GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 223, 224 ROMA NELLA STIMPERU DELLE BELLE ABTI 1838. ^■ll'^Lf GIORINALE DI SCIEIVZE LETTERE ED ARTI TOMO LXXV APRILE, MAGGIO E GIUGNO 1838. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1838 SCIENZE Questioni di medicina legale secondo lo spinto delle leggi civili e penali veglianti ne"" governi d'Italia^ del dott. Giacomo Barzellotti ec. ec. ec. ( Continuazione Ved. pag. 50 , tom» LXX di questo nostro giornale ). Tomo II di pag. 704, libro quarto-, ossia Tossicologia forense. Xnfra le cagioni, che moltìplici sono, avventizie o nonnaturalif capaci di compromettere la nostra esi- stenza o condurre alla morte, due specie principal- mente formano e fissano uno scopo medico-legale, che il eh. prof. Barzellotti appella fraudolenti o vio- lenti. Delle prime forma il subietto di discussione nel presente voluminoso libro, di cui imprendiamo a favellare con quella brevità che nel nostro istituto può permettere l'interesse altissimo dell'argomento; giacche i progressi della scienza nell'intervallo di 17 anni dalla prima edizione dell'opera non hanno solamente, in sul proposito, richiesto l'aumento di qualche capitolo o f|uistione, ma sibbene un rifaci- mento presso che totale di tutte quelle che di già fi- guravano nelle altre edizioni. „ Le cause pertanto S ót 4 Scienze „ della priora specie, o fraudolenti, rìferisconsi ai „ veleni, Q quelle sostanze di tal quale indole e na^ „ tura, che date o prese per bocca q in altro quaU „ siasi njodo e parte applicate o introdotte in certa ,, dqse nel corpo umano ; pure, q mescolate a cibi „ e bevande, per volontà di offenderlo e distriigger- ,, lo, o per qijella talora di risanai'lo, turbano e sconr ,, certano così fatta'nenle la salute, che mettono in „ pericolo, e fin distruggono la vita „. E siccome per lo spirito delle leggi penali ovunque vigenti en^erge, che l'essenza del delitto di veneficio sta tutta nella prova della propinazione, applicazione o uso del veleno; e la qualificazione di esso, nella scoper-? ta o prova evidente della sostanza venefica impiegata per commetterlo: cosi il foro per venire a capo del- la scoperta del veneficio, qualificazione di esso, e quantità pur del veleno istesso ha bisogno dei lumi e dell'opera de'periti dell'arte. Le quali cose tutte vengono in questo libro maestrevolmente discusse, ed in modo, che non solo i periti dell'arte rinvenir possono con la originale sua lettura soddisfacen-? tissimo, ma le stesse persone legali opportuno e ne- cessario a tutti i loro bisogni, esclusa però sempre quella che tuttora vi è imperfezione dolorosa ed umiliante dell'arte. Giacche per quanto trovisi cotal materia oggidì grandemente illustrata coli' analisi nel chimici laboratorii, e forse fin dove la chimica istessa^ da uomini abilissinii a questo grande scopo diretta, poteva condurla, ed in ispecial modo dal genio filantropico del prof. Orfila ai veleni applicata: pure confessar è d'uopo che sussiste ancora la mede- sima insufiicenza di lumi nell'argomento, sebbene ad un minor grado, siccome l'ha l'istesso prof, pari- gino ingenuamente proclamata. „ Nello stato attuale Medicina Legale 5 tt ( scrisse Orfilà ) delle ntìslre cognizioni la chimica „ fornisce i mezzi di conoscere tutti i veleni mlne- „ ralij ed un cèrto numero di veleni vegetabili: non ,j COSI però dei veléni animali, e della maggior par- „ te di quellij che si cavano dal regno vegetabile,,. Ed in mezzo alle tante difficolta, che per cotale in- sufficienza a rettamente giudicarne concorrono, a lo- ro criterio non resta al perito che studiarne e va- lutarne gli effetti prodotti dalle sostanze impiegate sili corpo umano, onde dedurne cautamente la ca- gione, tanto più che questo studio di eflfetti è oggidì per molti lati illustrato; e nei casi dubbii ed ove i lumi della scienza chimica abbandonano o di debo- le luce rischiarano, appigliarsi al partito di tener conto di questi, di quelli della botanica, della zoo- logia, dell' osservazione e dell' esperienza, facendo servir di soccorso e di governo gli uni degli altri. E negli attuali difetti della scienza una luce piìi ful- gida ha procurato il N. A. spargere sull'argomento nella presente edizion ventilato, raccogliendo casi a ciascun veneficio appartenenti, onde conoscenza sì avesse delle anomalie diagnostiche nei vivi, di quel- le lesive nei tessuti dei morti, come dell'assoluta mancanza di esse, non che degli effetti terapeutici ; dai quali fatti più certi si è egli pur avvisato dedur- re qualche teorema per norma dei casi non con- templati di veneficio. Ma l'esistenza reale in natura e fuori del corpo umano conveniva dimostrarsi dei veleni o delle so- stanze venefiche: e su questo dilicato punto s'inter- tiene nella I questione il N. A., declinando dai divi- samenti di moderno ma dotto scrittore, Alibert, per cui altri ed anche recentissimi han parteggiato, co- me Taddei; e per la via duplice di fatti e di ragioni 6 Scienze si crede In diritto di concludere con Barthez, ch'esi- stono varii veleni in natura, e che essi sparsi si trovano per umana disgrazia nei tre regni di essa. La evidentissima varietà di effetti, che questi veleni spiegano sulle varie parti o sul generale dell'umano organismo, ha obbligato gli scrittori a determinarne una partizione: e qui è dove il N. A. ha distinto e classificato le sostanze venefiche in quattro specie a norma delle osservazioni che partono dagli effetti medesimi, cioè veleni neri o caustici^ narcotici^ nar- cotico-acri^ e settici. Di questa divisione, come più consona in relazione agli effetti, trovandosi il N. A. pili pago, non ha creduto assentire alle partizioni seguite da altri scrittori che o da altri principii sco- lastici son partiti o alto scopo si hanno proposto. Sulle orme per altro di Orfila agglugnesi nel lavoro di cui favelliamo, come appendice al veneficio sem- plice delle diverse sostanze, anche quello delle me- scolanze di esse per maggior lume dei periti e del foro. Sembra naturalissimo, che un principio attivo posseggasi dalle venefiche sostanze; ma essendo riu- scite fallaci le istituite ricerche, concluder si debbe pili filosoficamente, che il vero principio dei veleni è fino ad oggi ignoto, e che se tanti non sono i prin- cipii venefici quanti i veleni, ammetter se ne deb- bano e stabilire tanti quante sone le specie teste enunciate di essi. Si spinsero le indagini a squitti- nare se l'azione dei veleni, qualunque sia la respet- tiva loro natura, si eserciti particolarmente su cer- te parti o certi sistemi o specificamente sopra di essi, ovvero se il principio venefico attacchi ezian- dio r organizzazione intiera prima di troncar lo stame della vita. Ma per la illustrazione degli effetti Medicina Legale 7 sicuri prodotti dai veleni sopra i diversi sistemi , visceri e partì, trova coerente il N. A. a dire e soste- nere, che ciascuna delle specie almeno di veleni go- da dì un'azione specifica sulle partì, su i sistemi, su i visceri, anziché suirinsierae dell'organizzazione; e che gli eiFettì più pronti sono prodotti dai veleni che hanno azione elettiva sugli organi piìi vitali. A molte circostanze individuali però è subordinata l'a- zione dei veleni di qualunque specie; così se torpi- da sia la sensibilità della fibra, o abituata a sti- moli energici ed all'azione contìnua di certi veleni , l'azione dei piìi potenti non produrrebbe gli effetti tanto pronti ed energici, quanto in una fibra lan- guida e sensìbile produrrebbero i deboli veleni. Molti casi d'altronde presenta la storia medica, in cui si narrano deglutite generose dosi di venefiche sostanze senza esserne conseguito alcun morboso sconcerto, ne morte. Egli è per questa e per altre contemplate cagioni, che definir non si può il vene- ficio in senso medico-legale senza la comparsa dei sintomi e degli effetti dal veleno prodotti ; e piace qui al N. A. adombrare il veneficio., siccome nel- la terza quistione si esprime, al modo stesso che tenne nelle precedenti edizioni del suo lavoro.,, Mor- „ bosa affezione (cosi il caratterizzava) suscitata nel „ corpo umano per opera di un propinato o co- „ munque introdotto veleno in esso, con sintomi „ piìi o meno violenti, e sempre minaccianti o pro- „ ducenti la distruzione della vita. ,, Vi sono, egli è vero, alcune malattie, che molto nei sintomi o nella fisonomia loro al veneficio si assomigliano, sen- za che poi di fatto lo sieno; ma in queste, riferite già da alcuni a veleno spontaneo., trova egli più giu- sto l'ammettere veneficio sinuclato od apparente per 8 Scienze distinguerlo dal t^ero, il quale solo costituisce in faccia del foro il delitto. Ed affin di evitare gli equi- voci di tal tempra, il quadro ci offre del falso o ap- parente o simulato veneficio, non che del vero, on- de non abbia col secondo a confondersi e scam- biarsi il primo. Utile divisamento in vero ^ poiché quando possono i quadri mettersi a rincontro, fa- cilmente ne risultano dal colorito le differenze. Li- mitandosi perciò alle affezioni apiretiche, e piìi fa- cilmente a quelle che nel g^astro-enterico apparato han sede, e cui fan treno certi sintomi, che dubbio o sospetto indur potrebbero di veneficio, s' intertiene a discorrere del vomito e delle cardialgie semplici e dilanianti, dei tumori scirrosì e dei cancri, delle piaghe dello stomaco e degl'intestini, delle coliche violenti di qualsiasi natura, della dissenteria , del volvolo, del melena o morbo nero, e quindi dei prin- cipali sintomi del cholera morbus europeo ed india- no. Marcati i distintivi colori delle prenominate affezioni, discende ad adombrare il veneficio in ge- nerale, ravvicinando i sintomi e fenomeni piìi comu- ni ad ogni veneficio per diversi veleni procurato t e dopo aver offerto il quadro comune a tutt' i veleni, esibisce per colmo di accuratezza in quadri distinti quello prodotto dai veleni di ciascuna specie, onde riescono le fisonomie piìi caratteristiche di queste diverse famiglie, senza omettere a suo luogo la monografia delle varietà di ciascun veleno alla ri- spettiva specie appartenentir La prima azione che la sostanza venefica comu- nemente esercita e che Tindividuo prova sulle vie gastro-enteriche o è irritante e caustica, o sedativa^ o aere-sedativa^ o settica, turbando, sospendendo le facoltà o funzioni delle parti cui viene a contatto, o Medicina Legaie 9 portando la sua azione simpaticamente pei* lo più al sensorio o al sistema dei nervi; o imprimendo sulla parte ofiesa, sull'organo del pensiero e della sensibi- lità, un'anione sedativa e stupefacente; o su i solidi come su i fluidi esercitando azione dinamica e riso- lutiva dei tessuti, come della crasi umorale, giusta la qualità o la Specie del veleno ingerito. Ma la gradua- zione di effetti o di sintomi nel veneficio in genere lion è solo riferibile alle varie specie o famiglie dei Veleni, ma ben anche alle dosi del veleni adoperati, al modo con cui vennero impiegati^ agli escipienti cui furono uniti^ alla circostanza in cui sono stati am- mini^tratif non che alla singoiar natura e proporzio- ne del veleni stessi. Graduazione di effetti o di colori del veneficio, che male o imperfettamente figuran- do in un quadro generale, richiedeva di essere sin- golarizzata con altri quadri speciali, che in questa nuova edizione dipinge il N. A., siccome dicem- mo, con un pili dovizioso corredo di cognizioni uti- lissimei e recenti. Lumi egualmente necessari che apprezzabili sparge quindi nel discorrere delle pra- tiche pili generali e sollecite, onde soccorso appre- stare nei casi di veneficio da sostanze note o sco- nosciute operato. E nel tre consecutivi articoli ac- curatezza somma si Spiega dal N. A. per istruire nella valutazione degli effetti prodotti dai veleni nei vivi, come nel cadaveri, descrivendo le lesioni ed i guasti dalla necroscopia rivelati, e relativi altresì alle quattro designate specie del veleni. Spinge in ap- presso le sue generali ricerche allo investigamento e determinazione del veleno, ch'è lo scopo finale o fo- rense della missione del perito, e tutti 1 più co- muni e speciali processi vi addita perchè assegnar si possa la qualità o natura delia sostanza venefica, 10 S e I E K Z E o precisarne ancor la dose se fia possibile; risertan- dosi per la norma più rigorosa di alcuni processi dì annunziare e far conoscere alcune particolarità e certe eccezioni alla circostanza di tener racriona- mento di essi nel veneficio dalle varietà ingenera- to. Ed ecco come dopo i segni raccolti del l'avvele- namento, dopo la conoscenza delle lesioni cadave- riche, maggior lume si tragge con l'impiego dei chi- mici conosciuti processi. Così p. e. „ se il sospet- „ to, o l'indizio tratto dai sintomi di avvelenamen- „ to, o dalle lesioni cadaveriche, o da un odor di „ mandorle amare, emesso dalle sostanze trovate ,, nello stomaco e negl'intestini, cadesse sull' acido „ idrocianico^ allora si versa sopra una porzione del „ liquido chiarito, della soluzione alcoolica di po- „ tassa e di solfato di ferro. Il liquore prenderà ,, tosto il color hlu, e si deporrà in breve tempo il „ blu di Prussia. Onde assicurarsi dell'esistenza del- ,, l'acido idrocianico, come della sua quantità, gio- „ va impiegare il nitrato di argento, istillandolo so- ,, pra il detto blu di Prussia. L'acido idrocianico s' ,, impadronisce dell'argento, e si formerà un cia- ,, nuro di argento, il quale sarà solubile nell'acido ,, nitrico bollente. Questo processo (secondo Orfila) „ è il più sicuro per iscuoprire e determinare la „ quantità di quest'acido. ,, Avvertenza poi singola- rissima ommetter non dobbiamo, che potendo tal- fiata il veneficio operarsi per l'applicazione dell'a- gente venefico alle parti esterne, come per le can- taridi o per altri veleni, avvenir può che sulle par- ti si riconosca qualche residuo di cotali sostanze , come di quelle minerali venefiche, le quali si sie- no, per cos'i dire, incorporate alla fibra che hanno decomposta, e possano quindi venir assoggettate all' Medicina Legale 11 azione del reagenti medesimi e con la pratica de- gl'istessi metodi discoperte. E non verificandosi allo esterno la presenza di alcun elemento per essersi tutto assorbito e recato in circolo, non mancano mezzi per altro da riconoscere il seguito passaggio del veleno nel torrente della circolazione, essendosi riuscito in rinvenire taluni di essi uniti al sangue, alla linfa, alle orine, ed alla saliva, come le prepa- razioni saline mercuriali, l'acido arsenioso, il nitra- to di argento, l'acido prussico, e pili altri. Le generali vedute fin qui premesse non po- tevano ritenersi bastevoli onde opportunamente ri- solvere i casi di veneficio: ed a tal effetto in quattro separate questioni discende a tener prolisso ragiona- mento delle quattro famiglie o specie diverse dei veleni, incominciando dagli acri, con favellar dei fenomeni e sintomi da essi operati e per cui viene ciascuno di essi rappresentato, con additare i pronti soccorsi da apprestarsi, con riferir dei casi o esem- pi ad illustrazione del fatto, con annotarne le cada- veriche lesioni ed i modi di conoscere ciascun ve- leno che sia. Metodo che con laboriosa ampiezza e con finissimi criteri portandosi dal N. À. in discu- tere tal gravissimo argomento, rendesi superiore nel suo intrinseco e pregio a quello nelle altre edi- zioni tenuto , nulla essendovi in oggi a desiderare di pili per il livello colle cognizioni odierne. E sic- come per dare una riprova dell'asserto ci vieta la brevità dare un sunto della intiera quistione in proposito, giudichiamo opportuno esibire rapida- mente il titolo delle forme con le quali egli la trat- ta , prendendo per norma il primo articolo in cui si ragiona del veneficio per le sostanze mercuriali. Dopo averne descritto il quadro speciale dei sinto- 12 Scienze mi, accenna ai soccorsi pronti da impiegarsi per Tuoi'' pò; quindi 22 istorie più o men brevi riferisce di veneficio dalle mercuriaili preparazioni operato, cui talvolta aggiunge delle utili riflessioni; e dopo ave- re istruito i lettori intorno ai processi opportuni e necessari per iscuoprire C deterniinai'c i veléni mei'cUi'iali, la qualità loro, ed anche se tìa possibi- le la quantità di essi, riunisce in un epilogo la som- ma delle cose nell'articolo intiei*o maneggiate, il complesso cioè dei fenomeni è sintomi piìi comuni e costanti occorsi nei casi narrati; le anomalie di essi nel veneficio per le iildicate sostanze ^ i piìi efficaci soccorsi amministrati e i più utili succedanei ; le lesioni più frequenti ritrovate nell'autopsia dei ca- daveri che furon vittime di simil veneficio ; ed i mezzi pili sicuri adoperati per riconoscerli. Fra le pregevoli avvertenze nel prefato epilogo raccolte annotar vogliamo col dotto N< A., che non solo l'u- so intèrno delle preparazioni mercuriali^ ma l'uso esternp altresì di quelle più caustiche risvefglia dei sintomi locali ( o della parte cui sono venuti a contatto ), e di quelli generali e più che altro nel- l'apparato gastro-enterico; e che muoiono egualmen- te gl'infermi quando la doppia serie suscitasi dei fe- nomeni, che quando i locali solo o gli universali so- lamente si eccitano. ,, Talché potrebbesi inferirne, „ che i veleni mercuriali per risvegliare i sintomi ,, generali non han bisogno talvolta di essere as- „ sorbiti, bastando l'azione loro locale ; come che „ produrre la morte, non si richiede sempre che „ producano grandi affezioni locali almeno e forse „ nessuna ; il che proverebbe che dessi fossero as- „ sorbiti, come io co' piìi distinti autori opino , ,) e che talvolta, ma non sempre lo siano. Ed in Medicina Legale 13 „ questo supposto appunto può arguirsi, che se i „ soccorsi utili, come Valbitme dell'uovo, ed il giù- ,, fine del grano sono stati alla prova , , . i migliori ,, rimedi o i piìi certi contravveleni, allora che le y, preparazioni del mercurio sono state esibite per „ bocca, perchè il rimedio viene a contatto del ve- ,, leno, lo decompone e rende innocuo ; quindi è j, che questi stessi rimedi possono essere utili allo^ ,, ra che i veleni sieno stati applicati all'esterno ed ,, abbiano risvegliato dei sintomi nell'apparato ga- „ stro-enterico; dovendosi ivi supporre la presenza „ degli stessi veleni, capaci di essere ivi decompo- „ sti, come alle parti, cui sono stati applicati, Può ,, altronde darsi ragione dalla natura dei rimedi „ della presenza dei veleni stessi, perchè molti av^ „ velenati sono guariti senza i due contravveleni „ indicati; cioè, perchè le sostanze animali, come „ il latte, i brodi, le mucillagini vegetabili hanno „ valenzia di atterrire o perturbare le composizio^ „ ni di queste preparazioni, neutralizzarle e reu' ,, derle manco iiocenti; come l'acqua ha il poter di „ diluire e attenuare queste preparazioni quando ,, trovisi in istato salino, e di eliminarle. Si com- „ prende poi bene da questi casi, come le gran dosi ,, di esse abbian tutte le facoltà d'irritare, stimola- ,, re, infiammare le parti cui vengono direttamente „ o indirettamente a contatto, portar la cauterizza- „ zione di esse e quindi la cangrena o le perfora- „ zioni di esse, e come a tal punto condotte le cose, „ inutili riescano anche i contravveleni nominati. „ Infine, come qualche volta questi veleni, non fa- „ cendo offesa così grave alle parti, o secondo l'as- „ serzione di alcuni, forse nessuna lesione, portino „ alla morte per l'attentalo che fanno alla virtuali- 14 Scienze „ ta del cuore e forse della sensibilità nervosa: nel „ qual caso però non potrebbesi delitto o venefìcio „ qualifìcarsi , se rinvenuto non siasi in qualche „ parte del corpo il veleno sotto qualche forma, re- „ putata e riconosciuta nocente „. Pari è il modo diligentissimo e sagace, con cui diportasi il N. A. negli articoli susseguenti in trat- tando del veneficio per le sostanze arsenicali, per le preparazioni di rame, per le preparazioni antimo- niali, per quelle di piombo, per le altre di stagno, per le preparazioni di zinco, di ferro, di bismuto, di argento e di oro: sulle quali tutte risparmiando d'intertenercì, annotar ne piace alcune cose che non saranno ai nostri lettori disaggradevoli. Cosi nel di- scutere il veneficio per le preparazioni arsenicali avverte i periti ed il foro, che qualunque delle me- desime può produrre e produce effetti diversi e più pronti o pili tardi, giusta le dosi delle respettive preparazioni impiegate, sia internamente, sia all'e- sterno, e sotto una forma od un'altra. Non saprebbe egli perciò ammettere, che altro segreto sia mai esi- stito, ne esister possa in qualsiasi di queste prepa- razioni, che nella quantità da arrecare una morte lenta ed a piacimento di colui che con tale intenzio- ne la impiega. Sotto questa condizione avranno esi- stito r acquetta di Perugia accreditata presso il volgo, quella di Napoli , 1' acqua tofana ; laddo- ve nel nome esistevano pei prestigli del tempo, i quali esso stesso coi lumi ha dileguato in oggi , dando alle preparazioni arsenicali, specialmente te- nute in dissoluzione in piccole dosi nell'acqua, il potere di lentamente attossicare. Ed appoggiandosi alle autorevoli osservazioni della dose di acido ar- senioso capace di ciscre tenuto in soluzione , ripi- Medicina Legale 15 glia il N. A. che se la causa è venefica ed a piccole dosi sia esibila, qualunque essa sia avrà l'effetto co- mune agli altri veleni ed alle cause pur anche non venefiche o a certe malattie lente; ed allora venefi- cio non sembragli doversi appellare, ne troverebbe la ragione per cui questa mite soluzione arsenicale dovesse con un nome particolare distinguersi. Ne valgono in contrario i casi che contansi di attentati alla vita d'illustri personaggi; poiché non essendo la morte di essi susseguita all'uso immediato di tali sostanze, ritiene impossibile lo stabilire anzi il pre- sumere che i morbosi fenomeni rimarcati e le ca- daveriche lesioni rinvenute da veleno arsenicale spe- cialmente derivassero, anziché da altro veleno o da altre cagioni. Si danno dunque i lenti veneficii per ogni spècie di veleni, avuto riguardo alle quantità loro e preparazioni puramente usate, e non già per- chè sieno specialmente atteggiate ad agir lentamen- te e con arte fraudolenta, ma come cause morbose, o per meglio dire nemiche dell'organismo vivente ; ed è perciò che i periti ed il foro debbono guaren- tirsi dalle favole del volgo. Fra i chimici reagenti praticati per discuo- prìre l'acido arsenioso, aveva il profes. Barzellotti nelle precedenti edizioni di quest'opera riposto per ultimo y ossido di manganese e potassa fusi insie- me^ in vista dei difetti che tal reagente presentava. Resta egli ora giustamente sorpreso, come i chimici italiani Perego e Grandoni abbiano proclamato, es- sersi dal N. A. e da Orfila segnato e proposto l'in- dicato reagente come il migliore fra tutti. Ma cade in oggi tutta la maraviglia, per essersi dal prof. Orfi- la eliminato dal numero di essi il camaleonte mine- rale nelle edizioni successive delle sue lezioni di me- J6 Scienze dicina legale, e per essersi un tal esempio seguito pur dal N. A. nella presente. Favellando il N. A. dei processi da usarsi per iscuoprire e determinare le qualità e quantità delle preparazioni di rame, av- verte non doversi tosto giudicare di veneficio per opera di alcuna di queste, ognora che nei casi di supposto avvelenamento si trovasse nelle materie che si esaminano, sieno cibarie e liquide adoprate, sìeno organiche nei corpi dei defonti, qualche ato- mo di sale, di ossido di rame a qualsisia grado, o di rame stesso per via dei suggeriti processi. Giac- che in oggi l'analisi chimica ha scoperto il rame sotto diversi stati, tenchè in tenuissima quantità , in molte sostanze alimentari, ed anche di uso co- mune, in certe bevande, in alcune sostanze medi- camentose. Distinti si sono in queste ricerche Bu- cholz, Meisner, Sarzeau, O'sanghnessy, Lefebure , ed il nostro valente chimico romano prof, Peretti , il quale ultimo rinveniva del rame nella feccia del ■vino. Provano gli esperimenti del chimico romano per altro, che i sali naturali e comuni del vino sciol* gono il rame; e che quello che si scuopre nella feccia del vino è in una dose assai piìt piccola, che quello che artificialmente ad esso si univa nei njodi d'illu- strazione di questa scoperta. Or se in cinque libre di vino, che i soli ubriaconi possono bere, si con-» tenesse anche un grano di ossido o altro preparato di questo metallo, non potrebbesi rinvenendolo tri- buire a s\ tenue quantità il veneficio o la morte. Quindi se i cibi, le bevande e certi rimedi conten- gono sali, ovvero ossidi di rame, risulta d'altronde chiaro, per le luminose scoperte dei menzionati chi- mici, trovarvisi quelli in tenuissima quantità. Co^ sicché per gl'indizi dei medesimi che rinvenir si Medicina Legale 17 potessero nelle materie vomitate, rese per secesso , o iscoperte nei cadaveri dei supposti attossicati pel rame, diritto non vi sarebbe di concludere per ve- neficio : e tanto piìi se non siano esistiti o non co- nosciuti sintomi del veneficio i più comuni, e non siansi rinvenute quelle cadaveriche lesioni in gene- re che all'opera dei veleni acri appartengono e spe- cialmente alle preparazioni di rame. NeWepilugo annesso all'articolo del veneficio per le preparazioni saturniche rimarchiamo, che il N. A. invita seriamente a riflettere, che i soggetti lentamente avvelenati co' preparati di piombo, co- me sono qijelli che o per circostanze ne respirano le particelle, o che lentamente le deglutiscono colla saliva come i pittori, i pentolai, i fabbricatori di piatti ed altri, benché i sintomi e i fenomeni del ve- neficio siensi manifestati prima o poi sull'apparato gastro-enterico e sempre sul sistema nervoso, pure i decessi per tali veneficii han presentato l'apparec- chio gastro-enterico quasi che intatto, siccome ri- sulta per alcuni dei casi dal prof. Barzellotti riferi- ti. Coloro all'incontro, che a grandi dosi lo hanno trangugiato e ne perirono, hanno esibito lo stoma- co rosso non che gl'intestini, e la mucosa dell'uno e degli altri alterata o macerata, o dei ristringimenti e qualche rubore. Anomalie d'altronde sonosi rav- visate in opposizione all'asserto ora enunciato , ne mancano dei casi raccolti da varii medici distini.', di dosi forti di acetato di saturno esibite o prese per bocca, ch'eccitava tutt'i fenomeni e sintomi del veneficio, da cui quindi scamparono i pazienti in grazia di adattato regime terapeutico. £d infatti inutili sarebbero tornati gli apprestati presidii, se le forti dosi di piombo avesser possanza di sempre G. A. T. LXXV. 2 j8 Scienze pi'ocnrnre dello lesioni nei^li organi; mentre (lalTa]- tro canto emerge, per l'efilcacia dei diversi metodi e mezzi adoperati nelle coliche saturnine, che piutto- sto il sistema nervoso che l'organismo dell'apparato gastro-enterico resta in cotal veneficio pili compro- messo. È quindi consagrato l'articolo duodecimo di cfuesta medesima quistione ( altro titolo di premi- nenza della presente edizione sulle altre precedenti) a favellare del veneficio che può suscitarsi colle preparazioni di metalli la pili parte recentemente conosciuti, che poi in compendio vengono enumera- ti in una tavola sinottica al num. 12, il cromo cioè, molibdeno^ nrano^ cerio , manganese , nikel , co- balto^ platino^ palladio, iridio, iodio, ed osmio. Ivi dopo essersi annunziate le preparazioni di essi, gli effetti o fenomeni e sintomi principali del venefi- cio per ingestione, iniezione o applicazione locale dei medesimi operato, le lesioni rinvenute nei ca- daveri degli estinti per esso, vengono a proporsi i mezzi pronti e facili per determinare e riconoscer- ne la natura. Sono in appresso contemplati e con lo slesso metodo discussi i veneficii per gli acidi con- centrali tanto minerali quanto vegetabili; quelli per gli alcali puri e misti, per le terre alcalescenti, e per le combinazioni saline degli uni e delle altre; quelli per le sostanze vegetabili acri; e quelli finalmente per le sostanze animali acri : ma in tutti colali ar- gomenti si rinvengono preziose aggiunte ed illustra- zioni. Infra queste è a porsi singolarmente lo stu- dio usato nella redazione delle tavole annesse, che per rapporto alla prima famiglia dei veleni acri o caustici son due, e nelle quali in un modo breve ma chiaro si ristringe tutto ciò che ha riguardo al ve- Medicina Legale 19 neficlo di ciascuna delle indicate sostanze. Evvi inol- tre una tabella delle piante venefiche acri non an- cora hene o estesamente conosciute, adoperate cioè per caso e riconosciute pe' fenomeni e sintomi ve- nefiche nell'uomo, o sperimentate tali negli anima- li, senza che la chimica ne abbia scoperto e deter- minato il principio, ne la pratica medica ne le ab- bia comprovate in ogni modo venefiche. E per mas- simo finalmente dei pregi di questa edizione non vuoisi trascurare dal N. A. la somma di alcuni teo- remi medico-legali, co' quali chiudesi la presente questione. Per evidenza di fatti e di ragioni dedu- consi i medesimi al numero di nove da tutto il com- plesso delle dottrine discusse, e servir possono giu- stamente di principi! fondamentali e canoni per tutti i casi simili che susciteranno discussioni nel foro. Il vantaggio di queste verità per tal modo desunte ci obbliga a riferirle almeno nel più com- pendiato aspetto. - Non puossi, ne devesi ammette- re in generale il veneficio per le sostanze acri, se lesione manifesta non vi sia dei tessuti cui è venu- to a contatto il veleno, e senza che esso non ab- bia patito qualche alterazione nella sua natura, e non sia stato piìi o meno scomposto. - Se sia rima- sta illesa la fibra, malgrado della presenza di un veleno acre cui sia venuta a contatto, e quantunque alterato o scomposto esso rinvengasi, debbo cotal decomposizione ricusarsi attesa la integrità dell'or- ganismo ; e viceversa ad altra cagione o ad altra specie di veleno debbe attribuirsi ralterazione del- la fibra a contatto del veleno, qualora questo si ri- marcasse inalterato. - Se trovisi infiammata, cangre- nata , perforata la fibra , senza che ad essa non siasi associato atomo di tal sostanza o che ombra 20 Scienze «li I)ia il veleno patita , non si potrli ne dovrk attribuire a questi veleni la causa del veneficio e della morte. - La cagione di questa e di quello resta evidentemente comprovata, se rin- vengasi il veleno acre in parte intatto , in parte a contatto della fibra malmenata, infiammata, cangre- nata, convertita in escara, e decomposto il veleno stesso ed agli elementi della fibra associato. - Dati non si avranno per ammettere il veneficio, se ato- mo del presunto veleno non si rinvenga nelle pri- me strade o in tutti gli umori saggiati, ne orme le- sive nelle medesime ; quantunque ad una presunta propinazione di veleno, e veleno acre, sieno susse- guiti i fenomeni e sintomi di veneficio e poi la mor- te. - Non è ancora, secondo il rigore forense, ben dimostrato l'assorbimento dei veleni acri singolar- mente; quindi senza il rinvenimento del veleno, che si suppone assorbito, non si può concludere per il veneficio in tal maniera suscitato, potendo certe le- sioni riscontrate nei visceri non esser refletlo di co- tale assorbimento, ma di un'azione consensuale del medesimo per opera nervosa. - ,, In alcuni vegeta- „ bili venefici acri, che sono di una natura compo- ,, sta, come in quelli animali acri, e che un prin- ,, cipio venefico particolare non abbiano, o se a- „ vendolo, come molti lo hanno, resti esso alterato „ dai sughi digestivi ed in altra maniera qualun- ,, que; infine se non si ritrovi, e che le lesioni tali „ quali produce lo stosso veleno sperimentato nc- „ gli animali, non abbia operate, non vi saranno „ mai dati certi e sicuri per fondare il giudizio di „ veneficio per quella o (piciraltra sostanza.-Lc te- ,, nui quantità di un veleno ritrovate, non sulfi- „ cienti a dar ragioni dei fenomeni del veneficio Medicina Legale 21 „ e della morte; o la presenza di certe sostanze ,, semplici di certi corpi, solfo, fosforo, ce, dietro ,, i precorsi effetti di veneficio e delle lesioni dei ,, cadaveri , non autorizzeranno a reputarli cause „ efficienti di veneficio e di morte, se ragioni evi- „ denti non vi sieno della loro riduzione. Non deb- „ be quindi avere il foro , ne ricevere dei sinto- „ mi comuni ai veleni di questa specie, se per av- ,, ventura venisse su di essi solamente il parere del ,, perito appoggiato, qual prova concludente del „ veneficio ; ma esigerla dalla qualità e quantità ,, del veleno, dai rimedi se usati, e dalle lesioni „ speciali ritrovate nei cadaveri, alle cpiali parti- li colaritk è stata diretta tutta intiera la questio- ,, ne discussa ,,. Nelle tre susseguenti questioni, quinta cioè , sesta e settima, si tiene dal N. A. ragionamento del veneficio per le altre tre famiglie di veleni a forma della partizione dal medesimo adottata: di- scutonsi ivi i venetìcii per le sostanze venefiche narcotiche, per le narcotico-acri e pe' veleni set- tici. In ciascuna delle medesime vien serbato l'or- dine istesso di suddividere ogni specie in piìi o me- no numerose varietà ; trattansi in pari modo i sin- goli argomenti con la esposizione del solito quadro di sintomi e fenomeni, con la enumerazione dei soc- corsi pronti contro ogni varietà delle sostanze ve- nefiche, con lu descrizione di varii casi istorici di veneficio avvenuto per opera delle medesime, con la indicazione dei processi e metodi più atti a ri- conoscerle individualmente. Si aaiìiu^ine al fine di ogni questione il solito epilogo, ed un complesso di teoremi medico-legali^ o deduzioni generali ri- sultanti dalle tenute discussioni. Altre tavole fitiii- 22 Scienze rano al pari di quelle superiormente menzionale: ima delle quali spettando ai veleni e venetìcii per le sostanze narcotiche, oflfre a colpo di occhio in un quadro il nome delle medesime , accenna le pre- parazioni e i principii venefici di esse , distingue i modi loro nel suscitare il veneficio o per inge- stione o per iniezione o per apposizione, presenta i fenomeni o sintomi principali che rappresentano il veneficio , istruisce sulla notizia dei contravve- leni relativi e su'modi di amministrarli, sui tro- vamenti delle lesioni cadaveriche, e sui mezzi pili atti a discoprire i veleni relativi. L'altra con egual metodo rappresenta tuttociò che risguarda il vene- ficio per le sostanze narcotico-acri; ed altra da ul- timo per le sostanze settiche o putrefattive è desti- nata. Altre due tabelle sinottiche sono aggiunte nelT opera, figurando nella prima di queste le piante narcotico-acri, di cui non è pienamente comprova- ta la deleteria qualità, e nella seconda i principali funghi venefici del genere amaniti o imenotici, e del genere detto degli agarici. L'accuratezza e la dovizia insieme delle cose rappresentate in quelle grandi tavole accresce alla presente edizione un nuo- vo pregio, che non possedevano le precedenti in si- mile latitudine ed estensione. Quivi il lettore o può rimembrarsi a colpo di occhio tutta la materia già ventilala nella quistioiie, in cui già l'apprese con una erudita ma necessaria istruzione; ovvero ne trag- ge un gran soccorso ogni volta che il bisogno lo spinga a consultarla in un baleno. Diversi titoli si prefigge il N. A. a discutere nel- la ottava quistione o capitolo; ricercando cioè in sul- le prime la volontaria simulazione o dissimulazione del veneficio, sia che dall'uomo vivo studiosamente Medicina. Legale 23 per qualche fine si faccia, sia che nel morlo si vo- glia dissimulare con arte il veneficio allora che siasi operato. Ma sì di volontariamente voler simulare o infingere un veneficio è ben difilcile, come di nascon- derlo o dissimularlo allorché fosse avvenuto e ben impossibile. È piìi facile, son parole del N. A., l'in- fingersi ubriaco e paz:zo che avvelenato; e con mol- te ragioni dimostra quanto abbia a ritenersi golìa la simulazione del veneficio in qualsiasi dei modi che contempla, ed in ultimo caso la luce delle ri- cerche chimiche dissiperebbe le tenebre di un fal- so veneficio che avesse per avventura preso il color del vero. Impossibile è d'altronde dissimulare gli effetti del veleno nel vivo, e celare nel morto il ve- leno ed il veneficio; e ad oggetto di apprezzare cer- ti delitti, l'esperienza ha stabiliti dei criterii per riconoscere alcuni veleni nei morti, e stabilire se essi siansi in tempo di vita impiegati o dopo mor- te^ e se ne rappresentino o no la vera cagione di essi. La natura delle lesioni, e la presenza del ve- leno che le ha prodotte, rivelano chiaramente l'ar- cano che con malizia si era voluto celare. A vie me- glio però conoscere la soluzione di questo impor- tante argomento, n'espone il prof. Barzellotti i ca- ratteri ravvicinati, servendosi delle parole del pro- fessor Orfila sul proposito, assegnandone cinque nor- me caratteristiche, dal complesso delle quali emer- ge, che qualora il veleno sia stato dopo la morte introdotto, trovasi esso ragunato in molta quantità attorno all'ano; l'attenzione dei tessuti poco lungi si estende dal punto del contatto con linea di di- visione grandemente marcata sulle parti ove ha agi- to, laddove illimitata se ne ravvisa l'azione se ven- ga il veleno in tempo di vita insinuato; le lesioni 24 S e I E N B E sono palesi nei cadaveri attossicati in tempo di vi- ta, e la dose minore rinvenuta di veleno in tal ca- so, mentre maggiore è la quantità di cjuesto , ne presentansi lesioni nei cadaveri di coloro nei quali venne insinu;ito il veleno dopo la morte; e se per opera di qualche veleno si determinasse una certa irritazione e rossore delle parti si'^sse toccate dal veleno, non vi sarà diffusione di azione. Le quali risultanze formano la serie di auei se"ni atti a rom- pere il velo , con cui la dissimulazione occultar voleva il veneficio. Siccome per altro si è talfiata con maggior nequizia procurato di operare cotal dissimulazione con confondere certi veleni, o più ve- leni insieme, con alimenti o bevande mischiarli e condirli, alBne di rendere complicati i fenomeni e sintomi del veneficio, oscura, incerta, intralciata la scoperta dei veleni o la vera loro indole o na- tura ; così nuove arti , nuovi studi e nuovi mezzi esigevansi nei casi di queste mescolanze por disve- lare le dissimulazioni e porre in chiaro la verità. Quindi è, che per quello spetta alle sole mescolan- ze fra veleni e veleni, con la guida del tossicolo- gista francese ha riunito il N. A. in tre piccole ta- belle il quadro di alcune delle possibili enunciate miscele, sottoposte già tlalia chimica all'analisi, onde abbiano i periti una norma per riconoscerle qualora la milizia umana tendossc ad usarne per dissimu- lare gli strumenti più potenti ai morte, vengo- no in esse tabelle desitifnati i nomi dei veleni me- scolati ; le quantità rispettive; gli effetti della me- scolanza medesima; i mezzi di analisi, e le resultan- ze: dalle quali istruzioni resta il perito grandemente ammaestrato. Nuda cognizione per altro di siffatte mescolanze si apprende con la scorta delle enunciate Medicina LebALE 25 tabelle, essendo ancora intatta pei chimici quella parte della questione, che risguarda l'associazione di uno o più veleni alle sostanze cibarie. Ov'è a riflet- tersi, esser certo che nei casi di tal tempra posso- no gli alimenti o le bevande mascherare non solo i veleni nelle fisiche loro qualità e nasconderli, ma v'inducono altresì alterazione nel sapore e nell'odo- re, e si modificano coi corpi cui si associano , o Go'quali sono preparati per esibirsi; possono i ve- leni medesimi alterarsi e decomporsi, e cosi o ren- dersi più forti le venefiche loro qualità, o all'op- posto indebolirsi e distruggersi. Quantunque però manchino fin qui su tal proposito positive chimi- che nozioni, dehlìo pure il perito dagli sconcerti che he saranno insorti arguire , se non un veleno mescolato a tali cibi o bevande, almeno una sostan- za molto nociva alla salute; e se essa non sia re- putata capace di togliere la vita, almanco di alte- rarla e sconcertarla. Che se un veleno vi fosse in mescolanza; da tutt'i lumi emergenti per le discus- se quistioni potrìi il perito trarre consiglio. Ma nelle ricerche medico-legali dei veleni, in tutt'i casi di veneficio tentato o effettuato, potrk il foro riposar sicuro nella sola perizia chimica del medico e chirurgo fiscali, ovvero dovrk per la mag- gior sicurezza e legalità dell'atto aiììdarla piutto- sto ai chimici piìi riputati, o richiedere almeno il soccorso dei periti esercenti la chimica ? Tal si è r argomento nella nona ed ultima questione del quarta libro presente. Con molta saviezza e soler- zia insieme si esprime il N. A., che nelle scienze e nelle arti è sempre più eccellente colui che l'eser- cita e professa incessantemente, anzi che cjuello che non la conosce che per principii solamente o per 26 Scienze le pratiche delle scuole. Mentre dunque il perito fiscale debbe fondatamente possedere ed esercitare con successo e fama quel ramo, su cui dev'emette- re il suo parere e giudizio; fa d'altronde conosce- re il N. A., senza idea di far onta ai medici e chi- rurgi fiscali, che ove trattisi di veneficio o di sco- prire e riconoscere coi mezzi chimici il veleno o corpo del delitto, abbiano i chimici famigerati ad essere dal foro eletti e preferiti a tanta disamina, poiché essi inspirar gli possono maggior fiducia e sicurezza. E per fiancheggiare cotal proposizione se ne appella egli non alle ragioni ma ai fatti, ram- mentando in sulle prime che la scienza chimica ele- mentare appresa nelle scuole, ove non sia e per ge- nio e per mezzi e per comodi coltivata , diviene tanto straniera al medico ed al chirurgo, quanto diviene la matematica e 1' astronomia. Quindi per dottissimi e probatissimi che sieno nell'arte che pro- fessano, non potranno egualmente esserlo nella chi- mica, qualora non l'avessero mai professata; ne po- tranno per conseguenza lusingarsi di soddisfare alla parte piìi essenziale nel veneficio, alla ricerca e sco- perta dei veleni, delle qualità e quantità loro, ne potrà il foro accettare le perizie loro, ed anteporle a quelle dei veri periti ed esercitati nella chimi- ca. Proseguendo il prof. Barzellotti a chiamare i fat- ti in soccorso e giustificazione di cotal prelazione, se ne appella alla bontà istessa e perfezione dei rea- genti necessarii per tali ricerche; mentre se dalla bontà e perfezione di essi dipende la riuscita del- l'analisi, non potranno di quelle dar sicurezza che i chimici di professione. Dopo tali difiicoltk se ne appella agli esempi, che accuratamente desume dal- le quattro famiglie dei contemplati veleni : e qui- Medicina Legale 2T vi quante tlifllcolta, quante oscurità, quante incer- tezze non emergono da quei fatti in si ardua e dif- ficile impresa ! Tanto è vero che l'abilità chimica „ consumata, reputata, debbesi dal foro cercare e „ volere, ed a quella dei medici e chirurgi in que- „ sta parte gravissima dalla perizia fiscale ante- „ porre „. Se non che dissente il N. A. dall'auto- revole divisamento di Orfila, il quale vorrebbe i soli chimici incaricati di operazioni cosi delicate. Ma il peso delle moltissime difficolta apprezzando, valen- te neppur egli si reputa ad affrontarle e felicemen- te superarle. „ E siccome ( chiuderemo cogli aurei „ suoi concetti ), oltre la scienza, per conseguir tan- „ to intento, vuoisi una pratica continuata, e tutt'i „ mezzi di cui la chimica ha d'uopo per queste bi- „ sogne, se per avventura scienza bastante di chi- „ mica in me fosse, giacche di questi studi mi sono „ sempre con gran trasporto dilettato, quella pra- „ tica continuata, professata direi anche meglio, in „ questo ramo mi è mancata, ne io posso infra quei „ molti abilissimi nell'analisi chimica in genere, ed „ in specie dei veleni, aver pretensione di compa- „ rire a pari fra essi ...... Questa leale e franca dichiarazione il modello ci presenta in verità di dot- trina e di modestia insieme, che senza presunzione dovrebbesi da ciascuno imitare. Chiudesi questo li- bro quarto colla solita appendice, in cui si discorre della „ perizia medico-legale su i veleni e veneficii,, da redigersi dai periti fiscali medico e chirurgo e dal perito fiscale chimico dietro le necessarie osser- vazioni ed operazioni speciali. Undici moduli si ag- giungono pe' casi dei varii veneficii , da potersi imitare nelle varie circostanze, e che molta luce ed istruzione arrecano sulle già discusse materie. 28 Scienze Tom. Ili di pag. 516. Libro V. Chirurgia forense. Rilevantissimo titolo godiamo qiù poter annun- ziare con le parole stesse del eh. prof. Bfirzeliotti, essersi in questa edizione assaissimo ingrandita pur anco la sfera della chirurgia forense. Ed infatti si è egli a tutta possa adoperato per livellarne la mate- ria allo stato delle odierne conoscenze, per illustrar- la di più recenti e nuovi casi, per arricchirla di utili teoremi, siccome ebbe nel contemplato libro su i veneficii a diportarsi, e dar cosi con una maggior dovizia di lumi una più solida utilitli ed un più giu- sto interessamento ai periti stessi ed al foro. Gliiede egli perciò, che in onta della sua prolissità gli si ac- cordi tutta l'attenzione nel percorrerla e disaminar- la. Non cessiamo a tal effetto di raccomandarne la originale lettura, poiché la solita brevità useremo nel riferire del metodo usato dal N. A. e delle più singolari cose un compendio. Dieci sono le questioni agitate nel libro, di cui imprendiamo a tenere discorso. Scopo delle due prime si è di preparare con scolastiche distinzioni e relativi ragionamenti l'animo dei periti alla spie- gazione di fatto di tutl'i casi, i quali saranno porta- ti al foro, e moveranno in cjuesto liti e questioni, illuminandolo anticipatamente a sufficienza nei suoi giudizi. Distinzioni quindi essenziali degli strumen- ti offensivi, graduazione relativa dei sintomi, esti- mazione degli effetti da quelle cause prodotti, na- tura ed importanza nell'economia delle parti vulne- rate, letalità e non letalità delle ferite, con le varie altre suddivisioni e distinzioni, vi sono accurata- mente contemplate. La letalità assoluta, accidentale MEDicrNA Legale 29 o relativa vi è rettamente discussa con tutta la estensione relativa a ciascuna di esse; e nell'arduo cimento di tracciare una lìnea fra questi due ordi- ni, con buon senno dimostra che il criterio desunto dalla impossibilita dell'accesso ai mezzi dell'arte, unito alla gravezza della ferita distingue le assoluta- mente letali da quelle che non lo sono che relativa- mente, e da tutte le subalterne, dalle piii semplici alle più complicate. A dilucidare imprende in ap- presso le diverse forme di lesioni dagli strumenti offensivi prodotte, egualmente che la importanza e respetti va gravezza loro, luce interessante spargen- do intorno a colali materie si per la diagnostica, co- me pei presagii, e per l'opportuno trattamento , affinchè evitar si possa, che la fama dei curanti e quindi anche quella dei periti nel foro resti com- promessa. Intorno al quale importantissimo subict- to non vorremmo giammai dimenticare alcune pre- ziose avvertenze del N. A. sul conto specialmente delle ferite o lesioni perforanti. Condanna egli giu- stamente certe pratiche, quantunque consigliate dal- le scuole e con piìi o manco successo seguite in ad- dietro, ma che oggidì il buon senso ed anche la pra- tica riprova, come lo ingrandimento di simili feri- te, il passaggio di un setone, la controapertura, l'ap- plicazione o introduzione delle taste, e quella di caustici o di liquori spiritosi al di dentro di esse iniettati. Purché non trattisi di estrarre un corpo estraneo entro al seno di esse restato, o di dar esi- to alle marce raccolte nel fondo delle ferite, vien per tali pratiche a rendersi peggiore la condizione delle ferite medesime; ed i difensori dei rei di co- tali offese rinvengono argomenti validissimi in que- sti metodi per addentare la fama dei curanti e dei 30 Scienze periti a sgravio manifesto di simili rei. Queslion più forte si è mossa per altro talfiata dai patro- cinatori negli avvenimenti risultanti dal metodo di curar le ferite contuse; se preferita cioè col miglior senno chirurgico l'amputazione di un membro per salvar la vita del paziente, debbasi alla ferita o alla operazione attribuir la morte che avvenuta ne sia. Ma sarebbe, ripiglia il N. A. cui pur ci ascriviamo di buon grado „ sarebbe inumano il non seguire „ i precetti dell'arte in tali casi che consigliano „ un' operazione per la parte dei periti ; sarebbe „ ingiusto per la parte dei difensori dei rei dar „ colpa dell'esito agli operatori; sarebbe contro lo „ spirito delle leggi penali, se il foro volesse te- „ nere in calcolo coloro che colla più buona fede „ ed intenzione del mondo, hanno tentato con ogni „ buona regola e precisione di salvare la vita ai fe- „ riti, e per qualsisia specie di ferite siensi a co- „ tal termino condotti ,,. Nei casi di ferimenti e di omicidi provocati per qualunque delle cagioni enunciate nelle due menzionate questioni, le speciali considerazioni di ciascuno di essi o delle parti lese; della loro na- tura e degli usi nell'economia umana; dei sintomi che ne debbono necessariamente derivare nei vivi; e delle lesioni cht si troveranno nei cadaveri, po- tranno mettere i periti in grado più favorevole che non le generali e comuni, per determinare la le- talità o non letalità delle ferite e tutte le lor gra- duazioni, ed assegnare al foro una norma sicura nei suoi giudizi ? Tale si è lo scopo che si prefigge il N. A. nella terza questione ben prolissa, e che sud- divisa scorgiamo in sette articoli. Vengono in que- sti partilamente esaminate e risolute le ferite o le- Medicina Legale 31 sioni di tutte quante le parti del corpo, esterne ed interne; delle parti molli e delle dure; delle varie sue regioni, dei diversi sistemi, visceri e parti: e vi si tien perfine ragionamento delle lussazioni de- gli arti e dei lor pezzi articolari per cause violen- ti, non che delle fratture delle ossa degli arti per cause violenti operate, capaci di muovere quistioni forensi. Niente lascia a desiderare il metodo con cui sono discussi siffatti titoli, ed affinclxè il pre- gio sommo se ne conosca in parte, ci arrestiamo al primo articolo per farne rimarcare la norma e V andamento del lavoro. Contemplati sono in esso ì ferimenti ed omicidi per lesioni della testa ester- ne, interne, delle meningi, dell'encefalo, del cervel- letto, della midolla allungata e spinale. Potendo le espresse lesioni venir create dai quattr'ordini di cause meccaniche gih distinti in. incidenti, perforan- ti, laceranti, e contundenti, non osservansi i sintomi nel vivo e le offese nel cadavere esattamente le stes- se. In oltre le diverse cause ledenti la testa, ora l'of- fendono semplicemente o non gravemente nelle sole parti molli o nel tessuto capellato fino al pericra- nio, od anche questo compreso. Ora con esse le ossa formanti la volta tutta restano offese, o la teca ossea di esso, senza o compresa la dura meninge. Ora le os- sa co'tegumentl; le meningi ed il cerebro medesimo nella sua sostanza. Semplici quindi, composte e com- plicate offronsi le ferite nella testa medesima; e per- ciò in tre quadri separati e distinti nelT enunciata forma esibisce il N. A. i sintomi di queste ferite fino alle lesioni cadaveriche, esponendo in appresso i pronti chirurgici soccorsi ed adeguati alla natura ed indole di simili ferimenti. A dilucidazione di questi quadri si aggiunge un qualche numero piì» 32 Scienze o meno esteso di casi pratici raccolti da più autori ; con essi viene meglio lumeggiata altresì la letalità o non letalità delle ferite di cui trattasi. A maggior illustrazione dell'argomento un epilogo vi concorre di tutte le cose per tal modo discorse, non che delle anomalie rimarcate ; ed egual metodo ticnsi per le ferite del cervello, del cervelletto, della midolla al- lungata e sue membrane, e della midolla spinale. Cliiudesi l'articolo con otto teoremi medico-legali sulle ferite discusse; deduzioni generali cioè risul- tanti per evidenza di fatto e di ragione sulla letali- tà e non letalità di simili lesioni, onde sieno di nor- ma nel foro per le discussioni dei casi somiglievolir deduzioni preziose che ne piace di qui riferire non in compendio, di che non sono suscettive, perchè aforistiche, ma originalmente. „ 1. Le ferite della „ testa sono e debbono mai sempre tenersi di qual- „ che momento, ancora che semplicissime appari- „ scano, se non possa conoscersi e valutarsi abba- „ stanza la qualità della causa che le abbia prodot- ,, te, e la forza con cui sono state create. 2. Vie pili „ gravi dovranno cotali ferite reputarsi, sieno esse „ con soluzione manifesta di continuiti o dubbia , „ se siane succeduta alterazione o disturbo o so- „ spensione delle facoltà dell'intelletto, o dcll'eser- „ cizio di uno o piìi dei sensi esterni. 3. Gravissime „ si reputeranno le ferite della testa, se alle offese „ dei sensi esterni ed interni si uniscano gravi le- „ sioni del tregumento capelluto e delle ossa del „ cranio, ed anco letali, se le ossa sieno spezzate , „ depresse e che ne sia sopravvenuta la paralisi, ed „ ogni sintoma appopletico. 4. JVè manco gravi e le- „ tali queste lesioni dovranno aversi, se senza mo- „ strarsi lesioni apparenti , si sappia essere stata Medicina Legale 33 „ violenta la causa che le ha create , e che capace ,, sia stata di produrre violenti commozioni nel cer- j, vello e nelle sue appartenenze^ colla sospensione ^, delle sue facoltà, dei sensi, e dei moti. 5. Se le „ cause vulneranti la lesta abbiano penetrato e vul- ^j nerato , oltre il tegumento e le ossa , anche le „ membrane del cerebro ed il cervello istesso, il „ cervelletto e le midolla allungata, passando a den- „ tro a queste sostanze, si avranno queste lesioni ), mai sempre per letali, o superiori al potere del- „ l'arte, sebbene qualche volta non lo sìeno alle ri- „ sorse della natura. 6. Sono applicabili questi stes- ), si principii alle forme o lesioni della midolla spi- ,, naie, allora che vi concorrano a produrle le sles- ,, se cause e ne succedano gli effetti in quelle parti, ,, in quei visceri, nell'esercizio di quelle funzioni , ,, cui portano vita ed azione i nervi di quel tratto „ di midolla spinale restata vulnerala ed offesa. „ 7. Quando alle ferite della spinai midolla siavi „ unita frattura o dislogazione delle vertebre, deb- ^f bone mai sempre letalissime reputarsij sia per la ,) offesa che n'avrà ritenuta la stessa spinai midol- ^ la, sia per l'impotenza dell'arte di ridurre o con- „ tener queste ossa, malgrado che qualche rara vol- „ ta ne sia successa la guarigione. 8. Le operazioni „ istituite per le lesioni della testa e della spinai „ midolla, se bene indicate e rettamente eseguite, „ mentre non comprometteranno i chirurgi anche „ nell'esito disgraziato, non alleggeriranno al reo la „ pena della lesione letale creata. ,, Dal rapido cenno che abbiamo esibito di questo primo articolo della terza questione potranno age- volmente dedurre i lettori, qual pregio riuniscano nella presente edizione al disopra delle altre gli ar- G. A. T. LXXV. 3 34 S e I E ^' Z E i^omnntl ivi ai»itati. Or tale è per l'appunto il metd- tlo, con cui sono discusse negli altri susseguenti ar- ticoli le materie ad essi appartenenti, ed intorno al- le quali ci dispensiamo intertenerci. Annotar solo vogliamo alla utilità grandissima delle tre grandi tavole di chirurgia forense, nelle quali vengono aL- bondevolmente istrutti i lettori di tutto il possibile relativo ai varii ferimenti speciali, alle lussazioni de- gli arti, ed alle fratture delle ossa, cosiccliè dir po- trcbbonsi un ragionato ed accurato compendio di tutta la materia discussa nella questione stessa. Nel primo in fatti di c[uesti specchi, assegnato colla de- finizione il carattere della lesione in genere in una soluzione di continuità ec; se ne rimarcano le quat- tro specie nello scopo forense, ferite cioè essenzial- mente ed irreparabilmente letali, - ferite letali per natura e gravità delle parti lese, e non letali per accidente o per opera di arte, - ferite non letali, per natura delle parti lese e divenute letali, o in- curabili, per caso, per negligenza o per opera di arte, - ferite lievi ed essenzialmente sanabili , per prima o seconda intenzione, e quindi in un tempo definibile ed indefinibile. Succedono nelle altre set- te finche le descrizioni delle principali varietà del- le ferite - delle cause violenti di esse - dei fenome- ni e sintomi che per essi ne nascono - dei pronti soccorsi che le medesime reclamano - del termine medio della durala loro - dell' esito piìi ordinario di esse - delle lesioni cadaveriche delle ferite, e mar- che delle non letali. Non dissimile dell'esposto si è il metodo laborioso, con cui sono redatte le al- tre due tavole, delle quali perciò ci limitiamo al- l'annuzio. S'impegna quindi il N. A. nelle discussioni par- Medicina Legale 35 ticolari dì certi casi, che possano aver luogo e che promosse effettivamente si sono talvolta nel foro. Una di esse, che nelle altre edizioni di quest'opera non rimarcasi, consiste in decidere nella quarta c|ue- stione, se la morte immediatamente succeduta all'a- zione delle cause esterne violentemente adoperate contro qualsiasi individuo, debbasi in tutt'i casi a- vere e tenere per omicidio; e se quella accaduta al- cun tempo dopo delle medesime , si possa talora come non omicidio cjualificare. Or sul valore della prima parte del tema non dubita egli asserire, che mal si apporrebbero i periti, se per il solo avve- nimento di morte, subito dopo l'azione di certe cau- se violenti, dichiarar volessero cotal cagione suffi- ciente e necessaria di morte, e senza piìi designar volessero omicida il reo di tal ferita; perchè non dalla seria considerazione del fatto o della ispezion cadaverica si lascerebbero persuadere, ma sol dalle apparenze di esso. JNè meglio si comporterebbe, ove all'azione applicata di una delle cause violenti sus- seguita tosto la morte, l'esame del fatto o l'ispezio- ne del cadavere non palesasse alcuna lesione, o non tale da reputarla sufficiente di morte. Potrebbe nel primo supposto l' autossia cadaverica discuoprire qualche cagione preesistente, come un qualche asces- so , un aneurisma , una varice , e dimostrare che la causa vulnerante per se stessa era insufficiente a produrre la morte senza l'incontro di una causa più valida e prepotente, di cui l'ultima non puossi ri- guardare che come occasionale. Laddove nella se- conda ipotesi, ove sia di poco momento la lesione rinvenuta nella ispezion cadaverica, ed insufficiente si conosca a dar ragione della morte istantanea , dal luogo ove tal causa è stata applicata, dai rapporti 36 Scienze di essa o dai consensi col rimanente, desumer' si possono plausibili ragioni per ammetterla e repu- tarla ben anche causa sufficiente di morte. Se la morte quindi abbia tosto tenuto dietro alla ferita, e che da essa necessariamente derivi; in parte nobi-" lissima debb'essere stata la medesima creata ; i fe- nomeni rapidi ed i terribili sintomi susseguiti» o che abbiano preceduto la morte, dovranno valutarsi qual effetto necessario della ferita istessa, e la morte una conseguenza inevitabile di cotali lesioni; l'autossia cadaverica poi diverrà una riprova certa della leta- lità assoluta della ferita , e dark una spiegazione! chiara o una ragion sulììcienfe dei fenomeni , dei sintomi e della morte istessa. Tal si è il modo con cui disaminare il caso, squittinare insomma i fe- nomeni e sintomi accaduti nel breve tempo di vi- ta e sul cadavere, e trovarne i rapporti degli uni cogli altri. L' avvenimento di una contusione pucr fornirci per la seconda parte di un esempio; giac- che basta in essa per la prova della causa deirorai- cidio, che una tal lesione creata a corpo vivo esi- sta; che abbia agito sopra parti che tutelavano dei ■visceri nobilissimi ed importantissimi alla vita; che altre lesioni o cause non appariscano fuori ne den- tro il corpo umano defonto, o taluna anche piccio- lìssima per dichiarar sufficiente quella esistente di consumato omicidio. A risolvere però l'altra parte della questione , cioè se succeduta dopo alcun tempo la morte alla fe- rita od offesa , non si debba in qualche caso come omicidio riputare, chiama in soccorso gli uni degli altri i lumi delTanatomia patologica e della patolo- gia fisiologica; ma ne avverte, che il tempo ulti- mo trascorso fra la creazione della offesa e la di- Medicina Legale 3T struzione della vita debb'esser continuo. Fiancheg- giato dall'autorità del celebre giureconsulto Masnar- di ne dice che „ se dopo la ferita sia stato il pazien-> „ te sempre e continuamente infermo e poscia sia „ venuta la morte, in tal caso la presunzione di es- „ sa sta sempre per la ferita, cioè che per tale ca- „ gione sia derivata „. Se Tautossia dunque appa- lesi qualche lesione interna corrispondente alla e- sterna; o se questa non esistendo, presumer si possa che la interna trovisi per la direzione in rapporto colla causa che ha agito all'esterno, come una con- trofessura ecr, e se altre cause note non possano averla prodotta, dovrassi cotal lesione qualsiasi avere per causa sufficiente ad arrecare o ad aver prodot- ta la morte malgrado del tempo trascorso. Ma una serie di casi o di circostanze si oflfre allo sguardo, e difficoltà presenta più o men forti, valevoli ad in* fringere o menomare cotal presunzione. Sarebbero di questa tempra certi processi morbosi complicati da disposizioni individuali, dal temperamento, dal- la stagione e dallo stesso metodo curativo adopera- to: per le cjuali cose la presunzione a favor della causa impiegata andrà sempre scemando, quanto più lontano sarà l'esito infausto dal tempo in cui una cotal causa veniva impiegata. E qui, esigendolo l'importanza del subietto , varii fatti raccoglie il N. A. per ben dilucidarlo in tutta la sua estensione; intorno alle qum cose senza ulteriormente diffon- derci non troviamo inutile il trascrivere la seguente di lui concliiusione. » Dalla qual discussione nella presente que» » stione importantissima ( §. DCCGCLXXXVII ) , » istituita su i fatti, e giusta i miei deboli lumi, » ne risulta la seguen^ soluzionei cioè, che per 38 Scienze » omicidio non può ne deve reputarsi estinto su-- » bito ricevute delle ferite od offese manifeste, che » colui, il quale godeva più o men di salute innan- » zi colale violenza; e ch'è stata creata tal ferita o » lesione sopra parti nobili ed importantissime al- » la vita, sia che l'offesa le abbia penetrate mani- » festamente, o lese per concussione nella loro vir- » tualit'a, come il cervello, il cuore, lo stomaco, la » midolla spinale. Si debbe egualmente presumere » omicidio, quando la lesione o l'offesa operata al » di fuori su qualche parte nobile sia certa; e che » la marca di essa manchi all'esterno, come all'in-^ » terno, purché per la sezione cadaverica non ri- » sulti altra offesa in parti diverse, e sospetto non » siavi, ne scoperta di veleni, o di malattie inter^ » ne. Dovrà inoltre aversi per prova presuntiva di » omicidio egualmente, se dopo creata una lesione » pii^i o men grave esterna ed interna, ne sia ve- » nuta per essa una malattia, la quale abbia di for- » za cresciuto mai sempre, malgrado ogni più ret- » to metodo di cura istituito. Altronde si dovrk per » dubbio reputare, e non aversi affatto per ornici-' » dio, quando l'offesa sia stata piccola ed in parti » men nobili ed importanti alla vita; e quando la » natura della malattia sopravvenuta sia di tutt'al- » tra indole e natura di quella per cui il soggetto è » morto. Ed anche men colpa al reo dell'offesa do- li vra darsi della morte del vulnerffto, se costi della » malsana costituzione dell'individuo; dei disordini » da esso commessi nella dieta; della contrarietà fat- » ta alla cura o al retto trattamento, o quando sian- » si dietro la suddetta affezione per causa violenta , » sviluppate altre malattie dominanti, o che alcuna » ne fosse esistita capace di condurre alla morte ». Medicina Legale 39 La prima delle due ardue inchieste , che di- scutonsi nella quinta questione , e che talvolta il foro propone ai periti, si è, se le ferite o lesioni esistenti in un soggetto vivente siano state create per mano suicida^ o scagliate da mano omicida. E qui con la scorta dei fatti e delle ragioni assai sod- disfacenti risolve il N. A. la tesi, dimostrando, che la prova del suicidio per ferita in luoghi insoliti o difficili perchè giunger vi possa la propria mano a molto e gravemente offendere, o per rinnovata offe- sa in luoghi pili a portata per offendersi, risulta evi- dente per le istorie da esso narrate; s\ perchè i luo- ghi feriti erano a portata della mano dei feritori; sì ancora perchè le ferite corrispondevano nella di- rezione come nella latitudine alle armi o ai mezzi feritori stessi, e l'effetto di esse ad una intenzione indecisa di togliersi la vita. La seconda parte e piìi difficile della questione medesima si aggira in determinare, se le ferite che trovansi nei cadaveri siano state create da mano sui- cida o da mano omicida^ e se siansi formate a dise- gno dagli omicidi dopo l'estinzione della vita, per nascondere la vera cagione. Or di questo gravissimo argomento medico-legale sembra che il N. A. ven- ga sufficientemente a capo facendo conoscere per la via di fatti, che la situazione della ferita, il diligen- te esame delle cose esteriori, un certo ragionamen- to sulla figura della offesa, somministrano possibil- mente dei lumi per distinguere nel morto l' azione di una mano omicida da quella di una mano suici- da. Ma per isvelare alla meglio la vera causa impie- gata per distruggere la vita, e che dalla malizia vo- lesse nascondersi con ferite create nel corpo morto, assistilo dalla fiaccola delie esperienze di Orlila sta- 40 Scienze Lilisce, non essere impossibile il distinguere in quale dei due stati sieno state ingenerate le ferite. Quel- le infatti sopra i corpi morti eseguite non possono offrire che delle divisioni di continuità incruente , se pure non abbiano incontrato dei grandi vasi e die il sangue siasi mantenuto scorrevole e fluente; lad- dove quelle frìtte sopra i corpi vivi sono necessaria^ mente cruente, il sangue si coagula pili facilmente ed è pili vermiglio, e le parti vulnerate han cedutq alla forza di cui eran dotate. Inoltrandosi quindi il N. A. nella sesta que-" stione imprende a scrutinare, se lumi sulflcienti di consumato omicidio possano desumersi dalle reli- quie animali come ceneri, sangue, capelli, unghie, peli, avanzi di ossa nei casi d'individui spariti dal- la società o dalle famiglie, o nei casi di cadaveri ritrovati vulnerati senza che se ne conoscano gli au- tori. E parlando primieramente della cumbuslione spontanea dei corpi umani o in intiero o nella più parte delle membra, con niolta saviezza e criterio espone le necessarie condizioni delle quali è d'uopo che costi per avere argomenti a dichiararla verifi- cata. Ma niente di piìi arduo, di più difficile , di pili incerto della soluzione del problema forense diretto a stabilire se Scingue veramente sia quello che il fisco sottopone alle indagini dei periti, o non una sostanza, che al sangue assomigli; se sangue u- mano o di altri animali, o se sangue della vittima di cui bassi questione. Intorno alle quali inchieste con apparato di somma erudizione e perspicacia in- sieme accenna alla dovizia dei lumi portati recen- temente su questo ramo della scienza medico-lega- le da tanti sapienti scrittori, ed in ispecie dall'egre- gio cav. Meli, da Orfila, da Barruel, da Sedillot , Medicina Legale Ai dal eh. prof, cremonese Bertazzi, istruendo i let-» fori suH'acciiratezza dei metodi da imitarsi. Ne o- xnette avvertire, che piena fidanza su tali criterii non ripongasi per pronunziarne un decisivo e po- sitivo giudizio: da che in mezzo anche a cotanta o- pulenza di nozioni e fecondità di utili scoperte con.» fessar è d'uopo, che difettosa trovasi ancora la scien- za per dare al foro sicuri e limpidi criteri per ista^ bilire un esatto giudicato. E mentre dal complesso di chimici esperimenti ed osservazioni potrà risul- tare senza equivoco, che macchie di sangue debbansi stabilire cjuelle dal fisco offerte , non emerge con Inguai evidenza e sicurezza dal valor dei più cono- sciuti cimenti ed esperienze, che possano dette mac- chie di sangue a sangue umano o a sangue di altri animali appartenere. E c|uantunque per gli esperi- menti di Barruel e di Bertazzi si venga nella pre- sunzione, che le njacchie probabilmente da quello stesso sangue del cadavere vulnerato provengono , non si potrà però come un fiitto certo in alcun mo- do asseverantemente e senza dubitazione sostenere ; cosicché non potrà il fisico, ove altri dati non ab- bia del supposto omicidio, con questi soli atti a scuo- prire il sangue , condannare come rei i prevenuti per le macchie di sangue scoperte, che all'uomo, o almeno a quel tal soggetto ritrovato, appartengano. Ma in onta di tali imperfezioni, che sono tutte pro- prie della scienza, e che forse possibile non sark di rimuovere intieramente giammai, congratular ci dob- biamo coi N. A. che immensa luce ha sparso sul- l'argomento, livellandolo allo stato delle pili cono- sciute recenti nozioni, aggiugnendovi proprie osser- vazioni e sodi raziocinii, cosicché in questa nuova edizione nulla di più poteva «Icsiderarsi per guida dei periti e per lume del foro. 42 Scienze A pregio ancor superiore della presente edizione figurar veggiarao nella questione ottava una materia dal N. A. nelle precedenti edizioni omessa, ed ora discussa con precisione ed interesse. Dopo aver nel- la settima questione dimostrato , quando convenga ai periti, in quali circostanze, e con quali cautele esaminare, per riferire, lo stato preciso delle ferite o lesioni qualunque , e di suggerire o consigliare quei soccorsi dell'arte che ritengono come più espe- dienti, discende nella ottava a determinare, se i pe- riti o medicanti delle varie lesioni o ferite da vio- lenti cagioni create debbano dopo il primo referto proseguire la relazione di tutti gli accidenti acca- duti poscia fino alla terminazione qualsiasi , onde venga dal foro assegnata quella parte che al feritox'e o alla natura della ferita appartiene, e quella che per gli accidenti stessi, indipendentemente dalla na- tura e cause delle ferite, potrebbe gravitare sopra i curanti o direttamente interessare la loro responsa- bilità. Savie senza dubbio troviamo le riflessioni del N. A. sulla necessitk di continuare la quotidiana istoria dei casi dopo il primo referto fino alla ter- minazione qualsiasi della malattia. Ne sapremmo perciò abbastanza inculcare, che dai curanti o pe- riti un diario si compilasse dei casi medico-legali, in cui tutti si descrivessero gli opportuni elementi, come narrazione del caso , diagnosi esatta di esso sott'ogni riguardo, per iscuoprirne la sede e l'indo- le, la profondità e le parti interessanti nella ferita; il progresso quindi del male per la natura delle parti lese; i sintomi necessari! emanati da esso; la regola di arte osservata nella diagnostica, nella cu- ra della ferita ed in quella dei sintomi giorno per giorno fino alla totale disparizione dì essi, e gli ef- Medicina Legale 43 fettl anche provenuti per parte della condotta del malato. Utilissimo pur sareblje che un tal giornale, redatto secondo le accurate norme e fatti che accon- ciamente riferisce il N. A., fosse visto e cerziorato dal giudice o suo delegato, per evitare con questa legalizzazione le difficolta che si accampano sovente dai difensori dei rei a carico e disdoro dei curanti , che bene spesso di vaghe dichiarazioni si valgono, e che d'interpretazione quindi abbisognano disdice- vo!c al merito del curante o del perito. Sia d'altron- de il giudizio circospetto, franco e sincero, tanto nei casi leggieri, quanto in quelli più gravi; sia in armonia con tutti gli elementi opportuni che deb- bono comporlo; sia definitivo e completo quando i casi non possano ammetter dubitazione, tanto per la poca importanza delle parti lese, o per la legge- rezza della lesione, e quindi di certa e pronta gua- rigione, quanto per la molta importanza delle lesio- ni, per la serie dei sintomi più o meno aggravati , per la difficile lunga o disperata guarigione, o per la sicura morte. Alla rinnovazione del referto ac- cenna il N. A. pe' cambiamenti che accadano o in meglio o in peggio nella ferita e nelle condizioni della vita e salute dei vulnerati, senza omettere tut- te le circostanze della cura istituita e seguitata, sen- za trascurar di descrivere gli effetti dai rimedii ot- tenuti, la ragione per cui sono stati impiegati, va- riati o modificati, dichiarando il tempo probabile in cui potrà compiere il corso la malattia, ed avere, sia in bene, sia in male, la sua terminazione. Do- vrassi in quest'ultimo caso, instituita l'autossia ca- daverica, cercare e rinvenire il rapporto fra la cau- sa e l'effetto, fra la lesione e la morte; se essa cioè siasi senza dubitazione la ragion sufficiente di essa, 44 Scienze! o se possano avervi concorso altre circostanze acces- sorie ed estranee all'offesa per causa violenta este- riore. Ma in proposito del tempo confessa il eh. Bar- zellotti non conoscer dati per stabilirlo, avvertendo che vuoisi esser molto dubbiosi o incerti su di esso, potendo molte eccezioni sorgere ai canoni generali, che vorrebbonsi determinare da Biessy, siccome il N. A- diligentemente espone sì per le semplici lesio- ni, come per le ferite con perdita di sostanza, si per le offese delle parti dure o spongiose delle ossa, co- me per la riunione di queste , sì per le lesioni o ferite insanabili o meno gravi, come per le gravi, per le complicate, per le insanabili e letali. Riservatezza giustissima rimarchiamo pure in-» culcarsi dal N. A. sul conto del tempo richiesto dal* le varie esterne lesioni per condurre le ferite a ci- catrice, non dovendosi giammai fondare un giudi- zio assoluto dello cicatrici medesime dalla sola figu- ra, colore, compattezza ed insensibilità di esse: lo che forma il precipuo subietto della nona questione. Sono ben numerose infatti le cagioni che spiegano influenza in accelerare e ritardare la cicatrizzazione delle ferite; e fra quelle non escludesi dal sig. Bar- zellotti l'influenza dei climi: intorno alla quale però osiamo rimandare i nostri leggitori all' annotazione superiormente registrata. Delicata materia, interessante e nuova, discu- tasi nella decima questione, ultima di questo libro. Trattasi ivi di conoscere, se i curanti qualsiansi del- le varie lesioni create dalla violenza, dalla nequizia, e quelle eziandio dall'arte chirurgica per sollievo e Bisogno della umanità, sieno responsabili in faccia ai pazienti ed al foro della loro condotta, o dell'esi- to della pratica della loro arie, £ dichiarando che Medicina Legale AS ìhdótiihe al chirurgi tutla la responsabilità del suc- cesso delle pratiche loro, sia curando le ferite per altri create) sia creandone essi stessi per soccorrere ai bisogni deirumanita, non intende che gravati ne sieno i chirurgi che abbiano assistito e curato gl'in- fermi loro con abilita, esattezza e diligenza; quei che abilnriente conduconsi nelle operazioni, e ne segui- tano accuratamente la cura, qualunque ne sia Tesi-" to. „ È soltanto contro gl'inabili, che se la pren- « dono le leggi ed il fisco, perchè per loro ne « sono venuti dei tristi effetti, e talvolta la morte. « È contro gl'ignoranti ed i negligenti in fine, che « la legge ed il fisco si rivolge, e come rei gli col- « pisce e condanna «. E contro coloro , che non possedendo l'arte a perfezione , sonosi cimentati a fare operazioni^ di cui non erano capaci, ovvero che dopo di avere anche rettamente operato, hanno po- scia abbandonala la cura successiva e non combattuti i sintomi o gli accidenti soppravvenuti, e che ne sia venuta per colpa loro la morte, o lo storpio, o il vizio nella parte vulnerata, o la perdila di un mem- bro o di nn arto. Cotale negligenza dannosa, cotesta inescUsabile ignoranza ha ben provocalo talvolta eoa gravi sentenze il rigor delle leggi dei codice civile del già regno d'Italia, e del tribunal di cassazione di Parigi pili recentemente. A scanzo pertanto di que* sta solenne responsabilità dimostra il prof. Barzel- letti con giudiziose riflessioni doversi da essa di- chiarare esonerati i medici e chirurgi nelle varie circostanze che la esigano. Così, se alcuni casi di aneurismi, di fratture complicate richieggano ram- putazione di un membro cui tenga dietro la morte , cessa il chirurgo di esser responsabile, se le pro- babilità sieno calcolate sopra i successi oculati del- AG Sciente la pratica di operare o non operare, e se l'interi-' zione nella scelta riunisca anche i riguardi di uma- nità, che in tutti i casi convien valutare mai sem- pre; se nei casi di operazioni determinate dalla ne- cessita l'abbiano i chirurgi con ogni regola di arte eseguite; e se nei casi di operazioni di elezione siasi da essi posto mente alla stagione più propizia , alla preparazione degli apparati, alla scelta degli stru- menti, alla presenza di spirito, ed a più altfe cose* A compimento poi di questo libro sussieguono do- dici moduli di referto per le più importanti que- stioni in esso discusse. E basti intorno al medesimo^ essendo ormai tempo di passare a discorrere del sesto ed ultimo libro della lemologia forense o me- dicina legate sanitaria, che intorno ai contagi si ag-* gira: argomento non trattato dal N. A. nelle prece-" denti edizioni. Avea di già fin dal 1806 nella sua opera della » Polizia di sanità per evitare i contagi e distrug- » gerii ec. » maneggiato il N. A. cjuesto argomen- to sotto l'importante rapporto di materia sanitaria o dell'alta polizia di sanità; ma ora imprende egli a discuterlo sotto il rapporto medico-legale; nel che si distingue dal cel. romano Zacchia, che piuttosto sotto lo scopo medico avea le questioni su tal subiet- to discusse. Forensi quindi sono più che sanitarie le questioni nel presente libro comprese, a riserva del- la prima e seconda: nell'una delle quali, come pri- mo e fondamento solido di tutte le altre, si ragiona della esistenza reale dei contagi stessi: e nell' altra prendesi di mira 11 tema della origine loro e della vera indole e natura di essi. Nella prima questione pertanto trattasi delle condizioni annesse alla malat- tia contagiosa, della emanazione cioè di un princi- Medicina Legale 4t Jiìo qualsiasi dal corpo malato e della riproduzione di una malattia identica nel corpo di c|uello, cui il detto elemento è trapassato. Trattasi di ammettere e riconoscere la esistenza di un solo o di piìi conta- gi: alla cjuale ultima egli arride, siccome ampia- mente rileva e dimostra per 1' esame delle qualità comuni e delle speciali di essi. Dalla qual dimostra- zione discende la necessita di conoscere se alla con- dizione comune o a quella speciale di essi delibano modellarsi le leggi sanitarie; e se debbansl le que- stioni intorno a siffatto argomento risolvere nel fo- ro colle ragioni comuni a tutti contagi, o con quelle speciali adattate alla particolare natura di ciascuno. Si prefigge dopo tali discussioni il N. A. per iscopo della terza questione il determinare, se ma- nifestandosi cjualche malattia sospetta di contagio diffusibile, come peste, febbre gialla ec: poco valu- tata o non avvertita abbastanza per tale dai medici, o da quegl'incaricati dalla polizia sanitaria di esami- narla e caratterizzarla, o che essi si trovino di di- verso parere sull'indole e genio della medesima; pos- sano i particolari reclamare al foro delle guarenti- gie e protestare dei danni contro di essi o contro gl'infetti. Lodevol sembra e lecito al prof. Barzel- lotti, che per la via forense venga presa una tal mossa da coloro, che più esposti si trovano al peri- colo di contrarre la malattia. Ma debbe per le de- posizioni dei medici, dei parenti e degli assistenti , risultare al foro la fenomenologia e sintomatologia dei morbi pili contagiosi e più. perniciosi; debbono risultarne pure le anomalie; e tutto questo processo raccolto dal foro e sottoposto alla polizia sanitaria , dovrà decidere della natura del morbo e delle mi- sure necessarie per contenerlo, e lasciare ai medici 48 S e 1 E N è: É l'assegnare ed impiegare i mezzi per combatterlo e debellarlo. Se non che varie avvertenze opportut- tiamente vi rimarchiamo affin di sceverare le Insus- sistenze del timori o le esagerazioni di questi , e le! modificazioni utili alle circostanze. E nella storia de- gli esempi desunti dalla peste di Marsiglia, dalla febbre gialla americana di Livorno, cui aggiunge il recentissimo del colèra che attaccò Livorno nel 1835, trova documenti per provare, che il diritto di re- clamo ai tribunali dei danni da cui è minacciata là salute dei prossimi dagl'Infetti ^ e la sollecitudine del foro nel raccogliere più notizie per deposti giu- ridici, diviene l'ancora di sicurezza cosi della privata come della pubblica salute, senza togliefré, anzi col somministrare i veri dati alla polizia sanitaria, pef non essere Illusa ne delusa dalle persone prevenute forse o prezzolale per nascondere o mascherare la ter Ita. La emigrazione per altro dal paese o citta in- fetta di mal contagioso In luogo sano hanno diritto i sani individui di eseguirla, o grindividui del luogoi «ano di respingerla onde non comprometter la pro- pria ? o può nel luogo dell'Infezione esigersi la re* mozione degl'infetti o le guarentigie necessarie pef non essere attaccati? Tali sono gli articoli che nella quarta questione si propone il N. A. a discutere, ei sembra che ami risolverli in favore degli emigrati < ma non senza la riparazione dei danni protestati nel foro. Il diritto naturale dell' esistenza favorisce la causa degli emigrati; il diritto naturale della incolu- mità favorisce i sani del paese sano, in cui vanno gli emigrati a prender domicilio. Possono, è vero, ve- nir distrutti per l'azione dell'aria in virili della emi- grazione da luogo infetto in sano i germi morbosi t Medicina. Legale 49 ma può anche avvenire , che V aria del luogo sano trovisi atteggiata, per la località o per le condizioni topiche, a dare sviluppo alle malattie contagiose ; puossi temere che i germi contagiosi trasportati da un paese in un altro trovino facilità allo sviluppo, e lo infestino. Suggerisce a tal uopo, che subdola non dovendo essere giammai la emigrazione , si as- soggettino gli emigrati a tutte le dovute precauzioni che accenna con solerzia, cioè d'isolamento perfet- to delle persone durante la delitescenza, e di scio- rinamento, ventilazioni, suffumigi degli oggetti che agli emigrati appartengono, sia che questi in villag- gio prendano asilo, sia che stabiliscano domicilio in citta o paese. Con le stesse misure, che scrupolosa- mente eseguir si dovrebbero, quantunque in più ri- goroso aspetto ed estensione, viene a tutelarsi la sa» nitadei vicini agl'individui infetti, purché abbiano mezzi da porle in esecuzione; laddove con la inopia di questi la segregazione di quelli si renderebbe ne- cessaria nel tempo in cui dominano le malattie con- tagiose, « L'umanità si è commossa alle tante mìse- ^ rie che si sono patite nei lazzaretti e negli spedali, » e ne le ha allontanate , , , Per altro, non è infre- » quente il caso di persone povere, che vivano in » abitazioni angustissime, che manchino di bianche- » rie, e di ogni altra comodità, e quello eh' è piìi, » di assistenza e di cura medica, È fra questa classe y> di persone, in cui per lo piìi le malattie contagio- » se, e quelle piìi diffusibili specialmente, si svilup- » pano, e trovano pascolo ed alimento. È fra i cen^ » ci e le immondezze, che i contagi si annidano , e » fomite divengono e centro d'infezione «, Avviene d'altronde, e rattristanti esempi ne co- nosciamo a' dì nostri, che i più cari parenti di un G. A. T. LXXV. 4 ho Scienze infetto ricnsìno di prestare i servìgi e 1' esistenza ìoro a quelli sorpresi ed nffetti da malattie conta- giose, gravi e pericoìose. Ma cessa egli giustamente quest' obLdigo, ove 1' egoismo per la vita propria non dia luogo a vigilare cpiella pericolante o sof- ferente altrui? e cotesto abbandono o denegazione di soccorsi e di assistenza darebbe agl'infetti dirit- to alla separazione dei vincoli o a diseredarli an- cora? Su tali subietti si aggira il N. A. nella quinta questione: ed ecco a che sembra ri lei iq«,G e, nel le persane attaccati, af- t^ajttOcdislruHi» e irendi,iti ; ip^ftcui, ,BreY;€me;n,tR quio- 4i/acqennando alle misure ppportuiae per gli og- getti; attaccabili ed, ù>aittacca(bilid*lle Conosciute ef- I^Uniazioni, 'CJ.orichiey.p peivje persone sospette, non intende essere provocator di riforma io una que- g^lÀOnC' da v0iiti),arsj, piivttostp al lume dei fatti qb;e .daMe opinionij.^U i ,6,uoj.,giudizi sottopone alla sa- viezza jdelle .autorità gpiVernatiye e sajnitari^ degli i,^t^ti>f5 governi d'It^Ji,a., .,. ;, , , pVm '; ' A qofla.pimento d^l, liJbi'O . consegui taqo; i tqorq- mijiche al numero di dodici desume d^lle tentate .e;rispiute discussioni della Jemologia sanitario-fo- .rense. Nell'annessa tavola sono espo'sti in quadro , ^«tt'occhio i principali contagi che muover possono qdiestioni nel foro, e tuttociò che li può risgnarda- ..ip/i nel lato suddetto di aspetto sanitario-forense. Sei ,,qonsnlti medico-legali sussieguono intorno alle ma- ; iUUie, contagiose; qualcuno cioè sulle generalità per , l^polizia sanitaria, qualche altro per le question,! fo- Tjen^ii.^ talupo per fondamer^to e norma dei partico- Medicina Legale 55 lari. Ghiudesl questo libro ultimo, e per conseguen- za la intiera opera, con un discorso di logica me' dicolegale., o uso dell'odierna critica nelle (piestio- ni di medicina forense. Articolo sommamenle utile, perchè i principi! addila di una loj^ica severa , di una critica rigorosa, qtiale conviensi per isvelare e rinvenire la verità bene spesso avviluppata e con- fusa, o mascherata e travisata dalla frode e daila ma- lizia. S' imj)egiia ivi singolarmente in dimostrare, che la verità uni casi medico-le:>ali viene o venir debbe espressa sotto due formule soltanto: la pri- ma delle quali debb'e^ser quella che risulta per evi- denza di fatto: Vàlti'a, che dai fatti necessariamen- te viene dtidoltx., e\^ide/izct di deduzione da esso sì appella. Chiara, lucida e manifesta ai sensi la pri- ma, ne su di essa potranno esservi sparsi gran fat- to dei dubbi : la seconda, allorché per evidenza di fatto non emerga la verità, dee esprimerla e desi- gnarla, come dedotta dai fatti nei casi discussi ed esaminati dai periti forensi. Guida con tali princi- pii il N. A. per mano il lettore all'applicazione di essi in due dei casi giU investigati; e dall'analisi dei medesimi co' principii di questa logica istituita si ravvisa manifestamente tutta la forza della medesi- ma nelle quistioni singole di medicina forense, in cui l'ha egli impiegata e può da ciascuno impie- garsi per risolvere mercè dell' applicazione degli stessi principii. Ma qui con rammarico arrestiamo il nostro com- pendio: con rammarico dicemmo , giacché di assai aggradevole trattenimento ci sarebbe riuscito ii po- ter concedere piìi estesi limiti alla conoscenza di un* opera si giustamente celebrata, sì onusta di lumi « di erudizione, di fatti, di teoretiche e pratiche co- 5G S e I e N « E gnizloni. L'aspelto però non nuovo del lavoro cir- coscriver dovea gli accenti nostri a documentare u- nìcamente la superiorità, che già in principio accen- nammo di pregio delia presente edizione sulle altre sei che la precedettero : superiorità ( senza fallo il crediamo asserire ) ben evidente per essere stata tutta l'opera quasi intieramente rifusa, elevata al li- vello dei progressi attuali della scienza e delle au- siliarie, arricchita di raziocinii e di dettali del piìi alto interesse : superiorità da ultimo, che sembraci per le cose dette essere stata ai nostri lettori offerta e dimostrata bastevolmente palese. Ne cesseremmo giammai, per lo divisato titolo di preminenza, rac- comandare ai medesimi la lettura originale dell' opera, che pe'tanti pregi che in se racchiude, utile e necessaria reputiamo per chiunque le facoltà le- gali, o mediche, o chirurgiche coltivi. Varie riflessioni in senso teologico^ e varie medico- forensi^ con qualche voto di riforma su quanto ri- s guarda le autossie cadaveriche medico-giudiziali. Senza mira veruna d'altronde di oscurare tanta celebrità del N.A., cui anzi protestiamo di profes- sare altissima estimazione da varii lustri, assumiamo l'ardimento di qui soggiungere alcune riflessioni, che legate in parte saranno ad alcuni suoi concetti, ed altre avranno in parte una qualche relazione col- lo scopo finale dell'opera, di cui ci siamo finquì oc- cupati. Avrà luogo infra le prime il rammentare, come il eh. sig. prof.Barzellotti al §.DCGCGXXXIX noverando dei ,, casi di ferite o di abolizione delle » parti genitali virili » per primo di essi ci rife- risce quello singolarissimo « preveduto (son parole MEDrciNA Legale 57 » del N. A. ) dalle leggi mosaiche, il quale per es- » sere cosi circostanziato, debb' essere accaduto; del- » la moglie cioè, la quale per liberare il marito » alle prese con un uomo piii forte di lui, prende » le parti vergognose dell'avversario colle proprie » mani, e le serra e le stringe, onde abbandoni » la vittima del suo furore; e che dessa per tale • attentato è condannata senza misericordia all'am- » putazione della mano (1). Senza dubbio , che la » pena ( prosiegue il sig. Barzellotti ) sarebl)e su- » periore di gran lunga al delitto, se pur non si » trattasse di abolizione, anzicliè di attrito o contu- » sione dei testicoli. Io non saprei (egli conchiude) » come gPinterpetri della s. Bibbia la spieghino». Sembra qui a prima giunta, che il N. A. inclini a ritenere avvenuto realmente il fatto nella esposta legge contemplato ; ma di cotale avvenimento del caso in epoca anteriore alla legge non consta dalla sacra scrittura, ne dagl' interpreti di essa. Alto si- lenzio pur usa intorno a ciò il tanto famigerato P. Calmet cosi nelle sue dissertazioni erudite che pre- mette al libro del Deuteronomio, come nella glossa che fa sul testo in proposito. Soltanto il Duclot nell'immortale sua opera (2) così in genere si espri- me: « Il decalogo fu dettato dalla bocca di Dio me- » desimo in mezzo ai folgori del Sinai con un ap- » parato imponente; le leggi cerimoniali furono da- » te successivamente a Mosè, e a misura che si pre- » sento l'occasione. La legge morale fu imposta su- (i) Deuteronom. cap. XXV num. ii, i-j. (2) ,, Bibbia vendicata dagli attacchi della incredulità ec„ Tom. 3, nota i sul Levitico pag. ni. Ss Scienze » bito dopo l'uscita dall'Egitto; la maggior parta » delle cerimonie non furono prescritte che dopo » l'adorazione del vitello d'oro, e come un preserva- » tivo contro l'idolatria ». Or siccome l'erezione ia culto del menzionato vitello obbligò il siijjremo le- gislatore ad imporre ad un popolo, di si dura cer- vice e SI propenso a venerare bugiardi numi, uà giogo SÌ pesante di leggi cerimoniali affin di rimuo- verlo dalla detestabile idolatria; vi sarebbe cos'i luo- go a congliietturare, che cjualche reato di libidine commesso da c[uella carnale nazione avesse eccitato lo stesso Iddio a comminare severi castighi contro l'autore di qualsiasi atto provocante a pili o meno sfrenate forme di delinquenze in si turpe materia, che strettissima cognazione hanno con la idolatria. O vi sarebbe anche luogo a conghietturare , che qualche avvenimento identico a quello contemplato nella legge mosaica dal N. A. riferita, si fosse ve- rificato presso alcuna delle altre nazioni , da cui avrebbe potuto il popolo israelitico apprenderlo ; donde forse muover poteva il divino divieto a pre- venirne e proiLirne la imitazione. Ma o avvenuto, o preveduto che intender vo- gliasi il fatto in questione, ignorasi d'altronde, se la pena inflitta dalla legge mirasse all' abolizione dei testicoli, ovvero al semplice attrito o contusione di essi: con la qual distinzione il N. A. mostra im- pegnarsi in proporzionare la pena all'offesa o gra- ve o leggera, con immaginarla nel secondo caso di gran lunga superiore al delitto. Un tal sindacato però di proporzione e di bilancia non ha certamen- te luogo a farsi infra le leggi divine; leggi giusta- mente imposte da un legislatore giustissimo, sicco- me in più luoghi delle sagre ispirate scritture si Medicina Legale (JB9 legge, e specialmente in quelle memorande parole con cui lo stesso Mosè le presentò al suo popolo. (1): Haec est vestra sapientia et .intellectus coram po- pulis-, ut aiuUentes praecepta haec cUcantz En po- pulas sapiens et i/itellig^ns:, gens magna . . . Quae est enlni alia gens sic inclita, ut habeat caeremo-^ nias, et iusta (notisi) iudicia, et. universain legem quani proponam hodie ante ocLilos vestros? Un tal sindacato di proporzione (ripetiamo) schiuderebbe il sentiero per farci risuonare alForecdiio le giu- stificazioni delle leggi giudiciarie, civili, politiche e militari degli antichi ebrei: dai quale argomento si occupò Tautore delle lettere di alcuni giudei a Vol- taire (2); poiché sembrerebbe, che ai diritti dell* umani tii si opponessero le leggi emanate agli ebroi da quel Dio, che il tutto opera in peso, ordine e mis(jra. Il che pur venne valorosamente impugnato dall'angelico dottor s. Tommaso (3), da. tutti gli apo- logisti dei dogmi della nostra augusta religione, e specialmente d^\ cel. Valsecchi (4). Un tal sindaca- to di proporzione esigerebbe, aver piena conoscenza se le leggi mosaiche potevano risguardarsi ingiuste, assurde, contrarie alla umanità, avuto riguardo alle circostanze, allo spirito che regnava in quegli anti- chi tempi, alla costituzione particolare della repub- blica giudaica; se l'idolatria con tutt' i. delitti che 1 associavano era caso degno di perdono o di mor- te; se leggi più dolci fossero state convenienti ai "T- \ • ■ • ■, ^t>,/ (t) Deuteronom. IV, 6 e 8. (i) Edizione 3, part. 4) tORi- 3. (3) Quaesl. XCVIII, art. I, i, ». (4) Gap. IX, llb 2, de' Fondamenti della religione Hvelatii. 60 Scienze giudei e bastevoli a reprimerla; e piìi altre cose: mentre » senza questo esame preliminare ogni de- li clamdzione contro le leggi mosaiche è contraria » al buon senso » (1). Un tal sindacato di pro- porzione neppur sembra potersi istituire, tostochè il governo degli ebrei, dopo l'egresso loro dall'E- gitto, fu teocratico, siccome la sentono l'istoi^ico Giu- seppe ebreo (2), ed il dottissimo Ackermann (3); cosicché la divina autorità imprimeva anche alle leggi civili un carattere sacro, e per conseguenza una forza ch'elleno non ebbero in alcun' altra le- gislazione. Un tal sindacato fìnalmente di propor- zione e di bilancia sulla gravità o leggerezza della recata offesa, incorrer ci farebbe in qualche giu- stissima rampogna, quasi che il codice penale pro- mulgato da Mosè al popolo ebreo in nome e per or- dine dell'Onnipotente tradur si volesse per lo squit- tinio di equità ai tribunali di Montesquieu, di Ce- sare Beccaria, di Melchiorre Gioia, e di altri gius- pubblicisti di simil tempra; mentre per le addotte testimonianze e ragionamenti ne sembra che il solo atto turpe fosse in quella legge contemplato, e do- vesse punirsi assolutamente col rigor della me- (i) Duclot, tom. 3, not. IV, sul Deuter. pag. 218. „ Bisogna „ poi ricordarsi (assai lodevolmente si esprime un valente odier- ,, no scrittore, il Mastrofini, Discuss. sulle usure lib. I, num. 43), „ che noQ è Dio come i figliuoli degli uomini, sempre scarsi di ,, luce Dell'operare. Esso nel dare le leggi vide tutto quanto era ,,«Ja intendersi, non fini di vederlo per la novità dei casi che ,, U successione dei tempi presentava. Ferola sua legge nacque, „ qual doveva, tutta intiera , non per avere da lui postille e ,, giunte, rifugio misero della ignoranza dell'uomo „. (7) Contro Apione lib. II. . (3) Archeolog. Bib. cap. I, de Rep. Haebr. $. ^09. Medicina Legale 61 (lesima, e non già Tatto della materiale offesa alla parte ; atto che noi crederemmo ben distinto dal. primo. Geloso infatti vegliava Iddio in rimuovere ogni causa di prevaricazione nel suo popolo, e per- ciò vietava (debhe credersi) anche a titolo di dife- sa certi contatti che rapporto avessero colle sozzu- re della libidine. £d un tale asserto di distinzione di atto (la quale non conosciamo essersi prodotta da veruno) senibraci di tanto peso, che il troveremmo direttamente valevole ad escludere la distinzione deiloffesa in abolizione o in contusione dei testi- coli nel senso del prof. Barzellotti. Che di vero al §. PCGGGXXXVII ci pone egli sott'pcchio il quadro dei sintomi che tengon dietro alle contusioni, ferite ed altre simili lesioni delle parti genitali virili. » Anche senza toglierle (è il JN[. A. che parla), pos- » sono essere vulnerate tali parti con ferri taglien- » ti e pungenti, ma più che altro con quelli con- II tundenti, da suscitar gravi incomodi ed anche la » morte. Essendo parti estremamente sensibili i ter • sticoli, quailunque offesa essi j:icevono da cause » esterne violenti, nasce in essi il dolore molto for- » te e risentito, si fanno tumidi , s' infiammano , » accendono la febbre, e varii sintomi ne nascono, p come vomiti, cefalalgie e deliquii; e se l'infiam-r » mazipne declina in cangrena, ne viene il delirio » e la morte. Le contusioni gravi dei testicoli me-!- » nano alle stesse conseguenze ...» Or se l'aboli- zione di questi, ed ancor la contusione di essi, tal- volta pili dell'abolizione e dei ferimenti, può con- durre a sì tristi risultanze, ne discende che l'of- fesa di simil genere, non esclusa la contusione, può divenire e considerarsi accidentalmente letale; ed il N. A. medesimo nel X teorema aggiunto all'arti- 62 Scienze colo IV del lib. V lo stabilisce. Ma se pesante era il giogo delle leggi mosaiche, siccome superiormen- te rilevammo, perchè relativo alla dura cervice di quel popolo che governavano; ne siegue non poter- si dire col lai^iio della mano sufficientemente pu- nito r atto offensivo in cpiistione , come idoneo a comprometter la sana esistenza dell'individuo, co- me capace di arrecare la morte. Quindi a sempli- ce atto turpe par che mirasse quella legge, di cui si è quindi ragionato, e non ad atto di violenta of- fesa; tanto maggiormente che il sagro testo con quel- le miti parole . . . miseritque manam^ et apprehen- derit verenda eius., non sembra indicare violenta od offesa meccanica, che con altri vo.'^aboli avrebbe potuto più acconciamente delinearsi. Passando al subietto di altra riflessione, che sem- braci egualmente giusto di rispettosamente produr- re su quanto risguarda il §. DGCCGX.XXVÌI, dire- mo non saperci per verità adattare all'intiero di- visamento del N. A. per quello ch'egli espone nelle ultime linee del paragrafo medesimo. Ripete ivi in epìlogo quel tanto che ha scritto ai §.DGGCCXXXIV del presente capitolo in uniformità alle prelimina- ri nozioni già sparse al §. DGGGXXX nella prima questione del presente libro. » Ed anche men col- » pa (tali sono i concetti del N. A.) al reo dell'of- » fesa dovrà darsi della morte del vulnerato, se co- » sti della malsana costituzione dell'individuo; dei » disordini da esso commessi nella dieta; della con- » trarieta fatta alla cura o al retto trattamento, o » quando siansi dietro la sudetta affezione per cau- » sa violenta sviluppate altre malattie dominanti, » o che alcuna ne fosse esistita capace di condur- » re alla morte. » Finche costi pertanto di dietetici Medicina Legale 63 «lisordiai, di contrarietà fatta alla cura o al retto trattamento prescritto dal curante, va pur bene che l'infausta risultanza della ingenerata offesa non ca- richi il reo di questa. Ed in vero il togliersi bru- scamente l'apparato della medicatura e lasciare una ferita all'aria libera; il disordinare nelle bevande di spiritosi liquori; l'abusare del cibo nutriente ; l'apporre cose irritanti e piii quelle venefiche o con- tagiose sopra la ferita, può dar luogo ad una tal mu- taiiione di natura nella ferita stessa, che da sempli- ce o non letale, di qtiesta condizione divenga. So- pravvenendo per alcuno di questi disordini o di co- tali conseguenze la febbre o la infiammazione, la cangrena o lo sfacelo del membro vulnerato, e per esso la morte, egli è fuor di dubbio, che ninna col- pa debba al feritore attribuirsene. Lo stesso però non sembra potersi cosi francamente asserire, se la circostanza di una ferita conduca alla morte il vul- nerato o per effetto di malsana costituzione dell in.' di\>idiLO^ o per effetto delle malattie dominanti^ o della costituzione dell'aria o del clima, o per effetto di qualche morbo di già preesistente: nelle quali emergenze parrebbe più giusto doversene rifondere sul feritore la colpa; salvi per altro gli addebiti di provocazione, o altre cause atte ad essere squit- tinaie nel foro, ma estrinseche alla enunciata dubi- tazione. L'individuo infatti che con pili o men pazien- te rassegnazione sopporta i languori, che gli pro- manano dal suo organismo per avversa sorte male impastato; o che paga di già con la sua piìi o men penosa esistenza il fio di qualche delinquenza da se commessa o dai suoi genitori ereditata, dovrà esser privo delia fruizione dei diritti che si concedono €/i- Scienze ad altro suo simile, che dotato sia di vegeta robu- sta ed erculea costituzione? Ha egli forse perduto il diritto al pacifico prolungamento de'suoi giorni, cosicché debba vedersene arrestato e troncato im- punemente il corso da mano omicida? Parrebbe, se non c'inganniamo, che il misero vulnerato, sol per- chè malsano, non piìi godesse il carattere e la con' dizione sociale d'uomo; e che meritasse, perchè mal- sano, di venir assomigliato agl'insetti, che scliiac- cia tuttodì la ruota di un carro senz'ombra di ri-;- brezzo e molto meno di colpa. - E non poteva forse il vulnerato (per dirla del secondo titolo) sottrarsi al pari di tanti altri alla sventura di aggressione di un morbo dominante, di una crassante epidemica malattia, e perfin di una pestilenzial contagiosa; se opportunità ad esserne invaso e fatto preda non gli avessero impartito le vicende del ferimento o della offesa qualsiasi col novello pervertimento di (juaU che funzione della sua macchina? L'Ansovino ferito sulla testa, di cui parla l'insigne medico giurisperi' to Zacchia, non poteva forse essere nel numero dei risparmiati dalla peste allor crassante in Homa; ov- vero risanarne, qualora non avesse soggiaciuto alla sventura del ferimento? - Ne applicabile troverem- mo a sgravio del reo nella penna del perito fiscale la eccezione, che poggiar si vorrebbe sulla costitu- zione dell'aria, sulle vicende atmosferiche, sulla in- fluenza dei climi. Sia pur vero, che una possanza modificatrice spieghino queste circostanze sugli esiti delle ferite specialmente della testa e delle estremi- tà: sia pur fermo, che in un clima rigido, in una fredda stagione possano per le lievi ferite del capo insorgere encefalisi, teismo, tetano e morto; laddo- ve in altri climi a tanto scempio non conducanq Medicina. Legale 65 queste ferite stesse: sia pure inconcusso ciò che nep- pur il N. A. osa totalmente negare, che le ferite cioè della testa non gravissime, sieno piU letali a Firenze ed a Bologna che a Roma ed a Ragusi; e quelle delle estremità, piìi a Ragusi ed a Roma che non a Firenze e Bologna. Ma e che? forse a cotali accessorie cagioni, straniere alla natura del delitto, potrà darsi giustamente il \alore di mitigarne la gravezza, e di togliere al reato dell'aggressione de- littuosa la qualifica di omicidio; quasi che per le menzionate straniere cagioni cessasse di esser crimi- nosa la violenza, li offesa, il ferimento che tragge al sepolcro il paziente? Non sarebbe anzi d'incorag' giamento ai facinorosi il conoscere, che distinta per omicidio non venga dai periti fiscali la morte di un vulnerato, ove concorrano o la coincidenza di una malsana di lui costituzione dell'aria e del clima, o la preesistenza nel paziente di un morbo già ba- stevole a condurlo alla tomba? Intorno alla qual ul- tima condizione roborati ancora da un asserto del medesimo N. A. francamente diremo, che ben po- teva il misero vulnerato protrarre più a lungo la sua vita, quantunque in braccio già fosse di un vi- zio preesistente ed insanabile che lentamente gli lo- gorava la vita. Così nel caso descritto dal Morga- gni (1), e riferito dal prof. Barzellotti (2), i trovamenti necroscopici presentavano croniche condizioni palo- logiche, sul merito delle quali confessa il N. A. che rinfermo senza cotal ferita poteva vivere ancora. E sebbene inclini egli a credere, che per la sola feri- (i) De sedibus et caus. Episl. 53, caso 23. ta)S.DCCCLXXXV.,. .0,; i„uó'i. fiOu G. A. T. LXXV. 5 66 Scienze la, senza le preesistenti cagioni, morto non sarebbe queirindividuo; nulladimeno la confession ne basta del N. A, che l'inlermo potea vivere ancora, purché imbattuto non si fosse nella vicenda di una rissa^ nella risultanza di un ferimento. Or cotesta abbre- viazione di vita non dovrà per omicidio caratteriz- zarsi ? Un aggressore anzi fatto sordo ai gemiti, ai lamenti, alla commiserazione, all' aspetto funebre della morte che già dipinta offre nel volto un indivi- duo per il peso dei cronici malori, potrà dirsi reo soldi ferita e non di omicidio ? Consentano pur altri a cotaii pareri; ma finr che non venga con salde ragioni dimostrato Terr ramènto del pensar nostroj non avremo rossore in ritenere, che nelle fin qui contemplate cagioni trat- tisi non di semplice reità di ferita, ma bensì di omj- icidib; non di dubbio omicidio, ma di ben constata^ to omicidio^ ; di omicidio anzi evidentemente bar- baro, di un atto di perfidia certamente abbomine- vole. Ne Sembri inordinato un tal linguaggio; noi- chè, quando frivole reputar si dovessero le qui con- gregate riflessioni, perchè non sostenute dal fulcro di altro genere di prove , ardiremmo improntare qualche documento dall'istesso sig. prof Barzellotti, sfogliando il pinmo capitolo del libro di cui è pa- rola. Al §. DCCGXXir tnirava egli a risolvere il problema della estimazione degli effetti dalle cause ledenti prodotti, come quelli che includono un ele- mento importantissimo, dopo cjuello della conside- razione deiristrumento meccanico e della forzai fi- sica che lo rende attivo ed offensivo. Ivi dopo va- rie maniere di raziocinii in risoluzione del proble- ma, ne conchiudc ,«,che una gran lesione, la quale » non abbia portata vistosa offesa all'estemp, ma Medicina Legale 67 » die abbia, per i .sintomi suscitati e per le cou- )) seguenze da essi derivate, fin anche arrecata la )) morte, debbe aversi per l'espressione di una gran T> forza ad un valido istrumento applicata; e quin- r> di per Tintenzione piuttosto { notisi bene questa » intenzione ) di distrugger la vita che di offender » la salute; il che sarà della massina importanza pel 1) foro, che rinteiizione xaìuta quale atto reo, egual- » mente che la piena consumazione di esso «. Se dunque valutar fa d'uopo l'intenzion criminosa e- gualmente che la piena consumazione dell' offesa ; perchè dovranno questi criterii abbandonarsi nelle già ponderate circostanze di clima, di atmosfera, di morbi o dominanti o preesistenti? « Se si per- » corressero ( diceva il N. A. al §. DCCCXXX ) i » processi di omicidio in quasi tutt'i tribunali di » Europa istituiti si vedrebbe, che i difensori dei » rei sovente a tutt'altro che alla ferita attribui- » scono la morte, bencliè amplissima sia, benché » creala in parti importantissime ed essenziali alla » vita. Tutto si dà ed attribuisce per lo più agli » accidenti. Il temperamento, i disordini dietetici, » il clima, le imprudenze dell'infermo, le medica- » ture istesse vi entrano sempre per qualche cosa». Ed i periti dell'arte (soggiungeremo) avrebbero coi conati loro ad adoperarsi per somministrar docu- menti onde favoreggiare i rei, cumulandone talvolta dei poco solidi ed anzi ingiusti? Ingiusti ( non sarà temerità il dirlo ); da che parrebbe, che Vintenzio- ne valutar si dovesse soltanto quale atto reo egual- mente che la piena consumazione di esso, ove il crì- mine si consumasse in soggetto di fiorente salute, di vegeta e robusta costituzione: laddove aspetto assu- merebbe di verità lieve lo slesso delitto nei casi 68 Scienze menzionati, e nei quali talvolta la impronta si scor^! gè della più nera barbarie, della piìi nefanda fie-r rezza. Gel disse già quell'arguto pensatore , il prò? fcssqr Grottanelli (1), avvisando alla formazione di un giusto parere per lume al giudice onde misura- re la qualità e malizia del delitto. « Un Grassatore „ che affronta un infermiccio e malsano, e dicasi lo ,, stesso di una donna e di un vecchio: uno scelle- „ rato che si spinge senza ribrezzo ad aggiunger „ danni a quello che n'è di già ricolmo, mostra che „ il suo cuore è ali apice della depravazione, che ,, è anzi l'eccesso stesso della barbarie. David non „ credette mostrar meglio la fierezza e crudeltà „ dei suoi nemici, che sotto questo punto di vista „ ( super dolorerai vulnerum meorum addiderunt ), „ Tacito ci fa conoscere di quali barbarie fossero „ capaci i satelliti dei tiranni di Roma ( Annali ,, lib. VI ); allorché narra che giungevano a stran- „ golare i moribondi e talvolta i cadaveri ,,. Pre- ghiamo dopo tale discorso rozzamente maneggiato il sublime prof. Barzellotti ad iscusarci, se declinam-r mo qui ( forse con temerità ) dai suoi pensamenti, quantunque assistiti sieno da tante autorevoli san- zioni e costumanze; ma ove dato ci fosse di entrare in lucida convinzione dell' erramento nostro , o di (entrare in conoscenza di qualche legge che così di-? sponesse, pronti e docili ci dichiariamo nel tempq stesso a ricrederci. Non lasceremo da ultimo sfuggire questo in^ contro per esternare i voti di una interressante rir forma, che gik da qualche tempo bramavamo arden? (>) Hicerche medico-forens» ce. pag. 8j. Medicina Legale 69 temeritej che sì recasse Sul metodo e direzione dei giudizi medico-forensi nelle autossie cadaveriche medico -giudiziali. Per le cure laboriose di tanti o- perosi sorittorij e specialniente dell'esimio prof. Bar- zellottì, si è sparsa in oggi sul ramo medico-legale moltissima luce. In onta però di si ampli processi confessar è d'uopo, che negletta viene bene spesso la diligenza nell'operare, e piìi spesso l'applicazione dei principii della logica medico-legale, di cui ora con tanto pregio somministrate ne vengono dal N. A. le illustrazioni. Lievi non sono quindi ( siccom'è a- gevole il concepirlo ) i disordini che da tal negli- genza sovente involontaria promanano, concorrendo in essa quei periti forensi che con soverchia super- ficialità disimpegnando i doveri che loro incombo- no, mostrano di non apprezzare ovvero di vilipende- re l'augusto onore che conferito lor viene di parte- cipare nel foro in alleanza co'rettori del governo all'amministrazione della giustizia. Egli è ben vero, e per assioma potrebbe ritenersi, quel che il N. A. asserisce al §. GGXGtV. „ che vi sono pochi „ casi, nei quali può la sola sezione cadaverica es- „ ser di certo e sicuro lume al foro, laddove in mol- „ ti è di molto soccorso, ed in alcuni di pochissimo „ e quasi ninno „. Egli è ben vero altresì, che seb- bene di alcune morti la causa sia fino ad un gran segno conosciuta, non possono però discoprirsene nei cadaveri gli effetti, o tanto lievi se ne riscontra- no, che rimaner quasi è d'uopo nel forse sul potere ad essi attribuire la vera morte. Quali effetti per lo pili lasciano dell'azione loro la inedia, il fulmine, la semplice privazione di aria, la sincope per pate- mi di animo? Ma pur non havvi in medicina legale alcun caso di avvenuta morte, in cui non possa que- 70 Scienze sta in pari tempo venire almeno illustrata dalla ca- daverica ispezione. Affinchè essa per altro verace- mente giovi nelle discussioni forensi, e trascenda i limiti di quella superficiale formalità, entro i quali per mala ventura spesso viene ristretta senza mira veruna di utilità per lo scopo finale , debb' essere con rettitudine e precisione istituita, poiché senza tali regole non tornerebbe valida in faccia al foro, ne utile in faccia alle parti. Ne addita il N. A. le più opportune norme in varii luoghi dell'opera sua, ma più nel cap. VII del secondo libro; e per sugello d'istruttiva avvertenza, oltre i precetti fondamentali che nelle varie appendici a' singoli libri rifulgo- no, aggiungeva, siccome superiormente dicemmo , il distinto articolo di logica medico-legale. Ineren- do però alle promosse doglianze, facciamo stima di qui soggiugnere alcune dilucidazioni , per l'uso pratico da moderarsi essenzialmente necessarie. ,, Pour que la société tire tout l'avantage pos- „ sible dfcs progrès de la médecine legale, il ne suf- „ fit pas soulement que la partie la plus laborieuse ,, et la plus instruite Jes gens de l'arte parvienne, „ par ses recherches, k eclairer les points Ics plus ,, épineux et les plus obscurs de la science: ce tra- ,, vai), tout indÌ2pcnsa])le qu'il est, ne rempliroit ,, qu'imparfaitement le but principal, si Ics don- ,, nées obtenucs ne recevoient en méme temps une „ application réclle aux cas des procédures qui „ peuvent se présenter ,,. Tal si era l'asserto di M. Marc (1). li tribunale affida frequentemente (è (i) „ Manuel de autossic cadavcrique nieclico-legalc, traduil de l'alcinaiid dii docteur Rosa ec. ec. par C-C-Il Marc, ec. Oc. Paris. iSoìi. Medicina. Legale 71 lo stesso autore che parla ) le funzioni di medico- legale agTindividui men capaci di soddisflirle : que- sto nocivo abuso è quasi sempre indipendente dalla volontà dei tribunali medesimi, e discende piutto- sto dalla scelta dei pubblici incaricati della prima istruzione del processo. Quindi ne avviene talvolta, che se la nomina di perito forense cada sopra indi- vidui non appieno istrutti nelle notomiche cogni- zioni, o non famigliarizzati con le perizie medico- giudiziali, illeso rimane il foro per la deficienza di sicure tracce positive o negative del delitto. Ne meno scevra da inconvenienti si è la intro- dotta consuetudine di addossare o a medici o a chi- rurgi indistintamente l'incarico delle autossie cada- veriche medico-legali. „ Quei chirurgi ( cosi espri- „ mesi il prof.Barzellotti (1)) che non fossero istrui- „ ti o abilitati al taglio anatomico, mal potrebbero „ riuscire periti nel foro, allora che colla sezione „ cadaverica si debbe mettere in chiaro la vera cau- „ sa della morte. E sebbene dei medici abilissimi „ vi possano essere, capaci perciò a ben sezionare „ i cadaveri, poiché la maggiorità di essi non è ,, esercitala quanto basta nel taglio anatomico, così „ dovrebbe il fisco rigettare il medico, fosse anche „ chirurgo, come di non sua ispezione, che eseguir „ volesse la sezione dei cadaveri. La sua parte nelle „ faccende fiscali e quella di conoscere sii effetti e „ le cagioni interne principalmente che han con- „ tribuito a distruggere, od han distrutta la vita, „ come di mettere in accordo gli effetti con le ca- „ gioni tutte. E poiché un chirurgo ed un medico (I) Tom. 1, §. CCLXXXV, pag. 54o. 72 Scienze „ sono in tutt'i casi eletti per una legale commi*- „ sione forense, quindi ciascuno debbe stare nelltì „ proprie attribuzioni e di quelle disimpegnarsi „. Egli è perciò che dalla sfera di queste non dovreb- be giammai alcun di loro allontanarsi, e molto me- no il chirurgo assumere in esclusiva maniera il pe- so del giudizio nelle cadaveriche sezioni, ancorché spettassero a cause di ferimento; potendo egli age- volmente trovarsi sprovveduto di quei tanti lumi, che necessarii per essenza ad un chirurgo non sono pel disbrigo pratico della sua professione, e che d* altronde non dovrebbero in un medico desiderarsi giammai, e la deficienza dei quali può rendere oscu- ro ed imperfetto qualunque giudizio. Ne peso al- cuno riscuoter dovrebbe quella discrepanza di pa- rere a cui tal fiata si autorizzano i chirurgi; poiché la diversità di opinioni non può aver luogo se non riguardo al giudizio ( e questo è sempre fuori della sfera delle attribuzioni loro ), e non già in propo- sito dei fatti e dei fenomeni riscontrati nella visita del cadavere: e le opinioni soltanto, siccome conse- guenze di diverse viste intellettuali, e non i feno- meni che sono meri oggetti di ricognizione dei sensi esterni, possono ad una fondata dubbiezza sog- giacere. Molto men plausibile troveremmo, che la ca- daverica ispezione forense si commettesse a coloro che siensi di già interessati nella cura dell' indi- viduo allorché era in vita, se trattisi di morti av- venute dopo pili o men breve corso di malattia. Sif- fatta disposizione, mentre renderebbe giustizia alla rettitudine delTimpiegato curativo trattamento, ver- rebbe anche a rimuovere il prestigio di qualsiasi propensione in difesa del medesimo, o in favor di Medicina Legìlb 73 qualche reo di condizione elevata, con guarentirò la medica e chirurgica onoratezza, ed assicurare la itnparzialitk del giudizio* Ancorché avvenga di verificare in una qualun- que cavitk del corpo la sufficiente cagione della morte, ometter non dovrebbesi giammai, siccome per abusiva costumanza almen frequentemente tra- scurasi, la visita ed esame accuratissimo delie al* tre. Diverse infatti esser possono nel tempo istesso le cagioni di morte» e differenti pur queste in dif* ferenti punti del corpo. Che anzi omettendosi una s\ importante perlustrazione, verrebbero ad igno-^ rarsi le consensuali offese degli altri visceri» e po-^ Irebbe agevolmente derivarne una falsa conclusione sulla vera causa della morte, e darsi sostegno a qual- che fievole dubbio per conculcare la veridicità del rapporto. Riconobbero di già ed inculcarono con impegno la necessita di cotale avvertenza gli scrit- tori di medicina legale, e fra questi il Teychmeyero, Rose, Tortosa, Barzellotti. E se la esecuzione di que- sta pratica non venisse si frequentemente negletta, non vedrebbonsi con disdoro dei periti figurare sì spesso nel foro certe informi relazioni e giudizi, che l'aspetto rivestono e l'impronta del ridicolo. E che cosa dir dovrebbesi poi, se paghi si mo- strassero alcuni periti della sola e semplice ispezio- ne esterna del cadavere di un qualche meschino rin- venuto estinto senza vestigio di esteriori offese? A quanti equivoci non andrebbero sottoposti i giu- dizi loro per tal modo fallaci, se non temerari ? La memoria ancor serbiamo di un leggiadro equi- voco di simil genere, che molti anni or sono ci si narrò avvenuto in un comune. Si commise dal tri- bunale di questo la visita giudiziaria di un estinto, 74 Sciènze ch'erasl rinvenuto in un campo, ad un chirurgo del luogo stesso. Egli niuna esterna lesione rimarcan- do, e forse roborandosi colla deduzione degli effetti capaci ad ingenerarsi della rigida condizione atmo- sferica, allor vigente nella stagione del verno, ri- sparmiandosi qualunque incisione e taglio anatomi- co, non arrossì pronunziare il giudizio della morte del meschino per freddo. Ma quali mai erano i do- cumenti perchè venisse dal foro debitamente accol- to il giudizio ? Impugnar non intendiamo la possi- bilità di questo genere di morte; ma per consta- tarlo rinunziar non si doveva alla pratica di tut- te le conosciute misure per operarne il dighiac- ciamento, ne dovevasi in conto alcuno negligere la cadaverica autossia nella sua pienezza, e con soler- zia annotarne gl'interni trovamenti necroscopici in conferma del pronunziato giudizio. Non poteva for- se sotto quella forma di mentita assiderazione a- scondersi la vittima di un veneficio, o quella degli efietti del così detto vento di pnlla^ caso non im- possibile ad avvenire nel fatto di ferite d'armi da fuoco? Non è forse egli vero, che nelle evenienze di quest'ultimo genere ( isfuggite, se non erriamo , al prof. Barzelletti ) una parte dell'organismo può es- sere gravemente lesa , e seguirne ancor la morte dell'individuo senza veruna soluzione di continuith, ne traccia alcuna esteriore di ferimento ? Leggonsi in varie opere esempi di somiglievoli casi di lesioni ingenerate dalla percossa delie palle morte, o che l'efFetlo sieno di palle ripercosse ad angoli molto ottusi verso il corpo umano. Sia pur causa degli enunciati effetti l'azion dell'aria compressa e della sua vibrazione, siccome sostennne il dott. Blanc; sia pur quella di un elettricismo simile agli effetti Medicìna Legale 75 della folgore, siccome opinò Daniele Ellis; sia pur quella della celerità e violenza con cui viene spinta la palla, siccome immaginò l'ingegnoso Spence; sia pur quella della forza centrifuga della palla, sic- come piacque di conchiudere al sig. Dubar; siane la espansi li ta del calorico, o altra che immaginar si voglia cagione: egli è certo che valutar conviene un tal fatto nelle circostanze, onde averlo di mira nel suo giusto aspetto. Tali sono in somma gli equi- voci facili a presentarsi, allorché ciascuno dei pe- riti non si contenga nel raggio delle proprie attri- buzioni, che tanto inculcava, siccome già si disse, il prof. Barzellotti doversi osservare. Dalla menzionata indispensabile obbligazione di tutte esaminare le cavita dell'uman cadavere nel- le autossie giudiziali per rimarcarne lo stato, e le necroscopiche investigazioni istituirvi, potrebbero i periti fiscali unicamente dispensarsi nelle circo- stanze di decapitazioni, ambustioiii, schiacciamenti o altre simili evenienze di evidentissima disorga- nizzazione. Questi d'altronde esser dovrebbero i soli casi, nei quali potrebbe il perito forense pronun- ziare nell'atto istesso il suo giudizio : ma intorno quest'ultimo titolo di pronunziato giudizio d'uopo è ora intertenersi per farne palesi alcune incoerenze. Suole d'ordinario scriversi il processo verbale di simili atti legali da persone che rappresentano l'au- toritk giudiziale, nel momento istesso di tempo in cui si eseguisce l'atto legale dai professori periti. Tosto ricercasi sul fatto il perito ad emettere il suo giudizio, il quale viene senza indugio scritto nel protocollo dalla persona dollicio a compimento del rogito. Non sembrerebbe però sempre consentanea al buon senso una tal pratica; ma feconda invece di 76 Scienze giudizi bene spesso fallaci, e di erronee aecisiofii, end ottenebrando la verità portano talvolta nel foro il chirografo di condanna per gl'innocenti e ne assol- vono i veri colpevoli^ Chi volesse infatti sul propo- sito ascoltare per un momento i riflessi della ragio- ne, troverebbe plausibili, anzi lodevolissime, le pre- tensioni del foro, il quale esige, che il perito-legale possegga il necessario fondo di sapienza ; che sia quindi bene istruito delle nozioni chimiche e chi- mico-farmaceutiche ; ammaestrato doviziosamente nelle dottrine fisiologico-patologiche ; addestrato a necroscopiche osservazioni; aggiornato delle opinioni e sentenze degli antichi e de' recenti scrittori sulle materie medico-forensii atteggiato a formare sobrii raziocini, e giudizi di equità a norma dei precetti logici) morali e medici. Con buon senno quindi ri-» peteva M. Marc (1), che le cognizioni del medico- legale debbono essere tanto estese, quanto gravi sono le sue funzioni. Ma qualunque possa essere il suo genio e la sua abilita, potrebb'egli esser tratto in inganno da un soverchio amor proprio, per non confessare il bisogno di studiare la causaj e medita- re il suo giudizio ; ne sarebbe egli men tenuto (al- manco nei casi ardui e delicati) di consultare le opi- nioni ed osservazioni altrui, di ricorrere alle risor- se che può somministrargli la sua biblioteca nel punto in cui lo abbandonano o la memoria o le co- gnizioni? Quante volte un giovane poco esperto in pratiche vedute , non accostumato a cadaveriche ispezioni, potrebbe sul suo tavoliere pacatamente confrontare ciocche abbia nella sezione di un cada- (i) L. cit. Medicina Legale TT vere riscontrato con quanto in casi non molto dis^' simili espongono gli autori medico-forensi, e quin- di portarne un meno irreprensibile giudizio , qual forse atteggiato non era ad emettere senza verun in- dugio concessogli, nella preoccupazione di sorpresa, in mezzo alla confusione indotta dai circostanti, per farlo scrivere in protocollo a tenor della requisizio- ne del tribunale ! Non indegno parrebbe di esser preso di mira il quadro dei riferiti disordini, perchè venisse ognu- no di essi scrupolosamente evitato, ed utili disposi- zioni di riforma si statuissero. Immaginare innanzi a tutto vogliamo, che per le solerti e sapienti cure de' chiarissin^i incaricati alle speciali istruzioni , partano dalle università i cultori delle mediche e chirurgiche discipline pienamente istrutti in ogni ramo della facoltà ; ed abilitati nelle forme teore- tiche e pratiche alle sezioni dei cadaveri per ogget- ti forensi, alla maniera di osservare nei medesimi e saper osservare tutto ciò che nei tanto svariati in-- contri debbe contemplarsi, e finalmente al modo dì formarne un giudizio su'principii logici medico-le- gali poggiato, colle condizioni e norme di cui con- seguitar facciamo un breve riassunto. Distinte nel- la esecuzione di un atto legale le attribuzioni medi- che da quelle del settore, potrebbe nel protocollo della delegata persona d'officio ( esatta copia di cui assumer dovrebbe pure il medico per suo uso) iscri- versi soltanto la parte isterica e descrittiva dell'atto, COSI per quello che risguarda l'esterno esame, come la indagine degl' interni trovamenti necroscopici, senza veruna ommissione in tal esame ed ispezione, e senz'astringere il medico ad emettervi un pronto giudizio e parere, purché egli non vi consenta, ne 78 Scienze evidentissime sieno le disorganizzazioni rinvenute come cause di morte; come ambustioni, decapitazio- ni, o altre. Potrebbe al fisico concedersi un indugio pili o men breve, e giammai minore di 24 ore, per redigerlo e consegnarlo al tribunale, onde ottengasi a mente tranquilla e con la scorta degli enunciati soccorsi una perizia piìi matura ed un più sostenuto giudizio. Potrebbe il giudizio o parere del fisico originalmente inserirsi, e non trascriversi nel pro- tocollo del tribunale. Potrebbesi dal foro ad ogni atto legale di cadaveriche ispezioni interpellare il parere di un perito provinciale o distrettuale ap- positamente deputato a tali incombenze, onde assi- curarsi se il giudizio emesso dal fisico, che fuvvi presente , sia consentaneo alla natura della cosa ; cioè se dalla parte descrittiva ed isterica di quanta si rinvenne negli oggetti di eseguita ispezione di- scenda realmente evidente e consono il voto o l'e- ferto di esso. Potrebbe nelle piìi astruse emergenze ricercarsi di un tal parere alcuno dei periti fiscali del tribunale supremo, ed anche la facoltà o colle- gio medico-chirurgico: tali misure farebbero più accorti e diligenti i professori locali al disimpegno delle respettive loro obbligazioni. Potrebbesi cia- scun atto di questo genere consegnarsi alle stampe in opera destinata a render pubbliche le perizie del- le materie forensi con l'epilogo delle decisioni del tribunale. Siffatta raccolta di casi medico-legali, die- tro i sani principii odierni risoluti nei tribunali ( che già desiderava il benemerito Bàrzellotti veder promossa ), formerebbe un corpo di decisioni o di pandette medico-legali, capaci di sanzionare nei casi simili il parere dei periti col giudizio dei magi- strati. L'intiera serie degli esposti regolamenti va- Medicina Legale 79 Icvolc sarebbe immensamente a conservare la più alta circospezione nei professori periti, i quali anzi per tal modo gareggerebbero per istimolo di gloria nello istruirsi debitamente, in porre in opera tutti gli sforzi affin di sollevarsi con preminenza sulla stima dei colleglli. Giusto parrebbe l'accordare ai menzionati periti una onesta ricompensa, o ai più distinti una premiazione all'uopo di sostenerne l'in- coraggiamento : giusto egualmente parrebbe il cal- care l'opposto sentiero a carico di coloro che o per frode o per imperizia o per negligenza avessero mal corrisposto alle mire ed alle leggi dei tribunali. Necessarie e convenienti sembrerebbero tali condi- zioni per poter ben presto vedere ovunque retta- mente coltivata e posseduta questa branca di medi- ca giurisprudenza, e vederla giungere a quell'apice sublime di perfezione, cui è dato alle umane cose di poter pervenire. Giuseppe Tonelh 10 ,uiii>uj Lii. o&aii 80 Saggio di geometria analitica trattata con nuovo metodo. il presente saggio riposa interamente sul prlnci- pii da me stabiJiti nelle proiezioni, i quali stan-- no a quelli di cui si fa uso comunemente , come il genere alla specie; e non debbono certo portare alcuna oscurità nella scienza, ma bensì nuovo lu" me, presentando ad ogni passo immagini sensibili e forme geometriche ne'simboli astratti dell'algebra. Si vedono le diverse parti della geometria, così a due come a tre coordinate, disporsi quasi da se me- desime in ordine perfettamente simmetrico intor- no ad un centro unico, costituito dalle belle pro- prietà della risultante. Spero poi che ninno mi saprà mal grado del- l'aver io continuo riguardo al moto onde si gene» ra l'estensione; poiché in tal guisa vengo a toglie» re ogni ambiguità relativa ai segni, e a mettere in intimo contatto la geometria colla meccanica , la quale , come riflette egregiamente Lacroix , è lo scopo principale dello studio delle matematiche, PRIMA PARTE. GEOMETRIA A DUE COORDINATE. La geometria a due coordinate insegna a rap^ presentare simbolicamente la posizione de'punti e il corso delle linee sul piano, onde con più faci- Geometria analitica 8^ litk scoprirne i rapporti. La dividerò in due capi;, nel 1.