GIORNALE DI SCIENZE LETTERE ED ARTI TOMO LXXVII OTTOBRE NOVEMBRE E DICEMBRE 1838. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1838 SCIENZE j4nnotazioni cliniche sul grippe secondo le osser- 'vazioni fatte in Montolnio nelle marche^ pro- vincia di Macerata, del dottor Angelo Sorgoni di Recanati, socio di varie accademie, e primo medico di Montolmo. {Seconda edizione con cor- rezioni ed aggiunte fatte dall'autore). Continua' zione. CAPITOLO QUARTO Esame del grippe considerato come un reuma catarrale prodotto dalle vicende atmosferiche. K 1 eir esame del grippe secondo quest' opinione convien premettere , che siffatto malore , come si nota nel Bollettino delle scienze mediche pubbli- calo per cura della società medico-chirurgica di Bologna voi. 7, luglio ed agosto 1833, non si cono- sceva in Europa prima del 1729. Secondo poi le ricerche statistiche istituite sulle varie apparizioni del grippe dal dottor Guelly, e riferite nel Jour- nal des travaux de la société francaise de statisti- que universelle voi. 2 num. 20 pag. 510 ann. 1737, lo sviluppo del grippe non trovasi dimostrato da /j. S e I E ^ z E alcun autore prima del tlecimo-quarlo secolo: e ne rinviensi alcun segno di catarro epidemico avanti di tal epoca. Le date, nelle quali sono succedute le invasioni del grippe secondo Guelly, come si ri- portano nel suddetto Bollettino ser. 2 voi. 4 pag. 348 novembre e dicembre 1837, sono le seguenti: Secolo decimo-quarto. L' epidemia apparve in Italia nel 1323, 1327, e 1358, ed in Francia nel 138T. Secolo decimo-quinto. Dominò in Francia nel 1403, 1410, 1411, 1427, 1482, ed in Italia nel 1428. Secolo decimo-sesto. Nel 1505 e 1510 il grippe percorse Italia, Francia, e Spagna. Negli anni 1557, 1559, 1574, 1580 l'epidemia fece il giro d'Euro- pa, e secondo Seanest si propagò ancora in molta parte dell'Asia. Nel 1590 e 1591 si mostrò in Fran- cia, in Germania, ed in Italia. Secolo decimo-settimo. Nel 1658 apparve a Londra, come ne dà la descrizione Willis. Nel 1663 invase gli stati veneti. Nel 1669 e 1675 il grippe si manifestò in Germania ed in Francia; nel 1676 in Germania, ed in Inghilterra, in cui Sydenham ne fa la storia. Nel 1679 nuovamente Tlnghilterra è invasa dal grippe: nel 1691 si diffuse in Unghe- ria , Carniola, Stiria , Carintia , Svizzera, e sulle sponde del Reno. Nel 1695 si sviluppò in Parigi ed in Roma, Secolo decimo-ottavo. Nel 1709 il grippe per- corse la Russia, la Francia, e l'Italia. Nel 1729 si sviluppò in Russia, Polonia, Ungheria, Germania, Svezia, Danimarca, Francia, Inghilterra, Italia , e Spagna. Nel 1732 si mostrò in Sassonia ed in Po- lonia, da cui passò in Allemagna, in Isvlzzera, in Olanda, ed in Inghilterra. Nel 1733 invase la Fian- dra, Parigi, l'Irlanda, l'Italia, la Spagna, Da quest' Annotazioni sul Grippk 5 ultima Sì diffuse all'America. Sei^uendo il suo cam- mino al mezzogiorno, passò alla BarbuJc, ed alla Giammaica; quindi rivolgendosi al sud-est, scoppiò nel Perù e nel Messico. Nel 1737 si mostrò in Inghilterra, come Io descrive Huxliam. Nel 1742 si riprodusse in Germania, e quindi in Olanda, In- ghilterra, Francia, Italia. Nel 1747 il grippe do- minò in Germania; nel 1758 in Iscozia; nel 1762 in tutta Europa, dipartendosi dalla Germania. Nel 1767 fu invasa tutta la Spagna; nel 1775 accadde nuova eruzione del grippe in tutta Europa. Nel 1780 si sviluppò il grippe in Francia ed in In- ghilterra. Nel 1782 la Russia, la Svezia, la Ger- mania soffrirono il grippe , come anco lo soffrì in tale anno l'Italia. Nel 1799 scoppiò in Russia. Secolo decimo-nono. Nel 1800 il grippe tro- vasi nel mezzo giorno dalla Francia. Nel 1802 è in Italia ed in Francia. Nel 1813 in Francia. Nel 1817 in Inghilterra ed in Francia. Nel 1833 in tutta la Gran-Bretagna, e quindi in tutta Europa. Nel 1837 infine il grippe si sviluppò in Francia, In- ghilterra, Italia, ed in altre parti di Europa. Nella produzione del grippe si è visto, che questo morbo epidemico si è manifestato contem- poraneamente in regioni diverse, siccome ci narra il prof. Folcili; ma si sono ancora osservate invase da questo malore successivamente le nazioni: e non solo le nazioni in modo successivo sono state per- cosse, ma eziandio le provincie d'uno stesso regno nel medesimo modo successivo furono affette da sif- fatta malattia: e di più ancora in una stessa pro- vincia non sono state sempre invase contempora- neamente tutte le popolazioni della medesima; ma fatta eccezione di non molti casi, successivamente 6 Scienze sono stale affette per modo, che in uno stesso corso epidemico, mentre il grippe cessava d'invadere una città, esso incominciava in un'altra della medesima provincia, quantunque la città, dove cessava l'epi- demia, non fosse che poche miglia distante dall'al- tra, in cui il grippe incominciava. E dif;itti in que- sta provincia di Macerata nelTepidcmia, di cui ci occupiamo, si è osservato , che il grippe allorché cessava nella citta di Recanati, distante in linea retta da Montolmo solo circa otto miglia, in Montolmo, che trovasi in condizioni terrestri ed atmosferiche presso a poco simili a quelle in cui è posta Reca- nati, incominciava lo sviluppo dello stesso malore. La quale progressiva invasione del grippe ha ca- gionato, che il suo producimento sia avvenuto in ogni stagione. E veramente più volte nella stagione invernale il grippe ha predominato in Francia, co- me si nota nella Gazzetta medicale, nel Repertorio delle scienze fisico-mediche del Piemonte, ed in al- tre opere: ha scoppiato in Italia ne' mesi di pri- mavera, come è avvenuto in ispecie nell'anno pre- sente 1837; si è prodotto nell'estate in Modena, di cui in siffatta stagione fa narrativa il dottor Gri- melli; ed infine si è sviluppato in Roma ne'mesi au- tunnali, come ci da relazione il prof. Folchi. Però non solo la progressiva invasione del grippe ha ca- gionato il suo producimento in ogni stagione, consi- derato il suo sviluppo in più corsi epidemici, ma ancora in un solo epidemico corso di siffatta malattia si è notato avvenire il medesimo suo sviluppo in ogni stagione. Serva a ciò d'esempio l'epidemia in discorso. E di vero sappiamo, che nel prossimo pas- sato autunno invase Berlino: nell'inverno si è pro- dotto in Inghilterra ed in Francia; ne'mesi di pri- Annotazioni sul Grippe 7 mavera ha afflitto l'Italia, in cui ha progredito sino alla stagione estiva. Oltredichè intorno l'invasione del grippe si è osservato ancora, che questa malattia si è svilup- pata in individui di qualunque età, sesso, tempe- ramento, condizione, senza che in alcuno degl'in- vasi siasi potuta notare una particolare predisposi- zione. Il che venne pure osservato da molti, tra i quali il Rosa ciò testificava colle seguenti espressio- ni : Corporei fuerunt omnia ei morbo opportuna, quando quidem nec ullis aetatihus^ nec condltioni- hus ullibi ahstinuit. La qual maniera di producimento tenuto nello sviluppo del grippe sembrami essere in opposi- zione colle cagioni, dalle quali proviene il reuma. E veramente le atmosferiche vicende, che hanno sempre esistito, hanno sempre ancora prodotto il reuma, essendosi riconosciuto questo male come im- mediato risultato di siffatte cagioni; ma il grippe in Europa non è stato sempre, mentre la sua manife- stazione in questa parte del globo non risale più in là del decimoquarto secolo, secondo le già espo- ste statistiche annotazioni del dottor Guelly; in con- seguenza il grippe non può essere essenzialmente originato dalle atmosferiche vicissitudini. Ne parml avere alcun fondamento ragionevole l' ammettere nelle vicende dell'atmosfera una nuova condizione, che non abbia mai esistito in Europa prima del se- colo decimoquarto, epoca in cui si riconosce la sua prima origine atta alla produzione del grippe; im- perocché primieramente converrebbe dimostrare questa nuova condizione, che hanno assunto le vi- cissitudini atmosferiche: ed in secondo luogo, dato ancora che essa fosse dimostrabile, fa d'uopo stabi- 8 Scienze lire se sifTatta condizione è una cosa identica colle stesse vicende dell'atmosfera, oppure è estranea al- la medesima. Se essa fosse identica colle vicissitu- dini nominate, non solamente imprimcreLbe il suo tipo d'azione morbosa al grippe, ma a qualuncjue altra forma reumatica; il che non si è osservato nell'epidemia in discorso, mentre durante il suo pe- riodo oltre il grippe si sono notati ancora i casi del reuma ordinario, ne'quali non si riscontrava il tipo morboso, che si nota nel grippe. Di più, al suppo- sto di tale nuòva atmosferica condizione fa obice lo sviluppo del grippe in tante diverse nazioni, ed in qualunque stagione; gli fa pur obice il modo con- temporaneo e successivo, con cui si è questo male propagato senza risparmiare alcun sesso, età, tem- peramento, predisposizione. Difatti ripugna alla os- servazione ed alla ragione l'esistenza d'una condi- zione atmosferica come causa del grippe, la quale sia sempre la medesima e costante ovunque in mol- te nazioni, che tanto diversificano tra loro per rap- porti atmosferici e terrestri. Così , per esempio , la grande diversità di tali rapporti, che esiste tra l'Inghilterra e l'Italia, e tra le altre nazioni invase dal grippe , esclude interamente la supposizione d'un atmosferica qualità sempre costante, non mai interrotta, che abbia prodotto e sostenuto il grippe nella sua estesa propagazione in tante diverse na- zioni. Parimenti le varie stagioni, che tanto modi- ficano lo stato de' rapporti atmosferici e terrestri, per cui avvengono le tante variazioni meteorologiche particolari a ciascuna di esse, le varie stagioni dico escludono quella condizione atmosferica sempre co- stante, non mai interrotta, capace di produrre in ogni stagione il grippe. Escludono ancora la causa, Annotazioni sul Grippe 9 che da alcuni si adduce per lo sviluppo del grippe consistente nella successione dell' umidita ad un freddo rigoroso. Imperocché in primo luogo que- sta successione di umidita ad un rigoroso freddo essendo propria delle vicende atmosferiche, special- mente in certe stagioni si deve esser sempre pro- dotta: ed intanto il grippe non è stalo mai da essa originato, mentre prima del 14.° secolo questo mor- bo non si conosceva in Europa; in conseguenza è irracionevole lo stabilire siffatta successione come causa del grippe. In secondo luogo noi osserviamo accadere le mille volte la successione dell'umidita ad un rigoroso freddo, e non vediamo affatto con- seguire a tale successione il producimento del grip- pe. In terzo luogo si è notato lo sviluppo del grippe senza che nel tempo di questo sviluppo siasi ri- marcata la successione dell'umidita al freddo rigo- roso. Esempi della manifestazione di tal malattia, senza esser affatto in rapporto colla successione no- minata, abbiamo rimarcati specialmente nell'epide- mia, di cui ci occupiamo: mentre quivi non si ve- rificò succedere l'umidità al rigoroso freddo come causa del grippe. Esempi pure moltissimi dello svi- luppo del grippe, senza esser in relazione colla causa pretesa, si hanno nella manifestazione del grippe nella stagione estiva. E con argomento inverso a quello sopra esposto si vede pure, che lo sviluppo del grippe non ripete la sua causa essenziale da una condizione atmosferica, per ciò che dove questa condizione si può ritenere cessante e non interrotta a causa della prossimità de'luoghi, ne'quali il grippe si è manifestato, a causa delle stesse circostanze di stagione e di qualità atmosferiche; pure il morbo epidemico anziché prodursi contemporaneamente, 40 Scienze come dovrebbe per siffatta costante condizione, in^ vece si è manifestato in modo successivo. Serva a ciò di esempio il caso per noi citato dello svi- luppo del grippe in modo successivo, che nello stesso corso epidemico, nella medesima stagione è avvenuto prima in Recanati, e quindi dopo che cessò in quella città si è manifestato qui in Mon- tolmo. Su di ciò vuoisi riflettere , che in tanta prossimità dì masse popolari, non essendovi altra distanza tra l'uno e l'altro luogo, che, come si disse, di circa otto miglia in linea retta, in tanta unifor- mità di rapporti atmosferici e terrestri esistenti ne' due nominati luoghi , ed in tanta similitudine di vicende meteorologiche, che si ravvisa in ciascuna delle parti corrispondenti a' suddetti paesi, ed in tanta uniformità di stagione, in cui il grippe si è sviluppato, fa d' uopo pur ritenere , che ove una nuova condizione atmosferica si fosse costituita per produrre il grippe, certamente questa doveva esser costante, e non interrotta ne'due sunnominati luo- ghi. Ed in tal caso di nuova condizione atmosferica costante e non interrotta capace ad effettuare il grippe nelle citate masse popolari, essa avrebbe prodotto la manifestazione del morbo epidemico contemporaneamente in ciascuno de'due citati paesi, non essendovi ragione, avuto riguardo alla sola con- dizione atmosferica , per cui colla esistenza della causa produttrice, prima abbia a succedere lo svi- luppo della malattia in un luogo, e poi in un al- tro. Ma il fatto ha dimostrato avvenire di ciò il contrario: imperocché, come fu notato, il grippe ne'due nominati paesi si manifestò successivamente: la quale successione mentre esclude la condizione Annotazioni sul Grippe 11 atmosferica, trova ragione di suo producimento in altro oggetto, che in seguito verrà esaminato. Se poi la nuova condizione, che qui si con- templa, è estranea all'atmosfera, essa si ridurrebbe ad un miasma; ed in questa supposizione, in^cui si va fuori di argomento, non potendo essere il reu- ma l'efifetto di questa causa, tante sono le difficolta che s'incontrano, da non potersi spiegare per esso miasma il producimento del grippe. Imperocché il miasma non occupa che un certo limitato spazio, oltre il quale egli si annulla, come si deduce dalla esistenza e mancanza degli affetti propri di questa cagione. Cosi, per esempio, il miasma palustre, se- condo gli autori che sostengono la sua manifesta- zione, produce i suoi morbosi effetti nel luogo, ove egli si forma; ed estende i medesimi sino ad una certa periferia poco distante dal centro della in- fezione : oltre questa periferia più non si pro- ducono tali morbosi effetti; ed in conseguenza con- viene ritenere, che oltre la medesima non esiste il miasma. Come questo, cosi qualunque altro miasma è in relazione colla località, in cui viene originato. Tutti gli autori, che hanno trattato di questa ma- teria, convengono nell'esposta dottrina de'miasmi, e convengono pure nel sostenere la molta parte presa dall'atmosfera nella manifestazione degli effetti mor- bosi prodotti dal miasma in quanto che essi s'esten- dono sino ad una certa periferia per la facoltà , che ha l'atmosfera di decomporre le particelle mias- matiche , e di ridurle con siffatta decomposizione a' principii comuni dopo percorso un certo spazio dal centro dell'infezione. È pure osservazione, che il miasma, oltre esser proprio soltanto di alcuni luo- ghi, e non dì altri, i quali sono affatto immuni dal 12 Scienze medesimo, suole svilupparsi in una piuttosto che in un* altra stagione, e sotto alcune circostanze. Per- tanto la maniera, mediante la quale si sviluppa il miasma, è in opposizione col producimento del grip- pe. E di vero il miasma rimane sempre circoscritto dentro certi limiti di una località: il grippe non si è limitato dentro alcun confine fissato da rap- porti atmosferici e terrestri, essendo percorso di na- zione in nazione, l'una dall'altra diversa per mol- tissime circostanze terrestri ed atmosferiche. Il mias- ma sì sviluppa in una piuttosto che in un' altra stagione: il grippe si è manifestalo in qualunque stagione, senza che sia ritardato od accelerato il suo sviluppo dal caldo o dal freddo, dalla posizione ele- vata ed asciutta, ne dalla bassa ed umida. Da tutto ciò che si è detto intorno lo sviluppo del grippe si rileva, non esser esso il risultato es- senziale delle atmosferiche vicende ; ed in conse- guenza si rileva, che la causa del grippe non può essere uguale a quella del reuma, e perciò questi due morbi sono tra loro distintamente diversi in quanto alle loro cause produttrici. Sono parimen- ti diversi nel rapporto de'sintomi, co'quali si mani- festano, siccome ciò risulterà dalla seguente analisi. Il grippe si è definito per un reuma catarra- le: ma noi abbiamo veduto questo malore senza che essenzialmente egli presentasse alcun catarrale sem- biante, mentre per quanto costanti sono stati i sin- tomi riferibili al capo, alla spina, alle estremità inferiori, ed alla cute, incostantissimi e non sem- pre si sono manifestati i sintomi relativi alle vie aeree. Ed i sintomi medesimi in rapporto al capo, alla spina, alle estremità inferiori ed alla cute, lun- gi di essere in relazione colle membrane , e colle Annotazioni sul Grippe 13 funzioni membranose , siccome dovrebbero essere quando fossero gl'indici di reumatica alterazione , essi esprimono invece rapporti col sistema nervoso. E difatti r irregolarità d' azione muscolare nelle estremità inferiori manifestata colle abnormi ed in- tercorrenti contratture di tali parti; e quindi il di- fetto della medesima azione, che si mostra special- mente dopo cessato il movimento febbrile: l'irre- golare produzione del calorico, che si nota lungo la parte inferiore del midollo spinale, e nelle estre- mità inferiori: i sintomi encefalici, che sono rela- tivi , come vedremo , a* sistemi nervoso e vasco- lare, siccome cogli stessi sistemi sono in rapporto i sintomi di petto, quali sono la tosse convulsa, il senso di stringimento delle fauci, e di tutto l'ap- parato toracico: tutti questi sintomi sono d'indole nervosa, ed esprimono una lesione del sistema de' nervi, come saranno in seguito dettagliatamente di- mostrati. E considerando in complesso l'aspetto sin- tomatico del grippe in confronto di quello del reu- ma, si nota per esempio, che il difetto di azion muscolare nelle estremità inferiori espresso colla spossatezza di queste parti, di cui si lagna ogn'in- dividuo affetto dal grippe, ancorché questi non ab- bia sofferto un movimento febbrile di maggior du- rata delle ventiquattr'ore, non presenta certamente im tal difetto di azione nelle estremità inferiori il reuma, quantunque si annunci non con una febbre di sole ventiquattr'ore, ma con un periodo febbri- le di assai più lunga durata. Insomma qualunque individuo invaso dal grippe manifesta per molti giorni , siccome proprio ed essenziale del malore che soffre, il difetto d'azione nelle estremità infe- riori, senza che lungo le stesse estremità abbiasi 14 Scienze a notare alcuna alterazione! l'infermo di reuma non presenta questo difetto d'azione, per quanta sia l'in- tensità dei suo malore: e quando soffre per cagion reumatica impedimento al moto nelle estremità in- feriori, palesa la lesione membranosa prodotta da tale cagione come motivo di siffatto impedimento; ne mai però egli soggiace a quel senso dì spossatez- za, cui va sottoposto l'infermo di grippe per molti giorni anche dopo cessato il movimento febbrile. Ed inoltre qual'è il reuma, che associato ad un periodo febbrile di sole ventiquattr'ore, senza che nel suo corso siasi fatta sottrazione di sorte alcuna, marca quel difetto di sopra nominato nelle estremità in- feriori, come viene manifestato dal grippe? In con- seguenza il grippe non è un reuma catarrale, per- chè in molti casi del medesimo male non si ma- nifestano in alcuna maniera sintomi relativi alle vie aeree, e quando si manifestano, sono di carat- tere nervoso: non è poi un reuma generale, perchè i sintomi relativi al capo, alla spina dorsale, alla cute, ed alle estremità inferiori sono parimenti di carattere nervoso. Tutte le quali cose conducono a stabilire, che il grippe è una malattia diversa dal reuma, non solo per la diversità essenziale delle cau- se produttrici questi due morbi; ma ancora per i sintomi diversi, co' quali ciascuno di essi si mani- festa. Essi sono anche diversi pe' rapporti distinti, che hanno col metodo curativo, e col modo di ri- soluzione. Si è già osservato, che il grippe si risolve col sudore, e che il metodo di cura efficace in tale ma- lattia consiste nell'uso di que'medici presidii, che sono o direttamente o indirettamente valevoli a pro- muovere il sudore. Ma il reuma catarrale si risolve Annotazioni sul Grippe 15 coirespetlorazione; e la materia espettorata e molto diversa, come si è notato, da quella che si osserva ne'casi di grippe, in cui si rimarcano sintomi re- lativi alle vie aeree. Così per produrre questo scio- glimento di malattia coU'espettorazione non si fa uso di mezzi terapeutici così detti sudoriferi, ma si adoprano le bevande demulcenti, la gomma ara- bica ed ammoniaca, ed altro di questa natura. In conseguenza da ciò apparisce, che il grippe, anche per il modo di risoluzione, e per il metodo di cu- ra, è una malattia diversa dal reuma catarrale. E volendo ancora confrontare il grippe non colla so- la forma catarrale del reuma, ma coU'afFezione reu^ matica di qualunque forma ne' rapporti di modo di risoluzione, e metodo di cura, come si è fatto per gli altri rapporti di cause produttrici e di as- petto sintomatico, si nota, che anche in siffatta gui* sa considerati il grippe ed il reuma sono due ma- lattie diverse. Imperocché il reuma non si risolve sempre col sudore, siccome si risolve il grippe; ma la sua risoluzione è in rapporto colla sede del male in un tratto membranoso piuttosto che in un altro, il quale ha relazione colla causa morbosa agen- te in una parte piuttosto che in un'altra dello stes- so membranoso tessuto. Per tal varietà di sede, va- rio è ancora il modo di risoluzione: così per esem- pio quando la sede del reuma è il tubo gastro-en- terico, siccome ciò presenta la febbre gastro-ente- rica estiva, tanto bene descritta dall'Hildebrand, originata da suppressa cutanea traspirazione per vicende atsmosferiche, questa febbre che non è al- tro se non un reuma, si risolve colle secrezioni al- vine, ed esige una cura diretta a questo modo di risoluzione colle sostanze purgative. Quando la sede 18 Scienze del reuma esiste nelle membrane (lell'lnterno ap- parato di qualche cavità, che ha dato origine mol- te volte allo sviluppo dell' idrope, siccome di ciò fece dimostrazione P. Frank, in questo caso la ri- soluzione del male si fa ordinariamente col mezzo della separazione dell'orina; ed il metodo curativo in questo caso medesimo consiste nell'amministra- zione delle sostanze diuretiche. Insomma siflfatta se- de varia col variar delle stagioni, mentre nell'in- verno sono di preferenza interessate dal reuma le vie del respiro : nella primavera e nel principio della state sono più delle altre parti disposte a que- sto malore lo stomaco e gl'intestini tenui: nel finir della state e nell'autunno vengono di preferenza im- pegnate dal reuma le intestina crasse. Per tal va- rietà di sede, varia ancora il modo di risoluzione del reuma, e vario pure è il metodo di cura, per- chè deve stare in rapporto colla maniera di sciogli- mento della malattia, come si e notato. Ma il grippe non presenta queste modificazioni colla varietà di sede a seconda delle stagioni, colla varia pianiera di scioglimento, e col vario metodo curativo; egli è sempre lo stesso nella sua sede essenziale manife- stata dal costante apparato sintomatico, senza sog- giacere a mutazione per causa di cambiamento di stagione, di clima, di predisposizione, di 'età, di sesso; perciò unico è il suo modo di risoluzione, il quale si fa colla produzione del sudore; ed uni- co pure è il suo metodo di cura, che è relativo col- lo sciogliersi del male. In conseguenza il grippe è una malattia diversa dal reuma, non solo per la di- versità de' rapporti delle cause produttrici , e de* sintomi che presentano questi due morbi; ma an- cora differisce dal reuma per la diversità del mo- Annotazioni sul Grippe 47 do di risoluzione, e del metodo curativo; e perciò fa d'uopo ritenere il grippe come malattia essen- zialmente diversa dal reuma. CAPITOLO QUINTO. Esame del grippe considerato come un infiamma- zione delle vie aeree risultante dalle atmosferiche vicende. Secondo V analisi diretta da' medici criteri di cause, sintomi, modo di risoluzione, e metodo cu- rativo, essendosi dovuto escludere il reuma dalla genesi del grippe, mentre si è veduta l'affezione reu- matica non poter convenire col morbo epidemico in discorso ; ora cogli stessi criteri si passera ad esaminare l'altro parere avuto da que'medici, che sostengono essere il grippe un'infiammazione delle vie aeree cagionata dalle atmosferiche vicende. Per ciò conseguire si farà indagine sul grippe, se può esser ritenuto un'infiammazione delle vie aeree; con- siderando primo, come vuoisi la provenienza dalle vicissitudini atmosferiche quale cagione di questa flogosi; secondo, considerando la natura de'sintomi flogistici delle vie aeree in confronto di quelli del grippe : terzo si fark considerazione sul modo di sciogliersi tenuto da tale infiammazione, paragonan- dolo collo scioglimento del grippe: quarto, analo- gamente a siffatto modo di risoluzione si conside- rerà il metodo curativo in rapporto al grippe ed alla flogosi delle vie aeree. Ed intanto sulle cause produttrici l'infiammazione delle nominate parti , nelle quali vuoisi riconoscere la sede del grippe , a me sembra di aver detto quanto basta per esclu- G. A. T. LXXVII. 2 18 Scienze dere essenziaìmenle da siffatte cagioni Io sviluppo della malattia epidemica, su cui ci occupiamo. Im- perocché essendosi già dimostrato , che il grippe non può ripetere la sua genesi essenziale dalle vi- cende atmosferiche per le ragioni sopra esposte, ne conseguita, che come conviene escludere il reuma dal producimento del grippe, perchè questo ma- lore non si può considerare quale risultato d' un' atmosferica costituzione ; cosi fa d' uopo rigettare dalla genesi dell'epidemia in discorso l'idea di flo- gosi come conseguenza delle atmosferiche cagioni , mentre non si sostiene ne diretta ne indiretta l'a- zione di questa causa nella produzione di tal flo- eosi considerata come base essenziale del morbo grippe. In questa guisa rimane distrutto uno de' fondamenti, su cui vuoisi costituita l'infiammazione delle vie aeree come natura essenziale del grippe. Riconosciuta insussistente la stabilita cagione, non può sussistere neppure l'effetto, che si stima dipendente da questa medesima cagione. Ma con tutto ciò, onde esaminare con ciascuno de'comuni medici criteri la flogosi delle vie aeree nello svi- luppo del grippe, si passera ora ad indagare il rapporto de'sintomi, che si manifestano in tal flo- gosi e nel grippe, per conoscere se tra loro evvi o no essenzial differenza, mediante la quale anche in forza dell'indicato rapporto si possano ritenere distinti o indistinti questi due mali. Ed intanto dall'aspetto sintomatico del grippe per me espo- sto, siccome siffatto malore si presentò in Mon~ tolmo, sì è rilevato, che i sintomi relativi alle vie aeree non sono costanti, mentre non tutti gì' individui affetti dal grippe manifestano questi sin- tomi, e per contrario sempre costantemente pre- ANNOTAxroNi SUL Grippe f9 sentano quelli, che sono riferibili alle estremità inferiori, alla spina dorsale, al capo, alla cute. In conseguenza ne' casi, ne'quali non si è avuto indizio di lesione nelle vie aeree, non si potrà avere neppure il sospetto, che queste vie nell'in- vasione del grippe sieno rimaste accese dall'infiam- mazione. E ciò basterebbe per non far ritenere una tale infiammazione come processo essenziale nello sviluppo del grippe, e per far escludere il medesi- mo processo infiammatorio dalla natura del morbo epidemico in discorso. Ma per vedere se questo stes- so processo si produca o no ne' casi di grippe, ne'quali si hanno sintomi riferibili alle vie aeree, si fark esame di confronto tra i sintomi di sif- fatte vie, che si sviluppano nel grippe, e quelli della decisa bronchite, in cui vuoisi far consistere il grippe slesso. Già sono stati esposti i sintomi che nella produzione del grippe si riferiscono alle vie aeree: ora perciò si dimostreranno quelli, che sono riconosciuti propri della flogosi de' bronchi chiamata bronchite da'moderni, e catarro polmo- nare dagli antichi medici. Questi sintomi da Gullen sono così espressi, a' quali si può riportare quanto è stato detto in proposito dagli altri nosologi: Colli collove viciuarum partium dolor a f rigore susce- pto cum tlissi^ corjza, levi partium intunie scenda, et pyrexia vespertina exigua, seu amphimerina ca- tarrliali. Per conoscer poi un maggior dettaglio dell' aspetto sintomatico di questa malattia, si può no- tare ciò che di essa ha detto Chomel, come si os- serva nel Dizionario classico di medicina interna ed esterna. Il che si riduce a stabilire, che il ca- tarro polmonare o bronchite si manifesta dopo i prodromi delle affezioni acute, come lassezza, peso 20 Scienze di testa, alternative di caldo e freddo ; si ma- nifesta, dissi, con tosse sotto forma di assalti, che per consenso produce molti sintomi di turbamento nel capo e nel basso ventre , con dolore e ca- lore diffuso al torace specialmente sotto Io sterno nella direzione della trachea; con lieve oppres- sione di respiro ne'casi ordinari, che si fa somma- mente ambascioso nel caso che l'infiammazione giun- ga ad un grado gravissimo; con escreato di sputi mucosi, e con un movimento febbrile di variabil forza. Si notano inoltre dallo stesso Ghomel i tre distinti periodi, che vengono percorsi dal catarro polmonare, o bronchite grave, il cui esito rie- sce per Io più felice, e la sua durata media è dalle due alle sci settimane, lasciando disposizione grandissima a contrarre di nuovo la stessa affe- zione. Prima di far riflessione sul citato quadro sintomatico vuoisi premettere, che mentre si pa- ragonano i sintomi della bronchite con quelli del grippe, si devono escludere dal confronto i segni d'infiammazion polmonare, che in qualche caso sol- tanto si è osservata succedere al grippe, poiché questa non è stata altro che una malattia acci- dentale succeduta a qualcuno degl' individui af- fetti dal grippe, e non ha costituito, come si è notato, la natura essenziale del morbo epidemico. Ora per procedere nell'esame di confronto capace di far rilevare se tra loro convengono o discon- vengono i sintomi della bronchite con quelli, che sono i caratteristici del grippe, convien vedere in dettaglio la somiglianza o dissimiglianza de'me- desìmi. A ciò conseguire vuoisi vedere se nel qua- dro sintomatico della nominata infiammazione delle vie aeree si trovino sviluppati i sintomi del morbo ANNOTAZrONI SUL GrIPPE 21 epidemico in discorso, e se in questo esistono quelli di tale infiammazione. In siffato confronto imme- diatamente si manifesta, 1.° tra i due quadri sin- tomatici del grippe e della bronchite una diffe- renza essenziale, quale è quella di non trovarsi affatto ne' sintomi della bronchite que'segni, che nel grippe si sono osservati lungo la spina dor- sale, le estremità inferiori, nella cute, e che fu- rono rinvenuti caratteristici del medesimo, non ri- scontrandosi nella bronchite alcun rapj)orto essen- ziale tra essa e le estremità inferiori. 2.'^ Allor- ché si manifestano i sintomi delle vie aeree nel grippe sì nota l'incostanza de'medesimi nel corso del male, che si oppone alla costanza de'sintomi delle bronchite. 3.** I sintomi encefalici, che nel grippe sono idiopatici, nella bronchite sono sol- tanto simpatici in modo, che al dire di Chomel sembrano prodotti quasi meccanicamente dalla tos- se, come pure simpatici per la stessa ragione sono i sintomi gastrici, che si sviluppano in tale infiam- mazione. 4.° Il sangue estratto, che nel grippe è senza cotenna, nella, bronchite è sempre contennoso. 5.** I periodi di durata di questa malattia sono tra loro diversissimi relativamente allo stato feb- brile; imperocché in quanto al grippe nel grado di maggiore intesità, questo stato febbrile non ha oltrepassato il periodo di sette giorni, e nel lieve grado il medesimo periodo febbrile si è limitato alle sole ventiquatt' ore: nella bronchite al con- trario si mostra un periodo di durata diverso as- sai da quello del grippe, mentre o si riguarda il caso lieve di detta infiammazione, e non avviene mai ch'essa sciolgasi con un movimento febbrile di ventiqualtr'ore; o si risguarda il caso grave , 22 Scienze ed allora il periodo di durala in rapporto alla febbre si estende assai più in là del settimo gior- no, come sopra si è notato. Relativamente poi a' sintomi superstiti allo stato febbrile, che nel grippe seguitano a prodursi, questi tanto in rapporto alle vie aeree, quanto in rapporto al capo, alla spina dorsale, alla cute, ed alle estremità inferiori, sono propri soltanto del grippe: e se da'medesimi vuoisi eccettuare la tosse, che rimane superstite allo stato febbrile della bronchite, essa può essere risguar- data come proveniente da una causa ben diversa da quella, da cui deriva la tosse nel grippe, sic- come ciò verrà in seguito dimostrato. 6° Si è no- tato, che l'individuo affetto da bronchite ha con- tratto una predisposizione alla recidiva; il che in alcuna maniera non si è rimarcato ne'soggetti invasi dal grippe. Per siffatte diflferenze, che si osservano come risultato dall'esame di confronto fatto tra i quadri sintomatici del grippe e della bronchite, si può sostenere, che queste due malattie sono diverse anche per il rapporto de'sintomi, co'quali si mani- festano. Le stesse due malattie sono pur diverse anche per il modo di risoluzione, e per il metodo cura- tivo proprio di ciascuno di questi due mali. Im- perocché, come già si è più volte notalo, il sudore è il modo di risoluzione tenuto dal grippe, e i ri- medii atti alla sua cura sono quelli appunto, che vengono riconosciuti eflìraci nel promovere cjue- sta secrezione : la bronchite si risolve ordinaria- mente coll'espettorazione, ed ammette la cura an- tiflogistica , che le si addice in rapporto a questo scioglimento, vale a dire richiede le sottrazioni san- guigne, la dieta, e l'uso di que'rimedi, che hanno Annotazioni sul Grippe 23 un' azione elettiva ne'bronchi, come le Levando co- sì dette pettorali: quali sono, per esempio, la infu- sione di fiori di viole, di malva, i decotti d' orzo, d'altea, la soluzione di gomma arabica, e come pur vuoisi la bella donna: ammette pure secondo lo stes- so scopo, dentro però certi limiti, i mezzi terapeu- tici rivulsivi, come gli antimoniali, i vessicatorii. Da tutto ciò ben si rileva, che anche per i rap- porti di modo di risoluzione e metodo di cura, me- diante i quali si sono riconosciute per due malat- tie difierenti e distinte il reuma ed il grippe, si è pure ravvisato differente e distinto il grippe dalla bronchite. Ciascuno di questi tre morbi ha carat- teri propri e particolari , o che essi si desumano dalle cause, dalle quali sono prodotte, oppure da' sintomi, con cui si manifestano, o da'rimedi, che sono stati riconosciuti atti a vincerli , ovvero dal modo col quale si sciolgono. De'quall caratteri pro- pri e particolari di ciascuna delle tre suddette ma- lattie già si è fatto discorso nell'esame di confronto del grippe col reuma e colla bronchite; per il che conviene ritenere, che il grippe ha proprie e par- ticolari le cagioni, i sintomi, il modo di risoluzione, ed il metodo curativo. CAPITOLO SESTO. Esame del grippe come risultato d'una causa straniera considerato in ciò che è in se medesimo nella sua natura. Onde avere un'esatta cognizione d'un morbo non basta l'osservarlo dagli altri distinto per i rap- porti nominati in antecedenza; ma conviene cono- 24 Scienze scere la natura di ciascuno di siffatti rapporti tanto isolatamente quanto insieme riuniti; ed è per tal motivo, che si considererà il grippe così in relazio- ne alla sua cagione, a'suoi sintomi, come relativa- mente al suo modo di risoluzione e metodo curativo. Nella quale indagine fa d'uopo porre a calcolo anzi lutto la parte più nota della malattia per quindi passare alla meno nota; così primieramente si ana- lizza l'aspetto sintomatico del male, e dipoi l'analisi sarà condotta alle altre tre parti del medesimo. In questo modo verrà risoluto il terzo parere emesso intorno al grippe, che combacia coU'opinione da me sostenuta nella maniera, che qui verrk esposta. Ed intanto discorrendo primieramente de'sin- tomi, come quella parte di malattia che pili delle altre parti si palesa a'nostri sensi, conviene ridur- re tutto il quadro degli stessi sintomi al centro or- ganico, da cui derivano, e determinare per essi il modo di alterazione sofferto dallo stesso organico centro colle sue conseguenze espresse in parti di- verse da cjuella, nella quale è avvenuta la prima lesione; e conviene pure confermare tanto siffatta prima lesione, quanto le sue conseguenze cogli altri sopraesposti medici criteri. I sintomi, come ciò si è già notato, che costan- temente si sono osservati nel grippe tanto nella pri- ma invasione del medesimo, c|uanto nel suo anda- mento progressivo, nella cui declinazione sino al completo scioglimento, sono stati i sintomi relativi alle eslremifk inferiori, alla spina dorsale, al capo, ed all'organo cutaneo: gli altri sintomi in rapporto alle vie aeree non si sono manifestati in tutti gl'in- dividui. Da quest'osservazione discende immediata- mente la conseguenza, che i sintomi essenziali del Annotazioni sul Grippe 25 grippe sono quelli riferibili alle estremità inferio- ri, alla spina dorsale, al capo, ed alla cute. Ne si può dire, che non producendosi i sintomi delle vie aeree, la malattia in discorso non sia il grippe; im- perocché cosi negl'individui affetti da'fenomeni di alterazione nelle vie del respiro, come in quelli, ne' quali siffatti fenomeni non si sono sviluppati, sono stati in tutti sempre costanti , e sempre gli stessi i sintomi relativi alle estremità inferiori, alla spina dorsale, al capo, ed all'organo cutaneo, con ugual periodo di durata secondo il grado d'inten- sità della malattia, e con ugual modo di risoluzio- ne. De'quali sintomi essenziali quelli delle estremi- tà inferiori, della spina dorsale, e della cute, non si possono ad altro centro riferire che al midollo spi- nale. E veramente le muscolari contratture, le do- lorose punzioni, le sensazioni varie di caldo e di freddo, che si hanno nel tlorso, nelle inferiori estre- mità, e nell* organo cutaneo in chi è vessato dal grippe, indicano uno stato morboso del midollo spi- nale, che viemaggiormente si manifesta con quel senso di torpidezza e d'indebolimento, che soffre l'infermo lungo le stesse estremità, e che si man- tiene pertinace dalla prima inyasion del male, du- rante il periodo febbrile , e dopo questo ancora per moltissimi giorni. Con una morbosa alterazione del midollo spinale, che in seguito vedremo a che può ridursi, s'intende il senso di spossatezza, che travaglia l'ammalato di grippe dopo cessato il mo- vimento febbrile. Questo medesimo senso di spos- satezza, di torpore nelle estremità inferiori, per la sua lunga durata ed intensità non è proporzionato ad un effetto deprimente .lasciato da una febbre, phe talora non si estende a maggior tempo di ven- 26 S e 1 K N Z E tiqiiattr*ore: come non è, e non può essere in pro- porzione colla corta dieta, e col metodo di cura lievemente debilitante praticato nel grippe. Egli è in rapporto con un'alterazione del midollo spinale; e con questo rapporto diventa intelligibile, rilevan- dosi per esso l'efifetto relativo e proporzionato alla sua cagione. Gli altri sintomi di spezzamento di membra e di dolori contusivi in tutta la superficie del corpo derivano ancora da un'alterazione del mi- dollo spinale, mentre sono riferibili a questo cen- tro organico. E seguitando a discorrere de' sintomi con cui si manifesta il grippe, si sono osservati ol- tre gli anzidetti relativi alla spina dorsale, alle estremità inferiori, ed all'organo cutaneo, i sinto- mi encefalici esser costanti, come si disse, e perciò essenziali nello sviluppo del morbo epidemico in discorso. Questi sintomi a me sembrano essere in immediato rapporto colla massa cerebrale; imperoc- ché la costanza de' medesimi nella manifestazione del grippe, il non esser mai disgiunti da' sintomi relativi alla spina dorsale, all'estremila inferiori, ed alla cute, escludono qualunque rapporto di sem- plice consenso con altre parti, ed esprimono un'al- terazione dello stesso centro encefalico, con cui so- no relativi. In conseguenza per essere i sintomi es- senziali del grippe riferibili all'encefalo ed al mi- dollo spinale, fa d'uopo stabilire, che il centro di organica alterazione in questa malattia è il sistema nervoso cerebro-spinale. In quanto poi a' sintomi delie vie aeree, che non si sono riscontrati essen- ziali di questo morbo epidemico, perchè non sem- pre in ogni caso di grippe si sono sviluppati, e perciò che si può dare il grippe, come già si è no- tato, anche senza di questi, io ritengo, che tali me- Annotazioni sul Grippe 27 desimi sintomi derivino dallo stesso centro di al- terazione cerebro-spinale, da cui sono prodotti gli altri contemplati segni morbosi: ma sembrami, che non essendo essi essenziali, sia necessaria l'esistenza d'un' altra cagione diversa da quella, che come ve- dremo è in rapporto col centro cerebro-spinale: la quale diversa cagione agendo nell'apparato delle vie aeree, determini questo medesimo apparato a partecipare della morbosa alterazione avvenuta nel sunnominato centro cerebro-spinale, e serva così alla manifestazione de'sintomi relativi alle vie del respiro. E questa cagione io credo essere la costi- tuzione atmosferica. Essa ha luogo nel producimen- to de'sintomi riferibili alle vie aeree, che si svi- luppano in chi è vessato dal grippe, non come cau- sa diretta, ma come predisponente concomitante a tale risultato, mentre i sintomi delle vie aeree ri- petono anch'essi la derivazione dal sistema de'ner- vi essendo di natura convulsa e non reumatica, co- me dovrebbero essere, quando fossero l'immediato effetto della costituzione atmosferica. Che poi que- sti sintomi siano convulsi e non reumatici, lo di- mostra in primo luogo la tosse, che molesta l'am- malato di grippe, in cui rinvengonsi tutti i feno- meni di tosse convulsiva, sia che essa voglia risguar- darsi nel modo di accesso impetuoso, col quale si produce; sia che si consideri nella maniera con cui, quando il male declina, essa va risolvendosi me- diante l'escreato mucoso già notato nell'esposizione sintomatica del grippe. I quali caratteri non sono propri della tosse prodotta dalle cause atmosferi- che, che è quanto dire da una reumatica alterazio- ne. In secondo luogo, che i sintomi relativi alle vie aeree sviluppati nel grippe sieno parimenti con- 28 Scienze vulsivi, viene manifestato dalle varie sensazioni che soflfre l'infermo ora di calore al petto, ora di costri- zione nella stessa parte, talvolta di chiusura delle fauci e della stessa laringe, ed altro di questa natu- ra. Chi volesse conoscere una più dettagliata ragio- ne sulla produzione degli esposti sintomi delle vie del respiro, considerati come effetti di un'alterazione del sistema nervoso cerebro-spinale, potrà consul- tare gli autori, che han trattato de'rapporti di sif- fatto sistema coir apparato respiratorio, e special- mente potrà consultare l'opera di Brachet » Ricer- » che sperimentali sulle funzioni del sistema ner- » voso, e sulla loro applicazjione alla patologia: » no- tando di quest'opera in modo particolare il capo quinto, ove si dimostra, 1.° che i nervi pneumo-ga- strici sono gli organi sensitivi, che ricevono l'im- pressione dal bisogno di respirare, la quale viene trasformata da loro in sensazione, che la trasmetto- no al cervello; 2.° si dimostra, che i nervi cerebro- spinali presiedono a' fenomeni meccanici della re- spirazione. Qualunque altro sintoma, che possa es- ser prodotto nello sviluppo del grippe per partico- lare predisposizione del soggetto che ne rimane invaso, o per il concorso di cause concomitanti , è sempre riferibile all'alterazione del sistema ner- voso cerebro-spinale. Lo stesso turbamento della maggior parte delle funzioni dell' organismo, che avviene in tal morbo epidemico, come di ciò spe- cialmente da relazione ancora il Repertorio delle scienze fisico-mediche del Piemonte (sez. 4.^ voi. 4 pag. 108, anno 1837) dimostra l'influenza che dietro particolar predisposizione ha su tutto l'organismo il centro morboso cerebro-spinale da noi contem- plato nel producimento del grippe. Da tutto ciò Annotazioni sul Grippe 29 vuoisi concludere, che secondo la natura de'slnlomi, co'quali si manifesta il grippe, siano essenziali del medesimo o non lo siano, questo morbo viene co- stituito da im'alterazione del sistema nervoso cere- bro-spinale, che sarà in seguito analizzata. A tale alterazione corrisponde pur anco il mo- do, con cui si scioglie il grippe, ed il metodo cura- tivo tenuto per conseguire siffatta risoluzione. È di vero sono noti i fatti di nervosi che marcano il pe- riodo di risoluzione coU'abbondante sudore, ed è pur nota l'influenza del sistema nervoso nel produ- cimento di questa secrezione. Ma per viemaggior- mente conoscere i rapporti che passano tra l'altera- zione nervosa ed un tal mezzo di crisi, si potrà con- sultare l'opera del prof. Puccinotti » Lezioni sulle malattie nervose » , e specialmente la lezione otta- va intorno i fondamenti della terapia generale delle malattie de' nervi. Per il che vuoisi ritenere, che il grippe sciogliendosi col sudore, questo male si ri- solve con un mezzo critico, che si addice al sistema nervoso; e perciò trovasi in corrispondenza un tal mezzo di risoluzione colla natura de' sintomi, co* quali siffatto morbo epidemico si manifesta. Tanto l'uno poi quanto l'altro de' due dati, pe' quali si costituisce la malattia in discorso, vale a dire l'as- petto sintomatico del morbo ed il modo di risolu- zione, si trovano corrispondenti al metodo dì cura visto efficace nel vincere il grippe, mentre questo metodo non ad altro sì riduce che all'uso dì que* mezzi terapeutici, i quali di concerto col movimen- to naturale, per cui il male sì scioglie, servono a se- condare lo stesso naturai movimento, che è la se- crezione del sudore generalmente riconosciuta qual crisi nella risoluzione del grippe. In conseguenza 30 S e I E « ì5 fi parmi con fondamento potersi asserire, clie il tnfi-* todo curativo, il mezzo di risoluzione, l'aspetto sin- tomatico inducono a stabilire, essere il grippe una nevrosi, che secondo la natura de'sintomi ha la sua sede nel sistema nervoso cerebro-spinale^ La causa di questa nevrosi non si può ravvisa- re in un'atmosferica costituzione, come già si è no* tato; ne si può ritenere, ch'essa sia riducibile a qualunque delle altre comuni cagioni, mentre in questo caso s'incontrano quelle stesse difficolta che si sono rinvenute nel riferire il grippe essenzial- mente ad una causa atmosferica. Imperocché trat- tandosi di cause comuni, queste hanno sempre esi- stito, e la manifestazione del grippe in Europa non risalìsce più in la del decimoquarto secolo, secon- do la pili accurata esposizione che ha fatto il dot- tor Guelly risguardante il primo e i successivi svi- luppi del morbo grippe in Europa. Vedemmo pu- re le difficoltà che s'incontrano nel considerare il grippe come risultato d'un miasma. Oltredichè ri- pugna alla ragione il dire, che quantunque le cau- se comuni abbiano sempre esistito, soltanto nel .sud- detto secolo determinarono in Europa lo sviluppo del nominato morbo epidemico: con questo dire fa d'uopo ammettere, che in tal tempo alle cagioni, che non sono state mai sufficienti alla produzione del grippe, siasi associata un' altra causa, che ne abbia determinato lo sviluppo. Ma con ciò eccoci nel caso, in cui il grippe è devoluto alla sopravve- nienza d'una cagione, che in Europa non esisteva prima del decimoquarto secolo, da non potersi con- fondere colle cause comuni appunto perchè non sempre vi ha esistito; ed ecco pure il caso, in cui le cause comuni medesime non possono essere con- Annotazioni sul Grippe 31 siderale che come concomitanti, predisponenti, di maggior o minor predominio in una parte piutto- sto che in un'altra, secondo la natura delle medesi- me, siccome nello sviluppo del grippe le cause pre- disponenti, concomitanti, che dominano sopra tutte le altre sono le vicende atmosferiche, che agiscono nelle vie del respiro, ed in tutto l'organo cutaneo. Ma questa causa essenziale produttrice immediata del grippe, che si mantiene uguale ovunque varcan- do i monti e le marine; che è la stessa in tante na- zioni diverse per rapporti atmosferici e terrestri, nelle quali il grippe si è sviluppato; che produce i suoi morbosi effetti in qualunque clima, ed in qua- lunque stagione, senza che rimanga impedita nel prorlucimento di tali eflfelti ne dal caldo, ne dal freddo, ne dall'umidità o siccità, ne dalla posizio- ne de'luoghi bassa od elevata, questa causa, io di- co, non può esser altro che una causa contagiosa, essendo proprie de'contagi soltanto le qualità qui nominate riferite a tale cagione. o Dalle cose fin qui dette essendosi ragionevol- mente rilevato, che il grippe si riduce ad una ne- vrosi, che ha sua sede essenziale nel sistema ner- voso cerebro-spinale, ora convien determinare la na- tura di questa nevrosi colle conseguenze che deri- vano dalla medesima relativamente all'alterazione, che ad essa succede in altri tessuti diversi dal ner- voso. Per conoscer ciò convien valutare la malattia nel suo primo sviluppo, nel suo andamento progres- sivo e nella sua risoluzione. Ed intanto la prima invasione del grippe è marcato dallo slato d'irritazione nel centro del si- stema nervoso cerebro-spinale con movimenti sim- patici dallo stesso centro alle vie del respiro, come 32 Scienze ciò sembrami potersi dedurre dal modo di produ- zione de'sintomi relativi tanto all'encefalo, quanto alla spina dorsale, alle estremità inferiori, all'orga- no cutaneo ed alle vie aeree, quando queste ultime sono interessate fin dalla prima manifestazione del morbo. E difatti si annuncia il male costantemente con sintomi encefalici, dorsali e con quelli in rap- porto alle estremità inferiori ed alla cute; ma nel- la stessa manifestazione se si considerano i sìntomi encefalici, si rimarcano ora il senso di peso, ed ora il dolore in varie parti del capo, e di nuovo ces- sato il dolore, si presenta il senso di peso, e talora si notano ambidue questi sintomi in uno stesso tem- po. Nel dorso, nelle estremità inferiori, e nell'or- gano cutaneo succede lo stesso fenomeno, mentre anche in tali parti ora si alterna la sensazione del freddo con quella del caldo, ora avvengono le mu- scolari contratture, e talvolta si manifestano le pun- ture dolorose, oppure piìi sintomi insieme si pro- ducono. E se si considerano ancora i sintomi delle vie aeree si troverà nella manifestazione de'mede- simi un eguale procedimento. Anche lo stalo de'pol- si presenta irregolarità. Ora questo modo tenuto dal grippe nello sviluppo de'sintomi, co' quali si manifesta, vuoisi ritenere qual carattere essenziale dell'irritazione prodotta per l'azione della causa del grippe nel sistema nervoso cerebro-spinale. Il qiia- le stato morboso d'irritazione a seconda delle cau- se concomitanti, predisponenti, considerale o nelle vicende atmosferiche, ovvero in qualunque altra in- dividuale cagione di tal natura, produce movimenti simpatici dal suddetto centro, dove ha sede prin- cipale l'irritazione, diffusi a quelle parti, nelle quali le cause predisponenti, concomitanti, esercitano la Annotazioni sul Grippe 33 • loro particolare azione. E siccome queste medesime cause concomitanti, predisponenti, sono principal- mente le vicende atmosferiche, così per ragion di siffatta causa i sintomi delle vie aeree sono quelli che specialmente si associano a' sintomi essenziali del grippe. Per questa medesima ragione laddove le vicende atmosferiche sono piìi rimarchevoli, so- no ancora piìi intensi i sintomi, che loro sono re- lativi, come quelli dell'apparato delle vie del re- spiro. Tal'è il motivo per cui il grippe ha prodot- to molte vittime in que'luoghi, ne'quali la nomina- ta causa atmosferica è molto intensa, come avvie- ne nelle parti settentrionali del globo. E difatti Londra e Parigi ci hanno presentato i funesti esem- pi della strage ivi prodotta da questo morbo epi- demico. Ciò non è avvenuto nel ridente clima ita- liano, nel quale le vicende atmosferiche sono poco rimarchevoli a confronto di quelle che accadono nelle sunnominate capitali. Se poi queste medesime vicende s'incontrano piìz intense, allorché domina la causa essenziale del grippe, si avrà anche mag- gior ragione per intendere in questa circostanza il maggiore sviluppo de'sintomi delle vie aeree nelT invasione del grippe, e la piìi forte intensità de'me- desimi. Ed è perciò, che l'irritazione, che come si è notato, è il primo stato morboso del grippe, il quale è di più o meno lunga durata, può essere an- che causa di morte sconcertando funestamente le funzioni essenziali alla vita. Cosi il catarro sofFoca- tivo, che nell'epidemia del grippe ha condotto a morte tanti soggetti specialmente in Londra, pote- va essere il risultato dello stato d'irritazione sopra consideralo in tal morbo epidemico. Ma questa medesima irritazione, che è l'imme- G. A. T. LXXVIL 3 34 Scienze dialo risultamcnto della causa morbosa, si congiun- ge a quel processo di riproduzione del contagio: il qual processo penso esser proprio del sistema ner- voso, formandosi esso per opera del nerveo tessuto; e penso ancora prendere molta parte in siffatto pro- cesso l'organo cutaneo. Il che sembrami di potere in qualche modo paragonare a quanto avviene nelT intestino, od altrove, nel caso di producimento de* vermi; imperocché quantunque sieno due cose di- stinte l'irritazione ed un tal producimento, pure queste medesime due cose non si disgiungono fino a tanto che il verme non è stato espulso. Per inten- dere, a mio avviso, la produzione di questi anima- li, e la loro espulsione dal corpo cagionato dalla natura, o da'mezzi dell'arte salutare, non evvi biso- gno d'immaginare ne stato di vascolari turgori, ne quello dell'infiammazione colle sue crisi, mentre le dette funzioni relative al contagio sono devolute ad un modo di esistere del sistema nervoso cos'i reso da cause particolari, che in lui agiscono. Col quale con- giungimento d'irritazione e di processo riprodut- tivo il grippe in molti casi compie il suo corso: co- me ciò è avvenuto ne'casi considerati nella prima distinzione. A questo stato morboso qui contempla- to corrispose l'indicazione curativa diretta a mode- rare l'irritazione, secondando i movimenti naturali, che si dirigono all'organo cutaneo colla promozio- ne del sudore. Non sempre però l'esposto connubio e limitato da'due nominati elementi, mentre lo stato irritativo e causa di morbose conseguenze sviluppate in altri sistemi diversi dal nervoso tessuto. Per il che av- viene in molti casi, che l'irritazione produce con- gestioni sanguigne in vari punti, che sono determi- Annotazioni sul Grippe 35 nati singohirmentc dall'individuale suscettività, e dalle cause che abbiamo considerate come concomi- tanti, predisponenti. Non è raro perciò il caso in cui si abbia, che molti individui vessati dal grippe, oltre il morboso connubio sopra contemplato, pre- sentino congestione sanguigna specialmente ne'vasi polmonali, ed anco talora nel capo, ed in altre par- ti. I sintomi costanti di tale congestione relativi a tali parti ci hanno dimostrato la sua esistenza, nel tempo stesso che i sintomi relativi all'irritazione, co- me ne'casi considerati nella prima distinzione, pa- lesavano il connubio sopra considerato associato al- la congestione sanguigna. La quale alterazione in siffatto modo espressa si è riscontrala ne'fatti che noi abbiamo considerati nella seconda distinzione. Per il che le indicazioni curative in questo caso hanno consistito nel togliere la congestione sangui- gna colle deplezioni di sangue, e nel moderare lo stato irritativo col secondare i movimenti naturali diretti all'organo cutaneo colla promozione del su- dore. In questo stato di cose, con tutto il metodo cu- rativo il piii ragionevole, il grippe ha avuto un da- to dì pili di quel che si è considerato nel solo caso d'irritazione, per essere stato funesto in que'luoghi ne'quali le vicende atmosferiche od altre cause pre- disponenti, concomitanti, sono molto intense. E cosi non v'è stato clima, in cui il grippe, come si è con- siderato in questo caso di congestione sanguigna , non vi abbia prodotto qualche vittima. La mor- te avvenuta ne'casi, che qui si contemplano di pri- ma e seconda distinzione, è stata sempre la con- seguenza del grave sconcerto delle funzioni, spe- cialmente di quelle del respiro, prodotto dallo sta- to d'irritazione del sistema nervoso: come ciò si con- 30 Scienze ferma ancorii--colIa dissezione de' cadaveri, mentre « è opinione generale de' medici (così annuncia il Repertorio delle scienze fisico-mediche del Piemon- te ser. IV voi. 108, ann. 1837) che sono stati al caso di fare osservazioni di tal sorte sui soggetti morti del grippe, che le lesioni generalmente leg- giere osservate dopo morte non erano da tanto da render ragione della gravezza de' sintomi, e spe- cialmente della dispnea intensa osservata nel de- corso del male ». Il connubio sopra considerato dello slato ir- ritativo nello sviluppo del grippe col processo di riproduzione del contagio elaborato dal sistema nervoso non si associa soltanto alla congestione sanguigna, e con essa si limita il corso della ma- lattia, come avviene in molti casi, ma in molti al- tri lo stesso connubio si unisce ad alterazione di maggiore entità , mentre esso si congiunge all'in- fiammazione, la quale si accende in qualcuna di quelle parti, nelle quali era accaduta la congestio- ne di sangue. E siccome già si è notato avvenire singolarmente sififatta congestione ne'vasi polmona- ri o per particolare individuale suscettività , ov- vero perchè le cause atmosferiche specialmente agiscono nell'apparato respiratorio; così di soven- te è accaduto, che il sopraesposto connubio, dopo essersi associato all'accumulamento sanguigno, sia- si pur anco congiunto al processo infiammatorio acceso nelle vie aeree, od in altra parte del visce- re polmonale. Difatti anche da me fu osservata la pneumonite succedere al grippe, dopo che questo morbo avea presentato lo sfato d'irritazione come ne' casi in primo luogo distinti, e dopo d'essersi unito ancora questo medesimo stato d' irritazione Annotazioni sul Grippe 3t colla congestione sanguigna come ne' casi riferiti nella seconda distinzione. Questo processo infiam- matorio può soggiacere a'suoi comuni esiti. Per vin- cere il qual processo viene indicato il metodo anti- flogistico relativo all'apparato respiratorio, nel mo- do che fu gih esposto nella cura de'casi di grippe nella terza distinzione contemplati. Senonchè nel Yiedesimo metodo curativo antiflogistico conviene porre a calcolo il connubio del processo riprodut- tivo della causa contagiosa collo stato irritativo, che si risolve mediante la funzione dell'organo cutaneo: ed è perciò, che la secrezione del sudore fa d'uo- po procurare nel tempo stesso, in cui s'istituisce la cura antiflogistica. E siccome questo connubio persiste le molte volte anche dopo cessata l'infiam- mazione, COSI in allora le viste terapeutiche sono dirette esclusivamente a quanto si è notato intorno il grippe ne'casi compresi nella prima e seconda distinzione. Le altre morbose successioni, che furono osser- vate in seguito allo sviluppo del grippe, sono ri- sultate dallo stato d'irritazione considerata nel si- stema nervoso cerebro-spinale; che a seconda della particolare ed individuale suscettività, ed a secon- da ancora delle cause predisponenti e concomitan- ti, la malattia essenziale diffonde i suoi organici mo- vimenti a'nervi di quella data parte o viscere, con cui è in rapporto la stessa morbosa successione: e quindi diffusi siffatti movimenti in tali parti, per circostanze locali indotte da* medesimi movimenti possono essi mantenersi e riprodursi, quantunque siasi dissipata la centrale irritazione. Di ciò abbia- mo esempio ne'sintomi delle vie aeree, che in mol- ti casi si mantengono anche dopo dissipata la cen- 38 Scienze trale irritazione nel sistema nervoso cerebro-spina- le. Di CIÒ pure abbiamo avuto esempio ne'casi d'it- terizia succeduta al grippe, ne'quali casi la suddet- ta centrale irritazione o per particolare ed indivi- duale suscettività , od in forza di concomitanti e predisponenti cagioni diffondendo gli organici mo- vimenti al plesso epatico, turbava la secrezione del- la bile, e dava lo sviluppo dell'itterizia. Parimenti in forza delle individuali, predisponenti o concomi- tanti cagioni diffusi dal centro morboso cerebro- spinale in altre parti del sistema nervoso c|uegli organici movimenti, da'cjuali suolsi produrre il mor- boso periodo, si andrà a rilevare con tal motivo la ragione, per cui in molti individui invasi dal grippe sia accaduta la manifestazione periodica di alcuni sintomi dello stesso grippe, ed in altri molti siasi prodotta la decisa febbre intermittente colle sue recidive, siccome è proprio di questo malore, Da tutto ciò che si è detto sulla genesi del grippe si rileva, che escluso ragionevolmente il reu- ma dallo essenziale sviluppo di questo morbo epi- demico, e del pari esclusa la bronchite come malat- tia, in cui essenzialmente consista il grippe, si ri- leva, dissi, 1.