, et haec similitudo congruit ratione de- „ coris, ratione odoris, ratione fulgoris. „ li me- desimo autore riferisce i sentimenti di Tommaso Cantipatrense, il quale nel lib. 2 cap. 29 num. 4 di- ce: „ Beata virginitas lilio comparatur tum propter „ candorem niveum, tum quia a sex foliis repandis „ constai, ut cordi primo, deinde quinque sensibus „ corporisabomni contagio illibatisslme caveatur.,, Il medesimo autore continua a dire che: ,, Il giglio „ è la vera idea della purità verginale, il quale se „ sì lascia toccare e maneggiare, si guasta. Quindi „ Giovanni Mauburno nell'alfab. 65 tit. 30 mcm- „ bro 2 dice che il giglio : Integer intactus suavi- „ ter redolet, confractus autem et confricatus plu- „ rimum faetet; sic virginitas inviolata Deo, et ho- „ minibus redolet, sed luxuriae vitio confricata, „ aut signaculo fracto, infamia faetet. „ Le riflessio- ni poi de'citati autori fan conoscere, che se le pro- prietà della verginità sono applicabili al giglio, non lo sono egualmente all'olivo. §. 38. Le medaglie romane rappresentano la Speranza con un germoglio qualunque e non col giglio. Il detto fin qui sarebbe piucchè sufficiente a persuadersi, che il solo giglio può in tutta la sua estenz.one simboleggiare la verginità ; ma pure monsignor De Poveda insiste ancora , dicendo alla pag. 56 che „ gli antichi appropriarono il giglio „ all'emblema della speranza, attesoché si trova in 204 Letteratura „ più medaglie romane una figura paludata in pie- ìì dì , avente nella destra un giglio coll'epigrafe ,, Spes augusta : Spes populi romani etc. „ È ve- rissimo che vi sieno molte medaglie romane con la detta epigrafe; non può esser però altrimenti vero, che quel ramoscello in mano della donna paludata sìa un ramo di gigli: imperciocché osservandosi be- ne l'impressione del preteso giglio in mano della donna paludata, si conosce un piccolo ramoscello di sole tre foglie , somigliante ad un germoglio di erba nascente, e non già ad alcun determinato fiore, e molto meno al giglio ; su di che ecco come parla monsignor Antonio Agostini, nel trattato sopra le medaglie ed iscrizioni antiche pag. 44: „ I romani „ gentili in tutte le medaglie rappresentavano la „ Speranza sotto forma di una fanciulla , la quale „ con due dita della mano destra tiene un erba, che ,, ha solamente tre foglie: il che significa la prima ,, cosa che esce dal grano seminato^ e questo è il „ verde che noi diciamo della speranza-^ e cosi co- „ me i grani nuovi col loro colore e principio ci „ danno buona o cattiva speranza della raccolta , „ così ragionevol cosa è, che la speranza si rappre- ,, senti in questo modo. ,, L'autorità e la chiarez- za della spiegazione di questo classico autore non fa punto dubitare della verità dell'esposto senti- mento, a cui perfettamente corrisponde quello di Giuseppe Addison, il quale nel trattato sull'utilità dell'antiche medaglie, alla pag. 45 spiega che cosa sia quel ramoscello di cui si parla, dicendo essere: „ Un germoglio di qualunque pianta, che si vede „ nella mano diritta , il quale è simbolo proprio „ della speranza ; giacche questi simboli sono „ quelli, che noi chiamiamo le speranze dell'anno.,, Il che fece dire ad Ovidio nelle metamor. lib. 15: I Sulla Lapide di s. Filpmema 205 Vere novo tunc erba nitens, et roboris expers Turget, et insolicla est, et spe delectat agrcstes: Omnia tum florent, florumque color ibus almus Ridet ager. Qualunque germoglio adunque di erba era il simbo- lo, che dagli antichi s'imprimeva nelle medaglie , per indicare la speranza di qualunque cosa si potes- se da loro desiderare: e ciò facevasi con molta av- vedutezza, giacche il primo germoglio di qualun- que pianta fa concepire la speranza di una buona raccolta ; quindi è che nella mano destra della fi- gura paludata non dovevano porre un semplice fiore che facesse pompa della sua bellezza, ma bensì un germoglio qualunque , indicante la speranza di un frutto. Le speranze poi che concepivano i roma- ni in ogni cambiamento di sovrano, erano molte , e di diversa specie. Speravano bene spesso la ces- sazione della tirannia nella morte d'un imperatore crudele ; o l'abbondanza dopo una carestia de' vive- ri; o la ricupera dell'onore perduto in qualche bat- taglia ; o le largizioni che talvolta loro si toglieva- no osi diminuivano ; o gli avanzamenti nelle cari- che pubbliche. Queste ed altre simili cose sperava- no i romani ogni volta che un nuovo sovrano mon- tava sul trono di Roma; e i loro desiderj veni- vano manifestati sulle medaglie che ad essi si co- niavano. Non erano certamente i romani di si corto intendimento, di manifestare i loro desiderj e spe- ranze con un fiore sterile che non produce alcun frutto. Deve credersi perciò, che il giglio preteso da monsig. De Poveda sia un germoglio qualunque di erba , il quale unicamente può esser simbolo di un frutto. Che la cosa sia così, vediamolo con alcuni fat- 206 Letteratura ti. Abbiamo dalla storia romana, che l'imperatore Caracalla,ne'sei anni e due mesi del suo regno, eser- citò inaudite crudeltà ; per il che nelle vicinanze di Edessa fu ucciso da Opilio Macrino, prefetto del pretorio. I romani sollevarono al trono lo stesso Macrino, il quale fece parte della sua dignità a Dia- dumeno suo figlio, e da questa scelta concepirono le pili belle speranze di vedere giorni sereni e tran- quilli. Nella scelta però di Macrino, come ancora di diversi altri imperatori , le loro speranze anda- rono a vuoto , giacche dopo un anno e due mesi furono ambedue uccisi per il loro pessimo go- verno. All'imperatore Alessandro Severo fu coniata la moneta con la medesima figura, il medesimo ger- moglio nella mano destra, e l'epigrafe spes publica^ indicando con tal motto, che in Alessandro avevan riposta la speranza di un governo pacifico, trovan- dosi stanchi di aver sofferto per tre anni e nove mesi l'infame governo di Eliogabalo , il quale per le sue detestabili stravaganze fu ucciso, unitamente alla sua madre Semiamìra; e di questo regnante di- ce il Petavio Ration. temp. t. 1 p. 262: ,, Hic mor- ,, talium omnium faedissimus fuit, adeo ut in mu- „ lierem , abiecta virilitate, sponte se deformaret, „ et quidvis corpore suo pateretur. „ Le medaglie coniate nell'impero di Vespasiano portano la mede- sima impronta, coll'epigrafe : Spes augusta . E di più nel Pedrusi tom. 5 pag. 127 si vede la Speranza che porge la mano ai soldati, quasi che volesse in- dicare che l'impero romano sperava di conservare la sua grandezza nella fedeltà e coraggio degli eser- citi, guidati da un savio principe. E qui è da riflet- tersi che i quattro imperatori, antecessori di Vespa- sianojcioè Nerone, Galba, Ottone, Vi i^ Ilio, per diver- Sulla Lapide di s. Filomeka 207 si anni han tenuto tutto l'impero romano in una do- lorosa convulsione , per le crudeltà da quelli eser- citate. Nerone fu ucciso : gli altri tre dopo un re- gno di pochi mesi , e dopo avere sparso molto san- gue, perirono miseramente o di propria mano, o da ferro vendicatore. Dopo si strane e luttuose vicen- de esaltarono al trono di Roma, nella persona di Ve- spasiano, un principe creduto capace di realizzare le speranze de romani : e qui non s' ingannarono : ond'è, che non contenti di coniargli le monete co' soliti emblemi ed iscrizioni , vi aggiunsero ancora l'emblema esprimente la fiducia che avevano negli eserciti guidati da un principe bellicoso, qual' era Vespasiano (Vedi il Pedrusi tom. 5 pag. 127, tom. 7 pag. 351 ). Le medesime monete, col medesimo ger- moglio e coll'epigrafe: Spes felicitati s orhis • furo- no coniate all'imperator Filippo, abbenchè ucciso- re di Gordiano suo antecessore ( Pedrusi tom. 4 pag. 105). Egli però dopo cinque anni di regno fu ucciso a Verona, e il di lui figlio Filippo, ch'era stato dichiarato Cesare, fu egualmente ucciso da'sol- dati in Roma. A tutti c^uesti principi poi, per sen- timento di desiderio, o di adulazione, si coniavano le moneto co' pili specifici simboli della speranza. Il detto fin qui può bastare, onde persuadersi, che quel ramoscello, il quale si vede nella mano de- stra della figura paludata, ossia la Speranza, non è altrimenti un giglio, ma un germoglio di qualun- que pianta, da cui si aspetti il frutto; e che i ro- mani con quell'epigrafe : Spes puhlica: indicavano la speranza, che avevano di migliorare la loro con- dizione, sotto qualunque rapporto. 208 Lkttkratura, §. 39. Si risponde cilV obbiezione desunta dcdV autorità delV Arrighi. Rispondo in fine a ciò, che monsignore aggiun- ge al cap. 9 pag. 57 citando l'autorità dell'Arrighi, il quale (nel tom. \. lih. 6 e. 45 pag. 643 e 646) fra molte altre cose dice : » Si vedono espressi ( in al- « cune lapidi ) certi ramoscelli^ che dimostrano a « chi li mira la figura dell'olivo, indizio della ver- « ginita. > Per bene intendere questo passo dell'Ar- righi, converrebbe aver sotto gli occhi tutto il con- testo, il quale, per esser molto esteso , tralascio di riferire; mi contenterò di farvi sopra le seguenti riflessioni. Primieramente l'Arrighi non dice essere suo l'esposto sentimento, ma di Giraldo, citato da Fornuto, e riferito dall'Arrighi in questi termini: « Olivam virginalem candorem praenotasse For- « nutus subinfert . . , Sunt denique, qui olei ser- « tum paciferis viris assignent , quod haec potis^ « simuui arbor sit pacis simbolum, ideoque arma « ferri, bellaque suscipi dicuntur, quo tandem com- « modius in pace vivatur, ut ait Giraldus. » I citati autori però, se hanno opinato che qualche volta l'olivo sia stato posto per simboleggiare la vergi- nità, hanno detto ancora che 1' olivo rappresenta molte virtù, e che il primo significato sia quello della pace. Che se qualche volta si trova l'olivo sulla tomba di una vergine, non ne viene per con- seguenza che nell'olivo si volesse esprimere la ver- ginità, e molto meno il voto: ma potevano indicare, che quella data vergine fosse dotata di tante altre Sulla. Lapide di s. Filomema 509 vìrtU , le quali vengano espresse nell'oUvo, come dissi al §. 35 ; e di fatti lo stesso Arrighi tom. 2 lib. 6 e. 44 dice: « Apud antiquos oliva multipli- « cium rerum symbolum extitit. • Il medesimo au- tore pili chiaramente si esprime in appresso, di- cendo esser l'olivo un simbolo mistico , indicante diverse virili, separatamente dalla verginità, la qua- le senza equivoco non può essere espressa che dal solo giglio, come di sopra si è dimostrato; ed ecco le sue parole nel luogo citato di sopra: « Mistice « virginum quandoque tumulis olivarum rami apud « christianos inscuipti conspiciuntur ». Egli però non dice, che un tal segno vi fosse posto per sim- boleggiare la verginità. Quindi lo stesso Arrighi conchiude: « Vides igitur quorsum cbristiani festi- « vos olivarum ramos caemeterialibus passim sepul- « cris affigerent , ut pacis videlicet ac victoriae « symbolum intuentium tum oculis,tum animis oli- « vae jugiter adspectus ingereret. » L'Arrighi per- tanto sembra persuaso che l'olivo, posto qualche ra- ra volta sulle tombe delle vergini, non sia per in- dicare la verginità, ma bensì alcuna di quelle tan- te virtù, le quali vengono simboleggiate dall'olivo. Nel testo poi citato da monsignore ben si ravvisa, ch'egli non definisce , se quella pianta impressa nel tumulo delle vergini sia veramente un olivo, giacche si limita a dire, essere certi ramoscelli che dimo- strano la figura dell- olivo: come neppure dice, che sia una pianta la quale rappresenti unicamente la verginità. G.A.T.LXXIL U 210 Letteratura §. 40. Le opinioni di monsignor De Posfeda si oppongono alle rivelazioni che da lui si ammettono» Che dirò poi , che monsignor De Poveda, men- tre si sforza di dar credito alle rivelazioni, egli stes- so si trova in contraddizione con le medesime? E va- glia il vero, egli al cap. 7 pag. 41, parlando delle rivelazioni fatte dalia santa, dice doversi prestare alle medesime tutta la fede e venerazione in questi termini: » Ne alcun ci garrisca di aver noi data « fede a visioni e manifestazioni, che van qua- « si sempre soggette ad essere riputate effetto d' « 3 Sulla Lapide di s. FiLoivrewA 22T DE S. FILOMENA VIRGINE ET MARTIRE HYMNUS I. Virglnem coeli Domino dicatam, Nuptiis terrae domino negatis, Prodigam vìtae, fidei priusquam lura resolvat, Fìlìam lucis canimus, parente Regio natam, teneris sub annis, Nobilera vultu impavido tyranni Fi'angere vires. Ille, mordaci velut ursiis ictu Saucius, probrum reputans, puellae Viribus vinci fragilis, furori Laxat habenas. Virginem flagris jubet inde caedi, Et tenebrosas, manicis revinctam, Ingredi sedes, ubi dira mortis Terret imago. Ungulis audit Iacaranda membra^ Ouin et ignitis crucianda telis, Sponte vesanis nisi forte jussis Praebeat aures. Interim virgo recreata coeli Nuntio, mortis nihil apparata Territa borrendo, repulit ministros Prava jubentes. Quem gradum mortis timuisse dicam, Quam tenax fovit pietas, fidesque, Quamque nascentem Deus ipse blando Lumine vidit ? 228 Lettekatura Namque ubi ignitis petitur sagittis, Tela tortores ferìunt: profundis Mersa dein praeceps Tyberis sub undis, Pulcrior exit. Oh decus coeli nitidum ! Latinae Splendor oh gentis ! Tibi dedlcatam, Atque, adhuc sacro madidam cruore, Respice Romam, Unde virtutes, velut e tenebris Erutae, tandem caput extulere t Hinc tibi cultus veniens in aevum Robora sumet. Virgo, caelorum Domino dicala, Italis per te pietas fidesque Fulgeat tectis, procul omnis esto Clamor et ira. Fac oves tutum repetant ovile. Et lupos pastor minus expavescat: Gontere audaces, limidisque blandam Porrige dextram. Gentis humanae Pater, atque cuslos; Nate, cui partes scelus expiandi ; Spiritus, flammas jaculans amoris. Annue votis. oe^«»> Sulla Lapide di s. Filomela 229 DE EADEM VIRGINE ET MARTIRE HYMNUS IL Salve, nupta Deo, candidior nive Flos, solis radiis stella nitentior, Quam sls grata Deo, quidque potentiae Rex regiim dederit tìbi, Testatur volltans nomen in ultimos Terrarum populos, turbaque pauperum, Aegrorumque, honis aucta perennibus, Dum te supplici ter vocat. Adsis, virgo: greges coge ad ovilia ; Pastorique sacro, rebus in asperis, Vires, atque animum porrige; culpaque E nostris abeat plagìs. Per te lux fidei, justitiae soror Incorrupta, diu corde sub intimo Vivax permaneat ; robur et hostium Per te comminuat Deus. Huraani generis conditor et Pater ; Natus, virgineo de greinio editus; Puris corda potens ignibus urere, Votis Spiritus annuat. 230 Degli antichissimi geni e soprattutto di quello del- la vittoria, lezioni tre dette agli alunni delVinsi- gne e pontificia accademia romana di s. Luca dal professore Salvatore Betti segretario perpe- tuo. Jggiungesi una lettera intorno la statua tu- dertina del museo gregoriano. LEZIONE I. 1. VJTrazle immorfall, o carissimi giovani, sieno re- se per prima cosa klla provvidenza che ci ha tratti fuori da tanta tribolazione, quanta è stata quella che abbiamo sofferta per si mortale contagio. Impe- rocché con tal furia, come avete veduto, si gittò es- so contra questa città, che poco valendo ad arre- starlo i provvedimenti dell* arte umana, a sì gran- de sciagura fin qui rimasi pur troppo inutili in tut- ta Europa, può ben dirsi che altro non ci soccorse che la mano di chi governa sapientissimo i misteri della natura. Sì certo fu il cielo, figliuoli miei, che mi dà oggi il vedervi di nuovo a me intorno raccol- ti, e il ricrearmi della vostra presenza, e dirò an- che il versare dagli occhi questa tenerezza di lagri- me che osservate. Oh quante volte fra tante imma- gini di miserie e di morte ho pensato di voi! quante ne ho chiesto, tremante quasi della risposta, a'vostri j congiunti ed amici, ne'quali mi riscontrava: quante ai \ mio cuore, quante a Dio stesso! Ed ora alla mente an- davami una speranza con tutte le sue dolcezze, ora un timore con tutte le sue ambasce: e se quella talora mi dava fiducia di sì bel giorno, e rialzavami l'animo; Geni degli antichi 231 questo sorgeva più spesso a farmi tutto tremare , quasi volesse annunziarmi che più non ci saremmo incontrati su questa vita. Chi saprebbe perciò nar- rarvi in quale stato io mi vivessi! Levavami benedi- cendo alla bontà di lassù per quella consolazione , che specialmente a cagion vostra scendevami soavis- sima per tutto il cuore ; e chinava poi con som- missione la fronte quando invece recavami V animo a pensar del sepolcro, e vedeva questo per tanti e tanti di ogni grado, di ogni età, non che dischiuso, ma spalancato. Imperocché ho sempre creduto, che niun profitto ci farebbe il tanto nutrirci in filosofia, se almeno non c'insegnasse a far bene questa supre- ma necessita del morire. Ma ora, o giovani, non più ansietà, non più timori, non più lagrime : ecco fi- nalmente fioritaci una certezza lietissima : ecco al- le italiane arti conservata in voi si bella speranza di gioventù: ed ecco, quanto a me, tornatomi pa- dre come a tutti vi sono, o carissimi, per inestima- bile amore. 2. Per la qual cosa seguitando gli studi nostri, prenderò a discorrervi oggi di ciò che con maggior desiderio mi avete chiesto : cioè delle dottrine che gli antichissimi avevano intorno a'geni, e soprattut- to del modo con che in opera d' arte potrebbe da voi figurarsi quello della vittoria. Che certo anche alla vittoria è il suo genio, com'è alla guerra, com'è ( alla pace, com'è alla vita, com'è alla morte, com' è a tutte le scienze e le arti ( altro veramente non si- gnificando le muse ) : com'è infine a tutte le beni- gnità e le punizioni che ci vengon dal cielo, le qua- li non so in che altro modo ci si potrebbero far I comprendere co' sensi, secondo il dovere che ne hanno gli artisti quando loro chiediamo di rappre- 232 Letteratura sentarci cose o morali o metafisiclie. Laonde ehi vorrà credere queste innocenti finzioni essere co» della gentilità, che non possano eziandio convenirsi col cristianesimo ? Ciii vorrà oggi disapprovarle , e dar carico a colui che le usasse ? Io le dirò anzi non solo difficilissime, ma impossibili ad esser tolte, per quanta forza possano farvi coloro, che mostrano avere sì a schifo ogni cosa che sappia di mitologia : imperocché sarebbe un voler distruggere insieme e le vostri arti, o giovani, e la poesia, la quale , co- me sapete, è piena di queste immaginazioni che principalmente la dividono dalla prosa. E non leg- giamo infatti in un cantico non pur grave e solenne, ma santissimo, essersi fra lora baciate la giustizia e la pace ? 3. Se primi a popolare il cielo e la ferra di secondarie intelligenze, ovvero di geni come più co- munemente si dissero, sieno stati i greci o gli egizi, e disputa fra gli eruditi. Ma che non sieno stati i greci da ciò si raccoglie, che primo a parlarne in Grecia fu Esiodo, e che il loro nome era quasi una cosa di maraviglia al popolo ateniese ne'tempi di Socrate. Che pure stati non sieno gli egizi pare che provisi dall'esser certo che in Egitto, per la grave autorità del sacerdote Gheremone add&tta da Eusebio, non adoravasi ninna spirituale divinità, ma SI il sole, la luna, gli astri, gli elementi, tutti iddii visibili e corporei : e ciò non solo nel culto> pubblico, vale a dire nella corteccia e nelle frondi delle cose che facevansi vedere al popolo, ma benan- che nel segreto ed arcano. Ne vogliono centra ciò , grida esso Eusebio, ascoltarsi le baie di Porfirio e dc'nuovi platonici: e ne pur quelle, aggiungerò io, di Plutarco, il quale parlava, d'Iside e di Osiride in Geni degli àmticiu 233 Grecia a'tempi di Traiano, cioè settanta e più an- ni dopo Cheremone, che fiori al culto egiziano, nel- la terra stessa de' geroglifici, sotto Tiberio. Ma se greca non potè essere, né egizia siccome sembra, or d'onde ci venne questa credenza, e chi ne in- segnò antichisslmamente gli etruschi ? Se in tante dispute di filosofi e di eruditi, in tante contraddi- zioni di testimonianze intorno le origini delle re- ligioni, mi fosse dato proporvi una mia opinione, direi parermi assai probabile che ce la recassero i fenici, autori primissimi della civiltà di noi tutti popoli di occidente e di mezzogiorno : imperocché essendo essi originati dalle sponde orientali dell'Eri- treo, potè esser loro facile apprenderla da' filosofi indiani e persiani, prima di aver conquistata gran parte della Siria, e di essersi posti sul mare me- diterraneo. Ed infatti la teologia de'bramani e de' magi, la più pura di oriente finche preservossi dal- le favole caldee ed egizie, non solo era tutta spiri- tuale ma fondavasi massimamente in un gran nu- mero d'intelligenze, per non clrconscrivere, dice- vano, la divina potenza o reputarla più feconda di esseri materiali. Né vi tacerò, che tal' ella porge- vasi in molte verità eterne, che ben Y avreste cre- duta ravvicinarsi a quelle più sante e primitive credenze della religione de'patriarchi. Tanto sapeva con certa sublimita innalzarsi da questo fango terre- stre e dal conversare con gli uomini, e giimger ta- lora fino all'altezza del cielo. Imperocché i bramani ed i magi stimavano non essere Dio (come stoltamen- te pensavano le altre nazioni dall'ebrea in fuori ), ma piuttosto suol simboli e visibili immagini il fuo- co ed il sole; a'quali perciò prestavano una riveren- za di gratitudine anziché un culto d'idolatria, ono- 234 Letteratura rando in essi la bontà sapientissima di chi tanta bellezza ed utilità ci ha creato. Ora la scienza sacra de'nostri etruschi, la quale con si profonda erudizio- ne ci fu dimostrata da Giovanni Maria Lampredi, maravigliosamente ritraeva a quell'antica d'oriente : sia per credere ad uno spirito universale che di tut- te le cose fu creatore, sia per adorarne la provvi- denza, e tener certe le ricompense o le pene che dì la darebbe a'giusti e a'malvagi, sia infine per veder pieno ogni luogo di una celeste derivazione d'intel- ligenze, o di geni. 4. Si, giovani, lo ripeto: una tale credenza, se io non m'inganno, non potè essere a noi recata che da'fenici , i quali prima di ogni altra nazione navi- garono ai lidi d'Italia, e qui fondarono colonie an- tichissime. Perciocché non solo noi potè essere da* greci e dagli egiziani, i quali assolutamente nelle lo- ro superstizioni non seppero levar l'anima dalla ma- teria ( lasciando anche stare che gli egiziani per leg- ge sacra odiavano cotanto la marina ed il navigare, che fino a' tempi del re Psammetico (1) non era ne pur dato agli stranieri di usare i loro porti ); ma sì noi potè da Pittagora, che nato nell'olimpiade quarantesimaterza, fiorì a più moderna filosofia. Di- co da Pittagora , che fors' anche quella sua unità principio di tutte le cose, da cui generossi una in- finita dualità, trasse dalle dottrine che allora corre- vano fra' sapienti di Etruria : essendo stato quel gran fondatore della scuola italica, non solo edu- cato fra noi, ma nativo di una nostra Samo. (i) Vedi Diodoro Siculo e Strabone. Geni degli antichi 235 5. E qui di grazia, o giovani, piacciavi recar ranimo ad una considerazione importantissima in- torno la varia indole delle nazioni, anche in ciò che per gravita e dignità meno dovrebbe esserle sotto- posto. Il che accade e sempre vedrassi accadere in terra , quando la religione sia solo reputata una scienza umana, e non piuttosto una rivelazione del- l'eterno pensiero di Dio. I persiani , o gì' indiani che vogliano dirsi ( giacche nella teologia poco fio- rone diversi fra loro , per avere gran parte delle Indie obbedito all'impero di Persia ), tali furono ne' loro secoli piìi lontani, che non ebbero ne immagi- ni sacre ne templi, siccome quelli che adorando un solo Dio stimavano, scrive Erodoto, esser detestabile empietà il dargli umana sembianza. Laonde presero tanto sdegno contra ogni maniera d'idoli, che ognun sa a quali estremi giungessero in Grecia, quando re- gnanti Dario e Serse mossero in vano a ridurre la terra della libertà e del valore sotto la schiavitù dell' Asia. Imperocché volendo essere vendicatori della u- nita e spiritualità del signore della natura, a cui dal- le immagini greche stimavano fatta ingiuria, non so- lo gittarono a terra e guastarono tutti i simulacri che loro vennero alle mani, ma rovinarono ed arse- ro tutti i templi. Così non ricevendo altro nel culto di Dio, che una dirò quasi ragione segreta dell'ani- ma, pensavano ed operavano, o giovani, i primi pa- dri delle nostre credenze in que'remoti secoli della gentilità. 6. Or bene : passata che fu quella sacx'a seve- rità dalle parti del Gange a poco a poco alle rive del Mediterraneo, e quindi dell'Egeo e dell'Adriatico fra popoli men sottili e metafisici, ma più vivi d'imma- ginazione, e più caldi di poesia e di arti, ecco gli uo- 236 Letteratura mini non più comportare una religione che fredda- mente parlava solo airintelletto: ecco prima nella Fenicia, culla delle arti nostre, voler le genti va- gheggiarla eziandio cogli occhi del corpo, come tut- te le cose belle: ecco per la cagione medesima vo- lerla di cento leggiadre fantasie ed allegoriche ed enigmatiche adornare gli etruschi ed i greci: e sì quelli e sì questi ardentissimi spiriti chiederne poi ogni forma a tutte le altre nazioni: e trarle non pur da'caldei, ma da'frigi, dagli sciti, da'germani, da'gal- li: e quasi grande conquista recar da Menfi, come vuole Erodoto, la cognizione e le cerimonie dei do- dici iddìi consenti. E che non operò la sapienza di Numa, perchè almeno i romani si mantenessero nel- le antiche tradizioni, e fosse alla citta nostra impe- dito, come direbbe Giustino martire, che la subii- missima dignità dell'uomo precipitasse nella inde- gnità de' simulacri ? Fu legge del re venerando , scrive Plutarco, di vietare che niuno ardisse porre veruna immagine di deità. L' obbedirono i nostri avi in quella loro condizione tuttavia patriarcale di vivere : e così stettero senza idoli, come testi- monia Varrone (1), per cento settant'anni. Ma fi- nalmente anche noi italiche immaginazioni nel no- stro pregare il cielo, e con esso consigliarci, volem- mo fiore di poesia : anche noi volemmo in ogni a- stro, in ogni fonte, in ogni pianta, in ogni mara- viglia della natura trovar la presenza di un nume, e udir la sua voce, e vederlo : anche noi alzare alta- ri e bruciare incensi ai nostri re, ai nostri eroi, ai (i) S. Augustinus, De civitate Dei; lib. IV cap. 3i.-PIutar- co, nella vita di Numa. GEIfl DEGLI AUTICHI 237 nostri ritrovatori di qualche grande soavità o uti- lità della vita. Sicché la legge savissima di quel filosofo dovette alfin cedere alla piìi prepotente autorità dell'indole nazionale ; e tacere innanzi a tanta pompa e bellezza d'immagini di Giove , di Apollo, di Venere, di Mercurio, che in oro, in ar- gento, in avorio, in ogni rarità di marmi, vedemmo far le delizie e la devozione degli etruschi e de'gre- ci, in mezzo a'quali ci trovavamo. Allora tutto pre- varicò fra'romani in adorazione di simulacri: de' quali la cosa piìi stolta e leggiera che abbia la uma- na famìglia, cioè la ragione del volgo, sì maravi- gliosamente compiacquesi, che detto avreste i fi- gliuoli di Romolo essere divenuti quasi ebbri di questo veleno dell'idolatria. 