** tratterò delle coordinate, della retta e del- le linee algebriche in generale; nel 2.*^ delle linee, di second'ordine e delle curve simili. CAPO PRIMO, oqijo i. SCOPO E NATURA DELLE COORDINATE. jàssi coordinati: coordinate di un punto: equazione della linea: intersezioni: distanza tra due punti ^^^ ed equazione generale del circolo. ,-j 26. I punti sparsi in un piano si riportano ordinatamente ad un medesimo centro mediante le convenzioni seguenti. ,>j'jui o Per un punto 0 ( fig. 7), fissato ad arbitrio nel piano, si conviene di condurre sotto una incli- nazione qualunque due rette indefinite jcjc, jj , le quali si dicono assi coordinati , e si designano ri- spettivamente colle lettere (x), (j^), chiuse all'uopo tra parentesi : il primo di questi assi si suole sup- porre orizzontale. Il punto fisso O, da cui partono gli assi, si chiama origine degli assi; ed ivi ugni as- se si divide in due, l'uno positivo e l'altro negati^'o. a) Le coordinate di un punto riferito a due assi, sono su questi i lati del parallelogrammo aven- te per diagonale la retta che unisce il punto coU'o- rigine degli assi : esse, siccome segmenti degli assi (x), (j-), si designano rispettivamente colle lettere x,j-f ed hanno un valore positivo o negativo^ se- condochè si contano sovr'assi positivi o negativi. Uato un punto M, per trovarne le coordinate., basta condurre per esso due rette parallele agli assi G. A. T. LXXV. 6 83 Scienze (a?), (j-): verrà così a chiudersi un parallelogram- mo, i cui lati diretti lungo gli assi, saranno le coor- dinate richieste. Viceversa: date due coordinate x, j^ per tro^ vare il punto cui esse appartengono., basta costruire sulle nrjedesime ( prese per lati ) un parallelogram- mo: il vertice, che quivi resta opposto alla origine, sarà il punto cercato, (E in questa guisa che nelle carte geografiche si trova il luogo, di cui si conosce la longitudine e la latitudine. ) Oppure si prenda sull'asse {x) a partire dalla origine 0, un segmen- to OP =3 x; e dall'estremo P di x parallelamente all'asse (f), si guidi PM =/: l'estremo M di j- coin- ciderà manifestamente col punto determinato nella guisa precedente, e però sarà il punto richiesto. In questo secondo metodo di risolvere il pro- blema, la coordinata y = MP, si chiama ordinata^ mentre la corrispondente coordinata x==OP, si dice ascissa., essendo parte tagliata od abscìssa sulT asse (x). Da qui l'asse (.r) si chiama asse delle ascis- se, e l'asse (j), asse delle ordinate. Nota. Giova rendersi familiare la considerazio- ne delle coordinate di un punto sotto gli aspetti seguenti. Le coordinate di un punto, sono nel sen- so degli assi le componenti della retta che va dalla origine al punto. - La coordinata di un punto re- lativa ad un asse, è la sua distanza dall'altro asse, stimata parallelamente al primo asse; ovvero, è la proiezione che riceve questo asse (essendo V altro xj. Essa nel senso degli assi avrk per componenti x — x\ j—j' Imperocché se sopra la medesima, presa per diagonale, si costruisce un parallelogrammo con lati paralleli agli assi (x), ^y)'-, questi lati saranno (co- me si vede chiaramente immaginando la figura ) X — x^j — ;;;''. Per conseguenza si avi'k (§. 20./) a =:{x— x'f -h (jr — rT' -f- 2(x — x){j '-^y)cos'xj, ■ ed a = {x -'x'f -+-{y — 'j'fì nel caso degli assi or- togonali. Supponiamo adesso che la retta a costante roti intorno all'estremo x'y' reso fisso: l'altro estremo xy descriverà una circonferenza. Quindi le due prece- denti sono l'equazioni più generali della circonfe- renza del raggio a e centro x'y -. la prima per gii assi obliquangoli, e la seconda per gli assi ortogo- nali. " Dunque, perchè un'equazione di secondo grado' kx"" -+- Bj^ "»- 2Cxj — D = o, rappresenti un circolo, nel quale il centro sia l'ori- gine delle coordinate, dovrà accordarsi coU'equa- zione GROMEtRIA ANAT.ITICA .'8^ a:"^ ~\-y' -\- 2xjcos'xj — • rt' :=^ o; . ^ D , C è pero somministrare A=B, --^^rt,— =^ cos'ay. ^ A A ' 27. Ne'raziocinii, onde si vincolano insieme Je quantità estese, si sogliono queste supporre nel lo- ro stato positivo. Le formule ottenute in questa ipo- tesi, sussisteranno non solamente nel caso che le quantità svaniscano (§. 5 2"), ma nel caso eziandio che passino allo stato negativo. Infatti il raziocinio che stabilirebbe le formula in quest*ultima ipotesi, è chiaro che ( avuto il debito riguardo ai segni ) coinciderebbe col raziocinio che le ha stabilite nel- la prima ipotesi. Così queste formule sussisteranno in qualunque stato siano le quantità. Rapporti fra le componenti, proiezioni ed angoli delle rette. 28. Dall'origine O (fig. T) e dalla parte interna degli assi coordinati Ox, Oj-, eleviamo perpendico- lari ai medesimi due nuovi assi 0/,, Ox,: l'angolo che 0.ri fa con Ox, e O/i con Oj, sarà comple- mento ali angolo x 0 j degli assi coordinati, e per conseguente l'angolo xt O f\ de' nuovi assi sarà supplemento all'angolo ^ O j de'primi assi: quindi / nuos>i assi si diranno supplementarii de'primi (*). (*) latroduco qui gli assi supplementarii principalmente pei* conservare una corrispondenza simmetrica colla geometria a tre coordinate, ove l'uso di tali assi, apportando molta evidenza e facilità, è di un vantaggio incontrastabile. Li dico poi supplc' meiUarii degli assi coordinali, perchè nella geometria a tre co- ordinate determinano uh triangolo sferico supplementario di quello determinato dagli assi coordinati. 86 Scienze a) Le proiezioni L, M di una retta r sopra due assi coordinati (x), {j)-, sono proporzionali alle sue componenti li^ m, parallele agli assi supplementarii {Xx)ì (^i); 6 la ragione delle prime alle seconde è uguale al seno degli assi coordinati: vale a dire L M sen'xj h nii 1 Dini. Proiettiamo r, /i, nii sull'asse (x): sarà (§. 20) L ==3 rr = (/i H- 7Wi)r. Ora, essendo l'asse {jx) perpendicolare ad (jc), si ha {mi)x == o, e però L=(/i).t; =lxCos'XiX = hsen'xy. Da qui e dal principio di simmetria si trae la pro- porzionalità (H). Corollarii. Ciò posto, r. Se nella formula ( §. 20/) r* = tx -\~m^i -f- 2hmxCos'Xxyi omogenea rispetto alle quantità 1, /i, /wi, sostituia- mo a queste quantità le rispettivamente proporzio- nali sen'xji L, M ( §. 6 ), e — cos'xj- a cos'Xxji, avremo r'^sen-'^xy = L"* -H W — 2LM cos'xj-^ dalla quale si dedurrà il valor di una retta, date che ne siano le proiezioni sugli assi coordinati. Ed è a notarsi che r rappresenta il raggio del circolo circoscritto al triangolo ( 2L, 'xj, 2M ); essendoché il centro di siffatto circolo, proiettato ortogonalmen- te su ciascuno de'lati 2L, 2iVI, debbe cadervi nel mezzo. 2°. Siano /, m. le componenti della retta r nel senso degli assi coordinati : sarà (§. 20) /V^ = ( / -f- /« )x, = ( /i ■+• nii )a».. Geometria analìtica. 8T Ma (essendo (j-) perpendicolare a (.ri)), (l-+-m)x = lx^ = Icos'XiX = lsen'xy\ ih -f- mi)x = li -+• jjixCos'XiTi = /i — TTiicos'jrj'. Dunque tsen'xj = /i — un cos'xj. Sostituendo a j, /i, mi, le quantità rispettivamente pi*oporzionall sen-xj, L, M, avremo ìseri'xj £= L — ìiicos'xy. Si avverta che , in virtù del principio che la proiezione della risultante è Uguale alla somma del- le proiezioni omologhe delle componenti, si ha L = / -f- mcos'xy. Da queste due ultime formule si deducono per simmetria le componenti di una retta nel senso de- gli assi^ date che ivi ne siano le proiezioni-, e vice~ versa, b) SI noti che ( essendo L = rcos'xr , M = rcos-rf ) le proiezioni L, M, nel caso di r = I , di- ventano i coseni degli angoli che r fa cogli assi (^), (/); e diventano le componenti di r nel caso degli assi ortogonali. In questo caso sarà / =a rcos'xrj tn = rcosry :ti= rsen'xr; , m e pei*o -y = tang'xr, e (facendo /=1) m^==tang'xr. e) Trovar Vangalo di due rette r, r\ di cui nel senso degli assi {x), {y), sono date le componenti /, /w; /', m . Soiuzi Proiettiamo r sulle rette /, /', ifi: avre- mo (§. 20 é) r'rcos'rr' = l'rcos'xr -+- m'rcos'rj. Ma rcos'xr = l -t- mcos-x/, rcos.rj = m -f- Icos'tr ( §. 20 ); dunque, sostituendo, {i) rrcosrr == //' -+- mm' -+• {Ini -4- Ini) cos'xy. 88 Scienze Il valore di seji'rr, anziché dcdurlo da sen'rr == |/^( 1 — cos^'rr ), si può rinvenire nel modo seguen- te, che ha il vantaggio di offrire un'immagine geo- metrica del risultato, e di fissarne il segno con pre- cisione. Poiché, qualunque sia la posizione di due ret- te r, r, si sa dalla geometria che il loro angolo è uguale all'angolo di due altre rette condotte da un punto parallelamente alle prime e nel medesimo senso; supponiamo che le rette r, r partano dalla origine O degli assi (x), (jr) : le coordinate della estremitìi di r saranno /, m; ed /', m le coordinate della estremità di r. Fermo ciò, il punto l'in si riguai'di come cen- tro di momenti con braccio ortogonale. Il momento di r sarà doppio del triangolo (r, "rr, r) C§. 25 rt], e però = rr sen'rr; e i momenti delle componenti /, m di r saranno rispettivamente ( §. 25. rt.è.c ) Im sen'xj^ — tmservxj. Dunque ( §. 25 a? ) (2) rr'servrr = ( Ini — tm ) sen'xj. Quindi ,_v , {Ira — tm) seivxY \à) tang'rr =_,7 , ;, » // -4- mm -h-{lm -*- Im) cos'xj formula che fornisce il rapporto — — , cognito che sia il rapporto ^ e la declinazione di r da r. d) Se delle rette r, r sono date le proiezioni (L, M), (L, M') sugli assi coordinati (x), (jr)i per determinarne V angolo 'rr\ basterà supporre nelle formule (1), (2), (3), che le ( /, m), {l\ìn) rappre- Geometria analitica 89 sentìno le componenti di r, r', parallele agli assi supplementarii, e poi surrogare a (1, /, w), (1, l ^m) le quantità rispettivamente proporzionali {sen'xj, L,M),Ue/i'a^, L', M'), e — 'Cos'xj a cos'Xiyi-. otterremo (1 )' rr sen'xjcos'rr^lAl-J^MM —(JM-^UWìCOs-xj, (2)' rr'sen 'xjsen'rr'=^lM' — L'M. e) Proiettiamo r sulle rette r', /', m'i le corri- spondenti proiezioni saranno rcos'rr, L, M; e si avrà (§.20 e) (1)' rr co6^Tr' = /'L -f- m'M. Inoltre nella (2)' sostituiamo L = / H- mcos'xj , M = wi -♦- Icos'xj ; avremo (2)'' rrsen'xjseii'rr'= IM — mU—ilL'—mWjcos'xj. Le formule (1)', (2)" risolvono il seguente problema: rt . OKh\l I. Dal modo onde sarà scritta l'equazione della retta (A), noi converremo che ciascuno rilevi da se medesimo (essendo cosa facilissima) quando si sup- pone = o, una delle due quantità «, ^S ; ed = 1 , una delle tre r, /, m. Per es. nell'equazione X Y — jS j' = — = , si è fatto r = 1, a = o; / m j — jS mentre in x = — - , si è fatto / = 1 , a = o. m Si noti che in questa // numero delle costanti /, w, a, /3, è ridotto a due, cioè al minimo. 0% Sciente IL Ogni equazione di primo grado tra le va- riabili X, j, potendosi ridurre alla forma y — 8 jK = »ij? H- ^ , donde x = L, rappresenta una m retta. III. L'equazion della retta che passa pe'punti «iS , ufi , è ^—^'^ T= ZJHÈ . Infatti questa pro- u—oc (3 —(3 ^ ^ porzionalita significa che le rette (cc/3.xj), (a/3.a/3') , col punto comune a^, hanno la slessa direzione (§' 28. g). Quindi affinchè i tre punti a/3, a'jS', «'/3", siano in linea retta, è necessario e basta che si abbia «"■—«___ /5"^-/3 u — oc'~ iS'~I^/3 * IV. Affinchè due rette X — Cf. _j —[i (A) (A') X — et! j — [i / m siano parallele è necessario e basta che si abbia (§. 28. g) l : m::l' :m\ ed l : m::l' : ìn:'.(x — a:/3' — /3, affinchè coincidano. Infatti quest'ultima proporzio- nalità significa che la retta (a/S.a/v) avente le estre- mità sulle prime due, ha la stessa direzione delle medesime. V. Se la retta (A) è parallela all'asse (jr), sa- rà / = o, e però X — a = ^ = o; donde a; = a, =: — • m m o (valore indeterminato) : dunque una retta parallela ad uno degli assi^ ha la stessa equazione che il punto di sua intersezio- Geometria analitica 95 ne colValtro asse -. lo che riesce d'altronde eviden- te pensando alla figura. 2.* Equazione della retta e sue proprietà. 30. L'equazione (B) A^ -f- Bjr = D, rappresenta il corso di una retta distante dall' ori- gine O ( fig. T ) deir intervallo K = 2, S Oife g è un segmento di tale distanza avente sugli assi {x)^ (j^), le proiezioni A, B. Dim. Prendiamo, a partire dalla origine O , sull'asse {x) un segmento OA = A; sull'asse (j) un segmento OB =B: e all'estremità di questi segmen- ti eleviamo sugli assi due perpendicolari, le quali concorreranno necessariamente in qualche punto g. Designata per g la retta Og", prendiamo sulla mede- sima ( prolungata se occorre ) un segmento D OK = — = K , e sopra questo segmento nella sua / . . estremità s'innalzi perpendicolare una retta inde- finita : questa retta sarà il luogo geometrico dell' equazione (B). Infatti consideriamo in essa un pun- to qualunque M =3 ( ^, J' ) : OM avrà per compo- nenti oc^y ( §. 26. a ). Quindi il noto principio delle proiezioni ( §. 20. e ) fornisce g.OUcosg.OU — xA -+-jr-B; ma g.OMcosgOU = gK = D : dunque D = A^ -h ]òj. Così ogni punto xj della retta KM verifica questa equazione, ed inoltre si ve- de che non può verificarla altro punto al di la o al di qua di KM. a ) Risulta dalla fatta costruzione 96 Scienze 1.** Che senz'alterare la natura e la generalità «Icirequazione (B), si può sempre fissare ad arbitrio una delle tre quantità g. A, B, e farla = 1, e che poscia con essa resta fissata ciascuna delle due ri- manenti. E ciò apparisce pure dall'equazione g'sen-^j = A" -f- B' — 2A£cos-a-jr ( §. 28. ) 2.** Che il rapporto fra A, B serve a fissare la direzione di g-, e conseguentemente della retta (B); mentre D = g^K, serve a fissare la distanza K di questa retta dalla origine 0. Quindi se facciamo va- riare il rapporto fra A, B, restando costante K, la retta (B) si muoverà in giro toccando continuamen- te una circonferenza del centro O e raggio K ; e se facciamo variare K, restando costante il rappor- to fra A, B, la retta (B) si muoverà parallelamente a se medesima, 3." Se supponiamo che K parta dal punto «/3 e termini al punto ^'j\ l'equazione A ( .^ — a ) -f- B( J' — [^) = D, rappresenterà la retta che nel punto j-y tocca il circolo del centro a/3 e del raggio K. Sia- no ortogonali gli assi coordinati: presa g = K, sai'à A = ar' — a, B = y — iS, e la tangente di siffatto circolo diverrà Osservazioni. I. L'equazione di una retta (B) passante per l'origine delle coordinate, sarà Ax -^Bj = o -. do- vendo essere in questo caso K = o, e però D = gli. =: 0. Viceversa, ove sia D = o, sarà K = -^ = o, e la retta (B) passerà per l'origine. S II. Affinchè la retta (B) passi pel punto «/'3, do- vrà essere Geometria analitica / 97 D ^ Aa -f- B;3 = Ax -t- %, donile A. { Jc — « ) -+- B ( j — /3 ) = o; ed afilnclic passi per due o più punti dati «/3, a/S',..., dovrà essere D = A« -I- B/3 = A«' H- Bp' == .... Queste relazioni servono a manifestare se pili punti dati sono in linea retta, e a sciogliere il seguente proljlema « trovar Vequazion della retta die passa per due punti dati. » In generale, allorché la retta (B) debbo sodi- sfare a certe condizioni, i rapporti fra A, B, D, si supporranno incogniti, e si determineranno median- te l'equazioni esprimenti tali condizioni. III. Affinchè due rette (B) Ao: -+- Bjr = D , (B) Ax -+• B> = D', siano parallele, è necessario e basta die si abbia A B g A B_D perdiè coincidano. Infatti, poiché — = K , — = Iv , ove sia —==—,» sarìi necessariamente K = K. Cosi le due rette es- sendo parallele, e di piìi alla stessa distanza dalla origine e dalla medesima parte, coincidono. Se la retta (B) fosse parallela ad uno degli assi (a.), {j)ì pei' es. ad (j^), allora g perpendicolare alla retta (B), lo sarebbe pure ad {j ), e però sa- rebbe B = o. IV. L'ecjuazìone (B), oltre ((uello che si è di sopra dichiarato, ha pure un altro significato geo- metrico, che giova conoscere per le sue applicazioni G. A. T. LXX.V. 7 98 Scienze alla meccanica, e si trova sciogliendo nel modo che die segue il problema : trovar la retta., luogo geo^ metrico dell'equazione (B). Siano 0^', Qx, ( fig. 7 ) gli assi coordinali, e sia IVI un punto x-j verificante l'equa^jlone (B). Parallela- mente ad Oj si conduca MA. = A ; e parallelamente ad 0^', MB ==; — B: la risultante MD ^ j di (-B, A), indefinitamente prolungata, sark la retta richiesta, Infatti riguardiamo l'origine 0 come centro di mo- menti, i cui bracci inclinino alle rette rispettive coU'angolo '.^j" degli assi. In (|uesta ipotesi, la com- ponente A ^vra il braccio x^ ed il momento positi^ "vo A^, tendendo a rotare dalla destra alla sinistra ( §, 25, e ). La componente — B, avrà il braccio j-, ed il momento positivo B^. Chiamato h il braccio della risultante ^, sarà ( §• 25. d ) sh ^= Ax -+■ B/ =; D. Ora è facile a vedere che questa equazione si verifi- ca per ogni punto della retta s prolungata indefi- nitamente ; dunque tale retta sarà il luogo geome- trico dell'equazione (B), Da qui il seguente teorema ; Vequazone i^x -4- Bj^ = D, è ad una retta, nella quale D rap- presenta intorno al l'origine il momento di una sua parte s ai'ente nel senso degli assi (x), ( j- ), h componenti — B, A. Nota. Il problema di tracciare una retta, di cui è data l'equazione, si può sciogliere, sia partendo dalle proprietà geometriche dell'equazione, sia de- terminando le coordinate di due qualunque de' suoi ^unti, per es. de' punti ove la retta attraversa i due assi (^), ( /)• Geometria analitica 99 Rapporti tra le due equazioni (A) e (B) di una medesima retta. 31. Ridurre r equazione (B) di una retta alla forma (A), e viceversa. Soluz. Primieramente, supponendo che il pun- to a.^ appartenga alla nostra retta, si avrà Ac< -h B/3 = D ; e da qui il valore di una delle due coordinale o:, jS» determinatane l'altra ad arbitrio; per es. se si fa ^ = o , sarà « = — « . A In secondo luogo essendo g perpendicolare a (B), e però ad (A), sarà pel principio delle proie- zioni ( §. 20 e ), o == /A -I- /?iB, donde / m [/( P -f- ni^ ■+- 2lnicos'xj ) r B -A KC ^^^' •+■ B^ — 2ABco^-xr) gsewxj ' Viceversa : queste medesime formule servono a ri- durre l'equazione (A) di una retta alla forma (B) , valendo esse a fornire il rapporto delle tre quantità A, B, D, in funzione delle tre «, /S, — . m Pertanto, poiché è facilissimo il passaggio dal- l'una forma all'altra, in ogni problema noi potre- mo prevalerci di quella che meglio si presta alle in- dagini de'rapporti, e conduce a piìi eleganti risul- (amenti. Inclinazione delle rette e valore di una retta condotta da icn punto ad un altra retta. 32. Trovar V angolo che fanno tra loro \ ." le ret- te (A) ed (A'), ovvero (B) e (B'); 2.° le rette (A) e (B). tOO Scienze Soluz. 1.° Poiché le rette (A) e (A') declinano l'una dall'altra come le r, r, risultanti di ( /, m ), (/', w); e le rette (B) e (B') come le g, g', che sugli assi (x), (j) hanno per proiezioni A, B; A', B'; il pro- blema è risoluto al §. 28 e. d. 2.° Le formale del §. 28 e somministrano grcos-rg == /A -+- /wB , grsen.xj sewrg = /B — wA — ( /A — wB ) cos-xj» Ora, poiché g e (B) sono perpendicolari tra loro, gli angoli che la retta r fa con g e (B), saranno com- plementarii; e però, chiamato Q l'angolo onde r de- clina da (B), sarà cos'rg =: sen9^ serrrg = cos9. Duncjue grsenO = /A -+- wB, grseìi xj cosQ = /B — wA — ( /A — /7^B ) co^'^rj-, «) Se le due rette (A) e (B) sono parallele, e pe- rò g perpendicolare ad r, sarà o = /A -fr" mB , e quindi ( §. 28 g ) i _„ ^ _ I^*^ ^' "*" ''^' "*" '^Imcos'xy ) r B -A J/*( A" -f- B' — 2ABco^.:r^ ) gsen-xj ' b) Ste (A) e (B) souo perpendicolari tra loro, r e g^, essendo ambedue perpendicolari alla retta (B), saranno parallele, e conseguentemente proporziona- li alle loro proiezioni omologhe (§. 11 b). Ed avre- mo (§. 28/) r / -f- mcos'xj m -f- Icos'Xj , A — ' Bco.y.r/ B — • Acoj".3y^ Isen^'xj msen'xj a) Trovare la retta h condotta dal punto c/f-j' sotto l'angolo 9 ad un altra retta, 1 .^ dell'equazio- ne (A); 2." deirequazione (B). LSlabiliremo le for- GKOMETniA ANALITICA 101 mule nella ipotesi che il punto a'/3' sia intermedio tra l'origine e la retta (A) o (B) ]. Soluz. 1.° Supponiamo che la retta r, risultan- te di /, m, parta dal punto «/3: la perpendicolare calata dal punto «jS sulla direzione di r, ossia sul- la retta (A), sarà = hsenO. Quindi, rispetto al cen- tro a/5, la r avrk per momento rJisenO, e le com- ponenti /,m, avranno per momenti — /(/3 — ^')sen'ocj^ m{cc — 5c') seri'xj: dunque (§. 25 '. le componenti di v parallele ai primi assi (-a:), (jr), saranno x — «, jr — /5; e le componenti di s> dirette nel senso de' nuovi assi k^)-,{y)i saranno x^j. Ora queste componenti o sono parallele alle prime, od oblique. Nel 1.° caso ( poiché le proiezioni di una ret- ta sovr'assi paralleli sono eguali) si avrà X ■' — ' « := x' ^ X == a -+- •^' Q / » e pero a > y — ^^f' F ^^^_^^.^ Nel 2.° caso (in cui è compreso pure il pri- mo) proiettiamo v,x\y' sull'asse (a;), essendo di- rigente l'asse (j) : le corrispondenti proiezioni s:ì- sen-yx , senyy ranno x — «, x' — , j ( S- ^ • )• Ora , sen'yx senjx 404 Scienze per la definizione della risultante ( §. 20 ) , la pri- ma di queste proiezioni debbe esser uguale alla somma delle seconde : dunque x'sen'x'y 4- r^sen'j'r X — . a == . seii'xj Similmente, proiettiamo v., x\ j sull'asse (j) ), essendo dirigente l'asse {x) : si avrà x'sen'ocx -f- r'sen'xv' jr — /3= -^ =^; ' sen'xj ove tra gli angoli esistono evidentemente i seguenti rapporti : *xj =3 'XX "t" 'x'j- = 'xy -+- 'yy'^ *xy ^= 'XX H- 'xy = 'x'j -H 'JJ •> purché rispetto al modo di riconoscere lo stato po- sitivo e negativo degli angoli, si ritenga la conven- zione già fatta nelle proiezioni ( §. 25 d. nota ). Z> ) /, m, siano nel senso degli assi (x), {j), le componenti di una retta = 1 e parallela al nuovo asse {x) : sarà ( §. 1 7 e. 20 /. ) senyx sen.xx l = — , m = , sen'jx sewxjr 1 = r-¥- m^-i-2lmcos'.xy. Nel caso degli assi (x), (j) ortogonali, le /, m saran- no sui medesimi proiezioni ortogonali, e però / = cos'xx = sen'xy, m = cos'x'j c= sen'xx. Similmente una retta = 1, e parallela all'asse (^ )» abbia nel senso degli assi (a:), (j"), le compo- nenti /, m : queste saranno vincolate dalle stesse formule che le /, m, purché ad x' si sosti tuiscaj'. Ciò posto, le formule generali per trasforma- re le coordinate diventano X — a.=:lx -+- l'j Geometria analitica 105 Mediante le formule precedenti, le coordinate contenute nell'equazione di una linea si potranno trasformare in altre coordinate, senza che perciò si muti il grado dell'equazione. Il passaggio da coor- dinate a coordinate, è uno de'mezzi più efficaci per discoprire le proprietà delle curve e delle superfi- cie. Nella soluzione delle questioni particolari , si procura di scegliere le coordinate in guisa , che per la via piìi Lreve si giunga ai risultamenti. D'or- dinario si da la preferenza agli assi ortogonali. Nota 1.° Allorché, dopo aver designata con una sola lettera ognuna delle inclinazioni cogli assi, nel- Tequazioni delle linee e delle superficie si trasfor- meranno le coordinate, noi converremo di soppri- mer gli accenti nelle nuove coordinate. Questa con- venzione vale a semplificare i calcoli, senza nuoce- re alla chiarezza : giacche 1' andamento medesimo del discorso basta a far conoscere a qual sistema di assi siano relative le coordinate di un'equazione. 35. Le coordinate polari consistono nella lun- ghezza e direzione variabile di una retta mobile in- torno a un punto fisso : la retta si chiama raggio vettore'^ e polo^ il punto fisso. È manifesto che ogni punto particolare determina una particolare lun- ghezza e direzione del raggio vettore, cioè un siste- ma di coordinate polari; e che, viceversa, ogni si- stema di coordinale polari determina un punto , ed uno solo. a ) Trasformare le coordinate ordinarie in coordinate polari, e viceversa, Soluz. Sia x'j il polo, xj un punto qualunque, V il raggio vettore del punto xj, ed /, m siano nel senso degli assi (x), (j), le componenti di una ret- ta = 1 e parallela a v. Il raggio vettore v q\h. sua 406 Scienze direzione {l, m) saranno le coordinate polari del punto xj. Ciò posto si ha X —' oc Y — M y 1 t vf = — ; •=^- =^, donde x=h-^-x , r=ms>-\-yi l in . sen'jv sen'x^ ove * = , m = , senyx sewxj 1 = V-+- m^ 4~ ^Inicos'xj ; e nel caso degli assi ortogonali, / = sefi'vj^=cos'X'sf^ m = sen'xVy \ == l^ ^in. Viceversa , V=[/'C(a:— xy4-(jr— y)'-h2 {cc—x) (j—f) COS'JOÌy i == ^"~" "^ _ ^~JL Nota. L'equazione ad una curva tra coordina- te polari, si dice equazion polare della curva. Linee algebriche in generale. Loro ordine, diametro ^ centro, tangente y normale, asintoti. 36. Una linea riferita ad assi coordinati , si chiama algebrica^ se Tequazione che la rappresen- ta, è algebrica, o almeno riducibile a divenire alge- brica: altrimenti la linea si dice trascendente o meccanica. Una linea algebrica si dice del primo^ secon- doy terzo, ... n"'"" ordine, secondochè la sua equa- zione, ridotta a funzione intera e razionale rispet- to alle coordinate, è della prima, seconda, terza , ... n'^"^" dimensione. Così la retta è una linea del prim'ordine; e dell'ordine n"'»" la linea (A) Aj^« -h (Bx -f- Oj"-» -^ (Dx' -f-Ex -h F)j«-» -f- (Gx^ -f- Hx"" -f- Ix -f- K):^'*-^ -+- ec. =; o. Geometria analitica 107 . Se un^equazlone fra due coordinate è il prodot- to di più fattori razionali, essa rappresenterà una litiea complessa^ ossia un complesso di tante linee distinte, quanti sono i fattori razionali che abbraccia. a ) Una linea del n"'"" ordine non può aver comuni con una retta pia di n punti. Dim. Imperocché supponendo che l'equazione (A) coesista tra x, j-» coli' equazione delia retta . .r — « r— /S , , ,,. <; = ^ — =*^ ^, e pero che si abbia X = Iv "^ a^y = ms> -f- /3; fatte le sostituzioni, si avrà un'equazione del /i"'"» grado rispetto a f , e quindi v non potrà ricevere piìi di n valori, e con- seguentemente incontrare la curva in più di n punti. Così una linea di second'ordine non può aver comuni con una retta più di due punti. Dalle proprietà de'coefficienti dell'equazioni al- gebriche si possono dedurre facilmente molti teo- remi generali relativi alle rette che attraversano le curve. Le distanze tra il piede di un'ordinata e i pun- ti ove l'asse delle ascisse taglia una curva, sono chia- mate da Carnot ascisse naturali. b ) In una curva algebrica Aj"- -+• By "-' -+- C/«-3 . . . -4- P/ -fr- Q = o, il prodotto delle ascisse naturali è proporzionale al prodotto delle ordinate corrispondenti ( compren- dendovi le ascisse e le ordinate immaginarie ). Dim. Infatti per ogni ascissa x, il prodotto delle ordinate corrispondenti sarà , com' è noto dall'algebra, — . Ora Q è un polinomio in x che A. può mettersi sotto la forma 108 Se 1 E N 2 E H{x — ce) (:e — /3) {x — y) ... (,r — 6)), essendo H il coefficiente della massima potenza dì ^i «> /3, 7, ... ^ì le ascisse relative ad jr ^==5 o; e pei* conseguente jc — «, a: — jS, j»r — y, ... ^ — « le di- stanze tra il punto ( x, o ), piede dell'ordinata j', ed i punti della curva («, o), (/3, o), (7, o), ... (w, o), distanze che costituiscono le ascisse naturali. È adun- que provato che // prodotto delle ascisse naturali sta al prodotto delle ordinate corrispondenti in ra- gion inversa de'coeiftcienti H, A, della massima pa^ lenza dell'ascissa e delV ordinata. Per es. è noto dalla geometria che nel circolo ( linea di 2° ordine ) il prodotto delle ascisse natu- rali è uguale al prodotto delle ordinate corrispon- denti. e) In una curva si dice diametro o linea diame- trale il luogo geometrico del punto medio di una corda moventesi parallelamente a se medesima. Tut- te le corde parallele dimezzate da un diametro, si diranno corde coniugate al diametro^ e viceversa il diametro si dira coniugato alle corde parallele che dimezza. In generale una retta si dirà coniugata ad im diametro, se sia parallela alle corde coniugate al diametro; e questo coniugato a quella. Un diametro rettilineo perpendicolare alle sue corde coniugate, si dice asse principale della curi>a; e i punti ove attraversa la curva, si dicono vertici della curva. Nella curva rappresentata dall'equazione A x^"" -+- Bj2« = D , ciascuno degli assi (^), (j ), è un diametro. Imperoc- ché per ogni valore di una delle due coordinale jf, j-, cotesta equazione somministra sempre due va- lori eguali e di segno contrario per l'altra. Così eia- GH-OrUETRlA ANALITICA 109 senno degli assi dimezza tutte le corde parallele all'altro. Due diametri rettilinei si dicono coniugati, se le corde coniugate all'uno sono parallele all'altro. Se nel punto ove un diametro attraversa la curva , si conduce una retta parallela alle corde coniugate ad esso diametro, tale retta sarà tangente. Dim. Infatti è palese che laddove il diametro attraversa la curva, ivi ne svanisce la corda coniu- gata, e però ivi la secante che nasce dal prolunga- mento della corda, riunendo in un solo i due punti comuni colla curva, si trasmuta in tangente. Dun- que ec. Viceversa: una retta, che tocchi un arco di cur- va in un punto dato, è parallela alle corde coniu- gate al diametro che passa per siffatto punto O, es- (*") Questa proposizione può dediirsi dalla definizione stes- sa della curva come segue. La direziona Jlssata da due punti, è la retta che passa per questi due punii. Dna linea si dice po- ligona o curva, secondochè cangia ad intervalli o continuamente direzione. E' chiaro che non si può cangiar direzione, se pri- ma non si ha una direzione, o una tendenza per una direzio- ne; dunque la curva , cangiando direzione in ogni punto del suo corso , ha in ogni punto una tendenza per una direzione determinata. La retta esprimente la direzione cui tende in un punto dato la curva, si chiama tangente della curva, ed e uni- ca come la direzione che rappresenta. La tangente può anche considerarsi come una secante nata dal prolungamento di una corda che svanisce; perchè la corda a misura che si avvicina a svanire, tende a prender la direzione della curva. Giova notare, i. che se in un punto singolare concorrono più rami di curva, le tangenti saranno tante quanti i rami .• e che tuttavia resterà vero che per un punto di un arco non si può condurre che una sola tangente , non esistendo più tan- genti in un punto se non perchè ivi s'incrociano più archi ; 2. che il teorema ,, la curva è limile de'poligoni inscritti e cir- 110 SCIEJIZB sendochè per un punto dato non si puU condurre ad un arco che una sola tangente. d) Centro di una curva, e il centro di simme- tria della medesima, vale a dire il punto, ove resta- no dimezzate tutte le corde che vi passano. Se una curila sia simmetrica intorno ad un centro, preso (Questo per origine delle coordinate, r equazione di tal curva dovrà riuscire di grado pa- ri rispetto ai termini che contengono le coordinate, Dim. Supponiamo la curva riferita al centro, X Y e ^ = ~r = — 7 un raggio di simmetria. Sostituen- l m do nell'ecjuazione di essa jo ■= Iv, JK = mv, l'equa-^ zione risultante dovrà fornire per v de'valori uguali due a due, e di segno contrario, e però esser della forma cioè tale che non si alteri, ove a che de' valori eguali e di se- gno contrario. Pertanto l'equazion delle linee di second'ordine, simmetriche intorno all'origine, sarà della forma Ax* H- By -+. 2Cxj = D, cioè omogenea rispetto ai termini che contengono Je coordinate, Ujia cun>a algebrica non pub aviere più di un centro di simmetria. Dim. Siano ( fig. 8 ) O, O', due centri di una * medesima curva, ed M uno qualunque de'suoi pun- ti. Si prolunghi il raggio MO in Oi\ = OM: il pun- to N apparterrà alla curva per la ipotesi che O è un centro. Similmente si prolunghi il ra"o-io MO' in O'N = OM, e il raggio NO' in OM' ^Vn: i punti N', M' apparterranno pure alla curva. Ora la considerazione de'triangoli coincidibili che si ve- dono nella figura , ci dimostra che il quadrila- tero MM'N'N è un parallelogrammo , ove le rette MM', NN' sono parallele ad 00', e ad egual distan- za da 00'. Dunque i punti M', JN' sono alla stessa distanza da 00', che i punti M, N. Similmente i punti M', N', considerati rispetto al centro O, de- termineranno sulle rette MM', ìii^' due altri punti M , J\ della curva: poi questi, considerati rispetto ad O', ne determineranno due altri M'", N'", e così continuamente. Quindi ciascuna delle rette MM' , NN' avrà un' infinità di punti comuni colla curva. Or ciò è impossibile in una curva algebrica (§.35 a) a meno che non consista in un sistema di rette pa- 112 Scienze rallele, situate due a due ad egual distanza dalla iinea de'centri: dunque è pure impossibile più di un centro. e) In un dato punto M (fig. 9) di una curva piana A MS riferita a due assi 0^^, Qx, si dice , i." tangente o toccante, il segmento della retta MT che ivi tocca la curva, compreso tra il contatto e l'asse delle ascisse 0^:; e siUtangente ., la distanza TP tra il piede della tangente e il piede dell'or- dinata PM: 2." normale, il segmento MN della nor- male alla curva, compreso tra il contatto e l'asse delle ascisse; e simnormale, la distanza NP tra il piede della normale, e il piede dell'ordinata. Ciascuna di queste sei quantità: ascissa e or- dinata, tangente e suttangente, normale e sannor- male, è funzione di una qualunque delle altre. In- fatti osservando la figura riesce evidente che la de- terminazione di una di coteste sei quantità, per es. dell'ascissa, trae seco la determinazione di ciascuna delle altre. Supposta determinata in funzione delVascissa l ordinata e la suttangente , esprimere per mezzo di queste la tangente, normale e sumiormale. Soluz. Rappresentiamo per y l'ordinata; per t la tangente e per ti la suttangente; per n la normale e per «i la sunnormale: ove t, n, si contino a par- tire dal punto di contatto, t avrà nel senso degli assi (jc), (j) le componenti -ti, -j; ed n, avrà le componenti ni, -j. Ciò posto, poiché t ed n sono perpendicolari tra loro, avremo ( §. 28. g ) tsen'xj j-^rticos'xf ti -\-jCQS'xj ' oltre di essere ^ = |/( t\ -i-y -t- 2tijcos'xx)\ r ' -H yticos'xj jtseivxj uunqiie ??t -=^ ì n == — , . fi rV'Jcos'xy 1% •+- ycos'xy f) Asintoto di una cur\>a, e una linea che coi*- rendo in un certo senso a fianco della curva, le si va di continuo avvicinando siccome a limite, senza mai poterla toccare. Quindi gli asintoti rettilinei possono conside- rarsi come tangenti, il cui punto di contatto va a perdersi in una lontananza infinita. Da qui il me- todo di rinvenirli quando esistono. Allorché si dice asintoto senz'altro aggiunto, s'intenda asintoto ret- tilineo. Nota. Allorché in un calcolo si hanno più coor- dinate, delle quali alcune si suppongano in uno stato fisso, ed altre in uno stato attualmente varia- bile-^ queste seconde si dicono coordinate correnti. Tutti i mezzi analitici per iscoprire le pro- prietà di una curva, si riducono a quattroj 1.° co~ noscenza delle proprietà dell'equazione che ha per luogo geometrico la curva data ; 2.° combinazione dell' equazion della retta con quella della curva ; 3." trasformazione delle coordinate; 4.° teorica degli infinitesimi. CAPO SECONDa Linee di second' ordine. Equazion generale e sua trasformazione, centro, diametri e classificazione delle linee di second" ordine. 37. L'equazion generale delle linee di second' ordine riferite a un sistema qualunque di assi coor- G. A. T. LXXV. 8 ^^'+ Scienze dinaii (x), (/), può scriversi sotto la forma (*) (A) . . . '\ -1- 2Gxj - 2|^,-^ -- D =0, simmetrica rispetto ai due sistemi di quantità {j^ì A, A), (jr, B, B' ), restando essa invariabile, al- lorché si alternano le lettere di un sistema colle cor- rispondenti lettere dell'altro. Si noti 1.° che i coefficienti A, B, C non posso- no supporsì nulli simultaneamente, senzachè l'equa- zione (A) cessi di essere di secondo grado; 2.° che divisa l'equazione (A) per uno de'suoi coefficienti , questi SI riducono a cinque, e che per conseguen- za da questi cinque dipende essenzialmente la na- tura della linea correlativa. a ) Nell'equazione (A) trasformare le coordi" nate m altre di origine e direzione diversa:, e poscia in coordinate polari. Soluz. 1.° Alle coordinate x, jy converrà sosti- tuire ( §. 34 ) Ix -f- /jr "+■ «, mx -*- mj -f- P, ove Im^ l'm rappresentano le direzioni delle nuove ascisse ed ordinate. Avvertendo essere simmetrici i due sistemi di quantità (x, /,/',A, A) (j , ttz, m',B,B'), (*) Le quantità simmetriche e dello stesso segno, invece di scriverle di seguito Tuna dopo l'altra, le scriverò sovente 1' una sotto l'altra, anteponendo loro una linea verticale affetta dal se- gno e coefficiente comune: il segno -|. lo tralascerò sempre nel principio. Cosi l'espressione Xx^ Kyz B/J-f-2 B'2x, equivale a Aa:'H-Bj---t-C-'H-2(A>Z-f-B'5X -f-GV). GEOniETRrA ANALITICA 1 15 tale sostituzione può eseguirsi a colpo d'occluo cL- termlnando successivamente i coefficienti <\ìx\xj,x, e deducendo per simmetria quelli à\j\j. Designia- mo per P, 2Q, -2R i tre primi; per P', -2R' fdue ultimi; e per S il complesso de'termini senza coor- dmate. Ove si noti che questi coefficienti debbono comporsi di due parti simmetriche rispetto ai due accennati sistemi di quantità, e che perciò basta conoscer Tuna di tali parti per dedurne subito l'al- tra in simmetria, troveremo assai rapidamente P=:A/^-hB;«^ -^■2C//^^=:(A/-^C/7^)/-^- {^m^Cl)m, vale a dire: P, coefficiente di a:\ è ciò che diventano nelVequazione^ (A) i termini della T dimensione in X, jr, allorché ad x, j surroghiamo /, m. In virtìi della simmetria, P' è ciò che diviene P se ad /, m si sostituisce /', ni. Q-=kll' -t- -Bmm'~\- C ( Ini -f- l'm ) = (A/^-G;7e)/'-f-(B/;^-^-G/)/7^'^(A/'^-Cm')/+(B/7^'^-C/^/;^; _R=(A/ + Cm)u~^ {?,ni + C/}^-(A7 -4- Bm) U (A«+ C^ - A') / -H (Bp -t- Ca ^ B') m. Si ottiene poi B', se in R surroghiamo /', ni\ ad /, m. Infine è facile a vedere, che _ S è ciò che d' venta il pruno membro di (A), allorché ad x, j si sostituisce a, jS. Poste queste determinazioni, (A) si muta in Vx* 2.° Sia «,S il polo, e v = "^ " ^ ^T - (^ ., t m raggio vettore del punto xj della curva: converrà sostituire in (A) ( §. 35 ) ^ = /, ^. ^, ,. _ ,,,, ^ o 1 risultato di tale sostituzione è chiaro esser ciò che diventa (A)^, se in essa facciamo 116 Scienze o ■= t = m =Ji ed X == V : sark dunque (A)a Pv' - 2Ri/ — S == o. Queste trasformazioni di (A) in (A),, (A)2, sono due mezzi efficacissimi ed elementari per discoprire le proprietà delle linee di second'ordine. b ) CENTRO. Dato che esista il centro., per de- terminarne le coordinate « , /3 , basta trasportare nel medesimo l'orii^ine degli assi : dopo simile tra- sporto, la trasformata (A), dovrà risultare di grado pari rispetto ai termini affetti dalle coordinate , qualunque sia la loro direzione ( §. 36 d) : dovrà dunque aversi o = R ^= R'. Ora queste equazioni dovendo verificarsi indipendentemente dalle dire- zioni //», l m\ si risolvono in AB — B'G (1) , donde w. .,^ ^^ B==BiS-i-C« BA— AC ^"~ AB— C" Pertanto ogni volta che il denominatore AB — C non è zero, le coordinate ce, /5 sono certamente am- bedue finite, ed è certa l'esistenza del centro. Piìi sotto vedremo la verità dell'inverso, vale a dire se il surriferito denominatore riesce = o, la linea è priva di centro. riuta 1.° Dalle (1) si trae A'« + A'/3 = Au -h B/5' -h 2Ca/3, e quindi BA' H- AB ' - 2A'B'G S^DH-Aa4-B'/3^D -i ^-^ __ ^7 . In questo caso, (A) divenuta P^'^ — S=o, somministra » _ ^ _ D -h A « -f B73 ^' — p = Af 4^Bw' ^^2lT/w ' e quindi il valore di un raggio v condotlo dal cen- tro alla curva, datane la direzione l/n. Geometria ahaliticì. 1 1 7 2.** Se debbasi trasportare l'origine delle coor- dinate nel centro, senza mutarne la direzione; allora (A), ( fatto / = 1, w == o, /' = o, w' = 1 ) diverrà Ax' H- By •+• 2Cxjr — ( D H- A'« -t- B'/3 ) = o . 38. DIAMETRI. Determinare una linea diame- trale è (per la definizione §. 36 e) lo stesso, che de- lerrainare il luogo geometrico del punto medio «^ di una corda 2v moventesi parallelamente a se me- desima. La semicorda v^ partendo dal punto a/3 e terminando al punto xj^ della curva (A) , è rap- presentata dall'equazione f/ = — - — = .So- stituendo in (A) X = h •+■ cK,j = nn> •+• /3, otter- remo come sopra il risultato (A)a» ove la direzione Im di V si deve supporre costante, e variabile il punto medio a/3. Oi'a l'equazione (A)a non può da^ re per la semicorda v due valori eguali e di se- gno contrario, come sì richiede, se non sìa o=R=:iA/-+-C/w)« H-(J3m-f-C/)^— (A7^-B'm). Ma questa condizione dimostra che a^, punto me- dio di 2p, scorre sulla retta (R) . . . . (A/-K Cm)x -+- (Bw -h C/)j = A7 -h B'm, la quale è verificata dalle coordinate del centro. Dunque 1.° jielle linee di second' ordine ogni dia- metro è una retta, e passa pel centro quando esi- ste; 2.° condotti due diametri^ se s incontrano, Vuv contro sarà il centro; 3." // diametro coniugato ad una data corda, è la retta die passa pel suo mezzo, e pel mezzo di un altra corda parallela alla data. La direzione Im delle corde coniugate al dia- metro R == o, si dirà direzione coniugata a tale diametro; e viceversa, // diametro R == o, sì dira coniugato alla direzione Ini. 118 Scienze SI noti che le due e(|uazioni Pt^' — . S = o , R = o, potrebbero tener le veci deirequazione (A) nel rappresentare le linee di second'ordine. Infatti la i.^ di quest'equazioni fa conoscer le corde 2t» corrispondenti ad ogni punto del diametro rappre- sentato dalla 2.^; e con ciò ambedue fanno cono^ scere pienamente la curva. a) Se la direzione l'ni sia la direzione del dia-» metro (R), avremo pel noto teorema (§. 31) 0 = /' ( A/ -H Oh ) -+■ ni ( Bw -f- G/ ) = Q : così Q = o, determina la direzione l'in di un dia^ metro, conoscendo la direzione Im delle sue corde coniugate, e vice^>ersa. Inoltre dall'identità l\kl-\-Cm)-hmKèm-+-Cl)^l{k.t-\'Gm')'\-mQ^m'-\-Cl') si rileva, che se la direzione tm delle corde con- iugate ad un diametro R' :^ o, è parallela ad un altro diametro H ^= o; anche la direzione Im delle corde coniugate a questo, è parallela al primo; e i due diametri sono coniugati tra loro (§. 36 e). Dun- que 1.*^ data la direzione di un diametro, l'equa-- zione Q = o farà conoscere la direzione del con- iugato; 2.° Condotte due corde parallelamente ad un diametro, i loro punti di mezzo determineranno il diametro coniugato al primo. b) Trovar l'angolo che una corda fa col suo diametro coniugato. Soluz. Designiamo per p la retta che sugli as- si [x), ij), ha per proiezioni ortogonali Al H- C/w, B/« -i- C/. L'angolo 5 che la corda 2f fa col dia^ metro coniugato (R) , sarà in virtìi della formula pota (§. 32) psenO-=l(Al-{- Cm) ~*~ m{B77i+Cl)= A/' -4- Bm"" -+- 2Cml = P. Geometria, analitica 419 Nota. \.^ Se risulti P = o, sarà sen9=:o^ e per conseguente la corda 2v parallela al diametro cui è coniugata: assurdo manifesto. Dunque allor- ché risulta P = o, la retta 2v non può esser cor- da, ne deve porsi R = o. Dunque la condizione essenziale ali esistenza di una corda parallela ad una data direzione Ini., e del diametro corrispon- dente (R), si riduce a ciò che non riesca P = o. 2.° Il rapporto tra /, 7;^, che serve a determinare la direzione di una corda, essendo da principio ar- bitrario, si può in infinite guise prender cosi che non renda P=o, a meno che non sia o=A=B=G, cioè a meno che l'equazione (A) non cessi di esser di secondo grado. D' altronde è cosa evidente per se medesima, che in ogni curva reale possono esi- stere infiniti sistemi di corde parallele, e però in- finiti diametri. Intanto noi conosciamo il significato geometri- co de'coefficienti R, Q, P dell'equazione (A)i. R=o è l'equazione di un diametro coniugato alla dire- zione /m; Q = o esprime la condizione perchè la direzione l'm' appartenga a tale diametro; e P c= psenO, somministra l'angolo 6 che cotesto dia- metro fa colle corde coniugate. 39. Ridurre (A)i alla forma pia semplice. Sup- posto P diverso da zero, prendiamo per asse delle ascisse il diametro coniugato alla direzione l'ni del nuovo asse {j ), cioè prendiamo il diametro che nel sistema de'primi assi ha per equazione R' = o: affinchè Im sia la sua direzione, conforme alla ipo- tesi, dovrà essere Q = o. Ciò posto l'equazione (A)i diventa (A)' P^' H- P>' — 2R^ — S = o . 120 Scienze Oi' qui possono avvenire due casi: o il coefllciente X* risulu eguale a zero, oppure diverso da zero. Nel 1.° caso la (A)' diviene (B) Py -. 2Ra; — S = o ; ed è a notarsi che l'evanescenza di Q =; (A/ -h GmV H- (Bw -4- CI) m\ non può Irar seco l'evanescenza di P = (A/ H- Cm) l -h C Bw -+- C/ ) w , senza che sia o-=Al -jr Cm==Brr(, -h^ C/, e però R = A/ -4- BV», Infatti, se ciò non fosse, le due equazioni Q == o, P= 0, esprimerebbero che le direzioni /w, Ini del diametro e delle corde coniugate, coincidono colla direzione della retta (§. 31) (A/ -h Cm)a: -i^iBm-h- Cl)j ^ o; cioè esprimerebbero l'assurdo clic il diametro è parallelo alle corde che dimezza. Viceversa , non può essere o = A/ -H Cm == Bni -+- CI, senza che l'evanescenza di Q tragga seco quella di P. Nel 2." caso, ponendo l'origine a/3 nell'incon- Irò de'due diametri IV = o, R = o, i quali sono coniugati a causa di Q = o, la (A/ si riduce a (C) . . . Px' -h Fj^ = S -= D -j- A-'oc 4- B'jS. Cosi r equazione (A) è sempre riducibile ad una delle duo (B), (C), delle quali la prima (non potendo divenire omogenea rispetto ai termini che contengono le coordinate) rappresenta le linee yoa* ve di centro (§. 36 d), e la seconda rappresenta le linee simmetriche intorno cdl' origine. Le linee di second'ordine possono adunque di- A'idersì in due classi: in linee senza centro, ed in linee con centro. Sì le une come le altre sono coni' Geomiìtivia analitica 121 prese nell'equazione unica (A)'; e si dicono sezioni coniche^ perchè si offrono con tutte le loro varie- tà nelle sezioni piane di un cono a base circolare. a ) Affinchè 1' equazione (B) rappresenti una curva, è necessario che il coefficiente lì risulti di- verso da zero. In questa ipotesi surrogando X — — ad j;, (B) diventa 2R (B). P'/r=2Ra:; la quale, essendo verificata da o = x = j", dimo- stra che l'origine è sopra la curva. Dunque ogni volta che R è diverso da zero, l'asse {x) attraversa certamente la curva, e ponendo quivi l'origine «p, sarà S = o. È evidente che, cangiando all'uopo il segno di x, si può fare in modo che il coefficiente di X abbia il segno che piìi aggrada. Quindi l'e- quazione (B)i, non polendo assumere nella sua sem- plicità un'altra forma essenzialmente diversa, rap- presenta una sola specie di curva, chiamata ^ara- bola (Vedi il §. 43). b) Nell'equazione (G), supposta S positiva, (se non lo fosse, si renderebbe tale cambiando il se- gno a tutta l'equazione) possono avvenire due casi rispetto ai coefficienti P, P'. Poiché 1.° o sono am- bedue dello stesso segno, e dovranno risultare po- sitivi (altrimenti l'equazione avendo il primo mem- bro essenzialmente negativo ed il secondo positi- vo, sarebbe assurda); 2.° o l'uno positivo e l'altro negativo, e sarà indifferente alla natura della linea il supporre negativo piuttosto l'uno che l'altro, es- sendo arbitraria la denominazione degli assi coor- dinati: noi supporremo negativo P'. Quindi l'equazione (G), potendo assumere due 122 Scienze forme essenzialmente diverse e due sole, compren- de due specie di curve. 1.'"* Ellisse P.r' -f. vy = S ; 2.^ Iperhola P^' ^ ^'^ = S . SS SS Fatto - = a\ -~ h\ donde P = _. , F = -.^ , i- r ah coleste due equazioni divise per S, diventano ^2 2 ^H ±- 2 7 (C) ';5 -f- —TI- = '1 » e quindi a ove le quantità a", :±: &^ sono i quadrati di <^«e j'e- midiametri coniugati., cioè rappresentano i quadrati delle distanze reali o immaginarie che intercedono tra il centro ed i punti ove gli assi (x), {j) attra- versano la curva (vedi i §§. 46, 47). Ed è a notarsi, 1." che si passa dalla ellisse alla iperbola solchè si cangi h in /?[/*— -1; 2.° che de'due diametri dell' iperl>ola 2^, 2Z?I/" — 4, l'uno reale e l'altro imma- ginario, il reale attraversando la curva si dice diO' jnetro trasverso'-, 3.° che due diametri coniugati se sono principali, cioè ad angolo retto, si chiamano a&si della curva, de'quali il maggiore nella ellisse e il trasverso nella iperbola, si dice primo asse-^ e l'altro secondo asse: il primo asse si designerà co- stantemente per «; 4.*^ Che supponendo P, P' co- stanti, rt^, l*' crescono e diminuiscono in propor- zione con S. Direzioni principali )Irem colate da 40. Diremo coniugate le direzioni /m, l'in' vin- Geometria analitica 123 Q -^ (A/ -+- Cm)l' -f- (Bw -f- C/)w' = o, cioè le direzioni di ogni sistema di assi coordinati, rispetto ai quali l'equazione delle linee di second' ordine assume la forma (A)'. E due direzioni con- iugate si chiameranno principali , allorché sono perpendicolari luna alt altra. È evidente che l'esi- stenza di un asse principale (§. 36 d) trae seco ne- cessariamente l'esistenza di due direzioni principali. r*onianio (A/ -f- Q.m)x' ^ (B/7Z -h C/)r = /(/m): supposte coniugate le due direzioni Im, l'm\ si po- trà stabilire, a causa di Q = o, l.« che delle due rette /(/,«), /(/W), ciascuna è parallela alla dire- zione di cui è funzione l'altra (§. 32 ), e che per conseguenza , quando le direzioni son principali , ciascuna di coteste due rette è perpendicolare alla direzione di cui essa è funzione ; 2.° che quindi perchè una direzione Im sia principale, è necessa- rio e basta che sia perpendicolare alla retta f(lm). Pertanto, rappresentando per yo la retta che sugli assi (x), (j.), ha per proiezioni Al -J- Gm, Bm -f- C/, e per z l'angolo degli assi (x), (j); a determinare le direzioni principali Im, si avrà la proporzionalità (§. 32 b) ^ ^ A/ H- Cm _ B/» -+• CI " l -h- mcosz m -+- Icosz A/' -4- Bw" -f- 2G/m __ P /' -h w' H- llmcosz r ' È palese, che se fosse cognita p, la cognizio- ne della direzione Im dipenderebbe da un'equazio- ne di primo grado. Cerchiamo adunque un'equazio- ne tra ^ e 1 coefficieaù A, B, C, eliminando Im 124 Scienze dalla riportata proporzionalità. Combinando ivi il primo membro col secondo si ottiene p{l -f- mcosz) = A/ H- Cm; e ponendo in evidenza i coefficienti totali di /, w, e poscia alternando /, A con m, B, , , ^ p — A) l •+• (pcosz — C)m = o, ^ '^^ * ' * * ( pcosz — C) l -+- {p — B )w =5 o : equazioni, ciascuna delle quali, cognita che sarà yt?, dark il valore del rapporto «-• , e conseguentemen- m te combinata con \ = l^ -^ rn -jr 2lmcosZi deter- minerà la direzione Im. Da esse, eliminando m e dividendo per /, si trae (p — A)(/? — B) — ( pcosz — C )^ = o , e ordinando per p , (/>) p'^seiiz^ (A-hB— .2Ccoj2)yy-hAB — C'=o; equazione che nel caso degli assi (^), (7) ortogonali, diventa {p)r p' - (A-l-B)yD -i- AB — C = O. Cos'i la determinazione delle direzioni principali dipende dalla cognizione delle radici dell'equazio- ne (p). Si avverta che ad ogni radice reale di (p) e diversa da zero, corrisponde una direzione Im perpendicolare a un asse principale ( §. 38 b ). a ) 7/ equazione (p) ha sempre le sue radici reali, ed una almeno diversa da zero. Dim. Supponiamo ( poiché è lecito §. 39 ) che l'equazione (A) sia ridotta alla forma (A)' .... Ax^-fBj^ — 2A'jc — D = o; l'equazione ip) ( fatto G = 0 ) diviene (p\ .... p^senr — ( A -*- B) p -i- AB = o. Ricerchiamo adesso le condizioni , perchè o tutte GEOMETftlA ANALITICA. 125 due le radici di (jy],., o una, o nissuna sia eguale a zero. i.° Perchè le radici di (p)^ riescano tutte due eguali a zero, si richiede che ne svaniscano i due ultimi termini ( algebra ), o che si abbia 1.^ AB=o, 2.^* A-+-B = o. Se per verificar la 1.^ di queste, si pone = o una delle due quantità A, B, per es. A; la 2.* diven- ta B=o. Così non si può verificare simultanea- mente la 1* e 2^, senza che sia o = A = B, cioè senza che l'equazione (A) cessi di essere di secon- do grado. Dunque 1' equazione (p)^ non può avere uguali a zero tutte le sue radici. 2.° Perchè una radice di ip)-i riesca = o , si richiede che sia {Jlg-) AB=o, cioè = 0, uno dei due coefficienti A, B. 3.° Perchè nessuna delle radici di (^3)3 riesca =3 o, si richiede che non sia = o il prodotto AB. In ogni caso l'equazione ('/?)a risoluta sommi- nistra »=- — ,, C A -I- B :±= [^C(A -+- B)^ — khBsen^z\\ 2sen z^ J ove le radici sono sempre reali, essendo ( A H-B )^ — 4AB = ( A — B )% e però ( A-f-B )'>4AB, e a fortiori > hk^senz. Risulta da questo esame che l'equazione (^0)2, e per conseguenza {p)^ ha sempre le sue radici reali, ed una almeno diversa da zero; e che però esiste sem- pre un asse principale per lo meno ( §. 38 Z> ). Dunque l'equazione (A) può sempre ridursi col metodo già insegnato ( §. 39 ) alla forma Px* -f- Vy — 2Rjc — S = o , 126 Scienze in modo che le direzioni Ini, Im de'nuovi assi {,t) , (7), siano principali. In questo caso i cocffcentt P, P sono, com'è noto ( §. 37. a ), ciò che diventa A/^ -f-Bw^ -f- 2Clm, allorché la direzione Im si sup- pone principale; sono adunque le radici delVequa- zione (/j), e però sarà AB — C" = PP'. E poiché tali coefficienti debbono essere aitìbeduef reali dal momento che n'esiste uno ( S- 39 ), si ha un nuovo motivo per conchiudere che le radici dì (/?) sono reali. Quindi il numero delle positive (per la regola di Descartes) sarà eguale alle variazioni di segno. h ) Ciò posto, le radici reali di {p) possono risultare o una eguale a zero, o ambedue dello stes- so segno, oppure di segno diverso. Nel primo caso il binomio AB — G% prodotto di tali radici, sarà nullo\ sarà positivo nel secondo; e negativo nel ter- zo. Quindi affinchè l'equazione (A) possa rappre- sentare o una parabola, o un'ellisse» o un'iperbola; dovr'a essere AB — O [ 0. <) Si noti che, supposte A, B positive, se fosse AB — C* = o , ossia risulterebbe A -f-B > 2C : e che perciò se fosse AB — G* > o, ossia C^ 2G > 2Cco^z ; e conseguentemente l'equazione {p) offrirebbe due va- riazioni di segno, e positive le sue radici. Geometria analitica. ^2^ d) Data una linea di seconcVordlne, è necessa- riamente determinato il rapporto tra i coefficienti P, P', radici dell'equazione (/;); quindi comunque sì trasformino le coordinate, e si mutino in corrispon- za i coefficienti A, B, C dell'equazione (A), il rap- porto delle radici dell'equazione ip) resterà immu- tabile. e ) Se le due radici P, P' di {p) sono eguali, l'equazione (A) non potrà rappresentare altra cur- va reale che la circonferenza ( §. 26 e ). In questo caso esisteranno evidentemente infiniti sistemi di direzioni principali. Se le due radici di {p) sono di- suguali, a ciascheduna di esse corrisponderà una particolare direzion principale Im, ed una sola (*). Pertanto le linee di second' ordine offrono due sole direzioni principali^ tranne la circonferenza che ne ha infinite. (*) Infatti supponiamo che (A) sia da bel principio P^^ -f Vy — 2Rx — S = o, e principali le direzioni degli assi [x], {j). L'equazioni (/m) de- stinate a somministrare le direzioni principali, diverranno o = (p — P) / = (yt, — P) m, 1 = /^ H- w' . Ciò posto, facendo p =: P, sarà m -:= o , ed / := i , cioè alla radice P di (p) corrisponde una sola direzion principale , quella dell'asse {x). E per ragion di simmetria alla radice P' di (p) corrisponde la sola direzion principale dell'asse {y). Quan- do poi si ha P ::=: P', allora ogni direzione può assumersi per principale, risultando ►- = / — = m. 128 S e I E N z fi Parametri e fuochi. [ 7 2 41. Nell'ellisse ed iperbolaj'' = — ^(a' — x'')i trasportiamo Torigine delle coordinate dal centro air estremità ( x=:^a, j=o ) del diametro 2a : ad jc converrà surrogare j? =t= a, e si avrà =^ b , ^ , 7'"= — 7-( =t= 2ax — or ) . a Ciò posto, nelle tre linee di second'ordine rap- presentate da , 2R , 2b' feV r a a* il coefficiente della prima potenza dell* ascissa x , considerato come rappresentante una corda, si dice parametro^e si suole designare per 2p. Si ha dunque 2R 4 .° 2/7 = —7 , e però x : / r.jr :2p ; 2h* 2.° 2/3 = — ^ , e però 2a : 2£» :: 2b -. 2p i a cioè i7 parametro nella parabola è una corda terzU proporzionale dopo Vascissa e V ordinata., e dopo il primo ed il secondo diametro coniugato nella ellis' se ed iperbola. a ) Intanto il paragone dell'equazioni y= 2/7X, y'= 2px =R --- = 2/)J? =P C— , dimostra, che quanto più cresce a e diminuisce x^ tanto meno il primo membro differisce da 2px nelle due ultime, e però dalla mutua coincidenza i i Geometria atsalitica 129 punti corrispondenti delle tre curve. Dunque \° ^li archi ellittici ed iperbolici tanto meno differiran- no dai parabolici., quanto saranno più prossimi al vertice, ed avranno maggiore il primo asse; 2.° l'el- lisse e Viperbola si trasformano in una parabola, al- lorché il primo ass-e diventa infinito', quindi dalle proprietà delle prime due curve , potranno subito dedursi le proprietà corrispondenti della parabola. b ) \ nomi imposti alle linee di second'ordine di parabola., di ellisse e iiiiperbola, significano cur- va per eguaglianza, curva per difetto, e curva per eccesso; e sembrano trarre origine da ciò che nelle medesime curve, y'' è rispettivamente :=, <, >2^a'. 42. Fuoco, in ciascuna delle linee di second'or- dine, è sul primo asse il piede di un ordinata egua- le al semiparametro. Nella parabola, crescendo le ordinate continuamente insieme colle ascisse , non può esistere che una sola ordinata eguale al semi- parametro, e però un fuoco solo : mentre nelle al- tre due curve, attesa la loro simmetria intorno al centro, debbono esistere due ordinate eguali al se- miparametro, e però due fuochi. In queste si chia- ma ECCENTRICITÀ* la distanza tra il centro e ciascun fuoco, e si suole rappresentare per ae. a ) Trovare il fuoco della parabola jr*= 2px , supponendo {x) asse principale. Soluz. Il fuoco de- ve coincìdere ( per la definizione ) coll'estremo di quell'ascissa x che corrisponde a un'ordinata j"=y3. Conviene adunque determinar quest'ascissa per mez- zo dell'equazione p^^=^ Ipx. Da qu\ si trae __ 1 _ 1 x — '^P ~^P'' cioè nella parabola la distanza tra il fuoco ed il vertice, è uguale a un quarto del parametro. G. A. T. LXXV. 9 130 Scienze b) Trovare i fuochi della ellisse e della iper- hola ay^ =fc V x^ == =»= c^hi^ , supponendo {x) , {y) assi principali. Soluz. I fuochi debbono coincidere ( per la definizione) cogli estremi di quelle ascisse x che corrispondono alle ordinale y = p. Conviene adunque determinar queste ascisse ( ciascuna delle quali rappresenta l'eccentricità ae ) per mezzo del- l'equazione a^p^ =1= b'x^ = =±= fl^Z>'. Or da qui , a causa di p = T » si trae a X = tfcl^C a =Fzb^) = d= ae. Dunque la distanza tra il centro e ciascun fuoco, os- sia l'eccentricita', 1.° nella elisse è uguale al cateto di un triangolo avente per ipotenusa il semiasse maggiore^ e il semiasse minore per V altro cateto ; 2.° nella iperbola è uguale alla ipotenusa di un tri- angolo avente per cateti i due semiassi. e ) Nella formula a^ =^ b^ =z a'e^^ risulta 1 per la iperbola. Sosti- tuendo =±= è^ = a' ( 1 — e' ) nell'equazione ay it b^x^ = =t fl^è", si ottiene y = (1 -e^Xa^-^x^ equazione all'ellisse o all'iperbola, secondochè ab- biasi e <, ovvero >1. Nota. Nelle linee di second'ordine raggio vet- tore è una retta qualunque condotta dal fuoco al- la curva. {Sarà continuato) Fi^. 8. M M 0 •■Q'-'''' / i :.' 131 aggiunta alla relazione delV epidemia del 1S31. Ne el 1837 di nuovo T affezione reumatìco^catar- rale ha afflitto molte citta di Europa. Prima che giungesse a noi, l'abbiamo intesa dominare a Lon- dra ed a Parigi, cagionando non poca mortalità, e più benignamente nell'alta Italia. In Roma si è ma- nifestata nel mese di aprile , e durava ancora nei primi di maggio, d'indole però assai mite: poiché eccettuati gli uomini del volgo, ed i contadini ? i quali trascurando in principio la malattia , facil- piente eran presi didla pleurite o pneumonite, ed entrati in tale stato nell'ospitale bene spesso vi pe- rivano, i cittadini infermarono per la maggior par- te leggermente , e camparono anche i ppchi affet- ti da piìi grave infermità. La durata della malat- tia era generalmente fra i tre ed i nove giorni, Precedeva la sua invasione un senso di malesse- re e di stanchezza , dolore di capo , dolori anche ai loQ^bi ed alle membra ; quindi previo il fred-? do si accendeva la febbre, la quale procedeva col tipo di continua ^'emittente. All'accendersi della feb-? bre il dolqr di capo si faceva assai piìi inteso, con trafitture molestissime in varie parti del cranio, ar- rossamento del volto ^ iniettamento della congiun- tiva degli occhi , ed intolleranza della luce j nel tempo stesso si facevano sentire colpi dolorosi nel- le estremità inferiori lungo il decorso dei grandi 132 Scienze nervi; la lingua era coperta di pania bianca, tal- volta col margine rosso, le fauci riscaldate e dolen- ti, non senza qualche stimolo a tossire. Più volte mi è avvenuto di osservare, che fatta in tale stato di cose un'abbondante sottrazione di sangue, par- ticolarmente nei soggetti pletorici, si è aperta la pelle al sudore, e la febbre ha presentato una no- labilissima remissione con diminuzione degli accen- nati sintomi, ed è poi cessata dentro i due seguenti giorni. Ho veduto molto contribuire ad accelerare il termine della febbre anche l'amministrazione di un farmaco purgante, in ispecie il cremor di tar- taro sospeso nell'acqua. Altre volte dopo questa pri- ma remissione si è riaccesa la febbre, il riscalda- mento della gola si è propagato alla trachea ed ai bronchi con senso ora di stringimento, ora di do- lor laterale puntorio, e tosse insistente; in questo caso è convenuto il secondo e terzo salasso sino ad ottenere la calma dei sintomi, non che adoperare larghe bibite temperanti, e qualche mistura depri- mente. Il morbo era solito sciogliersi sempre con sudore copioso, orine rubiconde e laterizie, ed es- pettoi'azione di mucco concotto. Generalmente la tosse ha continuato per molti giorni nella convale- scenza, e conaune è stato il lamentarsi dei conva- lescenti della debolezza delle membra, e dolore per- sistente ai ginoQphi, I^a recidiva era prontissima quante volte l'infermo si levava di letto troppo pre- sto, e molto piti se egli usciva in istrada. In alcu- ni sebbene non fosse libera la muccosa delle fauci e dei bronchi, pure di preferenza era affetto l'or- gano cutaneo, e le espansioni aponeurotiches cosic» che la febbre avea un aspetto reumatico, accom- pagnata da maggior dolore nelle membra e difficoU Epidemia, del 1831 133 ta maggiore al moto. Se in questi la febbre non di- leguavasi col sudore, siccome sovente accadeva , e mantenendosi poco obbediente la pelle era chiama- ta in consenso la muccosa intestinale, assumeva il carattere di reumatico-gastrica, facilmente vincibile coU'uso dei blandi purgativi. Quanto poi all'indole della malattia dominante, non sono mancati forti ar- gomenti per crederla contagiosa; particolarmente per aver essa percorso molte regioni di Europa, e pel contemporaneo ammalare di più individui nella medesima famiglia: nondimeno quel sentire aper- tamente sopra il corpo il malefico influsso di un'at- mosfera stemperata, ed il poter assai bene con es- so spiegare l'origine dell' affezione, riteneva molti nell'incertezza. Frequenti piogge temporalesche, ac- compagnate sempre da grande movimento di elet- tricità; frequente variare di venti, precedendo or- dinariamente la pioggia quelli di mezzogiorno, e se- guitandola quelli laterali al nord, talvolta la stessa tramontana; grande umidita per le dette piogge e per la saturazione della terra, e tutte queste irre- golarità nella stagione di primavera , quando ap- punto gli umori tendono ad aprirsi la via della pel- le, sembrava che potessero rendere ragione della malattia epidemica, di cui si è dato un cenno (*). Il Ci Recentemente il oli. prof. Ottavlani (Etiologia del grip- pe, Fano i858) ha addotto oUime ragioni per dichiarare cotesLa epidemia del i836 d'indole contagiosa: ed io volentieri mi so- scrivo al di lui rispettabile parere , al quale già era inclinato, come rilevasi da quelle mie parole della precedcute memoria alla pag. 12. Tuttavia dee darsi molto peso a quel fatto, che mentre l'affezione reumatico-catarrale vigeva in Roma, si appa- lesava in altre lontane città deiritalia; proprio essendo dei con- 134 Scienze foglio di Roma annunciava nel mese di aprile sopra 20000 malati nella capitale. Nell'ospitale di s. Spiri- lo il numero degli infermi era sopra i 600, maggio- re del doppio dell'anno scorso nell'istesso mese. In mezzo poi all'epidemia si osservarono parecchi casi di febbri intermittenti, in quelli specialmente che l'avevano sofferta nell'anno precedente: e coteste feb- bri partecipavano tutte del carattere del morbo do- minante, che e quanto dire erano tutte associate alla tosse ed ai dolori reumatici. Mi sovviene tra gli al- tri il caso di una donna, la quale recidivando nel- la periodica, da cui era stata visitata nella prima- vera dell'anno superiore, era trafitta negli accessi da dolore puntorio acerbissimo nel lato destro del pet- to, come appunto in una perniciosa pleuritica, che le impediva la respirazione ed il tossire, e non ce- dette che ai ripetuti salassi generali e locali ed alla estinzione della febbre mediante l'uso della chinina. tagi tcansitare da una regione all'altra col mezzo dei viaggiato- ri, e degli oggeUi di commercio, quandoché il morbo semplice- mente epidemico, dipendendo dalle condizioni atmosferiche di quel dato luogo, suole in esso rimaner .oircoscrilto. S, F, 135 Sperienze sull'azione del sublimato condotto dalle correnti galvaniche nelle malattie sifilitiche in- veterate e restie a ripetute cure mercuriali^ del cav. Francesco Rossi professore e preside del collegio di chirurgia ec. ec. Torino 1 838. Tipo- grafia Mussano e Bona in 8.° di pag. 20. Analisi della materia purulenta proveniente dalle cavità nasali di cavalli affetti da morva, con es' perienze di questa malattia nei cani, dello stesso autore. Tipografia id.^ anno id. in 4.° di pag. 18. I 1 chiar. autore dopo aver messo indarno a tortu- ra ogni mezzo per estinguere inveterati ed ostinati morbi sifilitici sotto diverse forme apparenti, inclu- sive i fondatamente congeniti, si volse, siccome ave- va da varii lustri praticato pel tifo petecchiale, ad adoperare l'elettrica influenza , mercè della quale attivata l'assopita vitalità della parte affetta, trasse poscia buon uso con lo stesso mezzo, aggiuntovi l'ap- propriato specifico, a distruggere l'ostinato celtico seme. Undici sono gli esperimenti in diversi tem- pi per esso felicemente condotti. Perciocché dopo aver ridestato, siccome si disse, il vitale assopimen- to colla semplice elettricità , formò una pila di 50 coppie ( che talora din^inui a seconda dell'eia e dei temperamento ) colle pezze intermedie inzuppate nella soluzione di dento cloruro di mercurio » por- » tando l'azione composta del fluido galvanico me- » diante fili d'oro sulle ulceri durante tre ore con- » secutive, medicando le medesime con filaciche in- 136 Scienze » zuppate nelle detta soluzione. La stessa galvanlz- » zazione ripetuta in chi sei , in chi otto , ed in chi » dodici volte, portò la guarigione, senzachè dei sin- » tomi di sifìlide siansi manifestati in appresso, » benché trascorsi più anni». Fermo quindi l'autore nell'idea che ciascun elemento trasmissibile sia un imponderabile, sebbene unito a materia ponderabi- le, pensa non istarvi mezzo più efficace che l'elettri- co per raggi ugnere e distruggere le menomissime imponderabili contagiose frazioni , siccome lo ha comprovato con gli esperimenti in discorso , appli- cando i suoi divisamenti ad ogni altro contagio ( in- clusive all'indiano cholèra ), ma con terapeutici ar- gomenti adattati alle diverse contagionì. Se non che a noi pare che finora pe'febbrili contagi non essen- do sventuratamente alcun specifico rimedio, infrut- tuosi quindi riescirebbero i proposti tentativi. Van-, no per altro in qualunque maniera praticati e molti- plicati eziandio; e moltissima è la lode che vuoisene dare all'illustre professor Rossi. Non minore interesse ispirano gli esperimenti del coMagio niorvico, riportati nel secondo opu- scolo sopra annunziato. Imperciocché l'autore, come abbiam detto, considera imponderabili i miasmi ed i contagi , i quali fannosi strada nel canal digestivo cogli alimenti e la saliva, onde poscia col chilo me- scolansi nel sangue venoso , indi nell'arterioso. Ne discrede la loro introduzione anche pe'capillari cu- tanei, ritardandosi in tal caso la morbosa invasione. Dal che apertamente discende per l'autore la mani- festazione prima de'contagi apparire nel sangue ve- noso. Ma per venire all'obbietto da esso propostosi, raccolta una quantità di mocciolo dalle cavità nasali nei cavalli delle regie truppe affetti di morva (l'an- Speriei^ze sul Sublimato 13T tore è ancora chirurgo in capo de'regii eserciti sardi), e sottomessane una porzione alla chimica analisi, un' altra fu sottoposta all'elettrica influenza. A quest'ef- fetto disciolta la contagiosa materia in pura acqua , inzupparonsi con questa le pezze per comporre una pila voltaica di 50 coppie. Fu collocato indi l'appa- rato all'aria libera, facendolo però agire sull'eudio- metro contenente acqua distillata. Passate appena due ore, sviluppossi un odore cadaverico, che dopo le cinque ore aumentossi in modo che, stante le la- mentanze degl'inquilini, venne Tapparecchio dall'au- tore disfatto. Ma essendosi intricati i due conduttori di filo d'oro, onde districarli colle dita, ebbesi l'au- tore siffatta scossa da prostrarlo a terra, se non si fos- se poggiato al muro: pel quale scuotimento provò e- gli indicibile mancanza di forze nelle estremità infe- riori continuata per piìi dì. Fatto poi replicato e consimile confronto, ma con pezze semplicemente bagnate con soluzione di sai comune , non riportò incomodo di sorta. Il che ragionevolmente 1' autore ripete dalla mancanza del morvico deleterio elemen- to, che nella prima prova trasportato dal fluido elet- trico della pila nell'eudiometro, produssegli pel toc- co de'suddetti fili il notato sconcerto. La porzione sottomessa alla chimica analisi dal slg prof. Lavini presentava i caratteri fisici di un li- quore rossiccio sanguinolento, di una consistenza densa muccosa con insoffribile fetore. Co' diversi chimici reagenti non manifestossi sostanza acida, ne alcalina. Agitato poi col gas ossigeno, neppure [rav- vivossi quel color rosso, come suole avvenire col sangue annerito ; e messo ancora il liquido all' a- zione di altri chimici reattivi , non conobbesi se non r indole di un liquido animale alterato. Esa- 13S Scienze minati di poi i fluidi elastici che il liquido rac- chiudeva, ed agitati coll'acqua di calce, essa intqr- bidossi tantosto, d'onde la presenza certa del gas acido carbonico; ma il residuo gas, non ammonia- cale^ emanò odore talmente fetido^ che il suddetto chimico professore soffrì capogiri non lievi. Notati quindi gli stessi effetti coll'azione della pila di /^o/- /rt, coiiferniasi il Rossi pel principio morvico di- struttivo della vitalità. Una porzione del suddetto liquido fu sottoposta all'azione del fuoco a 110 gra- dì dì teniperatura: l'odore fu spesso ributtante, per- chè coi fluidi elastici per quei gradi di tempe- ratura volatillzzossi anche porzipne del contagioso elemento, Un'altra porzione di detto liquido cl^e aveva subito 1' analisi chimica , messa all' azione della pila, non ha dato ammoniaca : sibbene sX-n l'interna parete deireu4ioiia(etro si raccolse una so- stanza che vi era molto aderente, di color nero lucente, distaccata mediante un vetro coli' acqua pura: e ridotta la detta sostanza in polvere, non si sciolse cogli acidi i più potenti. Posta indi in un cucchiaio di platina, e fatta reagire colla fiani- ma alkoolica, bruciossi a guisa di carbone, ma di difficile incinerazione. Il qual fatto, a seconda del- l'autore, va studiato per trarne un giudizioso risul- tato. D'altronde il I^ossi riandando i cappgiri sof- ferti dal chin^ico professoi:e, e la mancanza di niu- scolarl forze per esso più dì provata, opina l'an- tica sua ipotesi, che possa ciqè stanziarvi il cia- nogeno, che unito all'idrQgeno costituisca V acido idro-cianico, da ritenersi qual causa della morva-. riportando a tal uopo la mortalità di persone che mangiarono le carni di animali affetti da questo morbo. S'PERIENZE SUL SUBLIMATO 139 Passando quindi agli esperimenti della materia morvica de'cani , avverte che raccoltane piccioli quantità diluta in due libre di acqua pura da servi- re di bevanda ad un cane sano di anni tre, valse ella a farlo morire dello stesso male dopo 27 giorni: e moltiplicando consimili esperimenti, ne derivarono i medesimi nccrologici risultamenti. Pel 4.^ espe- rimento voglionsi i*ipi*odurre le parole dell'autore: s» Nella stessa maniera ho tentato di comu- » nicare la mot'và a due altri cani, la cui età era » di 10 anni a 12, i quali quando avevano bi- » sogno di bere, bevevano dell'acqua in cui era 1 » stato sciolto del moccio preso ad un dei cani ; » alloi*chè era prossimo a morire: nello stesso tem- 1 » pò due volte al giorno li chiudevo per un 4." ' » d'ora in un gabinetto, in cui era aperto un po- :, » tente pUrificatore analogo a quello di Karmical » Smithi cioè emanante gas nitro-muriatico ossi- ^ » genato, e né air uno né air altro sì minifestò la ! » morva. » I L'autoi*e torna di nuovo sulle organiche so- 1 stanze, quali elementi che pel concorso di un con- ti tagio costituiscono il micidiale prodotto ( acido lì idrocianico ). Ripete perciò i vantaggi del cloro }j come disidrogenatore del sangue venoso. Che se ) taluno portasse avviso che la combinazione in di- i| scorso provenisse per combinazione chimica de- terminata dalTelettrìco, fa riflettere che l'elemen- i to comunicabile risiede nel sangue venoso, narran- } do il fatto di un macellaio morto per aver man- j| giate le carni d'animali afifetti di morva, ed es- i sendogli state applicate le sanguisughe, furon to- sto morte, e morte del pari altre sanguisughe che I succhiarono il sangue delle prime. Escludesi laon- 140 Scienze «le la chimica combinazione per releftrico stìppÉ^- sta. Riporta da ultimo il prof. Rossi molti esem- pli di classici autori, che rendettero nulla la de- leteria azione dell'acido idrocianico mercè del clo" ro e deW ammoniaca specialmente diluta^ Se noi non sapremmo mostrarci inchinevoli all'ipotesi dall*illuslre autore da lunga pezza pro- fessata deWacido prussico qual cagione de'contagiy dobbiamo encomiare altamente le sue operazioni. Facciamo quindi ardenti voti perchè esse vengan variate e moltiplicate, acciò la vera medica scien- za e l'umanità possano trarne reali vantaggi; ghiac- cile co'giornalieri cicaleggi, e cogl'incessanti fanta- stici ideamenti, la scienza, eia teorìa specialmente de'contagi, addentrerassi sempre più nel buio* A. a Elogio di Domenico Scinà, scritto da Ferdinando Malvica. Palermo 1838. u n elogio dello Scink, quale esso è , pìe^o di ncr-' bilissimi concetti, e come veramente conveniva che esso fosse onde farci conoscere tutti i pfegi di xm tanto sapiente; un tale elogio non può essere awicol- lo che con favore da chiunque tenga in onore il sa- pere, ed abbia a cuore la gloria del nome italiano. E da questo sentimento di carità delle cose patrie fu certamente penetrato il eh. A. , che intese ad ono- rare la memoria di lui e a far meglio conoscere ai Elogio di Scina' 1/it dotti le produzioni di quello stupendo ingegno, ta- lune delle quali sono ancora mal note , non perchè esse sieno manchevoli di quelle doti che rendono le opere desideratissime; ma per gl'impedimenti che ovunque incontrano le comunicazioni colla Sicilia, ove egli visse la sua vita, e che è pur parte del » bel paese dove il sì risuona ». ■ Domenico Scina , così l'A. incomincia il suo » elogio, fu uno di que'pochi cui la storia potrà » indicare al mondo come gli uomini , per mez- • zo della sola sapienza, possano vincere i pregiu- » dizi della società, e distruggere le ingiustizie del- » la fortuna; poiché, nato povero ed oscuro, giun- » se a tale che l'umana grandezza piìi superba e » piìi opulenta inchinavasi dinanzi a lui, e depone- »> va umile ogni prestigio del suo splendore. Que- » sto è il più bello dei trionfi dello ingegno sulla » forza e sul potere umano. » £ noi diremo es- sere questo uno de'piii be'frutti della civiltà del no- stro secolo; la quale, pesando meglio il valore delle cose , seppe porre in cima i pregi dello spirito a scapito di quelle idee assurde, che ereditammo dai tempi del feudalismo e della barbarle, che pur tro- vò un moderno lodatore, ma che la filosofia non tar- derà a farci dimenticare interamente. Nato lo Scina nel 1765, in quella età in cui le menti, segnatamente in Sicilia, eransi date alle cose astratte della filosofia del Leibnizio e del Volfio , aiutato dai consigli del Gregorio, che fu suo precetto- re e che pose in mano di lui Ìl libro dell'Hume sub l'intendimento umano, si rivolse egli ben tosto alle scienze di osservazione, nelle quali divenne eccellen- te , sebbene quasi niun soccorso avesse egli di libri e di macchine; essendone allora quell'isola ^oco me- 142 Scienze no che affatto manchevole. Non tardò lo Scinsi ad aggiungere col suo ingegno le più sublimi dottrine della fisica; ma non per tanto si guardò egli, e que- sto fu certo il frutto del suo senno, dal puljblicare quegli scritti precoci, di cui spesso le menti meno sublimi di quella sua hanno poi a pentirsi. Per lo che , sebbene l'A. lo faccia conoscere geloso ed amantissimo di gloria, conviene pur credere che e- gli amasse questa gloria per meritarla , poco o nul- la curandosi poi di ottenerla. Di che si ha pure un argomento in ciò ch'egli si astenne dall'inviare le opere sue alle accademie, ai dotti, e da tutto quanto possa menare a celebrità. Solo nell' anno 1803 , giunto quasi all'età di 40 anni, comparve al pubbli- co la sua introduzione alla fisica. Di questo suo li- bro distesamente parla l'A. encomiandolo; del quale però stimiamo noi miglior consiglio ricordare sol- tanto il titolo, come cosa a tutti nota, e da tutti ap- plaudita, e della quale i cultori delle scienze del pa- ri e delle lettere ebbero a maravigliare. Questo sol- tanto si vuole aggiungere alle cose dette da lui in- intorno a questo libro: che in esso si vede quanto bene si fossero impresse nella mente del fisico pa- lermitano le profonde concezioni dell'Hume ; e di- remo ancora che esso costituisce un valido argomen- to a provare quanto utili, quanto necessarie sieno le discipline ideologiche a chiunque si dia allo studio della natura. Tenne dietro alla pubblicazione di questo libro quella della sua fisica generale , e po- scia della fisica particolare; opera anch'essa abba- stanza conosciuta ed applaudita, si che fu ristampa- ta fra noi e proposta per l'istruzione della gioventù italiana. E di questa, che il Malvica giustamente lo- da sopra tutto pel bello ordinamento de'fatti, e del- Elogio di Scina' fi 43 le altre opere sue, da egli una brevissima analisi. Così egli ci fa conoscere come a lui siamo debitori se noi meglio conosciamo quanto fece il Maurolico traducendo ed illustrando Euclide, Menelao, Teo- dosio, Sereno, Apollonio, ed in particolare Archi- mede ; se piìi giuste idee ci siamo formati del- le dottrine di Empedocle , in vero luminosamente esposte nelle sue memorie sulla vita e sulle opere di questo filosofo; opera sommamente in pregio pres- so i fisici del pari e gli eruditi; se molte e mol- te cose intorno ad Archimede siensi chiarite , e quindi maggior maraviglia abbiano poscia destato le opere del filosofo siracusano, e quanto potè con- cepire quella mente sublimissima; perchè in tut- ti maggior desiderio si accese de'suoi libri. Pren- dendo lo Scinà a tradurre e ad illustrare quan- to ci rimane della gastronomia di Archestrato, egli ne fa conoscere la morale che si racchiude ne* versi di lui, il quale con quel suo poema non in- tese già a rinvenire nuovi modi onde soddisfare al gusto de'ghiottoni , come era stato per lo in- nanzi a lui imputato; bensì a rendere i cibi più parchi, più semplici e più sani; con che egli be- nemeritava a un tempo e della igiene e della mo- rale pubblica. « Maurolico dunque, Empedocle, Archimede, Ar- « chestrato, dice il Malvica, sono da riputarsi la- « vori positivi ed eccellenti. L'amore per la virtù, « per la sapienza, per la patria è il sentimento più « costante che vi riluce, e con occulto segreto nelle « vie pili profonde dei cuori s'insinua e signoreg- « già. Lo Scina amava la Sicilia non colle parole e « colle vane e stolte declamazioni , ma cogli esempi « e coi £aUì : r amava illustrando le azioni ma- G.A.T.LXXV. 10 1*1^ Scienze « gnanlmc e generose del padri nostri t l'amava In « quel modo , con cui può amarsi ai nostri giorni « dalle anime più forti. Perciocché ogni secolo ha « un aspetto suo proprio, e vani non solo ma daft- « nosi saran tutti gli sforzi degli uomini per can- « giarlo. Le leggi della natura sono eterne ed im- « mutabili , ed i tempi corron lor via per loro « stessi. Ei si cangiano e ritornano, come tutta la « natura si cangia e si riproduce : ella crea per « distruggere , e distrugge per creare. Solo per- « tanto è da riflettere , che senza attendere il lento a corso dei tempi, ed i mali tremendi che accompa- « gnan l'esistenza de civili consorzi, potrebbonsi « menomare propagando i lumi e le sane dottrine, « promovendo i mutui insegnamenti in ogni classe « di cittadini , educando gì' ingegni , il popolo di- « rozzando, e procurando che la voce del perdono « e della grazia non giunga mai tarda. Così si af- « fratellano gli animi, s'istruiscono le nazioni e si « vincono : e mentre si migliorano i costumi, le « leggi più si rispettano, e gli uomini si rompou « meno nelle colpe, e non vi offron più quelle sce- « ne di orrore, che bruttan si spesso l'umana vita. « Quindi egli poco appresso soggiunge : « Lo Scina, « qual sapiente e qual saggio, sentiva la forza di « queste eterne verità, e vedeva in suo pensiero « che il miglior bene che far poteva alla patria era « quello d'illustrarla nel modo che sarebbe torna- « ta più acconcio alla generazione presente, e fosse « stalo più utile e più glorioso per essa ». Questo fu che , al dire dell'A., fé nascere in lui il pen- siero di scrivere la topografia di Palermo, da lui pubblicata nel 1818, e che poscia fu seguita dal suo Rapporto sulle ossa fossili di Mar Dolce e degli Elogio di Scits'a' 445^ altri contorni di Palermo: al che diede cagione il ritrovamento di un immenso deposito di ossa fossili a' pie del monte Griffone;; ciò che avvenne nell'an- no 1830. Se nella prima delle predette due opere sue lasciò egli alcuna cosa a desiderare, come egli stesso prevedeva, e come doveva di necessità acca- dere essendo egli il primo che poneva mano a sì difficile impresa ; nella quale, siccome tutti sanno, è forza considerare e illustrare tali e tanti particola- ri, anzi tanti rami del sapere , cioè tutto quanto si comprende nella meteorologia, nella geologia, nella scienza de'campi, nella storia delle acque, degl'in- setti^ degli uccelli, de'pesci ec, senza trascurare le altre produzioni di quel suolo; se in ciò, io dico, ci lasciò egli alcun che a desiderare; la qual cosa fu troppo ingiustamente a lui rimproverata ; nel suo Rapporto colse egli certamente nel segno, facendo conoscere, che che da taluni si opinasse in contra- rio, essere quelle ossa rinvenute nella caverna di Mar Dolce, la quale giace a due miglia dalla citta di Palermo, e a 937 canne dal mare, appartenenti ad ippopotami, ad elefanti, a cervi e ad altre raz- ze di animali o comuni od estinte, come appunto le giudicava poscia il Guvier ; nella quale sentenza univasi in seguito a lui il eh. Bivona. Per lo che prendendo essi ad istudiare un tale soggetto, si ven- ne viemmeglio a convalidare ciò che aveva già an- nunziato lo Scina nella sua topografia : cioè che la pianura di Palermo è un deposito del mare; notando egli i nicchi marini ed altri fossili , ed avvertendo alla loro disposizione in letti regolari posti alla me- desima altezza ne'diversi punti di quella plaga. E qui giova il dire che il Bivona seppe trovare irre- fragabili argomenti a prò di una tale sentenza allor- 'K'715 S e i E N Z E che, scavando egli in vari punti il terreno, e vla^ venendo ovunque frammenti di ossa fossili simili a quelli della caverna predetta, chiari ciò che già e-' rasi annunziato dall'altro t cioè che tutta la costa che è a livello di quella di Mar Dolce, non che quel- la dell'opposto Billiemi, consta di depositi marini. La storia de'progressi dello spirito umano in quell'isola si fu pure soggetto degli studi dello Sci- nà ; e il suo Prospetto della storia letteraria del secolo XFIII , e la storia letteraria greco-sicula # nella quale egli prese ad illustrare i progressi del sapere fra i siciliani ne'secoli anteriori , rimontan- do fino ai pili remoli e tenebrosi , sono opere di molto encomiate dall' A. Loda egli la prima per l'ordine delle cose, sì che egli ci fa ravvisare il seco- lo scorso distinto in tre periodi : il primo di errori e oscurantismo: il secondo di desideri di progres- so , in cui si conoscono gli errori, si fanno sforzi per vincerli , nasce una lotta di passioni e di opi- nioni, si perde e sì guadagna, ed intanto si prepa- rano gli spiriti ad una scientifica e letteraria rigene- razione ; il terzo più felice vede abbattersi il peri- pato, studiarsi le scienze per l'esperienza , ripren- dere le lettere il loro aspetto nobile e gentile. E commenda pure il Malvica quest'opera perchè in essa, anzi che trovarsi un'arida biografia e biblio- grafia, seppe l'A. farci conoscere il carattere mora- le, civile e intellettuale di quel secolo, mostrando a un tempo le relazioni fra Io stato politico e quel- lo delle lettere. La più sana critica si nota, al dire dell'A., nel- la seconda delle dette opere dello Scina. Così sa egli con sommo criterio svolgere i fatti storici dai mito- logici ; così impugnandosi da lui l'opinione di mol- Elogio di Scina.' 147 ti, i quali vogliono che la civiltà siciliana si deb- La ai fenici , fa egli conoscere come la prima e vera epoca del sapere siciliano debba fissarsi dopo l'arrivo delle colonie elleniche. Quindi « il primo « periodo comprende 335 anni, dall' 11** olimpiade u in cui approdarono in Sicilia le colonie elleniche, « fino alla 78* olimpìade, nella quale Gerone ad « altissima gloria aveva innalzalo le siciliane con- « trade. In esso le scienze, le lettere e le arti han- « no principio e progrediscono. « De'sapienti, che fiorirono in quell'epoca, parla egli con stupendo giudizio, ponderando il loro valore. « In Sicilia, di- a ce l'A. dominava la dottrina pitagorica : pitago- « rici furono i filosofi del tempo di che si parla ; « si che l'autore d'Iceta, d'Ecfanto, di Petrone ra- « gionando, ne viene minutamente osservando tutto « il valore, ed in che Pitagora seguissero, in che « se ne fossero allontanati; e come varie dottrine « nate nella siciliana scuola, conforme quella p. e. « del moto della terra intorno al suo asse, passas- * sero nella vicina Magna Grecia, e divenissero col •« tempo dogmi della pitagorica filosofia. In som- • ma lo Scina illustra questo periodo della lettera- « tura greco-sicula con sommo giudizio e somma « erudizione; dimodoché tramanda alle genti, co- « me in quadro dipinto, la letteraria sapienza di « quella età «. La seconda epoca comprende soli 85 anni: cioè dalla 78.^ alla 109.^ olimpiade, in cui ven- ne cacciato il secondo Dionisio. Essa fu più gloriosa ,per quell'isola; e la storia che ne ritrasse lo Scina .sembra all'A. di gran lunga più bella ed importante della precedente. Con mano maestra egli discorre reloquenza, la drammatica, la medicina, la storia, Ift letteratura di quel periodo d'unni, analizzando 1/i8 Scienze le opere e le memorie che ci restano di coloro che si distinsero in ciascuna di tali discipline. « Lo sco^ « pò dell'autore è quello di mostrare, che la no- « stra bella Isola in questo periodo emulava la Gre-? M eia nelle arti belle, vincea la medesima Atene neU « lo studio della filosofia, la educava all'eloquenza, « accoglieva con ammirazione i grandi lavori del « greco teatro, e la greca tragedia arricchiva. « Do^ veva comprendere il terzo periodo gli anni che dal- la ristaurazione operata in Sicilia da Timoleonte giungeva fino alla caduta di Siracusa. Era questo lavoro pressoché al suo termine, allorché l'autore morendo lasciava di se altissimo desiderio, Altre opere di questo insigne scrittore vengorr no con onore ricordate dal Malvica. Memoria sui fili reflui o vortici dello stretto di Messina, pubbli- cata nell'anno 1811: Due lettere a Grano sull'eruzio- ne dell'Etna avvenuta in quell'anno stesso: Due let- tere al Piaz/ji intorno a Girolamo Settimo, matema-s ticp ( 1814 ): Rapporto del viaggio alle Madonie in occasione de'tremuoti colà accaduti (1819); Il rag- guaglio sul nuovo vulcano sorto nel 1831 nel mar« di Sciacca; Gli articoli sulla versione dell^ poetica d'Aristotile fatta dall'IIaus; La prefazione ai discorsi del Gregorio sulla Sicilia ; I rapporti sui bagui mi- nerali di Termini Imerese; L'articolo intorno agli esperimenti suU'elettro-magnetismo fatti dal Nobili e dall'Antinori, Volendosi pur fare alcun molto sulle qualità morali dello Scinh, diremo come il Malvica ce lo dipinge sobrio, benefico verso i suoi e parco verso di se. « Poco diletto, dic'egli, prendeva dalle ri- « creazioni dello spirito e del corpo, passò sua vita « immerso nelle contemplazioni della natura , .a Elogio di Scina* i49 « nelle concezioni delle sue opere. Si può dir di lui « quel che di Archimede egli stesso diceva, che al- ti tissime cose contemplando, era preso dalla dol- « cezza di queste ; e quanto più si estendeva nel « pensiero, tanto meno si affaccendava alla cura del « corpo ». Severo, restava in lui a desiderarsi quel- l'amabile indulgenza: perchè l'A. crede in ciò rav- visare tal quale analogia tra il carattere di lui e quello dell'Alfieri. La conversazione di lui era non pertanto assai piacevole; nelle letterarie contese, dice il Malvica, egli t' imponeva e t'agitava; parco lodatore, attaccava e fiero rispondeva. Fu lo Scina tra le vittime del morbo indiano , che lo rapi alle scienze il dì 13 di luglio dello scorso anno 1837. Sia lode ed onore a Pasquale Pa- cini, che solo fra'suoi beneficati procurava a lui le ultime curej sia lode ed onore al duca di Gumia, che in mezzo alle pubbliche sollecitudini ed alle do- mestiche sventure, non dimenticava T amico , cui provvedeva di tutto , e a lui inviava il Mina , uno de'pocliissimi medici che coPa mostrarono vera fi- lantropìa , e che con generoso affetto lo assistette, senza però poterlo campare da morte , siccome il suo cuore avrebbe voluto. Niun convoglio funereo lo accompagnava al sepolcro , non una pietra onora le sue ceneri; che tanto comandava quel tempo mi- serando ; ma restano di lui le opere sue; il pili durevole di ogni monumento. Chiuderemo quest'articolo coli' epìgrafe , con che il Malvica istesso, vivendo lui, volle onorare il suo concittadino. 150 Scienze A DOMEx\ICO SCINA' FISICO RIPVTATO. EMPEDOCLE MAVROLICO ARCHIMEDE EBBERO DAL LORO CONCITTADINO LE OPERE I FASTI IL NOME ILLVSTRATL ACCRESCI IL PATRIMONIO DELLE GLORIE SICILIANE OTTIMO INGEGNO 45t LETTERATURA pella volgare epigrafia^ discorso letto nel serba- toio di Arcadia nelV adunanza generale del 5 di fiorile 1 838 dal doti. Luigi Jiossi, Xntorno alla volgare epigrafia è mio divisamento , p accademici, discorrervi nella generale adunanza >li questo giorno: e d'un tal genere di letteratura, che dei nostri primi scrittori la mente interessa, (dirvi, come so, l'ufficio che ella ci presta, e le leg- gi a cui deve andar sottoposta. Che se molti chia- ri autori impresero prima di me a parlarne diffu- samente con quel sapere, e con quello studio che è necessario a tanto argomento; talché il mio discorso ^Itro non possa essere che, o un eco alle loro paro- le, o, dove mi punga il desiderio di nuove cose, una impresa superiore alle mie forze ; nulladimeno a fronte di ciò mi rinfranca, nò punto mi allontana dal mio proposito il pensiero dell'utilità del sogget- to, per cui giova anco il già detto alcuna volta tor- nare alla memoria, e questo luogo, dove non sola- mente si porta ciò, che è per ingegno e per istudio perfetto, ma quello parimenti che alla critica, ed a un pili dotto giudizio fidiamo dei nostri soci. Ed appunto dell'ufficio e delle leggi della volgare epi- grafia voglio parlarvi, perchè a parer mio colla co- fiqscefiza dell'unq e delle altre, si ascende alla co- 152 Letteratura no.scenza e all'esercizio eli una tal arte, della quale; meglio i più elevati ingegni ci hanno dettalo gli escuiplì, che darci la teoria ed i precetti: quasi igno- rando che ciò non bastava, come nella pittura noa basta ad apprendere il disegno ed il modo di colo- rire, il solo osservare ai quadri quantunque dei migliori artisti. Ma di questo difetto ha colpa , o quest'arte stessa , come alcuni pensano , sempi^ nuova, crescente, ne ancora arrivata al primo gra- do della sua perfezione, o la sua recente introdu- zione, perchè in essa sia avvenuto ciò, che accade quasi in tutte le produzioni dell'umano spirito, che vanno innanzi ai precetti ed alle regole. Sul che io non voglio disputare per la verità, contentandomi di osservare, tenendomi piuttosto alla seconda opi- nione, che molte iscrizioni leggianoo nel nostro idio- ma, le quali in noi producono gli eifetti, che son conformi a quelPufficio, e a quelle leggi della vol- gare epigrafia, che io ho immaginato, e che molte ve ne sono di essi affatto incapaci; in guisa che dal confronto delle une colle altre si possono agevolmen- te dedurre e regole e precetti. L'umano sentire dun- que, il nostro cuore è quello che da essere a questa letteratura, che molti stimano perigliosa, e che n'è il tipo a conoscere il suo ufficio e le sue leggi, co- me la figura del vero bello, unica ed eterna per le arti, dalla quale è d'uopo, che esse in nulla si al- lontanino, se vogliono ritornare iu onore e venera-» 2 ione. E parlandovi dell'utììcio, mi limiterò al sog'- getto, e non entrerò nella difficile quistione : per-» che la nostra lingua, che, dopo non molti anni di vita, perfezionata parlava in Dante col verso e coU la rima, e colla prosa in Boccaccio, si tacesse per Epigrafia italiana j53 l'epigrafia; che per rispondere a ciò credo necessa- rio mi troppo lungo discorso, e forse più di quello che ho pensato pel presente accademico tratteni- nìento. Ma siccome quando dell'ufficio ragionasi del- le scienze, delle arti, e delle lettere, è utilissimo il ragionarne incominciando dalla sua origine: il che si fa toccando, anco di volo, quella delle scienze, delle arti e delle lettere; così io alcun poco investi- gherò l'origine della volgare epigrafia. E qui dirò lehe se a varie e distinte epoche può richiamarsi l'e- pigrafia dei romani, che, come in ogni sapere, an- che in questa ci sono stati maestri; e può quasi sen- za Gontradizione asserirsi : che lo stile epigrafico Venne in costume dall'età loro più rimota, e risa- le più avanti assai alla colonna rostrata di Duillio, e ^i brani che a noi trapassarono delle dodici tavo- le ( ravvisandosi apertamente nel codice papinia- neo, cioè in una scrittura del tempo di Tarquinio il tiranno, le condizioni più importanti di esso stile) le che più convenuta e circoscritta fu la forma, e la ragione della lapidaria ai giorni di Augusto (1) ; nuUadimeno altrettanto mi sembra non possa dirsi della nostra, la cui introduzione tengo recente re- centissima, sebbene alcuni suoi semi in molti io vegga, non moderni scrittori, e perfino nello stesso primo poeta. E ninno infatto mi negherà che ab- l>iano un colore di epigrafia quelle parole, che egli leggeva al sommo di una porta del regno dei con- (daunati : Per me si va nella città dolente ; Per me si va neireterno dolore; Per me si va tra la perduta gente; 154 Letteratura Giustizia mosse '1 mio alto fattore, Fecemi la divina potcstate, La somma sapienza e '1 primo amoro» Dinanzi a me non fur cose create Se non eterne, ed io eterno duro: Lasciate ogni speranza voi che 'ntrate; e così molte altre di quella divina commedia, deU le quali ho voluto dare un esempio per ricordarle. Come pure quelle del novelliere Franco Sacchet- ti, le quali per altro non valgono a muovermi dal^ la mia opinione , cioè che la volgare epigrafia sia piuttosto dei tempi moderni , non essendo allora per tutti quei fini , ed in quella forma che oggi conosciamo, maneggiata , ne così coltivata da po- terle dar luogo, a lei proprio, nelle lettere , ed a considerarla anzi parte di esse importantissima, « Era allora costume , dice il Ginguené, di scol- pire sui pubblici monumenti, nelle sale di consiglio del governo ( in Firenze ), in quelle dei tribunali, sulle porte dei diversi uffìzi, iscrizioni in versi nel- la lingua nazionale, e sovente si volsero al giovane Sacchetti per colali iscrizioni , nelle quali volea&i sempre che la poesia e la morale dettassero am- maestramenti di liberta. Vennero conservati parec- chi sonetti da lui fatti in quelle occasioni, ne'quali la morale è per lo più migliore della poesia. La semplicità delle idee e dello stile è in essi un me- rito, destinati, come sono, a dover venire compresi e tenuti a memoria dal popolo, Gli si dimandò un* iscrizione piìi breve da porsi sulla corona del leo- ne, collocato sopra una specie di tribuna per arrin- gare nella facciata del palazzo dei priori, ed egli fé- Epigrafia italiana 15S ce il seguente distico, notabile per la sua semplicità e gravità) nel quale fa parlare il leone : Cofona porto per la patria degna, Acciò che liberta ciascun mantegna (2). « 3E passando ad altre più vicine a noi, per accostar- ci quindi ad una più decisa dizione epigrafica, tro- vo le tre di Sperone Speroni degli Alvarotti, delle celiali le prime due, che sono della classe delle ono- rarie, in Gonselve, e l'altra che è della classe degli epitaffi nel duomo di Padova, e di cui hanno par- lato il Salomone e il Tommasini. In queste però in- vano cerchi semplicith, e parsimonia conveniente al dettato epigrafico; che sono invece pompose, larghe di periodi, e abbondanti di epiteti, ne immagine, ne ombra delle quattro, che per celebrare Tingres- so in Padova dell'imperatrice Maria compose in lin- gua latina (3)» Ma a che io vado mendicando esempi di volga- re epigrafia, e tardo ad asserire fermamente quanto poco innanzi diceva : cioè che l'introduzione della medesima è dei tempi moderni, se n'è dovuto l'ono- re ad alcuni italiani ingegni, che quai lumi splen- didissimi di quel sapere, che ci rimane, sono soste- gno delle lettere, ed ornamento del bel paese ? Al principiare di questo secolo ebber vita le prime ita- liane iscrizioni che sciolte da una servile imitazione delle latine, e tutte informate dell'impronta vera dell'idioma nostro, occupano, muovono e ritengono fortemente gli animi di chi le ascolta (4). A queste ne successero alcune altre di varii autori quasi tutti viventi, i quali le bellezze crebbero di questa nuo- va arte, ma che non so, e il deciderlo sarebbe cosa 156 Letteratura di altri ingegni e di altri studi, se a coloro che fu^ reno i primi sìen giunti a toglier la palma di mi- gliori epigrafisti. Quello che per altro stimo certo si è , che a tutti quelli devesi la civiltà dell'ufficio della volgare epigrafia: che dico civile perchè que- sta, come le lettere, intende a recare una qualche utilità morale, senza di cui, come altri scrisse, e prose e versi sono frasche inutili e noiose. Ed in ve- ro che, o si parli delle iscrizioni sacre, o delle ono- rarie, o degli epitaffi, o delle iscrizioni storiche, o degli elogi, o delle iscrizioni temporarie (nelle quai- li classi per ordine di materia sono state ras- segnate le italiane iscrizioni da un peritissimo di epigrafia (5), quasi alla foggia di quelle latine fat- ta dal Maffei (6), ed in parte corretta dal Mor- celli, che vi pose quella degli elogi) (7), a tutte pos- siamo dare col fine generale che hanno d'istruire di una qualche cosa chi legge od ascolta , un ufficio più o meno civile, secondochè maggiore o minore è l'utilità morale che ci recano. E qui mi tacerò di buon grado (che poco per ciò sarebbe il mio dire) sull'ufficio delle iscrizioni sacre, e delle iscrizioni temporarie (nella qual classe si collocano quasi solo le sacre , di cui usa la chiesa per chiamare alle sue funzioni le genti, e che non sono dedicate a conti- nua e perpetua memoria): imperocché è il massi- mo civile ufficio, ed anzi il primo, manifestare al- trui cose pertinenti alla nostra augusta religione: il che senza piìi lungamente discorrere da ognuno facilmente s' intende. E venendo invece alle iscri- zioni onorarie osserverò , che ove in esse il giudizio libero e sicuro della fama si scriva , e non sien compre, ne comandate , portano grande utilità alla civil comunanza , e per esse fra' cittadini, che non Epigrafia italiana 157 son sortii ai sentimenti dell'onore , si avviva quella Jesidcrabil passione , remulazione , che clil più e chi meno avvicina alla virtù , e che tutti strappa dal vizio. Sieno però motivo di un tale scrivere fatti egregi , nobili azioni ^ ne si cerchi con esso ono- rare, ma chi è onorato mantenere eterno neironore e nella memoria dei posteri. E qui intendo, parlerò francamente, ftir mi riprenditore di coloro che mossi da eccessivo amore pel loro concittadini , così ce- lebrarono quelli , che se erano lodevoli, non erano però degni di onorarie iscrizioni. Quindi V istitu- zione di un'accademia, i cui soci fossero vólti e tutti intenti allo studio epigrafico, utilissima sarelibe ia bene regolare l'uso delle iscrizioni, proporzionando- lo al merito di coloro che si prendono ad onorare: che sebbene introdotta, e bastantemente a mio cre- dere perfezionata una tal letteratura , altro è il possedere una cosa, altro il bene usarne: il che vale al dire che non bisogna accomodare la dottrina aarli uomini f ma gli uomini alla dottrina. Per tal modo cesserebbe il bisogno di un tribunale, che solo a chi si debbono decretasse iscrizioni : e quanto per tal commercio non si diminuirebbero le difficolta , e si moltiplicherebbe il frutto ! Che se poi difficile riesce il riunire quasi come in un sol punto le vo- lontà di molti ; apprenderemo col tempo ma tardi quanto sia vero: che l'onore di molti non è l'onore di alcuno : e vedremo fraudato il vero merito anco di questo premio. E perchè cosi più facilmente si onora sebbene in egual modo , che colla poesia , colla pittura , e colla statua , che in fatti abbiam più epigrafisti che poeti , di pochi si appendono nelle accademie e altrove i ritratti , e quasi a nes- suno per nostra sventura salvochè per ricchezze, 458 Letteratura e per superbia, e solo al tempo che le distrugge, s' innalzai! le statue; dovremo essere più cauti e più avari nel concederle , riflettendo che gli uomini vo- lentieri spendono quello , che loro meno costa di fatica e sudore , e che in proporzione dell'una , e dell'altro danno a tutte cose il prezzo morale. Ne per più convincervi vi leggerò le iscrizioni ono- rarie dei greci e dei romani , e di questi, quando vergognando di porre nulla al riguardo di tutti, che non fosse degno della civiltà e nobilita romana , sempre più accendevansi di alti spiriti e di rive- renza alla loro maestà, per tacere poi le adulazio- ni nelle lodi dei Neroni e dei Domiziani ; mentre basta il gih detto , e quanto sapessi aggiungere non sarebbe altro che il superfluo, o al più l'ornamento del discorso. E per ultimo osserverò , terminando per le iscrizioni onorarie , che necessario sarebbe che queste, come tutte le altre, fossero collocate nei pul)blici luoghi stabili e permanenti, se non vo- gliamo che i futuri abbiano a lamentare , che siasi dato ai tipi ed alla carta , ciò che dovevasi allo scarpello ed alla pietra. Vengono dopo le onorarie iscrizioni gli epitafìl, cioè quelle iscrizioni , con cui si parla col dolore che ci lasciarono i trapassati , e delle quali pure grandemente civile è l'uflicio che elle prestano alla vita sociale. Non fra la letizia e il piacere si am- mollisce la durezza del cuore , e piuttosto in mezzo la tristezza e il dolore gli uomini son mossi dai sentimenti della virtù , e non volendo abbandonano il vizio. E se in noi, ove sia sincero , ha tal potere l'altrui pianto , che noi all'altrui pianto piangiamo, e quelli affetti allora non fuggevolmente risuonano nell'anima nostra, ed inteneriscono ed aprono i no- Epigrafia italiana 459 stri petti; quanto mai non saranno utili gli epitaffi, ove il dolore sia in essi espresso non dalla parola ma dal cuore! » Per grande che sia, diceva il celebre Saint-Pierre, il piacere che io mi abbia nei miei viag- gi a vedere una statua, od un monumento, sempre mi reca nell'anima un piacere assai maggiore il leg- gere un' iscrizione ben fatta. Allora mi sembra che una voce umana emerga da quel sasso , e risuoni a traverso de'secoli, e dirigendosi all'uomo fra i deser- ti gli dica: che egli non è solo, e che altri uomini in quei medesimi luoghi sentirono , pensarono e soffersero al pari di esso (8)«. Quindi non vi si legga o il solo vale dei romani, o le disperazioni di Saffo, ma vi si parli colla lingua vera ed espressiva di quell'anima malinconica di Ugo Foscolo, quando alle reliquie degli estinti e del suo Parini chiedeva i sepolcri. Quel caro dolore allora si rinnoverà con- tinuamente: e da noi, che per un'interna forza slam tratti a visitare le tombe, quando corriamo ad ap- prendere dove cessa l'orgoglio degli uomini, e di dove comincia la vera vita, avranno i trapassati un cotidiano tributo nella memoria e nelle la- grime: il che se loro non giova, è per altro uti- lissimo a noi. Le quali idee tutte sono state espresse in questi versi del Purgatorio: Come, perchè di lor memoria fia, Sovr' a' sepolti le tombe terragne Portan segnato quel ch'elli eran pria: Onde lì molte volte si rlpiagne Per la puntura della rimembranza Che solo a'pii da delle caicagne (9). Civile dunque e quasi come quello delle onorarie G. A. T. LXXV. 1 1 460 Letteratura iscrizioni è rulficìo degli epitaflì, e questa tenera cor- rispondenza dei vivi coi morti, che ebbe principio Dal di che nozze tribunali ed are Diero all'umane belve esser pietose Di se stessi e d'altrui , sarà desiderata e praticata in quelle società, che progredendo nella civiltà, non risparmiano alcuna voce che parla al cuore , e col muoverli dolce- mente, vincon gli affetti e le umane passioni, per esser più tardi^ che è possibile, rigorose e crudeli. Per terminare quanto all'ufficio della volgare epigrafia, debbo discorrervi delle iscrizioni stori- che: mentre è mio divisamento tacermi degli elogi, bastando per essi, pel mìo proposito , le osserva- zioni che ho fatto intorno alle iscrizioni onorarie. La storia, quella potentissima voce de'fempi, che il passato con pittura parlante ci presenta^ e nella vo- lubilità delle leggi, delle opinioni, e dei governi ve- race e severa nei suoi giudizi ci narra le discordie civili, le guerre cittadine e fra nazione e nazione, le vìrtìi degli ottimi reggimenti, e gli orrori dei tiranni,e sempre, o unici, o pochi,quelli avvenimen- ti che degni sieno della continua nostra memoria, e che o di coraggio, o di magnanimità, o di amor di patria ci porgono esempio; se qualche volta, che qual- che volta gli uomini ubbidiscono alla lor natui^a no- bile e grande, un fiJtto ci narri, che vaglia a molti- plicare il vivere virtuoso, nemmeno un momento in- dugieremo a concederle una particolare iscrizione; onde a chi legge le storie sovente nella memoria lo rinnovi, e chi d'ogni lettura storica è privo l'appren- da. E così queste iscrizioni storiche apporteranno Epigrafia itAUANA 46-1 titt uflicid pili che civile t il qual vero ci si farli più evidente^ quando cogli ocelli propri vedremo quei fatti in taluno riprodotti^ o almeno in molti un desiderio e unai passione a riprodurli. Avremo in tal modo le iscrizioni storiche dei fasitii ma an- co le opere pubbliche e le private Sort soggetto delle iscrizioni storichci e per mio sentire e le une e le altre hanno un ulHcio pìii o meno civile. E se in fatti osservasi a quelle per opere pubbliche^ cioè per opere che dai regnanti si fanno a benefizio ed utilità dei loro sudditi^ o da questi a benefizio ed utilità dei loro concittadini , esse un interesse nei sudditi a prò dei loro governi, e oltre un deside- rio ad imitarli un amore nei cittadini a prò dei lo- ro concittadini operatori ingenereranno certamente, e quindi per quello si assoderanno vie maggiormen- te le basi del potere, e per questo sempre piìi si stringeranno quei vincoli, che uniscono , e tengon forte le membra del corpo sociale* Quel tutte appa- lesare mediante iscrizioni le sue opere un superio- re ai suoi sottoposti, quasi come pel loro consenso e pe'loro voti eseguite, e quel dedicarsi da un cit- tadino a vantaggio degli altri concittadini le opere da lui fatte di proprio, parla talmente al cuore di tutti, che non è mestieri, che altro aggiunga a di- mostrarvi qual civile uflicio avremmo dalle mede- sime. Ma delle iscrizioni storiche, che si fanno per opere private, civile pure in qualche modo stimo Tufiicio. Ne qui intendo parlare di quelle che dai privati per ambizione si pongono alle opere da lo- to a sé fatte, ove e parole, e ritratti, e statua sono bello ornamento di architettura, non memoria di Uomini; ma di quelle che nelle opere che noi fac- ciamo suggerisce o 1' amor delle lettere , o delle 162 Letteratura scienze, o Jelle arti, e sempre una nobile e virtuosa passione. Quindi nemmeno può dubitarsi , per ta- cermi di alcune altre, della civiltà dell'ufficio dell' iscrizione da Carlotta Lanzoni posta in Certaldo nella camera abitata dal Boccaccio , ne di quella che leggi in Ferrara nella casa che edificò ed abitò e dove scrisse l'Ariosto. Il dare loro ricordanza dopo morte anco nelle mura, che essi abitarono, è pre-? mio ai grandi ingegni, da chi resta sentito, e però ufficio civile: e chi per avventura legga quelle iscri- zioni, da quai sentimenti non si sentirà egli com-r mosso, pensando, che ivi furono scritte quelle car-r te, le quali forse nemmeno ai secoli, che verranno, sarà dato di superare ! Conosciuto pertanto l'ufficio della volgare epi-^ grafia, mi resta ora a dirvi delle leggi che debbonsi in essa osservare , e che io divido in cjuelle essen- ziali all'ufficio, e in quelle riguardanti piuttosto la forma delle medesime. Ed è appunto legge essen- ziale all'ufficio che le iscrizioni sieno in quella lin- gua, che si parla nel luogo ove esse si collocano, cioè in lingua nazionale, come in lingua nazionale com- posero le loro epigrafi i greci, i romani, gli egizi, i caldei. E se pei latini quistionasi se essi faces- sero uso d'iscrizioni greche (10) : quantunque una tal quistione dovesse terminare, tenendoci all'afifer- mativa ; nulladimeno ciò non varrebbe a farmi can- giar di opinione, niente stimando esser più contra- rio alla ragione di quello che, ove vuoisi ottenere un fine universale (l'ufficio dell'epigrafia), usar mezzi no- ti soltanto a pochissimi, parlare con una lingua mor- ta (II). E se noi siam parte di una civil comunan- za, che ha diritto d'intendere subitamente le cose. Epigrafia italiana 463 che a lei si parlano , perchè frauderemo di esse gl'ignoranti, che poveri di sapienza e di civiltà ne hanno piìi bisogno, non manifestando i nostri sen- timenti in una lingua conforme alla loro intelligen- za? E di pili io tengo ciò per fermissimo, pensando che mute ed insensibili sono oggi alla maggior par- te dei cittadini le iscrizioni dei latini, e che sareb- bero moltiplicate da quelle che si scrivessero, come alcuni pensano, in quella lingua. Oh potessero pure quei latini vocaboli, ad onta del tempo che più di tutto ha diritto su noi, che tutto traveste, che tutto cangia, ceder luogo ai volgari! Qual vantaggio, qual frutto non recherebbero allora quei marmi che di molti invogliano piìi gli occhi che il cuore ! JNè qui e strana fantasia dei moderni; e se un amatore del- le latine lettere, quasi per rimproverarci di ciò, poco fa ci diceva : che la lingua latina è d'Italia, siccome la nostra ; risponderò che molte cose erano d'Italia, le quali piìi non son sue, perchè uscite dal suo dominio, e che in esse entra pure la lingua del Lazio, consistendo il dominio di una lingua propria- mente nel servizio, che ella ci presta allorquando è parlata. Ne però meno nelle latine lettere, da cui ima rea trascuraggine vergognosamente ci allontana, e a desiderarsi cultura ed esercizio , ne solo per mantenerle nella ragione che hanno alla riverenza e gratitudine nostra. E piìi dirò a confusione di coloro che accusano l'italica favella (lingua viva e ricca di voci, di cui ha difetto la latina ad esprimere schiet- tamente tutti i progressi nelle scienze e nelle arti principalmente, e quei nomi, titoli, onoranze ed in- carichi a noi portati dai settentrionali, e dal reggi- mento feudale del medio evo ) , che volendo fare iscrizioni in questa lingua, in cui per non ardire bi- 164 I/etteratuha soj^na esser servili, è mestieri usare circumiocuzio- ni, e dare più parole ad un'idea, per cui viene in essa a mancare c|ueirenergia e quella forza che è una delle prime doti di questa linj^ua, ^ ciò è regola generale, che non è senza eccezion ne: imperocché non condannerò anche ai giorni no-» stri un qualche uso di epigrafìa latina, quando es- sa si ponga per l'intelligenza di certo numero di persone , che non povere di sapienza e di civiltà non saranno fraudate da quelle parole (12). Le qua- li cose da lutti sicuramente sentite le vedi pure ese- guite in gran parte, Ne più abbiamo a far conto dei rimproveri dei dotti di ogni nazione che scor- rono la penisola, e per cui taluno, onde agevolmen- te si erudissero dei fasti italici, voleva che si fa- cessero iscrizioni in lingua latina; che gli stranieri pure, e saviamente, le fanno nel loro volgare; evi son note, oggimai per tacermi di altri popoli, quel» ie degl' inglesi , che nel loro s. Paolo nel proprio idioma posero sui sepolcri dei sommi concittadini, pei quali fu alzato a cielo il nome britannico; quel- la dei francesi che presa Alessandria scolpirono nel loro volgare sulla colonna di Pompeo, in che mag- giormente si eterna il loro trionfo , e quelle det- tate nell'esequie del generale Hoche vincitore del- l'Olanda; e per ultimo in questa citta (ove con al- cuni templi numeri alcune nazioni, che quei tem- pli riguardano come cosa loro, ed in essi usano più volentieri che in altro), quelle nella chiesa di s. Lui- gi dei francesi, tra le quali una leggiadra ed affet* tnosa del visconte di Chateaubriand, a cui, come al- tri dice, parve sconcezza l'adoperare una lingua mor- ta e d'altrui, narrando i fatti e le sventure della viva patria. E lasciando gli strani e venendo a noi, 165 già molte citta delle prime ci danno esempli di quel costume da poco introdotto: e quanto non mi sentii io commosso allorché nel nostro volgare nel- la chiesa di santa Croce in Firenze lessi le lodi di quei valorosi italiani, e sentii le lagrime di pietà e di amore sparse per qualche trapassato ! E nel vostro cimlterio, o romani, il pianto che avete spar- so per le vittime di quel morbo, che tanto ha deso- lato anco la città regina dell'universo ! Un'altra legge essenziale all' ufficio della vol- gare epigrafia è la chiarezza, la quale quanto alle idee che vi si esprimono procede dal non esservi bi- sogno di commento o di altra istruzione per essere intelligibile a tutti; e quanto alle parole, secondo il Costa, dalla loro qualità e dalla loro collocazione(13). E delle parole tenendo alcun poco discorso : do- vranno esser bene determinate, cioè appropriate a ciascuna idea singolare, per modo che non possano a verun'altra appartenere : la qual proprietà tanto pili è necessaria, quanto che si esprimono in essa idee intellettuali e morali. Quindi si fuggano le noiose circumlocuzioni, ne si abusi dei sinonimi, ne si ado- perino parole antiquate, cioè quelle che pel consen- so universale degli scrittori sono state abolite, come pure tutte le parole dei dialetti particolari, e le fo- restiere che dall'uso dei migliori scrittori non han- no avuto la cittadinanza. Le quali tutte non sareb- bono bene intese dall'intiera nazione, e perciò devo- no essere da chi desidera di scrivere chiaramente a tutto potere schivate. Si usi la purissima dizione del trecento piena di graziosa ed efficace proprietà, ma non si dimentichi il progresso di una lingua vi- va, per cui molte parole si rendono oggi inintelligi- bili affatto, o perchè andate in disuso, o perchè pas- 166 Letteratura sale ad altro significato ; ne ci allettino mal certi trasportamenti boccacceschi a rendere l'orazione ri- cercata e straordinaria. E sempre intorno alla chia- rezza aggiungerò, doversi parimenti schivare il par- lare troppo sentenzioso, ed anco l'uso di poche sen- tenze, quando di molto studio abbisognino per es- sere intese, ed anzi sieno a molti inintelligibili af- fatto. Così sark lieve il comprendere e il ritenere le iscrizioni: a che, oltre la loro chiarezza, giova la loro brevità. E qui intendo una brevità accomodata al sog- getto, e quella che procede, come la chiarezza, dalla scelta di parole proprie e determinate, schivando la moltitudine delle medesime ( che empie le orecchie di vario suono e lascia vuote le menti ), e dalla scel- ta di quelle cose, che nella volgare epigrafia pren- donsi a scrivere con ufficio civile. Però si narrino le più grandi virtù del cittadino nelle iscrizioni onora- rie, e negli elogi: si esprima il dolore negli epitaffi: e nelle iscrizioni storiche si esponga quell' avveni- mento degno della ricordanza continua ed etema de- gli uomini con quel dire , che è appunto necessa- rio perchè sia inteso. Si ami la nobilissima greca semplicità; e siamo cauti nell'uso di ciò che serve piuttosto ad ornare il discorso: che questo potrebbe riuscire non solamente inutile, ma dannoso nelle i- scrizioni, perocché non s'istruisce cogli ornamenti, ma colla verità e colla forza del dire, e sempre piìi con essi si aggrava la memoria di chi legge od ascol- ta , con pregiudizio di ciò che vogliamo che in quella si serl>i sempre ugualmente e non peritu- ro. Con tal brevità si renderà il pensiero più lu- cido e più penetrante, ne si offenderà alla gravita dello stile tanto necessaria per l'epigrafia: concios- Epigrafia italiana. 