° che il grippe è costituito dallo stato d'irritazione nel centro nervoso cerebro-spinale, da cui per le cause concomitanti atmosferiche, od al- tre si diffondono gl'irritativi movimenti all'appara- to respiratorio ed in altre parti: il quale stato d'ir- ritazione è congiunto al processo riproduttivo della causa contagiosa, in cui prende molta parte l'orga- no cutaneo. 2.° Che questo connubio d'irritazione e processo riproduttivo si unisce alla congestione san- guigna in quella parte irritata a ciò predisposta per individuale suscettività, o per le cause concomitan- Annotazioni sul Grippe 39 ti. 3.^ Glie gli stessi elementi (rirritazione congiun- ta al suddetto processo riproduttivo, ed alla con- gestione di sangue, si uniscono all'infiammazione ac- cesa nella parte singolarmente ingorgata di sangue, la quale o per l'individuale suscettività, o per le cause concomitanti atmosferiche è ordinariamente l'apparato polmonale. Queste tre parti notate nel grippe, corrispon- denti alle tre distinzioni per noi esposte de'casi di questo morbo epidemico, debbono essere intese in modo, che la prima si congiunge alla seconda senza essere esclusa: mentre, come risulta da quanto an- tecedentemente si è espresso, il processo riprodutti- vo unito sempre allo stato morboso d'irritazione procede nel suo corso nel tempo stesso, in cui alcu- ni punti irritati s'ingorgan di sangue; e perciò la seconda parte non esclude la prima: lo sviluppo poi della parte terza non esclude la prima e la seconda, imperocché l'infiammazione in punto ingorgato di sangue si può accendere nel mentre che altri punti si trovano soltanto colla congestione sanguigna, ed il detto processo riproduttivo unito all'irritazione per- corre il suo periodo. Lo sviluppo delle quali parti non si nota in tutti i casi, mentre nella maggior parte degl'indi- vidui invasi da questo morbo epidemico in Italia non si è rimarcato altro, che lo stato irritativo con- giunto al processo di riproduzione della causa mor- bosa. Quivi pochi, in proporzione degli anzidetti, sono stati i soggetti, ne'quali è accaduta la conge- stione di sangue e l'infiammazione. Non così è avve- nuto in Londra e in Parigi, dove si sono di fre- quente sviluppate tutte le tre parti contemplate nel grippe in forza della concomitanza delle vicende at- AO Scienze mosferiche ivi assai più intense di quelle che sono in Italia. Per le quali cose si può concludere, che il grippe nella sua natura non è malattia, che alte- ri profondamente i vitali rapporti, ma che può di- venir funesta in forza delle individuali predisponen- ti e concomitanti cagioni. Praelectiones theologicae quas in collegio romana S. I. habebat Ioannes Perrone e soc. lesu, in eodem collegio theoì'ogiae professor. Kol. V^. Romae 1837 in coli, urbano de propaganda fide (in 8.° di cart. 429). D. 'uè interessantissimi trattati, il primo intorna alla grazia e il secondo de' sacramenti in genere^ sono contenuti in questo volume. Proseguendo il nostro costume andremo brevemente svolgendo il primo di essi, e procureremo di darne quella mi- glior contezza che per noi sarà possibile. Arduo soggetto è certamente quello che i dot- tori chiamano de gratini perocché conviene concia liare la forza della grazia, e la liberta dell'uomo, la infinita bontà del creatore, la dannazione eterna della creatura, la piena soddisfazione data da Cristo^ la parte che ancor resta all'uomo a pagare, la gra^ tuità della grazia, la necessita della medesima ec. E però non è maraviglia se varii sieno stati i sistemi de'teologi per ispiegarla, se gli scolastici siensi in^ ternati in tante differenti opinioni, e se la storia di essa pe'soli primi cinque secoli forni un ben ampio Praelect. Thkologicae 41 volume al celebre marchese Scipione Maffei (1). Il nostro autore peraltro schiva tutte le scolastiche questioni, e costante nel suo metodo, in cui è al solito a commendarsi la profondità delle dottrine, e la chiarezza dell'ordine, fin dal primo capo ci da una limpidissima idea dell'argomento, e fa da un principio derivare tutte le verità che a questo dom- ina appartengono, in quella stessa guisa come da un tronco tutti i rami di un albero discendono e hanno vita; motivo per cui a prima vista si ha come un quadro di tutto il trattato, e benissimo se ne scorge tutta la connessione. Stabilisce le dottrine degli avversari? fa vedere i corollari che ne se- guono; oppone ad esse il domma della chiesa. Mo- stra com'eglino siano tante volte costretti a contrad- dirsi fra loro, e come nella chiesa maestra di veri- tà veggasi sempre la medesima dottrina tenuta dai padri e dai custodi della tradizione. Ma per meglio osservare questa concatenazione, svolgiamo minuta- mente tutta la materia. In tre parti il trattato e diviso. Parlasi nel- la prima della grazia attuale, nella seconda del^ la grazia santificante, nella terza del merito. Fin dal principio l'autore, basato sulle parole dell'apo- stolo Paolo (Ephes. I 9, 10), il quale ne insegna che Iddio dispose » in dispensatione plenitudinis tem- porum instaurare omnia in Christo » dice che se la restaurazione fatta da Cristo consiste nel riparare (i) Istoria teologica delle dottrine e delle opinioni corse ne* primi cinque secoli della chiesa in proposito della divina gra- zia, del libero arbitrio, e della predestinazione. Trento 1742 ia foglio. Quest' opera venne tradotta in latino dal P. Federico Reiffemberg gesuita. 42 Scienze l'uomo caduto e richiamarlo al primiero suo stato, tale e tanta dev'essere la connessione e la dipendenza fra l'uomo innocente e caduto e fra l'uomo ripa- rato da Cristo, che l'uno non possa separarsi dall' altro. Ciò posto, dalla vera o falsa nozione della con- dizione de'primi nostri padri derivare o l'ortodossa o l'eretica dottrina intorno alla grazia. Venendo poi a provare il suo assunto, presenta i sistemi dei pe- lagiani, de'semipelagiani e de'sociniani, i cui errori sono seguiti dai razionalisti, quelli de'novatori del secolo XVI, di Baio, di Quesnello, di Giansenio, e pone a confronto de'loro errori la dottrina «Iella chie- sa. Premesso questo interessantissimo parallelo, di- vide la prima parte del suo trattato in cinque capi. Porge nel primo la definizione della grazia , e la divide secondo le scuole in proveniente e coO' perante, in sufficiente ed efficace. Nel secondo capo mostra la necessità di que- sta grazia: e per procedere con ordine, lo suddi- vide in altrettanti articoli , quanti sono gli errori che combatte. Nel primo articolo, confutando gli er- rori de'pelagiani intorno alla necessità della grazia, con due separate proposizioni dimostra , che per tutti e singoli gli atti, i quali riguardano l'eterna salute, è necessaria l' interiore grazia dello spirito santo d'illustrazione e d'ispirazione: e che all'uomo caduto è necessaria la grazia di Dio, tanto per co- noscere tutte le verità dell'ordine naturale, quanto per adempire tutta la legge e per superare le gravi tentazioni. In tal guisa resta abbattuto l'errore de' pelaglani, i quali, come sanno i teologi, ponevano nel loro sistema, che l'uomo non era stato da Dio innalzato per mezzo della grazia santificante al di sopra della naturai sua condizione, nò fornito del Praelect. Theologicaé 43 clono Jella integrità, e che però ne Adamo col pec- cato era da tale stato decaduto, ne contratto avea alcuna infermità. Dal che ne seguiva che ne Adamo dopo il peccato, ne gli altri uomini aveano d'uopo d'alcun sovrannaturale soccorso per essere alla con- dizione primiera restituiti. Passa quindi il Perrone ad attaccare i semi- pelagiani. Questi , coni' è ben noto , ammettevano la necessità della grazia, sia per l'aumento della fede, sia per le opere salutari, che seguivano dopo la fede stessa. Consentivano però coi pelagiani in ne- gare la necessità della grazia al principio della fede, e alla perscverazione sulla stessa fede lino alla mor- te. Il perchè ripeteano il principio della salute e della perseveranza da se stessi, e non già dalla grazia di Dio., che preveniva le loro volontà. Da cjuesto fondamentale errore tutti gli altri scaturì' vano. Davasi la grazia secondo i meriti. Iddio vo- leva tutti gli uomini salvi, ma in guisa però ch'essi uomini il volessero prima in virtìi del libero ar- bitrio; non davasi predestinatone a grazia. Per cjuel- lo poi che riguarda la necessità della grazia al prin- cipio della fede e alla perseveranza in essa, il P. Perrone a prevenire tutte le frodi dei giansenisti fa osservare, che i semipelagiani non negarono as- solutamente la necessità della grazia circa l'uno e l'altro di questi articoli: ma solo la necessità della grazia, che toccava la volontà. Imperocché ammet- tevano esser necessaria la grazia d'illustrazione, os- sia d'intelletto. Per tanto a ribatter questo errore stabilisce la proposizione, che l'uomo senza illumi- nazione e ispirazione dello Spirito Santo, e senza suo aiuto, non può avere il salutare principio della fede medesima. AU Scienze Siccome poi in errori opposti a quelli de'pe- lagìani e de' semipelagiani erano cadati i novatori e i giansenisti; così contro di questi combatte nell' articolo III. In fatti credendo i novatori, che la giu- stizia originale coi doni e privilegi annessi formasse parte essenziale dell'umana natura, e che a lei fosse connaturale, dissero che l'uomo caduto avea pel pec- cato perduta 1' immagine di Dio, eh* era morto a qualsivoglia Lene naturale, o morale, che non avea ritenuta altra attitudine se non al peccato, che l'uo- mo non ancor rinato peccava in tutte le sue opere, che nulla da esso potea venire se non degno di dan- nazione , e che però tutte le opere degl' infedeli cran peccati, tutte le virtìi de'filosofi altrettanti vizi. Baio ed i giansenisti abbracciarono il principio de* novatori circa lo stato del primo padre, stabilirono essergli dovuta l'originale giustizia, o almeno dis- sero formar parte integrale della sua natura, e però per legittima conseguenza professarono in parte gli errori de'novatori circa lo stato dell'uomo caduto. Per tanto essi tengon per fermo, 1.° che l'uomo ca- duto senza il soccorso della grazia praticar non possa alcun bene morale, ne superare una benché leggiera tentazione: 2.*^ che la fede formale, sia, com' essi la chiamano , la prima grazia che Iddio con- ceda all'uomo, e che niuna grazia da Dio all'uo- mo si conferisca prima della fede : 3.° che tutte le opere degl'infedeli che fannosi, secondo questo sistema, senza grazia, sieno altrettanti peccati e vi- zi propriamente detti, i quali meritano la eterna dannazione: 4.° che quella fede, la quale nella loro ipotesi è la prima grazia, sia inseparabile dalla carità o giustificazione, e che però gli uomini non giustificati peccano in tutte le loro azioni; dal che Praelect. Theologicae 45 concludono, che i desideri, gli sforzi, le orazioni me- desime, colle quali i peccatori si studiano di acqui- star la giustificazione, o ricuperarla per mezzo di una conversione sincera, sieno altrettanti peccati mortali, e però secondo quest' empia dottrina, gli uomini tanto piìi divengano peggiori, quanto più si sforzano di tornare a Dio. La dottrina cattolica peraltro tiene il mezzo fra questi erronei sistemi. Dal principio della elevazio- ne gratuita sopraggiunta della natura umana allo stato di originale giustizia inferisce, che dopo il peccato di origine la natura umana è rimasta integra nella sua essenza, che si è alterata e guasta l'imma- gine di Dio nell'uomo per la perdita del dono d'in- tegritk sopraggiunto, ma non cancellata, e che la natura è stata vulnerata, non estinta, nelle sue es- senziali facoltà. E però secondo la cattolica dottri- na nell'ordine morale, 1.° l'uomo caduto può senza grazia conoscere alcune verità di ordine naturale, fare almeno le opere più facili di naturale onestà, superare le tentazioni leggiere, e che in conseguen- za tutte le opere degl'infedeli non sono altrettanti peccati; 2.° che prima della collazione della fede concedonsi da Dio le grazie necessarie, con cui l'uo- mo caduto possa fare le più difficili opere di ordi- ne morale, e vincere le gravi tentazioni; 3.° che può sussister la fede senza la carità, e che però il pec- catore fedele può dìsporsi a ricuperar la giustifi- cazione per mezzo delle grazie, le quali da Dio gli si concedono; 4.° che tutte le opere precedenti la vocazione alla fede, abbenchè di ordine naturale soltanto (e fatte non senza qualche aiuto di grazia) e sterili in ordine alla salute eterna, non sono al- trettanti peccati; 5.° e che molto meno debbansi ag- 46 Scienze giungere ai peccati le opere soprannaturali, quelle cioè che vengon dopo la fede e che in virtù della grazia son fatte dal peccatore, quantunque non sia- no ancora meritorie in ordine alla vita eterna, per- chè praticate prima della giustificazione. Queste ve- rità della chiesa sono dall'autore sviluppate in tre distinte proposizioni, nelle quali non solo coU'au- torita delle sacre scritture e de'padri comprova le sue asserzioni, ma trionfalmente abbatte tuttociò che viene dagli avversari sostenuto. L'art. IV abbraccia gli errori intorno alla ne- cessità della grazia dopo la ricevuta giustificazione. I pelagiani, seguendo il loro principio dell'attuale integrità dell'uomo, riteneano poter lui colle pro- prie forze giungere ad ogni perfezione, e fino alla stessa apatia, o sia imperturbabilità. Volendosi pe- rò in appresso correggere dissero, che l'uomo in tal caso avea d'uopo di quella grazia, ch'eglino ammet- tevano. Parimenti i razionalisti, i quali dicono esser la perfettibilità attributo proprio dell'umanità, cre- dono poter l'uomo colle sue forze giungere ad emu- lare non solo l'ideale prototipo dell'uomo paradi- siaco, ma quell'istesso reale, che mostrò Gesìi Cri- sto in se medesimo. I semi pelagiani poi, siccome vo- levano che il principio della fede e della salute fos- se da noi, cosi almeno pretendevano che il progres- so e la perseveranza fossero in nostro potere senza particolar aiuto della grazia: poiché volevano, che queste opere buone e soprannaturali, e la perse- veranza stessa nascessero dalla grazia acquistata in virtii del libero arbitrio. Ma il Perrone, con due separate proposizioni confutando la loro dottrina, primieramente dimostra, che l'uomo giustificato non può in tutto il tempo della sua vita evitar tutti i PrAELECT. TllEOLOGICAE 47 peccati, ed anche i veniali, senza un particolar pri- vilegio, e quindi che l'uomo giustificato non può senza uno speciale aiuto di Dio rimanere nella ri- cevuta giustizia. Stabilita in tal guisa la dottrina della chiesa intorno alla grazia, viene nel capo IH a parlare del gratuito dono di essa, o come dicono i teologi della sua gratuità. I pelagiani, in conseguenza della loro dottrina colla quale ammettono, che considerata la naturai condizione dell'uomo non gli è necessario l'aiuto della grazia per bene e salutarmente ope- rare^ ma solo per operare più facilmente e per la sola grazia d'illustrazione, dedussero poter l'uo- mo colle sole sue forze meritare il divino soccorso. E però insegnarono che Iddio dava all' uomo le grazie secondo il merito: colla qual cosa, mentre sembrava che ammettessero la grazia, dalle fon- damenta la distruggevano^ Questo loro sistema però sofferse varie mutazioni. Infatti Giuliano, vinto da- gli argomenti di sant'Agostino, giunse ad ammet- tere, che Iddio aspettava soltanto i nostri sforzi, la nostra volontà, il nostro desiderio della salute per concederci la sua grazia al principio della salute. A ben considerarlo però quest'errore, come riflette il N. A., discende dal loro sistema. Impe- rocché essi insegnavano, che il primo uomo non era slato dotato del particolar dono della integrità, ne elevato ad uno stato soprannaturale , e però era stato fornito di virtù e di forze idonee ad acqui- starsi l'eterna salute. I semipelagiani all'incontro, che ammettevano essere state attenuate pel peccato le forze del libero arbitrio, pur non dimeno trop- po gli attribuivano circa il principio della fede e la perseveranza, e però in ciò U maggior parte 48 Scienze di essi quasi conveniva co'peiagiani, benché nélld altre cose dissentissero» E vero che non tutti con- venivan con essi: imperocché ne ammisero gli stessi errori, ne tennero il medesimo camino, come ben dimostra l'autore a cart. 113 e seg. In seguito, dopo di aver egli posta a parallelo delle dottrine con- futale quelle della chiesa, fa vedere che la gra- zia è assolutamente gratuita, cioè che niun' opera di ordine naturale può meritarla, nec de congruo ^ neque de condì gno. Una delle piìi difficili quistioni, che inContrinsi in questo trattato, è quella contenuta nel capo IV, in cui parla della division della grazia attuale in ordine alla cooperazione del libero arbitrio. Ed in fatti non solamente si dividono fra loro i novatori e i giansenisti; ma gli stessi cattolici. E per verità due rose presentano difficolta non piccola, cioè l'in- fallibile forza ed efficacia della grazia, e la liberta dell'uomo sotto la mozione di essa. Ambedue que- sti articoli sono di fede, e tutti gli sforzi de'teo- logi riduconsi a conciliarli insieme. Alcuni sem- bra che innalzin di troppo la grazia con detri- mento del libero arbitrio, altri che procedano per opposto sentiero. Il nostro teologo prende a com- battere i novatori e i giansenisti: e per giungere pili sicuramente al suo intento, fa osservare con molta sottigliezza, 1.° che la controversia si agita intorno alla grazia preveniente, 2." che questa gra- zia può considerarsi o in genere o in ispecie, os- sia in se e nella sua natura, ovvero ne'suoi effetti, ne'quali casi la grazia sempre illumina^ muove, ed aiuta, e l'uomo sempre passivamente mantiensi. E però in questo senso ogni grazia è sempre effica- ce ab extrinsecOj ed ha, come suol dirsi nelle scuo- Praelect. Theologic.ve 49 le efficacia di 9Ìrtà, L'uomo fornito di questa gra- zia può o fare il bene, o fuggire il male, e vi- ceversa. Ma oltre questa efficacia di virtìi ammet- tesi dal DD. un'altra efficacia, la quale è detta di connessione, e che riguarda il futuro consenso dell' uomo. Se siavi quest'efficacia di connessione dicesi grazia efficace; se vi manchi, appellasi sufficiente. Quindi la notissima distinzione in grazia efficace e sufficiente. Esposte quindi le sentenze de' lute- rani, dc'giansenisti ec. dimostra, 1." che l'efficacia delia grazia non porta all'uomo necessita; o sia che l'uomo è libero negli atti , che riguardano la sa- lute eterna; 2." che la grazia efficace non consiste nella dilettazione celeste indeliberata superiore, e vincitrice relativamente alla minore opposta con- cupiscenza, e impellente necessariamente la volontà all'assenso. E siccome avea toccato de'vari sistemi de'teologi cattolici, così nel II art. sviluppa quelli de' tomisti, degli agostiniani, e de' congruisti, po- nendoli nel vero aspetto, e facendo conoscere quali di essi sieno più atti ad ispiegare il mistero. L'art. Ili è tutto intorno alla grazia sufficiente, e fa in esso il dotto prof, vedere come nel presente stato diasi la grazia meramente e veramente sufficiente, la quale relativamente alle presenti sue circostanze da all'uomo pronta facoltà di fare atti buoni, ma che però rendesi inutile per la resistenza dell'uma- na volontà. Nel capo V, ossia ultimo della prima parte del trattato, si occupa della dislribuzion della grazia. Non manca fin dal bel principio di far vedere, che alcune sentenze intorno ad essa non attaccano il domma: che altre sono approvate quasi dal co- mun suffragio de'teologi, altre o negate o messe in G.A.T.LXXVn. 4 50 Scienze dubbio, o insegnate da privati dottori. Premesso, che qui non trattasi ne della distribuzione della grazia efficace^ ne della sola ohhlazione di essa, perchè altrimenti riuscirebbe illusoria, ma della collazione^ dimostra, 1.° Che a tutti i giusti, speci- almente se vogliano e si sforzino, urgendo il precet- to da Dio si conferisce la grazia veramente e re- lativamente sufficiente ad osservare tutti i precetti; 2.° che Iddio a tutti i fedeli peccatori non indu- rati dà le grazie sufficienti, per mezzo delle quali possano evitare i peccati, e ravvedersi; 3.*^ che Id- dio anche ai peccatori indurati ed acciecati confe- risce le grazie veramente sufficienti a luogo e tem- po, colle quali possano guardarsi dai peccati e rav- vedersi. Nella proposizione IV si occupa degl'infe- deli negativi, cioè di quelli, che giammai udirono parlare di fede. I giansenisti non solo, ma anche alcuni de'cattolici dicono, che sono privi di ogni grazia prossima, o remota sufficiente all'eterna sa- lute; il N. A. però sostiene con argomenti tratti dalla sacra scrittura, e dai padri greci e latini, che anche a tutti gì' infedeli negativi si dà la grazia sufficiente alla salute a seconda del luogo e del tem- po. Venendo poi ai bambini morti senza battesimo dimostra che Iddio, per quanto è in se, ha appa- recchiato anche a questi i mezzi, con cui possano pervenire all'eterna salute. Imperocché vuole Id- dio sinceramente la salute ancora di essi, e Cristo anche per essi è morto, ed ha versato il suo sangue con vero e sincero desiderio di salvarli; e però Id- dio, per quanto è in lui, ha provveduto sufficiente- mente a questi col sacramento del battesimo, ab- benchè non siasi potuto amministrar loro per qual- che impedimento provenuto o dal naturale corso Praelect. Theologicae 51 della natura, o dalla negligenza e colpa degli uomi- ni. La qual cosa spiegasi coiresempio del medico verso ranimalato, o del padrone verso lo schiavo, il quale avrebbe provveduto alla liberta di lui, se mandando il denaro per mezzo di un servo, que- sti per via non fosse o morto, o per altro motivo trattenuto. Passando il N. A. alla seconda parte del suo trattato, viene a parlare della grazia santif caute, che suole anco chiamarsi abituale. Premessane la definizione, ricava da essa tutto il sistema cattolico intorno alla sua natura e agli effetti. Pertanto dice, \° essere intrinseca, cioè intimamente inerente ali anima nostra; 2.° purgar l'anima dai peccati e far- la risplendere per un tal quale splendore divino; S.** essere inseparabile dalla giustificazione, la qua- le da essa dipende, venendo l'uomo peccatore con un medesimo atto costituito giusto e santo; 4. es- sere un dono di Dio, a cui l'uomo prevenuto dall'at- tuale aiuto di Dio può disporsi; non potere peraltro giammai meritarla, ne colla fede, ne colle altre ope- re, venendo da Dio comunicata gratuitamente, pre- vie però le necessarie disposizioni in coloro, che a quelle sono idonei, cosicché l'uomo in ricevere tal dono possa essere attivo e passivo ; h.^ tal grazia non essere cosi inerente all'uomo, che piìi non pos- sa perderla; ma come liberamente per la grazia at- tuale si dispose a riceverla, così liberamente può perderla col peccato ; 6." che non sapendo giam- mai l'uomo con certezza di fede, se abbia portate tutte le disposizioni che si ricercano per acquistare la formale santità, ossia giustificazione, niuno può e molto meno deve per divina fede credere di aver conseguita la grazia giustificante; T.° che se in re- 52 ScfENZE alta sia taluno per siffatto dono giustificato e san- tificato, nulla vi è in lui che a Dio dispiaccia; 8.° fi- nalmente, che tutte le opere meritorie son frutto della grazia santificante, la quale può per queste istesse opere aumentarsi; che se poi alcuno perse- vera in esse fino al termine della vita, diventa erede di quella eterna, la cui gloria sarà o maggiore o minore a seconda de'meriti acquistati. Esposta la dottrina della chiesa, e richiamato il principio già stabilito, cioè che la grazia origi- nale sia stato un dono gratuito, con che Cristo abbia riparata l'umana natura, ed abbiala alla primiera dignità ritornata, ne segue, che per mezzo delle grazie medicinali siasi resa valida a vincere la ri- luttante concupiscenza, e ad osservare i precetti ; che per mezzo delle grazie soprannaturali sia illu- minato l'intelletto, eccitata la volontà dell'uomo a detestare i peccati e a disporsi ad acquistare la giu- stificazione e la grazia santificante. Posta poi l'ul- tima, ossia prossima disposizione, Iddio infonde la grazia santificante nell'anima, colla quale intera- mente distruggesi il peccato, e diviene in conseguen- za l'uomo grato a Dio, a lui amico, e acquista il diritto all'eterna beatitudine per l'adozione, che ri- ceve di figlio di Dio. E però l'uomo aiutato dalla grazia fa, come si è detto, le opere meritorie. Ma ben differente, come mostra il Perrone , anzi del tutto opposto è il sistema de' novatori del secolo XVI. Essi dal falso principio , che la grazia ossia la giustizia originale fosse parte es- senziale della natura, hanno dedotto dalla caduta dell'uomo paradisiaco^ che la umana natura è stata essenzialmente e sostanzialmente guastata e cor- rotta. Il peccato originale nella loro dottrina è una Praelect. Theologicae 53 qualità positiva^ anzi una certa cattiva sostanza ne- cessariamente inerente all'uomo caduto. Per questo peccato l'intelligenza e la volontà, anche come fa- coltà naturali , perdettero la loro attività, ne ad altro servono se non se a peccare. I peccati attuali non sono se non altrettante manifestazioni del pec- cato originale, che perpetuamente sussiste. E però in questo sistema è impossibile, che possa l'uomo disporsi alla giustificazione, la quale i novatori se- parano dalla grazia santificante, ossia dalla santi- ficazione, dipendendo secondo essi non la giustifi- cazione dalla santificazione, ma la santità dalla giu- stificazione. Inoltre in tale sistema sono impossi- bili le opere buone prima della giustificazione, che viene finalmente prodotta dalla fede indipenden- temente da qualsiasi cooperazione dell'uomo. Que- sta giustificazione, anzi tutta la santità, nella loro ipotesi è esteriore, e tutta consiste nella remis- sione, ossia assoluzione della pena dovuta ai pec- cati, siccome avviene nella giustificazione forense; Ja colpa poi, sia originale sia attuale, rimane an- che dopo il battesimo e la giustificazione. Infatti se il peccato originale, secondo essi , costituisce la parte essenziale della stessa natura corrotta, se i peccati attuali altro non sono che manifestazioni del peccato originale, è evidente, che ne quello ne questi possono togliersi per mezzo della giu- stificazione, o della grazia santificante, la quale se- condo i novatori è esteriore, e solamente fa si che Iddio non consideri queste colpe, come se fossero innanzi ai suoi occhi coperte, e in conseguenza non le imputi. Questa santità e giustizia non è propria deiruomo santificato, ma è la stessa santità e giusti- zia formale di Cristo appresa dall'uomo, ed è quella 54 Scienze che produce le buone opere come frutto e se^ gni di quesC appresa santità e giustizia di Dio, ov- vero di Cristo, nel tempo medesimo che coH'uma- na natura manifesta per mezzo degli attuali pec- cati la unita esistenza del peccato originale tut-^ torà sussistente. Tal è il mostruoso sistema de'pro-! testanti colla solita chiarezza daliVitore sviluppa- to ed esposto. Passa in fine a parlare di quelle opinioni, che sono libere e che vengono nelle scuole dibattute dai teologi. Queste sono, \.° se la grazia santificante sia una qualità fisica, o morale, creata o increata, se sia la stessa persona dello Spirito Santo che so- stanzialmente si comunichi all' anima del giusto e la vivifichi; 2." Se la grazia per modo di abito sia inerente all'anima del giusto, o più tosto sia la stessa grazia attuale che continuamente influisca nell'anima del giusto e la renda feconda; 3° Se questa grazia santificante sia distinta realmente dal- la virtù della carità; 4." Se oltre le virtìi teologiche s'infondano anche insieme alla grazia santificante gli abiti delle virtù morali, i quali consistono in una certa facilità e propensione a ben operare; 5.° Se le disposizioni, che si ricercano negli adulti a con- seguire la grazia santificante, abbiano una \era ra- gione di merito, almeno de congruo., e si possano con tal nome chiamare; Q.° Finalmente se per co-^ stituire e fare un atto salutare oltre la grazia san- tificante anche nelle cose più facili sia di mestieri la grazia attuale, perchè possa dirsi soprannaturale. Tutto ciò premette il Perrone in questo capo pre- liminare, di cui abbiamo dato una più distinta ana- lisi, poiché ne sembrava che l'importanza della ma- teria il richiedesse. Praelect. Theologicae 55 Nel II capo tratta della giustificazione dcirem- pio. È questo capo ripartito in tre articoli suddi- visi in varie proposizioni. Il primo articolo si oc- cupa dell'essenza, ossia natura della giustificazione, nel senso preso dai cattolici, e vengono dall' autore stabilite due proposizioni. La prima è che nella giustificazione dell'empio i peccati sono veramente rimessi e cancellati per intero; la seconda, come fu dal concilio tridentino definita, che gli empi non sono formalmente giustificati, o per la sola imputa- zione della giustizia di Cristo, o per la sola remis- sione de'peccati; ma son giustificati per la grazia e carità, la quale si diffonde ne'loro cuori per mez- zo dello Spirito Santo, ed è ad essi inerente: e che però la grazia, colla quale siamo giustificati, non è soltanto favore di Dio. Nell'articolo II prende ad esame le disposizioni alla giustificazione. Anche qui espone il Perrone pri- ma il sistema de'novatori, quindi quello de'cattolici colla scorta del concilio di Trento, e ne mostra la scambievole differenza; facendo vedere, I. che i no- vatori dal non ammettere alcuna attività nell'uomo prima della giustificazione e della rigenerazione in- feriscono, che non si richieda alcuna disposizione a conseguirla. I cattolici all'opposto dal riconoscere l'uomo caduto fox'nito di libero arbitrio deducono, che si ricercano alcune disposizioni, affinchè pre- venuto dalla grazia di Dio si disponga alla giusti- ficazione. II. Che nel sistema de'novatori la sola fe- de è quella che giustifica, ossia l'istromento con cui l'uomo apprende i meriti e la giustizia di Cristo; ma nella cattolica dottrina oltre la fede rlcercansi altre disposizioni, la speranza cioè, la contrizione ec. III. Che la fede, la quale nell'ipotesi degli avversa- 56 Scienze ri giustifica, è quella fiducia, colla quale l'uomo tie- ne per certo, che gli sia imputata la giustizia di Cristo, che gli sien perdonati i peccati, cioè la pena di essi, e che in Cristo sia riguardato da Dio, come innocente e santo, abbenchè in quanto alla colpa gli rimangano dentro tutti i peccati; ma nella dot- trina cattolica la fede, ch'è principio, fondamento, e radice di ogni giustificazione, consiste nel fermo assenso a tutte quelle cose, le quali divinamente son rivelate. Queste verità cattoliche sono appieno dimo- strate, e questi errori sono profondamente distrutti con due proposizioni, nella prima delle quali l'A. sostiene, che negli adulti per conseguir la giustifi- cazione, oltre la fede, ricercansi altre disposizioni, cioè che la sola fede non giustifica; e nella seconda, che la fede, la cpiale ricercasi per la giustificazione, non è la fiducia nelle divine promesse; ma un fer- mo assenso a tutte quelle cose che da Dio sono state rivelate. Per ultimo nel III articolo parlando delle pro- prietà della giitstìfìcazione , e battendo sempre i principi! dei novatori dimostra, I. che ninno senza una speciale rivelazione può esser certo con certez- za di fede della propria giustificazione, e che per conseguenza per fede non è tenuto a credere di es- ser giustificato. II. Che la ricevuta giustizia si con- serva e si aumenta innanzi a Dio per mezzo delle opere buone , e che però non è in tutti uguale. III. Che la giustificazione sì può perdere, e realmen- te col peccato mortale si perde. Le quali cattoli- che verità confutano i tre corollari, che secondo i novatori costituiscono le proprietà di quella giusti- ficazione che operò la fede, vale a dire, I. Che que- sta giustificazione è certa con certezza di fede, co- PrAELECT. TllEOLOGlCAE 57 sicché ognuno è tenuto a credere di esser caro e accetto a Dio per la giustizia imputativa di Cristo, o di Dio. II. Che cjaesta giustificazione è uguale in tutti, essendo la stessa giustizia di Cristo e di Dio appresa e imputala per mezzo della fede. III. Che questa giustificazione non «3 più ammissibile , se non si perda la stessa fede, come dicono i luterani poco coerenti fra loro, o assolutamente non ammis- sibile come dicono i riformati o i calvinisti. Più breve è la terza parte del trattato, in cui il Perrone parla del merito. Premette, secondo il suo solito, la dottrina cattolica, quindi espone quel- la de'novatori. Narrato il sistema de' luterani, de' calvinisti, de'zuingliani e delle altre sette in un ca- po preliminare, fa conoscere la dottrina cattolica, e le opinioni de'leologi intorno al merito separando dallo scolastico tutto quello cli'è di domma. Nel capo II dimostra l'esistenza del merito, e che i giusti per mezzo delle opere buone fatte colla grazia meritano la gloria eterna e l'aumento di lei. In seguito esamina le condizioni richieste per ot- tenere il merito, distinguendo il merito de congruo e de cojidigno; finalmente nel capo IV parla dell' oggetto del merito, con che pone fine a questo su- blimissimo trattato ch'è il settimo di tutta l'opera. Noi non sapremmo dire se più vi abbiamo ammi- rata la chiarezza, o l'ordine, o la vastità delle cogni- zioni. L'autore non ha omesso ninna delle piìi im- portanti quistioni, le ha tutte meravigliosamente in- sieme collegate, ha confutato tutte le obiezioni degli avversarii di qualunque genere esse sieno, e nelle copiose note ha sempre più addimostrato cjuanto sìa grande la sua erudizione. Per le quali cose som- ma lode ne torna al dotto professore, e chiunque 58 Scienze facciasi a legger questo trattato vede chiaramente sviluppato quello che riguarda la dottrina della chiesa intorno alla grazia, quello che appartiene al- le libere opinioni de'teologi, quello che dai prote- stanti e dagl'increduli con empietà è sostenuto. Ora dovremmo analizzare V altro più breve trattato de sacrainentis in genere, che nell'accenna- to volume si racchiude; ma essendoci alquanto diffu- si, per non tediare i cortesi lettori ne parleremo in appresso. Intanto abbiamo il contento dì vedere da tutti i più dotti e accreditati giornali, anche di oltre- monte, lodato questo corso, il quale omai volge al suo compimento per avere di gik il eh. autore pub- blicato anche il volume sesto: per cui due soli volu- mi mancano al total compimento dell'opera. F. Fabi Montani Storia anamnestica e necroscopica di un enorme tumor fibroso peritoneale^ distesa dal dottor Ca- millo Versari da Forlì , collaboratore ec. con alcune sue considerazioni e tavole litografiche. Forlì 1833. A rgomento ben consolante della sublimila delle mediche discipline, siccome il eh. sig. Versari sag- giamente riflette, somministrarono Tullio, Carte- sio, Quintiliano, e mille altri scrittori. In niun al- tra guisa, così l'arpinate si espresse, accostansi gli uomini agli dei, che col rendere agli altri uomini Storia anamnestica 59 la salute. Se capace ella è, disse il Descartes, la no- stra specie di perfezione, si vuole cercarne i mer^i nella medicina. Della sola medicina aver tutti bi- sogno, preavvertì sapientemente Quintiliano. Nel se- col nostro [)erò, in cui l'efficacia della facoltà ana- tomico-patologica è posta in bella pienissima luce pel tanto perfezionamento ottenutone dalla clinica medica e dalla chirurgia, liavvi di che più appagarsi sul conto della sublimità menzionata. Con tali ri- flessioni, che pur sono del N. A. medesimo, dob- biamo sapergli buon grado per il disegno, a cui venne eccitato da varii suoi amici e colleglli , di redigere cioè la interessantissima istoria di che pas- siamo ad occuparci. Maggior encomio per altro tri- butar gli si debbe e perchè col suo lavoro, sì sa- pientemente guidato, porge un nobile incoraggia- mento agli essenzialissimi studi dell'anatomia pa- tologica , ed ancor perchè con la illustrazione di certi astrusi morbi vantaggio reale pur ne ridonda alla umana famiglia, tanto pili che colgono nel ca- so nostro i medici „ un' occasione di ulteriori ri- „ cerche sulla parte diagnostica di quelle lente ed ,, oscure infermità, che passano distinte col comun „ nome di tumori interni „. In tre capitoli è diviso quest'opuscolo: il pri- mo dei quali è consacrato ad offrire la parte de- scrittiva o storia anamnestica del morbo, che troncò a Berenice Simoncelli in Forlì i giorni di vita , un breve compendio di cui fa d'uopo descrivere. - La florida salute di Berenice dopo l'anno quarto del suo matrimonio venne turbata nel 24." della età sua e per soppressione dei mensili ripurghi, e per infreddatura. Riordinato de'primi il corso , soggiacque di quando in quando a mite tosse or dì 60 Scienze apparenza nervosa, or catarrale, ma senza bisogno di ricorrere ai presidii dell'arte. Decorsi altri due lustri (nel 1822), perduta per patema di animo la tranquillità dello spirito, assalita venne da un dolore acuto-pungente all'inguine destro, dal quale dichiarava come da centro diffondersi all'arto su- periore ed inferiore di quel lato un senso di forte dolorosa tensione, e riuscirtene impossibile il mo- to. Sopportò tale stato per ben due ore col solo soccorso delle proprie forze morali e coU'altro della organica resistenza; ma rinnovatisi dopo breve calma gli stessi sintomi coll'associazione di ardentissima febbre , implorar dovette gli aiuti dell' arte. Gol mezzo di severa dieta, di metodo curativo antiflo- gistico, e di emollienti e risolventi empiastri, potè dopo 18 giorni abbandonare il letto, e tenersi per tre mesi risanata; quantunque alcun cenno sotto la locomozione risentisse del sofferto dolore. Incorsa in recidiva, molto profitto trasse dall'uso dell'olio di semi di ricini, dai clisteri di assafetida, e dai cataplasmi di cicuta all'inguine ed all'addome. Ai sintomi della prima invasione si aggiunse, nell'altra recidiva avvenuta nel dicembre dello stesso anno, una chiara gonfiezza di tutto l'addome, che fece dai medici concepire la diagnosi di ascile. Niun van- taggio si ottenne dalle pillole purgative, ne dal sanguisugio, e ne segui in vece per tre lune il nocumento del difetto dei suoi tributi. Malgrado di tutti que'mezzi e di altri moltissimi, le andò quella tumefazione a poco a poco crescendo fino a giungere a straordinario mostruso volume. « Sarebbe a me (scrive il Versari), se non impos- « sibile, assai malagevole, e forse ad altrui troppo « lungo e noioso, il toccare di tutti gli argomenti Storia, anamnestica 61 « terapeutici ragionevoli, irragionevoli e strani, che a le vennero dappoi consigliati o le piacque spe- « rimentare: tanti essi furono, si vagamente com- « misti, da'piìi volgari concepiti e prescritti, per « la falsa speranza del guarire non infrequente- « mente e a capriccio rimescolati, senza indicazione « ripetuti, e varii e variabili per ogni sua ed al- ft trui bizzarra fantasia ». E qui saviamente ne av- verte il N. A. ad assumere per modello della me- dica semplicità i tanti ed antichi e moderni scrit- tori medici della nostra Italia, dei quali tiene ono- rata ricordanza, proclamando e contro la polifar- maca materia medica, e contro l'artificiosa cerre- taneria, e contro la soverchia ed ignobile altrui cre- dulità. Poiché ad ogni modo è sempre, e molto più in quei mali, desiderabile l'aurea semplicità e la sevf-ra terapeutica continenza, le quali tanto colle leggi naturali consuonano, e per savia diretta op- posizione alle speciali cagioni giovano a diminuire gli effetti morbosi. Non istaremo qui a far motto delle ragione- voli, delle inconvenienti, ne delle irragionevoli so- stanze dalla inferma usate, e delle quali pur ci of- fre il sig. Versari un breve cenno: da che ci li- mitiamo a dire, che frustranee tutte più o meno tornarono, ed alcune di esse ancor nocive, mentre vieppiù intumidiva il ventre, ed a gradi a gradi pervenne a sterminato maraviglioso volume. Onde per altro apparisca meglio delineato il racconto isto- rico di cotale infermità, impronteremo le istesse parole del N. A. che ci trascrive i risultati delle osservazioni nella prima sua visita fatta alla Simon- celli nel 29 di maggio 1837 in compagnia del fisico curante. 62 Scienze « Dimostrava un animo pacatissimo, movcvasi « lungo la camera a pian terreno, e il suo lento « passeggiarla non le era aftannoso. Ci dichiarò, che a dopo il 1823 sentia spesso maggiore l'individuale « temperatura, e che cuando d'allora in poi si co- « ricava le occorrevano due cuscini: che così potea « giacere supina e oppostamente, volgersi e decom- « bere anche sui lati con poca o ninna pena- Rac- « cogliemmo come nel 1828 avesse dissenteria, come « nell'aprile del 183T lieve bronchite, e ne guarisse « prontamente con bibite astringenti la prima, con « un salasso e con lambitivi la seconda. Le si sop- « presserò allora le orine, ma la scilla ne promosse « allora la secrezione, e le rese anche per la quan- « tita fisiologiche. Raccogliemmo che non avea mai « ne sperduto, ne partorito, ne riportato alcun urto « od altra traumatica condizione al ventre, nem- « meno per istringitura d'imbusto; che non avea « sofferto di scrofola, di reumi, di dermatosi, di « leucoree, ne di mali venerei. Sapemmo pure es- « sere stato bastevolmente sano l'esercizio delle sue « funzioni, durati i mestrui sino al 46° anno, non « esserle mai riuscita incomoda l'iniezione de'cli- « teri, ne qualunque benché improprio nutrimento « e irregolarità di vitto averle nociuto; andare essa « fin dagli ultimi anni soggetta a'tugori dell'emor- « roidi, e che quando si aprivano provava un certo « sollievo fisico e all'animo alacrità, vantaggi che « non le avevano mai apportato certe perdite d'icore « saniose che a quando a quando, e massime nel « 1834, le era più o meno copiosamente gemuto da « vescichette all'addome, e a preferenza alla parte « destra inferiore .... Ci disse non tornarle grave « il peso del ventre quando sedea, raccomandan- Storia anamnestica 63 « clone allora il sostegno alle cosce. Per contra- « rio allorché camminava alcun poco, e quando « coH'aiuto (li una panchetta saliva in sul letto, ta- ce lora lo sentia incomodo, tal' altra gravissimo ». Poggiò indi la Berenice l'immenso prodigioso ven- tre con ambe le mani su un tavolino, che ne ri- mase in gran parte coperto. Seduta dappoi, permise; che dal ventre medesimo si prendessero le dimen- sioni addominali, le quali nella misura di piedi pa- rigini passiamo a descrivere. Dalla cartilagine en- siforme alla parte anteriore e media del ventre fino al pube ascese la linea a due piedi, undici pollici e quattro linee: dalla base dell'osso sacro la linea di circonferenza fu di piedi (jinque, pollici quattro e linee sette: dalla base dell'osso sacro all'anteriore ed inferiore del tumore in linea di circonferenza si ebbero cinque piedi, otto pollici, e sette linee. Invano cercossi in quella gran massa l'ombelico; ve n'era una sola traccia all'apice del tumore. Fi- siologica era la temperatura dei tegumenti, ineguale la superficie di essi in tutto l'addome, che in vari luoghi bernoccoluto, in alcuni punti molto resistente si rinvenne. Lievissimo senso di ondulazione si per- cepì alla iliaca destra regione. Piriforme era la mas- sa, colla base in allo e l'apice in basso, ed esso cos- perso di piccole escoriazioni e pustolette scarsamen- te gementi l'indicato icore: subgialla appariva la cute addominale; magra tutta la persona , e pre- cipuamente le gambe. Niun dolore si avvertì sotto la percussione, e le blande pressioni, siccome ne pulsazione nel ventre, ne remore, ne irregolarità alcuna per le sfigmiche esplorazioni. Nella mediocrità quindi di generale salute e nel solito suo buon umore si mantenne la Simon- 64 Scienze celli insino al 21 marzo del corrente anno 1838, cinquantesimo della età sua. Fu colta in quel dì da interno repentino terrore, da freddo universale, da smaniosa dispnea: temè la morte vicina, che fu pur dal medico pronosticata pei sussulti dei tendini, per la bassezza dei polsi, pel quasi ippocratico as- petto, per la cronicità, pel volume del tumore, e per le sue vaste ragguardevoli compressioni. Soprag- giunse la febbre con inclinazione al sopore, e nel dì seguente chiuse gli occhi al sonno della morte. La precedevano smanie, prurito vano di evacuar fecce ed orina, dispnea maggiore, sete inestinguibi- le: la indussero perturbamenti del circolo sangui- gno, agitazione efferata, e forti convulsioni. L'andamento e termine di un caso morboso co- sì straordinario doveva naturalmente risvegliare l'impegno e la dotta curiosità de'medici, chirurghi, e flebotomi, che tutti in buon numero concorrea- no a quella camera mortuaria per indagarne le ne- croscopiche risultanze; ed eccitar dovea pur anco varii cittadini, sebbea estranei alle mediche scien- ze, ad assistere, siccome fecero, alla cadaverica dis- sezione. Nulla di preternaturale si riscontrò nella superficie del cadavere, all'infuori della sterminata piriforme mole del ventre e dei suoi propri este- riori caratteri presso a poco eguali alla descrizio- ne superiormente accennata. Pur nuova misura del- le dimensioni addominali non venne trascurata; la linea presa dalla cartilagine ensiforme al pube fa di tre piedi parigini e sette linee: la linea da un cenno di cicatrice supposta ombelicale alla stessa cartilagine mucronata fu di due piedi parigini, tre pollici, e sei linee: la linea tirata da una cresta all' altra degl'ilei fu di tre piedi parigini, undici poi- Storia anamnestica 65 liei, e sei linee: la retta trasversale, a misurare la grossezza del tumore da destra a sinistra, fu di un piede parigino, nove pollici, e otto linee: l'altezza addominale del cadavere orizzontalmente disteso giunse ad un piede parigino, quattro pollici, e sei linee. Percosso il ventre , non fece percepire alla mano alcuna sensibile ondulazione. In sequela delle prime incisioni si videro le pareti addominali sottili alquanto nella regione epi- gastrica, ma quindi ingrossandosi vieppiìi si rin- vennero neir infima regione ombelicale all'altezza pervenute di quattro dita trasverse, e presso al pu- be alla considerevolissima di otto. Confuso era in esse il peritoneo, congiunte al tumore, e distrai- bili per membrane cellulose; davan passaggio a mol- ti rami sanguigni, i maggiori dei quali prima di penetrare la sostanza del tumore presentarono il ca- libro di una grossa penna da scrivere: superò il peso di trentotto libbre mediche il volume di esse pareti dall'addome distaccate. Saliva il tumore dalla piccola pelvi fino al disotto delle ultime coste spu- rie, che avea di moltissimo divaricate. Lo rico- privano in alto il margine inferiore del fegato non poco assottiglialo, a sinistra il colon discendente, in mezzo e all'insìi il colon trasverso. In virtìi di bianche adesioni piìi o men tenaci era connesso cogl'intesfini tenui e crassi, e per piccole e brevi col bordo inferiore del fegato e dell'omento. Rac- comandato il tumore con funi ad una stadera, fu ripetutamente conosciuto il peso di lui ascendere oltre alle cinquantadue libbre mediche. Nel volume, nella forma potea paragonarsi ad una gran zucca fra quelle inclinanti alla figura di mela. Inodoro egli era, elastico, di colore tra il bianco ed il per- G. A. T. LXXVII. 5 66 Scienze lato, alquanto molle alla esterna periferia. Il ta- glio longitudinale ne manifestò la tessitura fibrosa, che soltanto poco prima erasi sospettata. ,, Con- „ solidavasi quella fibrosa compage verso il centro, „ e quivi offeriva varia distribuzione di fibre , e „ qua e Va. parecclii pezzetti cartilaginei ed ossei „ di forma irregolare. Serpeggiavano molti vasi „ per tutta la interna sostanza di quell' insigne „ tumore, e a maggior numero e più grossi verso „ il centro e la faccia posteriore. Ci fu facile di- „ stinguerli in vene e in arterie. In alcuni rami „ venosi vedemmo piccole polipose concrezioni. Rag- „ guagliammo il lume de'maggiori arteriosi a quel- „ lo dell'iliaca secondaria, e de'venosi piìi grandi „ all'altro della giugulare esterna,,. Si rinvennero in alto sospinti l'eplpleon, gì' intestini, il fegato, e lo stomaco; le intestina erano anche spinte in addietro contro la colonna verte- brale, pigiate per la mole sovrapposta. Assai in- grossato appariva l'epipleon, e connesso alla volta sinistra del diaframma, a cui aderiva pure il fegato. Erano in fisiologica condizione il pancreas, la milza, i reni, e le ovaia. La matrice, indurita in lutto il suo parenchima, conteneva sotto la propria esterna membrana o la peritoneale tre duri tumoretti pur essi fibrosi, senza cavita posti a sinistra, e con- nessi all'utero per sottilissime fibre cellulari a fog- gia di peduncoletto. Maggior di essi era la soli- dità verso la tuba, si che l'ultimo avea un'ossea consistenza. Questo ed il maggiore era grande come una buona castagna, del qual frutto anche gli al- tri ne rappresentavano la forma. L'altezza del petto era di soli sei pollici, e dieci linee (misura pa- rigina): sani erano i visceri nella cassa toracica con- tenuti, ma costretti e compressi dal basso all'alto. Storia, anamnestica 67" Ingenuamente confessa il N. x\., che per al- cune anche giuste cagioni si trascurò ulterior esat- tezza nelle necroscopiche esplorazioni: cosicché se ben preveduta si fosse l'indole del tumore, richie- devasi altro processo di sezione, e coll'aiuto delle iniezioni aver preparata la via alla chiara intelli- genza della genesi del tumore, della origine dei suoi vasi, della loro distribuzione per entro la so- stanza di quella gran massa fibrosa. Non tanto per adempiere alla fatale accennata ommissione, quanto per adempiere all'altra mira dell' analisi chimica (già da esso lui proposta durante la sezione di quel- la gran massa) si accinse ad istituirvi nuove in- dagini tosto che ne potè ottener la disumazione nel 84° giorno dopo il sotterramento. L'idea della fa- coltà dei tumori fibrosi di serbarsi incorrotti an- che per maggior tempo, non venne sanzionata dal fatto, non tanto percliè inoltrata di molto si fosse la primavera, quanto perchè su quel turno erasi posta sotterra altra cassa contenente cadavere, da cui erano fluite verso quegli avanzi materie jliquide di putrefazione. Ciò non ostante si trovò alquanto conservato il tumore a fibre tuttor resistenti, a co- lore cinereo qua e la piìi o men fosco; bene di- stinguibili ancora i vasi, le ossee concrezioni rav- vicinate, bianchicce, qutisì natanti in un fluido cu- po: le maggiori, dopo essere state per la macera- zione monde dal tessuto cellulo-fibroso che ancor le copriva, pesarono dieci e dodici grani. Compiuta per tal modo l'anatomico-patologica descrizione, s'impegna il N. A. nel 3.'^ capitolo assai istruttivo in ispargere varie e dotte considerazioni. Trova egli conveniente il dare al caso, di cui trat- tasi, il generico nome di tumore, in virtìi anche del- 68 Scienze la odierna concorde definizione, che il fa consistere in uà morboso sviluppo di parti estranee agli or- gani, nei quali avviene la produzione. Fa quindi conseguitare otto dimande, tutte attinte dal fatto. Consiste la prima di esse in ricercare « con quali » potea il tumor delia Simoncelli andare confuso? n Esamina a tal uopo le vaghe conosciute classifica- zioni poggiate sulla diversa qualità dei liquidi rac- chiusi nei tumori, quelle stabilite sui caratteri de- dotti dalla forma, dal colore, dalla temperatura, dalla varia superficie, dalla consistenza, dalla dura- ta, e dalla loro mobilità od immobilità; i'ammenta ancor le altre avutesi in pregio, e preferisce tener dietro alla classificazione datane da Abernetliy, co- me quella che mira precipuamente ai caratteri del- la organica composizione de'tumori. Procede perciò ad investigare, se confonder si possa co' sarcomi adiposi, coi pancreatici, mastoidei, tubercolari, mi- dollari, o cogli scirrosi, e con ninna di tali specie ne rinviene la consonanza: mancano infatti, per ri- ferirli ad alcuna di esse ricordate dall'inglese clas- sificatore, i propri e respettivi caratteri. Così, a n)o- do di esempio, per difetto di quei criterii, che il sarcoma adiposo distinguono, non poteva fiìrsi a questi appartenere, tanto più che le caratteristiche fisfuravano di fibrosa tessitura : la varia descritta compage vi si opponeva, la cartilaginea ed ossea de- generazione, la mole, il peso, e l'associazione dei tre fibrosi tumoretti uterini. Così per la deficiente ana- logia di caratteri non potendo ad alcune delle com- memorate specie di Abernethy ridursi, con tal cri- terio di patologica eliminazione si credette giusta- mente dal N. A. fluirne la necessità di definirlo tu- more fibroso. A sostegno anzi dell'asserto con som- Storia anamnkstica 69" ma validità di prove in antitesi agli scirri, co'qua- li pur confondevansi i tumori fibrosi, contrappone esser questi ultimi generalmente indolenti, possì- bili in tutta l'economia, di omogenea natura, ana- loga a quella dei tendini o dei legamenti delle ar- ticolazioni, di forma generalmente rotonda, solo in cartilagine ed in ossea sostanza degenerabili. « E « quest'ultimo (egli soggiugne) un carattere dei tu- « mori aflfatto fibrosi , di quelli ancora nei quali « predomina una tale composizione elementare; è « però tardo carattere, posciacbè lo guadagnano nel « corso di alcuni mesi, e talora di anni ». 