7. Considerazione, come dissi, o giovani, im- portantissima a farsi chi delle varie condizioni na- turali de'popoli vuole con gravita di giudizio e non a caso filosofare ; vedere come una religione ( con che intendo dir ciò che a'mortali è più venerabile e caro ), per esser solo passata d'oriente nelle parti di occidente, in modo così strano siasi precipitata dal- l'origine sua, che quello che gli avi stimarono em- pio, i nipoti ebbero per sagrosanto : intantochè So- crate fu nella città stessa de'savi giudicato a morte, per avere appunto creduto ed insegnato ciò che cre- dettero ed insegnarono i fondatori del culto della nazione. Ond'è che i filosofi , a'quali non vuol far- si l'oflfesa di reputarli sì grossi dell' intelletto nel- le cose divine, che mai osato abbiano ( parlo del- la generalità ) di abbassare fino alla terra l'infinito e l'onnipossente per condurlo, come fossero in lui piìi persone, qua e là con nomi diversi , dovettero insieme restringersi a certi segreti con parola feni- 238 Letteratura eia chiamati misteri^ ne' quali nascosamente dalla moltitudine potessero professare il vero intorno la religione di Dio ed i costumi dell'animo. LEZIONE IL 1. Ma che erano questi geni? Ne chiederemo, o giovani, prima di ogni altro a Platone, all'Ome- ro della filosofia; il quale appresane la dottrina qua e cola ne'suoi viaggi, principalmente d'Italia dove al suo tempo fioriva la fama de'pittagorici, ne com- pose una sua fantasia non per insegnarla, come pa- re, a' sapienti ( e chi ciò stimerebbe di quell' alta ragione?), ma per volere piuttosto con la novità di- lettare i suoi ateniesi, che già in ogni opera e di mente e di mano niente altro domandavano che no- vità , purché fosse bella. E bellissima la porgeva loro Platone con quella sua lingua d'oro, e con que* suoi splendidi spiriti di una eloquenza poetica spes- so più conveniente a chi va colla immaginazione va- gando, che a chi disputa ed ammaestra , allorché diceva nell'Epinomide, le parti del mondo invisi- bili credersi popolate di una gran moltitudine di esseri in tutto da noi diversi: i primi de' quali, cioè i sommi iddii, formati di un'anima divina ed ignea, si godono nella regione del fuoco : i secondi, cioè i principali geni o demoni, di un'anima divina ed eterea, abitano quella dell'etere: i terzi, o sia le intelligenze di un ordine inferiore , spiriti divini ed aerei, hanno il loro luogo nell'aria. 2. Ciò nell'ozio degli orti di Accademo imma- ginava filosofando lo scolare di Socrate: alle cui fan- tasie cento altre ne aggiunsero poi i poeti, fino a darci il nome e la religione delle geniesse. Le qua- Gemi degli antichi 239 li ho maraviglia come il mio celebre amico cav. Giambatista Zannoni, nella sua spiegazione dottis- sima di un bassorilievo fiorentino del ratto di Pro- serpina , non pur neghi di ammettere, ma stimi essere state del tutto ignote all'antichi la, e create solo dall' ingegno del Gori e di non so chi altro. Ma ben diversa fu l'opinione del grande Ennio Qui- rino Visconti là dove nel tomo primo del museo pio dementino dichiarò la tavola XVI t per non dire che già prima ne avevano parlato ed il Win- ckelmann illustrando la tavola CGI de' monumenti inediti, e gli accademici ercolanesi in parecchi luo- ghi de'volumi primo, sesto ed ottavo delle pitture. Ne essi certo si erano lasciati ciecamente condurre all'autorità del Gori: ma ne avevano trovato men- zione in Plinio col titolo di Giunoni-, e chiarissi- mamente in Servio, il quale, comentando il verso 251 del libro secondo dell' Eneide, narra che in Campidoglio vedevasi consacrato uno scudo con que- sta iscrizione! Al Genio della città di Roma, sia maschio, sia femmina. Sicché quasi non pare, che più. certa cosa di questa delle geniesse, o voglia dir- si delle giunoni, sia in tutte le nostre dottrine dell' antichità. 3. Ma non volendo star contenti a quella pla- tonica immaginazione, siccome greca e quasi mo- derna rispetto alla filosofia primitiva degli orien- tali, diremo, o giovani, più propriamente parlan- do, che nella sapienza de'nostri antichissimi i geni furono intelligenze interposte fra la divinità, da cui derivavano, e l'uomo: e quelli onde il creatore rive- lava al mondo la sua bontà e potenza. Furono in somma i ministri, col mezzo de'quali la maestà del nume operava. Gli altri geni, che compagni presso- 240 Letteratura che sempre della Fortuna avevano in tutela i regni, le Provincie, le città, le famiglie, i collegi, i teatri, le fontane, i boschi, anzi quanto è di creato al mon- do, come i^ice Prudenzio contra Simmaco: e che spes- se volte commettevano anche battaglia cogl' inimici del luogo ch'era in lor protezione; dee pìttosto cre- dersi che appartenessero al numero de'penati e de* lari, o sia delle anime degli eroi: e noi tratteremo di essi quando ci cadrà il parlare sulle minori di- vinità de'gentili. 4. Dissi in sul principio dell'altra lezione, che anche alla vittoria era dato il suo genio, in quan- to stimavasi anch'ella una benignità del cielo- Ma se tale i nostri antichissimi la reputarono, non è che la greca mitologia vi stesse contenta. Ora se ad essa domanderete, onde venisse e chi fosse questa divi- nità, chiamerà subito i suoi vecchi arcadi perchè da loro n'abbiate risposta; i quali vi aflfermeranno, che la vittoria nacque appunto in Arcadia: e ve ne di- ranno il padre, che fu Fallante figliuolo di Licaone e proavo di Evandro: ne vi taceranno, per dare una maggior fede al racconto, ch'ella ottenne i divini onori per volontà di Minerva, insieme con cui era stata educata. Sicché non so a che dovessero riesci- re le tante battaglie che prima di Licaone si com- batterono sulla terra, se ancora la vittoria non era nata. Veramente gran popolo di Arcadia per favo- leggiare di tutto, ed abusare la credulità de' nostri maggiori, fino ad esser derìso da Ovidio e da Sene- ca per quella matta superbia di contendere in anti- chità colla luna ! Se non che di queste fole de'greci non vuoisi piìi tenere gran conto ne pur nelle cose della mitologia, le quali ( credetelo, o giovani) non sono poi cosi oscure e intralciate, che non possano Geni degli antichi 241 col lume dell'istoria, della filosofia e delle lingue nella maggior parte dichiararsi e spianarsi : ora massimamente che la sapienza non apprendesì piìi negli scritti di una sola nazione, cioè della Grecia, come usavano gli avi nostri, e che l'antichità si è fat- ta un desiderio e uno studio di tutti i popoli civih', pe'quali tanta diversità di favelle non è piìi , come in antico, un segreto e quasi un enigma. Chi non sa quanto gonfi di loro stessi, e dirò caparbi in que- st'orgoglio di reputarsi principi di tutta la civiltà, e quasi padri dell' uman genere , fossero quegli achei, che non per altro diremmo essere stati pri- vilegiati di tanta vena di eloquenza, che per ma- gnificare le proprie cose ? Quegli achei, che per CIÒ ridicoli si chiamarono da Ecateo, e corrompito- ri di tutte le istorie da Filone di BiLli , e mendaci da Giovenale, e rapitori delle invenzioni altrui da Taziano, e che infine come fanciulli e senza ninna scienza canuta furono accusati a Solone dagli stessi sacerdoti d'Egitto. Ogni cosa fu greca per essi sopra la terra: e greca dunque dovette essere la vittoria, ed a noi genti italiche, stati fino a quel tempo in una consuetudine più di bestie che d'uomini, la recaro- no gli arcadi ! 5. Ma che questo beneficio della provvidenza sotto l'allegoria di una divinità ci portassero dall'E- gitto i fenici, i quali avevano cola dominato col no- me di re pastori, da ciò raccogliesi chiaramente, che dai favoleggiatori più antichi delle invenicioni arca- di la Vittoria fu detta figliuola della palude Stige, siccome si ha nella teogonia di Esiodo. Imperocché è cosa certissima, che questa parola Stige è nelle lingue d'oriente, nelle quali significa acqua del si- lenzio : e che per imitazione straniera fu daal'ita- G.A.T.LXXU. ^(3 "= 242 Letteratura liani e dai greci dala ad un luogo d'inferno , quan- do si vollero con maraviglie poetiche abbellire le cerimonie egiziane del giudizio e della sepoltura de' morti. E dirò di pili: che noi fummo, siccome io credo, prima de'greci a ricevere questo nome, e a dar valore a questa favola: essendoché della Stige , fontana di Arcadia, io non sappia che siasi parlato come di cosa del regno degli estinti, se non da'gre- ci de'secoli a noi piìi vicini : quando dell'italica sì ha menzione antichissima ne'libri X e XI dell'Odis- sea, là dove descrivesi l'andata che fece Ulisse per mare dal monte Girceio al paese de' cimmeri, cioè a Cuma, secondo che ha ultimamente provato un italiano dottissimo, Francesco de Attellis marchese di s. Angelo. Ivi era l'Averno, ivi l'Acheronte, ivi il Cocito, e il Pirillegctonte, e il can Cerbero; ivi in somma tutto ciò che da'tempi di Omero fino a quelli di Tolomeo Filadelfo , ne' quali Licofrone scrisse la Cassandra, credevasi dalla gentilità cosi sui riposi come sulle pene de' trapassati. Pertanto trovandosi fra noi questa favola in si grande an- tichità concordare non solo colla significazione del nome Stige, ma anche colle cerimonie egizie, non vedo che cosa potrebbero soggiungere i fautori de' greci in favore della priorità della loro fontana de- gli arcadi: la quale che in oltre si chiamasse cos'i con parola insegnata loro da gente venuta di Ik dal ma- re , da ciò si deduce, che trasmutata da'greci in una ninfa, fu detta per Esiodo figliuola dell'Oceano e di Tetì. 6. Ora essendo qui sulj discorrere intorno a quel popolo del Peloponneso, datemi, o giovani, che per togliere un certo errore, che forse potrebbe es- sere COSI radicato nelle nostre menti, com'è in quel- Geni degli antichi 243 le di molti nostri, io vi dica alcun motto dell'antica loro venuta in Italia. La quale non dubiterò affer- mare, essere al tutto un sogno di chi primieramen- te in Grecia dormì sulle cose d'Italia, e poi fece che per imitazione si dormisse anche fra noi. Percioc- ché vogliono alfine considerarsi le ragioni della cro- nologia, che da tanto tempo richiamasi delle favole achee mandate intorno sotto nome d'istorie, e che quanto alle colonie venute di Grecia in Italia ci reca innanzi l'autorità di Tucidide, il quale, lascia- te gravemente da parte le presunzioni della sua pa- tria, ci attesta che i greci non vennero a porsi qua che assai dopo la presa di Troia. E come infatti l'Arcadia potè mandarci le sue colonie per mare, s'ella trovandosi tutta entro terra non aveva mari- ne ? E come mandarcele due generazioni dopo che il vecchio Pelasgo ridusse ad un vivere men ferino que'selvaggi del Menalo e del Cillene , a' quali le ghiande parvero allora tal ciho, che fecero essi un iddio di chi ne fu trovatore ? E come ciò avvenne prima che gli argonauti, che è quanto a dire ses- santasette anni innanzi a Troia distrutta, osassero avventurarsi al primo viaggio poco di là da'confini di Grecia ? Si, o giovani, il credere più oltre alle colonie arcadi così di Peucezio e di Enotro, come di Evandro, è un ignorare ornai la vera istoria de' popoli primitivi: istoria che da vecchia, che giù pa- reva, sembra ora mirabilmente ringiovanirsi per questi novelli studi delle antichità e delle lingue orientali, mostrandoci sulle nostre origini e scienze CIÒ che non solo trascurarono di cercare, ma ne pur pensarono che potesse essere que' nostri bonissimi arcavoli, contenti di starsi alla fede dc'favoleggia- tori di Atene e di Alicarnasso. Sicché poco andrà , 244 Letteratura come spero, che qualche potente ingegno porrassi alla grande opera di tutta riformare, per non dire rifar da capo, l'antichissima notizia de'tempi e de' popoli d'Italia, molto attribuendo all'Egitto quanto alle arti e specialmente alle allegorie, per quella in- clinazione degli egizi al maraviglioso t e molto pure attribuendo all'Asia quanto alla religione ed alla morale: e le une e le altre cose mostrando esserci primamente state recate da'fenici, che soli usarono le grandi navigazioni in que'secoli: non da'greci, che insieme con noi, e talor anche da noi le ricevettero, benché altro scrivessero con quella loro licenza isto- rica COSI simile alla poesia. 6. Non arcadi adunque vorrete credere que* primi che approdarono al promontorio iapigio ed alle rive del Tevere, ma fenici: come fenici furono i pelasgi, i tirreni, i tusci, e gli altri popoli , che da diverse contrade signoreggiate da sì famosi con- quistatori qua vennero ad incivilire le nostre genti tuttavia selvagge: ed a renderci tali , che al loro esempio fattici anche noi potentissimi di commer- cio, d'armi e di audacia, potemmo non pur domi- nare le nostre marine, ma spedire colonie a Lenno e ad altre isole dell'Egeo, opporci a'barbari^ e sul- l'Ellesponto sconfiggere gli argonauti, barbari an- ch'essi com'erano tutti i greci prima della guerra troiana , dice il grave Tucidide, cioè prima di esse- re dirozzati da quella sapienza di oriente, eh' ebbe- ro madre e nudrice tutte le altre che indi accorsero ad illuminare e ricreare la terra. Sì dico, la terra : imperocché se ciò dell'Europa è certissimo , se cer- tissimo è anche di molta parte dell'Affrica, pare che appena possa pili dubitarsi, pel testimonio restatoci tielle arti, dell'astronomia, della statica ( chi non Geni degli antichi 245 sa gli ultimi ritrovamenti di Palanca e di Mitla ? ), che altresì non accadesse di quella immensa regione, a cui la potenza di una mente italiana aprì di nuo- vo per vastissimi mari la via dimenticata da sì lon- tane generazioni. 7. Così è, o giovani : i greci nell' antichissima civiltà nostra non ebbero alcuna parte: ne poterono averla. Il che oltre alle cose della religione e del- la morale, che tutte cpjasi ritrovansi nelle antichità e nelle lingue di Siria e di Egitto, chiarissimamente si pare da cjueste gentili arti che fanno il vostro di- letto. Come i greci avrebbero tolta l'Italia da quel primo stato di salvatichezza, se gl'italiani fiorirono molto innanzi a'greci nelle belle arti .'' Il che non è pili oggi un vanto di Plinio, chi legge il Winckel- mann e quegli altri che ultimamente hanno trattato della vera istoria delle arti, non seguendo la fede degli scrittori greci, ma esaminando le opere di scul- tura e di figulina che ci rimangono, e confrontando- le con quelle, onde sono tuttavia ricche e la Grecia stessa e la terra de' Faraoni, 8. Nulla dunque, direte voi, nulla dobbiamo a' greci ? Sì, o giovani, grandissime cose dobbiamo a que nostri gloriosi fratelli, co'quali avemmo comuni un tempo e i caratteri delle lettere a noi recati da- gli stessi stranieri che insieme con Cadmo li reca- rono in Grecia, e il culto degli dei, e Tessere stati in potestà di una nazione dominatrice de'mari, che poi ( tali sono le umane vicende ), mutate le sorti, cadde prima nell'impero di Alessandro, e quindi nel no- stro. Dobbiamo loro di averci restituite le arti con quella beltà compiuta e divina, che in essi per ec- cellenza di educazione potè veramente dirsi una ra- gione universale di tutto il popolo. Dobbiamo loro 246 Letteratura un tlociimento, che mai non sapreLlje divulgarsi ab- bastanza, benché pochi savi vogliano seguitarlo : di non doversi cioè alle arti determinare verun confine, oltre a quello eh' è posto dalla ragione delle arti medesime. Imitate la natura , dicevano essi a' loro artefici: siate soprattutto veri nelle opere vostre : dilettateci, ingentiliteci, accendeteci al bello eh' è per noi una cosa stessa che la virtìi : conduceteci a tale, che non possiamo avvederci di essere nella vo- stra imitazione ingannati: fate in somma con finis- sima pratica, che in tela od in marmo per entro le figure che ritraete veggiamo scorrer la vita, fate eh' elle parlino, fite ch'elle camminino. Dobbiamo loro se non la vera istoria, certo il modo di scriverla con quella gravita di sentenze, rettitudine di giudizio, e copia di dire, senza cui non avremmo avuto ne Sal- lustio, ne Livio, ne quindi coloro che nel nostro vol- gare gli emularono. Dobbiamo loro in fine, oltre al real fiume dell' eloquenza, si limpido, sì ampio, sì maestoso, tutte le maggiori sublimita e dllicatezze di una letteratura , la quale ogni secolo non solo trova esser nuova, ma reputa dirò quasi un'ancora in mez- zo al naufragio, in cui troppo spesso, difetto della superbia, vanno a perdersi i nostri intelletti. E chi non avrà per primissimo della terra, o giovani , un popolo che a tant'altozza innalzò la dignità dello spi- rito umano, quanta ne maravigliamo in Omero , in Pindaro, in Sofocle, in Platone, in Tucidide, in De- mostene, ed in quegli altri di fama immortale ? Geni degli antichi 247 LEZIONE III. 1. In quell'austerità di religione nella quale, co- me dicemmo, vivevano i nostri progenitori d'oriente, non vorrà certo da noi cercarsi, o giovani, questo modo che domandate di rappresentare il genio del- la vittoria : perciocché reputando essi empietà il dar forma sensibile alla divina essenza, non poteva- no ne pur darla alle sue derivazioni. Converrà dun- que che ne interroghiamo i fenici in quelle loro ope- re che hanno durato al guasto del tempo, e gli etru- schi, ed i greci, ed anche i romani che furono imita- tori degli uni e degli altri. Anzi forse i romani mas- simamente, siccome quelli che fra tutti i popoli della terra salirono in maggior fama e gloria di vittoriosi, e che perciò della Vittoria, la quale sempre accom- pagnò il volo delle loro aquile, non pur fecero segno alle loro monete, ma ebbero templi, sacerdoti, giuo- chi pubblici, statue nel circo; per non dire che la posero quale attributo in mano alla dea che appel- larono di tutte le genti, cioè al simulacro di Roma. 2. Ora v'ha chi senz'armi vuole che il suo genio debba figurarsi, e chi colle armi: traendone questi secondi l'esempio dalla statua di bronzo trovata in Todi, la quale adorna oggi il museo gregoriano (1). Ma rappresenta ella veramente il genio della vitto- ria? L'iscrizione, che ha in una fimbria della lorica , e stata poi letta e spiegata dal dottissimo Michelan- gelo Lanci sì chiaramente, che non diasi più luogo a (i) Vedine il rame nel volume secondo del Museo Chiara- monti illustralo dal eh. Nibby, tav. B. 2'i8 Letteratura dubbio? Io so bene che alcuni non vi stanno ancora contenti, e che anzi credono doversele dare tutt'al- tra interpretazione: così il Vermiglioli, cosi il Sec- chi , così il Gicconi, così il Campanari: de'quali chi dice quella statua essere un Marte, chi un Vibenna, chi un Enea, chi un ignoto guerriero della gente Ahala. Ed io stesso modestamente, come si conveni- va fra tanto senno di eruditi, ho stimato ravvisarvi il lare pubblico de'tudertini (1). Intorno a che pro- porrò una quistione: ed è questa: Un genio può egli avere un attributo che non ha la divinità, a cui ap- partiene? Io già noi credo: ne ho potuto trovarne ve- run esempio, per quanto n'abbia cercato in tutti i te- sori di antichità. Anzi il sommo Filippo Buonarroti lo nega assolutamente (2). Ed infatti chi porgerebbe al genio di Marte il tridente, al genio di Venere il pavone, al genio di Minerva i dardi e la faretra? Se dunque si proverà che la Vittoria non fu mai rap- presentata in armi, sarà pure provato che ne il suo genio può essere armato : e che dobbiamo quindi in altra opera d'arte, che nella statua tudertina, cer- car l'esempio dell'immagine e degli attributi suoi. 3. Ma io vorrei che alcuno mi recasse innanzi una figura della Vittoria in armi : una statua cioè, una pittura, un bassorilievo, una medaglia, in cui senza dubbio si rappresenti l'immagine di cjuella di- vinità. Dico senza dubbio, perchè alcuna volta suo- le confondersi con Minerva, una delle cui appella- zioni è appunto quella di Minerva f^ittoria : dicen- (i) V. Diario di Roma del i di aprile 1837. La lettera, che ivi fu pubblicala, torna a stamparsi iu fine di questa lezione* (2) Medaglioni pagg. 28 e 42. Geni degli antichi 249 «loci Eustazlo, che quando Giove superò in Flegra i giganti, allora nacque Minerva, alla quale perciò il padre degli dei diede il nome della vittoria. Se non che all'Arduino (1) ed all'Oderico (2) sembrò che, a sottilmente considerare, non già iV/ce, cioè Vit- toria, ma sì nicefora, cioè portatrice della Vittoria, dovesse dirsi Minerva in Grecia. E veramente ch'el- la fosse fra'greci una divinità diversa dalla Vittoria abbastanza dimostralo ciò che abbiamo discorso nella passata lezione, dove sonosi recate le favole così di Esiodo ch'essa Vittoria ci dà per figliuola della palude Stige, come degli arcadi che la vollero nata di Licaone: dimostralo un passo di Ateneo (3), che narrando la solennissima pompa celebrata da Tolommeo Filadelfo in Alessandria, dice che l'imma- gine del grande macedone aveva sul carro dall' un de'lati Minerva, e la Vittoria dall'altro: dimostralo ciò che racconta Pausania (4) del tempio del Parte- none, là dove la statua di Minerva, capo lavoro di Fidia, vedevasi colla Vittoria in mano : dimostralo infine l'autorità di due antiche monete , l'una dell' imperatore Galieno coniata in Side Attalea della Panfilia, in cui la Vittoria dà la mano amichevol- mente a Minerva (5) : l'altra de'reginesi, nella qua- le Minerva tiene nella destra un piccolo simulacro della Vittoria (6), com'era uso, dice Giorgio d'Ar- naud (7), di tutti gl'iddìi guerrieri: anzi, poteva ag- (i) Numi populorum. (•2) Numism graeca pag. 83. (3) Dipnosoph. lib. V cap. 5. (4) Lib. I cap. 24, e Plinio lib. XXXVI cap. 5 (5) Pellerin, Melauges toni. II tav. 32, num. 7. (6) Oderico, loc. cit. pag. 82. (7) De diis »-ag£5go(5 cap. 18. 250 Letteratura giungere, com'era uso talvolta di quelli eziandio che niente avevano di guerriero, narrandoci esso Pau- sania (1) di una statua di Venere in Argo colla Vit- tpria in mano, e tale vedendosi , nelle medaglie di L. Emilio Bucca, di G. Vibio Varo, di P. Sepul- lio Macro, e forse in altre. Comunque sia ( giacche molti vorranno seguir piuttosto Platone affermante nel Cratilo, che nulla infine sapevasi ne degli dei ne de'loro nomi ), certo è che la Minerva Vittoria , la quale adoravasi nell'acropoli di Atene, non era ar- mata, se il vero ci dicono Arpocrazione e Snida (2), ma sì aveva nella destra un melagrano, ed un elmo nella sinistra: per tacere dell'altro suo simulacro , che veneravasi in un tempio a Megara col nome di Minerva di Aiace, nominatoci ma non descrittoci da Pausania (3). 4. Ed infatti a che fine la Vittoria rappresen- terebbesi armata? Forsechè un capitano direbbesi vittorioso, se avesse ancora bisogno di usar le armi? La deità che allora guiderebbe il suo campo, o gio- vani, sarebbe piuttosto Marte, o Minerva, o Bello- na: non mai la Vittoria, la quale altro non signi- fica che aver vinto il nemico e cessato dalla batta- glia. Ciò vuol la ragione, da cui non pare che gli antichi si dipartissero mai nel porre gli attribu- ti convenienti alle loro divinità. Dico gli antichi: perciocché ognun sa che col cadere del paganesi- mo, tutto andò in esso guastandosi così nelle ceri- monie come nelle rappresentazioni de'numi. Chi più (i) Lib. II cap. 19. (■2) Suidas in Nix?) AWijva (5) Lib. I cap. 12. Geni degli antichi 251 vorrebbe cercare le cose certissime degl'idoli nelle opere de'tempi di Probo e di Diocleziano? CKi dal- le immagini di qualche nume allora scolpita o di- pinta vorrebbe far giudizio di quelle che furono condotte in secoli, ne'quali stettero in maggior fiore e la gentilità e le arti, sia nella Grecia, sia nell'Etru- ria ed in Roma? Ove ciò si consideri, ardisco affer- mare che inutile riescira qualunque studio si adope- ri per trovare una Vittoria armata: non se anche si volesse dir fuIminante,come in una medaglia de'beo- ti recataci dal Pellerin (1). Molto meno poi si trove- rà coll'usbergo, ond'è vestita essa statua tudertina , suppostaci per un suo genio: essendo indubitato che gli antichi la effigiarono quasi sempre o con la sto- la, o con un sottilissimo \elo; e più tardi, o mezzo ignuda, o ignuda interamente, cosi nella Grecia ove la nudità fu cosa di tutto un popolo preso poten- temente al bello della natura, come in Roma, in cui per certa semplicità ed imitazione usarono pu- re gli artefici in guisa tale rappresentare i loro si- mulacri. Certo che gli etruschi usassero anch' essi questa ultima maniera , non potrebbe affermarsi senza qualche eccezione : perciocché non mostra- si sempre vero, specialmente nel primo stile del- l' arte , ciò che il Passeri dice della nudità delle loro statue de'numi; ma è però fuor di dubbio, che vestendo essi talora l'immagine della Vittoria, non le difesero mai il petto ed i fianchi colla lori- ca. Vestita infatti di ricca tunica l'abbiamo in un gran vaso pubblicato dal principe di Canino (2) , (i) Recueil de raedailles, tom. i, tav. 24 num. ir. (2) Mus. etrusque, num. 54i. 252 Letteratura e vestita in una medaglia di Faleria del museo fiorentino (1). E questo, o giovani, sarà forse sta* to il vero modo con che furono usati ri trarla sfli antichi artefici dell'Italia, prima che nella loro se- conda maniera dell'arte, pieni anch'essi di bellez- za lo spirito, si accostassero a seguire la grazia del- le opere greche, 5. Per la c|ual cosa sembrandomi ostare che mai la vittoria possa essere rappresentata in armi cos'i la ragione mitologica, come l'esempio de'greci, degli e- truschi e de*romani, anzi de'fenici, de'cfuali il Pelle- rin ci reca le monete coU'immagine di questa divini- tà (2); non mi da l'animo di credere che sia il suo ge- nio colui, il quale vestito della corazza, coH'elmo in capo, coU'asta in mano figurasi nella statua di Todi. E di grazia non se ne offenda il chiarissimo Lanci, la cui dottrina stimo tanto, quanto l'amicizia e la corte- sia. Ne per questo mi ostinerò nell'antica mia opinio- ne, che pili veramente possa essere il lare pubblico, o sia Ostilio de'tudertini. Certo è però che il pubbli- co lare di una citta poteva ritrarsi armato, come già dimostrai (3) : ma quasi direi non credere che ciò siasi mai veduto di niun genio de'cosi propriamen- te detti, quando vediamo senz' armi quello della guerra in una gemma del Gori (4), quello di Marte in un candelabro pubblicato dal Villemin (5) ed (i) Lanzi, Saggio di lingua etrusca, tom. ll,tav. I, n. 7. (2) Recueil ec. tom. 3,tav. iig. (3) Vedi la lettera che segue questa lezione. (4) Mus. Fior., voi. II, lab. 60. (5) Cost. ant. LXXXI. Geni degli antichi 253 in una pittura ercolanese (1), e quello dell'esercito illirico in una moneta dataci dall'Oiselio (2). 6. Come dunque, direte, rappresenteremo noi questo genio ? Ve un esempio certo che ce lo dia nelle opere antiche deirarte ? Un esempio certo, o giovani, non so che vi sia. Ma dirò che a me sembra indovinando trovarne alcuno, se non con certezza, al- meno con qualche probabilità. E primieramente cre- derei essere un genio della vittoria quel putto ala- to, che osservasi in una moneta di Siila pubblicataci dal Morelli nella gente Cornelia (3) : considerando nel rovescio i trofei della vittoria che quel capitano dedicò a Venere dopo la battaglia di Cheronea. So che alcuni lo dicono un Amore: ma trattandosi qui- vi di cosa vittoriosa, non di amorosa, parrebberai meglio, se noi contendano i dotti nella scienza delle medaglie, vedervi il genio della vittoria colla palma in mano, simbolo comunissimo di quella divinità , la quale perciò per Apuleio ebbe nome di dea pal- mare. Così nelle monete della genta Fundania un ge- nio della vittoria potrebbe, se non erro, essere quel- Taltro putto, che alato ed ignudo, e parimente con una palma in mano, guida la quadriga di Giove (4). Ed anche geni della vittoria potrebbero essere quegli altri due putti, che sostengono una corona di quer- cia colle sue bende presso il Boissard (5). Tale pu- re opina il Gori che sia quel fanciullo ignudo, eh' egli ci ha dato colle bilance in mano nel volume (i) Tom. I tav. 19. (2j Thes. nuniism. antiquor. tab. LXII, num. 8. (3) Tav. IV, num. 7. (4) Morelli, Gent. Fund. num. 2 e 3. (5) Antiq. rom. par. IH tav. 76. 254 Letteratura secondo del museo fiorentino (4): e tale forse sarà quell altro che porta un trofeo, e che il Winckel- mann (2) stimò essere un genio di Marte: essendo- ché il trofeo sia ugualmente simbolo e della vitto- ria e del dio della guerra. 