107 siachè, al dir di Boileau ,, La pompa e la moltitudi- ne delle parole non aggiunge forza ad esse, e non son proprie dello stile grave, che è lo stile vero del- le iscrizioni „ (14). E passando dopo ciò alle leggi che riguarda- no la forma della volgare epigrafia, senza entrare nella quistione: se essa alla poesia, od alla prosa ap- partenga ( che io stimo appartenga a quest'ultima, prestandosi a questa maniera di elocuzione la prosa come all'oratoria, all'epistola, alla didatica ), osser- verò che deve in certo modo dettarsi, che si disco- sti dal poetico ne sia all'atto il prosaico. Ma qual sarà questo modo non poetico ne prosaico ? Qui a parer mio consiste una delle maggiori difficolta di una tal arte, e di cui quasi tutti coloro che ne hanno parla- to o si tacciono, o chiaramente non ce la spiegano. Ne basta in fatti insegnare: che l'epigrafia non deh- be essere pedestre diceria, non oratoria, non poesia, non cronaca : deve somigliare a se stessa, lo inve- ce direi che il magistero di un orecchio, privilegio dalla sola natura donato, avvezzo al suono delle la- tine iscrizioni, che si studiasse al tutto seguire l'an- damento naturale e facile dell'italica favella, po- trebbe superare una tal difficolta, come nella poe- sia e nella prosa è tutto in quello riposto per es- sere vero poeta, e valente prosatore ; sendo nullo l'insegnare gli accenti e il suono dei versi, e po- chissimo, quanti membri, colle distinzioni meccani- che degli antichi, sieno necessari a un ben formato periodo di orazione. E cosi facendo, l'aiuterà mol- tissimo la nostra bellissima favella , ricca com' è di vocaboli diversi di suono, i quali giunti insie- me con bell'arte sogliono rendere, come sì vuole, l'armonia del parlare. E a te, uomo rozzo e di gros- 168 Letteratura se orecchie, che non comprendi, sarebbe a rispon- tlertl come Valerio Probo crucciato rispose a co- lui che lo interrogava: se fosse più elegante il dire: urbis o has iirbes, hanc tiirrein, o hanc turrim, e non intendeva: non doversi badare alle desinenze fuor di uso, ne alle rancide e viete grammatiche, ma doversi consultare l'orecchio, e ciò che esso di- ce essere ottimo ed eccellente; Cessa di sviscerarti il cervello^ se tu debba dir piuttosto urbis', impe- rocché essendo tu così fatto , per quanto veggio che puoi fallare senza tuo scapito , niente perde- rai comunque tu parli (15). Ne id poi loderei mai r immischiare nelle iscrizioni dei versi e delle ri- mo, o degli uni e delle altre servirsi a tutte com- porle, come più degli altri si dilettarono i greci, a cui la musa aveva concesso parlare ore rotundo: perocché sebbene la poesia non offenda alla gra- vita dello stile, nulladimeno essa non servirebbe che a moltiplicare le difficolta che si oppongono alla composizione epigrafica, e a far più tardi sentire a chi legge od ascolta la sua forza. Non tutte le parole che alla prosa convengono son poetiche, ne subitamente passano all'anima quando prima debbo- no col loro allettamento soddisfare all'orecchio (16). Riguarda pure piuttosto la forma delle iscri- zioni il sapere quale ortografia debba in esse aver luogo circa l'uso dei punti, degli accenti, e dell'^^ consonante invece dell'io vocale; e se debbano le cifre arabiche sostituirsi alle romane. Inutili qui- slioni suggerite da un pazzo amore dell' antico, e delle quali la futilità si comprende, riflettendo, che non vi è ragione ad usare una particolare ortogra- fia, e delle maniere a pochi sol note, in uno scri- vere, che, come diceva, per quanto è possibile, de- 169 ve conformarsi all' intelligenza di tutti, e dorè a quella chiarezza tanto necessaria non è certamen- te a pregiudicarsi per così poco (17). Dopo le quali cose porrò fine al mio ragiona- mento , raccomandando cultura ed esercizio dello studio epigrafico come un mezzo pur esso di per- fezionamento morale e di civiltà ; e così fatte le iscrizioni non saranno meschinità letterarie, ma var- ranno moltissimo anch'esse ad alimentare il desi- derio, e crescere la speranza, che quelle antiche virtù, per la cui memoria maggiormente nei pre- senti tempi dobbiam vergognarci, sieno per tornar finalmente in queste italiane terre, dove la natura Stessa armonizza colla bellezza del cielo. 170 NOTE (t) Terenzio Mamianì della dovere, Discoi^so che precede ad una scelta d' iscrizioni moderne. Pesaro 1829. (2) P. L. Ginguené, Storia della letteratura italiana, tra- dotta dal prof . Benedetto Perotti, cap. i']. Milano iSaS. (3) M. Sperone Speroni, Opere tom. V- Venezia i']^o. (4) E qui merita di essere ricordala anco quella del Pai- cani, non discordante dalla fama di questo scrittore accura- tissimo, la quale nel 1801 si leggeva nelle sale dell'istituto di Bologna; come pure le settanta del conte Gio. Battista Giovio comasco, da lui pubblicate nel 1802; quarantuna delle quali sono state ristampate dal Silvestri in Milano nel i824- Le iscri- zioni del Giovio per altro son tutte di una sola classe , cioè onorarie per ritratti di personaggi illustri militari delle pas- sate età. (5) Terenzio Mamiani della Rovere, Scelta d' iscrizioni mo- derne cit. (6) Maffei, Art. cr. l. 5 e. "2. pag. 179. (7) Morcelli, De stilo inscriptionum latinarum lib. i §. 2. (8) Saint - Pierre, Paul et Virginie. (9) Dante, Purgatorio canto XII. (io) Orioli, Discorso sulV epigrafia italiana. Bologna 182S per le stampe del Tassi. (il) I latini potrebbero essere scusati per aTcre osato la lingua greca, perchè non era ella ancora una lingua morta , ed avevano coi greci un continuo commercio. Ma come osservano anche coloro che tengono l'affermativa, l'uso della greca lingua nei latini non fu propriamente uso di epigrafia , ma ostenta- zione di letteratura. (12) Quindi se io vado d'accordo col eh. signor Mamiani, Malvica, Manuzzi ec., non convengo con quanto diceva il dott. Orioli, Discorso sull'epigrafia italiana che precede le iscrizioni Epigrafia italiana f74 di autori diversi stampate in Bologna nel 1826 per le stampe del Tassi, allorché sci'ivea; ,, Credo che accoiicianjente bisognerebbe alternare il modo delle iscrizioni italiane coU'altro antico, imi- tando cosi i romani progenitori nostri , che ne'secoli loro più fiorenti per lettere fecero epigrafi or nel linguaggio parlato ed inteso da tutto il popolo, ed ora nel greco:,, né eoa un altro autore, che in certa nota cosi si esprime; ,, Non convengo in ciò che dice uno scrittore , cioè che le iscrizioni per fatti grandiosi , o per quei sorami uomini, il cui valore vuoisi far noto al mondo tutto, si dovessero scrivere in latino, ed in italiano quelle per fatti privati, o per coloro che furono nella stima e benevolenza de'loro cittadini senza più, per aver meritato bene della patria, o por aver dato buoni esempi di domestiche virtù ec. Se noa che per quelle del primo caso, vi sarebbe eziandio un'altra via bellissima, pare a me, e sarebbe lo scriver bilingue, cioè in ita- liano ed in latino: nel che per verità non faremmo altroché imi- tare gli antichi, come si ritrae da molte vecchie iscrizioni, e sin- golarmente da quella scritta in punico ed in latino , sopra uà trattato (parmi) di pace fra i romani e i cartaginesi ,,. (i3) Paolo Costa, Dell'elocuzione part. i. (i4) Boiieau, Oeuvres ec. Discurs sur le stile des inscriptions. (i5) Aulo Gellio lib. i5 cap. 20. Traduzione del dottore Fe- lice Avetrani. (i6j Ad onta di questa mia opinione pure commenderei l'uso, che ne ha fatto il Muzzi nell'iscrizione 55 delle 3oo, ove, dovendo nominare quattordici persone, per risparmiare la noia di tanti nomi le enumerò cosi in versi rimati: A RICORDANZA DI BENVENUTO NORCHIATI PADRE AFFEITUOSISSIMO DI XII FIGLI MORTO IL DECIMO SESTO DI GIUGNO DEL MDCCCXXF DI A. XXXVI Pier Tito Andrea Giovanni Cesar Pio Claudia Irene Anna Dida Amalia e Rosa Qui V ultimo ti diamo acerbo addio Con Lima di noi madre ahi dolorosa Sospiranti ciascun presto la morta Per riunirci a te padre e consorte. 172 LBfTKRATURA Del rimanente intorno all'adoprare versi nell'epigrafia ricorderà quel passo del Morcelli; yeruni ex qua studia humanitatis coli vehementius coepta, rarius /orlasse in monumentorunt titulis ver' sus usurpali , aut certe domi potius , quant in publico propo- sili sunt. Oper. cit. lib. t pari. II. cap. Hit. (17) E non si dovrebbe fofse dire altrettanto delle grafiei quore , giaqque f aqquct^ aqquislu ec. che ti volessero introdur- re nella volgare epigrafia? 473 La poetica di Marco Geronimo Vida tradotta da Giovanni Andrea Barotti, Roma tipografìa delle belle arti i838. V-ionvengono tutti i sapienti che la poetica del Vida per le molte bellezze che per entro vi splen- dono vada innanzi non solo alle altre opere di quel potentissimo ingegno , ma riputare si debba uno de'piìi compiuti e perfetti poemi didascalici che nelTantica e nella moderna letteratura da noi si co- nosca. Per lo che nuove lodi aggiungere qui non si potrebbono, senza fare cosa soverchia. Basti soltan- to il dire, che Giulio Cesare Scaligero, quel critico rigidissimo che ognun sa, l'antepose perfino a quella del venosino maestro (1), e che il celebre abate Bat- teaux molte sentenze ne ricolse e chiuse nel suo Corso di belle lettere^ e le diede seggio d'onore tra le poetiche d'Aristotele, d'Orazio, e di Despreaux. Anche il sommo poeta Pope ne vide l'eccellenza: per- ciocché nel suo Saggio sopra la critica parlando ili quegli altissimi uomini che per iscienze ed arti fio- rirono in quel secolo famoso, cui Tanimo grande di Leone X lasciò il nome di aureoi chiama il Vida poeta e critico immortale. E per non andare trop- po in parole, taceremo degli elogi che questo poe- ma ha riportato dagli scrittori nostri, solo rammen- (i) Praeterea tanto maiore laude de arte agit hic quam Ho- ralius dignuj est. Poeticea Hb. 6. 4 74 Letteratura tando il eh. Ferdinando Malvica , il quale in una sua eruditissima lettera scritta a Baldassare Roma- no, e inserita parecchi anni sono in questo giornale, prese ad analizzarlo in tutte sue parti, e mostrò il bello delle sue dottrine con si sana critica, che for- se un migliore giudicio aspettare non si poteva. Era però argomento di maraviglia, o piuttosto per noi di vergogna, che a questa poetica tenuta fi- no dal suo nascere in tanta onoranza, e già tradotta in versi inglesi da Cristoforo Pitt, come asserisce il Corniani, in prosa francese dal citato Batteaux, man- casse una classica versione italiana e veramente de- ena del suo autore e delle lettere nostre : concios- siachè altra non ne avevamo in fuor di quella me- schinissima data da Nicolò Mutoni nel secolo XVI, e caduta fino d'allora in quella oscurità in cui giace tuttavia. Fece adunque opera assai commendevole e desiderata il eh. Baldassare Romano rivolgendo il suo senno ad arricchire il patrimonio letterario di una bella versione della poetica del Vida da lui pubblicata nel 1831, accolta con applauso, e delle dovute lodi onorata dal Malvica, il quale nella men- tovata lettera ha ragionato a lungo dell'utilità e dei pregi di questo lavoro del Romano, giudicandolo bellissimo e degno di circolare fra le mani dei dotti. Se non che fin da quando comparve alla luce, il eh. monsignor Muzzarelli, caldissimo dell'amore di nostra letteratura, accennò (1) come il Romano non era stato il primo a concepire il nobile divisamento di tradurre la poetica del Vida, giacche quasi un secolo innanzi lo aveva precorso nell'arringo un al- (i) Giornale arcadico, t. 58, p. 'igS e seg. Por:'iicA DKT. Vin\ /J75 fro valentissimo letterato, Giovanni Andrea Barotfi tla Ferrara, autore di una stupenda versione inedila esistente nella biblioteca di quella citta, di cui si piacque di produrre ancora un breve sagoio. Per questa guisa erasi ingenerato in tutti un eguale de- siderio di vederla pubblicata per intero, e si atten- deva che un qualche dotto avesse posto studio e cu-s ra a contentare le comuni brame. Ora adunque siamo lieti di annunciare con "ra- to animo essersi già compito questo oifìcio degnissi-' mo dal eh. monsig. Giovanni Rusconi, il quale avu- to in dono dal Muzzarelli un esemplare del mano- scritto, l'ha reso, non ha molto, di pubblico diritto facendone una elegante edizione co'tipi della tipo- grafia delle belle arti, e da lui corredata di note e di biografiche notizie intorno all'autore e al tradut-^ tore. E perchè si conosca quanto egli meritato abbia delle italiane lettere, imprenderemo a dimostrare per brevi parole il pregio di questo volgarizzamen- to, togliendo ad esame tre cose principalmente : il metodo, lo stile, la lingua. Quanto al metodo, e ac- concio l'avvertire primamente, che i traduttori so- gliono per ordinario cadere in due opposti errori. Alcuni credono che il merito di una versione sia quello di seguire l'originale parola per parola , e perfino con la medesima estensione dei periodi, co- me se in ciascuno differente idioma fosse una eguale ]ndole,e le voci riportassero la medesima sigmfican- za. Altri per lo contrario ad ogni licenza rotti pongo- no sfrenatamente a guasto le altrui fatiche, trasmu- tando 1 sentimenti e le idee, e giungono ancora 'a)9 476 L E * t l! R A t U ft A versioni. Cohciossiachè quelle due pi^ime sono steri-* tate, fredde, oscure; quelle dei secondi ritornano inutili, poiché disformano l'originale per guisa che più noi ravvisi nel suo primo aspetto. La vera filo-' sofia di quest'arte difficilissima consiste nella via di mezzo, e vuole che il traduttore senza rendersi né troppo schiavo, ne troppo libero^ s investa prima dello spirito del suo autore^ se ne incuori gli affet- ti, e si s-tudi a tutt'uomo non di riportare le voci^ ma sibbene di afferrarne, e spiegarne fedelmente i pensieri, come fecero il Caro dell'Eneide, il Monti dell'Iliade, i quali ci hanno lasciato que'due imraor-' tali volgarizzamenti collocati in tanta altezza di o-« nore che per qualsiasi elogio amplificare non si pò-' Irebbe. Ora per ritornare fa, onde mossero queste parole, sembraci che tale sia slata la maniera te- nuta dal Barotti nel suo volgarizzamento della poe- tica del Vida: perciocché sdegnando la miserabile pedanteria di correr dietro alle voci, conserva ac- curatamente e talvolta mette ancora in maggior lu- me le idee dell'originale con quella franchezza d'a-- nimo che è propria dei valenti traduttori. Quanto allo stile di questa versione , se in generale si consideri, chiaro apparisce come il Ba- rotti siasi studiato di conformarsi all'indole piace- vole, dolce, affettuosa di quello del cremonese poe- ta ; perciocché una delle principali doti di una buona versione é di presentare mia vera e chia- ra idea del carattere e del modo di sentire dello scrittore originale, che per via dello stile aperta-^ mente si manifesta cosa importantissima, cui non sempre avvertono i traduttori. Ma per venire a piìi speciale giudicio, lo stile del Barotti, come quel- lo del Vida , si cangia mirabilmente al cangiarsi Poetica del Vida 17T ctellé còse. Se vuoi, a cagion d'esemplo ^ uno stile severO) disadorno, e nudo, che è quello che al ri- goróso didascalicd si addice, il ritrovi In tutti quo' luoghi, in cui r autore si pone a dettare semplici precetti e distrettamente tali, come in questi ver- si del librò I, in cui parla ai padri parole di con- siglio intorno all'educazione dei giovanetti loro fi- gliuoli: fc Vói, padri, intanto queste mìe parole i Udite. Un direttor cercar dovete » Fra mille, ed il miglior sceglier di quelli ih Che sia nell'arte e negli studi insigne » Delle muse, e l'affetto e i pensier dolci >» Sappia vestir d'un amorevol padre, » E alla fatica con amor soccomba. » Non ardisca affidarsi alle sue forze >» Quell'età prima: ell'ha troppo bisogno » Di chi la regga, e di chi man le porga . » Che se il maestro sul fanciul non veglia^ j» Ne agli studi lo inclini, agevol fia » Che lo distolgan dalle sacre muse « Mille lusinghe, e dalla immagin falsa » Ei resti preso di miglior lavoro. » Così l'esperto agricollor, se alcuni » Pianta nell'orto giovinetti arbusti» » E gli affida al terren che gli nutrisca, » Cacciavi appresso noderosi pali, i> E del suo appoggio a ciaschedun provvede, » Perchè non teman la procella e il vento, » Ma poggino per l'aura al ciel sicuri. ( v. 298 e scg. ) Ammii^asi imo stile semplice^ ma lutto ameno, nel- 478 Letteratura la descrizione di quel bealo oxio, e
  • rame » Stanno da lungi, e mai crudeli cure » Non entran quelle soglie. Oh! dolce ed alma » Quiete, oh! contentezza a pochi nota. In questi versi che seguono, contenenti il breve elo- gio di Cicerone, lo stile veste una gravita che ve- ramente risponde all'altezza di tanto nome ( lib. I V. 5/i4 e seg. ) : » E gioverà che pria perfettamente » La lincfua cercìii d'imitar di Tullio, » E scorra d'eloquenza i larghi campi. » Tullio onore del Lazio, e l'altro lume » Della gran Roma, dalle labbra d'oro » Diffonde in copia preziose gemme, » Non mai fallace di parlar maestro: » Che gli altri ci tanto nella lingua avanza, » Quanto altrui di potenza avanzò Roma. E qui si ponga mente a quell'importantissimo av- vertimento, con che il Vida vuole che i giovani si pongano pria di tutto a studiare alla lingua di Tul- Poetica del Vida 179 Ilo per guisa che debbano giungere a perfettamen- te possederla. Il che valga a trarre d'inganno co- loro, i quali sono fermi in credere che lo studio del nostro avito linguaggio sia cosa inutile e no- iosa, e da lasciarsi piuttosto agli uomini di chiesa e a quei pochi che intendono 1' animo alle gravi scienze, massimamente in questo tempo in cui non avvi classico latino che non vada vestito d'italiana veste. A togliere cos'i dannosa opinione moltissimi e robustissimi argomenti addurre si potrebbono , se cjui ne fosse l'acconcio: basti però il solo rispon- dere, che gli scrittori antichi del Lazio sono dopo i greci i pili grandi maestri, da cui tutte le buone scienze ci sono derivate, i quali torna assai meglio studiare nella lingua loro propria che nella tra- dotta, perchè in questa non mai così vivamente si scolpisce il sentimento, la proprietà e la grazia co- me nella nativa. Ma ripigliando il cammino, d'onde la carità di questo bellissimo e nobilissimo idiomo dei pa- dri nostri ci aveva per alquanto discostati, ci pia- ce di qui recare quella stupenda ipotiposi della presa citta, perchè si ammiri come il Barotti, cam- minanilo sempre sulle orme del suo autore, innalzi bravauionle al pari di lui al grado del sublime il suo stile, e ci ponga innanzi un egregio saggio di poesia descrittiva. » Quando cantano poi da man nemica » Le città prese, e chi frenar può il pianto? » Ben puoi dir di veder le crude fiamme » Alto avventarsi ai pili sui)limi tetti, » E le case ingoiar di passo in passo: » Vedi i vecchi tremanti; ai padri i figli 180 Letteratura » Vedi abbracciati; e ie piagnenti madri » Fra i nemici e fra i suoi spintesi in mezzq » Alzar le strida: e le nuore, strappate » Diai sacri luoghi e dai divini altari, » Stracciarsi il crin, battersi a palme il petto: » Questi fuggir, quei trarne immensa preda: » Nelle case si cacciano, e nei templi^ » E la città per ogni lato è scorsa. (Lib. 11 V. 555 e seg.) L'amore che giustamente ponghiamo in quest£^ versione ci moverebbe a riferire tutti quegli squar- ci che di speciale menzione e di elogio sarebbero degni, se npn ci rattenesse la tema di andare al di Ik dei confini segnati a questo scritto. Tuttavolta non possiamo passare in silenzio quell'incompara-r bile tratto del libro I, in cui il Vida rampogna dol- cemente i maestri, e gli esorta a deporre la brur ^ale ferocia con che solevano fare strazio d'imbelli e dilicati giovanetti a guisa di vilissimi schiavi, e finisce con descrivere 1^ morte del fanciullo colle più patetiche parole. I quali versi sono tradotti da| Barotti con tale valentia, che spirano tutte le grar zie e tutti gli affetti dell'originale, e gli ultimi in particolar modo ti mettono in cuqre tanta piels^ da cavarti le lacrime, p Colui però, che ha il giovinettp in cur^ » Per allevarlo nelle nobil'arti, » L'amor suo si procacci, e sopra tutto » Dal meritar l'odio di lui si guardi; » Perchè non sia che le divine muse, » Di cui non gusta le dolcezze ancora, » Inavvedutamente a sdegno prenda, Poetica del Vida 181 » E degli studi sulla prima soglia » D'animo si avvilisca, e se ne stolga. » Deh! sbandite, o maestri, ire e flagelli, n ( Barbari uffizi ) e le minacce acerbe. )» Ah! non vi sia, no, non vi sia chi sotto p I duri colpi il giovanetto opprima: > Che del fauci ul le lagrime e le strida » Soflfrir non ponno, e sconsolate i passi » Volgono altrove le pietose muse: j» E il giovane s'arretra e si sgomenta, » Ne più si vede di sua voglia accinto » A degna impresa; e in un mestier che ha in odio » Va a forza dispettoso faticando, » E pili sotto il flagello a posta indura. » Tal vid'io precettor, colpe ancor lievi » Ne* rei fanciulli a punir sempre avvezzo, » Per furia il vidi e per ira tremendo » Avventarsi non men che se nel sangue » Satollar di nemici odio dovesse. » Qua mai sempre s'udian gemiti e strida, » E Ik sonavan spietate percosse. 4» E mi sovvien mentre all'iniquo impiego » Il temuto maestro era piìi intento, » E ferin plìi che mai ( vita infelice! ) » Mcttea spavento a quella^V. .-ba imbelle; » Che un fanciullin per sorte, a cui non anco » Sulle gote fioriva il primo pelo, » E sopra ogni altro per bel volto insigne 9 Aveva intero consumato il giorno » Co'suoi compagni in pueril trastullo; » E obbliato il timor, gl'imposti versi, » Anziché il giuoco, d'imparar neglesse. » Ecco il maestro furibondo insorge, » E il riprende, e il minaccia, e fatto orrendo '182 Letteratura » Per criiJel viso, il timido r;m(;iullo » Spaventa, e di ilagelii arma la mano. i> Tanto iiciriiifelice il lerror vaise, » Glie da improvviso e violento male » Colpito, in breve sul tìorir, la vita » Lasciò del ciel sotto l'amabil luce. » li Po lui pianse, e sotto la basse onde » Lui pianse il Serio e le sue ninfe a lungo. Dopo ia lettura di questi versi, è forza il dire che il cuore del Vida fosse veramente un vaso di dolcezza. Conciossiacosaché a cui non si sarebbe ac- cesa la bile venendo a cos'i tristo argomento, e ac- compagnato non lo avrebbe colle pit^i fiere parole? Certo è che a noi bolle in animo dolore e sdegno ardeutissimo, quantuiHjue volte ci corre alla men- te il solo pensiero di quel vituperio, che tanto in- degnamente oscurava la civiltk di questo nostro gentilissimo paese, e durato generaln^ente per co- mune infortunio insino alla giovinezza nostra. E ve- devamo pur noi come quei venali pedanti, di ogni conoscimento del cuore umano digiuni, invece di vestire le sembianze di padri amorevoli, e porgere aiuto e coraii^io ai loro teneri allievi nell'incomin- ciare massimamente di lunghissima e penosissima carriera, colla fierezza piuttosto e cogli insani meto- di facevano opera perchè avessero in odio e in ab- bomi nazione gli studi, e poi, vedi barbarie! si osti- navano a violentare la natura col terrore e colle verghe. Ma possiamo ornai allegrarci che la costo- ro malnata genìa siasi quasi interamente s[)enla, e per lo molto sgridare dei savi e per lo avanzarsi continuo della pubblica civiltà siansi migliorati i Poetica del Vida 183 metodi in modo, che ci conviene assai bene spera- re della crescente generazione. Ora per raggiungere lo scopo, da cui per uno sdegno giustissimo ci eravamo alcun poco dilunga- ti, veniamo a ragionare della lingua usata dal Ba- rotti in questa traduzione. La purezza e Lellezza di essa lingua chiaramente rilevasi in quanto che non contiene voci improprie, perdute, guaste, ple- bee: il che è molto piìi a maravigliare, se si con- sideri che il Barotti scriveva in una etk di poco lontana dal secolo dei deliri, e chi gli fu maestro doveva certamente avere attinto agli impurissimi fonti del secento. Per il che osiamo giudicare che il Barotti fosse uno di que'dotti, che nella comune corruzione si tennero saldi, e sostennero rigorosa- mente l'onore di nostra favella, e resero quasi in- tera la prima mela del secolo XVIII non punto dispregevole in fatto di lingua, la quale poi ver- so alla seconda metk di modi e di voci forestiere imbrattata novellamente invifi, e tanto in basso ri- cadde, che a riporla nella sua primiera altezza vi vollero non meno che le generose fatiche di cfuei quattro gran lumi dell'italiana letteratura il Mon- ti, il Cesari, il Perlicari, il Giordani. Che se il pregio e il merito del linguaggio di uno scrittore si giudica massimamente dalla pro- prietà delle voci , possiamo francamente affermare che le idee dell'originale sono riportate dal nostro traduttore con proprietà molta di vocaboli: d'on- de procede quella concisione e brevità, la quale sen- za essere soverchia, ne rendere la dizione rotta , puerile, minuta, oscura, regna in ogni jjarte di que- sto volgarizzamento opposta a quella verbosità di che sono vaghi alcuni traduttori. Imperocché, sic- 184 Letteratura come 1 retori insegnano, per due modi s'ottiene la Lrevitìi. L'uno usando voci assai proprie: e questo è il migliore, il piìi facile, e quello da cui deriva unti l>revità pura, limpida, scorrevole, elegante. L'altro adoperando le elissi, ossia i tralasciamenti: il quale però è di uso difficilissimo, massime nelle versio-» ni, perchè sovente degenera nell'aridità e nelToscu- rezza, di che nella versione di cui ragioniamo non appare vestigio. Per le quali cose non è dubbio, c!ie al Baroni non si debba Iqde di valoroso tra-» duttore e di puro scrittore. Noi dunque raccomandiamo questo nuovo li-» bro a quanti insegnano poesia e l'imparano, pro-« mettendo loro un doppio frutto e per l'eccellenza delle dottrine che vi si contengono, essendo l'opera di un immortale criterio , e per la bellezza della versione di molto pregio degnissima, se a conside-» rare si prenda o nel metodo o nello stile o nella lingua. E poiché d'arte poetica ragionato abbiamo, conchiuderemo questo articolo col dare avverti-» mento alla studiosa gioventìi, a non consumare il Lene dell' intelletto nello studio dei tanti macri precettisti, dei quali abbondiamo, ma soltanto ai classici strettamente attenersi, e di questi pren^^ dere cotidiano pascolo. Per questa via si acqui-^ steranno la gloria di veri poeti , e impareranno a ricondurre la poesia al suo primiero altissimo officio, ch'è quello di ammaestrare le nazioni, e sog- giogare potentemente gli affetti degli uomini , e non con vuote ciance e romorose parole lusinga- re degli ignoranti le orecchie. Gonciossiachè in mezzo a tanti sviamenti che ci fanno andare erra-^ ti, la sola scorta dei classici ne può guidare per diritto cammino alia meta , a cui movono moltis- Poetica del Vida 185 simì, pochi pervengono. E sia fissa altamente nel- Tanimo di ognuno quella memorabile sentenza di Fiacco, che non gli dei, non gli uomini , non le colonne seppero portare i mezzani poeti-, con che vuole significarci che tutto il mondo gli ebbe e gli avrà sempre in abbominazione, Can. Celestino Masetti. Intorno alla statua tudertina del museo gregoriano. ^l chiarissimo sig. professor Salvatore Betti socio ordinario della pontìficici accademia romana dì archeologia^ segretario perpetuo di quella insi- gne e pontifìcia di s. Luca ec> ec. cmxKissmo siqnor PROFfssoae K on fu prima scoperta e pubblicata la etrusca iscrizione della statua tudertina in bronzo che si conserva nel nuovo museo gregoriano, che tosto le- vossi una folla di archeologi per dichiararne le o- scure parole. Il Vermiglioli, il I^anci, il Gicconi, il Secchi entrarono chi prima chi poi da valorosi nel- l'arringo, e n'ebbero tutti plauso ed onore. Ne ella pure, com'era giusto, si tenne fuor della mischia ; se non che tralasciando allora di aggiungere nuove divinazioni alle tante già fatte su le ignote voci di quella epigrafe, pensò che avrebbe con piìi utile 186 Letteratura speso il suo tempo e l'opera sua, se, messa cpiella tla parte, avesse preso dirittamente di mira la sta- tua stessa per venire in chiaro del personaggio che in essa rappresentavasi. Nella qual disamina ella tla suo pari procede con tanta accortezza e pruden- za (1), fjuanta appunto se ne richiede da coloro che delle cose etrusche si pongono a ragionare. Ella credè allora, chiariss. sig. professore, che fosse in cjuclla statua rappresentalo il lare pubblico ovvero Ostilio de' tudertini , poiché disse, che questi mì~ nori iddìi erano ritratti non pure in sembianza di giot^anlf ma colVasta In mano, e talora in abito mi- ti lare, siccome quelli che avevano cura di respin- gere dalla città l'inimico, giusta il noto verso di Properzio Ihumibalemque lares romana sede fugantes'. e sì giovò in questo assai opportunamente deirauto- rilU del dottissimo Gori, il quale confessa d'altri non essere tutti que^ simulacri, ci l egli coji generale appellazione chiamo eroi etrusci^ se non di lari, di penati, d'indigeti, di averrunchi e di simili altre di' vinità protettrici e guerriere. Se non che fa qui d'uopo avvertire, che cotesti iddii lari o penali non solo furono sempre ritratti in sembianza di giovani, coni' ella ha di già saviamen- te avvertito, ma di tali giovani, io ripiglio, che ne pure un pelo di barba portassero alle guance od al jinento.Nè altrimenti gli effigiarono gli antichi greci e romani. Imperciocché cotesti iddii non sono a dir vero che geni , ne geni barbati ebljero mai greci, ruiiiani ed etrusci. D'altronde la nostra statua per poca barba che ic spunti alle guance, l'ha pur folta Statua TcnEUT:N\ 187 e i*iccliUn, e pefeiò solo cessa (resspro a mio giudi- zio il simulacro d'un lare. Vero è però che anche gl'iddìi maggiori , co- me a dir Giove, Giunone, Minerva ec. furono dagli antichi romani annoverati fra i lari o penati loro (2), e tutti quegli altri numi in generale, che sceglie- vansi a custodi e tutelari sia de'luoghi, sia delle per- sone che i buoni eftetti provarono della lor prote- zione. E noi sappiamo che cosi la pensarono anche gli etrusci , i quali chiamarono cotesti loro lari o penati deos consente s et complices, quasi consu- lentes, come dice Arnobio (3), et quocl slnt una qito- dain voluntatilm foedere et rinculo concordine con- iuncti (4)t e di questi erano sei femmine ed altret- tanti maschi nomìnihits ignotis et miserationis par- cissimì., i quali seduti in alti scanni presso al trono di Giove, la facevano da consiglieri e da ministri di lui (5). Che se anche a noi rimasero ignoti i veri e primitivi nomi di questi XII magni dei o consenti d'Etruria ( imperciocché quelli di Tina , Tinia , Thalìia^ Taran^ Apìa^ Hercle ec sono, com'ella ve- de, tutti di manifesta greca radice, comunque rive- stiti di scorza etrusca, ne contano data più antica del V secolo di Roma ), per quanto, ripeto, siano a noi rimasti ignoti gli antichi e veri nomi di questi XII grand'iddii o consenti degli etrusci, possiamo ciononostante con Ennio riconoscerli presso a poco in fjuegli stessi de'romani e de'greci (6), ma tolto via Apollo, ed a lui sostituito Bacco, una delle più vecchie e principali divinità d'Etruria; poiché non trovo che il nome di quel dio tutto greco sia stato mai ricordato nella pili antica etrusca mitologia (7). E posto che questi dei magni, o complici o con- senti che dir si vogliono, fossero anche i lari degli 188 Letteratura etniScI, siccome ArnoLlo ne attesta, sarò in qucslo del suo avviso anch'io, cliiariSs. signoi* professore , che nel sinìulacro tudértino un lare si rappresenti, cioè Martè\ che sebbene da questa mia prima opi- nione mi allontanassi altra volta pei* eerti dubbi che mi girarono allora pel capo , non dee recarle maraviglia, se folti ora, come a me pare, que' dubbi di mezzoj torno nuovamente a metterla in campo; imperciocché m'ha fatto ormai certo esperienza, chei dove trattasi di fare indovinamenti d'antichi monu- menti, i primi consigli che ti suggerisce la mente^ come che siano quelli i più naturali e spontanei ,> sono pur d'ordinario i piìi giusti e sicuri per farli scoprire la verità. Ma veniamo alla statua^ Nudo è il dio della persona, se non che veste la corazza, ha l'elmo in capo, impugna l'asta colla sinistra mano, e su quella si appoggia. Un piccola pertugio, che gli vedi fatto a bella posta nell'indi-' ce della destra mano, ne invita a pensare che recas- se in quella verisimilmenle una patera. Egli sta, non cammina, come avvisò il Nibby (8); imper-^ ciocche piegato alquanto indietro ed inarcato ii sinistro piede, fermo ei si tiene e ben piantato su'l destro: ne mai vid'io un Marte, che camminando si faccia puntello o sostegno dell'asta, come se fiac- co sia tanto di gambe^ che come Vulcano si regga a stento in su i piedi* Che se all'artefice fosse mai ve- nuto talento di ritrarre im Marte in quello ch'ei muove alla pugna, non lo avria mica fatto in queir atteggiamento di strigner l'asta colla sinistra ma- no e d'appoggiarsi su quella, ma data sì glie l'a- vrebbe a palleggiar colla destra, come vedi in Ome- ro (9), e come venne pur sempre rappresentato in antichi monumenti. Ma torniamo al simulacro. Statda Thoei\ti!«A 180 iJna riccia barba, come tlissi, gli spunta su le guance, eJ il viso suo giovanile èj quale si conviene al dio della guerra, torbido e brusco. Che se Ella , signor pi*ofessore, ama di vedere in un Marte d'e- trusca stampa quel disegno risentitissimo nelle giunture e gagliardo nelle mosse (10), che 11 Lan- zi trovar vi vorrebbe, e sì ancora quelle vigorose braccia, quel viso fiero, quella nudità, carattere^ com' ella dice , non meno della scuola greca , che della imitatrice etrusca nelle immagitii virili da' numi^ le dirò pure, che questa ed altre sì fatte par- ticolarità sono ben visibili e parlanti nella statua nostra; impei:*CÌocchè la corazza, siccome l'elmo che porta in capo, sendo armi di difesa e proprie del nume terribile della guerra » per nulla scemano quella sì fatta nudità eh' ella tanto giustamente de- sidera in lui; che armato d'elmo e di scudo lo vedrà pure in quell'ara triangolare del museo capitolino, una delle piìi vecchie opere a noi rimaste dell'arte greca (11): e per tacer altri esempi, armato è ancora quel suo simulacro in bronzo d'etrusco lavoro del museo Gaddi pubblicato dal Gori (12) e poscia dal Micali (13), ch'è copia quasi perfetta del nostro. Ed aggiunga quel viso austero, come di sopra ho già detto, e quella sì fatta barba che gli nasce folta e l*icciuta alle guance, e che ad altro lare o dio de' consenti d'Etruria non potria convenire che a Mar- te (14). Imperciocché, siccome ella ha di già savia- mente avvertito, questa nostra siatw\ fu operata si- curamente nel tempo 1 in cui le arti etr uscite già tenevano assai del greco nella loro seconda epo- ca: opinione ch'ebbi io pure con lei comune, al- lorché parlando la prima volta di essa, mi parve riconoscervi un ignoto guerriero della gente Jha~ 190 Letteratura la (15), e negai solennemente che fosse in quella rappresentato «n Vibenna (16). Ora di Marti così fatti e a quel modo barba- ti piene sono le monete, le gemme e i monumenti tutti d'arte greca e romana: ed aggiunga pur quel- la patera che, come dissi, teneva probabilmente il nostro Marte nella destra mano, ed infine il luogo, dove fu scoperto questo di lui simulacro , voglio dire neir agro tudertino presso un antico tempio dedicato forse a questa divinità, che da quel po- polo, chiamato da Silio Italico adoratore di Mar- te (IT), fu sempre in specialissimo modo onorala. E qui deve avvertirsi, che questo tempio , di cui ora parliamo, era fabbricato fuori del recinto del- le mura dell' antica Tuder • ragione potentissima per dubitare che fosse veramente dedicato al dio Marte; perciocché ella sa, che fu costume degli elru- sci, siccome anche degli antichi romani (18), d'in- nalzar templi a questa divinità fuori delle mura delle città loro e prossimi al campo, per rimover di dentro le armi civili e le dissensioni fra'cittadi- ni - Martis vero di\>iiiitas, quum sit extra moenia dedicata, non erit inter cives armigera dissentio^ sed ab hostihus ea defeasa, et belli periculo con- servabit - (19). Delle quali cose tutte pare a me do- versi conchiudere, altra divinità non esser verisì- milmente rappresentata nella statua tudertina del museo gregoriano , che quella del nume terribile della guerra. Ciò posto, vengo alle parole della epigrafe, jch'è la seguente : 313:iH1VHVlSH'IVV<]\'Jfll3PJ Statua Tudbrtina 191 e cliè lèggo ÀHAL . TRVTltlS . PVNVM . FEPE o FERE . é traduco jihala itrotieàiì pìiiis Martem-fonionem fecit^ o dicavit. ÀHAL, còme io irti penso, è la prima voce che si oflfre in questa iscrizione. Dico Ahal^ e non jéeial 0 Jloéìalf còme altri lesse, perchè la giacitura di quelle lettere | ed 3 poste così a contatto 1' una dell'altra è tale, che consiglia a prenderle ambedue per una sola lettera, cioè a dire per un H, in etru- sco ^ ; che si forma appunto della | e della 3 in- sième congiunte, comunque non si veggano qui le sbarre traverse della 3 così bene allungate e diste- sCi che giùngano a combaciar perfettamente colla 1 vicina, de'quali difetti de'quadratarii è superfluo addui*re gli esémpi, massime sul proposito di que- ste e di somiglianti lettere étrusche. E qui si noti che, di questa sola lettera in fuori, le altre che ri- mangono di questa iscrizione sono tutte, com'ella vede, assai ben distinte e separate l'una dall'altra, sicché non può quasi dubitarsi un momento, che le non sieno piìi che due diverse lettere due sigle appartenenti ad una lettera stessa. ^ Ammessa una tale lezione, avremo in questa prima voce il nome di u4hala, nuovo a dir vero, per quel ch'io mi sappia in étrusche epigrafi, ma che fu cognome notissimo della gente Servilia (19), e tolto anch'esso, come pensò l'Amaduzzi , da'ro- xnani agli etrusci, e ch'egli a tutta buona ragione G.A.T.LXXV. 13 192 Letteratura ha riportato nel suo Lexicon vocnm etriiscariim , siccome nome di etrusca origine, qiiod sapit potliis etruscae, quam latinae linguae geidum (20). Se non che debbesi avvertire ciò che il Lanzi avverte nella tavola del dialetto etrusco alla lettera L, cioè che questa è finale di varie voci, e che talora dee sup- plirsi con qualche vocale, come gli sembrò prati- cato anche dagli osci e da'sabini. Stanti le quali dot- trine, ella converrà con me , che la proposta le- zione della voce Aliala soggiacer non può a ragio- nevole opposizione. Segue ^ITITVarìi diversamque formam nau" ciscerentur cum Gorio aliisque facile amandandas ceìisemus (25). Non ne reco gli esempi, poiché trat- tasi di cosa ovvia ed a tutti notissima. Posto adun- que che gli etrasci usassero il P semplice per l'a- spirato, e viceversa, non dubito di rendere Phu- num il PVNVM della nostra epigrafe. E siccome gli etrusci ( e dicasi lo stesso degli umbri e degli jaltri antichi popoli italiani) non ebbero la O nel loro al- fabeto, cui supplivano colla V vocale, come di so- pra si è detto (26), così è certo che tanto vale il PV- NVS o PHVJNVS degli etrusci, quanto il $0N02 o Phoniis de'latini e de'greci (27). Ora ella sappia, chiariss. sig. professore, che due iscrizioni sono nel Muratori, appartenenti ambe- due agli antichi aquileiesi, dove parlasi appunto di una certa loro divinità chiamala FONIO, che Filip- po della Torre giudicò esser Marte, quantunque il Muratori la credesse meno verisimilmente una Fa- ma. Le iscrizioni sono quali le trascrivo qui appresso; Fonioni sacriim Seia lonis magistra D. D. e l'altra : Annia M. F. Magna et Cornelia Ephyre magistra Bonae Deae porticum restituerunt , aediculam Fonionis (28). Senta ora di grazia, come la discorre su questo 194 Letteratura proposito il Passeri (29), di cui sa ognuno quanto pesi l'autorità in fatto di cose etnische. Mars , egli dice, in hisce indigitamentis FONER adpellatur a graeco fcycog^ sanguinolentus aut occisor^ a fó'jog, caedes. Idem deus ab Orpìieo in eiiis hjmno nuncu" patur A.v^p6(povot'.neque id attrihuttun graecis tantum innotidt^ qidn Italiam non per\>aserit-^ etenim in ara aquileiensi-, a doctissimo canonico Bartolo vulgata^ legimus MJRTI FON IONI. Dalia quale epigrafe qui ricordata ella vede quanta luce ricevano le due altre del Muratori riferite qui sopra. Ne mi si dica, che nelle tavole euguLine quan-" te volte venne questo nume invocato, altro nome egli non prese che quello suo semplice ed ordinario di Mars ; imperciocché siccome in Grecia ebbero più nomi gl'iddii, piìi nomi s'ebbero gli dei anche in Etruria: e se Ercole chiamavasi Hercltt e Caìani- ce a un tempo ( ossia Callinico ) soprannome che primo io ritomai al figliuolo di Alcmena, che altri per errore avea dato a Polluce (30): e se Bacco altre- sì dicevasi 2^inia e Phuphlnas insieme (31): e Dia- na, come dimostrai non ha molto nell'accademia no- stra d'archeologia, chiamavasi Thana ed anche Ai- pan^ cioè a dire la bianca o la Luna\ così Marte ugualmente poteva essere sotto diversi titoli invo- cato, siccome lo fu ne'carmi salii , negli arvali e nelle stesse tavole eugubine, e dirsi Mars per esem- pio in quanto gli era il dio della guerra da Ma-- vors o Maniers nella lingua degli osci, ch'è un dia- letto della etrusca (32), e Silvanits (33) , siccome quello che presiedeva anche a'boschi, ed era il dio ordinatore della natura, fecondatore della terra e conservatore di tutte le cose (34), per non dire di quel Marte 3I0V9 o terminale^ di che parlano pu- re le stesse tavole eugubine. Statua Tudertina 195 Ora io dico, volendo gli etrusci rappresentare iin Marte, quale si è propriamente il dio della guer- ra, o, come Omero direbbe, un Marte omicida^ qua- le altro nome potevano dargli che meglio espri- messe la qualità caratteristica di questo dio, che quello di PHVNVS , nome che nasce dalla greca voce f'sv©;, la strade- che solo di stragi si fa satol- lo questo feroce e terribile nume (35), e dì cui so- no sole delizie, al dire di Omero, le risse, le zuffe, le discordie, le battaglie, le morti (36)? Che se io le recassi ancora un altro sopranno- me di Marte così fatto, e coniato siccome quello del- la statua tudertina del museo gregoriano, non dira forse che almeno in questo la mia interpretazione sia giusta e basala sul vero<* Ed eccole uno specchio etrusco rappresentante Venere-Urania (ni^^VT) e Marte con lei, nudo della persona, tranne un bre- ve pallio ch'ei porta ripiegato sul braccio, siccome nuda è pure la figlia di Giove. Stringe Marte colla sinistra una lancia, e chiamasi nV^fl, AFVN, no- me che si compone dell' A negativa e della voce FVN apocope di FVNVS (A$0N02) eh' è quanto dire il contrario di homicida, di occisor ec. che a Marte innamorato di Venere male si converrebbe , com'ella vede, quell'orribile e spaventoso nome di Phunus. Il dotto Cannoni, che illustrò quello spec- chio (37), credè che AFVN dovesse dedursi dal gre- co «ùw, clamot reboo ec., e il digamma eolico fu per lui un segno d'aspirazione e via lo tolse. Dubitò poscia l'Orioli (38), che il ZI di quella voce fosse piuttosto un T, e pensò che dovesse leggersi MVTfl, ATVN , Jdone. Egli però non dice d' aver visto mai quello specchio, nò è da credersi che lo Zan- 196 Letteratura noni, il quale non era certo tal uomo cosi poco esperto nel leggere l'etrusco da prendere sì facil- mente in scambio un :? per un T (lettere ben di- verse per la forma loro l'una dall'altra), abbia cosi a suon d'aqua letto e interpretato quella voce: tan- to più che d'un Marte in fuori, altro non poteva essere che Adone l'amante di Venere, ed era anzi ben facile sospettare in quella voce il nome di lui^ quando stata pur fosse di dubia legione. E qui avvertirò, che comunque gli etrusci po- tessero ben dire nVTflt ugualmente che ^IHVTfl (39) il figlio di Mirra, certo è che quante volte mi venne dato di leggere in etruschi specchi un nome sì fat- to, sempre lo vìd'io scritto nel secondo modo, non mai nel primo; ed avvertirò ancora, che tanto in quello del museo gregoriano, e della raccolta Durand, quanto in altri da me visti e studiati, ebbi a notare questa particolarità, che è da tenerne ben conto , cioè che Kenere trovasi sempre costantemente con Adone abbracciata (40) ; oltre a che in quelli vidi pur sempre essere una colomba^ quando posata in terra (41), quando su d'un tronco d'albero, come nello specchio del gregoriano, che in quel del Zan- noni manca pure del tutto: il quale albero pensai che volesse per avventura indicare la foresta del monte Libano o à^W Idalio in Cipro, luoghi sacri agli antori di Adone e di Venere, ciò che restereb- be ancor meglio dichiarato dalla stessa colomba , che da Stazio fu detta s>olucris idalia (42). Intanto poi gli è certo, che gli specchi da me ricordati, e che portano tutti la infallibile scritta del nome di ATVNIS, sia per la varia terminazione di questo medesimo nome, sia per la diversa loro rappresen- tanza, nulla han che fare collo specchio pubblicato Statua Tudertina 197 dal chiarissimo Zannoni; perchè è forza conchiu- dere, che se Adone {Àtiinis) e in quelli rappresen- tato con Venere, altri che Marte {Jfun) non può essere in questo l'amante di lei, come dichiarò da principio lo Zannoni medesimo. Ma di ciò basti, e dicasi alcuna cosa di quel FEPE o FERE, che so- lo resta a spiegarsi ormai di questa epigrafe. Dissi FEPE o FERE, perciocché parve ad al- tri un q, R, la penultima lettera dì quella voce , che altri ritenne per un 1, P. Posta adunque l'una e r altra lezione, dirò che il FERE degli etrusci sia il $EPE o l'E^EPE de'greci, che rendo donmit^ ohtulit^ dicavit ec. , e siccome non veggo chi pos- sa opporsi a sì fatta spiegazione, non farò su di ciò maggiori parole (43). Che se vuoisi leggere 313;) , Fepe o F'epe , piuttosto che FERE, come amò leggere il Secchi, dirò che il digamma eolico stia qui in luogo d'a- spirazione, della quale spogliata questa voce resta il nudo 313, EPE, che io credo equivalere all'EIlOl o EITOIEI de'greci (sttc/vjsuv), il fecit de'latini (44). Se valgono adunque le cose da me discorse , ella avrà la interpretazione della intiera epigrafe in queste latine parole: Aliala Trottedii fìlius Marte m-Fonionem fecit, o dicavi t. Ma eccomi ripetere da lei quelle gravi parole del Passeri, che nedonarii è generalmente scritto poco pia che il nome delVartefìce o del donatore oltre air anatema (45): imperciocché il nominarci., com'egli dice, la cosa donata era superfluo, poi che il pezzo da per se stesso lo dicesfa, e chiunque aveva 198 Letteratura idea di religione lo intendeva a prima ^fista (46), Ne dirò che il Passeri dicesse pur male, general- mente parlando', dico sì che in ispecie vera non è cotesta sua sentenza ; imperciocché mille donarii potrei qui indicarle, ne'quali oltre il nome dell'ar- tefice o del donatore trovasi scritto quello altresì delle divinità che in essi si rappresentano: e per non tediarla sì a lungo mi contenterò riferirne qui pochi esempi. - Signum Silvani sanctissimi cum base posuit C. Flaminius Telesphor - è nel Muratori {ci. I , ^.711,8). Herculi statuam cum base Aurelius Miicianus f^. P. P. prò salute sua suorumque omnium posuit curante ... Gerontio - è nel Grutero (Jpp' Deor. 9). C. Melsonius C. N. L. Hercolei donum - {Murai, Jppend. 1983, 1). Aiaitius Aljpus lovi D. 1). {Id. cl.I.p.S, 11). Apollini Soli inviato Menander Majus Agg. N. N. sign. H. vovit - {Ibid. yo. IT, 1); e per finirl£> 0EAN , MAFAP^IAA . TI . lOTAIOS STJ» ANE0HKEN Deam, Magarsidem Tiberius Julius Syrus dica- vit (47). La quale iscrizione par fatta e stampata , com'ella vede, in un colla nostra ; altra differenza non essendo fra questa e quella che ne'nomi di chi pose o dedicò i monumenti, e delle divinità che in essi si figurarono. Perciocché nell'ara, dov'è scolpi- ta questa greca iscrizione , è scolpita altresì una Minerva armata , chiamata Magarsis, quod in op- pido Ciliciae Magarso, come soggiunge il Muratori, magni/i cum tempi um ei conditum fuerit^ uti Stepha- Statua Tudertina 199 nus lìysaiitiiLS testatitr. Ed eccole Lclllssima prova pei" dimostrarle contro la opinione del Passeri, che non sempre fu creduto dagli antichi esser cosa su- perflua nominarci ne donarli la cosa donata , ma che talvolta il nome pur vi scrivevano sia di quella sia di quell'altra divinità, alla quale que'donarii of- ferivansi in voto, come da questa epigrafe e dalle ialtre di sopra citate ella potrà giudicare. Chiuderò questa lunga mia lettera con dirle poche cose intorno alla spiegazione data dal dottis- simo cav. Vermiglioli di questa etrusca iscrizione delia statua tudertina. Egli lesse AEIA . L . TRVTIVIS . PVNV . MI . VERE. e spiegò: (Ego) Jeia^ ovvero Aveia^ Lartlds Trutidii ovv. Trutedii filia pono. Sum Verus.^^Wz. quale ul- tima voce VERE un'altra interpretazione ancora ne propone quel sommo filologo, cioè a dire che tolta Ja ridondanza in principio della eolica aspirazione, si legga ERE, e sostituita l'A al primo E, come nel- l'ATRESTE per ATRASTE della gemma degli eroi tebani ( doricismo assai frequente in questi antichi dialetti italici ) si renda ARE, che sarà per appun- to r "Apvjg de'greci, e il nostro Marte. Se non che tornerò qui a ripetere ciò che dissi altre volte in- torno quel ^ etrusco della voce PVNVM , che il chiariss. A. non senza qualche ripugnanza, com'egli stesso confessa (48), si decise a tradurre per iiixt (MI) sum\ poiché è certo che quante volte le verrà dato di leggere cotesta voce in etruschi monumenti, sem- pre la troverà ella scritta alla distesa ed in chia- 200 Letteratura rissima guisa, ne mai o mozza o abbreviata per via di nesso. Il che è si cerio e indubitato in fatto , che direi esser cosa quasi impossibile, che potesse recarsene solo un esempio in contrario. Alla qua- le osservazione un'altra ne aggiungerò ancora ( e dalla usata di lui cortesia me ne verrà data licen- za ) cioè, che traducendo egli Aveia Lartis Truti- dii filia pono. Sum Ferus^ ovvero Mars ec, fa che di sua bocca parli ad un tempo la statua ed Aveia stes- sa che la statua pose, in prima persona del tempo presente, quando ordinariamente parlando, e secon- do lo stile delle antiche iscrizioni, in tutti i casi, in cui il monumento parla di per se stesso ( come a di lui giudizio anche qui accade ), il nome di quel- lo o di quella che fece , pose o dedicò il monu- mento, non già in persona prima del tempo presen- te, ma sì in persona terza del tempo passato tro- vasi sempre comunemente espresso. E che la sia cosi, valga per altri esempi, che potrei qui citare in buon numero, tanto la greca iscrizione seguen- te ch'è in Muratori, e che canta a questo modo HAIKIHN nAIG EIMI. BPETAG AE CTHCATO $HAIS. vietate sum puer. Hanc Felix statuam locavit (-49); quanto la iscrizione stessa sigea ricordata pur dal- l'A. iu quella eruditissima sua lettera al eh. Spe- roni, che gioverà qm trascrivere per intiero, ed è la seguente: Statua. Tudertina. 201 ©ANOAIKO : ElMI ; TOH 0>(OqlOT : ZOTAq>iOv^q3 NEZIO : KAAO .• KPATEPA ^®3H IA>i: viOTAT2|-lA>f ■ ON : EZnPVTANEION : K (sic) Y3AIZ : AM3I/|^ : AjjOA ETZI : EANAETirA2 + 03 * ■■ v\3[/|IAA3J3MO ZIAEIEZ : KAI K^EnO IA>j .• Z0102IAH : H3 2I3 HAAEl,QOI. ^CiVO^lKOV : c£/U.J . T3U èpixoKpdzcv^ . roi) ■npoy.o- v/](SÌov:y^ocyòi . xpixrrjpcK. ytxnicroczov . ■aocì-^Qix- ov . ss npvxavBÌov • c- dwxa . IXVYJIJ.X . aiysi £uat . kàv òe xi Ttaayj- aiyzisìg • xat f/.^ inó- >jg£V . ò uiaconog . v.où cioè - Phanodici sum fìlli Hermocratis Proconesii. Et ego craterem, craterìs basim, et colum ad Prjr- taneiim dedl inemoriae ergo Sigeis. Si quid vero patiar curare me iubebo Sigeos. Et fecit me Aeso- pus atque fratres. - (50) Dove ella voglio che noti quelle prime parole della lapida - ^xjo^i-/.ovùi).i. - Phanodici sum - che dice qui di per se il monu- mento stesso, e quelle aìtv e finali - Kaì [x inórjGev 0 A'ia(>)no(7, v.ai ol à^elfsi - Et fecit me Ae^opus atque fratres-, che segue sì a dire il monumento medesi- 202 Letteratura mo , ma non già parlando in persona prima del tempo presente, come da prima avea fatto, ma sì Lene in terza persona del passato, ch'è per l'appun- to, come io le diceva dianzi: tale essendo costante- mente il linguaggio degli antichi monumenti. E qui pregandola a conservarmi in sua gra- zia, mi protesto colla massiima stima (51) Di lei chiariss. signor Professore di Roma a'29 di maggio 1838. Divmo Ohbmo servo ed amico Secondiano Campanari 203 IS O T E (i) V. la dotta lettera del eh. Betti al N. V. sig. Pacifico Ùiorgi di Mondavio inserita nel Diario di Roma del i aprile i85y, num. 20. (2) Macrob. Saturn. Ili, 4- Demarat. ap. Serv. ad Jen. II, V. 296. (3) Da conso, is, coìisuteré{m^ffw\i\istt). Voss. in Etymolog. (()\Lib. III,p. laS. (5) Varr. ap. Arnob. loC citi (6) luno, Festa, Ceres, Diana, Minerva, Fenus,Mars,-Mer- Curius, lovi, Neptunus, Volcanus, Apollo. (7( Le tav. stesse eugubine ne tacciono il nome, né pure ri- Corre ne''pontiricali di Numa. - Cf. Arnob. Il, pag. gS. (8) Museo Chiaramonti tav. B. (9) // E. V. 785. (io) Anche in questa trovi "quel non so che di duro, che parve di vedere a Quintiliano in tatte le statue d'etrusco lavo- ro ( Inst. orat. XII, 10), e più una certa tal qual rigidezza e ri- sentita maniera nel ritrovarvi de'muscoli, che quando non fosse per difetto dell'arte, potria dirsi che usala fosse espressamente dall'artefice per caratterizzare la forza propria del dio della guerra; (it) Visconti M. P. Ci tom. VI, B, I, IL (12) Mus. etrusc. tab. XL, num. I. (i3) Antichi monum. tav. XXXIX. (i4)Per ciò non mi starò contento alla sentenza dèi chiaris- simo Lanci, il quale pensò che in questa statua fosse rappresen- tato il genio della vittoria [V. il Diario di Roma iSSy. num. 32). Ed ella ben disse in quelle sue dotte lezioni agli alunni della pontificia accademia romana di s. Luca , che alati pur sempre furono nelle opere etrusche i geni delle divinità ( Betti degli antichissimi geni. Roma iSSy ); e per questo soltanto che man- cano al nostro le ali, non può dirsi che un genio egli sia. Ed el- la vide pure, come in quello specchio estrusco,di cui tenni non ha guari parola nella nostra accademia d'archeologia , alalo si fosse quel genio robusto e gagliardo e nudo della persona 204 Letteratura ( ^I<3PI1^ ) Maris, che dichiarai il genio della jorza. E cosi di- casi di tutti gli altri iddìi di tal natura e delle lase e delle stes- se figure della Vittoria presso gli etrusci, che vennero sempre o scolpite o dipinte con grandi ali alle spalle, com'è a vedere nel- lo specchio del Kircheriano quella hasaVecu^f^h la stessa Vit- toria in persona. {i5) V. il Diario di Roma iSSy, num. 27. (r6) Tale fu il giudizio del chiariss. P. Gio. Pietro Secchi della compagnia di Gesù ; il quale prendendo a dichiarare la etrusca iscrizione, che il nostro Marte porta segnata in una fim- bria della sua corazza,cosi pensa di leggerne e spiegarne le oscu- re parole. AEIAL . TRVTI . VISPV . NVME . VEPE cioè a dire AVEIAL. Quirinus Vibii filius nomine Vibius {F. il diaria di Roma i%'5'],num. ig, 24 )• Ed in quanto a TRVTI ((^mjWwms), ch'egli prese qui per no- me appellativo, disse esser questa una voce derivata da altra si- mile etrusca o identica colla voce latina trudis, in etrusco truti, spiegata per un'asta da s. Isidoro ( lib. XVIII, e. 7. de kastis ) e corroborato dalla greca voce AOPT, solenne per l'asta anch'es- sa; e che per un appellativo significante hasfatus { come lo si- gnifica Quirinus da Curis o Quiris proprio deìVasta nella lingua sabina ) avrebbe dato TVRVTIE; sembrandogli che questo ag- giunto di nome potesse assai bene convenire a Vibenna, eh' era venuto co'suoi etruschi contra i sabini in soccorso di Roiiiolo, chiamato poscia da' romani Quirino. Né dirò che questa inter- pretazione della voce TRVTI non sia ingegnosissima; ma s'el- la sia pur giusta e basata sul vero, lo vedremo in appresso. VISPV die' egli valer quanto Vibio , e VEPE un Vibia ancora, ossia un Vibio figlio di un altro Vibio [Vibiijilius nomi- ne Vibius) cioè Vibenna., per ciò che crede il dotto A. che Vi- benna e Vibio siano una cosa ed un nome ; e conclude che il personaggio rappresentato in quella statua sia il celebre Ce/e ^Z- benna, di cui abbiamo parlato qui sopra. Ma sia detto con buona pace di lui, doveva egli in prima riflettere, che quel suo Vispa né pure tirato con argani poteva trasformarsi in un Vibio. E come dissi di Vispa, dicasi ancora di Vepe, che per iscarabiare e travolgere che farà di lettere non gli verrà dato mai di tramutarlo in un Vibio. Più volle ricorre un tal nome in etrusche iscrizioni pubblicate dal Lanzi, dal Vermi- giioli e da altri. Le consulti il chiarissimo A. , e si convincerà della verità che noi gli diciamo. Statua Tudertina 205 Ma quando anche Vepe o Vispa valesse pur Fibio, sarà ve- ro che Vìl>io valga Vibenna? Io mi penso che nò: che flU'IlV o flU'l I 3 sai'^ stato per avventura chiamato , Vepe o Vispa non mal. E qui cade in acconcio di osservare , che il V di cotesto Vispa non è mica un V» come sì pensa il chiarissimo autore, ma si un T ben manifesto e lampante, com' egli stesso potrà toccar con mano , quando voglia prendersi la briga di fare un esalto confronto di tutti gliV con liT che sono in questa iscrizione, su la statua stessa , su' due facsimile che ne furono già pubblica- ti. Per ciò che, comunque alcuna volta la sbarra obliqua che va a posarsi sull'asta diritta di quel T scenda trasversalmente quando più quando meno in basso sull'asta medesima, quella lettera non perde mai tanto della solita e naturale sua forma , che possa confondersi con un V, che sono qui tutti ben chiari e da quelli grandemente diversi. E come ho detto di questo scambio di lettera, dicasi ancora di quell' E aggiunto da luì al suo numE { nomine ) coniato nuovo dì zecca. Che non vale il dire esser quel |v^ piuttosto che lettera un nesso : perciocché quando un nesso pur fosse , altri monosillabi non potriano da quello uscir fuori che un NI od un MI, come avvertito ha già il Lanzi. Ma fa per dannata ipotesi, che il ritratto sia quello v. 222 cf. TIII, V. 464. (t^) ^/ol. IF. -^ Chishull , Antiq. Asiat. 4- (51) Mentre stava sul punto di rimetterle questa lettera,sep- pi dal dotto mio amico sig. dott. Braun , che una nuova inter- pretazione di questa stessa epigrafe della statua tudertina era sta- ta qon ha guari publ>licata dal eh. sig. avv. De-Minicis di Fer- pio, ch'egli su l'istante mi procurò cortesemente a leggere. Il dotto A., stando al fac simile pubblicato dal Lanci , cosi lesse ed interpunse le parole della epigrafe AEIAL, ovvero AHAL, TRVTIVIS ( che il eh. Speroni in una nota aggiuntavi propone di leggere come io lessi TRVTI- TIS ) PYNVM fere;- che tradusse Trutivio Fono figlio di Aeia fece E quanto al FERE egli così saviamente la discorre » Fa. rer da/acio si ha in una lapide faleriese ( Lanzi ii, 538, 54^ ). Da ff«« deducesi il ialino facio, e quindi /ìirer risponde alfsce- runt, ed il fere ai fecit ofaciebat.-lì che posto (né vedo chi pos» sa contrastare in questo al oh. A. ) ella vede che sostituita VA all'È di FERE, il FARE o FERE della epigrafe tudertina può rendersi a mar.iviglin /èo/7 , come pensa il sig. avv. De- Minicìs sull'esempio del F ARER, fecerunt della lapida faleriese, quante volte non piacesse ad altri d! leggere EPE, come dissi di sopra, tolto di mezzo il digamma , o di dedurre il FERE etrusco dal greco (^ipu, afferò , dono ec. 209 Della educazione usata dagli antichi in allessare i loro figliuoli. Discorso di Pandolfo Collenuccio da Pesaro. AVVERTIMENTO. VVuesto libretto, che fu già dettato da Pandolfo Collenuccio pesarase, e appresso la morte sua da- to in luce col tipi del Sabini in Venezia nel 1543 per cura di Alessandro Collenuccio figliuolo di lui, è di tale rarità, che il ritrovarlo è quasi cosa da disperarne. Quel grand'uomo che fu lo Zeno, co- iioscentissimo al sommo di cose bibliografiche, scri- veva al nostro dottissimo Olivieri: » Spiacemi di « non avere questo libricciuolo, di cui sono moltis- « simi anni che ne presi questa semplice memoria (Venezia 7 giugno 1737) i». (Vedi letlere mss. dello Zeno nella biblioteca oliverlana al voi. 344 dei mss., e al voi. 1 delle lettere mss. dello Zeno p. 139 ). Ne certamente l'Olivieri giunse a trovarlo: poiché egli, tenerissimo com'era d'ogni cosa patria, per lo meno l'avrebbe fatto trascrivere. E forse noi co- nobbe neppure Giulio Perticar!, che si tenne al so- lo citarne il titolo, e ( a creder mio ) avrebbe spe- se di buone parole se V avesse avuto sott' occhio , per fare conoscere la soda sapienza racchiusa in quelle poche pagine. L'amico mio signor Marco Procacci, amantissimo di tutto che sa di bella eru- dizione, desideroso pur egli di vedere a mano di tutti quest'operetta , ne scrisse il suo desiderio al 210 Letteratura eh. sig. Bartolomeo Gamba, nome abbastanza nolo agl'italiani per non farne qui altri elogi : il qua- le avendo per avventura trovata l'edizione del Sa- bini nella biblioteca marciana, ne avendo egli agio di riprodurla colle stampe, fu sì cortese da trarne copia di pugno, e correggerne gli errori, e poi pre- sentarne l'erudito chieditore, onde ne usasse a pia- cer suQ, Del quale dono avendo a me gentilmente fatto copia il signor Procacci,e consentitomi ne dessi al pubblico buona edizione, io mi ci sono posto con animo volonteroso e lietissimo, ed ho per buou au- gurio il poter cogliere quest'occasione. Che ben mi pare questa» edizioncella debba tornare accetta a tutti i gentili cittadini 4^1 Gollenuccio , non meno che agli studiosi; e nella breyita stessa in cui è di- stesa , i savi treveranno cose nobilissime , e tali che apertamente dimostreranno molte dottrine intorno l'educazione letteraria dei figliuoli , le quali ora si hanno per nuove, e §i giudicano venute conseguenti al progredimento della civiltà, esser vecchie, e mol- to innanzi che a noi passate per lo capo degli arca- voli 4e'bisavoli nostri. La copia fatta dal eh. Gamba è fr^ i niss. della libreria del prelodato signor Pro- cacci , e porta le seguenti parole; » 20 maggio » 1837. - All'egregio signor Marco Procacci manda » B. Gamba la presente copia fatta per secondare » le rict^ieste fattegli con gentile lettera del dì 12 » febbraro 1837, ec, ». Appresso esso Gamba, con con quell'esattezza bibliografica che è da lui, ne dà conto dell'edizione del Sabini, e d'ce così : « Ij'uni- « ca edizione, che di questa bella operetta si è fatta, « porta il titolo seguente : Educatione usata dagli « antichi in allevare li loro figlioli, et come parti" « vano il tempo ad insegnarli le dottrine et le Della. Educazioise 211 « scìentle de le littere^ et altre cose da pelegrini « ingegni et an imi generosi ; composte dal magni" « fico cavaliere meser Pandolpho Collenutio da « Pesaro. A lo illustrissimo et eccellentissimo si" « gnor A Scanio CoIona duca de Tagliacozzi^ conte « de Albi et gran contestabili del regno di Napoli. « In Venetia per Gio<^>an Stefano Sabini MDXLIII « in 8, opuscolo di carte 1 1 numerate, una bianca « al fine, in cui è ripetuto lo stemma dello stam- « patore, consistente in un colombo con ramo d'u- « livo in bocca, e col motto: PAGEM MECUM POR- « TO. Quest'opuscolo esiste nella marciana di Ve- « nezia, e la presente n'è copia fedele, corretti gli « errori di stampa, e ridotta la ortografia all'uso a ora corrente «. Ho voluto recar queste parole, e a dare mag- gior fede al libro, e a crescergli onore manifestando che il Gamba vi ha posto mano, al quale dovrà o- gnuno saper grado, essendo principalmente da lui quest'edizione. Dico principalmente: perchè alcuna non lieve parte di gratitudine è dovuta all' amicò mio, che potendo a se usare del dono ricevuto, o ser- barlo a qual volesse occasione, ha ceduto alle mie brame, e gli è parso ottenere abbastanza, ottenendo che l'operetta, che era in sue mani, dovesse per me essere fatta di pubblica ragione. Sebbene a me poco più là è rimasto che la correzion della edizione^ in- torno alla quale certo non ho mancato di operare ogni diligenza, e confido esserne felicemente uscito; che se al tutto non fossi, valgami a scusa il buon vo- lere, e la cortesia de'benevoli che leggeranno. G. I. MoUTANARI 212 Letteratura Àie illustrissimo ed eccellentissimo signor Ascanio Colonna duca di Tagliacozzo^ conte di Albi e gran contestabile del regno di Napoli. Considerando tra me medesimo, signor mio il- lustrissimo, ritrovo che dalla vostra degnissima ca- sa sono nati tanti generosi signori, tanti cavalieri, tanti strenui capitani, quali si sono trovati in tanti egregi e sanguinolenti fatti in Italia da molti e molti anni in qua, delli quali lungo saria raccon- tare le virtìi, la forza, lo ingegno, e l'animo, essen- done pubblica fama a tutto il mondo: quanto siano stati amatori degli uomini virtuosi, e d'essa virtìi, e soprattutto del mestiero dell'armi, esercizio an- tichissimo della vostra generosa casa, l'hanno di- mostrato pili volte. Avendo io adunque in me rac- colto il tutto, e bene inteso, ritrovo che nelli vostri generosi figliuoli incomincian a risorgere e ad inre- verdire le piante della nobilissima casa: e vedendo- li atti e disposti ad ogni gran cosa, mi son delibe- rato dedicare a vostra eccellenza, ed a suo nome stampare questa operetta. E tanto pili mi accende il desio di farlo, quanto quelli del mio unico e sin- golare signore sono nepoti, e di vostra eccellenza amorevol fratello il duca di Urbino, acciò quella pili ferventemente s' inanimisca con ogni studio e sollecitudine far instruire e inseirnare le scienze delle lettere alli suoi gentilissimi figliuoli da'sapien- ti descritte ; e con quell'ordine come in questa pic- cola ma utile operetta si comprende, e con quel modo farli ammaestrare ed educarli ; o se non in tutto a quel modo, almeno in buona parte, per aver forse noi manco termine di vita che i nostri mag- Della Educaziotce 213 glori non hanno avuto ; perchè penso che alla viva- cità dello ingegno, che in loro ri splende, ogni cosa li sia facile, e tanto più considerando di chi sono nati, e da qual germine sono derivati s\ paterno co- me materno : e tanto maggiormente si doveranno accostare ed accendere alla virtù quando ritrove- ranno chi e suto Prospero, Fabrizio e Marcantonio, tre folgori di battaglia ai nostri tempi. Qual gloria non riportarono sotto il loro vessillo , qual eterna ed ìmmortal fama! So che superflua e forse presun- zione la mia si potrebbe chiamare col ricordare quelle cose che a chi è padre pare che non bisogni ( e se errassi, ne dimando perdono ): arditamente dirò bene questo, che molto maggiormente devo- no i figliuoli essere obbligati ai precettori delle dot- trine ed ai governatori dei buoni costumi che a'pro- pri padri, perchè questi loro danno solo Tessere , però subietti a morte, calamita, travagli e a molti pericoli che da fortuna nascono ogni giorno ; ma essi li fanno immortali, come dicono i sapienti, ed è ferma sentenza di Marc'Aurelio sommo imperato- re. Vostra eccellenza dunque si degnerà accettare il dono benché tenue e debile sia a sua grandezza ; lo pìgliera come amatore di virtù e di verità, col quale animo il servo suo glielo dona. 214 Di 'ico adunque che la felicita umana in nlun* al- tra cosa consiste che nella perfezione di quelle due potenze dell'anima, che sono principio di tutti li movimenti ed azioni umane, cioè intelletto e ap- petito. Questa perfezione per altra vìa non si acqui- sta che per la cognizione ed uso della verità^ quale è chiamata scienza-^ perocché scienza non è altro che infaliihile notizia di verità, e questa scienza in niun altro modo umano si acquista che per dottri- na, la quale per lo artifizio del precettore, e per io studio del discepolo si compone. Chi adunque è più dotto ha pili scienza, chi ha più scienza è più per- fetto. E però Aristotile, dimandato che difFerenza fosse tra li dotti e li indotti, rispose; quella che è tra li wV/ e li mortii giudicando quelli veramente vivi, che harlno ben perfetta quella parte per la quale slamo differenti dalli animali bruti, et alle intelligenze celesti e a Dio siamo simili, cioè Io in- telletto. Questa scienza adunque (quale il vero dotto ha a sapere, e per disciplina e per studio si ha da acquistare) è una sola: ma è composta di molte, le quali benché paiano diverse, e variamente secondo le necessita o cupidità umane si pratichino e se ne faccia distinta professione, nondimeno come da' sa- pientissimi è scritto, sono connesse e legate insie- Della Educazione 215 me, e l'una all'aUra, come per circolo, ritorna. Il quale circolo una sola scienza, quasi come un cen- tro, circonda, e per quella sola è ordinato, siccome è una sola verità ed un solo principio, al quale tutte le altre verità si dirizzano e dispongono: in tanto che, benché secondo la vulgare opinione chia- miamo dotti molti quali vedemo tutto dì esercitarsi in queste facultà lucrative, nondimeno se non han- no quel circolo di scienze (delle quali appresso di- remo), almanco in una certa moderata sufficienza, non si possono ne dobbiamo propriamente dotti nominarci il che manifestamente in due piìi usitate facollk si dimostra. Li scrittori piìi illustri dell'ar- te medicinale affermano essere necessario alla per- fezione del medico avere notizia di tutte le scienze speculative, e non solo hanno così scritto, ma pri- ma l'hanno voluto conseguire in effetto, come d'Ip- pocrate, Galeno, Avicenna, Cornelio Celso, e di mol- ti più nuovi leggiamo. Similmente nelli principii delle discipline legali è scritto, la scienza delle leg- gi non essere altro che notizia di tutte le cose di- vine et umane t e non è dubbio che le cose divine ed umane si danno per altro modo, che per esperien- za e disciplina di tutte le dottrine ( quali appresso nomineremo): il che ed Emilio Papiniano, lulo Pau- lo, Quarto Scevola, Salvio luliano e molti altri piì^i vicini all'età nostra, con esemplo confirmarono. Chi adunque vuole propriamente essere chiamato dotto, non avendo questo numero e quest' armonia di tut- te le dottrine, non solamente si attribuisce quello che non ha, ma viene contra li primi precetti della propria facoltà della quale fa professione. E se alcuno dicesse , questa essere sì ardua e difficil cosa che quasi si possa giudicare impossibi- 216 Letteratura le, e però non sìa da tentare, in più modi si ri- sponde. Prima. La natura ci ha dato lumi e istinti e attitudine al sapere , ed hacci fatto capaci della scienza di quelle cose, che Dio non ha riservate nel secreto dell'eternità sua ; ed essendo così, per con- seguirla non ci manca altro che ragione, ordine e modo. Il tempo e la età ci serve in quanto noi me- desimi non la facciamo breve col sonno, con li ozi, con la incontinenza, col vacare a cose inutili e su- perflue; e dove sia la prudenza dei padri, e la di- screzione dei precettori, e l'ordine dello insegnare, tutto si trova non solo possibile, ma facile. Ap- presso. Come la esperienza dimostra, ed Aristotile elegantissimamente scrive, sono molte facoltà quali non si debbono insegnare ne imparare se non fino ad un certo termine ; che chi volesse più oltre en- trare a specularle, non solo poco acquistando per- deria tempo a maggiori cose, ma il corpo e l'animo si renderia inutile alle operazioni virtuose. E Cice- rone dice, che in molte facilità una certa comune e reale intelligenza basta: e a chi tende al vero segno di scienza, ne pone il suo fine ad essere artefice o professore di una particolare dottrina, è assai e ba- sta non essere al tutto rozzo o inesperto in quella. Oltre di questo, ninno può dire, tale studio essere impossibile, se da tutti li sapientissimi è scrìtto, che sufficiente notizia si può avere di tutte le facultà , e se molti non solo filosofi ed oziosi ed antichi, ma principi ed occupatissimi e moderni hanno sufficientemente conseguito tale scienza. Quel- lo che da molti savi è stato scritto , e credibile ; quello che da molti è stato fatto, possìbile; e per modo di esemplo ( oltre dei prenominati ) a Pia- Della Educazione 217 tonc, ad Aristotile, a Teofrasto , Alessandro Afro- diseo, Plotino, leronimo. Agostino , Seneca , Plu- tarco, Plinio, Avicenna, Averrois, Alberto magno, san Tommaso, Piero d'Abano, Ioan Andrea, Baldo; et all'età nostra Francesco Aretino, Giovanni Mar- liano, Giovanni Pico di Mirandola, Ermolao Bar- baro, e molti altri, ninna cognizione di dottrina e mancata. Aggiungiamo esempli di maggior maravi- glia. ATessandro magno re de'macedoni, Giulio Ce- sare dittatore, Marco Catone censorio, L. Lucullo, Adriano, Marc'Aurelio , Alessandro Severo, Seno- fonte, tutti imperatori e capitani ; e nuovamente Federico duca di Urbino, e molti altri non solo occupati nelle cose familiari e civili, ma etiam nell arte militare, ottimi principi, ottimi capitani e dot- tissimi filosofi, quale disciplina è che copiosamen- te non possederono ? Non sono adunque da reputa- re Impossibili quelle cose che in sì luminosi esem- pli vedemo risplendere. Se adunque non è impossibile, e se ogni amato- re e studioso di verità deve per tal cammino andare, in niuno meglio ne più onoratamente riluce tale stu- dio, ne da niuno più facilmente si può conseguire che da principi e signori, e loro figliuoli, sì perchè tutte le virtù sono più luminose e più splendide nelli principi che nelli privati, sì per Infinite co- modità quali possono avere ( se già loro medesimi di liberta non si privano, o non vogliano del tempo essere prodighi). E tanto è men difficile nelli uo- mini di alto grado II conseguire tale effetto, quan- to in meno sottilità si hanno a profondare ; impe- rocché, secondo Apollonio, la filosofia nelli princi- pi vuol essere modesta, sobria e misurata ; e , se- condo Tullio, deve essere di poche cose, ma impor- 218 Letteratura tanti e buone , altramente sana cosa puerile e mo- lesta e inutile al governo delle cose pubbliche e militari; conciossiachè niuna cosa più inutile ne più ridicola saria, che vedere un principe magnanimo, ovvero un suo generoso figliuolo, occupato a specu- lare le suttilità di grammatica, o li sofismi di dia- lettica, 0 li calcoli mercantili e sordidi di aritme- tica, e molte altre minori particole delle minori fa- culth, la speculazione delle quali alli proprii pro- fessori di esse forse converria, ma alli grandi uo- mini e di cure pubbliche in tutto si disdice. Procedendo dunque al proposito nostro , poi- ché non altro che ragione e modo e ordine si ricer- ca per poter conseguire scienza , quanto all'iimana fragilità è concesso, è da sapere che quella faculta, mediante la quale si acquista questa scienza e que- st'abito di verità, si chiama per comune suo nome filosofìa, cioè amore e studio di sapienza, Quesl3L filosofia, per sua prima divisione, è par- tita e distinta in cinque parti: Zogica, matematica, fisica, etica, divina. L'ordine osservato da Aristotile e dalli antichi nel- lo insegnare e imparare tal faculta a'ioro figliuoli trovo essere stato questo. Partivano la età per nu- mero settenario, laudato , in questo caso, somma- mente da Aristotile; e li primi sette anni della in- fanzia deputavano a nutrire e validare e dispone- re attamente le membra, il corpo e la sanità del fanciullo con li debiti alimenti ed esercizi, ed a farlo ben fermo e robusto non solamente alli stu- di , ma a tutte le azioni della vita. Nelli secondi sette anni, che erano insino alli XIV, insegnavano DiiLLi Educazione 219 quella prima parte di filosofia chiamata /og^/ca, e in latino rationale, Questa logica ha cinque parti prin- cipali; cioè; Grammatica^ dialettica, rettorica, poetica, istorica, E per dire di ciascuna brevemente, e così di gros- so, qualche paroletta per intendere il loro fine: La grammatica è primo istrumento delle dottri- ne , insegna parlare e scrivere rettamente e con- gruamente la lingua greca e la latina, con le quali li nostri maggiori hanno scritto le dottrine e le scienze, La dialettica insegna il modo di difinire, di di- videre, e di dimostrare: che sono quelli tre mez- zi per li quali s'insegna^ e trova tutto quello che si può sapere nelle altre dottrine; e però la dia- lettica è chiamata scienza istrumentale ^ tutte le altre scienze. La rettorica Insegna bene e ornatamente e con eleganza parlare, e con efficacia persuadere. La poetica insegna restringere il parlare sotto misura di verso, con le sue debite proporzioni, e dilettare se e li auditori, ed elevare lo ingegno pro- prio a composizione quale possa insieme con vo- luttà giovare. La istorica forma la memoria, ammaestra la vita I dà lume e pratica alle azioni , somministra esempli e materia alle precedenti ft^cultà: in tan- to che tutte queste cinque insieme vengono a dare preparazione e disposizione alla parte razionale del- l'intelletto e della lingua. E però per le prime pili facili sotto filosofia razionale sono alla puerizia de- putate. 220 L E T T E^ A T U R A Nel terzo settennio, che è dalli quattordici anni insino alli vent'uno, insegnavano la seconda parte di filosofia, chiamata matematica, cioè scientifica, qua- le in quattro parti è distinta: Geometria, aritmetica, musica, astrologia. La geometria dimostra le proprietà e propor- zioni (l«lie quantità continue, longitudine, latitudi- ne, altitudine, e ciò che consegue da queste. ìSaritmetica insegna e dimostra le proprietà, passione e proporzione delle quantità discrete , e di numeri. La musica tratta la proprietà e la intelligenza e proporzione della voce, de'suoni, e della conso- nanza ed armonia che da quelle nascono. IS astrologia descrive la forma, li siti, e li mo- vimenti delle sfere e circoli celesti, e delli corpi stellari che in quelle si considerano. Intendo però di quella parte di astrologia chiamata teorica ov- vero motiva, non di quella ch'è chiamata iudiciale: perchè quella comunemente , come fallace , pare dalli savi assai reprobata. E perchè queste quattro parti di filosofia ma- tematica sono scienza ed arte, ed hanno loro prin- cipii indubitati , però quella età dell' adolescenza di questo terzo settennio n' è facilmente capace ; ed anche in molto minor tempo che de'sette anni si possono assai facilmente e sufficientemente im- prendere. Succede il quarto settennio, che è dal vìgesi- mo primo anno insino al vigesimo ottavo: e a que- sto era deputata la terza parte di filosofia, chiama- ta fisica, ovvero naturale, la quale perchè è più D:lla Educazione 22< arJua ed ha bisogno di esperienza (la quale li gio- vanetti non possono avere), però se li premette le due parti predette, e lei è riservata a questa piìi solida età. Ed è partita questa fisica in otto prin- cipali parti, quali cos'i comunemente s'intitolano: Fisica propria^ de coelo , de generatione et cor- ruptione, metheora^ de mineralibus , de animai de vegetabilibus et plantis., de parvis naturali- bus et animalibus. La fìsica propria tratta del corpo naturale mobile, assolutamente e semplicemente e natural- mente considerato, e delle sue cause e principii. De coelo tratta del corpo naturale secondo il sito e moto suo perpetuo e circolare, ch'è il cielo e le sfere superiori. De generatione et corruptione considera e trat- ta come li corpi naturali misti e composti, gene- randosi e corrompendosi, sì muovono alla forma. De metheora tratta dei corpi naturali misti, imperfetti, come sono venti, grandini, piove, come- te e simili impressioni. De mineralibus scrive di corpi naturali misti, perfetti, non animati, come sono metalli, sali, al- lumi, colori, e simili cose. De anima considera e tratta generalmente del corpo naturale, misto, animato, e della sostanza e potenza di essa anima. De vegetabilibus et plantis tratta di quelli cor- pi naturali, misli, animati, ma che hanno solamente le operazioni dell'anima vegetativa, come sono ar- bori, erbe e piante. De parvis naturalibus et animalibus- Quest'ot- 922 Letteratura fava parte descrive quelli corpi naturali, misti, ani- mati, che hanno le operazioni dell'anima sensiti- va, quali sono vedere, dormire, memorare, e simili cose; e tratta la istoria di tutti li animali bruti, e di ogni altra specie vivente d'anima sensitiva. Seguita appresso il quinto settennio, ch'è dal vigesimo ottavo anno in sino al trigesimo quinto; ed in questo davano opera alla quarta parte di fi- losofìa chiamata etica in greco, e da'latini morale. Questa è partita in tre parti principali: Etica, proprie, economica, politica. ISetica tratta ed insegna la instituzione morale dell'uomo considerato per se solo, in quanto dirizza le sue azioni al proprio fine, e frena e tempera le passioni deirappetito sensitivo, e col debito mezzo modera ed ordina le operazioni della volontà. La economica considera la instituzione morale e familiare dell'uomo, non considerato per rispetto di se solo, ma per la società domestica, e per le co- se necessarie alla vita e propagazione, come sono le mogliere, i figliuoli, i servi, li animali, e gene- ralmente tutte le cose urbane e rustiche opportune al governo della famiglia. Ju^ politica insegna il governo morale dell'uo- | mo, considerato come animale civile che in repub- blica può governare, ed ha ad essere governato : nella quale parte si comprendono e includono le faculta di ragion civile e canonica, tutte ordinate al bene pubblico. E perchè in questa età del quin- to settennio l'uomo ha più esperienza di dottrina q I di vita, ed è manco subictto alle passioni e pertui'- bazioni dell'animo, imperò convenientemente que» Della educazione 223 sta parte di filosofia chiamata etica a quest'età sì ri- serva. Resta rultimo settennio, il quale non ha altro termine che tutto li rimanente della vita, nel quale l'uomo instrutto delle scienze umane, speculative e morali, e quoJammodo purificato da ignoranza e da vizio, preparato alle dottrine piti alte , si leva da terra alla speculazione delle cose incorporee, immor- tali e divine, come sono le sustanze separate , cioè intelligenze, ovvero angeli, e la Divinità; e però suc- cede la quinta ed ultima parte di filosofia, chia- mata Dmna, ovvero Supernaturale^ ed in due parti distinta, cioè : Metafìsica^ teologia. La metafìsica è scienza acquistata, per la quale 8Ì perviene in notizia della prima causa e delle cose divine e separate per progressi e ragion naturale ; e questa realmente difende tutti i principii delle al- tre scienze. La teologia è scienza infusa e rivelata, supre- ma e nobilissima, ed è ultimo fine a che sono tutte le altre predette scienze ordinate : ha per fonda- mento li due santi testamenti vecchio e nuovo, sola professione della vera e santa religione cristiana , nella quale 1' uomo speculando e contemplando tut- to il resto della vita, avendo già informato l'intel- letto di quella verità e perfezione possibile che in principia dissi , è quasi fatto un angelo terreno per scienza e virtìi ; e non è dubbio che in questo mon- ido comincia a gustare quella felicità, quale nell'altra vita li è perfettamente promessa, cioè la vera beati- G. A. T. LXXV. i5 224 Letteratura tudine che nella perfetta visione della prima verità consiste. In quest'ultima dunque alcuni passano contenti e felici della sola speculazione e studio solitario ; alcuni pili abili di corpo e di grandezza d'animo e di fortuna, ritenendo nell'intelletto l'abito di que- ste scienze, le voltano ed applicano alle azioni uma- ne per la comune utilità delli uomini, con l'istrui- re, reggere, insegnare e governare. Le quali azioni, procedendo da tanta e sì alta dottrina, diventano mirabili e divine ; e se per sorte si trovano in un principe, veramente si può chiamare felice e beata quella patria e nazione che lo ha per signore, per- chè li fa g^ustare quella dolcezza di vita che dell'au- reo secolo dai poeti è descritta. Queste sono le prime divisioni delle dottrine e l'ordine d'impararle: equi si potria far fine, ma per satisfazione delle menti peregrine,che più oltre vogliono indagare, sono alcune altre notabili ed uti- li e piacevoli faculta che non sono nelle predette, ma per essere parte meccaniche e pratiche, e par- te scientifiche e speculative e piene di giocondissi- ma dottrina, sono state ridotte in libri e volumi elegantissimi da famosi scrittori, e sono cose da gentili ingegni ed animi generosi e liberali. Se si tacessino, io avria scritto imperfettamente, e massi- me perchè. In quanto alla parte loro speculativa , dipendono da una o più delle predette scienze , co- me per esempio dimostrerò ; però le ho voluto bre- vemente discorrere qui, perchè ciascuna di esse al suo settennio e al suo loco e tempo , come scienze facili ed accessorie, si possono vedere ed intendere. Verbigratia : Della Educazione '225 Agricoltura^ architettura^ pittura^ cosmografia^ medicina^ arte militare. L' agricoltura e subalternata alla naturale, ali* o astrologia e all'economia per la natura delle cose che in essa si trattano e adoperano, come piante e animali; per li tempi nei quali si hanno tali cose ad operare; per la conservazione e dispensazione delle cose che da essa si acquistano e ricolgono. L' architettura dipende parte dalla naturale, parte dall'aritmetica, geometria ed etica per il si- tuare delli edifici, per il calculare delle opere e spese per condurli alla d^bita proporzione; sì che possano servire alla comodità dell'edifizio insieme con la bellezza, e per la magnificenza dell'opera. La pittura e posta sotto la geometria, e sotto la minerale, per la prospettiva per rispetto delle linee, ombre e lumi, nelle cjuali cose la pittura con- siste, e per la mistione de'colori che in essa con- corrono. La cosmografia e posta parte sotto la istorica, per la intelligenza della natura dei lochi e delle cose gestite in quelli ; parte sotto la geometria e astrologia, per il vero sito dei lochi particolari che in cosmografia si disegnano. La medicina è sottoposta e dipende da tutte le otto parti di filosofia naturale, per le cause e se- gni delle infermità, per la cognizione di tutti li in- strumenti medicinali, e parte sotto la morale per la prudenza e onesta requisita nel medico; e parte sotto la strologia, per le osservazioni necessarie dei tempi accomodati alla curazione dei corpi. ìJarte militare similmente da filosofia non è esclusa. Questa è nobilissima ed antiquissima di tut- 226 Letteratura te le arti, ed è non manco necessaria che difficile, perchè è quella che difende e genera la pace; ed è la tutela delli ozi filosofici; e questa non dipen- de da una parte sola di filosofia, ma da tutte le predette scienze e dalle arti narrate di prossimo. La prudenza, la magnanimità, la fortezza, la elo- quenza, che sono parti principalissime dei capita- ni, dall'etica e dalla rettorica s'imprendono; la di- splicenza delle cose umane e terrene e l'appetito della gloria, dalla fisica e metafisica; la perizia mi- litare e l'arte J)ellìca, dalla poetica e dalla storica e dai lihri composti della disciplina militare; li tempi da incominciare le imprese, da astrologia; la provvisione delle vittuarie (che è la prima cura at- tribuita alli capitani), dall'agricoltura; la cognizione del luoghi, da cosmografia; e '1 comporre, e 1 mo- vere, e lo adoperare li instrumenti e macchine da guerra, da geometria. Generalmente chi va discor- rendo troverà questa gloriosissima facoltU militare avere origine e connessione e coUiganza con tutta la filosofia. Così è per questi esempli, e per le scienze e arti tutte enumerate di sopra, die tutte le cose crea- te, di che si può avere notizia, sono comprese sot- to la dottrina filosofica; e le particolari scienze es- sere così catenate insieme, che l' una senza l'altra (come in principio dicemmo ^ non si può se non diminutamente sapere , ed anche tulle facilmente potersi imparare con sufilciente notizia. E aggiun- go questo, che hencliè a molti di cjueste facoltà sie- no deputati li predetti sette anni, nondimeno per- chè r una apre 1' altra, e il tempo le apre tutte, sebbene la fanciullezza da principio non la inten- de (perchè ninna cosa in quella età è hene impre- Dell4 Educazioke 227 sa), nondimeno se alla bontà dello ingegno e viva- cità naturale del fanciullo si aggiunge la diligenza del precettore in partire bene il tempo e insegna- re le cose principali e d'importanza, si avanzerà molto tempo, e in molto minor numero di anni si avrìi suilìciente notizia di tutte le predette facoltà: quali da se non sono difficili, purché ordine e mo- do ci sia, e, generalmente parlando, prudenza. Ora non so se avrò satisfatto a tult'uomo, per essere stato breve:, questo so bene, che a me mede- simo non ho satisfatto, si perchè scrivo pili volen- tieri in lingua latina, e la dignità delia materia pa- re che lo richieda; pure penso aver satisfatto alla piii parte che non hanno così minuta intelligenza al sapere. Saria anche necessario, a compimento di questo, partire ancora tutte le facoltà nelle sue pro- prie distinzioni pili minute; verbi gratia, le parti di grammatica e di dialettica e di rettorica, e quante ne ha la poetica e la istorica , e cosi tutte le al- tre; ed anche saria ben convenuto scrivere e dare notizia di tutti li scrittori greci e latini famosi che in ciascuna di dette facoltà hanno scritto; e quali sariano prima da leggere e da imitare, si per em- pire prima lo intelletto di buoni fondamenti e buo- ne lettere, si per avere poi piìi chiara notizia e piti presta dclii altri scrittori meu necessari; nella cjual cosa oggidì tutti, o la maggior parte de'preceltori errano, ed i discepoli in disperazione ed in ignoran- za conducono. Avendo io aduncjue sì diminutamen- te parlalo, e così inettamente, ne dimando venia a V. E. e a tutti quelli che leggeranno la presente operetta, e parteciperanno un poco di danno insieme con me ( desiderando comunemente ognuno la bre- vità), li quali parteciperanno meco un poco di colpa. 228 Letteratura La conclusione di tutto si è, che di tutte le scienze si può avere sufficiente notizia, che esse han- no in se ordine, e che l'ordine dato dalli antichi è il sopraddetto, e per questa via ( se al mondo feli- cita si può avere, o tutto, o parte, o principio del- la futura in cielo ) senza ofFensione altrui e libera- mente si acquista. Lasso mo considerare a vostra eccellenza c|uan- ta dolcezza, quanta letizia di animo e quanta volon- tà deve essere cjuella di colui, che ornato di queste scienze conosce ( per quanto all'uomo è concesso ) il mondo, conosce se medesimo, conosce Dio. E pe- rò non è da maravigliare se tali uomini si levano da e terra e poco apprezzano quelle cose che il volgo estima, e se noi li riponemo nel numero delli dei; e cosi per il contrario può considerare V. E. qual dolore deve essere di molti, e spezialmente il mio, che tardi accorto di questo modo di dottrina non vi fui prima introdotto, onde non ho potuto gustare questa umana feiicitU del sapere , ed ora indarno biasimo la mia ignoranza, trovandomi in molte cose superflue e in vane cure intricato. E però con quanta piii riverenza posso , non per ricordo o consiglio ( che a vostra prudenza non bisognano ) direi, che avendo V. E. quelli vostri gentilissimi figliuoli, li quali nella indole e vista dimostrano attitudine ad ogni gran cosa, e ingegni e memorie vivacissime, che a buon ora li facesse in- trodurre nelle buone lettere e buone facoltà con questo ordine da'sapientissimi ritrovato, deputando- li poi a quello che più atti dimostreranno essere, e massime al glorioso mestiero dell'armi, esercizio pe- culiare della vostra nobilissima casa; nel quale, co- si dotti ed istrutti , tanto pili valeranno quanto Della Educazione 229 manco da ignoranza saranno occupati , e quanto le dotte scritture ed esempli lì faranno più savi e ani- mosi, conoscendo per questi mezzi di dottrina quan- ta stima si ha a far della gloria e della vita e delle cose mortali, e come se e altri s'abbino a governare. E tanto più, quanto !a scienza è cosa che mai da ca- rico, ne fatica, ne danno, ne impedimento alcuno, ma per tutto si porta senza impaccio, senza affanno, senza spesa; accompagna l'uomo in villa , in campo; da nelle avversità consolazione e fortezza, nelle pro- sperita ornamento e gloria, e fa l'uomo sopra li al- tri quasi un semideo; e in mezzo delle imprese e delle guerre si ricorderanno, che tanto maggior ca- pitani furono Cesare ed Alessandro , quanto , per essere istrutti di queste discipline e scienze, dimo- strarono al mondo la sapienza essere regina, e la fortuna obsequente ministra delle umane azioni, 331 VARIETÀ' Schiarimento del professore Zantedeschi ad una nota inserita nella Biblioteca Italiana dal sig. Antonio de Kramer in Milano. N. lei fascicolo di febbraio del i838 della Biblioteca italiana, pubblicato nel i8 corrente maggio, il valente chimico Antonio de Kramer pubblicò un nuOi>o apparato rotatorio elettro-ma- gnetico messo in moto dal magnetismo terrestre, e vi appose la seguente nota: „ In questi ultimi gioriii mi venne a notizia che un nostro giornale milanese, il Glissons, portava in data del 22 dicembre i83^ un articolo che annunziava avere il professore Zantedeschi immaginato un meccanismo per ottenere un movi- mento rotatorio in forza del magnetismo del globo, sostituito alle attrazioni e ripulsioni di calamite fisse. Credo però neces- sario di avvertire, che a quell' epoca il mio apparecchio , da qualche tempo ideato, era già in piedi, e permetteva anche dei felici esperimenti, che el)bi il piacere di mostrare sin dai primi giorni di dicembre ad alcuni distinti amici, che all' occasione potrei nominare ,,. A solo fine di togliere da questa nota qualunque dubbiez- za sul merito di questa invenzione, la priorità della quale è sta- bilita da pubblica data, credo bene osservare: I. Che il numero del Glissons,che porta l'annunzio del mio 232 Varietà* nuovo apparecchio elettro-magnetico, è il i55 pubblicato il 27 dicembre del iSoy. Omettendo la data della pubblicazione del giornale potrebbe in taluno ingenerarsi il sospetto di una qual- che antidata; precipuamente perchè il chiarissimo autore affer- ma, che la questi ultimi giorni soltanto, cioè in maggio, venne in notizia di quanto erasi pubblicato nel dicembre in Milano. II. Che l'articolo del Glissons annunziò non solo un mec- canismo immaginato da me, ma ancora diede una compiuta scientifica descrizione dell' apparecchio e degli effetti ottenuti. „ Annunziamo, dice il citato giornale di scienze, lettere ed arti ecc. , in questa occasione che nei movimenti ottenuti coli' elettro-magnetico ha immaginato il professore Zantedeschi un apparecchio, nel quale il globo tiene luogo delle calamite fisse, e le inversioni di polarità avvengono per le comunicazioni che si istituiscono fra due pilierl e le estremità delle spirali por- late da verghe di ferro dolce ( che intorno ad un asse verti- cale si muovono in un piano paralello all'orizzonte) mediante due canali circolari concentrici, ripieni di mercurio, che nelle direzioni nord e sud vengono divisi da sostanze coibenti. Perlo- chè se la prima metà del canale esterno comunica col polo po- sitivo di un apparecchio di Volta , e la prima metà dell'interno col negativo dello stesso apparato ; la seconda metà del canale esterno trovasi in comunicazione col polo negativo di un se- condo apparecchio , e per converso la seconda jnetà del circolo interno col polo positivo di questo secondo apparato,,. III. Che quantunque io non mi possa gloriare di essere nel novero dei distinti amici del signor de Kramer, acquali ebbe il piacere di mostrare sino dai primi giorni di dicembre dei fe- lici esperimenti del suo apparecchio, tuttavia posso affermare ch'egli volle con invito speciale graziosamente onorarmi, facen- domi visitare il giorno 25 dicembre del iSSy il suo gabinetto chimico fisico. Il primo apparecchio che io vidi , fu quello che venne annunziato nella gazzetta privilegiata di Milano nel i5 dicembre del 1807, e nella Biblioteca Italiana, novembre e di- cembre dello stesso anno. Fatta un'ispezione della macchina , gli dissi francamente che la disposizione delle calamite era quella di Davenporl , Cook , Silliman, Rcawick , e che il coni- Varietà 233 mutatore era lo stesso di quello della macchina niagneto-elet- tiica di Newraan. - Come lo sa ella? disse il siguor de Kramer. - Dai pubblici giornali, soggiunsi. - Da quali giornali? ripigliò egli. - Dal numero i4 del 29 ottobre del 1857 della Fai'illa , che è un giornale di scienze , lettere , e arti ecc. , che si pub- blica in Trieste, e dal giornale arcadico di Roma, in cui l'illu- stre fisico Pianciani pubblicò la descrizione della bella mac- china di Newnian con alcune sue importanti osservazioni. - Vegga qui, prosegui poi egli gentilmente, un mio nuovo appa- recchio , in cui il globo tien luogo delle calamite fisse. - Bello , bellissimo, io dissi, che lo stesso pensiero è caduto in mente ad entrambi! Ma il suo modello non si muove, manca ii commuta- tore. - Qui appunto è il mio imbroglio , conlessò ingenuamente il signor de Kramer. - Il mio apparecchio, ripigliai, è disposto in modo che si muove da se; quindi sopra di una lavagna , che era sospesa ad una parte dello stesso gabinetto, gli descrissi il mio modello col suo commutatore ( che è quello dei diafragmi, che ora veggo introdotto nella tavola annessa alla memoria pubblicata), soggiungendogli che io gliene avea data un'idea, perchè l'annunzio della mia nuova macchina era stato dato allo stampatore sino dal 12 dello stesso mese; che altramente non glie- ne avrei fatta parola. -Perchè? egli disse- Perchè non di rado fra scienziati avvengono delle piraterie; senza però che io in- tenda applicare a lei questa proposizione. - I\li fece appresso graziosamente vedere la ricca supellettile che precipuamente nella chimica possiede ; e in questa venne il signor Kreil. Io partii contentissimo di aver visitato quel gabinetto, e di aver co- nosciuto di persona un cultore felicissimo delle scienze chimiche. 234 Varietà' Alcuni salmi davìdici voltati in italiano da Giambattista Spina, X\ chsig.cav. Giambattista Spina di Rimino ha fatto dono alle lettere di un secondo saggio delle sue versioni dei salmi pub- blicalo, non ha mollo, in Bologna coi tipi del Bartoletti , e ac- collo meritamente con quell'applauso medesimo che l'autore si aveva di già meritato col primo, reso parimenti di pubblico di^ ritto parecchi anni sono. Intorno alle bellezze e i pregi di que- ste versioni, ci riserbiamo di dare a miglior tempo un maturo giudizio. Ora ci auguriamo che questo valentissima letterato , quando le pubbliche cure maggiore ozio gli concedano, voglia sal'sfare le brame dei dotti, i quali attendono di vedere tutto intero il libro dei salmi per lui vestilo di nobile poesia italia- na. Intanto per fare cosa grata agli amatori e conoscitori d el bello ci piace di qui riportare la versione del salmo LXXIII, uno dei più maravigliosi canti del reale profeta. C. Masetxj Salmo LXXIII. Vuoisi dal maggior numero de' sacri interpreti , che air uso profetico figurando il futuro , come presente , qui si deplori la miserabile oppressione del tempio e del popolo ebreo sotto il giogo di Antioco, xerchè di nostro supplicar fervente, O Dio, respigni il mesto assiduo suono? 11 tuo gregge percbè batti inclemente? Ricordati , che un di propizio e buono L'hai trailo a libertà di servo abietto, E cortese gli fosti di perdono. Varietà* 235 Ricordati , che questo è il tuo diletto Retaggio tollo all' ingoidigia prava; Che t'hai l'alto Sion per sede eletto. Or via sul capo de'superbi aggrava La man vendicatrice, e il tempio santo Da lor polluto col lor sangue lava. Un orrido frastuon successe al canto Del tuo fedel, che taciturno in foco D'ira si strugge a quell'ontoso vanto. Poser del tempio in questo ed in quel loco I trionfali serti, e fitti in alto Gli ampli vessilli son dell'aure gioco. Ecco le porte cadono con alto Fragor; che turbe furiose e dire Vi dier coi ferri , come ai boschi , assalto. Altre i sacrati altari arser delire , E l'alma sede, ove, o gran Dio, dimori, Gittan nel fango. Ahi! scellerato ardire! Disser concordi dopo tanti errori : Cessi a Dio colla rriole ardua e superba - Stolto servaggio di (estivi onori. Speme non ci conforta, onde l'acerba Sorte si muli ; qui non è profeta, Iddio memoria più di noi non serba. Signor, fin quando in sua nequizia lieta Andrà l'oste crudel, che sì te sprezza , Che non pone ai blasfemi argine e meta? Forse dall' imprecar prende vaghezza L'orecchio tuo , che gli empi non flagelli Col braccio domator d'ogni alterezza ? Che Dio , che re tu sei non ti rappelli ? Libertà da più secoli n'arrise Per te nel sen di perfidi ribelli. L'onde del mar dal tuo cenno divise Ne diero il varco , ma d'egual tragitta Non s'allegrò chi dietro noi si mise. Tu le corna del reo mostro d'Egitto 236 Varietà' Colà fiaccasti, e al popol d'Etiopia Desti le spoglie del famoso invitto. Per te cliiuser le pietre in larga copia I fonti , e il bel Giordan dal ricco umore Patì di linfe subitanea inopia. Per te ne allegra il mattutino albore, La notte apporta obblio ^ silenzio e posa; Riveste il sol d'alta virtù fulgore. Dalla tua man la terra spaziosa I termini conobbe, e il giro alterno La stagion mite, e la stagion focosa. Opre si belle del valore eterno Recati in mente, o Dio, quando i nemici L'alta possanza tua prendono a scherno. A tante belve i tuoi servi infelici Assai dier pasto ; non voler lo scempio Di quanti umili a te piegan cervici. Hai porto agli avi d'alleanza esempio Solenne , lo rimembra .• e poi consenti Che tiranno ai nepoli esulti un empio? A'guai , che si ne fanno egri e dolenti. Non s'aggiunga il maggior; l'alto rifiilto Delle lagrime pie delle tue genti. Sorgi, e di laudi t'offrirem tributo , Vindice sorgi ; tua ragion fa salda : Cada il superbo eternamente muto , Che la bieca rinfiamma ira ribalda. Varietà' 237 Sermone del prof. Vincenzo Valorani. S. Bologna i838. ( Sono carte i4- ) JJel prof. Valorani è stato fatto ricordo, e con quella egre- gia lode che gli si deve , in altri volumi del nostro giornale : dove si è detto com'egli sulle gloriose tracce del Fracastoro , del Bellini, del Redi intende a congiungere insieme la gravità delle dottrine ippocratiche Colia soavità delle muse. Noi dobbia- mo ciò ripetere nell'annunciare questo Sermone, nel quale non sappiamo se maggior sia la bontà delle sentenze o l'eleganza dello stile. Basti affermare, che quando i poeti scriveranno cose simili a quelle del Valorani, allora potranno Veramente aversi per sacerdoti della morale, allora ottener lode di aiutare poten- temente la civiltà della patria. Il sermone parla dei costumi del secolo. Eccone due saggi. Né tacerò di te, santo imeneo, Di cui l'are sfiorate e derelitte Giaceion dimesse, e par faccian richiamo, Nel silenzio feral che le circonda, De'be'tempi felici in che natura. Tenuta in signoria dal verecondo Pudor che avca pubblica fede, i primi E vergini suoi dritti a'piè del divo Tuo simulacro, inspirator dell'alme, Santificar solca con giuramento Puro, volonteroso. Era costume Verso il finir del sesto lustro (quando Sembra del corpo ogni vital potenza Toccare al suo meriggio, e in tutto a prova Al vigor dell'età risponde il senno) Che il garzon desioso alle paterne Speranze adulto, e tal che di consigli E d'opere conforto averne all'uopo Potea la patria, s'eleggea fra mille 238 Varietà' Costumate fanciulle una compagna. Bella di tutte doti ella recava Le primizie dell'alma, e di ricambio Lo sposo a lei, fra i vari don che farle Gli concedea fortuna, il primo affetto Offrir del giovia core iva superbo. E, se coglie nel segno il tardo e scarso Veder della mia mente, ab! non d'altronde Che dal portare angelici incorrotti Pensieri al nuzial talamo, e petto Integro e nuovo ai palpili di amore, Ebbe principio e fondamento quella Dei prischi parentadi aurea e beata Felicità, d'ingenue rinascenti Contentezze feconda, che traea Visibilmente in terra il paradiso. Oh! quanto oggi diverso il tempo gira De'connubii le sorti! Adulterata Da desir pravi e da malnati affetti L'anima, e da lascivia infranto e domo Il corpo annoso ai sacri intemerati Abbracciamenti d'Imeneo si serba. Quinci inanime e muta il freddo letto Preme sterilità, cui fan corteggio E le pallide noie, e il pianto, e il tardo Pentimento, e il dispetto, e la vergogna Incresciosa a se stessa, ed altre assai D'orridi ceffi e squallide sembianze Passioni che struggono nel seno Ogni germe di gioia, e fan dei dolci Lacci d'Imen catene aspre d'inferno: E se talora di fuggevol riso Fecondità li degna, informe e sconcia N'esce progenie, tacita e perenne Accusatrice del fallir paterno. Varietà' 239 Né mea vero è ciò ch'egli dice in questi altri vcròi intorno quel- la vei'gogna e viltà del secolo (così i posteri la chiameranno ) di profonder oro ed onori, come a'tempi di Caligola e di Nero- ne, ad nix istrione, ad un mimo, ad una Frlne che canta, E tu, Licon, che badi al canto, hai, dimmi, Largo petto di bronzo e fino orecchio , E cosi ben costrutto organ di voce Salda a un tempo e pieghevole, che ratta Scorra dalle più acute alle più basse Corde, e da queste a quelle in suon si vario, Quasi che duo cantor palano in uno? Hai bell'aspetto, alta persona, e studio D'atti e di passi da sapere all'uopo Sotto diversi signorili arredi Volto e guisa foggiar di trionfante Eroe francese o mussulman? Se tanto Arte e natura a te diedero. Il mondo E'tuo, Licone; che spuntata appena Tua fama, in pochi di sarà gigante: Che sorvolate l'alpi, e l'uno e l'altro Mare varcato, i più remoti lidi D'Europa assorderà delle tue lodi. E nascessi di schiavo, o fossi prole Oscura della terra, e gissi carco Di quanti può capir capricci e vizi Umano capo indomito e bizzarro. Non per questo sarai dall'aula escluso De'semidei terreni, o men famoso, O meno a peso d'or cercato e compro. Ci si annunzia un'opera che fra poco sarà pubblicata in ' Germania intorno alle belle arti siciliane, iucomiiiciando da'più ì remoti secoli fino a quello di 3Iicholnugclo e di Raffaello. N'è I autore il sassone Guglielmo Enrico Schula. Ciò che sarà, lo ve- G.A. T.LXXV. 16 240 Varietà' dremo. A noi frattanto non pare, clie all'Italia risulti alcuna vergogna dall'essere le cose nostre illustrate dagli stranieri. Ver- gogna piuttosto sarebbe che noi , incapaci di far cose lodevoli , solo cercassimo lode dal descriver le altrui. Ma onor grandissimo è il produrre al mondo grandissime opere, ed il lasciare che al- tri le cerchi con jstudio ed ammirazione, e le narri. Basti all'Ita- lia, che per Lorenzo e per Leone X abbia dato immortai prin- cìpio ia Europa alla presente civiltà; né le rincresca che il Ro- scoe prenda a far l'istoria di que'portenti dell'ingegno italiano. Le basti che abbia dato alle lettere il Petrarca ed il Poliziano, né le dispiaccia che le loro memorie sieno poste in luce dal De-Sade e dal Menchenio. Le basti, che abbia dato alle arti Mi- chelangelo, Raffaello e Capova,apoi volentieri conceda hlQua- tremere il farne le biografie. Le basj.i infine che Colombo sia suo, e plauda alle ricerche di Wasingtoa Irving e di Navarrete. Orazione di Ctimillq (Giordani seniore al doge Girolamo Priolo, e alcune parole di Giulio Giordani al doge Marino Grimani, ora per la prima volta pubblicate. 4- Pesaro dalla tipogra- fia Nobili i838. ( Sono carte i8. \Jeà.\z\one è stata fatta in soli 120 esemplari, ) Xlicco un altro bel dono, che dal dotto ed infaticabile professor Montanari si fa all'istoria di Pesaro. Sono due arringhe di due illustri patrizi di quella città, i quali fiorirono nel secolo XVI alla corte dei duchi di Urbino. Cosi fossero elle scritte per mo- do, che sì rendessero anche |preziose per maggior facondia ed eleganza alle italiane lettere ! Il che era da credersi soprattutto della prosa di Giulio Giordani, che fu uomo assai intendente del bello scrivere, ed amico e protettore di Torquato Tasso. Varietà' 241 L'operetta è dedicata all' emiaentissimo cardinal Ciacchi , siccome testimonianza della letizia degli eredi del defunto tipo- grafo Anuesio Nobili per la sua esaltazione alla sacra porpora. I fatti di Bacco e di Diana dipinti a fresco dal professore Frati- Cesco Podesti, per S. E- il sig. duca D. Alessandro Torlonia. K Jù cosa importante nou meno die piacevole per qualunque ar< lista o amatore delle arti del disegno il riconoscere in istampa i quadri da esso vedali; come è allresl di somma soddisfazione ali autore, che dipinse o sulle tele o sulle pareti, il vedersi molti- plicate le proprie fatiche e rese per dir così di pubblico diritto. Questo pensiero mosse il professore Francesco Podesti a fare che si ponessero in litografia le opere a fresco da lui eseguitene* palazzi del sig. duca don Alessandro Torlonia; nell'uno de'quali rappresentò parecchi fatti di Bacco, peli' altro quelli di Diana , insieme con altri soggetti, e scherzi di putti, cose tutte conve- nienti alla caccia. Queste litografie, eseguite sotto la direzione del sudetto professore , sono accompagnate da un foglio che ne descrive gli argomenti per maggior interesse del pubblico, al quale si offrono per associazione co'seguenti patti; Le litografie saranno a piena macchia in numero di 3^ tavo» \t, impresse in foglio reale colle corrispondenti descrizioni. "' Si daranno per fascicolo 3 tavole al prezzo di paoli xo,e di jpaolì 12 in carta della cina, pagabili all'atto della consegna. Le firme de'signorJ>che vorranno onorare col loro nome l'o- pera, si ricevono nello studio dell'autore posto in via s. Claudia num. 86, palazzo Costa. 542 Varietà' Rimembranze istoriche di amore, di Francesco Capozzi ec. La- go, tipografia Melandri iSS^. Nuovi canti erotici di Francesco Capozzi lughcsc Lugo per le stampe Melandri i838. J.A elio scorso anno per fare plauso alla cantatrice sig. Felicita Forconi le furono offerti da alcuni gentili lughesi dodici ana- creontiche composte dal eh. sig. Francesco Capozzi. Aggiravan- si queste Intorno a soggetti storici, i quali lianno dato luogo a vari drammi e tragedie liriche poste in musica dai più valenti maestri. Tali anacreontiche piacquero per la loro semplicità ed eleganza, nò mancarono il eh. prof. Vaccoliui di applaudire alle medesime nel giornale di Perugia, ed il sig. G. M. Bozoli nella Rivista Europea 3i gennaio i838 a carte i83. Ora lo stesso poeta ci ha donato un altro mazzolino di fio- ri: né poteva per certo insieme al conte G. F. Borea recar più gradito presente in occasione delle nozze dell'avv. Gio: Battista PiiccI colla sig. Cleuieutina Pasi. L'aitar d' Imene. Il passato. Il solitario. La pellegrina. La riconciliazione. Il pescatore. Il de' lirio. L' inganno- Il crociato. La fidanzata. La tradita. Il rim- provero, sono i titoli di queste dodici anacreontiche. Se 1' auto- re nel numero delle strofe e nella condotta del componimento ha preso ad imitare il Vittorelli, non lo ha peraltro seguito nel metro; imperocché ha fatto uso di versi rimati tronchi, e eoa molta grazia e naturalezza vi è riuscito. Queste poesie sono det- tate in huona lingua, e ben da esse si pare come il sig. Capozzi i si modelli sopra i classici. Solo però il consigliamo a non im- porsi il volontario giogo delle quattro strofe, come nelle ana- creontiche ad Irene fece sempre il Vittorelli , per cui meritò forse giustamente di essere ripreso da un dotto e gentile lettera- to suo amico. F. Fabi Montani. Varietà' 243 Institutiones iurls cìfilis a I. Pnsclialio Marinellio versibus expositae. Anconae anno MDCCCXXXy ex officina sarloriana. '- 8 7 10 3 3 nuv oioso 11 4 3 0 22 '4 1 00 5 >» 90 " 7 „ 6' » 7 " 9 " " 27 9 l 8 » 9 „ 1 0 " 9 j. ' '^ .. 9 „ 8 7 5 7 6 3 0 7 6 5 5 0 8 0 4 3 0 0 5 7 4 7 3 0 0 S m. SE A. S A. SO f. „ m. SSE d. S f. E .. .NE m. N d. 0 0 9 5 4 7 6 75 2 26 2 25 5 3 3 3 0 i ai 0 '4 '7 » ' aa 7 1 ( 5 125 4 5 7 25 3 3 3i 5 chiarissimo i a3 5 12 S '4 4 ■vaporoso ser. nuv. sp. chiarissimo '4 3 54 25 26 1 27 aS 1 U9 3o 6 1 3 9 5 4 S 7 28 5 0 '9 3 9 20 7 N d. SO m. 0 0 ser. nu. sp. chiarjssiniro 4 ^ 14 1 1 i5 5 N q, 0 S fmo- „ furioso SSO fmo. OSO fmo. S d. S '\. „ d. 0 0 SO m. S d. 0 0 SK m. SE d. K (j. 0 SO d. N d. 5 nuvoloso coperto 7 4 9 12 9 9 5" i3 10 7 1 2 IO 8 1 1 9 S 5 1 3 i5 nuvoloso m. nuv. sp. chiarissimo 0 0 0 4 1 25 1 00 0 5o 1 25 i3 8 6 7 S 8 6 17 1 0 m. nuv. sp. nuvoloso 7 7 6 '4 i3 5 i5 5 0 7 3 4"~~ 1 1 0 0 20 Q 3 3 6 clii.Trissimo nuvoloso '.'. 8 4 3 0 serenissimo 1 co|). piove ; niMoloso » 9 2 0 1 nn , nuvoloso j coperto rhi.nris.simo «i^BH ^iBBnb i Osservazioni Meteorologiche. )( Collegio Romano )( Maggio iS33. mat. 1 8i- ser. mal. 8'- ser. 3 S'- ser. mat. e^- sei', mal. §i- ser. mat. SI- ser. mal. 8^- ser. Baromet. nlat. si- ser. mat. 9 S^- ser. mat. Ser. i3 '4 i5 mal. si- ser. mat. si- mat. gì- „ )» 4 ,J )» 0 » 0 1) 5 4 „ 2 27 1 1 4 27 1 1 ò " " 28 0 3 1 0 0 7 1 3 ij 5 j, 3 >( 6 •» 7 2 0 " >i 2 28 1 7 0 7 27 11 5 0 1 0 7 11 .1 3 9 7 10 0 7 II 2 6 8 ser. mat. gi- ser. Term. esterno Termoiiielio mai. i niin. I21 5 5 3 !1 5 20 5 9 5 Igrom. Vento N q. O NNO a. i-vapor N lì N m. ) 9 5 23 22 5 ,1 4 19 5 '7 16 i3 i3 ;o 5 26 N d. NO m. N ni. 0 0 OSO m. s J. N q . 0 0 d. s m. ',\ S. d. O m. N d. 25 S d. 9 NNE .i 5 0 0 27 S d. 6 0 0 2 .5 N d. 4 0 0 0 N f. 20 jj m. 1 2 „ d. 9 „ iS S m. 5 " d. 2 0 0 '9 E d. 2 S „ I ^^ ■so sso Stalo del Qielo cliiatissimo nuvoloso cliiaiissimo ser. nu. s[i. vaporoso ( liiaro vap. uuvcloso eli i aro vap. iiuv. sp. nuvoloso cliianssiino 3 5 3 3'' 25 4_5o ^ 6 70 2 ser. vaporoso ser. vaporoso nuvoloso ser nuv. sp. nuvoloso piove 5o o5 fi 5 o ■_c Ì3 16 »7 18 »9 20 21 23 .4 25 2G 27 28 29 5o 5i Ore 1 Baromet. Terni. Termo mas. 18°' metro min. 0 11 io 12 11 Igrom. Vento S m. SO „ s „ Pioggia Evapor. 5lÌ5 Sialo Jel Cielo mal. si- ser. mal. si- ser. in Cd. si- ser. mal. gi- ser. mal. S'- ser. 28 0 "•7 7 0 0 12 16 I j I I "9 16 0 2 20 2 nuvoloso clilarissimo 27 11 li 10 „ 11 "4 0 0 7 0 21 2 24 2 N q. 0 S m. „ q. 0 0 0 S f. 5 5 coperto nuvoloso cliiarissimo 1.5 16 12 17 4 7 20 5 2 23 5 i i5 5 5 5 5 3 4 nuvoloso chiarissimo „ 10 ,. 9 » 10 „ 1 1 0 7 J 7 8 0 12 16 12 1 l 16 12 I 0 16 i 1 18 0 0 S m. E q. 0 0 0 S m. 0 0 N q- 0 SO f. 0 0 )i )' 0 f. „ <1. N q. 0 OSO f. S (1. '7 9 5 9 9 4 0 20 3 ser. niiv. orix. cliidriss. nuvoloso mal. si- tr. „ 10 )) ti „ il 28 0 5 0 6 0 3 0 18 0 20 3 3 5 mal. gi- ser. mal. si- ser. mal. Si- ser. mal, i l. mal. si- mili. si- spr. mal. si- ser. I 1 '7 i5 1 0 18 i3 17 5 0 26 0 0 20 1 cliiariss. niiv. sp. clii.niiss. 27 11 7 6 20 9 5 12 3 5 vap. n tiv. uuv. sp. cliiaiiss. 