1 tumori fibrosi in oltre quasi mai, o rarissime volte, attacca- no gli organi su quali crebbero, e da cui ricevono i vasi di nutrizione: delle qu.ili caratteristiche, e di altre che pur ci viene enumerando, trae argo- mento di conforto nelle autorità di Andrai , di Sprengel, e di Depuytren per dichiarare fuori di controversia stabilita la natura fibrosa del tumore in quistione. E qui ben merita di essere pienamen- te applaudita la ingenua confessione del N. A. sul non essersi da veruno raggiunta la diagnosi di co- lai morbo; ed a beneficio unico della umanità tor- na utilissima l'avvertenza di conoscere la maravi- glia di un tal caso pratico, aifin di evitare un consi- mile erramento in cos'i ddlicile forma morbosa. Del- la quale ingenuità, ch'è dote propriamente medica, esempio luminoso ci lasciarono alcuni sommi, tra' quali basti col sig. Versari indicare Ippocrate e Galeno. Ma (t quali furono (tal'è il subietto della secon- « da ricerca) i diversi giudizi diagnostici pronun- « ciati durante il periodo di una tale infermità? « Che polca renderli pili o meno improbabili.'' Qua- 70 Scienze « li circostanze si ommisero per istituirne il più « retto » ? Possono le pronunciate diagnosi ridursi a quelle di ascile, di fisconia, di cisti ovaria niolti- loculare; i c|uali concepimenti, per ragionevoli o ve- rosimili die fossero, pur non vennero dalla sezione cadaverica fiancheggiate. Al giudizio di rtuei pochi, che per Tascite inclinarono, opponeva il N. A. la sua rarità di tanta distensione delle pareti addo- minali, la mancanza della sete, della chiara ondu- lazione in ogni epoca della malattia, la brevità e guarigione dell'edema, la piriforme figura del tu- more, e vai'ii degli altri suoi estranei caratteri. Eran di ostacolo a ritener per ascile il morbo, il durare dopo vari anni abbastanza fisiologico l'esercizio del- le sue funzioni, il corso non tanto lungo ne si tol- lerabile dell'ascile protratta senza paracentesi, il non limitarsi al solo inzuppamento del ventre, l'u- rosi quasi mai non disordinata nella sua secrezione e nel prodotto, e mille altre contrarie riflessioni. In- verisimigliante pur tornava la diagnosi di fisconìa, la quale ne si calma ne s'i lentamente avrebbe pro- ceduto, e tantopiìi se costituita fosse da profonde strumentali e morbose tumefazioni dei visceri ed organi addominali; ne a si enorme grandezza sem- brava poter essere mai giunta; ne agevole si era il concepirla vigente in mezzo alle generali condi- zioni di sudiciente salute, senza la comparsa di feb- bre lenta vespertina, senza la condizione di polsi ventrali od irregolari, senza sofFerimento di tutti, o di pravo sapore alla bocca, o di dolori o altre penose sensazioni dopo l'ingestione di cibi malsani, o dopo la non rara sregolatezza nell'usa Errato pur anelò il giudizio del N. A. per la ovaritc (coforitide di alcuni ncotcrici), che rilene- Storia anamnestica 71 va egli quindi passata in esito di moltiloculare idro- pisia. E di tal giudizio, che come di piìi retto aveva le sembianze , molte riflessioni e sodi raziocini ne agglugne per fiancheggiarlo. Ostacolo alla concepi- ta diagnosi poteva in sulle prime inspirare il rin- venirsi l'apparato fenomenologico aWicomo destro, siccome inclinava il Morgagni. Ma per quello ne dice il medesimo grande osservatore, per i fatti an- cora dal medesimo Versari osservati, per quelli all' uomo destro descritti da Brehm, da Gio. Targioni Tozzetti, da Dance e da Sacchi, non era irragione- vole del N. A. il sospetto. Ad avvalorarlo concor- revano i criterli desunti dalla età, dal tempera- mento, dal disordini della mestruazione, dai pate- mi, dalla sterilità, dalla posizione verticale dell'ad- dome per la industria dello stirare, dalla vita or se- dentaria per la professione di cucitrice, ora atti- vissima pel grande trasporto alla danza, e dalla lie- ve ondulazione dal N. A. avvertita nella iliaca de- stra regione. Or dal valore di questi e di altri cri- terli ed idee fiancheggialo il N. A. s'impegnò in dis- .suadere la paracenlesi pel danno in moltissimi casi conseguitatone e da altri riferito, non che per la moltilocularilà da essolui ritenuta per il peso delle seguenti ragioni. Generalissima si è cotale circostan- za nelle idropl ovarie; l'oscuro senso ondulatorio gl'imprimeva vigore; e tanto più parve al N. A. di- chiararsi dell'accennata idea fermissimo sostenitore, perchè niuna migliore, o meno manchevole se ne potè in mezzo a serie meditazioni sul morbo con- cepirne, ne altra sostituirne che di valor l'adeguas- se. E niuno d'altronde fra i molti consumati prati- ci ed illustri professori ebbe giammai o dubbio, o suspicione semplice di fibroso tumore. Sarebbcsi 72 Scienze forse del N. A. la diagnosi infirmata pel valor di al- tri criteri!: che lo stesso sig. Versar! non dissimula in oggi, che la osservazione intera del fatto è suben- trata alle preconcepite idee, come alcuni negativi criterii egli stesso ne accenna. Potrebbero fra que- sti annoverarsi la inutilità delle frequenti erisipe- lacee infiammazioni, delle ulcerette, e delle escoria- zioni dalla defunta sofferte, e piìi ancora il non es- serle mai scemalo il ventre per 1' icoroso gemitìo; cose tutte che nei tumori acquosi addominali val- sero pili o meno o a temperarne le sempre gravi condizioni del generale risentimento, o a diminuir- ne la durezza ed il volume. Escludere altresì ne potevano il giudizio e la impossibilita ad isolare il tumore, la estensione di lui a tutto il ventre, la tranquillità della inferma, il difetto di ricorrenti ingorghi infiammatorii all'utero ed agli organi adia- centi dopo le prime recidive, il non aver la mede- sima sofferto ma! dì coliche, e varie altre riflessio- ni ancora. Ma tanto è difficile la medicina! E quan- te difficolta pur non incontra nella diagnosi degli esterni tumori la stessa chirurgia! Minor maravi- glia per altro ha luogo nell'attual caso, che forse può ben dirsi meramente unico. Giustissimo dopo tale disamina discende il de- siderio di conoscere « quali saranno i criteri! va- « levoli alla diagnosi de'tumori fibrosi interni ad- « dominali : » il che forma il subietto della III di- manda. Quantunque però difficile, o presso che im- possibile riesca 1' esibirne adequata risposta, pur non tornano inopportuni alcuni dati di fonte dia- gnostico dal N. A. raccolti. Propone egli così quali fenomeni precursori i ringorghi sanguigni e le flo- gosi degli epiplosa, del mesenterio, del peritoneo Storia anamnestica 73 ec, come cause cioè disponenti alle diverse parti i materiali chimici, ed i vasi per il vegetativo pro- cesso che gli stessi tumori costituisce. L'età pur an- co, che secondo Dupuytren è più frequentemente tra i 35 e i 48 anni, entra fra i fenomeni precur- sori, non che la sterilita, al dir di Bayle, il tempe- ramento sanguigno più che il linfatico, siccome il sig. Versari ritiene, l'emorragie o abituali o le men- sili fisiologiche soppresse, egualmente che i disor- dini di queste. Sono ad annoverarsi fra le occasio- nali cagioni le topiche traumatiche, o le generali valevoli per contraccolpo, per concussioni ad in- gorgare gli organi addominali. Surto così il sospet- to, l'esplorazione col tatto dark gran lume, assai più che la mediata o immediata ascoltazione, spe- cialmente se con tutte le mediche regole eseguita e ripetuta. L'indolenza quindi del tumore, la for- ma rotonda, la mobilita o non difficile mobilità di esso, qualche segno di elasticità offrono la convin- zione della natura fibrosa di lui; tanto più ove per- vertite lievemente, o non turbate fossero le funzio- ni, ove pacato si fosse l'animo dell'infermo, ne ra- gioni si palesassero per ammettere di altre morbo- sità l'esistenza. Ma « fatta la diagnosi di tumor fibroso addo- « minale o peritoneale, e confermata poi pe' con- « sulti di abili medici e di abili chirurghi, si dee « passare ad alcuna cura interna, ad alcuna ope- « razione? » Ciò è quanto si propone il N. A. di- scutere nella IV dimanda. Con sopraffino criterio per altro ragionevolmente sostiene, essere anche nel primo periodo impossibile la cura terapeutica ra- dicale. Sono infatti già allora formati nuovi vasi, disposti i materiali alla vegetazione ed all'accresci-' 74 Scienze mento, quindi in attività gli organi prossimi alla radice de'tnmori, ed in circolo i fluidi per un pro- cesso produttivo. Proseguendo quest'ultimo, ne s\e- guono adesioni, per esse si sviluppano nuovi vasi, scorrono nuovi fluidi, sicché que'tumori acquista- no ulteriori mezzi di nutrizione, e vanno benché lentamente crescendo di mole. E come vano sarebbe lo sperare la dissipazione di parti normali, altret- tanto lo e per queste innormali subordinate ai pro- cessi ed alle leggi di una quasi identica vegetazione. Palliativi vantaggi al pili si potranno conseguire dagli aperitivi, diuretici, dissolventi ec. ec, ma non già un mezzo di cura risolvente quelle patologiche condizioni. All' uso conviene circoscriversi delle adatte regole igieniche, delle antiflogistiche bevan- de, dei tenui alimenti, ed in massima parte vege- tabili. La pratica di qualche sanguigna moderata deplezione sarà pur utile, e principalmente nella età critica delle donne, o se vi abbia pleura o sop- pressione di emorragie abituali o fisiologiche; ed è in tali casi abbastanza proficua la medicina, se perviene ad ottenere di mantenere la infermità in una stazionaria condizione conciliabile con una suf- ficiente mediocrità della vita. JNon è però precisa- mente lo stesso dei chirurgici presidii. Può ben tal- volta avvenire, che praticabile ne sia la estirpazio- ne, e quando si riuniscano valide ragioni per cre- dere que'tumori picciuoiati, liberi, unici, a medio- cre volume, e s' incontrino in individui di media età, e buona costituzione, sani nel resto e coraggio- si. Ne mostrò piìi fiale l'utilitìi, il fatto; ne convin- ce la ragione, purché coU'indugio non isfugga la op- portunità di agire. Ma nel caso in quistione, sic- come con perspicacia somma concliiude il N. A. , Storia, anamnestica. 75 e per le avvertenze discorse, e per l'antichità del morbo, e pei caratteri fisici, anatomici e patologici raccolti dalla necroscopia « l'operare sarebbe stato « con certezza di pericolo ». La intelligenza dei mezzi, che la natura adope- ra in simili patologiche produzioni indusse il N. A. a ricercare nella l^ dimanda « qual'è la genesi più a probabile dei tumori fibrosi » ; ed a tal effetto rammentando un fatto osservato da Hunter, ed al- cune riflessioni di Abernelhy, altre proprie ne ag- giugne per tentar di adombrare cotesto lavorìo pa- tologico. Nel caso di Hunter può hen. dirsi quasi sorpresa la natura sull'atto della genesi di simili tumori: vide egli il peritoneo cosperso da piccola quantità di sangue recentemente coagulato, ne di- stinse la connessione colla superficie interna peri- toneale per un collo lungo mezzo pollice, e certa- mente formatosi innanzi che il grumo avesse per- duto il color rosso. Or egli è conosciuto per anato- miche dimostrazioni, che il menzionato collo o pe- duncolo risulta di arterie, di vene, di linfatici, di cellulare tessuto, e forse anche di alcun filetto ner- voso. Prolungaronsi nel caso di Hunter dal peri- toneo, e necessariamente per un'accresciuta attività dei capillari di questa membrana, e quindi è d'uo- po ammettere in essa preceduto un ingorgo o un processo flogistico; ingorgo e processo evidentissimi in molti tumori erettili, ed in moltissimi altri mor- bosi eventi. Da queste ed altre istruttive premesse discende il N. A. alla deduzione trattane dall'Aber- nethy, cioè che se fosse in quell'uomo durata la vi- ta, i vasi corrispondenti al picciuolo avrebbero a poco a poco dato passaggio ad una maggiore massa sanguigna. Gompenetratone quel collo sottile e per 76 Scienze la molta influenza vivificante e riproduttiva del san- gue arterioso, ne sarebbe nata l'organizzazione di quel grumo, e quindi ben di leggeri conseguita l'e- sistenza di un corpo vivente, forse di un tumore fi- broso, il quale poi col ministerio del tempo, e più per la prevalenza de'vasi arteriosi, giugner poteva ad una indefinibile grandezza; propria essendo del- le arterie principalmente l'attività della vegetazio- ne morbosa e del processo flogistico. Con la scorta quindi di vari esempi e di vari convincenti razio- cini mostra il N. A. convalidata l'attivitk delle ar- terie nel processo flogistico, e dedotta la precipua loro influenza nelle morbose vegetazioni e quin- di nei tumori che ne dipendono. Alle grandi ar- terie perciò del tumore della Simoncelli riferisce earli la nutrizione ed il tanto straordinario suo ac- crescimento, siccome ne riferisce la genesi al pro- cesso dilucidato dal fatto di Hunter, e dalle rifles- sioni di Abernethy e proprie. Altra inchiesta in VI luogo si propone il N. A. nell'indagare « ov'ebbe principio il tumore della « Simoncelli ». Con molla sapienza si occupa egli in risolvere anche questo diflìcile problema: risale alle cagioni disponenti ed alle occasionali, e ne di- mostra la concordanza con l'apparato fenomenologi- co del morbo. Applicando dappoi con ubertosa eru- dizione le dottrine e le osservazioni di tanti erudi- ti uomini, tien dietro all'incremento successivo del tumore, e va tracciando plausibilmente il modo con che si eff'ettuò quell'organico patologico lavorio, spie- gandone i caratteri e dilucidandone i vìgenti sinto- mi. Impiega altresì ogni cura per arricchire la sua istoria, con rammentare quanti altri fatti ed in li- nea di omogeneo confronto, ed in linea di peso di Storia anamnestica 77 liquidi tumori, presentino le mediche osservazioni conosciute e registrate da altri. Non rinviene per altro presso la ben numerosa serie di opere per essolui appositamente consultate alcuna istorica nar- razione, che rapporto abbia di simiglianza col tu- mor della Berenice, che l'unico può ben dirsi di peso e di volume, e fra i fibrosi principalmente ammirabile. Ma « come poterono placidamente Je addomi- « nali pareti ed il peritoneo soggiacere a tanta di- « stensione, e resistere a tanto peso? » Una men dubbia intelligenza di tale avvenimento ci offre il sig. Versari in questa VII dimanda. Non può ne- garsi, che quella prodigiosa distensione avesse luo- go e pel graduato accrescimento del tumore, e per la già contemplata ipertrofia delle pareti addomi- nali. Ne toglie il N. A. per materia di una spe- cie di canfronto il piccol viscere della matrice, che all'epoca d'inoltrata pregnezza giugne a notevole di- latazione non solo, ma ad ingrossamento pur anco del proprio parenchima. L' accresciuto circolo, lo sviluppo maggiore dei propri vasi ce ne rendono la ragione: ed a tanto peso, maggiore di quello del suo corpo, regger potè la nostra donna e pel len- tissimo accrescimento, e per l'abitudine, e per l'am- mirabile forza della natura, e per la nota e gran- de resistenza muscolare e delle aponevrosi. Non essendo però per se stessa dinamica e ma- ligna l'indole de'tumori fibrosi, ne siegue che non potrebbe alla qualità del tumore ascriversi il tra- gico fine della Simoncelli. E dunque « donde la mor- te? » Scopo egli è questo della ottava dimanda, cui il N. A. risponde con riferirla alla quantità del tu- more, e quindi alle sue impressioni fisiche e mec- 78 Scienze caniche, accennando di queste e di quelle i pato- logici effetti , e fiicendone al discusso caso la piìi felice applicazione fianclieggiata dal giudizio consi- mile formato da alcuni scrittori nelle altre isteri- co-patologiche narrazioni. Sussieguono cinque helle tavole litografiche, la prima delle quali rappresenta la Simoncelli seden- te e vestita: la seconda dimostra la medesima a ven- tre discoperto, onde conoscersi le superiormente de- scritte linee di dimensioni: nella terza si scorge la ficfura del cadavere con linee designanti le misure già riferite: offre la quarta lo slato dei visceri do- po l'estra/iione del tumore: si rappresentano nell* ultima l'enorme tumore fibroso, il maggior vase ar- terioso dell'istesso tumore, i tre tumoretti fibrosi uterini, ed il fascetto pili chiaramente fibroso del tumore. La fin qui compendiata istoria dell' ili. sig. Versari non si può leggere senza il piìi vivo inte- resse, e senza un sincero tributo di lode al medesi- mo, cosi per il fatto straordinario che ne forma il subietto, come per la scelta erudizione, per il ra- gionare persuasivo, e per le molte istruttive rifles- sioni, che vi formano un bell'ornamento. Più oltre non ci diffondiamo su tal proposito, meglio avvi- sando rimetterci al prestante sig. prof. Valori pe suoi distinti meriti nella nostra Roma ben cono- sciuto. Egli, come professore di sanila della sacra consulta, venne da S. E. Rrha monsignor Governa- tore di Roma incaricato di emetterne un voto, sic- come fece sotto il dì 10 maggio p. p. In esso non ebbe difficoltà di asserire, che la discussa malattia sia uno di quei casi da doversi non solo riguar- dare straordinario, ma da potersi anche dire sin- Storia, anamnestica 79 golarissimo nel suo genere. Il savio di lui pare- re è pienamente uniforme ai dettati del N. A. sul- la origine, sulla genesi, sulla ragione dell' anda- mento del tumore, e sulla ragione della morte che alla paziente sopraggiunse. « E che questo tumore « addominale ( così prosieguo il sig. Valori ) per « l'estensione che occupava, per la mole a cui era « pervenuto, per il peso a che si vide ridotto, deb- « ba reputarsi straordinario, rarissimo non solo, « ma forse unico fra le specie dell'ipersarcosi, ce « lo dimostra non solo la natura di tal malattia, « ma sempre piìi lo prova l'ammirazione dei pro- « fossori dell'arte, che la reputarono come un fe- « nomeno di clinica curiosità: ce lo conferma un « numero significante di autori, che di queste in- « fermila trattando non giungono, per quanto è a « mia cognizione, a presentare alcun caso che l'av- « vicini, riern. Smetio nelle sue miscellanee ripor- « ta: Tumor cunicatus enormis^ materies, cjualis est « cerebri^ repletus^ qui totam abdomen replevit : « lib. IV. Bernardo Cornar nelle dissertazioni re- « fert de tumore insigni in abdomine per 25 annos « gestato, quem prò sarcomate habet uteri. Questi « mentre ci fan conoscere di aver rinvenuto vasti « tumori addominali, non ci parlano punto delle « misure del loro volume, ne dei termini a cui era- « no ridotti : per la qual cosa è da persuadersi , « che gl'individui, di cui fanno parola, non fosse- « ro periti di tal malattia, e che perciò tali tumo- « ri fossero ben lontani dì esser pervenuti all'enor- « me peso di centocinquanta libbre. In tal guisa « con generiche parole accenna Nicol PFillis uno t straordinario tumore addominale, sebbene Haller « colla solita sua precisione riferisca: De tumore 80 Scienze « adiposo 18 librarum in mulieris mesenterio: e « non dissimile Teodoro Huser parla di un allro « in abdomine enorme 23 librarum steatoma^ come « ancora di un sarcoma in mesenterio^ quod inte- « stina comprimebat. E qui è d'uopo avvertire, che « chiama enorme un tumore addominale di 23 lib- « bre, senza poter immaginare qual epiteto avreb- « be posto a quello di cui si tratta del peso di 152. « Anche nelle memorie deiraccademìa reale delle « scienze di Parigi, ove si fa menzione dei casi non « comuni, riportasi quello di un tumore molto este- « so, e che quantunque avesse sempre progredito, « pure prima che l'infermo perisse non avea oltre- « passato il peso di libbre 40. « Ciò posto, il caso singolarissimo, di cui si « tratta, avvenuto alla Simoncelli è degno di esser « fatto di pubblica ragione non solo ad incremen- ti to della scienza salutare, che da questo può me- « glio ravvisare fin dove può giungere la natura « ne'suoi perturbamenti, ma potrà servire di mol- « ta istruzione altresì ai cultori della medesima, « qualora con occhio scrutatore imprendano ad esa- « minare attentamente ciò , che ha preceduto la « malattia, quel che è avvenuto nel di lei lungo « andamento, non che quanto è susseguito al ter- « minar della vita. Non meno lumi somministrerà « al clinico l'autopsia cadaverica con molta dili- « genza istituita, avvegnaché non soltanto per la « immensa mole del tumore, per le posizioni che « occupava, e per quali mezzi il suo alimento ri- « ceveva, ivi si scorge; ma si viene altresì a cono- « scere sulla sezione praticata su quello straordi- « nario pezzo patologico la genesi della sua pro- « duzione, ed i materiali di cui si è servita la na- Storta anamnkstica 81 « tura anche nel costruire un tessuto innormale, « e come i primi strati si osservassero celluiosi, po- « scia fibrosi, e nel centro alcune parti perfino os- « sificate, senza mancare di vasi irrigatori sangui- « gni, e di altre parti costituenti il necessario pro- « cesso vegetativo, e che potesse quindi apportare « queir enorme e maraviglioso incremento senza « turbare per tanti anni la naturale ed animale a economia dell' individuo, che suo malgrado ne « formava il soggetto ». Fin qui il prefato sig. Va- lori, ai sapienti dettati di cui nulla abbiamo a sog- giugnere. TONELLI Quadro delle malattie contagiose che si propaga- no da un genere all'altro di animali e da que- sti air uomo -^ dello zooiatro Giuseppe Gobbani. Napoli dai torciti dell'osservatore medico 1838, in 8.° di pag. 39. Oendo quest' opuscolo di un giovane della città della Pieve neWUnibria, allievo della reale scuola veterinaria di Napoli, sembra opportuno che il no- stro giornale se ne occupi. L'argomento è di som- mo interesse, e degno d'essere svolto con chiarezza per la utilità sua. Il sig. Gobbani ha riunito molti fatti tolti da'giornali e da recenti opere. E prima- mente parla del vainolo, facendo parola delle inte- ressanti osservazioni di Sacco, il quale è d' avviso che il cìdovardo ed il vainolo nel cavallo siano si- mili, e questo identico a quello delle vacche. Le ino- culazioni dal medesimo praticate giustitìcaron l'as- G. A. T. LXXVn. 6 82 Scienze sertfva, e Viburg in Frangia le ripetè con successo felice. Fa quindi passaggio alla scabbia^ che come il vaiuolo si comunica tra animali, e da questi si ap- picca all'uomo. Discute l'origine di questo morLo, che crede originato da un'acaro (1). Laverge fu il primo a parlare del contagio dei dartri (erpete serpigini) tra gli animali e l'uomo^ riportandone 4 recenti sperienze, Eccoci nostro malgrado a termini barbari e si- stem;itici, che il nostro buon zooiatro invece di evi- tare vezzeggia. J rìgiolynphite ^ e rìiin-angiolynphi-> te !!! Glie greco, che latino, che italiano rimescola-^ ti !!!... Questa denominazione serve ad un sistema non sorretto da sperienza o fatto di sorta. Si sup- pone infiammazione della linfa dei vasi mWangio- lynphite^ come nella rhin-angioljnphite, particola- rizzando quella dei vasi nasali , che si divide in acuta e cronica. Or chi non vede quanto gratuita sia tale opinione? Si accerta esser contagiosa la so-^ la acuta per l'affezione carbonosa che vi si com- ])lica. Forse è un vero carbone? L'A. inclina a cvg- derlo, ed è probabilissimo. Invaghito egli troppo di questi barbarismi, non pone differenza manifesta fra il moccio ed il ciamorro., e riporta varii fatti cui non è chiaro a quale dei due morbi debba riferirsi, Sul contagio di queste malattie tra gli animali, non v'ha du])bio; ma è da osservarsi, che nell'uomo non si sono mai propagate per contatto, ma è stato no ccssirio che fosse tolta l'epidermide onde far assor- bì r<3 il virus forse carbonoso. Questo modo adunque (l] In ima nota il Gobhani crede Cestoni e Bonomo un so- lo inflividuo: fa dunque mestieri avvertirlo che sono due diversi ^jainialisti. Malattie contagiose 83 di propagarsi sark per innesto, e non per contagio o contatto. Si passa al terribile carbone^ il quale non solo si comunica da animale ad animale, ma attacca l'uo- mo stesso: preferisce sempre le parti più svolte ed estese; cos'i nel bue il tubo digestivo, nel cavallo le cavita olfattorie, nell'uomo l'encefalo, i nervi. Trae molte idee dalla recente produzione dell' illustre prof. Metaxà (1), terminando con un cenno snWidro- fobia^ la quale senza dubbio va soggetta all'obbie- zione indicata, del non comunicarsi cioè per con- tatto ma per solo innesto. Asserisce ancora erro- neamente, che la rabbia sorge spontanea nei car^ nivori^ mentre ciò accade nel solo genere canis che comprende animali omnivori. Quest'opuscolo può esser quindi riguardato co- me una raccolta di osservazioni, da cui però non si trae quel partito di cui il lettore è in espetta- zione, non avendosi il quadro che vien promesso. Vorremmo pili accuratezza e più accorgimento nel dar peso alle osservazioni, come è opportuno porre una differenza tra i morbi che si contraggono per solo contatto, e c|uelli che richiedono, onde comu- nicarsi, la inoculazione di materie morbose. L' A. però faccia animo e non si sgomenti: le prime pro- duzioni riescon per lo più non compiute: torni all' opera: vi mediti; ci auguriamo allora di avere un quadro esatto che sarà di molta utilità. Sappiamo aver egli in pronto altra memoria di veterinaria, la quale vedrà la pubblica luce. E. C. B. (i) L'antrace, i contagi, le intermittenti. Lettere al prof. P. Baroni. Roma 1837 per G. Olivieri in 8.'^ con tavola. 84 Necrologia del professore Alessandro Pieri. JLia gralitiiJine vivissima che io nutro verso la memoria dell'ottimo prof. Alessandro Pieri, di cui mi pregio altamente d'essere stato discepolo, m'ha indotto a rendere un piccolo tributo di riconoscen- za ai benefìzi da lui compartitimi , tramandando ai posteri queste notizie da me raccolte intorno al- la sua vita ed agli studi suoi. JNacque Alessandro in Roma da Giuliano Pie- ri della Garfagnana e da Camilla Marini romana il giorno 12 di giugno dell'anno 1780. Appena usci- to dalla puerizia, egli fu mandato dal padre in Palleroso presso alcuni suoi parenti , i quali gli fecero insegnare il latino da un savio e colto sacer- dote. Il giovanetto dimorò alquanti anni in casa de'suoi parenti, e non fece ritorno in Roma se non quando questa citta fu tornata sotto il legittima dominio de' pontefici: e fu allora che potè darsi agli studi più gravi nella università gregoriana, in- tendendo con amor sommo alle discipline filosofi- che, ed in ispecie alle matematiche, nelle quali gli furono maestri que'due valentuomini, il Conti ed il Calandrelli. E qui mi occorre dire, come il nostro Ales- sandro appena si fu alquanto inoltrato nello stu- dio delle scienze esatte, sembrandogli questo assai maggiore delle sue forze, e disperando quasi di po- ter fare in esso tutto il profitto che avrebbe desi- Necrologia del Pieri 85 derato, fu per allontanarsene affatto. Ma stando in questa dubbiezza, venne a fargli coraggio un suo amico e condiscepolo, il chiaro monsignor France- sco Capaccini, il quale lo persuase a far fronte a quelle prime difficolta, assicurandolo che vinte una volta, gli sì sarebbe mirabilmente appianato din- nanzi il sentiero, che mena all'acquisto delle di- scipline filosofiche. Dalle quali parole confortato il giovane, prosegui a studiare con tutta sicurezza, e sostenendo con coraggio ogni più dura fatica, tro- vò esser vero il dettogli dall'amico. E questo val- ga di esempio ai giovani, acciocché si consiglino in tempo a fuggir l'amicizia de'tristi e cercar quella de'buoni; perchè dai primi potrebbero venir tra- scinati al precipizio , e dai secondi ritroveranno sempre buoni ricordi ed eccitamenti a ben fare. Il Pieri, datosi tutt'uomo agli studi, di questi occupava la mente senza posa: e fu allora che co- nobbe il chiarissimo Pessuti, professore nel roma- no archiginnasio, il quale scorgendo in lui inge- gno non comune, e smisurata voglia di apprende- re, gli volle esser largo de'suoi sapienti ammae- stramenli. Ne si contentò il giovane d'udire i soli precetti dati nelle scuole dai maestri, ma di con- tinuo si andava esercitando in sua casa, senza cer- care altri passatempi, su quanto di giorno in gior- no i professori insegnavano. Per cui come egli fu giunto all'anno 25 dell'età sua già si era fatto co- noscere in più luoghi d'Italia per uomo molto ver- sato nelle matematiche, le cjuali privatamente in- segnava con lode non comune. Nell'anno 1810, in fatto, il barone Degeranclo e l'abate Giuseppe Co- lizzi si adoperarono in guisa presso il comune di Perugia, che da questo fu chiamato il giovane A!es- 86 Scienze Sandro nella perugina università per leggervi le matematiche suì)limi; il qual carico da lui non fu accettato, forse per modestia sovercliia, contentan- dosi piuttosto di recarsi in Benevento, dove lo in- vitavano ad insegnare in quel liceo pubblico i prin- cìpii di matematica- Ivi nel novembre dello stesso anno diede cominciamento alle sue lezioni, ad udir le quali corse in folla la gioventù beneventana non senza riportarne mirabil profitto. Giudicando allora il Pieri di essersi ormai for- mata una competente fortuna, deliberò di accasar- si: e perciò il giorno 28 di febbraio dell'anno 1811 prese in moglie la sig. Maria Toeschi, nata di fa- miglia romana onesta e civile. Scorso peraltro un anno del suo matrimonio, egli si avvide che più vantaggioso per lui sarebbe stato l'accogliere l'in- vito de'perugini: e siccome cjucsti non avevano mai cessato d'interporre i consigli degli amici affinchè si piegasse ad accettare la loro offerta, così egli alla fine si lasciò vincere. Recavasi quindi a Perugia, ove nel novembre del 1813 diede principio ad ispie- gare nella università gli scritti più accreditati di introduzione al calcolo, di calcolo sublime, di mec- canica e di altre parti delle matematiche; ed è eo- mun sentimento, che se egli in Benevento riscosse lodi grandi e meritate, in Perugia c|ueste gli ven- nero profuse al doppio, sì per l'utile che i giova- ni ritraevano dalle sue lezioni, e sì per la maniera chiara e calzante colla quale le veniva esponendo. E queste sue pregevoli cjualita non soltanto gli pro- curarono buon numero di amici, singolarmente fra' suoi colleghi, ma valsero eziandio a far sì che non pochi de'suoi discepoli tanto largo profitto ritraes- sero dalle sue lezioni, che alcuni dì essi in segui- Necrologia del Pieri 87 to conseguirono l'onore d'essere eletti a pubblici professori in cospicue università d'Italia. Per nove interi anni prosej^uiva il Pieri ad in- segnare in Perugia: dopo il qual tempo gli amici suoi di Roma, che molti erano, e tutti illustri per dignità e dottrina, si accinsero a persuaderlo clic volesse tornarsene in patria, dove non gli sarebbe- ro mancati lucrosi ed onorevoli incarichi, conve- nientissimi al suo merito» E fra quelli che lo con- sigliavano a dar questo passo, il più caldo era for- se monsignor Belisario Cristaldi , rettore in quel tempo dell'archiginnasio romano e poi cardinale; tantoché al Pieri sendjrò di non potere, senza tac- cia di poco cortese, contraddire più a lungo, e pi- gliava partito di lasciar Perugia. Nella qual de- liberazione tanto più volentieri venne, in quanto che l'aria troppo rigida di Perugia nocevagli alla salute, e sperava che quella più mite di Roma fos- se per tornarlo alla pristina sanità; oltre di che vedendo la sua famiglia gik cresciuta fino a cinque figliuoli, stimava di meglio poter provvedere alla loro educazione in una fiorentissima capitale, che non in una cittk di provincia. A questo modo l'egregio nostro professore ven- ne in Roma, correndo l'anno 1821, e non andò mol- to che gli fu porta occasione di mostrare la sua dottrina. In fatto egli nel novein])re c- 88 Scienze gnar le quali fu chiamalo ancora nel collegio ur- bano di propaganda fide, ed in parecchie comu- nità religiose. Il Pieri per quattordici interi anni sostenne la cattedra d'introduzione al calcolo: allorché nel 1836 rimasta vacante quella del calcolo sublime, la sacra congregazione degli sludi volle affidarla a lui, senza però obbligarlo a lasciare la prima; ed egli di buona voglia prese sopra di se il nuovo ca- rico, quantunque lo conoscesse non leggero. Duran- te quasi un intero anno sostenne ambedue le catte- dre: ma giunto il marzo del 1837 fu costretto di porsi in riposo, giacche nel corso dell'inverno es- sendo stato colto da un grave mal di gola e di petto, trovossi allora quasi privo d'ogni vigore. Per cui nella susseguente stagione estiva non gli sem- brando d'esser tornalo in piena salute, si portava in Perugia, sperando di trovare non poco giovamen- to in quell'aria salubre e pura, senza rammentarsi che in altri tempi la dovette sperimentare nocevo- lissima. Ed ecco in fatto, che mentre la nostra Ro- ma veniva straziata dal morbo asiatico, e che egli stava in continuo timore pel rischio a cui vedeva esposta la sua famiglia, ricevette così fatto nocu- mento dalle strane intemperie della stagione, che a mezzo settembre venne colto da una infiammazione di polmoni, che lo condusse a morte dopo Iren- tatrè giorni di penosa infermità. L'ottimo nostro professore cessava di vivere tra i conforti della cattolica religione il giorno 20 di ottobre 1837, in età d' anni 57 compiuti; e Dio pietoso di tanto volle essergli largo in quegli estre- mi momenti, che il suo primogenito Giuliano, par- tito a furia da Roma, giungesse in Perugia in tempo Necrologia del Pieri 89 per esser da lui benedetto, e chiudergli gli occhi al sonno eternale. Il cadavere del defunto fu porta- lo con bella pompa alla chiesa di s. Fiorenzo, dove dopo i solenni funerali, ebbe sepoltura con questa iscrizione dettata dall'amor filiale. HEIC . IN . PACE . QVIESCIT ALEXANDER . PIERTVS . ROMANVS VIR . ANTIQVAE . DISCIPLINAE INGENI . LAVDE . ET . BONARVM . ARTIVM ERVDITIONE . CLARISSIMVS QVI . MATHESIN . MIRA . ARTE . ET . ANIMI . YI AB . AETATE . PRIMA . PROFESSVS STVDIA . SCIENTIAE . NOBILISSIMAE VNVS . MAXIME . PROVEXIT BENEVENTI . PERVSIAE . ROMAE RELIGIONE . VBIQVE . ET . LENITATE . CARVS . OMNIBVS VIXIT . ANNOS . LVII . MENS . IV . DIES . Vili MARITVS.CONCORS . PATER. FAMILlAS. DILIGENTISSIMVS DEC . XIII . KAL . NOV . AN . M.DCCC.XXXVII A . DESIDERIIS . SVIS . CARISSIMIS INFELICITER . ABSENS . QVOD . VNVM . DOLVIT MARIA.TOESCA.VXOR.FILI.NOVEM.ET.CAROLVS.FRATER TITVLVM . CVM . LACRIMIS . POSVERE Alessandro Pieri era di gracile complessione, e piccolo della persona; ebbe capelli ed occhi neri, che rendevan più amabile il suo volto di quello eh' era gik per natura; illibatissimo di costumi, e vero 90 Scienze c;ristlano fu, non di parole, ma di fatti. Nel tratto si dimostrò sempre urbanissimo con tultì, ma in par- ticolare cogli amici, ai quali si conservò fedele in qualsivoglia fortuna. Non mai conobbe che cosa fosse invidia, non mai si gonfiò per superbia, non mai apri la bocca alla maldicenza. Nove figliuoli ebbe dalla moglie, da lui amata di saldissimo amore, ai quali si fece esempio d'ogni virtù, conoscendo di non poter lasciare ad essi altra eredita sulla terra. Il pretender di dare un conto minuto delle produzioni scientifiche del Pieri, e d'ogni altro ar- gomento che nelle differenti parti delle matema- tiche discipline egli tolse a dimostrare, sarebbe im- presa difficile, e non del nostro proposito; oltre di che mal se ne potrebbe tener discorso, non es- sendo di comun diritto le sue importantissime ri- cerche, le quali pur tuttavia si spera di veder pub- blicate per le cure degli amici e discepoli suoi. Pure mentre si sta attendendo, che questa speranza sia per aver efifetto, non tornerà discaro a chi si co- nosce de'filosofici studi, che da noi vengano ricor- dati alcuni de'suoi ritrovamenti, quali appunto da lui furono esposti nelle pubbliche o nelle private lezioni; allorquando con modi originali ed effica- cissimi informava le menti de'giovani dì quegli stu- di nobilissimi, che con tanta lode professava. Quindi, per tacer d'altro, rammenteremo fra gli elementari insegnamenti il breve ma elegante trattalo de'po- ligoni inscritti e circoscritti alle circonferenze, in cui dalle nozioni piii semplici dell'algebra e della geometria si fece strada a fermnre il rapporto fra il raggio ed il lato di que' poligoni che piii di comune si considerano, riduccndo il tutto ad una veduta generale. Faremo parola di quel suo inge- Necrologia, del Pieri 9Ì gnoso pensiero di appoggiare la soluzione de'quat- tro casi della trigonomelria piana al solo teorema, che i seni degli angoli di un triangolo sono fra loro nella ragione desiati opposti. A questo si vuole aggiungere la teorica degli esponenti di qualsivo- glia natura: dottrina nella quale colla massima sem- plicità si propose di dimostrare, esser legittima la pratica d'operare sugli esponenti negativi e frazio- nari, non altrimenti che si faccia sugl'interi. Ne sarà fuor dì proposito far conoscere ancora, come al- lorquando l'egregio monsig. Capaccini affidò al Pieri r insegnamento elementare delle matematiche per quegli alunni dell'ospizio di s. Michele, che veni- vano indirizzati alle arti piìi civili, conoscendo egli la necessita d'una istruzione atta alla capacità ed al bisogno di cjue'giovani, compose un brevissimo corso di rudimenti matematici. E di questo non ebbe agio di mandare ad effetto se non che la sola aritmetica, nella quale con sapere profondo senza aver ricorso ai simboli algebrici trattò in modo ogni questione aritmetica da non lasciar nulla a de- siderare, sì dal lato della brevità, e sì per la parte d'una rigorosa dimostrazione. Un così fatto lavoro venne con ogni diligenza raccolto da uno de'suoi più affezionati scolari, il quale recavasi a bella po- sta ad udire le sue lezioni. Che se il Pieri molta luce sparse sulle pri- me e fondamentali cognizioni delle matematiche, non punto meno ne spandeva sopra le piìi ele- vate ricerche intorno a questa profondissima scienza. E prova ne sia quella facilità con cui dimostrava nuovamente, siccome ad ogni equazione pari di gra- do, e coll'ultimo termine positivo si appartenga per lo meno una radice, e la diretta e generale di- 92 Scienze mostrazione proponeva della formula newtoniana, posto il grado qualunque, purché reale, ed anche l'accurata analisi delle difficolta che si oppongono al teorema di Taylor: argomento difficile a trat- tare e degno in vero d'esser discusso e dichiarato da una mente sagace e profonda. La teoria de' rami infiniti delle curve piane, dedotta da principii quan- to facili altrettanto evidenti, e quella degli asin- toti-, fecero a perfezione conoscere con quanta fe- licità e magistero l'illustre professore sapesse svol- gere i metodi della geometria analitica. E molto si potrebbe da noi dire in sua lode circa il calcolo infinitesimale, circa la meccanica, circa l'idraulica, ed altre parti delle matematiche miste, se non fos- simo rattenuti dal timore di non sentirci capaci di ragionarne in breve e con quella dignità che si con- verrebbe. Faremo però osservare solamente che nel Pieri fu maravigliosa l'attitudine e T abbondanza dell'immaginativa, e straordinaria la rapidità e l'a- cume della sua mente; imperocché, obbligato per parecchi anni a spiegare e svolgere le materie stes- se, ebbe sempre tale e tanta fecondità nel dire, e modi così variati d'insegnamento^ che non mai sem- brava trattasse le cose medesime, o si servisse delle medesime dimostrazioni ed analisi. Ne ciò è tutto: che egli nell'esporre le teorie de'piìi sublimi scrit- tori di geometria, le cambiava e rifondeva in tal guisa nel suo ragionare, che udendolo avresti det- to esser quelle dottrine sue proprie. Ed è questo un fatto, al quale non si saprebbe sì di leggeri tro- ' vare il simile, e che basta a farci conoscere come avvenisse, che i migliori fra' suoi scolari (e moltis- simi furono), quantunque molto avanti nella scien- za, pure non mai lasciassero di recarsi ad udirlo, e di commendarlo con ogni maniera di somme lodi. Necrologia del Pieri 93 Ne soltanto il Pieri fu grandissimo nelle ma- tematiche , ma valse ancor molto nelle Lelle let- tere, tanto latine quanto italiane, alle quali fino da giovanetto si era rivolto con tutto amore, quasi come ad un dolce conforto dopo la fatica durata ne'severi suoi studi. Abbiamo in fatto a stampa una sua orazione, letta nell'università romana nel no- vembre del 1825, nella quale si scorge alla prima con quanta evidenza sapesse maneggiar la lingua di Tullio , esprimendo in essa pensieri robusti e nobili, conditi con ogni bel fiore di eleganza. Ne meno degne di lode riescono quelle altre tre ora- zioni stampate nel 1833, e da lui dette l'anno 1829, una per l'apertura delle scuole, due in occasione di laurea: l'ultima delle cjuali, oltre ad essere scritta colla usata sua dignità di stile, è piena ancora di sentimenti tenerissimi;; e non poteva essere a meno, dovendo egli leggerla nel giorno in cui il diletto figliuolo Giuliano era onoralo della laurea filoso- fica. Ed i pregi medesimi si rinvengono in altre pa- recchie sue orazioni, le quali non videro fin qui la luce, e piii ancora se ne incontrano nelle gen- tili sue poesie latine, non poche delle quali ebbi il bene di leggere manoscritte. E certo desidererei di qui recarne alcuna delle piìi elaborate, se non mei vietasse la loro lunghezza, o il timore di scon- ciarle, producendone pochi brani. Pure non posso ritenermi dall'inscrire in questo mio scritto un epi- gramma affettuosissimo dal Pieri offerto al glorio- so pontefice Gregorio XVI: e da questo poetico la- voro potrà ciascuno giudicare del suo stile non solo, ma eziandio della virtù ingenua e pura di cui fu ornata la sua bell'anima. 94 Scienze Est mihi, qualis erat divina in mente priusquam Res ortae, sanctae Virginis effigies: Lux circum, snbter, densa inter nubila noctis, Terra, draco, et pomi flebilis historia. Nullius artis opus cultu non enitet ullo; Stat prò ehure atque auro candida simplicitas. Ast mihi luce magis tabula baec, mage cara medullis, Carior ipsa oculis, carior ipsa anima. Ante hanc assuetus parva cum prole supernam Pro te multa gemens posco opem precibus, Ut pertaesa sui centum gens ebria culpis Corruat ante tuos vieta dolore pedes. Eveniet: tenerum parat hunc tibi Virgo triumphum, Dum properant niveam publica vota diem. Tunc ergo, si qua manet miserae spes reliqua vitae, Quae modo curarum fluctibus obruitur, Des, princeps, puero hanc veniam, tibi munere sistam Nullius artis opus, Virginis effigiem, Quae mihi luce, oculis, anima est quoque carior ipsa, Vel siquid cara carius est anima. P. BiQLCHINI 95 e?! alcune parole sulle strade a rotaie di ferro. Oi domandava ad un lombardo: Qual è il destino delle strade di ferro? basteranno esse a surrogare le vie ordinarie? annulleranno il servigio delle ri- viere e dei canali? verrk un epoca in cui diver- ranno le sole arterie nutritive dello stato? Nulla di tutto ciò, ejjli rispondeva: esse sono organi novelli, a cui è dato esaltare, sublimare la vita sociale: se le strade presenti sono le arterie, cjuclie di ferro sa- ranno il sistema nervoso, il fluido vitale: egli è im- possibile prevedere quali mutamenti felici e senza I esempio nella storia succederanno nella vita socia- I le, allorché un sistema completo di strade ferrate I intersecherà tutta Europa. Questo trovato semplice, I ma portentoso de'giorni nostri, aggiungeva un na- I poletano, è una conquista fatta sopra molti secoli ! avvenire: la sua mercè sarà dato a noi quello, che I sarebbe stato follia sperare; di goder cioè quel gra- I do di progresso che era serbato ai nipoti nostri, o tutto al piìi agli adulti nostri figliuoli: gli studi I dell'umano intendimento si correranno in un tem- po infinitamente minore: quell'incremento che in- sensibilmente procede, e che appena avvertiamo, lo vedremo co'nostri occhi succedersi e svilupparsi; e non crederemo ai nostri occhi; a noi vecchi parrà aver vissuto due secoli, e non riconosceremo più le cose e gli uomini della nostra gioventù. Non ostanti queste belle parole, sonovi ancora alcuni, 96 Scienze che persistono ad esser contrarli ad ogni innovazio- ne, e non cessano di declamare contro le strade fer- rate. Potrei usar contro di essi quelle parole che lessi in un giornale dell'Havre: - L'industria pro- gressiva è quella soltanto che può dar lavoro ed agiatezza a tutto il mondo; dalla resistenza al pro- gresso del genio sociale, non altro può nascere che la miseria e la fame: - potrei opporre loro quanto scrisse L. List: - Le strade di ferro saranno in bre- ve un bisogno per que'paesi, che non vogliono fare passi retrogradi nella loro industria; nascerà la stes- sa emulazione che nelle strade comuni, a propor- zione della forza e celerità dell'influenza che eser- citeranno le strade di ferro sul commercio piìi che le stradi comuni; ed a proporzione del migliora- mento che ne deriverà al ben essere privato. - Ma invece di assumere il non facil €a.."ico di persuader- li, vorrei consigliarli a leggere nell'opera del conte A. Piola ultimamente venuta a luce (Torino nel cor- rente 1838) ed intitolata Delle strade di ferro, e della loro futura influenza in Europa. Il nobile autore accenna l'origine storica di ta- li strade. Nelle miniere carbonifere di New-Castle in Inghilterra le ruote de' carri sprofondavano il terreno; onde impedire questo danno, e facilitare il trasporto del combustibile, verso la metà del se- colo scorso furono collocate due linee di travi sul terreno lunghesso il corso delle ruote; e questo fu l'embrione che sviluppato produsse le strade ferrate. I legni si logoravano facilmente; furon quindi co- perti di lamine di ferro: l'abbondanza delle ferrie- re in quel regno fece in breve sostituire alle travi coperte di lamine, le rotaie di ferro fuso: l'appli- cazione ad esse del vapore, come forza loco motri- Strade di ferro 97 ce, le perfezionò. Quindi il sig. Piola rimarca, che doppio è lo scopo delle strade ferrate: primo, la minorazione delle spese di trasporto; secondo, l'eco- nomia di tempo. L'esperienza per molti fatti ha provato che un cavallo tira sulle rotaie di ferro un peso otto volte maggiore di quello che lo stesso cavallo può tirare sulle strade comuni; dunque l'u- tili tk della minore spesa si ottiene con la propor- zione dell'S all'I. Se una macchina a vapore per- corre ordinariamente otto leghe di Francia ogni ora, mentre un cavallo al passo può appena percorrer- ne una, l'economia di tempo è in proporzione dell' 8 all'I; dunque se un dato peso costa 8 di traspor- to sulle strade comuni, ed impiega 8 ore per giun- gere al suo destino; sulle strade di ferro costerà una, e v* impiegherà un' ora. E questa economia di tempo specialmente deve di necessità produrre grandi utili al commercio ed all'industria; suscitare una rivoluzione nelle loro combinazioni; queste es- sere causa d'inopinati e straordinari effetti. E così passa l'A. ad esaminare ciò che sarà per risultarne relativamente al commercio, all'industria, alla po- polazione, posto sempre il progetto che l'Europa in- tera abbia un ugual sistema di strade ferrate: cerca le variazioni che ne verranno nella fortuna di al- cune nazioni ; nella prosperità dell' agricoltura e quindi de'proprietari; nell'impiego de'capitali; nel piìi rapido movimento della moneta. Io mi permet- to riportar qui le sue stesse parole comprovanti gli effetti che produce la minore spesa di trasporto. « Favorisce il consumatore che riceve piìi a buon mercato le merci, perchè ogni risparmio di fatica, di tempo e di spesa nell'acquisto e nel trasporto diminuisce il primo valore della merce ed il buou G. A. T. LXXVII. 7 98 Scienze mercato aumenta il numero dei consumatori mede-:: simi; favorisce il fabbricatore, poiché cresciuta la consuniazione, ed animato egli da gioconda speran-; za, moltiplica il lavoro del suo opifìcio, e con esso i lucri che ne conseguono; arricchisce l'agricoltore che spaccia più presto e meglio le materie prime ch'ai cava dalla terra; anima il commerciante che per la maggior richiesta delle materie prime, e del-: le merci manifatturate, interviene pili spesso nelle contrattazioni, nelle quali è allor primo fra i pro- duttori, i manifatturieri, ed i consumatori. Breve- mente, le merci diminuendo di quel maggior valore, a cui le alzava il costoso trasporto, sono di facile acquisto ad un più gran numero d'uomini; e questa maggior consumazione accresce i benefizi dell' agri- coltore, dell'artigiano e del trafiìcanle, e lo anima a più abbondante produzione. » Altro benefizio che dalle strade ferrate si ri- cava si è quello, dice il sig. Piola, di porre in ra- pido moto il numerario; di procurare ai capitali so- nanti il pronto ed integrale impiego. La moneta come segno rappresentativo è l'abito, il cibo, l'og- getto più prezioso dei popoli: moltiplicandosi in ragione della rapidità del suo giro, moltiplica i suoi favori in tutte quelle mani per le cjuali va passan- do. Or chi non vede qual rapidissimo moto essa avrà per le nuove strade ferrate.'* Il commercio tie- ne conto delle ore, e sa ognuno quanto in esso sia importante la economia di un giorno. Or chi potrà negare che il commercio non abbia a sentire im- mensi vantaggi dall'economia di tempo che produ- cono le nuove strade? La forza del commercio, po- sta in azione con maggior velocità ed attività, fa si che il negoziante possa mandare a fine più frequen- Strade di ferro 99 ti cambi covi minor* quantità di denaro; e l'ulilita ne ritorna non al negoziante soltanto, ma s\ all'in- tiera società. Poi con molto studio il nobile autore va investigando gli effetti che da un completo si- stema di strade ferrate risultar potrebbero ad al- cune nazioni dell'Europa; e prova per molte ra- gioni r utile che ne deriverebbe fra le altre alla nostra Italia. Accenna quindi gli ostacoli che po- trebbero opporsi alla formazione delle strade fer- rate; accenna i mezzi da superarli. In fine deduce i seguenti fatti che qui riporto con le sue parole. « 1.° Che il sistema delle strade ferrate ha scosso l'attività di quelle nazioni che le hanno gustate, ed istillato in esse il desiderio di vederle sostituite alle vie ordinarie. 2.° Che se una parte delle nazioni d'Europa stabiliscono il loro sistema stradale sotto gli auspici della nuova viabilità, le nazioni che fi- nora ne sono prive, cadranno nella fatai condizio- ne, in cui trovaronsi prima dello stabilimento del- le strade inghiarate. 3." Che questa condizione di- minuendo, anzi annullando l'attività del commercio, chiudendo lo spaccio delle manifatture e delle der- rate, getterà quelle nazioni nella povertà, se la sa- gacità dei governi, vincendo gli ostacoli, non con- formano le proprie comunicazioni a quelle delle na- zioni consorelle. 4.° Finalmente, quando si avveri in Europa ciò che or si suppone, la fortuna muterà di fede, e vuoterà i suoi favori sulle nazioni, ora meno da lei e dalla stessa natura favorite. » I contradittori delle strade ferrate leggano, ma con buona fede , non prevenuti da passioni e da pregiudizi, questo lavoro nobilissimo del Piola: ab- - biano presenti le discussioni delle camere, dei par- lamenti in America, in Inghilterra, in Francia; le 100 SciEN2E meditazioni de'filosofi e degli economisti; le opere pubblicate dai dotti: e sono certo che si ricrederan- no. Poi guardino i fatti. E darò principio dal nuO' vo mondo nell'addurne alcuni. Non v'è popolo che sopporti le difficolta del ritardo meno dell'ameri-» cane: appena ei^li concepisce un punto di utilità, subito ne afferra i mezzi di esecuzione; in esso lo spirito di associazione è attivissimo. Solo dal 1830 cominciarono a costruirsi le strade ferrate, e già gli stati della unione sono attraversati in ogni parte da tali opere. Della passione con cui gli americani hanno abbracciato tal nuovo trovato, basti la pro- va seguente: nella casa penitenziaria in Filadelfia i corridoi, ove sono 480 porte delle celle de'con- dannatì, tutt'all'intorno son circondati da sbarre sulle quali gira un veicolo colla stessa teoria delle strade ferrate, onde recar i viveri a que'disgrazia- ti che vi sono rinchiusi. Ora l'America in otto an^ ni circa conta gili 44 strade ferrate , che percor^ rono una totalità di leghe 830^4, e che costarono oltre ai 239 milioni di lire. Eccone l'elenco ch^ cIesuii(io dalla citata opera del conte Piql^t lÀnee dirette dall' est all' ovest. Comunicazio- ne tra la valle del Mississipi e quella di s Lorenzo. Comunicazio- ni diramnntesi attorno le Ca- pitali. Lavori stabi- liti intorno le miniere di car- bone. Linee diverse. Indicazione delle strade. Lunghezza in leghe. Costo in lire Da Albany a Schenectady Da Schenectady ad Utica Da Rochester a Buffalo Di Colombia Di Porta£[e Da Baltimore all'Ohio Di Virginia Della Prairie Da Dayton a Sandassy Da Boston a Provvidenza Da Provvidenza a Hokin^tOli Da Araboy a Comdem Da Newcastle a Frechtown Da Baltimore a Washington Da Harper 's Ferry a Winchester Da Frederichsburg a Richmond Da Petersburg a Roanoke Diramazioni di Belfìeld Da Norfolk a Weldon Da Charleston ad Augusta Da Augusta ad Atene Da Boston a Lowell Da Boston a Worcester Da New-Yorck a Palerson Da New-Yorch a Harleaiii Da Yersey-city a Newr-Brunswick Da Broochlyn a Giamaica Da Filadelfia a Trenton Da Baltimore alla Susquenaah Dalla nuova Orleans a Carrollon Dalla nuova Orleans al lago Pout- chartrain Da Schenectady a Saratoga Da Ti*oy a Saratoga Di Chesterfield Da Carbondale a Honesdale Dall'Hudson alla Delaware Da Posteville a Sunbury Da Filadelfia a Repding Di Qulncy (Massachussets) Da Itaca a Orwego (NewYorck) Da Lexington a Liouisville Da Tuscumbia a Decatur Di Rochester Da Buffalo a Blackrock Totale ,6^: 4,000,000 5i5 8,000,000 29 2,900,000 33 19,200,000 if^ 8,55o,ooo 16,000,000 60 i5, 000,000 62- 8,000,000 6iè io,5oo,ooo ^7 8,000,000 21 8,000,000 Hh I2,250,0OO 6 è 2,i3o,ooo i-ì 8,000,000 i3 9,600,000 a3'/4 5,900,000 H 3,470,000 .6 84.0,000 3i 4,000,000 543/4 6,400,000 46 8,25o,ooo 10V4 8,000,000 r:'k 6,670,000 6V4 1,100,000 2 2,000,000 I r 1,800,000 5^ 1,600,000 102 2,1 35,000 24, 7, 100,000 32- 2,000,000 9 2,3oo,00<) 8^ 1,600, OO'. 