7. Quanto a'suoi attributi, potrete a rostro pia- cere ornarlo di quelli, che gli antichi hanno dato comunemente alla divinità da cui esso deriva. I qua- li sono tanti, che lungo qui sarebbe a descriverli tutti: come a dire, per accennarne alcuni, il sostenere sulle spalle un vessillo o un trofeo, ed il tenere sotto de'piedi un globo, e nelle mani il corno di Amaltea, o un diadema, o una palma, o una corona di fiori o di alloro: e se la pace seguita è alla vittoria, Tave- re invece il caduceo, la patera, ovvero, come nelle monete fenicie (3), una ghirlanda nella mano de- stra, ed un'asta pura nella sinistra. I cristiani però, secondo che osserva il celebre amico mio cav. Fran- cesco Maria Avellino (4), amarono piii spesso, oltre alla palma, porle in una mano il segno della co- mun redenzione. Ha pure lo scudo, non per dife- sa, ma o per merito del vincere, o per voto che n'abbia fatto il duce dell'esercito (ed allora è det- to clipeo votisfo ) , o per iscrivervi i popoli de- bellati ed il nome de' valorosi da tramandarsi alla posterità: come vedesi in molte monete, e, per ci- tarne una, in quella di C Egnatuleio presso il Mo- relli. Ad indicare poi meglio, che la vittoria si ot- (i) Tav. 68. (i) Mon. ined. par. I cap. IV- (3) Pellerin, loc cit. (4) Osservazioni sopra una medeglia d'oro di Arianna augu- sta. Né suoi opuscoli, voi, I pag. 64- Geni degli antichi 255 tenne colle armi in Lattaglìa, le posero talora in capo l'elmetto , come in una medaglia di Ege (1), e in un'altra di Prusia re di Bitinia (2) : o le die- dero l'elmetto in mano, come nel museo fiorenti- no (3): o le cinsero le chiome con la corona murale, ed una ghirlanda di foglie di quercia le misero in mano, come in un medaglione di Antonino Pio (4): e ciò per distinguerla dalla vittoria riportata ne' giuochi, alla quale più comunemente soleva porsi o una corona o una palma. Volendo finalmente dino- tare una vittoria navale, collocarono la deità sopra una prua, come in quel medaglione bellissimo de' rodiani coniato ad onor di Nerone (5), nell'asse di Lucio Titurio Sabino (6), e nella moneta della co- lonia Giulia Diense (7). Già non dirò della Vittoria sagrificante: perciocché in questa fede, nella quale vi ha fatti nascere la provvidenza, forse non vi ac- cadrà mai di doverne figurare il genio: ma tuttavìa sappiate, che allora solevano porre nelle mani del- la dea alcun istrumento di sagrificio, o un dardo, o una piccola asta, come in parecchie monete di Siracusa, e nel Zoega (8) e nel Gori (9). 8. Ignudo vogliate rappresentarlo , o mezzo ignudo, starà in voi: essendo, come dissi, nell'uno (i) Pellerin, loc. cit., tom. II, tav. 72, num. 3- (2) Haym, Thes. britann., par. II. tav. 6, num. a. (3) Gorij Mus. Fior., tom. II, tav. 71. (4) Venuti, Mus. Alb. tav. XXV num. i. (5) Mus. Pisani, tav. VI. (6) Museo Fontana, serie consolare pag. 126. (7) Sestini, Descrizione delle medaglie greche delrauseo Fon- tana, parte seconda, tav. II, num. l/^. {8} Bassorilievi, tav. LX. (9) Mus. Fior., tom. II, tav. 71. 256 Letteratura e nell'altro modo stata effigiata la Vittoria da' no- stri avi. Ma se vorrete in pittura coprirlo di alcun velo o di alcuna tunica, io crederei che non dove- ste dipartirvi dal bianco : sia perchè il bianco è dato alla Vittoria in un passo di Silio Italico (1), sia perchè bianche sono le vesti onde graziosamente si adornano cinque Vittorie del museo ercolane- se (2). Libero vi sarà parimente il farlo o no ala- tot che anche la Vittoria ha e non ha talvolta le ali. E mi discosterò alquanto dalla opinione dell' esimio professor berlinese cav. Odoardo Gerhard ( e me lo concederà l'amicizia sua ), 11 quale intende negare che in opera perfetta di arte antica si abbiano e- sempi certi di Vittorie senz'ali (3). Ma di grazia non era senz'ali la Vittoria che Pausania (il quale ben doveva conoscerla ) ci dice posta e nell'acropoli e nel tempio ad essa dedicato in Atene (4)1' Non ci narra quel greco il perchè fosse così ritratta da- gli ateniesi (5) ? E perfetta non era l'arte in Cala- mide, che fiorì con Fidia, ed operò quella stupenda Sosandra, una delle bellezze più famose eh' escissero dal greco scarpello? E pure anch'egli rappresentò, la Vittoria senz' ali, come testimonia esso Pausania (6). Senz'ali altresì è in una medaglia di Tito: e con e- sempio certissimo, perciocché ha ivi scritto il suo (i) Punicor. lib. V, wers.gg: Et nif^eis Victoria concolor alls. (2) Tono. II, tav. 5g, 4o, /[t; toin. Ili, tav. 5g; tom. VII, tav. i6. In quella però del tomo terzo la sola veste è bianca , per- ciocché il manto è paonazzo. (3) Annali dell'iustituto di corrispondenza archeologica, an- no 1829, fascic. II, pag. 226. (4) Lib. I, cap. 22; lib. II, cap. 3o. (5) Lib. Ili, cap. i5. (6) Lib. V, cap. 26. Geni degli antichi 257 nome (1). E che in tal modo la rappresentasse- ro i tirlnei per distinguerla nelle loro monete dal- la sirena Ligea, che solavano indicare per la figura di una donzella alata, lo ha ben provato il cav. Avel- lino (2) con tra l'illustre Millingen. Ma se vorrete me- glio accostarvi, o giovani, alle arti de'vostri antichis- simi, glie le porrete : perchè non par dubbio che dopo gli egiziani non sieno stati primi gli etruschi a fare alate le loro divinità : e quanto all'immagine della Vittoria sto col Buonarroti (3) e col Gori (4) là dove hanno per probabilissimo , che forse per l'esempio de'nostri artefici si movessero primi a ri- trarla in Grecia colle ali il padre di Bupalo che operava nella LX olimpiade, o Aglaofonte di Taso che visse un secolo appresso , ambidue cioè assai dopo che le arti incom melassero a fiorire in Etru- ria. E veramente sempre alata è la Vittoria nelle opere etrusche, se pur se ne tolga l'crcolanesc in bronzo (5), lavorata eerto in tempo non antichis- simo, anzi d'imitazione greca : siccome pur sempre alati sono in esse i geni delle divinità; altra ragione per non creder tale il simulacro tudertino del mu- seo gregoriano. E qui basti, o giovani , l'avervi in tre lezioni come per me pò te vasi discorsa questa ma- teria. (i) OiselIus,loc. cit. tav. LXX, nuni. 9, (q) Opuscoli, Voi. II, pag. 229. (3) Ad Dempster. §. i, pag. i. (4) Mus. etrusc, tom. I, pag. 121. (5) Tom. Vb 0 sia II de'bronzi, tav. X. G. A.T. LXXII. il 258 Letteratura Lettera sulla statua tudertina del museo gregoriano. AL NOBIL UOMO SIG. PACIFICO GIORGI DI MONDAVIO, S. Betti Mi .i chiedete, onorando amico, ciò ch'io pensi del- la quistione mossa in questi giorni fra* nostri ar- cheologi sulla statua tudertina in bronzo con iscri- zione etrusca, uno de' singolari ornamenti del mu- seo gregoriano: e questo per l'amor grande che ave- te alle antiche arti italiane, possedendone varie ope- re, e soprattutto il bellissimo Apollino parimente con iscrizione etrusca, che prima fu illustrato dal Lanzi , poi dal dottissimo amico nostro Girolamo Amati nel giornale arcadico (1). Ma che vi direi? Uomini per dottrina chiarissimi sono entrati in ar- ringo, specialmente nella pontificia accademia di ar- cheologia: ne tale io mi reputo, che osi misurarmi con tanti potentissimi quinquerzioni. Vero è ch'essi posero il principale studio a dichiarare l'epigrafe, pensando trarne sicuramente qualche notizia im- portante intorno la significazione del simulacro. E ciò pure potrebbe essere. Se non che io tengo più probabile l'opinione del Passeri, che nedonarii sia generalmente scritto poco piìi che il nome o dell' (i) Tom. XII, parte III. Geni degli antichi 259 artefice o del donatore, oltre airanatema: imperoc- ché, scrive egli (1), il nominarci la cosa donata era superfluo, poiché il pezzo da per se lo diceva, e chiunque aveva idea di religione lo intendeva a pri- ma vista. Oh dunque (sento da voi interrogarmi) crede- te che la statua ludertina sia un donario? Io lo cre- do, e parmì con assai apparenza di verità: essendo- ché nella iscrizione trovisi assolutamente un nome proprio nel caso retto , che secondo altri esempi di statue non sembra poter essere che del donato- re: ed indi la parola FERE, che stimasi probabil- mente voler significare dedicavit. Vedete, egregio amico, a che siamo in fatto di lingua etrusca! Ben- ché ce ne facciamo le più ingegnose dottrine: ed ora accorciando là una parola greca o latina (mi sia con- ceduto il dirlo senza offesa di alcuno), ora stiran- done qua un' altra siriaca , e dandoci una gran libertà di metatesi, reputiamo cavarne le piìi co- mode significazioni. Aggiungete che l'epigrafe è in luogo sì umile e sì nascosto, che appena sembra possibile dover ivi contra ogni dignità leggersi il nome di una divinità o di un eroe. Imperocché è in una piccola fimbria della lorica: esempio unico fin qui nelle statue etrusche, trovandosi scritte le al- tre o sulle braccia, o sul femore, o sull'orlo della veste, o sul dorso. Tralasciando adunque ogni divinazione sulle parole dell'epigrafe, le quali o non intenderemo mai a dovere, o se perverremo ad intendere, niente for- se c'insegneranno sul simulacro, io vi dirò che non (i) Voi. I degli atti della società colombaria. 260 Letteratura credo rappresentarsi in esso l'immagine di un mor- tale. Non che non usassero gli antichi nostri dedica- re agli dei le proprie immagini: siccome fece Romo- lo, il quale dopo aver soggiogata Cameria, dice Dio- nigi di Alicarnasso (1), tornato a Roma trionfò per la seconda volta di questa nazione^ e delle spoglie de^ nemici fece fare in bronzo una quadriga che con- sagrò a Vulcano. E vicino le pose una statua., che rappresentavri se' stesso., con una iscrizione in let- tere greche., la quale diceva le sue famose impre- se. E siccome pur fece Spurio Carvilio dopo aver debellati i sanniti: Fecit et Sp. Carvilius^ cosi Pli- nio (2), leverà qui est in Capitolio, victis samniti- bus sacrata lege pugnantibus ., e pectoralihus eorum, ocreisque 'et galeis. Reliquiis limae suam statuam, fecit., quae est ante pedes simulacri eius. Né che non potesse una immagine d' uomo aver forse nel- la mano destra la patera (come sembra mostrarne indizio), non essendo ciò fra gli etruschi un sim- bolo certo di divinità (3). Ma converrò bene con alcuni sommi conoscitori delle arti antiche, co'qua- li sono stretto di ossequio e di amicizia, e soprat- tutto col celeberrimo commendatore Thorwaldsen, che il volto di questo simulacro è troppo visibil- mente ideale. Al che io aggiungerò, che anche le membra ci danno segno di persona molto più giova- ne, che ragionevolmente non si richiederebbe a un guerriero, il quale avesse fatte imprese tali che gli meritassero la dedicazione di una pubblica statua. (i) Antiq- ronianar. lib. II. (2) Hist. nat. lib. XXXIV cap. 7. (3) Lanzi, Saggio di lingua etrusca, par. Ili, ci. 2, $. 22. Geni degli antichi 261 Peggio poi se volesse credersi un lucumone otl altro principal magistrato. Del mento imberbe non par- lo: perchè se male converrebbe forse a un eroe de' tempi di Romolo o di quegli altri antichissimi, non sarebbe contro al costume di chi avesse fiorito in Italia verso la meta del quinto secolo di Roma. Potrebbe rappresentare un Marte. Ma chi sti- merà, quel viso cosi gentile essere del nume terribi- le della guerra in una statua operata sicuramente nel tempo, in che le arti etrusche gik tenevano as- sai del greco nella loro seconda epoca ? Ov'è il lar- go petto , ove sono le vigorose braccia, ove tutte le membra impresse di una decorosa forza, quando gli artisti etruschi, come osserva il Lanzi, usavano un disegno risentitissimo nelle costole e nelle giunture^ e gagliardo nelle mos^e ì E starei per dire: Ov'è la nudità, gran carattere non meno della scuola greca, che della imitatrice etrusca, specialmente nelle im- magini virili de'numi ? Se a me quindi si concedesse di proporre mode- stamente una mia opinione, direi eh' esso rappre- senti piuttosto il lare pubblico , ovvero Ostilio de' tudertini ; il quale poteva ben essere collocato, sic- com' era il costume, nel vestibolo del tempio di al- cuna deità maggiore , e probabilmente a Todi in quello del tempio di Marte. Imperocché questi mi- nori iddii, de'quali cantò Ovidio : Stani quoque prò nobis-, et praesunt nioenibus urbis., Et sunt pr aesente s^ auxiliumque ferunt-^ erano ritratti non pure in sembianza di giovani, ma coU'asta in mano, e talora in abito militare, sicco- me quelli che avevano cura di ributtare dalla cit- 2G2 Letteratura tà l'inimico, giusta il noto verso di Properzio: Hannihalemque lares romana sede fugantes. Di che possono vedersi il Passeri in quella sua dis- sertazione, ch'è nel primo volume degli atti della società colombaria, ed il mio amico di chiarissima memoria cav. Giambatista Zannoni in un ragiona- mento sit i lari stampato nella Galleria di Firenze illustrata (1). Anzi può vedersene anche il Gori nel Museo etrusco, la dove ingenuamente confessa, non d'altri essere infine tutti que' simulacri, ch'egli con generale appellazione chiama eroi etruschi, se non di lari, di penati, d'indigeti, di averrunchi e di si- mili altre divinità protettrici e guerriere. A' quali stava pur Lene che avesse aggiunto una certa im- magine di Marte, ch'egli reca a carte 111 del tomo primo; Pago non d' altro che di avervi obbedito , vi prego, mio caro amico , a conservarmi sempre la preziosa vostra benevolenza. Di Roma a'28 di marzo 1837. (6) Serio IV, status e bassorilievi, a carte i47- 263 Degli studi e delle opere di Paolo Costa accademico della crusca.) discorso del prof. Domenico Vac- colini.) letto nelV accademia tiberina. \s et ipse scripsit multa praeclare et docuit alios. Cic. De ci. orat. cap. 8. XJ a saggia antichità giudicò onesta cosa, come af- ferma Tucidide, lodare i trapassati : ne solo one- sta, ma giusta eziandio noi la teniamo rispetto a co- loro che ebbero senno e virtìi da essere degnamente lodati. Nel numero de'quali odo richiedermi, se ab- biasi a porre Paolo Costa, letterato di chiaro nome, che voi, o accademici, non dubitaste di scrivere del vostro numero. E pure vi è bello, che oggi si parli di lui quando tutti ne parlano : e tra que'che lo esaltano, e que'che per poco il calpestano, parvi dovere essere un mezzo piìi comportevole a cotal uo- mo. E di parlarne a me voi deste l'incarico, non co- me ad amico di lui; che di persona già noi conobbi, ne tenni seco commercio alcuno di lettere o di ne- gozi: ne come a nemico, che le sue carte splenden- ti nell'oro de'classici non potei )nè volli ignorare ; ma pili veramente come a modesto amatore di que- gli studi, che voi, o accademici, ben coltivate: eletti sludi, che acconcìansi a maraviglia allo specchio dell'ordine, e nutronsi e vivono al lume del retto e dell'onesto, onde ogni vera dolcezza si genera, co- me dal sole proviene la viva luce , che illumina e scalda tutto il creato. Voi ben vedeste, che come 204 Letteratura vana anzi nocevole è scienza divisa da virtù e da re^ ligìone; all'incontro è soda e sempre poi fruttuosa con virtù e con religione. Cosi è che le lettere toc- cano il fine loro, che è di giovare ! Perchè io con voi altamente congratulo, e godo meco stesso, che a ciò siano rivolte le nostre sollecitudini. Così a me non mancasse l'ingegno, come non manca il volere, e dirò pur l'assuetudine, di adoperarmi alla gloria delle lettere eterne amiche dell'ordine! Del tnial buon volere intendo abbiate per la mia bocca so- lenne promessa , se giù ne aveste argomento per le mie carte, quali che siano, dove apersi a tutti nel- l'ordine il segreto della bellezza; e in questo giorno e in questo atto medesimo ve ne sia prova il toccare che io fo, per vostro comandamento più che per elezione, delle cose di Paolo Costa : dico delle co- se di lettere e scienze, che di luì ci rimangono e tutti sanno ; che del suo cuore e della persona e della vita io noi potrei acconciamente. Siatemi cor- tesi del fììvor vostro, e sostenetemi e confortalemi; perocché io tremo la prima volta che a voi mi ap- presento: e questa luce della citili mi abbaglia, tan- to e splendente ! e questa noijil corona mi confon- de, tanto mi onora ! Di un nuovo Isocrate soave e terso nel dire e tra' letterati filosofo , il quale e scrisse egli stesso bellamente assai cose e gli altri istruì, io parlo a voi: ne in me è 1' eloquenza di lui: ed il giudizio che ascolta è di Crantore e di Crisippo ! Che varrebbe la scienza all'universale, se l'uo- mo all'uomo non potesse per segni manifestarla ? Ma buon per noi, che a ciò avemmo da natura il parlare, dall'industria lo scrivere. Parlare e scrivere (e, a dirlo in uno, le lettere) sono adunque ordinate Elogio dsl Costa 265 a manifestazione di scienza ; ma perchè non bene si manifesta ciò che bene non si conosce , uopo è ai letterati ( se fornir vogliono rufficio proprio ) far tesoro di scienza; e il meglio versarne a comune uti- lità: senza la quale pur troppo è vana, come notava il liberto d'Augusto, la gloria delle lettere. Se e co- me il nobile ufficio fornisse quella mente del Costa,è a vedere riandando gli studi, in che fu educata, rin- novata, cresciuta. Nella Romagna sempre feconda di chiari spìriti, e veramente in Ravenna, a'1 3 giugno 17T1 nacque Paolo di Domenico Costa e di Lucrezia de' conti Ric- ciardelli, coniugi onestissimi. Di nove anni fu posto con buon consiglio a educare nel collegio de' nobili della citta, e dieci anni vi stette in fiore di costumi; ma per ciò che risguarda le lettere, poco paziente per una parte alle spine dell'antico latino, e troppo facile ai fiori ed alla vana armonia del Frugoni; per l'altra uso a gustare Virgilio non alla fonte nativa, ma ai rivi de' traduttori: non colse allora tutti quei frutti die avrebbe potuto. Felice ingegno, dettò pre- sto de' versi, che trovarono grazia nell'universale: le lodi soverchie lo incuorarono almeno alla fatica degli studi. Si avvenne da ultimo in una logica es- posta col metodo che va dal noto all'ignoto, e ten- tò riordinare la sua mente e fornirla di scienza; ma cercando più vivo lume, lasciò ogni cosa più cara- mente diletta, e venne a Padova. Ivi tre anni di seguito frequentò singolarmente il Cesarotti per la eloquenza , e lo Stratico per la fisica. Questi speculando poteva aprirgli alcun vero nelle cose della natura; quegli ragionando poteva nelle cose della lingua; ma io noi tacerò, poiché il vero mi sforza, tra le nebbie e gli spettri e le gonfiiezze del- 266 Letteratura l'Ossian, ed il travestimento di Omero smarrivasi la forma del vero bello, e lo strano e l'aflfettato pren- deva il luogo del semplice e del grazioso nel par- lare e nello scrivere, e si falsava il giudizio; e, ciò che è peggio, il cuore si guastava. In questo mezzo la tromba di guerra intuonò ogni contrada, larghe nubi copersero il bel cielo: la nuova procella si stese dall'alpi al mare, e molti ciechi givano Trattando Vomhre come cosa salda. Il Costa lasciò Padova e gli studi, e corse in pa- tria a sostenere quasi il Palladio ; ma erano non più che sogni e fantasmi: e sogni e fantasmi non durano ! Perchè a Bologna si ridusse a stanza di pace. In così bello e caro albergo tornò agli studi delle lettere, e più dolce gli fu la vita in compagnia della benamata consorte, Giuditta de'conti Milzetti. Ritraendosi allo specchio della bellezza, vide anch' egli co'piìi eletti spiriti della eulta Romagna, che quelle del Frugoni e molte dell'Ossian non erano che frasche e fiori senza buon frutto: che ogni fog- gia straniera era morte all'idioma nativo: e che spe- ranza di vita non era, se non tornavasi alle fonti de'classici. Laonde a queste appressando le labbra ne bevve così, che il buono umore converso in suc- co ed in sangue avvivò la sua bocca ed il suo petto : e vive parvero le sue carte, che diffuse pel bel pae- se, ed approvate dagli stessi accademici della cru- sca, perpetui custodi della lingua nostra, gli meri- tavano seggio onorato in quel maturo consesso ed in pili altri non meno gravi e splendenti. E non fu voce, per quanto avversa e sospetta, che giudican- dolo da' suoi scritti non convenisse in queste sen- tenze: che se tra'poeti egli non levossi come aqui- la, volava almeno come ape ingegnosa; che tra' prò- Elogio dbl Costa 267 satori era primo a moltissimi, e a tutti insegnava di porsi al fianco stimoli ed ali per movere nelle lettere a segno di gloria. Ed oggi ancora ogni vo- ce de'savi si accorda in dire, che all'autorità de'pre- cetti meglio antichi che nuovi, tolti non alle offi- cine de'retori ma alle scuole de'filosofi , egli qual altro Isocrate aggiunse ognora l'esempio ancor piìi potente. Che se per naturale ingegno non fu mai qual torrente, che alta vena preme: fu sempre un rivo di chiare fresche e dolci acque; perchè tanto pili ad Isocrate fu somigliante. Giuste lodi riscosse principalmente quel suo trattato dell' Elocuzione, dove si apre a tutti con senno ed amore non pure il volto, ma il cuore dell' eloquenza. Quanto candore nella lingua! quanta giu- stezza ne'pensieri! quanta armonia nello stile! quan- to lume continuo di ragione! Rare virtù, che due secoli innanzi valsero già tanto a quello squisito giudizio del cardinale Pallavicini inteso a cercare, se e come a materie scientifiche convenga fiore di eleganza ed ornamento di stile. Ma perchè studio di parole non giova se non si aggiunga studio d' idee, di cui sono segni le parole; perchè a rende- re chiare e distinte le idee assai rileva il bene or- dinarle : non volle il Costa mancare di tanto a se ed agli altri. Perciò ne diede in prima quel suo discorso della sintesi e dell'analisi, che sulla Sen- na non men bello comparve sotto altra veste e in altro idioma: poi ne offrì la sua logica: nella qua- le a togliere la perplessità del linguaggio, e fermar quasi il limite della ragione, si studiò di mostrare come formisi un linguaggio di vocaboli determi- nati : notò che a ciò non fanno le definizioni, per- ciocché essendo per lui scomposizioni d'idee non 568 Letteratura possono tornare buone se le idee siano composte male. Cominciò dalla semplice sensazione e dalle semplici reminiscenze, e procacciò di venir compo- nendo le idee, assegnando a ciascuna il proprio se- gno o vocabolo. Fatta la composizione delle idee, gli parve facile la scomposizione loro , cioè la defini- zione. A fermar poscia quasi i limiti del ragiona- mento ( per quanto è dato ad umano intelletto ) investigata la natura de'principii generali dimostrò, che il ragionamento sopra di essi fondato non può avere potenza, che in essi non sia : aggiunse che rispetto a certe verità è da piegare la fronte alla rivelazione, che sola ne può ammaestrare. Del resto io non mi arrogo di giudicare, se abbastanza ei di- stogliesse il razionalismo dal perdersi nell'idealismo; se troppo confidasse del suo modo di comporre le idee; se troppo condiscendesse all'esperienza riguar- do all'intendere; troppo donasse alla legge deirutile pubblico riguardo al volere : no non mi arrogo di giudicare, se tra que'che f^mtasticando sorvolano coU'intelletto, e que'che ciechi si adi mano col sen- so, ei si tenesse costante a quel mezzo della ragione, dove si adagia la verità. Voi voi, sapientissimi, giu- dicatelo: io seguitando dirò sol questo, che il lungi) studio e il frequentar del liceo mi ha chiaramen- te insegnato : finche la filosofia non sarà pienamen- te la scienza dell'ordine, che è quanto dire la scien- za delle scienze, il lume della mente non potrà vin- cere la molta nebbia dell'ignoranza , che ancora si addensa sulle cose dell'intelletto. Lo vide il Costa, quando opponevasi ai novatori, tra' quali a quel Proteo del nostro secolo: e quando pugnava coi ro- mantici, che turbano il regno delle lettere: e quan- do assennava i vantatori del sognato progresso. Lo Elogio del Costa 269 vide quando accìngevasi alla riforma del vocabola- rio, e offriva quasi in un quadro il meglio della lingua nostra, che è di tutte soavissima e nobilissi- ma. Lo vide quando assegnava l'ufficio dell'uomo di lettere, che tanto rileva; ed è di hen dirigere gl'in- telletti e di forbire i costumi; ufficio cui alcuno non può soddisfare, se tutto non si formi allo specchio dell'ordine e non ne innamori l'universale. Lascio altre prose minori per toccare de'versi sempre eleganti del Costa: e comincio dagli ultimi, che sono fiore di lingua e di poesia, dico i sermo- ni dell'arte poetica, dove esposti brevemente que' veri, che Orazio apriva saggiamente ai Pisoni , si viene confortando la causa de'classici, che è quella dell' ordine. Ad altri, che il Costa non fosse, sa- rebbesi dimandata, se non più nuova, almeno piìi ampia ed ordinata dottrina anche nelle minime par- ti , e meno acerbezza nel giudicare quelle nobili fantasie del Guidi e del Testi per voli pindarici degnamente ammirate; ma egli era in voce di gen- tile maestro, ed ai precetti aveva messo innanzi gli esempi volgarizzando la Batracomiomachia di Ome- ro, e varie odi di Anacreonte con una Eroide ed un canto di Ovidio. Che se rendendo un'ode di Saf- fo offese le leggi del metro, e lasciò desiderare di meglio, la colpa non fu tutta sua: egli è che quel linguaggio d'amore non si trasporta perfettamente da una favella ad un' altra. Ma piìi e più meritò delle lettere, allorché interpretando la Divina Com- media del poeta filosofo mostrò più aperto cotanto autore del ideilo $tile, e disvelando l'aurea sempli- cità del trecento acquistò pregio ad un'antica ver- sione di Tito Livio: e bene insegnò di non fidarsi ai voli di Labindo: e tradusse nobilmente egli stes- 270 Letteratura so un salmo, che fa desiderarne più altri: i quali ci sarebbero come gioielli meglio che quel suo in- no a Giove, pur fatto segno di tante lodi. Ne sono da tacere le ottave intitolate al Canova, e le ter- zine di Laocoonte. Nelle une contava le nuove ope- re del Fidia italiano, nelle altre le antiche de'ro- diani conservateci in quel gruppo maraviglioso: tra pietosa e lieta ancor suona nelle selve d' Arcadia quella cara armonia: « Ecco fra tanti italici ornamenti « Laocoonte, che Tito si tenne « A pompa de'regali appartamenti. « Poscia che a stranio ciel volse le penne « L'aquila altera, e che del bel paese « A barbariche mani il fren pervenne, « Fra le antiche ruine un dio difese « L'alto lavoro, quando tutte cose « Fur da la rabbia longobarda offese. « Poi trassel fuor da le caverne ascose a A quel buon tempo, che l'arte fioriva, « E invidiato in vaticano il pose. « E se il varco de l'alpi non apriva M L'empia discordia, e sane eran le menti, « Unqua dal seggio suo non si partiva. » E viene conchiudendo in questi versi: « Per dominar la terra e l'ocèano « Altri accampi le schiere, armi le navi; « L'arti governi il popolo romano « Sotto il vessillo de le sante chiavi. » Trionfava allora il Settimo Pio reduce al Va- Elogio del Costa 271 ticano, trionfavano le arti: ne augurio di poeta fu mai più vero; la mente viva nel passato, il cuore ac- ceso nel presente, annunziavano i frutti immanche- voli nell'avvenire: frutti che oggi vediamo squisiti e copiosi mercè della sapienza che regna: li vediamo nella risorta ostiense basilica, li vediamo nel mu- seo etrusco , li vediamo in ogni angolo di questa Roma, che al mondo appare meglio che sposa no- vella il giorno della sua festa. Di che rallegrasi e gode la mia orazione non pur seco stessa, ma colle arti gentili, cui favore di cielo e larghezza di prin- cipi qui diede stanza ed allori, che non manche- ranno se prima l'universo non si dissolva. Cos'i tut- te io lingue r ' ìjliio i miracoli delle arti, come li cantò la dolcissima delle favelle per bocca del Co- sta: il quale è a lodare singolarmente di ciò, che al- lora quando il bello idioma cacciavan di nido estra- nie voci ed usanze, egli accampò le sue forze con quelle de' migliori, perchè alla terra nativa tanto danno non avvenisse: e tutto era inteso a richiama- re e confortare la lingua nostra, che tremando già già fuggivasi dalle rivali: e allora quando la dol- cissima delle arti, la poesia, minacciavano per nuo- va guisa spettri e procelle , egli in grembo la si recò, e ristorolla di eletto cibo , e la cinse de' fiori d'Anacreonte e de'frutti deirAlighieri. Cosi viva el- la e fiorisca come si addice a tanta mitezza di aere, di popoli, di costumi, e come è degno a tanta luce di ordine e di bellezza : né mai l'offendano o neb- bie o geli od aspri aquiloni; ma in pace regni colle arti sorelle, finche Roma e il sole starà! Ed ora a me si perdoni, se qui dove splendono di tanto lu- me le ingenue arti e le lettere non so oggimai che parlare di esse, quando al mio dire era posto argo- 272 Letteratura mento un chiaro spirito del nostro tempo ; ma egli novello Isocrate e scrisse bellamente assai cose e gli altri istruì: egli non pur di pi'ose, quale già l'a- teniese, ma di eleganti e dolci versi fu autore e mae- stro: egli della lingua, della poesia, dell' eloquenza fecesi benemerito, egli il fiore delle arti cantò e di- fese. Ed alla grave giurisprudenza, di rozze ed aspre voci sol cinta nelle forensi contese, Len si avvisò di cangiare abito e modo, e renderla costumata e gen- tile : al quale intendimento raccolse intorno a se una schiera di generosi, che nella onorata palestra dell'accademia esercitavansi alla sincera eloquenza. Cos'i ritoglieva con una mano alla barbarie la nobi- lissima delle scienze, mentre salvava coU'altra dal minacciato idealismo la scienza delle scienze, e dal torrente de'novatori riparava la lingua e la poesia. Ed anche il socco e il coturno pensò richiamare alle ragioni dell'ordine; benché in ciò la favilla del genio noi secondasse. Ma tutte cose vestì per sem- pre con abito di gentilezza, e le grazie del dire par- vero per lui pili schiette ed ingenue, e amanti non del frastuono ma di semplice e cara armonia. Tal- ché lodarlo si può certamente come a'tempi beati per l'eloquenza altri lodò quel modesto discepolo di Platone, che fu Isocrate, il quale nudrito non di favole ma di sapienza, apparve facile nell'inven- zione, curante sol dell'onesto, soave e terso quanto altri mai : Isocrate io dico, che tutte le veneri par- lando e scrivendo avea con se : Isocrate , che tutto non mancò alla Grecia, quando ad essa, lasciava una mano d'imitatori. Ed ecco per verità bellissimi pregi, che il no- me del Costa raccomandano ad ogni cortese, cui sia- no in amore gli sludi, e fannogli perdonare i suoi Elogio del Costa 273 sdegni e i rammarichi e se altro in lui fu colpa d'ir- ritabile temperamento. La memoria de'suoi trascor- si, quasi nubi in cielo sereno, col tempo si perde- rà; quella di sue virtù, quasi astri lucenti, sarà chia- ra ed eterna. E ogni pietoso ricorderà come a tem- po ei vedesse la vanita di queste umane cose, come sostenesse la lunga infermità, come amasse i confor- ti di religione, come sospirasse alla pace de'regni eterni: singolarmente in quella notte del 21 dicem- bre 1836, che dai piangenti amici e dalla consorte carissima e dal mondo si congedò. Felice il suo spi- rito, se fuggendo gli affanni del corpo riparò nelle braccia del Dio consolatore! Ivi è il trionfo dell' ordine, ivi salute e vita, ivi beatitudine! Al vivo specchio dell'ordine dobbiamo appun- to mirare noi tutti in tanta luce di verità: e let- tere ed arti comporre, e comporre noi stessi a quel- la norma di ogni bellezza. Così sarà pieno l'ufficio vostro di giovare cogli studi i costumi, coi costu- mi gli studi, per fare il mondo aureo tutto e pien dell'opre mitiche. Ma tolga il cielo, o accademici, che io mi stimi da tanto: parlo, sì parlo dì voi, parlo di quegli spiriti generosi che sono da ciò: ai quali tutti e a voi primamente, quando altro non posso, io raccomando di vegliare alla custodia delle nostre lettere, che non ci siano macchiate o guaste da cie- co studio di novità e da false dottrine ; ma in que- sto caro soggiorno di ogni virtù, cui scalda benigno sole ed irrigano acque di vita, più e più fioriscano colle arti sorelle a comune prosperità. G.A. T.LXXII. 