28 0 ~4 7 5 i5 '7 i3 iS 19 4 iS 5 7 25 2 0 52 1 0 I 0 52 18 so q. 0 S m. ,-, a. 0 0 S m. SO „ 0 „ „ q- 0 3 5 3 4 4 6 nuvoloso ser. nuv. sp. ■ cliiariss. ,, 1 0 1 4 12 18 12 1 0 20 16 10 „ 0 27 II 28 0 8 9 16 i5 '4 coperto 8 .7 3 iS "0 i5 4 20 0 i5 2 5 5 ENE d. S m. „ f- N a. SSO „ SO „ 7 3 nuvoloso vaporoso cliiarissimo ser. vaporoso nuvoloso coperto 22 4 3 5 1 5 8 5 5 3 i5 19 li 0 0 N q. 0 SO m. 0 0 SSN ra^ nuvoloso ser nuv. sp. thlariss. nuv. sp. nuvoloso oliiaiiss. \ aporoso mal. si- ser. mal. Si- ser. mal. si- ser. ,, 1 5> 5' 0 4 6 " 8 0 4 20 5 i3 5 ■2 1 1 1 ò 5 :T5l- 12 ■2 5 6 22 8 3 8 « )I J> 0 2/, 5 I 2 Y 7 '«il'Vf, i,. '\- x^^ NIIIIL OBSTAT E Jacopinl Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr. Doni. Buttaonl O. P. S. P. A Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patriareha Antioclienits Vicesg. B:i INDICE DELLE MATERIE Contenute nei voi. 223, 224. SCIENZE Barzellottì, Questioni di medicina legale ( conlinuazione e line). P^g^' ^ Cheliui, Saggio di geometria analitica , ( con una tavola in rame }. ,, 80 Aggiunta alla relazione dell'epidemia del i83i. „ ,3r Rossi , Sperienze stili' azione del subli- mato ec, e Analisi della materia pu> rulenta piovrniciile dalle cavità nasa- li di cavalli affetti da morva. „ (35 Malvica, Elogio di Domenico Scinà. „ \^o LETTERATURA Rossi, Della volgare epigrafia. ., i5o Vida, Poetica volgarizzata dal Barotti.,, lyS Campanari, Intorno alla statua tuderti- na del museo gregoriano. „ i85 Collenuccio, Dell'educazione degli anti- chi in allevare i loro figliuoli. „ ìog Varietà. Tavole meteorologiche. GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 225. ROMA NELLA STAMPEUIA DELLE BELLE ARTI 1838. SCIENZE Bilancio della cassa di risparmio in Roma per Fanno 1 837, e scritti fatti per la quarta gene- rale sessione della società tenuta il giorno 27 di aprile 1837. Eapporto e bilancio della cassa di risparmio per fanno 1 837 presentato dal sig. Agostino Feoli ragioniere, letto ed approvato nella sessione vi- gesiwaquarta del consiglio d'amministrazione te- nuta il dì 7 di febbraio 1838. -LTXi è scmhrato, o signori^ die per corrispondere alla fiducia sempre crescente che piace al pubbli- co di accordare al nostro stabilimento, non meno che a c|uella che in noi ripongono i nostri soci ed i nostri amministrati, nulla di più gradevole po- tremmo loro fare, che accelerare la compilazione del bilancio del 1837, il quale giustamente può at- tirare la curiosità di molti, perchè è il primo che G.A.T.LXXV. 17 250 Scienze manifesti le operazioni della cassa di risparmio di Roma di un intero anno. E nella convinzione che non disslmile dal mio fosse il vostro divisamento, mi sono affrettato, per quanto è stato possibile, di redigerlo, e vengo in oggi a sottoporvelo. Non ha luogo, che in questo noi richiamiamo l'attenzione dei soci sulT andamento della contabi- lita, nella quale abbiamo proseguito senza cambia- menti dai metodi in principio adottati, che la pra- tica ci fece esperimentare atti ad ottenere con sem- plicità e speditezza l'intento, come il fatto stesso lo comprova: poiché fummo pronti nel 31 dicem- bre scorso colla liquidazione dei capitali, ed inte- ressi contenuti in num. 4285 conti di depositanti, che in ragguai'devole numero ne profittarono, e lo siamo in oggi col rendiconto delT anno suddetto. Non defrauderemo delle dovute lodi i nostri im- piegati della cassa, dei quali l'assiduità indefessa, quanto disinteressata, ha contribuito al successo» Giudicammo opportuno di raccogliere nel cor- so dell'anno dai diversi rami dell'amministrazione le notizie sulla statistica della cassa, sopra i pro- gressi, movimenti e previdenze da aversi per la prosperità futura della medesima; e quindi con ap- posito separato ragionamento renderne istruiti i no- stri soci, come loro si ripromise in passato; onde è che queste piii non vengono a far parte del rap- porto contabile, unico scopo del quale è di dimo- strare i risultati del bilancio. Emerge da questo, che a tutto Tanno 183T le somme dai depositanti affidate alla cassa giungono a scudi duecento dodicimila cinquantuno, e baioc- chi 27. 5. Cassa Dt HispARMio Cioè: Resto di capitale del 1836 ^ Interessi sui medesi- mi capitalizzati il primo gemi. 183T -p^ Versamenti dell 8377^1 93,737 06 5 Somme ritirate in detto anno -^ 58,582 03 5 Resto dei depositi del 1837 Interessi sui mede- simi capitalizzati il 1.° luglio 1837 Interessi del secon- do semestre 1837 da capitalizzarsi. 71,437 3G2 257 63 5 31 l 135,155 2,246 2,849 2127051 03- '60 5 69- 27"5 Risulta egualmente, che le spese totali d'am- ttilnistrazione siano state di scudi 988, 09; e gli utili netti, di scudi 2336, 02^ derivanti dalla dif- ferenza fra gl'interessi attivi ai passivi, dalle fra- zioni nelle partite di frutti restate a beneficio del- la cassa, e da altri profitti ottenuti nelle transazio- ni delle rendite consolidate. Dal che ne segue, che le spese d'amministrazione gravitino di poco meno del mezzo per cento la massa dei depositi ed inte- ressi dei medesimi, e che gli utili netti l'aumentino m ragione di uno ed un quarto per cento. Paragonando tali risultati con quelli che addi- tano i prospetti pubblicati a tutto l'anno 1836 in- clusivo delle primarie casse di risparmio dell'In- ghilterra, della Francia, e di Milano e di Firenze, ci è di vera compiacenza l'osservare, che nelle propor- 258 Scienze zioni (logli Titili non si.imo punto al disotto delle casse anzidette , quantunque la loro posizione sia assai più della nostra favorevole, perchè tutte (frut- to dell'età che vantano) hanno un ragguardevole proprio fondo, l'interesse del quale accresce il cu- mulo dei sopravanzi, come sgrava il contributo del- le spese d'amministrazione l'imponente massa dei depositi a quelle affidati. Estranei per istituto a mire di lodi e di lu- cro, narriamo i fatti per ispirare confidenza: ed uni- camente desideriamo di avvicinare nei sopravanzi le altre più rinomate casse, acciò la nostra giungen- do a possedere un sufficiente proprio fondo, cogl' interessi di questo sia in grado di supplire alle spe- se annuali, e di beneficare, a senso del regolamen- to, i depositanti. In progresso di tempo ed a parità dì circostanze a buon diritto possiamo sperare di ottenere con esuberanza l'intento: e ne sia presagio il vedere, che la nostra cassa, dopo mi solo anno e pochi mesi di esistenza, ha aumentalo di 52 per cento il proprio fondo, che fu nel nascere di scu- di 5000, e giunge ora a scudi 7696, 81. È questa la più sicura garanzia che per lei offriamo al pubblico: è questa la maggior prova che possiamo dare ai nostri soci, di avere avuto la vo- lontà di ben corrispondere all'affidatoci incarico. Se l'uno e gli altri ne sono persuasi, noi non esitere- mo di dire - I nostri voti son paghi. - STATO ATTIVO E PASSIVO DELLA CASSA DI lUSl'ARMIO IN ROMA AL 3i DICEMBKE iSS;. DESUNTO D\L LIBRO MASTRO DELLA MEDESIMA SEG. LETTERA A. PASSIVO 5ooo Capitale delle azioni Se, Destimenti diversi Co: di, capitale. Se.[2o3922 Fondi pubbl Rinvestimenti con ipote- ca ....,, IConti corren- ti garanti- ti . . . . Rinuestimenti diversi Co: di\ frutti Se. Fondi pubbli- 1 ci .., . Se. Rinvestimenti 597 con ipote^ ca . . . - „ Conti corren- 269 ti garanti- ti .^ , 18 Se. 885 885 5o 28 53 ICassa Co: a parte di bonii al portatore in circola-i zione Se Delta Co: a parte di certi\ ficati fruiti Capitale di mobili e stampe\ per la rimanenza in esse-j re flZ3i dicembre iS^j- Cassa per effettivo contan-a te presso il cassiere . 969 aio 389 i455o 53 Sc.|220928|34 AGOSTINO FEOLI Visto ed approvato nel consiglio dei 'j febbraio i838. P. BORGHESE PRESIDENTE ROSPIGLIOSI COLONNA TORLONIA MORICHINI PR. DI SULMONA CAMPANA MARINI SACRIPANTE PIANCIANI GOZZANI Visto ed approvato da noi sottoscritti sindaci li 2 aprde J838. '^ F. BARBERINI L. CARDINALI DIMOSTRAZIONE DELLE RENDITE E SPESE A RIPROVA DEL DICOlNTRO STATO ATTIVO E PASSIVO Frutti parsivi doi'uli aia deposita/iti «/ 3i di cembro i83j ... Se Pagati i contan- ti. . . Se. Passati in capitale fruttife- ro ... „ Pagabili in forza di certifica ■ ti in cir- colazio- ne ... ,, Fraz io ni prove- nienti da partite di frutti in- feriori a baj. 01 ed interessi abbando- nati nell' estinzio- ne dei li- bretti . ., 946 54 5 5o.;6 3i 52 5 6367 8' Frutti attivi dovuti da diver-\ si al'^i dicembre i'ò'5'j.Sc.^ SiS^ 14 5 Esalti a tutto dicembre suddetto Se 7^71 61 5j Portati fra le attività . ,, 885! 53 8'5' '4 51 Frazioni restate a vantaggio, della cassa provenienti da\ partite di frutti inferiori IL baj . 01, ed interessi ab- bandonati nell' estinzione dei libretti Se Profitti nelle transazioni della rendita consolida- ta 26 262 Scienze Rapporto dei signori soci principe don Francesco Barberini e cav. Luigi Cardinali. Eletti sindaci nella terza generale sessione della società tenu' ta il 5 marzo 1838, presentato il giorno 1 aprile, SIGNORI Gli amministratori e il consiglio della cassa di risparmio hanno ottenuto quella fiducia , clie è la base fpndanientale delle istituzioni di simili specie? Hanno eglino preordinati nella loro antiveg- genza i mezzi per conservarsela, cjuando anche aves- sero a lottare con difficolta imprevedute ? Hanno raggiunto lo scopo, che gl'istitutori del-; I^ c^ssa si sono proposti con tanta lode? I calcoli, da'cjuali risulta il conto rcnduto pel ^837, sono regolari e in armonia degli atti e del- le giustificazioni? Ci sembrano queste, o signori, le questioni prin- cipali, cui ci ha chiamato a rispondere la vostra vo- lontà quando ci ha fidata la revisione del bilancio a termini del regolamento. Rispondendovi, faremo capo dal bilancio. I. Secondo il debito che ce ne correva, è stata per noi eseguita la revisione. Questo lavoro ha servito per confermarci nella opinione che ne avevamo preconcepita in seguito delle relazioni pubblicate dai sindaci precedenti e dal l'agioniere, La regolarità più scrupolosa regna in ogni par? te della scrittura. Cassa, di Risparmio 2G3 I lodevoli metodi i quali, indottivi dalla isti- tuzione, hanno ottenuto dopo il primo bilancio quel mi;^lioramento , che l' esperienza fece desiderare per viemeglio semplicizzarli, sono stati osservati a rigore. Quindi la speditezza nello stabilire più miglia- ia di conti: la facilità di risalire dal solo giornale, che ne è la chiave, ai principii ed allo sviluppo di qualsiasi parte della scrittura: la dimostrazione evidente della veracità del bilancio. Non poco concorre in ciò la nettezza e la di- ligenza che hanno adoperato nella parte della ese- cuzione i giovani collaboratori, la cui opera a buon diritto si merita la riconoscenza della società. IL Centonovantasei mila settecento trentasette sca- ldi versati nel giro di dieci mesi e mezzo in una cassa, la quale al chiudersi del conto precedente esibiva la guarentigia di cinque mila e sessanta scu- di, sono la dimostrazione più parlante dell'acqui- sto fatto dal consiglio di quella fiducia indefinibile, senza la quale tali istituzioni ne possono prospera- re, né possono durare a lungo. Dicemmo essersi limitato a dieci mesi e mezzo il tempo destinato a ricevere i versamenti, perchè durante il mezzo agosto e il settembre la cassa non fu aperta che alle restituzioni, III. Una simile dimostrazione di fatto depone in favore dell'antiveggenza adoperala dal consiglio per 264 Scienze conservarsi nel possesso di questa preziosa fiducia, anche a traverso delle difficolta che potessero so- pravvenire. Non dubitiamo di affermare, che la cassa ab- Lia già vinta una di queste difficolta, durante il pe- riodo di tempo, nel quale il cholera asiatico cagio- nò tanta alterazione nel pubblico e negl'individui. Altre casse di risparmio in Italia e fuori, poste nel- le stesse difficoltà, hanno corso pericolo di far pun- to se non erano aiutate da straordinari soccorsi. Ma presso di noi non è stato sentito il bisogno di alcuna misura straordinaria. E se una ne fu adot- tata, quella di restituire a vista tutte le somme do- mandale senza giovarsi della dilazione contrattata nel regolamento, ciò sembrava dovere anzi aggra- vare il pericolo. Ma era tanto naturale adoperare in cosi dolorosa circostanza una facilità indefinita nel restituire, quanto è naturale che la cassa di risparmio non rappresenta che gli avanzi e le eco- nomie del tempo felice, destinate a spendersi nel tempo della disgrazia. Ora questa spontanea e no- bile correntezza , la quale contribuì non poco ad aumentare e rassodare la pubblica fiducia, non si sarebbe potuta adoperare senza i mezzi che aveva preordinati il consiglio ne'conti correnti. Essi fu- rono bastevoli alle forti e straordinarie restituzio- ni, cui bisognò far fronte. A noi sembra, che la misura conceduta ai con- ti correnti, messa a paragone col limite accordato ai rinvestimenti ipotecari, sia il risultamento del- la persuasione, nella quale è il consiglio, che i con- ti correnti si vantaggiano a certo rapporto sui cre- diti ipotecari, considerata la natura del nostro isti- tuto. Questo istituto essendosi obbligato a rendere i ( Cass\ di Risparmio 265 capitali fidatigli dai depositanti, senza frapposizione di dimora, deve trovare preferibile quella collocazio- ne decapitali, che lo mette in misura di ritirarli con pari facilita. Questo poi crediamo che il consiglio pensi, senza perdere di vista la necessitk che i conti correnti sieno guarentiti di una pubblica incritica- Lile fiducia di bilanciare possibilmente la solidità reale delle basi, sulle quali riposano i rinvestimenti ipotecari. Presupposte queste condizioni, non ha potuto prevalere che il timore del ritenere infruttiferi i capitali, per rinvestirli in crediti ipotecari. Poiché non importa meno al bene della cassa la prontezza del rinvestimcnto, di quello che sia la facilita del ripeterlo. Una terza specie di collocazione, quella ne'fon- di pubblici, ad una garanzia europea accoppia co- stantemente la prontezza del rinvestimcnto; non esclude nel corso ordinario delle cose la facilita del ritiro ; e per soprappiìi è la sola, che governata con accorgimento ( come ha dato prova il consiglio di saper fare ) può accrescere il capitale attivo della cassa. Per le quali ragioni siamo persuasi , che il consiglio vorrà proporzionare alla massa crescente de'capitali depositati questa specie di collocazione. Questi sono i mezzi, che il consiglio ha sino- ra adottati a fine di conservare, anche a fronte del- le evenienze contrarie, la pubblica fiducia. V. Bisogna confessare, che la confidenza ispirata generalmente, e la saviezza di che sono improntate le operazioni del consiglio, non bastarono ancora a conseguire Io scopo, cui guardarono gl'istitutori. 2GG Scienze Ma lo indurre siffatte emendazioni nelle contra- rie abitudini procedenti dalla educazione, è opera che vuole raccomandarsi al tempo. Non è poco che, nel breve giro di diciannove mesi, qualche migliaio d'individui abbia gustato per modo gli effetti di un savio risparmio, da anteporlo all'esempio contrario della moltitudine. Sark parte del consiglio il veder modo, se pos- sa lo spirito pubblico di questa moltitudine essere adescato a veder meglio il proprio interesse. Certo co'soli versamenti che si desiderarono da- gl'istitutori, e che noi caldamente desideriamo, co- me si sarebbe potuto soddisfare alle spese, sebbene limitate al puro necessario ? Ma un altro genere di versamenti è venuto al soccorso della nostra società. Per questi ha potuto essa, senza alterare menomamente il suo capitale , soddisfare le prime spese d'impianto , e quelle di amministrazione. Per questi ha avuto modo di cre- scere il proprio capitale di duemila e seicento scudi. A nostro modo d'intendere, se la cassa di ri- sparniio col riuscire puntuale ne'suoi impegni , col crescere per una savia amministrazione i suoi ca- pitali, col meritarsi la pubblica fiducia, restituisce alia circolazione una parte di quella massa di nume- rario, che stagnante torna in tanto grave danno dei- la società, rende un servizio differente, ma non mo- no importante di quello che ha preso di mira. Confidiamo troppo nella rettitudine disinteres- sata e nella dimostrata prudenza del consiglio, per nutrire la fiducia che non saremo tassati di presun- zione osservando , che questa massa restituita alla circolazione diverrU tanto pili vitale, quanto più ri- partita nelle mani d'uomini o generosi o industrio- Cassa di Risparmio 20T si J doccile porta alla molliplicazionc compossibi- lo con la sicurezza de'conti correnti. Discorso di monsignor Carlo Luigi Monchini consigliere segretario. Letto nella quarta (generale sessione della società a tenuta il di 27 di aprile 1 838. La prodtizione delle cose godevoli è quella che soddisfa ai bisogni delTuoino. Ma se questi consu- ma quanto produce, non v'è aumento di ricchezza; la quale sta appunto nel!' eccesso delle cose pro- dotte sulle consumate. Non la perspicacia dclTin- gegno umano, non l'operosità e la division del tra- vaglio, non l' invenzione di macchine prodigiose , non Tassociamento de'capitali e delle industrie, fa- rebbe vantaggiare di un punto la pubblica prospe- rità, se al poter del produrre fosse uguale il fatto del consumare. Imperocché è il risparmio quello che forma ed accresce la ricchezza cosi dell'indivi- duo, come delle nazioni; e la provvidenza ha volu- to che l'uomo, anclie per l'aumento del suo benes- sere materiale, si avvezzasse a continue privazioni, e posponesse un temporaneo e fuggevole godimen- to ad un vantaggio stabile e futuro. Però le passio- ni e il vizio si oppongono a questo immutabile or- dinamento di cose: quindi generansl la miseria e il delitto, che rendono infelici ed agitate le società. Ma gli uomini benefici, a cooperare per quanto era in loro alla pubblica quiete e prosperità, divisa- rono con ispeciali istituzioni promuovere il rispar- mio e la preveggenza. Perciò s' istituirono nelle principali citta della eulta Europa le casse di ri- sparmio: perciò l'istituiste ancor voi, soci prestan- 2G8 Scienze tissimi, e in breve spazio di tempo aveste la beltà compiacenza di vederla cresciuta a gran fortuna. I risultamenti avuti lo scorso 1837, che stato il prima anno intera della nostra amministrazione, vi sono già noti dal bilancio e dai rapporti del signor ra- gioniere e de'signori sindaci da voi eletti» Ma perchè nessuna cosa che riguarda la vostra istituzione debb* esservi nascosta, è mio debito ragguagliarvi di altri fatti importantissimi che mostrano lo stato attuale dell'opera, ed informarvi de'principii che han gui- dato il consiglio nella sua amministrazione. E per procedere ordinatamente , vi parlerò prima di ciò che si rapporta ai depositi, cioè alla parte passiva ; dappoi di ciò che spetta ai collocamenti del dena- ro, cioè alla parte attiva della istituzione. Nell'anno 1837 sono stati fatti libretti nuovi nel primo semestre. . . , N.° 1728 ) 9^0^ nel secondo semestre . . . »j06l ) Ai quali uniti i libretti ch'erano al 31 dicembre 1836 1885 Si ha il total numera di libretti in, . . * 4674 Di questi sono stati estinti nel primo semestre »... a 389 ) t^ntc, nel seconda semestre ... « 616) Quindi i libretti ch'erano al 1 gen- naio 1838 sommavano a . . . . * . 3669 Cassa ni Risparmio La condizione de*possessori tlc'2T89 libretti è la seguente: 209 Inservienti ed artigiani venuti di persona Altri per mezzo d'incaricati Possidenti ed impiegati Luoghi pii ed opere pie . . . Incogniti per mezzo d'incarir.ati. N." 408) « 249) « 1094) 2789 « 374 ) « 664 ) Il numero de' deposi ti fatti co' so- prannotati libretti è slato nel primo semestre . . N.° 12148 ) «apr / nel secondo semestre. . « 6506 ) Le somme depositate furono nel primo semest. t^ 122,385.46 ) o^^qa 707 np k nel secondo sem. t^ 71,351.59,5) * * ' Le somme ritirate nel primo semestre t^ 19,465.45 ) f,^ f^Q«> n*^ ^ nel secondo semest. w 39,116.58,5 ) ^ '^^^»^-"'=>'^ De'nuovi libretti fatti nell'anno sono stati ( 665 fino a 7=^ 10 che in 44 domeniche so- no per ciascuna 7=^ 0. 22, 72 ( 368 « a « 20 « 0. 45, 45 (770 « a « 30 « 0. 68, 18 2789 (250 « a « 50 « 1.13,63 (253 « a ARAB0L4 considerata rispetto alla forma, diametri^ e raggio vettore. 43. L'equazione della parabola P/' — 2Rjc^=o, somministrando ,2R dimostra che ad ogni valore di x corrisponde una corda 2/*, la quale per x negativa è immaginaria-, per X ■= o, nulla, e però prolungata diventa tan- gente (§. 36 e); ed in seguito cresce continua per X positiva e crescente. Quindi la parabola, luogo geometrico di tale equazione, si compone di una branca con rami infiniti (fig. 10). Inoltre la mede- sima equazione dimostra pure che il quadrato delV ordinata varia in proporzion dell'ascissa. Se in Py — 2Rx — S = o, riesca R = o; si avrà j- = =t= {/— ,, la quale rappresenterà o un si- stema di due rette parallele, o una retta, o nien- te, secondoche sia — > , = , < o. Dunque varie- tà della parabola è un sistema di due rette pa- rallele, reali o immaginarie, distinte o coincidenti. 44. Affinchè l'equazione (A) possa rappresen- tare una parabola, abbiamo veduto dover risultare (§. 39) o = A/ -h Cm = Bm ■+• CI, donde 280 Scienze 'w A -C . '-j = -— = -^ 1 6 pei'ò C = |/ AB, ove al radi- cale converremo di sottintendere il segno =»=, secon- dochc G sia positiva o negativa. Ciò posto sarà m -]/~ k l m -; = ""TT-, e per conseajuenza -r— = — zr- == / KB *^ * KB -{/A K(^^ -h w"* 4- 2lmcosz) 1 l/"(A 4- B — 2Gco^2) K(A-J-B — 2Cco^z) ' dunque la direzione Im de'diametri è costante, os- sia tutti i diametri della parabola sono paralleli fra loro. L'equazione R' = o de'diametri, divenuta (A/'-f- 77i'i/'AB)x -+- (Bm' H- /'i/'AB)r = A7' -f- BW, ossia (/'KA -H m'l/'B)(xKA H-jKB) = AY ■+- BW, si cangia in A7'-4-BW mentre l'equazion più generale (A) della parabola assumerà la forma (2) . . . {x[^k -HjKB)' — 2(A'^ -i-B» — .D=o. L' intersezione del diametro (1) colla parabola (2), - A7-f-BW tatto -rm. '' — ;r == Qì si riduce alla mtersezio- ne delle due rette (3) . . . xi/-A-4-jrKB=^, A'x-i-B>=|(^^-D); e questa intersezione sarà l'origine a/3 della para- bola (B) (§. 39 a). a) Per determinare l'equazione (B) della para- bola riferita a due assi coniugati, avremo P' = {IVA H- myW)\ R-A7_^R' A^KB - B VA K = A/ -f- B W =: — -^ ■ , l/^(A -f- B — 2Gco^z) Geometria analìtica 281 . ,. , 2R 2(AyB — By-AV e quindi r = •^ = fr — n T, 7^ ^* ^^ la direzione l'm è principale , P' sarà la radice diversa da zero dell' equazione (yo ), e però sarà ,n ,r. w A-f-B— 2Cco^2 . ,. (§. 40) P' = , , e quindi sen~z y^ = 2-^-^^^ -X. (A -h B — 2Cco^z)''*"2 E la direzione /'«?', siccome perpendicolare al dia- metro (1), si trarrà da (§. 32 b. 28) \fk — coszi/'B l/^B — cosz[/'A 1 senz\/^{A H- B — 2Ccosz) b) Supponiamo parallele le due rette (3): sarà (§. 28 /) A' : B' : : l^A : l/'B. Sostituendo ■p B' = A'i/^ — nell'equazione (1), otterremo A (xKA 4- jrKB)' — 2 A- (xp/^A -h jri^B) - D =o, V A 1 donde xi^k H-jriAB = [A' ^ l^(A'' H- AD)]; l/^A la quale dimostra che nella fatta ipotesi la para- bola si riduce ad un sistema di due rette paral- lele , reali o immaginarie , distinte o coincidenti , secondochè abbiasi k'^ -f- AD >, <, =a o. Nota. La parabola (1) può considerarsi come generata dalla intersezione M ( fig. 7 ) di due rette MQ, MP aventi per equazioni xl/"A -f- /l/^B = gkj k'x -H B'j ^=. gk\ e mobili in guisa che le loro distanze OA* = A, 282 Scienze O'A:' = A:' dalla origine O, verifichino la (1), ossia rendano g'/t' — 2gk' — D = o. [ g-, g sono le rette che sugli assi {pc), {j) hanno le proiezioni (/"A, J/'B), ( A', B') ] Se prendiamo per nuovi assi le rette Ox, 0/ rispettivamente parallele a Mk , MA', i due trian- goli variabili 0^'P, OAQ forniscono ( a causa degli angoli OP^' = M = OQk , e di senM = seivg'g ) k r=:jseri'g'g, k' = xseivg'g^ e quindi .' ^^^ P . y ^ T •^— -^ ^—7- == CI, g- fewg-g- g- ^en -gg donde J''^'= — " ^ g'sen'g'g surrogando x ad x. E sì noli essere 'a' (§. 28. 2') gg'senzsen-g'g = AVB — B'j/'A, g^'senz = A -f- B — 2Ccosz. e ) Supponiamo che l'equazione (A) si riduca alla forma y^ = 2px, o che si abbia Br=1, A=/?, o=:A = G=B=D. Fermo ciò, sarà .„ Ar-hBW / 1. a = -,— >- ,— r=r =3 p — , ; e r equa- zione de'diametri j:1/^A -J- /KB = ^, diverrà y—p-*,'> donde :^,= £,. Sia xf il punto ove questo diametro attraversa la parabola: la direzione Ini delle corde coniugale a tale diametro, sarà pure la direzione della tangen- te t (§. 36 e) condotta pel punto x/, e però (§. 36 e) t = — rr = — , e qiundi — • = — ; t m ^ r p Gkometata analitica 383 donde / = — • == 2x: ila cui sì ricava che, qualunque sia il diametro (pc) icui si riferisce la parabola, la suttangente t è sem-' pre doppia dell'ascissa x, 2.*' P' = (/KA -I- wyB)" = m'% 4 = £- . P w" P , . . » 2R ,. Fatto -S;=yy, requazione / = — j? , diverrà j'^ =z 2px, e le coordinate a, /3 della nuova origi- ne rispetto alTantìca, date da a^/'A. -J- /3l/^B = q, A'« -i- B'p = ^{q"" ' — D), saranno w ' m Per mezzo di queste formule dall' equazione j-^=2px, relativa ad un diametro, si passa all'equa- zione y^=2p'x\, relativa ad un altro diametro. Se il primo diametro fosse l'asse principale, chiamato 9 l'angolo che le corde coniugate al secondo diametro fanno colla direzion diametrale Im, sarà l' = cosOf m = senB , e d' = , ex. = ^pcofO , B = pcot$ ; sen9 ove si avverta, che // prodotto del parametro p di un diametro qualunque pel quadrato del seno del- le sue corde coniugate è costante, ed è uguale al parametro dell'asse principale, parametro che però sarà il minimo di tutti. d) Data una parabola, per trovare grafìcameu' te la direzione de^ diametri basta condurre due cor- de parallele e dimezzarle: la retta che passerà pe' j^iuati medii di tali corde, sarà un diametro. Poscia 284 Scienze se conduciamo due corde perpendicolari a slflfatlo diametro, la retta che passera pe'punti medii di queste corde, sark un nuovo diametro perpendico- lare alle corde coniugate; sarà dunque l'asse prin- cipale. 45. Nella parabola y^ = 2px riferita air asse principale, esprimere il raggio vettore di un punto in funzione delV ascissa corrispondente. Soluz. Il raggio vettore (fig. 1 0) FM == t» con- dotto al punto M = (.r,jr), e l'ordinata MP=;^, danno luogo al triangolo rettangolo FMP = (t^, J", oc — 5yo), il quale fornisce 1 "4 1 v'^f'\r{x—^py=2px-hx''—px-\~'-'p—{x-\r^pY'. donde (; = x -f- 5/7, cioè il raggio vettore è uguale all'ascissa pia un quarto del parametro. Se 2p' sia il parametro del diametro Mx, avre- mo FM = v=x -+■ ip= (§• prec. e) ìpcoe9 + ip = i^^ = '^.2p, cioè il parametro relativo a un punto M della pa- rabola è (Quadruplo del raggio vettore condotto a questo punto. Nella parabola sì chiama direttrice una retta DL perpendicolare all'asse, al di Ik del vertice A per un quarto del parametro. a) Ogni punto m della parabola equidista dal fuoco F e dalla direttrice-^ ogni punto interno m è pia vicino al fuoco che alla direttrice, ed ogni punto esterno rri' è pia vicino alla direttrice che al fuoco. Infatti PD = x -H ^/7 = Fw, ed Ym <, Yni' > F/» = PD. Geometria, analitica 285 Quindi la parabola si può definire geometri- camente: una curva, luogo de punti situati ciascuno ad egual distanza da un fuoco e da una direttrice, b) Per un punto dato condurre una tangente alla parabola. Soluz. Il punto dato o è sulla parabola in M, o fuor della parabola in r. Nel 1.° caso si conduca il raggio vettore FM: poi ML perpendicolare alla direttrice DL: tirata FL, la retta MH perpendicolare sul mezzo H di FL, sarà tangente al punto M; essendoché, tranne que- sto, essa avrà ogni altro punto fuori della curva. In- fatti se da un punto qualunque r di questa retta si conduce rF, /L, ed ri perpendicolare a DL; si avrà rF = rL > ri, cioè il punto r più vicino alla direttrice che al fuoco. Nel 2.^ caso, fatto centro in r con un raggio = rF, tracciamo sulla direttrice un punto L, o L': la bisettrice rT dell'angolo FrL sarà tangente alla parabola, e il punto di contatto si troverà laddo- ve la retta condotta da L parallelamente all'asse (x), attraversa rT. Imperocché essendo la bisettrice rT perpendicolare al mezzo della retta FL , si ha ML == MF. Quindi rM è tangente in virtù del me- todo che precede. e) Giova intanto ritenere, 1.° che la tangente dimezza l'angolo FML compreso tra il raggio vetto- re ed il prolungamento del diametro Mx condotto pel punto di contatto; 2.° che per conseguenza un raggio vettore FM ed un diametro Mx, condotti ad un medesimo punto della parabola, inclinano con eguali angoli FMT, xMr alla tangente, e però an- che ad MN normale alla curva. (Quindi i raggi lu- minosi, e in genere lutti i raggi elastici xM parai- 286 Scienze leli all'asse, incontrando la parabola sotto l'angolo d'incidenza ^MN, dovranno riflettersi per MF sul fuoco, in virtù del teorema fisico, che nel rimbalza de'ragg-i elastici, l'angolo di riflessione NMF debbe riuscire uguale all'angolo d'incidenza xMN). d) Essendo l'angolo FMT = XML = MTF, il triangolo MFT è isoscele, e però FT = FM = j:? -+- 1^ = X -t- FA: dunque AT = xi dunque // verti^ ce A eqitidista dal piede della tangente e delV ordi- nata. Dunque l'asse ky passera per H, mezzo di MT. Dunque se dal fuoco si abbassano delle per- pendicolari FH = q sulle tangenti della parabola, il luogo geometrico de'piedi di tali perpendicolari sarà l'asse {f). E a causa de'trìangoli simili TFH, TNM, il fuoco F è ad egual distanza v dal piede della tangente e della normale, e q =^ ^n ^ e ]>JA = i^-f"^^=j:-f-/>, e per conseguente la sun- normale PN =5 p, cioè è uguale al seniiparametrQ^ Dunque MN -= » = l^NP.NT = l/2^«> , t = KTN.TP = 2\/vx. ELLISSE ED IPERBOLA considerate rispetto alla forma, diametri^ e raggio vettore, x" r' 46. Se nell'equazione -7- "H ti == 1» facciamo a b' successivamente j- = o, x = o, avremo in corri- spondenza X = =t= fl, J = =ti Z?, le quali equazioni rappresentano i punti (z±= «, o), (o, =t b), ove l'el- lisse attraversa gli assi (x), ( j^), e dimostrano es- ser due sifi'atti punti su ciascun asse , situati ad eguui distanza dal centro. Geometria analitica. 287 OC J . . , L' equazione -^ -f- — = 1 , somministrando jr =. :±: -^ y^(a^ — jc^), fa palese che ad ogni valore di X corrisponde una corda 2j", la quale, se x si allunga al di là de'limiti -t- a, — a, è immagina- ria; per a: = :i rt, svanisce e però prolungata di- viene tangente (§. 36 e); in seguito, a misura che X dentro questi limiti si accorcia verso il centro, cresce e nel centro sale aUa massima grandezza 2b. Potrebbe ripetersi lo stesso discorso alternando x, a con Y, b. Dunque l'ellisse, luogo geometrico di co- testa equazione, è una curva rientrante, circoscrit- ta dal parallelogrammo PQQ'P' ( fig. 1 1 ) costruito sopra i due diametri coniugati 2a, 2&, ed ha la for- ma ovale rappresentata dalla figura. Chiamato z rancalo compreso fra i due semi- diametri «, b, lì parallelogrammo PQQP' sarà = la.ibsenz = kabsenz. a) Supposti gli assi (.x), (j) ortogonali, 1.*^ ah- Liasi a ■== b : T ellisse si trasformerà nel circolo x"" -ir-j" = rz"- ( §. 2{ì e ). 2." Nell'equazione Vx' H- Pj* = S, risulti S ^= o : il primo membro essendo essenzialmente positivo, non potrà svanire se non con x^ f; e però T ellisse si ridurrà ad un punto. Se risultasse BA"-h AB'^ — 2A'B'G S = D -1 — o ( §. 40 b ), risulti S >, =, < o. b ) Nel caso dell'ellisse immaginaria è a nolar^ si, che Tequazion generale Ax' -+- ^j H- 2Cxy — 2 (A'^ -t- B» - D = o , jjosta sotto la forma C ^ 1/ A -h -^-^^ f -h vL rl/^(AB — C^) -h ^A A A'G-AB^ ,, AB" -h AB'^ — 2A'B'B -^- ^AB^^)^ -^ ABITC^^ ^"^^'^ mostra die fornirebbe sempre un risultato posi-; tiyo per cjualsivoglia valore reale di .r, y. 2 2 47. Se nelTequazione — • — —, c= 'l , facciamo a V successivamente j" == o, j: = o, avremo in corri-^ spondenza jc ^^= =±r «, y = rfc Z?^/ — - 1, le quali e-? quazioui manifestano che la iperbola attraversa l'as^ se (x), in due punti reali (rt rt, o ), e l'asse (jr) in due punti inimaginarii ( o^-±ib\/^ — 1), situati ad egnal distanza dal centro. ■> 3 X y Xi'equazione rr, — - .-,= 1 , somministrando a b' 7 7 2 J =: =t _ l/-( X' — «^ ) = d= - x|/-( 1 — 1 ), a a X dichiara che ad ogni valore di x corrisponde una corda 2j, la quale, se x si aldjrcvia dentro i limiti H- flj, -- « , è immaginaria ; per x = ± a, sK>a- nisce e però prolungata diviene tangente-^ in segui- to, a misura che x si allunga al di la di questi li- miti, 1j cresce continuamente, e progredendo ver- so l'infinito si avvicina, come a limite proprio ed fi .. . unico, ad esser = 2 -r , di cui per altro e sempre Geometria analitica 289 più breve. Ouitidi le due rette ^ = rt — jcr, incro- * " a ciate nel centro dell' iperbola, tendendo anìbedue a toccarla ad una distanza infinita, ne sono gli asin- toti, ed asintoti unici evidentemente al pari dell'i- perbola che abbracciano. Dunque l'iperbola, luogo 1 11» • ^ rti ^ \ • geometrico dell equazione j- = zfc — x\/'{\ -^ j,si a X compone di due branche simmetriche, ed infinite, separate sull'asse (x) da un intervallo 2rt, e conte- nute dentro gli angoli opposti di due asintoti in- crociati nel centro ( fig. 12 ). Da questa descrizione si ricava h . 1.° Che, a causa dell'equazion j- = rtr — x de- gli asintoti, la quale per x=« somministra j'==r±:Z', il parallelogrammo PQQ'P' costruito sopra due dia- metri coniugati (|ualuiique 2tìt, 2b, oltre di toccare l'iperbola co' lati 2a, 26, tiene i suoi vertici sugli asintoti. 2b 2.° Che ogni secante 2j^ = — x , che attraver- a sando l'iperbola termina agli asintoti, è dimezzata dal diametro {x) coniugato alla direzione di tale se- cante; e che per conseguenza, se la secante si muta in tangente, la porzion della tangente compresa tra gli asintoti, sarìi divisa in due parti uguali dal pun- to di contatto. rt ) Se gli assi (x), (j) siano ortogonali, ed ab- biasi a = b\ l'iperbola prende il nome di equilate- ra. Se nell'equazione Vx^ — 1*^^= S, risulti S -=: o; P si avrà/ = it x 1/^—, , la quale rappresenta un si- 290 Scienze sterna (li due rette divergenti- Pertanto le varietà della iperbola si riducono ad un sistema di due rei" te divergenti. E l'equazion generale (A) rappresen- terà un'iperbola, o un sistema di due rette diver- genti, se con AB — ^ C' ) , è Uguale ad Uno di tali parallelogrammi* Dunque 1' equazione \ x^senQ = ■—• ddsénè, significa che il parallelogram- 4 mo costruito sulle coofdinate asintotiche x, jr, pre- se per lati, è costante, ed e uguale alla metà del parallelo grammo costruito sopra, due semidiametri coniugati, presi per lati, AU'eqUazion precedente si perviene ancora co- s\. L'iperbola a b a ha b può considerarsi come generata dalla intersezione delle due rette ah ab parallele agli asintoti, e le cui distanze k, k' dall'o- rigne 0 ( fig. T ) variano continue in modo da veri- ficar la (1), ossia da rendere gg f^^ = 1 • C gì g sono rette che sugli assi {x), (j) hanno le . . . , \ 1 1 ^ V proiezioni (- , — -r), (-, 7)]. a b ab Se prendiamo per nuovi assi gli asìntoti, e os- serviamo essere 'gg = ti — 0, si avrà (§. 44 nota ) , , ,, , 2 k i=sjsenB , A: = xsenO , ggsenzsenO = *-; (§.28.2), e quindi Tequazlon della iperbola tra gli asintoti xjsenO = ^ absenz. 202 S e I E N z r /|8. Nfìirellisse e nc!!'i[)ci'i)ola due raggi o se- mìdiametri si diranno coniugati o principali, se le loro direzioni siano coniugate o principali. Nell'espressione generale S i'"^ = -—, T:77r~ *!' un racffio v condot- A/^ -t- ^m" -i- 2Clni ^"^ to dal centro alla curva ( §. ^7 b ) ., supponiamo che la direzione Im sia principale: sarà ( §. 40) A/^ -H Bni^ -+• 2Clin = p -, ed il raggio principale S ^ ^ S SI trarrà da v^ = — , donde p = — . I quadrati p ^ v^ ' dè'raggi principali sono adunque reciprocamente proporzionali alle radici delt equazione {p) (§. /|0). Nell'equazione {p) fatto AB — G^ == U, sosti- S ... v'' . tuiamo — • a », e moltiplichiamo tutto per — : si v^ ' ^ * U otterrà S S=» G') . . . v-' — (A 4- B — 2Ccosz) — l'^-h — sen'^z =o. Quest'equazione, ridotta che sia al secondo grada facendo v^ = p, rappresenta colle sue radici i qua- drati de'raggi principali; e collo proprietà dc'suoi coefficienti vale a mettere in evidenza i rapporti tra i raggi principali e im sistema qualuncjue di raggi coniugati. Supponiamo che l'equazione (A) si riduca alla forma a'^/^ r±: Z>^x^ = =±i « -Z/'^, o che si abbia A = rb Z>'% B = d^ , C = o , S = rt: d^h'^ : sarà . , S U = =!= rt-Z'', --=1; e l'equazione [y) diverrà e* — (a ^ =i: b'-\'-- rt d"h ^sen^z = o, la quale , chiamati «% rt: Z>" i quadrati de' raggi Geometria analitica 293 principali, lia per radici a%±Z>^ Avremo adunque per la teoria dell'equazioni a'2 d= h'^- = a' =b Z;% a^b'^sen^z ^ a'b\ Dalle quali formule si deduce: 1.** Glie nella ellisse la somma, e nella iper- Lola la differenza de quadrati de'' diametri coniugati è costante'^ 1? Che helVellisse ed iperhola il parallelo- gfnmnio costruito sopra due semidiametri coniuga- ti^ presi per lati, è costante. Nota (fìg. 11). Il parallelogrammo PP'Q'Q cir- coscritto all'ellisse e costruito sopra due diametri coniugati, oltre di esser costante, è il minimo di tut- ti gli altri parallelogrammi circoscrittibili alV ellis- se. Infatti consideriamo il parallelogrammo SrrS' circoscritto all' ellisse in guisa , che i diametri paralleli ai suoi lati non siano coniugati. Il lato SV = T^ sarà >> ah. = PQ, essendoché i lati SS', rr , sono esterni all'ellisse. Quindi il parallelogrammo S/ è maggiore del parallelogrammo PQ , avendo maggiore la base SV, e comune l'altezza. a) Nell'ellisse ed iperbola a''j''-±:b^X" = -±:a'b-'.t supposti principali gli assi (x), (jr)j analizziamo l'espressione di un raggio e, condotto dal centro al- la curva in una direzione variabile Im. Per l'ellisse si avrà a^"" 1 1 a^- = b' b^ a^- Ora questa formula, ove si avverta essere a^ 1 = /^ -f- nv^, rz- >• b^, e però r-w"' -f- /" !> 1 . in- -\ — - /^ <; 1, manifesta clic nell'ellisse i raggi 294 Scienze principali (7, h limino la proprietà di essere, runa il PIASSIMO, e r altro il minimo deragli. Per l'iperJDola si avrà «2^2 1 \ /2 — 7712 y^j2 l^ E questa formula, ove si rifletta die il denomina- tore è massimo quando è massima la sua parte po- sitiva e minima la parte negativa , dimostra che neir iperbola i due raggi principali sono i minimi, Vuno de" raggi reali o trasversi^ V altro da' raggi im- maginarii. b) Allorché Tequazìone fA) è a'j^-±J)''x^=^:^''b^j e però A=rbZ*^, B=a% D==tra''Z>^, o=A'=B'=G; (essendo (a,), {j) due diametri coniugati qualunque) 1-° L'equazione generale de' diametri R' = o, diventa , ay =p b'^x a^mr rb b^l'x = o, donde -77-= ? — . / m Sia xy il punto , ove questo diametro attra- versa l'ellisse o r iperbola: la direzione Ini delle corde coniugale a tale diametro, sark pure la di- rezione della tangente f condotta pel punto xy (§. 36 e), e però (§. 36 e) ~^i ~T . ^. il r IT ^= -7'= — '^, e quindi = — - — ■ , donde / ni a'^y ■=^b'^x «2 j) 2 a^ — x^ ti = j . — . = ( 1 ; -+- b X X e la distanza OT = x — i ^^ (fig. 9) tra il centro O e il piede della tangente sarà = — > , cioè terza pro- X porzionale dopo x ed a. Geometria analitica 295 2.^ L'equazione Q = o, diventa m m q::&' a'mììi^ =t ÒHI = o, donde —..-- = / /' «^ ' la quale dimostra che nell'ellisse, essendo --. , — < rapporti di segno contrario, due semidiametri con- iugati non possono esser abbracciati imbedue dall' angolo di due altri semidiametri contigati; e che all'incontro nell'iperbola, essendo --- . -i del me- desimo segno, l'angolo di due semidiametr. coniu- gati contiene l'angolo di due altri semidiamebi con- iugati, oppure ne è contenuto. S S Fatto — ' = a 2, -<= rt b'^, l'equazione Vx^ -4- ?>=* = S, fornisce -7-=t 77 = 1. a^ b" Per mezzo di queste formule dall'equazione riati- va a un sistema di diametri coniugati, si passaali' equazione relativa a un altro sistema di diamtri coniugati. x^ y"^ e) Nell'ellisse ed iperbola -^ d:: 7^ = 1 , le ce- de che uniscono gli estremi di un diametro 2a ci un punto qualunque xj della curva, si dicono ce de supplementarie. Le direzioni Ini, Im di due corde supplente tarie i^, 296 S e I E » 35 E e terminando ambedue al pùnto xf, somriilnistrano •r — a j X ~h a j- '' m L m x^ — a^ J^ e molttplican), 6» gli angoli onde le carde siippleraertta'* rie d&'/inano dal primo asse 2a, si avrà tang''= 1 éctjig compreso tra le due coide suddette , ,, tarisi — ians(ù laviioc"^ — aA z+zQb^ taT.e(a—'J)=- — ^ È_— / \ — '= . 1-^tangc>)tangc>) (a^— ^2j.^2 ^^^2^ An.lizziamo questo risultato, supponendo jr positiva. 2b^ 1 .° La formula tang{oì — wO = , prova cfe, unito un punto M della ellisse cogli estremi ell'asse «A = 2tf, l'angolo aMk = a —-ci, avendo i tangente negativa, è necessariamente ottuso : il he d' altronde si rileva osservando tutti i punti ella ellisse essere interni alla circonferenza de- critta sopra «A come diametro. E poiché un an- olo ottuso è tanto più grande, quanto minore è l valor numerico della tangentCj ne segue che l'an- olo «MA cresce con j , ed è massimo quando j' e lassi ma, cioè = b. Cosi i diametri coniugati aper- col massimo angolo da una parte, e però col mi- imo dall'altra, sono paralleli alle corde che uni- Geometria analitica 297 scono nn vertice del secondo asse coi vertici del primo, e di più è facile a vedere che sono eguali tra loro, e però a [/'2{a'' ■+• b-) (§• 48). 2è= 2.*^ La formula tang.{(o — ^ co') = , dimo- aey- stra che nella iperhola 1' angolo «MA = co — w' , avendo una tangente positiva , è sempre acuto, e diminuisce continuo, allorché j- cresce continua. d) l^rovare graficamente gli assi principali di j wi ellisse od iperhola. Con un raggio tirato dal j centro alla curva, si descriva un circolo, che sarà I diviso in quattro archi dalla curva: i due diametri dimezzanti questi archi, saranno gli assi richiesti. j Infatti i punti, ove il circolo taglia la curva, de- I terminano un cjuadrilatero di cui ciascun angolo I insiste sojira un diametro; determinano cioè un ret- tangolo: i due diametri coniugati alle corde rap- presentanti i lati di tale rettangolo, saranno per- pendicolari alle medesime, e però assi principali. 49. NelV ellisse ed iperhola (§. 42 e) y^ "-= {\ — e^)(a^ — x"^)^ esprimere i raggi vettori di un punto in funzione dell'ascissa corrispondente. Soluz. I raggi vettori FM = (/ , / M = i^' del punto M = (j^-, jr), e l'ordinata MP =jr, danno luo- go ai triangoli rettangoli FMP = {v, r, ^ — ae) , fM.P=(\/,j, jc-irae), il primo de'quall somministra v^=j^-^{jc--aey={]—-e^){a^—x=)-\'{x—aey=ia — ex)\ Da qui l.'' per V ellisse (a causa di e<;i, Jc, cangiando il segno di e. Quindi t' = « -f- exi, e per conseguenza v -t- v == 2«, cioè la somma de raggi vettori di un pulito^ è uguale al primo asse'* 2." Per riperbola (a causa di e ^ f , x^di e pero ex^a) si trae i> S3 ex — ai I il valor di / può dedursi evidentemente dal qiieila j di (^ cangiando il segno di a. Quindi | i> = ex '■i' a; l e per conseguenza \y — • \f =^ 2flf, cioè /a differenza \ dé'raggi vettori di un punto è uguale ut primo asse* i a) La somma delle distanze ai fuochi di agni ì punto situato dentro Vellisse, e minore del primo j asse'^ situato fuori, è maggiore. Infatti 1 .*' fni -h /?/F < /M -i- FM = 2a. | 2° fni' + ni'Y >/I\H- FM ^ la. Quindi t ellisse si può definire geometricamen- te: una curva., luogo de punti per ciascuno de' quali la somma delle distanze a due fuochi è costante. La differenza delle distanze ai fuochi di ogni punto situato dentro V ìperhola^ è maggiore del pri" mo asse; situato fuori, è minore. Infatti 1 °.fm-FnY^=fni-(Fm-'mm )=fm'-^mni-Fm'^fm-Fm, 2.°fn—Fni'^{fn'^mni')^rmfr — rh = fr — rF. Nel 2.^^ caso, fatto centro in r con un ra2;£fio ' OD 5= rF, descrivo una circonferenzai poi fatto centro in f con un raggio =:= 2fl, descrivo un'altra circon- ferenza che intersecherà la prima in due punti, uno de'quali sia L: la bisettrice dell' angolo FrL sarà tangente alla curva, e il punto di contatto si tro- verà laddove la nominata bisettrice incontra il rag- gio /L in M. Imperocché essendo la bisettrice rM perpendicolare al mezzo della retta FL , si ha ML = MF. Quindi rM è tangente in virtù del me- todo che precede, e) Giova intanto ritenere, 1° che la tangente dimezza l'angolo FML, il quale nella ellisse è sup- plemento^ e nella iperbola è uguale a quello for- mato dai raggi vettori condotti al punto di contat- to; 2.° che per conseguenza i raggi vettori condotti ad un medesimo punto della curva, declinano con angoli eguali dalla tangente, nonché dalla normale MN. (Quindi i raggi elastici FM che parton da un i fuoco, incontrando la curva, se questa é un'ellisse ! si rifletteranno, seguendo M/, nell'altro fuoco; e se una iperbola, si rifletteranno seguendo una dire- zione MR che passa per l'altro fuoco). d) Il triangolo /MF, nel quale la normale MN 300 Scienze dimezza l'angolo al vertice nella ellisse, ed il sup- plemento di tale angolo nella iperbola, sommini- stra (geom.) /M(« -f- ejc) : /N : : FM( =lz (a - ea:)) : FN : : /M dr FM(2a):/N ±z FN(2«e); donde FN = =b e(a — ex), /N = eia H- ex). Da queste espressioni possono derivarsene mol- tissime altre relative ai punti notabili 0,N,F,P,T, e alle distanze fra questi punti e le rette che si vedono nella tìgura, Equazione polare^ rette coniugate ai diametri , tangenti e asintoti delle linee di second' ordine» 50. Nella parabola (fig. 10) si è trovato il rag- gio vettore FM = t» = x -f- |yo , ove x è contata dal vertice A. Ora il triangolo FMP=(t>, j)^, x — ^p), fatto l'angolo AFM = y, somministra FP = X — Q,p = — vcos(f, donde x= ^p — \>GOS(p. Quindi v=x-\~^p^^p —vcos(D, e però f== — • '^ ^ \ -^ COS(p Nella ellisse ed iperbola (flg. 11, 12) si è tro- vato il raggio vettore FM = t» = zt (a — ex), ove X e contata dal centro O. Ora il triangolo FMP ^i^ìJì^ — ^^)> somministra FP=x — ae=r±n>cos(pt donde x = ae r±z i^cosf. Quindi v; = rir (a — e^) = rt rt(1 — e^~) rt a np ae^ — ei^cosf, e però v = = 1 -i- ecos^ ■ ecoso La formula v =^ -. — 1 •+■ ecos^ Geometria analitica 301 elle vale a rappresentare la parabola, T ellisse o r iperbola , seoontlocliè abbiasi e = , ■<;,>■ 1, si ehiumA equazion polare delle linee di second'ordine. 51. TroK>are V equazione della retta coniuga- la a un diametro nel punto a^S, e V equazione di tale diametro e della tangente. Soluz. Pel punto a^ si conduca nella curva (A), il diametro ( §. 38 ) ( A« H- Ci3 -- A' ) / -+- ( B/3 -f- C« — B' ) w = o: Ja retta coniugata a questo diametro nel punto «^ , avrà la direzione //?i, e però l'equazione oc — a. r'^^ ^^ ,, , V =^ = • Ora se nella precedente / m ad /, m surroghi amo x —> k^ y — ^, e ordiniamo rispetto ad a.', j , si avrà la retta (1) ... (A« + C^ — A') x' H- ( B/3 4- C« -^ B' )/= Aa- •+. B/3- ■+- 2G«/3 — ( A a -H B'/S ) , la quale, contenendo il punto corrente x'j-, coin- cide con v^cìoe. è coniugata al diametro nel punto a/3. Sififatta retta debbe avere ( per la definizione §. 36 e ) la proprietà di camminare parallela a se stessa, allorché segue il punto corrente xj del dia- metro coniugato. Quindi la proporzionalità (§. 28/) Ao: -t- Gjr — A^ ^j-hGx~ B^ ^^^ • ' • Aa -f- G/5- A' "" Ba 4. Ga -^ B' ' rappresenterà il corso xy del diametro passante pel punto «jS. Se il punto a/3 sia in xj sopra la curva (A), la retta (1) diverrà tangente, e ( il 2" membro del- la (1) divenendo == D -H Ax-j-Bj^ a causa della (A) ) avremo (3)... (A-rH-Gj-~A')a--f-(Bj -nCr— B;v>'=Dh-A'xH-B^-, cquazion generale della tangente in xj. 302 Scienze a ) Quando è dato il punto x'j da cui si deL- te condur la tangente, allora sarà ignoto il punto xj di contatto, e converrà determinarlo per mezzo dell' (A) e della (1), che ordinata rispetto ado-, j-, si muta in (4)..(Aa;'-i-Cy— AO^-h(By-HC^— B'Vr=D-HA^a:VBy, equazione ad una corda coniugata al diametro con- dotto pel punto xj. Quindi l'angolo che co'lati pas- sa per gli estremi di tale corda, ed ha per verti- ce il punto x'j , sarà un angolo circoscritto alla curva (A). Dunque ogni angolo circoscritto ad una linea di second' ordine, ha i punti di contatto agli estremi di una corda coniugata al diametro che passa pel vertice dell'angolo. Se cotesta corda (4) de'contatti gira intorno a un punto qualunque xj^ il vertice ocj del corri- spondente angolo circoscritto scorrerà lungo la ret- ta (3), cioè lungo una retta coniugata al diametro passante pel punto xj. In generale si vede che da- to il moto della corda de'contatti, si potrà subito determinare il moto del vertice j x\ 52. Poiché Xasintoto è una retta x' — X Y — Y , , V = = . , che tocca la curva m un pun- / m to xjr situato a una distanza v infinita, per averne l'equazione, si sostituisca x = x — Iv^j =j — mv nella (A) e nella (3) ordinata rispetto ad *",jr> cioè nella (4) : quindi, divise l'equazioni risultanti l'una per (^2^ e l'altra per p, si faccia t; = cx) : si otterrà in corrispondenza (5) P = kl^ -¥- "èm-" H- 2Clm = o, (6) (Ax+Cj/— A)/-H(B/-f-Ga,^^B')/w=o, la prima delle quali somministra per la direzio- Geometria analitica 303 ne Im (5). y= i C-C-:i/^(C^-AB)]. Supponiamo 1. C' = AB : sarà -- = — —, e dalla (6) si dedurrà ( §. 44 « ) x lAA -t-jr l/'B = AVB - BVA =:: 00 . Dunque nella parabola gli asintoti non esistono. 2° C^ <; AB: la direzione Im sarà immaginaria. Dunque nella ellisse gli asintoti sono immaginarii. 3.° C^ >> AB : la direzione Im avrà due valori reali. Dunque nella iperhola esisto^ ho due asintoti incrociantisi nel centro. E tali asin- toti, essendo rappresentati da R = o coesistente con P = o, si potranno riguardare come diametri paralleli alla direzione cui sono coniugati (§.38 h). Nota. L' equazione generale della tangente e degli asintoti si ottiene ancora cosi. Nell'equazione (A);s, cioè ( §. 37 a ) Vv^ — 2Rv' — S = o, la secante s> riunisca in un solo i due punti comuni alla cur- va, trasformandosi in tangente : (A)^ dovrà avere uguali le sue radici, e però risolversi in R R2 4-PS=o, v^-^ , La prima di queste equazioni esprime la con- dizione, cui debbe sodisfare la direzione Im della tangente v di cui a/S è un punto. Quindi 1.° sup- poniamo «^ un punto corrente ocj di v: R^-h-PS=o rappresenterà le tangenti aventi la direzione Im ; 2.'' sostituiamo x — «,j^ — /i ad /, m-. R^ -t- PS = o rappresenterà le tangenti che partono dal punto «/5; e però se aj3 è sulla curva, essa cangiata in G.A.T.LXXV. 20 304 Scienze R = o ( a causa di S = o ) rappresenterà una tan- gente in a/3. Infine se la tangente v si voglia infinita o asin- , „ R R toto, sarà r= — = — =o, e quindi e; 00 o = R^ -f- PS == R, come sopra. SIMILITUDINE DELLE QUANTITÀ* ESTESE, criterii di similitudine per le linee in genere^ ed in particolare per le linee di second' ordine. 53. Due sistemi geometrici sono simili, se pos- sono disporsi in guisa, che, irradiando da un cen- tro i punti delVunOy si ottengano quelli dell'altro con 'variare siffatti raggi in un rapporto costante'- in questa disposizione i due sistemi si diranno cen- trati. Il centro, i raggi che ne partono, il rappor- to costante in cui variano, si appellano centro, rag- gi e rapporti di similitudine. Chiamo simili od o- mologhi i punti situati sullo stesso raggio, e a di- stanze dal centro che stiano fra loro nel rapporto costante della supposta similitudine; ed elementi si- mili od omologhi, le parti che sono luoghi geome- trici di punti omologhi. Laonde nell'estensioni si- mili, sono omologhi i lor punti singolari, non che i punti determinati per via di costruzioni identiche. Ciò posto, si può facilmente conseguir l'evi- denza delle seguenti proposizioni. 1.^ // luogo geometrico di tutti i punti che attorno un centro sono simili in un dato rapporto ai punti di una retta , è un altra retta parallela alla prima, compresa tra i medesimi raggi, e stante Geometria analitica 305 ttìla piHrna nel dato rapporto di similitudine. Quin- di due rette saranno simili attorno un centro, se lo siano i loro estremi : e ad Una linea curva non può assomigliarsi che una linea curva. 2.^ // luogo geometrico di tutti i punti che at- torno Un centro Sono simili in un dato rapporto ai punti di una figura piana , è un'altra figura piana parallela alla prima e compresa tra i medesimi rag- gi. Qù\nd\ ad un angolo rettilineo o diedro non può assomigliarsi che «n altro angolo rettilineo o die- dro di lati rispettivamente paralleli e diretti nel medesimo senso, cioè uguale; e due poligoni o due poliedri saranno simili, se lo siano i loro vertici. In generale, due figure saranno simili, se lo siano i lo- to contorni. 3.^* In due figure simili sono proporzionali le l'ette omologhe, e però i contorni poligonali o cur- vilinei di pafti omologhe, e in genere tutte le linee omologhe. Secondochè poi due figure simili sono di superficie o di volume , staranno fra loro come i quadrati o come i cubi delle linee omologhe, e per conseguente come le loro parti omologhe. A.^ Le tangenti ai punti omologhi di curve si- mili centrate, sono parallele ed omologhe. Infatti due rette centrate sono parallele ed omologhe , se due punti dell'una sono omologhi a due punti dell' altra. Ora le tangenti a punti omologhi possono con- siderarsi come secanti parallele, riunenti in un solo i punti omologhi che aveano comuni colla curva. Per analoga ragione due piani che toccano in punti omologhi due superficie simili centrate, sono paralleli ed omologhi. a ) Se riferita una figura ad un centro, si pro- lungano in un dato rapporto i raggi al di Ik del ceii- 30G Scienze tro, ne nascerà una nuova figura somigliante alla simmetrica della data, e che perciò può dirsi iiwer-^ samente simile alla data. È fiicile a comprendersi che le figure inversamente simili, hanno le stesse proprietà che le simili direttamente. b) 1 criterii delle figure simili si riducono a mostrare, che sono sodisfatte le condizioni essenziali della similitudine prescritte dalla definizione; e pe- rò ad osservare, se i dati delle proposte figure sono sufficienti a renderle centrate in guisa, che l'ima rie- sca il luogo geometrico di tutti i punti simili, in un medesimo rapporto, ai punti dell'altra. Per questa via si potrebbero dimostrare i criterii di similitu- dine che sogliono darsi nella geometria elementare. 54. Data Vecjiiazione di una curva qualunque /( ^j^ ) = o, trovar l'equazione di un altra curva simile, riportata ad un sistema di assi, omologhi a quelli cui è importata la prima. Soluz. Sia a-j un punto della prima curva, ed ^1^' il punto simile della seconda : le ascisse -x, *', e le ordinate j^, jr' di punti simili, avendo omologhe l'estremità, sa- ranno linee omologhe. Dunque , per la proprietà fondamentale (3.'^) de'sistemi simili, si avrà —, =— , = /x , ove ft designa il rapporto di simi- litudine. Sostituendo x=iJ.x , r=K/ in f{oc,j) = o, si avrà tra oc\j l'equazione /( /xo?', \>.f ) = o, la quale apparterrà alla seconda curva. a) Quindi per rilevare se una curva (f{x^j)-=.Q^ è simile ad un'altra /( a;, jr ) = o, basterà vedere se l'equazione ©( x, jr ) = o può ridursi, sia imme- diatamente , sia mediante la trasformazione delle coordinate, ad essere identica all'equazione A-/( [Ì.X, /xx ) = o, ove k e un coefficiente costante. Geometria analitica 307 55. Se l'equazione di una curva f{oc^j, a, b, e . . .) = o, sia omogenea rispetto alle coordinate x,j-, e ad una o piìi linee costanti a,b,c, necessarie a determinare la natura e l'andamento della curva; siiFatte linee si dicono parametri della cun>a. In questo senso, in ^^2=2^^, "^ rt*^ = 1, le «2 b^ linee y^, «, b, sono parametri. Tutte le curve, che si possono rappresentare con una medesima ecjuazio- ne dando diversi valori ai parametri, si dicono ap- partenere ad una medesima famiglia. Cosi, delle tre precedenti equazioni, la prima rappresenta la fami- glia delle parabole chiamate Àpolloniane ; e le altre due, le famiglie dell'ellissi e delle iperbole. a ) Due curve appartenenti ad una medesima famiglia^ e con un solo parametro, sono simili. Dim. Siano /( X, jKi « ) =; o, /( ^, /, a) = o, l'equazio- ni delle due curve riferite ad assi omologhi, e a •— = [j. . La seconda equazione è identica alla d o = k f{ p,x, ij,j, a ) =^ k f ( p,x, p.j, [J.a ), rappre- sentante le curve simili alla prima, potendosi quivi sopprimere /x, per la supposta omogeneità rispetto ad ^ìJì a ( §. 6 (1) ). Dunque ec. Così le parabole avendo un solo parametro, so- no curve simili. b) Nel modo medesimo si può dimostrare, che due curve appartenenti ad una medesima famiglia e con pia parametri, saranno simili-^ se i parame- tri dell'una siano rispettivamente proporzionali ai parametri deWaltra. Così due ellissi o due iperbo- le saranno simili, se i raggi principali dell'una sia- no proporzionali ai raggi omologhi dell'altra. 308 Scienze Nota 1." Due iperbole si dicono coniugate, se l'asse trasverso di ciascuna, è l'asse non trasverso dell'altra : quindi se un'iperbola ha gli assi inver- samente proporzionali agli assi omologhi di un'al- tra, ciascuna sarà simile alla coniugala dell'altra. Le iperbole coniugate hanno comuni gli asintoti. 2.° Se due ellissi od iperbole, rappresentate da e- quazioni (A), abbiano le coordinate x^j inclinate sotto un medesimo angolo z, e rispettivamente pro- porzionali i coefficienti A, B, G de'termini della 2* dimensione; saranno ellissi simili, ovvero iperbole Tuna simile all'altra o alla coniugata dell'altra. In- fatti è noto che in siffatte curve il rapporto de'qua- drati de'raggi principali a, Z?, è uguale al rapporto che hanno tra loro le radici dell'equazione (p) (§.48). Ora in questa equazione entrano soltanto le quanti- tà A, B, C, s : dunque il rapporto delle sue radici sarà lo stesso per tutte l'equazioni (A) che, con z eguale, hanno proporzionali le A, B, G. (Sarà continuato) pROFEss. Domenico Giielini DELLE SCUOLE PIE Errore Correzione 2bx pag. 288 linea ult. 2--' a 309 Biografia di Pietro Franchini. B 'a Iacopo Franchini di Partigliano presso Luc- ca e da Rosa Frugoli lucchese, onorati e pro!)i ge- nitori, nacque Pietro a dì 24 aprile 1768. Non sì tosto die a vedere la licita del suo ingegno, che Cu presa ogni cura per ben coltivarlo: e il giovanetto rispose alle sollecitudini de'suoi institutori di guisa, che si fé molto addentro negl'idiomi latino e volga- re. Giunto a 14 anni, ed avendo già assunte le cle- ricali vestimenta, si die alla filosofia sotto la disci- plina del prete Andrea Farnocchia, che introdotto nell'algebra ne lo seppe innamorare a modo, che studiato di forza nelle opere allor celebri del Marie, del Tommasini, e del Bezout, dopo quattr'anni alla vicina Pisa si condusse per udirvi il cav. Paoli e al- la sua scuola approfondirsi ne'diletti studi. Ma o perchè mancassergli l'ale per raggiungere i voli di quell'alto ingegno, o per qualsiasi altra causa, non molto progredì. Moriva frattanto a Lucca ( 1785 ) l'abate Giusti, lasciando vola la cattedra di matema- tiche ivi legata da Paolo Lipparelli: ed il Franchini bramando ottenerla e rendersene degno, sostenne sì intensa fatica, che tostamente e per essa, e pe'consi- gli del Paoli, e per la consuetudine del celebre Slop, pervenne a conoscere le piìi riposte verità delle scienze esatte. Ma perchè in simili incontri non sem- pre viene coronato il merito, i voti del Franchini rimasero delusi: ed egli astretto dal bisogno si recò al seminario di Veroli ad insegnarvi lettere umane. 310 Scienze Ivi quel vescovo Antonio Rossi, conoscendo che ben altro poteva l'ingegno del Franchini, alla cattedra di filosofia e matematica lo elevò, della quale quanto fosse meritevole fé chiaro producendo quel Corso cCanalisi per le quantità finite e differenziali che porta all' intelligenza del metodo de"" limiti. Reca stu- pore ch'ei potesse compiere allora si grave fatica, se si riguardi alla pochezza del tempo che rimane- vagli libero, poiché « ott'ore per ogni dì, e le mi- « gliori del giorno, si consumavano da lui nel co- tt municare vocalmente agli alunni le proprie co- « gnizioni « : esempio di sofferenza e d' instanca- bilità maravigliosa, che fé prorompere Gregorio Fontana in questi detti « Qual uomo non ne rimar- rebbe oppresso ! qual ingegno non ne sarebbe esau- sto^ inaridito ! Ecco come si perdono gli uomini di merito. 1 piìi chiari matematici italiani Pessuti, Can- tcrzani, del Ricco, congratularono e plaudirono al suo lavoro, e per esso i due Michelotti fecerlo ascri^ vere alla reale accademia di Torino. Ed egli a noa mostrarsi indegno dell'approvazione de' savi, die a quest'opera un Supplemento (v. Effemeridi letter, di Roma 1794 ). Frattanto l'amore del luogo nativo il riconduceva a Lucca, ove riabbracciava i parenti, e da quell'arcivescovo Sardi veniva fatto suddiaco-!- no, datagli podestà di poter essere ove e da chi piìi gli piacesse degli altri ordini insignito. Laonde tor- nato a Veroli, e non più appagandosi di quel sog- giorno, passò a Fresinone in cui sali al sacerdozio, e di nuovo prese ad insegnare la rettorica e la lingua greca. Nelle quali cjuanto valesse, il provò Vorazio- ne che recitò nell'apertura degli studi, dimostran- do essere i greci scrittori qae perfetti esemplari che tener deve costantemente dinanzi chiunque BioGR. DEL Franchini 311 brama di rendersi valente oratore^ e chi vuol fare il possibile maggiore guadagno nelle nobili discipli- ne. Simili cure non lo distoglievano dalle matema- ticlie, e dettò in francese una Memoria sulla ma- niera di risolvere le equazioni algebriche di tutti i gradii che venne inserita negli atti dell'accademia torinese. Ma già i funesti rivolgimenti, che tutto pertur- barono sulla fine dello scorso secolo, aveano reso esausto l'erario di Frosinone: ed il Franchini, che più non toccava stipendio, fu costretto a partirne, e a Roma si condusse. Trovato colk formarsi quella larva di romana repubblica, sospinto dal bisogno , dalla gioventù, dall'amore della gloria, si avvolse nel vortice di quelle politiche vicende: e sì rifulse la chiarezza del suo ingegno, ch'ebbe in sorte venir conosciuto, ammirato e protetto da quel Gaspare Mon- ge commissario fr;uicese, che il Botta disse veneran- do per ingegno, per dottrina e per virtù. Questi il chiamò (24 marzo 1798 ) a rappresentare la pro- vincia del Circeo nel consiglio del tribunato, e sei dì dopo lo fé eleggere membro dell'i nstituto nazio- nale, e professore di matematica. Conseguirono a queste cariche stipendi tali , che il tolsero a quel suo crudele inimico, il bisogno ; ed aprirongli cam- po di giovare altrui cogl'insegnamenti e cogli scrit- ti, e di usare con que'piìi dotti che allora fiorivano in Roma. Appartiene a questi tempi la sua dotta Memoria sui criteri del Condorcet. Frattanto era egli salito a tale altezza di grido, che la romana re- pubblica lo scelse per recarsi a Parigi, ove i più chiari fisici e matematici di Francia e del mondo convennero per istabilire solidamente le basi del sistema metrico. Ben può andare altera l'Italia no- 312 Scienze stra, che fra 27 sapienti che discussero il grave ar- gomento vide compresi il Balbo, il Fabbroni, il Ma- scheroni , il Lagrange , il Vassalli e il Franchini. Le grandi mutazioni, che accadevano in Italia e in Francia, trevolgevano in basso il Franchini, che di- sceso dalle alpi ebbe a riparare in Venezia nella ti- pografia del Remondini, che l'aveva chiamato pres- so di se con quella grazia Che sembra gentilezza ed è pietade. Scorso quasi un anno, i caldi uffici de'suoi amore- voli, e di Cesare Lucchesini specialmente, il rido- narono alla patria, ove fu membro nel consiglio della republ)lica e professore d'analisi finita e su- blime: e cjuando alla repubblica succedette il prin- cipato, Napoleone medesimo Io elevò al grado di senatore. In mezzo alle cure di tanti e tali uffici non lasciava di coltivare i matematici studi , che a ricreamento dell'animo soleva interrompere con qiie'di letteratura e delle lingue, giacche seppe non poco di volgare, latino, francese, greco, inglese e tedesco. Scrisse a questi giorni due memorie pre- sentate alla società italiana delle scienze dal Ga- gnoli e dal Cantcrzani : la Prolusione sui pregi delle mateinatiche letta nel 1802 per la solenne apertura degli studi di s. Frediano ; /' Orazione del maresciallo Lannes recitata nciia cattedrale ; il breve ma succoso Trattato d' aritmetica\ ed è mi- rabil cosa, che in soli undici anni trasse a compi- mento restesissimo Trattato di trigonometria e po- ligonometria; ampliato appresso con una Memoria trigonometrica, cui tennero dietro due Memorie BioGR. DEL Franchini 313 pubblicate in Verona, ed i tre volumi della sua Scienza del calcolo. Pacificata 1' Europa, rimase il Franchini alla cattedra di matematiche superiori, per cui compose la Teoria de'poligoni, gli Elementi di algebra^ e il Sassio sulla storia della matematica, tre volumi Del calcolo superiore^ il Trattato algebrico de'mas- simi e de* minimi^ altre memorie, dissertazioni e ri- cerche diverse. Agli onori ed incarichi che ricor- dai aggiunse pur quelli d'essere membro delle com- missioni del catasto, del debito pubblico, del sin- dacato del sistema metrico , della censura per le misure agrimensorie, e di quella per compilare un piano per la riforma del censimento; ebbe la di- rezione de'conduttori elettrici per 22 anni, e tal- volta quella d'alcun lavoro idraulico. L'accademia degli oscuri, la lucchese, l'italiana, la borbonica ec. lo ascrissero fra' loro soci, ed oltre la benevolenza d'alcuni principi, e l'amicizia e familiarità de'ma- tematici sopranomati, fu caro a Bordoni , Ruffini, Rangoni , Magistrini ec. Venendo al suo carattere morale, due virtù primeggiarono in luì, grato ani- mo, e perdono delle offese. Grato ed amorevole fu verso i genitori, e piìi verso colei che piuttostochè madriga gli fu madre ed amica; e grato e amore- vole si mostrò con que'che il beneficarono: di che lasciò perenne testimonio nelle opere ove parla del Paoli, del vescovo di Veroli, del Monge, dello Slop, del Lucciiesini ec. Fuvvi chi reputò il Fran- chini sentire altamente di se ed essere inchinato ad avarizia. Certo il dignitoso suo portamento, ed il modo con che parlava delle proprie e delle altrui di- scoperte, porge alcun indizio della prima di queste cose: all'altra il dovè forse condurre lo stretto hi- 3t4 Scienze sogno, in cui erasi sventuratamente trovato. Ei vis- se però sobrio, e bastevolmente forte nelle avver- sità che dovè portare; fa buon cittadino, tenero , affezionato congitintOt indulgente ed ottimo mae^ Siro, e di sì belle qualità che gli meritarono la sti- ma e V amore de'' parenti^ de'' colleghi e della stu- diosa gioventù (1). La non forte complessione di lui, non ostante 11 regolato regime, non potea soste- nere a lungo le grandi fatiche d'animo e di corpo cui sempre si sottomise. Laonde più non resisten- do a' fieri assalti del penosissimo morbo che avea- gli invasi gl'indeboliti nervi, la sera de' 26 gen- naio 183T, confortato da'presidii della santissima religione, passò a vita migliore nel suo sessagesimo nono anno. Opere a stampa di Pietro Franchini. Teoria dell'analisi da servire d'introduzione al metodo diretto ed inverso de'limiti. Voi. 3. Roma per il Gannetti 1792. Supplimento all'opera predetta. Roma per il Gannetti 1794. Orazione letta nell'apertura degli studi di Fro- sinone per introduzione alla scuola di lingua greca. Roma nella stamperia Pagliarini 1796. Sur la resolution des equat'ions dt un degrè qualconque. T. VI delle Mem. della reale accade- mia di Torino. (i) Parole del discorso letto nelle esequie del Franchini dal prof. Giovanni Barzolti, e stampata aLucca dalla tipografia Giu- sti 1837. Da questo discorso è tolto l'elenco delle opere del Fran- chini che si dà qui sotto. I / BioGR. DEL Franchini 315 Memorie ( sopra i criteri! detli del Conclorcet) I Roma presso Tommaso Pagliarini anno VI. I Memoria su diversi articoli spettanti all'analisi. Tom. XI delle Memorie di matem. e fisica della so- cietà Italiana delle scienze. Modena 1804. Trattato d'aritmetica, preceduto da una ora- zione SUI pregi delle matematiche. Lucca per il Ma- rescandoli 1804. Memoria ove si presentano vari metodi tenden- ti a perfezionare l'analisi algebrica. Tom. XII delle Memorie di matematica e fisica della società italiana delle scienze. Modena 1805. Memoria trigonometrica etc. Lucca per Fran- cesco Ber ti ni 1808. Orazione funebre in lode del maresciallo Lan- nes duca di Montebello, recitata nella cattedrale di Lucca. Saggi di algebra trascendente, e di meccanica. Tom. XVI delle Memorie di matematica e fisica della società italiana delle scienze. Verona 1813. Seguito de' saggi di meccanica e di algebra tra- scendente. Tomo XVII delle Memorie predette. Ve- rona 1816. La scienza del calcolo. Volumi 4. Livorno dai torchi di Assunto Barbani e comp. 181 G e 1817 e nella stamperia della Fenice 1818 e 1820. Elementi di algebra ad uso del R. 'liceo di Lucca. Lucca dalla tipografia di Francesco Berlini Saggio d'un elementare teorica de'pollgoni ret- Ulinei, corredata di qualche indagine sui poliedri. Fa parte denotati Elementi, e del tom. I degli Atti della R. accademia lucchese. Lucca dalla tipografia diI'd suddetti per consoli pestani, sark certo un di que'ta- li, cui piace cibarsi di ghiande nell'abbondanza del frumento; ed il sig. Guarini deve riderne, come noi ne abbiamo riso ; non prender la cosa in serio ; e meno ancora farla degna di ulteriore risposta. VI. Risposta di R. Guarini alle osservazioni di Vincenzo de Ritis sopra il libro intitolato: An'. cara della tavola di bronzo rinvenuta in Pesto. Di facce \\ inS,"* :-; Avevamo già scritte le poche parole del nu- mero precedente, quando per cortese dono dell'au- tore ci giunse alle mani l'accennato opuscolo. Che il sig. de Ritis voglia opinare d' accordo coli' Ar- menlano intorno i due consoli del bronzo pestano, niuno ha diritto d'impedì melo : che pretenda però che quel suo opinare sia il vero, in ciò troverk po- chissimi seguaci, e forse niuno, dall'Armentano in fuori. Il eh. Guarini prenda il nostro consiglio : di- sprezzi col silenzio questi oppositori, che vogliono veder buio la dove il sole è in pieno meriggio. VII. Museo della reale accademia di Manto- va, descritto ed illustrato dal dottor Giovanni La- bus I. R. epigrafista aulico, socio di varie accade- mie scientifiche letterarie e di belle arti. Mantova 1830-1837, voi, "ò in 8.° fig. GiU altra volta facemmo parola di questa beli' opera ( voi. LX.VI ), rendendo conto dei due primi volumi, e de'primi cinque fascicoli del terzo. Ora che ci giunse alle mani il qxiindicesimo ftiscicolo di esso terzo volume, ragion vuole che come l'opera fu portata a compimento, cos'i si compia da noi l'estrat- to di essa. Nelle trentasei tavole, che adornano que- G. A. T. LXXV. 22 336 Letteratura sti dieci fascicoli, vediamo in litografia ritratti ben settanlatre monumenti di scultura, e quattordici epigrafi antiche. Senza tener dietro all'ordine se- guito nell'opera, ricorderem noi questi monumenti, separanassorilievo discende; diciamo, di aver potuto per esso arricchire ricnoi^ratìa roma- na di due nuovi ritratti, Cornificia cioè e Civica Barbaro; la greca di tre, Soemo, la consorte ed il figlio. Della già ricordata Lucilla è forse un altro bu- sto nel museo mantovano ( tav ,39 ): due rappresen- tano Caracalla e Gela (tav. 23 ); ed uno di diaspro con testa di marmo pario, è forse unico nell'antica icnografia, se veramente esso appartiene a Massi- miano Erculeo ( tav. 38, 2 ). Ora veniamo alle miscellanee. Di greco la- voro e un frammento di bassorilievo con alcuni efebi palestriti ( tav. 52 ) : pure è frammentato quell'altro, che rappresenta un filosofo co'suoi di- scepoli ( tav. 51, 1 ) : una statua ( tav. 40 ) acefala e senza braccia, di romana matrona, è di buono sti- le, di lodevole esecuzione, di elegante panneggia- mento. Unico ne pare quel marmo che mostra un giudice decuriale romano, il quale togato, reca nel- la destra il volume simbolo delle leggi , e con la sinistra getta nell'urna la tabella da cui pende il giudizio ( tav. 31 ). Un frammento in bassorilievo rappresenta la testa e il busto di un milite pretoria- no (tav.48,1). Una statua di un pastore col destro gi- nocchio piegato a terra, il sinistro elevato ( tavola 50, 1 ), se non fosse difettiva della gamba destra e del capo, potrebbe esser degna di stare in qualun- que scelto museo. Fu detto di Giulio Cesare un bu- sto ( tav. 32, 2 ), che non somigliando i noti ritrat- ti di lui, meglio è dire d'incognito personaggio : come pure d'incognite donne son quelli, che altri dissero di Bruzzia Crispina e di Sallustia Barbia Orbiana ( tav. 34, 1 e 2 ). Un monumento sepolcra- le di romana matrona è di bassorilievo in parte 340 Letteratura mancante i, tav. 32 ); e per ultimo si aggiungono due torsi, e sedici leste antiche ( tav. 28, 2, 3, 4 ; 48, 2 a 8 ; 55, 1 a 8 ). Delle quattordici descrizioni antiche, che veg- giamo riportate in tavole litografiche ( tav. 24, 37, Al e 56 ), la maggior parte sono sepolcrali; contan- dosi fra esse soli due bolli figulini ( tav. 56, 5 e 6): e sole tre pare che abbiano il pregio dello ess(M'c annedote ( tav. 24, 3; 41, 1 e 2 ). Sembra che sopra tutte meriti considerazione quella greca (tav. 56, 2), che ricorda un Silone nativo di Gerico, come pa- trono di una nave di trasporto. A questi marmi del reale museo di Mantova ne aggiunge l'illustre edi- tore altri sedici riferiti dai collettori , onde rendere meno incompleta la raccolta delle mantovane iscri- zioni. Fra essi, escludendo la falsa colonna di Gio- viano ( p. 343, 1 ), ne ricordiamo uno sacro a Net- tuno (p.34,2), e quello di Decimia Candida sacer- dotessa della madre Idea, che donò DELFIGAM. CVM . LARIBVS . ET . GERIOLARIS . N .XXXVl. Ne qui si compiono i lavori del dotto Labus intorno il reale museo di Mantova. Dalla p. 359 alla p. 352, pubblica egli le emendazioni e le giunte ai tre volumi; e tocca in essa alcune delle cose che rimarcammo nel primo estratto: poi da un indice de'monumenti tutti secondo il loro subietto; quin- di un indice epigrafico; in ultimo un terzo assai di- ligente delle parole e delle cose trattate nell'opera. Siano a lui rese le dovute grazie da ogni ama- tore di questi studi archeologici ; perchè il dotto uomo ci die sul mantovano museo un'opera, degna di lui, degna de'lumi attuali, tale infine da far ono- re air Italia. E se la maestà imperiale e reale di Ferdinando I augusto, con nuovo titolo nella cor- Rivist-i Archuoi.ocìci ■'^•■^ te (li Vienna, lo ebbe nominato imperiai regio epi- f^ni/i sta aulico; se la maestà- del re sardo Io vollfl fregiare dell'ordine cavalleresco de' san ti Maurizio te Lazzaro; noi sinceramente ne facciamo le pub- Llicbe nostre congratulazioni con quel dotto ed egregio amico; e crediamo cbe tali distintivi a lui compartiti, onorino non meno cbi li ebbe ricevu- ti, che coloro che li dispensarono. VJII. Opuscoli diversi di F. M. Avellino se- gretario perpetuo della reale accademia ercolane- se ec. - Volume terzo. Napoli 1836 in 8. di p. 334 con una tavola in rame. Osservazioni su SEGVNDARVM e SVMMARVlM MAGISTRI ricordati in talune iscrizioni. Dalla p. 1 alla p. 80. In questo terzo volume degli opuscoli del eh. cav. Avellino sono quattro memorie ; di ognuna terremo separato discorso. Conosciutissimi sono nell'antica epigrafia ì ma- gistri vicorum, e gli altri pagorum: molti scrissero delle loro funzioni politiche, economiche, religio- se; se non che due antichi marmi, ercolanese l'uno, l'altro pompeiano, ricordando due magistri SEGVN- DARVM, dieron motivo primieramente agli acca- demici ercolanesi (nel voi. 2 de'bronzi), poi al P. Giovanni Andrcs, a recar nuove dilucidazioni suH' argomento. L'Andres specialmente, in una memoria tuttora inedita , togliendo ad illustrare una iscri- zione di C. Norbano Sorice, in cui dicesi SEGVN- DARVM MAGister PAGI AVG«^// FELIGIS SV- BVRBANl, opinò che quel SEGVNDARVM doves- se intendersi per secundarius pagi magister, e quel- la opinione convalidò si grammaticalmente e ai isto» ricamcnte. Per la parte grammaticale ricordò che la 3i2 Lettera.tur\ elissi della voce partes agli ageltivi numerici d'or- dine, è frequentissima ne'classici; e citò Terenzio, Cicerone, Quintiliano, ed altri antichi: per la parte istorica ricordò come le antiche lapidi fan fede, die pili d'uno erano i maestri de'paglii, anzi formavan collegio. Essendovi quindi fra loro gradazione, po- teva l'un dirsi primo, secondo l'altro, e via discor- rendo. Queste cose sembra al eh. Avellino che tro- vino conferma ed appoggio in una iscrizione sta- biana cognita sin dal 1749: in essa si ha ANTE- ROS. L. HERACLEO. SVMMAR. MAG. LARIB. ET FAMIL . D . D . Intraprende il N. A. ad illustra- re pienamente questa lapida. Ed incominciando dal nome del liberto Anterote Eracleone , prova non esser nuovo in epigrafia che i liberti siano senza indicazione del nome della famiglia, e senza nep- pure il prenome de'Ioro patroni: meno ovvio, ma pur non senza esempio, è il doppio cognome ser- vile di lui frammezzato dalla indicazione della sua condizion libertina. Ciò però che rende assai im- portante la iscrizione, si è il titolo di SVlVJMAR«/» MKGister che vi prende Anterote. Questa espres- sione non può indicare una carica amministrativa; sia perchè niun monumento rimane che ricordi un magister summarum nel sicuro senso di un ammi- nistratore; sia perche qui trattasi di un magister laruni , come è chiaro dall' oft'erta indicata nella stessa iscrizione. Dunque il genitivo summarum. non è tratto dal sostantivo summa in significato di de- naro; ma è un mero aggettivo, cui debbesi sottin- tendere partium^ come gik della voce secundarum fu detto. Le denominazioni di rationalis summa- rum, o summae rei che son nei codici, non han Rivista Archeologica. 343 clic fare con la nostra; e perchè son di terrnii as- sai più bassi; e perchè la voce rationalis serve a determinarne la significazione. Se dunque nc'col- Icgi diversi eranvi i maglstri di sccond'ordine, i quali con proprietà di latina locuzione dicevansi seciindarum^ esservi dovevano necessariamente que* di primo o sommo ordine, che con ugual proprie- tà dicevansi swnmarwn magistrii e se SVMMA RV- DIS dicesi ne'marmi il primo gladiatore, SECVN- DA RVDIS il secondo; e se in essi si ha pure il SVMMVM GHORAGIVM; sta benissimo che il pri- mo maestro dicasi SVMMAUVM con la elissi della voce partium. Ne qui si ferma il N. A.; procede egli a provare col confronto di altre iscrizioni , che veramente fra' maestri eranvi di quelli che sugli al- tri colleghi per la sommila ed eminenza del loro ufficio si distinguevano, dicendosi SVMMI MAGI- STRI, o ^PRIMI, o MAXI-MI. Passa quindi a rimar- care con esempi tolti da Plauto, da Lucrezio, da Cornelio Nipote e da altri, che la elissi della voce pnrtes ebbe luogo non solo quando adoperavansi aggettivi numerici plurali, come secundarwn etc, ma anche quando si usava il femminino dell'agget- tivo summiis. In ultimo il sig. Avellino scrive della dedica LARIB. ET. FAMIL. Larihus et familiae vi lesse il Gori; ma ciò non persuade. Non essendo- vene altro esempio in epigrafia, propone egli per congettura di leggere LARIB^^j ET f AMlhiarihus-^ intendendosi con la prima voce i pubblici, con l'al- tra i privati, detti lares famillares da Plauto, da Sallustio, da Apuleio. Sola una osservazione ci permetta l'xA. eh.; ciò è che la iscrizione di Tib. Planzio Droso, per lui citata a p. 53, pervenne al museo reale borbonico, 344 LETTEllATUflA non J."»! kii'cheriano^ ma si dal borgiano velltorncr* Di essa si conoscono più e diverse copie^ corno di- cemmo al N. I di questa liU'ista; e forse Tattnalé borbonica non gode la fama d' indubbia sinceri tài Fra le annotazioni, che sieguon la dissertazione, so- no in una ventidue epigrafi di Larino; il sig. Avel- lino le da secondo la copia ricevutane dal sig. Mrt-* gliano, e vi aggiunge brevi e succose note. IX. Secondo saggio di osservazioni numisma'- ticlie. - Dalla p. 81 alla p. 174. La magg or parte di queste osservazióni sono estratte dalle memorie che l'A. eh. recitò nell'ac- cademia ercolanese. I nummi che vi si dichiarano appartengon tutti all'Italia, o alla Sicilia; a questa uno di Stiela; a quella i seguenti: del Sannio Cew sennia o Sensernia; de'frenlani Larinum; de'picenti Marcina; dell'Apulia Jrpi, Hyrium^ Luceria, Tea- tes; della Lucania Àurusculini^ Metapontum-Posi-' donia\ ne'bruzzi Consilinuni o Cosa o Consentiaj Croton- Temesa , Terina-Nuceria, Faremo breve cenno di alcune, perchè dir di tutte ci porterebbe troppo alla lunga. L'Eckhel per il primo pubblicò una medaglia di argento di seconda forma rappresentante dall* una parte un capo muliebre elegantemente orna- to, e creduto di Giunone Lacinia, dall'altra Belle- rofonte che dal Pegaso combatte la chimera, e leg- genda KPO. Egli l'attribuì a Crotone ; il Mionnet ed il Carelli lo seguirono. Ma un'altra medaglia si- mile conobbe il Millingcn , e leggendovi PflEN- SERNV l'attribuì a Veseris nella Cainpania.In altre però vedute dal N. A. sembra che la leggenda sia SEiXSER, con caratteri che se in parte somigliano all'osco, non sono osci del tutto. Esaminando il ti- RtviST^ Archeologica 3'iì* pò, la falibrìca, il metallo della medaglia, sembra al sig. Avellino che non sia di greca cltfa, ma si piuttosto di sannite. Livio e Diodoro ricordano nel Sannio una citta, che il primo noma Censernia, Itoi'jvia il secondo. Vede ognun facilmente quanta maggior analogia vi sia fra lo scritto della medaglia e questi nomi, di quello che con f^eseris^ citta nep- pur espressamente nominala dagli antichi scrittori. Il Sestini pubblicando primamente una moneta in bronzo di secondo modulo, avente dall'un lato una testa di cavallo, dall'altro una spiga e greca leggenda ATPrrKllIV, Tassognò agli auranci; quin- di dubitandone, propendeva quasi ad attribuirla ad Jsculam. Ma il N. A., vedutine altri esemplari , stette nel 1814 per la prima opinione ; ed in essa si confermò allora il Sestini, e lo segui il Reynier. In oggi però con esempio se non ovvio, certo lode- volissimo, rinuncia alla propria opinione ; perchè in altri due esemplari più conservati chiaramente vi lesse ArPTIAI. Dunque è chiaro che non hanno diritto alcuno su di essa ne gli aurunci , ne gli ascolani , spettando agli auraschl o auruschni. Ma chi son dessi ? sinora certo ne la storia, ne la geografia li conosce. Come semplice congettura I' A. N' propone di cercarli in que'campi siti nella Lucania, che Floro, Frontino, Orosio, Giornande dicono arusini o aiirusiiii ; ed opina che da essi avesse nome una propinqua cittk Aurusia o Auru- siuTììi, dalla quale (come da Suessa^ Suessula ) si formasse Auruscula o Auriisculum, donde gli au- rusclini della medaglia. Un inedito nummo in argento di seconda gran- dezza rappresenta dal diritto una spiga, dall'una parte della quale META, dalfaitra YlOll rctrogra- 346 Letteratura do in caratteri arcaici; dal rovescio una spiga In- cusa. Esso senza meno ci mostra una concordia fra Metaponto e Posidonia, ambedue citta della Luca- nia,- ma quella sull'Ionio, questa dal lato che rigti ar- da il Tirreno. Nell'illustrarla tenta il sig. Avellino indagare quale fosse l'epoca e l'occasione di tale concordia; e con dotto e lungo ragionamento dimo- stra, che tutte le federazioni, che si hanno nell'ita- lica numismatica, spettano a'popoli di origine acliea. Altro esempio di federazione si ha in una me- daglia di argento di quarta grandezza anepigrafa. Dal diritto vedesi, entro un circolo formato da pic^ coli punti, una galea con visiera; dal rovescio un tripode entro lo stesso circolo: altre monete già co- gnite col nome di Temesa han per tipo la galea ; ed altre di Crotone il tripode. Inedita, anzi unica, e per la sua bellissima con- servazione ed antichità preziosissima è una meda- glina sicula in argento di quarta grandezza. Dal- l'una parte una figura virile imberbe nuda a si- nistra, colla destra tiene la patera, e con la sini- stra un tronco d'albero poggiato sul suolo, che nel- la sommità ha tre rami: innanzi è un'ara : dall al- tra mezzo toro a volto umano a destra ; intorno in caratteri di antica forma e bustrephodon l'iscrizio- ne ITIEAAIVAIO. La bella illustrazione che ne fa il N. A. non lascia cosa a desiderare. X. Osservazioni sopra un inedito diploma mili- tare deir imperatola Alessandro Se^^ero. — Dalla p. Mb alla p. 214. Intorno a questo inedito monumento, che serve ad illustrare la serie dei consimili da noi data alle stampe oltre a due anni fa, il eh. Avellino pubblica alcune osservazioni, delle quali ecco il sunto. Rivista Archsologica 347 L'ortografia AVKELLIVS nel nome di Alessan- dro, non dee credersi negligenza, ma sì modo di scrivere adottalo ad oggetto d'indicare la quantità lunga della vocale della seconda sillaba. Dicesi l'im- peratore Plus e Felix ; titoli che gli vennero at- tribuiti, come provò l'Eckbel, sin dal primo anno del suo regnare. Vanta la IX^ tribunizia potestà; ciò che mostra che il bronzo appartiene al 983 di Koma ; ed in ciò ben conviene il suo terzo con- solato che aveva esercitato l'anno avanti , ed i con- soli che sono indicati nel bronzo. Serve poi esso a confermare la opinione di coloro, i quali ritenne- ro aver Alessandro rinnovate le tribunizie potestà il 1" gennaio; perchè se l'assunzione di lui al tro- no fu nel giorno 11 marzo del 97.5, cominciando allora il poter tribunizio, non prima degli 11 mar- 20 983 avrebbe potuto segnare il IX, se rinnova- to lo avesse al compir di ogni anno. Ma questo ))ronzo, che porta la data del 7 gennaio 983, lo mo- stra già investito della nona potestà; dunque è ma- nifesto che Alessandro le rinnovava al principiar dell'anno. E qui il sig. Avellino vien ricordando al- cune medaglie di lui con la epigrafe P. M. TR. P. VII. COS. III. P. P, le quali si oppongono all'in- dicato sistema : imperocché esse per la settima po- testà non possono oltrepassare l'anno 981, mentre per la menzione del terzo consolato necessariamen- te convien riferirle al 982. Quindi opina , o che le epigrafi siano scorrette, o che in esse siasi usato il titolo di COS. Ili per indicare che l'imperatore era stato designato console per la terza volta. Spe- ro che l'A. chiariss. voglia perdonarci, se noi azzar- diamo dire che le epigrafi di quelle monete ci sem- bran giuste ed esatte. Già altrove ( Diplomi irap. 3'l8 L E T T E n A T U R A p.'289) accennammo, die per evitare le contraddi- zioni che si hanno nel sistema del Toinard intor- no la rinnovazione delle tribunizie potestà, ed ap- profittare insieme di tutti i vantaggi di quello pro- posto dall'Eckhel, basterel)])e ritenere, che gl'impe- ratori, da una cert'epoca. di M. Aurelio in poi, usas- sero rinnovarle, non il dì primo, ma il d\ 7 genna- io ; giorno solenne, perchè Augjisto in esso PRI- MVM IMPERIVM 0R13IS AVSPICATVS EST. Quin- di le suindicate medaglie di Alessandro Severo se si ritengon battute ne'primi giorni del 982, bene com- binano col terzo consolato da lui assunto in cpiel* l'anno, e bene col settimo poter tribunizio , che cessò soltanto il dì 7 gennaio 982 per dar luogo all' ottavo. E così si conoscerà pure la ragione di que- sta dimissione, che il sig. Avellino riferì alla costu- manza invalsa, ed alla naturai generosi tU di Ales- sandro, Passando all'argomento della missione, si nota cssor questa la prima ed unica finora a favore degli Equites singulares; noti più per le iscrizioni, di q)aello che per gli autori. Si sa che essi avevano in Roma un doppio quartiere; dicovasi l' uno Castra priora, l'altro no^^a. In questo stanziavan quelli gra- ziati da Alessandro Severo. La nostra lamina aggiun- ge a qiie castri, come per altri monumenti, l'epiteto sei'eriana; dal quale il sig. Avellino per felice con- gettura ne trae, che furono istituiti da Settimio Se- vero ; perchè se da Alessandro, si sarebbero detti nlexaiidrina. Anche non ci pare improbabile Topi- iiione del N. A. circa il tribuno P. Elio Vittore ri- torrlato nel bronzo ; cioè che facilmente non fu di- vers'uomo da quel P. Elio Vittore che in un mar- mo del Fabretti ( p. 359 ), si dice Decurione de RlV.iFA ARCflEOLOGICA 3''|9 singolari. In ultimo lenta cercare qual fosse la co- Ionia Mals>ensis nella Dacia, patria del graziato cui questo diploma appartenne. Di essa non è menzio- ne nella storia, non ne'u,eo^rafl : solo una lapida ( Grut. p. 433,5 ) ricorda un PROCwra^or PROVm- ciae DACme MA.L, die ora, mercè del confronto ton la nostra lamina, leggeremo ÌA.k\jvensis. Nelle giunte poi ( a p. 323 ) il sig. Avellino ricorda, che nel Danubius del Marsiglt si ha menzione di un fiu- me Mlava presso Kastolatz, che corrisponde all'an- tico Vìminacium, L'analogia di questo nome Mlava con quello della colonia Mah>ensis potrebbe forse servir di guida a rintracciarne l'antico sito. XI. Osser. F. M. Avelli- no segretario perpetuo. Napoli dai torchi del Tra- mater 1838, 8.%/^ yo. 21. XIII. Ragguaglio de lavori della R. accademia ercolanese per Vanno 1 836 , del cav. F. M. Avelli- no. Napoli dalla tipografia del ministero di stato 1837, ^"^ dip. 31. Questi due pregevoli opuscoletti ci dicono in poche facce di stampa quali sono stati i lavori in un biennio di quella celebre accademia, che fu mo- dello de'buoni studi archeologici nel secolo scorso, e che tanta fama meritamente ottiene anche oggidì non solo nel regno delle due Sicilie, ma anche in Italia, anzi in Europa. Sin dal 1833 triplice è il lavoro a cui si occupa indefessamente l'accademia: la illustrazione del tem- pio d'Iside a Pompei : la descrizione degli scavi Rivista AnciiEOLooicA 31^3 pohiptìianl: 1.1 dilucidazione della raccolta cplgratica del reale museo. Rapporto alla prima, raccolti già ed ordinati i materiali, descritta la storia dell'esca- \azione di quel pregevolissimo monumento, si oc- cupò della illustrazione del muro onde mostrasi cin- to dai due lati che sono dalla strada toccati ; di due memorie epigrafiche che sono in esso : della porta d'ingresso, ed in ispecie degli ornamenti di legno ( antepagmenta ) onde era fregiata, e delle varie parti ( thjroma ) di cui essa si componeva ; ed in fine dei dipìnti che ornano le pareti del portico.' Proseguendo il lavoro con altrettanta alacrità, spe- riamo veder fra non molto alla luce il volume d'il- lustrazione di quel famoso tempio d'Iside, le cui ta- vole in rame è già gran tempo che sono incise. Rapporto agli scavi pompeiani, furon lavori del segretario perpetuo la descrizione di una casa sco- perta a destra della strada che costeggia l'un dei lati ìS-cVìaedes fortunae augustae; casa che ha preso il nome della fontana del gran duca: la illustrazio- ne di due capitelli con figure che veggonsi all'in- gresso di altra casa contigua alla ricordata : quella del primo edifizio che trovasi alle spalle del suddet- to tempio; in cui sì gran quantità di lavori in bron- zo di ogni genere fu rinvenuta , che ragionevolmen- te ritiensi essere appartenuta a chi di tali bronzi fa- ceva commercio. Il terzo lavoro, cioè la dichiarazione del reale museo epigrafico, prosieguo pur esso felicemente. Compite già e preparate per la stampa le due pri- me classi che contengon le iscrizioni sacre e le ono- rarie, si travaglia attualmente nella terza delle se- polcrali. Noi facciamo voti perchè sia condotto a termine questo lavoro, giustanjente da gran tempo desideralo da tutti gli eruditi. 354 Letteratura Ne In questi ragguagli si desidera la notizia dei lavori degli interpreti de'papiri ercolanesi. Il cliia- rissimo Salvatore Cirillo nel 1835 die compita la illustrazione di un' opera dell'epicureo Filodemo, intitolata neoc toO-hoc9' G'[xr]pcv odàQcv Xéf.oi'-, pel quale ci SI annuncia un trattato di ciò, che secondo le omeriche dottrine utile riesce a'popoli e vantaggio- so. Il cav. Antonio Ottaviani nel 1836 die termine, mediante la illustrazione di ben ottanta frammenti, all'opera di Filodemo sulla libertà del dire tcz^i 7:c(ppv3elit. ); e VO" gliamo lusingarci che gli argomenti per noi in allo- ra prodotti , e convalidati da antiche lapidi nelle quali si ricorda VOrdo idubrarum, possano consi- gliarlo a mutar parere quando di Ulubrae dovrà scrivere; e non piii a Cisterna, ma collocarla piutto» sto in quel luogo del territorio veiiterno, dove que' marmi scritti furon trovati; e dove assai residui di antichi acquedotti e di grandiose fabbriche fan prO' va che sorgeva un paese; il quale certo una volta fu fiorente, abbenche squallido e spopolato Io dices- sero Cicerone, Orazio, Giovenale ed altri antichi. E poiché siamo in parlar di cosa esistente nel territo- rio veiiterno , aggiungeremo che la etimologia del nome Arianum, castello di pertinenza del comune sin dalla metà circa del secolo XV, che l'A. eh. vuol dedurre dalla gente ^mrt , non ci contenta punto ne poco : SI perchè di quella gente ninna antica no- tizia a noi pervenne, per quanto diligentemente le cose patrie negli scrittori e ne'monumenti abbiamo procurato studiare; e sì perchè non ci par disprez- zabile la etimologia recata in mezzo dagli storici veli terni, cioè ^ra lani. E già da quel castello tornò a luce, son già tre secoli, una bella testa di Giano bifronte; e nel territorio di Velletri sono altre contra-» de con denominazioni consimili; come Priscianum^ Carcianum ec. le quali fan testimonianza del culto di Giano presso gli antichissimi nostri progenitori. Rivista Archeologica 357 Il metodo adottato dal sig. professore per la illustrazione della carta topografica, è l'alfalietico: cioè a dire, ogni cittk, o paese, o terra, o castel- lo, o borgata sia antico, sia moderno, come ogni monte, ogni campo, ogni fiume, ogni luogo ec. ec. ha un suo articolo speciale; e questi sono distribuiti per ordine di alfabeto. Il primo volume contiene 215 articoli, incominciando dagli aborigeni e terminan- do a Due torri: il secondo ne contiene 212, da Empii- lum a Querquetida. Molti tli questi articoli si strin- gono in poche righe ; ma ne'piìi importanti, tra i quali notiamo A Ibalonga, Albanera^Antium, Ardea^ Arlcia^ AsturUy Bov'dlae^ Caere , Collatia^ Cora ec. slarga l'A. eh. il discorso. Ed a proposito di BovU" lae ci sia permesso notare due cose : cioè, che an- che dopo il 169 dell'era volgare si hanno di essa no- tizie ne'marmi scritti, e di qualche importanza ; benché il sig. Nibby lo nieghi (voi. 1, p. 316, 317); a cagion di esempio son tali que'frammenti di fasti sacerdotali ivi escavati nel 1823, e pubblicati nelle Memorie romane di antichità e di belle arti (voi. 2, p. 307, e segg. ), e ricordanti un collegio Claudiale^ ed i consolati degli anni 213 e 214. L'ara poi di pie- tra albana, dal prof. Nibby pubblicata a p. 321 del voi. 1.*^, in altra precedente edizione a/eva di piìi una terza linea, in cui era scritto LEGE. ALBAAJN A. DIGATA. E prima di terminare, ci permetta l'A. eh. dì notare alcune altre tenui cose. Il tubo plumbeo , che egli dk a p. 24 del voi. 1.°come esistente nel museo kircheriano, per fede del Brunati ultimo edi- tore de'monumenti scritti di quella raccolta , non esiste cola ; ma sì ne esiste uno che presenta le sole due prime linee con piccola variazione. Non ci sap- 858 Letteratura piamo risolvere a credere spettante a Verrio Fiacco, autore del calendario, il frammento a p. 42, voi. 1,'' Le sigle della penultima linea dell'iscrizione a p. 41 voi. 1° H. V. S. R-, che il sig. Nibby spiega hidus viri statuam restituita sembra che dovessero leg- gersi H. V. L R. e spiegare honore i(.sus impensam remisit^ come in altre consimili. I frammenti dei creduli fasti diurni, che reca a p. 115, voi. 1.", li ri- tenga indubbiamente per falsi. Asserisce (voi. 2.°, p. 50) che il console ordinario del 133 mal dicesi Sisenna ne'fasti, dovendosi dir Sisinnio. Valga, se non altro, a persuaderlo del contrario la celebre la- pida di Lavinio, che dopo il Ratti noi riportammo in istampa (Diplomi p. 264). Non è vero che i prin- cipi Borghesi abbian fatto diseccare il lago di Giu- liano ( voi. 2, p. 125 ). A p. 183, voi. 2, la tribìi Mecia^ cui era ascritto Q. Varinio edile di Lanuvio, viene mutata in un secondo gentilizio di lui, Ab- Liam voluto rimarcare questi piccoli nei, sol per dar prova ali'A. eh. dell'attenzione per noi usata nel leggere questa sua nuova dotta produzione, XV. yéntichi vasi dipinti della collezione Feoli descritti da Secondiano Campanari^ socio di varie accademie. Roma 1837 in 8." di p. 266, coji due tavole in rame. Pei monumenti etruschi, de'quali si compone, gode meritamente molta fama la collezione del sig. Feoli in Roma. Gik avevamo lette in alcuni giornali le dichiarazioni di alcuni fra que' monu- menti; ed ora con l'annunziato libro il sig. Campa- nari imprende a descriverne 169. Ma non sono que- sti soltanto que'che compongono la raccolta; altri assai, di minor conto però, ne fan parte; e per so- prappiìi alcuni nobili e preziosi bronzi etruschi ; Rivista. Archeologica 359 cimelii trovati tutti nella tenuta di Campomorto , che è compresa nel territorio di Vulcìa^ si ferace da qualche anno a questa parte di tali stoviglie antiche. Classifica il N. A. i vasi della collezione Feoli, come siegue : divinità (N. 1 a 96); eroi (97 a 114): guerra (115 a 124 ): giuochi ( 125 a 137 ): donne idrofore (N. 138, 139): danze e conviti (140 a 142): soggetti erotici ( N. 1 43, 1 44 ) : animali ed ornati ( 145 a 159 ): vasi con iscrizioni ( 160 a 163): ma- rina ( N. 164 ): forme singolari ( 165 a 169 ). Fra le divinità, primo è Giove. In un vaso è dipinto mentre raccoglie i numi a consiglio, come col descrive Omero nel ventesimo dell' Iliade : in altri 6 lo vedi cangiato in toro, e recante Europa sui dorso. Siede in uno nel mezzo; dall'una parte è Cerere che istruisce Trittolemo, dall'altra è Mer- curio e Core o Proserpina , nella quale vollero esprimere V immagine naturale della vegetazione ; un secondo quadro di quest' anfora rappresenta Bacco con Arianna, e presso loro Mercurio dio del commercio. Raro è che in tali tìttili siavi relazio- ne ed affinità fra le due rappresentanze. Ed appun- to ciò rende pregevole il ricordato , perchè facil- mente converrà ognuno che l'artefice volesse rap- presentarvi l'agricoltura ed il commercio che l'ali? menta. Dopo Giove vien Nettuno; in alcuni di que- sti fittili lo vedi combattere con Polibote; in altri è sul toro, animale a lui pur anco sacro, perchè sotto quelle forme prese ad amoreggiare con Ca- j nace. Molte sono le rappresentanze di Apollo; suo- I na il pentacordo; è in compagnia delle ore; delle i grazie; di Ercole e dì Minerva; due galli lo disegna- no come dio della palestra: altrove lo vedi coronato 3G0 Letteratura di mirto, cosa se non unica, certo assai rara. Ma bel- lissima sopra molte è l'anfora, nella quale fu dipin- to insieme a Diana ed a Latona ; le greche iscri- zioni ne chiariscono la rappresentanza; e non man- ca il nome di chi la possedette , che fu il bravo Pasicle JIAllKAEI KAAOI. Più numerosi sono i vasi spettanti a Bacco. Vien pitturato in compagnia di menadi, di satiri, o con Diana, o con Mercurio, o con Arianna ; in questo è sedente, in quello l'accompagna una pantera; ora lo vedi in figura gigantesca, ora in mezza figura e popputo, ciò che indica la natura e le sue produ- zioni. Giunone in un vaso è distinta dal suo nome HPH. Venere in altri è insieme con Mercurio, o con le ore, o con le grazie. Unico uscito fuori dai sepol- cri di Vulcia, che porti scritto il nome di Cerere AEMETEP, è nella raccolta Feoli, e fu gik ricorda- lo dal Gerhard nel Rapporto vulcente, ed altrove. Vien dopo Minerva : la vedi in un fittile uscita allo- ra tutta armata dalla testa di Giove, riposarsi nel grembo di lui; vestita in altro con ampio peplo sa- lir sul carro , in un terzo spinger Diomede dove è pili folta la mischia, ed eccitarlo a vibrar l'asta con- tro Citerea; etl una grande anfora panatenaica, con riscrizione TONA0E NETENAeAON , ben ci ricor- da l'uso che soleva farsi di tali vasi. In uno dei fittili del sig. Feoli son dipinte le Ire dive condotte da Mercurio innanzi a Paride per decider la lite mossa dalla Discordia. Molti poi ci rappresentano diverse fatiche del figliuol d'Alcme- na ; lo vedi uccidere il lione nemeo; combattere con Nereo ; conquidere il cinghiai d'Erimanto; ab- battere le cavalle di Diomede ; pugnare con Ippoli- ta ^ vincere Gerione j rapire il tripode ad Apollo; Rivista Aftcnr-OLOGICA 361 Irurre dall'orco il can cerbero. Con queste rappre- sentanze d'Ercole avremmo creduto che si compies- se la classe delle divinità'^ ma il sig. Campanari ha voluto aggiungere altri vasi con pitture spettanti a Teseo, alle amazzoni, a Perseo. Del che non vediam chiara la ragione; anzi ci sembra che meglio sareb- bero stati inclusi nella classe degli eroi-^ e Teseo spe- cialmente, che è quello che più di ogni altro si lega alla storia. Ma comunque ciò sia, vogliam notare che in un vaso veggiamo l'eroe di Atene uccidere il minotauro ; in altro combattere le amazzoni; ed in uno Perseo, tagliata già e chiusa nella cibasi la te- sta di Medusa, investe le altre due gorgoni sorelle Steno ed Euriala. La classe degli eroi ha principio da due vasi , ne'quali è dipinto Geneo armato, ma mezzo sepolto fra i sassi che i centauri hanno scaglialo su lui. Un l)el fittile rappresenta Polinice, il quale per mezzo di Tersandro induce Erifile, col fatai dono del mo- nile, a persuadere Anfiarao suo marito della necessi- ta di andare a Tebe, benché sicuro del malanno che 1 avrebbe ivi colto. Altro vaso rappresenta Peleo ( nUA . . . ) che tiene avvinta Teti ( 0ETII ) alla presenza di Giove, e di sette nereidi, che nomansi KVMATON— rAAVKE— 2nE2I— MEAITH — NAQ— H'AMAGH— KVMATOAHrH. Due vasi portan dipinte Teti e le sue seguaci recanti ad Achille le armi fabbricate da Vulcano. Ettore in uno si separa dai getiitorì ; in altro prende comiato da Andromaca ; in un terzo combatte con Aiace; e forse è questo il piìt grandioso e singolare della raccolta. Vedi in al- tri Ulisse che accompagna Ifigenia a Toante; i due Aiaci che difendon Menelao mentre questi trasporta il cadavere di Patroclo. Memnone ed Achille, o com- 3G2 Letteratura battenti intorno il corpo di Antiloco, o puj^nanti fra loro a singoiar tenzone, presenti le dive genitri- ci : ed infine Agamennone, che ucciso già Itìdaman- te, vibra l'asta contro Goone fralel di cjuello, e figli atnbidue di Agenore. Sotto il titolo di guerra son descritti vari fit- tili che rappresentan guerrieri di varie fogge, in bi- ga, a piedi, a cavallo. Uno fra questi (N. 115) por- ta dipinta la Discordia alata, stante fra mezzo due armati di lancia, in atto di spronarli a coinl)attcre. Che siano Ettore ed Aiace? Secondo narra Puusania, nella cassa di Gipselo erano sculti con la Discordia nel mezzo in atto di venire a singoiar tenzone. Sotto il nome di giuochi son descritti altri vasi, ne' quali veggonsi dipinti pugili, atleti, agonoteti, pancrazia- sti, magistofori, discoboli, acontisti, cursori, bra- bcuti, e la corsa delle carrette, ed i lanciatori di asta ed i suonatori di cetra, e gli schermitori alle pugna, Vengòn poi due vasi (N. 138, 139) che rap- })rilicarsi omai presuntuosa- mente da chi, digiuno di vera scienza, è solo av^^o- lontato di non i.schi,>ar moltiloquio, e dì aggiun- gersi fra'ciabattini della letteratura 1' appiccagnolo d. filologo mercè delle etimologie- cioè pescando ne' vocabolari questa o quella radice di orientale o gre- co derubo. Imperocché del sermon etrurieno ci è affossato affatto ( ed irreparabilmente pur troppo eh. ha un'oncia di sale in zucca! ), non che il m- leggio e gì, elementi sones>oli, ma fin parte deli'al- tabeto. Ed è pur curioso il vedere con quante po- tenti ragioni, confutate poi con altrettante ragioni non meno potenti, il Lami avvisò di trovare in esso 1 antico latino : il Mazzocchi e il Maffei, il fenicio ♦ il Bourguct, il Curi ed il Lanzi , il greco. Fino a 370 Letteratura questi mesi un irlandese stimò di spiegar chiara- mente colla presente lingua d'Irlanda due tavole eu- gubine ! Sicché se vi fosse un Lanci di Merida, che nulla iota sapendo di gravi dottrine, come questo da Fano, avesse anch'egli il ruzzo di farsi cornar dotto coU'attribuire l'origine dell'etrusco al suoYu- catan, io credo bene che a lui pure non manchereb- bero buoni argomenti per credere, tenersi la sua te- si a prova di martello sulla grammaticale incudine di tempera damascena : e ciò sia prendendo qua e la, qual prova d'insaldato schermo, diversi elemen- ti della sua lingua , sia accastellandosi con ordigni soprapposti ad ordigni ad accorciare o allungare questa o quella parola yucatanese, ed aiutandosi so- prattutto con ogni abusione di metatesi. Nulla dunque, direte voi, nulla rimane di lo- de all'abate Lanci per questa diceria sopr'^jcco da Todi e Tito , ancorché nel cerchio del suo concio^ ìlare non abbia potuto o saputo disascondere po- colin del tanto che riman chiuso nel gran serbatoio del tempo, o che fu lunghesso l'epoca de'nostri arca- voli? Sì certo una lode rimane a lui, propriamente a lui: ed è quella di avere, per dismagliar l'altrui rezza ed afforzare il serraglio di sua difesa{o meglio per mostrare sempre più, che l'urbani tk col suo sen- no non s'imparenta) onorato al solito di una. frondita coroìia di contumelie, dette colle piìi ghiotte elegan- ze de'pari suoi, varie persone tranquille, rispettabi- li e giustamente chiare nella nostra letteratura: per- sone, delle quali manderemo le pianelle al signor abate, affinchè ben le consideri. Oh elle non vor- ranno al certo moverne cjuerele a colui, che in al- tra opericcialtola ( passata già cogli Omireuij col Statua. Tudertina ZIA Giuoco della dama (1) e con altre simili sue balor- dai^gini ad involger le acciuglie ) non pur levossi con arroganza ridicolissima contra que'due famosi luminari della filologia europea, il cardinal Mai e Io Champollion ( oh sta, Eraclito, di non ridere! ): ma parlando di se, pezzo d'uomo, minaccioUi ambi- due col dire : E forse è nato Chi rimo e Valtro caccerà di nido (2) ! ! ! E poi non crederemo al fixtto di quel maestro di (i) Della dissertazione sugli Omireni è in questo stesso gior- nale arcadico (volumi di dicembre 1820, e di gennaio 1821) una confutazioue scritta dalla chiara memoria di Teofilo Betti, u quale senz'essere orientalista (tanto c'è bisogno di esserlo per giudicare delle opere del Lanci!) la mostrò solennemente un tessuto parte di sogni, parte di spropositi sbardellatissimi. Dell opera sul Giuoco della dama, piena tutta d'ingiurie, principal- mente contra 1' accademia della crusca , che v' entra come 1 cavoli a merenda (o per dir meglio come il buon senno e il pu- dore entrano nella testa del signor abate), appena è degno che si faccia ricordo fra persone civili. E molto meno è a ricordar- si un'altra opera imboccatagli intorno la Sacra Scrittura , sic- come impudenza che meritò più solenne ed autorevole disap- provazione, quella cioè della S. Sede Apostolica che ne volle soppresse tutte le copie : opera che tuttavia il nostro signor abate ha la temerità di citare due volte , quasi grave sapien- za, in questa sua cicalata sopr'^^cco da Todil (2) Vcggasi com'esso Champollion graziosamente ne uccel- la il signor abate in una lettera pubblicata nel volume II delle Memorie romane di antichità (anno i825). E veggasi pure il resto che glie ne diede in buona moneta il prof. Orioli nell antologia di Firenze , num. LXXIV , febbraio 1827 : dove toccò altresì delle altre villanie dette dall' impudente capoc- chio al celebre cav. Rosellini, alla Biblioteca Italiana, ed al Giornale Arcadico. 3T2 Letteratura scuola, che voleva anch'egll come un Oto e un Efial- te scalare il cielo per cacciar di seggio Apollo e le muse, non già ponendo il Pelio suU Ossa, e sull'Os- sa l'Olimpo, ma bensì sull'Alvaro il Porrettì e sul Porretti il Donato ? Certo 1' abate Lanci, direbbe il Berni , Se si trovava colla spada a' fianchi Quando i topi assaltarono i ranocchi^ Egli era fatto condottier de^ granchi. E qui basti per ora di tanto ludibrio e lezzo di lingua, proprio veramente del suo criterio; ba- sti di tanta scempiaggine e presunzione d'uomo. Ma tengasi per fermo che noi, benché ninna gloria ci sìa il combattere con questo imbrattacarte, torne- remo tuttavia a parlar di lui (ne forse così mol- lemente) quando egli co'suoi vezzi d'Aliborone se- guiterà a darcene la materia usando nelle quistìoni letterarie le armi vili de'ciarlatani. Antagirte a-4^4 373 VARIETÀ^ Lettere inedite e rare del P. Daniello Bartoli , raccolte e pub- blicate per la prima volta, insieme ad altre di celebri gesuiti al medesimo, da Ottavio Gigli. 8. Roma, tipografia Salviuc- ci i838. ( Sono carte 69). V^uesto cercare cOn tanto affetto, questo studiare con tanto amore che si fa oggidì le opere di Daniello Bartoli è il più so- lenne argomento a provare, che le grida de' savi in Italia sul do- versi rifiorir la lingua non sono andate disperse al vento : che le gentilezze e le eleganze del dire si conoscono ed amano; che tutti infine vogliamo tornare ad essere italiani non meno nel pensieri che nelle parole. Noi ce ne congratuliamo veramente all'anima : lietissimi di aver sempre noi pure predicato questa cosa medesima, e ricevutone anche l'onore di non pochi dileggi. Se non che niun dileggio di persona villana può ritrarre dal vero chi n'è intimamente convinto. Or ecco un nuovo dono che ci si fa degli scritti di quel prosatore grandissimo, di quel pro- satore che l'Italia ha solo eguale alla maestà, ricchezza e potenza della sua lingua. Qui sono tutte le lettere che fin qui si conosce- vano di Daniello Bartoli, aggiuntene undici delle inedite: e tutte fior di favella, di cortesia, di sapienza, di santità. Di che daremo lode alla volontà egregia ed alle cure amorevoli del sig. Gigli: il quale ha inoltre arricchito il prezioso libretto non solo di proe- 374 Varietà' mio e di note, ma ài quattro lettere del padre Francesco Lana, e di tre del padre Paolo Casati, belle altresì, ed importanti all' istoria delle scienze del secolo XVII. S. Betti Istoria delle pitture in maiolica fatte in Pesaro e nei luoghi cir- coni>icini, descritte da Giambattista Passeri pesarese. 8. Pe- saro dalla stamperia nobiliana i838. (Un voi. di carte ii5 ) Il chiarissimo prof. Montanari, il quale nel i836 ci diede una sua importante opera sulla insigne collezione di pitture in ma- iolica, diesi possiede in Pesaro da quell'onorando patrizio ca- valier Domenico Mazza, compio ora il lieneficio , che con essa fece all'istoria delle arti metaurensi, procurandoci questa terza edizione del libro del celebre Giambattista Passeri. Diciamo ter- za edizione.- comechò possa veramente chiamarsi la prima di merito, siccome quella che ha tutto ciò, che o nell'una o nel- l'altra delle due preceelenti di Venezia e di Bologna era stato tralasciato. L'egregio professore inoltre le ha latto precedere un suo proemio; cosa degna della sua mente.- com' è cosa somma- mente degna di Pesaro, città bellissima e gentilissima, l' essere per ogni maniera di opere d'ingegno fiorita sempre fra le più insigni d'Italia. Varietà' 375 Xfescrizione del primo viaggio fatto a Roma dalla regina di Sve- zia Cristina Maria, cOìwertiLa alla religione cattolica e delle accoglienze quivi avute sino alla Sua partenza. Opera inedita del P. Sforza Pallavicino della compagnia di Gesù, accademico della crusca e poi cardinale di santa chiesa , tratta da un manoscritto della biblioteca Albani- 8. Roma dalla tipografia Salviucci i838. ( Un voi. di carte ii8. ) jnLvemmo nel passato anno dall'illustre sig. ab. Tito Cicconi , bibliotecario Albani, la descrizione della peste cbe infierì in Ro- ma sotto il pontificato di Alessandro VII : descrizione eh' egli trasse dalla vita inedita di esso pontefice scritta dal grande car- dinale Pallavicino. Or ecco un altro brano della vita medesima, il quale ci fa ben desiderare che il dottissimo bibliotecario ci dia presto stampata 1' intera opera. La descrizione del primo viaggio fatto in Roma dalla regina Cristina è cosa singolarissima sia per tante belle e curiose notizie di un fatto che indusse a stupore tutta quanta l'Europa, sia per la grazia e facilità dello stile: sicché sarà letta con piacer sommo da quanti amano e l'i- storia moderna e le italiane eleganze. Il sig. ab. Cicconi l'ha inol- tre ornata di eruditissime note, fra le quali soprattutto gli lode- remo quella sulla parola canutiglia e sulla parola talamo. Rapporto letto dal segretario ab. Fruttuoso Becchi nell'adunan- za tenuta dalV accademia della crusca il di 26 giugno i838, nella quale fu essa onorata dalla presenza di S. A. l e R. il granduca di Toscana, e di S. A. R. il principe Giovanni di Sassonia. 8. Firenze nella stamperia Piatti i858. ( Sono carte Sa.) In quali dotte investigazioni si occupi l'accademia della crusca ben si vede da questo elegante e magistrale Rapporto, che testé ne ha fatto all'Italia l'illustre segretario sig. abate Becchi. Noi 376 Varietà' ce ne congratuliamo di cuor sincerissimo e coll'accademia medé- sima, e col sovrano che la protegge; anzi con la nazione, della cui letteratura è ella così gran parte. Qui gl'italiani con piace- re vedranno lo studio e l'amore, con cui gli accademici atten- dono alla retta interpretazione de' nostri classici , ed all'opera desideratissima del nuovo vocabolario: ed avranno altresì noti- zia di tanti nobili ed importanti lavori del Niccolini , del Cap- poni, del Dei-Furia, del Targioni, del Ridolfi, del Bagnoli, del Mancini, del Nesti, del Bencini, del Gtlli, del Piccioli, del Pog- gi, del Montalvi, del Ciampolini, del Tassi , non che di esso si- gnor segretario. Osservazioni di cistotomia quatrilaterale , con riflessioni sul mi- glior metodo per estrarne i calcoli voluminosi dalla vescica orinarla per la via del perineo ; di Giovanni Gorgone. Pa- lermo presso la stamperia reale i838. Su le scrojole e su di un recente efficacissimo rimedio per gua- rirle. Saggio clinico del dott. Lorenzo Malsano; seconda, edizione. Messina., tipografia Pappalardo i838. SulVobbligo che corre al medico di fare particolare studio delle malattie popolari. Prolusione recitata nel dì 28 gennaio i838 all'accademia pontaniana dal cav. Salvatore De Renzi. Napoli i838. XJLnnunziamo alla scienza medica questi scritti , sulla fede dei giornali del regno delle due Sicilie, che ne parlano con lode. Alti dell'accademia gioenia di scienze naturali di Catania. Tomo XI. - 4. Catania , tipografa all' insegna deW Etna i836. ( Un voi. di pag. 35o. ) Xn questo nndecimo volume de'suoi atti abbiamo dalla celebre accademia gioenia: r. Relazione accademica per l'anno decimo. Varietà* 377 del canonico Giuseppe Alessi. - a. Ricerche sulla profondità dei vulcani, di Sebastiano Gulli. - 5. Ulteriori ricerche sulle ossa fossili trovate in Siracusa nel i83o, del prof. Carmelo Maravi- gna. - 4" Cenno di una nuova razza [raia ), d'Anastasio Cocco.- 5. Memoria per servire d'introduzione alla zoologia del triplice mare che cinge la Sicilia, del canonico Giuseppe Alessi.- 6. Me- moria sopra un mostro per singolare trasportamento d' organi , del dott. Giuseppe Antonio Galvagni.-7. Memoria sopra una ma lattia endemica che stanzia ne'conlorni dell'Etna, del medesimo dott. Galvagni. - 8. Memoria sopra una cerebro-spinale protei- forme, del dott. Antonino Somma. - 9. Memoria sopra una ca- teratta guarita dalla natura senza i soccorsi dell'arte, del prefa- to dott. Galvagni. - io. Cenno sul ferro oligisto otlaedrico del monte del Corvo, del prof. Carmelo Maravigna. -11. Continua- zione del vertunno etneo, ovvero stafulegrafia , dell'abate Gio- acchino Geremia. - 12. Idee sulla formazione della crosta del globo, del prof. Carlo Gemmellaro. Di Catullo e di Orazio. VUon sommo diletto ci è venuto fatto di leggere un prezioso scritto del celebre cav. Dionigi Strocchì, ultimamente pubblica- to neW Istitutore ^ giornale bolognese [dispensa terza , marzo i838, acart. 99). Tratta esso di due passi di Catullo, l'uno non letto bene , l'altro non bene interpretato : e di alcuni passi al- tresì di Orazio, ch'egli stima non essere stati tradotti a dovere dal suo illustre amico Gargallo. Quanta dottrina, quanta mode- stia, quanta urbanità! Nel che il sommo filologo faentino rende- si grande specchio a certi villani, e ignoranti, e presuntuosi di questo tempo, che intendono a far brago e stalla del campo gentilissimo delle lettere. Di Catullo ci dà lo Strocchi il proprio avviso sulla lezione del verso 2 del carme XLVII .• Farci et Socration, duae sinistrae Piso;iis, scabies James/jue mundi. 378 varietà' Non mundi, e né pur Memmi, come altri vollero, si dee qui leg- gere : ma si Mundae. Ed eccone il perchè ; „ Era Munda città „ della Belica, dove Cesare sconfìsse Labieno e i figli di Pom- ,, peo, che guidavano gli avanzi di quell'esercito. Ivi Pisone era ,, questore con autorità di pretore, e per suo mal fare fu da'ca- „ valieri ispani ucciso per viaggio , come racconta Sallustio , ,, cap. XIX della guerra catilinaria: Piso in citeriorem Hispa- ,, niam qiiaestor prò praetore missus est, annitcnte Crasso. Sed j, is Piso in proi>incia ab equilibus hispanis iter faciens occisus „ est. Sunt qui diciint, imperia eiiis iniusta , superba , crudelia „ harbaros nequisse pati. Erat enim adolescens nobilis, summae ,, audaciae, egens , factiosus. „ Così pure del poeta veronese ci dà una nuova ragionevo- lissima spiegazione degli ultimi versi che sono nel carme XXXV Poetae tenero meo sodali ec. Quanto ad Orazio, egli difende l'avviso del Bentleio , che nel primo verso dell'epistola V del lib. I vuole che si legga ar- chiacis invece di archaicis; e post ingentia fata , cioè a dir dopo morte, invece di post ingentia facta nel verso 6 dell'epistola I del lib. II. „ Nella satira settima del lib. II (dice il eh. autore) il verso 58: Quid refert uri virgis, ferroque necari .- „ si traduce dal Gargallo .• Qual <>>'ha divario che scuoiarti Possa un staf/ll, scannarti un ferro ? ,, Due pene sono comprese in questa lezione. Altra ne compren- ,, de tre, la ustione, le verghe, la scure, secondo le penali leggi ,, romane : Quid rejert uri, virgis ferroque necari ? ,, ,, Nella satira prima (seguita egli) il poeta vellica gli avari, ,, i prodighi , gì' invidi j e chiude il sermone in queste parole „ (v. lo8 ) ; Varietà' 379 Nemon ut avarus Se probet, aut potius laudet diversa sequentes ? „ Non so vedere come abbia qui luogo la figura d'interro- ,, gazione, che mal si addice là dove in piano modo si pone la „ chiusa di uu discorso. La voce nemon , a mio parere , non è f, qui l'interrogativa apostrofala di nemone, ma il semplice ne- „ mo, a cui si aggiunge la paragoge dell'elemento consonante ad ,, evitare la elisione, come ne'dalivi greci plurali drjasiii , cha- „ risin, nel latino aevod , nella italiana copulativa et , ed , ne. ,, Dante scrisse ; Romagna tua ?ion è, né non fu mai; e Petrarca: j, Se gli occhi tuoi mifur dolci né cari. ,, Ma di ciò ( e di gra- zia ce ne scusi l'uomo dottissimo ) noi abbiamo tuttavia alcun dubbio; imperocché lasciando anche stare, che a noi veramen- te non sembra che in questo passo di Orazio la figura d'interro- gazione sia fuori affatto di luogo, certo è che non v'ha scrittore latino in cui nemon^ non abbia forza di nemone ; non escluso Orazio stesso, che altra volta l'usò nella satira VII del lib. II V. 34 : Nemon* oleum Jert ocjus P Ecquìs Audit ? Cuni magno blateras clamore, furisque. „ Nella satira IV del lib. II sono questi verri ( i"] e *eg.) : Si vespertinus subito te oppresserit hospes, Ne gallina malum responset dura palato Doctus eris mi.xto vivant menare phalerno. Hoc teneranifaciel. ,, E si traducono: Perchè tigliosa ed al palalo ingrata La gallina non sia, viva l'affoga Nel falerno annacquato, e i^ avrai frolla. 380 Varietà* „ Il verba latino miscere, onde l'ilaliano mescere, ha pure signi- „ ficaio d'infondere ; e già V egregio traduttore altra volta la „ usò in questo senso. E qui si dice; Affoga la gallina con ver- „ sare ad essa in bocca pretto falerno. In altro modo la prova „ sarebbe impossibile, non che difficile. „ Nella satira VII del lib. II il servo Davo^, con libertà usa- „ la nelle feste de'saturnali, dando a faccia al padrone il vizio „ della libidine, secondo le dottrine della sloa che adegua i 11- „ beri uonaini agli schiavi^ dice (t^. 53 )j Tu, cuin proiectus insignis, annullo equestri, Romanoque habitu, prodis ex iudice Dama Turpis, oioratuni caput obscurante lacerna. Non es quod siniulas ? Allorché tu da giudice li cangi Da sozzo Dama, l'olezzante capo Coperto di un gabbano, e non diventi In realtà quello che allor t'infingi ? ,, Era privilegio dell'oidine equestre dare i giudici ai tribunali, ,, Petrono Arbitro scrisse ; Atque eques in causa, qui sedet , actaprobat. „ Orazio non tenne in sua vita ufficio di giudice. Questo no- ,, me è qui posto a significato di cavaliere, antitesi di schiavo. ,, Penso che si debba tradurre : Allorché tu da cavalier ( cioè da ingenuo ) li cangi In sozzo Dama. ,, Queste ed altre cose il gran veterano delle nostre lettere acutamente avvertendo nel venosino, cosi finisce il suo scritto.* ,, Dirò pure , parermi non essere iti in sinistro i ditirambi di ,, Pindaro , com'è scritto liei proemio ( della traduzione del ,, Gargallo ), se pure per avventura l'erudito scrittore non ab- „ bia raccolta tale notizia altronde, che da questi versi di Orazio; V A R I fi T A' 381 Seu per audaces nova cUthj rainhos Verba devolvit. f, Io sono di avviso, che nella voce dithfrainbos, adatta al metro ,, saffico, sieno significate le odi superstiti di quel greco poeta. ,, Aristotele non eoa altro nome che ditirambica chiamò la liri- ,, ca poesia. „ S. B. Sopra uno specchio etrusco di bronzo, congetture dell'avv. Gae- tano De Minicis socio corrispondente delV instiluto di corri- spondenza archeologica. 8. Perugia i838, tipografia Baduel. ( Sono carie i6, con una litografia. ) Sopra alcune antiche iscrizioni trovate recentemente in Fermo , discorso dell' aw. Gaetano De Minicis. 