9^/4 1,800,000 5^4 i,o5o 000 64 1,600,000 43" I 9,600,000 1^5 4 6, 000,000 22^,4 8,000,000 ^^4 180, OOC ii3 r. 2,700,000 36 6,ooo,ooc 18 5,000, OOC: ^'/4 160,000 i\'4 60,000 83o3 4 239,443.000 102 Scienze Venendo al vecchio mondo , l'Inghilterra che primamente die l'esemplo delle strade ferrate, ne conta molte in piena attivila. Fiivvi, già tempo, un progetto di T. Gray per un sistema stradale a ro- taie di ferro generale per tutto il regno, ma igno- ro che venisse sottoposto a legale discussione. Intan- to, per ricordarne alcune , la strada da Londra a Yorck si congiunge con quella di Leedes e di Selby; nel suo allungamento da Yorck a Carlisle s'incon- tra con quelle di Stochton e di Darligton, di Pi- ckerlny e Whltbey, di Newcastle e Carlisle ; da Carlisle sarà continuata ad Edimburgo e Glasgow. Secondo la Rivista britannica quelle alle cjuali si sta lavorando sono diciannove; nella loro totalità formano la lunghezza di 841 miglia e mezzo ( di 69^ per grado ); costerranno nell'insieme, quando siano terminate, 16,782,800 lire sterline (75 milio- ni e mezzo di scudi ). Le pili avanzate , e che in breve si percorreranno nella loro lunghezza, sono quelle di Great-Iunction fra Birmingham e NcAvton ( questa è finita ) ; di Londra a Birmingham ; di Grcenwich; di Newcastle; di North-Union; di Sou- thampton. Il primo tronco di quella da Londra a Greenwich fu aperto con molta solennità il 15 dicembre 1836: ella corre all' altezza di 22 piedi sopra un ordine di grandiosi pilastri; l'intera stra- da di miglia 3 '/4 ha più di mille arcate; a scan- so di ogni disastro un parapetto perpetuo , della grossezza di due piedi e pili, fii lembo alla strada; le arcate attraversano dentro Londra stessa molte vie, lasciandone per di sotto liberissimo il varco ; nella notte tutta la linea viene illuminata col gas; e dalla sua altezza presenta uno spettacolo vera- mente magnifico. Il parlamento nella sessione del Strade di ferro 103 4836 autorizzò definitivamente altre 26 strade, che secondo i calcoli devono costare 15,394,000 lire sterline. Nella sessione del 1837 erano state diman- date autorizzazioni per altre 75; ma ne furono ab- bandonate 27; le rimanenti 48 rimangono in deli- berazione per essere ammesse o rigettale; esse do- vrebbero percorrere 1233 miglia; la lunghezza dei tunnels da forare fu misurata in 25 mila metri; i ponti necessari numerati in 2825; il peso del fer- ro bisognevole per fare i rails in 193,500 tonnellate; quello delle pietre per le fondazióni in 2,670,000 tonnellate; la spesa intera fu valutata in 19,352,726 lire sterline ( oltre gli 87 milioni di scudi ). Tren- ta anni fa sarebbe slato impossibile, non dico ese- guire , ma immaginare tali opere: a' tempi nostri esse non solo si progettano , ma si mandano ad eflfettó. La Francia fu pili tarda ad abbracciare il nuo- vo sistema di viabilità. Dubitava che le macchine lo- comotrici fossero pel trasporto delle persone, ciò che i telegrafi sonò per la comunicazione delle noti- zie. Novatore più di altro popolo qualunque nelle idee, pareva che in ciò volesse essere abitudinario ne'fatti antichi. Ma l'esempio altrui le apri gli oc- chi: in oggi molte sono le strade ferrate in quel regno. Fra esse ricordo quelle fra Saint-Etienne e Lione, fra Roane e Andrieux, fra Parigi e Sa- int-Germain; e l'altra di Epìnac. Nel 1837 la ca- mera dei deputati discusse altri sei nuovi progetti; cioè, una strada da Parigi a Orleans, una da Pa- rigi alla frontiera belgica, la quarta da Thann a Malhausen, la quinta da Lione a Marsiglia, l'ul- tima detta del Gard. Nella Svizzera si sta operan- do quella fra Basilea e Zurigo , da doversi poi / iOA Scienze prolungare fino a Coirà ; e ne fu decretata una fra il Lemano ed il lago di Neuchatel. Un re- scritto sovrano nella Baviera autorizzò la costru- zione di due strade nel circolo del Reno: esse pren- dendo il punto di partenza della ridotta del Re- no, debbonsi prolungare, una nella direzione di Bierback fino alla frontiera prussiana per unirsi al- la strada di Suarbruck , l'altra nella direzione di Lauteburg sino alle frontiere di Francia, per unir- si a quella di Strasburgo. In Sassonia quella del- l'Erzgebirge dall'Elba alla strada di Lipsia fu in- cominciata nel 1836. La strada ferrata da Pietro- burgo a Zarskoe-Selo in Russia progredisce a gran passi; quella da Paulowsk a Kouxmino fu aper- ta li undici dicembre 1836. Benché la stagione non fosse favorevole , pure vi accorse gran nu- mero di spettatori per vedere l'esperimento del- la nuova macchina locomotrice costruita dal sig. Stephenson, alla quale era stato annesso un ap- parato di quattro spazzole, onde pulire le rotaie dalla neve: la macchina percorse la distanza di sette werste in diciassette minuti, trascinando otto grandi carri con entro 256 persone; e ritornò nel- lo stesso spazio di tempo, ma invece spingendo in- nanzi i carri. Ma siccome pììi le strade di ferro son gran- di, e quasi direi nazionali, e piti producono nello stato una nuova epoca di prosperità, perchè van- taggiano l'intera massa di una nazione , o gran parte di essa: così quelle del Belgio presentano maggiore importanza di altre molte fra le ricor- date: esse hanno uno scopo generale, non mera- mente locale come le piìi fra quelle d'Inghilter- ra. La promulgazione della legge ne fissò per cen- Strade di ferro 405 ito Mialines, Da questa città partono quattro stra- de ferrate: quella dell'est per Lovanio e Liegi si dirige alla frontiera prussiana; la seconda al nord per Anversa onde comunicare con l'Olanda; la ter- za all'ouest per Termonde , Gand, e Bruges so- pra Ostenda al mare; l'ultima al sud per Bru- selles, e poi verso la frontiera francese. Nell'unita tavola a stampa N. I si vedranno anche piìi chia- ramente le diramazioni diverse di queste strade. Mi sia permerso riportar qui alcune parole di un articolo del sig. Nisard, tratto dalla Reviie de Parisj e relativo alla strada da Bruselles a Mali- nes: « Vi sono da Bruselles a Malines cinque leghe all'incirca, e sulla strada ferrata sì percorrono in meno di mezz'ora. All'estremità orientale di Bru- selles in riva al canale, dietro un recinto si vede spuntare Ja fumeria delle macchine locomotrici, per la quale fugge quel lievissimo vapore, la cui po- tenza si misura a numero di cavalli. D'ora in ora carrozze a foggia di omnibus , dopo aver raccolti per la citta i passeggieri, vengono a recarli in un casotto aperto nel suddetto recinto. Si monta nei ca- lessi rimorchiati dalla macchina ; essi distlnguonsi in tre ordini di persone, ed in tre gradi di spesa. Una campanella dà il segno della partenza. La mac- china si pone in moto; e come palafreno che scuo- te fieramente la criniera, essa tosto propaga il suo moto in tutta la lunga schiera dei rotanti. La mac- china procede a tutta prima lentamente; ma in bre- ve si anima, si accalora, e vola come se fuggisse at- territa dal fragore dei tanti carri che si trae die- tro; corre rapida come l'immaginazione; pareggia in velocità il pensiero. Se chiudi gli occhi per ripo- sarli, e dopo un minuto li riapri, vedi ciò che era 106 Scienze lembo dell'orizzonte, esser divenuto centro dell'al- tro orizzonte. A mezza strada si ferma un istante presso la beila borgata di Vilvorde per prender passeggieri e lasciarvene: qualche centinaio di pas- si prima s'incomincia a rallentare la corsa; al ro- mor della ruota, che gira con terribile velocita, suc- cede il fremito della ruota che si va raffrenando. Date e ricevute le merci, discesi e saliti i viaggia-^ tori, il macchinista con un giro di chiave rimette in riloVimento tutta la comitiva. Lo starituffo, sospin- to dal vapore, appoggia il suo braccio irresistibile alla ruota; questa geme e rimbalza; i carri si smuo- vono con sordo crepito, poi si avviano a giusto in- tervallò cori la dolce ed equabile velocità della lo- comotrice; Nel tempo necessario a formare questi pensieri, a percepire tante insolite sensazioni, già la bella torre di Malines comincia a spuntare in lontananza. Quando si arriva, ecco l'altra locomo- trice, che deve partir per Bruselles, lasciar il suo posto, e per una! rotais che scorre lungo la linea maestra venire a situarsi alla coda del convoglio, la quale nell'altra corsa diviene capo di fila. Co- si due macchine vanno e vengono ogni mezz'ora da Bruselles a Malines , e da Malines a Bruselles senza stancarsi, e facendo il beneplaicido dell'uo- mo. « A questa fiorita descrizione del sig. Nisard aggiungo, che quando l'S maggio 1835 fu prima- mente aperta quella strada alla presenza dellaì cor- te e del re, alle 12 meridiane partirono al rim- bombo dei cannoni, e fra i concenti delle bande musicali i tre carri a vapore la Freccia, lo Ste~ phensoiif e Y Elefante; al primo erano attaccati set- te carri, sette al secondo, sedici al terzo, occupati in tutto da 900 persone; giunsero in 50 minuti a Strade di ferro 4 07 Malinest a Mallnes tutti i trenta carri con le 900 persone furono attaccati aWElefante^ che solo li ri- condusse a Bruselles nel medesimo tempo. Anche più grandioso di quello del Belgio è il progetto delle strade di ferro per la Germania. Oltre la linea da Vienna a Bi*unn^ che prosiegue con alacrità, per poi continuarsi dall'Una parte a Dresda passando per Praga, dall*altra nella Ga- lizia ed a Breslavia, oltre la linea in direzione dell'Ungheria; una ne fu stabilita di più gene- rale interesse. Partendo dalle vicinanze di Basilea, e passando per Friburgo di Brisgovia, e Baden, si stenderà a Manheim, dove si dividerà in tre: la prima traversando la Baviera renana si dirige- rà a Metz, e servirà di comunicazione fra 1' Ale- magna e la Francia; la seconda passerà per Stoc- carda, Ulma, Augusta, Monaco, e si protenderà verso Salzburgo e l'Austria; la terza metterà capo a Masfonza ed a Francoforte sul Meno. Da Fran- O coforte la linea passerà per Hanau e Fulda, do- ve sì dividerà in due, spingendosi dall'una par- te verso Cassel, Hannover, Amburgo; dall'altra ad Erfurt, Weimar, Lipsia. Lipsia servirà di centro ad altre tre strade; una condurrà o Magdeburgo e Berlino; una a Dresda e Breslavia; una a Norim- berga , Augusta, e lago di Costanza. Da Berlino poi partirà una linea diretta a Breslavia; una se- conda a Francoforte suU'Oder; una terza a Stettino; una quarta ad Amburgo; una quinta per Magdebur- go a Brunswich, Hannover, Minden, Colonia, per incontrare mediante la via da Colonia ad Eupen le strade ferrate del Belgio. Si vegga l'anness^, tavola a stampa N. H, dove più facilmente si dimostra- no le diverse intersecazioni di questo gran siste- ma stradale. 108 Scienze E gli Italiani non si son voluti tr'ovare itìfé-* rìosi agli stranieri. Fu proposta la strada di Pie- monte , che prendendo le mosse da Arona presso il Iago maggiore, e toccando Novara, Vercelli, Ga- sale, Alessandria, Novi, e traversando tutta la mo- narchia sarda di terraferma, deve dirigersi a Ge- nova, passando 1' apennino ligure con un foro di oltre a cinque miglia. Una ne fu progettala da Trieste a Venezia; una da Livorno a Roma; una da Firenze a Livorno ( e questa fu decretata con so-» vrano rescritto ); e due da Napoli, a Bari l'una, l'al- tra a Nocera de'pagani, sanzionata con regio decre- to del 19 giugno 183G; quattro da Milano, a Monza cioè, a Pavia, a Bergamo, a Como: benché quest* ultima, immaginata dall'ingegnere sig. Bruschetti^ desse motivo ad alcune osservazioni per parte del doti. Cattaneo, e consecutive risposte del dott. Ber- mani, pure è sperabile che entri nel regno del- le realtà. Ma la strada ferdinandea, che unirà fra breve Milano e Venezia, fa sì che il regno Lom- bardo-Veneto possa gloriarsi di avere una delle pili lunghe, rette , e belle strade ferrate che si conoscano. Per estensione essa supera tutte quelle finora portate a compimento in Europa; percorren- do olirò a 165 miglia, occupa uno spazio maggio- re di tutte quelle della Francia prese insieme. Il ponte, che deve congiungere la terra ferma con Ve- nezia attraverso la laguna, sarà il piti gigantesco di quanti siano mai stati ideati nei due mondi. Chi avesse venti anni indietro, scrive il sig* Maz- zoldi, detto al popolo , che fosse fra le cose pos- sibili condursi da Venezia a Milano nello spazio di otto ore, e trarsi dietro il carico di 300 ca- valli senza aiuto ne di bestie, ne di braccia d'uo- Strade di ferro 109 mini , e col solo fumo dell'acqua calda , sarebbe senz'altro stato gridato per pazzo. Già fu pubbli- cato il primo rapporto; i lavori intrapresi con at- tività, con attività progrediscono ; incominciati al finir di agosto 1737, al 1 gennaio 1838 tutta la li- nea da Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Milano era tracciata , compiuta la livellazione da Venezia a Vicenza, molto inoltrata in tutte le ri- manenti sezioni. Una numerosa squadra d'ingegne- ri operatori ed assistenti lavorano con lodevole im- pegno sotto la direzione del sig. Milani ingegnere in capo. Questi fatti, che Lo accennati, serviranno forse più che le teorie a persuadere i contradittori delle strade a rotaie di ferro : essi non vorranno più a lungo condannare come dannoso un trovato, il quale accelera le comunicazioni , accorcia le di- verse lontananze, diminuisce le spese di traspor- to e per conseguenza il prezzo delle merci ; il quale produce grande economia di tempo , che Francklin chiamava la staffa della vita: essi non vorranno giudicare come stolte le opere di tante nazioni, di tanti popoli. Forse dimanderanno: Ren- dono queste strade un utile corrispondente al ca- pitale che vi si deve impiegare per costituirle? Per rispondere adequatamente , conviene avere alcune sicure nozioni: 1.° quantitativo del capitale impie- gato; 2.° annuo ritratto lordo ; 3.° spese annuali di amministrazione e di manutenzione. La terza cifra , detratta che sia dalla seconda , presenta nel residuo l'annuo frutto della prima. Alcune prove di fatto così nell'Inghilterra, e cosi nel Belgio, dimostreran^ pò che l'utile che si ritrae da tali opere è corri- spondente al capitale che vi s'impiega. "110 Scienze In Inghilterra il capitale impiegato nella strada ferrata fra Manchester e Liverpool fu di 1,401,549 lire sterline. Il rendiconto del secondo semestre del 1837, esposto nell'adunanza de'proprietari tenuta a Liverpool il 24 gennaio p. p. , ne'suoi resultati è il seguente: Introito - Passaggieri - lire sterline 73,869.11.5 Merci 43,406.19- Garbon fossile 2,71 1 .1 7.8 Totale 120,048. 8.1 Esito - Manutenzione della strada 3,096 — >. id. de'carriaggi 4,809 — id. delle carrozze 13,220 — id. delle locomotive 19,298 — • Altre spese 32,496.17 -72,899.17- Resta l'introito 47,148.11.1 Aggiunto il residuo del semestre precedente 2,080.14 - Ricavo netto 49,229. 5.1 Ripartendo questo ricavo iietto sul capitale, si ha per un semestre oltre il 3^ per cento, ossia pili che il 7 per cento all'anno. E si noti che questa strada costò quasi il quadruplo di quelle del continente: che non è ancora compita in tutte le sue diramazio- ni, dovendosi aprire per ottenere un reciproco com- pleto vantaggio quel ramo che da Preston conduce a Newton, e nomasi strada dell'unione nordica {North Union)', che nell'ultimo semestre del 1837 la crisi Strade pi ferro f14 ppramerclale prodotta dal disordine delle casse ame- ricane ed inglesi, come fu cagione di deficienza ne* redditi generali del regno, così produsse una com- parativa diminuzione nel movimento. Uguali risul- tati si ebbero nel rendiconto dell' ultimo semestre del 1837 della strada detta la Gran Giunzione fra Birmingham e Newton: il capitale impiegatovi fu di lire sterline 1,607,490. Il prodotto lordo in lire 116,740; le spese di amministrazione e manutenzio- ne in lire 60,705; il ricavo netto in lire 56,035; os- sìa presso a poco il 7 per cento all'anno. Alcune se- zioni delle strade ferrate del Belgio, del cui siste- ma intero feci cenno qui innanzi, sono già aperte alla pubblica comunicazione; cioè nel 1835 fu aperta quella da Malines a Bruselles in metri 20350, costò fr. 1,290,381 nel 1836 quella da Malines ad Anversa in metri 23680, costò fr. 2,222,817 nel 1837 quella da Malines a Termonda in metri 26750, costò fr. 1 ,61 8,435 n^etri 70,780, franchi 5,131,633 Aggiunge il sig. Northomb ministro de'pubblici la- vori, che per queste tre sezioni furono spesi inol- tre per trasporto e stabilimento delle stazioni altri franchi 1,848,855; e per le spese di polizia e di mantenimento, che sono carissime, altri 14,665,655; cosicché tutta la spesa delle tre sezioni ascende a fr. 21,646,143. E ciò non ostante le due sole se- zioni da Malines a Bruselles e ad Anversa in otto mesi, cioè dal 1.° maggio al 31 dicembre 1836, fu- ron percorse da 729,515 viaggiatori, e produssero di ricavo netto fr. 731,736; ciò che fatti i dovuti H2 Scienze riparti e ragguagli ascende a più che il 7i per cen- to all'anno. E si noti che quando le strade ferrate sono proprietà dello stalo, come nel Belgio , ofifrono migliori condizioni pei passeggieri, di quello che quando sono proprietà dei particolari come nell'In- ghilterra: si noti che le strade di lunga estenzione, come quelle del Belgio, non possono produrre Tuti- le in proporzione uguale a quelle più brevi, de- stinate al servizio di una limitata località , come quasi tutte le percorribili in Inghilterra. E se ai fatti calcoli si aggiungeranno questi rilievi, ne scen- derà che nel Belgio i capitali impiegati in esse stra- de danno un frutto maggiore di quello che nelle isole britanniche. Non diversi sono i risultati dei calcoli fatti per alcune strade progettate, ma non ancora terminate. Voglio accennarne uno; quello cioè della strada fer- dinandea lombardo-veneta. Il capitale da impie- garsi in essa, secondo gli stampati prospetti, deve ascendere a 54 milioni di lire austriache; ne deve rendere annualmente sette milioni e un terzo lordi da questi; tolti tre milioni di annua passività e ma- nutenzione, ne deve derivare un annuo introito net- to divisibile di milioni 4'/3, ciò che corrisponde al- rS per cento circa. Ed anche in questa strada fer- dinandea è da notare, che il grandiosissimo ponte a Mestre sulla lacuna veneta ne aumenta di mol- to il capitale necessario. Da questi cenni pertanto può conoscersi quale sia il reddito presuntivo de' capitali impiegati in queste opere veramente ma- ravigliose. Ne si dica che tali strade recheranno pregiudizio ai possessori di vetture e di cavalli: im- perciocché se si riflette che nei distretti delle stra- de ferrate maggiore è l'affluenza, e che questa non Strade di ferro i13 può alimentarsi se non che con gli odierni mezzi di trasporto, ne consegue che piuttosto che dimi- nuire, si aumenta di molto il numero dei cavalli e delle carrozze che esse strade pongono in atti- vita. Così nella strada fra Liverpool e Manchester nell'anno 1835 il prodotto dei cavalli da posta fu di tremila lire sterline maggiore che nel 1834. L'espe- rienza in fatti ha provato ciie il numero de'passag- gieri continuamente si aumenta in tali strade a ro- taie di ferro, e si proporziona quasi a quello de- gli abitanti delle città, per le quali passa la strada: cosi da Filadelfia a nuova Yorck è di 400 mila persone; fra Manchester e Liverpool di 430 mila. A questa seconda si riferiscono le seguenti notizie esposte dal slg. lohard nel Recueil industrie^ no- tizie che provano quel progressivo aumento di pas- seggieri e di commercio, di cui diceva. In essa stra- da dunque il numero de'passaggieri nell'anno 1831 fu di 445,047 nel 1832 fu di 356,945 nel 1833 fu di 386,492 nel 1834 fu di 436,637 nel 1835 fu di 473,847 Per la curiosità il concorso nel primo anno fu mag- giore; ma dal secondo in poi l'aumento fu l'effetto dell' accrescimento delle comunicazioni ; e se nel 1835 i passaggieri produssero lire sterline 101,051.19.6 nel 1836 produssero 112,681.16.4 Aumento nel \ 836 di lire sterline 1 0,932.1 6.1 0 G. A. T. LXXVIL 8 114 S e I E M Z E 10,932.16.10 Se nel 1835 le merci pel traspor- to produssero lire sterline 78,290. 2.5 nel 1836 produssero 85,068.16.7 Aumento nel 1836 di lire sterline 6,778.14. 2 Aumento totale del 1836 sul 1835 lire sterline 17,711.11. — Che se non si voglia tener a calcolo questo sempre progressivo aumento de'passaggieri, sempre resterà vera una delle regole fondamentali stabilita dal Lardner nella sua opera: La macchina a vapore {The steam engine)-^ cioè, che le persone si calcola- no al doppio del numero medio di quelle che pas- sarono nella strada ordinaria duranti gli ultimi tre anni. Dunque i possessori di vetture e cavalli se perdono l'introito dei trasporti lungo la linea fer- rata, duplicano quello per condurre i passaggieri a detta linea. Che se volesse un qualcuno conoscere il costo, per esempio, di un miglio di tali strade, per po- terne poi calcolare il frutto, dovrei rispondere che esso è diverso secondo le diverse località; secondo il maggiore o minor costo della materia necessaria, della mano d'opera, dell'acquisto del terreno; se- condo le maggiori o minori difficolta per formare la livellazione. Vedemmo in fatti nelT elenco djlle strade americane, che il prezzo medio di tutte pre- se insieme sarebbe di lire 288,400 circa per ogni lega: ciò che corrisponde presso a poco a -7=7 18 mi- la il miglio: ma in America stessa alcune strade co- starono per ogni lega 1,150,000 lire, alcune sole Strade di ferro 115 50 raila; cìoh quelle allo incirca 7=^ 72,800 al mi- glio, queste 7^ 3100. Vedemmo pure che nel Bel- gio se la strada da Malines ad Anversa, lunga metri 23680, costò 2,222,817 franchi, quella da Malines a Termonda costò soli fr. 1,618,435, benché lunga metri 26750. Vedemmo che nell'Inghilterra le 19 strade, alle quali si sta lavorando, lunghe nell'in- sieme 841 miglia, importano 75 milioni e mezzo di scudi; cioè 7=^ 89,774 a miglio: e che le 48, che ri- masero in deliberazione nella sessione del 1837, im- porteranno 87 milioni percorrendo miglia 1233; cioè -7^ 70,560 al miglio. Vedemmo pure che la strada ferdinandea lombardo-veneta , importando 54 milioni di lire austriache per 165 miglia, dà per ogni miglio 7=^ 52,400; e da un prospetto del sig. Bruschetti intorno una strada ferrata da Milano a Bergamo conosciamo, che percorrendo essa metri 4-4 mila importerebbe lire austriache 3,922,000; cioè •7=^ 21,400 al miglio. Il seguente quadro raccoglie varie notizie a questo rapporto. m'-ica igilterra ''«eia sta Indicazione della strada. Lunghezza in miglia Valore totale in scudi Proporzio- ne per ogni miglio. Dalla nuova Orleans al lago Pontchartraia Da Buffalo a Blackrock Le 19 strade in attività Le 48 ia deliberazione Da Stockton a Darlington Da Manchester a Liverpool Da Saint-Etienne a Lione Da Andrieux a Roanne Tra Malines e Bruselles Tra Furth e Norimberga Tra Venezia e Milano Tra Milano e Bergamo 6 84i 1233 45 32 42 60 i5 5 i65 29V3 4,470j000 11,400 75,500,000 87,000,000 1,200,000 5,439,220 2,193,400 1,904,600 256,000 72,000 8,640,000 627,500 72,800 3,100 89>774 70,660 :ì6,666 169,756 62,224 31,743 17,066 14. 4"^ 52j4oo 2I,40O a seni /ìli ce rolnia id. 116 Scienze Quindi chiaramente si conosce, che non si può neppure per approssimazione stabilire un prezzo medio di tali lavori. In alcune strade i tunnels da forare importano milioni; in altre i ponti ne rad- doppiano quasi il prezzo: presso alcuni popoli la mano d'opera costa il doppio, il triplo che in al- tri; e nelle nazioni ricche di miniere di ferro que- sta materia costa meno della meta che altrove. Vo- glio recare un esempio di queste spese straordina- rie. Nella celebre strada fra Manchester e Liverpool fu in un luogo tagliato a picco un monte di du- ra roccia per la profondità di 60 piedi; altro sca- vo di 22 piedi di profondità e UQ di larghezza si dovette fare a Liverpool per istabilirvi gli uffici e magazzini a perfetto livello della strada : vi sono inoltre più tratti sotterranei; fra i quali un gran tunnel di tremila braccia, 22 piedi largo, 16 alto; di pili vi sono 63 ponti in tutta la linea, fra i qua- li uno di 9 archi, uno di 4, due di due, il resto di un sol arco ; 35 di questi ponti sono sotto la strada , e servono a sostenerla a traverso di altre strade e canali navigabili ; e gli altri 28 sono di sopra per mantenere le comunicazioni delle strade ordinarie che intersecavano la linea. Non dee quin- di far maraviglia se quella strada costò il doppio ed il triplo di molte altre: ma per essa Manche- ster, che alla fine del secolo scorso non era che un semplice villaggio appena reperibile sulle carte geo- grafiche, è ora la prima città manifattrice del mon- do ; e Liverpool salì a tanto da essere ritenuto il primo porto commerciale dell' Europa. Ritornan- do dunque al subietto, ripeto che le spese non si possono calcolare, se non che dopo fatto il piano di esecuzione. Chi intraprende a far ciò sarebbe be- Strade di ferro 117 ne che avesse presenti le regole fondamentali pub- blicate dal Lardner nella citata opera The steam erag-/ne. Egli raccomandò specialmente, 1.° conoscer bene il profitto di tutti i tratti non orizzontali, e quanto ognuno di essi è lungo; 2.'' conoscere con precisione il raggio delle curve, e la lunghezza di es&e-^ 3,° saper calcolale il movimento delle perso- ne e delle merci. Molte utili notizie si possono inol- tre desumere da ciò che scrisse il sig. Creile nel suo giornale berlinese sull'arte delle costruzioni : molte dal trattato del sig. Wood pubblicato a Bru- selles intorno le strade ferrate: molte dalle Lecons sur les chemins en fer edite dal sig. Mmard. Non debbo trascurar di notare che que'pae» sì , i quali abbondano di legnami di quercia e di abete , che non hanno il ferro a buon mer- cato, e che mancano di un commercio estesissi- mo, debbono preferire alle strade a rotaie di fer- ro quelle di travi ferrate. Ne die beli' esempio l'America, che utilmente le adoperò in più luo- ghi. Poste le circostanze sopra notate , debbonsi preferire perchè costano la terza parte di quelle a rotaie di ferro, o poco piìi. La commissione in fatti delle strade ferrate di Lipsia calcolò che una strada di travi di quercia ferrate, compresa la mano d'opera, costa per ogni miglio non più che dieci mila talleri, ossia 8400 scudi. Vero è che le macchine a vapore, a motivo della elasti- cità del legno, fanno muovere un peso alquanto minore; ma questa elasticità d'altronde, mitigando le scosse violenti, produce di conseguenza mino- ri spese di riparazioni alle macchine; e finche du- ra il legname, queste strade han minor bisogno di restauri. Se il calcolo fatto dagli ingegneri Vi- 118 Scienze gnoles e Locke porta in Inghilterra la spesa di annua amministrazione e riparazione alla meta dcl- l'introito lordo; se queste spese in America sono minori; e minori ancora nella Germania; fu pur calcolato che esse nelle strade di travi ferrate non giungono neppure ad un terzo di esso introito lor-f do. In fine la costruzione pjyìcede piìi celere; ri- chiede quindi minori interessi; e con commercio minore si ottiene più presto una rendita netta. Po- tendo queste strade di travi ferrate durare non me- no di venticinque anni , quando il rimborso del capitale impiegatovi si dividesse in venti rate, la-- scerebbe maggior somma annuale in rappresentan- za de'frutti, ed un intero quinquennio di tutto lu- cro. Chi volesse conoscere i calcoli, dai quali tutte queste cose e molte altre piìi sono evidentemente provate, potrebbe leggere ne'di versi rapporti della commissione delle strade ferrate di Lipsia. E qui sia permesso esternare un desiderio che da lungo tempo tengo chiuso nell'animo; dico di ve- der attivata ne'dominii pontificii una strada secondo il nuovo sistema. E perchè il ferro sarebbe presso noi di costo troppo forte; e perchè anche poco lun- gi dalla capitale abbondiamo di estese e grandio-^ se foreste; mi sembrerebbe miglior consiglio adotta- re una strada di travi ferrate. Non dovrebbe forma- re difficolta la mancanza del carbon fossile; si per- chè questa mancanza è finora apparente, non reale, non essendosi gli scienziati occupati finora a rin- tracciarne; sì perchè il carbone non è indispensabi- le. In Russia nella strada da Paulowsch a Kouzmino fu adoperato utilmente legno di Belala. Piuttosto perchè l'esperienza ha dimostrato che le nuove stra- de di lunga estensione non producono l'utile ugua- Strade m ferro 1^9 le in proporzione a quelle destinate al servizio di una limitata località; e che queste offrono per la loro condizione commerciale un utile del doppio maggiore di quelle: vorrebbe la prudenza che se ne scegliesse una breve, e toccante citta che molto commerciano con la capitale. Ma io non voglio pre- tendere al nome di progettista. Solo ripeterò, che progredendo con alacrità in tutta Europa il nuo- vo sistema di viabilità, non vorrei che fra non mol- ti anni si dovesse esclamare Fae soli] di que'luoghi che non adottano quel sistema. C. C. /.,/, ////..,„ f(t/r Cr= ( A,u /i,.,r,r. r 0'>...J^ Iny,., /U„. j /^mnvk^t^ V*r/(fn .:Mr J 1 125 LETTERATURA Calalo gus operum et fragmentorum quae decem tomis comprehenduntur scriptorum veterum collectionis vaticanae in 4," lìomae ab anno MDCCCXXr ad MDCCCXXXf^III. J-Ja grande opera, che massimamente ha onorato in questi anni la terra classica delle lettere e del- le arti, è senza alcun dubbio la Collectio vaticana scriptorum veterum , pubblicata ed illustrata con quante mai cure potevano desiderarsi dal celeber- rimo principe de' moderni filologi europei , dall' eminentlssimo signor cardinal Mai. Molti però, che odono tutto dì ricordarla con si maraviglioso plau- so di qua e di Ta dalle alpi, non conoscono pre- cisamente tutti 1 tesori che ne'venti suoi volumi so- no raccolti: ed è perciò che gradiranno di averne qui il catalogo per le mani stesse dell'insigne tro- vatore, editore ed illustratore. S. B. T O M U S I. Praeit tabula palaeographica. Praefatio in qua agitur, 1. De scopo huius colle- ctionis. 2. De Eusebii caesariensis aliquot operi- 12(5 Letteratura bus, ncmpe de quaestionibus evangellcis, de theo- phania, de commentario in Lucam, de òpere pS- schali. Adduntur parerga de s. Ambrosio Euse- biì et aliorum imitatore, et de scriptoribus va- riis quaestionum biblicarum. 3. De Photii pa- triarchae quaestionibus araphilocìiianis tum edi- tis tum inedltis, earumque fontibus, et locis pa- rallelis. h. De eiusdem Photii relsponsis aliquot canonicis. 5. De eiusdem scriptis variis adhuc ineditis, ubi etiam de supposita quadam lohan- nis papae octavi ad Photiura epistola. 6. De Po- lychronio apamensi episcopo , eiusque ad Da- nielem commentario. 7. De catena patrum in Danielem. Pag. V-XXXV. Tabulae palaeographioae explicatio p. XXXVI. PARS I. Eusebii quaestiones evangelicae sexdecim ad Ste- phanum p. 1. Ad Marinum quaestiones quatuor p. 51. Earumdem supplementa p. 70. Quaestio- num praediclarum interpretalio latina p. 78. Anonymi, qui Eusebii chronicon fortasse integrum legebat, fragmentum p. 412. Eusebii fragmenla octodecim operis de tlieophania p. 113. (Eiusdem operis aliud fragmentum in adn. ad Euseb. Chron. p. 91 t. Vili edidimus ). Eiusdem reliquiae copiosae commentarii in Lu- cam p. 143. Eiusdem fragmentum operis pasclialis, seu tracta- tus de paschate p. 247-257. Eiusdem quaestionum ad Marinum additamenta p. 261. PARS IL Photii quaestiones amphilochianae viginti, cum la- tina interpretatione p. 1. ( Obiler in adnot. p. CoLLECTio Vaticana 127 4-2 ponltur Theodor! mopsuesteni fragmentum commentarli in lohannem. ) Eiusdem Photii responsa quinque canonica Leoni Calabriae archiepiscopo p. 216. Polyc^aronii in Danielem proph. commentarlus ex Nicetae catena p. 1. ( p. 5 in adnot. defendi- tur authentia hymnl triura pueroruni babylo- nicorum. ) PARS III. Patrum catena in Danielem p. 27, qui sunt Ani- monius, Anonymus, Apollinaris, Athanasius, Ba- silius, Cyrillus, Eudoxius, Eusebius caes., Hesy- chius, Hippolytus, Origenes, Severug, Titus, Vi- ctor. Memorantur praeterea p, 28 Lampetii nar pxaixoi ; p. 33 Eusebii liber XV praep. evang. p. 35 Severi memoratur epistola ad Ammonium scholaslicum ; p. 39 eiusdem Severi epistola ad Maronem episcopum. PARS IV. Praefatio seu commentarius praevius ad quartam voluminis partem, in qua profertur oratio ano- nymi auctoris ad Clodoveum II regem franco- rum. Deinde agitur , 1. de fragmentis vaticanis iuris civilis anteiustinianei. 2. De Symmacho ora- tore eiusque gente et scrlptis tum editis tum deperditis. 3. De lulii VictoriS rhetorica. 4. De Minutiano Apuleio grammatico p. I-XLIV. Sequi tur tabula pelaeographica. Iuris civilis anteiustinianaei tituli. 1. Ex empto et vendite. 2. De usufructu. 3. De re uxoria ac do- tlbus. A. De excusatione. 5. Quando donator in- telligatur revocasse voluntatem. 6. De donatio- nibus ad legem Ginciam. 7. De cognitoribus et procuratoribus; p. 1-73. 128 Letteratura Codicis theoclosiani variae lectiones ex palimpse- sto p. 73-80. Legis burgundlonum fragmentum ex palimpsesto p. 30-81. Codicis theodosianì summaria aliquot ex antiquo codice p. 81-82. Indices ad fragmenta vatìc. iuris cìv., nempe iu- risconsultorum, imperator'uni, consulum, perso- narum, dignitatum seu oilìciorum, urbium, rerum notabiliorum, latinitatis, orthographiae aeu pa- laeographiae p. 83-36. PARS V. Tabula palaeographica paiimpsesti symmachiani. Q. Aur. Symmachi orationum partes, nempe , 1. Laudes in Valentinianum seniorem. 2. In eun- dem. 3. In Gratianum. k. Laudes in patres con- scriptos. 5. Oratio prò oratoris patre. 6. Or. prò Trygetio. 7. Or. prò Synesio. 8. Or. prò Seve- ro. 9. Or. prò Valerio Fortunato p. 4-42, cum adnotationibus historicis et criticis. Fragmentum oratorium incerti auctoris p. 43-44. Q. Fabiani Memmii Symmachi, oratoris filii, fra- gmentum cum variis lectionibus p. 44-45. Index in Symmachum oratorem p. 46. PARS VI. Tabula palaeographica codicis lui. Victoris p. 48. C. lulii Victoris ars rhetorica ex Hermagora, Ci- cerone, Quintiliano, Aquilio, Marcomanno, Ta- tiano, in paragraphos XXVII distributa p. 4-74. In hac rhetorica, praeter praedictos auctores , unde ea sumpta est, citantur inediti Cicero prò Fonteio, et contra concionem Metelli, et eiusdem epistolae ad Axium; Ennii Sabinae ; G. Fannii oratio in Gracchum; et Cato. Pag. 74 colliguntur aliquot vocabula nova aut rara apud Victorem. CoLLECTio Vaticana 129 L. Caecilli Minutianl Apuleii trium librorum de orthographla fragmenta p. 75-82, in qulhus plu- rimi veteres laudantur deperditi auctores : vi- delicet Aeschylus, Alclmiis, Antimachus, Atheno- doriis, Apollonius, Argon in commentario Apol- lonii, Aristophanes, Aristophanis inlerpres, Ari- stoteles, Ateius, Battus, Caecilius, Callimachus, Calvus, Camerinus in Troiae excidio , Carme- nidos in bellis arcadum et cretensium, Carus in Hercule, Cicero, Cinna, Crispus ( Sallustius ut puto ), Cotta in pharsalico bello, Democri- tus, Dio, Diodorus siculus, Donatus , Ennius , Euphorio, Eupliorio minor, Eudemus, Flaccus Valerius in argonauticis , Fontanus in nym- pharum et satyrorum amoribus, Gracchus Sext. in liistoria amorum et in Thyeste , Grynicus, Heraclitus, Herodius, Homerus minor, Horatius, luvenalis, Laevius, Largus Valerius in Anteno- ris erroribus, Leuceas, Linus, idem in Aristo- phanis Plutum, Livius , Luceius , Lucianus in barbato pliilosopho et in tergiversantibus, Lu- cilius, Lucretius, Lupus siculus in Menelao tra- goedia, Lycophron, Macer Aemilius in bello tro- iano, Marcianus, Marius, Marsus Domitius in Me- ; laene, Maximus, Melissus, idem in iocorum li- '■ bris, Menander, Methymius, Mnastes, Montanus lulius, Musaeus, Naevius, Numa in dogmatis phi- - losophiae , Orpheus, Ovidius , idem in Medea, Ovidii interpres, Papirianus, Papirius, Parthe- nius, Pausanias, Pedo C. in epigrammatis, Phe- - recydes, Pliilemo, Philocorus, Plinius , Plutar- chus, Poeta doctus in suo passere, Polignus, Po- lycarpus, Porphyrius, Probus , Proculus C. et Proclus Pindari enarralores , Proculus C. in Ly- G. A. T. LXXVII. 9 -130 Letteratura de, Rabirlus C, Rufus Corn. in lyrlcìs, idem in pindarica aemulatione, Sabinus in Troezene, Sallustius, Serapio rhodius, Cassius Severus in tragoedia, Saverus Corn. in bello siculo , Ste- phanus, Strabo, Suda, Titinius, Trinacrius Q., idem in Perseo, Trogus, Turpilius in Thrasy- lione, Turranìus Gn. in Helene, Tuscus L. in Phyllidis amore, Uranius, Varius, Varrò, Var- rò Terentius in punico bello, Verax T. in ho- merico Ulixe, Virgilius, Xenophon, Zeno, Ze- nodorus. Hi quidem auctores omnes in erudi- tissimi operis reliquìis nominantur; exempla ta- men ipsorum omnia desunt , hiantibus in co- dice lacunis: de qua re dictum est in praefa- tione p. XLII. Porro elusdem operis alia fragmenla a Coelio rho- digino exliibita, extant in praef. p. XL-XLII. De- nique in eadem praef. p. XLIII de falso quo- que Apuleio alio orthographo sermo fit. Hactenus volumen primum repetitae et diversae editionis descripsimus, quod a nobis quidem im- primi necesse fuit, quia primae editionis volu- men primum, distractis quae panca fuerant exem- plaribus , vix iam reperiebatur. Ceteroquin ne ipsum primae editionis volumen sine descriptio- ne sit, diflferentias eius indicabimus. Quum enim nonnulla ad alios tomos transferre libuerit, non- nulla etiam semel extare sufficeret, multa deni- que novae editionis volumini superadderemus , hoc quidem satis ab ilio diversum evasit, ita ut neutrum philologis non sit utile. Haec igitur in- sunt in prima quae in altera desiderantur edi- i tione , nempe; 1. praeter epistolam ad Leonem P. M. , in qua de consiliis suis auctor disserit, CoLLECTio Vaticana 131 ponitar s. Ambrosi! locorutn commentarli in Lu- cani comparatlo cum euseLianis, quas ipse pres- se imitatur, quaestionibus. 2. Apollinaris et Pho- thii fragmenta nonnulla commentariorum ad Lu- cam- 3. Anastasii sinaitae quaedam lucubratiun- cùlae. h. Ghronicum quoddam breviatum. 5. Ghronicis paschalis et s. Hippolyti fragmenta duo. 6. Antipatri autem bostrensis fragmenta duo iSunt in tonlì calce. 7. lohannis papae Vili bre- vis epistola. 8. Theodosii grammaticis pauca ad Danielem scholla. 9. Adnotationes nostrae ad commentarios Theodori mopsuesteni in prophe- tas minores, Polychronii, et variorum in Danie- lem, itemque nostra Theodori latina interpreta- tio. 10. Theodori mopsuesteni in prophetas, Le- ontii et Io. sacrarum rerum specimìna non re- petivìmus, quoniam integra ipsorum opera sexto septimoque volumini reservabamus. Indicem quo- que auctorum a Leontio et Io. laudatorum in eo volumìne positum , scptimo deinde volumini , quod adtinet ad ineditos, destinavimus. 11. Itera Aristìdis orationem quarto classicorum auctorum volumini deputavimus. De Theodori quidem mo- psuesteni scriptis variis in praefatione disputa- tum fuit. T 0 M U S II. Praeeunt tabula pelaeographica et imago pontificis. Epistola praevia ad Leonem XII , in qua gesta huius pontificis maximi praecipua recensentur. Praefatio , in qua de Constantìni porphyrogeniti eclogis historicis, nominatimque de titulo de sen- tentiis, qui nunc primum edìtus est; tum etiam 132 Letteratura de variis variorum operiitn eclogis verba fiunt. Delnde singiHatim dicitur de excerptis ineditis Polybii, Diodori siculi, Dionysii halicarnassensis ( quo loco et Canabutii tractus vulgatur de my- steriis samothracicis ) , Appiani , Dionis Cassii ( quo loco et duplicis florilegii vaticani noti- tia scribitur cura excerptis ), Dexippi , Euna- pii, Menandri, aliorumque auctorum , quorum inedita scripta tomus contitet. Exin de palim- psesto vaticano disseritur, reliquiarura praedi- ctarum fonte. Denique parergi instar fragmen- turn ponitur panegyrici in Micliaèlem IX pa- laeologum p. I-XXXV. Catalogus auctorum, et tabulae palaeographicae ex- plicatio p. XXXVl. Diodori excerpta, a septimo libro ad decimum p. 1-41. Eiusdera Diodori excerpta a libro XXI-XL, id est usque ad finem historiae p. 42-131. Se- quitur chronologia excerptorum , et palimpsesti ordinati© p. 132-134. Ob cumulandam excer- ptorum novorum Diodori collectionem, addesis fragmentis librorum VI et VII, ex Eusebii chro- nico a me edito libri I capitula 35, 36, 37, item- que partem notabilem capituli 46. Dionis Cassii excerpta ab urbe condita ad pugnam cannensem p. 135-196. Eiusdem excerpta ab Augusto usque ad finem hi- storiae p. 197. Anonimi excerpta post Dionem usque ad Constan- tinum p. 234-246. Eunapii historiarum excerpta p. 247-295. Eiusdem excerpta legationum p. 296. Eiusdem fragmenta varia historica, cum Pliotii iu- dicio de illius historia p. 307-318. CoLLECTio Vaticana 133 Dexippi hlstoriarum excerpta p. 319-330. Eiusdem excerpta legationum p. 331-339. Eiusdem fragmenta varia historica , ex auctoribus graecis et latinis, cum Photii iudicio, et allorum testimoniis p. 330-347. lamblicUi bahylonìcorum fragmentum p. 348-351. Monandri historiarum fragmenta p. 352-366. Appiani historiarum fragmenta tria p. 367-358. Polybii historiarum excerpta , a libro VI ad XXXIX p. 369-461. Palimpsesti polybiani ordinatio p. 462-464. Dionisii halicarnassensis historiarum excerpta , x libro XII ad XX, hoc est ad finem historiae p. 465-526. Dionis Gassii alia multa excerpta ex codicìbus pla- nudeis , et ex florilegio vaticano aliisque fonti- bus derivata p. 527-567. ( Dionis alia fragmenta antehac inedita sumenda sunt ex glossario grae- co, quod ante hos annos in suis anecdotis t. I p. 117 ci. Bekkerus borussus edidit, eaque nostris et reimàrianis addenda. ) Post Dionem excerpta quaedam p. 567-568. Diodori quaedam p. 568-570. De Petro magistro, eiusque opere De scientia po- litica in sex libros distributo p. 571-584, Calalogus scriptorum veterura rei politicae pag. 584-589. Petri magistri De scientia politica partes libri quar- ti et quinti p. 590-609. Nicephori Blemmydae oratio paraphrastica, cuius titulusest Qualem oporteat esse regem, cum prae- via notitia p. 609-755. Eadem oratio prout ab auctore scripta fuit p. 655-670. -134 Letteratura. Eubuli vel Prodi. De iis quae ab Aristotele adver- sus Platonis remp. dieta fuerunt p. 671-675. luliani laodicensis fragmenta astrologica p. 675-678, Basilii imperatoris exhortatio altera ad filium p. 679-681. Germani constantinopolitani fragmenturn, quod de-r inde in repetita editìone voluminis primi part, II p. 167 cum amphilochiana quaestione propri^ in sede positum fuit p. 682-683. Theodori Metocliitae de aegyptiorum graece lo- quentium asperitate p. 684-688. Addìtamenta observationum et emendationes p. 689-!» 694, itera p. 715. Universi voluminis index Uistoricus p. 695-715. T O M U S III, Praeìt tabula palaeographica. Praefatio, in qua disseri tur de diversis aucloribus quorum scripta in volumine divulgantur p. VII- XXVI. Pag. XVII-XIX sermo est da vocabulis plurimis, quibus lexica latina locupletari queunt. Tabulae palaeographicae explicatio p. XXVI. Elenchus caesarum secundum Ephraemii cbrono-? logiam p. XXVIIf Elenchus patriarcharum byzantinorum p. XXIX. PARS I. Ephraemìi byzantini vitae caesarum, a Gaio Gali-!- gula ad Michaelem Vili palaeologum p. 1-2:25. Eiusdem Ephraemii catalogus patriarcharum by-i zantinorum ab initio episcopatus usque ad Chri- sti annum MGGGXXIII p. 226-245, Methodii monachi de vitando schisn^ate tract^tus p, 247-264. CoLLECTio Vaticaka 135 PARS II. Victorlnl phllosophi in epistolam Pauli ad galatas commentariorum libri duo p. 1. (Pag. 29 addi- tur antiquum fragmentum contra hariolos. ) Eiusdem in epistolam ad philippenses liber uni- cus p. 51. Eiusdem in epistolam ad ephesios libri duo p. 87. Eiusdem opusculum prò religione Christiana con- tra philosophos physicos p. 148. Codicum aliquot casinensium, et losephi Assemani operum ineditorum , ìmmo deperditorum, noti- tia p. 163. Ferrandi diaconi carthaginiensis epìstola dogmati- ca adversus arianos aliosque haereticos , ex co- dice casinensi p. 169. Prologus editoris ad sermonum arianorum fragmen- ta p. 186. Reliquiae tractatus antiquissimi in Lucae evange- lium p. 191. Sermonum arianorum fragmenta antìquissima, cum refulationibus p. 208. Fragmenta antiqua duo ex libris, ut videtur, apo- cryphis V. T. p. 238. ( Pag. 239 accedunt lu- lii Tiziani et Hilarii arelatensis fragmenta duo.) Sermonum antiquorum aliae reliquiae p. 240. Liturgica fragmenta antiqua p. 247. Fragmentum contra arianos p. 249. Fiori diaconi lugduuensis epistola de psalterii e- mendatione p. 252. S. Isidori prologus in psalterii editionem p. 256. Evangelium secundum Matthaeum versionis ante- hieronymianae p. 257. PARS III. lulii Paridis epitome librorum decem Valerii Ma- ximi p. 1. 136 Letteratura lanuarli Nepotiani alia epitome Valerii Maximi ( us- que ad lib. IH cap. 2) p. 93. Praecepta artis miisicae collecta ex libris sex s. Auf^ustini de musica, ex codice antiquo p. 116. Sermones veteres quatuor, I. in septuagesima; II. in quadragesima; III. in dominica passionis; IV* in dominica palmarum p. 135. Theoduli, sive Tliomae magistri, oratlo de regìs of- fici is ad Andronicum II palaeologum , graece p. 145. Eiusdem alia oratio de suLdltorum erga regem of- ficiis, graece p. 173. Sibyllae libri XI, XII, XIII, XIV, collectioni Va- leri sibyllinorum addendi, graece p. 202. Cataloi^us auctorum in Prodi commentario inedito ad X. Platonis de repub. laudatorum p. 216. T 0 M U S IV. Praefatio in qua verba fiunt primum de synodo constantinopolitana anno 1166 celebrata; deinde de codicibus arabicis, tum etiara de persicis tur- cicisque bibliothecae vaticanae, p. V-XVI. Expo- nitur scilicet catalogi eiusque editionis historia, tum de fructibus variis atque copiosis disputa- tur, quos hic catalogus, seu potius codices per hunc cogniti, suppeditare iam queunt. PARS I. Synodus constantinopolitana sub Luca patriarcha, imperante Manuele Comneno, habita super ilio divini Servaloris dicto Pater maior me esi.Gon-' stat actionibus octo. Adfuerunt episcopi XXXI , quorum subscriptiones tachygraphico scripturae genere exaratae duplici in tabula exhibentur, p. 1 et p. 96. CoLLECTio Vaticana 137 PARS II. Codices arabici vel a christianis scripti, vel ad chri- stianam religionem pertinentes, quorum GXGIV describunlur p. 1-335. Codices arabici a mahoraetanis scripti usque ad cod. GCGXGVII. Deinde post p. 499 sequuntur mixti e christianis ac mahonaetanis codices usque ad DGGLXXXVII. Godices persici LXV p. 630, Godices turcici LXIV, inter quos allquot ad chrl- stianam eliam religionem pertinentes p. 652. Index alphabeticus auctorum et operum codicibus christianis arabicis comprehensorum p. 679-697. Index alphabeticus auctorum et operum arabicis codicibus mahometanis comprehensorum pag. 698-708. Index persicorum p. 708-711. Index turcicorum p, 711-713, Frammento storico di G. S. Assemani su i popoli cristiani del patriarcato antiocheno p. 714-716. Dello stesso Assemani altro frammento intorno ai libri eretici degli orientali, e loro confutazione p. 717-718. TOM US V. Praeit tabula epigraphica, Praefatio, in qua disputatur de collectionibus col- lectoribusque variis inscriptionum christiana- rum; deinde singillatim de collectionibus roma- nis scriptorum lapidum, et de dispersis etiam pessumdatisque; postea nominatim de F. A. Za- chariae cogitata editione, et de Gaietani Marini! ms. coUectione, cuius universus conspectus seri- 138 Letteratura bitur p. XVIII-XIX, in triginta duo capita di- stributus cum appendice. Hinc editor de suis con- siliis, et de curata editione dicit, qua tamen non- nisi octo capita complexus est, dilata operis pro- pter varias difficultates prosecutione. Postremo singulari studio disputat editor de classe inscri- ptionum ss. martyribus positarum, quae ferme classìs nobilissima omnium est: itaque de marty- rii quoque signis, quae epigraphas comitari so- lent, et de regulis criticis in re tam gravi adhi- bendis disseri tur p. V-XXIX. Secundae voluminis parti paucis praefatur aiictor , continuationem suam catalogi orientalium codi- cum, qui in bibliotheca vaticana servantur, lecto- ribus commendans p. XXX. Explicatio tabulae, qua insoriptionum christiana- rum specimen exhibetur p. XXXII. PARS I. Inscriptionum cliristianarum cap. I. Vota, precatio- nes, divorum elogia , nomina in lipsanothecis , fastus, cycli p, 1-73. Cap. II. Arac, tempia, aedes, fontes, donaria, ce- lerà monumenta sacra, facta, data, dicata, resti- tuta, consummata p. 74-208. Cap. III. Bona in commoda ecclesiarum donata le- gata p. 209-236. Cap. IV. Inscriptiones honori augustorum, regum, dynastarum p. 237-276. Cap. V. Inscriptiones honori virorum et feminarum clarissimarum p. 277-295. Cap. VI. Leges, aedificia, loca publìca, privata p. 296-360. Inseritur ingens lapis stratonicensis et aquisextiensis Diocletiani de pretiis rerum vena- lium, ante hos annos cum publico communicatus. CoLLECTio Vaticana 139 Gap. VII. Epltaphia martyrum; item illorum qui ex calice sanguinolento sepulchrls adposito, mar- tyrum in numero habiti sunt p. 361-416. Cap. Vili. Epilaphia martyrum muliebris sexus p. 462. Adnotationes e schedis G. Marini i p. 463-472. Cycli paschalis ravennat. ectypon ibid. PARS II. Catalogus codicum syrìacorum CU assemaniano edi- to addendus part. Ili, p. 1-82. Appendix ad catalogum codicum hebraicorum bi- bliotliecae vat. Sunt autem codices LXXVIII p. 83-93. Additur notitia codicis samaritani preces contìnentis ad usum synagogae eius sectae. Catalogus codicum LXXI aethiopicorum bibliothe- cae vat. p. 94-100. Catalogus codicum XVIII slavicorum bibl. vat., cum notitia impressorum ali<]Uot slavicorum librorum p. 101-111. Codices indici XXII bibl. vat. 112. Codices sìnici item bibl. vat. X, p. 112-113. Catalogus codicum copticorum LXXX bibl. vat. p, 114-170. Plssertazione di G. S. Assemani sulla nazione dei copti , e sulla validità del sacramento dell'ordi- ne presso loro p. 171-237. Si aggiunge un fram- mento storico dello stesso Assemani intorno al- le varie nazioni cristiane di oriente p. 238. Al- tro p. 254. Catalogus codicum armeniacorum XIII bibliotlie- cae vat., quibus adduntur duo iberici 239-242. Jndices alphabetici auctorum et operum codicibus syriacis, hebraicis, et copticis comprehensorum p, 243-251. 140 Letteratura Delle diverse conversioni de' nestoriani o caldei ' frammento storico di G. S. Assemani p. 252-253. Summa codicum orientalium vaticanorum in tomo IV et V descriptorum, additis etiam hebraicis et syrlacis, quos Assemanus tribus tomis impressis descrlpsit. Persici 65 Samaritani 3 Sinenses 10 Slavici 18 Sy riaci 4-59 ; Turcici 64 Aethiopici 71 Arabici 787 Armeniaci 13 Coptici 80 Hebraici 531 Iberici 2 Indici 22 2125. T O M U S VI. Praeit tabula palaeographìca. Praefatio in qua copiose disseri tur de Theodori mopsuesteni commentario in XII prophetas mi- nores, qui nunc primum ex antiquo codice edi- tus fuit. Pag. XVIII-XX specimen quoque lati- nae interpretationis praebetur. Reliqua pars praefationis occupatur circa Theoriani graeci di- sputationem cum Nersete armenio, notitiam epi- stolarum Nersetis, trium Attonum scripta, de- nique s. Petri Damiani et diaconorum Pauli ac Petri scripta, aliudque fragmentum anonymum. Postremo loco tabula tachygrapliica latino-grae- ca declaratur, in qua est s. Isidori capitulum de orthographia, et s. Dionysii areop. de eccl. hie- rarchia specimen codicis rarissimi vaticani per- petuis slglis scripti. Est autem voluminis conti- nentìa haec: CoLLECTio Vaticana 441 PARS I. Theodor! mopsuesteni commentarius In Oseam P- 1. In Nahumum P- 167 In loèlem. P- 5. In Habacucum P- 177 In Aniosum P- 69. In Sophoniam P- 192 In Abdiam P- 106. In Aggaeum P- 207 In lonam P- UÀ. In Zacharlam P- 291 In Michaeam P- 130. In Malachiam P- 287 Excerpta ex operibus variis Theodor! eiusdem per Leontium p. 299. Theoriani graeci disputati© secunda cura Nersete patrlarcha armeniorum p. 314. Supplenientum disputationis primae Theoriani p. 410. Excerpta ex epistolis Nersetis patriarchae armenio- rum p. 415. PARS II. Attonis senioris vercellensis episcopi testamentum P. 3. Attonis iunioris vercell. episcopi sermones octode- cim p. 11. Eiusdem polypticum seu perpendiculum cum pri- scis scholiis p. 43. Attonis cardlnalis capitulare p. 60. Epistola quaedam canonica p. 101. Remigii antìsiodorensis commentarius imperfectus in Oseam p. 103. Eutychiani papae ( ut inscrìbitur ) exhortatio ad clericos p. 124. Epilogus de officiis clericorum p. 127. De Attonibus variis diatriba p. 129. De capitularibus diatriba p. 146. De poenitentiali romano diatriba p. 161. S. Petri Damiani iter gallicum p. 193. 142 LlTTERATUftA Eiusdem expositlo cstnonisi missae p. 211. Collectanea novi testamenti ex operibus s. Petri Da- miani excerpta, cum eiusdem fragmentis inedi- tis p. 226. Petri diaconi de oi*tu et obi tu iustorum coenobii casinensìs p. 245. Augustlni Valerli card, episcopi Veronensis de oc* cupatìonibus diacono caFdinale dignis p. 281. TOM US VII. Praeit tabula palaeographica, in qua specimen codi- cis Leontii , et codicis quo continetur doctrina patrum de Verbi incarnatione. Praefatio, propter editoris novas occupationes, non*- nisi brevissima scribi potuit, quum tamen argu- menti amplìtudo eam copiosissimam postularet. Est enim hic tomus theologiae thesaurus locuples, pretiosis patrum reliquiis antehac ineditis refer- tus, p. V-VII. Auctorum, qui in voluminG appellantur, index p. VII-VIII. Hi sunt Aétius arianus, Amphilochius iconiensis, Amphilochius sidensìs, Ambrosius me- diolanensis , Anastasius antiochenus, Anastasius apocrisiarius romanus, Anastasius sinaila, Anato- lius constantinopolitanus, Antipater bostrensis, Apollinaris, Apologia synodi chalcedonensis, A- rius, Arseniotes vel Arsenius, Athanasius, Athe- nodorus, Augustinus hipponensis, Basilius, Beda in ultima homilia id est quinquagesima, Boéthius, Gaelestinus papa in commonitorio episcopis et presbyteris euntibus in orientem, Cassìanus, Ci- cero in Hortensio, Clemens alexandrinus, Cle- mens romanuS) Goluthus haereticus, Cyrillus ale- CoLLECTio Vaticana 143 xandrlnus, Cyrillus hierosolymitanus, Cyrus lya- nensis, Didymus, Dionysius alexandrinus, Diony- sius areopagita, Dioscorus, Ebion haereticus, E- phraemius antiochenus, Ephraemius syriis, Eleu- therius tyanensis, Elias scholiastes, Erechthius episcopus Antìochiae pisidensis, Evagrius, Eubu~ lus episcopus lystrensis, Eudoxius constantinopo- litanus arianus, Eulogius alexandrinus, Eunomius beroènsis thrax, Eunomius, Eusebius caesarien- sis, Eustathius antiochenus, Eustathius berytius, Flavianus antiochenus, Flavianus constantinopo- litanus, Fulgentius episcopus in libello de Spi- ritu sancto, Gelasius caesariensis, Gennadius con- stantinopolitanus, Gennadius massiliensis in ec- clesiasticis dogmatibus, Geronticus liber, Grego- rius nazianzenus, Gregorius nyssenus, Gregorius I papa in homilia de evang. lectione Cum sero fa- ctum esset, Gregorius thaumaturgus, Heraclianus, Hesychius hierosolymitanus, Hieronymus, Jlila- rius pictaviensis, Hippolytus episcopus, Ignatius antiochenus, Johannes quidam, Johannes gram- maticus, Johannes chrysostomus, Johannes scytho- polilanus, Jrenaeus harpasensis, Jrenaeus lugdu- nensis, Jsidorus pelusiola, Julianus discipulus A- pollinaris, Julianus halicarnassensis, Julius J pa- pa (pseudo-Julius), Justinianus imperator, Justi- nus martyr, Leo I papa, Leontius, Lucius ale- xandrinus arianus, Macarius, Manes haeresiarcha, Marcus monachus, Methodius, Montanus, Nesto- rius , Olympiodorus phìlosophus et diaconus , Pamphilus, Paulus emesenus, Paulus samosaten- sis, Petrus alexandrinus, Philo iudaeus, Polemo haereticus, Photinus, Proclus constantinopolita- nus, Sabellius, Severianus gabalensis, Severus an- 144 Lbtteratura tiochenus, Sllvester I papa, Sophronlus, Stepha- nus philosophus, Synodus I chalcedonensis, Con- stantinopolitana I, Ephesina, Nicaena I, Tliemi- stius agnoita, Theodor us, Theodorus mopsiieste- nus, Tlieodorus rhaytunensis, Theodosius alexan- drinus, Theodotus ancyranus, Theodotus antio- chenus, Theopliilus alexandrinus, Tlieotimus Scy- thiae, Timotheus aelurus, Timotheus historicus, Timotheus scholasticus. Operum autem ti tuli le- gendi sunt in indice generali collectionis. PARS I. Patrum doctrina de Verbi incarnatione, coUigente Anastasio presbytero, praevio indice capitulorum - p. 1-73. Leontii et lohannis sacrarum rerum liber p. 74-109. Leontii hierosoiymitani adversus monophysìtas li- • \ ber p. 110-155. S. Ambrosii episcopi mediolanensis explanatìo sym- boli ad initiandos ex pervetusto codice pag. 156-158. Eiusdem epistola de fide ad s. Hieronymuni item ex vat. codice p. 159-161. Anonymi expositio fidei p. 161-162. Patrum nicaenorum confessi© fidei adversus Pau- lum samosatensem cum varietatc lectionis ab edd. p. 162. Editoris monitum de Erechthii fragmento, et de scriptis s. lulio pp. suppositis p. 103 et 164. Erechtiiii fragra entum p. 165. S. lulii I papae scripta dogmatica, falso tamen illi supposita. Praeponitur Erechthii episcopi frag- mentum p. 165-169. S. Gregorii thaumaturgi expositio accurata fidei p. 170-176. CoLLECTio Vaticana 145 Eulogli patriarchae alexandrini fragmentum libri de Trinitate et de Inoarnatione p. 177-178. Sabini epistola ad Polybium episcopum de obitu et funere s. Epiphanii p. 178-180. lobi testamentum (scriptum sane apocryphuni, sed valde antiquum , quoniam in gelasiano decreto appellatur) p. 180-191. Anastasii presbyteri adversus monophysitas ac mo- nothelitas liber tertius et quarlus, cum ortlio- doxorum et haereticorum auctoritatibus. Sequun- tur alia Anastasii excerpta p. 192-206. Anastasii abbatls adversus iudaeos disputationes quinque p. 207-244. Opuscula prisca duo de Spiritus sancti processione a Patre Filioque, quorum prius ex Alenino sae- pe defloratum est p. 245-255. Pauli diaconi homilia de quadam sententia evange- lica, et de s. Benedicto p. 156-259. Petri diaconi epistolae duae p. 260-263. Tractatus antiquus de remuneratione post obìtum non differenda, con tra graecos p. 264-270. Henrici parraensis episcopi homilia de paschate p. 271-273. Glaudii taurinensis episcopi, prologus in suos com- mentarios ad Pauli apostoli epistolas p. 274-276. Theuduifi terdonensis oblatio libri p. 276. Eustathii monachi tractatus contra Severum mono- physitam p. 277-291. lustiniani I imperatoris tractatus ìtem contra mo- nophysitas, cum ineditis patrum auctoritatibus p. 292-313. S. Nicetae episcopi aquileiensis de ratione fidei p. 314-318. G.A.T.LXXVII. 