18 274 JN Del Carroccio. T on v'ha dubbio, che siccome i nuovi fenome- ni , che tutto dì si osservano nella natura, porgo- no a'filosofi motivo di ragionare su di essi, indagan- do le pili probabili cagioni che possano averli pro- dotti ; COSI le nuove scoperte degli antichi monu- menti danno occasione agli amanti dell' antichità d'impiegare ogni diligenza, ogni studio , e quanto hanno d'ingegno, a fine di scoprire colla maggio- re probabilità la certezza de'fatti, e porre in chia- ro ciò che prima era in oscuro. Non possono tutti i fenomeni, e tutto ciò che è stato operato dagli uomini, venire sotto chiara considerazione degli eru- diti : siccome nemmeno è possibile, che questi non sieno condotti ne da prevenzione, ne da altro pri- vato affetto, o almeno non siano sottoposti ad er- rore. Per nostra disavventura , finche durerà il mondo si avrà sempre a combattere coli' ignoran- za ed a contrastare colla oscurità di mille effetti della natura , e di mille fatti degli uomini , che quanto pili s' inoltreranno nel tempo, tanto più dillicili è tenebrosi diverranno. Ma ( checche sia de- gli oscuri effetti della natura, che sono stati lasciati in disputa agli uomini ) ristringendo il discorso ai soli fatti degli uomini, quando per buona fortuna si giunga alla scoperta di qualche antico monumen- to, non è allora tanto malagevole il venire in co- gnizione di quanto era prima incognito; e coi lumi Del Carroccio 275 ricavati dal medesimo si possono ancora illustrare altri fatti dall'antichità offuscati. Tanto per appun- to è addivenuto dell'antico monumento del carroccio ritrovato l'anno 1727 nel Campidoglio, del quale prima d'allora non avevan potuto gli amanti d'eru- dizione sapere ne il tempo, ne la causa per cui quivi fosse stato collocato. Fin dal 1717 mentre si fal)bri- cava, erasi accorto qualcuno, che nel sito, ove fu poscia ritrovato il monumento, erano sei colonne as- sai pregevoli. Ma fin da quell'anno non potè appa- rire l'iscrizione che in una fascia lunga di marmo stava sovrapposta alle dette colonne. L' avidità di aver quelle, murate già d'ordine del pontefice Si- sto V per formar ivi le segrete, fece venire in co- gnizione di ciò che più non leggevasi. Appena furo- no aperti i cinque archi intermedi, i quali avevano anticamente formato un portico , che agevole fu l'avvisarsi aver potuto servire per comodo degli uf- ficiali del Campidoglio. Le due colonne laterali si scoprirono essere di bellissimo verde antico, che sommamente era desiderato da monsignor Del Giu- dice allora maggiordomo, e le quattro intermedie di granito, le quali tutte furono poi trasportate nel- le camere ds'signori conservatori. L'iscrizione, che sopra le medesime fu ritrovata, è già nota ad ognu- no, ed è la seguente : Caesaris augusti Friderici Roma secundl Dona tene^ cumini^ perpes in urbe decus. Hic Mediolani captus de strage, triumphos Caesaris ut referat, inclita praeda venit. Hostis in opprobrium pendebit, in icrbis honorem Mictitur. hunc urbis mittere iussit amor. 276 Letteratura Fu questa Iscrizione posta dal senato e popolo romano fin da quel tempo in che venne a Roma il carroccio. Sarà dunque Lene, per venire in piena cognizione della medesima , incominciando prima dalla spiegazione del nome , proseguir poscia a di- scorrere partltamente di quanto può convenire alla piena intelligenza del monumento, di cui siamo per trattare. §. I. Del significato della parola Carrociitm. La parola latina Carrocium, o Carrocerum^ si' ve Hheda, secondo il Du Gange, non altro volle si- gnificare presso gritaliani, che lo stendardo prin- cipale di tutto un esercito, il quale posto sopra di un carro tirato da'bovi, veniva custodito da'soldati più scelti con grandissima cura in tempo di Latta- glia. Più minuta notizia del carroccio ci vien data dall'autore del libro che ha per titolo Manipuli Fio- rum^ nella descrizione che fa del carroccio milane- se. Era, dice egli, un certo cocchio maraviglioso, coperto tutto di scarlatto da capo a piedi. Era nel mezzo un albero assai alto, che da molti uomini si teneva diritto a forza di funi , le quali pendevano da tutte le parti. Stava nella cima dell'albero una croce dorata, e sotto questa un bianco stendardo intarsiato di croce rossa. I bovi, che lo tiravano , eran coperti di bianco drappo, divisato parimente da croce rossa. Da questo nome poi carrociwn (da vari variamente storpiato ) sappiamo aver presa i francesi la voce chariots^ per dire in altra maniera ciò che prima chiamavano curre dall'antica voce la- Del Carroccio 2T7 tìna currus; e che gl'italiani altresì imprendessero a dire carrozza. §. II. Della invenzione del carroccio^ e delVuso di esso presso vari popoli. All'Italia, inventrice feconda di tante altre bel- le cose, deve anche il carroccio la sua prima origine. Ne fu autore Eriberto arcivescovo di Milano nel se- colo undecimo, e piìi precisamente, secondo Arnul- fo isterico milanese, nel 1038 o 1039. Ma benché presso gli scrittori non si trovi per qual fine egli lo inventasse il primu, sembra però verisimile, che non per altro il facesse se non se per animare il suo popolo milanese. Ad imitazione del popolo di Milano, che per primo fece uso del carroccio, molte altre illustri citta d'Italia si fecero un carroccio poco dissimile. I bolognesi nel 1170 furono dopo i milanesi i pri- mi a servirsi anch'essi del carroccio. Altri consimi- li susseguentemente ne fecero i padovani , i ve- ronesi, i bresciani , i pavesi , i cremonesi , i par- migiani, i piacentini, i fiorentini e molti altri po- poli dell'Italia. Anzi questo costume d'avere il car- roccio, o sia lo stendardo militare , passò ancora nelle straniere nazioni, come nella Germania, nella Fiandra, nell' Ungheria. L'imperatore Federico II anch'egli si servi del carroccio, benché fosse di al- tra specie, secondo il Sigonio, il qnal riferisce, che posto avea sopra un elefante un castello di legno, adorno di bandiere collocate negli angoli, e che nel mezzo eravi l'insegna di lutto l'esercito. Ottone IV 278 Letteratura eziandio, ed il duca di Lovanio, T ebbero parimen- te ; come altresì gli ungheri, i quali se ne serviro- no nel combattimento co'greci sotto il comando di Emmanuele Gomneno; e finalmente, al riferir di Turpino, anche i saraceni. Anzi i cristiani nell'as- sedio di Damiata fecero un carroccio a modo de' lombardi, e tale fu lo spavento recato a'turchi, che li distolse dal venire con essi a battaglia. §. III. Della diversità de carrocci. Se ne'' medesimi fosse la campana. Variazione però di qualche sorte leggiamo es- sersi fatta ne'carrocci delle diverse citta. Imperoc- ché quel di Firenze era un carro su cjuattro ruote, tutto dipinto a vermiglio, secondochè dice il Mala- spina, ed eranvi di sopra due grandi antenne ver- miglie, in su le quali stava e sventolava un lungo stendardo coll'arme del comune di Firenze, per una meta bianca, e per l'altra vermiglia. Veniva esso ti- rato da due grossi bovi, che a questo solo erano de- stinati, ed erano anch'essi coperti di panno vermi- glio. I pavesi avevano un carro tirato da piìi paia di bovi coperti di panno rosso. In esso era un taber- nacolo di legno, capace di certa quantità di perso- ne; e nel mezzo stava una pertica assai sublime con pomo di metallo dorato. Pendeva da essa un padi- glione, ed ima lunghissima bandiera rossa , intar- siata da bianca croce, sopra cui era posto un ramo d'olivo. Quello finalmente de'bolognesi, fatto per andare centra i faentini, era diverso dal milanese. Tra le altre particolarità il bifolco vestiva di rosso Del Carroccio 279 e di hlanco, i bovi erano d'uno stesso pelame, e di continuo veniva circondato da mille e cento soldati de'pili scelti. Non manca chi dice, in parlando del carroccio cremonese , che nel medesimo fosse la campana. Anzi il Sigonio individua la pertica e la campana del carroccio che trasportavano i bresciani nella lo- ro cittk come trofeo. E Giovanni Villani fa men- zione altresì della campana martinella, o degli asi- ni^ nel carroccio che i fiorentini portarono contra i lor nemici. Sembra per altro piìi verisimile l'opi- nione, che la campana non sia stata giammai nel carroccio , ma bensì sopra un'altra macchina fatta a guisa di torre. Imperocché, oltre la figura della macchina, su cui era la campana, la quale appari- va troppo diversa da quella del carroccio, conforme si può vedere appresso il Magri (4), gli antichi sto- rici nelle loro minute ed accurate descrizioni del carroccio non ne fanno alcuna menzione. §. IV. De* diversi nomi de' carrocci. Siccome da quanto si è detto si raccoglie essere state varie le sorte de' carrocci, così da quanto ora siamo per soggiugnere si vedrà , essere stati vari ancora i nomi che ad essi erano imposti. Alcuni po- poli lo chiamavano col nome di qualche personag- gio, in ricompensa de'benefizi da esso ricevuti, e so- (i) In verb. Campana, nel fine. 280 Letteratura vente ancora senz'altro motivo, se non perchè ad es- si così piacesse. Chi dice, che quel di Cremona chia- mavasi Berta o Bertazzola, perchè l'anno IOTI, per intercessione di Berta augusta, ne avevano i cremo- nesi impetrato l'uso insieme colla liberta da Enrico imperadore; chi asserisce, il parmigiano essere stato chiamato Biancardo sive Crevacerem^ e chi Rego- lium Parmae, chiamando il cremonese Gaiardus. §. V. DelVuso de carrocci e del fine di tal uso. Che se poi cercasi il tempo in cui maggior- mente i popoli fecero uso del carroccio, si può os- servare, che quantunque fosse esso in uso dopo la meta del secolo XII (giacche i milanesi se ne ser- virono nella battaglia contro Federigo I, da cui fu tolto loro lo stendardo e la croce ); non pertanto l'uso d'esso fu più comune nel susseguente secolo XIII, essendo in quei tempi il carroccio riputato quasi il palladio delle citta, e slimato d'aiuto gran- dissimo nelle battaglie. In fatti essendo stata tolta la cittk di Padova dalle mani di Ezzelino da Ro- mano, e ritrovatosi 1' antico carroccio di essa pu- trido e rotto, fu subito per ordine di quel comune rifatto in forma piii nobile che mai per l'addietro fosse stato. Di pii^i leggiamo, che sebbene i cremo- nesi lo prendessero in battaglia ai milanesi molto prima del secolo XIII, cioè nell'anno 1150, questi nondimeno nel 1214 spogliarono i cremonesi del loro, avendoli fatti fuggire; e tre anni dopo, cioè nel 1217, riuscì ad essi felicemente lo stesso per la seconda volta. E c|uantunque il padre Carlo d'Aqui- Del Carroccio 281 no, parlando del carroccio tolto a'milanesl, asseri- sca conservarsi esso nel duomo di Cremona , non dando però egli alcuna contezza donde abbia ciò ri- cavato, resta libero a ciascheduno il prestargli fe- de, giacche ne presso gli antichi scrittori, ne pres- so i moderni se ne trova fatta menzione. I faen- tini tolsero il carroccio ai bolognesi nel 12T5, al riferir del Sigonio, e se lo trasportarono in Faen- za. E Federico II lo tolse ultimamente ai milane- si, come a suo luogo ampiamente dirassi. Un altro fine ancora ebbero i popoli nell'uso del carroccio, e fu quello di onorare gl'imperado- ri o i re, od altri personaggi degni di stima, uscen- do loro incontro con esso, qualora passavano pe'loro distretti. Cosi nell'anno 1233, allor quando portossi nella Marca Trivigiana un certo frate Giovanni del- l'ordine de'predicatori, uomo sommamente pio, per rappacificare le cittk discordi, tirò molti popoli nel- la campagna veronese, i quali per maggior pompa andarono cola co'loro carrocci. Così i fiorentini an- darono incontro a Latino cardinale. Lo stesso onore fecero i padovani al beato Giovanni Vicentino , quem carrocio exceperunt, et quasi triumphantem in civitatem duxerunt: ed a Federigo II imperatore. Ed i milanesi finalmente, per muovere Federigo I a compassione , gli condussero avanti il loro car- roccio. 282 Letteratura S. VI. Della forma^ ornamento^ ed accompagnamento del carroccio milanese. Ma discendendo a parlare distintamente del carroccio milanese, che di sopra abbiam mentovato, quantunque l'eruditissimo monsignor Fontanini, nel- la lettera scritta al senator Frangipane in occasione della memoria del carroccio ritrovata nel 1727, ac- cenni che tanto Sertorio Orsato, quanto Antonio Campo fanno la descrizione, ed esprimono la figura del carroccio milanese, nondimeno, per formarne idea più distinta, sarà bene il rappresentarne qui ciò che il Gorio ne scrive. ,, Era, dic'egli, un carro 6on quattro ruote, sopra cui era fabbricato un tri- bunale coperto di panno rosso. Stava nel mezzo un albero alto, che da molti uomini per mezzo di funi si teneva dritto; e nella sommità di esso era una croce dorata , sotto cui sventolava una bandièra bianca colla croce rossa. Veniva il carro tirato da quattro paia di bovi, che dal lato destro eran co- perti di rosso, dal sinistro di bianco. Quegli poi che lo regolava, era un uomo stimato, e di gran fama , eletto di comun consiglio della repubblica, insieme con un sacerdote, che cotidianamenle celebrava a- \anti il carrocio, il cui stipendio ( egli dice ) era di cinque soldi e sette denari al giorno. „ Prosiegue lo stesso autore, e racconta, che otto erano i trombetti, ed altrettanti i soldati ( i quali altronde ricavasi che fossero di cavalleria ) stipen- diati per ornamento e custodia del carroccio. La lettera deli'imperadore Federigo II al conte di Sois- Del Carroccio 283 sons ci fa credere, che nella bandiera fosse dipinto s. Ambrogio ; dicendo, che i milanesi erano venuti contro di lui cam vexillo sancti Amhrosii : la cui immagine ci fa sapere il Buccardo essere stata nel- la parte anteriore in atto di dar la benedizione o- vunque il carroccio si rivoltasse. Gualvaneo Fiam- ma eziandio, da cui il Corio prese così a descri- vere il carroccio, altro diversamente e di piìi non dice , se non che i bovi eran coperti d' un manto di seta bianca con croce rossa nel mezzo, e che il regolatore di esso veniva donato dalla sua citta di spada e corazza. Accompagnavasi con somma cura in tempo di battaglia da'piìi scelti soldati che lo avevano in cu- stodia : perocché si recava a gran disonore in c[ue* tempi qualsivoglia popolo il restare spogliato del suo carroccio, il quale dovunque fermavasi, serviva quasi di tribunale, rendendosi ivi giustizia, ed ivi pure tenendosi consiglio militare. In oltre si riti- ravano avanti di esso quelli che erano stati feriti in battaglia, o che stanchi fossero di combattere, o che dalla moltitudine de'nemici venissero incalzati. Dal Fiamma desunse ancora Cherubino Ghi- rardani la descrizione ch'ei fa del carroccio milane- se : ma esprimendo questi qualche cosa non ram- mentata dal Corio, non sarU inutile il riferir qui quanto lo stesso Ghirardani ne dice : ,, Era il car- roccio a modo d'un carro assai alto, tutto coperto di panno rosso, nel cui mezzo stava piantata un'an- temia, dalla sommità della quale pendevano molte funi d'ogni intorno, tenute dagli uomini i quali eran nel carro. Nella cima di detta antenna era una croce d'oro, dalla quale una candida bandici'a colla croce rossa pendeva. Era tirato il carro da bovi co- 284- LKTTfiRATCRA perti di panno candido a croci rosse divisato. Del carro facevano capitano un uomo a que'tempi nella guerra famoso, al quale per dare maggior autorità , una corazza ed una spada dal pubblico era donata. Vi aggiungevano poi un sacerdote che celebrasse i divini uffizi, ed a coloro i quali erano feriti a mor- te, amministrasse i santi sagramentì. Seguivano poi otto pifFari con pubblico salario condotti. E di que- sto segno fidandosi i popoli, andavano lieti alla guerra. Dove il carro si fermava, ivi era il preto- rio , da cui prendevano il segno di combattere. E se alle volte erano dagl'inimici posti in fuga, fuggi- vano negli steccati raccolti intorno al carroccio; e ripigliate le forze , alla battaglia ritornavano. E questa tale macchina al nemico era di grandissimo spavento. „ Fin qui il Ghirardani. S. VII. Della presa del carroccio milanese fatta da Federigo II, Non fu però di tanto spavento il carroccio mi- lanese all'esercito di Federigo II, al quale anzi riu- scì d'impadronirsene, come or ora vedrassi. Avea quest'imperadore, allora che determinò d'attaccare i milanesi , per suoi confederati i bergamaschi, i parmigiani, i cremonesi, quei di Reggio, di Mode- na, di Pavia, di Firenze, ed anco i saraceni. Dal- l'altra parte eransi i milanesi collegati co'bresciani, co'piacentini, con quei d'Alessandria, di Vercelli , di Novara, di Bologna ; ed avevano ancora nel lo- ro esercito gente del papa. Giunto egli era Fede- rigo ( dice Pietro delle Vigne ) nelle pianure del Del Carroccio 285 ponte Ogllo, ed aveva accampata la sua gente sì da vicino al nemico, che l'uno e l'altro esercito veni- va diviso da pochissima acqua. Colà giungendo sem- pre più a Cesare nuove forze, avido aveanlo ren- duto di venire a giornata. Dato dunque il segno della battaglia, vide Cesare il suo nemico pusilla- nime e timoroso del cimento racchiudersi in mez- zo agli stagni giacenti all'intorno. Era tale questo riparo apprestato dalle acque al nemico, che secon- do le regole della milizia, in verun modo superar si poteva. Tale fu, ciò non ostante, la prudenza del principe, che con piìi sano consiglio passò veloce- mente rOglio, lasciati i nemici nelle paludi di Cre- ma. Quindi per lo margine di questo fiume seco portando più. di dieci mila del suo esercito, nel pon- te di Brescia schierò la sua gente in maniera, che, prevenendo il ritorno de'nemici , potesse assalirli in ripassando. Il perchè diviso l'esercito in sette corpi, gli assaltò nelle campagne di Bergamo, quan- do gik passato avevano l'Oglio. L'una e l'altra van- guardia scorrendo con empito i campi di Corte Nova , già scambievolmente ferivansi , e col suono delle trombe ciascuno animando i suoi, incomincia- vano r orribile pugna. Indi venute alle mani le schiere che seguivano, ed essendosi da ambe le par- ti combattuto lungamente con grandissima ostina- zione, fu alla fine messo in rotta l'esercito di Mila- no , e cacciato sino ai suoi trinceramenti con una fuga precipitosa. Perderono in quella giornata i milanesi insieme co'loro collegati non solo il più bel fiore della mili- zia, ma eziandio il carroccio col podestà; e 1' eser- cito imperiale restò con poco, o senz'anche verun danno, L'imperadore, dopo aver vinti e fugati i ne- 286 Letteratura mici, pertossi da trionfante a Cremona. Il numero de'morti, secondochè riferisce Piccardo da s. Ger- mano, ascese quasi a diecimila, senza far menzione de' prigionieri , fra' quali Giacomo Tiepolo figlio del doge di Venezia. In oltre Giovanni Villani cosi narra la rotta dell'esercito milanese: „ Alla fine i milanesi con tut- ta loro forza e del legato del papa, e di tutta la le- ga di Lom])ardia, che tenevano colla chiesa, s'aflfret- tarono a battaglia col detto Federico al luogo detto Corte Nova ; e dopo grandissima battaglia i mila- nesi e tutto loro oste furono sconfitti gli anni dì Cristo 1237. Onde ricevettero gran danni di morti e di presi, e fu preso il carroccio loro, e loro pode- stà, che era figliuolo del doge di Venezia. E lui e molti nobili oittailini di Milano, e d'altre contrade di Lombardia, ne mandò presi in Puglia, ed il det- to podestà fece impiccare sopra un'alta torre a Tra- ni in Puglia alla marina. Degli altri prigionieri , quali fece morire a tormenti, e quali mandò in pri- gione in diverse carceri. ,, Non conviene però colle narrazioni poc'anzi ri- ferite quanto si legge negli annali di Milano, nella storia del Gorio, in Gualvaneo Fiamma e nel Sigo- nio ; dicendo tutti questi espressamente, che nella battaglia di Corte Nova , di sopi'a memorata, non fosse già preso lo stendardo di Milano, ma bens*i le ruote del carroccio fracassato nel fuggirsi da chi ne aveva la cura. Giova perciò qui rapportare precisa- mente ciò che essi dicono, acciocché piii chiara si riconosca la discrepanza di essi dai primi. Diiono dunque i citati annali di Milano, che l'imperadore „ dopo aver abbruciato Ponte Vico, e dopo esser passato per Alfiano a Soncino, da astuto Del Carroccio 287 che egli era, fé sparger voce, che tutti i suoi solda- ti andavano a Cremona, e nel tempo stesso tese del- le insidie in mezzo alle paludi ed in mezzo a' bo- schi, e per tutte le vie che i milanesi erano per te- nere. Questi udendo, che l'imperadore erasi parti- to, ne godettero, perchè da tre mesi erano stati at- tendati, ed insieme tutti cantando ritornarono a casa. Allora Federigo, il quale tutta notte nelle selve era stato ascoso, usci, ed innumerabili ne am- mazzò vicino a Corte Nova. Prese prigione Pietro figlio del doge di Venezia, e podestà di Milano .... Indi l'imperadore assalì il carroccio, difeso corag- giosamente dalla compagnia de'forti , cui presedeva Enrico di Monza, uomo assai valoroso. Nella notte che sopraggiunse, venne una pioggia dirotta in ma- niera, che restò fisso nel loto il carroccio , ne potè per allora cavarsi fuora. Lo che vedendo il detto Enrico di Monza, lo fece in pezzi; riportandosi a Milano l'albero insieme colla croce dorata, insegna della comunità. All'apparir del giorno si prese Ce- sare il distrutto carroccio, e le quattro ruote del medesimo le mandò fino a Roma, comandando, che poste sopra colonne a perpetua memoria si conser- vassero. „ In consimile maniera parla anche il Corio, di- cendo che Enrico di Monza difese assai bene il car- roccio, e che le sole ruote restassero in poter del nemico. Così pure dice il Fiamma, narrando ch'En- rico colle proprie mani aiutò a rompere il carroc- cio. Nella stessa guisa finalmente anche il Sigonio favella, rimproverando di millanteria Federigo , il quale avendo troncata la sola cima dell' albero, in cui era stata la croce, scrisse di averla gittata a ter- 288 Letteratura ra, quando già era stata portata a Milano insieme colla bandiera. §. Vili. Del trasporto del carroccio fatto da Federigo a Cremona, Sia però come si voglia la presa del conquassa- to carroccio, non v'ha dubbio, che Federigo dopo essersene impadronito , il facesse riordinare alla meglio per trasportarlo a Cremona. Il Sigonio, do- po la narrazione poc'anzi accennata, così prosiegue: Qaibiis collectis, atque in unum iterum corpus re- dactis , se carroccio potitum mediolanensium pu- hlicavit. E lo stesso segretario dell'imperador Fede- rigo, Pietro dalle Vigne, a quanto di sopra abbiamo veduto che riferisce, così aggiunge : Inde reforma- tiim carrocium inediolanense cum potestate filio ducis venetiarum, aliisque captivis Cremonam acce- lerans etc. Ma quand'anche mancassero queste testi- monianze, si potrebbe ciò facilmente dedurre da quanto di sopra si è detto, se pure del tutto non si vuol negar fede agli antichi annali di Milano , al Corio, ed al Fiamma. Conciossiacchè , se questi asseriscono, che il carroccio restò conquassato , fu per conseguenza in necessita Federico di farlo riat- tare, volendo seco condurlo in trionfo, come di fat- to il condusse. Riattato dunque il carroccio , fu esso portato dall'imperadore a Cremona: Postridie, così attesta il Sigonio , Cremonam inis>it, secum trahens car- rocium cum praetore aliisque captivis wnctis, atque antenna vexilli ad terram inclinata. Carrocium au- Del Carroccio 2S9 tem vehehat elephas^ castelhtm, et tuhicines cum vexillis imperii gestans etc. In Pietro dalle Vigne nuU'altro si legge di più, se non che il pretore fu legato per maggior disono- re alla pertica dello stendardo, che era inclinata verso terra. Aggiugne bensì lo stesso autore , che un tale trasporto fu molto glorioso per l'imperado- re ; e con esso concorda il Sigonio colle seguenti parole: Quacumque transibat popiilo frequentissi- mo faiistis vocibus imperatori tantam vieto riam gratulante. §. IX. Della trasmissione del carroccio a Roma. Non contentossi però Tambizione di Federigo de'soli applausi riscossi in Cremona. Quindi volen- do rendere rinomata la sua vittoria anche presso i romani, mandò a Roma il preso carroccio. Ma so- pra ciò è d'uopo riflettere col Sigonio, che una par- te sola ne fu da esso mandata, perchè si conservas- se a perpetua memoria: il che sembra più probabi- le. Una cronaca antica non mai stampata, la quale si conserva nel convento de' padri domenicani de' santi Giovanni e Paolo di Venezia, secondochè ad- ditò il soprallodato monsignor Fontanini , confer- ma s\ fatta trasmissione colle seguenti parole : Car- rocium vero ab ipso Federico missum est romano populo in signum dilectionis. Gualvaneo Fiamma at- testa, che Timperadore: jRo^rti" et asseres in unum, coniunt et Romam misit. E Riccardo da s. Germa- no all'anno 1238 scrive, che Carrochium captum Romam dirigit imperator in signam victoriae. Ma G. A. T. LXXII. 