8. Perugia i838j ti- pografia Baduel. ( Sono carte 28 ) Al sig- avv. de Minicis è uno di que'dotti, che nella provincia delle Marche attendono con amore ad illustrare le memorie de- gli avi nostri, massime di que'secoli che furono più gloriosi al nome italiano. Di che vogliamo qui congratularci sinceramente con essolui, confortandolo con quante più affettuose parole sap- piamo a proseguire nella lodevolissima opera. Alle cose eh' egli ci dice così saviamente sullo specchio etrusco noi non daremo già il nome di congetture , com' egli fa con rara modestia, ma si di vera ed unica interpretazione. Non ■v'ha dubbio alcuno, che non vi si rB^^ve&snù Marpessa in atto di scegliere chi meglio le piaccia fra' due suoi amatori Apollo ed Ida. Rappresentazione importantissima, essendo forse la sola che fin qui (per quanto sappiamo) ci abbia tramandato in opere d'arte l'antichità. Né punto scemerà forza all'opinione del N. A. il leggersi Marmis invece di Marpessa o di Marpissa. Iiuperoc- chè i nostri avi dicevano appunto Blarniesso e Marpesso un no- to vico del monte Ida : sicché in molli antichi codici di Tibul- lo la sibilla ellcspoulica, di cui si parla nella elegia V del libro II, 382 Varietà' scrlvesi orai Mermessia ed ora Marpessìa; e così Mar/nesso e Mer- messo e Marpesso indistintamente si ha ne' manoscritti di Lat- tanzio lib. I cap. VI delle Dii>ine instituziouL ^ Il discorso sulle antiche iscrizioni di Fermo è pieno pari- menti di buon giudizio epigrafico. Noi vi abbiamo letto oltre a ciò con incrcdibil piacere due lettere dottissime del sommo Bor- ghesi intorno agli Ottoviri di alcuni nostri municipii. „ Os- ,, servo ( egli dice ) che quantunque ( nelle diverse epigrafi j, che ci rimangono ) si dicono otto di numero, non se ne trova- ,. no però mai nominati insieme più di due ; ed osservo pure , „ ch'essi non si dicono già VlIIviri iuri dicundo , o VHiviri ,y aediles assolatamente, ma yilL'iri duunwirali potestate , e j^ yillvìri aedilicia potestate. Rifletto insieme che se Trebula , ebbe gli VlUviri aedilicia potestate, gli Vlllviri fanorum , „ gli Vlll^i^i nb aerario, vi fui-on dunque ventiquattro magi- strati per Io meno. Ma chi potrà credere , che una città cosi ,, piccola come Trebula avesse molti più magistrati di Milano , „ di Aquileia, di Ravenna, di Capua e di qualunque altra più grande città d'Italia ? Per lo che temo assai, che si sia affatto ,, fuori di strada, e che si debba cercare altra spiegazione. Stu- „ diando ora dunque questa materia , mi è venuto il sospetto che queir^///wV non voglia dir altro, se non che otto erano „ i magistrati di quella data città, fra i quali a coppia per cop- „ pia, come negli altri luoghi, fossero divise le rispettive inconi- „ benze. Nel mio supposto, degli otto di Trebula due avrebbe- ,, ro avuto l'edilizia potestà, che doveva esservi la primaria, co- „ me sappiamo da Cicerone che lo era ad Arpino , e come lo fu „ in altri siti : due avrebbero avuto la cura dei templi, che al- ,, Irove era affidata agli edili; due l'amministrazione dell'erario; „ e i due mancanti saranno stali probabilmente i quinquennali „ o i censori. Cosi intendo meglio conie siasi potuto dire Viti ,, vii' duumvirali potestate; capisco come, quando si tratta di pub- ,, blici lavori, non si nominano se non che i due, che ne avevano ,, la sorveglianza; e mi è chiaro perchè nella lapida perugina si ,, scrive Arbitrata Vlllvirorum, senza dir quali, perchè sareb- ,, be lo stesso che dire ad arbitrio del corpo de' magistrati. La Varietà' 383 y, cosa non è senza esempio anche in Roma. Dione c'insegna , ,, elle la prima magistratura a cui concorrevano i giovani era ,, quella Ae'vigintivlri , dicci dei quali erano addetti al giudizio ,, delle liti, quattro alla cura delle strade, tre alla sorveglianza „ delle carceri, e tre altri alla zecca. Ella ben sa, che chi era di ,, (Miesti ultimi si disse Illvir monetalis,o Illvir auro argerto ae- „ re /laudo feriundo. Pure nella celebre lapide dello Spon f) ( P'^D- "^9» 2 ) vi fu chi amò di chiamarsi invece XXi>ir mo- j, nelaìi^i. JNon è già questa una carica nuova; né ciò vuol dire, „ che la zecca avesse venti presidenti ; ma che costui era mem- ,, bro del ifigihtivirato, e che in esso occupava il dipartimento „ della zecca. Per fondare però questo nuovo sistema occorrono ,, altri confronti, ed altro tempo che ora non ho.,. Ma noi crediamo tal essere per giusto criterio questa opinio- ne del Lii.rghesi, che appena possa più dubitarsi di ammetterla (.iDie i.!i)a vcrilìi epigrafica. S. Betti Crnno sopra le relazioni di una cagna partorita da una donna. Aquila nel luglio i838. Nel foglio intitolalo il Gran Sa^^o d'Italia, y«*cjc. i3 e i5. V^uesto straordinario avvenimento dicesi accaduto in Bussi di- stretto di Àquila. Fu esso riconosciuto da' fisici oculari di que* luoghi, che ne fecero stendere verbale processo all'autorità mu- nicipale di quel comune. Incontratosi di passaggio in Bussi nel di ly luglio un distinto naturalista napolitano, trasse il feto dal vaso in cui conservavasi nello spirito di vino , e dopo accurata disamina confermò che il detto feto apparteneva esclusivamente alla razza de'cani, ed a seconda dc'suoi divisamenti vide che il funicello ombelllcale era legalo ad una placenta di forma e strut- tura precisamente umana. Se uomini segnalati anche per gravità e per dottrina pre- G. A. T. LXXV. 25 384 Varietà' staron fede negli andati tempi a consimili avvenimenti, e ne fu- ron talvolta per soverchia credulità, etal altra per raffinata ma- lizia o per illusorie apparenze delusi; oggigiorno assai difficil- mente vorrassi credere all'indicato preternaturale fenomeno. Im- perciocché uomini sommi, nell' ammettere mostruosità di ogni sorta, denegarono però cosiffatti pervertimentij e se dello stesso Bos-muli , da alcuni autori cotanto decantato, [venne poscia con inconcussi e reitenti esperimenti, e con indubbie critiche istorie provata sempre falsissima l'esistenza (i), moltopiù dubiterassi di una cagna partorita da una donna. E. T. Sur les maladies qui peuvent étre Voe^re des insectes etc. Del sig. professor Raspali. Parigi i838. l^e non ha guari diversi scrittori, e specialmente alcuni medici francesi , mettevano iu dubbio , anzi negavano l'esistenza de' più chiariti contagi, siccome per noi fu riferito in queste carie sino dal i83i (2), con maggiore efficacia rifiutavano essi la pre- senza di atomi microscopici dotati di vita, che dai più assennali medici d'Italia reputossi, e si reputa qual cagione essenziale del contagiosi morbi; talché giunsero perfino a negare lo stesso Acn— rus scabiei. Ora il cel. Raspail che entrava in quel novero, coli' accennata opera, facendo tesoro delle più profonde ed accurate entomologiche dottrine, si è fatto a dimostrare che i morbi erulli- vi, e specialmente il cholèra delle Indie, debbon ripetersi da es- seri animati. Ci è stato quindi di grave conforto questo dollissi- mo lavoro per aver noi da più lustri seguita codesta opinione , fondata precipuamente sulla presenza dell' acarus scabiei. La qual discoperta sino dal i685 debbesi ad un nostro piceno, Gia- cinto Cestoni.lnlorwo ix che ci proponemmo non solo di riprodur- (1) Toggia, Storia e cura de'buoi. Appendice toni. I, pag. 3i8. Torino i83o. (2) Giorn. arcad. toni. 49 - 5o. Varietà' 385 re in questo giornale (i) le sue lettere, ma vennero esse l'anno vegnente da noi illustrate con un ragionamento avanti la ponti- ficia accademia de'Lincei : il quale promesso parimenti al pub- blico, sarà posto in breve in questo giornale. A. Cappello (i) Giorn. arcad. tom. 6^, p. i85. A carte 144 Un. 27 invece di leggere Quid juvat toties etc. leggesi Quid juvit toties eie. 386 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO LXXV, VOLUMI 225, 224, 22S DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Barzellotti , Questioni di medicina legale ( continuazione e fine ) pag. 3 Chelini, Saggio di geometria analitica {con una tavola in rame ) „ 80, 279 aggiunta alla relazione dell' epidemia del 1831 ,,131 RossiiSperienze sull'azione del sublimato ec, e Analisi della materia purulenta prove- niente dalle cavità nasali di cavalli affetti da morva ,,135 Malvica^ Elogio di Domenico Scinà . . „ 140 Bilancio della cassa di risparmio in Roma per fanno 1838 ,,255 Rambelli, Biografia di Pietro Franchini. ,, 309 LETTERATURA Rossi, Della volgare epigrafia . • . . ?j 150 f^ida, Poetica volgarizzata dal Baratti- • „ 1 73 Campanari j Intorno alla statua tudertina del museo gregoriano- ....•••,, 185 387 Collenuccio, DelV educazione degli antichi in allevare i loro figliuoli ...... 209 Cardinali, Terza rivista di alcune recenti opere archeologiche italiane . . . . „ 318 Pacifici, Ellogium Aloisii Frezza cardinalis- 364 Antagirte, SulVab- Lanci e sul suo opusco- lo intorno alla statua todina del museo gregoriano „ 36T f^arietà Tavole metereologiche NIHIL OBSTAT E. Jacopini Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr, Dora. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patriarcha Antiochenus Vicesg. Osservazioni Meteorologiclie. )( Collegio Romano )[ Giugno i838. "g Ore Baromel. '■3 mal. .5'"'-i''-4 1 S'- » » o ser. ,,09 mal. „ „ 7 2 ser. „ 1 0 „ 0 5 mal. 1 » ,, J 3 gì- » ,, 4 ser. mal. » » 9 „ 10 4 ser. „ » 4 mal. » 0 6 5 8'- ,,12 ser. mal. jj )> 5 „ M 5 6 S'-- 3) « 0 ser. „ „ 7 mai. 7 gì- ser. „ » 5 V >, (3 mal. » ì> 2 8 8'- » 0 7 1 ser. V ,, 6 Terra, esterno 14 5 22 5 17 5 a Ore Baromet. o 28'"' li. mal. 1 0 0 8 ib S>- " 1 1 ser. '» » mat. „ ^ »7 gi- »» 5» » ser. " » '» mat. „ .. 5 18 gt- " " « ser. " mat. „ .. 7 iq 5'- „ »> « ser. '> » 4 mat. „ .. 3 20 » >» »> ser. „ » 6 mai. „ « 7 91 g'- ,. » 4 ser. „ „ 0 mat. „ 1 6 33 „ « '» 2 0 ser. " 23 mat. 99 »> " g'- „ 1 7 ser. « mat. 1 8 24 gi- „ » 9 ser. n 2 2 „ mat. » ■» 2!. g'- „ » 5> ser. » „ 4 mat. „ ., 3 26 g'-- „ » 2 ser. „ 1 9 — ■ mat. „ » 7 37 g'- „ » 5 ser. » „ 0 mat. „ „ 0 28 g^- „ „ 4 ser. « 0 9 mat. „ „ b aq z-+-B'sx-t-G'x7)— D=o; rappresenti una sfera nella quale il centro sia l'ori- gine delle coordinate, dovrà accordarsi coli' equa- zione x^'t^^'i~z^-h2{yzcosX.i-hzxcosYi-hxjcosZj) — a^^ro, e però somministrare D A' B' C A=B=C, —i =a^, —1 =scojXi ,-^ =co j-Yi,— =:cosZi . A A A A Rapporti fra le componenti^ proiezioni^ ed angoli delle rette. 57. E noto che le rette parallele sono propor- zionali alle loro proiezioni e componenti omologhe (§. ITO). Viceversa, due rette r^r saranno paral- lele, se le componenti /, w, n dell'una secondo tre assi coordinati, siano proporzionali alle componenti omologhe dell'altra. Infatti immaginando la figura riesce chiaro, che la direzione di r, r è fissata in- variabilmente dalle loro componenti, e che non si può alterare il parallelismo di r, r , senza turbare la proporzione l -.m i n -. : l'-. m -. n. Dunque sussi- stendo questa proporzione, è forza che sussista pure il parallelismo di r, r. In virtìi di tale discorso pos- siamo stabilire in generale, che due rette saranno Geometria analìtica TI parallele^ se le proiezioni delV una sopra tre assi siano proporzionali alle proiezioni omologhe dell* altra. Pertanto supponendo le r,r parallele, ed (L,M,N) (L', M', N) le loro proiezioni ortogonali sugli assi i^'h (j), (^)» avremo r / m '^_I^_M_N 7^ ir m'^ n~ L'"" M'~ N ' proporzionalità che risolve il seguente problema : date le componenti o le proiezioni di una retta rispetto a tre assi coordinati^ determinare le omo- loghe componenti o proiezioni di un'altra retta pa- rallela alla prima. a) Le proiezioni L, M, N di una retta r so- pra tre assi coordinati (x), (j*), (z), moltiplicate ciascuna pel seno della opposta faccia angolare Xi, Yi, Zj, vale a dire Ls-ewX,, MsenY^^ NsenZj , rappresentano nel senso degli assi supplementarii (Xi), (jrO? (2:1) (§. 56 S.'*) le componenti della retta r.VL parallela ad r; os^e H è = sen Y^sen Zi sejix. Dim. Siano /j, m^., ni le componenti della retta r nel senso degli assi supplementarii: sarà (§. 20) L = Tx = (/i H- m^ -h n^)x. Ora, essendo il piano j-jZ^ = X perpendicolare ad (x), si ha (/Wj -H n^)x = o, e però H L = (/,)x = licos'xx^ ^= (§. 56 S.**) /, — ^F-.Da qui senjLi e dal principio dì simmetria si trae la proporzio- nalità L.ve«Xi MsenYi ìiisenZi \\r (H) = ^ = — . Il m, «, r Corollarii. Ciò posto, riflettendo essere (per le note proprietà de'trìangoli sferici supplementarii) 42 Scienze seiiX. r= senx, senY = senj~, senZ = sejiz, cosK. = COSX, COsY = — COSJi COSZ = COSZt 1.° Avremo la formula (§. 20/) h^sen^X.. MNseìiY-iSenZiCosjc jj2^2 _= u^se?i^Y[ —2 NL^e«Z,^e7z X, co j[r ^^seii^Z^ LMse7iX.^senY^cosz, dalla quale si dedurrà il valor di una retta, date che ne siano le proiezioni sui tre assi coordinati. Ed è a notarsi che r rappresenta il raggio della sfe- ra circoscritta alla piramide triangolare, la quale nel senso degli assi (x), (j^), (2) ha per ispigoli 2L, 2M, 2N ; essendoché il centro di questa sfera proiettato ortogonalmente su ciascuno degli spigoli 2L, 2M, 2N, debbe cadervi nel mezzo. 2.° Viceversa , le proiezioni di Hr sugli assi snpplementarii, moltiplicate ciascuna pel seno delT opposta faccia angolare X, Y, Z, rappresenteranno nel senso degli assi coordinati (x), (j), (s), le com- ponenti della retta Hr.Hi=H^r , parallela ad r\ senlLi vale a dire rappresenteranno le „, senx „ senr ,^ senz senili senYi senZ^ Si avrà dunque H^/=j'e«XiLL^e7iX, — "^sen^ ^cosz — ìi{senZ^cosj\ Si avverta che, in virtù del principio che la pro- iezione della risultante è uguale alla somma delle proiezioni omologhe delle componenti, si ha L = / -f- mcosZ^ ■+- ncosYi . Queste due formule e le loro simmetriche sommi- nistrano le componenti di una retta varallele agli Geometria analitica 43 assi coordinati, date che in ne siano le proiezioni, e viceversa. Si noti che (essendo li=rcos'rx, M=rcos'rj; TV = rcos'rz) le proiezioni L, M, N, nel caso di r= i, diventano i coseni degli angoli che r fa co- gli assi ix), {j), (z); e diventano le componenti di r nel caso degli assi ortogonali. b) Trovar rangola di due rette r, r\ di cui nel senso degli assi (x), ( y), (z), sono date le com- ponenti l, m, n-^ l , m, n. Soluz. Proiettiamo r sulle rette r, /', m, n'i avremo (§. 20 e) r'.rcos'rr' = l'.rcos'xr H- m'.rcos'jr -h n.rcos'zr. Ma (§. 20) rcos'xr=l-hmcosZi-i-?icosY i , rcosyr=m-i-lcosZi-i-ncosX.i , rcos'zr=n-hlcQsY i-i-mcosHi ; dunque sostituendo //' 1 (mn-+-m'n)cos\^ (1) rr'cos'rr=mni-^r{nl' -+- n'l)cosYi nn \{lm ■+- l'm)cosZi. e) Il valore di sen'rr\ anziché dedurlo da sewrr =\/^{\ — cos^'rr')., si può rinvenire nel mo- do seguente, che ha il vantaggio di otì'rire un'im- magine geometrica delle diverse parti del risulta- to, e inoltre di determinare gli angoli onde il pia- no (rr) declina da'tre assi (x), (j), (z). Supponiamo, poiché è lecito, che le rette r, r partano dalia origine O degli assi (x), {j), (z): le coordinate della estremità di r saranno /, m, n; ed /, w, n le coordinate della estremità di r. Fermo ciò, il punto Imn si riguardi come centro di mo- menti con braccio ortogonale; il momento di r sarà doppio del triangolo (r, 'rr\ r), ed = rrsewrr'. 14 Scienze Decomponiamo adesso il momento di r in tre momenti paralieli ai piani coordinati X,, Yi, Zi (§. 24 d). Indicando col simbolo mom. la frase mo- mento di, si avrà (§. 25 /) '^(MOM.r)-jj-j = ^(mOM./ -4- MOM.W ■+■ M0M.w)x • Ma *(mom./)x =0, *(M0M.mH-M0ivi.w)y = (§. 28 e) (rnn — m'n)senlii. Dunque »(M0M.r)xj=(/w« — m'n)sen'K^ , e similmente j'(MOM.r)y =(«/ — nl)seììY^, •(M0M.r)2 ={lm — l'in)seiiL^. I Rappresentiamo tutti questi momenti con rette pre- se sugli assi de'loro piani a partire dalla origine O (§. 22 e). La retta rr sen'rr\ perpendicolare al pia- . no {rr) , avrà nel senso degli assi supplementarii (X,) , (^i) , (2,) le componenti {mn — m'n)senlLi , {ni — nl)senYi , ilm' — lm)senZi ; da qui la sua espressione. d) Le proiezioni poi della retta rr'sen'rr sugli assi (x), (jk)» (2), si otterranno moltiplicandone le nominate componenti rispettivamente per H H H . . • , — , — . binatte proiezioni sono pro- sen^i senYi senZ^ porzionali ai coseni degli angoli A, /ji, v che Tasse del piano {rr) fa cogli assi (x), {j), {z) (§. IT b), cioè 1 COsk COSp. COS'J \ , ^ mn! — m'n nt — ni Un — l'm '—rrsenrr H e) Se delle rette r, / sono date le proiezioni (L, M, N), (L', M', N') sugli assi coordinati (x), (jk), (z), per determinare l'angolo 'rr^ basterà conside- Geometria, analitica 15 rare la formula (1) rispetto alle componenti di Hr, Rr nel senso degli assi supplementari!: avremo LL' sen^Zi lWrcos'rr=^MM'sen^Xi NN' sen^Z, (MN' H- MN)senYise7iZiCosx (NL' •+- N'L)senZisenliiCos/ (LM' -h L'M^ewXijenYiCo^js; E si troverà che la retta Urrsen'rr ha nel senso degli assi coordinati (x), {j), (z) le componenti MN— M'N , NL — N'L , LM— L'M. ^ /) Proiettiamo r sulle rette r , /', »/, ?i: le cor- rispondenti proiezioni saranno rcosTr\ L, M, Ni ed avremo (§. 20 e) rr'cos'rr =^ /'L -t- /w M -H w'N, formula che risolve il seguente problema: date nel senso degli assi (x), (j^), (s) le componenti di una retta^ e le proiezioni di wì altra retta^ determinar V angolo delle due rette. g) Nota. Le formule in e) ed e) somministrano l'area di un triangolo di cui siano date nel senso de- gli assi (x), {j)^ (z), le componenti o le proiezioni di due de'suoi lati r, r'. Supponiamo che i lati r, r partano dal punto «/jy e vadano rispettivamente ai punti «'/Sy, u^"f'. sarà / = «' — a , m = ^' — (3, n = i — 7; /' = ci' — «, m = /5" — /5, // = 7" — 7. Quindi le aree componenti del triangolo ^rr'sen'rr't parallele ai piani coordinati Xj, Yi, Z,, diventano é C(/3' - ^) (/_y)_(/3"-/3)(7 _7)]..e/iX. , é C(7' — 7) (« "-«Mf— 7)(a~«)3^e«Y. , é L(«' — «) (/S"— /3)— («"— 2c) (/5— /3)]^e^2Z: ; e con ejje j/ esprime il valore di un triangolo di cui sono dati i vertici (*). (*) N. B. Ordinando il §. 28 nella guisa del §. presente, ri- leveremo che ivi le proiezioni L, M sono nel senso degli assi supplcmentarii le componenti di rsenxy , e con ciò avremo ni?? 'jr copia d'immagini geometriche. 1^ Scienze Equazione della retta nello spazio e sue proprietà. 58. Trovar Inequazione di una retta riportata a tre assi coordinati (x), (jr), (z). Soluz. Consideriamo sulla retta un segmento v che cominci dal punto «/3y, e termini al punto va- riabile xjz : le componenti di v rispettivamente parallele agli assi (jc), (jr), (s), saranno X — K^J — /3, z — 7. Per un punto qualunque del- lo spazio tiriamo parallela a v una linea r, le cui componenti parallele agli (x), (j^), (2), siano /, m, n. Poiché le rette parallele sono proporzionali alle lo- ro componenti omologhe, si avrà X — « j — /3 z — 7 f / m n r Queste due equazioni appartengono soltanto alla retta condotta pel punto «^7 parallelamente alla ri- sultante delle linee /, m^ », cioè ad una retta unica. a) Esaminiamo le modificazioni che possono dar- si alle quantità a, /3, 7, /, m, «, senz'alterare la na- tura e la generalità dell'equazioni (A) della retta. 1.° a,^, 7 sono le coordinate di un punto pre- so ad arbitrio sulla retta: questo punto si può dun- que prendere nell'incontro della retta con uno de' piani determinato da due de'tre assi ( incontro che esiste sempre, non potendo la retta esser parallela simultaneamente ai tre piani coordinati, senza es- serlo alle loro intersezioni (x), (7), (s), e però sen- za che gli assi (x), (j ), (z) siano paralleli tra loro): in questa ipotesi sark zero la coordinata parallela al terzo asse; cosi se tale incontro è nel piano jz sarà u.=^o. Pertanto senza derogare alla generalità deli' GE.0J1ETUIA ANALITICA 17 equazioni (A), noi possiamo supporre = o una del- le tre quantità a, /5, 7. Se la retta passa per l'origine, prendendo quivi il punto «^Sy, sarà o = « = /3 = y. Dunque l'equa- zion generale di ogni retta che passa per l'origine , ^ JC j z l in n 2.° /, m, n sono nel senso degli assi {x)^ (j ), (::), le componenti della retta r, alla quale debb'esscr parallela la retta v rappresentata dall'equazioni (A): . ,. . . , .. l m qumdi 1 rapporti tra /, m, n, quali —,--<, scr- 11 n vono a fissar la direzione della retta v. Riesce poi manifesto, immaginando la figura, che senza can- giare la posizione di r, una delle quattro quantità r, /, m, », si può fissare ad arbitrio e farla = 1, e che poscia con essa resta fissata ciascuna delle altre due. Si avverta che tra r, /, w, w, e gli an- goli "Xir , 'Yir , 'Zir, 'XiJ?, 'Yijr, 'ZiZ esistono le relazioni (§. 23 h) servlL^r ìseivY^r sen'Z^r l = r — , j7i = r ' — , fi = r . sen'HiX seii'Xij sen'ZiZ Concludiamo adunque che senz alterare la na- tura e la generalità dell'equazioni (A) della retta, è sempre lecito di supporre = o una delle tre quantità a, /3, y; e^? = 1 una delle quattro r,l,m,n. I rapporti tra /, m, n servono a fissar la direzione della retta v, mentre le quantità «, /3, y, ne fissano un punto : quindi variando soltanto i rapporti l m — ' , "< , la retta (A) gira intorno al punto a^'j, e va- G. A. T. LXXVI. 2 18 Scienze riandò il punto a/37, ^^ ^^^^^ ^^^ ^^ muove paralle- lamente a se medesima. Nota. Per indicare la direzione determinata dai rapporti tra /, w, n^ diremo direzione (/, m, n), o anche piìi semplicemente direzione Imn. Osservazioni' I. Dal modo, onde saranno scritte l'equazioni della retta (A), noi converremo che ciascuno rilevi da se medesimo ( essendo cosa facilissima ) quando si suppone = o una delle tre quantità a,/3,V; ed = 1 una delle quattro r, /, w, n. Per es. nell'equazioni X j — B 2 — 7 ..f,, . 0) = ^ =^ — = — , SI e tatto r = 1 , «=o ,• Imn Y — ^ -2 —~ V mentre in x = -= —, si è fatto /= 1 , m n (X = o. Si noti che in ciascuno di questi due siste- mi di equazioni il numero delle costanti /, w, /i, a, jS, 7, è ridotto a quattro, cioè al minimo. II. Due equazioni di primo grado fra tre coor- dinate x^j^ z, potendosi ridurre alla forma Y . 12 2 7 r=iriJC-ì-^i z=nx -f- 7, donde x = ~ == , m n rappresentano una linea retta. III. L'equazion della retta, che passa pe'puntì a/37, ^f^'iì è X — a j — jS z — 7 «•_>« — /3'—/3 "'y—y * Infatti questa proporzionalità significa che le rette {tx(iy-xjz)j {oc§y.ocfy) col punto comune a/57, han- no la stessa direzione (§. 58). Quindi affinchè i tre punti a/37, «/^Yj <^'^''Ì' siano in linea retta, è ne-^ Geometria, analitica 19 c€S5ario e basta che si abbia a" — a |3" — /3 y" — 7 IV. Affinchè due rette X — a. 7. — /S z — 7 l m n X — « j — /5' z — 7' / 'w n siano parallele^ e necessario e basta che si abbia ( §. 57 ) /: m: n : : /: m: ri\ 6(1 l: m: n : : t '. ni : n '. : a' — a: : /3' — '/S : 7' — 7, affinchè coincidano. Infatti quest'ultima proporzionalità significa che la retta i'^l^y'ixl^'y) avente le estremità sulle prime due, ha la stessa direzione delle medesime. V. Se la retta (A) è parallela ad uno de'pia- ni coordinati, per es. al piano -xj^ sarà n = o^ e jc — oc , però ? — 7 = il =:o. Quindi la retta (A) verrà rappresentata dalle due equazioni X — a j — /3 5 = 7, — = ; / m la prima delle quali rappresenta il piano condotto dall'estremo di 2 = 7, parallelamente al piano jcj; e la seconda rappresenta in questo piano il corso della retta. Se la retta (A) è parallela ad uno degli assi coor- dinati, per es. all'asse (2), sarà o = / = w, e però Z — 7 2 — y X — a =/ = o, r — ^ = m = o. Quin- n n dì la retta (A) verrà rappresentata dalle due equa- ' • ., 2 — 70 zioni X = «, 7 = /3; mentre il rapporto =■ '-^ n o 20 Scienze è indeterminato. Dunque una retta parallela ad uno degli assi, ha le stesse equazioni che il punto di sua intersezione col piano determinato dagli altri due assi. Equazione del piano ^ e sue proprietà. 59. U equazione (B) Ajc + Bjr 4- Cz = D rappresenta un piano distante dalla origine O deW D intervallo A- = -- , ove ^ è un segmento di tale di- a Stanza, avente sugli assi coordinati {x), Cr), (z) le proiezioni A, B, C. Dim. Prendiamo, a partire dalla origine 0, sul- l'asse {x) un segmento OA = A; sull'asse (jk) un seg- mento OB = B; sull'asse {z) un segmento OC = G; e all'estremità di questi segmenti eleviamo sopra gli assi (x), (jk), {z) tre piani perpendicolari, i quali concorreranno necessariamente in qualche punto g. Designata per g la retta Og-, prendiamo sulla me- desima ( prolungata se occorre ) un segmento OA- = -4 = A, e sopra questo segmento nella sua e- S stremith s'innalzi perpendicolare un piano indefi- nito : questo piano sarà il luogo geometrico dell' equazione (B). Infatti consideriamo in esso un pun- to qualunque M = {x,j, ?)-. OM avrà per compo- nenti x,j, z (§. 56 /). Quindi il noto principio del- le proiezioni (§. 20 e) fornisce g.OMcosgOM = x.Ah-j^.B-h-.C ; ma g.OmcosgQU=gk=D: dunque D=Ax-+-BjkH-C5. Così ogni punto xjz del nostro piano verifica quo- Geometria analitica Sfl sia equazione, ed inoltre si vede che non può ve- rificarla altro punto al di la o al di qua del mede- simo piano. a) Risulta dalla fatta costruzione \.° Che senz'alterare la natura e la generalità dell'equazione (B), si può sempre fissare ad arbitrio una delle quattro quantità g^ A, B, C, e farla = 1, e che poscia con essa resta fissata ciascuna delle tre rimanenti. E ciò apparisce pure dalla formula (§. 57 a \.^) vincolante g-, A, B, C. 2.° Che i rapporti tra A, B, G servono a fissare la direzione di g-, e conseguentemente del piano (B); mentre D = g^, serve a fissare la distanza k di lai piano dall'origine 0. Quindi se facciamo variare i rapporti tra A, B, G, restando costante A-, il piano (B) si muoverà in giro toccando continuamente una sfera del centro O e raggio A; e se facciamo variare A-, restando costanti i rapporti tra A, B, C, il piano (B) si muo\>erà parallelamente a se medesimo. 3.° Se supponiamo che k parta dal punto a/Sy e termini al punto x'j'z^ l'equazione A(x— a)-i-B(jr— /3)-4-G(::— 7)=D rappresenterà il piano che nel punto ccj'z tocca la sfera del centro «/Sy e del raggio A-. Siano ortogonali gli assi coordinati : presa g = k, sarà A = x' — a, B = / — /3, G = z' — 7, ed il piano tangente di siffatta sfera diverrà (^'— a)(x— «) H- (y^/3)(j— /3) -f- (2— y)(z_y>=A^ Osseri^azioni. I. L'equazione di un piano (B) passante per l'o- rìgine delle coordinate, sarà Ax-{-Bj-\-Cz=o: do- vendo essere in queste caso A" = o, e però D = gA = o. Viceversa, ove sia D = o, sarà , _ D . . "'' — ^ = o, e il piano (B) passerà per l'origine. o 22 Scienze II. Ogni equazione di primo grado fra tre coor- dinate x^jj Zj potendosi ridurre alla forma Ajc -h Bx h- Cr = D, rappresenta un piano ; e l'e- quazioni di due piani rappresentano una retta. III. Affinchè un piano (B) passi pel punto «/Sy, dovrà essere D = Aa -H B/3 H- C7 = A^ 4- BjK -H Cz, donde A{x~oc)-hB(j—^]-\-C{z--y) = o; e la distanza di questo piano dall'origine sarà A« -f- B/3 -h Cy k = ' § IV. Il piano condotto pel punto x'jz perpen- dicolarmente alla retta (A), è {l H- mcosZi -i-ncosYj) (x — x') \ -f- {m -H ncos'K.t -4- Icos Zi) {j — y) \ = 0. 4- {11 H- IcosYi -^mcosXi) {z — z)) Infatti se sopra la retta (A), perpendicolare al pia- no, prendiamo un segmento g = r; le proiezioni A, B, C di questo segmento sugli assi coordinati, sa- ranno (§. 57 2°) l -+- mcosZi -+- ncosYi , Tìi -f- ncos^i -4- IcosZi, n -+- IcosYi -h mcosX.i. V. Il piano condotto pel punto x'yz' paralle- lamente a due rette (A), (A) non parallele, è {mn'~mn){x-x)-h{jil'-nlXj-j)-i-{lm'-l'm){z-z')==o. Infatti se sull'asse del piano (rr), cioè del pia- no parallelo alle due rette (A), (A), prendiamo un segmento g = r^ rr seji'rr, le proiezioni A, B, C di H questo segmento sugli assi coordinati (x), (j), (z), saranno (§. 57 d) mii — mn^ ni — ni-, Ini — l'in. Se supponiamo che le due rette r, r, partano dal punto a^Sy, e terminino ai punti a/S'y , o.'^'Ì\ Geometria analitica 23 avremo l=di—o^^ m-=^^'~^, n=^i~^'^ e quindi l'equazione del piano che passa per tre punti dati «/Sy, o[^'y\ oi'^''i'. Se le due rette (A), (AO siano parallele , sarà ( a causa di l -. m '.n-.-, l' -. ni , r{ ) o = mii~mn = nl~nl=lm—l'm. In questo caso si prenderà per r la retta che unisce i punti «/3y, «/5'y di (A), (A'). Condurre un piano per la retta (A) perpendi- colarmente al piano (B), è lo stesso che condurlo per (A) parallelamente all'asse ^ del piano (B}; e pe- rò è lo stesso che condurlo pel punto «/3y paralle- lamente alle due rette r, g-. VI. L'intersezione de'due piani (S) Ax -H Br -H Cs = D , (BO Kx-^ B> H- Cz = D', è rappresentata dalla proporzionalità BC -B'C CÀ'-CÀ ~ ÀB'-^AÌ3 ^ %^'^e,z-gg' ' supponendo che il punto «/Sy sodisfi alle due equa- zioni (B), (B). Infatti 1' intersezione de' due piani (B), (B') essendo perpendicolare agli assi g-, o! de' medesimi, è pure perpendicolare al piano (^|') de- terminato da tali assi. Ciò posto, se in tale inter- sezione prendiamo un segmento r = Hgg-'^ew-o^o-' , le componenti /, m, n di questo segmento secondo' gli assi coordinati, saranno (§. 57 e) BC — BC CA'-C'A, AB'-A'B. VII. Affinchè due piani (B), (B) siano paralle- li, è necessario e basta che si abbia (§. 57) A' B' C' ?' ^ A'~ B'" C'"" D' 24 Scienze perchè coincidano. Infiitti, poiché — > = A, — == A', g g ove sia — = 2- , sarà necessariamente A- = A'. Co- si i due piani essendo paralleli, e di più alla stes- sa distanza dalla origine e dalla medesima parte, coincidono. Se il piano (B) fosse parallelo ad uno degli assi coordinati, per es. a z; allora g, perpendico- lare al piano (B) , lo sarebbe pure a (z) , e però sarebbe G =r o: quindi l'equazione (B) diverrebbe Ajc H- B^ = D, cioè l'equazione del piano coincide- rebbe coll'equazione della sua traccia nel piano xj. Se il piano (B) fosse parallelo ad uno de'pia- ni coordinati, per es. al piano jcj; allora g, per- pendicolare al piano (B), lo sarebbe pure agli as- si (x), (jk), e però sarebbe o=A=B: quindi (B) di- verrebbe Cs=D, cioè l'equazione del piano coinci- derebbe coll'equazione della sua traccia nell'asse (2). Vili. Per aver la traccia che un piano (B) se- gna nel piano determinatola due degli assi coor- dinati, basta in (B) fare = o la coordinata paral- lela al terzo asse. Così la traccia di (B) nel pia- no xjì e Ax H- Bjr = D. Inclinazione delle rette e de" piani- distanze tra i punti, le rette ed i piani. 60. Trovar l'angolo che fanno tra loro, 1.° le rette (A) ed (A'), ovvero i piani (B), (B'); 2.° la ret- ta (A) e il piano (B). Soluz. 1.° Poiché le rette (A) e (A) declinano l'una dall'altra come le r, r', risultanti di (/, /«, n). Geometria analitica 25 (/', m', n); e i piani (B) e (B') come i loro assi g-, g^ i quali sopra (x) , {j) , {z) hanno per proiezioni (A, B, C), (A', B , G); il problema è risoluto al §. 57. 2.° La formula in /) del §. 57 somministra grcos'gr = /A 4- rnB -f- nC. Ora, poiché g e (B) sono perpendicolari tra loro, gli angoli che la retta r fa con g e (B), saranno complementarii, e però, chiamato Q l'angolo onde r declina da (B), sarà cos'rg = seiiB. Dunque grsenB = lA-{~ mB -}- nC, a) Se (A) e (B) sono perpendicolari tra loro, le rette r e g essendo ambedue perpendicolari al piano (B), saranno parallele , e conseguentemente proporzionali alle loro proiezioni omologhe. Ed avremo (§, 57 2.°) L= AB r l-i-mcosZi-+-ncosYi w-4-«co6'Xj -+-/co^Z, C n-i-lcosYi-ì-mcos'Ki b) Affinchè la retta (A) sia parallela al pia- no (B), è necessario e basta che sia o = /A -H /wB -H AiG; a cui aggiungendo Aa 4- B^ -H Cy = D, cioè l'ipotesi che il punto a/3y della retta (A) ap- partenga pure al piano (B), si avranno le condi- zioni perchè la retta (A) sia contenuta nel piano (B). Gì. Trovare la retta h condotta dal punto a/S'-/ sotto V angolo Q 1 ." ad un altra retta (A) ; 2.° ad un piano (B). [Stabiliremo le formule nella ipotesi che il punto a/S'y' sia intermedio tra l'ori- gine e la retta (A) o il piano (B) 3. 26 Scienze Soluz. 1.° Supponiamo che la retta r, risul- tante di /, m, n, parta dal punto a/Sy: la perpen- dicolare calata dal punto a'/S'y' sulla direzione di r, ossia sulla retta (A), sarà = hsenO. Quindi, rispet- to al centro a/3Y, la r avrà per momento r.hsenO, i cui momenti componenti paralleli ai piani co- ordinati Xi, Yi, Zi, saranno (§. 57 e) [(/3 — ^')n — w(7 — yn^'e^Xi , [(7 — y)l — n{o(. — a.)']senYi , l(cc—ix)m—l(^ — /3')3 senZ,. Da qui il valore di rJisenQ 2." La perpendicolare hsenO calata dal punto a^Y sul piano Kx 4- Bj^ -j- Cz =:ì D, è uguale alla distanza che passa tra cotesto piano e il plano pa- rallelo A.r -H B7 -H Cz == A«'4- /3B' -j- C/ condotto pel punto «/Syi e però è ugunle alla differenza tra D Aa-H-B/3+cy le distanze -h , che passano tra 1 ori- gìne e cotesti piani paralleli: sarà dunque D— (A«'-f-B/3'-f-Cy hsenO = . S Se il piano (B) passa pel punto x'j'z , sarà D = hoc -t- By -H Cz' ; e la distanza tra il punto a'jSY e il piano (B) diverrà ^ ^ A(a:'_a')H-B(y-/3')-hC(/-7') a- O Se h designa il segmento della retta (A) com- preso tra il punto a/Sy e il piano (B) , essendo grsenO = /A -f- /»B ■+- nC, sarà D — (A« -H B/3 H- Cy) ti-^ r . /A -H wB -4- nOt Quindi, chiamato xy'z il punto ove la retta (A) Geometri A analitica 27 incontra (B), avremo per determinare x ^ y\ z' h oc — « y — j3 z — 7 ri ni n Nota. Se h e perpendicolare alla retta (A), o al piano (B), sAYdi sen9 = \ , e sì avrà la soluzione del seguente problema: trovare la perpendicolare condotta da un punto ad una retta^ o ad un piano. a) Tro\>are il punto x'zj ove la perpendico- lare h condotta dal punto u'^'y alla retta (A), o al piano (B), incontra (A) o (B). Soluz. 'I.o La distanza A- tra i punti a^ytocjz' della retta (A), è uguale alla distanza tra i piani condotti pe' punti «/S'y » «/^y perpendicolarmente alla retta (A), e però si ha (§. 59. IV) Ì{1 ■+■ mcosZi H- ncosYi)(oi — a) {m-hncosXi ■+■ IcosZi )(/3 — ^/3') {n-^-lcosYi ■+-mcosXiXy — v')* Ciò posto, i valori delle coordinate xjz sì trarran- no dalla proporzionalità Jc ^ X— « ^J^j—g __ z'—y r l m n 2." Poiché la perpendicolare D-(A«--t-B/S-+CYO , „ , , k = , e parallela a g-, se per fl,w,c si designino le componenti di g nel senso degli assi coordinati (§. 57 2.°), avremo per determinare g a b e Nota. La retta h condotta dal punto oc^'y al- la retta (A) o al piano (B) sotto l'angolo 0, incon- 28 Scienze trera (A) o (B) in un punto distante dal piede xy'z della perpendicolare per un intervallo =; JicosO. 62. Trovare la mìnima distanza h fra due ret- te (A), (A'). Soluz. Pe'punti a/Sy, a'^'y' delle due rette (A), (A')? conduciamo due piani paralleli alle medesime: essi conterranno rispettivamente le due rette; e la loro distanza (§. 59 V. 61 2.°) {mn'-m'n){(XrO()-^{nl -nl'){^'-^)-^{lm' - l'm){y-y) Il =H ^ , rr sewrr è uguale evidentemente alla minima distanza delle due rette. Coroll. Se risulta Az=o, le due rette (A) e (A) saranno evidentemente in un medesimo piano , e viceversa. Così Vequazione o={mn' — m'n){ « = /i^ -1- z-^ , sen'HrV sen-YiV sewZ^v ove / = — — — , m = -— , n = — - . senXiX sen'iijr sewL^z Viceversa Cix—x')^ ({z—z'Y {J—j){z—z)cosyii ( z — z){x — ■x)cosYi {x — x){j—y)cosZi ' X — X y—J z — s / = , m = , n = . V V V Nel caso degli assi ortogonali sarà / = cos'xv^ m=^cosyv, n=cos'zv. E se dinotiamo per B l'ango- lo compreso tra il raggio r e il piano Zj , e per 9 l'angolo compreso tra l'asse (x) e la proiezione del raggio V sul piano Z,, avremo Geometria analitica 31 cos.zv=senOj cos.x'^=cos9cos^., Gosyif=cos9senf; delle quali formule le ultime due possono riguar- darsi come una conseguenza del principio, che per proiettare una linea sopra un asse contenuto in un piano, si può proiettare dapprima sopra il piano, e poi proiettarne la proiezione suirasse. Equazioni generali delle piìc semplici superficie curile generate dal moto di una linea. 65. Luogo geometrico di un punto o di una li-' nea mobile^ e l'estensione in cui si trova successiva- mente il punto o la linea; e il punto si dice gene^ ratore, e la linea si dice generatrice dell'estensione. Allorché una superfìcie è il luogo geometrico di una linea che si muove secondo una legge asse^ gnata radendo altre linee, queste seconde si chia- mano direttrici' Per trovar l'equazione del luogo geometrico, conviene, l.'' esprimer le leggi del moto generatore per mezzo di equazioni, riducendo al minimo nu- mero le quantità variabili ; 2.° eliminare queste quantità variabili in modo che ne risulti un' equa- zione tra le sole coordinate del punto generatore. Gli esempi che seguono, daranno lume all'espo-» ste nozioni. a) Siano (g") 9^^^ j-> ^) == «» 9X^1 y^ ^) = ^> l'equazioni di una retta generatrice, il cui moto sia soggetto alla legge espressa dall'equazione (/) F(ci,b)^o, la quale significa che le costanti arbitrarie a, b va- riano in guisa colla linea ig), che determinata l'una, 32 Scienze lo è pure l'altra. Or qui surrogando ad a, & i loro valori 9(x,7, z), f{x,j, z), ove le coordinate jc,j,z sono correnti per tutta l'estenzione della generatri- ce, si avrà (// Fl(iiX,j, z), (p'{x,j, z)] = O : equazione che rappresenta la superficie generata dalla linea ig), giusta la legge assegnata (/). Viceversa, ogni equazione della forma (/)' rap- presenta una superficie generata dalla linea (g) sog- getta nel suo moto alla legge (/). Infatti, supposto che le quantità a, è variino continue in modo da verificare l'equazione 7)» è palese che la generatri- ce (g) moventesi al variare di a, b^ avrà ciascun de' suoi punti comuni colla superficie (/)'. b) Supponiamo, per es., che la variazione di a, Z?, dipenda da ciò che la generatrice {g) si muova, radendo la linea direttrice {d) f (x,jK, z) = o, f\x,J, z) = o; le coordinate x , j^ z, relative ai punti comuni alla generatrice {g) ed alla direttrice (r/), dovranno verificare le quattro equazioni {g) e {d) : eliminan- dole da queste, ne risulterà tra a., b e quantità co- stanti un'equazione F(fl!, b)=o, da cui si dedurra la superficie (/)' generata dalla linea {g) conforme alla legge proposta. 66. La superficie cilindrica è il luogo geome- trico di una retta che si muove parallelamente a se stessa, radendo una curva data. Trovar Vequazion generale delle superfìcie ci- lindriche. Soluz. Siano Ax-t-Bj-t-Cz=D, A'x-i-B>-hG z=D' l'equazioni {g) della generatrice considerata come la Geometria analitica 33 intersezione di due piani che si muovono parallela- mente a se medesimi. I coefficienti A,B,G, A', B', G' si dovranno supporre costanti, e D, D variabili in modo die la determinazione dell'uno , tragga seco quella dell'altro, ossia che l'uno sia funzione dell'al- tro. Giò posto, la legge (/) del moto generatore si riduce a F(D, D) = o, la quale si troverà eliminan- do j:*,j)',z dall'equazioni della generatrice e della direttrice. Quindi F(Ax+Bj'H-Gz, Ax-hB'j-hCz) = o sarà Tequazion generale delle superficie cilindriche. Se l'equazioni della generatrice (g) siano X — « J — jS z / m n si dovrà supporre costante la direzione Irnn, e va- . , ., ., nx — Iz nj — mz riabile il punto \a. =^ , p = ] . Giò n n posto, r equazione delle superficie cilindriche as- sumerà la forma ^ nx — Iz ny — mz , F( , -^ ) = o. n n a) Trovar V equazione del cilindro obliquo avente per base una linea di second" ordine. ^ — ^ y — ^ -s Soluz. Siano — -, — = = ,— 1' equazioni t m n della retta generatrice; e 2 = o, j-^ = 2px q:: i-x^ , a quelle «Iella curva direttrice. Eliminando da queste linee la x, j, z, ne risulterà tra «, /3 la relazione /32 = 2poi zp £«^ a G. A. T. LXXVI. 34 Scienze esprimente la legge del moto generatore. Quindi Tequazion del cilindro richiesto sarà {nj — mzY = 2pn{nx — Iz) qP '-{nx — hy. 67. Superficie conica e il luogo geometrico di una retta, che si muove intorno ad un vertice ra- dendo una curva data. Trovar V equazion generale delle superficie coniche. Soluz. Sia a/37 il vertice della superficie coni- ca; e X — « J — ^ z — 7 l m n siano l'equazioni della retta generatrice. I rappor- . l tn . . .,.,.. j ti ^ , — SI dovranno supporre variabili in modo n n che la determinazione dell'uno tragga seco quella dell' altro. Ciò posto, la legge (/) del moto gene- ratore si riduce a F(— , — )=o, la quale si troverà n n eliminando JC, j", z dall'equazioni della generatrice e della direttrice. Surrogando quivi ad /, m, n le quantità x — a,j^ — §^ z — 7 rispettivamente propor- zionali, si avrà X — a r — /3 z — 7 z — 7 per equazìon generale delle superficie coniche. a) Trovar V equazione del cono avente per base una linea di se cond' ordine z=o^ y^=^2px ::ì=. —x-, a Eliminando da questa linea direttrice e dalla ge- neratrice le Xy 7-, 2, ne risulterà tra / , /w, n la Geometria analitica 35 relazione (/5« — ymy == 2pn{un — y/) zp E. {un — '//)' , a espriinenle la legge (/) del moto generatore. Quin- di l'equazione del cono richiesto sarà 68. La superficie generala da una retta mo- ventesi secondo una legge assegnata , da alcuni è detta superficie storta, da altri superficie gobba, e si potrebbe chiamare con maggior proprietà (a mio parere) superfLcie rigata. Se ( come nelle superfi- cie cilindriche e coniche ) due posizioni successive della retta generatrice sono sempre in un piano, la superficie rigata prende il nome di superfìcie sviluppabile^ potendosi, al pari delle superficie pri- smatiche e piramidali di cui sono limiti (§.36 e noia), svolgere e spandere in un piano senza rottura o duplicatura. Trovar Vequazioii della superfìcie generata da una retta, obbligata ad appoggiarsi sopra tre linee direttrici. _ ^ ^_a r— /3 iS'o/wz. Immaginiamo due coni ¥( , )=o, /( , ) = o, abbracciati rispettivamente da s— 7 2—7 ^ due delle tre direttrici, e scorrenti col vertice co- mune a/37 '^ terza direttrice $(<^,i3,7)=o, (p{a,^,y)=o. La intersezione di questi coni, attraversando tutte e tre le direttrici, sarà la generatrice della nostra superficie. Dunque, eliminando «, ^, 7 da cotestq quattro equazioni, l'equazion risultante sarà la di- mandata. Se le direttrici cl\e abbracciano i due coni, fossero rettilinee^i coni si aprirebbero in piani. 36 Scienze a) Trovar Vequazione della superficie rigata a tre direttrici rettilinee. Soluz. Se due delle tre rette direttrici fossero in un piano, o tutte e tre parallele ad un piano, la superficie da generarsi non potrebbe essere che o un piano o impossibile, oppure una conoide del- la quale parleremo in appresso. Supposto che niuno di questi casi abbia luogo, prendiamo per assi coor- dinati tre rette parallele alle direttrici : l'equazioni di queste rette, come rispettivamente parallele agli assi (x), (^), (2), saranno quelle de'punti (o, /3, 7), («, o, /), (a , /5', o), ne' quali esse attraversano i tre piani coordinati X,, Yi, Zi. Ed è a notarsi non poter essere « = « a meno che le direttrici parailele a Xi non siano in un medesimo piano contro l'ipotesi ; né, per egua- le ragione, poter essere /3 = /3', y =; y'. I piani mobili attorno le prime due direttrici, siccome paralleli rispettivamente agli assi (jc), (j), avranno per equazioni l'equazioni delle loro tracce nei piani Xi, Yi (§. 56 VI), cioè Perchè la loro intersezione sia la generatrice, biso- gna supporre che si muovano seguendo il punto cor- rente («', ^', z) della terza direttrice; e però che il loro moto, funzione di (/,/w), sia diretto dalla legge /3'-/3 , u'-cc . . z=y-\ r=: y H -, donde ?7l l —m{o(. _. «) 4- /(^' — /3) — //n(y' — y) = o. /S' — ^ u — ex. Sottraendo y ■+■ =7'h — ; — dalla generatrice 'mi ° Geometria analitica 37 z=y-h- — - =7H r— » s» ottiene — ^ =•"- ; 'mi l m ed clini inaiiclo /, m da queste ultime due, si trova (.r—a:)(jr—^')(2—7)=(-a:^— «')(/— /3)(s—v'), la quale si riduce al secondo grado , togliendone via il termine xyz comune ad ambedue i membri, e rappresenta la superficie richiesta. Poiché cote- st'i equazione è simmetrica rispetto ai due sistemi di quantità (a,]S,7), («,/5,y), ne segue che la nostra superficie può venir generata eziandio dalla retta r — /3' X — ol z--^Ì= — — , s — 7 = -— -- , m l il cui moto, funzione di (/, m), è diretto dalla legge — 77/(«— a') 4- /'(/3— /30— /'/7^'(7— 7') = o. Questa nuova generatrice incontra sempre la pri- ma. Infatti nel loro incontro si ha X — a Y — ^ , X — a. y — /5' t m, l m' ^ e perchè ciò sia possibile, debbe aver luogo la con- dizione (§. 62) {m—m){ / = Z^-^' Eliminando da queste e dalle precedenti x, /, 2, ne risulterà tra 5 e /x la relazione §2 = 2pa/x =p — a^y.^ esprimente la leg^e del moto a generatore. Quindi l'equazione della conoide richie- P sta sarà z'^x^ = 2p(xxj =1= — ay^ h) Trovar lequazion della conoide, allorché le linee direttrici sono due rette. Soluz. L'asse (z) sia una delle direttrici; l'asse {x) sia la retta che passa pe'punti ove le direttrici attraversano il pia- no direttore; l'asse {y) sia la linea incisa nel piano direttore dal piano condotto per (s) parallelamente all'altra direttrice. Questa seconda direttrice paral- lela al piano zj-, e secante l'asse (x) in un punto X = d, sarà x = di j = mz. E la generatrice parallela al piano direttore ay-,sara s = §, 7 = /Ax; e però il suo moto, funzione di (5, u), si troverà ( eliminando x, j, z) diretto dalla legge "t = "y • . zx d Quindi — -= — » y m è l'equazione della conoide richiesta. Nota. Questa equazione essendo simmetrica ri- spetto a z, X, ne segue che la proposta superficie può venir generata eziandio dalla retta Geometria analitica 41 il cui moto, funzione di (5',KJ, è diretto dalla leg^e -r = — . Questa nuova generatrice incontra seni- è d ^ ^ pre la prima. Imperocché la condizione del loro U, fjr, incontro esicre che si abbia r- = -^ . E questa relazione esiste sempre in virtìi della leg- ge H- = -- =;= C che dirige il moto dell'una e del- l'altra generatrice. Pertanto, poiché il moto di una retta è determinato, se la retta sia obbligata ad ap- poggiarsi sopra tre rette fisse, possiamo stabilire, 1." che la conoide in questione può venir generata da due rette così tra loro vincolate, che tre posizio- ni qualunque delVuna parallele ad un piano diri- gano il movimento delValtra'^ 2." che non può esiste- re simile vincolo, senza che ciascuna delle genera- trici si muova sempre parallelamente ad un piano^ ed incontri Valtra in ogni sua posizione^ 3.*^ Che, siccome i piani paralleli dividono in parti propor- zionali le rette che insieme attraversano , così le successive posizioni di una generatrice dividono in parti proporzionali tutte le diverse posizioni dell' altra; 4.° Che due posizioni successive di una me- desima generatrice sono sempre in un piano diver- so, e che quindi la superficie generata non è svi- luppabile. 70. Superfìcie di rivoluzione è il luogo geome- trico di una curva che rota intorno ad un asse fisso, chiamalo asse di rotazione. Trovar Vequazion generale delle superfìcie di rivoluzione. Soluz. La superficie di rivoluzione può anche '" Scienze supporsi generata da un cìrcolo di raggio variabi- le, perpendicolare all'asse di rotazione, e scorrente col centro lungo il medesimo asse. Tale circolo ge- neratore potrà rappresentarsi così 4 _^T> ^ ^ (X— a)- l(jr— ^)(2— 7)cojX, A.r-f.Bj4-G.=D,^^=(^_P).+2 (z-yX-^--«jco.Y. . {^~yY \oc—<4j~^)cosZy cioè come la sezione che un piano mobile, e perpen- dicolare all'asse di rotazione, incide in una sfera di raggio variabile p, e col centro «^Sy nell'asse di ro- tazione. Secondo questa convenzione, sono variabili le quantità D, p^ e l'una funzione dell'altra. Quin- di la legge del moto generatore si riduce a F(D, p^) = o ; la quale, surrogati a D, fM loro valori, rappre- senterà l'equazion generale delle superficie di rivo- luzione. a) Trovar Vequazione della superficie nata dal- la rivoluzione attorno l'asse (x), 1.« di una linea di second'ordine z = o, j^ = 2px =p t-x'-; 2." di una a fetta X =*^~^= "ZH, m n Soluz. Supposti gli assi ortogonali, il circolo generatore sarà il cui molo, funzione di (D, p^), si troverà (eliminan- do jr,7,z) diretto dalla legge 1." p^—D^^^Opli::^^ D; a 2.° p» — D» =(mD -f- ^Y -H («D H- 7)^ Quindi l'e- quazione della superficie richiesta sarà 1.0 a[j^ -h z^) zp px^ — 2apx = o ; 2.° r^-^2^— (/w^^-«=)x^— 2(m/3-f-«7)^— (/3^H-7^-)^o. Geometria analitica /i3 iVb^rt. Secondochè un'iperbola rota intorno l'as- se trasverso o immaj^inario, la superficie j^enerata si chiama iperboloide di rivoluzione a due falde o ad una falda. La superficie generata da una retta rotante intorno ad un asse, è, come vedremo, una iperboloide di rivoluzione ad una falda. L'equazioni generali delle superficie cilindri- che, coniche, conoidi e di rivoluzione, possono ser- vire di criterio per conoscere se una data equazione rappresenti una delle nominate superficie. Criterii più diretti sono forniti dal calcolo infinitesimale. Superficie algebriche in generale. Loro ordine, piano diametrale, centro. 71. Le nozioni generali, che si sono date intor- no le curve algebriche , si applicano del pari alle superficie, con la sola differenza che il corso delle prime si rappresenta con due coordinate, e con tre lo spandersi delle seconde. Pertanto noi qui ci li- miteremo a dare alcune definizioni, e ad enunciare alcuni teoremi che si dimostrano nel modo medesi- mo che per le curve. a) Una superficie del n^"*° ordine non può venir traforata da una retta in più di n punti{^.d6.a). b) In una superficie curva si chiama superficie diametrale il luogo geometrico del punto medio di una corda moventesi parallelamente a se medesima. Tutte le corde parallele dimezzate da una superficie si diranno corde coniugate a tale superficie , e \ì- ceversa una superficie si dirà coniugata alle corde parallele che dimezza. In generale una retta si dira coniugata ad una superficie , se sia parallela alle corde coniugate a tale superficie. 44 Scienze ^ Un piano diametrale perpendicolare alle sue corde coniugate, si chiama piano principale della superfìcie. Due piani diametrali si dicono coniugati^ se le corde coniugate all'uno, sono parallele all'altrA. e) Se per uno de'punti ove un piano diametra' le attraversa la superfìcie curva, si conduce una retta parallela alle corde coniugate ad esso piano, tale retta sarà tangente. Infatti è palese che in cia- scuno de'punti ove un piano diametrale attraversa la superficie curva, ivi ne svanisce la corda con- iugata, e però ivi la secante che nasce dal prolun- gamento della corda , riunendo in un solo i due punti comuni colla superficie curva, si trasmuta in tangente. Viceversa, ogni retta che tocchi la superficie curva in un punto dato può sempre supporsi pa- rallela a un sistema di corde coniugate ad una su- perficie diametrale passante pel punto dato. d) In una superficie curva si chiamerà diame- tro il luogo geometrico del centro di una sezione simmetrica, moventesi parallelamente a se medesi- ma. Tutte le sezioni simmetriche e parallele, pel cui centro passa il diametro, si diranno coniugate al diametro; e questo coniugato a quelle. In gene- rale, diremo piano coniugato ad un diametro, ogni piano parallelo alle sezioni coniugate al diametro. Similmente una retta passante pel diametro, e con- tenuta nel piano coniugato al medesimo , si dirà linea coniugata al diametro. e) È manifesto, che laddove il diametro attra- versa la superficie curva, ivi ne svanisce la sezio- ne coniugata, e però ivi il piano che nasce dal pro- lungamento di tale sezione , si trasmula in piano Geometria analitica 45 tangente. Ora questo piano tangente debbe d' al- tronde esser parallelo a tutte le corde coniugate alle superficie diametrali che passano pel punto di contatto; dunque il diametro dovrà trovarsi sopra ciascuna di tali superficie, dimezzando al pari di esse le corde coniugate; sarà dunque la loro comu- ne intersezione. Pertanto, allorché le superfìcie dia- metrali sono piani (come nelle superficie di second' ordine), / diametri saranno linee rette. Un diametro rettilineo perpendicolare alle se- zioni coniugate, si dice asse principale della su- perficie. /} Centro di una superficie curva è il centro di simmetria della medesima, vale a dire il punto ove restano dimezzate tutte le corde che vi passano. Se una superfìcie sia simmetrica intorno ad un centro, preso questo per origine delle coordi- nate, r equazione di tal superfìcie dovrà riuscire di grado pari rispetto ai termini che contengono le coordinate, e viceversa (§. 36 d) Una superfìcie algebrica non può avere pia di un centro di simmetria, a meno che non consista in un sistema di rette parallele, cioè in piani pa- ralleli o in superfìcie cilindriche (ivi). 46 Scienze CAPO SECONDO. Superficie di seconct ordine. Equazion generale e sua trasformazione, centro, piani diametrali e riduzione dell'equazion generale. 72. L'equazion generale delle superficie di se- cond'ordine riferite a un sistema qualunque di assi coordinati {x)^{j\{z), può presentarsi sotto la forma (A) . . . . Br- -H 2 Mjz A 'oc B^^x— 2Bj'j— D=o, Gxj G' 2 simmetrica rispetto ai tre sistemi di quantità (X, A, a; a"), Cr, B, B', B"), (2, C, C, C), restando essa invariabile, allorché si alternano le lettere di un sistema colle corrispondenti lettere dì uno qualunque de'rimanenti sistemi. Si noti 1." che i coefficienti A, B, C, A', B', C non possono supporsi nulli simultaneamente, senza che l'equazione (A) cessi di essere di secondo grado; 2.° che divisa l'equazione (A) per uno de'suoi coeffi- cienti, questi si riducono a nove:, e che per conse- guenza da questi nove dipende essenzialmente la na- tura della superficie correlativa. a) La sezione fatta da un piano in una super- ficie di second ordine è una linea di second^ ordine ^ od una retta. Dim. Infatti è sempre permesso di prendere nel piano secante due de'tre assi coordi- nati, per es. gli assi (x), (jr): in questa ipotesi la equazione della sezione sarà ciò che diventa (A), quando vi si pone z=o, cioè un'equazione di secon- do grado tra le coordinate x, j:, oppure di primo grado nel caso che riuscisse 0 = A = B = C. Geometria analitica 47 b) Nelle superfìcie di second ordine due sezio- ni piane e parallele, ma non iperboliche, sono simili. Dim. Facciamo scorrere paralleli a se stessi i piani coordinati, trasportandone l'origine in un pun- to qualunque a/3y, e però surrogando j:-l-a, J^-+-/3, 2 H- 7 ad x,j, z. Per questa sostituzione i termini della seconda dimensione nell'equazione (A', si man- terranno evidentemente i medesimi. Ora è noto che due linee di second'ordine, non iperbole, sono si- mili, se le loro equazioni fra coordinate di eguale obliquità, presentano rispettivamente identici i ter- mini della seconda dimensione (§. 55. nota). Dunque la nuova sezione, che nella superficie (A) fa per es. il piano j:y, è simile alla sezione parallela che vi faceva nella posizione primitiva; e le linee dell" una sono parallele e proporzionali alle linee omologhe dell altra. Allorché poi due sezioni parallele sono iperbo- le, se non riescono simili, l'una sarà simile alla iper- Lola coniugata dell'altra. e) Nell'equazione (A) trasformare le coordina- te in altre di origine e direzione di\>ersa, e poscia in coordinate polari. Soluz. 1.° Alle coordinate x,j, z converrà so- stituire (§. 63) lx-i-lj-\-l'z-{-a.,mx-{-my+-m" z-\-^,nx-\-ny-]rn' z-\-'y, ove Imn, l'm'n tmn', rappresentano le direzioni de' nuovi assi coordinati (x), (y'), (2). Avvertendo essere simmetrici i tre sistemi di quantità (x,/,/'r,A, A',A"),(7,m,w m ,B,B'B"), {z,n^nn\C,(^ ^C'), tale sostituzione può eseguirsi a colpo d'occhio de- terminando successivamente i coefficienti P , 2Q , ' — 2R di x^, j'Z, X, e deducendo per simmetria i coefficienti (P', 2Q', — 2R') , (P", 2Q", — 2R') di AS Scienze (7", zx,j) (z^, xy, z). Designiamo per — S il com- plesso de' termini senza coordinate. Ove si noti che ciascuno di questi coefficienti debbe comporsi di tre parti simmetriche rispetto agli accennati sistemi di quantità , e che perciò basta conoscer l'una di tali parti per dedurne in simmetria ciascuna delle altre due, troveremo assai rapidamente :(A/-f-BViH- G'm)/ (Bm-{- CI ■+- Kn)m , [(G/i-h A'wH-B7)/i vale a dire : P, eoe ff dente di x^, è ciò che diven- tano nelVequazione (A) i termini della 2^ dimenzio- ne in X, /, z, allorché ad .r,j-,z, surroghiamo l,m,n. In virtìi della simmetria, P', P' è ciò che diviene P se ad /, m, n si sostituisce /, m\ n\ ovvero l\rri\n . kl- A mn Bm2-4-2 "^nl-- Ojt" dlm kl'l" Q==Qm'm" Cn'n ' K{pin'-\- m"n') B'(/27''-t- ni' ) C {Ini •+■ l ni) {Al' h-BV-4-G'to')/" [{M" -hB'?i"-hCm')l' {Bm'-hCl' -hA'nW=<{Bm"~i-C'l"-\-A:n"ìm {Cn-i-A'm-+-B'l')n' ({Cn'-hA'ni'-i-B'r)n' {Al-hB'n-hC'm)ci —R^{Bm-hai-+-An)^- {Cn-hA^m-i-B'l)y A"l ( ( A«-hB'7-H-C'/3— A'O/ B"m= l (BìS-hC «4-A'7— B' >/i C'n ((Cv-i-A'^-f-B'a— G'O/i Si ottiene Q', Q' se in Q ad l'm'n', V'ni'n.' si sosti- tuisce l"m"n\ Imn. oppure Imn^ l'm'n. Si ottiene poi R', R', se in R ad Inin si sostituisce l'm'n , oppure l'mn'. Infine è facile a vedere, che — S è ciò che di- venta il primo membro di (A), allorché ad x, /, z surroghiamo «, /3, 7. Poste queste determinazioni, (A) si muta in (A): PX2 Qyz Rx P>'^-f-2 Qzx — 2 R>-S = = 0 ¥z' Q'V R's Geomethia analitica 49 2. Sia a^7 il polo, ev — =- — -= l m n il raggio vettore del punto xyz della superficie (A). Converrà sostituire in (A) (§.64)x=/wH-aj^=wt'H-/3, z=nv-\-^l. 11 risultato di tale sostituzione sarà evi- dentemente ciò che diventa (A)i, se in essa facciamo o=j"=z, edx = p; sarà dunque (A)^ Pi^^ — 2Rì; — S = o. Nota. Se la retta v è tutta nella superficie, (A)2 dovrà verificarsi indipendentemente da p, e però essere o = P = R= S. Se la secante v riunisce in un solo i due punti comuni colla superficie, trasformandosi in tangente, (A)2 duvra avere uguali le sue radici, e però risol- versi in R^» -H PS = o, t; = - . P La prima di queste equazioni esprime la con- dizione, cui debbe sodisfare la direzione Imn della tangente p di cui cc/Sy è un punto. Quindi 1.° sup- poniamo a/3y un punto corrente xyz di wiR^-+-PS:=o rappresenterà la superficie luogo geometrico di tut- te le tangenti aventi la direzione ImUf cioè un ci- lindro circoscritto-^ 2." sostituiamo x — a, y — ^/3, z — y ad l^m.jì-^ R2 -f- PS =^ o rappresenterà la superficie luogo geometrico delle tangenti che partono dal punto a/Sy^ e però un cono circoscritto se a/3y è fuori della superficie, e se a/Sy è sulla superficie , essa cangiata in R = o (a causa di S = o) rappre- seuterìi un piano tangente nel punto «/3y. Infine se la tangente v si voglia infinita o asin- toto, sarà G. A. T. LXXVl. 4 50 Scienze R R P = -= -=o; e o = R--f.PS = R. Di queste due equazioni la seconda R= o (sostituen- do X, 2, jr ad «, /3, y) rappresenta un piano asintoti- co, cioè un plano che comprende tutti gli asintoti paralleli alla direzione Itnn di una retta qualunque contenuta nella superficie rappresentata (sostituen- do X — a, j — ^/3, z — 7 ad /, m, n) dalla prima P^=o. e) Centro- Dato che esista il centro, per deter- minarne le coordinate «, /3, y, basta trasportare nel medesimo l'origine degli assi: dopo simile traspor- to, la trasformata (A)i dovrà risultare omogenea ri- spetto ai termini afietti dalle coordinate, qualunque sia la loro direzione (§.71 d)-. dovrà dunque aversi o = R = R' = R'. Ora queste equazioni dovendo verificarsi indipendentemente dalle direzioni Imn, l'mn, l'rrin, si risolvono in A' = Aa-hBy-f-C'/S (1) B" = B^ H- C'« -f- A'y e = Cy ■+- A/3 H- B'a; donde (combinando la prima colla seconda per eli- minare /3, e poi alternando nel risultato « e y) si deriva (AB - C=^)a-f-(BB' — C'A')y=BA" — C'B" , (BB— C'A>H-(BC — A'^)y = BC — A'B"; ed eliminando y, t(AB — C'^) (BG -. A'^) — (BB — CA)^] « = (BC--A=*)(BA'''— GB")— (BB— G'A)(BC'^— A'B'). Dunque (BC— A'^^jA'— (CC— A'B')B"— (BB— G'A')G'' * ABC-l-2 A'B'G— (A A ^^-t-BB' ^-l-CC'=) e per simmetria Geometria ANALirrcA 5-1 ABG-+-2A'J3'G'— (A A'-^flBBV^C^^) ' (ab-g;5cmbb;3;GX^ Pertanto ogni volta che il denominatore ABG+2A'B'G'— (AA'2h-BB'^-K:G'2)= U non è zero, le coordinate «/Sy hanno un valore fini- to, ed è certa l'esistenza del centro. PiU sotto ve- dremo la verità dell'inverso, vale a dire se il sur- riferito denominatore riesce-=o, il centro non esisto Nota. 1.«. Dalle (1) si trae A"«+B''/3+G'V=A^^-HB^^4-Gy^4-2(A'/5y-i-B>4.c«iS) e quindi S = D 4- A''« H- B'/3 -f- C"y =D-h1 U (BG-A'^)A"- (CA— B'^)B''^ — (AB--C'^)G 1'/2 u rAA'_-C'B')B''C' (BB'— GAOG'A'' (CG'-A'BOA'B'' In questo caso (A), divenuta P^^^S, somministra S e quindi il valore di un raggio (. condotto dal cen- tro alla curva, datane la direzione imii. 2.» Se debbasi trasportare l'origine delle coor- dmate nel centro, senza mutarne la direzione, allo- ra (A) (fatto l=i,o = m=.n;m'^ì, o^l'^n' • n =1, 0=1 ^jn ) diverrà Ax^ Ajz là'zx — A'^« B/3— D==o. G'y /) Piani diametrali. Determinare una superfi^ eie diametrale, e (per la definizione §. 71 b) io stes- 52 Scienze so che determinare il luogo geometrico del punto medio cc/Sy di una corda 2v moveatesi parallela- mente a se medesima. La semicorda v , partendo dal punto «/Sy e terminando al punto jcjz della su- perficie (A), è rappresentata dall'equazione jc — a y — /3 z — 7 v= — - — = -=^ .. Sostituendo in (A) l m n X = li; ■+■ oc, j = mv 4-/3, z = nt» -f- 7 , otterremo il risultato (A)2 , ove la direzione Imn di v si deve supporre costante, e corrente il punto medio u^-^. Ora r equazione (A)2 non può dare per la semi- corda V due valori eguali e di segno contrario, co- me si richiede, se non sia ((A/H-B'«-f-G'/?z)« A"/ o=— R=tom-l-G74-A'/i)/3— B'Vw (vG«-l-AVw-f-B7)7 C'n. Ma questa condizione dimostra che a/37, punto me- dio di 2p, scorre sul piano ( (A/-hB'7zH-C/w)x (A7 (K) UBm-+-G7-hA'/i);-=-|B"w, [{Cn-\-Mm-\-Q'l)z (c'n ((Axh-B's-hCV— A")/ ossia }(Bj-hC'x-hÀ'z~~B'')m = o ((Cz-hAj-+-B\v—C")n equazione che è verificata dalle coordinate del cen- tro. Dunque Ogni superficie diametrale è un piatio, e passa pel centro quando il centro esiste (^). (*) N. B. Designato per m il i.o membro dell'equazione (A), ove si adoperitio i simboli del calcolo infinitesimale, l'equazio- ne (R) del piano diametrale potrà presentarsi sotto una delle due forme seguenti „ ,//P dP dV 1 é(--x -1- — r H z)=k"l 4- B'ni -H C"n\ di din, dn ,, du dii diL Z. -— / H — — m -t- ~—n = 0. dx dj dz Geometria analitica oS Dunque tre piani «liamctrali, clic non s'inter- sechino Inoi^o una medesima retta , manifesteranno col loro concorso se e clo\>e esiste il centro. La direzione Imn delle corde coniugate al pia- no diametrale R=o, si dira direzione coniugata a tale piano , e viceversa. Per trovare un piano diametrale coniugato ad una data direzione, si conducano tre corde paralle- le alla data direzione : il piano determinato dai lo- ro punti di mezzo, sarà il richiesto. Se la direzione Ini'n sia parallela al piano dia- metrale (R), avremo pel noto teorema (§. 60 b) o = |m'(B/7H-C7-i-A'/z)=|m(Bw'-hC7'-HA'rt')=Q". (7i'(Cw-i-A'm-+-B7) («(C«'-4-AWh- B7') Ora questa identità dimostra che, se la direzione Imn delle corde coniugate a un piano diametrale R ^ o, è parallela ad un altro piano diametrale R' = o; anche la direzione l'mn delle corde con^ iugate a questo è parallela al primo, e i due piani diametrali sono coniugati tra loro. g) Trovar Vangelo compreso tra una corda e il piano coniugato. Soluz. Designiamo per /? la retta che sugli assi primitivi {x), (j), (z), ha per proiezioni ortogonali A/h-B'/ì-hGwì, Bm-i-G7-f-A'/i, C/i-hA'/;i-hB7 , L'angolo 0 che la corda 2\> fa col piano coniugato (R), si avrà da (§. 60) r(A/-hB'«-i-C'm)/ psenQ =<(Bm-|-C7-l-AVi)m=P. {{Cn-^Mm-\-Q'l)n Se risulti P=o, sarà j'e;z5=o, e per conseguente la corda Iv parallela al piano coniugato, da cui deve esser dimezzata: assurdo manifesto. Dunque la con- 54 Scienze dizione essenziale alV esistenza di una corda paral- lela ad una data direzione Imn^ e del piano coniu- gato (R), si riduce a ciò che non riesca P=o. Intanto noi conosciamo il significato geometri- co de'coeflìcienti R, Q, P dell'equazione (A)i. R=o è l'equazione di un piano coniugato alla direzione Imu'^ Q'=s:o esprime la condizione perchè la direzio- ne l'nin sia parallela o contenuta in tale piano; e V^psenQ somministra l'angolo 0 compreso tra co- testo piano e le corde coniugate. h) Ridurre V equazione (A)i alla forma pia sem- plice. Soluz. Supposto P" diverso da zero, prendia- mo per piano de'nuovi assi (x), (^), il piano con- iugato alla direzione t'nin del nuovo asse {z)^ cioè il piano che nel sistema de'primi assi ha per equa- zione R =0. Poiché le direzioni Imn^ Imri de'nuo- vi assi (x'}, {j) sono in questo piano, sarà o=Q=:Q'. Inoltre la sezione che il nuovo piano x'j incide nella superficie (A), dovendo essere una linea di se- cond'ordine od una sua varietà, potrà rappresentar- si con l'equazione Px^' + P>2 _ 2Rx — S=o. Dunque l'equazione (A)i potrà sempre ridursi alla forma (A)' .... Px^-hPy^-HF'z^— 2Rx— S=o, e però farsi o=R'=R "=Q=Q'=Q'' . Se uno od ambedue i coefficienti P, P' risultas- sero eguali a zero, l'equazione (A)' non si potrebbe rendere omogenea rispetto alle coordinate , e per conseguenza rappresenterebbe superficie pri<^e di centro (§.71 d). Ed è a notarsi che non può aver luo- go l'evanescenza simultanea di Q, Q, Q', e di uno Geometria analitica 55 de'cocfllcicntl P, P', per es. di P, senza che sia o=Al-^i^fi-i-C'm=Bm-{~C'l-i-A'n=C}i-{-A'm-i-B'l, e però R=A 7H-B /;^-^-G'V^. Infatti se ciò non fosse, le tre equazioni o = Q= Q" = P, esprimerebbero che le direzioni Imn, l'mn, l"ìnn' de'nuovi assi, sono tutte paral- lele al piano (§. 60 h) e però esprimerebbero l'assurdo che il piano dia- metrale x'j è parallelo alle corde 'Iz che deve di- mezzare. Classificazione delle superficie di second" ordine. 73. I. Superficie senza centro. Un'equazione di secondo grado rappresentante una superficie senza centro, è sempre riducibile ad una delle tre seguen- ti equazioni V"z^ — 2R.r — S = o , Vy -H Tz^ — 2Rx — S = o , -py _ p''22 _ 2Rx _ S = o . Imperocché il segno di 2Rx" varia a nostro arbìtrio con x; e se P'non è zero, o ha lo stesso segno di P'\ o segno diverso. Le superficie corrispondenti a tali equazioni si chiamano rispettivamente: paraboloide cilindrica^ paraboloide ellittica., paraboloide ìperbo- lica. Se R risulta = o, coteste superficie si mutano nelle seguenti s^arietà : 1.° sistema di due piani pa- ralleli , distinti o coincìdenti, reali o immaginarii; 2.° cilindro ellittico., reale o immaginario, od una retta\ Z.^ cilindro iperbolico^ o sistema di due piani che si segano. Prendasi l'origine «/5y nel punto ove Tasse (or) 56 Scienze attraversa la superficie : sarà S = o. Quindi fatto R b^ R c^ «R „ ^R — = — , — „= — .donde P' =; — , P = — ,le tre F a V a' b- e- precedenti equazioni, divise per aR somministrano 2b' 2c^ ove le quantità , • — rappresentano i parametri ^ a a b^ c^ delle tracce paraboliche jr^=2 — x, z^=2— x,fat- a a te dalle paraboloidi ne'piani xy, xz, li. Superficie con centro. Un'equazione di se- condo grado rappresentante una superficie con cen- tro, è sempre riducibile ad una delle tre seguenti Vx^ H- py^ 4- P"z^ = S , Vx^ -4- P>^ — V'z^ = S , Px^ — P>^ — P' 2" = S ; ove l'origine a/3y è nel centro, per cui passano i tre piani diametrali R=o, R'=o, R' = o. Infatti , supposta S positiva (se non lo fosse, si renderebbe tale cambiando il segno a tutta l'equazione), i coefli- cienti P, P", P' sono o tutti e tre positivi (se fos- sero tutti negativi, l'equazione sarebbe assurda); o uno solo negativo ; o due negativi. Le superficie corrispondenti a tali equazioni si dicono rispetti- vamente: ellissoide-^ iperboloide ad una falda\ iper- boloide a due falde. Se S risulta = o, coleste su- perficie si mutano nelle seguenti varietà: la prima in un punto\ e le ultime due in un cono (§. G7). S SS Fatto — = a^ , — = ^2, — ,= c% donde P = — . , P'= — , P" = — . , le tre precedenti equa- a^ b^ c^ Geometria analitica 57 zloni divise per S, diventano 4.-;-+ -=1, -H- ^ =1, — ^- = 1, e quindi b^C^x^ db C^tt2j^2 :+: a^b^z^ =^ a^b^c^ ; ove le quantità a^, d= ^^, ±: c^ sono i quadrati di tre semidiametri coniugati , cioè rappresentano i quadrati delie distanze reali o immaginarie che in- tercedono tra il centro e i punti ove gli assi {x) iyìi (2) attraversano la superficie. a) Nota. 1. Supposti gli assi ortogonali, dell'e- quazioni (§. 70 a) a^ la prima rappresenta una paraboloide ellittica ge- nerata da una parabola rotante intorno al suo as- se; la seconda, un'ellissoide generata da un'ellisse rotante intorno ad uno de'suoi assi; la terza, una iperboloide ad una falda generata da un'iperbola rotante intorno al suo asse immaginario; la quar- ta , una iperboloide a due falde generata da un* iperbola rotante intorno al suo asse trasverso. L'im- magine di queste superficie, nel caso particolare che siano di rivoluzione, giova a concepirne la forma nella loro generalità; giacche a quest'uopo non si deve far altro, che sostituire alle sezioni circolari perpendicolari all' asse di rotazione, sezioni ellit- tiche. 2. Dalla maniera onde l'equazione (A) si è ri- dotta ad (A)' si raccoglie, che ogni sezione appar- 58 Scienze tenente alla famiglia delle ellissi od iperbole, dà luogo necessariamente a tre assi coniugati {jc'), (j), {z) della superficie, due de'quali sono diametri con- iugati ed arbitrarii della sezione, e il terzo è un diametro della superficie coniugato alla sezione; e che inoltre a siffatta sezione corrisponde parallelo nel centro (quando esiste) un piano diametrale. 3. Se nelle superficie dotate di centro Vx^ rt Py^ rb V'z"^ = S, due piani x'j' , j'z sono coniugati, il primo contiene il diametro {oc') con- iugato al secondo, e viceversa; e le corde coniu- gate ad un piano sono parallele al diametro con- iugato al piano. Conseguentemente due piani dia- metrali saranno coniugati^ se Vuno di essi conten- ga il diametro coniugato alV altro (§. 72 /). 4. La intersezione di due piani coniugati a due diametri, è una retta coniugata al piano diametra- le determinalo dai due diametri. Infatti questi dia- metri, essendo coniugati ambedue alla direzione di tale intersezione, passano pe'puntl medii delle cor- de parallele alla medesima, tre de'quali determi- nano d'altronde il piano cui esse sono coniugate. Direzioni principali. 74. Diremo coniugate le direzioni Imn^ l'nìri^ l"m"n' vincolate da o = Q = Q' = Q", cioè le di- rezioni di ogni sistema di assi coordinati^ rispetto ai quali l'equazione delle superficie di second" or- dine assume la forma (A)'. E tre direzioni coniuga- te sì chiameranno principali , allorché ciascuna è perpendicolare alle altre due. Inesistenza di un piano principale (§.71 h) trae seco necessariamente V esistenza di tre direzioni Geometria analitica 69 principali. Infatti in (A)' sia principale il piano x'jr\ Noi potremo prendere per (jc'), [j') gli assi prin- cipali della sezione che il piano xy fa nella su- perficie (A)'. Dopo ciò i tre assi (a-), {j')ì (z) dell equazione (A) saranno evidentemente ortogonali tra loro, ed in conseguenza principali le loro direzio- ni Imn^ lin'n, t'm'n. Poniamo {Xkl 4- V>n -4- QlìrC)x KBw -4- C7 -H A«)j- = /(/m«) : ((G7eH-A'/»-i-B7)2 supposte coniugate le tre direzioni Imn , l'mn , l"m'n\ si potrà stabilire, a causa di o=Q=Q'=Q", 4.° che de'tre piani fjmn), f{l'mn)^ f{l"m"n")., cia- scuno è parallelo alle due direzioni, delle quali son funzioni rispettivamente gli altri due piani; e per conseguenza, allorché le direzioni son principali , ciascuno di cotesti piani è perpendicolare alla di- rezione di cui esso è funzione; 2.° che quindi per- chè una direzione Imn sia principale^ è necessario e basta die sia perpendicolare al piano f{lmn). Pertanto, rappresentata per p la retta che su- gli assi (x), (jr), (z) ha per proiezioni kl -\- ^'n -H Cm, B/w -4- CV -*- An, C^i 4- A wH-B7, a determinare le direzioni principali Imn si avrà la proporzionalità (§. 60 a) p AZ-t-B'/iH-CW Bm-4-C7H-A'w ^ l-i-mcosZi-i-ncosY 1 m-+-ncosX.i-hlcosZi _ C/z-I-A'/;z-HB7 n-^lcosYi -hmcosXi =A/2-f-B7W2_}-C«^-f-2 lA'mn-hB'nl'i-Clm'] . È palese che se fosse cognita p, la cognizione della direzione Imn dipenderebbe da un'equazione di pri- mo grado. Cerchiamo adunque un'equazione tra p 60 Scienze ed A, B, G, A', B', C, eliminando /, m, n dalla ri- portata proporzionalità. Combiniamo ivi il primo membro col secondo ponendo in evidenza i coeffi- cienti totali di /,m,7z, e poscia alterniamo /,A,A',Xi con m, B, B', Yi: otterremo ^"" {pcosZi—Cy-h(p—B)jn-h{pcosXi—'A)Ti=o. Da qui eliminiamo m, e nel risultato alterniamo /, A, A, Xi, con 71, G, G', Zit si avrà ip - A)(yO-B) (p-B)(pcosY^-B') (pcosZi-Cy -(pcosZi-C)(pcosX.i-A!)j 0=1 {In).... (p-B)(p-C) ,\(p-B)(pcosX^-B') \-(pcosZ^-C)(pcosX,-A') "^ " -(pcosK^-A'fi equazioni ciascuna delle quali, cognita che sarà p^ darà il valore del rapporto — ; e quindi alternan- do /, A, A', Xi con w, B, B', Yi, darà pure il valore m del rapporto — « , e conseguentemente combinata nincosXi ìilcosYi ì determinerà la direzione InicosZi con 1 =: m^-+-2 principale Imn. Da esse, eliminando n e dividendo per /, si trae o^i{P'k){p-B)-{pcosz,-ay\i{p-B){p-C)-{pcosXr-h:y} —{ip-B){pcosY,-B')-{pGosZ,~QlpcosX,-K)y; e sviluppando le parentesi [ ], e dividendo per /j-B, l(/?— A)C/?co^X,— A> o={p~k){p—B){p—C)—\{p—B){pcosY,-~By \{p--C)[pcosZ, —cy -h2(pcosXi~Ay.pcosYi—B'ipcosZi—C'). Ordinando per ^, e riducendo giusta le note rela- Geometria analitica Gì Bloni di trigonometria sferica, fatto senXisenY isenz = H (§. 56 3^), troveremo CAsen^^i KsenYiSenZiCOsx'\ H^/?3 — rièsen^Yi — 2 ^ senZiseii%.iCosy\p^ [Csen^Zi C seiiXisenY icosz^ (p) ((BG— A'-) (AA— B'GOco^X,) -H^(GA— B'^)— 2 (BB— CAOco^Y, (/j— U=o ((AB— G'^) (GG— A^B'ìco^Zx ) equazione che nel caso degli assi (x), (/), (z) orto- gonali, diventa (P)^ p'—p- A BH-yO G (BG— A'^') (GA— B'a)— U=o . UB— G'-) Cosi la determinazione delle direzioni principali di- pende dalla cognizione delle radici dell'equazione {p). Si avverta che ad ogni radice reale di [p) e di- versa da zero, corrisponde una direzione Imn per- pendicolare a un piano principale (§. 72 g). a) L equazione {p) ha reali le sue radici^ ed una almeno diversa da zero. Dim. Supponiamo (poiché è lecito §. 72 lì) che l'equazione (A) sia ridotta alla forma (AT Ax2-f-Bj='-+-G2^— 2A''x— D=o: l'equazione {p) (fatto o=A=B=G') diviene (jo)2 H^/?^-(A^e«2Xi-f-B^e«'Yi4-Gj'en^Z,)yy^ H-(BGH-GA-f-AB)yo-ABG=o. Ricerchiamo adesso le condizioni, perchè o tutte e tre le radici di {p)z^ o due, o una, o nissuna sia eguale a zero. 1.° Perchè le radici di (^0)2 riescano tutte ugua- li a zero, si richiede che ne svaniscano i tre ul- timi termini, o clic si ahhia 1.^ ABG=o, 2.''BG-I-GA-hAB=o , 3.^ A-ye/z^Xi-i-Bj-e/i^YjH-G^e/i^Zj^o. 62 Scienze Se per verificar la 1.* di queste, si pone =o una delle tre quantità A, B, C, per es. C, la 2.^ di- venta AB=o; e se per verificar questa si pone =o una delie due quantità A, B, per es. B, la 3.^ di- venta Asen^lLj=o, donde A = o. Così non si può verificare simultaneamente la 1.^, 2.^, e 3.^, senza che sia o=A=B=C, cioè senza che l'equazione (A)' cessi di essere di secondo gra^iBCsefi^Yisen^Z,> ABCsen^Y iSen^Z^sen^'x . A°. Perchè nessuna delle radici di (p)^ risulti eguale a zero, si richiede che non sia eguale a zero Geometria analitica 63 il prodotto ABC In questo caso Tequazione (/j)^, siccome di terzo grado, ha per lo meno una radice reale. Dunque in ogni caso {p)^ ha una radice reale di- versa da zero. Dunque esiste sempre un piano prin- cipale per lo meno. Dunque l'equazione (A) col me- todo già insegnato (§. 72 h) può sempre ridursi alla forma Px^H-P>24_p".2_2Qx_S=o , in modo che le direzioni Imn^ l'm'n , tinti de nuo- vi assi (x), (7^), (z), siano principali. In questa ipo- tesi i coefficienti P, P', P" sono, com'è noto (§. 72 Z>), ciò che diventa A/^ -h B/W2 ^_ C/i^ -H %Kmn -H ^nl -+- Cini) , allorché la direzione Ijnn si suppone principale; sono adunque le radici dell'equazione (/?), e però si avrà U = ABC -H 2A'B'G'— (AA'=H-BB'^4-CG'^)=PP'F'. E poiché tali coefficienti debbono essere tutti e tre reali dal momento che n'esiste uno diverso da zero (§. 72 g); ne segue che le radici di (p) sono tutte reali. Quindi il numero delle positive (per la rego- la di Descartes) sarà eguale alle variazioni di segno che hanno luogo ne'termini della stessa equazione. Così dalla semplice inspezione delV equazione {p) si può subito rilevare quale specie di superfìcie rap- presenti V equazione (A) (*). C) Nota I. Ciascuno de'binomii (Z^) . . . BC — A'% CA — B'% AB — G- l'isnlti = ovvero ]> o : le quantità A, B, C dovranno avere lo stesso segno. Supponiamole positive; si avrà ($.40 ^ nota) 64 Scienze b) Data una superiicie di second'ordinc, è ne- cessariamente determinato il rapporto tra i coeffi- cienti P, P', P', radici dell' equazione {p); quindi comunque si trasformino le coordinate, e si mutino in corrispondenza i coefficienti A, B, G, A, B', G' dell'equazione (A), ii rapporto tra le radici dell'e- quazione {p) resterà immutabile. e) Se due delle radici P, P ', P'' di {p) sono egua- li, per es. P' = P' (lo che si può scoprire mediante i noti criterii alegebrici); l'equazione (A) non potrà rappresentare superficie curva, che non sia di rivo- B -H G— 2A'>o, G H- A— 2B'>o , A H- B~2G>o ; e però soiiiiuando e dividendo per i, A-hB+G— 2(AH-B'-t-G0>o. Per simile discorso, se i biaomii (i) si moltiplicano dapprima ri- spettivamente per sen^Yisen^Zi, sen^Z^sen^^i^ sen^^isen'^Y ^ , si conchiiiderà cbe il secondo termine dell'equazione [p] è ne- gativo. II. Risulti U=;, ovvero |>»o; le identità AU=(GA— B'2)(AB— G'^)— (AA— B'COS (2) BU=(AB— C-)(BG— A'-j— (BE'— G'AT , GU=(BG~A2jlGA— B'^)— 'GG'— A'B')- , dimostrano che nella fatta ipotesi i tre binoraii (i) debbono aver Io stesso segno. Supponiamoli positivi; i secondi membri delle [i], siccome non minori di zero, forniranno (§. l^o b nota) (BG A'^) (GA— B'^)— 2 (AB G'^) (BB— G'A')>o ^ (GC— AB') e ne conchiudereino per conseguenza che il terzo termine di {p) è positivo. Pertanto se con U=o^ ovvero ^o , uno qualunque de' tre binomii (i) è positivo; non potranno aver luogo in (p) perma- nenze di segno, nò quindi radici negative;e la superficie (Aj non potià appartenere che alla famiglia delie paraboloidi ellittiche , o delle ellissoidi. Se venga dato che le radici di {p) debbono aver lo stesso se- gno, e che nessuno de'binoniil (i) è minore di zero ; allora, ri- sultando negativo il secondo termine di [p], affincbò in (p) non abltiano luogo permanenze di seguo è necessario die U sia uou minore di zero; coòi ricadiamo uel caso precedente. Geometria analitica Q6 luzlone (§. TO a). In questa ipotesi la direzione dell' asse (x) di rotazione sarà una delle direzioni prin- cipali della superficie, mentre l'altra coppia di di- rezioni principali sark ogni sistema di due rette perpendicolari all'asse di rotazione e tra loro. Se tutte e tre le radici di (p) sono eguali, l'equa- zione (A) non potrk rappresentare altra superficie che la sfera. In questa ipotesi esisteranno evidente- mente infiniti sistemi dì direzioni principali. Se le tre radici di (p) sono disuguali, a ciasche- duna di esse corrisponderà una particolare direzion principale, ed una sola (*). Pertanto le superficie di secoìicT ordine offrono tre sole direzioni principa- li^ tranne le superficie di rivoluzione che ne hanno infinite. (*) Infatti supponiamo che (A) sia dal bel principio Px^H-Py^^-P'z^— 2Rx— S=o, e principale la direzione degli assi(.r), (j1, (z). L'equazioni (Imn) destinate a somministrare le direzioni principali, diverranno o={p-i')l=^{p-^')m=[p-r)n, ed '|=/2-l-W24-/i2. Ciò posto, facendo ;> ^ P, sarà o = m = n, e perciò / = i , cioè alla radice P di [p) corrisponde una sola direzion principa- le, quella dell'asse {x). E per ragion di simmetria alle radici P', P" di [p) corrispondono le sole direzioni principali deirli assi Se fosse P'= P",alla radice P corrisponderebbe la direzio- ne unica dell'asse (ar); ma, oltre questa, sarebbe principale ogni direzione perpendicolare all'asse (a;), risultando l=o,S =m=n, o allorché si fa p — P' — P". E se fosse P — P' — P", allora ogni di- rezione potrebbe assumersi a principale, risultando O — =l=ifi=n . o (Sarà continuato) Domenico Chelini delle scuole pie G. A. T. LXXVl. 5 66 Sul cholèra indiano in Roma nel 183T. Commen- tario del dottor Giovanni Fumasoni, 1. i^ei due mesi di giugno e di luglio, che prece- dettero r invasione in Roma del morbo indiano , la salute pubblica era invidiabile, e forse non mai prima osservata migliore. In pili di un giorno la cifra mortuaria fu negativa. La prossimità del ma- le però mi fé creder tanto bene di funesto presa- gio. Trovandosi il clima di Roma in uno stato di più che sperabile salubrità, e non preoccupato da niun germe morboso, era a mio giudizio la piìi fa- vorevole condizione, perchè il morbo minacciante e vicino, in alcun modo non disturbalo, vi potesse prender campo ed infierire. Ne deve far maravi- glia se in tal guisa ne giudicavo; quando si ponga mente quanta forza io tribuisca alla preoccupazio- ne, se sulla medesima affidato la proclamai sicura norma di salvezza, posta in opera nella iniziativa del male, come il fatto ha sanzionato. 2. Benché però la salute fosse in detta epoca tanto straordinariamente buona; non ostante se av- veniva sconcerto anche lieve patologico, si annun- ciava o con vomito o con diarrea. Sul principio di giugno un giovane scultore, da me poco lungi abi- tante, fu di notte assalito da impetuosa correntia di ventre; e sul far del giorno vi si aggiunse osti- nato vomito ed ambascia. Ben per tempo corsi a visitarlo; e confesso che nella cura mi attenni a riguardare il male come di specie sospetta; e non I Cholera indiano 67 come richiede il cholera-morbus sporadico. La co- sa riuscì bene, e nel giorno appresso fu convale- scente. Fin d'allora fui cosi d'avviso, che un ger- me straniero, ma debole ed impotente, già si an- nidava fra noi. 3. Potenza e volontà ferma, mezzi grandissi- mi impiegati dall'augusto sovrano, perchè il mor- bo non penetrasse ne'suoi dominii, la frode giunse pure a far vanì. Vengono dai cordoni sanitari al- cuni distaccamenti di soldati per andare nel prin- cipio di luglio ad altro destino. Intanto il male dal contiguo regno napolitano, che ne era tutto in pre- da, penetra in alcuni paesi limitrofi dello stato, fra' quali distinguevasi Geprano. Allora, cioè in luglio avanzato, vengono da detta terra in Roma due don- ne povere per impiegarsi a nutrici : ed entrano in citta facendosi credere provenienti da Subiaco, perchè ricoverate sopra un carretto di quel luogo. Pernottano in misera locanda: di Ik passano a ba- lie degli esposti in s. Spirito. Ben presto la locan- diera si ammala e muore colerica. Cade egualmente inferma una delle dette balie, e ne muore. Si ap- picca all'ospedale, e più infermi ne periscono. Con fermezza si nega il male micidiale essere il cho- Jèra indiano: e quello che inorridisce, da alcuni de' più veterani dell'arte salutare! E ben dissi inor- ridisce: giacché la fìsonomia, la forma esterna del male è tale, eh' egli è impossibile con altri mali equivocarlo. Prepotente forza dell'abito! Stabilitosi e rafforzatosi con tutto comodo nell'ospedale, n'e- sce, si dilata pe'borghi, e quindi Roma tutta per- corre ed invade. 4. Quasi nello stesso punto maaifcstoisi il ma- le neirarcispcdale di s. Giacomo nella persona di G8 Scienze un militare. Fa subito riconosciuto da quei pro- fessori, fra' quali merita distinzione il sig. Taglia- Lò per la ragione che fu per lui il primo caso ad osservarsi. L'Emo Sala, presidente e visitatore, ne prende il più vivo interesse con zelo non mai ab- bastanza commendabile. Si stabilisce il luogo in per- fetto isolamento; ed il male è soffocato nel luogo stesso di suo primo sviluppo. Se tal contegno fos- se stato tenuto nell'altro centro d'infezione, la sto- ria del cliolera per Roma non sarebbe stata che un episodio (1). 5. Siasi qualunque la stagione ed il clima, se il tempo è costante, il micidial morbo, qualora il germe vengavi introdotto, sorge , si rende epide- mico (§. 10), percorre dall'uno all'altro la popola- zione , infierisce ed atterra ovunque trova predi- sposizione e pascolo. 6. Per quanto rilevai per mia propria osser- vazione, la caratteristica, l'elemento fattore del cho- lera indiano, è lo spasmo: quindi potrebbe meglio distinguersi col nome di spasmo colerico. 7. La sua indole è contagiosa. Ne può essere altrimenti di un male, clic equabilmente si è pro- pagato da per tutto, non rispettando ne stagioni ne climi. 8. La quistlone, se un morbo sia piuttosto epi- demico o contagioso, non è medica perche incom- pleta. Ogni male , qualunque siasi la sua natura (i) Noi siamo certi, che non si sarebbe mai più circoscriUo il morbo, perchè da quella locanda il male era già diffuso con certezza iu qualche altro punto di Roma e de"suoi contorni. La circoscrizione sarebbe stata certa, se non si fossero tolte le misu- re sanitarie dalla detta locanda. Nola del Giornale arcadico. CnOLF.R\ INDIANO 69 e prerogativa, se vi si associano circostanze capaci a renderlo popolare, diviene epidemico. La costi- tuzione atmosferica vi debbe aver parte; senza di che i contagi ancora più conosciuti non valgono ad estendersi sulla generalità del popolo. Per questa ragione si ebbe qui in Roma la rosalia nel 1830, il vainolo arabo nel 1834, e non in altri anni, ben- ché i loro germi sian sempre con noi. Nel caso no- stro la condizione epidemica è un accessorio; come andrò dichiarando. 9. A mio giudizio la causa ordinaria delle epi- demie è nell'atmosfera, [n due maniere le può pro- durre: o in modo primitivo, o in modo seconda- rio. Le produce in modo primitivo, allorché il ma- le dipende direttamente da circostanze cosmiche eventuali, in che si trova per combinazione la mas- sa aerea che investe un luogo, e lo ammorba. Ciò che ordinariamente avviene sotto alcuni climi e sta- gioni determinate, nello spirar di alcuni venti, e pregni di esalazioni terrestri e paludose .... Ne può essere altrimenti: il pelago dell'aria è troppo I mobile: cangia da un momento all'altro: è il più j vasto e continuamente attivo elaboralorio chimico di natura: la modalità de'suoi cangiamenti non ha confini. 10. Vi concorre in modo secondario a produr- re epidemia, allorché non per vizio proprio, ma dai corpi ammorbati, e depositato nel di lei seno il semineo de'morbi, un ente venefico qualunque esso siasi: ed essa senza decomporlo se ne fa con- duttrice, e mezzo di comunicazione. Questo, a mio giudizio, avviene nei contagi eterei, di combina- zione la meno composta, come nel cholera, vainolo, rosalia . . . Per contatto mediato o immediato co- 70 Scienze mincia a propagarsi Jall' vino all'altro ìndividuoi Emanando dai corpi, che ha penetrato ed assimilato alla sua natura, non si appicca soltanto ai solidi circostanti; anche l'aria se ne imbeve, perchè an- cor essa è un corpo. E se ciò vada ripetendosi e moltiplicandosi in varie stazioni di un luogo, ben presto la massa tutta di quell'aria ne resta viziata, e ne diviene veicolo innocente, e mezzo potentissi- mo di propagazione. Ecco come rendesi epidemico. Per farla tornar salubre non ci vuol meno o di un uragano e tempesta straordinaria che la disper- da negli abissi dell'atmosfera e rinnovi; o di un fuoco vivo e continuo, come avvenne in Varsavia, che la distrugga. Altrimenti non si arresterà che dopo aver combusto il combustibile ; attendendo che se ne prepari del nuovo per risorgere ancora, quante volte non venga dalle sopra adombrate cir- costanze dissipata e distrutta. 11. Deve credersi che l'agente del cholèra in- diano sia ben semplice; essendosi mantenuto inde- composto in tutti i climi possibili del globo. 12. Se è tale, potrà disperdersi, ma non di- struggersi: potrà disporsi il corpo a poco o nulla risentirne l'impressione; ma non a cangiarlo in es- senza da quello che egli è. Consiste forse in un etere elastico, in una elettricità avvelenata? Tale è il pensar mio circa i contagi esotici. Si chiariscono col nome di contagio, perchè ordinariamente si a- cquistano col contatto. Ebbene; ogni corpo ha la sua atmosfera elettrica, che tanto piìi difficilmente cangia, per quanto i corpi stessi sono cattivi con- duttori dell'elettrico: e sono per l'appunto quelli che pili conservano il morbo. E qui si noti - più il conservano; e piìi in essi conservato si acuisce. - Cholera indiano ti È osservazione. - Ora nel conlatto dì questi corpi vi è concambio di elettricità: entra adunque nel tan- gente la elettricità avvelenata del corpo toccato: si è dunque effettuato un avvelenamento. 13. Parlo di avvelenamento perchè non trovo differenza tra contagio e veleno: meno che questo cade sotto i sensi, e quello ne sfugge. Ma se tutti e tre i regni di natura hanno i loro veleni: se si tro- vano sotto gli stati tutti possibili dei corpi, chi ne fé privilegiati gli elastici, chi gl'imponderabili? I metalli sono i migliori conduttori delia potenza elet- trica: i drappi, le telerie, i panni sono i peggiori: e propriamente in senso opposto custodiscono ed au- mentano il vigore dei contagi. Sono trasportati da Trani e Barletta nel regno di Napoli alcuni colli di stracci a Sora per ridurli a carta, e raccolti co- la mentre il cholèra vi dominava. I primi a svol- gerli ne caddero vittime in modo fulminante. Nel 1814 in Corfù accadde caso notabile. Un negozian- te di cola due anni indietro aveva fatto acquisto di due casse di berrettini provenienti dalla Dal- mazia mentre v'infieriva la peste. Per questa ragio- ne le teneva nascoste in una soffitta della sua casa. Due forestieri gliene fanno ricerca: vanno insieme al luogo dove si celavano le due casse : vengono aperte, e cadono estinti quasi colpiti da fulmine tutti e tre indistintamente. Gli altri di casa, non ve- dendoli di ritorno, salgono in soffitta, trovano spet- tacolo non creduto : sono essi stessi chi piìi chi meno fieramente colpiti dal male, che cosi si esten- de per tutto il villaggio. Gli stracci, i berettini non causarono certamente lo stesso effetto contro coloro che li riunirono ed incassarono. È vero adunque che pili il conservano e piìi s'invigorisce. 72 Scienze 14. Non credo che tlivcDf^a il cliolèra india- no indigeno, cioè che si naturalizzi ; come lo fu del vainolo arabo, scarlattina e rosalia. Questa pro- prietà par che non sia che di alcuni contagi erut^ tivi acuti. Se tutte le pestilenze, che hanno nei se- coli percorso l'Italia, si fossero fatte permanenti; la nostra specie più quasi non vi esisterebbe. Fi- nirà a poco a poco col non pili impressionare e j col dileguarsi. 15. Senza fondamento fu da qualcuno annove- rato fra i mali eruttivi. 11 rigonfiamento delle vii- ; losita intestinali è un prodotto meccanico ed acci- { dentale della violenta flussione colerica. La forma J amorfa e rarità in ritrovarlo ne fan prova; di più» Il non è visibile ad occhio nudo : è necessario l'aiu- j io di una lente. Non mi è accorso osservarlo mai sul \ tessuto cutaneo. La cianosi è tutt' altro che efflore- ,| scenza. Se spesso dopo il cholèra sorgono malattie esantematiche, come presso di noi è avvenuto, ed \ io stesso prenunciai, la quistione cangia aspetto. 16. La cianosi, che è lo stesso che il morbo ceruleo , vidi esser sempre il risultato di viziata o sospesa ematosi. Tale è nei neonati , se rimansi aperto il forame ovale: tale è negli adulti, in cui siavi guasto nelle vie del cuore : tale è nei coleri- ci, ne' quali fu verificato espirarsi l'aria senza aver sofferto mutazione alcuna ; e tale negli asfissi o an- negati. Il considerar duncjue la cianosi qual feno- meno eruttivo, come c[ualcuno opina, è follia. Di più ; se dopo la medesima, o nel suo essere, credi osservarsi da altri qualche nota di vaga e protei- forme efflorescenza cutanea, debbesi tenere per ac- cidentale, e qual prodotto o di rozze frizioni usate, o di sudiciume, o di cura inadatta, o del profuso CnOLKUA. INDIANO 73 conseguente sudore per acquistata acredine qua- si comburente; e possono nel caso tenersi per pu- stole sudatorie. 17. Le stravaganze del tempo o impediscono, o interrompono 11 corso del male. Lo distruggono affatto se siano accompagnate da violenza elettrica tale, che giunga a cangiare la elettrici th del luogo ed atmosfera divenuta cholerica. Ciò non è che os- servazione: conferma però la forma eterea dell'ente cholerico (§. 12). Poco importa se sia tale in na- tura, o che l'elettrico ne sia il solvente o il veicolo. 18. Il contagio emana dai corpi ammorbati, ed avvelena i circostanti. Quello che è consegnalo all' atmosfera col moto e violenza può, come si disse, disperdersi nei suoi abissi: ed in ciò consiste la di lei virtù disinfettante. In caso diverso , e qualora l'ente venefico vi si trovi concentrato, essa stessa avvelena. 19. Tutto ciò che è morboso, è nocivo al sano. Ce ne dan prova i settori anatomici nei pericoli a cui sono esposti. Ogni corpo estinto, gili in preda a male violento, assume la virulenza del male a cui soggiacque. Ogni sua particella può cagionarne uno analogo o simile, e produrre uno specifico avvele- namento. I contagi sono più tremendi perchè sfug- gono ai nostri sensi. 20. La funzione del traspiro cutaneo è la bus- sola direttrice per tener lontano o contrarre il ve- leno colerico. Tutto ciò che la corrobora, lo allon- tana: tutto ciò che la offende, ne dispone all'acqui- sto. L' esalazione ed inalazione cutanea sono due funzioni antagoniste: cresce l'una per quanto l'al- tra diminuisce. 21. Conseguentemente bisogna guardarsi dalla 74 S e i K N z r costipazione ; dalla indigestionfì ; dai patemi d'ani- mo deprimenti ; e da tutto ciò che snerra ed af- fievolisce. 22. Non vi ha forse altro contagio etereo, dal quale al par del colerico possa nno con maggior fi- ducia preservarsi; non escluso il vainolo araijo che richiede una vaccinazione. I precetti che in genere se ne danno, sono: coraggio, nettezza, sobrietà. Ai quali aggiungo pe' risultati di ciò che vidi e me- ditai: moto del corpo; uso giornaliero del tè in be- vanda, e dello stramonio in fumo. 23. Sorprende , come V azione di detti mezzi profilattici conviene nel custodire illibata la funzio- ne del traspiro ; e così lo stato positivo della natura- le elettricità. In tal modo si dà all' esterno, e non si riceve ; si espelle l'impuro, e non si assorbe. 24. I mezzi preservativi da me proposti voglio- no una qualche spiegazione. Col moto del corpo lo spirito si rallegra ; la circolazione ed il traspiro cu- taneo si mantengono vivaci ; la digestione ne è fa- vorita. Il tè in decotto piìi che in infuso è astrin- gente, aromatico, diaforetico; esilara adunque il si- stema nervoso : imprime alla villosa dei tubo ga- stro-enterico un molo , un atteggiamento opposto a quello del cholèra. E fu già da me stabilito fin dal 1831 neir appositamente scritta e pubblicata memoria. Lo stramonio in fumo esercita sulla fi- bra viva un'azione pienamente opposta a quella che induce il cholèra : toglie lo spasmo ; allontana il sangue dal petto ; facilita la piccola circolazione, il traspiro, la secrezione ed espulsione delle ori- ne, e dolcemente la salivazione e degestione: ed è per l'appunto ciò che in senso contrario produce r ente colerico. Gholer\ indiano " 75 25. Con tali vedute facilmente spiegasi il per- chè coloro che più si espongono al cholèra, in caso (V invasione, ne siano i piìi preservati ed immuni. Senza saperlo pongono in atto due de'più validi pro- filattici : esercizio di corpo, e coraggio. Questo si av- valora con Io sperimento continuo di riuscirne ille- so. E resta egualmente chiarita la massima delle ob- biezioni che si fanno contro la contagiosa sua indole. 2G. Si spiega anche plausibilmente il perchè lo svolgimento del male avvenga d' ordinario nel- le ore notturne : nelle ore cioè di quiete: e per- chè il sesso femminile vi sia più soggetto (nella no- stra invasione può calcolarsi quasi ad un settanta per cento), perchè uso per condizione a vita ca- salinga; di nervosa suscettività maggiore, e perciò più terribili gli effetti dello spavento. 27. Ho osservato il cholèra sempre fatale in coloro che preventivamente erano macerati dall'e- lemento timore. Lo spavento ne moltiplica i casi ed uccide una buona meth: ne ingrandisce lo svi- luppo e la velocità del corso. E siccome lo spaven- to sul principio è maggiore, giacche tutto cede ali abitudine: perciò ancora sul principio è meno cu- rabile. 11 cholèra men si teme, e più si ha sicu- rezza di non contrarlo. 28. Le fumigazioni eloriche e nitriche disin- fettano elleno? La loro utilità sulle persone almeno è problematica: il danno è sicuro. Nei contagi e pe- stilenze indigene il loro vantaggio è certo, ed an- che scientificamente dimostrato : nei contagi cioè che consistono in effluvi idrogenati provenienti da fomiti di corruzione. Non furono che per materia- le analogia applicati alla naturalizzazione dell'ente colerico. 76 Scienze 29. In veritìi scrupolosamente praticate, anche nei casi equivoci, nell'esordio del male in questa Ro- ma, ha esso a pie franco imperturbabilmente inva- so a poco a poco la citta tutta, ed in breve tempo ha mietuto vittime in modo superiore alla comune espettazione, in mezzo ad un profluvio di siffatti suffumigi. Questo è fatto, ed il fatto abborre dalle volgari opinioni. Si sono vedute famiglie constituir- si in perfetto isolamento; eppure perirne inondate ancora tutto giorno di cotali profluvi. Si è visto pe- netrare il morbo in varie- abitazioni; depurate, dopo qualche tempo penetrarvi ancora. La utilità loro adunque è almeno dubbiosa. 30. Dissi il danno esser sicuro, e specialmente nelle donne sconcertano il sistema de'nervi, induco- no spasmodia nei bronchi fino a suscitare asma. Ciò non ha bisogno di esser chiarito : predispongono adunque, è non salvano. Mentre però le rifiuto, non posso fare a meno di non raccomandare quelle di aceto e rosmarino, perchè d'azione pienamente op- posta alle eloriche e nitriche. 31. Qual è il primo modo d' agire dell'en- te colerico sulla fibra vivente ? Alcuni , seguen- do la moda, l'hanno pronunciato irritante. E bo- nariamente credesi aver fatto la medicina a' no- stri giorni un avanzamento magnifico coll'aver sur- rogata alla parola malattia cjuelle d' irritazione ^ infiammazione. Una frazione del codice medico e di natura si erige in base : scoglio ordinario di ogni sistema ; e cosa ben comoda per la medi- ca plebe, che in tal modo con un colpo di falce si avvisa squarciare il velo con che natura col suo misterioso si cela. Le potenze esterne provocano razione vitale secondo natura, o contro natura. Le CnOLERA INDIANO 77 prime allora soltanto volgeranno la salute in mor- bo, se smoderatamente operino. Le seconde sempre. L'urto delle prime farà aumento d'azione vitale, ed iìifìammazione. L'urto delle seconde essendo contro natura, sia in più sia in meno , la pervertirà-, ciò che è ben diverso da semplice aumento. Tanti pos- sono essere i modi di pervertimento, quanti so- no gli agenti e loro varie combinazioni. Si getti uno sguardo sopra la moltiplicita de'prodotti pato- logici per farsene idea e convincersene. Non sarà pensier folle volerle riordinare con metodo unico e solo proprio per gli agenti secondo natura ? I siste- mi lusingan di tanto: avranno perciò sempre nume- rosi seguaci, in forza dell'ambizione e picciolezza in genere dello spirito umano. L'altra via, cioè de'sin- goli fatti, è scabrosa ed erta , quale fu adombrata dal gran vecchio di Coo: e pochissimi hanno cuore e facilita di batterla. 32. In caso di presenza del male, ogni nota di mal essere si abbia qual nunzio di acquistato cholè- ra. I prodromi sono scarsissimi. Non ostante una ir^ ragionevole pienezza e disturbo di stomaco, nausea, bocca asciutta, diarrèa leggiera, spossamento senza causa, pallore insolito del volto, qualche vertigine e cerchio doloroso nella fronte, confusione di mente, sogliono annunciare che si ha in se il veleno colèri- co. Qui in Roma ha generalmente cominciato ad esternarsi con diarrèa, forse per caratteristica di sta- gione e tempo caldo. Ben rari furono i casi che ne fecero eccezione. Guai se veniva trascurata! Eppure questo quasi generalmente ebbe luogo; poiché l'e- poca della invasione del morbo essendo stata nel colmo di estate, si giudicava da ognuno un prodot- to ordinario della stagione. Ma lo è del pari dello 78 Scienze spavento. Conseguentemente tre erano gli elementi die concorrevano a produrla : stagione, spavento e cholèra. Bastava che i due primi anche separatamen- te la provocassero: ben presto vi si univa il terzo, e volgevasi in isquisito cholèra. Si distingueva la diar- rèa primitivamente per colèrica, se era annunziata ed accompagnata da romorosi borborigmi non mai prima sentiti dei simili; e da materia bianca e fioc- cosa. Da ciò si consideri quanto il timore fosse mi- cidiale: e ben si diceva che per acquistare il mor- bo bisognava temerlo. 33. Per questa causa forse riuscivano per Io pili mortali quei casi fomentati dalla riunione com- binata dai detti tre elementi diarroici. Poche volte si osservarono i tormini intestinali. 34. Dopo una diarrea più o meno prolungata, apparivano gli altri fenomeni morbosi caratteristici del vero cholèra indiano, che incalzavano fino alla estinzione della vita, causa de'quali tutti giudico es- sere lo spasmo. Non trattasi che di una nevrosi: ben può dirsi spasmo colèrico. 35. DifFatti, principia coli' annientarsi la fun- zione della cute. I suoi capillari da spasmodia assi- derati per antagonismo provocano diarrea : viene così il sangue spogliato di quasi tutta la sua parte sierosa. Lo spasmo progredisce : dai vasi passa ai muscoli della vita vegetativa e di relazione; vomito, diarrea sempre piìi profusa sino a prender la for- ma di brodo di carne con qualche sedimento e fioc- co albuminoso, crampi dolorosi allo stomaco, alla estremità, alle intestina piìi di raro, ne sono i pro- dotti. Per inopia di fluidi separabili cedono le de- iezioni alvine ; per la grandezza delle quali e per Io spasmo ogni altra secrezione, e la nutrizione stessa Cholera indiano 79 erano già cadute in una specie di paralisi, che re- sta quindi confermata si per la constituzìone al- terata del sangue rimasto senza veicolo e tutto fibrina, e sì per la coortazione dei capillari. Quindi intercettamento del passaggio del sangue dalle ar- teriose estremità alle venose, e perciò cianosi'^ oc- chi incavati e cinti da livido cerchio, gote rien- tranti e rugose, estinzione progressiva del calore e circolo, congestione di un sangue denso e tutto grumo nei grossi vasi e nel cuore, e la ematosi slessa sospesa. Fatte aride le corde vocali, pììi non vibrano: la voce è rauca, turchina, o manca af- fatto. Si fa somma l'ambascia : i polsi si occul- tano; e con un istante di calma si annunzia il mo- mento, pel quale va a dileguarsi la vita. 36. La rapidità del male è varia. Alcune volte rarissime compie il suo corso in tre o cinque o set- te ore. Ma allora ho per lo piìi osservato esservisi combinata qualche condizione organica che ne ac- celerò ii termine fatale; come anevrisma, disposi- zione appopletica, e cose simili; e può stabilirsi ben rari essere i casi di legittimo cholèra fulminante. 37. Ordinariamente le deiezioni sono tluido- fioccose. Qualora le trovavo similissime a brodo di carne, il caso per lo piìi riusciva celeremente funesto. Mancava alcune volte la fisonomia cangiata in senile; la colica stomacale o intestinale; il vomito, i crampi, l'algore: ma si moriva egualmente. 38. Nella ricorrenza del male, un primo at- tacco non guarentisce; ma predispone ad un se- condo. Una recidiva, e meglio una ricaduta, è per lo più mortale. Condizioni che escludono il cho- lèra indiano dal novero dei contagi eruUà'i acuti, nei quali si osserva il contrario. 80 Scienze 39. Come già opinai nell'accennata memoria, mi sono confermato attaccare il morbo primitivamente i nervi della vita organica, il sistema cioè ganglio- nare. 40. Dal modo che tiene nel produr la morte, non può essere raro il caso che sia apparente. L'os- servai in giovane donna ricaduta per crapula, che lo sembrò per varie ore. Si sa che la putrefazione è il vero segnale di morte. Sarebbe carità depositare i creduti estinti per cholèra in ima stanza ben calda, o con fuoco sotto la bara fino a che si manifestasse. Al. La forma del male è sempre presso a poco Identica. Due sole volte mi è occorso osservarne ano- malia; più apparente però, che vera. 42. In donna sanguigna, ben nudrita e giovane, non si fé palese che con deliquii continui irragione- voli, e stringimenti di stomaco e di precordii. Sul primo istante niun bene ottenni da sanguigna ed al- tri mezzi di cura; trattata come colèrica con emetico ec. disparve tutto per incanto. Un uomo giovane, gracile, sulla mezza notte, prima della meta di agosto fu assalito tutto in un subito da stringimenti stomacali e di petto, da am- bascia somma, da inefficaci stimoli di recere e di premiti accompagnati da romorosi borborigmi e qualche colica; divenne gelido, risenti qualche cram- po nelle estremità, e confusione di mente. Passò la intera notte passeggiando tacito e soffrendo. Sul far del giorno con un sudore profuso sentissi alleggeri- to. Ma non essendosi posto in cura, le affezioni di stomaco e petto persistono ancora. Lo spasmo ne è però sempre Telemenfo generatore e predominante. In donna di 27 anni, strangolala in poche ore dal cholèi-a per ricaduta, curata sempre col metodo Cholera indiano 81 degl' infinitesimi, vidi nella necroscopia lo stoma- co di grandezza enorme e pieno di materie fluido- giallognole esalanti leggiero odore ammoniacale, am- bidiie gli orifici ristretti e chiusi. La vescica orina- rla era men che un ovo di piccione. Ben dissi dun- que strangolata, e lo fu dalla grandezza dello spasmo. 43. Venne generalmente il corso del colèra di- viso in tre stadii : d'invasione, algido e di reazione. Credo questa divisione inesatta, non conforme alla osservazione, e ritenuta per cieca pedanteria. Lo sta- dio di reazione non fa parte, ne appartiene al colè- ra che indirettamente. Sono altri mali che vengono dopo il colèra; e che variano a seconda della indivi- duale disposizione. In questo forse consiste la da alcuni predicata proteiforme fisonomia del male. 44. Se lo stadio di reazione facesse parte del colera, non sarebbe variabile, come lo è in fatto. Se facesse parte del colèra, si osserverebbe costante nei casi almeno gravissimi : eppure non è cos'i. Ne vi- di varii terminar felicemente, sì bene con lunga e difficile convalescenza; e qualche volta con più feli- cita ancora , e non con la voluta reazione. Non è nuovo in patologìa che un male si faccia causa di al- tro male, non è nuova la successione de'mali. E che ciò spesso verificar debbasi nel colèra, non può esser negligentato che da colui, che sia uso a sottopor na- tura e ragione alle contratte preoccupazioni , per non saper riflettere qual sia lo stato del corpo do- po il morbo che ne occupa : morbo, che in pochi istanti mette a soqquadro la potenza nervosa , e spoglia il sangue di quasi tutto il suo veicolo, per cui cangiata in un subito la sua crasi, rimane ina- datto a circolo, alla nutrizione e secrezioni, e si fa tutto proprio a congestioni, e troppo stimolante. G. A. T. LXXVl. G 82 S e r E N z E 45. Egli è più secondo natura ed osservazione il dividerlo in incipiente e. confermato. I prodromi del male, la colèrina ( prodotto di francese galan- teria ), il colèra mite, sono compresi nel primo : lo stadio algido, il colèra turchino o squisito , nel secondo. 46. Qualora il colèra incipiente non traspari- sca che con soia e pura diarrea, è facile il vincer- lo con pozioni tamarindate e lavativi gommosi o di decotto di riso. Per essere eliicaci e le une e gli al- tri, debbono andar congiunti ad òppio, lo soleva con vantaggio unire il laudano al tamarindo, e far bollire col riso qualche testa di papavero bianco ; e piuttosto in modo generoso. Ma trovai per lo più di maggior vantaggio l'uso del decotto di tè in lavati- vo e bevanda. 47. Se a qualcuno non conferivano dette be- vande, vi suppliva ottimamente una carica limonea vegeta!)ile senza zuccaro. La dieta tloveva essere se- verissima, di semplice e leggiero brodo. Ogni errore anche lieve era pernicioso. 48. Presentandosi il male con aspetto alquanto piì.1 grave, che la diarrea cioè fosse profusa e deli' apparenza di orina o brorlo con qualche disordine nel ventricolo, doveva porsi in pratica un metodo pili vigoroso. Era allora necessario ricorrer subito al tartaro emetico sciolto in acqtja distiliala e preso a cucchiaiate s{)esso ripetule, tinche si otteneva un sollecito vomito artitìciale sostenuto per cjualcae tempo con bevande continue di acqua di malva. Ed ho crerluto piìi utile il tartaro emetico della ipeca- cuana, e la malva della camomilla. Finalmente il tè e la limonea, come fu detto, e frcqnentissiuji lava- tivi terminavano la cura. Cholkr\ indi -< no 83 49. Sia particolarità del clima romano, sia abitudine e natura degli abitanti in questa emer- genza, se praticavasi pria di tutto una larga sangui- gna dal braccio proporzionata all' individuo infer- mo, fu sempre ntilei e qualche volta essa sola fé per incanto svanire la diarrea, ed ogni altro sinto- ma murlioso; e vidi verificato ciò che dissi del sa- lasso nella citata memoria alla pag. 33, non che quanto altro circa i precetti di cura generali : non avendo regolato il mio medico esercizio che con quel che mi suggeriva la teorica, che avevo nella medesima abbozzata. 50. E seconilo la medesima, se la circostanza dell'ammalato non mi permetteva aver ricorso all' emetico; o il male si fosse manifestato con coliche ventrali, ricorso avevo alle due radici in polvere e ad eguale e generosa dose di scialappa e zenzero se- guite dalle nominate bevande; non trascurando in pari tempo la sanguigna. E spesso vedevo il male in breve ora felicemente troncalo e vinto. 51. Il metodo di preoccupazione fu la mia gui- da. La sollecitudine o opportunità nel praticarlo assicurava più o meno il suo buon esito. In poche parole, emetici o purganti , quindi aromatici ed astringenti erano Kkiicora della mia pratica. Benché il più edieace, nell'uso però dell'emetico ci vuole oculatezza; non deve darsi che quando il male è in- cipiente, se è possibile far preceder la capiosa san- guigna, ed assicurarsi bene che l'ammalato non ab- bia in se qualche condizione particolare che lo con- troindichi. Se lo spasmo colèrico ha progredito nei vasi, l'urto del vomito può disporlo a rottura. Ed ebbi una volta ad osservarlo in ricaduta di un gio- vane. Forse il già sofferto cholèra ne predispose. Sia ciò di norma. 84 Scienze 52. Nel cholèra però confermato, quando vi è algore e cianosi, diversamente va la bisogna. Se le forze resistono, se il polso regge, può anche esser vantaggioso l'emetico, premessa una sanguigna, per richiamare il calore ed attutire nello stomaco l'ef- fetto deleterio del virus colèrico con uno stimolo apparentemente di pari effetto, ma di diversa natu- ra; e seguire quindi le già stabilite indicazioni. Ma questo caso è rarissimo. 53. Se però i polsi sono filiformi, celeri, ine- guali, o mancano affatto, e le deiezioni sono cessate, non vi è altro a fare che rinvigorire quel lampo di vita che ne resta, e combattere i sintomi che lo mi- nacciano. Qui la cosa non è piìi diretta, ma sinto- matica. Conviene anche avere di mira le conseguen- ze che possono seguirne, altri mali cioè o che sono insorti, o prossimi ad insorgere per la natura anche ed imprudenza df;'mi;zzi usati. Qui ci vuol solleci- tùdine, e perciò prontezza ed economia di cura» 54. Si richiama il calore con frizioni di olio canforato. Fatte con ispirito di canfora sono più dan- nose che utilit la pronta sua evaporazione raffredda e non riscalda, e cosi distrugge il bene deila frizio- ne. Non può attendersi reazione laddove il circolo manca. L'olio all'opposto mollifica, come coibente del calorico e non evaporabile, lo custodisce svolto e lo imprigiona; e con la canfora concorre a scio- gliere lo spasmo de'vasellini cutanei, ed invitar la cute al ritorno di sua funzione. Nello stesso tempo, e con la stessa opera meglio di ogni altro aiuto si frenano i crampi delle estremità, i quali sono egual- mente risultato di parziale spasmodia de'muscoli. 55. Vinti con detto aiuto l'algore e i crampi, si manterrà il provocato riscaldamento col ravvolgere CiTOLERA INDIANO 85 il colerico in panni di lana caldissimi, e cautamente coprirlo. Devono applicarsi mattoni caldissimi , o sacchetti di cenere, arena o carbone in polvere in- fuocati alle piante de'piedi, al poplite, alla spina dorsale. E tuttociò da sollecitamente rinnovarsi, se- condo esige la circostanza, 56. Nello stesso tempo gli verrà dato a sorsi continui decozione di tè, e spesso un piccolo cuc- chiaio di vino di cipro, o altre cose consimili a gu- sto dell'ammalato. 57. Mantenendosi il ventre sciolto, dovrà pro- seguirsi ad iniettar lavativi di acqua di riso o di se- mi di lino oppiati, o con decotto di stramonio. 58 Contro i pertinaci conati di vomito è utile una carica limonèa vegetabile, e la neve data a pic- cole e ripetute dosi. 59. La neve è utile ancora per il bruciante ardore di stomaco unita all' applicazione di cata- plasmi o di semi di lino, o di riso ; cose che ser- vono ed han già servito pe'Iavativi. 60. Per il dolore ardente di stomaco con som- ma ambascia minacciante soffocazione, è necessa- rio applicar suU' epigastrio lungo le ultime coste un buon numero di mignatte ; e lasciare scorre- re liberamente per qualche tempo il sangue per via di caldi fomenti. 61. Nel periodo algido, potendosi, ho trovato vantaggiosa una sanguigna generale. Il sangue non si ha che a grumi, non tanto per il congelamento, quanto perchè restò privo della parte fluida e siero- sa. In tal modo si procura uno spazio nei vasi : gli si concilia un moto per ristabilirlo a circolo, e si allontanano per quanto si può le congestioni inter- ne, e nei grossi vasi, sopratutto precordiali tanto pe- 8iB Scienze ricolose. So fn pratica fa nel principio «lei male, Jì rado passa all'algore, che lo credo conseguenza piìi di perduto circolo, dì sospesa nutrizione ed emato- si, che prodotto di solo attacco nervoso. 62. L' applicazione de' senapismi alle piante de'piedi e alla polpa della gamba pe'crampi po' he volle può convenire. La loro azione vuole un tem- po ; e qui fa d' uopo d' istantaneità di effetto. Per questa ragione non posi in pratica che i mezzi di riscaldamento e di stimolo esterno che di sopra ac- cennai ; co' quali si ha economia di mezzi e sol- lecitudine , elementi che si ottengono egualmente circa i proposti cataplasmi sopra l'epigastrio e ad- dome, il cui prodotto fluido fu parimenti racco- mandato per le iniezioni nel retto intestino. Alle quali ho unito qualche volta con esito felice una cucchiaiata di olio canforato, sulla veduta di favo- rire lo scioglimento dello spasmo, ed il ritorno del- la perduta calorificazione. 63. Il mettere i senapismi sull' epigaslro pen- so che non debba riuscir che di danno. JNè può es- sere altrimenti. Ogni possa vitale ristretta e concen- trata in quel punto con ardore bruciante, quan.Io il restante del corpo è in ghiaccio e fuori di az'o- ne , avvalorata con forte stimolo, ben presto Ilrii- ra o con distrugger se stessa, o con preparare in- fiammazioni celeremente mortali nei principali vi- sceri di vita. Difatti ordinati da altri, o li vidi per- niciosi; o bisognò subito levarli per iniperiosa in- tolleranza e manifesto aggravio. L'azione organica innormale vuol esser temperata, ed invitala ad eijua- bile ripartizione- All'opposto dall'applicazione del ghiaccio alla slessa regione e nella testa, da altri Cholera. indiano 87 egualmente usala, vidi più di una volta seguirne encefali tidc ed appoplesia. 64. Nelle case particolari e povere, dove il morbo liberamente infieriva, non poteva eseguirsi: ma se avessi esercitato in un ospedale, avrei fatto totiere a tutte le ore preparato un bagno caldissi- mo; ed al giungere di un colerico con algore e cia- nosi, lo avrei fatto scender nel bagno, spalmato pri- ma il corpo di olio canforato; ed appena riscalda- to, gli avrei fatto trar sangue nello stesso bagno; persuaso, come sono, di felice risultamento. La co- sa esigeva destrezza somma e perspicacia: ma l'e- sperienza ne avrebbe ammaestrato. 65. Nel corso del male niun cibo anche flni- do può senza gran danno apprestarsi. Terminato il male, dovrà piìi o meno nei due primi giorni osser- varsi dieta severissima; e solo poche volte alla gior- nata pochissimo e leggiero brodo di carne: altri- menti ia ricaduta è pronta; o almeno eccitamento ad altro male. Dopo detto tempo può concedersi cpialche discreta e brodosa minestra; e cosi grada- tamente (§ 47). 6(ì. La sua rapidità è sorprendente: e non du- ra giammai più di tre giorni; oltre i quali, o si en- tra in penosa e difficile convalescenza; o su[)entra- no altri mali, de'quali è causa lo stesso cholèra. E detti mali subentrali, cui si die nome gratuito di reazione, e si fecero sua parte integrante ( §. 44 ), vogliono essere combattuti per quello che sono. La successione de'mali è canone di clinica medica. II surrogargli il nome di reazione sarà egli progredire o retrocedere? È facile il deciderlo. La prima è un fatto. 67. Fra gli altri , vidi in giovane sacerdote S8 Scienze succedere a cholera fierissimo, enteritide, e quindi perniciosa; e compiere in tre settimane il loro cor- so con la salute. Saranno queste reazioni? 68. Il sudore generale, che sopravviene al cho- lera confermato, non è di buon augurio, se non che accompagnato dal ristabilimento de' polsi e delle altre secrezioni, specialmente di orina e di bile. All' opposto è di buon presagio la precoce apparizione dei crampi. 69. Sul princìpio del male non bisogna aver per buone le deiezioni biliose. Nel momento della invasione può ascondersi nelle intestina una quan- tità di bile già anteriormente separata. Per neces- sita sarà la prima a farsi vedere espulsa : ma se non si porta sollecito riparo, ben presto cangiano; e da biliose divengono qual pura orina e qual bro- do di carne. 70. Per non prendere abbaglio, e riconoscere le biliose innocenti dalle biliose coleriche, queste ultime si osservano miste a fiocchi quasi di coagu- lo lattiginoso galleggianti nel vaso. Al che deve unirsi l'altro indizio del presente dominante chole- ra: e quest'ultimo è solo il decisivo per render so- spetta ogni specie di diarrea; giacche in quella e- mergenza, se non è colerica, la diviene ben presto. 71. Mi è avvenuto osservar piìi volte il cole- ra confermato in donne gravide. Allorché la gra- vidanza era avanzata , o prossima al suo termine, ne vidi seguir sempre la espulsione del feto ; e terminar per la madre con esito felice. In un so- lo caso, in cui il parto per cholera si combinò a tempo, il neonato ne perì manifestamente colerico al terzo giorno della nascita. 72. All'opposto osservai una giovane robusta GnOLERA INDIANO 89 nel primo mese di gravidanza esser colpita da clio- lera il più truce; e ad onta di vomito grandissimo e dal male e ad arte provocato, non che di simili incoercibili scariche alvine, proseguire la gravidan- za il suo corso, come se nulla fosse avvenuto. E siccome la medesima giovane fu disgraziala in prin- cipio di cura, per esser caduto infermo il primo curante, ed abbandonata dal secondo che gli suc- cesse; il male riuscì ostinato: e per molto tempo venne afflitta da spasmodie precordiali e addomi- nali. Mentivano le prime asma e minaccia di sof- focazione, specialmente nelle ore notturne: per le seconde vedevasi nella regione ombellicale trarsi il corpo indentro; formarsi concavo all'esterno; e quasi unirsi le pareti anteriori dell'addome con la spina del dorso. E nulla per la gravidanza ne av- venne, e n'è avvenuto di sinistro. 73. Le coleriche egestioni provengono elleno direttamente dal sangue.'' Se lo spasmo, elemento fattore del male, avesse il suo principio nel con- dotto toracico o ricettacolo del chilo, come i bor- borigmi coi quali si annunzia possono dare argo- mento, la linfa e chilo impediti, nel loro corso con- cepiranno un molo retrogrado, e saranno la fonte esclusiva delle deiezioni coleriche. Le materie fioc- cose e bianche, che le caratterizzano, sarebbero somministrate dal chilo già elaborato nelle glandule meseraiche. Il sangue rescerebbe privato della sua fonte riparatrice. Di piìi: se lo spasmo è massimo nei visceri cavi e membranosi; se nella vescica ori- naria giunge quasi a sopprimerne ogni capacità ; con quanto maggior effetto lo farà nel condotto to- racico e sue dipendenze, di egual fabbrica, ed |ani- mato dagli stessi nervi della vita organica, e di vo- 90 Scienze lume e cnpacita tanfo inferiori? L'finatoml.i pato- logica può darne dimostrazione. Non si fc.c fino- ra; e mi auguro che manchi ropportunitli di sup- plire tal mancanza. La storia però del male vi gua- dagnerebbe non poco. Si ridurrebbe ad un sopra v- vomito , ad una specie di ileo o volvolo dei vasi chiliferi. Sulla lettera del dottor Camillo Versari di Forlì intorno lo scorbuto trattato dal dott. Jn^elo Sorgoni, dedicata al professor Bertinatti. liì fles- sioni critiche del dottor Lorenzo Mattencci mem- bro di varie accademie ed attuai chirurgo con- dotto della città di Montalto. JLlell'intraprendere l'esame di quanto il Versari ha asserito intorno le osservazioni fatte dal Sorgo- ni sullo scorbuto, credo utile esporre in succinto la dissertazione del medesimo, alìinchè il lettore possa conoscere il pregio dell'opera di questo auto- re, e la mancanza di fondamento di quella del si- gnor Versari. A tenore pertanto, che verrk esegui- ta SI fatta esposizione, si faranno quelle riflessioni critiche analoghe a quelle pubblicate dall'oppo- nente intorno a vari oggetti indicati dal Sorgoni nel procedimento della sua dissertazione. E qui protesto, che l'amor solo della verità, da cui spe- ro poter derivare un qualche utile per V uma- nità languente, è l'unico scopo che mi determina Sullo Scorbuto 91 ad assumere rindicato esame: eil è per queslo, che il presente lavoro è per naturale inclinazione indi- ritto agli onorati amatori del vero. Ed intanto le cause, che osservò il Sorgoni pro- ducenti lo scorbuto, furono Tumidita de'lorali , le frequenti e rigide alternative della temperatura, la mancanza di passeggio, la acque impure, la stan- chezza, ì disagi sofferti dai detenuti nel viaggio, ed i mali trattamenti che soffrivano dai custodi. Descritti dipoi i sintomi dello scorbuto, li di- stinse l'autore in tre ordini a seconda delTalterazio- ne che esprimono: i quali ordini nel corso del male da lui osservato si sono Tuiio all'altro succeduti, co- stituendo altrettanti stadi delia malattia. Il 1." com- prende 1 sintomi di generale alterazione dell'orga- nismu: e sono cpiesti il color terreo, plumbeo, ver- dognolo del volto e di tutta la superficie del corpo, l'oppressione del respiro, la torpidezza, ed altri sconcerti delle funzioni del basso ventre, l'abbatti- mento morale, il senso di spossatezza, la flaccidità delle membra, le orine fosche ec. co' cjuali sin- tomi vedevasi incominciare la malattia, ed erano accompagnati da'polsi molto frequenti. Nel 2.