10 14G Letteratura Eiustlem de Spirita sancti potentia ( seu persona) p. 319-329. Eiiisdem de divers s appellafionibus D. N. lesu Cliristo conven (ntlbus p. 330-332. Eiusdem explanatio symboli ad competentes p. 332- 339. Eiusdem alia fragmenta sex p. 339-340. PARS IL Hieronymì Donati veneti opus luculentum in qua- tuor libros distributum de processione Spiritus sancti con tra graecum schisma (cum praevio edi- toris monito) p. 1-162. Prefazione di raonsig. Gaetano Marini alla sua inedita opera delle iscrizioni antiche doliari p. 163-168. PARS III. Tipuciti conspectus universus, cum specimine sup- plementorum basilicis iuris civilis libris, ubi hi defìciunt, faciendorum p. 1-33. T O M U S Vili. Praefatio brevissima (ob dictas de illa pariter bre- vi tomi septimi causas ) rationcm docet novae editionis chronicorum Eusebii , quorum liber primus ex armeniaco codice sumptus fuit. JNimi- rum quum eius operis duplex editio extaret, me- diolanensis et venda, non sine varielatibus ac de- fectibus aliquot, neccsse fuit tertia editione, cjuae prioris utriusque bona coniungeret, naevos item utriusque deleret. Praeterea quum aegre ferret editor, partes abs Hicronymo olini additas, in- signes atquc praeclaras, ab hoc clironico, secun- dum armenios edito, abesse^ resti tuendas omnes in lextum curavit, et quidem ope fultus vaticano- CoLLECTio Vaticana 147 rum codicum latinorum, qcii sccundi libri tex- tum nova lectione donant. Postremo et romano- rum consulum laterculum, quod in armeniaco codice deerat, supplctum est. PARS I. Eusebii Pampliili chronicorum canonum liber prior, ex armeniaco codice rccuperatus, et in latinam linguam conversus, additis graecìs reliquiis, cura criticis adnotationibus p. 1-220. Pag. 43 adn. 4 ponìtur Peliadum Euripidis summarium. Imperatorum et consulum laterculum, a lulio Cae- sare ad Conslantini vicennalia, Eusebii chronico, iure postliminiì, restitutum p. 221-242. Eiusdem operis liber alter, ex armeniaco itera co- dice, sed insertis Hieronymi supplementis, col- latis codicibus bibliotUecae vat. praeslantioribus, additis graecis reliquiis, cura adnotationibus cri- ticis p. 243-406. In voluminis parte altera praestantissimorum duo- rum ecclesiae patrum nova scripta divulgata sunt, nempe: PARS IL S. Gregorii nysseni sermo adversus Arium atque Sabellium ex codice vat. p. 1-9. Eiusdera sermo de Spiri tu sancto adversus mace- donianos pneumatomachos, item ex cod. vat. p. 10-25. S. Cyrilli alexandrini capitula XXVIII de Trinita- te; diversum piane opus ab ilio edito de Trini- tate, quod Thesaurus inscribitur; nec non a dia- logis ad Nemesinum p. 27-58. Eiusdera de incarnatione Domini capitula XXXV, quod item opus piane dillcrt ab illis edilis sclio- liis de incarnatione p. 59-103. 148 Letteratura Eiusdem homllia de incarnatione Domini (quae Ia- line tantummi)do extabat in Cyrilli operibus edi- tis) p. 104-107. Eiusdem tractatus adversus eos qui sanctissimam Virginem nolebant confiteri deiparam p, 108-131. Habet haec homi Ira testimonium a Iiisliniano imp. in theologica epistola ad monachos monophysi- tas, quae in volumine sepllmo primum divulga- ta fuit, Eiusdem brevis dlaìogus cum Nestorio de ss. Vir- gìne deipara p. 132-135. Eiusdem brevis expositio fidei per dialogum p. 135-137, quam alii sub Anaslasii nomine edide- runt, nos aufem Cyrillo vindicamus. Eiusdem epislolae quatuor, 1 ad Rufum eplscopum thessalonicensem; 2 ad eundem; 3 ad Amphilo- chium episcopum sidensem; 4 ^d Maximum dia- conum anllochenum p. 138-141. Eiusdem fragmenla dcperdilorum commenlariorum in Mullbaei evanc,elium p. 142-147, Eiusdem fragmenfa commenlariorum acque deper- dilorum in Pauli epistolam ab hebraeos. Item fragmenta ex prosphonetico ad alexandrinos , et ex scijoliis capilulatim scriplls p. 147-148, Eiusdem fragmentum graecum homiliae, quod la- tinae tantum extabat p, 149, P. 26 insertum est s. Silvestri papae I fragmen- tum incogniti operis adversus iudaeos. In voluminis calce sex lithographico opere excu- sae sunt paginae textus vetustissimi golhici, ex vaticano codice sumpti, quae est pars commen- tarii in evangelium loliannis* CoLLECTio Vaticana 149 T O M U S IX. Praefatlo , in qua de auclorI*:u5; operibiisque ac fragmentis hoc volumine comprehensis disserltur p. V seq. Pliotii patriarchae quaestiones araphilochlanae CXXX, quibus s.crorum plerumque librorum conlroversiae solvuntiir p. 1-158. Seduli scoti cxpositiones in argumenta evangelio- rum Matthaei, Marci, et Lucae p. 159-181. Decorosi venerabilis laudes in s. Lucam evangeli- slam p. 182-188. Luculentii commentarius in aliquot novi testamen- ti partes, nempe in Matthaeum, lohannem, epi- stolas septem divi Pauli, et primam divi Petri p. 189-256. Alcuini commentarìorum in Apocalypsin libri quin- que p. 25T-338. Eremberti casineasis expositio in aliquot psalmos p. 339-368. Prudentii episcopi praefatio ad suam deflorationem psalmorum p. 369-370. Algeri scliolastici de sacrificio missae p. 371-374. Georgii Hamartoli et lohannis Siculi clironographo- ruin fragmenla duo p. 375-376. Orationis dominicae explanalio, ex antiquo codice p. 377-384. Symboli apostolici explanatio^ ex antiquo ilem co- dice p. 384-395. Symboli atlianasiani explanatìo , ex antiquo pari- ter codice p. 396-409. Leontii hierosolymitani contra obiectiones nesto- rianorum libri septem. Lib. I. agi tur de coniun- 150 Letteratura elione (livinae Verl)i naturae cum humana p. 410-478. Lib. II de unica Gliristi persona p. 478- 519. Lih. ITI de unico fiiio Ghristo p. 519-543. Lib. IV de Virgine deipara p. 544-581. Lib. V de Cliristo Dee et homine p. 582-598. Lib. VI de Christo non homine theophoro scd humanato Deo p. 598-600. Lib. VII de ilio dicto unus de s. Tri- nitate passus est in carne p. 601-610. Nicolai patriarchae constantinopolitani de vita Chri- stiana et praesertim monastica tractatus; asceti- cae nimirum severitatis monumenlum p. 611-618. Anastasii patriarchae antiocheni de homine ad Dei imaginem condito p. 619-622. Eutychii patriarchae constantinopolitani fragmen- ta duo de paschate, et de ss. Eucharistiae insti- tutione, inserto de hac re postrema s. Athanasii dogmatico fragmento p. 623-625. Catena veterum patrum in Lucae evangelium, col- ligentc Niceta serrarum episcopo p. 626-720. Evagrii fragmentum ex eadem catena p. 721-722. Index patrum in praedicta catena laudatorum p. 723-724. S. Gyrilli alexandrini addilamentum commentarii in s. Lucam p. 741. Severi antiocheni ex eius deperditis operibus frag- menta graeca permulta p. 725-741. Eiusdem Severi homiiiae quatuor, nempe una In magnum Anlonium, duae in sanctam Drosidem virginem et martyrem, una in sanctum Thalle- laeum martyrem, latine ex lingua syriaca p. 742- 759. Index fragmcntorum Severi p. 760. CoLLECTio Vaticana 151 T O M U S X. PARS T. Praefatio, in quo rie aiictoribus operibusque hoc voliimine comprehensis p. V seqq. Ebetliesu metropoli tae Sobae (id est Nisibis) et Ar- ineniae , collectio canonum ad usum ecclesiae chaldaeorum, latine, interprete Aloysio Assema- no. Praecedit epitome canonum apostolicorum , auctore eodem Ebediesu. Est autem hic orde o- peris: Canones XXV apostolici ob ecclesiae ordinationem p. 3-5. Prima christianae doctrinae difFusio p. 5-T. Descriptio regionum, quae apostolicam praedicatio- nem susceperunt p. 7-8. Apostolorum canones LXXXIII a s. Clemente edi- ti p. 8-17. Apostolorum alii canones XX edente eodem Cle- mente p. 17-22. Praefatio Ebediesu p. 23-25. Index quinque tractatuum primi volumi nis Ebedie- su p. 25-28, nempe: Tractatus I. De regulis generalibus fidei. Tract. II. De matrimoniis. Tract. III. De hereditatibus. Tract. IV. De iudiciis inter fideles. Tract. V. De praeceptis canonicis communibus. Index qualuor tractatuum secundi voluminis Ebe- diesu p. 94-96, nempe: Tract. VI. De presbyteris et diaconis aliisque mino- ribus ordinibus, et de chorepiscopo et archidia- cono. 452 Letteratura Tract. VII. De monachatu. Tract. Vili. De eplscopis et metropolitls. Tract. IX. De patriarcha. Sequuntur capitala de librorum composltoribus, et de horum canonum observantla. Idem opus Ebediesu in originali auctoris lingua syriaca p. 1G9-331. Zachariae rhetoris episcopi melitinensis capita se- lecta XIX ex eius deperdita historia, cum frag- mento de Romae originibus et aedificiis, syriace p. 332-360. Eadem capita latine p. 361-388. PARS II. Gregorii Abulpharagii Bar-Hebraei nomocanon ec- clesiae antiochenae syrorum , latine, interprete Aloysio Assemano p. 1-268. Praefatio Gregorii Abulpharagii p. 3. Index capitum quadraginta, qiiibus universum opus conslat p. 3-4. Sunt autem capita haec: 1. De ecclesia, eiusque regimine. Sectiones 7 p. 4. 2. De baptismo. Sectiones 5 p. 11. 3. De myro, sive clirismate. Sect. 5 p. 16. 4. De oblatione, sive eiicliaristia. Sect. 8 p. 19. 5. De ieiuniis, et festis, et orationibus. Sect. 5 p. 28. 6. De exequi is defunctorum. Sect. 2 p. 36. 7. De ordinibus sacerdolalibus. Sect. 10 p. 39. 8. De sponsalibus. Sect. 6. p. 61. 9. De testamentis. Sect. 3 p. 82. 10. De heredilate. Sect. 2 p. 87. 11. De emptione et venditione. Sect. 5 p. 94. 12. De mutuo et commodato. Sect. 4 p. 111. 13. De pignore. Sect. 3 p. 118. 14. De turbatione, sive vicissitudine temporum, si- ve impedimento usus rerum. Sect. 3 p. 125. CoLLECTio Vaticana 153 15. De consensu. Sect. 3 p. 132. 16. De translatione iuris. Sect. 2 p. 136. 17. De fideiussione. Sect. 2 p. 13T. 18. De societate. Sect. 2 p. 140. 19. De tutela. Sect. 3 p. 143. 20. De confessione. Sect. 3 p. 152. 21. De deposito. Sect. 3 p. 158. 22. De usufructu. Sect. 3 p. 163. 23. De donatione. Sect. 2 p. 165. 24. De legato. Sect. 4 p. 166. 25. De censu. Sect. 3 p. 170. 26. De mercatura. Sect. 3 p. 175. 27. De irrigatìone. Sect. 2 p. 183. 28. De cultura terrae desertae. Sect. 3 p. 186. 29. De mercenaria conductione. Sect. 5 p. 189. 30. De inventis. Sect. 2 p. 201. 31. De puerorum proiectorum invcntione. Sect. 2. p. 204. 32. De manumissione servorum. Sect. 3 p. 206. 33. De raptu. Sect. 3 p. 210. 34. De facinoribus gravibus. Sect. 7 p. 215. 35. De macello et venatione. Sect. 3 p. 229. 36. De iuramentis. Sect. 2 p. 234. 37. De votis. Sect. 3 p. 237. 38. De iudiciis. Sect. 3 p. 240. 39. De testimoniìs. Sect. 6 p. 249. 40. De causis. Sect. 5 p. 258. Ganones selecti ecclesiae armeniorum p. 269 usque ad 316; nempe: 1. Ganones s. Gregorii armeniorum apostoli p. 269- 270. 2. Ganones Macarii hierosolymitani, postulante Var- tano episcopo armenio p. 270-272. 3. Ganones Nersetis senioris et Nersciabuhi p. 272- 276. 154 Letteratura h, Canones Isaaci primi p. 27G-290. 5. Canones synodi armeniacae, anno Isdegerdis se%- to decimo (Christi 481) Iiabitae p. 209-2%. 6. Canones lohannis mantacunensis p. 296-300. Item p. 314-316. 7. Canones Isaaci tertii seu ultimi p. 306. 8. lohannis stylitae interrogationes canonicae cum responsis Isaaci armenii p. 301. 9. Canones lohannis ozniensis seu philosophi p. 302-307. 10. Canones Sionis patriarchae p. 307-310. 11. Canones synodi tevinensis p. 310-311, cum sub- scriptionibus episcoporum, qui ei synodo inter- fuerunt p. 311. 12. Elisei capitala de energumenis, de apostatis , et de catechumenis p. 312. 13.Nersetis senioris canones (suppositi) p. 3< 2-314. Ebediesu libei* margaritae, seu de veritate christia- nae religionis, in quinque tractatus distributus, syriace p. 317-341. Idem liber latine p. 342-366. Index generalis tomorum decem p. 367-384. Catalogus operuni et fragmentorum quae decem tOTìiis comprehenduntur classicorum auctorum ex vaticaiiis codicibiis editorum in 8.° Romae ab anno MDCCCXXVIU ad MDCCCXXXFIIL T O M U S I. Praeit libro graphica tabula personaram in dialo- gis Giceronis de republica disputantium. Sequi- tur epistola ad Leonem XII P. M. CoLLECTio Vaticana 155 Praefatio , in qua de nova classicorum auctorum sylloge, et de primi voluminis argumenlo, cum inserto Prodi fragmento commentarii ad Plato- nis librum X de rep., ubi de Eris redivivi fabu- la p. IX-XVIII. Et quidem Prodi alia fragmen- ta inedita in adnotationibus editoris dispersa sunt, praeserlim p. 366-368. Praefatio ad primam editionem Ciceronis de rep., in qua copiose de hoc opere, eiusque inventione, et de tota palimpsestorum ratione disputatur p. XIX-LXIX. Prosopographia dialogorum de rep. pag. LXIX- LXXVIH. Testimonia velerà operis tulliani de rep. p. LXXIX- LXXXVI. MonJtum de prima operis lacuna p. LXXXVI- LXXXVIII. Palimpsesti de rep. specimen palaeographicum. Ciceronis librorum sex de rep. reliquiae ex palim- psesto bibiiothecae vaticanae, additis ordinatis- que quae extabant antea fragmentis, cum adno- tationibus criticis, exegeticis, et historicis, et cum librorum singulorum argumentis p. 4-365. Prodi fragmentum de animarum corporibus solu- tarum conversatione p. 366-368. Indices historici et orthographici Ciceronis de rep. 369-384. Gargilii Martialls fragmentum ex pallmpsesto nea- politano, cum praevia notitia p. 387-413. Sallustii historiarum fragmentum ex membranis va- ticanis, cum idonea notitia, et tabulis, et corru- ptarum editionum comparatione p. 444-425. Archìmedis fragmentum, cum notitia p. 426-430. Letteratura T O M U S II. Continet hoc volumen partes omnes Ciceronis (ex- cepto opere de rcp.) quae nuper detectae divul- gataeque fuerunt, cum antiquo copioso interpre- te ad has aliasque aliquot Ciceronis orationes, et cum editoris adnotationibu*;, nec non verrina- rum invectionum novo contextu ex palimpsesto vaticano. Est autem descriptio voluminis liaccs Specimen scripturae orationum in 'G* Verrem p. IL Praefatlo ediloris p. V-XV. Specimen scripturae antiqui interpretis p. XVI. Commentarius antiquus ad orationem prò Fiacco p. 3. Cum senatui gratias egit p. 38. Cum popu- lo gratias egit p. 41. Pro Plancio p. 47. Pro Mi- lone (cum Laeiii oratorio fragmento) p. 90. Pro Sextio p. 122. In Vatlnlura p. 168. In Clodium et Curionem p. 194. De aere alieno Milonis p. 216. De rege alexandrino p. 230. Pro Archia p. 237. Pro Sylla (cum *C' Gracchi oratorio fragmento) p. 249. Scholia antiqua ad quartam catilinarlam p. 269. Pro Marcello p. 271. Pro Llgario p. 273. Pro De io taro p. 274. Partes orationis prò Scauro cum antiquis scholiis p. 278. Partes orationis prò Tullio p. 328. Fragmentum orationis prò Mi ione p. 362. Pro Fon- teio p. 364. Pro Rabirio p. 370. Index historicus p. 373. Indices latinitatis et palaeographiae p. 385. Orationum in 'C* Verrem partes cum varietatibus, ex antiquissimo palimpsesto vaticano p. 390. CoLLECTio Vaticana 157 TOMUS III. Praefatio In qua, 1 de novis mythographis vatlcanis agitur; 2 de luvenalis et Persi 1 fragmentis anti- quissimis, cuius prioris specimen quoque propo- nitur in tabula palaeograpliica tomo praefixa p. v-xx. Index auctorum a mythographis laudatorum p.XXI- XXI JI. Index fabularum p. XXIV-XXXII. Mythographus primus vaticanus in libros tres dl- slributus p. 1-82. Myllio^raphus sccundus p. 83-160. Elusdem sup- plementum p. 365-374. Mythographus tertius p. 161-277. Eiusdem supple- menlunj p. 275-379. Phaedrl (ut credi lur) fabulae novae XXXII, vati- cani codicis ope inlegriores editae, cuni idonea notilia, et cura Nicola» Perolti epistola p. 278-307. Phaedri fragmentum vaticanum cum notitia codi- cum p. 307-314. Boèlhii opusculum novum de rhetoricae cognatio- ne; cum praevia codicis notitia p. 315-326. Eiusdem opusculum ilem novum de locorum rhe- toricorum dislinctione p. 327-331. Commenlarius vetus ad Boethii carmen p. 331-345. Franconis ex opere de quadratura circuii specimen p. 346-348. Cassiodori supplementum libri de artibus libera- libns p. 349-357. Epigrammata antiqua p. 358-364. Mythographi secundi et lertii supplementa p. 365- 379. 158 Letteratura Martini bracarensis de origine idolorum p. 379- 384. (De hoc opusculo in praef. p. XVII). Geògraphus antiquus ex codice monasterii cavensis, cum praevia notitia p. 3S5-409. Provinciarum demonstratio ex antiquo codice p. 410-415. Gargilii Martialis medicina ex pomis, cum praevia notitia p. 416-426. Placidi grammatici glossae (quarum plurìmae emen- dationes et additamenta dantur in tomo VI) p. 427-503. Metrorii Maximini ( ut inscrihitur ) Iragmentuna grammaticale p. 504-511. T O M U S IV. Praefatio, in qua de auctorihus agitur, quorum ope- ra vel fragmenta in volumine exhibentur p. V-XII. Additar Mercuri! monachi breve scri- ptum de pulsibus p. XIII-XLV. Oribasii collectionis medicae libri inediti XLIV, XLV, XLVIII, XLIX, L p. 1-194. (P. 2-! 6-278 ponitur supplementum libri XLIV). Sequuntur alia Oribasii fragmenta p. 194-198. Rufi medici fragmentum p. 198-200. Index medicorum in praedictis ITIjris laudatorum p. 200-201. Procopi i gazaci rhelorìs epistolae quatuor supra centum p. 202-274. Eiusdem fragmentum antirrheticum adversus Pro- eli theologiam p. 274-275. Notitia librorum Oribasii XXIV et XXV p. 279. Isaei oratio de hereditate Cleonymi graec. lat. p. 280-305. (In separato volumine, Isocratis oratio CoLLECTio Vaticana 459 de permutatione, magna sui parte aucta, latine cum adnotationibus et appendicibus , Mediolani 1813 p. 148). Themistii oratio de praefectura suscepta gr. lat. cum adnot. p. 306-353. Accedi t eiusdern theoria quaedam p. 354-355. Porphyrii pliilosophi tractalus ad Marcellam con- iugem gr. lat. cum adnot. p. 356-401. Philonis iudaei de cophini fasto gr. lat. p. 402-407. Eiusdem de houorandis parentibus gr. lat. p. 408- 429. Eiusdem quaestiones septem de cherubini gr. lat. p. 430-441. Papyrus aegyptiaca graece scripta, cum notitia et interpretatione p. 442-447. Aristidis oratio, qua eonlradicitur orationi Demo- stlienis de immunitate gr. lat. p. 448-521. Eiusdem Aristidis fragmentum p. 521-522. Atticismorum numerus quidam p. 523-528. T 0 M U S V. Praeìt tal)nla, in qua notis tyronianis scribitur frag- mentum ex tractatu de virtutibus et vitiis. Praefalio, in qua more solito materia voluminis de- claratur p. V-LIV. Pag. XIV-XXI index aucto- rum qui apud Virgilium grammaticum memo- rantur. Pag. XXV-XXXII index latinitatis eius- dem grammatici. Probi grammatici vocabula quaedam p. XL-XLI. Pag. LIIl-LIl index au- ctorum ab Aldlielmo memoratorum p. LIII-LIV. Virgilii Maronis grammatici de octo partibus ora- tionis ad lulium germanum diaconum epistoiae octo p. 1-95. 160 LKTTKRATUnA Eiusdem grammatici epitomae quindeclm p. 96- 149. Excerpta quaedam ex grammaticis priscis p. 150- 152. Probi ars grammatica, ex antiquissimo codice va- ticano p. 153-328. (Etenim editor Probum in hoc grammatico anonymo valicano se agnoscere in praefatione dixerat; quam rem invicto testimonio nuper comprobavit codex vindobonensis, olim bo- biensis, in quo idem opus cum Probi nomine re- pertum est). Abbonis floriacensis quaestiones grammaticales p. 329-349. Papyrì duae aegyptiacae graecae cum praevia no- titia et interprelatione p. 350-361. Papyrus latina ravennatensis p. 362-363. S. Serapionis epistola gr. lat. p. 364-366. Carmina velerà cUristianorum ex codicibus vatica- nis; nempe s. Paulini nolani, Viclorini, Aldliel- mi, s. Benedicti Grispi, Hlbernici exulis, varia aevi carolini, lohannis Erigenae, Hincmari, alia anonyma, et elegiacon de Amphitryone et Ale- mena p. 36T-478. Hisperica famina, latinitatis inauditae opus p. 479- 500. S. Aldhelmi de septenario, et de re grammatica ac metrica p. 501-599. Papyri Ires aegyptiacae graecae p. 601-604. TOM US VI, Praefatio brevis de tomi argumento p. V-VIII. Procopii gazaci chrisliani rhetoris eclogarum exe- geticarum in Genesim epitome usque ad cap. CoLLECTio Vaticana 161 XVITT p. 1-34T; opus egreglum ex antlquls pa- tribus sumptum, cum lectionibus variis hexapla- rihus. Eiusdem fortasse Procopii pars commentarii In can- ticum Salomonis p. 348-378. Scholia velerà graeca in Matthaeum et Marcum ex codice saeculi X p. 379-500. Glossarium vetus latinum ex membranis bibliothe- cae vaticanae p. 501-551. Placidi glossae valde auctae et emendatae p. 553- 574. Index auctorum in vetere quodam lexico ms. lau- datorum p. 575. Excerpta ex glossario vetere p. 576-600. T O M U S VII. Praefatio de diversis multisque, quae volumen con- stituunt, scriptis p. V-XII. Tabula itinerum seu expedi tionum Alexandri. Itinerarium Alexandri macedonis cum adnotationi* bus p. 1-55. Index rerum praecipuarum itinerarii p. 56-58. lulii Valerli res gestae Alexandri macedonis trans- latae ex Aesopo graeco cum adnot. lib. Ili p. 59- 239. Index rerum notabiliorum apud lui. Valerium p. 240-246. Interpreles veleres Virgilii ex palimpsesto veronen- si cum adnot. p. 249-311. Inlerpretum praedlctorum calalogus, itemque scri- ptorum apud illos memoratorum p. 312-315. Cynthii cenetcnsis pars commentarii in Virgilii Aencidem p. 321-394. G. A.T. LXXVII. 11 162 Letteratura Index auctorum a Cyrithìo laudatorum p. 395-396. Dynamidiorum , sive medicinalium , libri duo p. 397-463. Hisloriae romanae fragmentum medit aevi p. 464- 474. Bonifacil archiepiscopi et martyris ars grammatica p. 475-548. Glossae antiquae p. 549-587. Excerpta ex physiologo p. 588-596. T O M U S Vili. Lexicon vetiis latinitatis ex membranis bibliothe- cae vatlcanae mine primum erutum ; opus per ordinem littcrarum digestum, quibus singulis praeponuntur auctoris prologi; novitate et nume- ro vocabulorum abundans. Praeit editoris prae- fatio, in qua brevi ter de re tota disseri tur; se- qui tur index permultorum auctorum in lexico laudatorum. Sunt voluminis paginae 654. T O M U S IX. Procopii gazaci rhetoris commentarius ingens In Sa- lomonis proverbia p. 1-256. Praeponitur editoris praefiitio, in qua breviter de hoc et aliis voluminis argumentis agitur p. V-VIII. Commentariorum in canticum Salomonis collectio ex diversis patribus, cura Procopii gazaci. Sunt autem palres hi: Anonymus, Apollinaris, Gyril- lus alex., Didymus, Euseliius caes. , Gregorius nyssenus, Isidorus, Nilus, Origenes, Philo carpa- thius, Procopius gazaeus, Theodoretus, Theophi- lus, p' 257-430. Addi tur Carpi fragmentum p. 430. CoLLKCTio Vaticana 163 Scholia vetora gr. in Lncam et lohannem ex codi- ce saeciili X p. 431-512. Herennii philosophi commentarius nobilis ad Ari- stotelis metaphysica. In praefatione refellìtur ab editore duplex Fabricii error circa hunc Heren- nium, nempe qnod dictus fuerit PJùlo prò phl- losophus^ et quod creditus sub Hadriano imp. vixisse; p. 513-593. Gregorii Plirantzae chronicon mìnus, cum praevia notitia. Sunt paginae 103. T O M U S X. Praefatio editoris de novis Gyrilli aiiorumque pa- trum scriptÌ5 p. V-XXXII. S. Cyrilii patriarchae alexandrini commentarius iti Lucae evaiigelium, ex codice bibliolliecae vatica- nae p. 1-407. Rursusque ex alio codice p. 501- 546. Tertio ex catena vat. in prophetas p. 605 607. Quarto ex alia catena p. 608-613. (Alia operis sex fragmenta sunt in tomo IX Script, vet. p. 741). Item eiusdem Cjrilli fragmenta homilia- rum p. 546-553. Severi patriarchae antiocheni reliquìae coramenta- riorum in Lucam p. 408-457. Rursusque p. 470- 473. Severi eiusdem ex commentario in Act. apost. cap. n de pentecoste p. 457-470. Origenis fragmenta in Lucam p. 474-482. Eulogii patriarchae alex. fragmentum p. 483. Dionysii (patriarchae alex.) fragmentum p. 484. Cypriani de paenitentia fragmentum graecum p. 485-487. Eulychii patriarchae constantinopolitani fragmen- tum p. 488-493. 164 Letteratura Eulogli palr. alex. fragmentum allud p. 493-494. Apollinaris fragmenta commentariorjini in Lucam p. 495-499. Atlianasii archiepiscopi corintbii fragmentum p. 499-500. Arsenii monachi adversus tentatorem nomicum p. 553-557. Ephraemii patriarchae antioch. fragmentum apolo- giae prò synodo chalcedonensi p. 558-559. Gregorii antiocheni sermo dogmaticus de verbis Hic est fìliiis meus dilectus in quo mihi coni' placai p. 560-570. lohannis euboici sermo in ss. infantcs ab Herode occisos p. 570-576. Hesychii hierosolymilani scrmo in occursum Domi- ni p. 577-585. Timothei hierosolymitani sermo in Simeonem iu- slum p. 585-595. Eusebii archiepiscopi alcxandrini sermo de secun- do Cliristi adventu p. 595-600. Origenis fragmentum in Leviticum p. 600. lobii monachi fragmenta ex opere de incarnatione p. 601-604. Additamenta et emendationes p. 614. Index generalis tomorum decem p- 615-624. * Notitia Melodorum graecorum, cum s. Sophronii hierosol. homilia, et typici sophroniani fragmen- to Script, vet. T. X praef. XIV-XXXII. Extra ordinem. M. Coni. Frontonis opera. M. Corq. Frontonis et M. Aurelii imp. epistolae. Item L. Veri, Antonini Pii, et Appiani cpisto- larum reliquiae, Romae MDGCCXXIII in 8." cum CoLLtcTfo Vaticana 165 iconlbus M. Aureli 1 et Pii VII P. M. et tabula palaeographìca palimpsesti vaticani. Praefatio, in qua de duplici palimpsesto mediola- nensi et romano, unde Pronto erutus fuit, accu- rate disseritur; deque eorumdem ordinatione; de Frontonis vita variisque scriptis, et de M. Aure- lii epistolari stilo p. V-XXXI. Sequunlur testi- monia veterum de Frontone p. XXXI-XXXV. Opera autem et fragmenta Frontonis volumine comprelienduntur haec: 1. Epistolarum ad M. Caesarem et invicem libri quinque. 2. Epist. ad M. Antoninum imp. et invicem libri duo. 3. Epist. ad Verum fragmenta duo. 4. Epist. ad L. Verum imp. et invicem liber unicus. 5. De bello parthi- co. 6. De feriis alsiensibus. 7. De nepote amisso. 8. Arion. 9. De eloquentia. 10. De orationibus. 11. Ad Antoninum Pium et invicem. 12. Ad amicos libri duo. 13. Principia historiae. 14. Laudes fu- mi et pulveris. 15. Laudes negligentiae. 16. Gra- tiarum actionis prò carthaginiensibus fragmen- tum. 17. Fragmenta raiscella. 18. Disputationes grammaticales. 19. De differentiis vocabulorum. 20. Exempla eloculionum; p. 1-397. Sequuntur indices personarum, auctorum, rerum, vocabulo- rum novorum, latinilatis, orthographiae, cum va- riis lectionibus ex codd. neapol. p. 39S-421. Po- stremo exhibetur supplementum ineditum oratìo- nis Libanii prò templis etknicis, cum praevia no- titia p. 421-424. 166 Letteratura Picturae ad Hoinerum et ad Vir^ilium pertinentes, Homeri IliaJos picturae antlquae LVIII ex mem- branis bibliothecae arnbrosianae niediolanensis. Item Virgilii Bucolicorum, Georgicorum, et Ae- neidos, picturae antiquae LXVII ex membranis bibliothecae vaticanae. Accedant aliae tabuiae octo, nempe: 1. Monumenta iliaca varia ex mar- moribus et picturis, in fronte operis. 2. Speci- men scripturae codicis hornerici antiquissimi bi- bliotliecae medialanensis , unde eliam picturae sunt desumptae. 3. Monumenta aliquot prisca , quae ad Virgilii poèniata refcruntur, item in fronte operis. k. Specimen scripturae codicis vir- giliani bibliothecae laurentianae florentinae, ex eius unico folio quod in bibliotheca vaticana for- te fortuna conservatur. 5. Specimen codicis vir- giliani vaticani, unde etiam picturae sunt de- promptae. 6. Specimen alterius codicis virgiliani vat., cum fragmento tertii codicis virg. vat. 7. Specimen codicis virgiliani vat. palatini. 8. Spe- cimen Terentii antiquissimi vaticani. Haec omnia, classicae antiquitatis et pictoriae artis studiosis perutilia, uno volumine comprehendun- tur, Romae impresso in fol. an. MDCGCXXXV. Inest autem volumini gemina disserlatio, in qua de bis monumentis, et de praesente ipsorum edi- tione, disputatur. Gunctarum item picturarum ar- gumenta singiilatim ab editore scribuntur. 167 Biografia di Ànnibal Caro. Al chiarissimo signor professore Giuseppe Ignazio Montanari. a v-« ratissima cortesia mi avete usata nell'intltolarmi la vita di Giuseppe Antonio Barbari da Savignano, nome finora poco conosciuto ed onorato in Italia e fuori, ma che cjuindinnanzi il sarà molto e debita- mente pel valore del suo ingegno che voi avete dis- velato SI bellamente, e pe' nobili scoprimenti, nei quali a sua grande gloria e ventura ebbe preceduti il Cartesio ed il Newton. E mentre vi rendo grazie di sWatta cortesia, ve le rendo altresì d'avermi dato modo di accrescere le Lettere (1), con che vb riven- dicando a questa nostra madre comune i trovati de' suoi più grandi intelletti per l'invidia o malafede altrui, e per l'incuranza e pigrizia nostra, rubatile tanto sfrontatamente dagli stranieri. Duolmi che sì la mancanza in che qui sono di libri opportuni e di sapienti i quali consultare all'uopo, e sì le brighe dell'edizione di tali lettere, che ( con perdita non lieve) lutto gravano su di me, mi costringano a tron- fi) Intorno invenzioni e scoperte italiane, lettere di Gian- francesco Rambelli a don Domenico Maria Ferri, edizione 5. - Bologna per Dall'Olmo e Fiorelli iSSy. ( Sono usciti i primi quattro fascicoli ). >|68 ETTERATURA caria in breve, rimettendola a tempi e congiuntu- re piii felici. Frattanto pregovi a far lieto viso alla biografia di Annibal Caro che vi oiFro a povero ricambio del J)el lavoro indirizzatomi, ed a significazione since- ra che ninno vi pregia ed ama maggiormente del Persiceto a' 10 di novembre 1838. Vostro affmo Gianfrancesco Rambelli. I n Civitanova, terra della marca d'Ancona, nacque Annibal Caro nel 1507 da civile famiglia, cui crebbe lustro la madre Celanzia figliuola di Mariotto Cen- tofìorini. Ebbe egli una sorella e due fratelli, Fabio e Giovanni, che fu padre di Gio. Battista e di Lepi- do. Fino dalla prima età lo assalsero tali domestiche strettezze, che a sostenere se e la famiglia dovè dar- si ad insegnare le prime lettere, ed appresso in Fi- renze farsi maestro a'tigliuoli di Luigi Guddi. In quest'ufficio rifulse sì chiara la beltà del suo inge- gno, ohe monsig. Giovanni Gaddi, toltolo al fratello, il fé' suo segretario, ed a Roma il condusse ove il priorato di Monte Granaro e la badìa di Somma gli ottenne. Annibale, che molto si era faticato ne'buo- ni studi, e in que'della lingua volgare specialmen- te, venuto in fama di scrittore elegantissimo di verso e di prosa entrò nella grazia e famigliarità dei piti chiari intelletti, dì cui Roma singolarmente fio- riva, e fu ammesso nelle accademie della virtù e Biografia di Annibal Caro 169 della poesia nuova. Belle mostre della grazia e bontà di suo stile die a questi tempi nel Commento di ser agresto al capitolo deifichi del Molza, nel- l'arguta Diceria dé'nasi^ e nelle Rime avute sì in pregio, che Laura Battiferri e Silvio Antoniano (clie poi salì al cardinalato ) non da altri che da lui vol- lero apprendere a verseggiare. Ne alle sole lettere restringendosi, molto si ad- dentrò nelle arti belle e nelTantiquaria, dilettan- dosi altresì in trovare acuti motti d'imprese, allora in grande uso. La dolcezza di questi studi e il servi- zio del Gaddi, die onorato ed utile gli tornava, ve- nivano continuamente amareggiati dalla delicata e noiosa natura del padrone: e già sarebbesi tolto a quel giogo, se monsignor Guidiccioni vescovo di Fos- sombrone e suo amicissimo non gli avesse rappacili- cali. Insorte però nuove cagioni di rammarico volle Annibale congedarsi al tutto dal Gaddi riparando presso il Guidiccioni, col quale essendo presidente di Romagna aveva dimorato alcun tempo, felice- mente riuscendo a ridonar pace e tranquillità a quei popoli, ed a que'luoghi perturbati da masna- dieri, e da interne sanguinose fazioni. Di tal nuo- vo divisamente risentivasi il Gaddi col vescovo di Fossombrone di guisa, che Annibale non si dipartì altrimenti da lui: e ciò a sua grande ventura, che poco stante (1541) il Guidiccioni morì. Di che egli dolentissimo, a testimonio di grato animo deliberò scriverne la vita: e già ne avea ricerche le prime contezze: ma, checche ne fosse la cagione, non ridus- se ad effetto il suo pensiero. Stette adunque col Gad- di fino al 1543, anno della morte di quel prelato: ed allora rimuse sciolto da ogni legame, se non che la bella rinomanza che di lui correva gli fé in bre.ve 170 Letteratura trovar nuovo signore in Pier Luigi Farnese, che sulla fine del 1543 il prese a segretario, e di tanti e segnalati favori il colmò, che uscito dalla mediocre fortuna potè soddisfar largamente al desiderio di comperare antiche medaglie, di cui col tempo ra- dunò una delle piìi ampie e doviziose raccolte. Gii sludi, ch'ei pose in quelle, il misero in voce di so- lenne antiquario: onde era sovente ricerco di suo parere da Costanzo Laudi e dal Panvinio che a lui intitolò il suo libro De antiqids romanorwm nomi- nibus. È fuor di dubbio che dal Caro sarebbonsi lasciati assai più copiosi frutti del suo ingegno, se maggior tempo ed agio gli avessero conceduto il servizio della corte, \\ pistrino^ com'egli lo chiama, dello scrivere, ed i viaggi che pel suo principe eb- be ad intraprendere. Nel 1544 infatti il vediamo spedito da Pier Luigi al marchese del Vasto gover- natore di Milano, affine di dileguare le ombre in- sorte per aver ricoverato Pietro Strozzi comandan- te francese, ed averne vettovagliate e ristorate le schiere. A portare escusazioni di simil fatta dovè pur recarsi a Carlo V, che allora coH'esercito tro- vavasi a campo nelle Fiandre. Appena è credibile a quanti pericoli si vedesse esposto Annibale pri- ma di giungere all'imperatore, che trovò in Sande- sire, ma che non giunse a placare verso il suo si- gnore, il quale di nuovo erasi condotto a cose che l'imperatore riprovava- Da Sandesire passò ad An- versa, indi fermossi a Brusselles, e finalmente rivi- de l'Italia, cadendo malato a Mantova pe'disagi e per le fatiche in quella peregrinazione sostenute. Frattanto il servizio del duca eraglisi fatto grave a modo, che omai volgeva nell'animo di sciorsene, tanto pili che scorgeva nubi procellose addensarsi Biografia, di Annibal Caro 171 sul capo di lui: di che più fiate gli scriveva da Mi- lano; ma Pier Luigi, sordo agli avverlimenti e mal provvedendo alia propria salute, corse al suo desti- no, rimanendo oppresso e spento da congiura il dì 10 settembre 1547. Annibal Caro, siccome colui che gli era fedelissimo e che nell'impensata tragedia ogni Lene aveva possibilmente operato , fuggì fu- riosamente di Piacenza, e per istrade fuor di mano giunse a Bressello, ove di poco il fallirono i caval- leggeri che inseguivanlo per ordine di Ferrante Gonzaga (altro governatore di Milano ) che il vo- leva in sua podestà per trarne i segreti farnesiani, che invano avea tentato cavar di bocca co'tormenti all' altro segretario Apollonio Filareto- Sottrattosi all'imminente pericolo e condottosi in Parma, ove si erano fortificati i cardinali Alessandro e Ranuc- cio Farnese ed il duca Ottavio figliuoli dell'assas- sinalo Pier Luigi, nacque fra loro bellissima gara di amore e di stima pel Caro, bramandolo ognuno per se. Ranuccio il volle dal duca, ed Alessandro il tolse a Ranuccio, e seco a Roma il condusse, d'onde da Ottavio venia novellamente richiesto- Anche Lm- manuele Filiberto di Savoia tentò tirarlo a se per segretario proprio: ma egli non consentì partirsi dal servizio dei Farnesi, presso i cjuali si fermò in Ro- ma , stando con Ranuccio fino al 1548, poi con Alessandro fino agli ultimi anni del viver suo , amato e di grandi beneficenze donato da entram- bi, che gli ottennero un canonicato in Avignone, una pensione sovra la badìa di s. Natoglia, la com- menda de'ss- Gio: e Vittore della religione gerosoli- mitana nella diocesi di Montefiascone, ed altra com- menda ancora. Come cjueste larghezze non poco il vantaggiarono, gli furono altresì spesse sorgenti di 172 Letteratura piati, o d aggravi pesantissimi, dovendo soccorrere di danaro la religione trovantesi in angustie e ne- cessilà, quando nel 155S l'imperador Solimano eb- be cacciati i cavalieri da Rodi : che dall'accorrere di persona a difesa della sede dell'ordine lo escu- sarono le molte faccende, la grave età, e l'essere acerljamente tormentalo dalla podagra, e forte ca- 'TÌonevole dearli occhi e dei denti- Che se valse a sfiigf^ire la contesa dell'armi, non seppe una di let- tere, di cui sono a dire. Bramando il cardinale Ales- sandro Farnese testimoniare solennemente la sua divozione alla real casa di Francia, fe'che il Caro (1552) la commendasse a cielo nella canzone » Venite all'ombra de'gran gigli d'oro. E perchè la più parte de'poeti del secolo XVI, atte- nendosi servilmente al Petrarca, non altro cantava- no che gli occhi leggiadri e le trecce dorate delle lor madonne, la canzone del Caro che per nobiltà di parole e di concetti e per grandezza di stile da Vi triti modi si discostava, venne magnificata come maravigliosa e quasi divina- A queste lodi non ta- cque l'invidia: ed Aurelio Bellicini modenese si fé a chiedere per lettera al suo concittadino Lodovico Gastelvetro che sentisse di tale componimento. Que- st'uomo di sottile e cavillosa indole, e che in gram- matica e poesia si reputava giudice siturissimo, in- vanito forse da simile richiesta, risposo con rigide maniere e severo disprezzo: Uart^onieiito della can- zone essere nullo-, trovarsi in essa molte parole vili., straniere e non usate dal Petrarca, scorgervisL contraddizioni, e forme di dire opposte alle regole. Allo spargersi di tale censura si tenne il Caro in Biografia di Annibal Caro Ì7Z prudente silenzio: dal quale imbaldanzito l'aristar- co, ricomparve in campo a viso aperto con una Di- chiarazione, cui seguirono quattro scritture contro un coniìnento alla canzone uscito nel 1554, ch'ei re- putò opera del Caro, sebbene questi costantemente lo abbia negato. Sollecitavano il Caro a rispondere gli amici, stimoiavanlo con befife gli avversari, in- sisteva con grande importunità il Castelvetro: onde che, gittata la pazienza, diedesi a scrivere VJpolo- gia, in cui finse che gli oziosi, i quali frequentano la contrada di Banchi in Roma, prendano la difesa della sua canzone, e che Pasquino collcgatosi al cri- tico vada raccogliendo gli scritti loro, e glieli man- di a mano. In fine dell'Apologia aggiunse alquanti sonetti alla maniera del Burchiello, eh' ei chiamò mattacini:, ed una corona di altri nove sopramodo virulenti intorno la morte di Alberico Longo che attribuivasi al Castelvetro ; il quale asserisce che simil corona era intcssuta per ornamento di capo assai maggiore del suo, e che il Caro per tema si era ritenuto dal pubblicarla. Compiuta Vy^pologia, la sottopose al giudizio de'suoi amici, e del Varchi singolarmente; ma non risolvevasi a porla in luce, forse conoscendo quant'era piena di rabbiose contu- melie, e di aspre e risentite forme, con cui lacerava da ogni parte il sno pertinace avversario. Singola- re è quanto narrasi dal Varchi, che cioè il Castel- vetro, mal soffrendo che si ritardasse la pubblicazio- ne dGÌVy^pologia, fé pregarlo a stimolare il Caro a rompere gl'indugi, offrendosi ben anco a sostene- re egli stesso le spese di stampa. Maravigliato il Varchi di proposta si strana, indusse l'amico a dare al pubblico quest'opera, che uscì in Piirma in casa di Seth Viotto nel 1538, promettendo egli di pren- 1T4 Letteratura derne la Jifenslone, ove il modenese avesse fatto, risposta. La quale non trascorsero 45 giorni che apparve col titolo dì Ragione di alcune cose segna-" te nella canzone di Annibal Caro « J^enite ec-, libro commendevole assai pep la moderazione tenutavi dall'A., che si astiene dalle villanie e dai modi rab- biosi e concitati, ma libro dì noiosa lettura per Io stile secco, severo, stentato, gremito di forme e pa- role che mal consuonano fra loro; ne punto avviva- to da que'graziosi motti, e da quelle gioconde figu- re che infiorano gli scritti di letterarie contenzioni» Fedele il Varchi alia data promessa, entrò in istec- cato prendendo a combattere gli opponimenli del Castelvetro nelC Ercolano o dialogo delle lingue, cui messer Loilovico, sebbene allora esule e ramin- go, volle contraddire colla Correzione di alcune co- se nel dialogo delle lingue del F'archi^ opera che per la sua morte rimase interrotta. Oltre il Varchi avevano già scritto in difesa del Caro Alberico Longo, Pietro Marzo, il Nizolio, il Capaccio, l'Arena e lo Zoppio. A ridurre a pa- ce animi si inveleniti tornarono indarno gli sfor- zi di Lucia Bertatia coltissima dama modenese, e l'interposizione di Alfonso li duca di Ferrara; che anzi, oltre la guerra degli scritti, altre armi ed al- tre arti usarono i contendenti a vicendevole detri- mento, giacche scrivono alcuni che il Castelvetro avesse parte neiruccisione d'Alberico Longo par- tigiano del Caro, e che inoltre rendesse sospetto al cardinale di Trento e al duca Cosimo l'emulo suo, che ebbe ad affaticarsi non poco pf-r ismenlire le dategli accuse. D'altra parte si afferma, die il Caro contribuisse a far condannare il Castelvetro all'esi- lio a titolo di contumace eresia ; ma queste cose Biografia di Annibal Caro 175 sono SI arcane e si controverse, che nulla si può in esse asserire con piena certezza. Di quistione sì ce- lebrata parlarono a lungo il Muratori in ofifesa del Caro; in difesa il Seghezzi, il Fontanini, lo Zeno , il Bottari; e professando imparzialità il Tiraboschi ed il Corniani- Se dopo questi chiarissimi lice en- trare nella cosa, pare che troppo furore spirino gli scritti del Caro, dal canto del quale stava in gran parte la ragione; e che troppa pertinacia e presunzione sia in quelli dell'avversario, che mai in menoma parte di quanto avea detto ricredersi vol- le. E mi rafferma in questa opinione 1' onorevole testimonianza di Torquato Tasso che (morti già i contendenti), fattosi a toccare tale controversia nel diàlogo il Cataneo, in favore del Caro la risolse, paragonando vantaggiosamente la censurata canzone coll'ode francese scritta da Pier Ronzardo sul sog- getto medesimo. Scandalosa di vero fu questa contesa, indegna al tutto d'uomini letterati e civili, da cui nondi- manco qualche buon frutto ebbe ad uscire : con- ciossìachè a lei dobbiamo VErcolano, dialogo utilis- simo e pregevolissimo, e principalmente V Jpolo- già del Caro opera scritta con infinita ricchezza, purità ed eleganza di lingua, piena d'uno stile lar- go, chiaro, fiorito e liberale; che, a far uso delle parole d'un gran maestro (1), contiene « molte uti- « li cose che assottigliar possono l'ingegno alla buo- « na critica, ed avvezzarci all'acutezza ed alla vi- « vacit'a de'motti, e delle risposte, le quali inno- « cenlemente, gentilmente e moderatamente usate (i) Parini op. t. 6 pag. 200. ^"76 Letteratura « a proporzione delle materie sono l' anima dello « scrivere apologetico ». Ma tornando alla vita d'Annibale, da Parma, ove per istamparvi l'Apologia si era fermato, passò a Roma presso il cardinale Alessandro, dandosi a raccorrò ed ordinare le rime e le lettere ijlusta i conforti del Varchi e le brame di Paolo Manuzio che promeltea pubblicarle. Rivolgea ben anche le cure alle sue versioni dal greco, e spezialmente al- la rettorica d'Aristotile da lui molt'anni innanzi vol- garizzata, al solo fine d'intenderla e rendersela fa- migliare, e rivedeva gli Straccioni commedia com- posta nel 1ò44 a compiacimento di Pier Luigi Far- nese sovra un soggetto allora fresco. Meritò questa commedia le lodi del Varchi e dello Speroni che, notatone alcun difetto, disse quanto alV esecuzione essere la pia bella che mai vedesse, piena di motti^ di spiriti e di proverbi comici. Ultimamente il Gin- guenè la giudicò una delle commedie meglio con- dotte del teatro italiano^ in cui i sentimenti delV amore sono espressi colla maggior passione e natu- ralezza. Ma, o perchè lento fosse l'autore nell'im- porre l'ultima mano a questi scritti, o perche il Manuzio non potesse cos'i presto imprimerli, finche il Caro stette in vita non vennero a luce. Già gli anni, le sofferte fatiche, e la cagionevole persona rendevangli oltremodo molesto e noioso il servizio di corte: onde, rivolto l'animo a vita più riposata e tranquilla, deliberò torsi a Roma, ove dagli im- portuni poeti, che coi loro versi il lodavano, era anche molestato in guisa da essergli venuto a schi- .fo perfino il nome di verso. Invitato perciò dal car- dinale Ranuccio, prese una villetta in Frascati, do- ve assai tempo stette, rivedendo e dando miglior Biografia di Annibal Caro 177 forma agli scritti suoi. Qui, trovandosi libero d'ogni molestia e servitici, in placidissimo ozio gli venne in animo di comporre un poema in verso sciolto: e prima di porvi mano, sperimentar volendo come sa- rebbe per riuscirvi, e mostrare insieme la ricchez- za e capacità della nostra lingua contro le sentenze di coloro che asserivano non poter essa aver poe- ma epico^ uè arte^ ne versi da esplicare concetti poetici^ si pose a tradurre l' Eneide di Virgilio, Considerando poi quanto fosse oltre cogli anni, e che la composizione d'un poema smisurata fatica e lunghissimo tempo richiedeva; comecché degno di poca lode gli sembrasse il traslatare da una lingua all'altra, pure avendo provato grandissimo diletto neir incominciamento della traduzione , si alacre- mente la prosegui, che in breve l'ebbe interamen- te compiuta. Grande sciagura fu certo che la vita non bastasse al Caro, come a Virgilio, per rivede- re e ripulire la Eneide, in cui il verso sciolto di basso ed abietto che era tenuto sali ad alto grado di splendore e magnificenza, avendo insegnato M. Annibale ad evitare l'uniforme collocamento degli accenti, a spezzare i versi a quando a quando, ad intrecciarli, a variare le distanze de'riposi, e a ve- stirli di tutte le vaghezze dello stile- La versione dell'Eneide, quantunque notata di poca fedeltà e d'alcun freddo concetto, è una bella infedele, e tutto può facilmente donarsi alla divina sua leg- giadria, tenendo ella tuttora il primato fra i non pochi volgarizzamenti di Virgilio: primato che niu- no le torrk finche dureranno in Italia i veri cano- ni del bello e del gusto. Laonde non fu esagerata la sentenza di Lorenzo Grasso dicente « che se Vir- « gilio scritto avesse nell'idioma toscano, migliore G.A.T.LXXVIL 12 178 Letteratura « non sarebbe riuscito l'eroico suo poema delVE- « neide della traduzione fatta in verso sciolto dal « commendatore Amiihal Caro : poiché così bene « trasportò la maestà di quelV altissima composi" « zione^ e imitando la forza delle parole, espresse « le sue parti, che parve che il Caro nato fosse « per sì degna opera, e per ingrandire di gloria « l'italiana lingua ». Non è ben noto quanto egli si fermasse in Frascati: ma dalle ultime sue lettere si raccoglie che trovavasì in Roma nel 1556, anno in cui, gravato dalle infermità, uscì di vita a'21 di novembre, ed ebbe sepoltura in s. Lorenzo in Damaso in un mo- numento, sovra il quale fu posta onorevole iscrizio- ne, ed il busto di lui, opera di Gio. Battista Dosio scultore valente. Molto notabile, ma non ben fortificato di pro- ve, è qtianto scrive il Muratori, che cioè cagione della morte del Caro fosse il non aver impetrato dal cardinale Farnese di rinunciare una commenda ad un suo nipote: di che venne in tant' ira , che chiese d'essere congedato. « Per il che il Farnese « (cosi egli) // cacciò con aspre parole, avendogli « prima rinfacciati i bene/Lcii fattigli, e specialmen- « te Vaver disfavorito il maggior letterato di quelV « età {il Castelvetro) .... Per le quali parole il « misero vecchio accorato, perduta la speranza di « accomodare il nipote, e la grazia del padrone che « avea tanianni servito, morì ec. » Non appena mancò Annibal Caro, che il nipote Gio. Battista prese a pubblicare le versioni di due orazioni di s. Gregorio Nazianzeno, d'un sermone di s. Cipriano, e della rettorica J Aristotile: cui fé seguire le rime e le lettere, di cui sopralFatto da Biografia di Annibal Caro 179 morte non die che il voi. 1.°, dovendosi il 2.° a Le- pido suo fratello, fattosi editore della traduzione deir Eneide e della commedia gli Straccioni. Rima- sero inedite la diceria di s. Na/issa, Dafni e Cloe di Longo sofista (versione molto forbita, che il Bo- doni a'nostri tempi die al pubblico in forma ele- gantissima): // trattato delle medaglie (1), la tradu- zione del trattato d" Aristotile degli animali^ il li- bro della natura dei pesci^ ed il volgarizzamento àe\V epistola di Tullio a Quinto fratello^ di due ora- zioni (di cui s'ignora l'argomento), e di alcune let- tere di Seneca pubblicate poi a'd'j nostri. Annibal Caro ebbe statura mediocre, aspetto non troppo bello, modesti e gentili costumi, atti- tudine maravigliosa al trattamento degli affari, ani- mo fermo nei rischi anche i più gravi, indole poi SI dolce e piacevole che gli procacciò numero gran- de di amici, di cui dilesse sovra degli altri il Gui~ diccioni, il Molza, il Manuzio e il Varchi. I più grandi uomini del secolo ne ammirarono l'ingegno, ed al suo giudizio sottoposero le cose loro, come il Varchi, il Guarini, il Vasari, il Salviati che l'invitò ad entrare nell'accademia fiorentina: al che non con- senti. Profonda e squisita cognizione ebbe della lin- gua volgare, in cui fuggendo le trascuratezze, nelle quali talvolta caddero il Castiglione, il Bonfadio, iì Segretario fiorentino; e d'altra parte l'artificiosa ri- li) Questo trattato era compreso in 4 volumi, parlando nel i delle illustri i'ariiiglie romane; inlorno alle niednglie degli augusti nel 2; a quelle delle auguste nel 3; versando il 4 su le greche medaglie. E da dolersi fuor di misura che un tal libro scritto di mano del Caro, comprato nel itì54 '^'^ Nicolò Einsio da uu li- braio di Roma, avesse a perire miserauienle iu un auutragio. 180 Letteratura cercatezza che scorsesi nel Bembo e nel Casa; seppe accoppiare la più disinvolta facilita e scorrevolezza a tanti modi pellegrini, a tanti fiori di stile, appa- rendo in ogni cosa sempre cosi polito e gentile « che si puh dire di lui quello che Elio Stilone di- « ce va di Plauto, die nella sua favella parlerebbe^ « ro le muse se venisse loro talento di parlare ita- « liano (1 ) ». Clic se nelle rime, lasciando le orme del Petrarca, seppe mostrarsi originale, parve tut- tavia che gitlasse i semi di quello stile raffinato e concettoso, che venuto in onore dappoi, spiegossi più largo ne'versi delio Zappi, del Redi, del Maggi ec. Le sue lettere ( di cui nuovi e bei manipoli sono usciti a questi giorni) splendenti d'ogni ele- ganza, di ogni grazia e d'uno stile purissimo, e sem- pre accomodato alle cose che trattano, il posero me- ritamente in fama di principe degli epistolografi nostri; fama che per volger di secoli non gli ver- rà mai meno. Grandissima fu poi Terudizione d'Annibal Caro; e mal giudicò per certo chi lo disse di dottrina al Castelvetro inferiore: che la sottigliezza e la gretta pedanteria non è dottrina, ed io sento col Fonta- nini, che il Castelvetro in nulla fu superiore al Ca- ro ne in verso uè in prosa, uè in latino ne in gre- co, ne in volgare. Di che non havvi giudizio più bello e sicuro del tacito e costante della posterità: conciossiacosacliè le opere di Annibal Caro, lodate ed approvate d.i'sapienti di ogni tempo, sono lette e sliidiate con frutto e piacere; e se ne moltiplicano tutto d'i le stampe; la dove quclledi Lodovico Castel- vetro pressoché dimenticate ed oscure si giacciono. (i) Perlicai'i, ScriUori del trecento pag. lyj- 181 Quarta rivista di alcune recenti opere italiane di archeologia. I. Sito di lioìna, di Giuseppe Riva vicentino - Pa- dova in 8° di p, 64, cofi una carta topografica. Ocopo dell'autore quello si è di fissare qual fos- se il vero sito di Roma antica : il mezzo adope- rato per ottenerlo, è di ricorrere agli oggetti che per natura loro sono invariabili; onde poterne de- sumere a dove fosse collocato quel primo giro di « mura, col quale sotto al governo dei re vennero « rinchiusi i sette* colli ; giro di mura , che per « quanto la citta divenuta regina del mondo si fos- « se poi ampliata, rimase sempre il medesimo en- « tro gli immensi borghi che più tardi lo cinse- « ro «. Por primo e fondamenta! punto di tale ri- cerca prende egli il campidoglio, perchè la natu- rai rupe che lo contrassegna esclude su di esso ogni dubbiezza; e dal campidoglio si volge a tramonta- na per cercare il vero sito delle prime mura. Leg- gano gli studiosi della romana topografia questa scrittura del Riva, e vi troveranno per entro de- duzioni ed asserzioni tali che sembreranno loro nuo- ve del futlo. Per accenniirne una, egli vuole che il Panteon non altro sia che il vestibolo della reggia: aggiunge: « Ci dicano piu'e quello che vogliono del « legamento dei muri laterizi e dei marmi , ma 182 Letteratura « sarà sempre ritenuto da chi non ha bisogno di « vedere cogli occhi altrui, che il portico del così « detto Panteon è assolutamente opera d'altro edi- « tìzio, trasportata ed appiccicata poi chi sa in qual « tempo a quel vestibolo; col quale perciò non sa « entrare, siccome cosa straniera , in ninna con- « gruenza di parti «. A dire il vero, l'immagina- zione nostra, assai men calda di quella del sig. Ri- va, non era giunta a supporre, che un portico co- me quello del Panteon potesse trasportarsi ed ap- piccicarsi. E non solo a quel portico toccò una tal sorte, ma toccò pure, secondo il N. A., agli archi di Costantino e di Tito; e non sappiamo il perchè non facesse e2:li nella sua fervida immaginazione un trasporto simile dell'anfiteatro Flavio. Se nep- pure i monumenti di architettura son tali da per- suaderci che furon essi innalzati nel luogo ove at- tualmente esistono; temiamo forte di non poter più conoscere cosa alcuna relativamente all'antica to- pografia. II. La statua equestre in bronzo di M. yiurelio imperatore illustrata e descritta con apposito ra- me.-Roma tipografia di Crispino Puccinelli 1838 di p. 23 in 8". E anonimo l'autore di quest'opuscoletto ; ma egli stesso in un avviso aWamico lettore, pieno di fattarelli storici, ci fa conoscere che non potendo parlare di quell'arte che ha studiata se non im- parata, e non amando di star in ozio, si è dato a contemplar le statue , e ardisce parlar di oggetti di antichità e di belle arti, die non ha imparato ne studiato giammai ; e si paragona a Dionisio il tiranno, che non potendo più comandare, che era Varte sua^ si die ad insegnare a'ragazzi. Protestia- Rivista archeologica 183 mo che le parole in corsivo son tutte dell'anoni- mo autore ; ed aggiungiamo che forse è lodevole Toccuparsi in iscrivere anche di cose che non si sono mai studiate ne imparate , specialmente per isfuggir l'ozio, non potendo scrivere di ciò che si e studiato se non imparato; ma che non ci sembra lodevole pul)blicar poi con la stampa tali scritti. Ne il celarsi sotto mentito nome, ne il non adope- rarne alcuno , salva sempre dalle conseguenze di uno scritto (ci perdoni l'anonimo) di una vera nul- lità. Ed infatti se togli da esso il racconto della statua equestre decretata a Clelia , se vi togli la questione sulle staffe se si adoperassero o no dagli antichi; e l'altra sul così detto metal di Corinto ; e quella terza sui freni ; per le quali cose furon messi a contributo J'rigelio, Baruffaldi, Invernizzi ed altri: l'opuscolo, giU di perse piccolissimo, di- minuisce in modo, che si avvicina quasi al nulla. Solo è rimarcabile in esso la molta liberalità del tipografo nello impiego a torto e a traverso delle lettere maiuscole. Almeno era da sperare, che nel- la città delle belle arti, il rame del monumento fos- se fedele! Signor no: guarda in viso cjuell'impera- dorc filosofo, e poi, fossi anche Anassagora, ti con- vien ridere. III. Sopra uno specchio etrusco di bronzo, cow getture dell' avvocato Gaetano De Minicis. - Peru- gia 1838, di facce 16 in 8." ;?