10 290 Letteratura vaglia più di tutti l'autorità dello slesso imperador Federigo, il quale nell' inviare a Roma il carroc- cio, trofeo insigne delle sue vittorie sopra quei di Milano, volle anche accompagnarlo co'versi seguenti: Urbs, deciis orbis, ave, Victor tibi destinor, ave^ Curriis ab augusto Friderico Cassare iusto. Fle^ Mediolanum, ìam sentis spernere vanum Jmperii vires, proprias tibi tollere vires. Ergo triumphorum potes, urbs, memor esse tuorum^ Quos tibi mittebant reges qui bella gerebant. I quali versi furono senza dubbio composti da Fe- derigo stesso, essendosi egli dilettato di poesia non meno latina, che italiana ancora, come può agevol- mente vedersi appresso Niccolò de Gìansilla , e nelle diverse poesie degli autori raccolte da Ber- nardo Giunta nel 1527. Alla qual testimonianza da- ta da Cesare ne'versi poc'anzi recitati , deesi anco aggiunger l'altra da lui stessa data in una lettera scritta al senato e popolo romano , cui superba- mente dà nuova della vittoria riportata sopra i mi- lanesi : Antiquos, cosi egli scrive verso la meta, antiquos in hoc nainque recolinius Caesares , qui- bus ob res praeclaras, victricibus signis gestas , .S*. P. Q. R. triumphos et laureas decernebat. Ad quod per praesens nostrae serenitatis exemplurn viam votis vestris a longe praeparamus , dum de- victo Mediolano currum civitatis utique factionis Jtaliae principis victorum hostiuni praedam et spo- lia destinamus. Dopo le quali chiarissime autorità, non si fa vedere, come il Corìo abbia potuto scri- vere, che le sole ruote del carroccio fossero man- date a Verona. Del Carko«gio 291 §. X. Per quali motivi s'inducesse Federigo a mandarlo. De'motivi poscia avuti da Federigo nel trasmet- tere a Roma il carroccio, è cosa facile il venirne in cognizione, qualor si rifletta alia di lui albagia di far conoscere a' romani la sua potenza, ed all' ambizione per la quale cercava dì disporli pian piano a rispettar quella mano, che avrebbe voluto assoggettarli, se riuscito gli fosse. Già prima di far questo dono sappiamo esser egli nemico de'romani, e tutto a favore deViterbesi, contra de'quali aveva- no quelli allora guerra. L'assedio da lui fatto in va- no del castello Rispanpano vicino a Viterbo (che oggi è tenuta di Santo Spirito) difeso bravamente da'romani, fatto l'aveva ritornare inasprito contra essi nel mese di settembre nel regno. Non lasciaro- no perciò i romani di temere la sua potenza : ed appigliatisi al piìi sicuro partito per mantenere i loro acquisti, procurarono di tornargli in grazia, e d' unirsi con esso. Mandarono a tal fine i loro ambasciadori fino a Cremona, ove Federigo ritro- vavasi; e sotto la scorta di Pietro Frangipane mos- sero guerra in Roma al papa ed al senatore con sedizione ben grande. Motivo ne fu l'essersi disgu- stato Gregorio IX con Federigo a cagion della guer- ra che egli faceva alle citta ed ai vescovi della Lom- bardia, i quali dal sommo pontefice venivan pro- tetti; dal che i romani presero il pretesto di unir- si air imperadore. Indi poco avanti la presa del carroccio spedirono nuova ambasceria, cui fu cor- risposto con segni di amore almeno apparente , 292 Letteratura avendo egli fatto un dono ai romani, che tutto ri- dondava in sua gloria. Era, come si è detto, l'im- peradore per sua natura sommamente vanaglorioso; ma era maggiore in lui l'ambizione, essendo fisso nell'animo di divenire signor di Roma, avendo a tal fine indotto Giovanni Cencio senatore (il quale dopo gravissime dissensioni avute con Giovanni di Polo, gli era stato surrogato) ad impedire l'ingres- so in Roma al sommo pontefice, conforme attesta l'autore della vita di Gregorio IX. Ed il citato Ric- cardo dice chiaramente di Federigo, che pretende- va allettare i romani con un tal dono, per assogget- tarsegli, e perchè scuotessero l'obbedienza da essi al papa dovuta. §. XI. Del tempo in cui fa mandato il carroccio a Roma , e dei senatori romani d'allora. Quantunque non si possa determinare il tem- po preciso, in cui dall'imperadore fu fatto a Ro- ma questo regalo, sembra però molto ragionevole, che fosse fatto nell'anno 123S, conforme attesta Ric- cardo di s. Germano. Imperocché siccome è proba- bilissimo, che prima della fine del 1237 non fosse potuto giugnere in Roma a motivo della strettezza del tempo scorso dal dì della presa del carroccio (che fu, secondo il detto scrittore ed altri ancora, ai 27 di novembre) sino alla fine dell'anno; cosi è difficile a credersi, che avesse voluto far passare un anno e piix prima di farne il dono. Qualunque per altro fosse il tempo precisissi- mo di tal trasmissione, basterà qui pel nostro in- Del Carroccio 293 lento accennare quali fossero i senatori eli Roma in quell'anno. Ma in ciò veramente sono troppo va- rie le opinioni degli scrittori. Il sopraccitato Ric- cardo pretende, che continuasse anco ad esser se- natore Giovanni di Ciucio, che alcuni dicono che fosse della famiglia Cenci, altri della famiglia Fran- gipani: il che suppone esser egli stato senatore an- che nel precedente anno 1237. Il Zabarella poi scrive, che ne'secondi sei mesi dell'anno 1238 fos- se senatore Giovanni Capocci succeduto a Giovan- ni figlio di Cencio Frangipani. E Mario Crescim- beni nel suo Indice de senatori nota all'anno 1237 Petrazzo conte dell' Anguillara ed Annibale degli Annibali vicari dell' imperadore Federigo in Ro- ma , che facevano da senatori ; indi nota nel se- guente anno 1238 Odone signor della Colonna , e Giovanni Conti signor di Poli : ed oltre a que- sti fa menzione ancora di Paolo Conti proconso- lo romano , e di Giovanni del Giudice senatore di Roma, di cui si legge che essendo in tal cari- ca, distrusse le torri de'nemici partigiani di Fe- derigo, ed altresì rovinò il palagio di marmo, no- bile avanzo dell'antichità. Finalmente da tre lette- re scritte in quello stesso anno ai consoli di Ter- racina si ricava, che fosse senatore di Roma un tal Leone di Raniero, che da altri vien chiamato Gio- vanni Pier-Leoni. Fra tanti e si diversi pareri, Ric- cardo di s. Germano, come scrittore pili sincero e pili fedele, pare che meriti maggior fede. Ed in vero, se si ha riguardo a quanto il medesimo rife- risce intorno alla sedizione de'romani mossa da Pie- tro Frangipani centra Giovanni di Poli senatore, e centra il papa, e se si riflette alla convenzione tra que'due d'eleggere un terzo per senatore, si com- 294 Letteratura prova da tutto questo che Giovanni Cencio fosse senatore di Roma in cfuell'anno. Ne dee recar maraviglia, che tanti si nominino senatori quasi in un tempo medesimo. Imperocché in un anno stesso si vede, che più d'un senatore si eleggeva. E benché alle volte se ne ritrovi no- minato uno solo, per lo piii però due in un anno se n'eleggevano, cioè uno per semestre. Anzi, man- cando uno dì essi, altro cittadino romano si surro- gava. Di più, quando avveniva, che personaggi di molta distinzione, o di famiglia reale, fossero sena- tori, avevano seco il vicesenatore, che tal volta si legge essere stato preso in cambio del senatore di cui faceva le veci: come accadde fra gli altri a Gia- como Zabarella in aula heroum^ nominando senato- ri alcuni, i quali sebbene di nobili famiglie, non erano in realta, che collaterali, o giudici civili, e bene spesso soli capitani di guerra al servizio del senato. §. XII. Della collocazione del carroccio nel Campidoglio. L'iscrizione fatta da' romani al carroccio, ed ultimamente ritrovata, conforme da principio di- cemmo, non lascia luogo di dubitare, che il car- roccio trasmesso dall' imperadore fosse collocato nel Campidoglio. Ma prescindendo anche da questa in- dubitata testimonianza , sembra molto conveniente che il carroccio mandato da Federigo al senato e popolo romano» fosse posto nella residenza del se- natore e tribtmale del popolo, che altrove in quei Del Carroccio 295 tempi non era, come or ora vedrassi, se non se nel Campidoglio. Imperocché sappiamo, che fin dall'an- no 1143, circa il fine del pontificato d'Innocenzo II, il popolo romano amante di novità, e sotto pretesto di pubblico bene, contra il volere di lui mise il se- nato nel Campidoglio. Sono sopra di ciò notabili le parole di Ottone Frisingense: Romani in Capitolio conveniente s antiquam urbis dignitatem renovare cupientes, ordinem senatorwn, qui iam per multa curricula temporum, deperierat^constituunt, E cjuan- tuncjue il pontefice Lucio II anche coli' aiuto di gente armata indi si studiasse di rimoverlo, non po- tè però il disegno suo riuscirgli : e non manca an- cora chi aggiugne, che essendo lo stesso pontefice, stipato di gran numero di soldati, asceso al Campi- doglio per estinguere quella rinascente dignità, il popolo imperversato, condotto da un abbominevole furore, fin contra la sua venerabilissima persona se la pigliasse. Della qual intollerabile audacia diede nuovi contrassegni Io stesso popolo di lì a non molti anni, avendo osato fin dentro lo stesso palazzo ca- pitolino assediare nel 1209 Pandolfo della Suburra, senatore di Roma, il quale in niun modo acconsen- tir voleva alle di lui perversità. §. XIII. Deir antica situazione del palazzo senatorio» In quel sito stesso, ove di presente miriamo il palazzo senatorio, era ancora anticamente. Ne di ciò si può ragionevolmente dubitare, essendo certo che fin all'anno 1083 erano anche in piedi le antiche fabbriche, e non affatto distrutte, ove ora si vede il 296 Letteratura palazzo senatorio. Flavio Biondo riferisce ch'Enrico prese alloggio per se, e quartiere pe'suoi soldati nel Campidoglio allora per Luona parte intatto, e che ritornato dalla spedizione di Tivoli, seguitò di bel nuovo a dimorarvi. Il che può credersi che il Bion- do desumesse da Pandolfo Pisano, il quale nella vi- ta di s. Gregorio Vii lasciò scritto: Rex Capitolium ascenditi Romani ut propriam domum habere cae- pit'. e nella vita di Pasquale II : Henricus impera' tor Tiburtinum suscepit^ et paulo post Capitolium ascendit. §. XIV. Deir incendio del palazzo capitolino, e del suo ristabilimento. E quantunque dipoi lo stesso Enrico, inten- dendo che Roberto Guiscardo veniva con un eser- cito in soccorso di papa Gregorio, facesse incendia- re e il Campidoglio e la citta Leonina , è però vero altresì, che pochi anni dopo i romani rifabbricarono sopra le arse vestigie l'antico Campidoglio, e lo fortificarono. Leggesi appresso il citato Pandolfo Pisano che nell'anno 1118 v'eran dentro i Frangipa- ni in istato di valida difesa, a'quali i romani man- darono ambasciadori, perchè rendessero quel luogo; e minacciarono estremi supplizi in caso che di ren- derlo ricusassero. Di sopra si è veduto, che nell'an- no IIAS i romani vi posero e vi ritennero costante- mente il senato: e che nel palazzo senatorio, come in luogo forte, fu assediato il senatore Pandolfo del- la Suburra, il quale finalmente lo cede ai fautori del pontefice Innocenzo III. Si può dunque credere Dkl Carroccio 297 clie nel principio del secolo duodecimo alla piìi lunga iJ palazzo senatorio del Campidoglio venisse da' romani ristorato e riedificato. §. XV. DelV antica forma di detto palazzo^ e della sua declinzione. Se poi cercasi qual fosse la forma di questo palazzo senatorio riedificato dopo l'incendio fattone dall'imperadore Enrico IV, una cronaca romana ri- ferita dal chiarissimo Muratori nelle sue antichi- tà Italiane ne descrive molte particolarità. Dicesi m essa, che nella piazza presente verso l'occidente era un leone, il quale ora si vede entro il cortile de'signori conservatori, e che dalla detta piazza ve- devansi alcune scale, che conducevano in un corti- le , ove erano le porte degli appartamenti senato- ri, e dove era il portico di sopra mentovato, del quale oggidì si veggono le sole vestigia. Ma rivol- gendo il discorso alla forma interna del palazzo riedificato, convien dire certamente, ch'essa non fos- se dispregevole; essendo dipoi servita la nuova fab- brica per palazzo pretorio e senatorio, ed avendo- la abitata gran principi, o che furono senatori dì Roma, 0 che in Boma avvenniva che si trattenes- sero. V'abitarono fra gli altri Carlo d'Angiò conte di Provenza, ed eletto re di Napoli, non solo es- sendo senatore nel 1264, ma ancor quando vi ri- passò andando in Toscana vicario pontificio mentre era vacante l'imperio ; Enrico di Castiglia, figliuolo del re s. Ferdinando III, senatore nel 4267; e Cor- radino duca di Svezia mentre andava alla conquista 298 Letteratura del regno nell'anno 1269. V'alloggiarono in oltre il senatore Lodovico di Savoia nel 1311; Enrico VII venuto l'anno appresso per essere incoronato; e Ro- berto re di Napoli, che fu senatore per molto tem- po. Preso dipoi il palazzo a forza d'arme da Lodo- vico di Baviera, fu da lui e da sua moglie abitato; e poco dopo da Castruccio Castracane signor di Luc- ca, che era restato in vece di lui senatore di Roma nel 1328. Finalmente vi ferono lor dimora Ugone Lusignano re di Cipro, e Carlo Durazzo figliuolo di Carlo II re di Napoli, quegli senatore nel 3361, e questi venti anni dopo. Ma ciò che suol accadere a qualsivoglia fab- brica, la quale per ben fondata e munita che sia, se può schivare ogni altro insulto , non può pe- rò mai schivarne gl'insulti del tempo divoratore , sicché non vada a poco a poco in rovina, ove non se le prestino gli opportuni ristori; ciò appunto accad- de ancora al palazzo del Campidoglio, al quale, per le dissensioni non meno de'nobili, che de'plebei. di Roma, poca o nìuna attenzione fu usata dagli annuali senatori. §. XVI. Della nuo\>a riedificazione fattane da Bonifazio IX. Trovata perciò questa insigne fabbrica di Ro- ma non poco decaduta il pontefice Bonifazio IX, quando nell'anno 1393 tornò in Roma, ed assog- gettò a se il senato e popolo di essa, pensò subito a riformare di bel nuovo il palazzo quasi rovinato, come notabilmente fece, fortificandolo ancora con Del Carroccio 299 quattro torri negli angoli a guisa di castello, con- forme ancor oggi si può osservare, ed in ciascuna delle torri fu posta l'arma della famiglia Tomacelli. §. XVII. Quando fosse fabbricato il portico sopra cui fu posta la memoria del carroccio. Non senza ragione abbiamo premessa la narra- zione delle tre riedificazioni, o siano ristabilimenti del palazzo senatorio, dopo che il Campidoglio fu arso da Enrico IV imperadore; cioè per riconosce- re in quali di essi fosse fabbricato quel portico, so- pra cui fu posta la memoria dell'iscrizione al car- roccio appartenente: e liberamente diremo sembra- re a noi cosa facile il persuaderci, essere ciò avve- nuto nel secondo ristabilimento. Perocché il primo non fu, che un riattamento alla meglio delle mura di quel forte, e delle case abbrucciate: e non si può dire, che avvenisse nel terzo, poiché non compor- tava il fare a bella posta un jportico per collocarvi sopra una memoria di cosa avvenuta 156 anni pri- ma: il che quanto potesse importare a' romani, ognun per se stesso il vede. Ma, che che di ciò sia- si, egli è certissimo, che il detto portico fu innal- zato sulle antiche rovine del Campidoglio, e preci- samente sopra gli archi dell'antico tabulario; assi- curando Francesco Albertini, scrittore del seco- lo XVI, essere state in piedi a suo tempo certe ar- cate d'ordine doppio, addivenute allora porzione de'nuovi pubblici cdifizi, colla iscrizione che da va- ri viene così letta: 300 Letteratura Quintum Lutatium Quinti fllìum Et Quintum Catulum consules coeravisse, È della stessa opinione anco il Nardini , scrivendo che sopra gli archi dell'antico tabularlo, ateneo, e biblioteca ferono i romani una nuova fabbrica, e nel mezzo d'essa alzarono un portico, se si riguarda alla rarità delle colonne di verde antico, assai pre- zioso; ma di pessimo gusto se mirasene T architet- tura, essendosi essi serviti de'rimasugli delle anti- che fabbriche senza osservare i diversi ordini so- vrapposti. Esiste tale quale anche a'dì nostri la suddetta iscrizione sotto la sala del signor senatore nella grande stanza, nominata della munizione. Ma riflet- tendo il Pighio essere stato console Quinto Lutazio l'anno di Roma 675, ed aver avuto per compagno Marco Emilio Lepido, mostra di dubitare che la medesima sia veramente genuina. Pretendono in ol- tre tre rinomati istorici, che l'antico marmo siasi corroso, e forse perduto ; onde siavi dipoi da per- sona meno intelligente stato posto altro marmo : e perciò credono doversi leggere : Quintus Lutatius Quinti fìlius Catulus Substructioìiem et tabularium ex senatus consulto faciendum curavit. Nel detto portico adunque, fabbricato sopra le arca- le degli antichi romani, è d'uopo il conchiudere, che fosse l'iscrizione al carroccio appartenente, con- forme da principio accennammo. Del Carroccio 301 §. XVIII. DelV autore della iscrizione^ e quale ora sia il luogo ove fu posto, e dove presentemente si ritrova. Non si legge presso veruno scrittore, chi fosse mai che compose l'iscrizione del carroccio regalato a Roma da Federigo. Ma può ciascheduno facilmen- te persuadersi, che per decreto del senato e popolo romano fosse fatta comporre e collocare nel portico sopraddetto. Quindi passando a ricercare il sito preciso del- la fascia di marmo sovrapposta alle colonne, nella quale erano scolpiti i versi, che di sopra ab)3Ìamo rapportati, si è ingannato senza dubbio chi ha scrit- to, che fosse nel muro sotto il gran campanile del Campidoglio, mentre essa era dirimpetto all'entra- ta in uno de'due piccoli cortili del presente palaz- zo senatorio, e precisamente in quello che posto a settentrione conduce alle segrete fatte per ordine del pontefice Sisto V; giacche sopra le porticelle delle medesime fu ritrovata l'iscrizione; così che la torre viene a restare dalla parte laterale ed occi- dentale. Non poteva però in oggi ricevere la predetta fascia splendor maggiore, che coli' essere collocata nel muro destro della seconda scala del palazzo de' conservatori nel Campidoglio , ( quasi dirimpetto all'altro monumento antico del Curzio, illustrato con erudita dissertazione da un nostro coaccade- mico, rapito, non ha molto, a noi da morte imma- tura ) per disposizione e benignità singolare del 302 Letteratura supremo nostro principe , che degna tuttavia con indefessa clemenza queste nostre adunanze della presenza sua (1): nel Campidoglio, dissi, ove e gli altri maravigliosi monumenti dell'antichità, e le al- tre preziose cose, di cui è stato ornato soprammo- do ed arricchito dallo stesso supremo signore, ga- reggeranno a rendere il di lui nome glorioso ed immortale. §. XIX. Da chi, come, e perchè fosse tolto il carroccio. Non eLbe però il carroccio da Federigo a Ro- ma mandato quella ventura di rimanere perpetua- mente alla memoria de' posteri, di cui la vana am- bizione di queirimperadore erasi lusingata. Impe- rocché i romani, secondochè ci narra il Sigonio , non solo il tolsero dal luogo ove era stato collo- cato, ma fino 1' abbruciarono ad onta dello stesso Federigo. Ne sospettava egli, a dir il vero, fin da quando inviollo, conoscendo bene di non avere in Roma un troppo saldo partito. Non potè contener- si egli stesso dall' esprimerlo ai medesimi romani in una lettera che loro scrisse: Caeterum quia sus' surrante fama in aure sonat, quod orta rauneris tri- umphalis invidia quosdam, aemulos incitavit, ut ad destructionem carrocii {cuius ostentatio puhlica, et (i) Noi non sappiamo l'autore della presente dissertazione , che manoscritta ci è capitata alle mani. Ma certo è che fu scrit- ta a'templ di Benedetto XIV, il quale della sua presenza sole- va onorare spesso la romana accademia di archeologia. Del Carroccio 303 memordbilis triumphi caesarei decus in urbe dispo- situm, corda eorum dolore penetrai altiori) clan- destinis incendiorum insidlis machinentur'^ univer- sitati vestrae suggerimus ad cautelami quatenus illiiLS custodlae curam et diligentiam adhibere cu- retis. E poco dopo richiede che tutti coloro, i qua- li o occultamente, o in palese, recassero nocumen- to al carroccio, dovessero in pena perder la vita. Ecco quanto per piena intelligenza dell'iscri- zione a'dì nostri trovata sopra il carroccio abhiam creduto d'esporre. Chi poi bramasse di veder la figura del carroccio , potrà pienamente appagarsi in Sertorio Orsato, nel Ghirardani, nel Magri, ed in Antonio Campi, benché quest'ultimo non rappre- senti se non quel di Cremona. Sappiamo esservi al- tri scrittori , che delle cose da noi fin qui dette anch'essi trattano; ma sembrandoci bastantemente comprovato quanto abbiamo esposto, ci siamo cre- duti in dovere di non far un cumulo di testimo- nianze che non sieno necessarie. 304 Osservazioni sul bello. Art. XII. J_J istinto naturale, i bisogni, gli aflfettl deiranimo, l'osservazione e l'imitazione sono le cose, che ope- rando ora separate ora congiunte hanno dato fra gli uomini origine, secondo pensava il Parini, alle belle arti (1). L'uomo è sempre dalla natura so- spinto a procurarsi ciò che gli è necessario, ed in- vitato a cercar quello che egli apprende soltanto co- me dilettevole. Anzi, siccome nel coseguimento di ciò che gli è utile o necessario prova un sentimento gradevole; cosi riesce dilettevole per lui il rappre- sentarsi l'idea di questo conseguimento. Consideran- do l'origine ed i progressi delle arti belle , egli è facile conchiudere, che queste hanno per loro og- getto l'utile insieme e il dilettevole: e che nell'ope- rare talora cercano il diletto per piìi facilmente e pili fortemente promuovere l'utilitk; talora cercano l'utile stesso, per rendere tanto piìi grande e più energica la impressione del diletto. Da queste due cose congiunte insieme, e secondo le varie circostan- ze in vari modi impiegate, risulta cjuel toccare, quel muovere, quel fare impressione, che si disegnano col solo vocabolo interesse o interessare. Il fine (i) Principii fondamentali e generali delle belle lettere ap- plicati alle belle arti. Parte l,c. 3, art. i. {Milano i8oi )■ Sul Bello 305 adunque delle belle arti si è d'interessare, di com- movere dilettando , sia che s'intenda di procurare direttamente l'utile per mezzo del diletto ; sia che s'intenda di rendere più importante il diletto stes- so, procurando anche l'utile. Quindi si stabilisce, che il primo principio o la prima massima fonda- mentale comune a tutte le belle arti si è Vinteresse: il quale non è che la composizione e T accordo di quegli oggetti propri di ciascun arte, che dietro l'osservanza della verità o la imitazione della natu- ra, e secondo le particolari circostanze, sono i me- glio atti a fare una notabile impressione. Ad ottenere il più forte e più durevole diletto possibile colFopera delle belle arti, e nello stesso tempo impedire, che questo diletto medesimo non diminuisca e non degeneri troppo presto nella noia e nel dispiacere : si venne raccogliendo in una con- secutiva o composta opera dell' arte la maggiore quantità possibile di oggetti diversi, che per loro natura o per le circostanze fossero atti a dilettarci simultaneamente. Quindi il secondo principio fon- damentale, cioè la varietà: la quale successiva , o contemporanea che sia, non è che l'unione di molti oggetti diversi fra loro, atti ad eccitare nell' anima nostra o per la loro natura o per l'opportunità del- l'uso una quantità di sentimenti gradevoli , egual- mente fra loro diversi. Allo specchio della natura fu trovato il modo di bene impiegare il principio della varietà, ed ec- co il terzo principio fondamentale delle belle arti, cioè Vanità: la quale non è altro che l'unione di oggetti più semplici in un solo composto, forman- te un lutto distinto e caratteristico dell'arte. iMn qui le arti, che non erano se non che or- G. A. T. LXXll 20 30G Letteratura dinatrici, divennero poi imitalrici, e quasi creatri- ci. Cos'i per mezzo àeìV imitazione e à^W espressio- ne seppero spaziare in una sfera assai più grande e luminosa, e trovare nuovi strumenti, e raccoglie- re nuovi mezzi; onde aumentare di forza crii oeiiCt- o Do ti che esse ci presentano, ed accrescere maraviglio- samente di numero, di quantità e d'intensione le nostre sensazioni aggradevoli. Stabiliti i tre principii fondamentali delle bel- le arti, cioè interesse^ varietà^ unità^ passa l'autore a determinare gli altri generali e comuni , onde risulta la osservanza, e la convenevole applicazione di quei tre mentovati, in tutte le produzioni delle belle arti (1). Varietà ed unitk non si potevano conciliare, fuorché scegliendo e componendo talmente i diver- si oggetti, che ciascuno facesse una impressione sua propria, e nello stesso tempo relativa al tutto dell' opera: ne questo parimente potevasi conseguire, se non osservando le relazioni, che gli oggetti natural- mente hanno fra loro, o che possono accidental- mente avere per riguardo al tutto d un' opera dell' arte. Ed ecco il quarto principio generale, cioè la proporzione (2), ossia certa conformità, la quale passa fra le varie parti, che compongono un tutto , ed una conformità che passa fra queste parli ed il tutto: e la riconosciamo nelle sensazioni, nelle idee, enei sentimenti che vengano in noi eccitati; allor- ché gli oggetti dell'arte operano sopra l'anima no- stra. Le proporzioni poi fra le parti di un tutto so- (i) Ivi, cap. 4. \;ì.] Ivi cap^ 5. Sul Bello 307 no o di qualità o di quantità, e vanno osservate sì le une e sì le altre, perchè l'opera dell'arte possa ottenere il suo fine, o sia di vari oijgetti formare un oggetto solo. Inoltre gli oggetti debbono essere disposti in guisa, che ciascuno di essi vi faccia il piìi grande effetto possibile così rispettivamente a se , come al tutto: e l'arte consegua e il pili fortemente che si possa il suo fine. Ciò si ottiene per mezzo dell'ordi- ne (1), che secondo l'autore significa il collocamen- to degli oggetti e delle parti componenti un tutto dell'arte, in modo che producano il miglior effetto possibile così riguardo alla bellezza del tutto, come riguardo alla loro bellezza particolare. Se la proporzione fra gli oggetti e fra le parti che compongono il tutto dell'arte conduce a crear l'unità ; se l'ordine rende sensibile gli oggetti e le stesse proporzioni: è necessaria inoltre la chiarezza acciocché possa comprendersi e sentirsi la varietà, l'unità, la proporzione e 1' ordine medesimo. La chiarezza risulta in parte dall'ordine, e in parte da altro: i latini la dissero perspicidtas , e non è altro che la distinzione degli oggetti presentati dall'arte , fatta per la proprietà di ciascuno e pei termini con- venevoli: in modo che gli stessi oggetti vengano compresi e sentiti al primo presentarsi che fanno(2). Questa virtii della chiarezza o si considera per rispetto alla composizione del tutto, e proviene sin- golarmente dalla disposizione degli oggetti e dall'or- dine: o si considera per rispetto alla natura ed alla (i) Ivi cap. 6. (a) Ivi cap. ']. 