° or- dine de'fenomeni morbosi uniti a quelli del primo, che di molto aggravavansi, si aggiungevano gli altri, che esprimono ingorghi vascolari accaduti in varie parti del corpo, e succedevano ai sopra narrati; tali erano il turgore delle vene della superficie del cor- po, le macchie del color plumbeo, che apparivano prima nelle estremità inferiori, ed ascendendo si estendevano per tutta la superficie del corpo, eccet- tuata la fìccia se si limitavano alla grandezza d'una piccola moneta: se poi queste macchie erano grandi quanto la palma delia mano, si limitavano alle sure, 92 Scienze alle cosce, al dorso: vi erano turgore, color livido , e sgorgo di sangue dalle gcngie; l'alito fetido , la respirazione affannosa, talora l'emottoe , le orine scure, ed anco sanguigne, le materie fecali pure scure, l'intumidirsi delle estremità inferiori con forte durezza, e dolore de'tessuti celluioso e musco- lare, le pulsazioni arteriose vibrate e frequentissi- me, e certi accessi febbrili, che duravano da 24 a 48 ore. Col 3.° ordine s'indica lo stato infiammato- rio, con febbre continua o acuta o lenta, il dolore che vi si associa, un senso d'interno ardore, la emor- ragia di diverse parti, l'eccessivo turgore delle vene esterne, le quali divenivano azzurrognole con suc- cessive piaghe, l'ulcerazione delle fauci e della boc- ca, e con particolare indicazione flogistica di qual- che parte o viscere. Il metodo curativo fu regolato dal Sorgoni a tenore dei tre stadi espressi dai tre ordini de' sintomi. Nel 1.*^ stadio si fece uso in modo par- ticolare degli acidi e del ferro, ponendo l'infermo in luogo asciutto e ventilato. Nel 2." si ammini- strarono parimenti gli acidi, ed anche il ferro se l'emorragia gastrica, od intestinale non lo contro- indicava: oltre di che veniva essenzialmente costi- tuito questo metodo curativo in siffatto stadio dal- le sottrazioni sanguigne parziali, che si eseguivano coirapplicazione delle mignatte ne'vasi emorroida- li. Nel 3° , presa in considerazione l' alterazione generale, che veniva combattuta cogli acidi e col ferro; e considerati gì' ingorghi sanguigni che si debellavano colle sottrazioni parziali di sangue, ve- niva curato il processo infiammatorio, oltre l'uso de'suddetti presidii, anche col salasso generale, e con una dieta piuttosto vegetabile che animale, as- Sullo Scorbuto 93 sai rigorosa in questo stadio a confronto di quello che pure della stessa natura si adoprava negli altri due stadi. All'esposto quadro sintomatico credette il Ver- sar! opporre, che non erano in esso i segni pro- pri e caratteristici dello scorbuto , anzi che non ve n'era alcuno, il quale possa dirsi patognomo- nico di questa malattia ; per il che sono confusi colle malattie affini allo scorbuto, come col morbus maculosus di Werlhoff, colla purpura emorrhagica di Willam, col phenygmus, coH'emorrca petecchia- le, collo scorbuto petecchiale de'neolerici. Intorno a quest'opposizione io rifletto, che non l'amore del vero diresse il Versari nella sua let- tera critica: mentre i fenomeni morbosi, eh' ea:li espone come caratteristici delio scorbuto nella sua memoria su di questa malattia, inserita negli opu- scoli della società medico-chirurgica di Bologna, concordano interamente con quelli osservati dal Sorgoni nel forte di Narni. E difatti dice il Ver- sari (1) che i caratteri distintivi dello scorbuto so- no ì seguenti: » Debolezza di tutta la persona, che » per gradi s'accresce, ed è accompagnata da las- » sezza generale, o da senso di fatica, che invece y> dì diminuire, è vivamente risentito dopo il son- » no; color lurido di cute, emorragia, dolori a tut- » to il sistema muscolare , cellulari subtumide , » gengive fungose, facili a gemer sangue, putride, » staccate da'denti, facilita di questi a cariare, a » cadere, fiato fetido, e comparsa di macchie pur- (i) Vedi gli opuscoli della società raed. chir. di Bologna, ed il giornale arcadico. 94 Scienze » puree, livide, più o uieno estest: a varie parti del- » la cute ». Questo quadro sintomatico, considerato dal Versari come essenziale della malattia in di- scorso, viene da lui distinto in quattro stadi in ra- gione di sua più o meno intensità : nei quali stadi al sudletto quadro si aggiungono altri sintomi, che sono i gastrici perturbamenti, l'oppressione del re- spiro, la tosse, le ulcerazioni esterne ec. Ora facen- do confronto tra i sintomi osservali dal Sorgoni , e quelli esposti dal Versari, non si trova essenzial dif- ferenza, come ognun può ravvisare ne'quadri sinto- matici dell'uno e dell'altro autore. La qual verità risultante dal concordare insieme siffatti sintomatici prospetti , sarà pur auco conosciuta dal Versari quand'egli non si limiterà a leggere quelli soltanto osservati dal Sorgoni nel priino stadio dello scorbu- to, ma proseguirà a leggere quelli del secondo e ter- zo stadio. Allora vedrà, che essendo succeduta an- che la morte come conseguenza dello scorbuto in alcuni casi contemplati dal Sorgoni, non solo entre- rà in ragione, che i sintomi notati nel forte di ]Nar- ni erano pur quelli ch'egli espose nella sunnomina- ta sua memoria, ma si ritratterà dal dire ,, che gli ,, scorbutici di Narni disvelano un'indole si beni- ,, 2i)a da indurre il dubbio di morlnis maculosus „ di Werlhoff, o della purpura emorragica di Wil- ,, lam, o d'altro di questa natura.,, E già non vi voleva, che uno spirito di contraddizione per nega- re r esistenza de' sintomi scorbutici allo scorbuto del forte di Narni nel tempo stesso, che si ammet- tevano in questo scorbuto quelli del morbus macu- losus; mentre il Versari nel riferire lo scorbuto osservato dal Sorgoni al morl)us maculosus, non ci dice altro, se non che lo scorbuto è scorbuto. £ ve- Sullo Scokbuto 95 rarnente per dimostrare dì ciò la ragione ci basta qui riportare quanto si dice in proposito iìuto: ne il non essersi in esse diflfu- so gli si poteva addebitar ad omissione. Oltredichè è cosa veramente, che si oppone al buon senso od alla ragione, il pretendere di trovar difetto nell'esposizione sintomatica dello scorbuto G. A. T. LXXVl. 7 98 S e K E N Z E osservato dal Sorgoni, perchè alcuni sintomi notati negli scorbutici del forte di JVarni si rinvengono (sono parole del Versari) « nelle croniche malattie » del sistema irrigatore sanguigno, in varie subdo- » le nevrosi prodotte da patemi, o da mala nutri- » zione, in alcuni morbi de'cavatori, de'cavametal- » li, de'fonditori e lavoratori di molti metalli, e » di altri artefici ». Ciò, diceva, si oppone al buon senso ed alla ragione: imperocché primieramente considerando in concreto lo scorbuto in rapporto co' citati malori , se bandita la flogosomania , il Versari volesse applicare la dottrina del Sorgoni sullo scorbuto alle malattie per lui nominate, trova* rebbe ragion sufficiente onde intendere il perchè alcuni sintomi dello scorbuto sono comuni a variì morbi. In secondo luogo poi considerando i mali in generale, varii morbi possono essere di diversa na- tura, quantunque si manifestino con molti sintomi simili tra loro: in prova di che si notino ad esem- pio le tre malattie dell' apparato respiratorio , la pneumonile, l'asma nervoso, il reuma di petto: quan- ti sintomi non hanno in comune queste tre ma- lattie? Eppure sono tra loro distintissime. In som- ma o si voglia confrontare il quadro sintomatico dello scorbuto osservato dal Sorgoni coU'esposizione de'sintomi dello stesso malore, che ci ha annunciati il Versari, o si voglia far questo confronto tra Io scorbuto di Narni ed il morbus maculosus, e le al- tre malattie aflìai, si riconosce per sì fatto confron- to essere mancante d'ogni ragione voi fondamento la opposizione fatta al Sorgoni dal Versari in questo primo punto di discussione relativa al quadro sinto- matico dello scorbuto; e si riconosce pure, che la medesima opposizione non da altro deriva, che da Slllo Scorbuto 99 una flogosomanla, e da mancanza di un logico ra- gionare. Di insussistente fondamento troviamo ancora il resto delle opposizioni fatte al Sorgoni dal Ver- sari. Per conoscere di ciò il vero, seguiteremo ad esporre , che il Sorgoni dopo di aver dimostrato il quadro sintomatico, ed il metodo curativo dello scorbuto, passa alla difficile disamina della natura della malattia: e dopo aver toccato alquanto della insussistenza e dell'inesattezza delle opinioni fin qui emesse, non solo riguardo allo scorbuto ma ben an- co alla cachessia, mostrandosi persuaso, che tante siano le specie di cachessia quante sono le ma- lattie, che con tal nome si abbracciano, venne a parlare particolarmente di quella dello scorbuto. Quivi riassumendo le cause, ch'egli vide produt~ trici dello scorbuto, disse che in parte agivano sul sistema sanguifero, in parte sul nervoso, inducendo le prime un' alterazione tale nel sangue , che poi ridonda di principii sebbene assimilabili, non pe- rò atti ad una normale nutrizione : e le seconde un'alterazione fisico-organica, e chimico-organica nel nervo pneumo-gastrico, e nel gastro-enterico, onde e perturbata la sanguificazione e la circolazione del sangue. Quest'alterazione de'materiali del san- gue, questa particolar cachessia vien dimostrata da' sintomi dello scorbuto sopraccennato, non che dalla mancanza di quegli altri sintomi, che potrebbero indicare una cachessia di qualche altro tessuto di verso da quello de' vasi sanguigni. Ammessa per tal modo come condizione primaria dello scorbuto un affezione del sistema sanguifero, si volse l'autore a ricercare se quest'afl'ezione risiedeva nelle vene, o nelle arterie, e quivi considerando la frequenza 100 Scienze delle pulsazioni arteriose ncj^ii scorbutici, il color terreo, verdognolo e talora anco plumbeo della loro cute, il pallor fosco della lingua, il colore scuro del sangue, e 1' essere di lento e difficile coagulo, la flaccidita del tessuto venoso, sintomi tutti, che caratterizzano la cachessia venosa, ne trasse la con- clusione che essa sia quella, che costituisce il pri- mo stadio dello scorbuto, e che deriva da una vi- ziata nutrizione delle vene. Ed attenendosi all'opi- nione dello Sprengel, ammise, che questa viziata nutrizione consiste in un difetto di ossìgeno: dis- sentendo però da quest'autore in ciò, che tale di- fetto non possa dare spiegazione di tutti i fenome- ni, che nello scorbuto si osservano, ma soltanto di quel principio materiale del fondo organico di ge- nerale alterazione e che ne forma il j)rimo stadio. Ma su questa chiara e ragionevole dimostra- zione della natura della cachessia venosa, che qual fondo di generale alterazione costituisce, come si è visto, il primo stadio dello scorbuto, sorge il Ver- sari ad annunciarci in primo luogo, che il difetto d'ossigeno non è ne assoluto, ne necessario, ne di- mostrato nella produzione dello scorbuto, perchè si danno cause di scorbuto, dalle quali non si può desumere un tal difetto. Inferma però egli stesso questa sua opposizione col convenire, che sì rea- lizza in molti casi il difetto d'ossigeno come causa della scorbutica affezione. Ed intorno alle altre ca- gioni, dalle quali egli crede non poter derivare il difetto d' ossigeno , noi avvertiamo col Puccinotti » che molte sono le remote cause , cui si è dato >' colpa d'ingenerar lo scorbuto, ma ponderandone 1) il valore, e facendo di esse un'esatta riduzione, » quelle, che restano sempre legate indissolubil- Sullo Scorbuto 101 » mente coH'efietto, sono le potenze atte a perver- » tire direttamente 1' arterizzazione del sangue ». Oltredichè vuoisi riflettere, che quantunque alcune delle cause nominate dal Versar! non contenessero il difetto d'ossigeno, pure il sistema nervoso, nello stato in cui si ritrova in chi rimane affetto dallo scorbuto, può avere tale influenza nell'ematosi da produrre anche, dietro l'azione delle suddette ca- gioni, quel difetto d'ossigeno, che venne dal Sor- goni contemplato. In proposito di ciò, afllnchè il Versar! rimanga persuaso di cjuesta verità, è con- sigliato a legger meglio quanto il Sorgoni ha detto sulle cause morali produttrici il primo stadio del- lo scorbuto. In secondo luogo il Versari ci annun- zia , che non è stato stabilito dal Sorgoni in che consista la generale alterazione da lui ammessa nel- lo scorbuto; per il che si fa a chiedere se sia pro- dotta da rilassamento di coesione , da molecolare innormalitU d'impasto organico, o da modificazioni nella chimica riparazione, da varietà di temperie, di crasi ne'fluidi, da elettrici galvanici turbamenti, da diminuita innervazione, ed anche da alcune di queste medesime condizioni insieme. Intorno il cjual dire del Versari io avverto, che forse un difetto di lettura da lui commesso leggendo la disserta- zione del Sorgoni, o un illusione della sua angioite sui generis come alterazione essenziale dello scor- buto , non abbia fatto intendere a questo autore quanto sopra abbiamo esposto relativamente a ciò, che costituisce la cachessia venosa, ossia la genera- le alterazione ammessa dal Sorgoni qual primo sta- dio dello scorbuto. Imperocché se il Versari sen- za preconcepita opinione avesse ben letto e pon- derato quel che dal Sorgoni si è detto in rappor- 102 Scienze to a questa generale alterazione , egli si sarebbe astenuto dal dire, che non si è definita siffatta ge- nerale alterazione, ed avrebbe conosciuto, che in forza di cagioni si morali e si fisiche, in forza de' sintomi, modo di risoluzione, e metodo curativo , la suddetta generale ali:(u*azlone viene stabilita per una cachessia delle vene, ossia una chimico-orga- nica alterazione di questi vasi costituita per difet- to d'ossigeno da un viziato processo di nutrizione, che è in rapporto colle cause fisiche e morali. Ora io dico, quando una malattia, che nel nostro caso è la cachessia venosa, è stata cosi definita nella sua intrinseca natura colla dimostrazione degli elementi chimico-organici, che intervengono alla produzione della medesima , e colla dimostrazione parimenti dell'alterato processo chimico-organico di nutrizio- ne , che è il mezzo per cui il venoso tessuto ri- mane alterato nel suo impasto, prendendo la for- ma cachetica sopra esposta , nulla manca per es- ser determinato in che consista la generale altera- zione in discorso. In conseguenza di ciò avvertia- mo essersi erroneamente detto dal Versari, che il Sorgoni ommise di definire la nominata generale alterazione, e riteniamo fuor di proposito, ed anco inutili ed inconcludenti le richieste fatte dal Ver- sari per sapere in che la citata generale alterazio- ne consista. Proseguendo l'esposizione degli altri due sta- di osservati dal Sorgoni nello scorbuto, e seguitan- do ad esaminare le ulteriori riflessioni del Versa- ri , disse il Sorgoni relativamente al secondo sta- dio, che il primo elemento del medesimo è la flac- cidi ta delle vene, la quale. è primario efl'etto dell' alterazione contemplata nel primo stadio ; ma ve Sullo Scorbuto 103 n'ha ancora un altro, cioè il pertiirLamenlo ner- voso, che deriva, come si disse, dall'azione fisico- organica delle morbose cagioni dello scorbuto re- lative al sistema de'nervi, colla differenza che sif- fatto perturbamento nel primo stadio è in rappor- to colla sanguificazione, e nel secondo stadio colla circolazione in quanto che per esso si disquilibra il circolo sanguigno nel sistema venoso. Cotesti due elementi sono la causa dell'angioidesi parziale, che costituisce il secondo stadio dello scorbuto, ossia degli ingorghi vascolari , degli stravasi , emorra- gie, ecchimosi, ec. L'infiammazione d'un tessuto, o di uno o piìi visceri, che caratterizza il terzo stadio, disse l'auto- re essere un'immediata conseguenza dell'ingorgo «li sangue sopradescritto, e dell'organica reazione. Ma oltre queste due condizioni, egli è a considerarsi ancora il fondo organico, ove l'infiammazione si ac- cende, per cui ha un modo particolare di processo, ed esige una cura particolare, quale infatti si è ac- cennata, ove del metodo curativo dello scorbuto si è tenuto discorso. Cotale infiammazione o si estende in generale al tessuto venoso, o si limita alle vene di alcuni visceri, o parti del corpo, mantenendosi le altre in istato di angioidesi; e gli esiti, che l'autore ne ha osservati, furono l'emorragia e l'esulcerazione. Avendo per tal modo estesamente ragionato in- torno ai tre stadi dello scorbuto, principalmente insistendo in ciò che le alterazioni, da cui dipende il primo stadio, continuano ne'due successivi, e cos\ quelle del secondo durano ancora nel terzo; passò l'autore a dimostrare l'aggiustatezza delle sue mas- sime intorno al medesimo terzo stadio, e come non poteva essere consentaneo a'fatti il ritenere tale ma- 104 Scienze lattla o per una semplice cachessia, o per una sem- plice infiammazione, come fin qui si era fallo. Cade qui in acconcio il riferire quanto su tal proposito dal Sorgoni si asserisce. Egli dice « che quando fu » definito lo scorbuto per una cachessia, non si » espresse altro che indeterminatamente il primo » stadio del medesimo: e dico indeterminatamente, » perchè non si precisò la specie di questa caches- » sia, e molto meno si stabili, che una tale cachessia » era una organica alterazione del tessuto venoso. E » quando lo scorbuto fu definito per una infiamma- » zionc di suo genere (siccome sostenne il Versari) j) non si espresse altro che il terzo stadio della ma- » lattia in discorso, ed ancor questo terzo stadio » nominato infiammazione di suo genere fu espres- » so in modo indetcrminato, perchè non si preci- » sarono gli elementi di siffatta infiammazione, e ne » si fissò la sede di suo sviluppo Ne per sif- » fatta indeterminata definizione i medici presidi! » riconosciuti efiicacì nella cura dello scorbuto so- y> no in corrispondenza coli' alterazione fissata in » questo malore, e ne lutti mostrano la ragione di » siffatta efficacia. E difalti dicendosi lo scorbuto » una cachessia, non trovasi la ragione, per la qua- » le abbiasi a praticare il salasso, ed il metodo an- » tiflogistico. Dicendosi poi scorbuto un'infiamma- i> zione di suo genere, non resta dimostrata la ra- » giono, per la quale sono efficaci gli acidi, e gli » altri rimedi antiscorbutici, ed abbiano ad esser » dannosi gli altri rimedi deprimenti diversi dagli » antiscorbutici. In conseguenza i medici prcsidii » riconosciuti efficaci nello scorbuto non sono in » corrispondenza colle definizioni , che fin qui si » erano date di questa malattia. Le quali difiìcolla Sullo Scorbuto 105 ■ tutte sono dissipate colle considerazioni fatte sui » tre stadi dello scorbuto, avendo rinveniito in cia- » scuno di essi, e nel tutto insieme la convenienza » del metodo curativo visto utile in tutti i tempi » nello scorbuto ». Ma non pago il Versori della flogosi venosa nel- lo s'corbuto, egli viene ad impugnarla dicendo, che il Sorgoni sostenendola per condizione patologica dello scorbuto, non la dimostrò con altro dato, che co' sintomi ; e che questi erano insufficienti. An- che quivi però il Versari o ha difettato nella lettu- ra di c[uanto asserisce il Sorgoni sullo sviluppo del- la flebite, o è rimasto illuso dalla sua angioite sul generis. Imperocché è interamente falso l'asserto del Versari sulla flebite come condizione patologica dello scorbuto, mentre il Sorgoni non riconosce questa flagosi, che come un elemento del terzo sta- dio; ed è pure interamente falso, che pe' soli sin- tomi si stabilisce siffatta infiammazione, mentre in primo luogo viene caratterizzata dalle cause tanto remote, quanto prossime, essendo essa il risultato della congestione sanguigna nelle vene, la cjuale è in immediato rapporto col primo stadio ; ed in se- condo luogo viene questa flogosi venosa dimostrata non solo da'criterii sintomatici, ma dagli esiti della medesima, e dal tenuto metodo curativo, come si nota nella dissertazione del Sorgoni. Però anche re- lativamente a'sintomì dimostranti la flogosi venosa nel modo che viene stabilita dal Sorgoni, il Versari dice che essi sono insufficienti. Onde vedere , che quest'insufficienza pretesa dal Versari ha quella me- desima inconcludente base, che hanno le altre non fondate opposizioni dello stesso autore, noi esporre- mo i sintomi della flebite come ci vendono descritti 106 Scienze da classici autori per poterli mettere a confronto con quelli osservati dal Sorgoni. Pertanto il Gre- scimbeni nella sua memoria inserita negli opuscoli della società medico-chirurgica di Bologna fase. XI voi. V, assegnando i caratteri della flebite distinta in generale e locale tanto dell'acuta, quanto della cronica, espone i seguenti sintomi: - La flebite acu- ta locale si ravvisa dal calore, rossore, dolore, ten- sione, ed ingrossamento di partì, come nella moroi- de, nel cirsocele, o varice: la quale flogosi può ave- re gli esiti di adesione, suppurazione, esulcerazio- ne, emorragia, mortificazione, ingrossamento. La fle- bite acuta, universale, si presenta con polsi frequen- tissimi, vibrati, minuti, disuguali, calor della pel- le non proporzionato alla frequenza de'polsi, respi- razione breve, affannosa, lingua pallida , umida , mancanza di esacerbazieni e remissioni nell'anda- mento del male, pallor cereo della superficie del corpo, pelle secca, e nella crisi del male coperta di equabile sudore; senso grave e profondo di soppos- satezza, abbattimento morale, fisonomia alterata, bisogno di sospirar profondamente, ed anche di ge- mere senza alcun segno, che indichi idiopaticamen- te leso un viscere ed organo. Se poi il fuoco flogi- stico delle pareti venose predominerà in qualche parte piìi che in altre, allora vi saranno segni indi- canti questo predominio; cosi se predomina nelle vene encefaliche, vi sarà il delirio, ed altra lesione dell'intelligenza ; se predomina nelle vene polmona- ri, vi saranno i segni della peripneumonia etc. Que- sta flogosi ha per esito la suppurazione, l'esulcera- zione, la dilatazione, l'ingrossamento, l'interno in- tonaco di grumi lamellosi di sangue, l'obliterazio- ne , la cancrena. La flebite lenta locale quando è Sullo Scorbuto -107 esterna si riconosce dal turgore pi'eternaturale di esterne ramificazioni venose con qualche aumento di calore , dal colore azzurrognolo delle vene , da certe nodosità venose intestlniformi. L'interna lo- cale flebite lenta è di difficile riconoscimenlo ; eoa tutto ciò però l'abito varicoso in soggetto, che ab- bia difficolta nell'orinare, o abbia disgustosa eiacu- lazione di sperma frammisto a strisce sanguigne, op- pure abbia paralisi o sopore : quest'abito varicoso in siffatto soggetto indicherà molto probabile l'in- terna locale flebite lenta. A questa flebite succedono come esiti l'induramento, l'obliterazione, l'ingrossa- mento, lo spandimenlo sieroso, l'esulcerazioni, l'e- morragie, le concrezioni. La flebite lenta universa- le infine si ravvisa cogli stessi sintomi, che si sono notati nella flebite acuta universale, valutando in questa a confronto di quella il lento procedimento degli stessi sintomi. - Dopo tutto ciò si confrontino i caratteri dell' esposta flebite con quelli osservati dal Sorgoni, e si vedrà, che essenzialmente tra loro convengono, siccome sulla stessa flebite nello scorbuto conven- gono pure oggi col Sorgoni molti chiarissimi au- tori. Per il che si noti quanto male si oppone al Sorgoni il Versari colla sua pretesa insufficienza sintomatica. Si osservi quanto sia sfornito di base il giudizio del Versari sull'insussistenza della fle- bite nello scorbuto per la mancanza in esso della lesione dell'Intelligenza. Ma la flebite non ha per carattere essenziale la lesione delle facoltà intel- lettuali, come sopra si è rimarcato , eccettuato il caso del predominio di flogosi nelle vene encefa- liche, che non si nota nello scorbuto; in conseguen- za l'opposizione del Versari è senza alcun fonda- 108 Scienze mento, ed egli cade nell'errore di attribuire alla flogQsi venosa un carattere essenziale, che in modo alcuno non le appartiene. Gli altri sintomi desunti dal color terreo, plumbeo de'tegumenti, dal fosco pallor della lingua, dalla frequenza de'polsi, sono caratteri dell'alterazione delle vene, e con altri sin- tomi anche della flebite, che il Versari ha voluto escludere dalla suddetta flogosi: e così si è immer- so in una contraddizione, venendo da lui attribuiti a malattie, che si riducono a decisa fleboidesi, ed ancora talvolta a flebite, siccome egli fa assegnan- doli alle fisconie sopraggiunte alle febri periodi- che, ed ancora alla clorosi ec. Inconcludente pur anco è la riflessione del Versari in proposito della flebite, asserendo egli che si danno flebiti univer- sali primarie e consecutive, senza che queste dia- no a divedere la sintomatologia dello scorbuto. Di- co tali riflessioni del Versari inconcludenti: impe- rocché se quest'autore avesse compreso, che lo scor- buto non è costituito dalla sola flebite, ma dai tre elementi dimostrati dal Sorgoni, si sarebbe aste- nuto dal pubblicare sifiatte sue riflessioni estranee all'oggetto in discorso; ed avrebbe conosciuto, che si può dar benissimo la flebite primaria, senza che questa manifesti l'affezione scorbutica, perchè non è associata al fondo organico di venosa cachessia contemplato dal Sorgoni come elemento essenziale dello scorbuto. Parimenti voglionsi ritenere come prive di fondamento le asserzioni del Versari in- torno le qualità del sangue osservate dal Sorgoni ne- gli scorbutici; imperocché la qualità nera, vischio- sa, e la mancanza di plasticità del sangue attribui- ta dal Versari all'ammmistrazione degli acidi, non è da lui dimostrata, e ne è dimostrabile essere il Sullo Scorblto 109 risultalo degli acidi, mentre in molti casi si è os- servato nel sangue questa medesima qualità, sen- za che l'infermo in alcuna maniera sia stato sot- toposto all'uso degli acidi. Anche di niun valore è ciò che impugna il Versari sulla flacciditk venosa os- servata dal Sorgoni negli scorbutici: mentre è feno- meno naturale il rinvenire questa flacciditk nel tes- suto venoso flogosato, potendosi l'infiammazione ac- cendere anche in vene rese flaccide da un proces- so di cachessia, siccome ciò venne pur notato altra iìata dal Sorgoni. E se egli allora si limitò a no- minare il suo caso lenta angioite, e non lenta fle- bite, non escluse perciò colla sua denominazione la flogosi delle vene. Discussa per tal modo la flebite, si volse il Sor- goni alla prognosi dello scorbuto, e disse, che l'esi- to fausto od infausto di ciascuno stadio veniva an- nunziato dalla comparsa o mancanza di que'naturali movimenti, che tendono alla loro risoluzione. Fi- nalmente prendendo in esame la questione se lo scorbuto sia o no contagioso, opinò per la negati- va, stante che cotal malattia vedesi originata dalle comune cagioni, come egli stesso osservò, senza che mai potesse scorgere, che il contatto degli infer- mi lo comunicasse ai sani. Ma anche su questo ca- rattei'e dell' essere o no contagioso lo scorbuto il Versari ha voluto in fine censurare il Sorgoni di- cendo, che egli si era attenuto soltanto ed interis- simamente alla sua memoria, e non aveva piìi in- nanzi su tale argomento spinte le investigazioni. Siccome tutto il resto, anche questa censura ci di- mostra lo spirito di contraddizione, da cui è stato animato il Versari nella sua lettera critica. Se e^^li avesse ben letta e compresa la dissertazione del Sor- 110 Scienze goni, e se fosse stato libero da ogni illusione, avreb- be conosciuto, che in mezzo al dififerente parere di tanti autori la non contagiosità dello scorbuto è una decisa conseguenza della genesi di questo ma- lore stabilita dal Sorgoni. E qui consigliamo il Ver- sari ad abbandonare un linguaggio oscuro, indeter- minato, di cui si è valso nella espressione di an- gioite sui generis^ non avendoci saputo precisare che cosa abbia voluto intendere con quel sui ge- neris, che non esprime niente di positivo: lo consi- gliamo pertanto ad approfittare delle odierne dot- trine sullo scorbuto, se egli vuole avere una giu- sta idea di questa malattia, e di quelle che sono affini alla medesima- 111 LETTERATURA Le opere di Alhìo Tibullo tradotte in terza rima dal marchese Luigi Biondi romano. Torino tipografia Chirio e Mina MDCCCXXXFII. (Sono carte XVI e 179, in 8.°) M ■A-'J-entre la vertigine dell' oltramontano romanti- cismo non lascia cosa alcuna intentata per conta- minare con le sue stranezze anche il bel cielo d'I- talia, è assai consolante il vedere che da ogni parte della nostra penisola si levano i piìi chiari ingegni a tutelare il patrimonio della classica letteratura, e a ricondurre con la voce e con l'esempio la gio- ventù allo studio de'greci e de'latini scrittori, uni- che sorgenti inesauribili del retto e del bello. Fra questi italiani così benemeriti delle buone lettere tiene a buon diritto un luogo distintissimo il signor marchese Luigi Biondi, il quale non saprei decidere se più abbia da commendarsi per amore di patria, o per raffinatezza di gusto, e per valentia di scrivere. Egli dopo aver fatto dono all'Italia d'una sua prege- volissima versione della Georgica, in cui con la forza della lingua di Dante raggiunse la grandiosa maestà virgiliana, rivolse il pensiero a Tibullo, col quale sembrava maggiormente simpatizzare l'anima sua; e fu così felice nel suo lavoro, che noi non te- 112 Letteratura miamo punto di essere tacciati di adulazione col porlo nel novero de'piìi celebri traduttori. Imme- desimatosi totalmente dello spirito e dei concetti del romano elegiografo, e conoscitore profondo del nostro idioma, il Biondi prescelse il metro della ter- za rima, come il più acconcio a rappresentare i di- stici dei latini ; e gli venne fatto di renderne con somma eleganza italiane le grazie, la dolcezza , e quel non so che di affettuosa malinconia, che ren- de SI cara alle anime bennate la poesia di Tibullo. Uno dei piìi rari pregi di questo autore si è quel fluidissimo andamento di verso, che scevro da elisio- ni aspre, da vocaboli vieti, e da costruzioni stentate procede sempre spontaneo, e lungi dal peccare di monotonia, ti seduce e t'incanta con assidua armo- nica varietà. Ben persuaso di questa verità il nostro volgarizzatore saggiamente si astenne da certe licen- ze poetiche , e da certi poetici non comuni modi , che da lui usati parcamente e a tempo nella Geor- gica, le accrebbero tanto di splendore e di venusta. Qui non si scorge mai la minima ombra di studiato artificio, o di ricercate espressioni : tutto è sponta- neità, tutto è naturalezza, tutto è armonia ; mentre d'altronde nobilissima è la lingua, scelte le frasi, e lo stile veramente italiano. Ed affinchè di quanto asseriamo possa il lettore chiarirsi per se stesso, noi verremo recando alcuni passi di questa traduzione secondo che ce li offre la casuale apertura del libro. Me mea paupertas vitae tradiicat inerti, Dwìi meus assiduo luceat igne focus (El.l.lib.1). Vita bella per ozio in me derivi Dalla mia povertà, pur ch'a tutt'ora Fiamma novella il focolar mi avvivi. Tibullo trad. dal Biondi 113 Parce^ pater: tìmidum non me periuria terreni^ Non dieta in sanctos impia verba tì?eo.9(El.3.lib.1). Deh ! mi risparmia, o padre! i labbri miei Mai spergiuri non fur^ ne mai proffersi Empie parole contro i santi dei. Luce sacra requiescat humus^ requiescat aratar^ Et grave suspenso vomere cesset o/?M^(El.1.1ib.2). E sacro il dì : posino i campi : prenda Ristoro ogni bifolco, e, abbandonato Il vomero, la grave opra sospenda. Rare puer verno primam de flore coronam Fecit^ et antiqids imposuit larihus. Rare etiam teneris ciiram exhibitiira puellis Molle gerii tergo lucida vellus ovis : Hinc et femineus lahor est, hinc pensa, colusque , Fasus et apposito pollice versai opus (El.I.lib.2). In primavera il villanel compose Di 1)61 fiori le prime ghirlandelle, E degli antiqui lari al crin le pose. Ben pasciute, abbondar le pecorelle In lane candidissime e sottili, Cli'ebber l'opra a stancar delle donzelle ; Indi gli studi e l'arti femminili, Il pennecchio, la rocca, e il fuso lieve Che del pollice all'urto avvolve i fili. Romulus aeternae nondnm formaverat urbis Moenia, consorti non habitanda Remo. Sed tane pascebant herbosa palatia vaccae^ Et stabant humiles in I ovis arce casae. Lacte madens illic suberai Pan ilicis umbrae^ Et facta agresti lignea falce Palesj G. A. T. LXXVI. 8 114 LETTERATURA Pendebatque vagì pastorls in arbore votuni Garrula silvestri fi stala sacra deo., Fistula^ cui semper decrescit arundinis ordo, Nam calamus cera iungitiir itscfice minor. Al qua Velahri regio patet., ire solebat Exiguus pulsa per vada linter aqua (El.5.1ib. 2). Romolo ancor formate non avea Dell'eterna cittk le mura, dove Solo regnar senza il fratel dovea. L'erboso palatin per ogni dove Pascean giovenche, ed umili casette Stavano sulla rocca or sacra a Giove. DI un elee tempio avean le statue erette A Pan, che asperso era di latte, e a Pale Foggiata in legno da villesche accette. E pendea da rpieil'arbor la vocale Sampogna, dai garzon col gregge erranti Offerta in voto al nume pastorale: La sampogna che i calami sonanti Con cera unendo scende sì, che l'una Canna è minor dell'altra che sta innanti. Il loco del Velabro era laguna; E un palischermo piccoletto apria Co'remi l'acqua senza moto e bruna. Che se le angustie di un semplice articolo non ce lo vietassero, noi riporteremmo ben volentieri la pittura del secolo d'oro, le lodi del vino, la de- scrizione di Apollo, ed altri somiglianti graziosissi- mi quadri, dai quali assai piti che dagli addotti saggi si rileverebbe il magistero, la fedeltà e la disinvol- tura, con cui sa il Biondi vestire di forme italiane le veneri dell'originale , senza che nulla perdano della freschezza natia. Chiunque non è in odio alle Tibullo trad. dal Biondi 115 muse, nel confrontare fra loro i citati versi, ha potuto facilmente accorgersi, clic l'aura dell'armo- nia lll)ulliana ( per quanto almeno lo consente la diversità della lingua e del metro) non lascia di spo- sarsi egualmente alle corde della cetra del tradutto- re; ma se taluno ne avesse pur dubbio, la cosa ver- rà fatta più manifesta da quello che siamo per dire. La tibuliiana descrizione dell'Eliso e del Tartaro (El. 3 lib. 1) fu sempre considerata come una pro- va evidente di ciò che possa la poetica imitativa ar- monia nel rappresentare al vivo le cose. Chi nel leggere i seguenti soavissimi versi: Sed me, quod facilis tenero sum semper amori, Ipsa V^enus cainpos ducei in elysios. Hic clioreae cantusque ^igent, passimque vagnìites Didce sonant tenia giittitre Carmen aves', Fert casiam non calta seges, totosque per agros Floret odoratis terra benigna rosis etc. non vi ammira espressa tutta la mollezza di quella voluttà, onde i miseri pagani credevano bearsi do- po morte le anime de'buoni.'* All'incontro conver- rebbe esser privo del bene d'intendere e di sen- tire, per non provar raccapriccio nel contempla- re questa spaventosa pittura del soggiorno dei tristi: At scelerata iacet sedes in nocte profanda Ah dita, quani circum fluniina ni gru sonant', Tisiphoneque impexa feros prò crinihus angues Saevit: et Iute illuc impia turba fugit. Twn niger in porta serpentum Cerberus ore Stridii, et aeratas excubat ante forca. Illic lunonem tentare Ixionis ausi Versantar celeri noxia nieudjra rota. /[IQ Letteratura Porrectusqiie nos>em Titjus per incera terrae Assiduas atro viscere pascit iives. Tantaliis est illic^ et circum stagna: sed acrem lam iam poturi deserit linda sitim etc. Qui la riunione di aspre consonanti, qui l'abbon- danza di cupe vocali, cpii la durezza del ritmo, qui tutto insomma concorre a formare (mi si permetta di esprimermi così ) un' armonia che sa in certa liuisa d'inferno. Or bene: si apra il volume del Biondi, e si troverà che egli ha saputo trasfondere mirabilmen- te ne'suoi versi tutto l'incantesimo di Tibullo tanto nel colorire con le grazie del Petrarca la beltà dell' Eliso, quanto nel tratteggiare col pennello dell'Ali- ghieri l'orrore del Tartaro. Io m'ho speranza che la dea d' amore Ai campi elisii di sua man mi guidi: Poiché sempre amoroso io m'ebbi il core. Ivi canti e carole: ivi han lor nidi Augelletti che molli e dilettose Voci alternando vagan per cjue'lidi: Non coltivati i campi hanno ubertose Messi di casia, e la benigna terra Tutta fiorisce di odorate rose. Ma giace ascosa fra notte profonda De'malvagi la sede: atre riviere Cerchio intorno le fan con sonante onda: Imperversa Tisifone che fiere Serpi ha per chiome in piìi viluppi attorte: I rei spirti qua e la fuggono a schiere. Tibullo trad. dal Biondi 117 Con bocche di serpente stridir forte S'ode Cerbero can sul varco bruno, E a guardia sta delle ferrate porte: Piuota che mai non ha riposo alcuno Volge a turbo le membra del non casto Issione che osò far onta a Giuno. Steso per nove iugeri sta il vasto Corpo di Tizio; e il fegato gli è morso Da uccei che l'hanno a rinascente pasto. Tantalo è quivi, ed acqua senza corso Intorno a lui: ma fugge e all'assetate Labbra s'invola, s'ei vuol trarne un sorso. O vengano, vengano i giovani ad ispirarsi in questa bella scuola del retto scrivere, ed allora piìi non correranno dietro alle sconcezze e alle bizzar- rie di Schiller e di Ugo! Ma non divertiamo il pen- siero dall'opera che abbiam per le mani. Il Biondi non si stette contento alle sole elegie. Essendosi pre- fisso di tradurre tutto ciò che era uscito dalla pen- na del più colto e del piìi gentile fra i poeti del Lazio, non dovea certo dimenticare il panegirico di Messala, il quale a giudizio degli intelligenti se per una parte fa molto onore al bel cuor di Ti- bullo, per l'altra non giunge a toccare l'altezza dell' epica, e ad agguagliare il merito degli altri suoi versi. Quei pregi però che mancano nel poemetto latino dal lato della versificazione, a noi sembra di ravvisarli chiaramente nella versione italiana, in cui lo stile è più sostenuto, il verso piìi maestoso, l'armonia pili variata e piU degna dell'epopea. Lo squai'cio seguente, in cui si descrivono le cinque zone, potrà attestare la verità della nostra sentenza. 118 Letteratura Nani circHirìfuso considit in aere telhiSt Et qidnqne in partes toto disponitur orbe. Atque dune gelido vastantur frigore seinper. Illic et densa tellits absconditur umbra^ Et nulla incepto perlabitur unda liquore^ Sed durata riget densam in glaciemqiie niveinquc^ Quippe ubi non unqiiain Titan superingerit ortus. At inedia est Phoebi semper snbiecta calori^ Seu propior terris aesti\)iun fertur in orbem, Se II celer hibernas pr operai decurrere luces. Non ergo presso tellus consiirgit aratro, Nec frngem segetes praebent, nec pabula terrae. Non illic colit arva deus^ Baccliasve, Ceresve^ Nulla nec exustas habitant ammalia partes. Fertilis liane inter posita est interque rigentes^ Nostraque, et huic adi'ersa solo pars altera nostro^ Quas utrimque tenens similis vicinia caeli Temperata alter et alterius vires necat aer. Hinc placidus nobis per tempora vertitur annus. Hinc et colla iugo didicit submittere taurus^ Et lenta excelsos vitis conscendere ramos^ Tondeturque seges inaturos annua partus. Et ferro tellus., pontus conjìnditur aere: Quin etiam structis exsurgunt oppida muris. Poiché nel circonfuso aere librato Sta il gloho della terra; e intorno intorno Da cinque grandi zone è circondato. L'estreme due niegano ad uom soggiorno, Desolate per gel: sepolta in tetra Ombra la terra non conosce giorno: Non può l'acqua lluir: rista, s'impietra, In ghiacci e nevi densamente stretta: Perocché Febo mai non vi penetra. TlT?ULLO TRAO. DAL BIONDI 119 Quella (lol mezzo è al troppo sol soggetta, S\ quando ci, più vicin, da giorni estivi, E SI quando ne'verni il corso affretta. Dunque l'aratro non fa sorger ivi Le zolle in solchi; non dan messe i campi, Tutti i prati di pascoli son privi. Non Libero, non Cerere quegli ampi Deserti abbella mai; ne animai nasce Che quell'adulto suol d'un'urma stampi. Fra questa ardente e le due fredde fasce Le nostre terre e le sopposte han loco. Ove il fertile sol gli animai pasce: Che temperanza fa tra '1 ghiaccio e il foco L'aer che in ciel fra i duo spazi si stende, Ed ammezza il poter fra il troppo e il poco. Di la placido a noi l'anno discende, E muta i tempi: il bue soppon la dura Cervice al giogo; e bacco i rami ascende: Mietesi ogni anno cerere matura; Solca il ferro le terre, il bronzo i mari; E suriion le castella in alte mura. O' Prima di porre termine alle nostre riflessioni, noi vogliamo saper buon grado all'egregio signor marchese per aver velate alcune frasi, e tolti al- cuni versi del testo, che figli della licenza pagana non consuonavano troppo bene all' onesta de' cri- stiani costumi. La nitidezza tipografica del volume è tale, quale appunto si addiceva al cantore delle grazie e della urbanità, e quale parca richiedere il merito della valentissima poetessa Caterina Fran- ceschi Ferrucci, a cui venne giustamente intitolato. Chi poi bramasse schiarimenti ulteriori sull'autore e su gli scritti di lui, noa ha che a consultare la se- 120 Letteratura guente erudita memoria dettata dai signori Filippo e Giacomo Bruni, che nipoti al marchese Biondi ne seguono le pedate con molta lode, e che l'estensore di questo articolo va lieto di avere avuto a disce- poli nella palestra delle belle lettere. Gio. Battista Rosani DELLE Scuole Pie Memorie sulla vita e sugli scritti di Alhio Tibullo. E mio intendimento che questi brevi cenni sulla vita di Tibullo giovino alla migliore dichiarazione del testo : il che otterò dimostrando, che veramen- te sono di Tibullo le opere che vanno sotto il nome di lui, e dando altresì a conoscere e il tempo della sua nascita, e il quando diede alla luce i suoi versi, e la condizione delle sue amanti. Ne dubiterò di far mio ciò che altri gik disse, mentre andrò notando ciò che altri per avventura intralasciò. Che se talvolta sarò costretto ad oppormi all'Heyne (scrittore d'al- tra parte pregevolissimo) il quale avvisa tutto esser mutilo e tronco nel nostro poeta, e per intiero ten- ta rapirgli il quarto libro, io voglio che mi scusi e difenda l'amore che ho per la verità e per gli scritti di questo affettuoso ed elegante poeta. Tibullo fiorì nel secolo più bello per le lette- re, che Pioma vedesse mai : fu amico di Orazio , di Memorie di Tibullo 121 Macro, di Valgio: Gallo poetava, lui vivente : Pro- perzio gli venne dappresso; e la sua morte tenne dietro a quella di Virgilio, in sul finire dell'anno di Roma 735, o in quel torno. Quanto all'epoca del suo nascimento, la idea che si ofteri alla mente dei primi osservatori fu ch'egli dovesse esser nato l'an- no di Roma T'H, ed avvisavano di provarlo col se- guente distico inserito nella elegia V del lib. Ili: Nataleni nostri primum videro parentes Cam cecidit fato coiisul uterque pari. Ma posteriori piìi attente osservazioni ciò rivo- carono in dubbio. E primo Giuseppe Scaligero , e poi altri critici tennero che quel distico, o almeno il pentametro, fosse stato ivi da altra mano inserito. Essi cosi ragionavano : Tibullo non poter esser nato nell'anno 711, perocché egli stesso ci narra di aver militato con Messala nella guerra aquitanica (1). Ma è noto che Messala trionfò degli aquitani nell'anno 727 (e la guerra si era forse combattuta nel 724 co- me la pensa l'Airmanna) : adunque Tibullo avrebbe militato in età quasi fanciullesca. A taluno però un siffatto argomento non soddisfece; poiché se la guer- ra aquitanica non fu guerreggiata che nel 727, non ripugna che Tibullo militasse di 16 anni: che molti esempi abbiamo di romani, che militarono avanti l'età dalle leggi prescritta. Ed avvegnaché dir si potesse che Tibullo non era sì valoroso da affrettare il tempo della milizia, ciò non varrebbe, perchè al- tri o dubitasse della verità dell'assertiva del nostro (i) Lib. I, eleg. VII, v. 9 e segg. 122 Letteratura poeta, o per ciò solo credesse quel rllslico essere supposto. Imperocché non l'ardore marziale, di cui Tibullo non era certamente acceso, ma la speranza di sfuggire all'odio de'suoi nemici, e di farsi bene- volo Messala per salvare il rimanente de'suoi averi, potè averlo indotto a militare con esso lui nella guer- ra aquitanica, benché in età assai giovanile. Ma a to- gliere ogni dubbio anche dagli animi di costoro, ser- virà un altro argomento dello stesso genere, da cui più agevolmente sarà dato il conoscere non potersi tribuire all'anno 711 il nascimento di Tibullo. E:>li stesso nel paneg^irico di Messala (1)dice di avere spe- rimentato le virtù belliche di lui, poiché le conob- be a prova nelle guerre contro de'iapidi e degli al- tri popoli dellTlliria e della Pannonia (2). Ma que- ste guerre intervennero negli anni di Roma 719 e 720, come ce ne fa fede Dione Cassio (3): dunque Tibullo avrebbe militalo di otto o nove anni, se lo si volesse far nato nell'anno 711. Questo solo basterebbe a dimostrare, che Tibul- lo nacque prima dell'anno in cui furono consoli Ir- zio e Pausa. Ma non voglio omettere di riportare al- (i) Lib. IV carm. i, v. 107 e segg. (2) Che quella frase nani belUs experta cano debba essere interpretata così, e non si debba già intendere, che Tibullo can- ti cose sperimentate da altri, lo richiede sì l'indole di quel par- ticipio che sempre suole riferirsi a chi parla, si il seguito del discorso che ciò sembra indicare, e si ancora la ripetizione del- la stessa frase testis mihi adoperata nella elegia VII del libro I a proposito della guerra aquitanica, in cui è certo che il nostro poeta seguì Messala. E così la Intendono il Broukhusio e il Volpi. (3) Lib. XLIX cap. 4» specialmente verso la fine. Vedi la nota del Broukhusio al v. loS del carme I del libro IV riporta- ta dal Volpi ucl auo commeulario. Memorie di Tibullo 123 tri argomenti elio il Dousa ed altri ritrovarono , e che il Volpi pure riferisce nella sua vita di TiJ>uI- lo. Quel pentametro Cum cecidit fato si legge tal quale in Ovidio in quella elegia (1), in cui egli si fa a narrare di proposito la sua vita. Ovidio soleva imitare Tibullo: ma non sembra credibile, che ab- bia voluto copiare tal quale un verso che determi- nava l'epoca della nascita. Ne vale il rispondere , ch'egli volesse dire con enfasi che aveva il giorno natalizio comune con Tibullo. Imperocché ne que- sto è lo stile di Ovidio, che suole spiegare chiara- mente e ripetere piìi volte tutto ciò che imprende a dire, ne Ovidio avrebbe mancato di dare ad inten- dere perchè sebbene nato lo stesso giorno che Ti- bullo, cominciò a poetare tanto più tardi. Ma egl anzi ci dice, che non tardi si fece nota la sua musa e che quando incominciò a leggere al popolo i suoi carmi giovanili, si era tagliata soltanto due o tre voi te la barba. E nella stessa elegia nominando i poeti elegiaci per ordine di tempo, dà il primo luogo a Gallo, a Tibullo il secondo, a Properzio il terzo, e pone in quarto luogo se stesso : Qiiartus ab his serie temporis ipse fui. E che sìa corrotto il luogo di Tibullo, non quello di Ovidio, si fa palese primamente da ciò, che il testo di Tibullo è a noi giunto mutilo in piìi luo- ghi e viziato : non così il testo di Ovidio : seconda- mente si comprende assai di leggieri dall'insieme de'versi d'Ovidio. Egli dice: Io nacqui a Sulmona (i) Trist. lib IV eleg. X y. 6. 124 Letteratura citta distante da Roma 90 miglia: ed affinchè tu sappia anche Tanno del mio nascimento, io vidi la luce, quando per egual fitto peri l'uno e l'altro con- sole. Ma in Len diversa maniera sì legge quel verso in Tibullo. Afflitto da grave infermità, si richiama agli dei infernali dell'avere a morire ancor giovane. Ed ecco venire inopportunamente quel distico a in- terrompere il senso ; e se tu ne lo trai, questo pro- cede più spedito. Laonde pare a me caso molto pro- babile, che tutto il distico sia stato aggiunto da ta- luno, il quale avvisaiido che Tibullo fosse coetaneo ad Ovidio, o volendo determinarne l'anno ignoto della nascita, si ardì d'inserire nelle opere di lui quel pentametro ovidiano : ed avendo poi fatto di sua stampa l'esametro, gli parve che il luogo più acconcio per inframettere questi due versi fosse quello appunto in cui ora si leggono. Ne dee recarci maraviglia o farci difficoltà che quei versi sparii si leggano in tutti i manoscritti; perocché è noto che tutti traggono origine da un solo. Da tutto ciò può dedursi con certezza, che Ti- bullo nascesse prima dell'anno 711. Ma a qual an- no dovremo noi assegnare la nascita di lui.** E que- sta una questione che l'Heyne lasciò indecisa, ne io mi ardirò di definirla. L'Ayrmanno, mutando una sola parola nel pentametro, leggeva Cum cessit fato consul uterque pari: e avvisava che Tibullo avesse voluto indicare l'an- no 705, in cui i consoli Lentulo e Marcello si par- tirono dalla città per seguire Pompeo nella Grecia. Ma oltre alle buone ragioni addotte dall'Heyne, il Memorie di Tibullo 125 quale osserva che cedere fato vale morire egual- mente che cadere fato^ è meglio, secondochè si è detto di sopra, tenere spurio tutto il distico, che introdurre questa emendazione poco felice. Volen- dosi stabilire non una certezza, ma una semplice probabilità, potrebbe dirsi che il poeta nostro fos- se nato circa l'anno di Roma C95. E m' induco a porre in cjuel torno la nascita del nostro poeta , piuttostochè nell'anno 690, come vollero il Brouk- husio, il Volpi ed altri, si perchè non si dee ri- tardar di troppo il tempo della sua milizia , e sì perchè conviene por mente a ciò che dice Do- mìzio Marso, che Tibullo si morì giovane. A tal congettura (che io non voglio con altro nome chia- marla) si accorda la opinione che fa nato nel 697 Properzio, il quale succedette nel poetare a Tibul- lo. Ne si disdiceva ad Orazio il chiamare candido giudice de'suoi sermoni (1) il nostro Albio a se mi- nore di pochi anni. Così militando nell'anno 7! 9 o 720, egli avrebbe cominciato a militare dell'eia di circa 25 anni: del che abbiamo altri esempi (2). E finalmente Domizio Marso poteva a ragione chia- mar giovane Tibullo morto in età di 40 anni , e piangerlo come estinto di morte immatura. Tibullo fu cavaliere romano, ma nulla di cer- to possiamo dire intorno alla sua famiglia. Egli di- ce di esser divenuto a povertà; ma non a tale che non potesse disprezzare la fame, poiché il suo cam- picelio, avanzo del retaggio paterno, abbondante- (i) Orazio, Epist. lib. I, ep. !\, v. i. (a) Biondi - Iscrizioni pubblicate in seguilo alla disscrla- zione sui fasi! consolari. Iscr. IV. 126 Letteratura mente sopperiva a'suoi desideri. E certo che pri- ma egli era stato assai facoltoso e ricco di poderi e di bestiami (1); perdette poi parte de' suoi beni, ed egli se ne lamenta come di una ingiuria della fortuna. A me sembra verisimile ciò che pensarono i più di quei che scrissero delle cose di Tibullo; cioè che alle calamita delle guerre civili , delle proscrizioni, e della divisione di gran parte delle terre d'Italia fra i soldati dei vincitori, debba es- serne tribuita la povertà. " Egli era amico di Messala, e forse fu come Messala del partito delia repubblica. Allorquando questi si rivolse al vincitore, non potè salvar tutto a' suoi amici. Tibullo, come quegli che sentiva rin- novellarsi il dolore ogni volta che ripensava ì suoi primi anni (2), temeva che venture più aspre non lo attendessero, e che i suoi nemici non lo dispo- gliassero di quel poco che prima gli avevano la- sciato (3). Quindi a Messala si raccomandava, e gli diceva: Nostri sit parvula cura, SU tibi quanta libet, si sit modo (4). Agevolmente da ciò si comprende la causa dell'al- (1) Lib. I, eleg. i, v. 19 e seg. Lib. IV, car. I. v. i83 e seg. (2) Imperocché leggo anteactos annos, e non il durissimo accisos agros come vorrebbe rHeyne lib. IV, car. I, v. i8g; e nota che questa rimembranza di Tibullo si accorda benissimo col porre la sua nascita circa l'anno SgS, poiché la proscrizione fu nel 711, e la divisione dei campi intervenne nel 7i3. (3) Lib. IV, carm. I, v. igo. (4) Lib. IV, carm. I, v 197. MEMORIE DI Tibullo 127 to silenzio di Tibullo su di Augusto : benché que- sto signore del mondo fosse adulato da tutti gli al- tri poeti, che in quel secolo fiorivano, ogni volta che loro si offeriva il destro di farlo. E contro al si- lenzio di Tibullo non è valevole la osservazione dell' Heyne sugli argomenti negativi: poiché alle volte il silenzio di tale che acconciamente poteva, o per dir meglio, tratto dal suo subietto doveva far menzione di qualcuno, è fortissimo indizio a deter- minare o la età in che egli visse, o altro che se ne possa dedurre sulle circostanze della sua vita. Ora nella elegia Phoehe fave, V del libro II, Tibullo parla dei prodigi che precedettero il tempo delle funeste guerre civili, senza che per niun modo li riferisca alla morte di Cesare, o ne tragga materia di lode per Augusto, come fecero gli altri poeti ; benché gli stessi portenti si leggano in Tibullo, che Virgilio ed Ovidio ad altro fine descrissero (1). Di più il panegirico di Messala fu da Tibullo composto pel suo protettore divenuto console (2). E sappiamo che Messala amministrò il consolato in- sieme con Ottaviano l'anno di Roma 723. Ma cjual poeta del secolo di Augusto lodando Messala non avrebbe unito nelle sue lodi il collega di lui, il si- gnore del mondo, quello da cui Messala riconosce- va la sua dignità ? È forza dunque lo ammettere una qualche ragione del silenzio di Tibullo: e quel- la che allegai mi sembra piìi verisimile, che non le altre. (i) Virg Georg. lib. I, v. 466 e segg. Ovid. Mctainor. 1. XV, V. 783, e segg. (2) Lib. IV, car. I, v. 121 e segg. 128 Letteratura La vita del nostro poeta ci è pressoché ignota. Di lui si può dire con verità, che la sua vita è ne* suoi scritti. Seji;uendo l' ordine dei libri voglio a parte a parte considerarli, spezialmente intorno a ciò che riguarda Tibullo e i suoi amori ; che tutto ciò che agli uomini grandi si appartiene non e in veruna maniera da trascurare. LIBRO L Si leggono in questo libro primo dieci elegie. Il farsi a disporle secondo l'ordine dei tempi sareb- be cosa pericolosa, non meno che inutile. Le elegie amorose si avvicendavano secondochè il poeta o soa- ve temeva l'amore, o amaro lo sofFeriva. La elegia X è scritta, allorché Tibullo era tratto alla guerra ( forse all'aquitanica ) : la III mentre egli seguendo Messala in Asia, era rattenuto in Gorcira da gravis- sima infermità. Nell'anno 727 Messala trionfò degli aquilani, e Tibullo ne celebrò il trionfo e le altre imprese , allorché ricorreva il giorno natalizio di lui; come si vede dalla elegia VII che a quell'anno si dee riferire. Finalmente la elegia I sembra scrit- ta dopo tutte le altre, afilne di premetterla al suo libro allorché lo diede alla luce : e studiosamente il poeta pone verso la fine le Iodi di Messala; perché tutto il libro, a cui l'elegia serve d'introduzione, si abbia per dedicato al suo protettore (1). Nel primo libro ragiona principalmente del suo amore per Delia. Egli la celebra in cinque ele- (i) V. Ayrraanno, Vita cronologica di Tibullo, premessa all' edisioae H. Y- All'anno 727. Memorie di Tibullo iSflk gle, cioè nella I, II, III, V, VI. Delia fu 11 pri- mo amore di lui, come Ovidio ce ne fa fede (1) nel- la elegia in cui piange la morte del nostro poeta ; ove ci dice che gli sopravvisse, e ce la mostra pian- gente al suo rogo, benché da lui abbandonata per Nemesi. Il vero nome di questa prima amata si fu Plauzia : lo sappiamo da L. Apuleio che nella apo- logia dice: Accusent et Tlhullum, qiiod ei sit Plau- TiA in animo., Delia in versu. Tibullo lo ebbe can- giato in Delia, nome pastorale della stessa quantità di sillabe. La condizione di Delia ci viene indicata da Ti- bullo stesso (2) quando ci dice, che la benda non le cinge il crine, e che la stola non le discende al piede: Sit modo casta^ doce: quamvis non vitta ligatos Impediat crines, nec stola longa pedes^ Ella dunque non apparteneva al ceto delle matrone, di cui dice Orazio : Quarum suhsuta talos tegat instita veste. Ma da questo solo non può trarsi argomento per aflfermare che fosse una cortigiana: che v'ha pu- re un grado di mezzo fra le donne nobili, e quelle dell'anzidetta condizione. Fu tratto in questo abba- glio l'autore francese dell'articolo Tibullo nella Bio- grafia Universale dalla simiglianza tra i versi alle- gati di Tibullo, e quelli di Ovidio (3) che nel prin- (i) Amor. lib. Ili, eleg. IX, v. 32. (2) Lib. I, eleg. VI, V. 67 e 68. (5) Arlis amat. lib. I, v. 3i e 32. G. A. T. LXXVI. ■130 Letteratura cipio della sua arte di amare vuole lontane le donne a cui si addicono la benda e la stola, insegne del pu- dore. Ma l'autorità di Ovidio fa piuttosto contro di lui pei versi che seguono; perchè il poeta professa di cantare amori sicuri e furti leciti: Nos venerem tutam conce ssaqiie furta canemns. Or certamente ne furto lecito, ne amor sicuro era il darsi piacere con qualunque donna non portas- se la stola e non fosse di nobile condizione. Anche ai mariti delle donne plebee sta a cuore l'onor del- le consortì. Orazio stesso, mentre riprende in ogni cosa gli eccessi, e dice con verità che Dum vitant staiti vitia, in contraria currunt; dopo avere opposto l'avaro inumano al prodigo dis- sipatore, conferma la sua sentenza con altro esem- pio tratto dalla stoltezza di coloro che pure in amo- re non vogliono attenersi al mezzo, dacché altri alle matrone, altri aspirano alle cortigiane (1): Nihil medium est:sunt qui nolunt tetigisse^nisi illas^ Quarum suhsuta talos tegat instila veste: Contra alius, nullam nisi olenti in fornice stantem. Egli dunque ci fa accorti che fra queste e quelle eravi pure a suo tempo un grado di mezzo. Ne cre- do dilungarmi dal vero, se penso tale essere stata la condizione della prima amante di Tibullo. (i) Lib. I, sat. II, V- 28 e segg. Mkmorie di Tibullo 131' Pertanto se Delia non era di nobile condizione; poteva nondimeno esser casta e fedele : e tale I a- vrel)be voluta per se solo il nostro poeta ; ciò che esclude pure il sospetto che essa fosse una cortigia- na. Al che aggiungerò : se Delia era una di quelle che fanno professione di guadagnare del loro corpo, come mai Tibullo poteva raccomandare al consorte di aver cosi gran cura di quella sua giovinetta, che non le permettesse non pure di lodare alcun giova- ne, dì mostrare scoperto il seno, e di far cenno col capo, ma di scrivere sulla mensa col dito intinto nel vino? Nec iu\>enes celebret multo sermone cnveto. Neve ciibet laxo pectus aperta sinit. Neu te decipiat nutu, digitoque liquorem Ne trahat, et mensae diicat in orbe notas. Come una cortigiana era guardata in casa da tanti custodi, che senza scusa non potea neppure dormir- si sola ? Ipse niiser, docili quo posset ludere pacto Custodes: heu, heit nunc premer arte mea ! Fingere nunc didicit caussas^ cur sola cuharet^ Cardine nunc tacito vertere posse fores. Perchè mai Tibullo si dava cura che sulle gote, sul collo d'una cortigiana, non apparissero i segni della sua libidine ? Tum succo s herbasque dedi, queis livor abiret, Quem facit impresso mutua dente Venus. 13? Letteratura E, quel che è più, come mai una cortigiana avreDoe potuto presentai'si a celebrare i misteri castissimi della dea Bona nella casa del console o del preto- re (1), Ik dove convenivano il fiore delle matrone romane e fin le vestali (2)? Exibit quam saepe^ time : seu visere dicet Sacra Bonae maribus non adeitnda deae. Ne alcuno indizio che Delia fosse di sì vile con- dizione si scorge dalle elegie P e III^, quando sem- bra che l'amante di Tibullo non fosse ancor marita- ta. Queste spirano un aft'etto purissimo, perocché il poeta era lusingato dalla speranza di posseder solo l'amore della sua fanciulla. Forse, come pensa l'Hey- ne, ella si maritò nell'assenza di Tibullo (3). Ne a ciò si oppone che il poeta nella elegia V si lagni che gli venga anteposto un amante più ric- co a cagione degli artifizi d'una vecchia mezzana (v. 47, e 49). Imperocché quell'amante riamato po- teva ben essere uno di coloro, che aiutati dalla trista vecchia deludevano la vigilanza dell'incauto mari- to (4). Ma il poeta ( così ragiona l'autore del citato articolo) nella elegia VI, in cui parla a lungo del ma- (i) Plut. in Caes. e. 9. et in Cic. e. 19. (2) Elegia YI 21, 22. (3j Pare che nella elegia V il nostro poeta faccia parola di ciò V. ij e segg. dacché quella vita felice ch'egli si fingeva nel- la mente vivendo in piena libertà con la sua Delia nella cam- pagna e al tempo delle messi, e al tempo della vendemmi;!, non poteva aver luogo se Tibullo non si fosse a lei stretto col lega- me di un giusto matrimonio, come aveva in animo di fare, se ella non lo avesse tradito. (4) Elcg. VI in princ. Memorie di Tibullo 433 rito di Delia, finisce col dare alla sua amante certji consigli od avvertinnenti che a donna maritata mal si possono convenire : cioè che la donna infedele è misera e deserta in vecchiaia, che i giovani insulta- no ai mali di lei, e che Venere la rimira con disde- gno : ma che ciò non interverrà alla sua Delia, pe- rocché il loro amore è per durare anche nella vec- chiaia (1). Agevolmente a ciò si risponde: Una don- na congiunta a marito esser dee le piii volte al si- curo del bisogno che mal consiglia ; e Delia sembra che il fosse. Ma se o la morte o il divorzio rompe- va quel suo legame, ella poteva venire a povertà nella vecchiaia, se fosse rimasa priva del consorte , che forse vivendo dell'onesto lavoro delle sue mani procacciava il sostentamento alla sua famiglinola. Molte certamente passarono a questa sorte: ed oltre a ciò i comodi della vita, onde abbondano in gioven- tli le donne che si danno piacere con ricchi amanti, vengono loro meno nella etk piii avanzata, quando l'usanza diventa necessita. A che dunque ricorrere ad interpretare altra- mente la parola coniux per non riconoscere in quel- la i diritti di un vero marito? Delia certamente non era la concubina d'un uomo ricco e da lui guardata in casa, poiché il concubinato venne solamente ri- conosciuto e permesso molto posteriormente dalla legge Papia Poppea che si vuol riferire all'anno di Roma 762; e quasi da quella ricevette il suo nome legittimo (2). Ma neppure ella era stretta a taluno, di cui fosse puramente amasia od amica, coi lega- (i) Elegia VI V. n'] e segg. (2) Dione Cassio lib. LYl e. i. t34 Letteratu ra mi d'una temperarla unione, cui fosse agevole il rompere con uno di quei ridicoli divorzi, de'quali Ovidio ci porge un esempio (1). Imperocché non v'è pur orma in Tibullo della facilita che potesse avere la sua amante di rompere a suo talento un le- game, che fosse sì debole, e che di sua uatura non era perpetuo ; ne a ciò mai la consiglia, sebbene fosse grandemente acceso nel desiderio di vivere con lei. Inoltre è vero che la parola coniux ha talvol- ta un senso più esteso che quella di marito : ma Tibullo dice altresì: Sic etiam de me pernegat usque viro, ne sarà chi dubiti non potersi ivi alla parola vir concedere altra significazione che quella di marito. Che piii ? Ovidio (2) in quella elegia, in cui s'ingegna di scusare se stesso dalla colpa di avere scritto versi meno che onesti, allega gli esempi di altri poeti che fecero il medesimo, senza che loro si scrivesse a delitto: e parlando di Tibullo, riporta i versi della elegia VI del libro I, in cui, com'egli dice, s'insegnan le arti, onde le donne ingannino i loro consorti: e si fa a nominare chiaramente mari- to il coniuge di Plauzia, e ad essa Plauzia o Delia da il titolo di nupta^ parole che vengono sempre adoperate a dinotare un giusto matrimonio. Ne può disconoscersi la testimonianza espressa di Ovidio: (i) Remcd. Amoris v. 663 e segg. (2) Trist. lib. II eleg. uuic. v. 44^ e segg. Me lORIE DI T. BULLO 135 perchè sarebbe ei^li stato, non !f..IX/;eleg. V, V., 109. — -'ri Memorie di Tibullo 137 superstite a Tibullo, lagrimante al suo rogo, e con- tendente la preferenza con Delia, perchè tenuta da Tibullo con debile mano in sul morire (1). Ma ben- ché Ovidio sembri indicare ch'essa fosse l'ultimo amore di Tibullo, io porto diverso avviso, come ap- parr'a da ciò che sarò per dire parlando di Neera. Da ciò che Tibullo dice di Nemesi sembra po- tersene ragionevolmente inferire, che la condizione di lei fosse inferiore a quella di Delia; e che aper- tamente solesse esercitare il mestiero di cortigiana: Illa cava pretium flagitat usque manu (2). Ne giammai in questo libro si menziona alcun coniuge, o alcuna custodia che questi ponesse alla donna sua. Io mi penso che mal non s'apponga chi cre- da essere Glicera il nome vero di Nemesi, e che la immite Glicera, della cui infedeltà, al dire di Orazio (3), il nostro Albio facea lamenti in versi elegiaci, sia Nemesi stessa. Lo stesso Albio ci dice che a muovere la sua amante non valevano o facevano profitto ne i versi elegiaci, né l'arte di Apollo autore de' carmi (4): e si lamenta sempre della durezza di lei. Il che cor- risponde esattamente al nome dìimmitis che le dà Orazio nel luogo citato. Ne ci lice supporre che Glicera fosse Delia, perocché abbiamo veduto che (i) Eleg. IX del libro III degli Amori v. 58, dove pone in bocca di Nemesi ciò che Tibullo dice di Delia lib. I, eleg. I, v. 60. (2) Lib. II, eleg. IV, v. i4- V- ancora v. Sg, 40 segg. (31 Lib. I, od. 33 slr. i. (4) Lib. II, eleg. IV, V. i5. 138 Letteratura la prima amante di Tibullo nomavasi Plaiizia: ol- tre a che non possiamo indurci nell'animo che al- tri venisse preferito a Tibullo per vanto di giovi- nezza, allorché il nostro poeta giovanissimo amava del primo amore. Molto meno può appropriarsi a Neera ciò che da Orazio si ragiona intorno a Gli- cera, poiché or ora sono per dimostrare che il no- me di Neera non poteva unirsi ai nomi di Licori, di Foloe , di Mirtaie e di altrettali donne , tutte della condizione di Nemesi, e dell'amore delle qua- li Orazio spezialmente si compiaceva (1). Se il nome di Glicera non può convenire ne a Delia, ne a Neera, e se è pur certo per la te- stimonianza di Orazio, che Tibullo per questa sua amante cantasse versi elegiaci, ragionevolmente di- remo che Glicera debba essere Nemesi, se non vo- gliamo o moltiplicare le amanti di Tibullo senza necessita, o supporre che molti de'suoi versi siano periti: il che non abbiamo ragione di aifermare. A ciò si aggiugne che i due nomi hanno la stessa quantità di sillabe: è quindi ragionevole il credere che nel nome pastorale di Nemesi sia stato cangia- to da Tibullo quello di Glicera, giusta il costume de'poeti latini. Cos'i Tibullo stesso diede a Delia sua prima amante il nome di Plauzia; Catullo nomi-r nò Lesbia la sorella di Clodio sua amica , e Gallo usò il nome di Licori per indicare la mima Citeride. Ma qui l'Heyne propone una difficoltà , che può ingenerare qualche dubbio su ciò che ho det- to di Glicera. Orazio nell'ode citata dice, che Ti- (i) Lib I, sai. II. Memorie di Tibullo 139 hallo si doleva perchè altri di lui piìi giovane gli veniva antiposto: mentre il nostro poeta di ciò mai non si duole, ma s\ dell' avarizia e della cupidi- gia della sua donna. Al che si può rispondere, che luna cosa e l'altra può aver fatto si, che Tibullo fosse escluso talvolta dall'amante, e il non essere pili nel primo fiore della giovinezza quando prese ad amar Nemesi; e il non poter sopperire a ciò col- la copia delle ricchezze, le quali eguagliano tut- to (1). Marziale fa due volte menzione di Nemesi; e Tibullo ci parla di una sorellina di lei, che mo- ri di morte immatura, precipitando dall'alto di una finestra (2). LIBRO III. Venghlamo ora al libro terzo. In esso, tranne la elegia scritta da Tibullo infermo agli amici che erano ai bagni d'Etruria, il nostro poeta ragiona dell'amor suo per Neera. Ma ninno degli antichi scrittori, che parlano di Tibullo, fa menzione di Neera: che anzi Ovidio nella elegia più volte citata nomina solamente Delia e Nemesi, e chiama T una il primo, l'altra l'ultimo amore di Tibullo (3). Per ispiegar ciò, varie congetture formarono gli uomini dotti: ninno però aveva mai dubitato, che il li- bro III non dovesse tribuirsi a Tibullo, tino a che (i) V. J. VII, epig. ^3 V. 7, e 1, XIV ep. igS. Il pentametro di questo secondo epigramma, che è un sol distico ,, In tota iiwit qiieni iiihil esse domo ,, è preso da Tibullo lib. I, elcg. V, V. 3o, che ciò dice di se liguardo a Delia. (2) L. II, eleg. VI, V. 29 e segg. (5] Amor. lib. Ili, eleg. IX, v. 5i e 32. 140 Letteratura Giovanni Enrico Voss non ebbe pubblicato le poe- sie di Tibullo e di Ligdamo (1). Egli togliendolo a Tibullo, dava il libro terzo al poeta Ligdamo, di cui avvisava avere scoperto il nome in quel verso che dice: Lygdamas hic sitiis est . , . . (2). In tale opinione era tratto il dotto alemanno dall' amore di dir cose nuove, poich' egli non poteva ignorare essere molti gli esempi di poeti che un nome finto s'imposero: ed è verisimile che Ljgdamus sia po- sto in luogo di Àlblus-, si per la quantif/a delle sil- labe che è la medesima, e si pel significato della parola, che suona in greco quello che ^Ibius in latino (3). Ma alla congettura del Voss (oltre il con- senso unanime di tutti i manoscritti) si oppone la uniformità dei pensieri e dello stile cogli altri due libri; e il non potersi tribuire il terzo libro ad al- tri che a Tibullo: non a Ligdamo che è evidente- mente un nome finto, e di cui non si ha alcuna memoria; non ad altri poeti del secol d'oro, perchè ninno mai tribuì loro versi per Neera; non a' po- steriori, perchè noi consente la purità dello stile e la bellezza dei pensieri, veramente tibulliana (4). (i) Albius Tibullus et Lygdamus codicum ope emendali a Io. Henr. Voss. Heidelberg, apud Molir et Timmer i8ii, 8. (2) Lib. Ili, eleg. II, v. 29. (3) Xùydoi è pietra candidissima, e si adopera a significare il marmo pario; di questa parola è nato l'aggettivo XJySi'yof , che ■vale cosa formata di quel marmo; cioè candida. V. Heyne lib. Ili, eleg. LI, all'argomento e al v. 3o. (4) L'autore dell'articolo Tibullo nella biografia universale è della slessa opinione, ed aggiunge che il Golbery ha ribattu- to le ragioni sulle quali il Voss ed altri tedeschi fondano il loro paradosso , e vi ha opposto argomenti solidi e luminosamente spiegati. Ma sebbene io abbia fatto ricerca qui in Roma delle- Memorie di Trullo I4j L'Ayrmanno pensa che Neera o sia la sfessa che Delia o Nemesi, ovvero altra fanciulla non ama- ta dal nostro poeta, ma da tale a cui nome eirli scrivesse que'versi. La seconda opinione fu anche proposta dal Volpi nella sua vita di Tibullo: ma l'una e l'altra esclusa dalI'Heyne; il quale dalla ve- rità dell'affetto giudica che que' versi non furono scritti ne per giuoco, ne a nome altrui. Egli non vuole che Neera si confonda con Delia, o con Ne- mesi, ma tiene che sia una nuova amica dì Tibullo, che Ovidio non nominò, o perchè non volle, o per- chè le due prime erano più insigni delle altre. Ma sebbene egli faccia sembiante di considerare come vana siffatta questione , pure si affatica a portare in campo la sua congettura sopra la condizione di Neera, che non ha miglior fondamento delle altre, e che discende dalla falsa interpretazione di alcu- ni passi del libro terzo, dai quali si può ragione- volmente dedurre qualche cosa intorno a Neera, e alla natura delle sue relazioni con Tibullo. Neera non si vuol certamente confondere con Nemesi, e neppure con Delia; la sua condizione ne sembra d'assai superiore a quella non solo della se- conda, ma si ancora della prima amante del poeta disseriazioni del Golbery su Tibullo, non rà'è venuto fatto di ritrovarle. Cosi non ho potuto aver copia della edizione di Tibullo nel 1816 fatta da Conr. Al. Bavero mentovata dal Dis- seno, dove nella prefazione discorre su ciò che il Voss scrisse intorno alle opere di Tibullo Nel resto è pure gran prova contra Voss il silenzio di Quin- tiliano su questo preteso Ligdaino laddove (Instit. Orai. lib. X, e. i) nomina tutti i poeti elegiaci,'nè certo l'autore di queste elegie era tale da dover essere trascurato; né può altri darsi a credere esser questi versi posteriori a Quintiliano. 1-^12 Letteratura nostro. La seconda di esse era una cortigiana; la prima una donna di bassa condizione, forse liberti- na; che essendo maritata, pure si dava piacere con piìi d'un amante. Ma Tibullo parlando di Neera, non fa menzione ne delle risse avanti alla porta, ne della toga, ne della vecchia mezzana, ne del prez- zo dell'amore. Dice anzi che la casa di Neera è pre- giata in gentilezza , e fa orrevole menzione della madre, e (quel ch'è più) del padre di lei (1). E le invia doni il giorno delle calende di marzo, come solevansi mandare alle matrone, donde quelle ca- lende presero il nome di matronali (2). Pertanto l'amore, che Tibullo nudriva per Ne- era, tale esser doveva, quale si conveniva per una donzella di onesta condizione : ed appare infatti ch'egli ne desiderasse le nozze (3). E che stretta- mente debbano essere interpretale le parole con- iux e coniugiuni, ne è prova sì il desiderio che mo- stra Tibullo di aver lei a compagna di tutti i gau- di i della vita, e si le parole di cui egli fece uso, com'è quella di nubere che suole sempre denotare un giusto matrimonio. Quindi chiama se marito di Neera, e genero della madre di lei, allorché vuole che esse vengano a piangere sovra il suo rogo (4). Non può dunque supporsi che Neera fosse una peregrina, come a torto va l'Heyne congetturando: perocché dalle elegie II, III, IV, VI, in cui Tibul- (1) Lib. Ili, eleg IV, v. ga. gS, g4. (2) V. Heyne Jib. Ili, eleg. I, v- i; Heinec. Antiquit. rom. lib. II, tit. VII e V, e lo stesso Tibullo llb. IV, e. II (3) Llb. Ili, eleg. I, v. 27, eleg. Ili, v. 7 e 3i, eleg. IV, v. 60, 79 e 80. (4) Lib. Ili, eleg. Ili, v. 14. McMORiE DI Tibullo 143 lo si lamenta et annos. Ne la tessitura del carme mi sembra del tutto viziosa, come altri vorrebbe che si tenesse. É vero che le parti non hanno tra se un giubilo legame , (i) L. IV, e I, V. 83 e segg. v. loo e segg. (a) V. ii5 e segg. v. lai e segg. v. 147 e segg. {3j V. i5o e segg. (4) Georg. 1 I. V. 233 e segg. (5) La descrizione di Ovidio che si legge nel principio delle Melamorfosl (lib. 1. v. 45) è assai tenue, come sono que' sogget- ti lutti che già trattati da Virgilio furono da Ovidio trattati di nuovo : ed è molto meno poetica di quella di Tibullo. Io qui non parlo della descrizione di Manilio, che piuttosto è una spie- gazione astronomica dei circoli celesti, i quali formano le zone, di quello che una descrizione poetica delle medesime. (Astrono- mie, lib. I, V. 5(3 e segg.) (6) V. 1 83 e segg. 152 Letteratura come ci mostra il lasciare Messala per Ulisse , e dopo lunga digressione sulle avventure di lui trar- ne a stento un paragone e un elogio; e narrate le imprese militari, innestare la descrizione delie zone tra i presagi delle imprese future. Pure questo stes- so ne addita l'autore delle elegie antecedenti, che sembra non avere scopo fisso ; ma si lascia trarre qua e Va. dalle proprie idee, come si destano nella sua mente. Ma poniamo che il panegirico di Messa- la non abbia avuto per autore Tibullo : dovrà dirsi o che seriamente sia stato scritto da un altro poeta di quel tempo per lodare Messala; ovvero che sia stato composto per esercizio da un ozioso grammati- co dei tempi che seguitarono. La prima opinione non è in verun modo probabile. Ed infatti perchè potesse ammettersi converrebbe immaginare un poe- ta amico di Messala che non fosse Tibullo, che però con Messala avesse militato come fece Tibullo (1), come Tibullo fosse gracile di corpo (2), come Ti- bullo avesse perduto i suoi beni per ingiuria dell* avversa fortuna (3)* La seconda opinione, abbracciata dall'Heyne, non è pili probabile della prima per le cose fiii qui discorse. Inoltre non si scorge in tutto il car- me veruno di quegli errori che sogliono disvelare la frode anche ai meno esperti, e da cui gli artefici di false merci in letteratura mai non seppero guardar- si : che anzi ogni cosa a punto a punto si conviene a Tibullo. Avrebbe forse un grammatico lasciato (i) Lib. I,eleg. Ili e VII, Hb. IV, e. I, v. 107. l'i) Lib. II, eleg. Ili, V. 9, llb. IV, e I, v. i(j6. {3j Lib. I, eleg. I, v. 19 e scgg. 1. IV, e. I, v. i83 e segg. Memorie di Tibullo 153 sfuggirsi il destro d'inserire nel panegirico di Mes- sala le lodi di Augusto ? Avrebbe un grammatico detto di Valgio : Aeterno propior non alter Home" ro? (1) Ciò che Tibullo poteva dire a ragione ; im- perocché Virgilio non aveva ancor dato alla luce, e neppur forse posto mano all'Eneide l'anno in che Messala fu console; e quindi egli era l'emulo di Teo- crito e di Esiodo, ma non mai di Omero (2). Non v'è dunque argomento che c'induca a cre- dere, contra l'autorità dei manoscritti, che il pane- girico di Messala non sia veramente di Tibullo : ed avvegnaché non rifulga di quelle somme bellezze che s'ammirano nelle elegie, pur non dee recar ma- raviglia che uno scrittore egregio nel genere elegia- co noi fosse del pari nella poesia eroica. Seguono tredici componimenti , i quali altro non sono che brevi elegie o epistole amorose. Alcu- ne sono scritte a nome di Tibullo, altre a nome di Sulpizias e l'amore di Sulpizia e di Cerinto è quasi sempre il soggetto di questi carmi (3). Il Barzio e (0 Lib. IV, e. I, V. i8o. (2) Ho antiposto questa ragione, eh' è chiara di per se , a quella del Volpi, il quale tribuisce le lodi, che Tibullo dona a Valgio, all'ira sua contro Virgilio , perchè amico di Augusto. Anche Orazio adulava Augusto, e non pertanto fu amico a Ti- bullo. Del resto, prima che comparisse l'Eneide, i latini, che de- sideravano di emulare i greci, in tutto paragonavano ad Omero Ogni poeta eroico- Cosi Properzio, nella elegia citata sopra, dice a Pontico ; Atque^ ita simfelix, primo contendis Homero. (3) Cosi ne parla l'autore dell'articolo Tibullo nella Biografia XJnii'ersnh' t. 5"], p- Sog ediz. ital.) I componimenti, che vengo- no dopo il panegirico, formano un piccolo romanzo metà epislo- 154 Letteratura il Brouckusio vollero che fossero scritti da Sulpicia moglie di Galeno (1) che visse ai tempi di Domizia- no e scrisse versi, come ce ne fa fede Marziale (2). Ma il Volpi con molti argomenti provò questa sup- posizione essere falsa, e sostenne altresì che questi versi a Tibullo si appartengono. L'Heyne assentì al Volpi nel negarli a Sulpizia di Galeno, ma volle to- glierli anche a Tibullo, benché a ciò fare non lo po- tesse certamente muovere la poca eleganza dei com- ponimenti. Imperocché alla dilicatezza dei pensieri si aggiunge la piìi rara felicita di esprimerli, a tale che alcuni di cjuesti carmi non la cedono alle piìi belle elegie dei libri antecedenti. Si legga a cagione di esempio il carme undecime. Ma THeyne a sostenere la sua opinione si fa a provare che Tibullo non è Gerinto, e Sulpizia non è Delia, o altra amante di Tibullo; ciò che il Volpi non gli avrebbe conteso ; poi dimostra che Tibullo non potè scrivere que'versi a modo di scher- zo, e trattando un fìnto argomento, perchè ciò è contro al costume dell'antichità. Ma a che mai non conduce il volere opporsi a quanto tutti tengono per fermo ! L'Heyne, che disconosce in Tibullo l'autore di questi carmi, è poi costretto a tribuir- li al secolo di Augusto , facendone autori uomini eleganti e nobili. £ quindi, contraddicendo a se stes- lare, e metà narrativo, di cui Sulpizia e Cerinto sono 1 protago- nisti: vi si scorgono le prime richieste dell'amore, i suoi progres- si, il suo fascino, la sua vittoria, il furore della passione che sa porre in non cale la riputazione, la decenza, le contrarietà dei casi; le gelosie, i lamenti, le minacce, la riconciliazione. (I) Marziale, lib. X, ep. XXXVIII. (2; Lib. X, epig. XXXV. Memorie di Tibullo Ì55 so, avvisa che fossero composti da questi tali per ischerzo. Ma se ripugna all' uso degli antichi che Tibullo scherzasse in finti argomenti, non vi ripu- gnerà egualmente, che lo facessero scrittori dello stesso tempo ? E perchè mai il dotto alemanno vol- le tribuire a diverse persone que'carmi, se poi egli stesso confessa che non sa trovare differenza nello stile di ciascuno di essi ? Concedendo di buon grado all'Heyne che non sono gli amori di Tibullo che si leggono in que- sti versi, e che ne immaginata, ne finta fu la ca- gione di scriverli, si può non pertanto dimostra- re ch'ebbero ad autore Tibullo. Nella vita anoni- ma di lui, premessa ai manoscritti delle sue opere, si fa menzione delle epistole amatorie ch'egli scris- se, brevi appunto come brevi sono i carmi di che ragioniamo. L'Ayrmanno a diritto in essi le rico- nobbe. Ma si disse in contrario che le epistole esser dovevano in prosa, polche l'autore della vita le ha distinte apertamente dalle elegie. Egli, io dico, po- teva cos'i distinguerle, poiché differiscono dalie ele- gie antecedenti, non essendo che brevi lettere amo- rose scritte in vei*si elegiaci: ed anche l'elegie pos- sono dirsi epistole, come Ovidio chiamò elegie i suoi libri EX PONTO. E perchè supporre gratuitamen- te che le brevi epistole amatorie in prosa siano perdute ? che ninno dei copiatori di codici le ab- bia aggiunte alle altre opere di Tibullo? che tutti i manoscritti diano al nostro poeta questi carmi non suoi, invece delle epistole eh' egli veramente compose? Tanto piìi che questa vita, la quale ha menzione delle epistole, è a capo di tutto i mano- scritti in cui quesre epistole in versi si ritrovano, e non le altre in prosa. Ovidio, perpetuo imitatore 156 L E T T E R A T U K A (li Tibullo, ha scritto anch'egli in versi le epistole amatorie delle eroidi : se non che Ovidio è prolis- so per assecondare il suo ingegno, e non segue la brevità di Tibullo. È conveniente il credere , che Ovidio dal nostro poeta prendesse la idea delle epi- stole amatorie ; e le trasportasse a'soggetti mitolo- gici; e che perciò la invenzione di si fatto genere di poesia sì debba tribuire a Tibullo. Cerinto è nominato da Tibullo due volte nel li- bro secondo (1). Il nostro poeta, amico com'era dì luì, non poteva ignorare l'amore di Sulpizia, a cui Cerinto rispondeva. Ed inoltre sembra che Sul- pizia dimoi'asse presso Messala, o almeno fosse af- fidata alla cura di lui (2): il che la faceva maggior- mente nota a Tibullo. È dunque probabile, eh' egli scrìvesse alcune delle epistole amatorie, a nome di lui, ed altre a nome di Sulpizia. Se non che le epistole a Cerinto fanno mostra di essere scritte da Sulpizia stessa; in quelle a Sulpizia parla una terza persona (che è Ti- bullo ), volgendo talvolta il discorso anche a Cerin- to. La qual cosa ne sembra indicare che Sulpizia, donzella ingenua e nobile, desse opera alle lettere, e se ne piccasse : quindi è chiamata docta da Ti- bullo (3) che le componeva i versi per l'amante. Sulpizia rimproverando Cerinto si gloria del suo nascimento, e ci fa sapere se essere figlia di Servio Sulpizìo (4). Questi esser deve il celebre gìu- (i) Eleg. II ed eleg IH, v. i. (Q) Llb. IV, e. Vili e IX. (3) Lib. IV, e. VI, V 2. (4) Lib. IV, e. X, v, 4. Memorie di Tibullo 457 reconsulto amico di Cicerone, e sì benemerito della repubblica : e di tale avviso fu il Volpi. Ne è da aversi a capitale l'osservazione dell'Heyne, che dice molti essere slati i Sulpizi, che ebbero il prenome ìi Servio; poiché non per altri, ma solo per lui, si addice a Sulpizia quel giusto orgoglio, e la enfasi onde pronuncia il nome del padre suo; ed inoltre la ragione dei tempi ottimamente conviene (1). A torto si disse che Messala amava Sulpizia. Questo non può per verun modo dedursi dal car- me ottavo, da cui sembra piuttosto ch'egli ne avesse quella cura che un padre, o un tutore ha per la sua figlia o pupilla. Forse Postumia moglie di Ser- vio, morto il marito, si raccolse in casa di Messala, che poteva essere congiunto alla sua famiglia o di amicizia o di parentela, e che al pari di Servio fu lungamente stretto al partito della repubblica. Ce- rinto era per certo di condizione inferiore a quella di Sulpizia; che anzi il loro amore era occulto; e benché la madre le prescrivesse i voti da porgere ai numi, pur ella altri voti pregava nel segreto del suo cuore (2). Il padre di Gerinto non era per av- ventura che un liberto di Messala, occupato negli esercizi della caccia (3). La figlia di Servio era sì (i) Ser. Sulpizio mori in sul cominciar dell'anno in cui fu- rono consoli Irzio e Pansa .- egli lasciò un figlio già senatore al- la sua morte ( Phil ipp. IX,5. 5.), e che viene nominato da Feslo come autore d'una legge rivalicia. Una figlia di Servio fu tolta a moglie da Tuberone (Pompon.]. 2, ff. de Or. Tu.): ma Sulpizia di Cerinto fu per avventura un' altra figlia più giovane. Che se Cicerone non le mentova nella Filipp. IX, la loro età e il loro sesso ne lo più avere distolto. {lì Uh. IV, e. VI, V. r5 e i6. (3j Lib. IV, e. III, V. 23. 458 Letteratura forte presa d'amore per quel garzone, che nh di ciò prendeva vergogna, ne temeva che l'amor sjio si fa- cesse palese (1). Al contrario Cerinto non largava il freno a'suoi desiderii, ma si studiava di tenerli na- scosti (2); il che si vuol tribuire, come rettamente osserva l'Heyne , e alla condizione di lui, ed alla età ch'era forse minore della età di Sulpizia. Il fare Tibullo autore di questi carmi, oltre che ne dà una probabile spiegazione del come fosse- ro composti, si conviene alla simiglianza dello stile, come già il Volpi dimostrò nel suo commentario. Ma l'Heyne, comecché dicesse essere a suo avviso dolcissimi e bellissimi questi versi fra quanti ci so- no rimasi della romana antichità, pur tuttavia ten- ne la sentenza contraria : e credette di ravvisare in essi uno stile più tenue del tibulliano, benché a quello simile; e difetto di cura e diligenza nel ben forbirli. Ma chi non vede che ciò appunto si con- veniva alla epistola amorosa? la quale dal poeta ve- niva scritta, non perchè mai si desse alla luce, ma solo per gratificare ai due amanti. Nò è da passarsi sotto silenzio che il Voss, fra gli alemanni, tenne che questi carmi uscissero dalla penna di Tibullo. Il carme XIII non appartiene alle epistole ama- torie di Sulpizia e di Cerinto : Tibullo nomina se stesso parlando alla sua amica. Ma questa elegia , sebbene non manchi di bellezza e di grazia, sem- bra avere una leggiera diversità di tinta nello sti- le. È forse una delle elegie composte di Tibullo (I) LJb. IV, e. "VII. (7j L. IV, e. V, V. 17 e 18. Memorie di Tibullo 159 per taluna delle prime sue amanti, e cte non ri- putò (li (lare alla luce colle altre. Il carme XIV fu scritto da Tibullo per se, co- me il precedente. Ciò ne da lume a conoscere in qual maniera si formasse il libro quarto, che an- ch'esso a parer mio fu postumo. Imperocché Tibul- lo non avrebbe date alla luce le epistole amatorie scritte per altri col proprio lor nome. Aggiunto ad esse dopo la sua morte il panegirico di Messala, e i carmi rifiutati, ne venne fatto il libro quarto, qua- le si legge nella più parte dei manoscritti. Quei co- piatori, a cui venne meno la carta, omisero alcuno di questi carmi; ma coloro che n'ebbero dovizia, poi- ché tutti li ricopiarono, posero fine al libro colla elegia di Ovidio, o coll'epigramma di Domizio Mar- so in morte di Tibullo. Questo epigramma di Domizio Marso chiude il volume, piccolo per mole, ma prezioso quanto altro mai. Tibullo è pei versi elegiaci quello che Virgilio è per la poesia epica. Quintiliano lo dichiara prin- cipe della elegia latina (1), e il giudizio di lui va d'accordo con quello dei moderni filologi: e Ovidio, il quale aveva predetto che i poemi di Virgilio sa- rebbero letti finche Roma sarebbe regina del mon- do per la forza delle armi, promette ancor più lun- ga vita ai versi di Tibullo, esclamando : Donec erunt ignes arcusque^ Cupidinis arma^ Dlcentur numeri^ eulte Tibulle^ tui. F. G. B. (i) Elegia graecos quoque provocamus , cuius mihi tersus j atque elegans maxime videtur aulhor Tibullus. - Instit. Orat. 1. X, e. I. 160 Tributo di lodi a Giuseppe Mezzofanti bolognese , creato cardinale li 12 febbraio 1838. Bologna coi tipi del Nobili e compagni. {Un voi. in 8 di f accie 118) v^uesto elegante volume, nitidamente impresso per cura del sig. Liborio Veggetti, offre come in gentil serto raccolte le composizioni, che vari culti inge- gni, bolognesi massimamente, mandarono in luce , onde applaudire la esaltazione alla romana porpora di Giuseppe Mezzofanti, poliglotto di unico esempio e di tanto insigne celebrità. Noi lasceremo intatta la messe delle poesìe. Godiamo però di ornare queste carte delle latine epigrafi temporarie, dettate con l'aureo suo stile dal sommo maestro di tali studi, dal eh. sig. prof. Schiassi. E ciò tanto maggiormente, quanto sono in esse ricordate con somma precisione ed eleganza quelle virtìi e quelle rare doti, che all'egregio por- porato furono via e grado a salire a quell'altissimo segno, al quale si è felicemente levato. Sono dunque le epigrafi in numero di sei, e del tenore seguente. Lodi del Card. Mezzofanti 1Gi I. OMNIPOTENTI . DEO SOSPITATORI . CATHOLICI . NOMINIS IN . HONOREM PETRQnI . EPISCOPI PRINCIPIS . TVTELARIVM . CAELESTIVM . NN . QVOD D . N GREGORIVS . XVI. PONT . MAX . PARENS . OPTIMVS . BENEFICENTISSIMVS lOSEPHVM . MEZZOFANTVM VIRVM DOCTRINAE . COPIA . VIRTVTVMQ . CLARISSIMAR . SPLENDORE FVLGENDEM QVI LINGVARVM . PROPE . OMNIVM . COGNITIONE MIRACVLO . ORBIS . EST INTER . PATRES . CARDINALES . S. ECCLESIAE ROMANAE SVMMO . COMMVNIS . PATRIAE . GAVDIO ADLEGERIT FRANCISCVS . GVIDOTTVS . MAGNANIVS MARCH. SENATOR CVM . VIII . VIRIS . MVNICIP . CONSERVANO . ET . CIVIBVS . VNIVERSIS CARMEN . GRATIARVM . RITE . CANIMVS G.A.T.LXXVl. ^-1 1G2 Letteratura 2 VNIGENAE . DEO . IMMORTALI LARGITORI . BONORVM . OMNiVflI IN . HONOREM THOMAE . AQVINATIS PATRONI . CAELESTIS . EXORATI QVOD D , N . GREGORIVS . XVI . PONT . MAX. VIRTVTIS . DOGTRINAEQVE . IVDEX IDEM . ET . FAVTOR . PROVIDEINTISS . lOSEPHVM . MEZZOFANTVM COOPTATVM . IN . COLLEG . IVRISCONSVLTOR , DOCT . EMERIT . LINGVAE . GRAEC . ET. ORIENT. PRAEF . BIBLIOTH . LYCEI . MAGNI OMNIGENA . ERVDITIONE . INSIGNEM ET . ADHVC . IN . PATRIA . DEGENTEIM SERMONYM . TOTIVS . FERE . ORBIS SCIENTIAM . ADEPTYM PVRPVRA . ROMANA . EXORNAVERIT KAROLVS . OPPIZONIYS . CARD . ARCHIEP . SYMMVS . PRAESES lOSEPHVS . MINARELLIYS . MEZZOFANTYS DOCTOR . THEOLOGYS . COLLEGIATYS ADLECTVS . INTER . INTIMOS . CYBICYLAR. DOM . PONTIF . PRTMICERIV5 . RASILIC . PETRONIAN . RECTOR Lodi del Gabd. Mkzzofanti .pò SODALES.COLLEGlOR.ET.DOCTOnr. . iJUCTOi^ES . DECVRIAL. I-YCEI . EIVSD . OMNIBVS . LAETITIIS . PLAVDENTES XApiiTfJPlA N . lESV 3. SACROSANCTO . CORDI . D QVOD lOSEPHVS . MEZZOFANTVS PRAEFECTVS . VETVS . N AMANTISSIMVS ^ • J^ . N . GREGORIO. XVI . po^T . MAX , ROMANAM . PVRPVRAM MERITORVM . FRVCTVM TVLERIl- SODALES . MARIANI BONAE . VOLVNTATI . APPETENDAE HYMNVM . GRATIARVM LIBENTES . CANIMVS 4. -- . lESV . SERVATORI . CE.ERIS . HVMAm JN • SACRAMENTO . AVG «OBISCVM . AD . AEVI . n«,„ . p,,«,^,^„ QVOD «.N.GREGORiys. XVI. PONT. MAX. PARENS . PVBLTCVS 464 Letteratura losepiivm . mezzofantvm sodalem . veterem . cvriatvm ingenio . celerrimo . atqye . ad . omnia. versatili incredibili . popvlorvm cvivsqve . prope . regionis . aetatisqve lingvarym . sgientia INSIGNIBVS . DOMI . FORISQVE RELIGIONIS . BENEFICENTIAE . COMITATIS EXEMPLIS FAMAE . IMMORTALITATEM . PROMERTTVM PATREM . CARDINALEM . S . R . E . -TOTA . ADCLAMANTE . PATRIA RENVNCIAVERIT A . SODALIBVS . EVCHARISTICIS CVM . CIVIBVS . CVRIATIS . MAGDALENIANIS PRAECONIVM . ET . ACTIO . GRATIARVM 5. lESV . CRVCIFIXO EIVSQVE . MATRI . PERDOLENTI ET lOSEPHO . SANCTO . CVSTODI . DEI . PVERI QVOD D . N . GREGORIVS . XVI . P . M . VINDEX . RELIGIONIS lOSEPIIO . MEZZOFANTO Lodi del Card. Mezzofanti 165 SODALI . VETERI . PER . ORBEM . CLARISSIMO SACRAE . PVRPVRAE . HONOREM . VIRTVTE . MERITO DETVLERIT SODALTTAS . TNOSTRA IW . SODALITATIS . VRBANAE . S . MARCELLI CENSV . HABITA CARMEN . SOLEMNE . GRATIARVM . CONCINIT 6. DEO . CONSERVATORI . ET . VINDICI . ECCLESIAE SVAE IN . HONOREM lOSEPHI . SANCTI . CYSTODIS . lESV . PVERI QVOD D . N . GREGORIVS . XVI . P . M . PARENS . ET . MAGISTER . CHRISTIANORVM lOSEPHVM . MEZZOFANTVM SODALEM . VETEREM . DOMI FORISQ . CELEBERRIMVM PRESBYTERVM . CARDINALEM . TIT . ONVPHRIO DIXERIT SODALES . ASCETERII CVM . PATRIBVS . PHILIPPIANIS . ET . AMICIS QVI DIGNITATEM . MERITIS . PARTAM LAVDI . OMINIQVE . NOBIS . ET . PATRIAE VERTIMVS '166 Letteratura DIE . IPSA . SACRA . PATRONO . CAELESTI . EIVS COGNOMINI INCREDIBILI . VNIVERSAE . CIVITATIS . GAVDIO SOLLEMNIA . EVCHASISTICA . LVBENTES . LAETIQVE PERAGIMVS Oltre a queste epigrafi, ci piace ancora di qui ripetere la descrizione di una medaglia, che incisa nel rame adorna il principio del libro. Si la descri- zione e si la invenzione di essa sono del di. signor dottor Girolamo Bianconi, profossore di archeolo- gia nella pontificia università di Bologna, il quale ha per tal mezzo desiderato render pul)l)lica la sua gioia, cagionata dalla felice promozione del dottissi- mo suo concittadino. Descrizione della medaglia. Allude la presente medaglia a quella fra le al- tre doti dell'eminentissimo Mezzofanti, che riempie ognuno di maraviglia, alla perfetta cognizione cioè di un numero prodigioso di lingue. Rnppresenta nella parte diritta il ritratto in profilo dclTeminentissimo porporato con l'epigrafe attorno : lOSEPHO.MEZZOFANTO . PRESE . CARD . S.R.E. Nel rovescio sotto un trono lo slesso eminentissi- mo, che si muove incontro a quattro figure, le qua- li rappresentano personificato l'Asia, l'Europa, l'Af- frica e l'America. L'Asia è in piedi, ed ha un ro- tolo in cui e scritto OMllPO^Ì; un angioletto le stìi Loni DEL Card. Mkzzofanti 167 d'appresso con in mano un volume spiegalo della Bibbia, nel cjuale è scritto min ( forse la legge ). L'Europa è in atto di rispettosamtinte irkchiiiarsi: e, a lei davanti, sta a piedi una cassetta con rotoli, e da un lato stanno alcuni libri. L' Affrica , cli'è in piedi, sembra accennare un obelisco che le sorge vicino. L' America in fine è parimente in piedi , e porta in mano un codice piegato. Nell'esergo si legge: BONOMIA. Più sotto: PRID. ID. FEBRVAR. 1838. Di ninna dichiarazione abbisogna la parte di- ritta, essendo di per se a])bastanza chiara. Nel ro- vescio si vede l'Asia, che come la parte del mondo j)iù nobile e più anticamente abitata, si presenta la prima all'insigne porporato che dal suo trono, or- nato di un ippogrito, che può aversi qual simbolo di Apollo dio delle scienze, muova ad incontrare le quattro matrone. L' angioletto tiene fra le mani la Bibbia per indicare l'origine celeste di questo libro divino. Ciascuna di queste matrone presenta al por- porato i suoi codici pia preziosi , onde ne dia a chiunque le occorrenti interpretazioni, e li difenda dall'altrui malizia ed ignoranza. Tali sono la Bibbia, Omero, per l'Asia: tali per l'Europa i classici lati- ni, indicati dai volumi posti entro la cassetta, che le sta vicino. Per l'America poi uno dei pochi codi- ci che si conoscono, il quale esiste in questa ponti- ficia biblioteca, e che fu con dottissima dissertazio- ne dall'illustre poliglotta anni sono illustrato. Sic- come le più importanti scritture dell'Affrica sono i geroglifici, così si è rappresentata questa parte di mondo in atto d'indicare quelli di un obelisco, per- chè sieno da lui interpretati. L'Europa ossequiosamente l'inchina, perche cs- 16B Letteratura senJo In essa la seJe della vera religione e la mag- gior parte de'cattolici, in lui riconosce il poliglotta scienziato, e venera la verità ecclesiastica di cui è insignito. Per accennare poi che l'insigne porporato non ha soltanto profonda cognizione delle antiche lingue, sono posti vicino all' Europa alcuni lihri , coi quali vengono indicate le piìi celebri opere mo- derne scritte in diverse lingue, ch'egli perfettamen- te possiede. Volentieri vedremo passare questa medaglia dal taglio del rame a quello del conio, onde allar- gare le lodi e la memoria del personaggio illustre al- le persone ancora lontanissime di luogo e di tempo. Allora parrh forse al eh. prof. Bianconi, che oltre alla leggenda dell'esergo, altra abbia pure a veder- sene nel giro della medag^lia, che ne dichiari ed av- visi la invenzione. Gosii ben agevole al magistero ch'egli tiene in questi non facili studi. Da ultimo non vogliamo tacere, che il libro è intitolato a monsignore Giuseppe Minarelli Mezzo- fanti, rettore a vita della pontificia università di Bo- logna, nipote del nuovo porporato, e a lui non me- no congiunto pe' legami del sangue, che per quel- li dell'ecclesiastica scienza e delle morali virtù. E questo ancora non vogliamo lacere, essere noi lie- tissimi che nel nostro giornale arcadico rimanga durevole memoria e solenne, che questa nuova pa- tria di adozione , non meno che l'altra prima e naturalo, si è allegrata all'onore reso alla sapienza e alla virili nelki promozione dell' eminentissimo Mozzofanti. l\ E. Visconti «69 De losepho Mezzofanto cardinali nuperrime renuTf ciato elegia Caesaris Montaltii caesenatis. Bono- niae typis nobilianis \ 838. Al chiarissimo sig. professore Salvatore Betti E ccovi cagione dì conforto: una bella elegia scritta da quel padre d'ogni eleganza professor don Cesare Montalti in occasione della sacra porpora conferita all'eminentissimo Mtzzofanti.Dico ragione di confor- to, perchè vi mostrerà chiaro, che non giacciano al tutto le lettere latine, come nel più si pare, e che vi- ve ancora fra noi quella sacra favella che piacque ad Augusto sulle labbra di Virgilio e di Fiacco, e che rallegrò le orecchie di Leone X ne'versi del Bembo del Sannazaro e del Vida. Io nel leggerla mi sono ri- fatto; e mi sono sentito rallegrare l'animo, perchè finche durano uomini della tempra che è il Montal- ti, non potrà bastar forza di mal esempio contro la rettitudine degli ammaestramenti e de' giudizi di que'soli e solenni maestri, che sono i classici nostri, i quali oggi appena da alcuni sono gustati poco più la della scorza, da altri avuti in dispetto come vec- chie ciarpe, o come cosa da ornare le scanzie e non ITO Letteratura più. Voi leggetela, che al leggerla ve ne sentirete andare il cuore in dolcezza ; e poiché avrete al pia- cer vostro pienamente soddisfiitto, fate che altri pu- re ne goda, e datemi che sia inserita nel Giornale Arcadico. Io ve ne saprò grado, e piìi ve ne sapran- no quanti amano la schietta bontà degli studi poetici. Addio, mio caro Betti: abbiatevi co'miei i piìi cordiali saluti del nostro Cassi. Di Pesaro 22 luglio 1838. Vostro afimo amico Giuseppe Ignazio Montanari ELEGIA V^ui festus late resonum ferii aethera clamor ? Insuetae facies quae nova laetitiae ? Qui chorus(1)in niimerum, facto velut agmine,vatum Argutis Carmen ludit arundinibus ? (i) Coetus acadeniicus innuìtur, sane perilluslris , qui so- lemiii ritu, maguaque omnium ordinum frequentia, Boiiuuiae ha- bitus est in sacello philippiano de laudibus losephi Mez/.ofauli card. XIX kal. apr. A. MDCGCXXXVIII coram Vincentio Macchio provinciae legato, et Karolo Opizzonio urbis archie- piscopo, ac lycei magni summo praeside, viris eminentissimi3,de- que re Christiana et publica optime meritis. Poetarum carmini- bus degustandis quum ipsemet auctor extra coronam interfuis- set, argumenti dignitate adductus, quidquidhoc est clegiaeoruin numerorum raptiin exarandi, domum reversus, consiliuin coepit: publicique iuris ut fìat non invitus indulget, amicoi'uiu magis , quam suae voluntati obsequulus. Elegia del Montalti 171 Quae se se adglomerat tempio vis unclique ovantum, Quos Inter gra\ium lecta manus procerum ? Fallor ? an in primis tyberino littore missus Rebus adest aegris Macchius aiixilium ? Dexter adest: tanto, ut tutae nunc, vindice, leges! Ut passim excisum stirpitus onine nefas ! Ut visa unanimi concordia foedere cives Nectere, cecropia fronde revincta caput ! Una pastor adest, laetos qui denique soles Palladiis praesens adnuit ingeniis; Pastor adest, sacros peperit cui frontis honores Virtus innumeris incljta promeritis : Cui pudor et pietas, rebusque paracre videndis ludicium, inque inopes mens operosa comes: Auribus arrectis, adridens, haurit uterque Quos fundit doctos docla corona modos, Felsinei dum facta viri, quem Roma galeri Ornavitnuper munere purpurei, Tendit suaviloquo certatim adtollere cantu, Quem nox nusquam atris cocca premet tenebris; Seu memoret sanctum generoso pectus honesto Incoctum, et nullo crimine mentem animi PoUutam, illuvie quamvis grassante pudenda Tot probrum, sobolis dedecus Ausoniae ; Seu recolat, sapienter uti ( mirabile dictu ! ) Linguarum omnigenas explicet unus opes : Queis animadversis, propiori sede locari Hunc sibi mens iussit provida GREGORII5 Qui terris rectique datus, verique sequester, Cliristiadas miti temperat imperio. Felsiiia, macte animo ! veteri iam nomine dives, Iure tumes titulis largius aucta novis. Adspice: non tantum tyberino littore missus Rebus adest aegris Maccbius auxilium ; 172 Letteratura Vindice quo tutae post tot discrimina leges, Et passim excisum stirpitus omne nefas, Ac visa unanimi concordia foedere cives Nectere, cecropia fronde revincta caput; Nec pastor dumtaxat adest, cui candida ab annis Admovit teneris ubera relligìo , Non frontem caperata minis ; sed amabiiiSf atque Illiniens diis pectora deiiciis, Qualis opes stygii aeternum eversura tyranni Simplex veridico prostitit orta Deo. At libi natus adest, licet absens, mente, animoque. Qui mage le vita deperit alque oculis : Laetus adest, ostroque recens insignis et ipse Accedit fastis gloria magna tuis, Gloria suspiciant quam sera aetate nepotes Qiìa sol imponit, qua iuga demit equis. Felsina, macte animo ! Superum tibi gratia constai Uberior triplici fulta patrocinio : Sic quae percrebuit latum tibi fama per orbem, Canescat saeculis innumerabilibus ; Sic foribus quicumque tuis successerit hospes Te florcm indigitet, te decus Italiae. 173 Biografia di Giosejfo Antonio Barbari da Savi^nano. Al chiarissimo signor professore Gianfrancesco Ramhelli r ^Jran tempo è ch'fo ammiro la moUa erudizione, colla quale con mano veramente italiana andate ri- vendicando le scoperte e le invenzioni, che non so se con più arroganza o mala fede gli stranieri usurparo- no m vari tempi ai nostrali. K volendo io pure con- correre per quanto era da me, che posso pochissi- mo, a darvi alcun conforto alla bella impresa, mi diedi a scrivere la biografia di GIosefFo Antonio Bar- bari da Savignano, uomo grande sopra molti, ma pressocchè a tutti ignoto. Ora io ve la presento: e spero che dal vostro nome, cui è intitolata, avrà al- cun abito di gentilezza, e si concilierà per mezzo vo- stro la benevolenza de'lettori italiani. Vedrete da questa come in alcun che sui fenomeni della luce il Barbari precorse al Newton; e come fu filosofo di gran polso, e matematico deprimi a'suoi dì. 474 Letteratura Aggradite il tenuìssimo dono, die non è che un'arra di quello che darei se potessi: e tenetemi sempre fra i vostri affezionati, perchè io sinceramen- te sono Di Pesaro 22 luglio 1838 Tutto Vostro Affilio Giuseppe Ignazio Montanari Gì 'iuseppe Antonio Barbari ( o come altri scri- vono Barbaro ) da Savignano è nome tanto poco conosciuto in Italia, quanto egli ha pieno diritto di esserlo fra i primi. Il Montucla non ne fa parola al tutto, ne so io che altri ne abbia parlato. Ma ben certo è che se il Barbari, anziché esser nato in piccolo luogo d' Italia, avesse avuto per patria una grande citta, avrebbe ottenuto elogi e memo- rie condegne dell'alto suo sapere. Perocché nel suo libro stampato pel Manulessi in Bologna col tito- lo - L'iride opera fisico-matematica - (libro raro e assai poco conosciuto ) vi ha di molte cose e mostrano il vasto suo sapere , si nelle fisiche e si nelle matematiche: e vi è tanto da potere afferma- mare, che molte scoperte del Newton erano state vedute in Italia dal Barbari prima che quell' im- menso intelletto pubblicasse la sua ottica. E que- sto si vedrà chiaro quando io darò una breve ana- lisi dell'opera del Barbari. Or toccherò della sua vita per procedere secondo l'usato modo delle bio- grafie. BiOGRAFiA D).L Barbari 175 Di Fulvio Barbari e di Francesca Manzi, agia- te e ragguardevoli famiglie, nacque in Savignano nel 1647 Giuseppe Antonio. Non era per anco usci- to di fanciullo, che perde il padre, e rimase insie- me col fratello Fulvio Andrea sotto la tutela del- l'ottima madre che amcndue li crebbe a virfli. Ma per parlare solo di Ginseppe dirò, che usava alle scuole del comune in patria; e sotto la disciplina di Marino Zampanelli sacerdote specchiatissimo, il quale in secolo corrotto rettamente insegnò e bene meritò delle lettere, fece pronti e grandi progressi in grammatica umanità e rettorica. Poscia die ma- no allo studio delle s. scritture, ove mostrò pure finezza d' ingegno, e forza grande di memoria. Ap- presso la madre lo mandò a Rimini perchè ivi ap- prendesse filosofia e matematica, come in fatto av- venne: anzi si mostrò si bene disposto a questa guisa di studi, che gli fu concesso recarsi a Bo- logna per meglio approfondire nei medesimi. La buona fortuna fé che egli trovasse maestro celebra- tissimo, qual era il modanese Geminiano Montana- ri, il quale lo accolse con amore assai: e conosciu- tolo, r ebbe come fratello. Sotto la disciplina del Montanari il Barbari si fé sì addentro negli stu- di matematici e fisici da divenir presto segno al- l'ammirazione di tutti. E crebbe a tanto la fama del suo sapere, che essendo egli tornato in patria fu invitato alla cattedra di matematica nell' univer- sità di Bologna: carica di cui per sola umiltà fece rifiuto. E c|ueslo fu nell' anno 1692. Incitato dagli amici a condur moglie, altrimenti la casa rimar- rebbe spenta in lui, giacche il fratello Fulvio An- drea era uomo di chiesa, e distintissimo per virtìi e per sapere, egli si piegò al desiderio loro, e il 176 Letteratura dì 13 di novembre del 1G82 si congiunse a Laura Giannini da Longiano, donna e per casato e per virtìi proprie rispettabilissima. Ebbe di questa due figliuoli, l'un maschio natogli nel 1683 a nome Gio: Battista, l'altro femmina a no- me Rita Colomba, nata nel 1685. Ma mentre il Bar- Lari viveva fra le dolcezze della sua virtuosa fa- miglinola, gli mancò la moglie nell'anno 1686, non avendola avuta a compagna della vita piìi che quat- tro anni. Se rimanesse deserto il Barbari a tale sciagura, non è a dire: tanto piìi che nella sua don- na aveva Io specchio di tutte le domestiche bontk. Consolavasi però che la sua vecchiezza reggerebbero i due figliuoli che di lei aveva presi, e si rasse- gnava al volere di Dio. Ma nel 1700 il 24 di ago- sto sostenne altra gravissima ferita nel cuore, re- catagli dalla morte del suo fratello Fulvio Andrea, che egli amava teneramente. Ma quello che colmò l'animo di luì di amarezza fu la perdita del figliuolo suo Gio: Battista, il quale dopo aver dati segni di svegliatissimo ingegno e d' indole composta ad ogni lode, essendo già innanzi nelle scienze gli fu tolto da morte in età di soli 19 anni nel 1702: del quale disastro senti egli tutto il peso, sebbene religioso com' era consolavasi nel sapere che Dio vuole sem- pre ciò che torna meglio per noi. Rimasto solo, poi- ché la buona sua Rita aveva preso il sacro velo nel nobile monastero di Roncofreddo in Romagna, ove sostenne le prime cariche, e morendo lasciò santa nominanza di se, venne in pensiero di ritirarsi pur egli a finire la vita in un chiostro. E però il 22 mag- gio del 1703 entrò alla congregazione de' sacerdoti di s. Filippo in Cesena. Ne fu in giubilo tutta quan- ta quella religiosa famiglia, la quale ben conosceva Biografia del Barbari 177 che grand' uomo a lei riparava. Dopo avere dati se- gni della piìi maravigliosa bontà e religione, fu con- sacrato sacerdote. Nel 1707, resosi in patria il nove di settembre per riaversi un poco, conciossiachè era a mala condizione di salute, vi infermò, e in breve passò di vita fra il compianto di tutti il giorno 14 settembre. Il suo cadavere fu accompagnato con de- vota pompa nella chiesa del Pio Suffragio, indi tu- mulato nel sepolcro della sua gente in s. Sebastiano, chiesa de' minori osservanti. Fu il Barbari mode- stissimo, affabile, temperante assai nel cibo e nel vestire: e resosi uomo di chiesa, divenne poi asti- nente, semplice, generoso, e limosiniero a segno di dar tutto a' poveri. Della sua pietà mi terrò aver detto tutto quando affermerò, che in tutta la vita odorò odore di vera santità, e morto che fu si nar- rarono prodigi avvenuti per intercessione di lui (Vedi Nardi, Dei Compiti. Pesaro per Nobili 1827 a pag.149). Pietro Borghesi, uomo chiarissimo, dettò un breve commentario della vita del Barbari, il quale manoscritto si conserva nella pubblica biblio- teca di Savignano, e da cui sono nel piìi tratte le I presenti notizie. Ebbe il Barbari fama a' suoi di. I II cardinal Davia, discepolo di Geminiano Monta- I nari, avendo sovente udito come quel grand' uomo si lodava del Barbari, n'ebbe sì alto concetto, che appena giunto al vescovado di Rimini ricercò di lui: e saputo con dolore come egli era passato di vita, volle almeno a consolazione averne alcuni scrit- ti. Sebbene poco di scritti v'era, giacche i meglio aveva il Barbari stesso donati al celebre generale Marsigli di Bologna che gli era stato condiscepolo, ed era venuto per grande stima che ne aveva a visi- tarlo e a consultarlo de' suoi studi a Savignano. Sap- G. A. T. LXXVl. ri 178 LETtERATURA piamo poi da una lettera di Matteo Beloni, av-» vocato di grido ed auditore della rota bolognese e genovese, poi canonico e vicario generale della chiesa di Rimini (vedi il cit. Nardi a pag. 149), che il libro dell'iride era tenuto in pregio as- sai. » Questo libro (scrive egli) è assai stimato per » essere d'un sistema nuovo e particolare: ed io so » che uomini celebratissimi ne hanno fatto assai » conto, come facevasi della stessa persona delTau- » tore, uomo dottissimo, filosofo e matematico: e » se la di lui umiltà non l'avesse tenuto nasco- » sto, certamente di molto avrebbe spiccato. » E perchè ognuno giudichi da se, ecco una breve anali- si dell' opera dei Barbari. Il principale scopo del- l'opera è intorno l'iride, ed è un commento ad Aristotile De figura iridis^ e mostra ove gli spo- sitori o fraintesero, o falsarono le dottrine del gran maestro di color che sanno. La prefazione, appo- sta innanzi al libro, è piena di cose dotte e ve- ramente tutte proprie dell' autore. È bello assai l'ordinamento che il Barbari fa di quel mirabile fenomeno che è l'iride riguardo ai tre effetti prin- cipali, cioè 1.° quello dei colori nell'iride prima e seconda, e quello del totale rovesciamento loro nella seconda; 2° quello della figura costante e perfettamente circolare delle due iridi, e della postura loro rispetto al sole. 3.° quello infine di rendersi a noi visibile pili o meno parte dell' iri- de a seconda che il sole è piìi o meno vicino all' orizzonte. Alla pagina 63 accenna causa pre- • terita da Aristotile del seguente fenomeno:» Quanto sono piìi piccole le porzioni visibili dell'Iride, tanto sono maggiori i circoli a cui appartengono:» e mo- stra che quanto piìi alto sarà il sole sull'oriz- Biografia del Barbari 170 Eonte, e in quanto più piccola porzione sarh l'iri- de figurata, tanto ella apparterrà ad un circolo più grande, A prova di questo si vale di due proposizioni geometriche dimostrale sinteticamente con molta finezza e squisitezza di giudizio. Alla pagina 83 mostra a quale altezza del sole l'iride abbia un diametro estesissimo, e concilia la sua dimostrazione colla osservazione naturale fatta dal Cartesio e dal Grimaldi intorno la costante lun- ghezza ne' diametri delle iridi prima e seconda. Ma per quanto veneri e segua Aristotile, aper- tamente il Barbari da a vedere che la spiega- zione data dallo stagirita sulla causa dei colori nell'iride, del loro collocamento, e dell' invariato diametro, è insufficiente e inopportuna. Ed a pro- va della sua asserzione reca innanzi una bellis- sima osservazione, fatta da se in una col suo maestro Geminiano Montanari, sopra un' iride lunare av- venuta in Modena nel 1662. Egli a chiare pa- role espone, essere necessario alla produzione del- l'iride, che una nube risoluta in gocciole minutis- sime d'acqua si trovi collocata dirimpetto al sole e sia da'suoi raggi percossa: e mostra, contro l'au- torità d' Aristotile e de' suoi seguaci, la riflessione ordinaria della luce del sole in una nube non es- sere causa dell'iride fin eh' ella tiene forma di vera nube, e a confermazione della sua teoria mette in- nanzi gli effetti prodotti dalle piogge artifiziali, e dagli spruzzi delle fontane : quelli delle sfere di cristallo piene d'acqua ed esposte al sole, nelle qua- li egli dice che fino all'inclinazione di 42.° del rag- gio visuale sulla linea che passa pel centro solare veggonsi distintamente i colori dell'iride, ed alla inclinazione di 52.° si appalesano in senso inverso: 180 Letteratura finalmente quelli de' globi di cristallo pieni di ac- qua, e in una camera appesi alla volta della me- desima, dove ricevano il raggio di un lume ar- tifiziale, e dove s'innalzino o si abbassino per avere la diversità dei colori. Il quale ultimo sperimento ognun sa quanta celebrità fruttasse al De-Dominis fino dall'anno 1611. Il Barbari per tutto il com- mento ha pressoché sempre fatto uso, con molta chiarezza e proprietà, della geometria e trigono- metria sintetica: ma piìi diffusamente ne uso alle pagine 84 e 87, ove adoperò assai bene i seni, le tangenti, e l'algoritmo algebrico. Dopo tutto questo, ciò che merita maggiore considerazione si è ciò che toccai sulle prime, cioè che il Barbari stampò l'operetta sua nel 1678, e il gran Newton parlò dell' iride nella sua ottica stam- pata l'anno 1704: per Io che il Barbari l'avrebbe precorso di 26 anni. E se egli è da credere al Mon- tucla (parte IV lib. IV pag. 263) il Cartesio spie- gò tutto il fenomeno dell' iride, meno però d'onde vengano i colori e la loro disposizione: la quale ultima circostanza, dovuta alla diversa refrangibi- li ta de'raggi, il Montucla la tiene spiegata soltanto dal Newton; sicché niun altro dopo il Cartesio tro- vasse modo a darne la vera spiegazione. Ma se con mente tranquilla si porranno bene ad esame le pa- gine XXVIII e XXIX del discorso suU' iride nel- l'opuscolo del Barbari, si vedrk chiarissimamente annunziata la rifrazione e la diversa inclinazione de' raggi che per quella essi prendono, onde poi nascono i colori rosso prima, poi verde e giallo., e paonazzo in fine. La quale cosa, sejnon erro, ac- quista grandissima lode al fisico italiano Giusep- pe Barbari: e perchè credo che niun' altro abbia- Biografia del Barbari 181 vi posto mente , io vo lieto di essere o primo o tra' primi a tributargliela, e di aver mostrato che egli deve essere messo tra Cartesio e Newton. L'eruditissimo Mazzuchelli solo fece breve men- zione del Barbari (voi. 2 part. I pag. 243 ) nella sua rinomata opera degli scrittori italiani; e ci di- chiarò che il Barbari; » Ebbe amicizia e corrispon- denza di lettere col celebre monsignor Giampini, le quali lettere scritte dal 1690 al 1697 si conser- vano manoscritte presso al chiarissimo sig. conte Giuseppe Garampi archivista e canonico vaticano (poi cardinale di S. R. C). In una di esse del 6 mag- gio 1691 cosi gli scrisse: - Godo che al giudizio di V. S. lUma sieno riusciti non spiacevoli cpie'pen sie- ri che si contengono nella mia lettera circa la pro- duzione de'parelii, e quanto al pubblicarli nel gior- nale di Parma rimetto il tutto alla di lei prudenza.