§-. Nell'agro tuscanico fu, non è molto, escavato uno di quegli specchi manubriati, che una volta di- cevansi patere, e che patere vorrebbe nominare an- che oggiili il sig. Micali. Acquistato dal sig. Antonio Bianchi di Rimino, questi ne trasmise un calco al eh. sig. avvocato Gaetano De Minicis, richiedendolo 184 Letteratura del parer suo intorno ad esso: e il De Minlcis, cor- tese non men che dotto, soddisfece all'inchiesta pub- blicando queste congellure. Lo specchio è tutt'in torno circondato da un fregio di alloro incisovi nel lembo. A sinistra una figura, stante in atto piìi minaccioso che no, tiea l'arco con la manca, appoggia al fianco la destra , dalla quale cadono i lembi del manto che scendon dall'omero, e coprono parte della metk inferiore della persona, nel resto tutta nuda ; imberbe nel volto, una benda le tien fermi i capelli. Questi è Apollo: del che non lascia alcun dubbio il nome APVLV scritto nel bronzo a caratteri e con anda- mento etrusco. A destra altra figura quasi del tutto consimile, se non che tien di più agli omeri un ar- nese per sostener l'arco: il suo nome è ITE, che il N. A. per la deficienza della D nell'etrusco alfa- beto, legge IDE; e vi riconosce Ida celebre caccia^ tore di Gulidone, ricordato da Omero, da Apollo- doro, da Igino. In mezzo a queste due virili, è una figura donnesca che si volge minacciosa ad Apollo; un diadema ornato di gioie le cinge la fronte; ricco manto le scende fin sotto la tibia; i piedi sono or- nati alle calcagna di due lunule ; al di sopra del capo è scritto il nome di lei MARMIS. Narrano i ricordati autori come Ida rapisse Marpissa figliuola di Evenio re di Etolia, mentre Apollo la ricercava in moglie; e come questi ad Ida la rapisse in Messene. Per vendicarsi, Ida armato d'arco e di frecce assaltò Apollo : ma Giove pose fine alla contesa, ordinando che Marpissa di sua vo- lontà scegliesse in fra i due ; ed il prescelto fu Ida. Dunque la terza figura del bronzo è Marpissa ; e si rappresenta in esso la scelta per lei fiuta fra i suoi Rivista archeologica 185 due rapitori. Nell'arca di Cipselo era rappresentato il rapimento di Marpissa fallo da Ida; il primo anel- lo cioè di quella favola, lo scioglimento della quale si ha in questo specchio. La spiegazione del quale ci sembra che a])bia colto nel vero: come pure con- veniamo nelle ragioni che l'A. eh. adduce contro il sig. Micali; il quale vorrebbe questi specchi tutti di una età ; cioè del sesto o settimo secolo di Roma. Questo e un abbassare di troppo l'antichità di tali bronzi. IV. antichità della Sicilia esposte ed illustrate per Domenico lo Fnso Pietrasanta duca di Serra- difalco, socio di varie accademie- - Palermo 1834 e segg- in fol. gr. fig- {Finora tre volumi. - Voi- l P' Vili e 144 con le tavole-^ voi. II p. 110, e tav. 37; volili p. 160 e tav. 58. Di quest'opera per le illustrazioni dottissima , per la esecuzione magnifica, in tutte le sue parti ec- cellente, hanno già proclamato le ben meritale lodi assai giornali e d'Italia e d'oltremonte. Non doveva tacerne questo nostro che viene a luce in Roma, città che de'buoni studi archeologici può dirsi a ragione essere stala ognora la maestra. Ma se altri ci precederono nel darne diligenti e ragionati estrat- ti, noi staremo contenti di accennare quale sia la materia che nei tre volumi finora venuti a luce il sig. duca ha trattata. E dobbiamo pria d'altro no- tare, che se fu pubblicato il secondo volume innan- zi al primo , ne furon cagione alcune cave che si operavano nell'antica Egesla , le quali non erano state condotte a termine quando il nobile autore s.i propose di dare alla luce il suo lavoro. Il primo volume contiene una introduzione ge- nerale all'opera : quindi un ristretto dell'antica sla~ 186 Lktteratura ria dì Sicilia, cui va unita una bella carta topogra- fica, ed un quadro comparativo de'nomi antichi e moderni delle citta, dei fiumi e dei monti dell'isola stessa. Poscia, essendo il volume destinato all'illu- strazione delle antichità di Egesla, succedono alcuni cenni storici relativi ad essa città : se ne cerca l'o- rigine nel buio del tempi dopo la guerra di Troia : si dimostra come reggendosi a repubblica, e dive- nuta florida e potente, sostenne guerre contro Se- linunte, trionfò di Doneo spartano, combattè con Gelone di Siracusa, e contro i lilibei: ma vinta dai selinuntini, ricorse agli ateniesi, i quali la difesero per mezzo di Nicla. Poi cadute in basso le cose di Atene, chiese aiuto al cartaginesi, ai quali dopo va- rie vicende si ribellò; e spontaneamente quindi si die al romani, che fra le prime cinque citta liberi ed Immuni dell'Isola l'annoverarono. Sussisteva an- cora nel quarto secolo dell'era cristiana; e non to- talmente era spenta nell'undeclmo. Gli avanzi de' suol monumenti dimostrano quanto fosse grande e potente. Quelli descritti dal sig. duca son due; un tempio ed un teatro: il tempio è del genere di quel- li che 1 greci nominarono esastilo-periptero: di ca- rattere semplice, maestoso, robusto, risale ai pili bei tempi dell'arte greca. Ma gli egestanl mai noi condussero a fine, come è chiaro per molti argo- menti; e specialmente per mancare ogni traccia del sugrundio e della tettoia dell'edificio. Quindi l'A. N. ne deduce, che incominciato dagli egestanl in tem- po di loro prosperità, prima di sottoniettersi al car- taginesi (cioè 400 anni allo incirca innanzi l' era volgare), per le sopravvenute disgrazie non potes- sero terminarlo. Il teatro fu anch'esso opera greca, ma restaurata poi sotto la dominazione de'romani. Revista archeologica. 187 Il nobile autore scrive con molta dottrina, sia in- torno l'origine degli spettacoli scenici, sia sul luogo ad essi destinato, sia infine sulla differenza che era fra i teatri de'greci e quelli de'romani. Il secondo volume si riferisce a Selinunte, ed è diviso in tre parti. Comprende la prima la storia di quella citta i la seconda parla della topografia di essa e de'suoi templi; nella terza sono illustrate le metope rinvenute nelle sue mine. La fondazione di Selinunte, secondo Tucidide, data dall'anno 629 innanzi l'era volgare, da una colonia di megaresi: ebbe nome dal fiume Selinos, presso cui fu edifi- cata: trafficò coi cartaginesi, ad essi si uni in alle- anza, e ne soffri danno non lieve quando Gelone sconfisse Amilcare sotto le mura d'Imera. Tornata poi in amicizia con Siracusa, combattè gli egestani, sostenne l'assalto dì Annibale figliuol di Giscone ; ma dopo generosi sforzi di valore fu presa, ed i suoi edifizi vennero atterrati, le sue mura distrutte verso l'anno 409 avanti G. C. Risorta alquanto da si grave sciagura, i cartaginesi sul finire della pri- ma guerra punica, vedendosi costretti di abbando- nare ai romani le loro conquiste in Sicilia, barba- ramente prima la devastarono; e Selinunte cadde allora per non risorger mai più. Sette sono i templi ancora nelle ruìne riconoscibili: essi, tutti di or- dine dorico, appartengono ad epoche diverse: due per la semplicissima distribuzione della cella ri- cordano quelli antichissimi composti di una came- ra quadrilatera; quindi bene si desume, che son essi i pili antichi di quanti ne sussistono ancora, non solo in Sicilia, ma anche nella Grecia. Fra gli altri cinque il piìi vasto e magnifico è quello di Giove olimpico, di forma ottastilo-pseudo-diptero- 188 Letteratura ipetrOi con diciassette colonne nelle ale. Il prospet- to vien decorato da doppio portico divìso da quat- tro colonne : il peristilio, largo due intercolunni ed un diametro, gira tutt'inlorno alla cella. La su- hlimita di questo tempio è tale, che può gareggia- re coi più famosi d'Olimpia, d'Argo, di Atene. Die- ci sono le metope illustrate nella terza parte , e trovate nei ruderi dei vari templi. Tre sono anti- chissime : le scoprirono gli architetti Harris ed Angel fra le ruine di uno dei templi dell'acropoli. Rappresentano il Melampigo, il Perseo, e la lotta equestre di Pelope e di Enomao: portano impres- so il carattere dell'antichissima scuola dedalea. Due altre metope ci mostran l'arte assai pili migliorata, e somigliano i marmi di Egina; spettan esse ad uno dei templi fuori dell' acropoli. In una è Minerva nell'atto di abatter Fallante, nell'altra la lotta di Diana e Orazione. Le rimanenti cinque, spettanti ad altro tempio fuori dell'acropoli, per grazia, spon- taneità, castigatezza ed esattezza vincon le altre ri- ferite, e secondo il sig. duca di poco precedono l'età di Fidia. Rappresentano Minerva e Fallante, Apollo e Dafne, Diana ed Atteone, Giove e Seme- le, Ercole ed Ippolita. Due di esse erano già state scoperte nel 1823 dall'architetto Angel. Si riferisce ad Agrigento (la moderna Girgen- ti) il terzo volume, e viene al solito diviso nella parte storica, e nella illustrazione de' monumenti. La fondazione di Agrigento risale a 532 anni in- nanzi l'era volgare. Divenuta ricca e potente, soffri vicende ora prospere, ora contrarie; sino a che ve- nula in potere dei romani, questi la compresero fra le città decumane^ obhiigandola a pagare la deci- ma ed il tributo. Stabilita la vera situazione dell' Rivista archeologica 189 antica città, scrive il sig. duca degli ampi sotter- ranei del Gamico, i quali secondo lui non furono nella loro origine che cave di pietra necessaria al- la costruzione della cittk; convertite poi in altri usi. Fra i monumenti architettonici di Agrigento, illu- stra i templi di Cerere e Prosérpina, di Giunone lacinia, della Goncordia, di Ercole, di Esculapio , di Giove olimpico, di Gastore e Polluce, di Vulca- no, di Giove polieo ec. Le maestose ruine di quel- lo di Giove olimpico risalgono a piìi di quattro se- coli innanzi G. G. Ne scrissero antichi e moderni; ed il N. A. assai giudiziosamente corregge ora gli unì, ora gli altri; e tratta la questione del sito che occupavano in esso tempio i vasti telamoni (li di- cono comunemente giganti)^ de'quali restano mol- ti frammenti; e si unisce al eh. Maggiore, il quale portò opinione che fossero incastrati nella fronte interna dei pilastri della cella. Il tempio di Giove polieo può considerarsi come uno dei monumenti pili antichi dell'agrigentina magnificenza. 1 pochi avanzi di quello di Gastore e Polluce dimostrano che fu costruito nella miglior epoca greca , e re- staurato poi dai romani. Quel tempietto, che altri impropriamente chiamarono l'oratorio di Falaride, è dell' epoca romana , e secondo il sig. duca fece parte di un più vasto edificio. Cosi quel piccolo mo- numento, che vien detto il sepolcro di Telone, e che il d'Orville reputò essere il sepolcro di un ca- vallo di Falaride, pel nostro autore è opera roma- na, e non gik sepolcro, ma cenotafio. L'ultima ta- vola di questo volume rappresenta i quattro iati di un antico sarcofago; nel quale con lavoro ora buono, ora manierato, fu sculto il principio, lo svi- luppo e la catastrofe degli infelici amori di Fedra 190 Letteratura pel Bgllastro, con la trista fine d'Ippolito. Già nel secondo volume aveva scritto il sig. duca intorno alTuso dell'àrcliitettura policroma presso gli anti- chi; ed in questo terzo aggiunge nuove osservazio- ni e nuovi fatti per rispondere a quelli che per- sistono tuttora nella contraria sentenza. Continui il sig. duca la nobile impresa, sicuro di ottenere gli encomi non dalla sola Italia, ma dal- l'Europa tutta: perchè essa si lega alla storia dell' antica civiltà ; e presta assai luce allo studio delle antiche costumanze, alle scienze, alle lettere , alle arti belle. V. Jlla reale accademia ercolanese memoria del socio Bartolomeo Borghesi sopra un iscrizione del console L- Burbuleio Optato Ligariano^ serbata nel real museo. - Napoli dai torcili del Tramater 1 838, di p. 77 in S.*' Ogni qual volta vediamo fatto pubblico con le stampe un lavoro dell'egregio sig. Borghesi, siamo certi che molto profitto deve venire agli studi della veneranda antichi th. Questo vero, provato già per molti fatti, riceve nuova e bella conferma dalla me- moria che abbiamo annunziala. L' iscrizione, che l'autore chiarissimo imprende a dichiarare, è del tenore seguente: = L. BVRBVLEIO- L. F. QV1R= OPTATO. LIO ARIANO = GOS.SODAL. AVG.LEG. IMPERAT = ANTONINI . AVG . PII . PRO . PR. PliOV = SYRIAE. IN. QVO. liONOR. DECESSIT. LEG = EIVSDEM . ET . DIVI . IIADRIANl . PRO. PR. PROV = GAPPAD. CVR. OPl^R. LOGOR. Q. PVBL. PRAEF = AERAR . SATVR.V . PRO . GOS. SIGIL. LOGISTE = SYRIAE. LEGAT. LEG. XVL FL. FIRM. GVR. REI. P = NARBON. ITEM . AN- CONll ANOR. ITEi\l= TARRiGIN. GVRAT. VIAR. Rivista archeologica ìQì CLODIAE. CASSIAE = CIMINAE. PR. AED. PL. Q. PONTI. ET. BITHYN = TRIB. LATICE. LEG. IX. HISPAN . III. VIR . KAPIT = PATR . COL = RASINIA. PIETAS. NVTR. FILIAR. EIVS = S. P. P. L. D. D. D. = Chi fu l'amplissimo magistrato, di cui questa nuova epigrafe ci narra la vita politica ? Pur trop- po la storia non ne conservò notizia, e debbesi al nostro marmo l'averne risuscitata la memoria. Co- me di molti altri de'suoi tempi, uguale obbligazio- ne si debbe all'epigrafia. Anche della gente Bur- Luleia scarsissime sono le notizie ; e rapporto al nostro, non altro si può argomentare, se non che nacque da un senatore, come si dimostra dall'essere stato tribuno laticlavio; e da una donna della sen- te Ligaria; perchè verso i tempi, ne'quali egli fiori, tale era il costume; di prolungare cioè il secondo cognome in anus, togliendolo dal gentilizio mater- no. Dall'esser poi ricordate nel marmo le sue fiHie soltanto, pare che si conosca non aver egli lasciala prole maschile; quindi non farà specie clic della gente di lui non si trovino in seguito altre notizie. E questa una di quelle iscrizioni onorarie, le quali, secondo l'osservazione del Marini, seguono l'ordine inverso delle magistrature; cioè dall'ulti- ma ottenuta discendono alla prima; eccettuato il so- lo consolato, che come l'apice degli onori, a'qnali giungere poteva un romano, s'indicava subito dopo il nome, qualunque fosse il tempo in cui si era esercitato. Incominciando dunque dall'ultima maai- stratura segnata nel marmo, esso ci dice che Bur- Luleio aprì la sua carriera pubblica col triumvi- rato capitale, uno dei quattro tribunali che for- mavano il corpo dei vigintiviri istituiti da Au'ni- 192 Letteratura sto verso il 741. Passò quindi al tribunato militare con l'onore del laticlavo nella legione nona ispa- nica: della quale il sig. Borghesi traccia con assai accuratezza la storia, partendo dai tempi di Cesare il dittatore; e con buoni fondamenti opina che ver- so i tempi di Adriano fu totalmente appressa in Bretagna; e risorta poi, dopo il fiorir di Dione, ma con diverso titolo, di augusta cioè e di gemi- na. Passò quindi Burbuleio ad esser questore nel- la provincia del Ponto e della Bitinia. Il sig. Bor- ghesi lungamente s'intrattiene su questa parte dell* iscrizione, perchè da essa si apre la via ad ordina- re con migliori fondamenti la successione de'pre- sìdi di quella provincia. Il Marini, che ne ebbe fat- to anch' egli uno studio, portò opinione, che fin sotto Traiano fosse accaduto il cambio definitivo fra il senato e l'imperatore, e che questi avesse presa a se la Bitinia, cedendo al senato la Panfilia. Ma quella mutazione accadde quarant'anni dopo. Vero è che Traiano nella Bitinia mandò Plinio, che a Pli- nio succedette Celio Clemente, ed a Clemente Giu- lio Cornuto Tertullo; ma per certo dopo questi tre presidi imperatori la Bitinia ritornò al senato; e lo dimostra il N. A. per molti argomenti, che la bre- vità di c[uesti fogli non ci permette ripetere; e solo sotto Adriano, a dir di Dione, senatui sortique Bi- thjniae loco tradita est Pamphjlla. Seguendo la carriera delle magistrature di Bur- buleio, egli fu in appresso edile della plebe, quin- di pretore, e dopo curatore delle vie elodia, cassia e cimina. Di questi curatori delle strade con l'usa- ta sua diligenza e dottrina scrive l'egregio autore; e mentre il Marini confessò non conoscer bene qua- li e quanti si fossero, egli non rista dail'asserire che Rivista aiicheologica 193 furon otto: dell'appia cioè, dell'aurella, dell'emilia, della fiaminìa, della latina, della salaria, della va- lerla, e della elodia ricordata nel marmo di Biir- Luleio; cui spesso Irovansi unite, come in esso mar- mo, gli altri rami della cassia e della ciminia; e quelli per soprappiù dell'annia e dell'amerina e del- la nuova traiuoa, anzi di tre traiane; tutte strade che conducevano all' Etruria. Ma di esse la elodia era la principale; onde in altri marmi si lian cu- ratori VIAR . CLODIAE . E\: . GOHERENT^m/w, per evitare tanta lungag;^ol. 2.^ degli atti delt accad, volsca ve' liternap, 211 e segg.) Velletri 1837 8.° Non sono in questa dissertazione che alcuni cenni generali intorno i tegoli scritti del museo borbonico; piìi alcuni consigli dell'A. eh. onde leg- gere con precisione tal sorla di monumenti; e poi quasi ad esempio si recano tre figuline dello stesso museo con erudite annotazioni. Un dotto lavoro in- torno a ciò ebbe fatto il gran Marini; e non sono molti anni ci fu da un personaggio di luminosa fa- ma e dignità fatto sperare che sarebbe stato pub- blicato: e sì che meriterebbe di esserlo, con quel le giunte non poche che la terra ci ha rimandate sopra in un lasso di circa quaranta anni. Nella se- conda parte di questa dissertazione il eh. Guarini ci comunica vari monumenti novelli: cioè una gem- ma celanese : sei inedite iscrizioni latine , e sette nuovi sigilli che servono di giunta ai lavori già da lui pubblicati intorno que'bronzi, e de'quali par- 202 Letteratura lammo nella prima rivista. La gemma rappresenta un leone, ed intorno la greca leggenda MAr^NAG ; e crede il Guarini che spettasse al fratello del fa- moso Annibale. Fra le iscrizioni meritano esser no- tate quella dì un prefetto della quinta coorte dei breuci, e l'altra in cui sono ricordati due duumvi- ri venosini. XI. Spicilegio numismatico^ ossia osservazioni sopra le monete antiche di cit/à, popoli e re, Mo- dena^ tipografia reale 1838, di pag. 304 in 8.° Fra i piìi dotti numismatici, de'quali Italia ai tempi nostri si onora, un de'primi posti compete al eh. professore don Celestino Gavedoni custode del reale medagliere estense. Molte opere già da lui pubblicate gli procacciarono larga fama ; e questa sì farà anche maggiore por quella che abbiamo an- nunziata. Egli volle intitolarla i9/>/c//f?g/o, la dottri- na essendo in lui pari alla modestia; ma realmente è una ricca messe raccolta in quel campo vastissi- mo delle monete antiche di città, popoli e re: per- chè se cinquecento sono i diversi paragrafi, in cui questo lavoro è diviso, di molto superano il miglia- io le monete che furono sottoposte a nuovi esami e confronti. Uno studio profondo sui classici greci e latini gli fruttò la facilità di molte interpretazio- ni per altri non avvertite : specialmente sì occupò il dotto autore in raccogliere esempi dì tipi allusi- vi, siano queste allusioni semplici, siano composte, siano duplici. Anche produsse a luce alcune nuove osservazioni assai felici, e tentò spiegare alcuni tipi che altri nummografi avean creduto di disperata in- terpretazione; e spesso corresse que' dotti che sul campo per lui percorso avean fatta una ricca raccol- ta. Delle quali cose, secondo il nostro istituto, dare- Rivista archeologica. 203 mo glk alcuni esempi. Apriamo il libro a caso (co- me faremo anche in appresso), e notiamo i seguenti. Mesma ( Bruttii ): caput muliebre^ adversiim spicis coronatami adstltuto d'iota aut vase moneto. Il Millingen col Sestini vi ravvisarono una ninfa, e nel vaso il simbolo di essa : ma le spighe essendo proprie di Cerere, il N. A. vi ravvisa quel mito nar- rato da Nicandro, intorno a Cerere errante raccolta da Mesma^ che le porse a bere la prima volta, e la diva si bebbe ad un fiato e vuotò il vaso presenta- tole. = Solus (Sicilia): squilla vel adsimllis piscis, È piuttosto il pesce lOAHJN" allusivo al nome 20A0- T2. = Gaulos (insula ad Sicilìam) : allquid instar tintinnabuli vel pilei intra coronam. Poirebb'essere il vaso appellato ^auX^g. = Istrus (Moesia inferior). L'augello, che al Sestini parve uno sparviere, può alludere al nome I2TPIHNQN; avendosi da Esichio I^ITAS crmq noiog, che a parere de'comentatori è upc/^q accipiter. = Tomi (Moesia inferior) : figura eque- stris, s- bipennem. La bipenne a doppio taglio sem- bra alludere al nome della citta Tc/j(,jg e Topavg. = Mesembria (Thracia): circulus seu rota radiens. La particolarità dei raggi, che sempre circondano la periferia della ruota, induce il N. A. a credere che si volesse rappresentare un circolo meridiano xu/Xc- lx.Z(7TQp,^pivog per allusione al nome della città ME2H. MBPIAIXQÌN". = Buthotum (Epirus): Bos gradiens. Una vacca ^oug fuggì di sotto la scure sacrificale, e cadde morta sul sito dove si fabbricò la città, che perciò fu detta BcvOpoirog da Bovg e da row/^xa o rpo~ TTog. = Neocesarea (Pontus): rAAYKOG, ipse fiu- wus barbatus decumbens, d. pisceni ut videtur, s. urnae aquam vomenti innititur. Il pesce può esser il yXocuxsj posto in mano al fiume per alludere al 204 Letteratura nome di esso. = Isindus (Pamphylia) ; mutier in throno sedens, s. pateram et parvam fìguram super genua tenet. Sembra Iside con Oro inaintc, e fd bella allusione al nome IGINAEON. = Corcyra in- sula: sntyrus stans, \>inuin ex diota una in aliarrt cffundit. Questo tipo pone sott'occhio il gorgolio die fa l'umore uscendo da un vaso di collo alquan- to stretto; il che si disse y.op-Aopiyv]ì e fa allusione al nome K01?yivpEi2N; e segnatamente quello dei dioscuri, il piti ins'gne esempio di amor fraterno. Cosi in monete di Sardi, Druso e Germanico son detti NEOI GEOI (^IAAAEA$OI; e Caio e Lucio CAESARES GE- MINL Duplice può essere \ allusione nelle monete ÒÌIniera (Sicilia), in cui si ha il gallus gallinacens\ perchè se l'Eckhel osservò che il sballo e simbolo del giorno ([J.^pxg; come attributo di Esculapio può appellare alle terme salutari d'Imera. Se il Sestini notò che in monete di Critote ( Chersonesus thra- cia ) il j^rano e le spighe d'orzo indicano la fertilità del paese; anche il grano e le spighe d'orzo yìptOrj? al- ludono al nome della citta KPieOT^miV. Se l'Eck- hel in monete di Proconneso (Mysia) felicemente spiegò il tipo della cerva giacente, lasciò senza pa- role il vaso. È questo il vaso prochoos che aveva in Rivista archeologica 205 mani la vergine che si fece innanzi ai coloni mìiesii giunti a Proconneso, secondo che narra Io scoliaste di Apollonio. Tipo composto di composta allusione e in moneta di Cjpseln (Thracia): vas ansis superne instructum^ cui plerumque imminet luna crescens. La voce KT^EXivcoy deriva dalle due voci Ku;r£XX«j bicchiere o coppa, e QzkoYfj luna. Molte, come d'cenimo, sono in quest'opera le interprelazioiii nuove dei diversi tipi. Ne noteremo alcune. == Delus (insula Aegei) : colamba volnns ( AH inscrlptum laureae), Servio riferisce che le tre figliuole di Anio re di Delo, prese e legate da Aga- mennone, invocarono Bacco; quesLi le convertì in colombe; wide hodiecjit^ Deli colamhas violare fas est. = Ticebae (Bocotia): caput ApolUnis laurea^ tum) (0H . » . . Bus flcxts genibus anteriorlbus et cornupeta. Narra Apollodoio che Catlmo, per res- ponso d'Apollo, seguì \ìiVA giovenca della Focide, che trascorsa la Beozia, stanca piegò il ginocchio e si pose a terra sul silo ove poscia Tu Tebe. = Si- cyon (Achaia): templum^ hino inde cupressus et lier- ma. È il tempio di Esculape alla di- sfatta dello scita S-lilo. MegUo l'A. N. alla vittoria riportala dai romani sopra il re Antioco presso quella citta. In medd^lie di Lucira (Galat'a) si ha: figura nuda expansis brachis, quasi in aere libra- ta^ supra quam corona-^ iaxta alia parva figura ex- pansis bracluist infra quam ancora. Al Fcoelich una delle due fii^ure parve Sdeno: ma la prima, secon- do il racconto di CalTstcne, è Ancuro figliuol di Mida nell'atto di gettarsi nella vora;ì,ìne; la secon- da, il padre di lui in disianza, in atto di dolore; e l'ancora Avxupa: allude al nome del primo. Scris- se il Visconti che Alessandro I si cognominò Ba- ia dal nome della madre; nota il s'g. Gavedoni che da Eudocia è detto AXc^av^pcg o rcv Bxkx. Il Mion- net in medaglia di Tespie (Beoti.i) vide un apol- lo stolatus rupi insidens^ Ijram tenens'^ ma dee piuttosto dirsi Esiodo ascreo, perchè Pausania ri- corda come esistente a Tesp'c una di lui statua così atteggiata. Lo stesso nummografo fr.uicese reputa te- sta di Cerere quel caput muliebre reticulo ornatum, che si ha in medaglia di Tliebe (Mysi;i): ma per l'ac- conciatura della testa me:]flio dee credersi della nin- fa di Tebe che die il nome alla citta, e secondo lo scol'asle di Omero fu amala da Ercole. In medaglie di Cizico ( Mysia ) si ha: mulier seminuda petrae quadratae insidens^ ante quam stat vir galeatus ce- 208 Letteratura tera nudus. Il Sestini li disse Marte e Venere; airA. N. però, d'appresso ciò die narra Apollonio rodio, sembra l'eroe Gizico, che ragiona con la novella sua sposa elite. Il caput promissa barba in medaglie di Aegiwn (Achaia) fu dal Sestini detto di Giove; ma la fcarba distesa meglio conviene a Nettuno, ed e tipo allussivo al nome AIFIEQN. In monete di Cnido (Caria) intorno al caput nudum barbatum si legge T K T EHI TrnOAElTA. L' Eckhel spiegò le tre prime lettere Tu/vj Kyj^tiMV Tmoncx.: pel riscontro del- le monete di Mideo di Frigia aventi l'epigrafe TON KTIITHN MIAAEON intorno al busto del re Mida fondatore, anche in queste di Guido vuol leggersi To'j Kt£(7t>3V TpjoTrov, sottointeso tj^wcs o simil ver- bo. Non è un satiro , come parve aU'Echkel, quel- la figura stante con fislola nella destra e pedo nella sinistra che si osserva in medaglie di Mideo (Phrygìa): la forma caprina dal mezzo in giù lo di- chiara per Pan; e quel tipo viene spiegato dalla fa- vola narrata da Ovidio; cioè die Pan venuto a con- tesa con Apollo, ed eletti giudici Mlda e Tmolo, sa questi die la preferenza ad Apollo sonante la cetra, quegli lo die a Pan sonante la zampogna. E perchè il chiarissimo Gavedoni ad ogni al- tra cosa antepone l'amore del vero, e 1 incremento della scienza; cosi non solo altri, ma con onorevole sincerità corregge talvolta anche se stesso. Per e- sempio per le medaglie di Siris (Galabria) dichiara nelle giunte troppo leggiera la sua congettura; an- che perchè il Millingen restituì alcune di quelle monete ad Hipponiitm» Avea creduto veder Gerere violata da Nettuno in nummi di Patrae (Achaia) ; ma fattone accorto dallo Streber, la dice poi Luna amorosa di Pan. Ad Alea di Arcadia aveva attri- RtVISTA ARCHEOLOGICA, 209 bulto le monete col tipo di Fricso; ma in appresso col Millingen le restituisce ad jilos di Tessaglia. Forse piacerà a taluno conoscere se in quest* opera del sig. Cavedoni siano descritte medaglie non prima pubblicate. Una soltanto sembra a noi di averne incontrata: è in argento di quarta forma, ed anepigrafa. Spetta a Focea dell' Ionia : dalTuna parte ha il Phocapiscis per allusione al nome delia citta ; dal rovescio quadratuni incusum quadripar- tituin. Esiste nel medagliere di Modena; ed è simi- le a quello in oro pubblicata dal Sestini Mus, Fon, par. II, tw. VII, 9. Noi ringraziamo nel nostro particolare l'A. eh. del dono che ci ha fatto di un'opera di tanta dottri- na; e solo avremmo desiderato che alla fine di essa fosse stato un indice per facilitare le ricerche ed i confronti. XII. Sopra una moneta greco -egizia inedita del reale museo di Inorino, memoria delVavvocato F. Baracchi. Nel tomo XXXIX delle memorie del- la R. accademia delle scienze di Torino- Torino 1836. //.° Nella serie assai copiosa |delle monete dei La- gidi, una ovviamente se ne incontra con testa di donna coronata di uno stelo di frumento con la sua spica sulla fronte, ed intrecciati i capelli cadenti indietro. I nummografi la dicevano d'Iside, o di Ce- rere egizia: ora mercè del sig. Barucchi toglieremo quella medaglia dalle incerte, ed aumenteremo una regina alla serie di quelle d'Egitto. Perchè una di tali medaglie è nella ricchissima collezione del re- gio museo, cui l'autore chiarissimo presiede; ed es- sa mentre per il tipo somiglia le già cognite , è inedita per la leggenda che presenta; cioè dalTuna G. A. T. LX.XV1I. 14 210 Letteratura parte KA.E0nATPA2 BA2IAI22A2, e nel rovescio IITOAEMAIOY BAIIAEG-S: dunque l'immagine, che i nummoiirafi avean creduta di una divinitU, è di Cleo- patra rappresentata sotto sembianze divine. Molte però furono le Gleopatre; e convien cercare a quale di esse debbasi la medaglia riferire. A far ciò il N. A. incomincia a stabilire , come dappoiché si principiò dopo Alessandro magno a porre i ritratti maschili sulla moneta, tale onore non fu comunica- to alle donne o principesse, che sole o unite ad altri governassero in proprio nome; o fall, alle quali do- po morte furono accordati gli onori divini , o per singolar favore del consorte o del figlio , se viventij ma di quest'ultima classe sono assai rare. Per la prima classe non potrebbe la moneta in discorso convenire, se non che a Cleopatra cognominala Coc- ce , vedova di Tolomeo VII; ma essa nei nummi venendo distinta dalle spoglie dell'elefiinte , non può pretendere alla nuova moneta che si dichiara; come neppure può pretendervi la celebre Cleopatra di Marco Antonio, il cui ritratto è conosciutissimo. Ma ben vi può pretendere la prima Cleopatra mo- glie di Tolomeo V detto Epifane, e figlia di Antio- co IH re di Siria. La storia infatti ci narra, come fosse piena d'ingegno, e sapesse in difiicili circostan- ze conservare il trono al figlio, il quale per grati- tudine si disse Filometore: quindi non è da far ma- raviglia se dopo morte la onorasse di una moneta col di lei ritratto. Queste ragioni, e quelle che e- scludono le altre Cleopatre, e la convenienza dei simboli, e quella dell'arte, rendono l'opinione del sig. Barucchi non diremo probabile, ma quasi cer- ta: opinione che egli avvalora infine con l'osserva- zione dei lineamenti del volto , i quali ricordano quelli del padre, cioè di Antioco III come fu detto. Rivista archeologica 211 XIII. Ioan. Ani. Arri observationes in qid- husdam ahassidarani nummos atqiie in alia monu- menta arabico-cufica. Nel tomo XXXIX delle me- morie della reale accademia delle scienze di Tori- no 1836 in U!" Gimllcheranno i cultori di questi difficili stu- di dell'esattezza ed utilità dell'opera del sig. Arri : noi confessiamo di non essere in essi neppure ini- ziati. Il perchè dobbiamo starci contenti al dire, che . monumenti illustrati in questa dissertazione, e rappresentati in tre tavole litografiche, sono sette monete d. rame e due di argento spettanti ai califfi dei primi tempi dell'egira, oltre due pesi di vetro, e due specchi o talismani metallici. Nelle medaglie oltre . nomi dei principi e delle citta in cui furono i^atlute, si ha secondo il solito un testo preso dal ^oranoi e negl, specchi sono varie figure di animali e sentenze religiose. Queste cufiche antichità, ed al- tre raccolte dal cav. Lavy, furono da lui donate al- la reale accademia, e passarono ad arricchire il già dovizioso museo di Torino: esempio lodevolissimo di amor patrio, non meno che di Lei desiderio di giovare gli utili studi. XIV. Osservazioni sopra un quadrante di Fer- mo nel Piceno, esposte dalVa^vocato Gaetano De- Mmicis.- 1838, 8.° Il dotto Vermiglioli fu il primo a pubblicare quadrante, d, cui si scrive in quest' opuscoletto. I)a U una parte mostra una testa e tre globetti, dal- la tra una testa di bue di faccia , e leggenda a ca^ ratteri italici di tre lettere ; „„ digamma cioè, una I ed una R.ll valente professor di Perugia opinò che potesse spettare ad fe.o città sabina rammentata da Virgilio: e quel suo opinare arricchì con recon- 212 Letteratura dita e scelta erudizione. Ma prima il Delfico, ed ora il sl£^. De Minicis sostengono che quel quadrante spetta a Fermo nel Piceno : e la leggenda è in favor loro; perchè il digamma eolico fu talvolta adopera- to per F, onde nella moneta è scritto Fll^mu/n ; e ciò riceve conferma dal conoscersi che presso Fer- mo fa quel nummo trovato. Noi conveniamo piena- mente col sig. avvocalo, ed aggiungiamo che con- verrà correggere anche il Gualtani, che di quella moneta aveva fatto menzione come di cosa sabina nella sua ultima opera intorno quella provincia. XV. Strenoloi^la ovvero discorso storico-filo-' losico-nntiquario sull'origine antichità ed uso del- le antiche sirene paragonate con le mance ynoder" ne. Roma pel Paccinelll 1837, in 8-° di pag. 16, Quesl'opuscoletto non porta in fronte nome di autore: ma, se mal non ci apponiamo, ci semhra che rincognilo autore dell'altro opuscolo, di cui scrì- vemmo al N. Il di questa rivista, abbia partorito anche questo discorso storico-filologico-anliquario, e, se ben guardi, ninno del tre. Molti sono gli argo^» menti che ce lo persuadono, e i fattarelli de'quali s'ingemma l'avviso all'amico lettore, e lo stile ed il costume di toglier ad altri parte di quanto scrissero per impinguarne il proprio lavoro. .Ed infatti se tu togli a quest'opuscolo alcune cose che l'anonimo co- piò dal Lipenio, dal Bosio, e da altri, che cosa vi re- sterà di proprio? Vero è che l'anonimo si conlenta di dare alla luce o^-ni anno un solo libretto del vo- lume di questi due che abbiamo annunziati: cjuindl non affatica molto i compositori, i torcolieri, i letto- ri. E poiché egli dice di se stesso: Meciini hahito et nosco quani sit niihi carta supellex-^ la cortesia c'iii" segna a non dargli una mentita. G. C. 213 Notizie storiche sulla vita e sulle opere di Nic~ cola Ratti romano,, socio ordinario della pon- tifìcia accademia romana di archeologia. JLl palesate alle generazioni avvenire le gesle de- gli uomini ilInsLri non è solo un omaggio, che ren- (iesi alla loro virlù, ma eziandio un possente sti- molo agli altri per imitarne l'esempio. Per tale mo- tivo parlerò brevemente della vita e degli scritti di Niccola Ratti» il quale per la sua erudizione e pel suo ingegno fu benemerito non poco della let- teraria repubblica. Nacque egli In Roma il 19 di maggio 1759 da Giovanni Ratti e da Cecilia Haym, persone onora- te e dabbene. La famiglia era originaria di Genova, ed il padre attendeva al commercio. Mostrò Nicco- la per tempo animo retlo, ed inclinalo alle miglio- ri discipline. Consegnato nelle scuole pie alle ma- ni di que'benemeriti padri, raccolse assai di buon ora il frutto di una cristiana e saggia educazione. Giovanetto di pochi anni conosceva bene la lingua di Tullio e di Virgilio, onde in breve l'ornamen- to acquistossi delle umane lettere. Quindi il giorno 1 dicembre del 1772, toccando l'anno decimoquar- to della età, meritò aver luogo fra i varii^ quando quell'accademia, fiorita già in Roma fin dal 1688, 214 Letteratura ristaurata venne da Giovanni Battista Visconti, che ne fu principe, e ne scrisse la storia (1). Compiti gli studi filosofici, applicossi a quelli di sacra teologia- E vi attese cosi di proposito clic, fatto periglio di ardue questioni, il giorno 14 feb- braio dell'anno 1780 potè coronarsi del lauro con- sentito a coloro, che in tanfo difficile scienza dichiara- ti sono dottori. Lo si udì allora ragionare delle miti dottrine, e delle sante speranze dell'evangelio. Mos- so ancora da divoto affetto si recò a piedi in fino a Loreto, per venerare quel santuario famoso in tutta cristianità. Tale in somma si dimostrava ad ogni occasione, che primo de'pensieri suoi era aperto es- sere la religione: la migliore cultura del suo inge- gno, il secondo. Cosi fattamente fornito di studi lo chiamava suo segretario Cesare Zollio, nunzio apostolico nella Baviera. Il Ratti dell'onorato incarico rivestilo cor- se allora molta parte d'Italia, vide assai di Lamagna, e andò a porre stanza in Monaco, ove dimorò quasi due anni. Ma chi nacque sotto c|uesto mitissimo riso di cielo, incessantemente aspira al suol natio. Fu dun- que al Ratti fausto giorno e felice quello , in che rivide la patria, dove con più agio si diede agli studi suoi. Scrisse allora con sana critica e chiarez- za una lettera sopra ^Uccisione dei 306 Fah'd al la- go di Cremerà nella spedizione contro il popolo di Feia (2). (i) SI conserva manoscrilta presso il eh. sig. cav. Pietro Er- cole Visconti commissario delle antichità, e nipote degaissimo del suddetto. (2) Roma 1784 per Gioacchino Puccinelli. Notizie del Ratti 215 Non andò molto che il cardinal Conti, avendo in lui scorto un uomo di ottime lettere e di Lelia cortesìa di maniere, prescelselo ad istruire la gio- vinezza del duca Francesco Sforza Gesarini. É lavo- ro di questo tempo il volumetto, che porta il titolo: Memorie sulla vita di quattro donne illustri della casa Sforza , e di monsignor Firginio Cesarmi (1). Semplicità di stile ed accurata erudizione formano il bello dell'operetta, la quale fu come un preludio della pregiata storia, che da poi scrisse della gente Sforza. Questa storia (2), recata a compimento dal Ratti in onoranza di sì chiara prosapia, fu ricevuta con tanto plauso, che a lui meritò la stima dei dotti. Il chiarissimo Giuseppe Morelli, in quel tempo avvoca- to del sacro concistoro, formando giudizio di essa così si esprime: « Molti sono gli autori, che o trat- « tando delle famiglie illustri d'Italia hanno com- « pendiato le memorie ancora della nobilissima fa- « miglia Sforza, o singolarmente ne hanno tessuto « la storia. Meritava però una casa per tanti titoli « specchiatissima, e per un'immensa se rie di per- « sonaggi in ogni genere rinomatissima, un'opera « pili accurata ed esatta, ed uno storico piìi dili- « gente; e lo vediamo ora nella persona del chia- « rissimo signor Ratti, il quale .... ha saputo co'suoi « rari talenti unire tutte le parti di storico esatto « alle altre parti di eloquente scrittore. Una storia « sì ben corredata di monumenti e di esatte noti- ci) Roma 1785 per Antonio Fulgoni. (2) Delia famiglia Sforza parte I e li. Roma presso il Sa- lomoni, volumi due 1794 e nn5. 216 Letteratura « zie illustra molto la storia eziandìo più generale « deiritalia in quei secoli calamitosi ; onde quanto « con ciò rendesi più inferressanle, tanto più meri- « ta il plauso comune (1) ». E quel valent'uomo di monsig. Gaetano Marini, archivista della Santa Sede, autore della grande o- pera degli Àrvali^ con queste parole ne faceva il critico elogio: « La storia delta nobilissima casa « Sforza, che dà ora al pubblico il signor Ratti, è « COSI bella, erudita ed interressante, come quella « veramente si meritava: ed è ben cosa rara e pia- « cevole oltremodo di leggere raccolti in un solo «e libro, e di assai buona grazia scritti, gli elogi di « una non interrola serie di eroi in armi, in lelte- « re, in politica ed in pietà. Io mi rallegro som- « mamente col dotto e diligentissimo autore di un « opera si pregiabile (2) ». Nel medesimo anno i795 mandava in luce l'o- peretta latina: Selecta doctoriim Knrorum testimonia de Camilla F"aletitia, foemina sui temporis prae- stantissima, in unum collecta et adnotationibus au- cta. Molto onore riceve Camilla dalle testimonianze raccolte in questo volume; dalle note poi, che si aggiungono all'uopo, siccome agevolasi l'intelligen- za di alcuni passi, cosi vien luce alla prosapia illu- stre, di che uscì Camilla, ed alla etk in cui essa fioriva. Lo stile latino, che vi si osserva, ha il meri- to di una schietta eleganza. Ora stava bene, che un tal libro andasse fregiato deirinclito nome Valenti: e però il Ratti ne donò il titolo al cardinal Luigi (i) Yed. approvaz. della mentovata storia. (2) V. nel 1. e. Notizie del Ratti 217 della stessa famiglia, cui erasi da molti anni afifezio- nalo nell'onorevole incarico di segretario; tanto piìi che a ciò veniva stimolato dalla gratitudine. Impe- rocché l'ottimo cardinale avealo non poco giovato nel recare a termine la storia Sforza. Basti il dire, che possessore della doviziosa biblioteca del cardi- nale Silvio Valenti suo zìo, sialo maestro grandissi- mo di ragione politica, e dei maggiori e meglio au- torevoli uomini del suo tempo, attendeva con nobi- le studio ad accrescere quella dotta suppellettile, e con bella larghezza invitava i cultori delle lettere a farne loro profitto , fra i quali principalmente il Ratti, cui portava moltissimo affetto e slima. Per- ciò il lodato monsig. Gaetano Marini, raccomandando al nome dell'egregio porporato l'insigne opera sua degli Jrvali^ così di questo principe scriveva: « Ma « non è da far quivi l'apologia e l'encomio di tali « studi (di quelli delle antichità) e molto meno « avanti di voi, che ne conoscete i meriti sopra de- « gli altri, e gli amatori e coltivatori di essi, e di « tutte le buone arti con essi sì strettamente con- « giunte, favorite, proteggete e godete di avere del « continuo nelle vostre piacevoli conversazioni. E « lasciate stare molte altre cose ed imprese vostre, « ben provano quello, che voi in ciò che io dico, « valete e sentite, la vostra illustre e copiosa biblio- « teca (la maggior, credo, abbia in Roma alcun al- « tro del vostro venerabil collegio) la cjuale vi stu- « diate di accrescere ogni giorno più, e di rendere « a' vostri amici e servidori comune ec. (1) ». (i) V. la lettera dedicatoria al nom. VII ed Vili dell' ope- I ra: Gli atti e monumenti delfratelli arcali scolpiti già in tavola 218 Letteratuha Nominato dal duca Francesco Sforza Cesarlni archivista e quindi suo segretario, da questi due ragguardevoli incarichi tolse occasione il Ratti ad un nuovo lavoro, che fu la storia di Genzano (1), feudo allora dei Cesarini e al presente innalza- ta al grado di citta. Que* già commendati sogget- ti, il Morelli ed il Marini, che sì ben parlarono della storia Sforza, il pregio altresì ci dichiarano della storia di Genzano. Di questa così parla il pri- mo: » L'eruditissimo sig. Ratti, dopo avere con mol- « to plauso illustrata la storia delle due nobilissi- « me famiglie Sforza e Gesarini, si è impegnato ad « illustrare la storia della terra di Genzano...» « Non poteva questa storia trattarsi con più seve- « ra ed esatta critica, ne scriversi con uno stile più « puro , e qual si conviene ad un vero storico « ec. » (2). Ed il Marini: « L'illustre terra di Gen- « zano rimasta fino ad ora senza una sua partico- « lare storia, volendola avere ancor essa, ne esse- « re da meno delle vicine, non poteva al certo ve- « nire in migliori mani di quelle del signor Ratti, « che poc'anzi illustrò sì dottamente gli eroi delle « nobilissime famiglie Sforza e Gesarini . . . Ho letto « con molto piacere questa storia, perchè scritta a con molta critica ed erudizione (3) ec. ». di marmo, ed ora raccolti, diói forati e comentati all' eminentis- sima e reverendissimo card. Luigi yalenti Gonzaga vescovo di Albano. Roma lygS per Antonio Fulgoui. (i) Storia di Genzano con note e documenti. Roma 1797 nella stamperia Salonioni. (a) Veti, approvaz. della sloiia di Genzano. (3) V. nel 1. e. Notizie del Ratti 210 Correva l'anno 1797, quando il Ratti in visla della sua sperimentata dottrina venne altresì eletto segretario degli eccellentissimi avvocati concistoria- li nel collegio tenuto il giorno 15 di aprile. Al Ratti si rivolse nei più malagevoli incontri, come a fido consiglio, il cardinale Dugnani, che lo ebbe alcun tempo segretario. E poscia sua maestà il re Antonio di Sassonia gli diede incarico di particolari commissioni; anzi questo cospicuo personaggio nu- driva pel Ratti tanto affetto e stima, che uditane la morte, non potè non compiangerla ancli'esso, sicco- «ne una vera perdita (1). Ora succede ai letterari studi del Ratti una seconda epoca, nella quale si applicò pili assiduo alle ricerche dei tempi andati. Non dubito afFerma- re, ch'egli ciò dovesse al restauramento dell'accade- mia romana di archeologia, la quale in premio del- l'onorato nome, che sonava di lui, non esitò ad an- noverarlo ben tosto fra i suoi primi soci. Caldo di zelo pel vero onore dell'accademia, tenne in essa le parti della retta scuola romana , fondata da quel primo drappello, che si raccolse all'ombra del car- dinal Bessarione, e poscia del Leto, e che mantenu- ta venne dai dotti riuniti dai sommi pontefici Cle- mente XI e Benedetto XIV. La prima di lui dis- sertazione, che trovasi a stampa negli atti dell'acca- demia, si è cjuelia la c|uale egli lesse con plauso nell' adunanza del 24 settembre 1812, Sidla villa di Pompeo neWagro albano (2). (i) In lettera scritta al primogenito del Ratti. (2) V. Dissertazioni delV accademia romana di archeologia, toni. I part. 2. Roma per De Roraanis 1823 pag. 109. 220 Letteratura Non passerò sotto silenzio che, avutane OdCA' sione, circa questo tempo scrisse e pubblicò due laboriose lettere ad illustrazione delia nobill^.«ilma famiglia Conti: la prima delle quali porta il titoloi JJautenticltà degli alberi genealogici stampati pel sig. duca Conti Sforza Cesarini ec. E la seconda vie- ne intitolata: Nuos>i documenti in conferma deÌVa.it* tenticità degli alberi genealogici ecé e della vocd- zione dei discendenti di Federico Conti Sforza al" la primogenitura ec. (1 ). Inteso poi alla gloria vera di questa patria, e tenace delle venerande tradizioni della medesima, si recò difensore della gloria di Leone X (2); sosten- ne la impugnata denominazione del tempio della Pace (3); raccolse le notizie sulla vita non mai più escita in luce di Giusto de'Gonti romano, tanto ele- gante poeta del secolo XV (4). Fornito allor della copia di antica iscrizione rinvenuta nel territorio di Civita Lavinia, spettante alla citla di Lanuvio, di- visò illustrarla in ben ragionato discorso, che lesse nell'adunanza del 18 marzo ■1S24 (5). E l'anno se- (i) Roma 1821 per Crispino Pucci'nelli. (a) Lettera al sig. avv. don Carlo Fea, comntìssnrlo (telte antichità, sul parallelo di lui ^ Giulio It con Leone X, Roma 1822 per Crispino Puccinelli. (3) Sulle rovine del tempio della Pace ^ dissertazione di Nic- cola Ratti, socio ordinario dell' accademia romana di archeolo- gia, letta neW adunanza del i3 maggio iSaS. Roma i823 per Carlo Morda celi ini. (4) Sulla vita di Giusto Conti romano, poeta volgare del se- colo XF. Notizie esposte da Niccola Ratti al chiarissimo sig. doti. G. De MatthaeiSi professore di medicina nella università della sapienza. Roma 1824 per De Romanis. (5) V. Dissertazioni dell'accademia romana di archeologia f ìotìì. II p. 435 Roma 1825 per Filippo e Niccola De Romanis. / Notizie del Ratti 221 guente il di 9 marzo recitò nell'accademia stessa una bella ed erudita D issertazione sulla basilica liberia" na{\)f II massimo pontefice Leone XII, a quei dì re- gnante, conobbe il Ratti, ne apprezzò i meriti, ed il favorì con tratti di particolare affezione. Portatosi questi dal papa, veniva ammesso nel gabinetto in- terno, ove trattenevasi con Sua Santità in lungo e gradevol colloquio: e quando fu eretta la nuova cancelleria nella università della sapienza, per so- vrano volere a lui ne fu conferita la direzione col titolo di direttore* Ad una tal* epoca appartiene la Lettera che egli scrisse al sig. canonico Domenico Moreni sopra un preteso deposito di Michelangiolo Buonarroti. Avea il Moreni in una sua pregiata opera (2) del- le ragioni arrecato, per non dire quel monumento del Buonarroti. Il Ratti nella sua lettera, avvalo- rando queste ragioni, ed aumentandone il peso con altre ingegnose, dimostra il suddetto monumento non essere posto al sommo arlista, sì bene ad altro soggetto. E però il toscano chiarissimo filologo in conlracambio gli offrì una raccolta di lettere, nuo- vamente da lui pubblicate ed illustrale di uno dei più chiari e tersi scrittori fiorentini, Carlo Roberto Dati: ed in fine del libro volle altresì, che distesa fosse la lettera ricevuta, l'autore di lei chiamando nella prefazione al num. AO: Uno dei pia esperti archeologi dì questa nostra insigne metropoli^ au- (i) Roma 1825 per Giuncliì e Mordacchìni. (9) Illustrazione storico-critica di una rarissima medaglia rappresentante Binda Altoviti, opera di Michelangiolo Suonar' roti. Firenze 1824 pel Magheri. 222 Letteratura tore della dottissima dissertazione sulle rovine del tempio della Pace ec. (1). Applaudì finalmente 1' accademia romana di archeologia a quelle altre piacevoli e dotte disser- tazioni del Ratti: Sopra una iscrizione ficulense^ sca' \>ata nella tenuta della Cesarina, con la quale s il- lustra r antica Ficulea, che lesse il dì W maggio '1826: Sopra un antico sarcofago cristiano, da lui detla nell'adunanza del 10 maggio 1827 (2): Sopra gli stabilirne/Iti di pubblica beneficenza degli an- tichi romani, Iella il dì 22 maggio 1828: Sulle ope-* re di pubblica beneficenza dei cristiani deprimi tre secoli, recitata il dì 20 novembre 1828 (3), e fi- nalmente Delle arti in Italia nei primi secoli di Roma; della cognizione dei romani dei così detti vasi etruschi^ di Vetulonia città dell antica Etru- ria, che lesse per l'ultima volta nell'adunanza del di 8 luglio 1830 (4). Ne solo con lo scritto, ma eziandio coU'opera prestossi per l'accademia stessa^ esercilando le funzioni di tesoriere: alla qual cari- ca fu due volte rieletto. L' accademia di religione cattolica avealo già scritto suo membro: e l'anno 1829 nell'adunanza (i) V. il libro col titolo Lutlere di Carlo Roberto Dati. Fi- renze 18-25 presso il M.tgheri, dedicato al eh. sìg. Niccola Ratti socio ordinario dell'accademia archeologica di Roma, ove iu fi- ne è riportata la lettera del Ratti al Morenì, ("2) Ved. Dissertazioni della pontificia accademia romana di archeologia, toni. IV pag. 49 e 255. Roma i83i per Giuseppe Lrancadoro. (3) V. Dissertazioni dell' accademia romana di archeologia, tom. Ili pag. 3^5 e 4o3 per Simone ftlercuri. (4) V. nel ]. e. al tom. V pag. iSg. Roma i835 nella stam- peria della rev. cani, apost. Notizie del Ratti 223 del 30 luglio fé giustamente plauso alla importante di lui dissertazione, nella quale dimostrò che: La necessità della ris>elazione è provata col sentimen- to universale di tutte le nazioni, e dei respettivi loro legislatori (1). Aveva disposto alla stampa, anzi incominciato già a por sotto i torcili, le Notizie della chiesa in- terna del romano archiginnasio (2) ; ma la morte gT invidiò di veder pubblicala questa elaborata e pregevole opera. Ciò che abbianj detto sin qui le orme in vero ci disegna di un uomo, che in mezzo ad offici tanto gravi quanto onorevoli, sostenuti con l'approvazio- ne e con la stima non solo di quelli, co'quali trat- tava, ma eziandio di ben altre persone , e d' alto rango e merito, felicemente si procaccia un corre- do di non volgare dottrina: e però in Niccola Rat- ti abbiam veduto l'uomo letterato insieme ed uti- le alla società per la sua vita pubblica. Ora tocchiamone brevemente la vita privata, Ja quale non fu men bella, ne men degna di ammi- razione. Uomo di candido costume, di somma inte- grità, e di naturale tranquillo, l'anno 1805 contrat- te avendo le nozze con l'egregia donzella Girolama figlia di Pietro Angelotti, pittore di chiara memo- ria, visse sempre con essa concordemente, ricam- biandola con uguale affetto. Amò di cuore i figli , due maschi ed una femmina, premuroso attenden- do alla loro educazione. Violenta infermità gli rapì (i) La dissertazione si conserva inedita, ed è registrata gli ani dell'accademia. (2) Roma 1833 por Giovanni Olivieri. 224 Letteratura la consorte, la quale pianse amaramente; suo unico conforto furono allora i figli. Esempio di molta te- nerezza, si levava già vecchio sul primo mattino , onde fare alacri i tìgli ai doveri di religiosa pietà, e a quelli delle scuole. Prova ancora di non ordina- ria softVrenza, dopo le fatiche del giorno, egli me- desimo nella sera in quelle ore, che libere avea, e che pur da lui chiedeano un qualche riposo, faceva loro da mneslro nel cammin delle lettere, finché videli bisognosi di guida. Per la gravita del tratto si guadagnò la sogge- zione, e l'amore per la gentilezza dei modi, e piìi pel cuor leale e benefico venne in sommo grado ac- cetto a quanti il conobbero. Fu assai parco nel ci- bo, non beveva vino, comechè non ne fosse aste- mio: nemico degli agi, nelle diverse circostanze del vivere adaltavasi con facile contentamento. Di ani- mo forte nelle avversila, allegro e piacevole nel conversare, moderato poi in tutta la vita ; e sebbe- ne potesse agevolmente salire ad onori e titoli, pu- re non se ne curò: onde non usci mai di quella vir- tuosa mediocrità, che ottimamente si confaceva alla rimessa sua natura. Per ultimo quei semi di cristiana pietà e reli- gione, che fin dalla prima eia in lui germogliaron fecondi, coH'andare del tempo sempre plìi si rese- ro fruttuosi. Divoto dell'augustissimo sagramento, di frequente visitavalo nelle chiese, siccome pure coti- dianamente assisteva ginocchione all'incruento sacri- ficio della messa. Era eziandio particolarmente devo- to della gran madre di Dio, dei ss. apostoli Pietro e Paolo, e di s. Filippo Neri. In somma in lui fu visto un vero ed esemplare cristiano. Ed è pur vero, che la morte è un compendio della vita, e tale suol essere qual ella fu; giacche il Ratti in quel punto mostrò Notizie del Ratti 225 /chiaramente, quanto egli fosse stato virtuoso e dabbene. Ricordano di lui parole di affetto caldis- simo, e piene di cristiani sentimenti dette ai figli dal suo letto di morte : quindi col crocifisso, che teneva in mano, benedisseli per l'ultima volta, chie- sta già avendo a tutti gli astanti umile perdonanza, e poi quietossi nel divin beneplacito. Avea sofferta con animo costante una dolorosa malattia, e nel ve- dersi vicina la sua dipartita, protestò di non aver cosa, cui si dolesse abbandonare, fuori solamente i figli. Finalmente munito di tutti i conforti della religione, accompagnando la mente e le preci del- la chiesa, come lieto in placida calma spirò fra re- ligiose parole di speranza e di pace il giorno 12 gennaio 1833. E per quella singoiar divozione, che portava alla SS. Vergine e a s. Filippo Neri, nella ultima sua volontà dispose, che nella chiesa di san- ta Maria in Vallicella de'padri filippini giacessero le sue spoglie mortali ; dove nella nave di mezzo sulla lapida sepolcrale leggesi la seguente iscrizione: A :^ Q. NIGOLAO . IOAN . F . RATTI . ROMANO VIRO . ANTIQVAE . VIRTVTIS IN . SACRIS . HVMANISQVE . LITTERIS RE . MAXIME . ANTIQ VARIA CLARO gvi MVLTA . PVBLICA . PRIVATAQVE . MVJNERA NITIDE . OBIVIT VITAE . MODESTIA . ANIMIQVE . CONSTANTIA PRAECIPVVS GOMITATE. IVSTITIA . BENEFICENTIA CARVS . OMNIBVS VIXIT . ANN . LXXIII . MENS . IV . DIES . VII DECESSIT . III. 10 . lAN . ANNO . R . S . MDCCCXXXIII lOANNES.ET . FRANCISGVS. CVM . CAROLINA.SORORE PATRI . OPTIMO . DESIDERATISSIMO MOERENTES . MONVftlENTVM , POS. AVE . DVLCIS . ANIMA ET . VALE . IN . PAGE G.A.T. LXXVIl. 15 22G Letteratura Il Diario di Roma al n. 7, 23 gennaio del medesi- mo anno, ne pubblicò all'istante un breve ma ele- gante elogio. In tal guisa compi Niccola Ratti la sua lunga ed onorala carriera, e trapassò con gloria quell'istesso sentiero, che \ più degli uomini corrono oscuri di ogni nominanza, toccando, come suol dirsi, di un passo que'due termini del nascere e del morire. Gio- vino queste mie rozze parole, come nel principio si diceva, non solamente a ricordare tra i poste- ri la memoria del Ratti, ma a far sì che altri an- cora ne seguano le vestigia; ed allora vedrannosi fiorire i regni di ottimi cittadini e di egregi let- terati. 227 Pensieri intorno alFindole ed alle vicende della poesia. E gli è un fatto generalmente riconosciuto, la poe- sia di buon' ora esser giunta ad un notabil grado di perfezione tra nazioni aflfatto ignare della maggior parte delle arti e delle scienze, e presso le quali le poche arti e scienze conosciute non si estende- vano ancora al di là dei loro informi e rozzi in- cominciamenti. Ed è pure noto bastantemente, co- me le poetiche produzioni delie età susseguenti non solo quel grado di perfezione non abbiano superato, ma ben di rado vi sieno giunte vicine, non ostante che le cognizioni si aumentassero, le altre arti in ge- nerale facessero grandi progressi, e continuamente si andassero ingentilendo i costumi. Degno è al cer- to di considerazione che la poesia, questa regina del- le arti belle e figlia veramente del cielo, la quale valse a dare il primo impulso alla nascente umana famiglia nelle vie della civiltà, crescesse a tanta altezza in tempi privi di coltura, e che col proce- der di questa, anzi che a piìi cospicua altezza le- varsi, sia dalla primiera piuttosto discesa: e più di una volta siasi veduta ridotta in sì basso e misero stato, che non è nuova ne di pochi l'opinione, che la poesia coH'accrescersi e diffondersi la luce del- la filosofia dall'umana natura, siccome un altissimo ingegno si esprime, ognora pili si dilunghi. Ma pri- ma che sifiatta sentenza possa essere accolta per ve- 228 Letteratura ra, fa di mestieri ii ricercare, se la medesima ne- cessariamente consegua dall' intima essenza della poesia stessa, e quelle cagioni, dalle quali il de- cadimento di questa dipende. Al qual proposito si osservi, che non tenendo conto di cause puramente accidentali, è da vedere se esistano cause di tal na- tura, che sorgendo quale spontaneo frutto, in forza dei necessari rapporti delle cose nel corso civile del- l'umanità, spieghino una fatale azione, per la qua- le venga la poesia a perdere il suo splendore e la sua efficacia, c|uanlunque per molte altre parti lo spirito umano si avanzi nel suo intellettuale e mo- rale perfezionamento. Al seguilo di simili indagini soltanto si può sperare di trovar la ragione delle vicende, cui la poesia andò sottoposta, e di riusci- re a stabilire alcunché sopra i destini di lei. Desi- deroso che altri con maggior proposito, e con forze pili adequate, intraprenda tali ricerche, io non fa-' rò che proporre alcuni pensieri: non sentendo in me ne la capacita, ne il coraggio bastante per ab- bracciare l'argomento in tutta la sua estensione. Da taluno l'essenza della poesia si fece consi- stere nella imitazione: non si avvisando, che l'imi- tare è proprio non meno di altre arti, e che la poe- sia molte volte, particolarmente nel suo stato di produzione spontanea, non ha modello alcuno, cui si proponga ad imitare. Da altri fu riposta nella fin- zione: ma era da por mente, che quelle, che dicia- mo finzioni negli anticlii poemi, se tali sono per noi, e se per tali sono state accolte nei tempi di maggior coltura, tali non furono nel nascer loro. Esse invece furono naturali e spontanei concepi- menti e modi dì vedere dello spirito umano, dipen- denti dal suo grado di sviluppamento. Ed in fatto Pensisri sulla Poesia 229 (jM^og (favola) in origine volle significare vera nar- ratio, parlar vero. Che se in seguilo ebbe contrario significato, ciò stimo che avvenisse perchè svanite certe naturali illusioni, la realtà delle cose non fu trovata rispondere alla maniera, con cui fu prima concepita ed immaginata. Qui sta ancora , secon- - bia che una languida e fredda poesia , immerite- vole di tal nome. Dal che si rileva, la poesia eser- citare sullo spirito umano una tale azione, per la quale le sue facoltà non si restano interamente pas- sive, ma vengon fortemente eccitate a porsi in azio- ne : il quale eccitamento ed azione tengo per fer- mo che somministrino la pili gran parte del piace- re, che alla poesia è dovuto. E facile poi scorgere, che nella definizione so- 234 Lett^eratura pra riportata rimane ben distinta la materia poe- tica dalla sua forma esterna, la quale è appunto quel linguaggio articolato, atto a trasfondere nelT altrui animo quello che nel nostro proviamo, nel- la percezione di un oggetto Bello, importante ed imperfettamente conosciuto. Non si terranno qui parole intorno alla forma esterna della poesia, per- chè le questioni più gravi non cadono su lei, ri- spetto alla quale può dirsi che si posseggano co- gnizioni assai giuste. Imperocché piti d'una volta essendo stata scambiata coll'essenza stessa della poe- sia , è stata forse a preferenza della materia stu- diata, illustrata e portata ad un certo grado di per- fezione. La maggior difficoltà, la maggior contenzio- ne e dubbiezza , è appunto intorno alla materia propria della poesia , e qui ordinariamente è di- fetto maggiore. Adesso è opportuno vedere perchè la poesia prima fra le arti belle, e tra popoli lontani anco- ra da una colta e soddisfacente convivenza, arrivas- se al suo pili alto grado di splendore. A produr- re poesia si richiede, come fu visto, un oggetto bello, importante, imperfettamente conosciuto, che potrà dirsi oggetto poetico; si richiede V inspira- zione poetica, che è appunto TefFetto che sull'ani- mo dee produrre la percezione dell'oggetto poetico, cioè quella commozione, di che fu sopra parlalo, e per aver la quale altro non si richiede, se non che quell'oggetto si offra allo spirito, e lo spirito abbia una conveniente facilita di percepirlo sotto vari rapporti, e che l'immaginazione sia sufficien- temente provveduta di materiali, ed alta a metter- si in azione, ed i nostri affetti bastantemente pron- ti e vivaci. Avuta cosi la materia poetica constitui- pEÌNiilERI SULLA PoESL4. 