308 Letteratura presentazione di ciascuno degli oggetti stessi, e pro- viene specialmente dall'uso e dall' applicazione de* mezzi, coi quali ciascuna delle Lelle arti costituisce e presenta i rispettivi oggetti. Dall'uso di tali mez- zi dipende il far si, che ciascuno degli oggetti, i quali formano il tutto dell'arte , si presenti imme- diatamente all'anima con quel carattere che ha e che gli conviene, e che perciò lo contraddistingue da ogni altro. Quindi la grandezza delle misure e forme particolari, proporzionate alla natura ed alla distanza del nostro occhio nell'architettura ; quindi l'esattezza de'contorni e la convenevolezza de'colori e simili nella pittura; quindi la proprietà de'termini e dello stile nell'eloquenza. Questa e la poesia e tut- ta l'arte del dire servendosi di segni di convenzione soggetti all'arbitrio, coi quali o ci danno idea degli oggetti, o ridestano nella nostra mente quelle idee che gih ne abbiamo, hanno pili che mai bisogno del- l'osservanza di questo principio : e più che le altre arti , le quali operano meno mediatamente come quelle, che ci presentano gli stessi oggetti che sono nella natura, e ce li rappresentano per via di segni naturali ed immutabili. ha facilità (1) si può definire la prontezza del- l'artista nel concepire l'idea, nel porre i mezzi e nel superare gli ostacoli tendendo al suo fine , ricono- sciuta nell'opera dell'arte da chi contempla 1' opera stessa. La quale facilità non è solo un principio, ma ancora una dote dell'artista, la quale in esso provie- ne parte dalla natura, parte dall'osservazione e dal- la riflessione, e parte dalla pratica. (i) Ivi cap. 8. Sul Bello 309 Questo carattere di facilità nelle opere eccel- lenti, in quanto spetta ad invenzione, può ricono- scersi dal perfetto accox^do di tutti gii altri princi- pii, dalla perfetta composizione delle parti nel tut to, e dal perfetto scioglimento di questo nelle parti, operati per i piìi semplici e migliori mezzi possibi- li, e renduti sensibili in quanto spetta ed espres- sione colle forme le più proprie, le piìi naturali ed opportune, che si possa richiedere nel dato caso. Non solo è necessario, che per l'opera dell'arte si scelgano oggetti atti ad interessare notabilmente l'uomo, che questi oggetti abbiano varietà, che ab- biano proporzione, che formino un oggetto totale per mezzo dell'unità, che siano trovati, accordati, presentati con semplicità e facilità di mezzi ed ope- razioni; ma è necessario ancora, che questi oggetti componenti l'opera dell'arte, e tutta l'opera stessa, siano convenienti colla maggior perfezione dell'uo- mo, ed alla maggior perfezione delle circostanze, in cui può egli rispettivamente trovarsi (1). L'uomo può essere considerato sotto vari aspet- ti, o come creatura senziente, o come creatura ra- gionante, o come avente opinioni e costumi, o co- me avente intenzioni e fini particolari, o come co- stituito In circostanze diverse d'età, di condizione, di luoghi, di tempo e simili. Sopra la base di que- ste cose è fondato il principio della convenevolez- za o decoro , secondo il quale 1' artista operando ha riguardo all'uomo sotto questi e slmili aspetti considerato. Questo principio rettifica l'applicazio- (i) Ivi cap. g. 310 Letteratura ne di tutti gli altri, e da esso il buono effetto dell* opera dell'arte massimamente dipende. Esposti i prìncipii delle belle arti, secondo il Parini, io noto che i tre fondamentali deìVinteres- se, della varietà, deìVufiità, e gli altri onde risulta l'osservanza e la convenevole applicazione dei tre mentovati in tutte le produzioni delle belle arti ponno ridursi all'unico principio deìVordine, qua- lora per esso intendasi anche ciò solo che intende il Muratori, quando lo defimsee « una proporzionata « disposizione di cose o azioni, tendenti sì nel tut- « to come nelle sue parti ad un fine saggiamente « eletto (1): » e qualora si aggiunga, che quest'or- dÌ7ie sia sentito dall'anima e rappresentato per le arti ; come appunto fu per me dichiarato nel di- scorso DelVordine o sia del segreto della bellezza, ed altrove. Al quale discorso eziandio uopo è che mi ri- porti esponendo le idee del professore Gratiliano Bonacci (2). Il bello tanto fiicile a sentirsi , tanto difficile a definirsi, non è altro, secondo lui, che il vero ed il bene per forme sensibili manifestati. Agire sull'intelletto e sul cuore dell'uomo per mi- gliorarlo è in sua sentenza lo scopo, che le arti bel- le si propongono: e ciò mediante quell'irresistibile diletto, che dal bello in mille guise si diffonde. « Condurre gli umani intelletti mediante le « vive immagini del bello al possesso di quelle ve- « rita, che maggiormente interessano il buon vive- « re civile, e commovere gli animi a nobili e gene- (i) Filoso/. Mar. cap. XIII. (2} Noz.fondam. di estetica. Foligno iSo'j. Sul Bello 311 « rosi sentimenti, ed ispirarli ad ogni maniera di « virtìi: « ecco lo scopo generale, che da ciascuna arte bella viene conseguito in un modo tutto suo proprio, e proporzionato agli argomenti , che ella adopera a questo effetto. E da ciò nascono tanti fini particolari, quante sono le singole ])elle arti^ fini pe- rò che rientrano in ultimo nello scopo universale di esse. Rappresentare magnanime imprese , pingere le gesto degli eroi, raccomandare le loro immagini, le loro azioni alla memoria de'posteri, onde ecci- tarli ad una nobile emulazione : ecco lo scopo della pittura, della scultura, e di tutte le arti dipendenti dal disegno. Destare l'idea del maestoso, del subli- me, dell'ordme e dell'eleganza , mentre porge ai mortali il piìi delizioso e comodo ricovero : ecco lo scopo dell'architettura. Allettare la ragione alla co- gnizione del vero sotto le rappresentazioni del bello, muovere la volontà ad operare il bene innalzando la mente a sublimi concetti, e incitando il cuore a no- bili e generosi sentimenti, svegliare l'amor della gloria e della patria ed ogni altra virtìi sì domesti- ca e si publica : ecco in complesso lo scopo della poesia, della musica, dell'eloquenza. Che se queste arti furono adoperate talora a tutt'altro scopo, co- me a blandire i vizi, ad adulare i potenti, a cor- rompere i costumi: egli è evidente ( dice il Bo- nacci ) che deposte furono dalla loro nativa dignitìi per esser vilmente prostituite : esse non erano piìi neìVordijie, erano piuttosto un abuso. E di che gli uomini non sanno abusare ? Quindi egli nota la stretta congiunzione ( anzi dice unificazione ) della filosofia colle arti belle. E vuol dimostrare, che il fondo di queste è una vera poesia, rappresentata con espressioni efficaci, cioè con eloquenza : e che 312 Letteratura la poesia propriamente si riduce ad una versione del razionale nell'ideale. E soggiunge a proposito, che la filosofia altro non essendo che la scienza del- le cose razionali, può trarsi cjuesta conseguenza, che fra le arti belle e la filosofia esiste una perfetta uni- tà. « La ragione discopre i rapporti delle cose e ne u forma degli enti astratti, la fantasia veste con for- « me sensibili cjuesti enti e ne crea delle immagini, « e le rappresenta sotto apparenze materiali e cer- « poree, e le dirige al massimo perfezionamento « dell'umana convivenza. » Così egli: e divide la trattazione nei capi seguenti: 1 dell'indole, e dello scopo delle arti belle: 2 del bello: 3 delle diverse specie del bello: 4 del bello nella mente umana: 5 della espressione del bello, dove della classifica- zione delle belle arti: 6 delle condizioni essenziali del bello nelle opere dell'arte: 7 dell'arte del dire, e recapitolazione. Il pricipio generatore del bello è espresso per lui in questa formola: « Il vero ed il bene tradotti in • immagine, ossia un'idea, da cui si riflette buono a e vero. Quindi a produrre il bello concorrono i « sensi che ministrano le sensibili impressioni, l'im- « maginativa che le combina e ne forma un'idea, a l'intelletto che trovandovi la verità facile con ra- « pida percezione la gusta e se ne compiace, il cuo- « re che trovandovi il bene ne rimane commosso « pili o meno fortemente. „ Male poi furono riguardate da Elvezio le ar- ti belle come cose di puro ricreamento, e mezzi di fuggire la noia. Meglio assai dal Bonacci si veg- gono rivolte al perfezionamento morale. Questi è a lodare ancora di ciò, che presa l'idèa dal Vico e dai savi che seguono quella mente ordinatrice , Sul Bello 313 si studia nelle sue ricerche di mostrare non di- staccati e indipendenti i rami dell'umano sapere; ma congiunti in quella unita che regna nella na- tura ; onde si ammirino poi in un solo armonico sistema il mondo delle scienze e quello delle arti, e trionfi Vordine : che io tengo non solo come il principio di ogni bellezza; ma come l'oggetto e lo scopo dell'universa filosofia. Ciò espressi nella pre- fazione alle xme Osservazioni sul bello ed altrove (1): e mi giova ripeterlo ad onore della filosofia e de' buoni studi, e perchè sìa chiaro a tutti, che io ri- tenendo il principio dell' ordine col Gerdil e col Muratori , e più ampiamente ancora, non sono in sostanza discorde dal Bonacci: il quale si valse al- tresì delle mie Osservazioni^ e col suo sistema sul principio generatore del bello ha avuto in mira « di congiungere nel miglior modo possibile la « scienza del bello a quella del vero e del bene, « onde possa rendere i più utili servigi all'uma- « nità. » In verità ben diceva il savio liberto di Augusto. Se non e utile ciò che facciamo stolta è la gloria del fare. Ed altri pure notò a proposito, che le muse prenderebbero sdegno grande se dir volessimo opera loro le cetre e le tibie soltanto, e non la riforma de' costumi e la temperanza delle passioni : ed io soggiungo più pienamente, se non concedessimo essere da loro la concordia, l'armo- nia; anzi il trionfo dell'ordine: al che forse riguar- dò ancora chi disse le arti maestre di virtù. E qui non voglio lasciare di riferire le parole del Bonacci circa la convergenza delle nostre opinio- (i) Edizione di Lugo i856, e Giorn. Are. voi. 198, pag. 3^5 ed altrove. 314- Letteratura ni sulla bellezza: « Noi ci ravviciniamo a puntino « (cosi mi scriveva a'24 giugno 1837) nulla to- « gliendo alla sostanza quel mio modo particolare di « esaminare il principio generatore del bello, se si « rifletta che mi era necessario presentarlo in quel- « l'aspetto, onde meglio e piìi sensibilmente appa- « risse l'unificazione della scienza del bello con « quella del vero e del bene; e condurre così le « arti sorelle al grande ufficio di perfezionare il « genere umano. » Del resto egli stesso nel suo li- bro (1) si esprime così: « Senza l'accordo dell'uno « col moltiplice non può aversi bello : « il che in altri termini torna quanto il dire: senza ordine non può avei'si bello ; potendo definirsi l'ordine anche l'accordo dell'uno col moltiplice. ,, Quello che è « certo ( dice il Muratori (2) ), la bellezza ha da « consistere nell'ordine; e cjuanto pili di questo or- « dine hanno le cose, tanto piìi son belle. Tutto « pgti ; t^iò : che è bello, è anche atto a dilettarci, « perchè a noi si presenta cjual bene , o quale in- « dizio e sopravvesta di bene, cioè di qualche pre- « gip naturale o morale : per la qual ragione pari- ci mente il vero e il buono belli da noi son chia- « mati. « .'..■! 1- • ' D. Vaccolini (i) ^ pag. i33. (2) Filosofia Mar. e. Xp^L 315 I Maccabei^ tragedia del conte Coriolano di Ba^ gnolo, tra le prose e poesie inedite o rare d^ ita- liani viventi. Bologna tip. Nobili^ voi. ottavo in 1 6. ( Questa collezione esce per cura del prof. Pietro Bernaloò Silorata , nuovo traduttore dei salmi). Vjhi disse le arti belle maestre di virtìi, disse un gran vero, che ben vorrebbe essere inteso da tutti, che o per diletto, o per conforto, o per bisogno qualsiasi ad esse rivolgonsi. E chi disse il teatro scuola di virtìi , vorrebbe tanto piti essere inteso non pure dagli autori, ma dagli attori e dal po- polo spettatore. Egli è gran male pur troppo, che gli uni e gli altri, quanti mai sono, non mirando che a false giocondezze e fugaci trascurino o spez- zino quelle pili certe della morale. E così quelle arti, che dovevano essere ministre di bene, fannosi serve del vizio falsando la natura loro; così accie- candosi al lume della ragione, che invano splende e grida invano, elle si lasciano trascinare vilmente all'andazzo di mode straniere: così nascendo i fiffli fanno paura ai padri; così Dio non si crede o si dispetta; così « Superbia invidia ed avarizia sono « Le tre faville, ch'anno il mondo acceso. „ Ma sìa lode a que'pochi, ingenui cultori delle buo- ne lettere, che rifuggendo di accostare le labbra 316 Letteratura al calice di perdizione, cercano acque di vita, e ile spargono il dolce a ravvivare e confortare gli eletti germi, che ascosi stannosi in c^uesto eterno giardi- no della terra. Del bel numero è da scrivere il sig. conte Goriolano di Bagnolo, che fattosi uno stile puro, elegante, armonioso alla scuola de'classici no- stri, ne ha dato questa tragedia i Maccabei : il cui titolo mostra assai il subbietto nobilissimo. A tutti è noto, come il re di Siria Antioco Epi- fane, presa Gerusalemme, vi fece strage, e fu cru- dele agli ebrei. Mentre egli straziava duramente questi ultimi, che al falso Giove non inchinavano, fu la morte generosa del vecchio Eleazaro, che ri- cusò cibarsi di carni vietate dalla legge e neppu- re farne sembiante: e fu il martirio di sette fratelli Maccabei e della madre loro. Ecco argomento da illustrare le scene, da porre in tutti costanza e fe- de: ed ecco come il nobile autore togliendo le cir- costanze, che poteva, dai sacri libri, lo ha esposto nella tragedia. Noi ne daremo non più che un cen- no, quanto basti ai savi nostri lettori, e sia conces- so dai limiti, che ci sono prescritti. La scena è in Gerusalemme, prima nella casa de'Maccabei, poi nel palazzo di Antioco, e in parte nel tempio. I personaggi, non piìi che i necessarii, Antioco, Eleazaro, Rachele (la madre), Gionata (suo figliuoletto, il minore de'Maccabei), Nicànore (duce di Antioco), Filippo (sacerdote di Giove), soldati e popolo. Al l*^ atto Rachele è da Eleazaro fatta certa del venire di Antioco vincitore a Gerusalemme, e de'sei figli di lei prigieniori : niuna maggiore speranza che in Dio, piii lontana nel soccorso invocato da Ro- ma, pili vicina nelle armi di Giuda. A questo collo- Tragedia del Bagnolo 317 quio viene terzo il piccolo Gionata, narra prodigio veduto di contro al sole di cavalieri armati che tra- scorreano per l'aria: e in compagnia di Eleazaro muove al campo a confortare i suoi. Rachele ben prega al santo Dio di Giacobbe, che liberi il popol suo dal giogo e dagl'insulti dello straniero. Al 2° atto Antioco è con Filippo, sacerdote dì Giove, il quale richiesto dal re, e dettogli come la città insulti al regio nome, lo consiglia a struggere Tara ed il culto del Dio d'Israele, e la schiatta de' Maccabei : ìì . Di sovran valore „ Ferve quel Giuda, ch'or la spada in campo „ Stringe animoso ad oscurare, ahi folle ! „ L'alto splendor di tue vittorie. Intorno „ Satelliti minori a se raccoglie „ I Maccabei pur tutti; e forza e ardire „ V'aggiunge Eleazàr coll'inspirata „ Voce che tuona, e di veggente assume „ Le forme antiche. Ei persuade, infiamma, „ Ei solo inganna. Ben sostegni questi „ Son d'Israello alla crollante casa. „ Tu gli rimuovi con possente mano, „ E disciorrassi in polve Così parla Filippo ad Antioco, e Io accende all'ira e alla vendetta. Entra Nicànore duce delle armi del re, e gli dice di un'imboscata, che i nemici tentava- no per avere in mano lo stesso re: e come esso li ha prevenuti e vinti : tra i prigionieri conduce i mi- nori Maccabei, mentre Giuda il maggiore preparasi a nuovi cimenti : chiede se debba aspettare o sfi- darne l'impeto, e il re gli dice: 318 Letteratura „ Va, pugna, trova o la vittoria o morte. Indi impone a Filippo, che corra al tempio, e spo- gli e atterri, e il culto vi ponga di Giove: o così sul colle di Garizim onorar faccia Giove ospitale. Elea- zaro viene per parlare ad Antioco, e trova Filippo, che vorrebbe sapere il motivo del suo venire, e lo dileggia. Al 3° atto Antioco impone a Nicànore di rac- co2fliere i soldati a difesa, lasciando Lisia nel cam- pò, e di spiare intanto i moti della città : indi ode Eleazaro, e gli dice : ,, Al tempio vanne: di vietati cibi „ Ad Israel là troverai gran copia. „ Di lor non gusta, ne a ciò pur ti astringo; „ Ma di gustar sol mostra. All'inatteso ,, Atto ingannati, piegheransi a gara ,, Quei che sull'orme tue mandano i passi. „ Cosi li salvi, ed illibato restì. Ne già potendolo indurre, ne anche col timor della morte, a piegare la fronte al falso nume, fa venire a se Rachele sperando trarla al suo volere colla persuasione; ma invano: allora fa entrare il piccolo Gionata in ceppi, e minaccia; e tuttavia ne il figlio ne la madre si scuote. Intanto Filippo ri- torna dicendo avere spogliato il tempio, e alzato l'idolo sull'ara santa : torna insieme Nicànore di- cendo, che ferve la pugna, e Lisia s'impromette vit- toria sopra Giuda. Al tempio tratti voglionsi Elea- zaro, Rachele, Gionata e gli altri figli di lei: Tragedia del Bagnolo 319 ,, A lenta „ Terribil morte soggiacer den tutti, „ Se d'obbedir ricusan Crude parole dì Antioco ! Al h-^ atto nel tempio Rachele incuora Gionata a star saldo nella fede : ed ecco Eleazaro, che avvi- sa il venire tra le guardie de'prigionieri Maccabei : la madre vorrebbe accostarsi a loro ; ma respinta dai soldati, dice: „ Crudi, „ Barbari voi, ad una madre il passo „ Vietar osate ? Ah non avete voi, „ Dite, una madre ! Qui Filippo intima a nome del re, che i vinti pie- ghino all'ara di Giove , ed ardano i greci incensi ; ma ninno si piega. letro solo si avanza degl'israeli- ti, e mentre prostrato si accinge al sacrifizio, Elea- zaro con un pugnale l'uccide. In quella viene An- tioco, e mentre disfoga la sua ira sopra Eleazaro e gli altri, Nicànore d'improvviso annunzia che nel- la pugna Giuda trionfa ; onde il re accorre al peri- colo, ed invia al carcere que'cuori indomiti. All'ultimo atto Antioco rassicurato ode Filip- po, il quale annunzia di avere dato a morte Eleaza- ro ed i Maccabei, meno Gionata: e dice della fermez- za loro e di quella di Rachele , che incorava i figli alla morte. Estrema prova pensa il tiranno, lo stra- zio del piccolo Gionata sugli occhi della madre : fi venirli a se dinanzi, e tentate invano le lusinghe lascia lo sfogo all'ira. E Rachele come ispirata dice così : 320 Letteratura „ Io già il futuro „ Quasi lucido nembo a me appressarsi „ Veggo. Presso mi sta : che fia ? . . . qual mano ,, Qual lunga lunga mano Antioco segna ? „ Guanto ha di ferro, è fuoco il brando, e intorno „ Roventi e nere le scintille spande. „ Odo !... Che disse ? -Son d'Iddio lo sdegno.- „ Tu fuggi, o re, sopra veloce carro, „ Tu fuggi: è vana la tua fuga, è tarda. „ Raggiunto sei, la terra ecco già premi. „ Oh vista orrenda ! Oh inarrivabil, somma „ D'Iddio possanza! Ecco che un mucchio,un monte „ Di luridi schifosi immondi vermi „ Su lor preda precipita; chi sveglia, „ Chi nutre in loro la tremenda fame ! „ Sento il soffio spirar dell'ira eterna ! „ Dell'empio, Iddio trionfa ! oh nuova vista ! ,, Che fu? spariron tutti - Antioco, Antioco, „ Ove ove sei ? Non ossa pur, non polve, ,, Riman, non striscia di tua lunga luce. Antioco offre ai generosi la scelta tra la vita e la morte, ed anche il fanciullo sceglie la morte. Qui entra Nicànore ad avvisare la morte di Lisia , e la gravezza delle armi di Giuda. Antioco manda a morte Gionata, facendolo strappare dal seno della madre infelice, che ancora resiste : vuole che veg- ga ella stessa la morte del figlio ; ma tutto è nulla a piegarla; perchè alla fine mandata al supplizio esclama : „ Mici figli, oh gioia ! „ Per sempre il ciel ci ricongiunga, io volo. Tragedia, del Bagnolo 321 Ed Antioco da ultimo: „ La scure oprai contro grinerml; or contro ,» Ai ribelli guerrier si adopri il brando. „ Dio d'Israello, i tuoi già caggion tutti; „ Ma il vinto io sono, i vincitor son essi. L'azione e semplice ed una: ne manca d'interesse 9. chi sente nelfanima la dignità della religione e del- la patria, e sa l'amore di una madre, e abborre la servitìi, e l'orgoglio di un crudo conquistatore. Tut- to può perdersi al mondo, la religione non mai; il resto è alla terra, dessa ci apre il cielo ! Noi non possiamo che lodare il tenersi alle norme de' classici, norme che sono figlie non del capriccio, ma dell'esperienza, e sole segnano le vie del cuore per commoverlo colla pietà e col terrore. Non sappiamo, se a tutti potrà piacere il dialogo talvolta freddo, ed un pò lenta l'azione, e pili che mai quella uccisione di letro (1). Quanto ai versi, da' pochi arrecati ognuno può giudicare la bontà degli altri. Noi ci permetteremo notare, quasi om- bre in un bel cielo, i seguenti, che non splendono di chiaro lume, o piti veramente non contentano coU'armonia: (i) Non vogliamo lasciar di osservare, che la santa istoria ci narra di Matatia sacerdote, come visto un giudeo venire a sacri- ficare agli idoli , tutto infocato di zelo per la legge lo trucidò sopra l'altare; e voltosi ad un ministro del re, lo uccise, e di- strusse l'altare. Ecco adunque quella morte di letro giustificata nella tragedia; onde per questa parte ancora non è che da ap- provarsi l'autore. (D. V.) G. A.T.LXK1I. 21 322 Letteratura Atto 2 jc. 2 - E su te tutta riversarne Tonta. „ »» 3 - Del re dell'Asia fea il valor possente, „ )> ^ - Dal re verragli l'usurpata possa. „ „ 5 - O tu di basso tanto animo vile. Ma queste sono assai lievi mende in tanta bellezza. Segua il nobile autore a battere le orme sicure del Maffei, del Varano, del Monti, e del tragicissi- mo Alfieri: e ristori cogli altri pochi il teatro ita- liano che mal si difende da un profluvio di stra- niere assurdità con pericolo della domestica glo- ria, della morale, e della lingua ! D. VAccoLini Aggiunte air opera del costume antico e moderno di tutti i popoli^ cogli analoghi disegni. Del dottore Giulio Ferrarlo. Firenze presso K. Battelli e fi- gli in 8. fig.Fol. I. Jn. i 833, 1 834 di facce 402 e tavole XLV colorate Voi. IL Jn. 1834, 4837, di facce 546 e tavole LXXXVIII colorate. R on ebbe torto, a creder nostro, il dott. Ferrarlo quando asserì che un'opera così grande ninno for- se immaginò ; certo ninno eseguì con tanto ordine, ed in sì vasta estensione.Essa fece onore all' A. eh. ed anche al tipografo per la precisione e lusso dell'edi- zione, ed onorò Italia nostra, e questo secolo che la vide venire alla luce. Di ogni nazione, di ogni po- polo sono in essa raccolte esatte notizie geografiche, Costume antico 323 topografiche, cronologiche : quindi di ognuna par- titamente si discorre per ciò che ha relazione al go- verno, alle leggi, alla religione, alla milizia; si di- scorre dei riti nuziali e niortuali, delle arti mecca- niche e delle liberali, della letteratura e delle scien- ze, della musica e della danza; si discorre dei con- viti, degli abiti, delle suppellettili, delle feste, dei divertimenti, del giuochi, del commercio, della lin- gua, dei pesi e delle misure; e di che cosa no? Porta- ta l'opera al suo termine, facilmente vedeva ognuno, com'essa avrebbe avuto bisogno di aggiunte: perchè molte son le notizie che ci han recate i più recenti viaggiatori: e se tali notizie non eran fatte pubbli- che con le stampe allorquando il Ferrarlo die prin- cipio alla vasta sua impresa, ragion voleva che di esse si formasse un supplimento , onde render l'opera meno incompleta che fosse possibile. Dicia- mo meno incompleta, perchè di sua natura è tale che può ricevere giornalmente notabili aumenti; sia per nuove scoperte, sia perchè alle costumanze di quest'oggi ne subentran dimani delle altre; sia in fine perchè tutto ciò che dipende dalla volontà de- gli uomini è mutabile e vario. Del supplimento pub- blicato dal sig. Ferrarlo faremo brevi parole, atte- nendoci all'edizione fiorentina; la quale, comcchè di minor costo, più facilmente potè far parte della privata nostra biblioteca. Dopo una breve prefazione, nella quale l'A. eh. fra le altre cose pone allo scoperto una riprovevole tentata seconda associazione alla prima edizione del- l'opera principale; e giustificando se stesso presso gli associati, ne fa ricader la vergogna sopra chi l'aveva tentata; da egli principio alle giunte, e se- guendo la primaria distribuzione incomincia dall' 324 Letteratura Asia; e primi fra gli asiatici dai cinesi. Prima dì di- re però che cosa si contenga nei due costumi annun- ziati, crediamo dover notare che in queste giunte il Ferrario non ebbe alcun compagno, collaboratore alcuno: il Levati, il Gironi, il Rossi, il Magnetti, il Bossi furono gli estensori chi di una, chi d'altra parte dell'opera principale; e molte furono scritte dallo stesso Ferrario; ma questo supplimento , il quale si spaziera in quattro volumi, è tutta ope- ra sua. Nel primo dei due volumi annunziati leggonsi le giunte al costume: 1°. De cinesi ( p. 1-40 ), cui fan corredo cin- que tavole in rame; tre, desunte da alcune miniature dell'Ambrogiana, rappresentan mandarini e donne di diversi gradi; le altre due son copia di quadri , in cui veggonsi giuocatori al paro e dispari, e giuo- catrici alle carte. Fu di fondamento a queste giun- te il viaggio di Timkowski del 1820, pria dato al- le stampe in lingua russa; poi dal Klaproth tradot- to e con note ed aggiunte pubblicato a Parigi nel 1827. 2. DelV isola di Hay-Nan ( p. 41-45 ). Le noti- zie son desunte da un articolo del Qiiaterlj Orien- tai Magazine di Calcutta; da una descrizione del Klaproth; da alcune osservazioni del cap. Rossi. 3. DelV isola di Tay-TVan, o Formosa (p. 46- «-49), prendendo a guida il Klaproth nel voi. 20" de- gli annali de'viaggi. 4. Della Corca ( p. 50--52 ), seguendo il ricor- dato Timkovski. 5. Delle isole Lie-Kieu ( p. 53-69 ), dietro le tracce di una relazione del cap. W. Eddis, e di una seconda del cap. Federico Beechy. Costume antico 325 6. Dell' Indostan ( p. 70-96, 117, 13G ), d'ap- presso le interessanti memorie del general Malcolme, le Jettere e la relazione di un viaggio nelle provin- cie superiori dell'India del vescovo Heber, e gli ab- bozzi dell'India, editi nel 1824. Vi sono 13 tavole di corredo ( dai n. 6 al n. 18 ): le prime cinque, nelle quali veggonsi venti ritratti d'incogniti perso- naggi operati nello stesso Indostan, furon desunte da un libro di un cav. piacentino, che ne contiene assai più; le rimanenti otto furon copiate dalle in- dostaniche della reale biblioteca di Francia pubbli- cate dal Langlès. Dei sirinurii ( p. 97-99 ); dalle memorie di Giorgio Rodney Blane. 8. Dei hhill ( p. 100-116 ), dietro le orme di una memoria del gen. Malcolme inserita nelle tran- sazioni della reale asiatica società. 9. Dei birmani ( p. 127-133 ), seguendo le ope- re di Alexander, di Witlie, di ludson, di Snodgrass ; e l'inglese viaggiatore moderno. 10. Dei klidjang delt Arracan ( p. 134-136 ), prendendo a guida il giornale asiatico dell' ago- sto 1828. 11. Della Cocincina ( p. 137-141 ), dalle me- morie di Puresoy, l'estratto delle quali si legge nel- \ Asiatick ioiirnal dell'agosto 1825. 12. Del regno di Siam ( p. 142-148), d'appres- so la relazione della missione di Grawford a Siam, edita da Finlayson. 13. Di Malacca o Malaja ( p. 149-152 ), dal Sincapour Cronicle del marzo 1825. 