-» Sin qui il Mazzuchelli. Sarebbe desiderevole poter trovare questa corrispondenza, e forse anco utile se non altro alla storia della scienza. Ma a me non e riuscito. Ora porrò fine col descrivere le sembianze di questo grand'uomo: cosa che minutamente ci viene riferita dalla vita che, come accennai, ne scrisse il Borghesi. Aveva statura alta, molto pingue corpo- ratura, carnagione bianca anzi che no. Portava di- stesa la canizie dei capelli, aveva fronte ben com- posta e proporzionata, ciglia sottili, occhi piccoli ma non disdicevoli, naso alquanto ampio, labbra ri» levate e sporgenti. Aveva un' aria di volto maestosa e grave, ma piena d'affabilità e di dolcezza. Ne ta- cerò quanto il Nardi aflferma a prova della santità di lui: ed è, che sul fine del 1789 apertosi il sepol- cro, ov'era il cadavere di lui, fu trovato intero e col- le vesti conservatissime, 182 Letteratura Perchè tutta Italia non paresse sconoscente al Barbari, ben fecero i savignanesi a porre onorevole tilolo nella pubblica biblioteca a questo loro concit- tadino, il quale se fosse stato meno modesto avreb-i be certo fama più estesa e più chiara. Notizie della vita di Michele Gigli, V^uando nel secondo giorno di settembre del 1837 il cholera mieteva in Roma dugento vite, cadeva fra queste un uomo raro per doti d'ingegno e di cuore , che rinnovellava fra noi gli esempi dell'an- tica carità cristiana. Questi era l'avvocato Michele Gigli, il quale morendo in età immatura, coronava una vita tutta intrecciata di opere grandi colla più generosa opera che far possa un uomo, dando la vi- ta stessa pe'suoi prossimi. Vincenzo Gigli e Caterina Gallimberti , che in Roma mettevano a luce il nostro Michele nel giorno decimoquarto di maggio del 1790, erano agiati ed onesti e caldi di quella carità che è informata da una soda religione. La porta della lor casa era aper- ta ad ogni fatta di poverelli, massime a quei che stati in buona fortuna, sentono a mille doppi più grave il peso della sciagura, e vergognando di sten- dere la mano ad una limosina, soffrono piuttosto e nel silenzio si struggono. La provvidenza ha stabi- lito i genitori per primi e principali educatori dei NoTuiE DI M. Gigli 183 figliuoli, i quali tratti ad imitare, facilmente copia- no in se stessi i buoni o rei esempi di quelli che amano, ed hanno tutto dì sotto gli occhi. Il fanciullo Michele più dalle opere che dalla voce de' genitori cresceva educato alla carità: e quella buona semenza, che cadeva in terreno ottimamente disposto, dar do- veva a suo tempo frutto ubertoso. Forse la compas- sione, che ingeneravasi nel suo animo al veder tante miserie fra gli uomini, distoglievalo da que'sollazzi che sogliono esser Toccupazione più gradevole della fanciullezza. Egli piacevasi del silenzio e del ritira- mento, sicché alle volte era d'uopo un comando del padre perchè uscisse di casa a diporto, e si ricreas- se. Lo sperimentare in se stesso la disavventura è un egregio ammaestramento per soccorrerla in altri : molti sentirebbero compassione de' miseri, se essi non fossero stati sempre felici. Il Gìgli usciva appena de'sette anni (ed era appunto nell' età più bisognosa di direzione e conforto), quando perdeva ambidue i genitori, eh' è la maggior disgrazia che coglier possa un figliuolo amorevole. Ancor questa educava il suo cuores intanto che la mente dirozza- vasi colle umane lettere, che apprendeva dapprima in casa, poi nell' università gregoriana; dove egli toglievasi tante medaglie, che fatto adulto gli basta' rono più anni a premiare i suoi scolari. A dodici anni ebbe una grave infermitkj ma sì vivo era in lui il desiderio del sapere, che risortone appena, die- desi nella stessa convalescenza, così mal fermo in sa' Iute com'era, ad istudiar con tanta forza, che incur- vò nelle spalle, e più non valse a sviluppar la per- sona. Studiato che ebbe in matematica e filosofia, coltivò la scienza del diritto, alla quale congiungeva tal pietà, che uno de'suoi maestri solca dire, la prò- 184 Letteratura fessione di lui dover esser quella di avvocato dei santi. Correva il Gigli la giovinezza, età di tutta la umana vita pericolosissima per le passioni che vi spiegano tutto il loro vigore. Egli però intese la propria indole, e tanto efficacemente si adoperò per vincerla, che di pensieroso e solitario, divenne lieto e socievole: di focoso e d'iracondo, placido e man- sueto, sicché sembrava tutt' altr' uomo. Lo studiare che egli faceva indefesso aiutavalo a quel virtuoso trasformamento: poiché quanto piìi acquista di for- za l'intelletto colle buone discipline, tanto perdono le cieche passioni del cuore. E perchè le scienze ri- chieggono l'opera di molti, radunava nella sua casa un eletto drappello di amici, co' quali senza fasto accademico, ma in semplice ed umile conversazione, coltivava la fisica, ed anche le lettere. Questi giovani studiosi chiamavansi Filaleti. Però la scienza del foro era per lui la principale: sebbene l'avolo, che gli teneva luogo di padre, avrebbelo voluto archi- tetto. Prese quindi la laurea nell'uno e nell'altro di- ritto, e poi fu agli studi de'due primi tribunali di Roma, la segnatura e la rota. Intanto morì l'avolo : ed egli dovette porsi alla testa della sua famiglia, e trarla da molti spinosi litigi, che la buona fede di quello avea cagionati. Ricomponeva dunque le cose domestiche con singolare accortezza, e lo stesso I)e- ne compartiva ad altre famiglie mal guidate negli interessi, che senza la scorta d'un tal' uomo benefico e saggio sarebbero cadute a rovina. Altre povere fa- miglie ancor difendeva ne'loro diritti ai tribunali, e giovava loro non pur colla penna, ma col danaro eziandio perchè non fossero soverchiati da' ricchi e potenti. Così il Gigli operava del bene anche quan- / Notizie di M. Gigli 485 do la sua carità era quasi sopita dagli affari dome- stici e dagli intrighi del foro.Un avvenimento per se stesso lievissimo valse a ridestarvela. Nell'arringare non so qual lite, uscigli di bocca qualche parola che offendea l'avversario. Egli n'ebbe gran dolore: e per lavar questa colpa, tutto volle alla carità de- dicarsi, Era egli allora in quell'età che il poeta chiama - Il mezzo del cammin di nostra vita:- ed intrapren- deva una carriera tutta nuova, nella quale ahi! pur troppo doveva durar breveniente, compiendo però in poco un lungo tempo. Imperocché non le sue so- stanze soltanto, ma tutto se stesso consecrava al bene de' prossimi, aiutando colla sua opera molte istituzioni di carità che già erano, amplificandone altre, altre finalmente fondando egli medesimo, tan- to che contasi che in dieci anni abbia speso del proprio in limosine sei mila scudi. Infin che visse fu deputato nella sua parrocchia ( che era s. Maria dei marchegiani) per la commission de'sussidi, la quale è stabilita in modo che i pubblici soccorsi, che larga- mente distribuisconsi in Roma, giungono con pron- tezza ed intelligenza a sollevare il povero. Il depu- tato de' sussidi è il vero padre de' poverelli della sua parrocchia, e dee tutti conoscerli, visitarli, soc- correrli. Il Gigli compieva ciò con isquisita esattez- za, ed era sì giudizioso nella distribuzione, che con piccoli mezzi spesso otteneva grandi efifetti: e le cose che imparava in praticar sì pietoso incarico, gli era- no di scorta per dirigere le sue private limosine, nelle quali a tutti preferiva i poveri della sua par- rocchia, e perchè meglio ne conosceva i bisogni, e perchè consideravasi con essi lorQ legato in una stessa spirituale famiglia. Aveva egli in iscp.po nel 486 Letteratura far la limosina non tanto il sollievo materiale, quan- to il bene morale dell' indigente : quindi i suoi soc- corsi erano per lo più premio di qualche Luona opera, come a cagion d'esempio il pane che del suo divideva ai suoi confratelli parrocchiani, se avesse- ro udito il sermone sul vat)gelo. Persuaso che l'edu- cazione delle donne ha grand' influenza nel morale andamento delle famiglie, si adoperò che la com- missione de' sussidi istituisse nella sua parrocchia una scuola gratuita per le povere fanciulle. Giovava altresì, per quanto lo comportava la condizione di un uomo laico, l'istruzione catechistica della par- rocchia: e quando alle volte insegnava egli stesso la dottrina, facendo si bene e con modi si acconci alle rozze menti degli ascoltatori, che ne cavavano gran frutto. È costume presso noi, che esce dalla chiesa per chiamare alla dottrina un picciolo drappello di fanciulli, l'un de' quali ha drizzata una croce, gli altri vanno dappresso, e di tratto in tratto suonano de'campanelli , ricordando ad alta voce l'obbligo che corre a tutti i genitori d'inviare i loro figliuoli al catechismo, e il conto che ne dovranno rendere a Dio se noi facessero. Il Gigli immischiato a que'put- ti spesse volte compieva con essoloro il giro della parrocchia, sicché andavano con singolare modestia. Gli stolti prendevansi beffe di lui, il quale pel di- fetto delle spalle pareggiava di statura que'fanciuUi: ma gli uomini savi, e il parroco stesso che modera- va la sua coscienza, traevano grande edificazione di quell'atto eroico non so se più di religione, o di umiltà. Qualunque bene vedesse introdotto nelle al" tre parrocchie di Roma , tosto trapiantavalo nella sua: come fu la congregazione delle sorelle della ca- rità per assistere i cronici a domicilio, le quali eg,li I^oTiziE DI M. Gigli 187 non solo stabili nella cura di s. Maria de'marche- giani, ma in quella altresì di s. Caterina della Rota. Perchè la carità gli era in cima de'pensieri, aveva nel suo gabinetto scritto a gran lettere alcune sen- tenze che fossero sprone a quella virtìi che già per se stessa correva. Ma il Gigli dicea fra se medesimo: » A che prò » tanti soccorsi, se gli uomini non si rendono mi- » gliori? E come migliorarli, se fin dalla fanciul- » lezza abbandonati a se stessi abbiano contratto il » mal'abito del vizio ? Or dunque a far opera com- » pita convien dare alla radice del male, e forma- » re alla virtìi i teneri cuori, quando appunto le » mani si formano alla fatica. Però se tolgonsi i » giovanetti dalle arti nella prima eia , forse cre- » sciuti negli anni non vi si sapranno più acconcia- » re: se vanno alle botteghe, non possono nel dì in- » tervenire ad alcuna scuola. Farò in cotal modo : » darò loro agio d'istruirsi nelle prime ore nottur- » ne, quando appunto finiti i lavori della giornata » i garzoncelli artigiani trovano i maggiori inciam- » pi. L'intelletto loro dirozzato sarà pili capace di » apprendere la verità della religione, i loro cuori » ingentiliti saranno più disposti a virtìi. La dome- » nica, che suol essere il di piìi male speso, quando » esser dovrebbe tutto di Dio, sarà impiegata in » sante e pie opere frammischiate ancor da onesti » sollazzi, necessario conforto della vita. Di questa » guisa sbandito l'ozio, ed educati in un tempo me- » desimo i giovanetti alla religione, alla morale, al- j» le arti, si otterrà un bene durevole ». Queste considerazioni trassero il Gigli a dar mano all'istituzione delle scuole notturne, che chia- mar volle scuole di religione per far intendere co- 188 Letteratura me l'istruzione in esse era mezzo per giungere al santissimo scopo di rendere gli alunni veracemente cristiani. Una scuola di tal fatta era già presso s. Ni- colò degli Incoronati, fondata nel 1819 da certo buon uomo Giacomo Gasoglio, retta poi e perfezionata da qne'sacerdoti che tengono coTa l'oratorio notturno. Il Gigli vi andò, ne studiò l'indole, e nel gennaio 1830 in alcune stanze del parroco di s. Maria dei marchegiani si aperse la scuola , che in que'prin- cipii fu pe'soli parrocchiani: ma tre anni appres-^ so, trasferita in luogo piU capevole vicino alla chie- sa de' ss. Simone e Giuda, accolse ancor quelli di altre parrocchie, ed in Lei numero. L'insegnamen- to era il catechismo , il leggere , lo scrivere e il calcolare, ripartendosi gli allievi in più classi se^ condo la loro capacita. Il Gìgli medesimo era fra gli istruttori: e vedemmo piìi volte quest'uomo be- nefico, che agevolmente avrebbe potuto tener cat- tedra nella università, seduto a un'umile scranna, circondato da poveri e rozzi artigiani, insegnar loro i primi rudimenti, e durare in quella fatica ogni sera per piìi anni, ed usar sempre di tanta sem- plicità ed amorevolezza da renderci non so se più maravigliati o commossi. La prima parte dei dì fe- stivi spendeasi nella spirituale congregazione : il dopo desinare in un vago giardino fra onesti sol- lazzi conditi da qualciie buona pratica. In questo luogo stesso, in una bella giornata di agosto, nel fin dell'anno scolastico distribuiva per mano di auto- revoli persone a ciò invitate piìi premi ai miglio- ri per istudio e condotta, affinchè nessun eccitamen- to mancasse al bene. Il quale egli vide cavarsi co- si grande, che divisò allargarla in tutti i quartie- ri della città* Infatti nel 1835 apers3 la seconda Notizie di M. Gigli 189 Scuola nel rione Borgo. Ma perchè solo non basta- va a portare il peso e le spese dell'opera, chiamò compagni, e gli ebbe : chiese aiuti, e gli vennero: perchè si formò come una società di persone che contribuivano alle scuole notturne. Allora perchè Tistituto non venisse meno, né fosse trasmutato col tempo in altra cosa, fece un codicetto di regole mol- to savie, nel quale vedesi come in uno specchio tut- to Tanimo del Gigli. E perchè la prima scuola dì esse ai ss. Simone e Giuda diventasse come il mo- dello di tutte le altre, divisò trasferirla nel 1837 in sito acconcio nella via della maschera d' oro, dove convenevolmente ordinolla, aiutandola generosamen- te colle sue limosino l'istesso sommo ponteficCé Ma che è questo, che avviene a mezz'agosto? Il Gigli congeda di presente i suol cari discepoli, ces- sa r insegnamento, corre dalle sorelle della carità della parrocchia , concerta con esse comprare pa- glioni, tele ed altro occorrente per malati, assolda venti infermieri, e in breve ora le stanze della scuo- la sono cangiate in una piccola, ma ben fornita ca- sa di soccorso. Il cholera è apparso in Roma: ed in- tanto che altri disputano, il Gigli opera al suo soli- to : e non ostante una fiacca salute ed un corpo non atto certamente a fatiche, entra coraggiosamente in quegli umili tuguri! dove il povero è straziato dalla miseria e dal morbo, arreca conforti, fornisce il bi- sognevole, e di sua mano ammaestra gli infermieri sul modo di curare la nuova e strana malattia. Oh ! chi può ricordare senza piangere que'giornl di de- solazione e di morte ? chi può ricordar senza com- mozione come la carità de'buoni fosse in que'giornì generosa e rattemperasse que'tanti mali ? Il Gigli, fra questi infaticabile, il venerdì 1 giorno di set- 190 Letteratura tembre fu tutto attorno a'suoi cari infermi. Fallasi notte, si ridusse a casa e si coricò; ma passata appe- na d'un ora la mezza notte, fu colto dal male. Prima ancor degli aiuti dell'arte medica volle quelli della religione, chiese egli stesso ed ebbe tutti i sagra- menti della chiesa, e ad un'ora dopo il mezzo gior- no andava quell'anima benedetta a riposarsi nel se- no del Dio di carità. MONSIG. C. L. MoRICHINI Alcuni versi di Francesco Capozzi Al chiarissimo sig. professore Giuseppe Ignazio Montanari Mio carissimo v< oi avete sempre fatto buon viso alle povere mie cose, ogni qualvolta mi feci ardito d'inviarvene co- pia; mi avete incoraggialo a scrivere, tenendo assai diverso stile da quello di coloro che, immeritevoli del nome di letterati, sdegnano i donativi de'giova- ni ingegni, e studiano di deprimerli per quanto è in loro potere. Mi avete addimostralo amore, ed io debbo ricambiarvi d'amore, porgendovene un qual- Versi del Gapozzi 191 siasi testimonio ne' versi che seguono, elaborati al conio istesso di quelli che pubblicai non ha molto in Lugo, e sui quali scrivendo voi ad un vostro de- gno amico e collega , vi lasciaste sfuggire che ave^ vate in essi trovata la vena del Vittorelli : lode che io so e veggo di non meritare» e che attribuisco sol- tanto alla somma vostra bontà e cortesia inverso di me e d'ogni mia cosa. I versi, che vengono a voi , sono dodici anacreontiche: nelle prime sei delle qua- li mi piacque trattar cose , il cui fine è morale, e che per ciò almeno non vorranno essere giudicate futilità. Nelle altre ebbi caro volgere il pensiero ai beatissimi tempi de'primi nostri padri, e cantai gli amori intemerati de' patriarchi : essendo per me dolcissima cosa versare l'ingegno nello studio delle scritture sacre. Abbiatevi dunque accetti questi brevi inediti componimenti, siccome dono di tale che molto vi ama e vi stima, e conservale la vostra preziosa ami- cizia a chi si pregia di raffermarsi Lugo 16 aprile 1838 il tutto vostro Francesco Gapozzi IL GIUOGATORE Vedi tu quel forsennato, Ghe seduto a rio diporto La bestemmia ha per conforto ? Lo ravvisa, è il giuocator. 192 Letteratura Ne la crapula rapace Ha consunta ogni sostanza; L'abbandona la speranza, Lo ricopre il dìsonor. A la sposa ed a'figliuoli, La cui fame attende un pane, Qual ristoro a la dimane Il perverso porgerà ? Forse il cibo vergognoso Del mendico al vile accatto Forse il prezzo d'un misfatto. Cui la morte espierà. IL CALUNNIATO De la notte a mezzo è il corso. Dorme in terra ogni mortale; Ma il riposo a te non cale, Innocente priglonier. Tu rimembri i di felici De la prisca liberlade. D'atra doglia il cor t'invade La memoria del piacer. Infelice ! chi risponde A'tuoi gemiti, al tuo pianto ? De l'upupa il mesto canto, D'aquilone il sibilar ! Spera, oh spera! e in tuo trionfo Del perdon segui la legge. Sol colui che tutto regge ' Ha le ofifese a vendicar. Versi del Gapozzi 193 LA RONDINELLA A'cari lidi ausonici Ritorni, o rondinella, De la stagion più bella A noi recando i dì. Ne sai che da le libiche Natie pianure ardenti Sospir d'itale genti Per l'aura ti seguì : . E i passi lor seguianti ; Ma la spossata mano Scuoteva i ceppi invano D'orrenda schiavitù. Deh! (Quando fia che l'Affrica Rivegga, o rondinella, Dì loro in tua favella, Che premio ha la virtù. LA DEGNA AMIGA O malaccorti giovani, Oggi chi vuole amar Affrettisi a mirar Questa donzella. Ha nero il crine, il ciglio: Lo sguardo e lusinghier, Il riso, il suo tacer, La sua favella. S'ella riposa o vigila, O se passeggia o sta, Donna fra noi non v'ha Che sia sì bella. G.A.T.LXXVL 13 194 Letteratura Di se fa paga ogni anima, Ingentilisce i cor : Degna è del vostro amor; Virtii s'appella. LA FALSA PREGHIERA Folle colui che prostrasi A l'ara del Signor Col pianto su le ciglia, Con la vendetta in cor. Disperderà del perfido Sul labbro menzogner La ria preghiera un angelo, A cui palese è il ver. E ne l'orrenda pagina. Che difensor non ha, Degna di tanta audacia La pena ei segnerà. Rigetta Iddio la lagrima Che implora il suo perdon, Se non risponde l'animo De la favella al suon. I SEPOLCRI Nel muto asil di morte, O figlio, inoltra il pie; De l'uom l'estrema sorte Vieni a veder qual è. Che vai superbia ed ira, Auro e beltà che vai ? Qui come polve aggira La cruda ogni mortai. Versi del Capozzi ^95 E il nome sol con l'opre Scolpito in marmo sta Di lor, cui già ricopre L'ombra d'eternità. Sprezza d'età fallace Il libro lusìnghier r Qui meditando in pace L*uom s'ammaestra al ver ! ADAMO ED EVA Sul mattino del creato Fra la rose del piacer' Surse a vivere beato De gli uomini il primier. Ma nel seno al benedetto Arse un foco ed un desir, Che in l'ebbrezza del diletto Dolcemente il fea languir. S'addormiva nel sorriso De la pace e de l'amor; Risvegliossi, e un caro viso Fece pago il suo bel cor. Oh felice il nodo santo, Cui formò natura e il ciel, Cui fé plauso in gioia e canto Ogni belva ed ogni augel ! iVOÈ E NOEMA Ne l'empietà cresceano D'Adamo i figli ognor; Solo Noè serbavasi Fedele al suo Signor. /[Qg Letteratura Quotidiane vittime A lui svenava in don, E ì voti suoi giugneano Del nume a la magion. A mansueta e candida Beltate Iddio l'uni; Dal ciel ne vide il talamo Fecondo, e il benedi. E poi che tra le folgori Su l'uomo egli tuonò, Da la procella orribile Que'giusti assecurò. ABRAMO E SARA De l'Eufrate in su la riva Crebbe angelica beltà; L'innocenza la nudriva, Il candore, e l'onesta. Vide Abramo la pudica Verginella e sospirò; Porse a lei la destra amica, E a le nozze la guidò. De lo sterile suo seno Ella pianse il disonor; Ma il bel volto fé sereno A l'annunzio del Signor. In Isacco la speranza De l'eletto si compi, La cui fede e la costanza Sovra il Moria apparve un dì. Versi del Capozzi <97 ISACCO E REBECCA Risplendeva estremo raggio Su la terra cananea, Poi che d'Aran vi giugnea Con Rebecca il genitor. Ella adorna il crin, la vesta, Ne le gote rubiconda, Ne lo sguardo vereconda Si fé incontro a l'amator. La raccolse, un bacio in fronte Le scolpiva il giovinetto; Se la strinse Abramo al petto, E felice e amata fu. Le promesse de l'Eterno A quell'alme avventurate Furo un dì rinnovellate In Giacobbe ed Esaù. ^ GIACOBBE E RACHELE Al domestico suo pozzo La vezzosa Labanide Vien soletta, ove s'asside Sconosciuto pellegrin. Un sorriso ed un accento Pone a lei sul labbro amore, Che soave accende il core A lo stanco dal cammin. Da Labano a lui promessa E la vergine amorosa ; Ma con fraude ad altra sposa Infra l'ombre unito vien. 198 Letteratura Sette volte in doglia e pianto Primavera fa ritorno Pria che sorga il lieto giorno Che felice il rende appien. GIUSEPPE E ASENETE De l'Eg-itto le pingui contrade Tu discorri su cocchio lucente Fra il festoso clamor d'ogni gente Che t'ammira secondo al suo re. A'tuoi modi, a tue care sembianze E rapita ogni egizia donzella; Ma su l'altre la tenera e bella Asenete prescelta è da te. Messaggiero del cielo a l'eletta De la gioia la lagrima elice : - Sarai madre, o fanciulla, le dice. De la prima fra tutte Iribìi. - Fatta ancella del nume che adori, A lei porgi tua mano e tua fede: È dovuta sì eccelsa mercede A chi tanta racchiude virtù. 499 Storie e ritratti cC uomini utili benefattori dell" umanità^ di tutti i paesi e di tutte le condizioni. Bologna^ tipografia della Volpe al Sassi^ in 8.** (Finora 23 distribuzioni composta ognuna di due ritratti e di due storie ). J-Jessi da poco tempo, non ricordo in qual giorna- le, come la sola Germania può vantare oltre a quin- dici mila volumi di opere scritte intorno la educa- zione negli ultimi venti anni decorsi. Poveri padri! come sceglieranno essi in tanta ricchezza? » A for- » mare ed a migliorare l'intelletto ed il cuore uma- » no è molto più possente l'esporre in esempio la » praticata virtìi, che l'ispirarla per via d'insegna- » mento; che assai più d'un precetto vale un esem- » pio, e niuna lingua umana è tanto eloquente e » persuasiva, quanto la viva immagine della virtù. » Perciò è che più d'un libro teorico riesce eflica- » ce una raccolta di fatti; ma più di questa a per- » suadere l'universale degli uomini è valida una » raccolta di vite ». Questo leggo nella breve pre- fazione al libro che ho annunciato : ed in tali mas- sime convenendo io pienamente, ne deduco, che que- sto è il libro de'padri di famiglia, che desiderano scaldare ne'figliuoli l'amore della virtù; che questo è il libro de'figli che vogliono avviarsi pel sentiero della fama ; che questo è il libro di tutti coloro , che desiderano migliorare se stessi ed altrui : ne ciò solo, ma è il gran libro de'progressi dell'umani- tà in tutti i generi di beneficenza. 200 Letteratura A' giorni nostri è nata una setta di scrittori , che già può dirsi assai numerosa, la quale vien tor- mentata da una stranissima malattia. Si duole essa continuamente degli uomini; altamente innalza con- tro di essi voci disperato, dipinge l'umana razza con- taminata dai piii atroci delitti. Vai al teatro per sol- levarti dalle cure del giorno? e tradimenti, vendet- te, supplizi, patiboli t' agghiacciano il cuore , e ti fan passare tormentosa la notte. Prendi alle mani i così detti romanzi storici, genere di letteratura alla moda? e morti, assassinii, nefande pitture ti fanno raccapricciare. Tutti maledicano a'giorni nostri. Ep- pure, vedi contradizione ! lo scrittore de'romanzi, e l'autore de'drammi assicurano, che il loro scopo si è di promovere la civiltà; e predicano mutua bene- volenza. Ma i mezzi che adoperate , o signori, per toccare il punto cui miraste, son essi convenienti per ottenerlo ? volete promovere l'umana civiltà, e dipingete i delitti di questa razza che pretendete mi- gliorare ! Perchè non dipingerne le virtù ? perchè col racconto di esse non eccitare il desiderio di ot- tenerle ? quale impressione credete voi che possa produrre, specialmente ne'giovani, la lettura di de- litti, spesso impuniti, o se puniti, ciò per mezzo di misfatti pili atroci ? quale il racconto degli odi ere- ditari inaffiati dal sangue di più e piìi generazioni? Guardatevi, e padri, dal permettere che i vostri fi- gli abbiano alle mani tali libri; guardatevi, o giova- ni, dal leggerli! essi non sono atti che a guastare il cuore. E voi, o signori, rinsavite una volta ; copri- te ai nostri sguardi i delitti di que'chc furono; loda- tene le virtìi. Questa raccolta di vite, delle c|ualì scrivo, ve ne sia di esempio. In due grandi categorie si posson dividere quc- Benefattori dell'umanità' 201 ste storie degli uomini utili : i caritatevoli per sen- timento di umanità ; ed in questa Iian diritto tutti coloro die possono pretendere alla riconoscenza de- gli uomini per fondazioni filantropiche, e per trat- ti di carìtlx : i benefattori per altezza di sentimenti; ed in questa debbonsi annoverare i creatori nelle scienze, nelle arti, nelle scoperte di ogni maniera, e che per lavori, per tentativi, per utili applicazio- ni o perfezionamenti d'invenzioni e di scoperte , fu- rono e sono utili alla società. Dirò brevemente alcun che delle storie finora venule a luce, e spettanti all' una categoria ed all'altra. Benefattori dell'umanità, come scopritori di co- se utilissime, furono Odoardo lenner, Guttemberg, Giacomo Watt, Cristoforo Colombo. Se gli antichi romani decretavano la corona civica a chi salvava un cittadino, quali premi tributar si potrebbero ad Odoardo lenner, per aver liberato da una peste sterminatrice l'intero genere umano ? Sino al finire del secolo scorso il vainolo arabo mieteva vittime in- numerevoli, lasciava ciechi o bruttamente deformi que'miseri, a'quali non toglieva la vita. lenner, pel continuo studio di venti anni, presenta all'afflitta umanità un preservativo universale, innocente, si- curo : ha la fortuna di vivere abbastanza per essere testimone del bene, di che ha giovato i suoi slmili ; onorato dai re, benedetto dai popoli, ha tanta mode- stia da maravigliare di una celebrità, cui non cre- deva di avere meritata. Trovar modo acconcio per dilatare al piìi presto, e far noti i concetti della men- te, è un render servigio importante all' umanità : questo fece Giovanni Genssileich, detto Guttemberg, verso il 1440 con l'invenzione della stampa. Con qual prestezza tal nuova arte dilatasse ogni dottri- 202 Letteratura na, basti a provarlo, che nel secolo XV ( cioè ili sessant'annì circa) tredici mila edizioni diverse era- no state pubblicate, e più che quattro milioni di vo- lumi stampati eransi sparsi per Europa. Or chi po- trà numerare ciò che si fece in altri 338 anni ? La invenzione del vapore, tipo del genio umano appli- cato alle arti, non fu opera del momento, ne sforzo dell'ingegno di un sol uomo ì sin dal secolo XV in Italia, poi in Francia ed altrove, se ne erano fatti esperimenti ; ciò non ostante la grande scoperta an- drà sempre unita al nome di Giacomo Watt, il il quale con istudiate ricerche e meditazioni fu il primo a perfezionarla, ad usarne, a farne conoscere i vantaggi. Il beneficio da lui fatto non si rimane esclusivo all'Inghilterra; tutte le nazioni ne risento- no l'utilità incalcolabile. E se fra i benefattori del- l' umanità fu annoverato l'autore della tipografia , quello del vapore acqueo come forza motrice, mol- to maggiormente vi si deve annoverare colui, che scuoprì un nuovo mondo con in seno tesori inesau- sti, vastissime e fertilissime terre, ricetto e nutri- mento di nuove innumerabili genti. Cristoforo Co- lombo è tal uomo, che per altezza di mente, per ge- nerosità di animo, per longanime pazienza, per in- domito ardimento, non ebbe forse chi ne prima ne poi lo superasse. Ed egli fioriva povero, afflitto, in età di 69 anni; ed invano chiedeva il premio del suo lungo servire! Solo alla sua morte ammutolì l'invidia e la gelosia. Chi potrebbe noverare i benefi- zi che dall'opera di un tanto uomo ne derivarono? I ritrovati di Berthollet nella chimica non so- lo vantaggiarono la scienza, ma furono di sommo soccorso alla patria in tempi difficilissimi, ne mi- gliorarono le manifatture, ne diminuirono il passi- Benefattori dell'umanità* 203 vo commercio. Giovanni d'Arcet avrà sempre un bel nome nelle scienze fisiche, si per la migliorazione delle porcellane , si per le molte opere che trac- ciarono la via allo studio della moderna geologia: ma quando, creato professore al collegio di Fran- cia, sebbene di scarsi mezzi di fortuna, pure rinun- ziò per pili anni i suoi stipendi affinchè gli scolari potessero esser provveduti di un gabinetto di fisi- ca, allora a buon diritto ottenne il nome di bene- fattore de'suoi simili. Gli apparecchi elettrici del Volta applicati da Onofrio Davy alla chimica , lo fecero salire in gran fama ; e la sua lampada dei minatori, detta anche lampada di sicurezza, fu una scoperta che campò e sarà per campare dalla mor- te migliaia di uomini. Gio. Antonio Chaptal appli- cò la chimica all'agricoltura, alle arti, a' mestieri ; co'suoi moltiplici esperimenti, con le vaste sue fab- briche procurò alla Francia ciò che soleva acqui- stare dallo straniero a gran prezzo t naturalizzò il famoso rosso di Adrianopoli; sostituì l'ocria alle puz- zolane d'Italia; coltivò quella pianta dell'India, on- de si ottiene la soda d'Alicante ; istituì la fabbrica delle polveri di Grenelle; coltivò il guado e la bar- babietola ; introdusse un gregge di merini. Chia- mato al consiglio di stato, fu a lui affidata l'istru- zione nazionale : al ministero dell'interno incorag- giò il commercio, l'industria della Francia; le mi- niere, le saline, le torbe, le viti vinifere, i cereali occuparono la sua vigilanza ; i lavori pubblici , i canali, le strade, i ponti, ebbero impulso, e furoa per lui riavvivati; e si uni cosi meritamente al suo nome una fama europea. Modello de'ministri, ami- co del re e del popolo, benefattore della patria fu Massimiliano di Bethune duca di Sully. E se i cui- 204 Letteratura tori della storia naturale loderanno Cristiano Gu- glielmo de Lamoignon-Maleslxerhes pe' moltlplici scritti di lui; se gli uomini di stato lo terranno a specchio de'ministri, tanto ligi al potere supremo, quanto possa con la virtù conciliarsi, e ricorderan- no i replicati esigli pazientemente sofferti; tutti sa- ranno presi d'ammirazione per l'anima nobilissima di lui, pensando com'egli solo si presentò volonta- rio difensore di quell'infelice sovrano, che mentre fu potentissimo , gli era stato talvolta ingrato : e Malesherbes di questa azione veramente eroica ne riceveva in premio la morte da un tribunale infa- me. Che se i ricordati ministri acquistaronsi tanta lode, che cosa dirò di Prospero Lambertini? Egli sa- lito sulla cattedra di s. Pietro, usò la nobiltà dell' ingegno, la potenza dell'autorità, la copia della dot- trina per render cara agli uomini la religione; per dimostrare, allargandone i beneficll, che essa è il pili forte argomento per procacciare al mondo dure- vole ed Intera felicita : per lui fu allargata la fra- terna amistà; per lui acquetate le superbe voci che levavano contro Roma abbominati vituperi. Molto giovamento recava alla Francia Pietro Paolo de Rlquet nell* eseguire il canale di mezzo- giorno. Adamo di Craponne, fra le molte imprese che immaginò a favore de'suol simili, una fu e la pili grandiosa il canale, che prendendo le mosse dal Pie-Bernard stringe le acque della Durenza per isca- ricarle nel mare di Berre. I territorii di dlclotto comuni divennero per l'opera sua fertili e pieni di vita. Chi non sa di fatto, o almeno non ha udito a far menzione del danni immensi cagionati all' agri- coltura da un fiume in piena, che abbia soperchiate le sponde, o rotti gli argini dai quali era tenuto in Benefattori dell'umanità' 205 freno ? E chi potrebbe calcolare l'utile proveniente dalle opere di colui, che die le norme per ostare all' impeto delle fiumane, per impedire i flagelli delle rotte, per regolare il corso delle acque ? Quest'uo- mo fu Giandomenico Guglielmini. Non contento egli di essere naturalista esimio, medico valentissimo : non contento di emulare nell'astronomia il Cassini, si occupò dell'idraulica, ed in essa fu sommo; le sue opere, perchè basate sulle leggi della natura, non potranno mai revocarsi in dubbio. Nel secolo XIII sen giaceva l'agricoltura avvilita e depressa : un uo- mo benefico sì desiderava, che alla dignità che le spetta la sollevasse ; e questo fu Pietro Grescenzi. Egli divenne all'Italia primo maestro delle cose agrarie dopo i latini ; egli fu il ristoratore di quel- la scienza, che è base all'opulenza delle nazioni. Si- milmente presso gli alemanni Alberto Thaer fu il ristoratore dell'agricoltura. A'tempi de'nostri padri il primo a prender cura in Italia di quelle pecore spagnuole chiamate merini, il primo a formare con sane regole le bigattaie, fu Vincenzo Dandolo. Non ricordo le sue opere fisiche, non le chimiche, non i lavori di pubblica amministrazione ; ma quelle sulle granaglie, sui vini, sulle patate, sui mori gel- si, lo dichiararono filantropo per eccellenza; e l'Ita- lia a buon diritto lo annoverò fra i suoi più utili cittadini. Giuseppe Pltton di Tournefort , come uno dei creatori della moderna botanica, è degno di figu- rare in questa raccolta. Giorgio Luigi Ledere conte di Buffon fu ristoriografo della natura : cinquanta anni di continue fatiche produssero i trentasei vo- lumi, de'quali si compone l'opera sua. A dir vero nella teoria della terra quella cometa che separa 206 Letteratura dal sole alcune parti, que'pianeti vetrificati ed in- fuocati che a grado a grado si raflfreddano e non tutti in un tempo, que'corpi organizzati che nasco- no successivamente sulla loro superficie a mano a mano che il calore si mitiga, a' giorni nostri deb- bono ritenersi per favole ingegnose ; ma a Buffon si deve la lode di avere per il primo conosciuto e ma- nifestato, che lo stato attuale del globo è l'effetto di successivi cambiamenti, de'quali non è impossibile di scoprire le tracce. Vero è pure che il suo si- stema circa le molecole organiche e la matrice inte- riore, col quale spiegar vorrebbe la generazione, è fatto nullo dalle osservazioni di Haller e di Spallan- zani ; ma i suoi pensieri sul degenerare degli ani- mali e sui confini a questi segnati dai monti, dai mari, dai climi, sono scoperte che di giorno in gior- no vengono verificati. Disprezzò un giusto metodo; ma fece ricca la scienza di un gran numero di fatti, e si apri così la strada ad un nome immortale. La storia ha già impiegate molte sue pagine per enume- rare le citta espugnate e difese da Luigi Ferdinando Marsigli, per indicare le strade da lui rese pratica- bili agli eserciti nelle paludi, per menzionare gli ac- cordi da lui a buon fine condotti, i confini per lui fra le nemiche nazioni stabiliti, le opere con dispen- dio più che da privato date alla luce : e questi non sono piccoli pregi di quel grand'uomo. Ma ciò non basta; egli dona alla patria le ricchissime sue colle- zioni scientifiche, innalza un osservatorio, arricchi- sce la biblioteca, fonda l'istituto delle scienze, Io provvede di macchine fisiche, di ricca raccolta di minerali; e con esempio assai raro si spoglia del proprio perchè i suoi concittadini siano in grado di accrescere le loro cognizioni; non risparmia viaggi, Benefattori dell umanità* 207 non spese, non fatiche per diffondere l'amore delle arti e delle scienze nell'umana famiglia. Leonardo da Vinci fu uomo di tanta forza di mente e di fantasia, che non parve nuovo a niuna scienza umana. Generalmente è conosciuto come ar- tista sommo ; ma egli inoltre creò nelle scienze una luce che rischiarò verità non conosciute ; creò nel- la meccanica e nell'idraulica nuove formole, che val- gon tutta via nella pratica; creò nelle arti, associan- dole alla filosofia. Gli altri artisti furon utili al se- colo incile vissero, ed immensamente a loro; Leo- nardo fu utile più agli altri che a se stesso. Se talu- no chiedesse chi fu il più grande artista del mondo, son certo che tutti risponderebbero concordemente: Michelangelo Buonarroti, Potrà opporsi nella sta- tuaria il Canova per lo studio del bello; nella pit- tura, per l'ideale, per la grazia, pel colorito, Raffael- lo, Correggio, Tiziano; nell'architettura, per elegan- za, per elezione di forme, Bramante, Sanmicheli, Palladio ; ma ninno valse a creare un' opera che vinca il Mosè, che superi i poemi della cappella Si- stina e della cupola di s. Pietro. Parecchi furono maggiori del Buonarroti nella propria arte ; nessu- no fu come lui grande in tutte : egli è il primo ar- tista del mondo. A tanta forza d'ingegno s'univa in lui carità di patria, riconoscenza al benefizio, le- altà d'animo; come negargli un posto distinto fra i benefattori dell'uman genere ? Giuseppe Maria Jacquard, meccanico per inclinazione più che per istudio, espone a Parigi nel 1801 una macchina che semplicizza di molto le operazioni ne'tessuti di seta di ogni sorte; e ne ha in premio la medaglia. Tenta introdurla nelle fabbriche di Lione sua patria; vien minacciato della vita, e vede distruggere nella pub- 208 Letteratura bllca piazza il suo nuovo telaio. Ma gli speculatori nel loro segreto ne intendono l'utilità ; dopo molti anni le macchine di Jacquard sono adottate dall'in- dustria di tutta Europa: egli vede arricchire altrui, mentre rimane nella sua modica fortuna ; e non se ne lagna, perchè gli basta di essere stato utile ai suoi simili. Veniamo ora ai caritatevoli per sentimento di umanità. Quanto beneficia fu la carità di Vincenzo de' Paoli verso gl'infelici! Nato da poveri genitori, le sue virtìi l'innalzano sino al consiglio dc'monarchi, ed in esso pone a profitto il suo credito sol per be- neficare altrui : fonda la congregazione delle missio- ni per istruire il popolo delle campagne ; istituisce la casa d'asilo pei condannati alle galere : ordina le conferenze ad istruzione de'preti : fonda la congre- gazione di quelle suore della carità sì conosciute pei servigi d'ogni sorta che rendono all'umana famiglia: stabilisce la compagnia delle dame incaricate della cura degli infermi: apre il primo ospizio degli espo- sti, ed il grande ospedale della Salpetriere, dove ricovera ben cinque mila poveri : tanto potè un sol uomo ! Poc'oltre la metà del secolo X un altr'uomo straordinario, avendo fissato nell'animo di spendere la propria vita a beneficio de'suoi simili, abbando- na le avite ricchezze del castello di Mentone , ri- nunzia ai legami con nobile ed avvenente donzella , sen fugge di notte dal padre, tutto si dedica alla vi- ta di santità. Sulla piìi alta cima delle prossime alpi innalza un altare al Dio vivente: ed associando alle sue cure vari fratelli, fonda un ospizio, dove rico- vera i pellegrini, divide con essi il proprio pane, soccorre a chi pericola nelle rocce , nelle intempe- rie, sulle eterne nevi; ridona ad essi la vita. Da Benefattori dell'umanità* 209 s. Bernardo eblje poi nome quel monte, in cui egli apri qucirasllo ; ed i fasti di otto secoli, ed il con- tinuo beneficio che esercitano que'religiosi, ne chia- riscono quanto e giusta la riverenza che loro tribu- ta il mondo incivilito. Sul finire del quarto secolo parte dai deserti della Tebaide il monaco Telemaco: egli si dirige verso Roma. Qual desiderio lo spin- ge ad intraprendere si lungo e difficil viaggio in età già molto avanzata? Quello di rendersi utile a'suoi simili con procurare Tabolizione de' sanguinosi com- battimenti de'gladiatori. Si presenta nell'anfiteatro; predica la pace, la fraterna concordia; ne ottiene in premio la morte, ma il sacrificio della sua vita pro- duce il desiderato scopo ; e le pugne de'gladiatori son vietate per sempre. Pochi uguagliarono s. Carlo Borromeo nell'e- sercizio delle profittevoli virtìi. La non lunga vita di lui tutta fu spesa in beneficio de' suoi simili , in monumenti di amor generoso verso il prossimo: e quando una fìerissima pestilenza percosse con or- renda strage e disertò la citta di Milano, la cari- tà del santo vescovo rifulse sopra ogni dire pia grande; e non contento di aver tutto il suo ad al- tri distribuito mentre vivea, volle in morte far ere- de r ospedale de' poveri infermi. Emulo in parie di tanto zelo fu Ennio Francesco di Belsunce. Nel- la terribil peste di Marsiglia del 1720, la sua ca- rità attiva, benché fosse arcivescovo, lo guidò a soc- correre i pili sprezzati, senza temerne gli aliti am- morbati e pestiferi; dispensò in due mesi oltre a 25 mila scudi del suo, privandosi anche del necessario. La riconoscenza si sciolse in parole di benedizione; e Marsiglia nel 1821 celebrava l'anniversario secola- re della carità del Belsunce, e gli decretava un mo- G. A. T. LXXVL U 210 Letteratura numento durevole nella chiesa di s. Ferrcal da lui primamente fatta costruire. Non ovvi forse al mon- do alcun officio, nel quale si possa esser utile ai suoi simili, più che nell'esercizio della medicina ; e di questa incontrastabile veritìi una prova luminosa ne die l'inglese Fothergill. A vantaggio dell' umanità ebbe spesa l'intera sua vita; a profìtto de'bisognosi legò il ricchissimo suo patrimonio: sulla sua tom- ba a Winchmore-Hill si legge:» Qui giace il dottor » Fothergill, che spese 200 mila ghinee ( oltre a » 900 mila scudi ) a sollievo degli infelici ». Che Giuseppe Galasanzio abbandoni le paterne ricchezze per darsi tutto a Dio , è questo un atto eroico, del quale la santa nostra religione offre al- tri esempi numerosi. Ma quando in Roma, cessata la peste del 1596, egli tutto si occupa de'poveri or- fani abbandonati, ed istituisce la prima delle scuole pie, tanto degnamente famose ; quando ricusa la porpora per occuparsi interamente della fondazio- ne di quell'istituto; egli acquista un posto distinto fra i caritatevoli benefattori dell'umanità. Girolanìo Miani per santità, e pei prodigii che l'accompagna- no, son già tre secoli che si gode la gloria de'cieli : ed i suoi posteri ricorderanno sempre in lui un be- nefattore de'poveri. Egli fu il padre degli orfani; e la terra Soraasca, dove istituì la prima sua casa, die nome alla congregazione de'chierici regolari, de'qua- li il Miani fu capo. Tommaso Coram sark lodato per aver vantaggiata l'inglese marina e per aver fondata la colonia della Georgia ; ma l'umanità gli sarà riconoscente, per avere egli, semplice capitano di nave, con mediocre fortuna stabilito in Londra il primo ospedale de'fanciulli esposti ed abbandona- ti. La società umana primamente fu fondata in Lon- Benefattori Dr.ìx'uMANiTA.* 211 eira da Guglielmo Hawes; lo scopo di essa è quello di restituire alla vita co' necessari mezzi gli anne- gati e gli asfitici. Dopo di lui consimili società fon- daronsi in molte città d' Europa, d'Asia, d'Ame- rica; or chi potrebbe negare all'Hawes un posto in questa raccolta ? Un povero muratore già avanzato in eth, senza fortuna, senza amici, vede alcuni poveri orfani scal- zi, cenciosi, abbandonati; la fiamma della carità l'ac- cende, ne raccoglie in sua casa quanti più ne può, li veste, li riscatta dall'ozio e dal vizio; e, non con- lento, li pone a garzoni in alcune botteghe, perchè apprendano un utile mestiere onde ricavarne i mez- zi di sussistenza. Questi è quel Giovanni Borgi, co- munemente detto Tatagiovanni, che meritamente fu chiamato il padre degli orfani. Carlo Michele de l'Epèe, se non fu il primo nella nobile impresa di educare i sordo-muti, certo niuno prima di lui ne condusse il metodo ad arte stabile e salutare : im- presa generosa ! per la quale degli infelici furono resi al seno della società, da cui il difetto di un sen- so gli aveva quasi divelti. Ne conobbe il de l'Epèe la grandezza, e seppe mandarla a fine con arden- za d'animo, che lo farà sempre ne' posteri venera- to. Ed infatti a qualunque abbia cuore compassio- nevole sembrerà un miracolo della religione e del- la civiltà l'arte di ammaestrare cjuegli infelici : e da quel francese filantropo non disgiungerà il no- me del P. Ottavio Giambattista Assarotti, il quale fece in modo che Italia non fosse in ciò da meno della Francia. Spese egli l'intera sua vita a prò di que'miseri, trovò via di far intender loro l'altrui fa- vella, sostituendo al parlato un linguaggio visivo; ed a tanta impresa sì accinse con tenuissirai mezzi da 212 Letteratura privalo. Genova Io pianse al principiare del 1829; lo pianse amaramente Italia tutta ; il nome di lui sarà glorioso, finche la vera filantropia sarà virtìi degna dell uomo. Eustachio, detto il buon moro, che credo tut- tavia vivente, nato schiavo in s. Domingo, non lasciò mai passar giorno, senza spenderlo in servigio della umanità. Quegli che, attesi i mutamenti della sua patria, avrebbe potuto per reccellenza de' meriti elevarsi a' gradi i piìi luminosi, se il servigio de'suoi simili non fosse stato unicamente l'anima delle sue operazioni; quegli, di cui i cittadini di due mondi gridano altamente le opere della perenne beneficen- za, che cosa risponde quando la lode lo cerca? Non è per me, egli dice , che io ho fatto tutto ciò ; è pe' miei simili; e più per quel padrone che lassìi regna! E giustamente a lui l'accademia francese assegnò per la prima volta nel 1832 quel premio, che Montyon ebbe stabilito sotto il titolo della virtù. Pier Fran- cesco Beccard non fu che un semplice servitore; ma il suo affetto verso i padroni lo mise in istato di esercitare virtù tanto eminenti, che la Francia lo ebbe donato di una medaglia d'oro di 1500 fran- chi, destinata a rimeritare gli uomini virtuosi. Vi- ve tuttora quel Pier Tommaso Paillet, magnanimo e generoso soldato, che sprezzando i pericoli dell* acqua, del fuoco, dei morbi, può vantarsi di aver salvata la vita a più cittadini, di quello che qua- lunque più ardito militare può narrare di aver ucciso inimici, Un povero figlio di un operalo di Bo- ston , destinato dal genitore ad arti meccaniche , sentendosi maggiore della sua condizione, tutto si da allo studio; pubblica molti scritti di morale; sta- bilisce in Filadelfia la compagnia de'pompieri ; vi Benefattori dell'umanità' 213 apre le prime pub])liclie scuole ; vi fonda ospe- dali ; da 11 primo impulso allo stabilimento delle casse di risparmio; immagina cam minetti, dai quali si ottiene il massimo calore col minore consumo di combusti])ilo ; trova il mezzo di sperdere innocuo sotterra quel fulmine sterminatore, che tanti anni- chilava ; scrive contro la tratta de'negri; toglie lo Scettro all'ambizione ed al vizio che affliggevano la sua patria. Quest'uomo, che merita starsi in ambe- due le suenunciate categorie, è Beniamino Franklin. Sono in quest'opera anche le storie ed i ritratti di alcune donne, delle quali ora dirò. Se la Stael può dirsi un genio fra le donne, la Necker madre di lei non ebbe minori talenti ; ma piìx della figlia vivrà il nome di lei benedetto, perche ricorderan- no ognora gli uomini, com'essa fra le grandezze si sovvenisse degli infelici, a prò de'qualì a tutte sue spese aprì un ospizio capace di ben cento letti. Chi non conosce il nome di Maria Gaetana Agnes i? Ri- corderanno i filologi com'essa ancor giovinetta cono- scesse le lingue latina e greca; ricorderanno i ma- tematici l'autrice del cemento sopra le sezioni co- niche delfHopital, delle istituzioni analitiche intor- no i calcoli integrale e differenziale: ma ricorderan- no 1 filantropi com'essa tutta si dedicasse in sollievo della sofferente umanità, e si riducesse a limitata abitazione entro l'ospedale degli indigenti a Milano, per dirigere la parte delle femmine; e come al mo- rir suo la metU del patrimonio assegnasse per com- partirla fra i pili bisognosi della citta. Elisabetta Fry ammaestrava in sua casa una schiera di fanciul- le, cercando condurle per la via della virtìi: diven- ne però famosa in Inghilterra , quando gli venne in pensiero di affaticarsi alla riforma di quelle , [donne 214 Letteratura rotte al vizio, che giacevano nelle carceri di Newga- te. Onde far ciò, incominciò ad aprire una scuola nella quale ai figli di quelle perdute insegnava il leggere e lo scrivere. Anche negli animi malvagi parla la materna pietà; quindi le prigioniere inco- minciarono a prendere in riverenza ed in amore quella che tante sollecitudini prodigava ai loro fi- gliuoli. Allora Elisabetta si recò alle prigioni; parlò di virtìx, di tranquillità : fu udita con raccoglimen- to e silenzio ; molte di ree divennero Luone ; po- che ricaddero nel servaggio de'vizi. Le virtuose pa- role quasi mai non rimangono prive di un qualche, affetto. Dove erano ospedali, dove campi di battaglia presentavano occasione di sollevare 1' umanità, si era certi di rinvenire Anna Biget, dotta altrimenti Suor Marta: per essa gli uomini non formavano che una sola famiglia: curava i francesi ed i russi con la stessa premura che gl'inglesi, gli spagnuoli, i prus- siani; ed i sovrani di quelle nazioni la rimeritava- no di distinzioni, di medaglie, di croci. Essa vive- va di pane bruno e di acqua; la sua tenue pensione di annui franchi 300, era quasi tutta destinata al sollievo degli afflitti ; pei quali inoltre questuava presso i caritatevoli. Iddio ti ha per certo reso ne'cieli quel guiderdone che non trovasti in terra! Gli abitanti di Tolone, i poveri del porto, gli uffi- ciali di mare, tutti benedicevano la carità della ve- dova Deinsac; essa era sempre pronta al sollievo de' malati; e quando sentiva che i trionfiitori di Algeri sbarcavano a Marsiglia con malattie acquistate sotto quel clima cocente, e con timore di contagio , la Deinsac non frapponeva dimora, si recava a Marsi- glia, si chiudeva nel lazzaretto. Vera figlia del gran Benffattori dell'umanità' 215 Vincenzo dc'Paoli, Iddio ti ricolmi di benedizioni ! Rosa Govona , povera giovine di Mondovì , racco- glie a se d'intorno una compagnia di sue uguali, e fa che con assidua operosità di lavoro si procaccino il bisognevole : passa con le sue compagne a To- rino ; domanda albergo e l'ottiene : dà una regola allo stabilimento, cliejdalla fondatrice dicesi delle Rosine : fa scrivere sull'ingresso della porta: » Man- » gerai del lavoro delle tue mani »: fonda altri ospi- zi in altre citta; grave di fatiche piìi che d'anni ren- de l'anima al creatore fra le lagrime di piti centi- naia di figlie, che avea raccolte dalla miseria, tolte dall'ozio, rapite forse al vitupero, rese operose, uti- li, e tali da recarsi ad esempio di sociali virtti. La società Monthyon e Francklin va pubblican- do a Parigi VHistoire et portrait des hommes uti- lesi questa raccolta bolognese non è una semplice traduzione della parigina ; perchè molto vi ho in- contrato di scritti originali. Nelle quarantasei vite, che finora mi giunsero, sole ventisette sono tradot- te ; le altre diciannove son lavoro dei collettori bo- lognesi ; e fra questi diciannove noto che quindici si riferiscono ad italiani. Reputo cosi vantaggiosa quest'opera, che credo mio dovere ricordar qui i nomi di coloro, che v'impiegarono lo studio, sia nel ridurre dal francese, sia nel comporre le biografie originali. Furon essi i signori Angelelli Massimi- liano, Astolfi Angelo, Baietti Rinaldo, Berti Lodo- vico, Busatti Pietro, Campeggi Muzzi Angela, Con- tri Giovanni, Dal Fiume Giovan Luigi, Freddi A.A., Frulli Carlo, Gozzi Francesco, Liverani Lorenzan- tonio, Marchi Giacomo, Martinelli Filippo, Mattei Cesare, Medici Michele, Minghetti Marco, Montana- ri Giuseppe Ignazio, Muzzi Salvatore, Rambelli Gio- 21 G Letteratura vanfrancesco, Sacchi Defendente, SiiRl Antonio, Ta-r nari Luigi , Valorani Vincenzo , Yentiirini Paolo, Veronesi Giovanni. Anche debbo lodare i signori Spagnoli, Guadagnini, Marchi, che dieron opera alla parte calcografica, intagliando con lodevole stile i ritratti di questi quarantasei uomini utili; ed io ri-;- tengo che i ritratti in tali raccolte siano di molto vantaggio; perchè l'anima ed il genio di un uomo sono per lo piìi impressi nel volto di lui. Continuate dunque, o signori, nella bene inco-? minciata impresa. La gente utile pur troppo viene dimenticata; perche fa del bene senza menarne ru-? more; e perchè la virtìi fa versare le sole lagrime della riconoscenza. Per opera vostra potranno i pa-r dri facilmente indicare ai figli i modelli da seguire; potranno i giovani scaldarsi fanimo al conseguimen-? to della vìrtìi. Dateci dunque le storie ed i ritratti di Galileo e di Torricelli, di Volta e di Aidrovan-? di, di Vico e di Beccaria e di Romagnosi ; dateci quella di Leopoldo granduca di Toscana; di Ferran- te Aporti primo istitutore delle scuole infantili in Italia; dateci quella dell'inventore della bussola; da- teci le altre della contessa Bellini istitulrice a sue spese di due scuole d'istruzione religioso-morale-in- dustriale pei figli poveri della citta di Novara; del marchese Tempi fondatore col proprio erario di una scuola pratica di geometria applicata alle arti ; della marchesa di Barolo e della contessa Masino torinesi , che a proprie spese fondarono nelle loro case asili d'infanzia; di Tommaso Odescalchi, di Pe- stalozzi, e di tanti altri, che non mi basterebbe lo spazio ristretto di cjuesti fogli a nominare soltanto. E Canova non entrerà egli in questo bel numero ? Facendo rimontare la statuaria alla puritì^ di Dona- Benefattori dell'umanità' 217 tello, non fu egli utile all'uman genere ? E Cosimo Ridolfi ? il suo podere modello quanta utilità già reca airagricoltura ! ed assai più sarà per recarne in appresso. Ma io passo i limiti che mi era pre- scritti: sta a voi, 0 signori, lo scegliere : avete di- nanzi tanta ricchezza di materiali, che l'opera vostra potrà essere duratura per lungo tempo, ce Jn occasione di premi distribuiti. Parole di Giù-' seppe Ignazio Montanari pubblico professore di eloquenza in Pesaro, ^^uante volte io mi fo a considerare alla presente condizione degli studi, non so se più cagioni io ri- trovi d'allegrarmi, o di fortemente attristarmi: con- ciossiacchfe, il confesserò pure sinceramente, sono già molti anni che non dirò io gli antichi miracoli,raa 1' usata gloria sembra ad ogni passo venire scemando, quasi che natura sia stanca di produrre gagliardi in- gegni: e madre gi'a per molti parti spossata, e per molta età indebolita, sia a lunga sterilita omai cadu- ta. In fatto mentre ogni di a calde lagrime piangia- mo la perdita di que'sommi, di che Italia si onora e si onorerà finche vivrà gentilezza ne'petti umani, non nasce in noi speranza alcuna di vedere presto saliti alla fama di costoro ingegni novelli, e sembra do- versi temere che mancati que'savi che nel secolo de- 218 Letteratura cimo ottavo o poco più là incominciarono a levarsi In grido, ogni splendore di lettere sia per essere spento od oscurato, E facendo ragione di molta e molte cose che alla dnbitosa mia mente Tana appres- so l'altra si offrono, io vedo, o signori, non la natura doversi chiamare in colpa, ma sì bene alcune male abitudini condotte negli studi da tante perturbazio- ni civili, le quali come hanno quasi cangiato aflfat' to l'indole e il costume italiano , così minacciano ora travolgerne gl'intelletti, e per desiderio d'mtì- nita dottrina farli sforniti della necessaria , e tra- boccarci di nuovo poco meno che nelle tenebre della barbarie e dell'ignoranza. E perchè il dichiararle saria quasi un combatterle, un vincerle, io vorrei ora tutte qui porvele sottocchio, e vorrei farvi toc- care con mano che quanto noi milantiamo sapere e filosofia più de'padri e degli avi nostri, tanto in fatto noi ad essi in sapere e in filosofia cediamo. Ma essen- do questa cosa di lunga e sottile trattazione, a poco mi stringerò: e di questo comunque poco potrìi ve- nire assai bene a molti, se riuscirò pienamente nel- l'intendimento mio, che è di mostrare error grande essere quello in che moltissimi sono,che giovi al più presto passar per tutte le scuole, e trascorrerle nel minore spazio di tempo possibile, quasi che nel far presto stesse il far bene, ed entrare d'una in altra scuola valesse empiere V intelletto d'una ed altra utile dottrina. E perchè in più modi s'intende far presto in fatto di studi, verrò di tutti i principali discorrendo, e per maniera che debbano uscire d'in- ganno que'che reputano una felicita della giovinez- za l'uscire prestamente di sotto la disciplina de'prc- cettori ; e mentre ancora hanno bisogno di maestri, farla poi essi da maestri, e sedere a scranna petto- Parole del Montanari 219 rutl, e far di se sogi^etto alle risa tle'savi. La vostra cortesia mi affidi di benevolo ascolto, e però senza più entro alle prove. So che molti hanno trattato poco men che da barhari i maggiori nostri, perchè essi prolungavano a incomportabile lunghezza gli anni dell'educazione scolastica, come se volessero che fiore di gioventù intisichisse nelle scuole, quando pur ella si sentiva provetta, e tale da essere senza scorta abbandonata a se stessa. Io non entrerò qui a questione con que- sti novelli ragionatori; ne mi darò pensiero di ribat- tere in gran parte le opinioni loro, mandandone per buona qualcuna, se pur tanto si potesse concedere. Solo avvertirò che fra soverchia lunghezza, e sover- chia brevità, può esservi una via di mezzo: e beato chi la sa tenere, poiché gli estremi sono sempre fuor d'ogni bene! Non per questo tacerò che qualunque si fosse l'antico metodo, e per quanto possa loro pa- rere degno di riprensione, esso ha sempre bellissimi fatti a difesa ; conciossiachè quella schiera d'onora- ti scrittori che noi onoriamo, e chiamiamo privile- giati, è pur uscita di quelle vecchie scuole ; ed ha i molti anni sudato e temuto il maestro. All'antico metodo furono composti quegli stessi, che sin qui so- stennero l'onore delle lettere italiane, tutti nati ed educati sul dar volta del secolo decimottavo ; e il Monti, e il Perticari, e il Pindemonti, e l'xlrici, e il Costa, e il Colombo, di cui calde sono ancora le ce- neri, furono cresciuti agl'insegnamenti dell'età tra~ scorsa. Ma dopo tanta novith di regole, che abbiamo noi dal secolo presente, il quale all'andar tardi de- gli antichi vuole contraporre un avanzar ratto ratto? Come se fosse ora più breve il cammino che con- duce al tempio della sapienza, che non fu in antico, 220 Letteratura o la via fosse di tanto agevolata, che mentre quelli andavano a passi lenti e misurati, noi possiamo an- dar di volo anziché di carriera. Certo non abbiamo tanto che basti alla quinta parte de'grandi uomini, l'età de'quali o è gik finita, o declina al suo termine. Questa parrebbe cosa da mettere pensiero: eppure non vi si bada, e sol che presto si esca de'ginnasi e de* licei, si tiene avere fatto abbastanza. Ad ottenere poi questo, in piìi modi si adopera. Altri stimano dovere attingere a fior di labbro i primi precetti, e con quelli si credono abbastanza forniti, per sostenere il peso di maggiori cose che appresso verranno. Ha tutta a mente la grammatica: dunque ponga mano all'eloquenza. Sa di quante parti si compone un discorso oratorio: dunque via alle matematiche, al- la filosofia, alle leggi, alla medicina ed altre scienze. Parrà che io dia nello strano, eppure la è così. Per- chè si è trovato vero il detto d'Orazio: Quidquid praecipies esto brevis\ si crede che slansi abbreviate le arti della loque- la e dell'intelletto, non ponendo mente che se po- co tempo ci va ad imparare a'giovani i canoni spe- zlalissimi di un'arte, molto ne occorre per insegnar loro il modo di applicarli all'uopo. Convengo an- ch'io col Flaminio e con altri, a cagion d'esempio, che la grammatica si possa dichiarare quanto al- le regole nel far di sei mesi ; ma non converrò per questo che nel far di sei mesi un giovane sap- pia scrivere sicuro d'errori grammaticali; e gli bi- sognerà d'assai piìi mesi alla pratica, poiché fino a tanto che quelle regole non siano più e piìi volte riscontrate nei classici, non gli si configgono si for- Parolk del Montanari 221 te nella memoria da potersi affrancar dagli errori. E poi chi non sa che non vi e arte o scienza che interamente dai canoni suoi sia contenuta? chi non sa che il più sta nell'esempio? e a far tesoro d'e- sempi tanto che basti, non ci vuol fatica? A me pa- re di vedere, quando miro dì questi affrettati ne- gli studi, un agricoltore, che per brama di avanzar tempo, e vendere ad altri l'opera sua, in brevis- simo tempo compie alla peggio i suoi lavori, e tut- to fa con fretta. Si dee dissodare il suolo, appe- na vi appunta la vanga: tre fendenti d'aratro, tre marreggiate, poi seminare, coprire, e faccia il cie- lo ciò che vuole: che di sradicare o d'altro non si da cura. Egli vuole usare de'suoi campi per andar- si ad arricchire su quelli degli altri. Ma alla per- fine che ne avviene ? La fretta del lavorare gli ha tolto quel largo frutto che poteva avere dal suo : che se con piìi diligenza e tempo fosse stato pro- curato, avria reso dieci tanti più; ne lo stolto la- voratore avrebbe avuto bisogno di vendere altrui la fatica delle sue braccia, se al proprio debito aves- se inteso. Si aggiunga che delle tenere menti av- viene proprio quel che della terra: che non puoi oggi porvi la vanga, doman l'aratro , appresso il sarchio e la falce, ma dall'una cosa all'altra vi bi- sogna alquanto riposo. Se tu oggi cominci con una, domani con un' altra regola , poi appresso un' al- tra ed un'altra , avrai caricato la tenerella mente; l'avrai oppressa, e non potrai aspettarti alcun frut- to dall'insegnamento tuo. E come al voltare delle stagioni al terreno , così al voltare degli anni si hanno a porre vari modi di coltivazione agli in- gegni. E benché si paia che il giovinetto retta- mente apprenda, non si dee correre oltre più che 222 Letteratura non comportano le forze di una mente ancor trop- po tenera, e disacconcia a peso maggiore. So che la natura da privilegio di molta potenza d'ingegno a talunii ma so anche che prima che sia scoperta que- sta forza singolare, si debbe usar con cautela: e di più so, che molti che sono stati ingegni robustis- simi, da indiscretezza d'insegnamento sono stati di- rei quasi sfiancati, ed esinaniti sul piìi bello del vigore. E poi che perde egli un giovane per pochi anni che ponga di più nel corso degli studi? Certo nulla; se non si vuol dire che acquista, meglio asso- dandosi e conservandosi nelle apprese dottrine. Che anzi come dovrebbe egli spendere, se presto uscis- se delle scuole, alcuni anni ancor verdi, se non istu- diando da se, senza scorta di maestro, quello che alla scorta di lui può emulando gli altri imparare ? E poi alla fine, che si è egli acquistato da questa velo- cita di corso negli studi ! Nulla più che avere ap- preso per meta sola ciò che si doveva interamente ; per non dire avere perduto tutto il tempo. Peroc- ché chi troppo presto vuol fare, nulla fa; e mentre que'che alcun anno si tengono nelle scuole qualche cosa vi apprendono di bene, quelli che pochi mesi vi durano, a fatica nulla apprendono. Laonde si può dire di quelli, che essi hanno impiegato il lor tem- po: di questi, che o poco o molto l'hanno in tutto gittato. Ma che dirò di coloro, i quali volendo pure sol- lecitamente gittarsi innanzi, e non avendo polso da tanto, poveri e sforniti come sono d'ingegno pur vogliono far presto .'* Costoro vergognano più degli anni che mostrano in loro maturità, che dell'igno- ranza; e sono veramente pazzi da catena. E non os- servano essere legge di natura, che tutto progredisca Parole del Montanari 223 grado grado, nò per salti o slanci; e. credono che ciò che non è dalo nelle altre cose , debba pure essere concesso o negli studi con istrana maniera, non a chi ha più forza d'ingegno, ma a chi ne ha meno ; come se i deboli pili de'robusti, gli sciancati e gli storpi pili di que'che sono ben piantati e diritti del- la persona avessero valentezza del corso. Io sono a quindici anni, so leggere e scrivere a pennello, co- nosco come s'accorda il soggetto col verbo, so quan- te sono le parti del discorso grammaticale, ho spie- gato Cornelio, e a un caso so por mano al Cdepino. Che micola d'umanità ! ella è perditempo. Che vò io pensare a rettorica ! le sono ciancie, follie. Da poesia poi mi guardi il cielo, eh' io non vò dar nel lunatico: che i miei fatti, ne quelli della mia fami- glia acconcerei se mi mettessi a fare il poeta. Alla filosofia, alla filosofia vò recarmi : questa questa è d'uopo, questa sola basta, e tutt'altro è soverchio. Oh ! venerande scuole, dove crebbe a tanta altezza il sapere italiano, a quale oggi siete ridotte vergo- gnosissimo stato! Che sarà dopo il volgere di pochi mesi di questi filosofanti ? Una greggia di saputelli tanto piU presentuosi, quanto più grossi; uno sciame d'insetti noiosi e perniciosissimi alla civile società. Perocché non considerando essi che a formare l'u- mana monte tutte del pari concorrono le arti libera- li, SI che l'una abbisogna dell'altra, e unicamente l'una all'altra dà mano, vanno immaginando per es- sere usciti di quella scuola che è ultima del corso scolastico, di avere in capo ciò che da ciascuna scuo- la ordinatamente si trae. Non sanno che la gramma- tica^ la quale non cerca che di mostrarti le varie in- flessioni e commutazioni dalle parti dell'orazione, e il come si vogliono congiungere l'una all'altra, e 22^ LEftÈftArURA l'accordo in che debbono essere, è parie di quella metafisica che poi studieranno, e parte fondamenta- le: sicché senz'essa mal si possa poi ragionare neli' ideologia, quando le parole vengono aplplicate alle idee. Non sanno che Vumanità insegna a colorire di buona tinta la favella^ a condurne la sintassi con garbo e nettezza di modi, a formare uno stile pulito e corretto. Che a questa succede immediatamente la rettorica, la qualei t'insegna a parlare nobilmente, e quindi ti mette innanzi ricchezza di favella che non conoscevi, e ti spone qual sia il linguaggio della fan- tasia eccitata, quale del cuore commosso, con che poi l'eloquenza tosto ti da potenza di favella, che tu ottenga ciò che tu vuoi da chi ti ode. Ella porge vesti necessarie al pensiero, ella vaghezza alle im- magini che senza lei sarebbono morte, esimili a se- mivive. Ti accenna le fonti onde trovare argomenti a persuadere, ti dà norme onde ordinarli; e così ti prepara alla dialettica, che degli argomenti e delle forme loro si occupa. La poetica ti sveglia l'ingegno e mette a prova la forza del tuo intelletto. Concios- siacchè al dire dell'immortal Vico, i poeti si scosta- no dalle usate forme del vero, per trovare una spe- cie più eccellente di vero, e lasciano una incerta na- tura, per seguirne una piìi certa e costante ; e così seguono il falso, per essere in certo modo più veri. Così il Vico : a cui mi piace far seguire l'autorità dell'immenso Bacone, il quale parlando degli studi e trovandoli tutti necessari a formare una mente perfetta, dice che necessarie sono le storie perchè ren- dono l'uomo savio, necessari i poeti che il rendono ingegnoso, necessarie le scienze matematiche che gli danno sottigliezza, necessarie le fisiche che lo rendono profondo. L'etica che io fa grave, la logica Parole del Montanaui 225 € la rettorlca, che gli danno potere di contendere e disputare. Cosi egli : ma costoro pensano che anche mancando d'umanità si possa essere retori. E non sanno essi che come la persona su due pie si regge e si leva, cosi l'eloquenza quasi sopra due pie sulla grammatica e sulla umanità si sostiene, tanto che se l'uno manca ella sia storpia e claudicante ? Pensa- no che senza rettorica ed eloquenza si possa diveni- re filosofi: ma non vedono che nell'eloquenza è tut- ta stemperata la filosofia, e che il parlar de' retori include gran parte del parlare de'filosofi. Come sa- pranno essi trovare argomenti, senza lo studio del- l'invenzione: e trovati, come vestirli, disporli, senza l'elocuzione e la disposizione ? La dialettica e la rettorica sono tanto vicine, che Zenone, come abbia- mo da Tullio, assomigliava la prima alla mano chiu- sa , la seconda alla mano aperta. Hocque uno ( (dt Aristotiles) dijferunt^ quod haec ratio dlceudi latiur ^it, illa loquendi contractior' E se qui vale precet- to buono a tutte arti, egli è certo che si conviene prima cominciare dal grande, per venire al piccolo, poiché nel grande puoi avvertire quelle minime for- me che sfuggono all'occhio nel piccolo. Conoscendo la proprietà del linguaggio, la divi- sione che si fa di proprio e metaforico, e i suoi ca- ratteri, tu potrai presto conoscere la proprietà, del- le idee, le qualità, e il modo di presentarle. Aggiun- gasi che non può mai riuscire buon logico chi non ha conoscenza molta e profonda del linguaggio : in una parola chi non è filologo non può esser filosofo; che è quanto dire, chi non è buon retore non può essere buon logico. A"zi nìi pare che queste due scienze cosi l'una dell' altra abbisognino, che l'una senza l'altra non basti. La morale poi quanto non G. A. T. LXXVL 15 226 Letteratura pende ella dall'eloquenza ? Se parli degli umani af- fetti, de'caratteri, dell'indole, dell'abito delle diverse persone, l'etica conviene colla rettorica e colla poeti- ca. Trasandare adunque la scuola d'eloquenza e di poetica, è volere entrare alla filosofia senza il neces- sario corredo, sì che avvenir debba come a chi debo-> le della vista improvviso si caccia in mezzo a sover- chia luce, che poi lo accieca. Ma che dirò di quelli che d'un salto balzano dalle prime scuole allo studio delle leggi, della medicina ? Io ne tacerò per vere- condia, poiché il dire di costoro sarebbe iq mo bas- sezza. Ma taluno potrebbe soggiungere : Si può im- parar dopo. Sia: purché mi sì conceda essere il tem^ pò della giovinezza, che è speso in tanto disordine di studi, gittato inutilmente: e purché si convenga che chi male studia dapprima non potrà piìi mai riordinare la mente già stanca e confusa, e riuscire alla lode di buon ingegno. Se l'agricoltore lasciata ogni legge cominciasse dal seminare, poi arasse, poi rispianasse il terreno , e su colla vanga infine vi tornasse, credete che n'avrebbe buona la messe ? E qual si dice della coltura de'campi, tal si dee dire della coltura degl'ingegni. Il metodo e l'ordine del- l'apprendere è cosa di prima importanza : senza questi non si quadra la mente, non si perfeziona. Conosco anche un altro lamento che da molti si fa, ed è che se pochi devono essere e brevi i precetti , mal si conviene che sia lunga la carriera. Si sperde, dicon essi, il fiore degli anni ; si potria in due o al pili in tre terminar tutto: che molto non ci vuole al» la conoscenza di que'precetti. Al che rispondo fran- camente come più sopra ho detto, che se brevi de- vono essere i precetti, non deve Ciiscre breve la pra- Parole del Montanari 227 tica : che poco vale saper come si debbe fare , quando non si sa veramente fare. Perchè io so da quali leggi è condotta l'architettura, la pittura, la musica, perchè anche ne conosco il pili de' precetti, sarò io architetto, pittore, musico ? Ben lo sarà chi ha spesi molti e molti anni nell'esercizio di quello arti lodate, e vi ha fatto pratica. E così è della gram- matica, dell'umanità e delle altre. Saprai regole di grammatica , ma non sarai buon grammatico; e via via discorrendo. E poi ella è cosa che di leggieri veggiamo per tutto, l'arte maturarsi dal tempo,e dal- l'una all'altra operazione dell'ingegno o della mano dover passare buon tratto, onde si convalidi, si cor- robori. Perchè in un dì lo stomaco tuo comporta molto cibo, lo caricherai tu di colpo, o aspetterai che smaltita una parte si faccia luogo all'altra ? E quale dello stomaco, tal è dell'ingegno: che anzi co- me a diverse stagioni pare che i diversi lavori tic' campi la natura stessa abbia chiamati, così a diver- se facoltà sono i giovanetti dalla natura stessa gui- dati a seconda dell'età. E quando le forze dell'inge- gno sono tenui, lieve debbe essere il peso che vi soprapponi, e aspettare ad accrescerle, quando siano rinvigorite dagli anni. Non consentirò io che a trop- pa lunghezza si stemperi la pazienza de'giovani; ma non consentirò pure, che per troppa prestezza si mandino colla mente non ricca, ma aggravata di tor- te e mal congiunte idee. Ogni soverchio è dannoso, in ogni estremo, come già dissi, sta il vizio. Lunghez- za soverchia di metodo fiacca gl'ingegni, prestezza soverchia li lascia digiuni. Ma se si avesse a sceglie- re, de' due danni ciascuno vede qual è il men reo; ed è nell'antico provvcrbio, che chi fé bene non fé mai troppo tardi. L'età passata pare a molti, e a 228 Letteratura ine pur pare, fu alquanto vai^a Ji metodi troppo lunghi e gravosite non per questo fu rieca di sapien- ti ; la moderna eth , che vuole brevità in tutto, an- drà ella lieta di eguale ricchezza ? Altri decida, che io volontieri mi taccio. Io vedo alTetU nostra dalle scuole uscire buoni, ma troppo rari frutti: e questo mi fa muto e pensoso. Solo dirò che come ninna peste è più nemica del vero sapere, che la smania di saper molto, così ninna è piìi infesta alla buona riuscita dei giovani che la fretta d'uscir presto delle scuole. E però chi desidera raccogliere al fine buo- na riccolta, non si stanchi della carriera degli studi; tenga la via che è segnata, non ami di andare a sal- ti, ma di passo eguale e ben ormato. E se alcuno gli vorrà gridare all'orecchio che fa gitto soverchio di tempo, noi creda: e risponda col poeta, che le opere umane dal fine si lodano. Poi aspettando il fine, os- servi un poco questi filosofisti che furono dal caso pili che da altro balestrati su filosofici scanni: veda leggerezza del loro capo, inesattezza del loro favel- lare, vanita dei loro giudizi: e appresso fatto il con- fronto, decida chi meglio operò dei due, quegli che fé presto, o l'altro che si attenne alTordine consueto. Dopo queste cose, che brevemente ho esposto, io prego la sapienza di questo venerando pastore, di questo magistrato della gioveutù, di questa commis- sione che gli studi anima ed incuora, a far si che nelle nostre scuole non debba trovarsi questa nuova maniera di falso metodo, ma si attenga all'antica piìi savia e piìi utile. Cosi ogni anno crescerà il profitto, ogni anno piìi ampia ci vcrrli la consolazione che oggi proviamo nel vedere questi giovanetti, degni di lode e di premio, di se molto bene promettere , e dare bellissime speranze a questa nobilissiuia o gen- tilissima loro patria. 229 maui.'.jijjtJMjajm!iLxiaBBaumii'iJVAiKvsnumii:am VARIETÀ' Memoria sul porto franco e sul campo , ossia debito pubblico della città di Messina. Di Michele Celesti. Napoli dalla stamperia della Sirena iSSy. J.I cliiarissimo autore, premessa una lettera diretta in Messina al suo genitore, nella quale espressi veggonsi sentimenti non meno i più teneri di amor filiale che i più puri di morale, introduce il suo lavoro col porgere un quadro miserando della Sicilia. Che seppure gioisca l'animo suo nel rammentare le gloriose geste de- gli avi che maestri furono di ogni sapere e civiltà al mondo , rattristasi oltremodo nel vedere ora degeneri i nipoti , tolte po- che eccezioni. Né mal si appone quando ricerca che la grandez- za di un regno non misurasi con quella del territorio, ma coi gradi di civiltà ed opulenza, e col numero de' suoi abitanti. Le quali ultime cose, nel venire a Messina sua dilettissima patria, è vano di sperare senza un porto franco. Lamenta perciò come taluni non mettano a calcolo gli svariali rapporti, e le fisiche ed economiclie condizioni de'diversi luoghi. Così appunto è avve- nni o alla splendida Messina. Che se essa è scarsa di territo- 230 V A n I E T a' rio, e priva ora di manifatture, natura le fu prodiga di felice situazione abbellita con un magnifico porto. Onde è che se «n tempo, e fino ancora alla scoperta del Capo di Buona Speranza, stavasl fra cospicue città d'Italia Io scettro del mare, Messina fu una delle più celebri e potenti; dimodoché, se non continuò poscia ad essere il fondaco quasi generale del traffico fra l'Asia, l'Affrica, la Grecia col resto di Europa, conservò nullaostante buona parte dell'antica grandezza, venuta meno per le politiche turbolenze, per la peste,pel trerauoto e perla cattiva amministra- zione. Laonde fu duopo ricorrere alla benignità del principe, che verso la fine del secolo XVII fondava il porto franco di Messi- na, ma talmente limitato che per nulla poteva compararsi colla fiera soppressa, e floridissima innanzi l'epoca terribile pe'messi- nesi del ^G'j^. La quale avrefibe dovuto e dovrebbe stare di so- lenne ricordo a quegli stolti, che negli stranieri pongono fidanza. Ma se Carlo II fondava limitato quel porto-franco, l'augu- sto Ferdinando IV lo dichiarava amplissimo in tutto l'interno della città. Toltogli però novamente nel 1826, l'autore dice ca- duto affatto lo splendore di Messina, quantunque nell' isola veg- gasi migliorato il commercio pel gran benefizio delle strade. Per un cotanto decadimento, {'assi a mostrare l'emporio del commer- cio passato in Malta; e gli stessi contrabandi, che sono e saranno sempre, fatti per lo avanti dai siciliani, divennero oggi specula- zione straniera con danno evidente, anche per questo sinistro la- to, dei medesimi. Conchiude quindi 1' autore con sodi ragiona- menti chiariti da una trista esperienza, che avendo la natura creata Messina pel commercio, non può questo fiorirvi senza il porto franco. Passa poscia a ragionare del Campo ossia Debi- to Pubblico di quella città, e con molta avvedutezza e fatti in- concussi dimostra quanto sia gravissimo il dazio civico suU' im- missione del grano, percetto dai campisti, ossia creditori del co- mune per somme dai loro antenati versate, onde erigere opere pubbliche etc. Che se fia sacrosanto satisfare ai campisti i loro crediti (e ne suggerisce modi più dicevoli); è vituperio in una città scarsa di territorio, e orbata oggidì di traffico, di percepi- re un dazio che sopramodo percuote la numerosissima classe in- digente. Fanno seguito a questo lavoro le sue considerazioni in- Varietà' i231 torno al contenzioso amministratiuo. "Non enUercmo noi in cliscii- terle, ma perchè i nostri lettori scorgano il giusto criterio e la dottrina dell'autore, riporteremo la sua conchiusione: ,, Io non ,, voglio qui porre innanzi la disputa nel «nodo di ciò eseguirsi, „ se cioè convenga dichiarare i tribunali civili giudici ordinari „ delle controversie amministrative, ovvero a somiglianza de'ma- ,, glstrati di commercio, darsi luogo nella gerarchia giudiziaria ,, a degli appositi tribunali per trattare siffatte liti con apposita e ,, celere procedura. Ciò lascio all' altissimo senno di chi avven- ,, turosamente ci governa.- dico si bene, che qualunque siasi co- ,, testa magistratura appartener debbe all'ordine giudiziario; ,, perciocché cosi sarebbero sceverati i giudici dagli amministra- „ tori, e rispettata la giustizia, base di [ogni civil comunanza , ,, precipuo interesse dello stato, contentezza de'popoli. Cosi i „ giudici non sarien sospetti, luogo non avrebbero i conflitti. ,, Cosi al postutto cesserebbe l'inquietezza nell'animo degli am- ,, ministratile l'abuso di potere nelle autorità. „ Amministrare e ben altro che giudicare, né le cure del ,, magistrato possono convenirsi ed attagliarsi all'uomo di g.)- ,, verno Lento, severo, il primo mantiene con la scorta dell'equi- „ tà e del codice i cittadini nell'esercizio de'loro diritti, e puni- ,, sce colori» che recano infrazione alle leggi. Attivo , zelante , ,, istancabile l'altro, far deve conoscere all'autorità suprema i bi- ,, sogni e i desideri degli amministrati , e dispregiatore del pro- „ prio potere, pronto ai dispiaceri, cui van soggetti taholta gli ,, uomini onesti ne'pubblici impieghi , sol dal genio guidato at- ,, tender dee assiduamente e con ogni studio ad assicurare al cit- „ tadino l'unico suo rifugio, la protezione delle leggi , a recar ,, nello stato l'opulenza, a farvi fiorire le più utili e splendide ,, opere. Invigila questi all'esecuzione degli ordinamenti d' inte- ,, resse generale; quegli debbe essere il giudice ne' casi partico- ,, lari, quando trattasi, cioè , di quel bisogno del smim cuique „ tribuere, innato, uguale, universale. A dir breve, nelle impre- „ se di pubblico comodo, allorché trattasi di operare economici „ miglioramenti, di asseguire qualche pubblico vantaggio, è ben „ convenevol cosa, che l'amministrazione non sia circoscritta da „ alcun limite, e che incontrar non debba ostacoli ad ogni piò 232 V A n I t: T a' ,, sospinto ; in tali casi agisce ella con pieno potere, nò giammai ,, può darsi luogo a contesa. Ma se i suoi parlicolari interessi „ divengono per poco litigiosi, se il dritto altrui sia un giusto ,, ostacolo a qualche sua opera, giustizia mal soffre, clic si abbia ,, a privilegiato giudice quegli medesimo che la rappresenta , e ,, che ha inolio di autorità per mancargli un'influenza che ren- ,, de sospetti i suoi giudicii. E d'uopo in tal caso, che essa, per ,, dir così, s'individui, e se stessa metta al cospetto della legge ,, nella condizione medesima del privato .- bisogna che traduca ,, e sia tradotta innanzi ad un magistrato indipendente, inacces- ,, sibile ai rispetti, siccome la legge presume essere il giudicario: ,, ad un Hìagiatrato in somma, che non ha nel suo uffizio mede- „ Simo una ragione di soprusarne, di violar la legge, *,dl oltrag— „ giar la giustizia. >, A, C. V A R I K T a' 233 Coin/wndio delV istoria romana scritto da monsignor Pellegr'no Fariiii. Lugo pel Melandri i838, in 12.0 J_ie opere di questo scrittore^ fra gli altri bei pregi onde sono a dovizia fornite , rifulgono siffattamente per purezza di dettato , che degno al tutto sono di annoverarsi fra quelle anliclie, che durano e dureranno alla maraviglia ed imitazione dcgl' italiani studiosi Meglio che le nostre parole, il comprova 1' unanime sen- tenza de' dotti sull'esame delle già pubblicate e famose, dir vo- fjliamo principalmente A&W Istoria del vecchio e nuovo testamen- to, de Discorsi accademici, e delle Vite di giovani studenti edu- cali nei piccoli seminari di Francia, opera cosi spontanea e ric- ca delle grazie italiane, che ninno saprebbe dirla francese, se noi dicesse il traduttore medesimo in fronte a quella. Ora ei mal com- portando che gli alunni delle italiane scuoleappreudano la geste degli antichi nostri connazionali , mercè di opere straniere assai difettose per ogni rispetto, a vergogna altresì di noi stessi i det- tar volle il Compendio dell' istoria romana qui sopra accennato, che dall'origine di quel popolo va insino alla fine della repub- blica , e 11 si ferma per ora. Nello scriverlo ha egli avuto la vo- lontà, che i giovani, secondo chela verità istorica ne porge l'oc- casione, vadano esercitando il cuore e la mente in quegli affetti e in quelle riflessioni , onde il vero bene si deriva .- scopo, al quale dovrebbe ingenuamente mirare ogni scrittore di umane istorie, lasciando stare, per aggiugnerlo, qualsiasi astio od ingiu- sta affezione dell'animo suo. - L'edizione di questo desiderato la- voro si fa in Lugo , come si vede: e sarà continuata in quattro volumetti, ne' quali non resterà a desiderarsi cosa alcuna che ri- guardi la tipografica nitidezza, ed a que'patti d'associazione che ponno da chicchessia riscontrarsi nell'apposito manifesto che corre a stampa. 11 primo volume è di già al torchio , e potrà leggersi nel prossimo ottobre: gli altri si avranno nel venturo anno in tempo opportuno per le scuole. - Basterà il detto da noi, per in- vogliarne i veri cultori de'buoni sludi, e gli accurati precettori italiani , i quali tutti accertare vogliamo , che non sarà in esso 234 Varietà' compendio la sola narrazione de' fatti istorici; sì bene tutto ciò che addimanda la moderna civiltà ed il progi'esso quotidiano de' lumi agli scrittori contemporanei, che desiderosi sieno di giova- re gli uomini , e di procacciarsi in pari tempo una gloria non peritura. Francesco Capozzi. La sifilide, poema di Girolamo Pracastoro esposto in ottava ri- ma dal conte Antonio Zampieri patrizio imolese ec.ec. Imo- la dalla tipografia Benacci i838, ' 240 Varietà' Nuovo metodo per estirpazione della lingua immaginato ed ese-. guito dal professor Giorgio Regnali, ed esposto dal dottor Andrea Ranzi. Pisa tipografìa Pieraccini i858, in 4-° con tre tavole. Xj egregio signor dottor Ranzi fassi a dire con grave ragion;»» mento la chirurgia primo ramo delle scienze utili, e senza dcne^ gare ad essa molte lacune, prova di godere il bel privilegio tolto a molte altre scieutifiche facoltà: perchè quando ella niovesi , è quasi certa de'suol progressi E progressivo si dimostra il novel- lo metodo dal celebre sqccessor di Vacca operato per l'estirpa- zione di tutpore nella lingua nell'università pisana. A ragione quindi esclama inventore in ogni scibile l'Italiano genio. Riporta qui il Ranzi i diversi sentimenti per l'operazione in discorso, ma chiarisce apertamente che non mai più si raggiunse lo sco- po, perchè l'organo fu attaccato dalla parte della bocca , sicco- me era sino al caso presente accaduto allo stesso professor Re- gnoli. Ma condotta nel dì 20 aprile nello spedale pisano la tes- sitrice Carmina Biagini,di anni i4, di abito scrofoloso, non me- struala, riconobbesi un tumore che dopo il terzo anteriore della lingua dal sinistro slendevasi al bordo destro, occupando poste- riormente l'istmo delle fauci, e col dito ravvisa vasi sino alla ba- se della bugna. La sua grossezza era di un ovo , piuttosto duro ed indolente, di jiatura fibroso e quasi scirroso. Malamente l'in- ferma articolava le parole, e per la superfìcie scabra del tumore, nella masticazione dava sangue, che scaturiva in copia, quando vi s'inlroduceva il dito. Di soffocazione era ella sovente nilnnc- ciata, perchè impedita era la funzione vitale del respiro. Laonde respirazione, loquela, deglutizione e masticazione escguivansi in uno stato morboso. 11 quale se mortale non era per deleteria qualità del tumore, lo diveniva per la meccanica azione ; quin- di indispensabile richiedevasi l'operazione, molto più che circo- scritto ravvisavasl il medesimo. Reputati perciò , come si disse sopra, vani i metodi fin qui adoperati, dopo aver fatte H Regnoli opportune incisioni e dissezioni, procurò una novella apertura alla bocca, ed introdottavi una pinzetta, ed afferrato l'apice V A U 1 li T A' t2'l1 della lingua, la trascinò in basso per 1' apertura sollo-incnhilii , dimodoché videsi essa col suo tumore pendente alla faccia ante- riore del collo; il che vien illustrato nella tavola nell'accenuiito opuscolo riportala. Ciò praticato, fu in balia dell'operatore d'i- stituire a suo piacere l'estirpazione del tumore. Dopo averlo circoscritto con varii lacci , diede con cautela piccioli colpi di forbici che andarono rasenti sino all'osso ioide, asportando il me- desimo seoM grave emorragia, mentre per evitarla aveva giudi- ziosamente creduto di legare immediatamente le arterie linguali; onde l'emorragia arrestossl con 5 o 3 bottoni di fuoco Come ognun vede, restò con tale processo libero l'alto ìmportaulc della respirazione, mentre il sangue, invece di prendere la stra- da delle vie aeree, come soleva cogli altri melodi accadere, eb- be libera uscita dalla parto anteriore del collo; e parimenli col nuovo processo si fa manifesto con quanta facilità sia dato l'ope- rare: il che non era per lo avanti conceduto. Notabilissimo si è quindi il vantaggio dovuto al nuovo metodo. La medicatura po- steriore fu praticstta con pallotte di filo spinte nella ferita sotlo- mentale per riempire il vacuo che risultava dall' ablazione d'.-l tumore, lasciando aperta la ferita eoa un foro in basso per lo scolo della suppurazione. Parlasi quindi di pezzetti di ghiaccio usati, succeduta appena 1' operazione.- dipoi del rigido regime fluido, somministrato con una sciringa spinta verso il faringe , giacche assai difficile era la deglutizione. Ma di giorno in gior- no migliorando l'inferma , ai tre di luglio in un perfetto stato normale tornava quell' organo che poco prima non solo vedg^ v^si impedito, ma minacciava i giorni della infelice gioviuetta. G.A.T.LXXVI. 16 2'i2 Varietà' Programma pel concorso Balestra che si celebrerà neW anno i859 dall' itisi gne e pontificia accademia romana delle belle arti, denominata di s. Luca, J_i insigne e pontificia accademia, non avendo trovata merite- vole di premio ninna delle opere presentate dagli artisti al con- corso Balestra di quest'anno, ha determinato di pubblicare nuo- vamente esso concorso, con temi diversi, per l'anno iSSg. PITTURA. PRIMA CLASSE Cneo Lentulo, tribuno legionario, nell'istante che presenta il proprio cavallo al console Emilio Paolo mortalmente ferito nella battaglia di Canne. - V. Tito Livio lib. XXII cap. 26. Quadro ad olio in tela, lungo palmi cinque architettonici ro- mani, cioè metro 1,1 15; alto palmi quattro, cioè metro 0,892, SECONDA CLASSE M.Antonio copre il cadavere di Bruto con la propria veste di porpora dopo la battaglia di Filippi. - V. Plutarco , Vita di M. Antonio. Disegno in figura in foglio lungo tre palmi romani ^ o sia metro 0,6705 alto due palmi, o sia metro 0,126, non compreso il margine. SCULTURA.- PRIMA CLASSE Pallanle, che si congeda dal vecchio padre per andare a combattere contro Turno. - V. Virgilio, Eneide Uh. FUI- Varietà' 243 Grappo in tutto rilievo, in gesso o in terra cotta ^ dell'altez- za di tre palmi romani^ cioè metro 0,670, non compreso lo zoc- colo. \ SECONDA CLASSE Anchise si oppone a'preghi di Enea, di Creusa e di GIulo, che lo pressano a fuggirsi da Troia già presa da' nemici ed in fiamme. - V. Virgilio, Eneide lib. II. Bassorilievo in gesso o in terra cotta , lungo palmi romani cinque f cioè metro 1,1 1 5; alto palmi tre, cioè metro 0,670. ARCHITETTURA. PRIMA CLASSE Una dogana per il porto di un gran fiume navigabile, la cui sezione viva sia di metri 3oo. Questo edifizioavrà due prospetti principali. L'uno guarderà sul fiume; e l'altro avrà dinanzi una pubblica piazza di commercio- Il prospetto verso il fiume, o sia porlo, avrà grandiosi, ben disposti e simmetrici scali per discen- dere a tutt'agio nel piano dell'ultimo scalo presso il fiume me- desimo, sul bordo del quale s'intende che stiano in ormeggio i diversi bastimenti commerciali. Nel mezzo dell'edifizio , verso il prospetto del porto , s'innalzerà un faro di elevazione propor- zionata all'uso d'illuminare esso porto e tutti i ripiani degli sca- li, in uno de'quali sarà posto un fonte per comodo della mari- neria. Il prospello posteriore verso la piazza non dovrà essere mollo elevato dal piano della strada ; e solo avrà un podio né più né meno allo di un metro, il quale faciliti ai carri il carico e lo scarico delle merci. La distribuzione di tutto l'edificio sarà facile, e grandiosi saranno gli ambienti ed ì vani, pe' quali do- vranno passare le merci. Il gran corpo de'magazzini, comuni- canti l'un l'altro , avrà due soli accessi muniti di cancellale di ferro. Il resto degli ambienti del pianterreno sarà accessibile a tutti per mezzo di portici o di allri modi di comunicazione. // progetto sarà dimostrato dà sei tavole: cioè due prospetti. 514 Varietà^ l'uno verso il porlo , V nitro verso la piazza , una sezione , tlue piante od una tavola di dettagli: usando fogli lunghi palmi 3 Qfi'^t cioè metro o,84q; hrghi palmi 2 jfilx cioè n\etro 0,576 SECONDA CLASSE La porta di ima ciltà capitale. La preceda una piazza ©ste- rìor», e la segna un'altra piazza maggiore nell'interno della cit- tà. Questa porta dovrà immaginarsi dì uao stil semplice o col carattere delle antiche. Sarà unita alle mura di recinto, e adat- tata anche alle cautele dì difesa dei nostri tempi; ed avrà ì co- modi inoltre pel passaggio de'pedoni separato da quello de'carri, e per la dimora delle guardie e dei ii^inistrì della finanza. Si prescrive si\prallulto di non eccedere nell'occupare i^i^'area pit^ vasta del bisogno,. //4 cinqua fogli si disugnej'à la pianta con la semplice indi- cazione della configurazione delle due piazze, il prospetto o pro~ .spetti (htla porta, le sezioni per lungo e per traverso co'relativi dettagli principali della fabbrica. I fogli avranno la stessa di^ measione di quelli prescritti per la prima classa. QHDINE DEL CONCORSO. Il giamo della solenne distribuzione de'premì,da farsi nella grande aula capitolina, sarà stabilito dall'Emo e Rmo Sig. Car- dinal Can^erleugo della Santa Romana Chiesa , pro^qttore dell' accademia. Ogni artisita, di qualsiasi nazione , potrà fare esperiir^eoto del suo valore in quella clas?e, nella quale non abbia ollermlo mai premio In alcuno de'concorsi capitolini. Le opere saranno cousegnate al professore segretario perpe- tuo dell' accadcmis^ il giorno 7 di novembre ^83(). Ogni opeva da pvesentavsi al concorso avrà scrilta una epi- grafe, e sarà accompagnala da una lettera sigillata, che contenga il nome dell' autore e la patria , ed abbia al di fuori 1' epigrafe iiicdesimaj onde è notata l'opera. Varietà* 2/i5 Ne* giorni i^ e i4 ài esso mese i concorrenti saranno sotto- J)Oslì à pi'-ove estempot-urtee sopra temi cavati a sorte. Quéste prove , affinchè bastino a far conoscere se 1' opera presentata sia dell'autore che la presenta , consisteranno negli esperimenti che qui seguono : Per la pittura, rtella prima classe, si farà un bozzetto d'in- venzione nel primo giórno e nel termine di sei ore, alto un pal- mo e due once, cioè metro 0,^70: largo un palmo e mezzo, cioè metro o,535. Nel secondò giorno , entro il medesimo spazio di tèmpo, si dipingerà una mezza figura dal nudo ( nella misu- ra COSI detta di Sasso/errato ) a fine di avere la prova dell' ese- cuziótìè. Il medesimo , relativamente a' modelli , sì praticherà per la prima classe della scultura. Nella seconda classe poi della pittura si eseguirà un sogget- to in disegno: e nella seconda classe della scultura Un altro sog- getto in bassorilievo : e ciò nel primo giorno. Nel secondo gior- no si disegnerà da' pittori, e si modellerà dagli scultori una par- te dal vero. Nell'architettura, quelli che concorreranno alla prima clas- se dovranno nel primo giorno eseguire la pianta, l'elevazione e lo spaccato di un piccolo edifìcio, in fogli lunghi tre palmi e uu dodicesimo, cioè metro 0,688; larghi due palmi e cinque dodice- simi, cioè metro 0,539. I concorrenti alla seconda classe saranno sperimentati sopra un soggetto più facile , in fogli lunghi palmi due e dieci dodicesimi, cioè metro o,635; larghi palmi due e un dodicesimo, cioè metro o, 464- Nel secondo giorno essi concorrenti della prima classe fa- ranno una descrizione della fabbrica trattata estemporaneamente nel giorno innanzi: indicando il metodo di costruzione, e dando qualche dattaglio in grande di una parte di essa fabbrica. E cosi faranno in proporzione quelli della seconda classe. Le opere de' concorrenti con le rispettive prove saranno esposte al pubblico nelle sale accademiche per otto giorni, prima del giudizio dell'accademia; e per altri otto giorni , dopo esso giudizio. 246 V A R r K T a' L'accademia giudicherà le opere de' concorrenti inappella- Lilmente, ed in tutto secondo la disposizione del cap. IVde'suoi pontifìcii statuti. Le opere premiate rimarranno in proprietà dell'accademia, perchè sieno collocate nelle sue sale co'nomi degli autori. Il premio per le opere della prima classe della pittura, del- la scultura e dell'architettura, sarà una medaglia d' oro del va- lore di zecchini quaranta. Il premio per le opere delle seconde classi sarà una meda- glia d'oro del valore di zecchini venti. Dato in Roma dalle stanze accademiche questo di 6 di otto- bre i838. // Conte Palatino Cavalìer Presidente dell' Accademia ANTONIO SOLA' // Professore Segretario Perpetuo Salvatore Betti. e Ore Baroraet. Terni. Termonu-lic max. 1 mi». 1 tnat. ■2^°' 1 ''•5 18" 0 1 fu si- .> » 1 27 29 17 ser. » » a mal. 5 »9 ., ^'■• » M 7 25 23 i6 5 ser. » 3 0 20 mut. » i 7 i6 iS §''■ » )t 8 25 27 i5 5 ser. mal. 1» »> 9 20 » » 5 «7 '9 A'<- » >P 4 26 ,. „ ser. » 1» 9 20 mut. •> «> 7 '7 20 gi. »» » 5 25 26 >■> fcr. iiiul. 0 „ a ao » 0 7 17 5 21 ni- 27 li 6 23 5 21) iti 22 ser. mal. li 10 9 19 5 •9 •' » 0 6 20 21 267 » 1 1 0 »9 " » 4 16 " »> 6 22 25 lò 2,S 0 6 i8 mut. „ ,, 5 .7 5 ;./,V- . >• 21 5 2 2 5 i5 5 j ser. „ „ 6 16 5 1 mul. 37 n 8 '7 a5' (?'• ,, „ 3 20 21 7 ,, s;r. » „ 2 17 mut. „ 10 5 1^ ' 26 ^z. " 0 16 5 '9 i3 5 ..er. -i8 0 » i3 \inal. '» « 4 la 27 ó''- ,, „ ^j jS ly 0 1 1 ,in,il. >> »i ^ 1 i5 i5 — »> 4 3 21 21 6 i3 1 ser. 6 i 16 16 5 — ;2cr !(i- , 5 22 24 i5 i ser. »> n "" 1 18 1 mut. i« » 0 ' 19 ' ,"0 8>- ser. ») 2 1» >> 's 22 18 «7 5 24 5 17 mal. » j» 7 Iì5i i,'/. »> »> 0 28 19 .G .(» ;, 5' 1 ,er. >' 1 16 5 mwjuumimt.'jjiju 4^ 40 3a _9_ 9 27 MBLUIHmiMMW 'J^'H'». J./ 1 Vento Pioggia 0 moJ. SO loso 6 19 N q. SSO tti. 3 0 0 2 .. 24 SO ra. IO 9 i.i S q. 0 NE q. 0 S V. f. 6 „ m 5 SE „ 9 0 t. 9 i5 7_ 5 i3 9 I 12~ il 7 6 7 10 7 25 SO d. lenip.l.t. SE q. o S f. N d. I „ ni. temp. 1. t. „ fino. 2 25 O S ni. n d. o S V 0 . f. d. 0 S o f. d. ss'ó m. 0 o S 'd. 3 25 Evnpof. Sialo del Cit 5 5 6 3 5 5 jBSBSiaWeBSgaS Osservazioni Meteorolo§tche. )( Cotlegio Romano )( Jgo^to i833. 1 ó'- ]ier. mul. 3 S'- ser. aS"^ icr. nidi. iiuit. si- mal. scr. niiit. mal. 9 5'- icr. mal. IO 5" 46'r. mal. 1 1 SI. ier. nini. 1 2 si- scr. mal. l.ì è'- ser. mal. '4 g'- ser. • > ,, „ 0 „ I 7 i> .« 0 1 8 ^, 5 ,. ." 5 » ,. o m »i ## r, ». a ^ »i 5 j. >• 4 3 »> 0 i 7 ,j ,j 5 ,1 jt ò .. >, 7 ?> 1 *j " 0 il 7 » a 2 » " 7 3 ») » 6 >4 a3 a4 a4 5 a; i3 5 i(i 25 •9 _ iG 24 5 24 5 i5 5 16 5 24 16 5 »4 25 5 24 5 a6 5 25 5 i3 4 i3 5 i5 24 14 N. deb. S0.-« . Mod. 0 0 SO a. 0 0 0 m. 0 0 so » m. 0 0 SO 0 0 s 0 0 s. ni. so )> 0 0 0 0 f. 0 0 N "f. 1) „ ni. S 'd. „ q. 0 0 0 SO m. 0 0 N q. ! so OSO j SSO d. s „ Pioggia Evapor. 4 7 3 S 4 5 6 8 6 6 Sialo del Cielo cliiarissimo chiarissimo chiarissimo coperto vapor, ser. nu. sp. chiarissimo ser. nuv. sp. chiarissimo nuvoloso chiarissimo ,j vap. oriz. ), vap. Gru. fi nuvoloso chiarissimo fauvoloso vap. chiarissimo purissimo ser. nuv. sp. ,, nu. orìz. chiarissimo »7 18 »9 23 24 25 26 27 28 1,29 Ore ma'. ser. mot. gì- ser. mal. si- ser. mal. » ,, » 2 0 )» I 5 28 27 11 6 3 5 3 5 Termometro 25" 5 25 4 7 5 y 5 25 6 24 23 i5 i5 5 16 6 23 5 24 20 5 23 5 22 4 22 7 20 5 18 i5 5 i3 '4 iS 5 Igrom. Vento fioS6Ì=« 0 0 0 inod. 0 0 1» l« so m. 0 0 N d. S m. „ a. 0 0 NE a. N q.o li 2 00 0 0 S d. 0 0 0 5o o o so a. Il 3 11 7 i6 S forte SSE „ SSO^d." SO f. „ m. N q. o' SO a. N m. N d. NO m. N d. SO I' s N. d. OSO m. 0 0 „ „ SO d. s » N q. o O Tar. in. S q. o ~S^"f." SO il. S q. O I N a. I„ var. r. ,, V. fmo. 4"4 -lin 6 2 2 4 Stalo del Cie cliiarissimo coperto cbiariss. nu. sp. sol lu chialissimo nuTOloso iiu. sp. sol. Il copL-rlo piog. ab. 3 00 7 '5 3 5 nu. sp. coperto chiarissitno nuT. sp. cliiarissimo nuv. sp. coperto nuvoloso cliiaiissirao nuT. sol .Irai, cluiii ISS. 4 5 str. nuv. sp. cliiarissinto ser. nuv. orli nuv. sp. ctiiariss. „ p. nuv. 01 nuv. sp. nuvoloso „ sole trai m. nu. SI) nuvoloso ser. lUiv. »p, f ojirrlo NIHIL OBSTAT E Jacopini Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaonl O. P. S. P. A. Mag, IMPRIMATUR A. Piatti Patriarcha Antiochenus Vicesg. INDICE DELLE MATERIE Contenute nel voi. 22 6^ 227. SCIENZE Cheliiii,. Sagg.io di geometria analitica (continuazione). P**?' FuHvasoni, Cholera in Roma nel iSS^. „ Matteucci, Risposta al dott. Versari sul trattata dello scuibuto del dott. Sor- gom. cp LETTERATURA Biondi, Traduzione di Tibullo. Bi-uni,^ Memorie sulla vita e sulle opere di Tibullo. Tributo di lodi al card. Mezzofanti. Montalti, Elegia per la promozione del card. Mezzofanti. Montanari, Biografìa di Antonio Barbari, |t|| Moricliini> Notizie della vita di Michele • • Gigli. Cap-ozzi, Alcuni versi. Storie e ritratti d'uomini utili benefat- tori dell'umanità. Montanari , Discorso per distribuzione di premi a Pesaro. Varietà. Tavole meteorologiche, i |»#§»l ^^^°°^^^°°y***^"'y'°''°^''°T"°^^*''°T°i'i if II GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 228. ROMA KELLA STAMPERIA DELLE BELLE ARTI 1838. 257 SCIENZE Saggio di geoìuettia analitica trattata con nuovo metodo. {Continuazione e fine) Sezioni piane delle superfìcie di second' ordine. T ' 75. JLi equazione fondamentale (A) sia fra le coor- dinate principali, e pero della forma Kx^ -H B/^ -+- Cz^ — 2k!'x — D = o. Le tracce che un piano secante fa ne' piani coor- dinati xy , jz ^ zx ^ abbiano rispettivamente le direzioni //», wV, ni'. Si prendano le prime due di tali tracce per nuovi assi (a:'), (^ *). Nella trasfor- mata (A)', si avrà P = A/^ -H BmS P' = Bm'^ -j- Cn\ Q" = Bm/»' , essendo d'altronde 1 = /^-t-w2 = m2H- n^, cos'x'j = mml. Affinchè la linea che il piano secante xy inci- de nella superficie (A), poSsa riuscir parabola, o elisse, o iperbola, conviene che l'espressione pp' ^ Q''2 = AB/^Tw'^ -f- BGw==n'2 -H CA/z'^/% risulti (§. 40. ^») = , > , < o. Ciò posto, esaminiamo di quale specie di sezio- ni,è suscettibile ciascuna superficie di second'ordine. 1. Se sia 1.° o=A=B; 2." o=A, o< B; 3.° o=.A, o - G ; la quantità PP' — Q'^" non potrà riu- scire in corrispondenza che 1.° = o; 2.° = o, > o; 3.° = o, < o. G. A. T.LXXVl. 17 258 Scienze Dunque delle paraboloidi, la cilindrica ammette sol- tanto sezioni paraboliche e loro varietà; la ellittica sezioni paraboliche , ellittiche e loro varietà; la iperbolica sezioni paraboliche , iperboliche e loro varietà. IL Se sia 1.° o < A, B, G ; 2.^ o < A, B, > G ; 3." o < A, > B, G; la quantità PF— Q"^ potrà riu- scire in corrispondenza 1.° soltanto > o; 2.° e 3.° = , >, < o. Dunque una sezione fatta da un piano nelV ellissoide è sempre un'ellisse; fatta nella iperboloide a una o a due falde, od in un cono^ può essere una linea qualunque di second'ordine. Teor. Se una superficie di second'ordine, pene- trando in un'altra dello stess'ordine, v'incide nell' ingresso una linea piana; anche nell'uscirne (se ab- bia luogo l'uscita ) v'inciderà una linea piana: va- le a dire, se la linea d'ingresso è piana, lo sarà pu- re la linea d'uscita. Dim. Prendiamo gli assi (x), {y) nel piano del- la linea d'ingresso; e l'equazion di questa linea co- mune ad embedue le superficie, sia Ax= H- B/^ ■+■ 2Cjcj — 2 (M'x -h B'>) — D = o. Ciò posto, l'equazioni dell'una e dell'altra superfi- cie, riducendosi a questa per 2=:0, non differiran- no tra loro che pe'termini in z, e però la loro dif- ferenza si potrà presentare sotto la forma z {Lx -I- Mj H- Nz — F) = o. Quest' equazione , dovendo coesistere colle prime due, rappresenta una superficie che ha comuni con le prime due le linee d'ingresso e d'uscita. Ora essa rappresenta i due piani z=o, hx ■+■ My ■+- Ns = F, il primo de'quali xj- contiene la linea d'ingresso: dunque il secondo conterrà la linea d'uscita. Geometria, analitica 259 Cosi, se una sfera entra per una linea piana , le linee d'ingresso e d'uscita sai'anno due circonfe- renze, essendoché nella sfera tutte le sezioni piane sono circoli. Se risultasse \P o=;L= M = N; il piano del- la linea d'uscita sarebbe a una distanza infinita, cioè non esisterebbe; 2.'' o = L==:M=F; il piano N2= o della linea di uscita, verrebbe a coincidere col pia- no della linea d'ingresso, e però le due linee si con- fonderebbero in una linea unica di contatto. a) Vediamo adesso, se le superficie suscettibili di sezioni ellittiche, lo siano pure di sezioni circo- lari. Affinchè la sezione sia circolare, fa d'uopo che risulti ( §• 26 e ) P = P', Q' = P cos'x'j\ cioè 2.^ Bmm = {Al^ ■+- Bm^) mm' . Balla 2.^ si ricava miri (A — B )/^ = o, la quale, supposte A, B, C disposte in ordine di grandezza, cioè A <^B *, » tt, il coefficiente di x^ sarà positivo o negativo insieme con sen{a-{-0)' Pertanto secondochè riesca sen{a.-{-7t) =, >, <; o, ossia « 4- 5 =, <, > ;t , la sezione conica {a) sarà parabola, ellisse, iperbo- Geometria analitica 203 la. Si vede poi che si avranno le variela di coleste curve, allorché il piano secante passa pel vertice del cono. In generale, una sezione piana nel cono è o parabola, o ellisse, o iperbola, secondochè il pia- no condotto pel vertice del cono parallelamente alla sezione, tocca il cono, o è fuori del cono, o penetra nel cono. senO(.sen{à.-+-B) Se risultasse = 1 ( condizione verificata da a = A, =n — A — 5), e se oltre di es- sere {x) perpendicolare alla traccia (7'), il piano zx fosse principale, cioè perpendicolare al piano xj , e però ad {j')-^ allora l'equazione fra coordinate ret- tangolari rappresenterebbe un circolo. Cosi avre- mo nel cono le due maniere di sezioni circolari , quando il piano secante è perpendicolare al piano principale z.y, e declina da (2) coll'angolo A, oppu- re ;r — A — 0. Se il cono è retto, si ha A = ^ ;r — è ^» ^ P*^*'^ senK = cos ^e = sen (A H- 5) ; ed {a) si muta in seno.sen («-I-5) sellasene Sia $ = o, cioè il cono si apra in un cilindro : una sezione piana del medesimo non potrà essere che, o un sistema di due rette parallele, o un'ellisse, o un circolo. e) Nota. I. Immaginiamo il cono protratto in- definitamente dall'una e dall'altra parte del verti- ce o centro: data l'equazione generale del cono ri- x^ y^ z^ ferito a tre assi coniuarati, cioè — -H 7-* — -< = 0 (§. 67), il piano che tocca il cono nel punto Imn^ o, a dir meglio, secondo la direzione Inm^ sarà (§.T2 d) 264 Scienze ^ l m n o = K = — x -H r-'j — — 2 ; «2 ^2 ^2 e la direzione Imn^ come contenuta nel cono, ren- derà o==P = — H---. — — . ^2 ^3 ^2 Quando è dato il punto xyz^ da cui si debbe con- durre il piano tangente, converrà determinare Imn per mezzo di P = o, A = o. Così nel cono, i piani asintotici coincidono co'piani tangenti, essendo rap- presentati dalle stesse equazioni (§. 72 d), II. Gli asintoti delle sezioni iperboliche coniu- gate ad uno stesso diametro, essendo rispettivamen- te paralleli, giacciono in due piani che s'interseca- no lungo tale diametro, e toccano il cono lungo due rette, parallele a'medesimi asintoti. III. Ogni piano, che passando pel vertice è fuo- ri del cono o penetra nel cono, è diametrale, es- sendo parallelo a sezioni ellittiche od iperboliche (§. 73 a 3); mentre ogni piano tangente al cono, è parallelo a sezioni paraboliche. IV. Ogni retta , condotta pel vertice del co- no al di (jua o al di la della superficie di lui, è un diametro (§. 72 g-) , il quale , se è interno al cono , sarà necessariamente coniugato a sezioni el- littiche; e se esterno, a sezioni iperboliche, V. Supposti gli assi (x), {y\ (z), principali, facciamo s = e: de'raggi che dal vertice del cono x^ y"^ vanno al contorno della ellisse — H- ,^= 1 ( raggi i quali, considerati due a due, comprendono gli an- goli di ogni sistema possibile di asintoti coniugati), j pili lunghi e divergenti col massimo angolo sono quelli che vanno ai punti estremi del maggior asse Geometria analitica 265 2a, e i più brevi e divergenti col minimo angolo so- no quelli che vanno agli estremi del minor asse 2b. Ciò posto, immaginiamo una sfera che abbia per centro il vertice del cono, e per raggio quello che si reca ad un estremo di 2«, o di 2b: la curva incisa nel cono da celesta sfera dovrà presentare evidentemente due punti singolari agli estremi del- l'asse 2rt, o 2Z», e così manifestare la direzione di tale asse. In generale poiché le sezioni ellittiche coniugate all'asse principale (2) del cono, hanno i loro assi paralleli, si vede che qualunque sia il rag- gio di tale sfera, la curva da essa incisa sopra cia- scuna falda del cono offrirà sempre quattro punti singolari, due situati alla massima, e due alla mi- nima distanza dal vertice. Da qui il metodo di de- terminare graficamente gli assi principali del cono. SUPERFICIE SENZA CENTRO considerate rispetto alla formai piani diametrali, e criterii. 76. Paraboloide cilindrica. La paraboloide ci- lindrica — = — , è generata da una retta che si C a muove parallelamente all'asse (/), radendo la para- , , 22 2x boia r = o, -^ = — . c^ a Affinchè l'equazione (A) ridotta alla forma (A)', possa rappresentare una paraboloide cilindrica, fa di mestieri che risultino identiche le tre condi- zioni (§. 72 h) o=A/-+-B«-4-C'/w,o=B/»-HC'/-f-A'w,Q=C»H-A'w-HB7. 266 Scienze Infatti, poiché ogni sezione piana nella nostra su- perficie, è parabola o sua varietà (§. 75), è evidente che il nuovo asse (x) si può prendere secondo qua- lunque direzione Imn nel piano coniugato a (z): l in dunque uno de'rapporti -^ , -h , debbe risultare af- n n fatto arbitrario. E onde ciò si avveri , è necessario che le tre precedenti condizioni si riducano ad una sola, ossìa che le quantità /, w, n vi abbiano coeffi- cienti rispettivamente proporzionali. Se /, in, n si riguardassero come coordinate correnti, coteste tre equazioni dovrebbero rappresentare un medesimo piano, parallelo al piano coniugato a {z). Si avrà pertanto A : B' : C : : C : A' : B : : B' : G : A', la quale proporzionalità si risolve nelle due se- guenti terne di equazioni simmetriche A' = i/^BG , B' = i/^GA , Q = i/^AB ; B'G' G'A' A'B' A ' B' a e però annulla i due ultimi termini dell'equazione {p). Affinchè poi queste relazioni non siano assur- de, conviene 1.° che le A, B, G abbiano lo stesso segno : noi le supporremo positive ; 2.*^ che le A^ B , G' siano o tutte e tre positive, o due negati- ve : esse fissano il segno de'radicali, Giò posto, l'equazione generale (A) della para- boloide cilindrica è (1 ) (xl/'A-Hjl/'BH-sl/'G)^'— 2(A"xH-B>-f-a's)— D=o; e l'equazione R" = o del piano diametrale si ridu- ce a (§. 44) ^_ A'/" -+- Wm' -4- C"n x\^k -h/l^B -f- zl/^G = -— ^=q. Geometria, analitica 267 e dimostra die, qualunque sia la direzione l"m"n\ i piani diametrali sono paralleli tra loro (§. 59 2°). a) La parabola cilindrica può considerarsi co- me generata dalla intersezione de'due piani (2) xi/-A-f-7l/^B-j-3i^C=g^, A' x4-B>-f-G''s — . g:'A-', mobili in guisa che loro distanze A", k' dalla origine O (fig.T), verifichino la (1), ossia la g-k^ — .2g^A-D=o, Nel piano (A, A') perpendicolare ai piani (2), pren- diamo (a partire dalla origine) due nuovi assi (x), (z): ripetendo il discorso del §. 44 {b. nota)., la (1) si trasformerà in z^ = ^x , donde si passera g^seivgg /is S67VSS alla z^ = ~ -X fra gli assi (j?) , {z) princi- pali (§. 44 e 2.°). L'asse (j') è la intersezione dei piani (2), allorché si fa gk = q, g'k' = ^ {q^ — D). Degli assi principali, l'uno è parallelo alla ret- ta generatrice (2), V altro perpendicolare ai piani diametrali, e il terzo è perpendicolare ai primi due. Se i piani (2) siano paralleli, cioè se abbiasi l/'A : l/'B : KG:: A" : B":G", l'equazione (1) (§.44 b) rappresenterà un sistema di due piani paralleli., reali o immaginar ii^ distinti o coincidenti , secon- dochè abbiasi A'^ -H AD !>• , <:^ , =0. TT. Paraboloide ellittica. Dall'equazione h" c^ a si deduce \.^ Che allo svanire successivo di ciascuna coordinata 07,^,2, corrispondono ne'piani X,,Yi, Zi , . , 2c^x 2b-^x le tracce (^- = 0,2; = o), 22= , y^ -.=^ . , 268 Scienze cioè un punto nel primo piano, e tracce paraboli- che negli altri due, descritte intorno ad un medesi- mo diametro (x). 2.° Che ad ogni valore di x corrisponde una sezione ellittica parallela al piano X, , la quale per jc negativa è immaginaria; per x = o jutlla, e però il piano che nasce ivi dal suo prolungamento è tangente (§. 71 e) ; ed in seguito cresce continua insieme con jc positiva. Si noti che i quadrati dei diametri omologhi delle sezioni ellittiche parallele, sono proporzionali siìVascissa x. Quindi, poiché le aree simili, cioè della stessa forma (*), sono pro- porzionali a'quadrati delle linee omologhe; ne con- chiuderemo che nella paraboloide ellittica le sezio- ni coniugate ad un diametro (x), sono proporzio- nali all'ascissa x ; e che però tale superficie può supporsi generata da un'ellisse di forma costante, che movendosi parallelamente a se medesima, varia in proporzione dell'ascissa descritta dal suo centro , e diviene immaginaria quando quest'ascissa si fa ne- gativa. S.*' Che ad ogni valore di ^ o di z corrisponde parallela al piano Y, , o Zi , una sezione parabo- lica di parametro costante. Pertanto immaginiamo due parabole intorno ad un medesimo diametro (x), disposte in modo , che i loro piani incidano nel piano di un' ellisse due diametri coniugati. Ferma tale immagine, sup- poniamo che cotesta ellisse si muova parallelamen- te a se stessa, radendo co'vertici de'due diametri con- iugati i corrispondenti contorni delle due parabole; oppure che una delle due parabole si muova paral- lelamente a se stessa, radendo sempre col medesimo (*) (Vedi la nota in fine ). GEbMl.TRlA ANALITICA. 269 punto il contorno tlell'altra : nell'uno e nell* altro caso la superficie generata sarà la medesima para- boloide ellittica. Nota. Sulla nostra superficie non si può appli- care alcuna retta, come risulta dall'esame delle no- te condizioni (§. 72 d nota). 78. Paraboloide iperbolica. Dall'equazione. (2) ?f=^'_!:=(^-i)(fH-|), e b^ c^ b e b e si deduce \.° Che allo svanire successivo di ciascuna coor- dinata X, Y^ z, corrispondono ne'piani X^ Yi , Z, » r z -2c2 2Z>2 le tracce 7^ = zt — , z^ __ ^ ^ yi ,^ x , bea et cioè due rette incrociate nel primo piano ; e tracce paraboliche negli altri due, cosi disposte che il dia- metro positivo dell'una, è il negativo dell'altra. 2.*^ Che a due valori eguali di x^ ma di segno contrario, corrispondono parallele al piano Xi due sezioni iperboliche coniugate fra loro (§. 55 e). Per j: = o, la sezione iperbolica diventa un piano, che tocca la superficie lungo due rette incrociate nel- rorigine.Ova, senz'alterare la forma (2), si può pren- dere per origine un punto qualunque delle tracce paraboliche ne'piani Yi, Zr. dunque da ogni punto di queste tracce si possono applicare sopra la super- ficie due rette, coniugate al diametro che passa per siffatto punto. Inoltre, collo stesso discorso che nel- la paraboloide ellittica, possiamo stabilire che nella paraboloide iperbolica le sezioni coniugate ad un diametro (x) sono proporzionali all' ascissa x i e che però cotesla superficie può supporsi generata da una iperI>ola di forma costante, la quale movendosi 270 Scienze parallelamente a se medesima, varia in proporziotl dell'ascissa x descritta dal suo centro. Ed è a notar- si che quando tale ascissa si attenua, svanisce, e pas- sa allo stato negativo, anche l'iperbola generatrice si attenua, svanisce, ed in seguito torna ad esistere in uno stato coniugato al precedente, inserendo le sue branche in angoli asintotici supplementarii a quelli di prima ; e che gli asintoti delle sezioni con- iugate ad un medesimo diametro della superficie, es- sendo rispettivamente paralleli^ sono in due piani che s'intersecano lungo tale diametro, e incidono nella superficie due rette, parallele a'medesimi asin- toti : dunque per ogni diametro della superficie si possono condurre due piani asintotici. 3.° Che ai diversi valori ài y o di ;g corrispon- dono due sistemi di sezioni paraboliche costanti « cosi disposte, che il diametro positivo della sezione di un sistema, è il negativo di una sezione dell'altro sistema. Immaginiamo adunque due parabole dispo- ste in modo, che il diametro positivo dell'una sia il negativo dell'altra, e che i loro piani incidano nel piano di una iperbola due diametri coniugati. Fer- ma tale immagine, supponiamo che cotesta iperbo- la (serbando costante la forma) si muova parallela- mente a se stessa, radendo co'verticì del diametro trasverso il contorno della corrispondente parabola; oppure che una delle due parabole si muova paral- lamente a se stessa, radendo sempre col medesimo punto il contorno dell' altra. Nell'uno e nell'altro caso, la superficie generata sarà la medesima ^oara^o- loide iperbolica. A.° Che siffatta superficie è una conoide (§.69). Infatti (designando per s, t due numeri variabili) ella può esser generata evidentemente da ciascuna GOEMETRIA ANALITICA 271 delle due rette seguenti oc oca Q- Z,^^==t, tif-r )=— ; oc oca le quali s'incontrano in ogni loro posizione ; essen- doché la condizione di tale incontro si riduce a ciò, ..7" 2 r z che 1 binomii --' — -^ i^ 4, — , possano avere per h e h c^ entrambe le generatrici uno stesso valore, e que- cist sta condizione si riduce a ^ = — . Inoltre la 1.^ di 2 esse si muove parallelamente al piano direttore j _ := 0, e la 2.^ al piano direttore -^ -f-— • =0; PC b e piani che s'intersecano lungo il diametro (x). Con- chiudiamo pertanto, che la paraboloide iperbolica è una conoide a due direttrici rettilinee. 79. Affinchè l'equazione (A), ridotta alla forma (A')» possa rappresentare una paraboloide ellittica od iperbolica, fa duopo che una delle tre condizio- ni (§. 72 h) o=A/-HB«-t-Cw,o=B/wH-C7-HA'«,o==Cn-l-A'/7ZH-B7, sia conseguenza necessaria delle altre due. Infatti la direzione limi, essendo quella del nuovo asse (x'), intersezione de'piani diametrali Y'i, Z'i, è geometricamente determinata. Ora a determi- , , , . 1. • . l ni narla algebricamente mediante 1 rapporti •—,'-' , *^'- m n bastano due delle tre precedenti equazioni; dunque una di esse debb'essere contenuta nelle altre due. Quindi, se /, w, n si riguardano come coordi- 272 S e I E N z fi nate correnti; coleste tre equazioni dovranilo rari* presentare tre piani, che partendo tutti e tre dall* origine, s'intersechino lungo una medesima linea. Ma perchè le intersezioni del terzo di tali piani col secondo e col primo, somministrate da (§. 56 VI) l m n BG — A'- ^ A'B' — ce ^ C'A' — BB' ' / m n AB — ce ^ BA' — B'-"" B'C — AA'' coincidano; si richiede che sia (§. 58 IV) BG- A=: A B'-CG':G'A'-BB s A'B'-GG':GA-B'-=B'C'-A A'; e queste proporzioni (eguagliando i prodotti de'me- dii e degli estremi) si trovano tutte verificate dalla condizione unica U = o. Riteniamo adunque, che la direzione Imn de'diametri è costante, ossia che nelle paraboloide ellittiche ed iperboliche i diametri sono tutti paralleli. E se osserviamo che la paraboloide ellittica non è suscettibile di sezioni iperboliche, ne di se- zioni ellittiche la paraboloide iperbolica (§. 75) , e che la natura delle sezioni fatte dai piani coordinati dipende da'tre binomii AB— A'% GA — ^B'^; AB — C'= ; ne conchiuderemo che ciascuno de'medesimi bino- mii non può risultare negativo per la prima super- ficie (§. 72 a 40 Z»), ne positivo per la seconda. Per- tanto la paraboloide sarà ellittica od iperbolica, se- condochè con U= o, uno qualunque de* tre binomii BG — A'% GA — B'% AB — C's risulti positivo (§. 74 a nota), a negativo', mentre sa- rebbe cilindrica se ciascheduno di essi svanisse con U = o (§. 76). Si avranno poi le varietà della paraboloide el- littica od iperbolica , cioè il cilindro ellittico od Geometria analitica 273 iperbolico allorché risulti (§. 73) R= A'7 -h B"rn -h Cri = o, ossia (BC— A'-)AV.(GC— A'B'}B'MBB'^C'A')G"=o; e però, allorché l'espressioni che danno le coordina- te del centro,si riducono a ~i . In questo caso delle tre equazioni A"=Aa-h]3'74-C'/3,B"=B/3H-C'a-f-A'7,G"=C7-HA'/$-HB'a, tra le coordinate «, /3, y del centro, ciascuna sarà conseguenza delle altre due; dovendo esse rappre- sentare, non un punto, nia Yasse centrale (o di sim- metria) del cilindro ellittico od iperbolico. Così una delle coordinate «, /3, 7, è affatto arbitraria: facen- do y = o, le prime due equazioni forniscono BA'^C'B" ^ AB" — GA" . ^. « = » P = — , ,— , e quindi AB — e^ ' ^ AB — G'^ ' ^ BA^'^-f-AB^^'— 2A"B''G' S = D -i- A « -i- B'/3 = D-^- — AB -^ Q'^ Fermo ciò, 1.° la paraboloide ellittica diverrà un cilindro ellittico, reale o immaginario, od fina retta, secondoc/iè risulti S >, < , = o ; 2° la pa- raboloide iperbolica diverrà un cilindro iperbolico, o due piani che s'intersecano , secondochè S risulti (liversa da zero od eguale a zero . SUPERFICIE CON CENTRO considerate rispetto alla forma, piani diametrali^ priterii e raggi principali. SO. Ellissoide. Dall'equazione (1) — -1- r -+--" =1 j tlonde 7- -+- ^=-^ (a-jr?)(a-f-x), ^ a^ b^ c^ b^ e" a^ si deduce immediatamente G.A.T.LXXVI. 18 274 Scienze 1° Che allo svanire successivo di ciascuna co- ordinata X, 7, 2, corrispondono ne'piani X,, Yj, Z, tracce ellittiche; e che gli assi (x), (^), (s) attra- versano la superficie ne'punti (=ba, o, o), (o, dti^, o), (0, o, =1= e), situati su ciascun asse ad egual distan- za dal centro. 2.° Che a due valori uguali di a?, ma di segno contrario, corrispondono parallele al piano Xi due sezioni ellittiche coincidibili, le quali, se jc si al- lunga al di la de'limili -+- a, — a, sono immagina- rie; per o} = Ttz a svaniscono e però prolungate di- vengono/?/««« tangenti f§. TI e); in seguilo, a misu- ra che X dentro questi limiti si accorcia verso il centro, crescono, e nel centro si confondono insie- me, salite alla massima grandezza — -f- — . =1. Si Z;^ c^ può ripetere lo stesso discorso, dopo di avere al- ternato X, a con j^, b, e con z, e. Dunque la ellis- soide, luogo geometrico dell' equazione (1), è una superficie rientrante, circoscritta dal parallelepipe- do costruito sopra i segmenti 2rt, 2b, 2c degli assi, presi per diametri coniugati del parallelepipedo. Immaginiamo tre ellissi cosi disposte, che due diametri coniugati dell'una siano rispettivamente comuni alle altre due. Ferma tale immagine, sup- poniamo che una di coteste ellissi si muova paral- lelamente a se stessa, radendo i conforni delle altre due co'vertici de'suoi diametri coniugati: la super- ficie COSI generata sarà, per ciò che precede, una el- lissoide. Si noti che le sezioni coniugate ad un diame- tro (x), sono proporzionali ai corrispondenti pro- dotti (.r — a){x-i-a) delle ascisse naturali (§. 39 b 4.°)i Geomktria analitica 2Y5 e che sulla nostra superficie noa si può applicare alcuna retta t» (§. 72 d nota). 81. Iperboloide ad una falda. Dall'equazione <'^ a--^i--?=^' '^"'"'^ a-^- =?(' -^z- >• b^ c* a^ b e o e a a si deduce immediatamente 1.° Che allo svanire successivo di ciascuna co- ordinata x,j, z, corrispondono ne'piani Xi, Yj, Zj le tracce r- — — =1, — ^=1 , H p = 1 , cioè iperbole ne'primì due, ed ellisse nel!' ultimo; e che gli assi (x), (jr)« (2) attraversano la superficie ne'punti (zt:a, o, o), (o, rt ^, o), (o, o, dr ci/" — 1) , situati su ciascun asse ad egual distanza dal centro. 2.° Che a due valori eguali di z, ma di segno contrario, corrispondono parallele al piano Zi due sezioni ellittiche coincidibili, le quali crescono e diminuiscono continue insieme con z, e però colla loro distanza dal centro; e nel centro, discese alla minima loro grandezza, si confondono colla ellisse x^ j^ . , centrale — -j- — < = 1. Inoltre, a misura che z pro- a^ b^ ^ gredisce verso l'infinito, tali sezioni ellittiche ten- dono (siccome a limite proprio ed unico) a coinci- dere con le corrispondenti e simili sezioni del cono x^ r» -2 centrale — 4- — =: — (^. 67), di cui per altro so- a^ b- c^^^ ^ no sempre alquanto piii estese. Quindi siffatto co- no centrale è interno alla nostra superficie, ed asin" tutico della medesima. 276 Scienze 3.° Che a due valori eguali di a?, ma di segno contrario, corrispondono parallele al piano Xi, due sezioni iperboliche coincidibili, varianti in propor- zione col prodotto delle ascisse naturali; le quali per x = =ba, si trasformano in piani che toccano la su- perficie lungo due rette incrociate agli estremi del diametro 2a-^ e allorché x si allunga al di la deci- miti ( — . «, -f_ «), passano ad uno stato coniugato al precedente, e simile allo stato delle corrispondenti sezioni (— — . — = — ) del cono asmtotico. E lo stesso discorso ha luogo rispetto a'diversi valori di j. Si vede poi in generale, che le sezioni della no- stra iperboloide coniugate ad un diametro, sono parallele alle sezioni del cono asintotico coniuga- te allo stesso diametro , e tutte simili fra loro se ellittiche, e simili fra loro o coniugate se iperboli- che, e viceversa; che per conseguente i piani asinto- tici del cono, lo sono pure della iperboloide (d'al- tronde sono essi rappresentati dalle stesse equazio- ni); che infine la superficie del cono asintotico, è il limite di separazione tra Io spazio interno ove so- no contenuti tutti i diametri immaginarii della no- stra iperboloide, e lo spazio esterno ove ne sono contenuti tutti i diametri trasversi. Immaginiamo due iperbole descritte intorno ad uno stesso diametro immaginario, e cosi, che i loro diametri trasversi (coniugati all'immaginario) siano diametri coniugati di una ellisse. Ferma tale immagine, supponiamo che la ellisse si muova pa- rallelamente a se medesima, radendo co'vertici de' suoi diametri i contorni delle due iperbole; oppu- re che una di queste iperbole, serbando costante Ju forma, si muova parallelamente a se stessa ra-» GOEMETRIA ANALltlCA 277 tlendo co'vertici del suo diametro trasverso, prima il contorno della ellisse, e poscia, passata da zero in uno stato coniugato al precedente, il contorno dell'altra iperbola. Nell'uno e nell'altro caso la su- perficie generata, sarà, perciò che precede, la me- desima iperboloide ad una falda. U.^ Che, designando per s^ t due numeri varia- bili, ella può esser generata da ciascuna delle due rette seguenti oc a b e s a b e a b e t a le quali s'incontrano in ogni loro posizione, essen- doché la condizione di tale incontro si riduce a ciò, , . , . .. y z ar±: X che 1 hmomii >—=!:::>—, possano avere per b e a entrambe le generatrici uno stesso valore; e questa condizione si riduce a determinare x mediante la proporzione a — x '. a -{- x '. : t : s. E si avverta che coleste generatrici sono parallele alle corrispon- 1 . . . , , x-" y- z^ denti generatrici del cono — ' -H n ". =o> ^'''^ ° a^ b^ c^ alle rette j z X oc a y^,2 X y b e a b e che però considerate in tre loro posizioni diver- se, sia l'una, sia l'altra, non sono mai parallele ad un piano; giacche il cono, come non può esser tra- forato da una retta in più di due punti (§. 71 r/ , r Z 1 b c s X a z \ X h .