23^ ta dalla percezione dell'oggetto poetico e dalla in- dotta inspirazione, non rimane che il linguaggio poetico ad avere perfetta poesia: e questo deve es- ser tale da trasfondere in altrui le nostre idee, i nostri sentimenti, i nostri affetti, coll'efficacia mag- giore. Se per poco ad esaminar ci facciamo la si- tuazione delle prime rozze ^enti, agevolmente ci persuaderemo con tutta ragijne essere stato detto che « gli uomini del mondo fanciullo furono per natura poeti «. E per verità per essi verificavansi le sovraccennate condizioni. Loro si dispiegava in- nanzi una natura doviziosissima, per varietà di og- getti, per grandiosi e stupendi fenomeni sublime , per minacciosi cataclismi tremenda. Talmenlechè uomini col solo diritto di padronanza su ciò che ri- guardava la loro sussistenza, soggetti a mille ma- li , circondati da mille pericoli , della ragion di molti fenomeni della natura ignari, schiavi dei sen- si e di una indomita fantasia, regolata da fortuite associazioni e da grossolane analogie, non potevano a meno di non restarne fortemente maravigliati e commossi. Il loro pensiero, vinto dall'impeto degli eccitati affetti, non potea fermarsi tranquillo su i presenti oggetti, ma doveva oltre a quelli trasvolare; perchè è proprio delle umane menti, ove il cuore sia fortemente agitato, e la ragione circondata di te- nebre , lasciarsi trasportare sull' ali della facoilli immaginatrice col sussidio delle analogie oltre il confine ove han termine le cognizioni positive. Il linguaggio poi essendo limitato, dovea riuscir pie- no di vivacissime figure; e pieno di efiicacia e di energia, perchè scarso di vocaboli astratti , dovea presentare gli oggetti per le qualità e i caratteri pivi notabili ed importanti: e pieno di verità, perchè 236 Letteratura nato spontaneamente per associazioni, analogie d naturali trasporti. Tal linguaggio pertanto sponta- neamente seguendo all' impressione dagli oggetti operata, esser dovea. in un modo mirabile fedele e potente interprete d^i concelti e moli dell'animor Ed ecco spontanea ofirirsi la materia , e spontanea la locuzione poetica, e spontanea quindi, come del- le altre arti e dei pr'ncipii stessi delta filosofia è avvenuto, sorgere la poesia qual naturale produzio- ne dello spirito umano. Non si dee creder però , che adulta e perfetta nascesse, siccome di Pallade si favoleggiò tutt'armala uscita dalla testa di Gio- - ve I ma adatta e perfetta si die a vedere assai pri- ^ ma che le altre arti belle, ed assai prima che le scienze uscissero dalla culla. Anco la poesia ebbe ' poi rozzi principii ; ma allorché gli uomini senti- rono i beni di una società incivilita, il loro lin- guaggio si era ingentilito, senza esser divenuto so- verchiamente copioso, e senza aver perduto della sua primiera energia e del natio candore : e la loro mente si fu arricchita di notizie in modo da non es- 1 sere stupida o lenta, ma nemmen raffinata e colta; | ed il cuore ebbe cominciato a sentire i piìi soavi af- fetti, senza che da freddo calcolo venissero ancor | soffocate le sue più ]>elle e sublimi emozioni : allo- ra per la poesia rifulsero i giorni più avventurosi. Ella ha poi questo di vantaggio sopra le altre arti sorelle (fatta al più eccezione pel linguaggio di azio- ne, e sotto certo riguardo pel canto), che non ha bi- sogno di soccorsi tolti alla natura esterna per la sua espressione, riducendosi questa ad una produ- zione spontanea dell'essere umano, e dal di fuori non ha d'uopo che di stimoli e di occasioni : tanto che i suoi lavori possono dirsi quasi interamente Pensieri sulla Poesia. 237 figli della mente e del cuore. Laddove da quelle al- tre, per l'espressione si richiede l'acquisto di suffi- cienti cognizioni; e di un certo impero sulla natura esteriore, ed una conveniente destrezza e raffina- mento dei nostri organi. Ciò che non si può cos» presto conseguire. Altro vantaggio ha poi la poesia sulle arti essenzialmente imitatrici, perchè la per- fezione di queste dipendendo dalla conformità dei loro prodotti con un modello o tipo esistente in natura, sono necessarie molte osservazioni e l'esat- ta conoscenza dell'esemplare, il che parimente vuo- le una certa lunghezza di tempo : intanto che per la poesia non vi è questo assoluto bisogno, per- chè in quel genere, che deve essere stalo il più antico, cioè il lirico, quando è spontaneo, non può dirsi che si proponga verun modello a ritrarre. Ma la cultura avanzandosi al di là di certo se- gno, si vide la poesia abbassarsi dalla sua antica maestà, e talora venire anche travolta in segnalate aberrazioni. Savie ragioni a spiegazione di questo fatto furono addotte , e queste non poteano desu- mersi, che da un qualche cangiamento avvenuto per uno o per altro modo nell'uomo. Imperocché il ri- manente della natura tale si è mostrato nelle fortu- nate età, quale nell'età di decadenza e nell'età fa- mose per infelici ardimenti: e le mutazioni indotte dall'industria umana ne toccano, dirò cos'i, appena la superficie, e si riducono a tanto poco, che ben può dirsi che sempre si sieno offerti i medesimi og- getti, i medesimi fenomeni, le medesime tìsiche leg- gi. A coloro, che l'essenza della poesia riposero nel- la finzione, facile si offre il modo di sciogliere la questione: perchè in tempi di maggiori lumi, l'a- more del vero fa ributtare le finzioni, ed il numero 238 Letteratura dei creduli e grandemente diminuito : e cosi ogni poesia verrebbe a spegnersi. Ma quella sentenza di sopra si è dovuta rifiutare. Non si saprebbe meglio convenire con chi pretende, che giunte le arti bel- le ad una certa eccellenza, anzi che vieppiìi salire, se si cerchi spingerle ad una perfezione maggiore, piuttosto discendono da quella stessa altezza che toc- carono. È valga il vero, a che tale opinione si ap- poggia .** al fatto ? ma è del fatto appunto che si vuol render ragione. Che se voglia farsi dipendere dall'indole delle arti belle, e dal concetto della loro possibile perfezione, farà di mestieri dimostrar pri- ma: che il bello non possa mostrarsi sotto moltipli- cate forme, e che allorquando le arti del bello co- minciano a decadere, altre bellezze non sia possibile aggiungere, o che del bello siensi esaurite tutte le fonti. Viene dai fisiologi accarezzata l'opinione, che col progresso del viver sociale vada l'umano orga- nismo soggetto a mutazioni, e che quindi ne av- vengano rivoluzioni nel gusto. Sono io ben lonta- no dal voler contrastare quelle mutazioni : ma di- rò bene, che voler render ragione con esse dei ri- volgimenti del gusto, non è piìi che formare un'ipo- tesi, a favore della quale non si hanno fatti ne nu- merosi ne bene accertati, e che non lascia vedere ne le connessioni, ne le leggi di tali rivolgimenti. Se in tale opinione vi ha qualche parte di vero , questa s'incontra allora solamente che trattasi delle applicazioni del gusto in certi casi ed a certi ogget- ti speciali, non già quando si tratta delle grandi vi- cende del gusto in generale, e dei suoi fondamenta- li principi!. In etk non molto distanti, e nelle quali quei cangiamenti nell'organismo non possono esse- re che lievissimi, diversissima si scorge la sorte e le Pknsieri sulla Poesia 239 condizioni delle arti Ijelle. Quei cangiamenti stessi non fanno che rendere più delicati, più squesiti i sensi, e però meglio atti a farci distinguere e senti- re più vivamente le diverse impressioni: ma non si vede, che ne mutino l'essenziale constituzione, o che ne travolgan le leggi. Come poi ammettere tan- to rapide e notabili variazioni indotte nel senso estetico, nel tempo stesso che altrettanto nei sensi esterni non si osserva ? Vi è ancora chi ha creduto potere aflfermare, che nei piaceri dello spirito e nel- le opere del bello avvenga quello, che nei piaceri sensuali suole avvenire, che cioè « usandone senza economia, Fuomo diventi logoro, ed alla sazietà ar- rivi ed al fastidio. « Perchè vien detto, se una fibra animale viva viene per la prima volta scossa, reca seco il piacere della novità, ma in seguito quella specie di energica resistenza all'impressione dell'og- getto va degenerando in un'abituale e pieghevole facilita, e talvolta cade eziandio in una vera atonia: ed allora la primitiva sensazione gradevole si scema e decade fino alla noia, ed anche al dispiacere: e pe- rò si continua a dire: » Raggiunto il bello e l'otti- mo, fa l'uomo ogni sforzo per allontanarsene; poiché l'ottimo in qualunque genere non potendosi variare, od oltrepassare senza peggiorare, non si può evitare dal non cadere nel mal gusto, e dal non subire sem- pre nuove ed assai più rapide rivoluzioni ». Ma nep- pure per tale spiegazione, che, come ben si vede, è parimente da riporsi tra le fisiologiche, è possibile acquietarsi. Primieramente, ancora che potessero ve- nirci a sazietà certe opere del bello, nelle quali si fosse raggiunta la perfezione, siccome si vorrebbe, non si vede perchè l'arte debba per necessità de- cadere. Perchè si può avere, come già fu osserva- 240 Letteratura to pocanzi, il bello sotto variate forme: ne pare che rottenuta perfezione in una, abbia ad impedi- re che ugual perfezione ottener si possa nelle al- tre. Ciò tanto è vero, che in diversi tempi, e tra diverse nazioni, si sono vedute apparire opere ma- ravigliosamente belle, e nel tempo stesso assai di- verse, per una particolar forma e genere di bellez- za. Se il campo, nel quale la poesia si oserei fa, è vasto quanto l'universo, chi potrà mai limitare le belle produzioni dell'arte? Non si sono veduti, quan- do meno si sarebbero aspettati, sorgere portentosi ingegni, aprirsi una via intentata, destare la nostra ammirazione, con offrirci nuove stupende bellezze? Ma quella sazietà, quella noia , si conferma dall' esperienza, dall'osservazione di ciò, che nel nostro organismo suole avvenire? Perchè al piacere sac- ceda l'indiflcrcnza e la noia, fa d'uopo che prece- da l'intemperante uso del piacere medesimo: Ìjl <^ual cosa non credo che avvenga sì. agevolmente pei pia- ceri dello spirito. Osserverò ancora, che anche die- tro l'abuso, la sazietà e la noia il piìi delle volte han breve durata, e può tornarsi ad assaporare con egual soddisfazione quel piacere medesimo. Di piìi l'esperienza ci mostra, che sovente la novità stessa è disgustosa, ma che il senso, col rinnovarsi dell* impressione , vi si può accostumare e prendervi>j sommo diletto: che anzi il frequente uso può ren- derci piacevole ciò, che per se medesimo non sareb- be, e vediamo l' abitudine diventare una seconda natura. Potrebbesi c[ui riportare in prova un ester- minato numero di fatti : ma ciò sarebbe un fare inutile pompa di non difficile erudizione. L' amo- re a certi suoni, a certi sapori, a certi luoghi, a certi costumi ec. si vedrebbe appunto figlio in mol- Pensieri sulla Poesia 241 tissimi casi (lell'abitudine. Si vedrebbe ancora, co- me in forza di questa, moltissimi bisogni si pos- sono ingenerare nel nostro organismo. Se dunque la supposizione di quella sazìetk, stanchezza, noia, non ci vien confermata dai fatti meglio accertati del nostro organismo medesimo ; se la ripetizione e la consuetudine può anzi molte volte produrre un contrario effetto: è evidente, che se nel senso estetico si osservano notabili e rapide rivoluzioni, queste non ad una legge della nostra fisica costi- tuzione, non alla diminuita energia, od all'indotta atonia nelle fibre animali, non alla sazietà, ma ad altra particolare cagione si deve attribuire. Se ve- ramente quella diminuita energia o quell' atonia producesse le rivoluzioni del gusto, i suoi effetti dovrebbero manifestarsi in un modo notabile in ciascuno individuo: ma invece si osserva, che chi è dotato di buon gusto, ordinariamente lo conserva per tutto il tempo del viver suo, e non si stanca mai di meditare le opere dei sommi: che anzi ogno- ra nuove bellezze vi scorge, ognora vi prova un nuo- vo diletfo. Si vede egualmente che quelli, il cui gusto fin dalla tenera età fu depravato, per lo piìi sempre cosi lo conservano. Ora perchè in ciascuno indivìduo non dovrebbe vedersi il passaggio fre- quente e rapido dal buono al mal gusto.'' Perchè invece si osserva, che il gusto di ciascun individuo, meno cause particolari, non va soggetto a grandi cambiamenti ? Ma anco quando tali cambiamenti avvenissero nel gusto degl'individui, come con que- sti spiegare il gusto generale dominante in una eth? Dalla storia delle belle arti sappiamo avvenire nel gusto generale delle alterazioni, e queste avere una certa durata, e nelle novelle generazioni ancora G.A.T.LXXV1I. 16 242 Letteratura continuare. Or come può incontrare, che in queste si manifesLì indifferenza o disgusto per le grandi opere dell'anlichith piuttosto che per quelle , che sono fruito di una recente corruttela ? Se da sazietà e noia dipendono le rivoluzioni del gusto, le ul- time e più conosciute e meditate produzioni do-^ vrehbero tosto cedere il posto alle antiche : tanto piìi poi ammettendosi la superiorità della bellezza di queste. Confesso inoltre, che adottando una sif- fatta spiegazione, non trovo facile il comprendere, come i periodi di energia e di atonia delle fibre a-.^ nimali, per una medesima specie di bello nei sin- goli individui, possano nella massima parte di essi esser talmente sincroni da dare origine ad un gusto generale e dominante. Ma, se io mal non mi avviso, la fermata defini- zione della poesia ci somministra una più aggiu- stala spiegazione della sua apparente insociabilità coi progressi dell'incivilimento. A misura che va dirozzandosi la mente umana, ed ampliando le sue cognizioni, molli errori, molte illusioni si dilegua^- no, e coll'ignoranza in molli casi vien meno la sor- presa, la maraviglia figlia di essa. Gli oggetti ven-« gono riguardati sotto nuovi e moltiplicali aspetti, e cangiano quindi le impressioni, che dai medesimi traggono origine. Relativamente alla bellezza può accadere, che oggetti riguardati come belli, in se- guito come tali non sieno pili ammirali: non già perchè mutabile sia la natura del bello, ma perchè gli oggetti che al pensiero si offrono, essendo per lo più compostissimi, e potendo venir considerati per molti lati, spe.^so meglio conosciuti, si scorge non pili convenir loro certe qualità, per le quali si stimavan belli: ovvero nuove qualità ed aspetti si Pensieri sulla Po-sia 243 considerano in essi, o ad altri oggetti di contrario effetto vengono associati in guisa, che dietro l'ef- fetlo risultante non possono piti dirsi belli. Ed ac- cade ancora, che al seguito dello svilupparaento dello spirito umano nuovi oggetti vengano presen- tati dal mondo morale, dotati di somma bellezza, e talora di una bellezza superiore a quella di quanto prima si conosceva. Più grandi cangiamenti si ve- rificano intorno alla reale ed opinata importanza delle cose, pel variare e moltiplicarsi degli umani bisogni nel progresso del viver sociale. Vi è un tem- po in cui l'uomo appena può provvedere ai bisogni più immediati ed urgenti: ed il procacciarsi il vit- to, il ripararsi dall' inclemenza degli elementi, il difendersi dalle fiere, tutta esauriscono la sua at- tività. Vi è un tempo, in cui trovato modo più faci- le a provvedere a quelle prime necessita, si comin- cia a sentire il bisogno di opporsi a coloro , che ci vorrebbero impedire il libero godimento delle cose più essenziali alla vita e toglierne il possesso: si comincia a gustare il vantaggio dell'umano con- sorzio: la forza fisica, il valore, il comando sono in sommo pregio. Van dappoi pullulando in altro tem- po mille nuovi dcsidcrii : si addolciscono i cosfumi: la potenza morale si pone al di sopra della tisica: l'amor della gloria, l'amor della patria, gli affetii di famiglia tengono luogo delle men geniili pas- sioni. E COSI di mano in mano col voii^er dell' età si vede il cuore umano aspirare a cose diverse, e l'uomo dispiegare la propria attivitk in ordine a nuovi intenti. In guisa che cjuello, che in una eia è di somma importanza ed in sommo pregio, tale più non è per la seguente, nella quale altri og:,etti di preferenza tengono il campo. Non è poi dillicilc il 244 Letteratura comprendere, che pel movimento delle umane co- noscenze quelli oggetti, che ci circondano ed imme- «liatamente ci si offrono, venendo meglio conosciuti, e quindi sempre meglio soggetti all'arte, ciò che su essi può eccitare i nostri affetti, viene ognora più ridotto al suo giusto valore: la loro opinata impor- tanza viene molto scemata, e cessano almeno in gran parte di essere stimolo ad un interessante esercizio della fantasia. Imperocché ove la ragione estende il suo impero, e perviene ad una sufficiente congnizio- iie di ciò, che più vivamente interessa i soccorsi della fantasia ed i prodotti di lei, si rendono meno necessari e meno frequenti. Però questa, a misura che quella dilata i suoi confini, sembra ritirarsi, co- minciando essa i suoi più stupendi lavori colìi ap- punto, ove ha principio la nostra ignoranza intor- no a ciò , onde siamo fortemente colpiti. Pertanto se gli oggetti, che possono ammirarsi come notabil- mente belli, variano nei diversi stadi della vita del- le nazioni : se necessariamente variano, al variare delle idee e dei costumi, gli oggetti capaci di de- stare un grande interesse: se finalmente intorno agli offffetti meslio conosciuti la fantasia non trova ba- stante eccitamento: egli e evidente che quelle cose, le quali in un tempo valevano ad accendere nell'a- nimo poetica fiamma, e ad inspirare canti sublimi, doveano perdere in seguito la loro facoltà inspira- trice. E venendo cosi meno per parte delle cose, che l'uomo circondano, la poetica inspirazione col pro- cedere delle cognizioni intorno alle medesime, non solo gli uomini in generale cessarono di essere na- turalmente poeti, ma rarissimi ancora divennero quelli, che per singolare altitudine sortita dalla na- tura, tiivorita da particolari circostanze, e per una Pensieri sulla Poesia 245 special cultura del loro ingegno valsero a ricavare nuova materia poetica, ed a trarre ancora splendi- de faville da ciò, che per la moltitudine si era fat- to gelido e muto. La qual cosa poi non all'arte, ma bensì ad un esquisito sentire , e ad una elevatezza di mente giovata da una conveniente situazione, è da attribuire. La mancanza della naturale , o sia spontanea inspirazione, non solo produsse il deca- dimento e quindi il languore, ed anco talvolta la totale mancanza e il discredito della poesia, ma die origine eziandio a due particolari traviamenti; l'Imi- tazione pedantesca, e l'innovazione arrischiala. Di- venula la mente umana spettatrice di cose, che più non valevano, o poco ad eccitarla, e che pili non le parlavano linguaggio poetico, si cominciò ad imita- re 1 sommi che precederono, non già facendo nella rispettiva situazione di luogo e di tempo ciò che da quelli fu fatto nella loro (nel che sta la retta imi- tazione ) ma trattando i medesimi argomenti, ov- vero simigliantisslmi, col pensieri, cogli affetti, col- le tinte di quell'età, che piìi non era: solo di pro- prio aggiungendovi il freddo, e lo stento d'un' età non destinata a produrre spontanea poesia. Ma non si tardò a riconoscere siffatta aberrazione, e si cre- dette poter ravvivare la poesia svolgendola sotlo nuove forme. Generoso pensiero, ma che mancando la spontanea inspirazione, e mancando un assenna- ta dottrina della ragion poetica, onde illuminare il cammino, commettendosi alla fortuna fé rompere in funestissimi scogli. Questa fu l'epoca delle inno- vazioni arrischiate. Tale fu quella mal augurata del seicento per l'Italia, e molto piìi per la Spagna. In un tempo, in cui le scienze facevano sorprendenti progressi, vedcvansi le recenti produzioni delle ar- 246 Letteratura ti belle troppo rimaner minori al confronto delle antiche. Se io non m'inganno, in quel secolo di fi- losofico rinnovamento non potea non sentirsi da o- gnuno il bisogno di progredire, il bisogno di ces- sare di essere i copiatori e gl'imitatori servili degli antichi. Caduta era dì questi l'autorità, la ragione rivendicava i suoi diritti, la filosofia ne incoraggia- va coi pili fortunati successi. Confidenti però si ac- cinsero all'impresa. Troppo è noto quale ne fosse lo sventurato risultamento: intorno al quale non istarò a far parole , poiché dovea solo mostrarsi quale fosse la causa del decadimento della poesia: appartenendo ad altre e piìi speciali indagini, e di- pendendo dall'esatta conoscenza dell'indole dei di- versi tempi, il render ragione perchè la poesia nel- la sua decadenza abbia preso uno od altro avvia- mento, siasi bruttata per una o per altra guisa. Se la poesia avesse a riguardarsi quale arte di sterile diletto, e che solo valesse ad alleggerire la noia ed ì mali della vita, non così grande certa- mente sarebbe la sua importanza: ma tale pur sa- rebbe, che qualunque sua vicenda non dovrebbe mirarsi colla noncuranza. Ma ella è arte dì somma utilità : quindi ì suoi destini debbono stare a cuo- re di ognuno. Vi è chi ha creduto la poesia non meno che le altre arti belle essere mezzi e dover- si indirizzare all'istruzione dello spirito, ed al mo- rale miglioramento degli uomini. Ma questa senten- za suppone, che possa aversi verace poesia, e che nulladimeno tali effetti non produca; nel che non saprei convenire. Io per vero dire non credo, che a parlare con proprietà, la poesia abbia essenzialmen- te uno scopo fuori di se. L'istruzione ed il morale miglioramento non sono veramente il fine cui può Pensieri sulla Poesia 247 0 no l'ntli'rlzzarsi la vera poesia: ma sono invece suoi naturali e necessari frutti , nel tempo stesso che scopo suo proprio cri immediato è quel diletto, quella commozione che la verace materia poetica convenientemente espressa dee produrre nell'ani- mo. È sotto questo punto di veduta, che la poesia può a buon dritto considerarsi come « un alto sa- cerdozio, che inizia gli animi alla religione dei puri e generosi sentimenti «;; e r;ome valevole istrumento di civiltà. Tale essa fu allorché superò la rozzezza delle prime genti, e a (^rado a grado le condusse a più dolce e riposato viver civile, ed allorché pie- gò indomite cervici alla riverenza d'un nume, e in rozzi petti destò l'amore della gloria, della patria e delle virtìi. Se in tempi piti felici pei progressi delle cognizioni e dell'industria dovesse la poesia dileguarsi e far divorzio dall'uomo innanzi alla lu- ce della filosofia, certo che verrebbe a mancare un gran motivo d'intellettuale e morale perfezionamen- to. Ma dopo ciò eh' è slato sin qui ragionato, non pare che si possa intorno a ciò accogliere verun li- more. Si è veduta venir meno la spontanea inspira- zione, e quindi originarsi la decadenza della poesia: ma non per questo si potrà affermare, che vera ma- teria poetica, valevole ad inspirare, non possa l'uo- mo procacciarsi, e che alla spontanea non possa so- stituirsi la procurata inspirazione. Se gli oggetti , che ci circondano e ci si offrono immediatamente, pei noti aspetti non sono più bastante eccitamento, ben possono essere nuovi oggetti scoperti , nuovi aspetti, nuove leggi, nuove imponenti verità. Ma questa nuova materia non si offre di per se, ne a tutti : bisogna cercarla e saperla cercare, bisogna avere le opportune conoscenze. Dall'altro canto seb- 248 Letteratura l)ene Tessere umano si vada modificando nel corso dei secoli, non muta però le sue leggi fondamenta- li, le sue fondamentali attitudini : e quindi non può credersi, che divenga incapace di gustare e di produrre verace poesia. Egli è vero che nuove co- gnizioni, nuovi rapporti, nuovi costumi si avvicen- dano: ma a traverso a tanta varietà, quella medesi- ma umana natura traluce ancora nel fondo. Ora è pili, ora è meno sviluppata: or li si mostra a pre- ferenza per un lato, or per l'altro : ma ad onta dei diversi svolgimenti, delle diverse forme che assu- me, è sempre quella: cambiano gli oggetti della sua attività, le sue facoltà rimangono. Grandi vizi, gran- di virtù, tremende sventure, lusinghiere speranze, scienza mista a molta ignoranza, vi furono, vi sono, ne alcun prevede quando piìi non saranno. A ra- gione dunque si potrà dire, che la poesia per se stessa è durevole quanto l'uomo, e che essa vivrà finche all'umano intelletto rimaranno verità impor- tanti a sapersi, e finche l'uman cuore palpiterà al timore e alla speranza, e sarà aperto al patimen- to e alla gioia. Gli oggetti poetici varieranno, non si offriranno più spontaneamente, sarà anche mol- te volte non agevole il rinvenirli, ma non posso- no mancare. Nel tempo stesso poi, seJ)bene la poe- sia debba variare alle diverse età nei suoi oggetti, rimarrà eguale a se stessa nella sua essenziale na- tura. Essa si discosterà da ciò, che maggiormente divien noto e familiare, e si ridurrà sul confine dei mondo nolo coll'ignoto. In essa si conterrà sempre una parte di reale ed una parte d'immaginato, o, come impropriamente dicono, finto, il quale appun- to comincia ove comincia l'iernoranza nostra intor- no alle cose, che fortemente ci agitano e ci seno- Pensieri sulla Poesia. 249 tono. Essa insomma cangia regione a misura, che la scienza dilata i suoi possedimenti, ed è però in un continuo movimento: abbandona alcune provln- cie ed altre ne occupa, prescegliendo le novellamen- te scoperte. È per un siffatto movimento , che la poesia nelle diverse età offre certi particolari carat- teri, assume abito diverso. Le eia gih trascorse della poesia sì possono di- videre principalmente in due grandi periodi, for- mando un terzo periodo quella che ancor corre. I medesimi sono distintissimi nei punti loro, dirò cul- minati t ma il passaggio dall'uno all'altro si fa in- sensibilmente. Nella poesia del primo periodo si ravvisa lo spavento e la maraviglia destata dagli es- seri e dai fenomeni della natura, ed han luogo le grandi personificazioni dei suoi poteri, ed è poeti- co quasi tutto ciò che l'uomo circonda. Nella poesia poi del secondo periodo le forze della natura ester- na cedono in gran parte il campo alla forza uma- na, che si dispiega sugli uomini e sulla natura e- sterna medesima. Ivi han luogo le rappresentazio- ni spesso esagerate delle più grandi geste, ivi pre- domina l'amore per lo straordinario, pel grande, per la gloria. Poesia teocratica o divina, fu da al- cuni quella prima appellata: eroica la seconda. Ma il corso delle cose civili fé' a poco a poco suben- trar la ragione in luogo della forza, e le moltitu- dini in luogo dell'individuo. Sparve il tempo degli eroi. Quindi trasse cominciamento il terzo periodo, il quale negli antichi tempi non ebbe agio di svol- gersi, perchè vicende troppo note lo soffocarono , allorquando avea cominciato a sorgere : e però al- l'etk moderna è riserbato l'assistere al suo più com- pleto sviluppamento. I poeti morali debbono riguar- 250 Letteratura darsi come i precursori di questo terzo periodo. Mii quali sono i suoi caratteri distintivi ? E comp deter- minati, mentre non ha ancora percorso die breve cammino ? Esaminando lo stato intelleliunle e mo- rale delle genti odierne più eulte, credo che si tro- vi modo a stabilire i caratteri , che la poesia di questo terzo periodo giunta alla maturità sua dovrà avere. Questa investigazione tanlo più utile è in quest'ultimo stadio, che in questo non si offre spon-' tanca la materia poetica , siccome nei due prece- denti più o meno avveniva. A qu;\lificare l'ultima età in cui siamo, ben si polreobc dire clic nel suo vessillo stia scritto: Scienza. Nuova', e non è chi non veda, come cosi ven^jano a consumarsi in uri punto i più celebrati e raffinati prodotti di oj;ni ramo dell' umano sapere. Un assiduo e profondo studio dei rapporti, che han le cose di questo uni- verso fra loro, e specialmente in relazione all'uomo: una tendenza ad una gran sintesi, ad un grande or- dinamento: un intenso amore pel vero e per l'e- quità: ecco, s'io non m'illudo, il precipuo dest'ntivo dell'età nostra. Quindi si travede l'indole della poe- sia invocata dal tempo. Suo ufficio sarà l'esposizione di grandi e interessanti verità, dei grandi rappor- ti «lei diversi fenomeni si nel mondo lìsico, e sì nel morale, e specialmenfe degli affetti del cuore uma- no : in essa sarà trasfuso l'amore al vero ed all'e- quità, e si distinguerà ancora per certa tendenza al patetico, e per la ricerca ed ansietà intorno alle u- mane sorti, ed ai futuri destini. Chi non vede qui la poesia stringere felice alleanza colla filosofia ? chi non vede da questa venirne somministrata la pili sublime e ponderosa materia? Come compagne indivisibili furono filosofia e poesia nei fortunati Pensieri sulla Poesia 251 tempi della poesia spontanea, così esser dovea nei tempi di procurata inspirazione. 11 movimento del- l'una porta con se il movimento dell'altra, e senza potersi confondere, sono in una strettissima relazio- ne. L'età presente, grata agli sforzi di alcuni po- tenti ìngec^ni, è bene incamminata: ma la meta da raggiungere non è ancora sì presso. Altissimi can- tori dei numi e degli eroi sono stati, ne più fa d'uo- po di loro: il cantare delle umane vicende e degli umani destini è ancora invocato. Il mio voto si è , che alla terra del divino Alighieri e del magno Torquato sia serbata dal cielo anco questa corona. L. L. 252 Pitture delle grotte tarquiniesì. F ra gli anticliissimi popoli, che ebbero plìi reli- gione e cura de'loro sepolcri, si distinsero i^li efrii- sci: ne v'ha altro genere di monumenti dell'antica Italia durati insino a noi in tanto numero, quanto quelli delle loro tombe. Varie furono le maniere della loro sepoltura, ch'era sempre affidata alle piìi profonde viscere della terra fuori dell'abitazione dei vivi, ma prossime ed a vista di esse, ovvero lungo le grandi strade e piìi frequentate. Il piìi semplice e vecchio modo di seppellire fu quello òc'tumull , cioè di scavare una profonda buca capace del morto, alla quale soprapponevano {grandi tegole a modo di volta, e su qiielle ammucchiavano la terra scavata al di sotto. Usarono ancora lunghi e profondi eie- nicuU orizzontali di tanta grandezza, quanta vi ca- pisse un uomo a lavorarli, e quivi deponevano ed interravano i cadaveri: e poiché il cuniculo n'era pieno alla bocca, ne chiudevano con gran pietra l'in- gresso. Ma tali metodi furono variati col l'accrescer- si della nazione in altri pili sontuosi, dove appari- sce la ricchezza delle persone e delle famiglie che più si distinsero dalle altre. Si scavarono allora grandi camere imitanti quelle de'vivi, co'letti fune- bri scolpiti all'intorno, su de'quali venivano depo- sti i cadaveri. E quivi aggiungevansi in su la volta ed ai lati belle ed ornate trabeazioni, pilastri, fregi ed architravi, e nobili ed eleganti pitture, e sulla Grotte tarquiniesi 253 esterna fronte de'sepolcri varii membri architetto- nici di cornici, porte, frontoni e statue talvolta di gran rilievo, e mille altri abbellimenti si fatti. Lun- go sarebbe il dire de'loro cippi mortuari, di certi tempietti e colonne con abaco rotondo scritto all'in- torno co'noml del morto, e di ogni altra foggia di titoli sepolcrali usati da essi, e per lo piìi scritti ; siccome ancora de'tegoli e delle urne di terra cotta e piccole e mezzane e grandi, dove o i cadaveri si riponevano o le loro ceneri, quando ne' più tardi tempi invalse l'uso di abbruciarli piuttosto che d'in- terrarli. Ma la più maestosa foggia fu quella de'loro mausolei con urna e statua giacente al di sopra di grandezza naturale e talvolta anche maggiore (1). Sono cotesto statue poste d'ordinario sopra i Ietti convivali, e come se stessero a mensa. Così per allon- tanare ogni idea di mestizia e di lutto dalla morte, la riguardarono gli etrusci come il passaggio a per- petuo e lieto convito con le anime de'trapassati nei campi elisi. Vero è che fra tanta maestà di mauso- (i) Portano le urne scolpite sovente in su la parte davanti la epigrafe del morto, che non manca giammai del numero de- gli anni di sua vita e della sua figliolanza materna , sebbene molte volte vi unisca la paterna ancora e l'avita. Vedesi chiara- mente che le statue portano il ritratto del morto, e vedesi an- cora che al bisogno si lavoravano espressamente per lui; e per- chè talvolta il momento della sepoltura arrivava prima che l'ar. tefice avesse compito il lavoro, così alcune statue , meno la te- sta ch'era sempre di finito lavoro, restarono nel rimanente più abbozzate che fatte. Per quanto apparisce dai segni rimasti non solo le statue, ma le urne ancora, erano per lo più dipinte di rubrica o di minio: il qual costume pralicavasi per causa di reli- gione anche nelle statue degli dei ( Plin. H. N. XXXlll, 7 ). 254 Letteratura lei occorre talvolta alcuna urna con rappresentanza Len allena da questa piacevolezza d'idee che discor- reva poc'anzi; voglio dire di quella, dove vedesi il tristo spettacolo di umane vittime trascinate all'al- tare e su quello scannate barbaramente fra la di- sperazione ed il pianto degli amati congiunti, o di quell'altro non meno disgustoso spettacolo del com- l>attimento gladiatorio, che davasi ad onore de'piìi illustri defunti: costume che fu dipoi ritenuto an- cor da'romani. Dai funerali di Patroclo descritti da Omero, e da innumerevoli testimonianze dell'antica storia, siamo ben certi, che tali rappresentazioni piuttosto che aver senso allegorico, come molti han pensato, lo avevano di un fatto e di un costume phe praticavasi da quella nazione (1), come lo fu egualmente dai greci e dagli altri piìi civili popoli dell'antichità. Ma tralasciando questa umiliante contraddizio- ne dell'umano spirilo, ci rivolgeremo alle altre ce- rimonie de'Ioro funerali ben piìi analoghe a quel- lo spirito di gaieth ed a quelle piacevoli idee, con le quali dicemmo che gli etrusci studiavansi di to'iliere o:2ni orrore alla moi'ie , e convertirla in Oggetto di letizia e di riso (2). Ciò vedesi nelle yy/i- (i) Athen. Dipn. IV ^ 17. (2) Solonis sapientis eìogium est, scrìve Tullio ( De senect. XX], quo se negat velie suani morlem dolore amicoruin et lanieri' tis vacare. Sed haud scio, an melius Ennius: Neino me lacryinis decoret, ncque funera Jletu Faxil. Non censet lugendam esse mortem, quam immortalitas consequa- tur. Né meno lusinghiera opinione ebbero della morte gli etru- sci, né diverso fu il sano loro pensare circa la immortalità del- l'aaima. Sapevamo già per testimonianza degli aulichi scrittori, Grotte tarquiniesi 255. ture delle grotte tarqidniesi., rappresentanti gli spet- tacoli espiatorii demani^ che in belle copie e slmili al vero, arazie alla mimi licenza del regnante som- mo pontellce GREGORIO XVI, adornano una delle nobili sale del nuovo museo gregoriano. che l'arcana loro fllosufla ammetteva un solo dio, creatore di tut- te le cose, rettore e custode dell'universo , a cui davano essi il nome di fato, di provvidenza, di natura, di mondo; per ciò che a lui dicevano convenir tutti i nomi (Senec. Q. N. II, 4^ ): Ipse enim est, totuin quod vides, totus suis partibus inditus , et se su- stiiieìis i>i sua; sapevamo ancora quanto la loro opinione sulla crea- zione del mondo analoga fosse e conforme, comunque ingombra di errori, colla narrazione di Mosè, se non per ciò che riguarda l'intervallo della creazione delle cose, per l'ordine di quello in cui furono create; ina che essi inoltre credessero fermamente l'a- nima essere immortale, che fosse a' buoni riservata dopo morte una vita migliore, che eternamente durava, che eterne pene fos- sero pur destinale a'malvaggi, e che i più leggieri falli commes- si dagli uomini in vita dovessero nell'altra espiarsi con tempora- li gaslighi , a' quali però da' viventi potevasi recar sollievo con preghiere, libazioni ed altri suffragi sì fatti , non può meglio dimostrarsi che colle rappresentazioni de'loro vasi funebri e col- le pitture de'loro stessi sepolcri. Da una tomba scoperta nel i833 nelle necropoli di Vulci,e della quale darò breve descrizione negli ninnali di corrisponderi' za archeologica, heae impariamo quale si fosse la opinione degli etrusci circa il destino delle anime de'trapassati. Quivi tu vedi Giove inferno, e la regina infernale, eà i tre giudici di Giove assessori Alinos, Baco e Radamnnto , dinanzi a' quali le anime „ Vanno a vicenda ciascuna al giudizio: ,, e dopo essere state e- saminate d'oj^'ni lor vita passata, ammesse vengono al luogo del- la loro dimoia Ira le ombre de'buoni. Io non iilarò qui a ricordare ad una ad una le altre pitture tutte di queste grotte tarquiniesi , dove già vedevansi buoni e tristi geni, quelli in figura di belli ed avvenenti giovani con- durre le auimc pure ai fortunati elisi, armali questi di uncini , di martelli e di altri micidiali strumenti r.piugcre le anime impu- re e cacciarle all'inferno. Ma bene dirò che tali rappresentazio- ni chiaramente ti dicono , che ferina era e indubitata credenza 256 Letteratura CAMERA DE' GIUOCHI. Vedi su la porta d'ingresso, nel frontone tra il fregio e la volta, due pantere a guardia del sepol- cro. Era questo mistico animale addetto fra gli e- dcgli etrusci, che le aairae di coloro che menarono al mondo pessima vita fossero dopo morte punite con ogni maniera di tor- menti, siccome quelle altresì de'buoui eternamente vivessero ne- gli elisi una vita beata. Per ciò alla morte de' loro congiunti , degli amici , e di ogni altra persona a loro cara ed affezionata ( imperciocché buoni si vollero sempre coloro, che amici o con- giunti o cari ci furono), poiché finito era il lamento sul corpo dell'estinto ( che il pianto ancora, al dir di Omero, era onore ai morti dovuto //. i}/ v. Q. ),e quello pur finito delle prefiche che al sepolcro ne accompagnavano il cadavere . la memoria onora- vano del morto con lauto banchetto, che dice vasi cerea o convito funebre, e con balli suoni ed altre allegrezze sì fatte festeggiava- si il suo arrivo agli elisi; poiché dato fine a funerali volevasi già r anima di lui mischiata con le ombre de' buoni in quel beato soggiorno. Certamente che cotesto modo di pensare era ben op- portuno ad allontanare dalla morte ogni idea di lutto e di spa- vento ed in chi la incontrava ed in chi perdeva per essa i più cari oggetti della sua affezione. Dissi che degli etrusci fu ancora opinione che i più leggieri falli commessi dagli uomini in vita purgar si dovessero nell' al- tra con temporali pene prima che ammessi fossero alla beatitu- dine delle anime elette. Ed a ciò debbonsi riferire quelle liba- zioni di sangue, di vino o di latte, che da'parenti del morto fa- cevansi in sul sepolcro di lui a certi dì d'ogni mese e d'ogni an- no, e quelle offerte altresì e supplicazioni e ludi sacri, co'quali gl'impctravano dagli dei infernali eterno riposo Queste ed altre cose, che per brevità si tralasciano, bene confermeranno quel tan- to che ho già detto di sopra de'religiosl sentimenti de' nostri e- trusci intorno all'essere divino, e del loro sano pensare circa la immortalità dell' anima. Cosi si fossero essi, nella purezza del culto che n Dio si deva, attenuti più fedelmente alla tradizione de' loro antenati ed ai libri santissimi di Mosè, esclama il Tira- boschi: ma in questo punto essi degenerarono bruttamente! {Star. della lellerat. Hai. lib. I, io). Grotte tarquiniesi 257 truscì alla custodia delle loro tombe ed a Bacco consacrato che presiedeva a'ioro funerali. È osser- vabile la porta di questa camera senza rastremazio- ne alcuna e con le mostre in rilievo: ciò che rare volle ci è accaduto di vedere in altri somiglianti sepolcri. Al di qua e al di la di questa porta altro ornamento le pareti non hanno che di un ramo fronduto\ imperciocché di alberi venivano cinti ed ornati i sepolcri per antico costume (1), ornamen- to che piacque anche a Platone di conservare alle tombe de'più chiari ed illustri cittadini (2). La pittura de!le tre altre pareti è divisa in due compartimenti. Nel piano di sotto al lato destro della porta d'ingresso tre danzatori^ quale imberbe quale barbato, si alternano con quattro danzatrici, che al suono del doppio flauto animalo da una di tali donne eseguiscono il ballo. Vestono i danzato- ri un corto manto e leggero, che lascia loro sco~ perta gran parte della vita: le danzatrici vestono Al ricca e sottil tunica ricamata a piccole stelle (3) e di leggerissimo manto agitato dall'aure ne'Ioro movimenti, e le tuniche e i mauti sono fregiati di elegante lembo. Uomini e donne sono coronate di mirto, queste con sandali ai piedi e cuffia (xcXioy- (poCkoq) ricamata in testa, quelli col capo e i pie nu- di; se non che due di loro portano al collo lunghe corone o collane, non so se mi dica d'erbe intessute (i) Hom. II. Z, V. 419. (a) De legib. Xll. (3) Le stelle , i fiori, le foglie ed altri tali oraainenti erano intessulì ne'drappi come si usa oggidì. La fascia, che descrive Filostrato nelle Immagini di Rodogune figlia di Serse e di Aiue- slri, presentava diverse immagini ugualmente tessute. G. A.T.LXXVn. 17 258 Letteratura o di fiori, che le danzatrici non hanno (■!). Il balla è animatissimo non solo dal movimento de'piedi e della vita, ma principalmente da quello delle mani agitate in armonia e con le palme aperte e distese. Fra ogni figura ricorre un ramuscello fronzuto quando di olivo ^ quando di mirto\ che al(>pri eran questi sacri a'dej'unti (2), e dì piedi alla parete sta una mensa con vasi e piìi grandi e piìi piccoli con- tenenti il liquore consacriilo a Bacco ed alla letizia. JVel compartimento superiore vedi apparec- chiarsi il corso delle bighe circensi. Cinque sono i cocchi, quanti ne'funebri giuochi fatti in onore di Patroclo ne conta anche Omero (3) , quali già ai cavalli attaccati e governati dai loro aurighi, qua- li per aggiogarsi a'deslrieri; se non che perito è il quinto cocchio, di cui oltre all'auriga ed al com- pagno di lui non restano che i cavalli già pronti al servizio (4). (i) Coleste corone chiainavansi da'greci ùffoSopàSsj (Athen. Xy. io) ovvero óp^oj [Schol. Odys. S, f. 299.), e solevano gli an- tichi ornarsene il collo sia ue'coiivili, sia nelle^ danze- (2) I greci ancora adornar solevano di rami di mirto le loro tombe [Eurlp. in Elecira) , e fra le foglie di olivo e ravvolti ia veste purpurea volej Licurgo che i morti si seppellissero ( Plut. in Ljcur-). Un tal costume fu proprio ancora de'più antichi ro- mani, i qujii a modo de'pitiigorici adagiar solevano i cadaveri sopra un letto di foglie di niirto, di olivo o di pioppo.- costume ch'essi forse non s'ebi^ero fuorché dagli etrusci [Ptin.H.N.XXXy, 12, 20). (5) 11. \|/, V. 287, ss. (4) Le bighe, che vediamo qui figurate, non presentano al- cuna particolarità, se non che la cassa è guarnita tutta all'ester- no di sprangiie di ferro, o di legno commesse insieme ed unite in treccia per dare alle [)ighe maggior consistenza e sodezza da resistere agli urli od a'rovesciamuuti, a'quali aadav soggetta nel Grotte tarquiiniesi 259 Alla estremità di quel piano e il palco degli spettatori^ che al di sopra ha il velario ripiegato per farne uso al bisogno. Quel palco è diviso in superiore ed inferiore: siedono nel più alto le più distinte persone : le donne vestite di tunica e di manto, ed ornate di cuffia in testa: gli uomini del solo pallio senza la tunica; che l'abito era questo ordinario e comune degli etrusci (l). ha. plebe spet- tatrice è sdraiata sul terreno al di sotto del palco. Nel lato di fronte alla porta la pittura è di- visa ne'duc soliti compartimenti, come nella parete precedente. Rappresentasi in quello inferiore la ce- na funebre. Quivi tu vedi tre letti triclinari, cia- scuno con uomo e donna che vi sono coricati al di sopra, i quali appoggiansi a doppi e ricchi cuscini. Belli sono que'letti e dì nobile ornato, come lo so- no del pari le vesti cenatorie de'commensali. Tut- ti i sedenti al triclinio sono coronati di mirto (2), rasentare la meta. Notabile è poi il giogo che vedesi in uno de' cocchi accomodato al timone , che mediante un chiodo [ìutaf) o lenitolo soleva attaccarsi al timone slesso prima che i cavalli si adducessero al giogo [Cf. Hom. IL Q, 265, ss). (i) Anche gli antichi romani, i quali furono dapprima fede- li e rigidi imitatori delle etruìche costumanze, non indossarono che tardi la tunica [Geli. Noci. alt. VII, 12; D.Aagust.de Doctr. chrisl. Ili, 12, 10; Ascon. Cotninent. in Cìc. orai, prò M.Scauro in fin.), veste che era riservata da principio alle sole donne, e co- me moda femminile tenuta a vile da tulli i popoli de' più anti- chi tempi [Herod. I, i55; Plut. Jpopht. 6). Ma poi che il lus- so e la mollezza domarono etrusci e romani, anche costoro ve- stirono le tonache, che di poi usaronsi comunemente da tutti. (2) Coronali, id est laeti, quasi non aniplius in lucia essenC ; nam coronae non adhibebanlur in luctu ( IVagn. ad Cic. lib. II , a5, de legib.). 260 Letteratura portano al collo larghe collane (1) , e mentre due di essi beono alla coppa , altri hanno in mano un uovo: che era questa là prima vivanda di che si ci- bavano nella cena gli antichi (2). Ne cjui manca il sonatore de^ flàuti., strumento che fu sempre d'un Uso solenne ne' funebri conviti^ e che non poteva, al dire di Plutarco (3), dilungarsi a verun palio dalle tavo- le degli antichi : ne mancano altresì i fanti o ser^ venti alle mense, che due qui sono e giovanetti , ( t) Coronàhant véro et pécloha, ealjile unguento perungébant, qaoniam ibi est cor [Atli. dipiiu Xf^, 5-). Plutarco aggiunge che anticamente portavnno al collo ue'conviti vezzi e collane di fio- ri, le quali cliiaiiiavauo (;?ro9uf>ti5aj dal verbo uVoS^jiii'a^siv che im- porta esalare e svaporare, e con profumi fatti di esse si ungeva- no il petto, non già pei*chè stimassero 1' ariima , delta da' greci St/^óf, avere la sua residenza nel cuore, ma ebbero la derivazio* ne, come si è delio, dalla esalazione e svaporamento- Perchè in questo modo gli odori saettati dal calore, andando direttamente a ferire il cervello, lo fortificano contro l'ebrezza, e respingono a basso i vapori che raonterebbero alla testa (Plut. Quaesti conv. Ili, t. )• (a) Il costume di mangiar dova al principiar della cena, ed. al finir della cena \e frutta, fu proprio ancor de'roniani (C/c. /"a-" mil. IX, 20i Horal. Sat. I, 3. tì). Le uoVa inoltre richiedevansi nella cena funebre per le espiazioni, sia che 1' uovo come rap- presentante l'autore dell'universo veniva consacrato nelle sacre cerimonie di Bacco, gran dio delle anime ( Plut. loc. cit. e. 3.j, sia che come di tutti i cibi il più puro n'era l'Uso solenne nelle sacre lustrazioni (Ovid. Art.am. Il, S^p). Ed è poi certo che non di rado mi avvenne di rinvenire eatro a'scpolcri vulcenti di que- ste MOfa, lasciate in su certi piattelli a lato del morto, e talvolta con le uova anche il pane » che conservava ancora la naturale sua fortua e colore; ciò che ne dà a pensare, che fosse quella pro- babilmente parte del cibo desllnatoal morto nell'epulo funebre. (3) Quaest. conv. Ili, i; Cf. Fabr. Agonist. Gronov. Thes* graec. ant- KIII, 19. GkOTTS TARQUINIESI 261 quale recando in mano un ramo di mirto (1), qua- le utìR coppa. Dirò infine che al di sotto de'Ietti tri- dinari stanno placidamente cinque anitre, animali sacri al dio Bacco, dio sovrano de'morti, le quali par che aspettino di cogliere sotto la mensa i rima- sugli delle vivande. Il piano di sopra della pittura ha da capo e da piedi un palco di spettatori, come di sopra abbiam detto: i quali unendosi cogli altri simili delle altre pareti, ne formano un solo in ciascun angolo della camera. I giuochi che qui si fanno sono quelli del- la lotta, cui presiede un mastigoforo , quelli del cesto, del salto a piedi, su' cavalli desultorii , su Vasta. Gli atleti son nudi, tranne il mastigoforo , che si chiude nell'ampio suo manto. Segue in questo lato la pittura al di sopra de* due ripiani indicati, e copre la parete secondo il sesto della volta , la quale fìguravasi appoggiata ad una mensola, e nel mezzo di questa è dipinto un gran vaso, al di qua e al di là del quale sono figu- rate due donne nude , ritte in piedi e co' capelli sciolti, portanti in mano un piccolo vaso od altro istrumenfo da sacrificio, siccome in atto di far li- bazione. Al di fuori poi della mensola occupano il rimanente della parete due uomini sdraiati sul suo- lo, che appoggiansi a grandi e doppi origlieri. L'uno di essi è barbato , coronato di mirto e co- perto d'un pallio: l'altro vestito similmente , im- berbe e coronato di olivo, quale tenendo in mano un uovo, quale in atto di bere alla tazza. (i) L'uso di distribuire ne'conviti ghirlande di fiori, corone fami di mirto ec. fu comune agli etrusci, ai greci, ai romani. 262 Letteratura Nella terza parte al piano di sotto ripiglia la danza^ siccome nel compartimento supcriore ripi- gliano i giuochi ginnastici, e scgnat;imenle il com^ battimento alle pugna, il trar del disco, il trar di lancia, a cui assistono diversi agonoteti, ed infìae la corsa a piedi (1). La volta della camera è divisa per mezzo da un trave^ clic appoggia alle due mensole del lato di fronte alla porta e della porta stessa: e questo è ornato di vari rosoni tramezzati di fronde di ede- ra, pianta anch' essa consacrata a Bacco. Il rima- nente dello spazio di detta volta è dipinta a scac- chi di vari colori , cioè di rosso, di turchino, di (i) Fu già opinione di alcuni , che gli etrusci altri giuochi non usassero fiel pugilato in fuori e del corso : ne' quali erano essi a dir vero valentissimi, se Tarquinio Prisco fece venire spe- cialmente d'Elruria i pugili ed i cavalli per le corse la prima volta che die spettacoli a Roma nel circo da lui fabbricato (Liv. I, 35). Ma che oltre cotesti giuochi noti fossero in Etruria que- gli altri tutti d'ogni specie , che usavansi ne' più antichi tempi da'greci, le pitture delle grotte tarquiniesi, e quelle altresì de' sepolcri chiusini, ed i vasi di etrusca fabbrica ed altri nazionali monumenti ne fanno aperta e chiara testimonianza. Né io vorrò dire con questo, che di tanto vecchia data siano coteste pitture da poter con certezza asserire, che nati siano que'giuochi proba- bdmentc in Etruria, e non che da altri vi siano stali in antichis- simi tempi introdotti; che anzi vorrò pur credere a Timeo, vec- chio scrittor siciliano {^p. Tertull. de spectac. ), quando narra , che ili Etruria vennero que'giuochi co'' Udii insieme dalVÀsia, sic- come par che dimostri il nome stesso di ludi dato a que'giuochi da coloro, che primi qua li recarono. Ma bene dirò, che se co- teste pitture non rimontano ad antichissimo tempo, provano al certo un vecchio costume d'Etrnria, qual era quello di onorare con giuochi si fatti la memoria d' illustri defunti : costume che come fu proprio degli etrusci, lo fu altresì di pressoché tutti i popoli che vanta l'antichità. Grotte tarquiniesi 263 nero e dJ hiancot e di questi qunrtro colori sono altresì dipinte tutte le pareti, sia di questa sia del- le altre camere sepolcrali, delle qnali parleremo in appresso^ siccome di questi quattro principali colori si compongono altresì le alire mezze tinte impiegate nell'opera. CAMERA DE' TRICLINII E DEL BALLO. In questa grotta non vedi giuoclii ginnastici, ma danze e triclini!. Quivi è però maggiore il lus- so de'vestiarl, de' letti e degli altri a'ccessoi'ii. La volta e del pari fatJa a schifo, divisa da un trave che posa su due mensole , coperto tutto di tralci dell' edera bacchica graziosamente insieme intrec- ciati, mentre le riquadrature della restante volta dipìnte sono a rombi di colori diversi. A destra ed a sinistra della mensola, nel lato di fronte alla por- ta, stanno due uomini nudi sdraiati sconciamente sul suolo, che appoggiano i gomiti a grandi e rad- doppiati cuscini. Quivi sta pure una colomba^ od al- tro volatile che sia, dal lato destro della mensola stessa: siccome nella opposta parete dipinte sono due pantere^ consueti guardiani degli etruschi se- polcri. E qui vedi pure due giovani cavalieri vesti- ti di lieve farsetto, nudi del resto e con le lance in mani, che seiluti si stanno, non mica a cavalcioni , su'loro destrieri: e questi sforniti sono di bardatu- ra e di briglia. Un ramo di oli^>o^ su cui è posato in cima un uccello^ è dipinto da ambedue i lati della stessa parete. In quella di mezzo sono tre letti^ ciascuno con uomo e donna, che vi stan coricati a mezza vita. Di- nanzi a due di s\ fatti letti è posta una mensa con 264 Letteratura vasi al di sopra (1); dinanzi al terzo , che vedi in iscorcio, in luogo del desco è un cratere , d'onde esfraevasi il vino per versarlo in altri vasi minori e darlo a ber nelle coppe (2). Sono osservabili le 6lei,'anti tovaglie a vari colori intessute o dipìnte addette alla mensa, le ricche vesti cenatoric de com- mensali, le corone o federa o d'olivo che vedi lo- ro sul capo, ed un lungo tralcio dì edera che un di costoro porta a tracolla sul petto. E qui è pure il tibicine vestito di un ricco pallio; che il suono della tibia ebbe sempre grande familiarità, come dice Plutarco, ed usanza slreita col convito. Ne man- cavi un nudo giovanetto ministro delle mense (3), il quale recando dall'una mano un piccolo vaso, dal- l'altra un istrumento a modo di filtro (colum), par che si sl'uli di con lir(j le vivande preparale sul de- sco con salse o salamoie , od altri saporetti si fat- ti (4). Tutti i conviiati si vedono rivolti con diver- se attitudini e gesti fra loro, e sembrano attendere ad altro, che ai cibi disposti su i deschi. Se non che la donna gaf^ente nel terzo letto, e l'uomo che vi sta coricato alla sinistra di lei, hanno in mani quale un uovo, q?iale una tazza: dal che potrebbe con ragione argomentarsi, che la cena sia di già in- (t) Fra questi vasi distinguonsi le saliere ( salina ), che gli anliclii avevano I' avvertenza di porre su la tavola, allorché si doveva cenare, per sovvenirsi, come dice Pitagora, della giusti- zia, di cui è simbolo il sale. Inoltre credevano con ciò di consa- crare le loro mense, riguardandolo essi come cosa sacra. (i) Hoin. II. A, 469; Vifg- -^^n. I, 724- (3) Grande era il numero de'servi addetti al servizio della mensa appo gli etrusci, come raccogliesi da Ateneo [Dipn. IV , i6j, e questi volevansi belli ed avvenenti e di maniera graziosa. (4) Athen. Dipnos. II., 3o; Ihid. Ili, 19. Grotte tarquiniesi 265 cominciata, e che i commensali abbiano gustato in parte diUla prima vivanda, cioè a dir delle uova , dalle qnali, come dicemmo, aveva il pasto princi- pio. Le donne, che vedi (.