14. Della Palestina ( p. 153-246 ). Dispiacente il sig. Ferrario di essere stato nell'opera principale pili diligente osservatore e relatore delle greche e 32G Letteratura romane antichità, che di qiie'luoghi santi ne* quali vennero operati i piìi venerandi misteri dell'augusta nostra religione, corregge in tali giunte quella man- canza; e ci da una dettagliata notizia di essi santua- ri, seguendo le piìi recenti descrizioni di Chateau- briand, di Mayer, di Connor, di Burckard, di Bal- dini. Non dispiaccia al cortese lettore seguirlo con noi in questa parte men rapidamente. Dopo una de- scrizione della Palestina, si reca egli a lafa; porto in cui sogliono sbarcare i pellegrini che vanno a terra santa. Abbandonato quel porto, passa a s. Giovanni d'Acri ( l'antica Tolemaide ); quindi a Nazaret, on- de visitare quel gran santuario, nel quale s'incarnò il Redentore promesso da Dio all'uman genere ; vi- sita il Tabor; poi Gel, dove Giona fu sepolto; ed en- trato nella valle Zàbulon, va a Gana di Galilea: pas- sa il deserto, ove fu operata la moltiplicazione de' pani e de'pesci; viene a Tiberiade; costeggia il ma- re di Galilea verso il Giordano ; visitato il quale torna a Tolemaide, e veleggiando di nuovo verso lafa, vede il Carmelo. Da lafa si dirige per la pia- nura di Saron, passando Rama ( l'antica Arimatea ), scendendo la valle di Geremia, e quella di Tere- binto; passato un deserto giunge a Gerusalemme» Della quale famosa e sciagurata citta accenna il Terrario la storia, e ricorda come bene IT volte fossa presa, saccheggiata, arsa, distrutta. Entratovi per la piazza del Bazar, mira le mine della casa del ricco Epulone e di quella del mendico Lazzaro: va alla casa di Pilato, da cui vede la moschea eretta sul luogo dell'antico tempio di Salomone, e la pro- batìca piscina, ed il palazzo di Erode. Esce quindi dalla cittk per poi rientrarvi; esce dalla porta di Damasco; passa i burroni alle radici del Sion, vede Costume antico 327 la tomba di Rachele; giunge a Betlemme, e adora il Salvatore nel luogo stesso del suo nascimento. Prende quindi la via del monastero di s. Saba fab- bricato sul burrone del Cedron ; si dirige al Mar Morto; e visto il luogo della Pentapoli, si reca al Giordano; osserva Gerico ed il fonte di Eliseo; tra- versa Betania, ove visita le ruine della casa di Mar- ta, ed il sepolcro di Lazzaro; e scendendo il mon- te degli ulivi passa il Cedron nella valle di Gio- safat, e rientra in Gerusalemme per la porta dei Pellegrini. Visita allora la chiesa del s. Sepolcro, che rinchiude anche il Calvario; e n'esce per se- guire la nìia dolorosa che al Calvario conduce dalla casa di Pilato. Vede in questa la finestra dell'acce Homo, e di là non lungi la colonna nella quale fu appesa la sentenza di morte dell'uomo Dio: quindi il luogo, in cui Maria santissima incontrò il divin tìglio con la croce sulle spalle; poi l'altro, in cui Simone il cireneo lo sollevò di quel peso; poi quel- lo nel quale incontrò le sante donne piangenti; e la casa di Veronica; e la porta giudiziaria. Non lascia inosservati altri monumenti entro la santa cittk; son tali le ruine della casa di Anna il pontefice; il luogo dell'apparizione del Salvatore alla Maddalena; la casa di Simone il fariseo, e quella di Zebedeo; ed il convento degli armeni, in cui fu martirizzato s. Giacomo maggiore. Ne visita poi altri ne'd in tor- ni della citta; cioè la piscina di Betsaida; le ruine della casa di Caifas; la tomba di David; il santo ce- nacolo; la piscina di Siloe; la valle di Giosafat; il villaggio di Getsemani; la grotta del calice di ama- rezza nel giardino degli ulivi; le tombe de'profeti; il luogo dell'ascensione. Noi non seguiremo il N. A. nelle descrizioni che fa dell'antico tempio di Salo- 328 Letteratura mone, e delie motlerne moschee; ma non lasceremo rli ricordare che questa parte delle Giunte viene or- nata di 23 tavole in rame ( si riprincipia in esse la numerazione ), le quali con bell'ordine e diligenza ci pongon sott'occhio i principali fra i sacri monu- menti descritti. Continuando il Ferrarlo, ci da le Giunte al costume 15. Dei drusi ( p. 247-250 ), seguendo l'opera di Gonnor. 16. Dei giudei ( p. 251-ÌZ61 ), tolto dall'opera del nostro professor Lanci; da cui pure son copiate le due tavole di accompagno ( N. 34-35). 1 7. De^li ordini religiosi e militari istituiti nel- la Siria e nella Palestina per la conservazione dei luoghi santi ( p. 282-280 ), desunte dai costumi di T. Gh. Bar, con altre due tavole di corredo (N.36-37). 18. DelV Arabia Felice ( p. 281-295), seguendo il viaggio alla Mecca del sig. Descoudray, con tre ta- vole rappresentanti varie fogge di vestiarioCN.38-40). 19. Degli armeni (p. 296-301 ), tolte dagli an- nali de'viaggi del 1828. 20. Degli abitatori delle steppe di Astracan e del Caucaso ( p. 302-315 ), d'appresso il viaggio di Potoki, con una tavola (N. 41 ), nella quale veggon- si in guscio osseti^ turcomani^ circassi e nogari. 21. Della Russia meridionale (p.3 16-359), dal- l'opera del cav. Gamba, con sei tavole (N. 42-47) rappresentanti circassi, niingreli, inimireti, abassi, lesghi, giorgiani, persiani , curdi, tartari , ed un harem persiano. 22. Dei mongolli ( p. 360-384 ), seguendo le tracce del saggio storico del Timkowski con le an- notazioni di Klaproth; e finalmente 23. Del 2\Lrchestan orientale o piccola Buca- Costume antico 329 ria cinese ( p. 385-39T ), dalla medesima opera del Timkowski. Nel secondo volume si hanno le giunte all'Ocea- nica, o quinta parte del mondo; poi quelle all'Af- frica. Derivan tutte le prime dal viaggio di Freyci- net, e dalle relazioni di Arago e di Quoy di lui compagni; e dividonsi in nove artìcoli, cioè 1. DeWisola Timor ( p. T-3S ), con l'accompa- gno di i3 tavole (N. 1--13 ). 2. Dell'isola cCOmbaj ( p. 38-39 ), con due ta- vole ( N. 14-15). 3. DeWisola di Guehe ( p. 40-42 ), con altre tre tavole (N. 16-18). 4. DeWisola Pisang ( p. 43 ), con una tavola (N. 19). 5. Delle isole di Papù^ Rawan, fregia, Boni e Manuaran ( p. 44 54 ), con tre tavole ( N. 20-22 ). 6. Delle isole Caroline (p. 55-71), con quattro tavole ( N. 23-26 ). 7. Delle isole Marianne (p. 72-79), con sei ta- vole ( N. 27-32 ). 8. Delle isole Sandìvich ( p. 80-100 ), con due tavole ( p. 33-34 ). 9. Della nuova Olanda ( p. 101-107 ). Seguono le Giunte al costume dell' Affrica; e principiando dall'antico Egitto e dalla Nubia, pren- de a guida il N. A. le opere di Biirkardt, Caillaud, Hamilton, Banks, Lcake, Drovefti, Belzoni, Rifaud, CUampollion, loungs, Salt, Felix, Burton , Wilkin- son e Rosellini (p. 109-304). Questo esteso arti- colo vien suddiviso in piìi paragrafi. Si dice nel primo della topografia monumentale , nel secondo della religione ; nel terzo del governo ; in altro del costume religioso e civile ; ed in altro final- 330 Letteratura mente della scrittura secondo la teoria di Cham- poUion. Il tutto vien corredato da 25 tavole in rame ( si principia in esse la numerazione ). I costumi moderni de'medesimi luoghi son de- scritti separatamente. Dall'opera di Rifaud son trat- te le notizie del Massr o Egitto wotì?er/zo(p.305-316): da quelle di Belzoni e di Burckhard le costumanze de'moderni abitanti della Nubia ( p. 317-334 ) : da quella del Cailliaud gli usi della Nubia inferiore ( p. 335-353 ), con l'accompagno di cinque tavole in rame ( N. 26-30 ). Da queste regioni passa a quelle dell'Affrica centrale: cioè 1. Dei bornuaiii ( p. 354-365 ), desumendone le notizie dei viaggi di Oudney, Denham e Glapper- ton: con tre tavole ( N. 31-33 ). 2. Dei mauri brakna, demarabuti^ degli assa- ni^ dei fulach, deilandama^ naia, bagò, dei man- dinghi, bambara, degli abitanti di Tenne .^ Tem- boctu etc. ( p. 366-422), tratte dal viaggio di Gailliè, con due tavole ( N. 34-35 ). 8. Dei popoli lungo il Niger, detto Dhilibba o Quorra dai moderni africani ( p. 423-44T ), d'ap- presso la spedizione dei fratelli Lander, con una tavola ( N. 36 ). 4. Del Congo o dell'interno delV Affrica equi~ noziale ( p. 440-517 ), desunte dall'opera premiata di Dauville; con dieci tavole ( N. 37-46 ). 5. Della Barbaria o regione del monte Atlan- te, e di quella del gran deserto o di Sahara, appli- cabile agli slati di Tripoli, Tunisi, Algeri e Maroc- co ( p. 518-540 ) con otto tavole ( N. 47-54). E questa la material distribuzione dei due vo- lumi che abbiamo annunziati^ sono queste le fonti, Costume amtico 331 dalle (juali 11 sig. Ferrarlo desunse le notizie per ta- li giunte. Essendo esse, come ognun vede, un estrat- to di molte opere, distribuito con un prestabilito metodo, difficilmente posson dar materia ad un sun- to; perchè dirne poco, non soddisferebbe il cortese lettore; dirne molto, noi comporta la ristrettezza di questi fogli. Ci lusinghiamo però che non sia per dispiacere, se da questi due volumi sceglieremo al- cuni fra i diversi usi e costumi, che riferisconsl alla celebrazione delle nozze, facendone un breve cenno. La poligamia è comune presso i birmani., i cai- muchi, i timoriani, ed altri popoli: appo i carolinesi è un distintivo onorifico; e nel Bertat possono gli uomini prendere tante donne, quanti sono i buoi e le vacche che posseggono. Gli ingusci però possono avere sino a cinque mogli; dopo la morte del padre, i suoi figli le sposan tutte, ad eccezione della pro- pria madre, che viene sposata dagli altri fratelli non uterini. Per contrario nel Sirmon la poliandria, ossia l'uso che permette ad una donna di avere due o piti mariti, è in pieno vigore: spesse volte due fratelli ereditano beni in comune, coabitano con la stessa donna, ed in tal caso conservano intatte le loro fa- colta. Non v'è cosa piìi semplice delle ceremonle nu- ziali presso i birmani. Un banchetto riunisce le due famiglie; gli sposi assaggiano insieme un miscuglio di foglie di the infuso nell'olio, mangiano nel me- desimo piatto; ed il matrimonio è compiuto. Questa estranea semplicità porta di conseguenza che il di- vorzio non sia soggetto ad alcuna legge. Anche i bor- nipani si separano a lor talento dalle mogli, pagan- clo alla ripudiata una pensione. A Bussa, quando il marito incomincia a trattare aspramente la consorte, 332 L E T T E n A T U R A essa sen parte, e torna dai suoi parenti, i quali la considerano come se fosse ancor nubile. Ma presso i negri dei Cahui giammai l'uomo ripudia la moglie, se questa non vi consente ; anzi l'onor di una donna sta spesse volte nella dimanda che essa fa della se- parazione. Semplici son pure le ceremonie nuziali presso i khyang. So uno vuol prender moglie , manda in dono alla donna che sceglie bufali, porci e tela, a seconda delle proprie facoltà. Se essa acconsente, lo contraccambia con una lancia, e con un kho7igj ossia vaso in cui si distilla l'acquavite di riso : po- scia i fidanzati promettono innanzi ai testimoni di vivere come marito e moglie ; e le cerimonie san terminate. Nel Bertnt similmente ristringonsi le cerimonie nuziali nel banchetto, in cui bene spesso si consumano le vacche ed i montoni, che i pili ric- chi danno in dote alle figlie. Fra i mandingìii il giovin offre un prezzo consistente in due schiavi: questi passano in proprietà della madre della sposa; e poi di notte senz'alcuna religiosa formalità com- piesi il matrimonio. L'araJjo fellah^ allorché vuole ammogliarsi, va a trovare il padre di qnella che ha scelta, e conviene seco lui del prezzo che pone alla cessione di sua fi- glia. Dacché il mercato è conchiuso, po( o denaro bi- sogna per le nozze: la casa non esige grandi spese, essendo una delle tante caverne, non bisognevoli di letto, non di porta , perchè poro o nulla v' è da custodire. Tre o quattro vasi di terra, una pietra per macinare il grano, una stoia per letto, son tut- te le snppellettili; la donna dee recar seco i vesti- menti; e se lo sposo è galante, la dona di un paio di smanigli di vetro. L'arabo almhdeo invia al pa- Costume antico 333 tire della giovine, sulla quale fissò gli sguardi, un camclo ; se il dono è accettato, di persona si reca insieme ad un testimonio a chiederla in isposa. Sl;i- Lilito il giorno delle nozze, per sette dì non può lo sposo veder la sua futura; l'ottavo gli vien pre- sentata, e si banchetta, e si assiste a corse di ca- meli. Nel seguente giorno la giovine coppia fa l'in- gresso nella tenda del marito; e da quel punto in appresso la suocera non deve mai piìi parlare col genero, ne con sua figlia. Sacra è presso i timoriani la istituzione del matrimonio. L'uomo compra la donna ad un deter- minato prezzo ; vive unito ad essa in perfetta u- guaglianza; e benché sia tollerata, come si disse, la poligamia, ed anche il concubinato, pure la don- na del primo matrimonio è sempre di diritto e di fatto la vera padrona della famiglia. Presso i bliill sono i genitori quelli che stabiliscon le nozze : an- che presso i bagìì, e fin dall'etU di sette o otto anni; da quell'epoca i fidanzati vivono insieme; ma non si celebra il matrimonio, le cui ceremonie consistono in un gran pranzo, se non quando i parenti si av- veggono, che la verginella cessò di esser tale. Nelle isole Sandwich entra l'uomo in una capanna, e prò» pone dieci braccia di stoffa in cambio di una ragaz- za, provando insieme che ha sufficienti facoltà per mantenerla. Se si accetta il partito, egli la conduce seco, e dopo qualche giorno ha diritto di lasciarla, e prenderne un'altra: ma se la donna da prove di essere incinta, il marito è costretto a ritenerla , e considerarla come vera moglie. Nel Sennar non è permesso al marito di abita- re con la sposa durante i primi sette giorni: essa sta rinchiusa in una specie di alcova; ma i convitati 334 Lettkratura rimangono in casa, succedendosi gli uni agli altri, e dura il banchetto l'Intera settimana. Presso i marabuti^ ottenuto che abbia il futuro l'assenso della donna e de'parentì, e stabiliti i vicen- devoli doni, non può durante il giorno veder la sua sposa; ma allorché imbruna la notte, si reca egli in sua casa, e sta con essa sino all'alba: e quest'indecente costume dura ben due mesi, dopo i quali celebransi le nozze al solito con un banchetto. Assai piìi demo- ralizzati sono i mohia. Appo loro una giovine è sem- pre pili stimata a seconda del maggior numero di sue galanti avventure , prima di determinarsi a prender marito; ma appena essa è incinta, deve far la sua scelta, e rinunziare ad ogni capesteria, a me- no che non vi concorra l'assenso dello sposo , il quale rade volte è severo. Per contrario i maleki son gli uomini i più gelosi del mondo prima e dopo il matrimonio. Vogliamo riguardo ad essi rimarca- re una sola costumanza ; cioè la solenne processione destinata a portare in mostra i documenti che pro- vano la sariezza verginale della sposa. Presso i carolinesi può il marito ripudiar la moglie che tradì la fede coniugale ; e può la donna separarsi dal marito che cessò di piacerle : ma in questo caso essa è tenuta alla restituzione di quanto il marito pagò a suo padre per ottenerla. In una parte del Cassange domina il costume dì prender le donne a prova : in altra parte all'opposto sono le donne che hanno un tale diritto; ed in alcuni di- stretti meridionali si gli uomini e sì le donne godo- no del diritto medesimo. Ma questo tempo di pro- va, che dura quattro giorni, e senza ledere in modo alcuno l'onesta; serve solo per istudiare vicendevol- mente il proprio carattere : al termine dei quattro Costume antico 335 giorni, se sieguono a coabitare insieme, non vi è più diritto a sciogliere il matrimonio. Se fra i bhill una vedova passa alle seconde nozze, il dì consecutivo al matrimonio deve innan- zi giorno escir di casa e passar la giornata insieme al marito in mezzo ai campi, o in qualche luogo so- litario, quattro miglia almeno lungi dall'abitato; e non posson essi tornare che sul far della sera. Nel- l'isola di Haj'Non le donne all'epoca del matrimo- nio hanno lo strano costume di tatuarsi intorno alla bocca, formando disegni rappresentanti insetti, far- falle, fiori etc. Anche più strano è l'uso della nuova Olandattolgonsi alle donne, pria che vadano a nozze, i due denti incisivi di sopra ; quando si presenta lo sposo, questi getta sulle spalle della sua futura una pelle di kangarou, le sputa più volte sul volto, se- gna sul di lei corpo con mastice alcune linee di di- versi colori, e la trasporta poi entro un bosco a compiere il matrimonio. Quando ci siano venuti alle mani i rimanenti due volumi delle giunte, non mancheremo di farne un breve cenno. c. c. 336 BELLE ARTI Di Bernardino Pinturicchio pittore de* secoli XV e XVh memorie raccolte e pubblicate da Giovan- ni Battista J^ermiglioli, con appendice di docu- menti etc. Perugia 1837. 8°. J_J Italia, che famosa si aderge su tutte le altre ci- vili contrade per la mirabile sua fecondità in pro- durre ingegni accomodati a quanto è di più subli- me nelle arti del bello, vanta pure un proprio e particolare suo fregio nelle numerose vite de'sommi suoi artefici , che scritte furono da artefici ancor essi pregiati. Il Vasari, il Gellini , il Baglioni , il Passeri e gli altri di quella schiera, hanno ne'loro libri certa nativa e schietta bellezza, un modo sen- tito e pittoresco di esprimere, che li fanno singo- lari dalla schiera degli altri scrittori. Artefici essi stessi, lasciarono dominare ne'loro racconti quanto apparteneva alle cose dell' arte. Trovi qui l' uo- mo rimanere come abbagliato in ombra allato a quelle opere , onde si rese memorabile alla posteri- Memorie del Pinturigchio 337 ta. Non COSI però che sia taciuto o dissimulato quan- to basti a presentarne conveniente ritratto. Vediamo anzi entrar talvolta questi autori a narrare di tale o tale maestro i piìi intimi avvenimenti che Len co- noscevano; o presentare Lizzarie di umori e singola- rità di fatti, dalle quali non erano assai volte essi medesimi esenti, o in che si trovarono a figurare. Queste istorie così vaghe e così varie non man- cano poi all'occasione ne di nobili precetti, ne di acri giudizi, ne di gravi ed accomodate sentenze. Ma sopra tutto vi domina una certa sprezzatura non isgradevole, un'amabile facilita; qualcosa di ameno e di gaio, che reca la mente a quella giocondità delle arti del bello, trovate a rallegrare la vita. Di cotal guisa si composero i libri delle vite de'profes- sori delle arti, mentre la cura di esporne le opere e di raccontarne le azi oni sì rimase alle mani di altri artefici. E questa è come la prima età della storia delle arti italiane. Alla quale seguitò poi la seconda , e fu quando si piacquero letterati uomini ad entrare ancor essi nell'aringo, dove non letterati si ornarono già di lode. Allora venne a mutarsi il modo e quasi il carattere di quelle narrazioni. Im- perciocché di semplici e facili ch'elle erano, diven- / nero studiate e difficili. Trovandosi omai già tutto essere stato detto quanto a'principali fatti apparte- nesse, o rimanendo solamente a dirne ben poco, ogni industria de'nuovi biografi fu quasi spesa intorno a più minute notizie; scendendo, quanto scendere si poteva, in particolarità vuoi della vita degli artefici, vuoi delle costoro opere, che per l'addietro taciute si fossero. Di qui lo svolgere le pergamene e le scrit- ture degli archivi; il cercare per entro ai rogiti de' notari , ed a' registri delle chiese. Smarriva, a G. A. T. LXXII 22 338 Belle Arti dir vero, la pittorica istoria in fra coleste investi- gazioni quel certo suo che di spontaneo e di disin- volto, onde volentieri se ne perdonavano le negli- genze, e fin quasi gli errori ; ma in quella vece ac- quistava una piì-i palese autenticità, e si lodava di accuratezza migliore. I quali due pregi si trovano riuniti nel libro che ora annunziamo. È questo un nuovo dono fatto alia sua Perugia dal chiarissimo sig. cavaliere Giovanni Battista Vermiglioli : uomo da lodarsi in esempio di sincero e casto amore della patria. E ben quanto egli ne sia infiammato alta- mente lo attestano i molti e dottissimi scritti di lui, tutti o quasi dettati ad illustrazione di perugini monumenti, siano antichi, siano del mezzano tem- po, siano delle lettere e delie arti risorte. La vita di Bernardino di Benedetto ( conosciu- to sotto il nome di Pinturicchio ) è cospicua parte della storia di quella pittorica scuola, che fondala in Perugia dopo la meta del secolo KV, per il ma- gistero dell'istitutore, e per il numero e la eccellen- za degli allievi, empiè della sua gloria e della sua fama tutta Tltalia. Era quindi argomento ben de- gno che il eh. autore assumesse di trattarlo. Molto più che se molti del Pinturicchio parlarono , non però si era ancora veduta notizia adeguata ed intie- ra di quanto appartiene alla vita, alle pitture, e al- le vicende di questo maestro. Occupa il primo luo- go nel libro una ben'aircltuosa lettera, con la quale l'autore presenta l'opera alla sua dilettissima nipo- te , la contessa Lavinia Vermiglioli Oddi, dama per nobile e culto ingegno, e per il molto che inten- de e sa nelle lettere e nelle belle arti, degna in vero della dotta offerta che le si porge. Si viene ino, affresco nella cappella de' conservatori in Campidoglio. Vergine col bambino in piedi sulle ginoc- chia, tavola nelle camere capitoline di citta di Ca- stello. S. Giovanni Battista, quadro in tela, nella chie- sa di s. Giovanni decollato di Citta di Castello. La Vergine col bambino e s. Giovanni, nel pa- lazzo Mancini di Citta di Castello. I quattro evangelisti , affreschi nella tribuna del duomo di Orvieto. Annunciazione della vergine, nascita del Sal- vatore , la disputa co' dottori , e quattro Sibille , nella collegiata di Spello. Affreschi quasi intieramente periti, forse in s. Agostino di Rieti, club. S. Tommaso di Aquino, tavola nel palazzo Ric- ci di Rieti, (lab. Vergine assunta, tavola in monte Olivete di Napoli. La Vergine col divino infante , elegantissi- ma tavoluccia, presso il prof. Giovanni Rosini in Pisa. Vergine col divino infante fra le braccia, ta- vola in Roma presso il sig. Lorenzo Marcucci. Cristo in croce con s. Girolamo e s. Cristofo- ro, tavola in Roma presso il dottor Monaco. Presepe, tavola in Roma, presso il conte Lo- zano. Presepe con altri santi, tavola nella cattedra- le di Gubbio. S. Girolamo penitente, tavola nella galleria Co- lonna. Vergine col bambino, già nella galleria Colonna. Memorie di:l PiNTuniccnro 343 Vergine col divino infante , tavola in Venezia nella pinacoteca flell'accademia di belle arti. Vergine col divino infante, e già in Cremona , presso Giuseppe Beltrami. Vergine col divino infante, tavola, nella gal- leria di Perugia. Natività della Vergine, tavola già in Siena nel- la chiesa di s. Francesco. Affreschi con la vita di s. Gio. Battista, nella stia cappella del duomo di Siena. Creazione di Pio III, nella parete esterna della libreria corale del duomo di Siena. Vita di Pio II, in dieci affreschi, nelle pareti intorno della libreria del duomo di Siena ( l'A. dà ancora gli argomenti di ciascuno di essi ). La Vergine col bambino ed altri santi, tavo- la in s. Andrea di Spello. Pitture in Sieni, nella chiesa degli Angioli. Tavola con Cristo in croce ed altri santi, già in s. Francesco, oggi nella galleria reale di Parigi. Tavola con la Vergine, che diceasi sua ed in Valmontone. / disegni che vanno col nome di Pinturiccliio si riducono a sette , e tutti esistono nella galleria di Firenze. Lasciamo volentieri che in le^sfendo quante cose si ammettano già stimate del Pintu- ricchio , e quante a lui se ne rendano in questo catalogo che per l'addietro per sue non si conosce- vano, faccia altri argomento delle profonde e felici ricerche dell'A.: e già venendo ad altra parte, nella quale pure splende assaissimo la fruttuosa sua cu- ra, diremo dell'appendice de'documenti. Sono questi in numero di ventuno : inediti in parte, in parte nuovamente ed opportunamente ri- 344 Bei- LE Arti prodotti. Tale ò il documento sotto il numero 1 contenente l'elogio di Benedetto Bonfigli e Bernar- dino Pinturicchio, che vien ristampato dalla centu- ria seconda degli elogi de' perugini latinamente scritti da Cesare Alessi. Inediti sono i documenti dal secondo fino all'ottavo. Di molta importanza è il primo di questi, che la scritta fra il Pinturic- chio ed i religiosi di s. Maria de" fossi di Perugia , per Voggetto di dipingere il quadro dell'altare mag- giore. L'A. lo trasse dai rogiti di Mariotlo Calcina, esistenti nel pubblico archivio di Perugia. Sappia- mo così che il Pinturicchio si trovava in patria nel febbraio dell'anno 1495, ed abbiamo la certezza del- lo essere di sua mano la tavola trasportata ora nel- la perugina pinacoteca, e ne conosciamo il prezzo del pagamento fatto al pittore per essa , che fa di fiori 110.1 documenti che sieguono dal N. Ili al Vili sono tutti relativi ad una concessione di af- fitto di due lenimenti di terra nel Ghiugi perugino, che il Pinturicchio ottenne dal cardinale camerlen- go per ordine del papa Alessandro VI, in beneme- renza e come ampliamento di compenso per le nobi- li sue fatiche, dipingendo nel vaticano e nel castel s. Angelo. Vennero tutti ricavati da un libro dell' archivio camerale in Perugia. Dalla storia del duomo d'Orvieto del P. Della Valle si ripetono i documenti dal IX al XV, per i quali ricevon lume le notizie di Pietro Perugino , non meno che quelle del Pinturicchio. Si riferisco- no tutti alle pitture che si avevano a fare in duomo di Orvieto, per le quali venivano chiamati or l'uno, or l'altro di tali maestri; i quali mal soddisfacendo alla istanza de'soprastanti di quella fabbrica, vi la- sciarono di lor mano sol pochi lavori. Memorie del Pimturiccitio 345 Il documento XVI è la lettera scritta da Gen- tile BagUoni al Pinturicchio, e da questo per bizzar- ria, o per vana gloria copiata tutta nel quadro di s. Andrea de' conventuali di Spello. Il primo a farne memoria fu il P. Resta; quindi fu pubblicala dal Marietti, dall'Orsini, e poscia dal P. Della Valle nella senese edizione del Vasari. L'A. ne pubblica un nuovo apografo, tratto dall'originale e inciso nel rame, come ora diciamo a fac simile , supponendo a ragione, che il Pinturicchio la scrivesse nel suo quadro di propria mano. La lettera, secondo la let- tura del Vermiglioli, è tale. Eximo Viro pictori dignissimo Magr Bernadino perusino alias el pintorìchio nobis carJ^c {Intra) Eximie pictor nobis carissime. Haveìuo re- cepute letr dalla M. S. de Pamiolfo Petruccio da Siena in le quali ce exorta ad volervi adiiitar in orn. vro bisogno^ pregandovi vi vogliamo exortar al- lo retornar li da lui. nuj dixiderosi compiaceri S. M» I. carissimamenti vi pregamo allo ritornari per compiacer] in to li Signori del che anche farite pia- ceri singolariss. offerendomi ad voi per amori de S. M. et vostro paratiss. da tucti li v. commodi et bene valeti ex arce nra ppe mansione die XXIII J apri- lis MDVIII Gentiles Balionus Electus urbevetanus. Ci giova credere che la copia della scrittura sia esattamente levata. Ma anche ad essa attenendoci, ne sembra chiaro che non si abbia nella seconda linea a leggere Pamiolfo ; ma si bene Pannolfo^ idiotismo per Pandolfo, che non n'è tanto lontano quanto quel Pamiolfo il sarebbe. Similmente nella linea terza dimanda il contesto e la dignità di chi scrive, venga letto pregandoci^ e non pregandovi. Non sappiamo poi perchè alcuni nessi dell'originale siano stati nel- 340 Belle, \i\Ti la trascrizione in corsivo disciolti, e alcuni altri ser- hati; come compiacerj\ che nella lettera è copiace- rj: e in toto, che è in tutto, scritto abbreviatamen- te per in to, e lasciato senz'altro quale è nelT ori- ginale, se pur non è ivi un segno, indicante il tron- camento della parola, come facilmente vi avrebbe ad essere. Sono tratti dall'archivio vaticano, ed ora pub- I)lioati per la prima volta, i documenti XVJI e XVIir, il primo de'cfuali non fu ignoto al Mariotti. Il Pinturicchio, già stabilito in Siena nel 1511, ven- de per pubblico istrumento a Pier Paolo e Giulio della Corgna i diritti che ottenuto aveva dai ponte- fici Alessandro VI e Giulio II su diversi possedi- menti del Chiugi perugino ( doc. XVII ) , i quali poi ottennero dalla camera apostolica nel 1526 una proroga di affitto ( doc. XVIII ). Compiono l'appendice due documenti, che ci porgono notizia dell'essere stato il Pinturicchio am- mogliato. Circostanza non detta fin'ora da altro de' suoi biografi. La sua moglie fu una Grania di Nic- colò da Modena, che da Sigismondo Tizio, scrittore di sanesi istorie rimaste inedite , vien gravata di nulla meno, che d'essere stata la omicida dello sven- turato pittore. Perch'egli scrive sotto l'anno 1513, che infermatosi il Pinturicchio, questa donna in- vaghita di una persona del piti basso popolo , lo racchiudesse nelle sue stanze, tanto che quivi ne- gatigli gli alimenti si morisse d'inedia l'undecimo giorno del dicembre di quell'anno 1513. Kimanga appo il Tizio la fede di questo inumano avveni- mento, che sembra appena credibile potesse esser noto ed impunito in una città dove tanto era gran- de la estimazione e l'affetto per un maestro, ond' Mfmoute del Pinturicchio 347 era stato decorala Je'piu studiati e cospicui lavori ch'eì conducesse. Quello che non sembra in ogni modo stringente è la conseguenza che vuol trarne il nostro biografo, onde accusare di menzogna quan- to il Vasari lasciò scritto intorno alla circostanza della morte del Pinturicchio: le cui parole son ta- li : Essendo poi alla età di cinquantanove anni pervenuto., gli fu dato a fare in s. Francesco di Siena in una tavola una natività di Nostra Don^ na, alla quale avendo messo niajio, gli consegna- rono i frati una camera per suo abitare., e gliela diedero., siccome volle., vacua e spedita del tutto., salvo che un cassonaccio grande ed antico^ e per- dio pareva loro troppo sconcio a tramutarlo. Ma Pinturicchio , come strano e fantastico uomo eh* era, ne fece tanto remore e tante volte., che i frati finalmente si misero per disperati a levarlo via., e fece tanto la loro ventura., che nel cavarlo fuori si ruppe un asse., nella quale erano cinquecento du- cati d'oro di camera. Della qual cosa prese il Pin- turicchio tanto dispiacere., e tanto ebbe a male il bene di que'poveri frati , che più non si potrebbe pensare., e se ne accorò di maniera non mai pensan- do ad altro., die di quello., si morì. In verità che io non veggo come questa narrazione abbia tanto com- mosso a sdegno gli scrittori delle cose del Pinturic- chio. Certo e' peccò contro alla carità del vangelo avendo a male il bene di que'buoni frati. Ma è egli poi cosi fuori della umana natura che al pittore, non ricco de'Jieni della fortuna, fosse di sommo ram- marico l'aver avuta tanto grossa somma a suo arbi- trio, che veramente a niuno apparteneva, così na- scosta ch'ell'cra, e non averne ricolto benefìzio di sorta ? O non poteva egli muovere quel cassone in 348 Belle Arti quella camera datagli ad uso, dimorandovi solo tan- te ore del giorno, e tutte intere le notti ? Qual maraviglia, che ne fosse crucciato, e che questo increscevol pensiero potesse ancora riuscir- gli fatale ? Ne parmi di scorgere , che ammet- tendo pure la funesta catastrofe dal Tizio ricor- data, venga ad escludersene ciò che il Vasari af- fermò ; ben potendo 1' una delle cose essere stata cagione della malattia, e l'altra della morte. Nar- rava il biografo aretino le sue istorie, fra mille te- stimoni viventi, di que'fatti ch'erano in esse con- segnati ; poteva forse, come umano è, accomodare un poco giusta sue passioni il colorito del suo rac- conto: ma inventar cosi sfacciate menzogne, quante se gli vanno alla giornata attribuendo, chi vorrà crederlo, non dirò vero, ma solamente verisimile? Queste libere considerazioni varranno, lo speria- mo, a dar fede maggiore alle lodi sincere, da noi tributate al eh. Vermiglioli in queste carte, e con le quali vogliamo pur compire il nostro sunto , allegrandoci con esso lui dello avere con si felice cu- ra illustrata la vita e le opere dello scolare di Pie- tro, dell'amico di Raffaello, di uno de'gloriosi in- gegni che vanti la sua Perugia. P. E. Visconti. 