— = — — — < e t a 278 Scienze cosi non pwò aver comuni con un piano più di due rette. Dunque la iperboloide ad una faldate una su- perfìcie rigata a tre direttrici rettilinee, parallele agli spigoli di un angolo triedro (§. 68 a). 82. Iperboloide a due falde. DalTequazione (3) — — r- = 1 , donde a^ b^ c^ y^ z^ x^ a^ i b^ c^ a^"^ x^^ a^ ^^ si deduce immediatamente 1." Che allo svanire successivo di ciascuna co- ordinata JCfj, z, corrispondono ne'piani X,, Y,, Zi jr^ Z^ X^ Z^ X"^ J^ le tracce — h • == — 1, — — —==1, — — -^ ='1, b^ c^ a" c^ a^ b^ cioè una ellisse immaginaria nel primo, ed iper- bole negli ultimi due; e che gli assi (j?j, (j^), (2) attraversano la superficie ne' punti (dba, o, o) , (o, dr Z/K ^ — 1), (o, o, d= c^/^ — 1), situati su ciascun' asse ad egual distanza dal centro. 2." Che a due valori eguali di x -, ma di se- gno contrario, corrispondono parallele al piano X^ due sezioni ellittiche coincidibili, le quali, mentre variano proporzionalmente ai prodotti delle ascis- se naturali, se x si abbrevia dentro i limiti (-f-a, -a) sono immaginarie'^ per a- = :±: a, s'vaniscono, e però prolungale si trasformano ivi in piani tangenti^ ed in seguito, al di la di questi limiti crescono conti- nuamente insieme con a?, e a misura che progre- discono verso l'infinito, tendono (siccome a limite proprio ed unico) a coincidere colle corrisponden- J'2 5- X^ ti e simili sezioni del cono centrale 7- -4- — = "r 1 Z>^ c^ a^ Geometria analitica 2T9 dì cui per altro sono sempre alquanto meno estese. Quindi siffatto cono centrale è esterno alla nostra superficie, ed asintotico della medesima. 3.0 Che a due valori eguali di j, ma dì segno contrario, corrispondono parallele al piano Yi due sezioni iperboliclie coincidibili, le quali per r=o, sono minime'^ ed in seguito crescono continue in- sieme con x^ serbando costante la forma, e simile a quella delle corrispondenti sezioni del cono asin- totico. Si può ripetere lo stesso discorso, alternata jr con z. Si vede poi in generale, che le sezioni del- la nostra iperboloide coniugate ad un diametro, so- no parallele e simili alle sezioni del cono asintoti- co coniugate allo stesso diametro, e viceversa; che per consr':^uente i piani asintotici di tale cono, lo sono pure della iperboloide (d' altronde sono essi rappresentati dalle stesse equazioni); che infine la superficie del cono asintotico è limite di separa- zione tra lo spazio interno, ove sono contenuti tutti i diametri trasversi della iperboloide, e lo spazio esterno, ove ne sono contenuti tutti i diametri im- maginari i. Immaginiamo due iperbole descritte intorno ad uno stesso diametro trasverso, e cos'i che i loro dia- metri immaginarii (coniugati al trasverso) siano dia- metri coniugati di una ellisse. Ferma tale imma- gine, supponiamo che la ellisse si muova paralle- lamente a se medesima radendo co'vertici de'suoi diametri i contorni delle due iperbole; oppure che una di queste iperbole, serbando costante la for- ma, si muova parallelamente a se slessa radendo co' vertici del suo diametro trasverso il contorno dell'altra iperbola: nell'uno e nell'altro caso la su- perficie generata, sarà, perciò che precede, la me- 280 Scienze desidia iperboloide a due falde, sulla quale noil Si può applicare alcuna retta (§. 72 d noia). 83. Criterii delle superficie con centro. 1." Os- séi'viamo primieramente che per la ellissoide, la quale non è suscettibiltì che di sezioni ellittiche, ciascuno de^binomii BG — ^A'^, CA — i B'^, AB — C^, debbe risultare positivo; e che (supponendo A, B, C positive) debbono inoltre risultare positive le ra- dici dell'equazione {p) {% 1 h- d nota). Ora queste condizioni si riducono, com' è noto («w), alle due AB — C'='>o, U>o. J?oste queste due condizioni, la ellissoide sarà reale^ un punto, immaginaria, secondochè («/S*/ è il centro) S = D -H A''« 4- B"/3 ^ G"7, risulti >-, =, <; o. 2.° Assegnato il criterio della ellissoide, sup- poniamo che le radici P, P', P" di {p) non siano dello stesso ségno, e che U i=^ PP'P" risulti << o; oppure U>.o, ma x4.B— G'^ non >'0: converrà evi- dentemente a quest*uopo, che l'equazione {p) abbia nel primo caso negativa linci delle tre radici P,P,P , e le altre due positive ; e una positiva e le altre due negative nel secondo caso. Quindi il criterio della iperboloide ad una o a due falde, sarà U ■ o , AB — D'2 non >» o , e r±r S >* o , ove il segno superiore è relativo alla iperboloide ad una falda. Se risulti S = o, Vuna e l altra iperbo' Ioide si trasforma in un cono. 84. Nelle superficie con centroj tre raggi o se- midiametri si diranno coniugati o principali, se le Geometria analitica 281 loro direzioni siano coniugate o principali. Nell'e- spressione generale (§. 72 h) S pa = A/^H-B/?i2-^C«^-l-2 {Kmn -4- ^'nl H- Cini) di un raggio v condotto dal centro alla superficie , supponiamo che la direzione Imn sia principale : s s sarà (§. 74) p^ ___ ^ donde p = —i . / quadrati deragli principali sono adunque recìprocamente proporzionali alle radici delV equazione (/?) (§. 74). Sostituendo quivi -^ a /? , e moltiplicando tutto J)er — , si ottiene ((BC— A'2) (AA— B'C)co6-X,) o v^ — {(CA— B^=')-2 (BE'— G'AV-^YiV-v'* ^(AB— C^^ (CC— A'B')<:o5Z,)U '^"" f Aj— ! i>' — H^— = Quest'equazione, ridotta che sia al terzo grado fa- cendo t'2 ::= |9 , rappresenta colle sue radici i qua- drati de'raggi principali, e colle proprietà de'suoi coefficienti vale a mettere in evidenza i rapporti tra i raggi principali e un sistema qualunque di raggl^ coniugati. Supponiamo per es. che l'equazione (A) si ridu- ca alla forma b'^c'^x'' -hcV/^jK^ + a'^b'^z'^ =tì!'^Z>'^c'2, o che si abbia A = b'^c'^ , B = c'^d^ , C = a'^b'^ , S = a^b'^c\ o = A' = B' = C : sarà U = a!^b'^c'', S \ tJ ~ o^òV^ ' ^ l'equazione (v) diverrà 282 Scienze t;^ — (^'i h'"" 4- p'2 c'V^^en^Y, — H-a'^Z^'^c''- ^=^ o , la quale, chiamati a^^b^^c^ ì quadrati de'raggl prin- cipali, ha per radici a', è*, c^ Avremo adunque per la teoria tiel l'equazioni (a* fa' (Z^'V^j'e/z'X, ih^C2 Queste formule significano rispettivamente, che nella ellissoide è quantità costante : 1 ." la somma de' quadrati di ogni sistema di raggi coniugati; 2.''la somma de' quadrati delle facce, 3." e il volume di ogni parallelepipedo a\?ente i suoi diametri coniu- gati comuni colla ellissoide, e però circoscritto alla medesima : parallelepipedo che pub dimostrarsi., co- me per la ellisse , essere il minimo di tutti gli al- tri circoscritti diversamente (§- 48). Se mutiamo il segno a e''-, c^; od a e 3, e', è''*, è*; i risultati saran- no relativi alla iper])olold(' a una o a due falde. 85. Supposti principali gli assi [x], [y), (2), osserviamo adesso tra quai limiti ondeggi il valore del raggio v, al cangiare della sua direzione Imn. Per la ellissoide, supposto a* >■ ^^ >> c% si ha 1 a* c^ /2 w2 n^ , a^ a^ c^, c^ — ' -+. — 4- /^H — . TO*H-— 1 n^ n^-{- '-^P-i — m'' a"" b" c> b* c=* a^ b^ Ora questa formula, ove si avverta essere 1 = /^ -f. /n' -H 'i' » e però yj2 d'i q"^ qZ l^ -\- -r m^-i — ' n^'^ljU^ -h^ l^ -h -^ m^ <:. 1 , b^ c^ a^ b^ fa manifesto che i raggi principali a, e, hanno la proprietà di essere, Funo il minimo, e 1' altro il Geometria analitica 283 MASSIMO de'rnggì. Il raggio ^, si dice il medio do' prin- cipali. Riflettendo che le sezioni che passano pel centro, si segano sempre lungo un diametro; si ve- drà che, delle sezioni fatte da un piano nella el- lissoide, quella in cui gli assi principali sono ri- spettivamente i piti piccoli o i piìi grandi ( e pe- rò la MINIMA o la MASSIMA ), è la sezione che ha co- mune coU'eliissoide l'asse minimo e medio, o l'as- se medio e massimo. Per la iperboloide ad una falda si ha 1 —c^ t»» ^ e da questa formula si ricava: 1.°chead/i=o corrisponde il luogo geometrico dì tutti i minimi raggi trasversi, luogo che è la ellisse principale : quindi cjuesta ellisse è la minima di tutte le se- zioni ellittiche, e si chiama gola della superficie; 2." che a o=/=:m, corrisponde il minimo raggio im- maginario : quindi il raggio principale immagina- rio, è il minimo della sua specie. Per la iperboloide a due falde si ha 1 a' -1 /^ m^ 71^ , «* «^ m^ ^^ l'^ a~ b^ c^ b^ e* b'^ e"" a^ donde rileviamo, che il raggio principale trasverso è il minimo della sua specie, e che // luogo geome- trico de'minimi raggi immaginarli, è la ellisse prin- cipale immaginaria, vale a dire: i minimi raggi non trasversi , considerati in quanto al valore reale, so- no quelli della ellisse — -j- — • == 1. b^ c^ 284- Scienze a) Per determinare graficamente la direzione degli assi principali nella ellissoide^ si costruisca una sfera che abbia il centro comune colla ellis- soide: le curve che la sfera inciderà nella ellissoide dovranno presentare ciascuna ( com'è facile a con- cepire) quattro punti singolari, due a due simmetri- ci , e con essi determineranno la direzione degli assi principali. Gli assi principali delle iperboloidi sono quelli de'loro coni asintotici, assi che già sap- piamo tracciare (§. 75 e). Piani coniugati ai diametri, coni e cilindri circoscritti, 86. Trovare Vequazione del piano, coniugato a un diametro nel punto a/3y; e l'equazione di ta^ le diametro, e del piano tangente. Soluz. Pel punto a^j si conduca nella superfi- cie (A) il piano diametrale r(Aa4-:B'y-f-a/3— A'O^ J(B/3 H-G'« H- A 7 — W)m = o : ((Gy-hA'i3H-B'a — G> la retta coniugata a questo piano nel punto ajSy , avrà la direzione Imn, e però l'equazione — ^' — °^ ^ y — ^ ^ z' -^y ^ l m, n e sarà una di quelle coniugate al diametro passante pel punto a/3y(§.71i/).Ora,se nella precedente ad/,w,K surroghiamo ce — (x, j — |3, z — y , e ordiniamo rispetto ad x,y', z, si avrà il piano B'y-f-G'^ — AV (A^' \^h ^"^ G'a-f-A'y — BV = — A V (3)5 (Bj -4- Cx -4- A'z — B'V=DH-A"ar+B>-t-C"z, ((GzH-A>-+-B'^ — C")z' equazion generale del piano tangente in xyz (§.72 d). (a) Quando è dato il punto xj-'z da cui si deb- be condurre il piano tangente, allora sarà ignoto il punto 3CJZ di contatto, e converrà determinarlo per mezzo della (A) e della (1), che ordinata rispetto ad xjZi si converte in (Aar'-t-BV-HCy_A")^ (4) (B/'-f-G V-hA z'— B>=^D-hA"a:'H-By4-C' z' ; (GzVAy-hBV— C")z equazione ad una sezione coniugata al diametro condotto pel punto x'j'z. Quindi il cono, che ab- braccia colla superfìcie il contorno di tale sezione 286 Scienze ed ha per vertice il punto xj'z\ sarà un cono circo- scritto alla superficie (A). Dunque ogni cono circo~ scritto ad una saperp.cie di second ordine^ la tocca nel contorno di una sezione^ coniugata al diametro che passa pel vertice del cono. Se cotesta sezione (4) de'conlatti rota attorno il punto xjz , il vertice x'j'z' del corrispondente cono circoscritto, sarà sempre nel piano (3), cioè nel piano coniugato ai diametro passante pel punto xjz. In generale si comprende , clie dato il moto della sezione (4) de'con tatti, si potrà determinare il mo- to del vertice ocjz'. Ove si rifletta che le tangenti, coniugate a un piano diametrale, sono parallele fra loro, si vedrà che allorquando un cilindro è circoscritto ad una superficie di second' ordine, la curva di contatto è situata nel piano diametrale, coniugato alla direzio- ne Imn della generatrice del cilindro. Nel caso che le superficie di second'ordine di- vengano cilindriche o coniche, è facile a vedere, che il diametro coniugato al piano tangente, si mu- ta in un piano diametrale; e i coni e cilindri cir- coscritti, si cangiano in due piani tangenti , incli- nati o paralleli, Domenico Ciielini delle scuole pie Nota. Due oggetti simili, hanno la stessa/òrwrt; vale a dire, da qualsivogli;i lato si rimiri rimo di essi, produce sull'occhio no- stro la slessa impressione che l'allro, veduto dal medesimo Ia- to. Ciò deriva immediatamente dalla delìnizione della similitu- dine. (Quindi le figure simili si /wssono riguardare come diversi stali de una medesima figura che varia di grandezza e non di firma. Ed in geometria sono a distinguersi quattro specie di eguaglianze: i. eguaglianza diretta di l'orma e di grandezza, ó eguaglianza perfetta; 1. eguaglianza inversa di forma e di gran- dezza, o simmetria; 5. eguaglianza di forma e non di grandez- za, o similitudine; 4- eguaglianza di grandezza e non di forma, o equivalenza. 287 Annotazioni cliniche sul grippe secondo le osser\fa- zioni fatte in Montolmo nelle Marche^ provincia di Macerata^ dal dottor Jlngelo Sorgoni di Reca- nati^ socio di varie accademie^ e primo medico di Montolmo. {Seconda edizione con corre zioni, ed aggiunte fatte dalV autore). INTRODUZIONE. I 1 tener conto de' morhl epidennici fu cosa sem- pre utile alla repubblica medica, ed alla società; per il che gli uomini sommi dell'arte salutare fu- rono premurosissimi di registrare sififatti morbi onde conseguire un tale intento. Ed infatti i Sy- denam, i Ramazzini, gli Huxam, i Tissot, e tanti altri lianno dato luminosi esempì su questa mate- ria. Colla scorta pertanto di tanti classici io ho di- visalo di fare alcune annotazioni sul morbo grippe, che epidemicamente ha dominato in Montolmo nelle Marche provincia di Macerata nella primavera del 1837. Oltredichè mi determino a questo divisamen- to per ciò che è avvenuto in molte parti del globo, nelle quali si è notato il grippe come produttore d'un vasto numero di vittime, mentre al contrario in altre parti si è mostrato assai benigno. L'essere stalo il grippe mite in una nazione, e funesto in un'altra, induce a pensare, che circostanze parti- colari proprie della località, in cui questo morbo epidemico si è sviluppalo, devono associarsi al me- desimo malore atte a produrre questa diversità di 288 Scienze risultati. Ma per rilevare ciò che è immediato ef- fetto del male , e quel che risulta da circostanze estranee, che si associano al medesimo, fa d'uopo conoscere tanto lo stesso male, cjuanto siffatte cir- costanze. Onde pervenire all'acquisto di tale cogni- zione, ove sia per me possibile, verrà istituita un' analisi sul grippe, dopo che questa malattia sarà sta- ta esposta con quelle marche, colle quali io potei vederla, e dopo che verranno manifestati i pareri , che sullo stesso malore furono esternati da molti autori con alcune considerazioni sopra i medesimi. La quale analisi avrà per guida i medici criteri di cause sintomi, modo di risoluzione, e metodo curativo; e condurrà a quello scopo, che sarà l'e- spressione dell'indole del male come a me è sem- brato di osservarlo. Da ciò risulta importante il co-» noscimento del grippe cqs\ per se medesimo in quel che è nella sua natura, come per ciò che lo può rendere micidiale nel modo funestOi con cui si e prodotto in alcune masse popolari in varie partì del globo. Notata l'importanza dell'indicato ogget- to nell'aspetto di malattia epidemica, molti parla-? rono del grippe relativo a vari luoghi , ove si è sviluppato; non perciò indarno vuoisi ritenere un' ulteriore analisi del medesimo morbo osservato qui in Montolmo, in cui non venne da altri trattalo ; risultando sempre utile dalle molte ricerche, che sopra uno stesso oggetto in piìi luoghi si eseguiscono» Annotazioni sul Grippe 289 CAPITOLO PRIMO, Descrizione del morbo grippe, distinzione del medesimo, e delle forme morbose che gli sono successe. Mentre il grippe predominava ne'paesì dell'I- talia settentrionale nel principio della primavera dell 837, qui in Montolmo a causa delle continue piogge cadute nella medesima stagione si produce- va il reuma come malattia dominante. Non andò guari però, che anche questo luogo rimanesse inva- so dal grippe: poiché nella fine d'aprile incominciò qui a presentarsi qualche caso di questa malattia , e ne'primi di maggio si era diffuso talmente, che una gran parte della popolazione rimaneva affetta da siffatto malore. JVella maggior parte de'casi il morbo epidemi- co in discorso si è sviluppato senza sintomi precur- sori: imperocché tutto ad un tratto, nel tempo me- desimo che il soggetto si trovava nello stato della più florida salute, rimaneva invaso dal grippe ca- ratterizzato da particolari sintomi , che annuncia- vano una più o meno intensità di malattia : ed in qualche caso n'era preceduto lo sviluppo da senso di spossatezza nelle estremità inferiori, da ottusità di capo e da indolimento lungo la spina dorsale, ed in tutta la superficie del corpo. Per conoscere la varia intensità del grippe io ho distinti i casi di questo malore primieramente in quelli, che non hanno presentato il movimento febbrile di più lun^ ga durata di 24 o 48 ore : in secondo luogo ho di- stinti que'casi, ne'quali il periodo febbrile percor« G. A. T.LXXVI. 19 290 Scienze reva sino alla quinta o settima giornata di malat- tia : finalmente in terzo luogo ho distìnti gli altri casi, in cui il movimento febbrile dopo di aver percorso il suddetto periodo di cinque o sette gior- ni co' sintomi di grippe, si associava ad altri sin- tomi indicanti Tinfiammazione di qualche viscere, ovvero ad altri , che esprimevano una successione di altra malattia, come tutto ciò si rileverà nella seguente descrizione del grippe. I primi sintomi, che si sono sviluppati nella produzione del morbo, hanno consistito in un sen- so di freddo lungo la spina dorsale e nelle estre- mità, cui tenevano dietro piccate dolorose nel dor- so, nella pianta del piede, nelle sure, nelle ginoc- chia e nell'esterno delle cosce, con contratture a guisa di granchio nelle stesse estremità, e con mol- tissima spossatezza, con spezzamento di membra, e dolori contusivi di tutta la superficie del corpo. Quasi contemporaneamente si produceva il senso di peso e di dolore al capo, e quindi, molti casi ec- cettuati, si manifestava una molestia in qualche punto delle fauci, che gradatamente si faceva dolo- rosa, e diffondevasi ora nella membrana pituitaria esprimentesi con corizza, ora si diffondeva lungo le fauci, e si aveva la raucedine o la difficoltà di de- glutire , ovvero si diffondeva lungo la trachèa ed i bronchi, e si palesava la tosse secca, cui si univa la difficoltà di respirare, ed un senso di dolore e di angustia nella cavità del petto. I quali sintomi in rapporto alle vie aeree si vedevano comparire e scomparire nel periodo della malattia, mentre che costanti erano quelli relativi alle estremità inferio- ri, alla spina dorsale, al capo, ed all'organo cuta- neo. Dopo la manifestazione de'citati sintomi si prò- Annotazioni sul Grippe 29i duceva il movimento febbrile, durante il quale si accresceva il dolore di capo, e specialmente si ac- cresceva lungo le ossa frontale e parietali: si ave- vano gravezza e dolore negli occhi : eravi pure in- dolitura nelle articolazioni, e si aumentavano tutti gli altri sintomi esposti in antecedenza allo stato febbrile, non eccettuato ancora il senso di fred- do nella spina dorsale e nelle estremità inferio- ri, che in alcune ore della giornata si alternava con quello del caldo anche nel decorso della feb- bre. Questo movimento febbrile cogli annunciati sintomi ne* casi contemplati nella prima distin- zione non ha oltrepassato le ore ventiquattro e quarantotto , e si è risoluto con profuso sudore generale, e con orine acquose. Dileguavansi con lo stesso traspiro i sintomi di dolore di capo, di sen- so d' angustia, di dolore alle fauci, di corizza ; e dileguavansi pur anco il dolore al petto e Top- pressione del respiro. Persistevano però anche a lungo per molti giorni alcuni sintomi dopo ces- sato il movimento febbrile , mentre persistevano costantemente per alquanti giorni i sintomi rife- ribili alle estremità inferiori: imperocché da ogni individuo vessato dal grippe, nessuno escluso , si è accusato un senso di oppressione lungo le estre- mità inferiori, che incominciava nella spina dor- sale, e terminava nella pianta del piede. Del qua- le senso lagnavasi V infermo colle espressioni di debolezza, di torpore , ed anco talvolta di dolo- rose punzioni nelle stesse estremità , a cui ivi si univano le muscolari contralture. In pari tem- po nelle medesime parti si è rimarcato in qual- che individuo tal disequilibrio nello sviluppo del calor vitale , che mentre le parti superiori del 292 Scienze tronco erano assai calde, ed anco al grado di tra- spirare , le estremiti inferiori, compresa l'inferior parie della spina dorsale, eran fredde. In seguito al movimento fel)ljrile, ciò che pure costantemente per molti giorni rinjaneva, era un certo senso di peso e di ottusità nel capo; ed in molti casi per alquanti giorni si riproduceva lo stesso dolor di capo nelle ore vespertine. Relativamente poi alle vie aeree la tosse non in ogni caso ha seguitato a molestarl'in- fermo dopo la risoluzione del movimento febbrile; imperoccljè in molti soggetti, ne' quali o la tosse fu nulla, o fu essa di pochissimo momento nel perio- do della fe?)hre, non si ebbe affatto dopo di tal pe- riodo nel tempo che proseguivano a persistere i sintomi riferibili al capo , alla s[>ina tiorsale, air organo cutaneo, ed alle cstremilli inferiori. Quan- do la tosse persistette unitamente a' citati sintomi relativi al capo, alle estremila inferiori, alla cute, ed alla spina dorsale, essa si presentava ad insul- to nella foggia medesima, con cui si produce la tos- se COSI detta convulsiva ; fin dulia sua prima ma- nifestazione era sempre secca, e non veniva susse- guita da un cjualcJie espettorato che nel declinar della medesima. In allora eziandio assai molesta tormentava assaissimo l'infermo, sino a che questi andava ad espellere dalla trachèa una qualità par- ticolare di catarro bianco-gelatinoso interamente di- verso da quello, che si osserva nelle comuni affe- zioni reumatico-catarrali. Tutti i descritti sintomi, che rimasero per molti giorni dopo che erasi già dissipato il movimento febbrile, si andavano an- cor essi dileguando in seguito alla secrezione di orine acquose e di generali sudori. Non sempre però la febbre fu di tanto corto Annotazioni sul Grippe 293 periodo, siccome si e osservato ne' casi sopra fon contento egli all'avere, come segretario della sacra congregazione delle acque, secondato con sommo zelo e sapere, e coadiuvato ancora ben molto l'eminentissimo signor cardinale Agostino Rivarola, prefetto cosi vigilante e tanto benemerito della inalveazione delI'Aniene , ha di vantaggio tolto sopra se l'incarico di tessere l'istoria di un avvenimento, al quale aveva per tan- te guise contribuito. E per verità non istimiamo che trovar si potesse persona veruna più adatta a per- fettamente riuscirvi. Diciamo di piìi : tale è questo (i) La lode del proteggere non solo, ma del coltivare ancor ra le buone lettere, è antica nella famiglia Massimo. Non e qui luogo da tesserne istorie: che brevemente non si potrebbe. Gio- vi però il render noto, che una lode così nobile si mantiene sem- pre viva nella cospicua famiglia; e sono ora due anni, che dal- l'eccellenza di D. Vittorio Massimo, principe d'Arsoli , avemmo in bello e dotto volume le Notizie istoriche della villa Massimo alle terme Diocleziane, con un'appendice di documenti. Scrittu- ra elaborata e piena di curiosi fatti, che si legano alia romana istoria de'tempi a noi più vicini, e che sono non pertanto i me- no noli (Un voi. in 4" di facce 2^76, impresso nitidameule dal Salviucci nell'anno i858 J. Traf. di monte Catillo 313, lavoro di monsignor Massimo, che altri non poteva farlo, fuor ch'egli solo. Tale che a produrlo non vi bisognava meno del suo ingegno e della sua autori- tà. Ne l'autori tk bastava, senza l'ingegno; ne l'inge- gno senza l'autorità. E di vero qui si adducono ta- li documenti e discussioni e ragliagli ; si rivelano le notizie di tali particolarità, che queste cose pur sole basterebbero a dare al libro un merito singola- re. Era mestieri però che l'A. si trovasse quasi a ca- po dell'impresa, perchè potesse averne contezza, e usar ne potesse con libertà. Si vuole dunque tenere quest'opera in pregio tanto maggiore, quanto è piìi raro che persone di tal grado sieno intese a pubbli- carne ; quanto più sentiamo la mancanza di libri di cosi fatto genere. I quali, certo, per assai conside- razioni avrebbero ad esser men rari; e le istorie se ne vantaggerebbero, non meno che le rette norme e le istituzioni dell'amministrazione civile. 11 proposito dell'opera, giovi ascoltarlo dall'A. medesimo nelle seguenti parole: » Avendo io avuta « una qualche parte nel distribuire ( direi quasi ) « le sovrane beneficenze sotto l'eccellente direzio- ni ne del chiarissimo cardinal Rivarola, cui piìi che tt ad oirni altro l'onor della esecuzione debbe rife- « rirsi , ho creduto mio dovere divulgar con la « stampa, non solo i mezzi che a tal distribuzione « si stimarono necessari, e furono addoperati ; ma « eziandio quelli, che presentando difficoltà si ri- « gettarono. In ciò fui d'avviso, che la presente sto- « rica relazione, non solamente agl'intendenti dell' « arte, ma a chicchesia riuscirebbe gradita. Giac- « che e gli uni avviserebbero in essa con quanto di « avvedimento e di prudenza, di zelo e di ben'in- « tesa economia debbasi por mano ad opere pub- 314 Letteratura « blìche, e scegliere fra mille i più adatti mezzi al « loro compimento; gli altri, nel soddisfare che fa- « rebbero all'innata brama di sapere, potrebbero « agevolmente persuadersi, aver dovizia il nostro « stato di feraci ingegni per concepire, e di valenti « artefici ed incorrotti ministri per recare ad ef- « fetto colla maggior economia, solidità, magistero « e prestezza idee gigantesche « (pref. a e. VI-VII). Questo conveniente ed utile divisamento ha il suo pieno effetto ne'due volumi, de'quali parliamo. Ne ci è avviso che sia per essere alcuno, che alla lettu- ra di essi non rimanga compreso di que'sentimenti e di quelle idee, che ha l'A. avuto in animo di de- stare in altrui. Intraprendendo di offrire un sunto di questa istorica relazione, non dissimulano a noi stessi, eh' ella vuol esser letta e studiata in fonte ; e come la dovizia e varietà delle cose, che vi sono a bello stu- dio raccolte, sieno impedimento a dirne brevemen- te e insieme pienamente. Pur nulladimeno faremo, che del moltissimo che si dovrebbe, tanto se ne tro- vi in queste carte, da recar la notizia dell'opera ai piìi lontani, e da muover desiderio di aver con la lettura del libro intiera contezza di ciò che potrem noi appena accennare di volo. E prima diciamo l'ordine di questi volumi es- ser tale. Viene innanzi una prefazione, dove in ra- pide ed energiche parole si discorre la importanza dell'argomento e la grandezza del beneficio largito dal pontefice ai tiburtini. Procede quindi l'opera divisa in tre parti, che sono esse stesse distinte in nove capi ciascuna. Si tratta nella prima parte de'mezzi provvisorii addoperati dall'anno 1828 in sino all'ottobre 1829, Traf. di Monte Gatillo 31 5 per ovviare ai pericoli e riparare ai danni causati dall'Aniene nell'alveo inferiore alla chiusa e nella grotta di Nettuno, e per mantenere salda la comu- nicazione di Tivoli col Lazio superiore. La parte seconda comprende i progetti per l'adottamento di uno stabile riparo alle cose di Ti- voli, del quale si dimostra la necessità per gli esi- stenti pericoli e per gli ulteriori, onde veniva mi- nacciata la sicurezza dei tiburtini. La terza parte presenta tutto quello che si ri- ferisce all'approvazione ed esecuzione del progetto, che a domar perennemente l'Aniene sugerì la di- versione del medesimo per entro al Gatillo ; e vi si narra , che i tiburtini per sovrana magnanimità tornano a rimirare stabilmente riattivata la neces- saria comunicazione in fra Tivoli e la via Valeria. Nel primo e nel secondo libro, che noi come all'autore piacque abbiam chiamato parti, per ra- gione di storica chiarezza, e perchè niente manchi all'insieme dei fatti, si comprendono le cose di su- bitana e provvisoria opera, che furono via e grado al pili fermo e grande progetto. Se ne conosce, non senza ribrezzo, quanto precaria e paurosa fosse la condizione di molta parte, e questa la piìi riguar- devole ed amena della città. I documenti o nuovi o nuovamente riuniti, co'quali il eh. A. illustra in ciò la sua narrazione, pongono allato di così tri- ste aspetto la lieta immagine della sollecita cura dei pontefici, i quali con animo paterno attesero a procurare lo scampo de'tiburtinì. Il prelato Niccola Maria Nicolai, come commissario apostolico per la rotta dell'Aniene, fece pid3blica nel 1829 la rela- zione di quanto si operò nel pontificalo di Leo- 816 Letteratura ne XII (1). Qui abbiamo (|uanto venne ordinato da Pio Vili, quanto dalla congregazione speciale de- putata da tal pontefice. Dimostrano con che ponde- razione si procedesse in affare si grave, i consulti avutine dai pontefici con le autorità all'opera pre- poste ; i voti, le opposizioni, le risposte richieste da queste autorità, o ad esse presentate, dal consi'- glio d'arte; dalla commissione degli scienziati ; da quella consultiva per i lavori dell'Aniene, Questi voti, queste opposizioni, queste risposte, sono tut- te a stampa nel volume primo dell'opera, di cui te^ niamo discorso : e vi sono con ragione, Perchè da un lato valgono a porre il lettore in (?) „Da ultimo fu come commissario apostolico per la rotta dell'Aniene ch'egli pubblicò nel medesimo anno 1829,13 sua re- lazione sulla costruzione della nuova chiusa di quel fiume in Tivoli: ove fatti alcuni pochi cenni istorici e geologici sul cor- so deirAqieue dai tempi antichi fiqo al novembre 1826, in cui accadde la rotta, dà una chiara e precisa contezza di tutti quei primi subitani e provvisori lavori, a'quali si die mano affinchè 1 danni non s'accrescessero: espone appresso i metodi dagli ar- chitetti e degl'idraulici proposti a render ben fermi e durevoli ] ripari : e da ultimo discorre di ciò che dalla congregazione a tale impresa deputata venne distintamente sancito, non intrala- sciando per giusti calcoli di far pubblico ciò che in quelle pri- me riparazioni si era speso, e dire alcun che eziandio del modo di spendere e amministrare il denaro per quella grande opera raccolto, E perchè di questa sua incumbenza restasse lunga me- moria, si avvisò di tutto depositare, come fece e carte e piante artistiche e tutt'altro, nella insigne biblioteca de' padri domeni- cani a comodo altresì ed a satisfazione degli studiosi ed amato- ri di cosi fatte ricerche. ,, Son queste eleganti parole del eh. principe D. Pietro Odescalchi a e 4o5 e 4^4 del nobile elogio del Nicolai da lui dettato, che si legge nel voi. VI degli atti dell'accademia pontificia di archeologia, della quale è socio or- dinario e perpetuo conservatore dell'archivio. Traf. di Monte Catillo 3jT grado di comprendere gl'immensi e quasi non sor- montabili ostacoli, che stavano contro all'impresa. Dall'altro rendono evidente la urgenza sempre mag- giore, che al danno venisse provveduto con istabile rimedio. Ne la varietà stessa de'pensieri e de'modi proposti per conseguire un tal fine manca di un cer- to diletto a chi la consideri, scorgendovi la discor- danza o diversità di vedere l'oggetto medesimo in uomini che professano una stessa scienza, e si rese- ro chiari per fama d'ingegno. Ci condurrebbe più lungi che non vorremmo, l'entrare in ulteriore discorso intorno a queste due parti, che sono come disposizione e rischiaramento alla terza ; alla quale ci affrettiamo di pervenire , come a quella dove propriamente si trova la storia della memorabile impresa. Poiché , riuscito tutto indarno quanto con ispendio gravissimo si era ope- rato nei due pontificati precedenti, rimase intiera ed intatta a Gregorio XVI la gloria di prescegliere e fare eseguire lo straordinario concetto, che solo ridonar poteva allo splendore e alla sicurezza le mi- nacciate contrade. Narra adunque l'A. come a lietissime speranze si levassero i tiburtini all'annunzio, che nel giorno due di febbraio il regolatore provvidentissimo del- le umane cose chiamato aveva al soglio di Pietro l'eminentissimo card. Mauro Cappellari (a e. 324). Speranze, che non pure vennero a realizzarsi ; ma furono di gran lunga dall'evento poi superate. Aveva il pontefice Pio Vili per le cose dell'A- niene eletta una speciale congregazione. Sedevano in questa i cardinali segretario di stato , prefetto del buon governo e prefetto delle acque. Il primo come immediato rappresentante ed mterprete dei 318 LETTERATURA sovrani voleri ; il secondo quasi tutore e giudice de'lavori d'idraulica; l'ultimo per essere ammini- stratore e depositario dei denari consecrati all'im- presa. Parve al pontefice che sarebbe miglior go- verno della cosa, far che dipendesse dal volere di un solo; e con rescritto dei 23 gennaio dell'anno 1832 dichiarò devoluta 1' amministrazione dell' A- niene alla prefettura delle acque (a e. 340— 3/i I). Crescevano infrattanto d'ogni maniera i temu- ti pericoli, sebbene anche fra le più calamitose cir- costanze si erogassero ingenti somme nelle lavora- zioni. Di che si rendeva chiaro quanto essa luce del sole, bisognare maggiore e più saldo rimedio a mali sì gravi. Questo rimedio era omai dimostrato ri- trovarsi unicamente nel deviare l'Aniene, forando il monte Catillo, e immettendovi il fiume. Le op- posizioni stesse elevate contro di un tal progetto, lungi dal combatterlo, avevano servito a porlo in una evidenza maggiore. Poiché il eh. cav. Clemente Folchi ingegnere, del quale era il progetto stato presentato alla commissione speciale, lo aveva poi difeso contro di altro illustre ingegnere ( a e. 117 e seg.). Al quale avea pur risposto con grande suc- cesso il dotto fisico Agostino Cappello, uomo scien- tissimo delle condizioni, delle cose e de'luoghi re- lativi all'Aniene (a e. 236 a 252). A statuire l'ardua quanto grande e necessaria intrapresa, era però me- stieri di tutta l'altezza della mente del principe, di tutta la sollecitudine del cuore del padre. E padre e principe seppe mostrarsi Gregorio XVI. « Conobbe nella sua saviezza il gran pontefice (scrive l'A. ), che gigantesca impresa era quella, della cui sanzione veniva la Santità Sua richiesta. Costringere un duro monte ad aprire il suo seno Traf. di Monte Catillo 319 per ricevervi un fiume, opera ella era (lell'antico ardire e romana possanza, opera da sbigottir per la vistosa sua spesa qualunque animo. Da sbiggottir qualunque animo ; ma non già quello di un amoro- so padre più che sovrano. Qual mai spesa può dirsi troppa, se senza di essa ne va della salute di un fi- glio ? E di questa ne andava. Celebri mineralogisti, rinomati geologi, ottimi idraulici, scienziati di ogni fatta, eransi riuniti nel dichiarare pericolante buo- na porzione di Tivoli, ed esposti gli abitanti di que- sta ad incalcolabili danni e rovine; e si convincenti n'erano le prove, da non potersi più omai da uomo assennato richiamare prudentemente in dubbio. « Varie difficolta egli è vero, eransi obbiettate, che parevano opporsi al traforo del Catillo. Ne ciò sfuggiva al pensiero della Santità Sua. Ma oltreché tali difficoltà erano state sciolte e vittoriosamente confutate, dall'altra banda superabili si erano rico- nosciute da coloro stessi, che le avevano immaginate. In fine poi, conosciuta la necessita della deviazione, niun progetto potea promettere tanta sicurezza, co- me quello relativo al Catillo. Ne a tal deviazione ponea mente per la prima volta il santo padre, nel presentare che gli si facea l'analogo mentovato pro- getto, o dopo la compilazione di questo. Molti anni innanzi a%eane conosciuta la necessità. Notissima eragli la situazione e il corso dell'Aniene, per essersi varie volte trattenuto in Tivoli, ed abate monaco camaldolese, e poscia cardinale, dall'anno 1816 al- l'anno 1830. Più volte erasi imbattuto nel vedere rigonfio di piena il nostro fiume flagellare le spon- de, e minacciar di rovina le case circostanti ed i ce- lebrati monumenti dell'antichità; ed in una di que- ste permanenze con felice percezione venne egli 320 Letteratura neiridea, e manifestolla a chi gli era d'intorno, che solo un nuovo alveo da scavarsi nel monte alla de- stra riva avrebbe potuto efficacemente por freno all'indomito e furibondo Aniene. Ed ecco, per la Dio mercè, ritrovavasi in gra- do di realizzare un progetto tanto al suo veder con- sentaneo. Ogni cosa di questo era omai determina- ta, stabiliti erano i fondi occorrenti , con quelle proporzioni con cui ei'asi proceduto nell'opera del commissario apostolico Nicolai, disegnata la loca- lità della nuova inalveazione, stabilitone l'andamen- to, determinate le misure, previsti i principali la- vori, calcolatane la spesa. Ma trattavasi pur di cosa ai sensi non soggetta, e per istrana combinazione nell'interno del Catillo rinvenir si potevano ostacoli da superarsi, i quali avessero persuaso de'cangìa- menti nell'atto dell'esecuzione, ed avessero in tal gui- sa, a seconda delle circostanze, fatto aumentare la spesa approssimativamente calcolata. Ne i singoli la- vori accessorii potevano a parte a parte prevedersi. Tutto considerò maturamente il massimo pon- tefice Gregorio XVI; e quindi occorrendo a qua- lunque impensata circostanza, con un atto di bene- ficenza e di magnanimità, che da per se solo sareb- be bastante a tramandare ai posteri l'epoca rimar- chevole del pili glorioso pontificato, segnò di pro- prio pugno il memorando chirografo della devia- zione «. (a e. 336-338, voi, 11). Con questo chirografo confidava il pontefice la somma di questa impresa al prefetto della sacra congregazione delle acque, eminentissimo cardina- le x\gostino Rivarola, uomo di acre ingegno e so- lerte ; per ardue cose da lui a buon fine condotte, meritamente in fama di rara energia ed attività. La Traf. di Monte Catillo 321 direzione poi dei lavori si commetteva all'autor del progetto signor cav. Clemente Folcili, architetto , idraulico, ingegnere della nominata congregazione. Quali ordinamenti emanati fossero dal cardina- le lodato, può vedersi nelle carte dell'autore. E noi lasceremo che altri pure vi legga, che persone chia- masse a parte de'consigli, o volesse adoperate a re- care le cose aJ effetto. Perchè il fare qui ricordo di tutti, ci condurrebbe troppo oltre: ne, solo al- cuni nominandone, vorremmo parere agli altri in- giuriosi. Massime che l'autore con bella diligenza non ommetle di riferire alcuna delle circostanze , che contribuir possono a render giustizia all'opera- to di ciascuno. 11 classico suolo di una citta, alla quale tanto si piacquero i dominatori del mondo, di una citta popolosa e fiorente quanto altra si fosse, non pote- va essere in questo incontro escavato, senza riman- dare alla luce alcun pregevole monumento di anti- chità. In fatti, intrapresi nella vigna LoUi i lavori di sterramento, che preceder dovevano il taglio del- la pietra dei due trafori del Catillo, si trovò pron- tamente un grande muro di opera reticolata certa, e presso a questo buon numero di marmi scritti e di cippi di un sepolcreto. Il cav. Clemente Folchi parlò di tale scoperta alla pontificia accademia ro- mana di Arclieologia, in due successivi ragionamen- ti (1). L'A. ne parla nuovamente, e non senza utili- tà. Perchè non solo produce più intiera notizia del- le cose dal Folchi ricordate 5 ma fa pur conoscere (i) Nel voi. Yl degli atti dell'accademia sono stampati a e. 55-85. G. A.T. LXXVI. 21 322 Letterat ura oggetti ritrovati dopo ch'egli scrìsse i due ricordati ragionamenti. Noi sentiamo poi al tutto con l'egre- gio prelato, quando si discosta dall'opinione dell'ac- cademico circa al giudicare essere stato il luogo un sepolcro dell'infima pleJje, e che se gli possa conve- nire il nome di puticuli (1). Perchè le scritture dei marmi quivi ritrovati stan contro a tale sentenza. I quali anzi ricordano uomini di molta dignitU. E di grande pregio per le tihurtine istorie sono,infra gli altri marmi, quelli dall A. pubblicati sotto i numeri 10, 11 e 57, che ci piace di qui ripetere ad Qrn^-> mento del breve nostro lavoro» 1 (10) SENECIONI MEMMIO . GAL AFRO . COS . PROG (2) SIGIL . LEG . PR . PR (3) PROVINO . AQVITAN L . MEMMIVS . TVSCILLVS SENECIO PATRI . OPTVMO (i) Rag. cit. a e. 6o. (a) Il cav. Folchi stampò CON in luogo di COS. (3) Il medesimo pose SIC. in vece di SIGIL. TaAF. DI Monte Catillo 323 2 (11) ante , BICLEIO . C . F . CAM . PRISCO OMNIBVS . HONORIBVS FVNCTO . OPTIME . DE . RE PVBLICA . TIBVRTIVM MERITO S . P . Q . T ad laevam HIC . REM . PVBLICAM TIB . EX . ASSE HEREDEM FECIT 3 (57) T . SABIDIO . T . F . PAL MAXIMO SCRIBAE . Q . SEX. PRIM . BIS . PRAEF. FABRVM . PONTIFICI SALIO . CVRATORI FANI . HERGVLIS TRIBVNO . AQVARVM Q . Q . PATRONO MVNICIPII . LOGVS SEPVLTVRAE . DATVS VOLVNTATE . POPVLI DECRETO . SENATVS TIBYRTIVM 324 Letteratura Delle altre iscrizioni riferite , che insiem con queste sommano fino a sessant'una, alcune accresco- no il numero delle militari, altre prentleran luogo ne'lapidari tesori. Intanto possiamo lietamente e- sclamare : / Suum retinent mene quoque saxa decus ! Avendo l'A. fatto prevalere il miglior consi- glio, che fu di lasciare quanto piti si potesse gli oggetti antichi nel luogo medesimo della scoperta. Massima di una somma utilità sotto ben molti aspet- ti, e che vorrebbe essere seguita costantemente nel- le invenzioni tutte di cose antiche, non se ne dipar- tendo se non quando imperiosamente lo dimandas- se, o la grande eccellenza del monumento, o il gran- de pericolo al quale si rimanesse esposto. Da una relazione che l'A., segretario in quell'e- poca della congrcfgazione delle acque, diresse sotto il 13 maggio di 1833 all'eminentissimo Rivarola , cardinale prefetto (a e. /lOO-AII), si ravvisa quanto egli proponesse per avviare l'impresa a piìi spedi- lo corso e migliore. Tutto venne approvato, e tutto sortì un effetto felice. Intanto il lodato cardinale Ri- varola, con segnalata approvazione di tutto l'opera- to, si confermava preside dell'opera. La quale ve- gliata con istraordinaria diligenza dal cardinale stesso e dal segretario, si spingeva con tanto ardo- re da tutti i lati, che incominciava a dare di se un aspetto imponenente. E fu giorno di grande alle- grezza per gli ottimi e benemeriti ministri della so- vrana benefica cura, quello de'23 aprile del 1834. Nel quale movendo dal Vaticano dirigevasi il som- Traf. di monte Catillo 325 mo pontefice alla volta di Tivoli. Il cardinale pre- fetto volle dettare egli stesso le latine iscrizioni, che furon poste ai diversi luoghi, con espressioni ana- loghe alla fausta circostanza (a e. 437 e 440). E l'A. del libro del quale parliamo, fece brillare in rpiesto incontro una feracità di eletti trovati, onde scorg-^re in certo modo di sorpresa in sorpresa l'ottimo prin- cipe, mentre che recavasi egli all'esame di tutti i la- vori, onde dare a tutto incoraggiamento, e tutto os- servare di per se stosso. « Il cunicolo destro, sfondato da questa banda per ben novanta metri lineari, era stato illuminato con circa trecento faci in bel disegno disposte. Lunghi festoni di mirto, infra loro studiosamente intrecciati, l'adornavano in tutta la sua lunghezza. Discendeano essi dal cuspide dell'arco gotico, ed a varie riprese e cascate vestivano scherzosamente le pareti insino al piano Internavasi il Santo Padre col suo corteggio nel cunicolo, quando all'im- provviso c[uel silenzio maestoso che vi regnava, ven- ne rotto da dolce melodia, e da un concerto di mu- sicali strumenti .... 11 sinistro cunicolo inoltrato nella sua ecavazione dal cuspide per metri lin. 93, sebbene si ritrovasse imbarazzato nella sua sezione inferiore di grossi massi, pure presentar doveva, colle istesse sue irregolari masse, grato spettacolo agli occhi del massimo pontefice. Onde mostrare a Sua Beatitudine a quale profondita fosse stalo sca- vato, fu incendiato un tal chimico composto, atto a diffondere una rossa luce, ed a spargerne e smal- tarne tutto il traforo. Intanto in fra quei massi si fecero traversare de' lavoranti, che fuggendo, e na- scondendosi, e ricomparendo quindi, ti richiama- vano proprio alla memoria la nota favola dell'Etna. 326 Letteratura Questo secondo spettacolo (scrive il Viola nelle cro- niche cleirAniene ) eccitò l'universale applauso, ed il S. Padre diede manifesti segni di gradimento; co- me l'esternò all'eminentisslmo Rivarola, a monsi- gnor Massimo, autore della qualità di detti spetta- coli, ed al signor cav. Folchi ingegnere direttore , nel vedere specialmente il progresso e generale an- damento dei lavori, ed il magnifico aspetto, che da quella altezza la nuova caduta sarh per presentare. (a e. 440— 441). « La visita del sovrano ebbe quel risultato che poteva già essere preveduto : non solo le lavorazio- ni furono con maggiore elacrità attivate da ogni parte ; ma se ne estesero ancora i vantaggi a cose nel chirografo non contemplate. Parlo io qui della stabile comunicazione fra Tivoli e la via Valeria, ch'è quanto dire con i commerci ed i prodotti di tutto il Lazio superiore. Una tale comunicazione era in allora così umile e mal sicura, che il ponte- fice medesimo parve disapprovarne nel percorrerla la condizione e lo stato. Donde vennero animosi i tiburtinl ad implora- re la costruzione di un arco in materiale, che pre- stasse solida comunicazione fra la via Valeria e la loro cittk, unitavi allora da una pericolosa e de- forme pedagna. Quando alla dimanda segui la gra- ziosa concessione, e si decretava che edificato fosse il ponte Gregoriano, per l'assenza del cardinale pre- fetto era a capo di tutto monsignor Massimo, alle cui indefesse cure si dovette, che l'opera del pon- te sorgesse in brevissimo tempo, e come d'incanto. Ne quest'opera sola; ma quella del doppio traforo; ma le altre tutte, di strade, di piantagioni; di ne- cessita e di ornamento, che alla impresa si riferi- TflAP, DI Monte Catillo 327 vano. Frutto di uno zelo così costante, che infiam- mava ciascuno in emulazione di corrispondere ad esso, fu che l'amministrazione si trovasse in grado di volgere per il nuovo traforo TAniene , prima delle piene solite a sopravvenire con l'autunno. Pertanto ogni lavoro essendo in punto: la cit- ta ornata a festa straordinaria ; immenso il concor- so: maggiore ancora l'espettazione delie genti da tutti i luoghi venute in Tivoli; vi giungeva Grego- rio XVI circa al meriggio del giorno 6 ottobre 1835. Ripetiamo qui con le parole dell'A. la narra- zione dell' avvenimento , che rese memorabile il susseguente giorno: » Circa il meriggio del giorno « 7 le vie della citta bulicavano d'immenso popolo. « Roma, la Sabina, il Lazio superiore, la badia di « Subiaco , gli Abruzzi sembrava avessero gareg- « giato nello spedire in Tivoli ammiratori della « magnanimità e della beneficenza del glorioso pon- « tefice. Eransi questi sparsi per tutti i luoghi, « d'onde era visibile lo sbocco delle acque. La via « dell'Icona, il sovrapposto monte, gli oliveti che « ricingeano il trono pontificio, il tempio di Vesta, « le vicine abitazioni, le balze istesse su cui pog- « già la contrada Gastro-vetere, poteano a stento a contenere la maravigliosa folla di spettatori, che « insino sugli alberi non senza pericolo s'inerpica- ci vano. Quasi centro all'affollalo popolo formava il « grande Gregorio, che nel suo soglio sedevasi at- « torniato dalla più riguardevole romana ed estera « nobiltà, fra cui non è a tacersi S. M. la regina « vedova delle due Sicilie, e D. Michele di Porto- « gallo. « L' Aniene intanto rigonfio per l'artificiale « piena (essendosi tenute chiuse le bocce tutte che 328 Letteratura « derivano le sue acque negli opificii ) pareva che « agognasse l'istante di porre il piede nel suo al- « veo; quando al cenno del glorioso monarca, vedi u spalancarsi nell'imbocco i portoni, ed aprirsi Ta- « dito alla corrente. Infra il tuonare de'cannoni e « de'mortari, infra lo squillo de'bronzi e de'musi- « ci {strumenti, si gettan Tacque in ambo i cuni- « coli e ne sieguono impetuosamente il corso insino « allo sbocco. Sprigionansi quivi giunte, si sten- « dono, e trabboccando con sempre crescente pie- « na, vanno a flagellare spumanti le sottoposte sco- « scese balze. « .... Se il magnanimo Gregorio rimanesse pie- « namente soddisfatto, non è d'uopo ridirlo. Una « intiera città era quella, che a lui si protestava « debitrice della sicurzezza, della vita: quindi il pa- « terno suo cuore parca non potesse contener la « gioia, onde mostravasi ricolmo ». (a c.526 527). Aveva l'amministrazione fiilto coniare una me- daglia, rappresentante il traforo del Gatillo. Ed è quella medesima che si vede incisa adornare il frontespizio dell'opera di monsignor Massimo. Una tale medaglia venne distribuita in quel giorno me- desimo. Del quale non fu solo quest'una la memo- ria. Perchè se ne incise in marmo per pubblico decreto la narrazione ; e si volle che la citth ne rendesse, a così dire, ella stessa una cospicua e du- revole testimonianza, dato il no.me di gregoriano al ponte,alla via che vi conduce, e a quella che pre- cede l'imbocco dei due cunicoli. Detta di Rivarola, una strada ed una piazza; e una piazza similmente denom\n2Lta piazza Massimo. Ne si deve tacere, es- ser pure stati solennemente ascritti alla cittadinanza e patriziato tiburtino, il governatore di Tivoli, de- TfiAF. DI Monte Gatillo 329 legato di acque cav. Capi, e l'ingegnere dell'opera cav. Clemente Folcili. Sarebbe qui il fine del nostro sunto ; ma altre ed utili cose, clie nell'opera si pubblicano, non pos- sono essere trapassate in silenzio. E veramente l'ap- pendice unita dall'A. al suo libro, oltre alla luce che diffonde su tutto il lavoro, ne forma pure una par- te utile d'assai. In essa si trova il regolamento per gli utenti delle acque ed aquedotti di Tivoli, diviso in quattordici titoli, ne'quali si stabilisce e si prov- vede quanto può risguardare una cosa di tanta im- portanza, quanto questa è per l'intera città; e vi si stampa ancora l'elenco dei partecipanti dell'acque dell'Aniene. Nobilissima poi, e da commendarsi per molti riguardi, è la pubblicazione che pur vi si trova dello sfato dimostrativo dei lavori assegnati e delle spese incontrate per la deviazione e sistemazione del fiume dal 1 novembre dell'anno 1831 a tutto giugno dell'anno 1837. Pubblicazione, che mai non dovrebbe desiderarsi in ogni maniera di pubbliche imprese; e che gli antichi nostri, in quella somma sapienza de'Ior reggimenti, spinser tant'oltre, da segnare sull'edificio e sulle cose medesime 1' am- montar dei denari del comune, che si erano dai ma- gistrati spesi nell'opera o nel lavoro. Donde si de- rivava un ottimo effetto: resi quegli uomini solle- citi e guardinghi nella erogazione del pubblico pe- culio; e mutata quella iscrizione in un monumento perenne di lode o di biasimo (1). E monumento pe- (i) Nelle terme di Pompei è una fontana con bel labbro di marmo bianco. Gira intorno ad esso una iscrizione con lettere 330 Letteratura renne di lode è lo stato delle spese, che FA. manda nelle mani del pubblico; apparendovi come la uti- lità e maestà di tanta intrapresa sia proceduta mai sempre di pari passo con l'economia la piìi scrupo- losa e la più severa. Per ultimo è da ricordare come accrescano pre- gio al libro le tavole incise a dimostrazione de la- vori e dell'attuale slato di essi. Molta è l'esattezza di queste tavole ; molto il vantaggio che offrono a ben giudicare di quanto venne operalo. Ne a ciò rimane ristretta l'utilità che presentano; gioveran- no esse nell'avvenire come guida e come esempio a quanto occorrer possa nell'insieme o nelle [)arti di ciò che si riferisce alla diversione dell'Aniene. Tale è l'opera di monsignor Missimo, della qua- le abbiamo dato forse più succinta ed imperfetta idea di quello si conveniva. Chiudo dunque questo qualsiasi lavoro, rallegrandomi con l'egregio prela- to, e adattando ad esso, se in maggiori lodi del suo scritto e de'suoi fatti non sono entrato, quelle paro- le che Francesco Maria Molza, sono ornai tre secoli, scrisse di Q. Lelio Massimo suo antenato: Cidus in rempublicam fides^ summacjue ingenil atqiie vir- tutis ornamenta , omnibus notiora esse arbitrar , quam ut cuiusque commendatione indigeant (1). CA.V. p. E. Visconti di bronzo. Dice, cbe Gneo Melisseo Apro, e Marco Staio Rufo, essendo per la seconda volta duumviri eletti a giudicare le liti, sovrastassero all'opera di tale labbro, che de'denarl del pubblico fu fatto con decreto del decurioni. E sappiamo qual somma vi fosse erogata, leggendosi nell'iscrizione CONSTAT HS. DCCL. (i) Op. di F. M. Molza, ediz. di Bergamo ijSo a e. 2i5. 334 yitoisii Chrysostomi Ferruccii patricii florentlnor. nobiL Apodixis epistolaris ec. 8° Luci in ^emi- lia ex oleina melandriana \ 838. (Sono pag. 64). u4l chiarissimo professore Salvator Betti segretario perpetuo dell insigne e pontifìcia accademia di s. Luca. Giuseppe Ignazio Montanari A voi che siete in dolore per la morte dell' illu- stre sostenitore delle lettere nostre, che fu il cava- liere Carlo Boucheron, scrivo io ora per cessare un poco le lacrime , e tenere innanzi voi modo di consolatore. Al quale officio mi pongo, non con do- vizia di sentenze filosofiche sulla brevità della vita e della gloria umana, ma si con un libretto che ben vi mostrerà, l'Italia non avere perduto ogni splendore di stile latino col mancare di quel som- mo, ma SI esserle rimasto tanto che basti a mo- strarla ancora degna erede di quella lingua che in Cicerone, in Virgilio, in Fiacco andò sopra ogni al- tra del mondo, come l'impero romano andò sopra a tutte altre potenze mortali. E il libretto che vi porgo s' intitola cosi : ALOISII CHRYSOSTOMI FERRUCCII PATRIC. FLORENTINOR.NOB. APO- DIXIS EPISTOLARIS AD STUDIA LITTERARUM ET ARTIUM MORESQUE IN PRIMIS lUVAN- DOS. Se io qui volessi fermarmi a dire dell' eie- 332 Letteratura ganza di queste poesie, il caratlei'e delle quali tie- ne alle epistole e ai sermoni di Fiacco assai da vi- cino; della vivezza de'colori, della forza e nobiltà delle sentenze; certo - Jnte diem claicso componet vesper ol/mpo.- A me basti significarvi alcun che dell'eccellenza della materia, die il chiaro autore ha preso a trattare; e mettendovi sott'occhio alcuni luoghi che ho notati, non come migliori, ma come quei che più mi hanno ferita la fantasia, darvi a vedere spesso spesso, che la materia è vinta dal la- voro. E so ben io che questo vi varrà meglio che ogni altra consolazione; e che l'animo vostro, ora do- lente, quieterà un poco l'amarezza del dolore, e si leverà di nuovo a speranza di bene. Dico adunque dapprima che venti sono queste epistole, e che sono dedicate a monsignor Valerio Boschi faentino, prelato degnissimo d'onore e per lo sapere suo, e per la stia modestia, e per l'amo- re in cui ebbe noi giovinetti quando nell'illustre seminario di Faenza crescevamo alle lettere ed alla filosofia; di che intende l'autore rendere a lui sin- golari grazie; cose tutte assai bene espresse nelT Exametron che precorre alle epistole. La prima del- le quali, indiritta al conteAlessandro Oppizzoni, trat- ta De sapientia prima , e dà chiaro a vedere che non s'incomincia ben se non dal cielo, come già dis- se un nostro poeta; e come dal cielo solo venga agli uomini buon lume di sapienza. Ogni danno, ogni traviamento degli ingegni al secolo nostro derivare dallo sprezzo che si ha di questa santa dottrina; la mente umana folleggiare, abbrutire, perdersi nel fango quante volte si abbandoni solo a se stessa. Indi commiserando alla follia de'tempi esclama : Apodaxis epistolar. Ferrucci 333 « Haec facies miseranda orbis, fortunaque! Morum « Perfurit atra Ines; et sana mente valere est « Aegrotare minus; magnum est et multa parare, ■ » lactura caruisse, labantibus undique rebus. Poi mostrando quale giusto giudizio cadrà sopra noi dalle stelle, se non rinsavisca la perduta etk, invita le genti a far senno ; « Et coram trepidare Deo, dum tempus abundat, n Immotus precibus ne index adsit ad imum. Appresso nella seconda epistola, donata a monsignor Arcangelo Polidori vescovo di Foligno, parla De si- lentio. Dovere i giovani imparar prima a tacere lunga pezza, per potere poi parlare da savi. Com- menda il metodo di quel sommo filosofo italiano che fu Pittagora, che obbligava i suoi discepoli a quin- quennale silenzio. Ove fosse ferma questa massiìma, non si udrebbero tutto dì ciance e miserie di vanì filosofastri stancare le orecchie de'savi, e traviare i giovani. « Egregia est virtus patientia longa silendi : « Atque loqui suum plus profuit ordine vitae, « Quam dixisse aliis quod te quandoque locutum « Poeniteat: mala res, et dura, et piena dolorisi « Stultus dum tacuit sapiens est visus; et ipse a Eligit orator tacuisse, loquente corona. E segue dicendo che gran prò è , specialmente a' giovani, tacere; ma ben presente che questa dottri- na non allignerà a frutto in una età, in cui tutti 334 Letteratura parlano, anche quelli cui saria bello il tacere. Al nostro abate Loreto Santucci, già custode d'Arcadia, è diretto il terzo sermone, nel quale si ragiona De moribus veterum. La pittura deirantica gente è con- dotta con tocchi SI gravi e sì risentiti, ch'ella heti pare essere mano di eccellente maestro. Dice de'be- ni che uscivano di quelle, che oggi a spregio si chia- mano vecchie usanze , come allora cresceva obbe- diente e costumata la gioventù, come si adusava a tacere ove i maggiori d'età alzavano la voce, ne met- teva bocca in cose di regno o di religione, conten- ta di piegare ai voleri de'padri! Non era allora pe- nuria di forti petti e di robusti ingegni: la bontà del cuore teneva modo pari con quella della men- te. Poi quasi in iscorcio tratteggia a confronto i mali usi del secol nostro, e que'che si chiamano progres- si di civiltà; ed esce in fine con questo tratto ve- ramente magistrale. « Quid meat intactum ad seros, Laurete, nepotes? « Farcite barbariem furibundam in vota vocare, « Fastis atque opibus gens exitiosa vetustis. « Si cessant parvo truculentae fine catervae, « Hìc agit omnigenum cicurato pectore vulgus, « Ut breviter gemmas, ebur,aes, pictasque tabellas, « Et libros, et se cum fundo et cum lare perdat. Pennelleggiata così al vivo Tela antica, egli volge il pennello a ritrarre De moribus recentiorutm e affé ne fa un dipinto degno di Orazio, o di qual vuoi altro gran maestro di poesia. L'epistola, che è quarta in ordine, parla al marchese Pietro Bertaz- zoli, suo compagno di gioventli. Sarebbe impossibi- le cosa accennare anche di volo la filosofia che è Apodixis epistolar. Ferrucci 335 dentro questi versi, ne'quali si fanno aperti i danni venuti alla gioventù col tramescolarsi deVeggimenti sociali in mezzo le passate fortune degli imperi e de'regni; di la i mal sopiti sdegni civili, di la il dispetto d'ogni freno. Infrattanto per tatto si tumul- tua, si vuole, si disvuole, si alza, si abbassa: e que- sti novellini vanno gridando, che l'età sola presente vai per mille secoli addietro. Cosi con oltracotanza si prendono a giuoco le cose più sante, e que'sani principii di rettitudine che succhiammo col latte. Tutto di si sogna, ed ogni sogno è a ruina. Cosi si dà le spalle al vero per seguire il falso, si chiu- dono gli occhi alla luce per brancolar fra le tene- bre: e come l^uomo fosse (utto fango, non si vede intorno che fango. Ed ecco clii disgustalo della vita torce in se il ferro, chi da nel sangue altrui, chi ne rapina gli averi; Ja fede è morta. Vengono arti di lusinghe; l'educazione non è che mollezza: trion- fi del genere umano, una strappata di corde, un gi- ro di pie in danza, un gorgheggio: studio da far filosofi, la lettura indigesta d'un indigesto giornale e di pochi romanzi. « Quid feret haec aurora boni venientibus annis « Scitamur passim, et questus quandoque subortis « Inceptos lacrymis abrumpimus inter eundum. « Sed quid proficimus miserando, suavis amice? « Post partus furiata suos recruduit aetas « Monslrorum genetrix, et queis molimine magno tt Monstra iterum extabunt,donec Tyrinthius hydrae « Adveniat domitor, securaque seda reducat. « Nos habeat nostris cum natis undique circum « Clausa domus, satis indeptos, si peste furente « ££fugimus cadere, et morem servamus avitum. 336 Letteratura « Mersaque dimittat nos contentos myacantho, « Si caput asparagi quondam defecit edulis. A monsignor Pellegrino Farini, dolcissimo mio mae- stro e padre, è data la quinta epistola De ingeniis praecocibus^ la quale pur essa è tutto fiore di pen- sieri e di frasi. Vi si dice che la natura ne' suoi parti da indizio che tutte cose aver debbano il tem- po loro. Ma ai giorni nostri : «Hoc tamen involuit per tempus ferme apud omncs, «Poslhabita aetatis prorsus ratione, tenellos «Discipulorum animos doctrinae semine quoque «Opplere,et subilos petere, atque extrudere fructus. Usanza invero pessima e dannosa, la quale mentre pare dover accrescere le dovizie delle tenere men- ti, non fa che frangerne i nervi, e impoverirle. Chi pretende da'giovani ciò che non è dell'eia loro, è pazzo, come chi volesse nell'inverno fiori spontanei dalla terra, o la messe nella primavera e la ven- demmia. 1 buoni agricoltori insegnano che il ter- ren pingue può ben dar piti prodotti in un anno , ma per troppo uso dimagra; e dove prima rigoglia- va il grano, intisichisce poi l'erba. L'età dell'oggidì vuole filosofi i ragazzi, li vuole ogniscienti. Abbian tintura (li tutto, ragionino d'ogni cosa: e poi? ne verrà egli che sian teste d' uomini ? No, certo no : diverranno inetti, o al pili non faranno che accre- scere la greggia loquace de'saputelli. A questo pro- posito udite bei versi, mio caro Betti, e fate animo: Apodixis epistolar. Ferrucci 337 « Acclpite, o pueri, seriem faciesqiie malorum, « Ex cjuo blaiidiloc|ui passim calidarla mundi « Fecere ingeniis, ruerent ut praecoqua cultu, et Et gererent lauros doctl de munere vulgi , « Qui sobolem implumen nido fiigat invìdus auceps. « Prima trhono insiluit, regemque eiecit Erinnys: « Altera delectos proceres mulctavit iniquo « Exilio, ut laxis caderet respublica fraenis: « Tertia \ulgares furere, atque curulibus altis « More patrum docuit perfricta insidere fronte: « Tempore iani ex ilio nuUus delectus habendis « Communis census custodibus; ordine nullo a Cenventum est: cautos victrìx audacia fregit. « Praepropero iuvenes studio voluere videri « Rectores digni, senibusque a stipite pulsis, o Gente nova, vitiisque novis, nova iura tulerunt. « Aurea prae numero visa est vilescere virtus; « Nam numero valuere,globis atque undique ductis « Agminibus: plebs a patribus secessit, et omnem « Rem, capite excluso, absolvit sententia ventris. •e Quin etiam magnis fruges consumere ductum est. « Multorum ratio meliores traxit; et orbe « Inverso, argutum dominus portavit asellum. « Res romana tamen diverso constitit usu « Nobilis imperio, atque arraorum sorte secunda. « lUic non numero, sed vi meliore vacatum est « Et patriae, et famae,ad seras traherentur ut annos. « Gaudebant equites soli volitare sub armis, « Nec grege servorum tentabant bella, sed ipsis « Pectoribus seniorum afifiando extrema movebant. « Romulus insignem monitis felicibus urbem « Fundavit muris, sed praestantissima Roma « Exiit a Cannis; equitum nam sanguine fuso, « lUinc pcrpetuae micuerunt germina laudis. G. A. f . LXXVI. 22 338 Letteratura Pei*go (lomiim victor: natos, ipsamque maritam. ,, Expedio, et famulos vinclis cohibentibus Infra. ,, Vivo libens laetiis vi tara hanc, teneorque futura, „ Quam pecus in pratis Jepascens immemor herbas. ), Nil trepido exemplis post me referentibus orbem „ Ad nihilum, aut peius niliilo, mihi providus uni. „ Quid simile, aut propius sceleratum verba tulerunt „ Garrulitate levi, quae plenis excidet annis „ Quum gravitas matura virum iam ceperit omnem ? ,, Sed quae mirificis illuc confisa tragoedis „ Musa, Comes furiarum, odiis regalibus egit, „ Se levibus verbis minimum concedere dixit, ,, Nobilium rerum a prima studiosa iuventa. „ Quo factum est, ut mens verborum erumperet usque „ Ine E\'a Cincinnati Ba- riizzii. Epistole brevi amendue, ma non perciò me- no pregevoli delle altre per ispiriti di poesìa e sa- viezza di concetti. Ma la diciassettesima a Favre Bertrand de la Grange, De lu.xit, parmi che vinca molte delle altre e per elaboratezza e per isceltez- ZB di pensieri, e per arte di dire cose dilìicili con facile espressione e nobiltà. Egli tratta questo ar- gomento di economia pubblica con forza di ragio- namento grande : mostra nella società dovere ne- cessariamente essere più guise, o vogliam dire, or- dini di cittadini: dovere ognun d'essi fare le parti sue in questa commedia, che è la vita. Non con- venirsi adunque alla plebe gareggiare di fasto e di splendidezza coi patrizi, sì bene vivere conten- ta della frugalità nella pace delle operose sue biso- 344 Letteratura gne. Se avvenga altrimenti, essere grave detrimen- to. Cosi essersi tenute in fiore le citta in antico, ma non così oggidì ! ,, Sed mine verba sonant ubicumque, tacenllbus heu! heu! „ Exemplis, siiaque ipsa furens mala diligit aetas. „ Sicut enim sapere est quaedam nescire pudico „ Consilio, quaedam et verhis vulgare nefas est, „ Quae poterunt indicta bono esse minoribus;ex quo „ Auditor vulgaris inops est mente, stupetque „ Auditis, si magna ferunt, si parva sequuntur, Ridet, et excusat sibi vitam semper inertem, Quin et damnosam; nam se peioribus usque Comparat, ut meriti fugitivam colligat umbram. Longe alio fertur coeci sententia vulgi, Ac sapiens valeat recta ratione magister : Longinquos ut si portus quis nauta requirit, Atque ille ignoto declinat tramite rliombi. „ Nam quisquis levior luxum intellexit ab ipso „ Laudari sumptu, statuit, se indice, iam non Esse malum, et minime vitandum amplectitur omne ; „ Nec partim sumit parce, partim abiicit, uno „ Ipse sibi renuens, vicinis deditus actu. Appresso, dopo avere insinualo a ciascuno di non uscire dal suo rango , e di vivere temperata- mente e senza sfarzo; e avere detto all' artigiano , non dover egli cercare d'emulare il ricco nel ve- stire, nel banchettare, ne'sollazzi, e in tutt' altro , ma cercar solo il prezzo de'suoi sudori, e di questo mantenere semplice e fuor d'ogni lusso la vita; par- la del danno che viene alla classe degli operai Apodixis epistolar. Ferrucci 345 dall'uso introdottosi di adoperar macchine, anzlciiè braccia d'uomini ne'grandi lavorii delle manifattu- re. Nel che, sia con pace del dotto scrittore, io non saprei convenirmi con lui, perciocché mi paia dimo- strato, che r uso delle macchine addoppiando di molto i prodotti, fa entrare maggior danaro, il quale dee pur esso circolare dalla mano de'manifatturieri in cjuella degli operai. Conciossiachè io non so im- maginare che dove il commercio prospera, possa es- servì povertà nella classe industriosa; tanto più che la massa del danaro, che è messa in giro, aumenta in ragione dello spaccio, e lo spaccio si accresce quanto più sono i prodotti dell'industria. Ma per- chè io non mi convenga nella sentenza del eh. auto- re, non è però che io non veda in que'versi stessi una singolare bellezza di poesia; de' quali perchè pur voi, mio caro Betti, alcuna parte gustiate, go- do di recarveli innanzi alla distesa. ,, Cedant humanas mire fìngentia vires „ Ultra fas vario nexu instrumenta; manuque „ Ducat opus studiosus homo, ne forte sedendo „ Exstimulare animum condiscat corpore inerti, „ Atque vice obscura tandem indignetur haberi. „ Tempora fraterna fortasse carentia caede ,, Ad valvas pulsant orientis lumine fausto. „ Audete, o proceres, resipiscere: toUite labem ,, Perpetuam: sit, more patrum, nonnullus acervus „ Vulnera qui capiat coelo, terracjue, marique „ Intentata bonis, quae dat fortuna, rapitque. „ Credite, neccjuicquam positis optare salutem „ Ordinibus genus humanum, ni sponte paratis ,, Ouilibet abstineat persona, imitandus ad imum. ,, Namque datos tolerare dies sapientia muta est, 340 Letteratura ^ Quae pelllt vitae fastidia desidiosae, „ Nec miseros sinit ipsa sibi consciscere morlem. Chiusa a questo modo la diciassettesima episto- la, viene la diciottesima, che ha in fronte il nome del conte Luigi cavalier Sauli, e si stende a ragio- nare De cura reipublicae: della quale perchè giu- dichiate, mi basta recarvi pochi versi, dai quali co- noscerete come sì grave argomento sia stato svolto gravissimamente e con tutta eleganza : „ Credlte , mortales sallentis ad ardua sedi, „ Praeteriisse dlem gazae sine more parandae, „ Natura enecta, moi pessum iuribus actis. „ Praestat amare domum, et patriam; praemittere honesta „ Utilibus; sacrum sanctumque putare, quid esse. „ Cernite, Cartago quae sit cum moenibus altis, „ Aut quae sit Babylon sparsis prope nulla ruinis, „ Et SoIyma,et celebres, redivivum nomen,A.thenae! „ Vos etiam, Italiae condensis civibus urbes, „ Merserit excidio pelore volubilìs aetas. „ Attamen aeripedes quodcumque eflfugerlt annos, ,, Arguet antiquum decus, atque novissima fata, „ Quam longe fas sit, reparante raorabitur ausu, Ed in fine : „ Quisque aliquid debere alils condiscat amore, „ Fraterno, minimumque sibi concedat habendum. „ Publica sic crescet res iustis quaestubus aucta, „ Et dudum incolumis caeli sub luce manebit. Alti, nobili e generosi sentimenti sono questi, Apodixis epistolar. Ferrucci 3M e degni d'un poeta che vuol nudrire gli animi di Luona e vigorosa pastura. La diciannovesima episto- la, che porta a capo il nome di Vincenzo Menchi, è De lingua la/ina: e voi bene potete immaginare co- me il Ferrucci nostro sappia awocalare la causa di questa lingua, ora maledetta dagli sciaurati, e da que'che per ora sono gonfi d'un' aura popolare, che passa rapidissimamente , ma nell'avvenire appena avranno luogo presso Pier Soderini nel limbo de bambini. Nella ventesima l'autore mostra ai giova- ni, cui n'è donato il titolo, la maniera de*suoi stu- di: y^uctor de ratione sludiorum siiorum. E brevis- sima, ma sarebbe grande utilità se i giovani la leg- gessero, anzi la meditassero, e ne traessero profitto per se. Queste epistole il Ferrucci, così scriveva egli a me, ha destinate ad essere come la Georgica degli animi per prepararsi alla lettura del suo Memoria- le, il quale e per bontà di stile poetico, e di sa- pienza civile, so dirvi che è gran fatto; se neU'iii- tero risponde ai brani che io ne ho, or son due anni, gustati. E perchè credo vi sarà caro, vuò far- vi leggere ora un paio di distici che stanno a fine delle epistole, quasi a modo di corniate. Dicono così: „ Ite animos iuvenum missi componere, versus, „ Proposito digni, nec tamen arte pares. „ Ille decus faciat, qui cacio adspirat, ab omni „ Pube semel post hao vos iterumque legi. Resterebbe ora che io vi parlassi di altri due bei componimenti in esametri, il primo de' quali s'intitola : De laudibus Gregorii XFI Pont. Max. ex eius imagine qiuim Cincinnatus Baruzzius mar- more exculpsit : l'altro: Ad Gregorium XVI P. M 348 Letteratura De museo ex monumentis etruscis qiiod ipse ape" ruit Romae anno optatissimi pontificatus VII. Ma perchè ora vedono luce per la seconda volta, e so che voi già li avete letti, gustati ed ammirati, io me ne passo; tanto più che la lettera è già quasi fuor d'ogni confine lunghissima. Le cose che fin qui ho scritte, penso che vi daranno alcun conforto, se non consolazione pie- nissima, nell'amarezza in che siete voi, in che so- no le lettere nostre, che molto a ragione piango- no la troppa presta morte del Boucheron : ma se questo non bastasse, altro io vi dirò, come in ag- giunta. Sappiate adunque che il nostro don Cesare Montalti è ritornato a buona salute , e si occupa di forza negli studi della classica latinità. „ Quan- , to prima (così mi scrìsse egli di Bologna il 26 , dello scorso agosto ) avrai un mìo endecasìllabo , latino a stampa, nel quale per una non mendi- , cata combinazione , mi è venuto in acconcio di , forbire un poco la cute ai giurati nemici del sa- , ero idioma del Lazio. Anche a Firenze credo che , si stiano pubblicando otto sonetti (quattro de'qua- , li inediti ) del cav. Monti, i quali in Ferrara ho , tradotto in esametri a petizione della contessa , Costanza Pertìcari. L'edizione sarà preceduta da , una mia epistola latina alla medesima, la quale farà forse corrugare la fronte a coloro che com- battono in aperta guerra la santità de' classici studi „. Addio, mio eccellente e dotto amico. Rallegra- tevi con tutto questo, se potete: e se ciò non vale a tornarvi allegrezza nel cuore , almeno valgavi a mostrarvi quanto io sono vostro. Il Cassi vi saluta con me. Io vi abbraccio. Di Pesaro il 18 di settembre 1838. 349 Versi italiani e latini pubblicati nella fausta pro- mozione alla sacra romana porpora delVeminen- tissinio principe Luigi Ciacchi. Pesaro tipografìa del Nobili 1838. Xja illustre e colta città di Pesaro, la quale ha con ogni maniera di dimostrazioni appalesato la sua esultanza per aver veduto rivestito della romana porpora uno de'suoi pili ragguardevoli figli, ha vo- luto eziandio co'versi significare, e tramandare alla posterità un così fausto avvenimento. Pertanto mol- ti gentili poeti sì latini e sì italiani della nostra pe- nisola cortesemente invitati hanno tolto volentero- si un così nobile incarico; e mentre hanno tribu- tato le dovute lodi al pontefice Gregorio XVI fe- licemente regnante, e al novello porporato, hanno ben saputo guardarsi da quella adulazione che tan- to facilmente lusinga le orecchie de'grandi. E preceduto il libro da una epigrafe italiana del prof. Montanari, la quale appalesa la fausta occasio- ne, per cui furono i versi dettati. Segue la lettera dedicatoria del magistrato pesarese all'eminentìssimo Giacchi, ed un sonetto del medesimo prof. Monta- nari a Gregorio XVI. Leggonsi in questa raccolta i sonetti del Farini, del Torricelli, del Parenti, del Valorani, dell'Antinori, del Vaccolini,del Mezzanot- te, del Roverella: e di questi sonetti alcuni hanno la versione latina del Rosani, del Montalti, del Bo- nuccelli, del Morini, del De Angelis cultori felicis- simi dell'antico idioma del Lazio. Fanno parte delle SjO Letteratura liriche poesie un'ode alcalca delPavv. Ferrucci resa italiana dal prof. Bernabò-Silorata, altra italiana del cav. Ricci, l'inno in terza rima a s. Cecilia scritto dal Marzelli, e l'altro in versi sciolti alla beata Se- rafina protellrice di Pesaro e composto dal conte Cassi; finalmente le ottave del giìi ricordato Monta- nari sull'Imperiale di Pesaro fornite di eruditissime ed acconce annotazioni. Noi vorremmo aver agio di riferire in gran parte le suddette poesie : imperocché tutte ci sono sembrate scritte con mollo buon gusto : ma non consentendolo la brevità, di cui ci conviene far uso, ne offriremo solamente alcune, ailìnchè, come ne* jjnstosi cil)i, dall'incominciare a saggiarli venga poi il talento di pienamente assaporarli. Dal l'osservare che rare volte l'uomo giunge ben presto ai piìi alti onori, saggiamente il marchese Antinori fii rilevare il grande merito del porporato novello nel seguente sonetto ( a cart. 30 ). La dov'altri per lunga ed aspra via, Per durati travagli anelo e stanco , Rotto dagli anni e il crin già raro e bianco, Tardo premio cogliendo alfin salìa, Tu per breve cammin, che sol t'apria Merlo non van, ratto poggiasti e franco, Retro lasciando quai venianti a fianco: Tanto ingegno e virtude in te fioria. Ne senz'alto consiglio il pio sovrano Te a sommi incarchi e ai primi onor prescelse, Del sacro ti fregiando ostro romano: Che da Voi luce sfolgorante e schietta Di magnanimi esempli e d'opre eccelse Oggi Roma ed Italia e il mondo aspetta. Versi pel Card. Ciacchi 351 Il conte Roverella poi prende ad encomiare il Ciacchi da un altro principio, da quello cioè che l'uomo fuori della patria ottiene quegli onori, che assai più difiìcilmente avrebbe conseguito nella ter* ra natale. Eccone i versi (a e. 36): Rado tranquilla ed ornata siede Virtude all'ombra del materno nido, Ove colpa di reo secolo infido Invan di ben oprar chiama mercede; Questa è cagion ch'uom disdegnoso il piede Mova jieregrìnando ad altro lido; Ne, perchè forte affettuoso grido D'amici lo richiami, indietro riede. Colà talor sua luce arde si pura, Che viene in fama, e di onoranza alfine Debita alla virtù si rassicura. Signor, tu il sai, che ricompensa intera Ricevi, mentre il venerato crine D'ostro ti cinge chi sul Tebro impera. Ambedue questi componimenti hanno la ver- sione del Rosani. Per non esser prolissi riportere- mo soltanto quella del secondo ( a cart. 37 ). Materna virtus perraro in sede quietem Gaudet honoratam : vitio nam temporis atri Frustra hic egregi is respondent praemia factis< Hinc est, magnanima quod quisquam percitus ira Incessu exlernas peregrino tendit in oras: Nec, licet afflicti geminata voce sodales Dulce preraant revocare gradum, vestigia torquet. Ille ibi lam pura nonnumquam luce renidet , Ut fama insignis merilosque indeptus honores 3y2 Letteratura Aspiclat slne nube suam transcurrere vitam. Tu, Lodoix, mihi testis ades, cui digna laborum Taedia compensat merces, duni principis almi Ad nutum, sacros decorai tiLi purpura crines. Dai sonetti passando alle odi, nobilissimo per certo sì pe'concetti, e sì ancora per la eleganza della lingua, è il carme alcaico dell'avv. Ferrucci. Come non innamora ogni anima gentile la pace che regna- va nel mondo ( a cart. 19 ) ! Cum tota coetu stirps hominum pio Pendere visa est arbitrio senum, lugumque portarci iuventus Imperio docilis parentum. Licentiosus nec peteret gero Quo iure magnas alter opes tenet, Plerumque iniqua lance summos Ad pretium retrahens lionores. Tunc obligata consliterat fide Securus orbis: nec sibi quispiam Quidquam receptum, vel negatum Ad superos metuit referre. Et seu quietum publìca res statum Servaret, insons mente lulit, boni Quod rura donavere et urbes Dissidiis gravibus carentes : Seu pertinaci bella forent vice, Orare pacem non renuit Deum , Utriumque tutus: mox cruentos Fratribus indoluit triumphos. Demissam ab alto suscipere hanc novi Libenter aevi spem liceat vìris, Quacumque et exhaustos recenti Condere lactitia dòlores. Versi pel card. Ciacchi 353 Chi poi non ;^ustera questi versi, con cui it MarzetEi da principio al suo inno a s. Cecilia ? I cjuali versi non solamente troviamo pregevoli per la forbitezza dello stile: ma anche per le verità Cile contengono: imperocché, siccome a tutti e ben noto, il bello poetico principalmente consiste nel vero o nel verisimile^ e non già in quelle bizzarre fantasie, che tante volte, se ben a dentro si esa- minino, son simili al mostro oraziano (a e. 41). Or che il vulgo profano a tua sant'ara Disdice il culto, o somma arte de' vati, Fra gli angelici cori ti ripara. Ivi è l'alto principio, ivi gli alati Spirti i primi destaro inni al Signore Sui gran plettri dal sole armonizzati .... Allor le aurette si meschiar d'amore Co'fior dipinti, e del fuggevol rio Scese il lamento a risuonar nel core. Torni all'alto principio il verso mio: Or che luce più. viva il ciel qui spande, Bello è ridir di chi s'allieta in Dio. In appresso il poeta cosi narra il voto di ca- stità fatto a Dio da Cecilia, e le sponsalizie con Va- leriano ( a cart. 44 e seg. ). Nel dolce tempo che riamato amando Il cor s'accende, a un giovinetto adorno D'impalmarti (1) redia pago il dimando. (i) Cecilia. G. A. T. LXXVI. 23 354 Letteratura Ma tu già sacra all'lmmortal soggiorno Tal prece a lui movevi, e in quel colore Fingevi il volto, onde il sol pinge il giorno s O giovinetto, se a virtude il core Chiuso non hai, di fior virgineo intera Lasciami, ch'io son tutta al mio signore. Ed un de'spirti dell'empirea schiera Starami a guardia secura, e in chi m'offende Ruota la spada sanguinosa e fiera. - Ed egli: - Il mio desir nel tuo s'accende: Or tu m'ottien ch'io pur quel divo ammiri Che sovr'ali d'amore a te discende. - E tu il vedrai dagli stellati giri , Pronta ripigli, a me raccor le penne Balenanti d'argento e di zafiìri. - Composti ambo cosi, finche si tenne Sovra il nostro emisperio il gran pianeta Ciascun gran punta di desio sostenne. E già la notte tenebrosa e quota Del secondo suo passo il ciel stampava. Incedendo veloce alla sua meta. Quando l'angelo librandosi dal cielo in tutto il suo splendore, e recando un serto di olezzanti fiori, ap- parve a difesa della vergine. E parlò: - Questi odor, questi colorì Dureran lungi quanto dura il riso Intra le sfere de'superni amori. Son questi i serti onde le tempia e il viso. Quasi duce in trionfo, s'inghirlanda Ogni spirto beato in Paradiso. Cólti per voi nella piìi dolce landa Del santo Eliso, a voi che il ciel mirate, Lo sposo delle vergini li manda. - Versi del card. Ciacchi 355 Tacque: e sovr'ali dal desio spiegate L'angel levossi al cielo, ed il tuo crine Di quel serto onestò santa onestate. Te dunque cantin l'aure e le pruine Vergin, martire, e sposa: a te le genti Mandin laude dell'orbe oltre il confine. Ma tra il grido votivo, odi ec ec. L'inno alla beata Serafina, altra proteggitrice di Pesaro, è degno del eh. traduttore della Farsa- ^lia, ne cede all'altro inno in lode della beata Mi- chelina, di cui con tanto onore questo nostro ed al- tri giornali parlarono: e però sarà ben meglio leg- gerlo per intero che qui riportarne qualche brano. JNella sua ode il Ricci cantò la sandice con quella medesima grazia, di cui ha saputo rivestire tanti suoi componimenti. Odasi con quanta venusta sappia egli lodare il nuovo porporato e per avere con grande prudenza retto provinole, e per avere con tanta lode e in difficili tempi sostenuto in Roma l'onorevolissimo incarico di governatore, vice-ca- merlengo, e direttore generale di polizia (a cart.28): Or di tal ostro ammantasi Miglior del prisco lauro Quei che virtù domestiche Dal celebrato Isauro Fin tra le palme addussero De'trionfali aitar. Quei che soccorse al palpito Delle Provincie, e i voti Fé paghi de'difficili Di Romolo nepoti. Che a lui curvar magnanimi La fronte non sdegnar. 356 Letteratura Nella stagion che i posteri Diranno o folle o rea, Giustizia il brando porsegli, Sulla cui punta ardea Una favilla tacita Del fulmìn punitor: Ei ne mostrò de'secoli In mezzo al fumo il lampo; E se impugnò la folgore, Poi ne trattenne il vampo, Che il vulgo non indocile Fé suddito all'amor, ec. Quante cose e quanto leggiadramente e nobilmente dette! Ma tempo è ornai di giungere al componimen- to, con cui chiudesi questa raccolta, vale a dire alle ottave del Montanari, nelle quali se alcun po- co di pili ci fermeremo, i gentili lettori per certo ci terranno per iscusati, richiedendolo la gravita del soggetto, e le bellezze di cui ha snpulo adornarlo il valoroso poeta, potendosi con verità chiamar que- sto il canto delle glorie pesaresi. Vicino al fiume Isauro, detto volgarmente Fo- glia, sopra il monte chiamato un tempo Accio, ed ora s. Bartolo da una chiesa e da un contiguo mo- nastero di religiosi che un giorno vi abitarono, sorge un magnifijto palagio innalzato da Alessandro Sfor- za signore di Pesaro. La prima pietra ne pose l'im- peratore Federico III, quando dopo la sua corona- zione mosse da Roma a Pesaro, ove alcuni giorni di- morò. Quindi il nome (T Imperiale a perpetuare la memoria di sì lieta inaugurazione. A questo palagio in appresso, per ordine della duchessa Eleonora Versi pel card. Ciacchi 357 moglie di Francesco Maria I della Rovere, fu a;^- giunto altro grandioso edificio, mentre il marito di lei era nelle guerre d'Italia occupato. II pro- fessor Montanari ha fatto segno al suo canto que- sta nobilissima villa, ora in gran parte deserta; e non solo a noi l'ha bellamente descritta, ma per dare alcuna ragione a questa descrizione medesima parla della pompa delle nozze di Lavinia figliuola di GuidubalJo II e di Vittoria Farnese col principe Felice Alfonso d'Avalos di Aquino signore del Va- sto avvenute poco dopo il 1564 o in quel torno. E siccome a quella fioritissima corte de'Rovereschi convennero un Federico Comandino, un Guidubal- do del Monte , un Baldassar Castiglione , un Cin- zio Giraldi, un Torquato Tasso, così coglie esse op- portuna occasione a ricordare questi ed altri lu- minari della italiana sapienza. Ne con bell'arte si passa dal nominare Tullia d'Aragona, Laura Bat- tifcrra, Gaspara Stampa, Laura Terracina, Chiara Matraini, Isabella Genga, Isabella Cini, Minerva Bar- toli, Ersilia Cortese, Costanza D'Avalo, e Lucrezia Gonzaga, poetesse tutte contemporanee, e che usa- vano alla corte di Guidubaldo. Il prof. Montanari ha saputo trarre partito da tutto, ed in questo canto non manca di descrivere or gli ameni luoghi vicini all'Imperiale, or di ricordare gl'illustri soggetti tro- vatisi a quell'imeneo, or di far voti perchè venga la villa al suo primo splendore restituita, invitando l'Emo Ciacchi a favorire questo sublime pensiero, e a condursi quindi a diporto nella medesima insieme agli altri scienziati che ora hanno grido nella sua patria, e che con tanto amore egli nomina. Da questo abbozzo ben vedesi quanto buona sia la condotta del componimento, e di quanto intcres- 358 Letteratura se pei* r onore di Pesaro. Ora riferiremo taluna di quelle ottave, le quali ci sono sembrate più bel- le, e che per la loro franchezza e rapidità imita- no così bene, seppur l'opinione non c'inganna, quel- le del grande Lodovico. Ecco come il poeta descrive l'edificio, dopo aver prima parlato della situazione del monte (a cart.72)3 Quadro è il ricco edificio, e fuori appare Di bella e maestosa architettura : Sovra colonne d'artificio rare S'alza il precinto delle forti mura. Ha quattro fronti, e luna guarda al mare. L'altra al monte, al giardino, alla pianura; Un gran portico dentro le discorre, E nel mezzo si leva un' ardua torre. Per verità in questa stanza potrebbero offender© alquanto i più schivi le desinenze in are e in itrai ma benché sia bene lo evitarle, non è però difetta tale da farne rimostranze come se fosse in un &o-« netto. Ma seguitiamo: S'apre un atrio superbo a pie le scale, Cui le vene di Paro i marmi diero, E metton dentro a spaziose sale. Ove tutt'arti di lor possa fero L'ultima prova, e non sai qual prevale, Tanto imita ciascuna e rende il vero ? Girano intorno i regi appartamenti Ornati in ricche fogge e differenti. Di svariato colore è il pavimento A brevi lastre de'più fini marmi. Dove l'arte con vago accorgimento Or figure ritrasse or fiori or marmi: Versi pel card. Ciacchi 359 A dir delle pareti ogni ornamento E delle volte han poca lena i carmi, Che di pennello e di scarpello umano Tu cercheresti piìi bell'opre invano. Il buon Costanzo miri sculto altrove Arginar mura, incastellar le porte. Steccar le fossa, e di bastlte nuove Il precinto murai render più forte; E accennar ciò che noccla e ciò che giove Il Brunelleschi colle mani sporte. Non lunge grande stuol di gente appare Che affonda il porto e vi tranquilla il mar Miri trofei dipinti, armi, bandiere In altre stanze marzialmente ornate, E colle insegne di domate schiere Scudi, usberghi, stlnieri, elmi, celate : In tai color che ti rassembran vere. Spade ed aste fra Jor strette e intrecciate; Sotto cornici poi d'argento e d'oro Vanno in un serto sol quercia ed alloro. Con magnifica pompa un' altra stanza È tutta messa a drappi, a cortinaggi. Se la ricchezza o la bellezza avanza In forse stanno a giudicarne i saggi : Cadon festoni con ugual distanza, Mandano gemme ed or faville e raggi Intagliate con lavor perfetto, Son le porte e le reggi ebano schietto. E dove il muro si ripiega in volta Vedi a consiglio il venezlan senato : Tanto la mente a quella vista è colta. 360 Letteratura Che credi innanzi ai numi esser levato- Qui la latina liberta raccolta Splende piìi gloriosa in ogni lato: Degni di riverenza e al par sicuri Ginea mirò gli Appi, i Fabrizi, i Curi. Il rito nuziale di Lavinia e di Alfonso, il con- vito, la passeggiata suU' altura del monte, donde si scopre tutto il territorio pesarese, son cose tutte con grande felicità esposte dal Montanari. Prima però di dar fine a questo saggio non dispiacerà di leggere alcuna delle ottave, consecrate ad onorare le donne illustri, che o nacquero o ebbero stanza in Pesaro. St. 64. Ve' Minerva Pianosi in atto deg-no D'onor : vedi Costanza Landriani: Colei che virile ha faccia e contegno È Camilla Baglìoni, che di umani Studi seppe fiorir l'altero ingegno; L'altra, che a sceglier fior china le mani,; É la bella Lucrezia, a cui l'antica Il vanto cederà d'esser pudica. Vedi Vittoria Gozia e Giulia Tiene Con Ippolita Pica andar ristrette, A cui de'Piccolomini la speme E le future laudi amor commette. Giulia Gonzaga presso lor sen viene, Cui crescon pregio le sembianze elette; Lunardi Elisabetta in bruno manto Move ultima con l'altre a lei d'accanto. Quindi dopo avere rammentato il Didi, il Grif- fi , l'Agostini, Domenico da Pesaro, il Sabatini, co- sì esclama ( cart. 89 ): Versi pel card. Ciacchi 361 Agl'ingegni e agli studi o età felice, Degna d'esser cantata in mille carte ! Questa, che saggia si millanta e dice, Troppo da onesta laude si diparte : Che ignuda ramingando ed infelice Lascia andar la virtii per ogni parte, E crede pari a sì gran fallo ammenda Se a lei già spenta qualche onor poi renda, Oh ! le piaccia al fin darne alcun conforto Togliendo tanto biasmo e tal vergogna: E se condurre a glorioso porto L'opre dì vera civiltade agogna, Non pili ingrassi le piante del mal orto, Ma rimossa dal ver ogni menzogna Faccia che omai dal gel non sian distrutti Di generosi rami in fiore i frutti. Questa laude a te spetta, e SOMMO PADRE Che in Vaticano benedici i regni : Tu risvegli alle antiche opre leggiadre Con larghezza d'onor gl'itali ingegni : Onde la terra, che fu all'arti madre, Ogni arte anch'oggi a tutte l'altre insegni: Perchè avverrà che il nome tuo risuone Sopra il nome d'Augusto e di LeonCé E bastino queste ottave per giudicare della bon- tà di un nobilissimo carme, che non dubitiamo di vedere interamente riprodotto in altri giornali , quantunque dica l'autore assai modesto, abbisogna' re delle seconde e delle terze cure. Fin qui abbiamo parlato del merito poetico della raccolta: ora aggiungeremo che nitida n'è la carta, belli i caratteri, ed esattissima la correzione tipografica. Ed esser così anco dovea, perchè alla 362 Letteratura compilazione furon deputati il eh. conte Francesco Cassi ed il lodato prof. Montanari, il quale ne fu l'editore; e perchè il liliro si rendesse anche raro, ne furon solo tirati 300 esemplari. In fronte poi ve- desi il ritratto dell'Emo Ciacchi eseguito in ]3ologna dalla litografia Zannoli, Noi ben di cuore ci rallegriamo co'gentili pe- saresi, ed in ispecie col eh, marchese Antaldo An- taldi gonfaloniere di quella citta ed illustre lettera- to, da cui i dotti con impazienza attendono i versi di Catullo ridotti alla sua vera lezione, per aver egli principalmente incuorato i suoi concittadini a festeggiare in tal guisa un così lieto avvenimento. L'idea delle raccolte è pur troppo vieta: nondimeno quando si sappiano scegliere gli argomenti, e quan- do gli scrittori sieno di bella ed onorata fama, non vi sarà per certo persona di senno, la quale voglia a ragione dispregiarle. F. FaBI MoNTANIt 363 BELLE ARTI Pinacoteca della imperiale regia accademia veneta delle belle arti, illustrata da Francesco Zanotto. Venezia dalla tipografia di Giuseppe Antonelli^ foglio fig.^ articolo IL {Fedi il tomo LXVI). \Jaando primamente facemmo parola in questo giornale dell'opera del prof. Zanotto in illustrazio- ne della pinacoteca dell'accademia veneta, ci erano giunte alle mani sole ventisei distribuzioni di essa; ora che ci è pervenuta la cinquantesima, che è l'ul- tima, ci par conveniente darne un secondo estrat- to. E siccome il sig. professore ebbe divisa l'opera in due volumi, facendo termine al primo col tri- gesimo fascicolo; così tenendo noi la sua divisione, prima diremo, quasi supplemento al primo nostro articolo, delle quattro distribuzioni che mancavano a compiere il primo volume; poi faremo passaggio al secondo. Nel soffitto della confraternita di s. Giovanni aveva Tiziano dipinto quel santo assorto nella con- templazione de'cieli aperti all'attonito suo sguardo. Venti tavolette servivan di pregio a quella tela, rap- presentanti in diversi modi essi emblemi degli evan- gelisti: undici di esse ne vediamo ora incise in ra- me (fase. XXVII); e non puoi a meno di non dir 3G4 Belle Arti angeliche le sembianze di que'putti. Paolo Galiari il veronese dipinse s. Cristina confortata dagli angeli nella prigione (fase. XXVIII): il carattere dello sti" le fiorito di Paolo vi è assai deciso; il magistero di ombra e di luce piace al sommo, e forma una viva e spirante scena di natura. Ognun ritiene pel capo-- lavoro di Paris Bordone la tela, nella quale dipin- se il barcaiuolo che presenta al doge e alla signo- ria l'anello datogli da s. Marco in quella notte, in cui fu sedata per mezzo di esso santo un' orribile tempesta (fase, XXIX). Forma questo dipinto il se- guito di quello del Giorgione, di cui dicemmo nel primo articolo; e ben a ragione è tanto lodato; per- chè nobiltà e vivezza nelle teste, disposizione nell* insieme, armonia di chiaro oscuro, forza di colo-' rito , lo rendono maraviglioso. Carpaccio dipinse gli ambasciatori del re d'Inghilterra, nel momento che a nome del figliuolo di lui chiedono in isposa s. Orsola a Mauro re di Britannia suo genitore (fase. XXX): opera allegra per ridenti prospettive, e per magnificenza di vesti. Il battesimo di Gcsìi Cristo è di Giuseppe Porta detto Salviati (fasc.XXX); ma non però una delle migliori produzioni di lui. Jja Vergine col Bambino, belli di forme, di grazia angelici, è opera di Giovanni Bellini (fase. XXIX). Il miracolo della santa Croce operato sopra il pon- te di s. Leone in Venezia, fu dipinto da Giovanni Mansueti (fase. XXVIII), il quale benché si tenesse fermo alla scuola del Bellini, pure merita lode e per la verità delle mosse, e per la bella distribu- zione, e per la robustezza delle tinte. Queste tavole forono diligentemente disegnale dal Busato, dal Giovannino; incise dal Viviani, dal Nardello, d.l Dala: il Zanotto inta2;liò i >'itratti di Pinacoteca veneta 365 Paris Bordone, del Mansueti, del Porta; e siccome quello di Francesco Vecellio fratel maggiore di Ti- ziano, dato al fase. XIV, non era veramente di quel- la autorità che all'estensore chiarissimo era stato fatto credere, così deve ad esso sostituirsi l'altro dato nel fase. XXVII, e desunto da un quadro di Tiziano, che dipinse il suo germano sotto le sem- bianze di s. Andrea. Prima di scendere a far paro- la del secondo volume, vogliamo dire del frontispi- zio e della dedica del primo, inviata agli associati insieme con la trentesima distribuzione. La dedica è alla patria; e siam certi che ogni cortese italiano ap- plaudirà al Zanotto ed allo Antonelli, perchè il lo- ro lavoro, destinato a porre in luce le meritate lodi de'veneziani nella pittura, torna a gloria d'Italia, nostra patria comune. Nel frontispizio il Viviani incise una leggiadra composizione del Zandomene- ghi; in cui vedi la veneta pittura diademata e se- dente, mentre un* aerea figura donnesca, precedu- ta da alcuni genietti, corona di fiori la sua tavo- lozza; dinanzi è accosciato il veneto lione; piìi lun- gi le grazie librate nell'aria; in fondo il canal gran- de, e fra diversi edifizi la piazzetta di s. Marco. Venendo ora al secondo volume, dobbiam ri- petere quanto già altra volta dicemmo; cioè che tut- ti i dipinti son di veneta scuola, come veneto è l'illustratore, veneto l'editore di essi, veneti gli ar- tisti che adoperarono il bulino o la matita. Il pro- fessor Zanotto non solo non si stancò in opera di tanta lena, ma raddoppiò la diligenza, l'erudizio- ne, la dottrina. Così nelle descrizioni dei dipinti, cosi nei cenni intorno la vita dei diversi pittori, correggonsi spesso, e sempre con validi argomenti, gli errori di chi antecedentemente ne ebbe scritto: S66 Belle Arti e rapporto alle vite, abbiamo in questo lavoro tìel Canotto una scelta biografia veneta pittorica. Oltra quelle qui innanzi, ecl altra volta indicate^ nel se- condo volume se ne leggono di altri diciannove pit- tori : cioè dei due Luigi Vivarini seniore e giu- niore, di Bartolomeo Vivarini, di Lorenzo Vene- ziano, di Nicolò Semitecolo, di Andrea Vicentino, di Francesco Montemezzano, di Giambellino Cigna- roli: aggiungi Carlo Caliari, Glo. Battista Moroni» Domenico Robusti, Francesco Zuccarelli, Michele Giarabono, Gregorio Scliiavone, Giovanni Cariani, Lazzaro Sebastiani, Bartolomeo Montagna, Antonio Canale. Ma veniamo ai dipinti. La Vergine assunta alla presenza degli aposto- li, corteggiata da numeroso coro di angeli, rice-' vuta dall'eterno Padre (fase. XXXI), è senza meno il pili classico quadro della veneta pinacoteca; anzi uno de^primi del mondo dopo risorte le arti. Dipin- se questa tavola di colossale misura Tiziano Vecel- lio per la chiesa de'Frari; ed il professor Zanotto nel descriverla giustamente si spazia piìi che in al- tra qualunque fra cjuelle cento che in questi due volumi seppe cosi convenientemente illustrare. Cer- to il Vecellio fu ispirato dal nume, quando potè ef- figiare tanta parte di cielo, e la Vergin madre che s'immerge in un'onda di luce, e brilla di gioia al canto delle angeliche schiere: l'eterno Padre è pa*« rato a riceverla nel giocondo suo amplesso: al bas- so, nel mezzo della scena, s'erge l'umil tomba, nella quale fu chiusa la salma purissima di Maria; d'in- torno all'urna stanno gli apostoli, che con le mani giunte, e la testa volta alla gloria seguon con gli occhi e con l'animo il grande volo della donna im- mortale. Fuvvi chi, annoverando le piìi perfette pit- Pinacoteca veneta 36. ture de'luminari dell'arte italica, scrisse esser cin- que i massimi prodigii: il primo la trasfigurazione del Sanzio; l'universal giudizio di Michelangelo il secondo; l'Assunta di Tiziano il terzo; il quarto il s. Girolamo del Correggio; la comunione dello stes- so santo dei Zampierì il quinto. Osserva il Zanot- to cruanto sia malagevole porre a confronto i lavori di c'ae'sommi maestri; pure con molta dottrina pa- ragona questa tavola all'opera di Michelangelo per la composizione, per la espressione a quella del Domeniohino, pel chiaroscuro al Correggio, a Raf- faello pel disegno. A quale altro pittore poteva egli ralTrontarla pel colorito? certo a ninno. E già il Ci- cognara, di questa medesima tavola scrivendo, ebbe ad affermare contenersi in essa il puro disegno di Raffaello^ il chiaroscuro e gli scorci corregge sdii, e r aurata empirea luce de* raggi celesti, cui niuna scuola italiana pub gloriarsi dopo tre secoli di offe' rir stemperata sulla tela. Vada dunque a tutta ra- gione superba la pinacoteca veneta di possedere in questa tavola del cadorino uno de'piìi rinomati mi- racoli dell'arte risorta; come a ragione può andar superbo il vaticano di possederne tre fra i cinque ricordati. 1 pili antichi quadri, che si hanno in quest'ope- ra, sono quelli di Nicolò Semitecolo (fase. XLVI), e di Lorenzo Veneziano (fase. XXXII). Quegli ope- rava nel 'I3T0; pure se non raggiunse Giotto nella castità del disegno, certo lo superò nel colorito, e non gli fu secondo nel comporre. Di lui possiede la pinacoteca un' ancona divisa in venti comparti, ne'quali dipinse varie storie della vita di Gesìi Cri- sto, altre di s. Francesco. Era nel cenobio di s. Chia- ra; quando di la fu tolta, si staccò la tavoletta di 368 BelleArti mezzo che venne clonala al principe Eugenio; e ve ne fu sostituita un'altra, nella quale Stefano Pio- vano (veneto pittore assai raro e poco conosciuto) dipinse la Vergine madre coronata dal divino suo figlio. Contemporaneamente operava Lorenzo ; ed una macchinosa tavola di lui dalla soppressa chie- sa di s. Antonio fu portata alla pinacoteca; vi di- pinse nel mezzo la Vergine annunziata ; in molti comparti laterali, diversi santi della nuova e della vecchia legge. Il comparto superiore di mezzo non è suo; nel trasporto della tavola andò perduto; e venne sostituito l'attuale, lavoro di Francesco Rizo da santa Croce. Non mollo dopo, cioè verso il 1414, operava Luigi Vivarini il seniore, di cui vediamo i santi Giovanni Battista e Matteo in due tavolette (fase. XXXVI). Di Giovanni e di Antonio Vivarini da Murano è una tavola con la coronazione di Ma- ria Vergine ed altri santi in gran numero (fase. XLVIII); essi fiorivano verso il 1450. Ne da questi tre Vivarini disgiungeremo Bartolomeo che pittu- rava sul finire del secolo XV, e Luigi giuniore che operava al principiare del XVI secolo. Del primo è un' ancona con la Vergine, Gesù dormente ed altri santi (fase. XLII); del secondo una tavola, in cui fra sei santi siede Maria col divin figlio. E poiché siamo in parlare di antichi dipintori, ne ricordiamo altri tre che fiorirono sul finire del se- colo XV; cioè Gregorio Schiavone (fase. XXXIV), Michele Giambano (fase. XLV), e Lorenzo Seba- stiani (fase. XLIV), il cui quadro rappresenta il miracolo della santa Croce, avvenuto nelle case di Niccolò Benvegnudo. La Vergine coll'infante divino, ed i santi Se- bastiano e Girolamo (fase. XXXI), è tavola colori- Pinacoteca veneta 369 ta nel ferver degli anni da Bartolomeo Montagna, donata con altre alla patria dal nobile Girolamo Ascanio Molin. Gìo. Battista Cima da Conegliano operò quella tavola, nella quale è la Signora no- stra col Bambino, ed i santi Giorgio, Sebastiano, Caterina, Nicolò, Antonio abate, e Lucia (fase. XXXVII). L'altra, in cui è pur Maria col figlio, ed i santi Giovanni fanciullo, Zaccaria e Caterina, fu dipinta da Giovanni Cariani (fase. XLIV). Di Bo- ìiifacio veneziano sono la donna adultera avanti Ge- sù (fase. XXXIV); s. Silvestro e s. Barnaba, ope- ra degna del pennello di Tiziano (fase. XXXVIII); la Vergine madre coi santi Battista, Giuseppe, Gi- rolamo, Barbara e Caterina (fase. XLVI); e la stra- ge degl'innocenti (fase. XLV). Quella tragedia lut- tuosissima è SI fattamente effigiata, che non puoi non sentire il duolo delle afflitte madri in mirar- la; e se v'è qualche scorrezione nel disegno, e se il costume in alcune figure è tradito; la compo- sizione, l'espressione, il colorito sono degni di si gran maestro. Di Jacopo Palma seniore è una tavo- la coll'Assunta (fase. XLVII); del giuniore i die- cimila segnati, visione dell'evangelista s. Giovanni (fase. 4). Francesco Zuccarelli è il pittore pili a noi vicino, di cui si abbian opere in questa pinacote- ca. Egli mancò di vita nel 1790; e se il Lanzi lo ebbe ascritto nella scuola fiorentina, ci sembra che a buon diritto il sig. Zanotto lo rivendichi alla ve- neziana. Fu distinto paesista; e ne fa bella prova il riposo in Egitto che qui vediamo inciso (fase. XLVII). Anche il Tintoretto dipinse l'Assunta (fase. XLIIl) : ma benché in esso quadro si scorga il poetico genio, che in tutte le opere di lui risplen- G. A.T-LXXVL 24 370 Belle Anti de; benché sia lodato per l'ordine, per la Verità, pel colorito; pure restò lungi d'assai dalla sublime tavola del cadorino. Del figlio di Tintorelto, Do- menico Robusti, è una coronazione di spine (fase. XLVIII): egli però segui le domestiche orme non passibus aequis, come nota il Lanzi. Per la chiesa de'miniml in s. Giobbe, in concorrenza di Giovan- ni Bellino e di Vittore Carpaccio, dipinse Marco Basaitì l'orazione di Cristo nell'orto (fase. XXXIII). Gentile Bellino per la confraternita di s. Giovanni pitturò il miracolo della santa Croce, avvenuto sul ponte di s. Lorenzo in Venezia (fase. LX); e quel Vasari, che non fu largo di lode meno che con la scuola fiorentina, scrisse di quest'opera: Essere stata invero grandissima la fatica e diligenza di Gentile^ considerandosi V infinità delle figure-, i molti ritratti di naturale^ il diminuire delle fi- gure che sono lontane^ i ritratti particolarmente di quasi tutti gli uomini che allora erano di quel' la scuola: la quale tela a lui arrecò grandissimo onore. Gio. Battista Morone ebbe più rinomanza co- me ritrattista, di quello che per grandiose com- posizioni; con molto studio ed amore infatti è di- pinto il ritratto di un ignoto letterato (fase. XL) donato alla pinacoteca dal già lodato Molin. Gio- vanni ricamatore, detto da Udine, è quegli che più d'ogni altro seppe innestare la veneta alla scuola romana; educato ne'principii dell'arti dal Giorgio- ne, si perfezionò poi sotto il Sanzio. Vediamo di lui una tavola (fase. XXXIII), nella quale è rappre- sentato il Signor nostro che disputa coi dottori nel tempio; fuori di scena, e compartecipi all'azione principale solo in quanto all'attenzione che mostra- no alle parole di Gesù, sono i quattro dottori mas- Pinacoteca veneta 371 slmi (Iella chiesa latina, Gregorio e Girolamo da un Iato, Agostino ed Ambrogio dall'altro. Due opere di Alessandro Varottari, detto il Pa- dovanino , vediamo in questo secondo volume: la Vergine in gloria (fase. XXXV), e la discesa del- lo Spirito Santo (fase. XLI). Di Giambettino Cigna- roli, defonto nel 1770, si ha la morte di Rachele (fase. XLI); egli non potè evitare la corruttela in cui era caduta l'arte a' tempi suoi. Il Redentore co' santi Pietro e Giovanni (fase. XLII) è opera , nella quale Rocco Marconi si mostrò e pel fuoco delle tinte, e per l'espressione singolare de'volti, degno seguace del Giorgione e del Vecellio. I san- ti Girolamo ed Agostino (fase. XLIII) son tavolet- te che fanno molto onore a Vincenzo Catena per maschia bellezza. Gìo. Antonio Licinio, detto il Por- denone, dipinse la Vergine del Carmine, venerata da s. Simone Stock e dal beato Angelo, e da vari devoti carmelitani (fase. XXXIX). A lode di questo dipinto basti il dire che fu acquistato dal Canova, il quale desiderava possedere un'opera classica del Pordenone: dopo la morte di quell'egregio sculto- re , il fratello di lui 1' offerì alla pinacoteca in cambio di altri dipinti, co'quali ornò il celebre tem- pio di Possagno. Francesco Montemezzano viene an- noverato fra i pili degni imitatori del veronese ; veggiamo di lui una Venere coronata dagli amo- ri (fase. XXXIX), dono del più volte ricordato Mo- lin. Esso però non è uno de'migliori lavori di quel- lo scolare di Paolo. Abbenchè l'arte fosse scaduta dall'alto seggio in che era giunta a'tempi di Andrea Vicentino, pure nella scena lacrimosa del deposto dalla Croce (fase. XXXVIII) si vede bella regola- rità di disegno, ed accurato studio della natura. 372 Belle Arti Non meno lodevole di altri lavori del Carpaccio, nel primo articolo ricordati, e il miracolo operato per mezzo della santa Croce nella liberazione di un in- demoniato (fase. XX.XVI). Nella chiesa di s. Antonio in Torcello ben die- ci quadri operò Paolo Veronese, spettanti alla vita di s. Giustina martire: alcuni passarono in Inghil- terra, altri si posseggono da valenti artisti; s'igno- ra di altri il destino, e quattro ne furono accolti nella pinacoteca. Già nel primo volume vedemmo illustrati dal Zanotto quelli, ne^quali si ha la santa spinta nel lago Bolseno, o confortata dagli angeli essendo prigione: nel secondo volume vediam l'al- tro, in cui Paolo la dipinse nel momento, nel quale accusata al genitore come seguace di Cristo, non ostanti le lusinghe e le minacce ricusa adorare gli idoli bugiardi (fase. XXXII). Profonda dottrina è in questo quadro; anima vivissima in ogni figura, cui sembra non mancare che la voce. Anche di Pao- lo è la vittoria ottenuta per intercessione della me- desima santa sopra le armi del turco alle Curzola- ri (fase. L); cioè la celebre pugna navale di Lepan- to. Del figliuol primogenito di lui, Carlo Caliari, COSI precocemente (di 24 anni appena) rapito alle speranze dell'arte, abbiamo il quadro di Gesìi in- contrato dalla Veronica , e dalle pie donne (fase. XXXV), la cui composizione è assai ragionata, ed il colorito offre un misto dei modi brillanti del genitore con que'piit robusti del maggiore da Pon- te. Dal soppresso monastero di s. Giacomo alla Giu- decca proviene la tela rappresentante il convito in casa di Levi (fase. XLIX): fu incominciata da Pao- lo, terminata dal fratello Benedetto, e da Carlo suo figlio; abbenchè in essa sia tradito il costume nel- Pinacoteca veneta 373 le vesti, tradita l'unita del soggetto, pure ha laute hellezze che vincono di lunga mano quelle nicnilt;. Come pegno del suo amore per la veneta accade- mia, dipinse e donò ad essa Antonio Canale, detto Canaletto, l'atrio di un vasto palazzo a capriccio (fase. XLIX); e con questo abbiamo terminato di noverare i dipinti del secondo volume. Non dobbiamo però dimenticare di retribuire le dovute lodi al prof. Zanotto non solo, ma a que' rimanenti che concorsero con l'opera loro a ren- der pregevole questo lavoro. Egregiamente adope- rarono la matita Zandomeneghi, Sasso, Busato, Pi- vidor, Simonetti, Fontana: intagliarono con niti- dezza le tavole Antonio Viviani, Carlo Simonetti, Buttazon, Antonio Nardello: furon opera del Za- notto gli intagli de'ritratti dei diciannove pittori: l'Antonelli editore continuò sempre nella lodevole diligenza sin dal principio adoperata: tutti insieme con bella gara ed impegno adoperaronsi ad innalza- re questo durevole monumento, non solo all'arte pittorica in generale, e particolarmente alla vene- ziana, ma sì pure all'Italia intera cultrice valorosa delle arti belle; e noi aggiungiamo, anche alla no- stra santa religione protettrice di esse. Che meri- ta di esser rimarcato, come da queste cento tavo- le della pinacoteca veneta, se ne toglierai una di subietto mitologico (la Venere del Montemezzano), una di prospettiva (l'atrio del Canaletto) e tre di ritratti (del Tiziano, del Robusti, del Moroni), le rimanenti novantacinque sono tutte di sacro su- bietto. Ma ragion vuole che le debite lodi per noi si facciano anche all'opera, con la quale il sig. Zanotto die'compimento alla sua bella impresa: diciamo la 374 Belle Arti storia della pittura veneziana, che fu donata agli associati e distribuita insieme al cinquantesimo fa- scicolo della pinacoteca. Il eh. A. la divise in sette parti. Nella prima, fatto un quadro dello stato po- litico dell'impero romano dai tempi di Arcadio e di Onorio ad Augustolo; rimarcata la distruzione dei capi d'opera, e il decadimento delle belle arti; no- tata l'influenza che ebbe in esse la nuova legge del vangelo , e come si pitturasse ne' primi secoli di Cristo, e come l'arte ne'cenobi si coltivasse; ne mor. stra che non era essa spenta in coloro, i quali per isfuggirela tirannia di Attila, rifugiaronsi in quella isole dalle quali surse poi la regina dell'Adriatico, Segue poi a narrare la invasione e regno de'goti, a^' tempi de'quali vi son monumenti che provano, es- sersi le arti coltivate nelle lagune venete: dalla, crea- zione di Paoluccio. Anafesto in primo Doge, avve- nuta nel 697, alla elezione di Iacopo Tiepolo nel, 1294, non esser mai mancati artisti in Venezia: non aver essi avuto bisogno ne di Cimabue, ne di Giotto per isciorsi dalle catene che imposte aveva alla pit- tura la barbarie della Grecia degenere: essére stata Venezia la prima a diffonder l'amore per le belle arti. La quale proposizione se per caso sembrasse a taluno troppo avanzata, dobbiam dire che il prof. Zanolto ne adduce tali prove di fatto, da doverne rimaner soddisfatti anche i più schifiltosi. Questa prima parte della storia è a creder nostro anche la pili elaborata: dovette l'A. eh. percorrere molti secoli di tenebre, e seppe in essi di quando in quanr do allumare qualche raggio di luce: e siam certi che nuove cure vi spenderà intorno, onde renderla pili perfetta; perchè questo egli promise con apporr re al bel principio dell'opera sua quell'emistichio Pinacoteca veneta 375 ariosteot « Forse che ancor con più solerti studi « Poi ridurrò questo lavor perfetto. La seconda parte abbraccia due secoli; dal 1250 al 1450; cioè le prime opere certe, e la scuola de* Vivarini a Murano, fino al fiorire di Gentile Bel- lini. Prima che nel 1306 Giotto si recasse a Pa- dova , molti erano stati i pittori della scuola ve- neta! di alcuni ancor dura qualche opera, di al- tri se ne deducon prove dalle carte degli archivi, DelFuna e dell'altra specie se ne hanno in Ve- rona, in Bergamo, in Padova, in Trevigi; se ne hanno in Venezia, dove per sopra più una com- pagnia di pittori fu istituita sin dal 1290. Vien poi il Canotto raccogliendo una lunga schiera di pittori sino alla scuola dei Vivarini, che fu quella, la quale dalfisola di Murano venuta a Venezia prepa- rò a grado a grado la strada alla maniera dei Gior- gioni e de'Vecelli, Nella terza parte si scrive dei Bellini e de' loro contemporanei; alcuni de' quali restaron fermi nelle antiche massime; altri poco se ne scostarono; cercaron altri migliorarsi per al- tra via da quella dai Bellini tracciata: e meritano fra questi essere ricordati Franceseo da Ponte il vecchio, Andrea Mantegna, Vittore Carpaccio. Nella quarta parte si descrive la pittura veneziana giunta al suo pieno meriggio: la scuola del Giorgione, quella di Tiziano, quella del Pordenone , le altre del Tintoretto, di Iacopo da Bassano, di Paolo Ve- ronese. Ma nulla havvi di stabile nelle cose umane: dopo si grandi maestri la pittura veneta volse al basso; e mentre la bolognese levava la testa per 376 Belle Arti mano de' Caracci, scorta appunto dalle classIcKe opere della veneziana , questa scendeva al preci-, pizio. In esso la conducevano Iacopo Palma giu- niore ed i suoi discepoli coU'operare di pratica; e la setta de'naturalisti e de'tenebrosi. Pochi si ten- nero incolumi dal coniun naufragio; al quale tentò in qualche modo far argine il Padovanìno. Queste cose si contengono nella quinta parte. E nella sesia si abbraccia il tempo che da Andrea Celesti corse sino al risorgimento delle arti al cadere del se- colo XVIII. L'ultima parte ci conduce sino ai giorni nostri. Pochi tennero fermi alla vecchia scuola: Canova con le sue opere mostrò le norme del bello: ritornarono i capi d'arte che a Venezia erano stati rapiti: l'accademia fu arricchita di ampie sale, di classici modelli di opere immortali : gli illustri viventi tolsero, l'arte dal fango in che era caduta* il ricordo delle glorie passate eccita la emulazione ne'giovani, ne' quali con giusta fiducia riposano. Ift speranze future c. a 377 VARIETÀ' iSopra alcuni uomini illustri delle famìglie picene Grimaldi, Geu- tilucci, Servanzi, cenni storici scritti dal canonico Giovanni Carlo Gentili nella esaltazione di monsignore Filippo Sa- verio de' conti Grimaldi alla sedia vescovile di Sanseverino. Macerata, tipografia di Alessandro Mancini i838, di pagina 26 in ottavo. Xj esimio sig. canonico Gentili (come dicemmo altra volta) ac- cresce il bel numero di que'generosì che pongono ogni loro di- letto nell'illustrare le cose della patria a decoro delle italiane lettere ed arti. Santissimo intendimento, clie merita la nazionale riconoscenza. Ecco, egli ci porge di nuovo un bel tratto delle sue accurate ricerche, e del suo nobile ingegno , nell' opuscolo annunciato, ove accenna brevissimamente, ma con succo e vera patria carità , le virtù e le opere degl'illustri Grimaldi , Genti- lucci, e Servanzi; famiglie delle più valorose del Piceno nel me- stiere delle armi, e nello studio delle lettere. La prima delle quali p oggi sommamente in fiore, e vanta un cardinale amplissimo della Chiesa, non meno che il degnissimo nuovo pastore della diocesi settempedana. Questo lavoro ci sembra utile alla storia italiana; per cui vo- gliamo renderne grazie sincere airautore diligentissimo. Francesco Gapozzi Varietà' Per la ricuperata salute dopo gravissimo morbo dell' Emo cari dinaie legato di Ferrara Giuseppe Ugolini, la società del casino, in argomento di vero giubilo, al benemerito prin-. cip e D. D. D, Bologna, per i tipi del Nobili e Comp. i838!. Di pag. i5 in 8- X errara va lieta di avere nell'Emo Ugolini un operoso e zelane tissimo padre, che ascolta amorosamente le querele de'suol figli, e provvede a'ioro bisogni; che scudo si fa all'innocenza, né lascia impunita la malvagità. Quale maraviglia adunque, se caduto egli in preda a gravissimo inopinato malore, tutta la provincia nel passato agosto fosse in pianto e desolazione; e se risanato poscia, abbia ella esternato all'ottimo principe la sua consolazione? -^ L'eletta gioventù ferrarese volle con questi bei versi del sig. dott. Caroli appalesargli da quali sentimenti di amore e di ossequia sia compresa verso di lui pel degno suo operato, che qui giu-r diziosamente si accenna; prova lodevolissima di quella gentilezza d'animo, che in Ferrara sommamente si pregia. Un saggio si avrà nelle seguenti ottave* Com'è dolce compor l'ire fraterne Sotto il vessillo santo di virtude: Non saran l'ire de'mortali eterne. Se mortale è quel cor che le racchiude; Dio, che nel fondo de'pensier discerné^ L'anime attende dal lor frale ignude, E fia scontata con feral vendetta Ogni stilla di pianto oggi negletta. Per te giustizia alla pietà si sposa. Per te s'ange l'iniquo, e il giusto spora." In te la speme del miglior riposa Perchè s'erga l'oppresso, e '1 tristo pera; Commenda a te, o signor, l'etade annosa La prole, ond'è la sua canizie altera: Depone in te chi vive alla ventura Il gran fardello della sua sciagura. Varietà* 379 Noi pure invitati fummo ia tale circostanza a dettare il com- ponimento che qui riportiamo, per rinnovare i sensi della qoalr^ venerazione all'attimo porporato. SONETTO Signor, c"he reggi il fren de l'Eridano Con tal senno e valor, che ogni altro avanza^, Quale Erinni su te stese la roano Per involarti alla terrena stanza? Tremar le genti a quel furore insano. Che in te poser di bene ogni speranza; Pregar devote al cielo, e non invano, Che lor doglia ritorna in esultanza. Ride salute a te novellamente, Qual sui campi di Giuda e d'Israele Splende un raggio di sole eternamente. Segui lieto il cammin di bella gloria; Che noi cessando il pianto e le querele Oggi il grido innalziam de la vittoria. Fràkcxsco CArozz^ Errata-corrige del discorso del prof. Montanari pubblicato nello scorso volume. P«?- ERRORI CORREZIONI 223 lin. 1-2 micola mi cale 224 che m , che ti 226 „ 29 si sperde si perde 228 „ 26 della gioventù di questa gioventù •^ „ 34 nobilissima o geatilissima nobilissima e gentilissima 381 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO LXXVI, VOLUMI 226,227, 228 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Chelini, Saggio di geometria analitica ( con- tinuazione e fine ) pag. 3-257 JFumasoni, Cholera in Roma nel \ 837. . « 6G Matteucci, Risposta al doti. Versavi sul trat- tato dello scorbuto del dott. Sorgoni . « 90 Sorgoni, ^annotazioni cliniche sul grippe. « 287 Peretti, Esame chimico della china pitayò. « 305 LETTERATURA Biondi, Traduzione di Tibullo . . . * « 1^1 Bruni, Memorie sulla vita e sulle opere di Tibullo « 120 Tributo di lodi al card. Me zzo fanti . . « 160 Montalti, Elegia per la promozione del car- dinal Mezzofanti « 169 Montanari, Biografia di Antonio Barbari , « 1 73 Monchini , Notizie della vita di Michele Gigli « 182 382 Capozzi, alcuni 'versi . . » » k , » « 490 Storie e ritratti d uomini utili benefattori deir umanità « 199 MonianaH , Discorso per distribuzione di premi a Pesaro « 2l7 Massimo^ Relazione istorica del traforo del monte Catillo « 311 Ferrucci^ Àpodixis epistolaris . . ^ . « 331 yersi italiani e latini pubblicati in Pesaro per la promozione delf Emo Ciacchi, . « 34 9 BELLE ARTI \, Zanotto, Pinacoteca dell' I. e R. accademia delle belle arti di Venezia .... « 363 p^arietà. Tavole meteorologiche. KIHIL OBSTAT E. Jacopiui Ceosor Theol. Depat. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaomi O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patriarcha Antlochenus Vicesf. Osservazioni Meteorologiche. )( Collegio Romano )( Seltemlre i838. mat. si- ser. mal. €'• ter. mat. si- ser, mat. si- ser. mat. si- ser. mat. Si- ser. mat. gi- ser. mat. si- ser. mat, Si- ser. mat. Si- ser. mat. gi- ser. Baromel. po , . Zi. mat, gi- ser. mal. si- ser. mat. gi- mat. gi- •« i« » 6 „ *> »i M M 3 4* »» o •> 1 3 It M 0 » • 1 II „ 0 6 „ it ■ì » >» 4 » 1» » „ 1 o «» » S f> a 0 »> II 11 1 _^ n >i 5 i> u 7 »» «1 3 » 11 0 » >l 11 » 11 11 >i 1 9 i> II ,, »> a 3 >» II 6 »> 3 0 )> 3 9 Term. esterno 3° 5 9 4 Termonielio a 5 6 5 7 5 5 3 5 4 5 8 4 5 3 9 7 5 5 4 4 5 31 4 33 5 33 33 7 a3 5 24 5 24 5 26 19 19 5 17 5 i5 5 19 5 •4 16 16 14 10 5 i3 Igrom. I Veuto I Pioggi N. M. f. 11 n 0 II 0 0 N. q. 0 0 m 0 0 N. a. SO „ 0 0 i> tt s. d. 0 0 N. q. S. f. S. ti. ESE q. 0 S. m. 0 0 N d. 0 f. II d. SO q . 0 0 m. s »> 3» d. m. J> d. vapor SSO N SO s pie. pio. po. pio. t.tu.con. 2 25 10 25 so i5 5 4 4 5 6 4 4 6 Stato dei Cielo ser. nuT. sp cliiarissimo neldiioso tutto chiarissimo nuvoloso cliiarissimo eh. nuv sp. nuvoloso vaporoso chiarissimo coperto piove nu. sp. cliiarissirao ser. nuv. sp. nuvoloso cLiarissimo nuvoloso sole tralu. nuv. sp. roperlo piove chiarissimo nuvoloso coperto piove pio. ab. nuvoloso cliiarissimo l««aMVjiMaw,»«M»— 1^ É ^1 INDICE DELLE MATERIE Contenute nel voi. 228. SCIENZE Chelini, Saggio di geometria analitica (con- tinuazione e fine). pag. aSy Sorgoni, Annotazioni cliniche sul grippe.,, 087 Peretti, Esame cliiralco della china pitayò. 3o5 LETTERATURA Massimo , Relazione istorica del traforo del monte Catillo. ,» 3ii Ferrucci, Apodixis epislolaris. „ 33i Versi italiani e latini pubblicati in Pesaro. per la promozione dell'Emo Ciacchi ,,349 , BELLE ARTI Zanotto, Pinacoteca della L e R. accade- mia delle belle arti- di Venezia. ,, 363 Varietà. Tavole meteorologiche.