349 De lavori in iscultura del signor Bienaimè. Rela- zione intitolata al nobil uomo sig. Carlo Guzzoni degli Ancarani studente nella sapienza romana. D, 'uè maniere di maestri aitarono la restaurazione delle buone arti, e giovano tuttavia il loro incre- mento, o a mantenerle nella loro eccellenza. Altri si rimasero a condurre ne' privati e solitari loro studi opere maravigliose, e quelle ad esempio dei giovani proposero dicendo ad essi col fatto : Ecco come si vuole scolpito: ecco come si vuol dipingere^ questi lavori vi additeranno la traccia per giungere a lodevole scopo, per ben vedere la natura, per bene imitarla, ed anche per sollevarvi sopra la na- tura medesima nella bellezza intelletta. Adducono questi eziandio, che i soli modelli greci, e i grandi monumenti della greca e latina letteratura , hanno prodotto, senza maestri, allievi prestantissimi. Altri poi, non paghi di lasciare opere esimie, chiamarono intorno a se una schiera di giovani ardenti d'ap- prendere da essi il buon sentiero per lasciar pro- ve illustri d'ingegno nelle arti dell'inspirazione. E questi sono come una nutrice benefica, che liberal- mente dispensa a que'giovani il buon latte delle arti , mostrano col precetto e colla pratica , che si debba evitare, che si debba seguire. Insegnano gli stessi meccanismi dell'arte, e così conducono come per mano l'alunno ne' pili intimi penetrali della lo- l'o professione, e ne fanno altrettanti maestri. 350 Belle Arti Michelangelo seguì la prima maniera : fu con- tento (li lasciare sublimi esempi, ne'quali i giovani s'inspirassero : e parve al suo maschio , terribile e liberissimo giudizio , che obbligare i giovani ad una specie di tirocinio, fosse un estinguere in essi la fiamma del genio, che non vuole servitù, e gli basta attignere dai sommi una scintilla creatrice , perchè questa gli valga a condursi ad altissima meta. RalFaello al contrario vide utilissimo il me- todo secondo. Ebbe intorno a se una eletta corona di prodi, in mezzo ai quali egli sedette principe , diffondendo ai medesimi i raggi dell'immensa sua luce, e facendo con ogni esempio di perfezione, con ogni buon precetto e consiglio, che lo emulassero a quell'altezza ov'egli era prodigiosamente salito. Raccontasi che il Buonarroti, incontrandolo un gior- no che uscia dal Vaticano fra una schiera di trenta e pili suoi seguaci e ammiratori nell'arte, gli di- cesse : Tu mi sembri un re circondato da una tur- ba di vassalli. Questa proposizione conveniva all'ani- mo sdegnoso e franco del severo toscano , e insieme alla dignità del divino urbinate, che veramente nel- l'arte sua era re. È stato detto e provato, che la scuola veneta ebbe tanti buoni allievi, i quali comechc di sommo merito, sì confondono fra loro: e alcuni anche per chi non è esperto alle finezze dell'arte, si prendono pei loro maestri: perchè ogni capo scuola ebbe fit- to di se molti scolari, che s'identificarono, almeno in cjuanto all'esecuzione, col loro precettore: e per- ciò furono tutti buoni coloristi. Similmente la scuola francese segue questo me- todo: e noi vediamo artisti valentissimi non recarsi a disonore sottoscriversi, coU'aggiungere al loro no- Lavori in Scultura 351 me il vanto di allievo di David, di Gerard, di Gi- rodet, avvisando traggere luce di gloria non pure dalie loro opere, ma dalla celebri th dei maestro. Ai tempi nostri in Roma sono stati due maestri eccellentissimi, i quali hanno seguito appunto Le memorie della chiesa essendo pur collegate con quelle della città , ha avuto cura l'autore di raccogliere dalle patrie istorie quanto giova a lume della sua storia ; e con ordinata e compendiosa narrazione l'ha premesso in tre dissertazioni , che sono le seguenti: I. De prisca septempedanorum cìvitate. ir. De autiquis septempedanorum monumentis. III. De uova septempedanorum civitate. Ciò vogliamo ci basti per annunciare le fatiche dello studio- so autore, col quale ci rallegriamo che porga singolarmente a* suoi concittadini esempio di virtù e di dottrina; perocché vera- mente maestra della vita è l'istoria quando è luce della verità. P. V. Pittura e debiti, sestine recitate dal segretario Gio. ingegnere Gardenglìi la sera del "b febbraio i83j nella tornala degli ac- cademici industriosi. Imola tipografia Benacci in 4 di pag. 8. Q. uel falso, che pnr vero, è fonie al ridicolo; onde altri notò, che si ride di quelle cose , che hanno in se disconvenienza e par che stiano male senza però star male. La poesia, che si vale di questo modo, se lo fa per vano diletto non tocca a gloria de- gna di lei; ma se mira a qualche morale utilità, compie l'ufficio suo, che è di giovare con diletto. A mostra d'ingegno si crede- rebbe aver detto il Berni le lodi del debito, in quel capitolo a messer Alessandro del Cacciii, dove nota tra l'altre cose; Varietà' ' 369 ,, Ha l'anima gentile e generosa „ Un uom che affronti, e faccia stocchi assai, „ E uom da fargli fare ogni gran cosa ! E finisce con questi conforti ; „ Fate, parente mio, pur degli stocchi, ,, Pigliate spesso a credenza, a interesse , ,, E lasciate ch'agli altri il pensier tocchi; „ Che la tela ordisce un, l'altro la tesse. Un fine occulto era in questi versi, di far conoscere in realtà la brutta cosa, che è il debito ; e quasi ridendo correggere. Questo fine, senz'altro, si è proposto il Gardenghi, il quale fantasia, disegni, invenzioni ed altro nota di comune tra il pit- tore e colui che fa debito sopra debito. Ha usato le sestine; ed eccone un saggio. „ Un'opra di pennello alla carlona ,, Chiamasi per istrazio barocchismo: ,, Fa una scheda il Zerbin, che cento suona, ,, E dielli trenta al più ladro egoismo: ,, Cotesto, e di tal pasta ogni altro gnocco, ,, Similmente chiamiam stocco barocco. Quando la poesìa, sdegnando per lo più vesti native, non vuole oggimai acconciarsi, che alle fogge del medio evo, e non sa più che di spettri, di subbugli, di paure e di morti, non ver- rà buona a tutti gli occhi questa ridevole forma di scrivere, che non atterrisce, ma ammaestra. Pure , se si guardi sottilmente , almeno dal lato morale e della vera utilità, non potrà incontra- re mal viso appo le discrete persone, che sospirano il tempo in che il pugnale si lasci alla severa tragedia, il riso alla facile com- media, la tromba all'epopela, la cetra alla lirica poesia; ed ab- biasi ciascuna il suo; né dei vari generi si faccia uu genere solo che diremmo boreale, e dicono sentimentale, con iscapito dell'or- dine e della bellezza. Altri impazzi a suo senno ; noi vogliamo G. A. T. LXXII. 2^ Q70 Varietà' essere ragionevoli, e fuggire le novità che portano a stranezze, e borea gittano ne'fioiù deiritalico giardino. D. V. Poesie inglesi di classici autori recate in versi italiani dall'inge- gnere Giulio Sacchi, colV aggiunta di vari sonetti del tradut- tore. Lugo per Melandri iSSy in 12, di pag. 1^0. Opira una certa melancolia da queste poesie, che mostra il ca- rattere dominante negli autori di quella nazione; carattere, a cui troppo non si affa l'indole della italiana poesia. Non già che il cuore non sia sempre il cuore, e il cielo non sia sempre il cie- lo; ma certamente il cielo sereno d'Italia non è il cielo nebbioso d'Albione. Ciascun popolo ha il suo abito e modo di sentire con- forme al clima, all'educazione, alla religione, ed a quelle altre circostanze, che influiscono potentemente a poesia. Non è però che questo libretto, bello de'nomi di Pope, di Addisson, di Dryden, e di altri classici inglesi , non possa esser buono a chi voglia gustare alcun fiore dì lontana terra ; ma sia sempre l'animo nostro più intento alle native bellezze di questo eletto giardino , che è ben tale da disgradarne ogni altro più ricco o gentile d' oltremonte e d'oltremare. Non invano Dio ce l'ha dato ! La versione è condotta con amore, e senza vincolo di rima in endecasillabi; conserva pure la veste italica, essendo so- lo da guardarsi da epiteti composti come i seguenti; ampi-ope- rante a pag. 27, verde-gonfi botton di primavera a pag. 4'» Sono infine alcuni sonetti, tra' quali singolarmente uno, ai lode del eh. monsignor Farini, par semplice ed elegante. D. V. Varietà' 371 Vite di ravegneni illustri scritte da Filippo Mordani , edizione seconda emendata ed accresciuta dall'autore. Ravenna per le stampe de^Roueri 1837 in 8. ( sono fac. 270 ). Uopo le lodi tribuite degnamente a queste vite nelle varietà del giugno iSSy a pag. 354 ^^ questo giornale, ogni lode ver- rebbe superflua ; tanto più che di esse crasi toccato favorevol- mente anche nel dar conto di opere biografiche nel settembre i836 a pag. 3i6: e documento alle lodi ed al favorevole giudi- zio rimanevano le vite stesse, le quali uscirono la prima volta in questo stesso giornale. Basterà ora il dire, che alcune correzio- ni ed aggiunte vi ha fatto l'autore in questa seconda edizione condotta sotto i suoi occhi; nella quale sono 49 le vite, che pon- no tenersi come altrettanti gioielli non pure alla nobile città di Ravenna; ma alla Romagna, anzi all'Italia, e alle lettere. Di che ci rallegriamo nuovamente col gentile scrittore, incuorandolo a darci ancora altri frutti del suo ingegno nobilissimo- D. V. // libro dei salmi voltato in versi italiani dal professore Pietro Bernabò Sdorata, fascicolo 7. Bologna \2>'5'],tip. della Vol- pe al Sassi. i^otto gli auspici del chiarissimo monsignore Ignazio Cadolini arcivescovo di Spoleto, che onora le lettere e la religione accop- piando felicemente bontà e dottrina^ esce questa versione de'sal- mi; della quale toccammo non senza lode nel nostro giornale del marzo i836 a pag, 570, ed altrove. Ha fatto bene il gentile 372 Varietà' «crittore a variare il metro; come può aversene un saggio dal tratto seguente del salmo 28.- Dio parlò con la voce de'tuoni, E al tremendo suo cenno risponde Fragor d'acque e di neri aquiloni. Ogni ardir quella voce confonde; Il supremo poter che la move A intelletto mortai non s'asconde. Gli alti cedri scoscende laddove Risonò quella voce, e repente F;n del Libano i gioghi sommove. Qual torello per valli corrente Cedri e vette d'aerea montagna Fa balzar quella voce possente. „ Il traduttore tengasi stretto quanto è possibile al sacro te- sto, poiché il linguaggio é inspirato e sublime , e per poco che si aggiunga o che si tolga anche delle idee accessorie o dell'or- dine può talora essere a scapito della bellezza e dignità. E non si stanchi nell'ardua, ma onorevole fatica: e meriterà lode sem- pre maggiore. D. V. Elenco dei lavori di matematica e di letteratura pubblicati da Francesco Cardinali dal i8o5 a tutto il i836 , e di quelli che quanto prima vedranno la luce. J\. chi scriverà le notizie de'matematlci e letterati italiani sarà caro questo elenco, che il eh. professor Cardinalid'Imola, poco prima di morire in Roma per la forza del morbo asiatico il di 5 di settembre di quest'anno iSSj, fu cortese di consegnarci. Varietà' 373 I. Metodo di separazione nelle equazioni differenziali di pri- mo ordine. Bologna i8o5. S'osservi il numero i5 delle Effemeridi letterarie di Roma, stampato l' anno 1806, nel quale trovasi un articolo del celebre matematico Pessuti, risguardanle il suddetto opuscolo. 1. Sull'iategrazione d'un nuovo canone d'equazioni differen- ziali. Dissertazione inserita nel tomo XIII della società italiana delle scienze. Modena 1806. 3. Calcolo integrale dell'equazioni di differenze parziali, con applicazioni alla fìsico-matematica. Bologna 1807, in 4- La suddetta opera è ricordata in Francia, in Germania, eie. 4. Elementi d'algebra e geometria del Bossut ridotti per uso dei licei , con note ed aggiunte del Cardinali. Bologna 1808, tomi 2. Questo lavoro fu per ordine del governo italico. 5. Appendice ai suddetti elementi, compilata dal Cardinali. Bologna 1809. 6. Elementi d'aritmetica per uso delle scuole comunali del regno d'Italia. Bologna iSoQ- JDei suddetti elementi, anche dopo la cessazione del regno ita- lico, ne furono fatte altre due edizioni. y, Des trascendantes elliptiques. Livourne 18 io, in 4- 8. Probléme d'analise indéterminée. Inserito nel terzo rolu- me degli Afinales de mathèmatiques. Nismes, 18 12. g. Riflessioni sopra la resistenza dei fluidi indeiiaiti. Dis- sertazione inserita nel i volume degli atti dell' ateneo di Tre- viso, i8i4. 10. Sull'integrazione d'alcune formolo che comprendono se- ni e coseni circolari. Dissertazione inserita nel secondo volume degli alti del suddetto ateneo, 18 16. 11. Opuscoli matematici. Treviso 1818 in 4- la. Raccolta d'autori italiani che trattano del moto delle ac- que. Bologna dal 1822 al i832 tom. 16 in 4- // Cardinali fu l'editore e compilatore di quest'opera, la quale venne arricchita dal suddetto di cose inedite, di prefazioni e di note. 374 Varietà' i3. Sulla risoluzione d'alcuni problemi di fisico-matemati- ca. Dissertazione inserita negli opuscoli di Bologna dell'anno 1824. // Cardinali in unione ai celebri Tomniasini, Costa, Orioli e Bruni, Ju uno de^ compilatori della suddetta collezione. i4- Delle linee del second'ordine. Dissertazione inserita nei suddetti opuscoli, dell'anno iSaS. i5. Gran dizionario della lingua italiana. Bologna dal 1820 al 1826, tomi 7 in 4- // Cardinali ed il Costa furono gli editori della suddetta opera, conosciuta in Italia ed oltremonte. 16. Dizionario portatile dalla lingua italiana. Bologna 1826, tomi 2. Di questo lavoro, compilato dal Cardinali, ne sono state Jln^ora fatte cinque edizioni; e la pubblica istruzione del regno delle due Sicilie lo adottò per uso delle scuole. 17- Opere complete di Francesco Milizia, raccolte per la pri- ma volta con note da Francesco Cardinali. Bologna dal 1827 al 1829, tomi 9 in 8. i8. Atti degli apostoli volgarizzati dal Cavalca, edizione ri- dotta alla buona ortografia, con prefazione di Francesco Cardi- nali. Bologna 182 1. 19. Dei costumi dei primitivi cristiani, del P. Tommaso Ma- ria Mamachi , con note ed una preliminare dissertazione sulla fondazione della religione cristiana, di Francesco Cardinali. Il secondo volume è già stampato, ed entro l'anno vedrà la luce il primo. U edizione viene eseguita in Pisa, pei motivi che si diranno neW avvertimento posto infrante al primo volume. 20. Leonardi Euleri, Institutionum calculi integralis. Edi- tio tertia 1807 e t838, tom. 4 in 4- La ristampa di questa celebre opera comprenderà , oltre tutto ciò che fu stampato nelle prime due edizioni; i. un'aggiunta di memorie deWaulore medesimo, stampate dopo la morte negli at~ ti della I accademia di Pietroburgo; 2. le Adnolationes ad cal- culum integralem Euleri, del Mascheroni , stampate in Pavia gli anni 1790 e 1792; 3. la Dissertazione segnata al n. io,- 4- delle note e degli schiarimenti fatti in tutta l'opern del Cardinali. 3T5 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE ]\EL TOMO LXXII, VOLUMI 2l4,21S, ai6 DEL GIORNALE ARCADICO SCIENZE Sorgoni^ Fenomeno vitale della reazione or- ganica pag. 3 Pungileoni, L'armonia delle forze fisiche e morali dell' uomo lo porta a vivere in so- cietà « 92 Guzzoni, Memorie di D. Camillo Mariani. « 1 06 Cassa di risparmio in Bologna « 1 00 LETTERATURA Ricci stato politico della marca nel secolo XII. « 1 1 4 Santucci^ Dissertazione sulla lapide di s. Fi- lomena « 145 Betti^ Degli antichissimi geni e soprattutto di quello della Vittoria^ lezioni tre. . « 230 VaccoUni^ Degli studi e delle opere di Paolo Costa - 263 Del Carroccio « 274 376 Vaccolini^ Osservazioni sul bello (art.XII) « 304 jBasnolo., I Maccabei, tragedia . . . . « 315 Ferrarlo , jiggiunte alV opera del costume antico e moderno « 322 BELLE ARTI F'ermiglioli, Memorie del Pinturicchio . « 336 Missiorinij Lavori in iscultura di Luigi Bien- nimè « 349 yarietà. Tavole metereologiche. NIHIL OBSTAT E. Jacopiai Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr. Dora. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patriarcha Antiochenus Vicesg. Os nervazioni Metereol ogiche . )( Collegio Roman 0 )( Luglio li >37. 'a o o 1 3 3 4 5 6 7 8 9 10 1 1 12 i5 '4 i5 Ore Baromet. Terni, esterno Terme max. metro mio. i5° Igrom. Vento Pioggia Ev. por. Stalo del Cielo mal. ser. 28'' )1 » 3 17° 25 >9 17 24 19 26°5 3° 47 6 0 0 SO. f. 0 0 5^ 1 0 chiarissimo mal. S'- ser. » 0 1 8 0 26 16 i5 i6 4 27 3 '9 0 0 SO. m. 0 0 0 0 so. ra. E ,1. 5 „ Tap. oriz. sor. nnv. sp. ciruiiissimo mat. g'- ser. mal. 8^- ier. » 0 1 9 7 1 18 24 18 27 pio.subila lUOlU) 4IÌ So 2 ser. nuv. sp. coperto cliiarissimo » » 0 18 24 20 2 5 0 55 5 JN „ so. m. S 0 5 4 nuvoloso tulio ser, nuv. sp. rhiuio nuv. oriz. mat. gì- ser. 27 0 27 37 i5 3 30 4 5 27 7 3 26 5 0 0 SE. ni.- 0 0 6 3 0 |iv 7 i-5 3 20 si-r. nuv. sp. nuvoloso cliiarissimo mat. gì- ser. 28 » 0 7 9 4 »y 26 18 16 22 19 16 24 19 17 0 0 N. m. 0 0 3 0 nuv. sol. trai, chiarissimo mat. ser. » ti 1» I 6 S 5 25 i5 N. d NO. d. 0 0 N. d. SO. m. 0 0 3 5 nuvoloso lultu „ sole trai, chiarissimo mat. gi- ser. " " 2 25 i4 6 42 5 4 0 sereno vap. chiarissimo mat. g^- ser, mat. ser. "' ») I 7 2 17 24 19 iS 26 20 a5 16 3 27 4 1 54 39 SO. „ 0 0 ^ ser. nuv. sp; nuvoloso chiarissimo " 0 0 6 4 0 28 16 SE. m. 0 0 8 3 ser. vap. chiarissimo mat. gi- ser. 27 28 1 1 >ì 0 8 6 0 '9 25 20 21 23 19 27 5 17 29 32 20 rotto il cap. i5 S.vasl.var, , , ni . .... 1 6 6 nuv. vap. nuTol. mat. gi- sor. " 5 25 23 19 SO. f. 0 0 5 „ sole Irai, ser. nuv. sp. ), oriz. mal. ser. 27 )> , 17 II 12 11 SO. d. „ frao. S. d. pio. lampi tuoni 4 3 0 20 21 iS 18 20 i8 5 „ nuvoloso mat. gì- ser. 28 10 11 0 8 i 4 0 23 16 7 12 IO 0 0 N 2 3 14 ,, >» a 22 „ ,, 0 >7 i5 )> ,J l 4 23 „ M 7 18 „ 3 >7 » » „ 23 >1 « i '9 „ 0 7 16 „ ,, » 22 „ „ 6 18 „ 4 iS ,, !) 2 21 _=. .IL. 4 17 24 23 5 i3 i3 Vento Pioggia SSO f. SE d. S ni. SO f. S d. N m. SO „ so m. S <1. SE jj SSO f. S. d. N so Eva|)or. Slato del Ci«lu 4''5 ser. vap. nuvoloso i3 24 16 i5 N d. 0 0 0 f. E d. I pio. ab. poc. dur 2IÌ i5 O. m. N q. o SSO. ra. NNE d. SE ,. N d. 5 5 2 4 a ~4~^ 5 8 4 7 3 nel), ale. goc. SSO OE SO s so fmo. SSR m. ser. nuT. sp. cliiaris. ser. taporos. nuvoloso chiaiis. nuv. soie trai. chiarissimo nuvoloso tulio ,, sole trai. ser. nuv. spar. rhiarissimo nuvoloso lutto ' „ sol. trai, chiarissimo ser. nuv. spa chiarissimo 4 5 ser.nuv.spars. chiarissimo vap. nuT. nuvoloso chiaris. ser. nuv. sp. nuvoloso , , sole Irai, uuv. tutto chia. nuv. oriz. ser. nuv. sp. chiarissimo nuv. sole Irai, ser. nu. oriz. chiarissimo Osservazioni Metereologiche. )( Collegio Romano )( Agosto 1857. o 6 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 i3 14 i5 Ore Bacomet. Terra. Terme esterno max. >metro niin. 0 12 i3 i3 Igrom. Veulo ( Pioggia E vapor 4^^ Slato del Cielo mal. ser. 28P » n 0. li. r . tO I 0 5 i3 lo „ 7 22 24 X 4 1>3 i a 25 '7 N d. NNO f. N m. ser. niiv. sp. chiarissimo mal. ser. » 6 » 9 3 0 i5 23 18 25 9 40 1 0 „ d. 0. f. 0 0 N q. 0 SO. m. 0 0 '. » mot. S'- ser. mal. gi- te r. 1 » » « 2 » 7 14 24 18 26 26 26 26 5 36 i5 5 " « „ 6 »6 .. 3 24 „ 4 *9 14 8 3o 4 OSO "m. 0 0 5 6 " mat. gi- ser. » »» •> » - 4 « 3 » 6 »7 25 19 i5 24 >9 i5 1 0 34 i5 OSO 'ni. 0 0 5 6 » ser. niiv. sp. copertoi mat. gi- ser. »4 6 33 12 9 37 25 N q. 0 OSO m. 0 0 ser. nuv. sp. chiarissimo mat. gi- ser. ») il 2 0 r 4 ., 5 16 26 21 28 28 4 14 NO ra. N d. 5 7 " mat. gì- ser. « » i»7 » 0 27 „ 3 21 " 19 40 27 NNO. m. N „ NE „ N „ „ f- N~"dT~ SO f. S d. " mat. gi- ser. „ 3 18 ., 0 27 „ 3 23 « „ '18 „ 0 26 „ » 21 28 4 16 23 42 27 16 37 12 6 ;; j mat. gì- ser. 27 4 17 16 5 » mat. gi- ser. » »» 1. a 1) 0 .. 4 *7 26 20 »9 26 20 28 9 35 7 N d. SO f. S d. 1 6 " mat. gì- ser. »> " 7 „ 8 2 0 28 37 28 16 5 .0 27 12 0 0 SO. f. E n-.. 5 ser. nuv. sp; chiarissimo chiaro nuv.oriz. mat. gi- ser. » » 3 17 » 5 |25 1. 3 21 16 10 27 10 0 0 SO.var.f „ q. 0. 0 0 S f. SO m. 5 5 5 5 ser. nuv. sp. niiToIoso tulio mat. gi- ser. >» » 0 !i9 1 5 25 f. 8 :20 17 7 27 5 4er. nuv. sp. chiarissimo mat. ser. i> » 7 |i6 » » '26 2021 27 4 i5 2 27 33 N d. sso „ 0 0 ■■■i^ ser. nuv. sp. o '6 ' i6^ 17 18 19 20 21 22 2.3 24 25 26 •27 28 29 IL ■ TI Ore 1 Baroraet. Term. renilo max. 26°Ì Qie Irò min. lò Igrom. Vento N d. SO f. N. in. Pioggia ETapor. Slato del Cielo rtat. ser. 28'"' -a"-. » » 6 « ., 8 .8*^ 25 '0 '7 26 20 0 9 22 i3 4^' 5 nuvoloso „ 3 0 » .. 2 „ .. ' „ 2 7 „ » tì »_,._4 j) j> " « ,» 7 ,,20 „ » 4 ,, » 8 » " 7 , „ 6 !, „ 4 27 16 5 16 14 i5 5 »7 i6 2 20 5 10 25 7 0 27 12 0 0 SO. d. 0 0 N d. 0. ni. N. d. SOv. m. NE d. 0. ni. S. d. 0 0 SO. d. 0 0 N. q. 0 S. m. 0 0 0. m. 0 0 0. m. 0 0 SO. m. 0 0 leinp.plo lam.luo. 4IÌ 55 4 ■vaporoso ser. nuv. sp. chiaris. mal. ser. '7 25 iS i5 25 •9 17 25 '9 . . iS 26 20 27 27 5 4 ~4~ 4 6 3 6 ser. vaporoso „ nuv. sp. tutto coperto mal. &'• mal. ser. lana. tuo. pio.subi. oli 55 chia. -vap. oriz. „ nuv. sp. cliiaris. vap. nuv. sp. cliiaris. ser. iiuv. sp. chiaris. 27 7 3 33 0 0 54 8 mai. si- ser. 28 27 3 ^7 mal. si- ser. 17 26 2'." 10 2 5 20 iS 25 19 16 2 5 20 17 :25 2 1 17 24 19 iS 24 20 liS I24 20 18 25 21 7 3i 8 2 37 3 " mal. Si- ser. mal. Si- ser. ni al si- i5 16 5 5 1) ij 0 ,'.' 1 6 „ » 4 j> „ 0 „ 0 7 » V 6 26 5 26 27 0 58 6 1 26 8 6 26 8 neli.oiiz. 5 5 vap. nuv. spar. chiarissimo mal. si- ser. mal. si- ser. imal. \ser. imal. si- ser. mal. si- ser. mai. gi- ser. mal. gi. \icr. » « 5 » >. 7 „ 1 0 16 > j ser. vapoiros. chiarissimo n „ » 7 : :; 5 >» « " "" 4 ;: ■: ' '^„ 5 :: : 4 «» » " " "fi 27 »' 1 ,> " „ » 8 „ .. 4 17 16 5 SSO.' m. 0 0 5 nuvoloso chiarissimo 25 5 0 '9 9 9 20 9 5 23 4 7 25 13 5 23 12 SO. m. S ([. 0 lampi. pio. pio. li 0 20 4 3 ser. nuT.,sp. 26 iG 5 0 0 SO. m. 0 0 3 8 nuvoloso ser. nuv. spar. chiarissimo ser. nuv. spar. vaporoso 26 26 25 >7 SSO." m. S. d. 0 0 S. m. „ f. „ d. SSO ra. S. d. 4 4 17 pie. pio. 9 chiarissimo nuv. sole trai, sereno vapor. „ nuv. spars. 21 23 «9 20 7 Osservazioni Melereologiche )( Collegio Romano )( Seltemlre ^2>'^^■ l/i i5 Ore Baromet. mat. .f 0. 11 7 ^i- »» j ser. 10 9 mat. II 5 ei. 28 0 0 Ser. » 8 mat. 1 0 g^- „ „ ser. 0 b ■ — • mat 11 5 3t )) ^ ser. „ 3 mat. 9 [grora . Vento . 0 7 25 0 0 Sv. f. 4 >i m. »4 0 0 29 SO m. 2 a 12 0 (1 29 S f. 18 E. d. 6 >> "'• '4 8 imo. 2 0 „ q. 0. i5 0 0 00 so a. 16 0 „ 10 0 0 2J S m. 6 N d. 2 0 0 10 SSO d. 6 N „ 7 0 0 3o N m. 18 „ d. 10 10 SSO d. 6 0 0 Pioggia Evapor. 6^3 6 j)0. pio. [ 00 4 2 lam tul i3 7 4 5 pie. jiio 3 1 2 3 nuvoloso „ sole trai. cliiarissinio nuvoloso .sereno vapor. nuvoloso tulio chiariss. nuvoloso ,, sole trai. ser. nuv. sp. nuTol.sole trai. piove ser. nuv. spar. nuv. fnnt.cli.) 21 li 22 II 20 4 12 21 3 II 20 16 20 IO 23 I N d. OSO „ 1.5 0 0 6 j' , 5o OSO m. 10 0 0 2 ,, 18 „ „ 6 .. „ 5 „ 17 S ni. 7 ,. -, 0 SSb „ '7 SO Imo. 20 0\O f. 8 N d. 33 OSO ni. 8 (1 11 •3 7 1 6 chiariss. ser. nuv. spar. ser. nuv. sjiar. cliiariss. 3 6 10 7 nuvoloso tulio chiariss. ser. m. nu. spiir nuv. sole trai, ser. nuv. sp. nuvoloso tulio ser. nuv. spar. chiarissimo ser. nuv. spars cl? >» 23 5 1 1 0 m. 0 0 3 4 )» » 3 » 2 »> »> 0 8 T 4 I 25 i5 0 25 4 OSO m. 0 0 j> » SSO m. 0 0 N q. 0 0 m. 0 0 ■ « « SO d. 0 0 3 5 »> 22 20 12 0 28 3 2 2 4 5 T 3 1 i3 0 20 9 rugiada cop. tutto vaporoso cbiariss. „ 0 ò 7 Q l 212 IO 4 0 22 7 0 25 3 6 25 1 1 0 12 8 2 20 »4 1 )» 3 I n n » mat. §i- ser. » ,. 7 5 3 li 2 1 16 21 4 20 3 1 1 12 5 SSO à. 0 0 N a. s „ E „ ,. f- NE m. 0 0 3 4 1» » mat. gi- ser. » )» 51 »» 27 11 „ 9 „ 10 3 0 6 4 6 0 8 5 7 2 8 0 '9 16 3 1 nuvoloso ser. nuv. spar. nuvoloso l.t.pio.a]). 16 00 2 00 1 3 mal. gì- ser. i3 i3 1 1 i5 4 12 coperto piove chiariss. mal. gi- ser. „ Il 28 0 »> » « >' ,, 1 „ 0 9 16 i3 17 8 N d. NO m. 0 0 pio net. 2 I ser. nuv. sp. mat. gi- ser. mal. gi- ser. 1 2 >7 12 S 13 1 1 Il 5 II 2 25 ti 2 7 4 SO m. 0 0 5 62 3 nuvoloso ser. nuv. spar. chiarissimo i3 7 5 Nqo 0 0 3 40 pio. tilt. 0 2 „ nuv. oriz. cop. tulio „ piove nuvoloso „ sole trai, icreno vapor. mat. ser. 27 11 28 0 „ 1 4 0 0 3 4 7 6 7 20 16 J2 9 «7 i3 9 '7 IO 17 3 9 5 3 i5 11 3 23 6 3 21 3 N d OSO „ 0 0 2 25 1 2 7 3 mal. gi- ser. mat. gi- '.ser. 17 5 18 8 8 N q 0 SO d. 0 0 „ nuv. oriz. ser. nuv. spar. ,, vaporoso cliiaris. ;; « 5» N d. 0 0 0 0 a 3 •^^ "^^ V..,v^:^. ■iM'\ ,.; 1 o