|ui figurate, portano ai pol- si cerchielli d'oro o braccialetti ( mpiyiocpmoc ) e ric- chi monili al collo ; fia le quali una ve ne ha che dispensa unguenti ai convitati; imperciocché di es- senze, di uti^iienti e di profumi ungevansi pure i commensali , poi che il lusso incominciò ad intro- dursi nelle tavole degli ajìtichi, e ne sbandì affatto la pitagorica frugalità (4). Curioso è poi di vedere al di sotto di que'letti un gatto, una pernice ed un gallo accorsi al suono de'platti ed all'odore delle vivande per buscarsi i rimasugli che cadono giìi dalla mensa. Al di sopra dc'letti vedi infine appese varie bende o corone, dì che i convitati solevano adornarsi il collo e la testa (2), e talvolta il petto ancora e le braccia, specialmente allora che, tolte le mense, cominciava il corno, ossia la ricreazione del dopo cena, in cui e ballavasi e beevasi senza ritegno, e tutto ciò si fiiceva che consigliava la mente ri- scaldata dal vino. E qui, finita la cena funebre, ha principio la danza. Ella è composta di dieci persone, uomini e don- (i) Xenoph. Sympos- e. II; Ath. l. e. Xf, i4» ^8- - I profu- mi e gli unguenti erano uno de' principali capi di lusso degli antichi, i quali andavano non solo ben profumati ai conviti, ma il padrone di casa ne teneva dei già preparati per chi volea pro- fiuarne. Nei simboli, dove ognuno contribuiva per la sua por- zione, chi portava il vasetto dell'unguento, andava esente dalla spesa del pasto. La donna, che lo dispensa qui a'convitali, lo re-^- ca in un vaso o balsamario di quei tanti, che d'ordinario ritro» Vansi ne'sepolcri d'Etruria. (2) Cf. Cic. in Ferr. IH, 27. 266 Letteratura ne, otto delle quali ballano e dne suonano, chi la li" ra, chi la doppia tibia. L'attiludine d'ainhedue i so- natori è epifilla dì sonar;'- e di ballare insieme. La prima danzatrice in bullan te CIVESANAMATVESICALESEGE : EVRASVGLESVASPHESTHICHVAGHA /lUfl^aail » CIVESANA o CIFESANA , tolta di mezzo la eolica aspirazione, come in ^A"llA' ^i^^f rendo Caesania o Caesennia, nome di donna tar- quiniese noto già per altra iscrizione riportata dal Lanzi (1), e prima di lui dal Mafifei (2) , e tolta anch'essa da una grotta sepolcrale dipinta di quel- le tante che si vanno scoprendo a quando a quan- do in quella vasta e rinomata necropoli. E qui gio- va avvertire che la famiglia AeCeseiinii fu per at- testato di Cicerone delle nobilissime tra le più an- (i) Sagg. di L. E. tom, II, p. 465. {p) Mus. etr. tom.III,tav.yiI;Osservazioniletterar.p. 3 io. Grotte tarquiniksi 273 tlche tll Tarquinia , narrando egli (1) che un tal Fulcinio tarquiniese, qui Romae argentariam non ignobilem fecit, liahuit in matrimonio Caesenniam eodem e municipio (tarquiiiiensi)^ summo loco na- tam, et probatissimam feminam ec. Ritengo adun- que che nelhi prima voce di questa epigrafe sia espresso proLabilmenle il nome di Caesennia o di Caesania, se questa garbi meglio che quella: e su luna e su l'altra non istarò a fare maggiori parole. Segue I^H^t/^^*!» MATVESI, cioè Matuesia. Un Lars Matuesius , ^3ìtj4»^ 0^/14' LARTH MATVES, ci si offre in questa medesima grotta , come vedremo in appresso: altri esempi non cono- sco di sì fatto nome in lapide etrusche e romane. 3*13^3 Ji4ì' GALESEGE non dubito di tra- durre 'voccwit o consfocavit da xaXo) o xaXsQ vaco, convoco, invoco ec. Ghiara vi si scorge la ridondan- te E, onde si formò xscXsaE/e in luogo di xxXElKE, come in 3'73^|i4tI''lVO ^^'^''^ lamina volterrana P^'' S^^flti^VC)? che da Lanzi (2) fu spiegato per rnOTE0ElKE, deposuit. Nella grande lapida perugina scoperta nel 1S22 frequenti sembrano gli esempì di greci verbi, usati dai toscani con lievi inflessioni dal loro tema, secondo il genio di questa lìngua. Ghe se piacesse ad altri dividere in due la pri- ma voce di questa epigrafe, /ll/l/1^33n» CIVESA- NA, e lasciando intatto il ^3311' ^i^^^i tal quale è scritto (dato al digamma il valore della V conso- (i) Orat. prò A. Caecina e. IV- (2} L. e. p. 464 (469). G. A.T. LXXVII. 18 274 Letteratura nante) volesse leggersi nell'etrusco f\y[f{ » ANA, il noto prenome di Jnnia tanto familiare in Etruria, avremmo anche in questa lingua il cives de'lalini e degli osci (1), e la epigrafe sarà da tradursi: Ci- 'ves Tullia Maiuesia coiwocavit : od in altro modo a questo somigliante (2). Fino a qui, come ognun vede, la nostra epi- grafe mal non si presterebbe ad una Ietterai tra- duzione ; ma quanto facile ad intendersi nel suo principio, altrettanto ella è oscura nel resto. Ne poco valse a dir vero ad accrescermi le difficolta, che v'incontrai da principio, la copia che poco ap- presso lo scoprimento di questa grolla ne ricavò dagli originali il fu barone di Slackclborg, e che io posseggo fatta di sua mano, la quale diversifica in (i) lYII^ > ^''''■■^ j 'cggesì nella iscrizione osca di Abella. V. Passeri Specimen h'ng. ose. p. XIII; Lanzi l. e. tom. III. p. 6i3. Il dialeUo degli osci ebbe gionde ulTiiiilà col sabino: e voci comuni, al dire di Vairone, usarono sabini ed etrusci. Se pertan- to il linguaggio osco non era un diaiclto dell'etrusco, come molli sostengono, dev'esserne stato di poco dissimile. (•i) Difattl omnls ■tnientalio a cifibus aut incoUs festo cole- batur; [Guiher. de iur. man. Il, ii'ì), poi che parenlalia publi" cae erant feriae ( Gulh. ibid. ) , in cui i cltladìni congrcgavansi insieme per assistere ai sacrificii, alle libagioni, ai giuochi ed al- le feste, che focevansi da'parenii del morto ad onore di lui nel di anniversario della sua morie. Se regge adunque quella mia traduzione, chiaro apparisce, che nella epigrafe della grotta tar- quiniese si fa appunto memoria di una di queste feste annuali e solenni (parenL(dia); alla quale una delle s.icerdolesse , Amiia Matiiesia, invitato aveva, secondo il costume, i cìllndini di Tur- (/iiinia; che donne ancora erano in Etruria insignite del caratte* re sacerdotale, comò fin da'primi tempi di Roma: Roniulus binos ex singulis curiis legìt, quos eoruinque uxores sacerdoLio fungi vuluit [Dionys II, v. 92 ). Grotte tarquiniesi 275 parte da quella del Kellermann (1), dall'altra del Ruspi e dalle altre copie tutte che ne furono poco esattamente fatte di poi. Ne io farò cKe esibire qui ai dotti questo stesso facsimile dello Stackelberg, perchè veggano se da si fatto confronto venisse lo- ro mai fatto di lasciar qualche lume su le rima- nente parole di questa epigrafe, qhe giusta la lezio- ne di lui dice così 9 rr ^ 00 m o > dove, come ognun vede, la differenza sta in Quelle VOCI *■ che nella copia del Kellermann e di altri sono tra- mutate in e/ne3jì=ie/iqV3 come di sopra ho già detto. E qui avvertirò sola- ci) Bollett. dell'InstiU di corrisp. archeolog. ,833, tav. di lem. al num. Jl/^ o ^ . «t supplem. al num. ly. 276 Letteratura mente non essere forse del tutto improbabile, che l'etrusco ({\r^f, CHVA, sia il x^V o ^oocc de'greci, e che nel .... ^4J ^V4^, CHVA CHA si annidi forse il greco yptx^ y[}à.QXot.t lihamina infera re, lihationibus paventare o cosa simile: impercioc- ché cred'io, che intiera non sia giunta a noi quella ultima voce della epigrafe, che probabilmente es- ser doveva la terza persona del perfetto del verbo X'"^ ( >t2X^x£ ) che etruscamente si sarà scritta o a 1 Vt ^ 31n4^ , secondo che sappiamo che gli etrusci omettevano sempre gli aumenti, siccome an- che praticarono i greci più antichi. E che l'etrusco flV4^ , CHVA, sia proprio il xpo(.t de'greci, liba^ tiones, mferiae, exec/uiae ec; vorrei quasi giurarlo per la divinità di Bacco, se questo mio giuramen- to valesse piìi, che non vale questa mera mia con- gettura. La quale potrebbe per avventura acquista- re alquanto piìi di forza, se rifletter si volesse a quel sacrificio di non so qual pesce, che, come detta abbiamo, prese l'etrusco pittore a rappresentare in su la parete stessa del sepolcro, do\e segnò quella epigrafe; che le inferiae degli antichi (X^oci) altro non erano che sacrificii fatti a'defunli (ar S'uc/af vs- xpcò'j ), e questi consistevano principalmente nelle vittime e nelle libazioni, che /^«^ pure dicevansi propriamente afundendo. Ora che i pesci ancora venissero sacrificati a \\ certi iddii in particolare, lo sappiamo da Ateneo, comunque lo neghi Plutarco (1), il quale racconta che que'di Beozia soliti erano: Anguillas copaidas (I) Srnipos. vili, 8. Grotte tarquiniesi 277 rame mngnitudims hostiarum modo coronare, a- I spersaque mola salsa cum preclhits diis immola- I re (1). E tutti pur sanno che ì romani uè' giuochi piscatorii, detti ancora volcanalia dal dio di questo nome, offerivano al nume certi piccoli pesci prò a- nimis humanis (2), ne'quali giorni ciascuno prò se m ignem ammalia mittehat (3). Ma chi ci disse poi, che fra le vittime, che richiedevansi dai funebri riti degli etrusci, avessero luogo anco i pesci ? So che nella espiazione de'fulmini, dottrina propria degli etrusci, oltre alle cipolle ed ai capelli, che bisogna- vano necessariamente in si fatta cerimonia, vi te- neva posto anche il pesce (4); so che sacri erano ri- putati tali animali da pitagorici, la dottrina de'qua- h in molti particolari conformasi colla etrusca ; e come essi astenevansi dal mangiarne (5), astenevàn- sene anche gli egizi, i siri ed i greci stessi (6), e presso che tutti i popoli dell'antichità (7). Che an- ■ — — -. — \ I ..^ (i) Dipnos. VII, 17. (2) Fast. V. Piscatorii ludi. (3) Varr. de L. L. V, 3. (4) Pha. in Nunia. Oi'id. Fast. Ili, ZZg, \i. Caede caput, dixit: cui rex^ parebimus, inquit, , Caedenda est hortis eruta caepa meis, f| Addidit lue, hominis; sumes, alt ille, capillos, Poitulat hic animam; cui Numa, piscis, ait. Cf. Scau. N- 9, JI, 34, II. I (5) Onde quel loro solenne divieto - ,'y9,>„v W .Vcvirara.,- »^ II sces ne gustato. ^ ^^ [6) Pluf. Sjmp. Vm,%: oSc-y oJ ;rap A/^t/ffr/o,? ^òv,v, oJj^ ^Vf^^, a.\U xaC Traf "EXX.,^., Y.'yovsy ciyvs.'aj /^,>oj dnoy-i /St/'o-v. J (7) Paus. lib. ni, 21; VII, 11. Così Ovidio (Fast. VI i-f '! Il) parlando della frugalità degli antichi, dice della dea cjnà; Prisca dea est, aliturque cibis, quibus ante solebat. Nec petit ndscitas luxuriosa dapes. Piscis ad ìiuc illi populo sinefraude natabat, Ostreaque in conchis tuta/aere suis. • • - 278 Letteratura zi per ghiotti che fossero gli eroi di Omero, vivan- da di pesce non assaggiarono mai: ed allora soltan- to i compagni di Ulisse, dopo una lunga naviga- zione, posero in opera l'amo e la lenza, quando ve- nuto loro meno ogni cibo fame Dura e crudele il ventre affliggea lord (1). Non recherà pertanto maraviglia, se in mezzo a tanta venerazione, in che si avevano i pesci dagli antichi, gli elrusci ne immolassero in espiazione, siccome vittime bene accette e gradite, agli dei in- fernali. E che tali animali fossero invero assai ce- lebri nella religione degli antichi, provasi dai mol- ti,amuleti in forma di pesce che ritrovaronsi quan- do di vetro o di creta, quando di cristallo, e quando anche di pietre preziose entro a' loro slessi sepol- cri (2): la dove talvolta si rinvennero ancora delle urne formate ugualmente in figura di pesce^ che racchiudevano le ceneri d'illustri defunti (3). Ma di ciò basti, e tornisi a far parola delle altre iscri- zioni. Seguendo a mano destra la pittura della nostra grotta vedi un lungo letto., e su quello due origlieri raddoppiati e ricamati a vari colori. Un dendro- . (i) Hom. Odjs. XI, 329, ir. (■2) Monlfaucon, Ant. expl. tom. HI, lab. XXXFIH, p 71; Boldettf, Ossene, sopra i cimiterii; Costadonl, Dissertaz. sopra il pesce ec. (3) Tale, si è quella di cristallo trovatasi presso Tongres nel 1698, su la quale è scoìpìlo-Politicus Albiniae Karissimae suae. Vedine il diseguo m Montfaucon Suppl. ant. expl. tom, V, tab. XLVn,p. II 5. GaOTTtt TARQUINISSI 279 foro mulo, tranne una fascia azzurra che gli fa ve- lo alle reni, e barbato, sta dalla opposta parte del letto, lenendo stretti al petto con ambe le mani cinque rami tì^'o//i>o, che affrettasi di portare altro- ve al cenno imperioso, che gliene fa colla m:ino al- tra figura, presso la quale sorge VEL- THVPi, trovasi nominato altra volta in (juesta me- desima grotta, e forse il gentilizio ^^llUlì'^J^llES può essere stato qui aggiunto per distinguerlo dal- l'altro Velturio che ne va privo. Una porta rastremata è dipinta nel mezzo di questa parete. Pompo V^t/I V'I, PVNPV (2), ve- stito di una nebride azzurra e calzato di rossi co- turni, viene recando in mani una tazza, ed un gut- tarmo. Lo precede altra figura vestita di una ne- bride rossa tigrata nera, che porta in su le spalle (i) DI ambldue questi nomi si hanno più esempi in etru- sclie iscrizioni. Vedi per tutti: Lanzì^Sagg. ec. toni. Il, p. "279» 3^3, 497 ce ; yermiglloli, Ant. iscriz. perug. toni. I, p. i58, 241» Perugia i853. (2) PVNPV per PVMPV, scambiata la M in N, nella quale spesse volte permutasi [Lanzi t. li. p. aSj, (3) ), nome sovente replicato in lapide toscane, da cui il Pomponius de'romani ( V. Lanzi l. c.p. 53 1; toni. II, l\\\; Kermìglioli l. e. p. 199, 200). La famiglia de'PompoiiIi fu delle illustri fra le lai-quiniesi ed ebbe magnifica tomba in quella nobile e vasta necropoli. Cf. Vermi- glioli l.c. p. 20t (i). Annali dell' Instit. di corrisp. nrcheol. i834> p. 166, II; Bollett. dell" Instit. 1833,;?. 54, i». 280 Letteratura un cratere^ e nella destra un vaso a versare- Costui chiamasi 3IIt3t) TETHE, Tettius (1), a cui un altro tien dietro, che con ambe le mani par che metta fretta a coloro, die gli muovono alle spalle. Egli ha cinti d'una zona i fianchi, ornato il collo di monile, e porta a'piedi certi calzari cilestri e pun- tuti, i quali piegandosi a foggia di becco dietro al calcagno , si allungano sin quasi alla metà del- la polpa della gamba. Sul capo di lui leggesi AHì^/IROAqA ' arathvinagna , cioè a- RANTHVINIACNA o ARANTHINIANA , che spie- go Arruntinianus\ noto essendo che la terminazione in A è comune in questa lingua ad ambidue i ge- neri (2). Un Aranthiakap è in Lanzi (3), eh' egli spiegò per Aruntiax^ senza dire degli Aruntinii e delle Aruntinie, delle quali è gran copia in si fatte iscrizioni (4), e che trovi anche in Grutero (5), ed in altri ricoglitori di lapidi romane. Anzi in Mura- tori è pure un Arruntìanus (6), vicinissimo all'y^r- runtinianus della nostra epigrafe, che comparisce ora la prima volta fra i tanti e vari diminutivi del nome di Arante. (i) Vedine gli esempi in Lanzi ed in VermigUoli toc. cit. p. 284, ed altrove. (3) Quanto alla terminazione in CNA di questo nome^ giovi qui rammentare il /4!/1^1/l/ì^ OCjj^J - CCaesius- della iscrizione diglotta riferita dal Lanzi nel Sagg. di L. E. toni. Il, p. 5^'ì~udryénthia per ArVnthia pensò egli a ragione che fosse il primo e il più antico dialetto. (3; Sagg. ec. tom. II,p. ^pi. (4) Ihld p. 565, 069, 417, 432, 435, 452. yS] DCCXXXIII, 5; DCCLFIII, 2. (6; CMÌIÌ, 2. ■ . ' Grotte tarquiniesi 281 Detto abbiamo poc'anzi che altre figure veni- vano alle spalle del nostro yérruntinlano^ alle quali col gesto stuJiavasi eli metler fretta- Il primo a se- guirlo reca in mani una tazza^ e danza. Egli è nudo della persona, calza i coturni, ha il pileo in testa e su quello una Lenda purpurea, e porta i nomi di eaiIM3I:iaq3JR/1 ■> avilereg : ienhes , forse As>ilerecus Laenius o Lenaeus] come diremo qui appresso. Abbiamo in Lanzi Varnalec colla stessa termi- nazione di AVILEREG, ch'egli tradusse semplice- mente Varia ed anche Varnaleca o Varnalica (1). L' AVILEREG dunque della nostra iscrizione potrà rendersi, sull'autorità del Lanzi, o Avilius o Avite- recus, siccome di sopra ho già detto. Resta a dirsi di lENIlES che tradussi Laenius o Lenaeus, comunque in tutte le copie sia manife- stamente una I la prima lettera di quella voce; e ciò per la ragione, che ricorrendo quel gentilizio in altra iscrizione di questa grotta, come vedremo in appresso, scorgesi assai chiaramente nel fac-si" mile dello Stackelberg un tratto appiccato inferior- mente all'asta di quella I, che lascia fortemente du- bitare ch'ella non fosse stala primitivamente un Aa^§§a. Leggo adunque Laenius nell'etrusco lE- 1 NlIES: e qui dirò che una Thannia Laenia, ed una Laenia Papiana trovansi in Lanzi (2), che un ' Lennius ed un Leninius sono in Grutero (3), che Laenas fu cognome altresì d' una famiglia della (i) Loc. cit. p. 44? (4^o)- (n) Sagg. ec. toni. Il, p. 4o4, n. 228. p. 453, n. 437. (5] DCCXXXIII, 5. DCCLFHl, 2. 282 LKTTaBATunA gente Popìlìa in Roma, cognome tratto probabil- mente dalla etrusca voce laena^ che Festo così de- scrive: Laena '^festiìnentì genus Jtabitus dtipUcis s quidam appellatam existimant tusce^ quidam grae- ce, quam xXarva'» dicimt. Chi amasse di sapere co- me un tal cognome si acquistasse quella romana famiglia vegga Cicerone Brut, XIV. Che se, dato ai due II di LENIIES- il valore della E, vj, come Lanzi ne insegna (1), piacesse ad altri di tradurre Lenaeus , avremmo in questo un gentilizio tolto dal noto cognome di Bacco Leiieo^ Avìvocìog , così detto da >.>jyc?, torcular^ ossia ànO xou r.o.xr,'ja.i tkj aT«ipuàX5 £V Avjyoi (2). E tutti pur sanno che gli an- tichi assai si piacquero di assumere talvolta i pro- pri nomi e cognomi degli stessi loro iddìi; e senza recarne qui in prova greci e romani esempi, ba- sterà ricordare quella HINTIIIA TVRMVC4S d'un etrusco vaso vulcente (3), i Thormenii (4), i Tinii (5) ed altri silFatti gentilizi di quel popolo, che tolti furono quali da Mercurio (6), quali da Giove^ e forse anco da Bacco (7). Tornando ora a parlare della ultima figura di (i) Sagg. tom. II, p. 25t. in, p. 786. (2) Diod. sicui. ir, 5, (3) y. gli Atti delV accademia romana di arcìieol. tom. VII, p. II, tav. II. Monum. ined. dell' inslit, di corrisp. archeolog. i834, tav. IX. (4) Lanzi l. e. p. 3^8, 5; 343, S^g; Vermigl, l. e. p, 176 , 182, 226, 245, 3o8. (5) Lanzi l. e. p. 55-j, ii , 52i , 543. VermigUoli i63, i64 , 233. (6) Iq etrusco TVRMS. (7) TINIA, TINA. Grotte tarquintesi 283 quella seconda p.rete della nostra grotta, ch'è un Lars Matiiesius, l^^^[({]/W QqAj, già da noi ri- cordalo poc'anzi (1), diremo ch'egli è nudo e pilea- \.ù, che calza quella specie di coturni che vedemmo già al piede del nostro Arnmtiniano, e porla di più nella destra mano una lazza, due bende nella sinistra, un monile al collo, altra benda o corona sul destro braccio, altra finalmente sul pìleo stesso. Ed ecroci a descrivere la pittura della terza parete. Anche qm è dipinta nel mezzo una porta rastremata, siccome l'altra che abbiamo dì sopra descritta. La prima figura, che ti si presenta a lato della porta, è una donna nuda che danza. Ella por- ta al collo un monile ornato di gemme, rossi i cal- zari e puntuti, una benda azzurra alla testa, biondi e corti i capelli, de'quali però due lunghe ciocche le cadono sparpagliate giù per il viso. Comunque qui r etrusco pittore abbia scritto il nome di ^VqVM/18 aiq/lj, LARIS PHANVRVS, vede ognuno che non può questo a lei appartenere: e noi lo daremo senza tema d'ingannarci al tihicine che le sta ritto alle spalle, che nome non porta. Ha costui pure sul capo una rossa benda, rossi i calza- ri che gli coprono mela della gamba, e per cosa assai singolare due mustacchi o basette arronciglia- te, che tanto più ci parvero strane, quanto che raso ha costui il mento ed il viso. Nulla dirò di quel pronome Laris cognitissimo in Etruria. Phanurus poi è da VH/18, PHANV, (r) Uà Matusius trovasi in Muratori e nel Doni ( p. XCIV a; Ani. inscript. I, i53 ). Matucius è più volte in Muratori pa?' MCCLVI, 8, MLIV, 3, ed altrove. 284 Letteratura anch'esso per più esempi notissimo (1). JVè è a du- bitare clie dall'etrusco VI^/18 *'* provenuto il la- tino fanum^ e come pare nello stesso significato di sepulcrum (2). Alla destra del sonatore vedi altra donna dan- zante, nuda e tutulata, con ricca ed azzurra collana al collo, ed una rossa benda sul tutulo stesso, tre delle quali di color cilestre appese sono alla pa- rete. Sono notabili i calzari rossi e puntuti che por- ta ai piedi, i quali si allungano a foggia di becco dietro al tallone, come degli altri si è detto. Que- sta donna chiamasi I3l3^aj03j0l/1A<1A' ^- RANTHLEC (3) lENElEI, o LEAEIEl (4), Arun- (i) Leggasi questa voce nella celebre iscrizione della torre di s. Manno a Perugia, di che vedi il Buonarroti, il Passeri, il Maffei, il Lanzi, il Bardetti, l'Amaduzzi, il Coltellini, il Vermi— glieli, Vincenzo Campanari mio padre ed altri. E PHANV ri- corre aluesi in una iscrizione d' altra grotta sepolcrale tarqui- iiiese pubblicata nel Bollett. delVinstit. di corrisp, areheol. i833 N. ly, su la quale alcune dotte osservazioni ci ha per il primo lasciate il chiariss. Orioli negli Annali di detto istituto voi. del i834 , p. 178, ss. (2) Bene disse a questo proposito il citato Orioli , che pare ornai impossibile di dubitare, che questa noce PHANV siasi im- piegata dagli etrusci anche in senso di sepolcro: ciocché per al- tro, com'egli segue a dire, non ha nulla di che dobbiamo essere sorpresi, poiché significava essa assolutamente LOCFS FANDO COISSECRATUS fFest, v Fana), o siccome Varrone si esprime (L. L. V. 'j ) un luogo in cui pontifices in consecrando fati sunt fìneni. Se ne ha quindi solo da dedurre, che il sepolcro presio gli elruici era luogo consacrato con formola e avente aia sacra di determinati confini. (3) Nella copia del Kellennann quella prima voce è scritta 1340V/l^/4, ed in quella del Ruspi ^3J0V ■(\<\(\ dove in luogo de'due punti doveva essere l'asta di una ^ , dì cui que'punti souo un misero avanzo. (4) Kellermann scrisse per Intiero questa voce J313^3I' Grotte tarquiniest 285 tilìjcn Laeriia, e accompagnata la vedi da una pic- cola cagna che chiamasi AJ83A' AEPHLA cioè AEPHILA, supplita la mancante I, che par da ren- dere àtìfìXr] , ovvero àirpì"^'^ , la sempre- amicai no- me assai conveniente, come ognun vede, ad uno di sì fatti animali, che furono sempre i compagni e gli amici fedeli deiruomo. Ne nuova è per certo, se ad altri cosi parve, la forma di quel diminutivo ARANTHLEC nella etni- sca nomenclatura. Abbiamo in Lanzi una Aruntle^ hesca{\) (A^3Z0.3JtH<3) ch'egli tradusse Arun- tilixa. Si avvicini a questa V Jranthlec della nostra epigrafe, e supplite le mancanti vocali diasi al K finale il valore della X, come il Lanzi stesso ne in- segna, ed avremo una seconda Aruntilexa o Arun-' tilixa^ siccom'è quella di cui abbiamo parlato qui sopra, spogliata ch'ella sia delle molte sue aspi- razioni. Di Laenia, gentilizio, non parlerò di vantag- gio: e poco monta che LENEIEI sia qui scritto in luogo di LENIIEI, conforme il LENIIES riferito di sopra. Tutti sanno che TEI, posto nel mezzo del- la voce, corrisponde in questa lingua ad I lunga: e tutti pur sanno, che i due II, comunque corri- spondano talvolta ad E, e più raramente anche ad A, il più delle volte valgono I, siccome qui possono anche valere. È poi ugualmente noto, che la orto- grafia de'casati non è sempre presso gli etrusci la stessa. Scrìssero essi per esempio TLESNEI per Lae- Nelle altre copie, cbe ho sott'occhio, quella ultima lettera è nella più parte mancante, né si vede che la metà superiore d'una 1. (i) Sass- ec. //• p. 446, (!^i&J. 286 Letteratura nia (1), scrissero anche LANI o LAINI per Lae^ nius (2): d'un Lenache in bronzo parlò pure Io slesso Lanzi. Ora abbiamo LENIIES e LENEIEI dalle grotte tarquiniesi, e comunque diversa sia la ortografia di tutti questi ZemV, tutti pur ricor- dano un solo nome nazionale etrusco. = E qui fini- to il ballo, hanno i giuochi principio. Quattro giovani nudi ed imberbi, cavalcando a schiena nuda quattro belli e generosi destrieri, muo- vono lentamente l'un dopo l'altro per apparecchiar- si alla corsa , preceduti da un pedone chiamato si V043=l, VELTHVR, Velthurius, nome giìi no- to per altri esempi di toscane iscrizioni (3). Tre di costoro vanno armati di bacchetta {\3.daxiz)^ con cui stimolano i loro cavalli: ma dei quattro cavalieri il primo solo ha qui nome,ch'è u"AI10QA4^IQA-4» LARIS LARTHIIA, o A«p5>ja:; nomi de'piìi usitati e cogniti degli etrusci, su' quali non vorrò fermar- mi più a lungo. Avvertirò intanto, che due di que' cavalli sono di pelo rosso, con code e criniere azzur- re, due altri co' crini e le code rosse e *1 manto nero; siccome dirò ancora che a poca distanza dell* ultimo cavallo sorgono da terra due virgulti di oli- vo^ e cinque bende stanno appese alla parete in quello spazio che occupano i quattro cavalieri an- zidetti. Ed eccoti qui Vi&\\!ultimo quadro due lottatori^ (i) Lanzi torti. II. p. ^ot^, n. 228. (a) h. cit. p. 4oo> num. 21 •2. (3) Lanzi ^ S^gg- ^^- iom. II. p. ZSj, 3^5, 497- Della gente Velturnia otto epigrafi reca il Vermiglioli nella dottissima sua opera più volte citata delle Antiche iscrizioni perugine p. 26*2, ss, alla quale rimando il lettore. Grotte tarquiniesi 287 ]'uno de* quali avendo con una mano afferrato il braccio destro del compagno, coiraltra il pie sini- stro di lui, lo solleva in alto, come già Aiace di Telamone il figlio di Laerte (1), e lo spinge e lo pre- me con le robuste braccia per atterrarlo. Gliiamasi costui HJ^tq-ì Vt/I,NVCRTELE,raltro 3iaqìI3, EICREGE. Se non che è qui d'avvertire, che il bar. di Stackelberg scrivendo anch' esso 343'i'^IVH quel nome s\ fatto, come di poi fece il Kcllermann e prima di lui il Ruspi, ci ammonì che dubbio a lui parve tanto V '\/^ che il ^4^<\\/4^> CHVACHA, ricoi-dato Hi sopra, che ad altri piacerà forse di legger meglio o PSVAPSA o PHVAPHA, secondo le dottrine del Lanzi e del Vermiglioli , dirò che in tanto ho io dato il valore del CH a quella lettera, in quanto che ella è di tal forma nell'originale, che parmi assai più avvicinarsi all'etrusco vj^ CH, che al ^ con cni volle qui esprimersi per mancanza di altra lettera a quella dell'originale somigliante ; cotnunque poi non sia anco- ra dclinito con certezza, se quel ^ valga assolutamente PS , o PH, o se possa alcuna volta attribuirlesi il valore del CH, come pare non potersi dubitare. 292 BELLE ARTI Discorso recitato all'insigne e pontificia accademia romana di s. Luca^ nel giorno della premiazio^ ne scolastica delV anno 1S3S, dal cav. Filippo Agricola , consigliere e primo cattedratico di pittura^ sotto ispettore delle pittare de" palazzi apostolici., socio di onore della pontificia acca^ de mia romana di archeologia , della pontificia delle belle arti di Bologna, delle II. e RR. delle belle arti di Firenze, di V^enezia ec. ec. In presentarmi a voi, Eminentlssimo Principe (1), onorandi colleghi, giovani valorosi, ascoltatori uma- nissimi, onde contrihuire per quanto e in me a far solenne la ricorrenza del giorno desideralo , nel cjuale ad oneste fatiche ambito premio è concesso ; trovomi indotto, non per quell' affettata modestia (i) I.'eininentissimo sig. cardinal Giacomo Giustiniani , ca- merlengo della S. R. C, protettore munillco delle lettere e del- le arti, il quale di sua mano degnò fare la premiazione agli alunni dell'accademia. Discorso dell'Agricola. 293 che SI spesso è un artifizio rettorico, ma per in lima coscienza del vero, a farvi dichiarazione, che per esser io poco avvezzo a trattare la penna, troppo malagevole cosa mi riescira l'ornare il mio dire di quella eleganza di stile, che pur si ricerchere])Le per corrispondere degnamente alla presente solen- nità^ Scegliendo a snggetto del mio discorso il mas- simo dei dipintori, io avvisava di meglio asconde- re la mia pochezza all'ombra di un tanto nome. Or comprendo, ma troppo tardi, d'aver fallito l'in- tento per l'aspettazione, in cui mi figuro che sia- te di veder corrispondere le mie parole alla nobil- tà dÉll'argomento. Cresce in me cpiindi e l'imba- razzo, e il bisogno d'invocarvi indulgenti. Ed in- comincio. L'Italia, antesignana in Europa al risorgimen- to intellettuale ed artistico dopo le tene])re della età di mezzo, vide primo Cimabue disvincolarsi dalla servile imitazione de' rozzi artisti greci, le cui lunghe e scarnate figure grossamente panneg- giate, digiune d'ogni espressione e d'ogni movenza, segnano ancora sopra antiche volte di cappelle e di chiostri il punto, da cui l'arte pigliò le mosse per giungere alla eccellenza, che è tema a questo mio ragionamento. Giotto, che a Cimabue fu scola- re, non so Ijen dirvi se sia stato pili grande dipin- tore o architetto. Al modo che in quella età dì ga- gliardi commovimenti politici, e di focose passioni, i più illustri cittadini erano nel tempo stesso guer- rieri, magistrati, diplomatici, scrittori , tutto ciò che la patria facevali o volevali ; a quel modo, io dico, gli artisti contemporanei non seppero restrin- gere la propria foga ad esprimere in una guisa sola, 294 Belie Arti e con nn ordine solo di processi, la ispirazione che gli agitava. Quella mano , che trattando squadra e compasso avea segnato sulla carta i piani e gli spaccati del campanile di santa Reparata e della loggia de'Lanzi, quella stessa, armata di pennella, improntava le mura del campo santo di Pisa delle prime grandi pagine della dipintura italiana. L'impulso era dato; ne gl'ingegni dovevano ornai fermarsi, altro che col toccare la mela. Il millequaè- trocento, che vide l'originalità letteraria attenebrar- si nella penisola mercè dell' idolatria dell' antico, non ebbe a lamentare un simile offuscamento in fat- to di arti^ Giotto trovò imitatori e rivali, che Dan- te non avea trovati: fiorirono esimi dipintori ; qua il Francia a fondare la scuola bolognese, fa il Bel- lino a creare la veneta: e il Masaccio, e frate Ange-»- lieo, e il Ghirlandaio, e il Verocchio, e il Perugino a far più illustre la toscana. A nominarvi il Perugino comprendete, che toc- chiamo il secolo XVI, il secolo di Raffaello. Ne cer-r tamente ardirò di rappresentare cjual fos^e l'Italia in quel secolo; quella Italia gioconda, colta, guer-r riera, che si addormentava ai racconti de'suoi no- vellieri, ai canli de'suoi poeti, per dilaniarsi poi desta a colpi di stacco; quella Italia, ove la forma non cessò mai d'essere venusta; e in ogni parte del- la quale i capolavori dell'arte sembrano eternare i tipi del bello. Nato nel 1 Ì83 da Giovanni, pittore in Urbino di non oscura fama, RaKiello trova ancor fanciul- letlo tra le mura della casa paterna il primo cam^ pò, il primo eccitamento, a coltivare l'arie di Apel- Ic. E questo nome del greco maestro mi chiama a riflettere come la eccellen?a pittorica, a cui giunse DracoRso dell'Acricola. 295 il Sanzio, debba parere a buon diritto più sorpren- dente della ccceUenza, da altri tocca a que'giorni, in fatto di scultura o di architettura. Gonciossiachè della greca e della romana dipintura essendo peri- to ogni esemplare, era d'uopo teorica, pratica, tut- to cercare in sulle ali della fantasia, tutto fidare alle proprie forze ; mentre gli scultori avcansi in- nanzi gli occhi a cento a cento i modelli, su cui stu- diare, ed espresse nella miglior forma le più squisite norme dell'elegante e del maestoso: e gli arcliitetti, interrogando le relic|uie dei templi d'Atene, di Si- racusa, di Roma, ritraevano dalla contemplazione loro quelle leggi, che Bramante e Vignola ridussero a codice. Ma il Perugino (voi dite forse in questo pun- to ) era però un dipintore valente : ne sono argo- mento quelle sue tavole, in cui predomina una gra- zia e una purezza, che bene si affanno alla rappre- sentazione di argomenti sacri : campo presso che unico dischiuso agli artisti del quattrocento. Il Pe- rugino ( rispondevi ) certo fu dipintore valente ; e se da Raffaello non fosse stato ecclissato, parreb- beci sedere ancora più alto ne' primi onori dell' arte. Pure il suo fare pecca di secchezza, è povero d'anima. Dirvi che Raffaello infuse 1' anima nelle creazioni della pittura, non è dirvi che no fu egli poco meno che il dio ? x\vvegnachè in fatto d'arte la via del progresso ben è diversa da quella, che veggiamo aperta alla scienza. La scienza, senza arre- trarsi mai, con regolare e lento passaggio dal nolo all'ignoto, si avanza al discoprimento del vero ; ne vi ha laguna in questo arringo luminoso della uma- na ragione ; simile a fiume che deve necessariamen- te aprirsi un varco al mare, ed ha corrente più o 29G Belle Arti meno l'apida, secondo gli ostacoli maggiori o mino- ri che gli fanno intoppo. L'arte invece, tutta individuale, figlia della in- spirazione, e di un'intima coscienza del bello non tra- sfusa, ma innata, l'arte può far passi giganteschi sen- za metodico procedimento, ed a balzi; i tempi di te- nebre si convertono per lei ad un fratto in era di luce ; la luce sviene nuovamente per dar luogo alle tenebre. Il genio è un dono di Dio, da cui son no- bilitati certi individui, e fatte illustri certe elh. E Raffaello non continuò già quella tal quale apparente progressione da Cimabue a Giotto, da Giotto a Masaccio, da Masaccio al Perugino; ma tra Perugino e se pose un abisso; se merlesimo, non piìi in appresso vinto, ne tampoco uguagliato, col- locò sopra sublime piedistallo, innarrivabile tipo dell'arte sua. Volgevano per 1' Italia, duopo è confessarlo , tempi SI propizi a cotesta arte, da non invidiare quelli di Pericle. I popoli stanchi di fazioni guelfe e ghibelline, d'invasioni aragonesi e francesi, era- no avidi di pace, e di tutte le voluttà della pace. La poesia creata da Dante, la prosa abbellita dal Boccaccio, dopo d'aver ceduto il campo alla eru- dizione greca e latina del quattrocento, rivendica- rono nel secolo seguente con immortali lavori il loro seggio d'onore: ed i\n moderno ebbe a dire : « La nube sgombrò. Al quattrocento, che ne fu ot- « tenebrato, succede il magnifico cinquecento ; e « veggovi impresse le orme del semplice nelle linee « soavi e morbidamente scorrenti , che segnano il « contorno delle vergini di Correggio, de'putti d'Ai- « bano, delle Veneri di Tiziano; nelle linee risenti- « te del Perseo di Cellini, del Mosè di Michelange- Discorso dell'Agricola. 297 « lo, dell'Ercole di Donatello : le vedo impresse « ne'templi di Bramante, di Briinellesco; ne' palagi « di Sansovino, di Vignola; nel gitlo di Gliibcrti, « quelle porte del fiorentino battistero, che Buonar- « roti dicea degne del paradiso «. Lo scrittore di cui citai questo Lrano, che sì bene caratterizza l'età di Raffaello, indicandovi in essa a carattere distintivo dell'arte l'amore & la co- noscenza del semplice^ parmi aver toccalo il punto della eccellenza deirurbinale. E qui per semplicità voi noi intendete per cer- to povertà di concetti, grettezza di forme, od altro che di meschino. La semplicità è definita consistere in adoperare al conseguimento di imo scopo il mi- nor numero possibile di mezzi; ha in se qualche co- sa di matematico; non può essere ne più, ne meno; è dunque uno degli attributi della perfezione. Or bene, piacciavi applicare questa definizio- ne al fare di Raffaello; e vedrete da per tutto spic- care, in un certo qual suo armonico concetto, le diverse impronte del semplice. Ecco la Galatea che muove per la placida mari- na condotta da delfini, circondata da ninfe e tritoni che carolano : le acque par che si facciano piìi che- te e trasparenti al suo giungere; volano festosi amo- rini per l'aria. Quale espressione domina il quadro? La gioia. Ecco la scuola di Atene, e per gli ampli vestiboli filosofi a crocchio, e retori, e geometri, e Diogene seminudo per terra, e Platone avviluppato nel pomposo suo manto. Quale espressione domina il quadro ? La meditazione. Ecco nella Trasfigura- zione due scene diverse, e quasi due quadri: a bas- so r indemoniato che si contorce, donne ed apo- stoli che attevriti lo guardano, la turba che si agita 298 Bellk Arti intorno; in alto altri apostoli che si fanno velo del- la mano alla celestiale luce del trasfigurato Signo- re. Quale espressione domina e l'una e l'altra di ta- li rappresentazioni? La maraviglia. Ecco nell'incen- dio di Borgo, femmine e fanciulli seminudi cercare fuggendo scampo dalle fiamme, e una madre tre- mante porgere il suo bambino dal balcone al mari- to, e rinnovato il pietoso caso d'Enea e d'Anchise. Quale espressione domina il quadro? Il terrore. Ma cotesto semplice, di cui vi ragiono, è un certo fiore di eleganza che ben si sente, e mal si esprime, specialmente da chi digiuno come son io d'ogni facondia, inciampa ad ogni passo nell'espri- mere i propri pensieri. Questo semplice , di cui vorrei trasfondervi quella idea che ne ho io stesso, non solamente do- mina le composizioni dell'urbinate, che è dire lo spiritualismo dell'arte, ma ne informa la esecuzio- ne, che dell'arte è il tecnicismo; e spicca nella di- stribuzione delle tinte e nel vario vigore dei toni. Ma qui noi siamo sventuratamente condotti a giu- dicare piuttosto per analogia , di quello che per evidenza di fatti: avvegnaché il tempo mosse guer- ra alle tinte di que'capo-lavori: e qual degradando, quale afforzando, produsse disarmonie lontane dal concetto dell'artista: e specialmente nei dipinti dell' ultima maniera regna uno scuro , di cui abbiamo diritto di dolerci, non col divino pittore, ma colla fortuna, che non rispetta le creazioni del genio ; e col tempo, che imprime per tutto le irreparabili orme del decadimento. Quello scuro che lamentiamo, specialmente nel- la Trasfigurazione, è dovuto in gran parte al fare di Giulio Romano: il quale, venutogli a morte il Discorso dell'Agricola 299 maestro, tliè compimento al gran lavorot ed avido di conseguire più vivace l'effetto dei contrasti , ca- ricò le ombre, le quali crebbero in tono cogli anni, e scemarono l'effetto maraviglioso della fusione ar^ monicu del colorito raffaellesco. Una tavola di lui, giovani valorosi, ho in ani- mo di proporvi ad argomento di particolare ammi- razione, siccome quella che per gran ventura poco oltraggiata dal tempo, quanto a colorito, rispetto al concetto artistico è dimostrazione luminosa della eccellenza dell'urbinate. Vi ricorderà con quanto calore io vi raccomr.ii- dassi, lungo il corso degli esercizi nostri, lo stiulio della Madonna di Foligno, di niuna maniera di bel- lezza dimostrandovela digiuna: Ilolbein, Tiziano non aver ritratti che vincano al paragone quello di Si- gismondo Conti; del s. Giovanni ben essersi appo- sto il Vasari scrivendo^ « Vi si scorge una sincerità « d'animo, una prontezza di securtà, come di chi a lontano dal mondo lo sbeffa, e dovendovisi pure « ravvolgere, fa professione di sincerità severa «. Il che, aggiungeremo noi, essere appunto ciò che Plinio appellò pingere mores; frase di cui un vol- garizzamento letterale tradirebbe la significazione , perciocché suona , dipingere il morale di ciasche- duno. Le fisonomie dipinte da Raffaello sono libri aperti, ne'quali ci avviene di leggere pensieri ed af- fetti. Vedete nel s. Francesco come la umiltà , la pietà, il raccoglimento sono espressi in quegli atti, in quel viso! Non discoprite voi in essi i gaudi sera- fici della penitenza ? Vedete in s. Girolamo come le rughe del volto austero rendano testimonianza di sublimi meditazioni I Evvi raggiante la calma di SOÙ Belle Arti una filosofia santificata dall'alto. Che se poi vi affis- sate nella Madonna, che si reca in hraccio il Bam- bino, e scendendo dal cielo su nuhi, trae a se gli occhi di quei vari personaggi, unico oggetto ai loro omaggi ed alle loro preci ; oh bene io vi dico, che a fatica ritrarrete lo sguardo dalla contemplazione di quel celestiale simbolo di purità e di bellezza ! Aè quella vergine soltanto, ma quante ne ope- rò Raffaello, spirano tutte una soavità, da cui l'ani- ma è innamorata e conquisa. « Amore, fu scritto , « ha mestieri d'espansione : il pensiero della raae- « sta di Dio induce ad ammirazione e terrore ; i o serafini stessi si fanno velo coll'ali al suo cospet- « to. Alla fiacchezza umana fu concesso un inter- « mediario, che ne raccogliesse i voti, e li depones- « se appiè deirElerno. E qual mai ? La donna in « cui s'incarnò la redenzione ; quella Maria , chei « basterebbe sola a farci credere vera la religione, « che la chiama regina dei cuori, confortafrice del- a le anime. A Maria, che recasi in braccio il pic- « colo Gesìi, noi porgiamo voti, il suo sorriso ci è « dappertutto presagio di pace, nunzio di perdono, o presentimento di felicila. E alla pia anima di « Raffiiello soccorse la fantasia e la mano, ogniqual- « volta pinse la Vergine. E vedete in ciascuna di « tali dipinture quale armonica eppur variata sem- « plicita di concetto e di esecuzione! Come seppe « qua nelle Madonne, che hanno nome del velo , « del pesce, della seggiola, allegrare la soavissi- « ma espressione della maternità de'suoi gaudi pili « innocenti ; la nello spasimo di Sicilia toccare al « sublime nel collocarne innanzi gli occhi le an- « gosce ! » Ma io non porrei fine al mio dire, se piuttosto Discorso dell'Agricola 301 che alla ristrettezza del tempo, mi facessi ligio alla immensità del sii^^^otto, ed all'entusiasmo da cui son vinto, e che in voi, amati giovani, mi augure- rei di trasfondere, a presagio di onorevoli fatiche e di non volgare riuscimenlo. Vorrei potervi dire alcun che di que'vecchioni, che sì venerevoli il Sanzio collocava nei quadri suoi; di que'putti, che sì gai poneva a volo tra le nubi o in grembo a Maria. Vorrei potervi dire, co- me Raffaello Tu eccellente architetto; e tanto, che se non fosse stato pittore, quesl' altra sua fama sa- rebbe luminosa a far vivere immortale il suo nome. Et queste e infinite altre cose vorrei avermi agio di esporvi : ma chi può raccogliere un tantg argomento a brevi parole ? Ciò che io non def>bo omettere per niun con-» to si è di proporvi in Raffaello, oltra la imitazio- ne delle esìmie doti pittoriche, l'altra delle nulji-» lissime doti morali. Già l)en vi sapete, come brevi ma ricolmi d'o^ gni terrena prosperità volassergli i giorni. I mi-^ gliori de' suoi trentasette anni furongli fatti lieti d^ fatiche applaudile e da agi principeschi. Caro a Leone X. sì, da far credere che volesse egli in-^ signirlo della porpora; dimestico del cardinal Bi- biena, che destinavagli in isposa la propria nipote; amato dal Castiglione, dal Bembo, dairAriosto, da quanti altri erano elevati ingegni a quella età; ado- rato da' discepoli, che laccvangli corteggio siccome q lor principe, e tributavangli riverenza poco me- no che a loro nume; Rallacllo era divenuto argo- mento di stupore e d'invidia. Dissi però male, d'in- vidia: avvegnaché il suo carattere mite e generoso, il suo fare spontaneo e leale, la sua bontà che fa- 302 BELLEAnti cevagU sconosciuto il livore delle artistidhè rivali- tà, SI facili a porre radice, si pronte ad insidiare la pace e la virtìi di coloro che son fatti compe- titori di guadagno e di gloria; queste esimie doti, facendolo amabilissimo) non consentivangli d'essere invidiato. Michelangelo stesso, l'altero Michelange- lo, non potè nutrir rancore contro del Sanzio : e quando la sua mano potente segnò col carbone nel- la lunetta della galleria alla Fai'nesina quella co- lossale testa , che fé' avvisato Raffaello del tradito segreto de'suoi lavori; voi non ignorale, come il so- vrano dipintore, anziché darsi vinto alla collera, quello schizzo di sfida lasciasse intatto; facendo che quasi apparizione fantastica di avverso, ma non di superior genio, durasse eterno tra i giuochi d'A- more e di Psiche. E qui, cortesi giovani, se come feci teste di una tavola vi dovessi proporre la imitazione d'una virili di Raffaello compendiata ed espressa in un fatto, di questo appunto vorrei che v' invaghiste ; perciocché da questo apprendereste a rendere tri* buto d'onore al merito anche in un antagonista, ed a fidare, quando che siale per averlo conseguito , nel vostro proprio merito. Che pur troppo ore le muse hanno trono, e regnar dovrebbe virtuosa con- cordia non disgiunta da magnanima emulazione^ il livore addottrina i men nobili ingegni agli artifizi di Tersile e di Momo! Yoi avventurati, se vi riu- scirà di rapire a Raffaello il segreto, non solamen- te della sua divina semplicità, ma altresì della sua amenila d'indole, della sua ammirabile tolleranza! Felice l'artista, che serra in cuore una sorgen- te viva d'immortale bellezza! Felice la terra che lo vide nascere, e quella che ne conserva e ne onora Discorso DELL'AoRicotA. 303 le ceneri ! Oh! fu per bello per quest* antica pa- tria d'ogni arte, per questo antico seggio di ogni gloria , il dì del discoprimeiito delle reliquie del Sanzio. In quale de'vostri cuori non suscitò esso il battito d'una inesprimibile commozione! Farmi an- cora vedervi interrogare l'illustre avello con gli sguardi, in cui tutta l'anima era trasfusa; e da quel- lo io avvisava sfavillare ne'vostri petti le scintille del genio. La terra, in cui si accolgono le ossa dell ur- binate, non si è fatta indegna di lui. Splende an- cora, si splende un raggio del secolo di Leone X la dove Canova fu onorato come principe, fu pianto come padre da un popolo intero! Oh! Roma è veramente citta prediletta dal cie- lo! Appena tramontavano in essa le austere virili che l'avcano fatta gloriosa, e la porpora de'Gesari e de'Flavii piìi non bastò a coprire gl'indizi «Iel- la sua decadenza, il mondo si agitò, fatto maturo, ad un grande mutamento. Sacerdozio e filosofia più non valevano, che a ringiovanire o confutare le fa- vole prische, inette a suscitare credenze che rin- vigorissero gli spiriti prostrati, e facessero sorelle le tumultuanti nazioni. Allora fu che il cristianesi- mo, sostenuto dalla grazia del suo divin fondatore, profittò per diffondersi della unità dell'impero; cor- rendo, direi quasi, a gran giornate le vie, che la po- litica e la sontuosità romana aveano aperte da un capo all'altro dell'orbe, s'impadronì dell'avversione che il giogo inspirava, del terrore che destavano i barbari; e parlando in nome dell' umanità , della giustizia, e della bene ordinata primitiva eguaglian- za, si fé' ligio tutto quanto era sofiferente e schiavo, che è dire del mondo. £ Roma diventò un porto di 304 Belle Arti salute nel gran naufragio del medio evo, un faro nelle comuni tenebre. La religione del perdono e della fratellanza mitigò gli orrori delle invasioni barbariche, tem- però la fierezza de'costurni feudali. Solenne e temu- ta la voce del successore di Piero, fece vacillare sul trono i re malvagi, riconforiò i popoli oppressi col- la convinzione d' un magnanimo patrocinio; ed al vicario di Cristo alzarono essi un grido di univer- sale benedizione. Allorché in età mcn fiera quie- tossi la gran lotta che disertava l'Italia, e colla par- te guelfa trionfò la causa delle nazionali franchi- gie. Roma dopo d'aver pacificato il mondo, volle in- civilirlo; e le arti piuttosto spente, che profughe sulla faccia della terra, tornò redivive e onorate. Sursero quindi i Lei giorni di Giulio e di Leone; e Sisto fece stupiti i contemporanei colla moltiplicila delle sue creazioni; e Paolo scrisse il proprio nome sulla facciata di s. Pietro. Gli acquedotti di Claudio e di Agrippa versarono di nuovo le loro acque a pie de'rialzati obelischi; e il sacro terreno, fatto sgombro dal cumolo delle rovine, restituì alla pura luce del giorno i capo lavori della scultura e le ve- stigio delle imperiali magnificenze. Chi mai, in contemplare il Vaticano, chi mai non sente ingrandita e nobilitata in se medesimo l'idea della umana potenza ? Ove fu visto splende- re più illuminata e perseverante l'umana volontà .'* La entro da quattro secoli il genio va deponendo, siccome in suo santuario, ciò che crea di più noliile: Giulio vi chiamò Raffaello e Michelangelo a dipin- gergli camere e cappelle : un secolo prima il beato Angelico faceavi avvivate di graziose rappresenta- zioni le mura d'un appartato oratorio : un secolo Discorso dell'Agricola 305 dopo Bernlno profondeavi in iscale ed in colonnati l'inesauribile dovizia del suo fantasticare licenzioso, ma grande: Va. entro il generoso Clemente, il ma- gnifico Pio, e l'altro Pio sulla cui fronte vedemmo noi stessi posare una fulgida aureola di gloria, in atrii sorretti da colonne tolte al palagio dei Cesari, in aule decorate di musaici prestati dalle ville di Cicerone, in gallerie ove i grandi nomi delle pro- sapie romane sono sculti sulle lapidi dei loro se- polcri; Va entro, io dico, tra il Laocoonte e l'Apol- lo, tra la Trasfigurazione e il s. Girolamo, chi di voi non ha benedetto lo spirito, che a prò delle [)a- trie illustrazioni e delle arti animò in ogni tempo i supremi gerarchi della chiesa? « Ne la italiana maestra di Pitagora e di Niima a ( io cito qui le parole di un recente visitatore del « Vaticano ) dovea trovarsi sola esclusa da codesto « santuario delle glorie nazionali. L'Etruria , che « aveva affidato alle mura ciclopee di trasmettere « memoria della sua misteriosa grandezza, fu vista « rivivere altresì in que'vasi elegantissimi, che son « tipo d'un'arte perduta, in quelle necropoli ove « gli epitaffi parlano una lingua, di cui il tempo « spense la significazione. La civiltà etrusca fu ri- « vale e contemporanea dell'egiziana. Maravigliosa « Italia ! Maestra in riva al Volturno di arcane re- |« ligioni, a Roma di legislazione, a Firenze di poe- I « sia, da per tutto poi d'arte e di scienze! Ove la j« civiltà non fa vista di spegnersi, che per rifio- i« rire sotto forme mutate! E quattro volte ha ri- « fiorito a diffondere luce sul mondo! Alto e gentile pensiero del munificentissimo Gregorio XVI felicemente regnante fu quello di iaccordare la regale ospitalità del Vaticano alle arti i G. A. T. LXXVII. 20 306 Belle Arti etrusche! Salutare pietoso pensiero fu in lui di sal- vare una citta minacciata da infurianti acque con tale opera, che ben emula ogni antica più grande! Nobilissimo e per noi tutti confortevole pensiero è in lui di crescer luce e splendore con iscavi , restauri , e costruzioni a questa citth, alla quale or sempre piìi si addice l'appellativo di eternai av- vegnaché nella venerazione e nell'ammirazione dei visitatori gli anni, anzi che togliere, le vanno sem- pre aggiungendo alcun che di venerabile e bello. Ma vedo, Eminentissimo Principe, illustri col- leghi, benevoli ascoltatori, che la prepotente suc- cessione delle idee mi trasse lungi dal mio primo proposto; seppure è andar lungi da Rafifaello il nar- rare le glorie artistiche del suo paese. Di lui ( e qui più particolarmente rivolgomi a voi, giovani valorosi , ) non fu senza volere del cielo che le ossa, non ha guari discoperte, si ga- gliardi affetti vi suscitassero in cuore; e si destas- se nelle vostre menti sempre più vivo l'entusias- mo del sovrano maestro dell'arte vostra. Oh ! ab- biatevelo fiso nel pensiero! Imitate, studiate in lui il magistero dell' arte; ma invaghitevi ancor più, se è possibile, della elevatezza del suo ingegno, del- la generosità del suo cuore ! 307 Alcune opere di belle arti descritte dal prof. Sal- vatore Betti segretario perpetuo de W insigne e pontificia accademia romana di s. Luca. I. MARIA VERGLNE. Dipinto attribuito a Leonardo da F'inci (1). F. ra i luoghi più venerandi, che le arti e le lettere abbiano in Roma, vuoisi certo annoverare la chiesa e il convento di s. Onofrio de'padri della congre- gazione del B. Pietro da Pisa. Imperocché, oltre a un'insigne tela di Annibale Caracci, sono ivi a ve- dersi bellissime pitture a fresco del Pinturicchio, del Domenichino, non che di Baldassar Peruzzi: la cui opera dell' aitar maggiore è assai da conside- rarsi nelle memorie della vita di lui, essendo sta- ta la prima che da maestro condusse, come dice il Vasari , escito appena dalla scuola del padre di Maturino. Indi l'anima ti si commove non so se a maggior pietà o venerazione innanzi all'umile pie- tra, che racchiude le ossa di quel grande infelice che cantò la Gerusalemme: il quale oppresso anco- ra la mente e le membra dalle miserie del carce- re, ove r orgoglio di un potente avevalo tenuto a (i) "V. l'Ape italiana delle belle arti, anno li, tav. XXII. 308 Belle Arti ludibrio per sette anni, trovò ivi il suo estremo ri- covero, e spirò fra le braccia di que' caritatevoli religiosi. Francesco Patrizi, famoso filosofo , giace con lui per volere di papa Clemente Vili (1): po- co lontano è il sepolcro di Alessandro Gnidi: e ben- ché cerchi invano una lapide che ti dica di Gio- vanni Barclaio e di Giano Nicio Eritreo, pure ne onori le ceneri che sai essere sepolte in quel tempio. Fra le cose più rare però, che adornano il sa- cro luogo, si è riputata sempre una pittura a fre- sco, che dal Bottari, dal Lanzi , dal padre Della Valle e da altri eruditi dell'arte stimasi di mano di Leonardo da Vinci. Ella è nelle parti superiori del convento , a pie di un corridoio. Cosa tanto più preziosa, quanto che sarebbe la seconda, che di quell'immortale maestro potesse certissima mo- strarsi in Roma: sembrando a' più fini conoscitori che, salvo il ritratto della regina Giovanna nella galleria del principe Doria, non sieno da giudicarsi opere di lui tutti gli altri dipinti che fra noi si danno col nome del Vinci. Imperocché Leonardo, quando fu in Roma chiamatovi dalla magnificenza di Leone X, attese quasi ad ogni altro studio che alla pittura: godendosi nel fare, come narra il Va- sari, ora paste di cera e ramarri con misture di ar- gento vivo, perchè camminassero: ora oidniali sotti- lissimi pieni di vento (uso le parole dello storico), né' quali soffiando gli faceva volare per aria, ma ces- sando il vento cadevano a terra : ora finalmente (i) V. il Saiaiielli nell' istoria della congregazione del B. Pietro da Piaa, là dove parla della chiesa e del convento di s. Onofrio. Descrizioni varie 309 specchi, e ricerche di olii per dipìngere, ed altre siffatte cose che esso Vasari vuole chiamar pazzie. S\ che due soli piccoli c,uadri operò fra noi: e fu- rono per Baldassar Turini : i quali si chbe poi Giulio Turini , e seco li recò a Pescia. Laonde di- cesi (seguiterò col Vasari) che essendogli allocata una opera dal papa, subito cominciò a stillare olii ed erbe per far la vernice. Perchè fa detto da pa- pa Leone-. Oimè, costui non è per far nulla, da che comincia a pensare alla fine innanzi al principio dell'operai Ne infatti fece quell'opera: che avuto notizia come Michelangelo erasi mosso da Firenze per venire In Roma a provarsi con lui, non volle Leonardo attendere quel terrihilc spirito: e parten- dosi n'andò in Francia, dove il re Francesco desi- derava che gli colorisse il cartone della sant'Anna. In questo tempo, il solo in cui Leonardo di- morò in Roma, si crede che conducesse a fresco l'opera del convento di. s. Onofrio: opera, se altra ve n'ha, leggiadrissima non meno che semplicissi- ma, siccome quella che in un mezzo ovato ci ritrae sedente la Nostra Donna con in hraccio il bambi- no, il quale con la mano sinistra stringe dilicata- mente un giglio, e benedice colfaltra un divoto che (mezza figura) gipocchioni, e della berretta scoper- tosi .1 capo, gli si raccomanda. Veramente chi «uar- Ja .1 VISO della Vergine, così grazioso, cosi soa- ve, COSI divino, appena potrà tenersi dal non gri- dar subito maravigliando: Ecco il pennello, ecco Ja mano angelica di Leonardo! Ne men pura, ne men finita, ne men di stile leonardesco dirò pa- rimente la testa vivissima dei divoto. Ma ponendo poi mente al bambino, tanta ammirazione in lui ad un tratto si arresterà: e forse entrerà nuovamente 3t0 BielleArti in quel fortissimo dubbio, in cui tutti ci ha messi il silenzio che di questa pittura si ha nel Vasari: COSI magre infatti ne sono le forme, e cosi talora n'è trascurato il disegno. Ne altresì stara contento pienamente allo stile di tutta l'opera, bello certa- mente e lodevole, ma non di quella grandiosità che fu propria di Leonardo. Il qual giudizio non vor- rò io arrogarmi siccome mio: ma confesserò di do- verlo all'autorità del maggior maestro che ci fiori- sca , cioè di quel celebratissimo barone Vincenzo Camuccini, che Roma ed Italia onora del nome suo, me della sua bontà ed amicizia. Chi sia il divoto, che prega alla Vergine ed al Bambino, non trovo che alcuno lo dica. Quindi mi sarà lecito di avventurare una mia congettura: ed è, che riconoscasi in esso un Francesco Cabanyas spagnuolo, protonotario apostolico e camerier segre- to di papa Alessandro VI. Imperocché parmi che a questo ritratto rassomigli l'altro, che e pure a pie della B. Vergine nella pittura del Peruzzi all' aitar maggiore: ritratto che ignorasi di chi sia, e^ che in ambidue i dipinti è vestito ugualmente dell' abito de'prelati. Ora lo leggo nell'iscrizione sepol- crale del Cabanyas (trasportata modernamente fra le cappelle di s. Girolamo e del B. Pietro da Pisa) ch'egli abbellì e dotò una delle cappelle della chie- sa d"i s. Onofrio: ma qual sia questa cappella, lo stesso dìligentissimo Saianelli confessa ingenuamen- te di non saperlo. Non sarebbe già quella dell'ai- tar maggiore, si bene ornata di pitture e messa ad oro? L'età in cui visse il Cabanyas non vi fa osta- colo: essendo egli morto di ottant' anni nel 1506: tempo appunto in cui il Peruzzi trovavasi a f\ir l ar- te in Roma. In tale supposizione però crescerebbe- Descrizioni varie 311 to sempre più ì dubbi intorno l'autenticità del di- pìnto che vuoisi di Leonardo: perciocché, secondo il Vasari, non venne in Roma questo maestro che alla creazione di Leone X, la quale fu agli 11 di marzo del 1513, cioè sette anni dopo la morte del Gabanyas. IL SAGRA FAMIGLIA. Da un bassorilievo di Michelangelo Buonarroti condotta in pittura dal cav. Filippo Agricola (1). Fra le tante e si rare cose di belle arti, che in Roma già possedeva il cavaliere Giambatista Wi- car, era un bassorilievo di forma rotonda, eh' egli diceva per non so qnal prezzo aver comprato a Fi- renze: opera certissima di Michelangelo Buonarro- ti, ma non finita dal grande maestro, anzi lasciata di scarpello per essergli venuto meno il marmo alle tre figure che intendeva rappresentarvi. Dovevano elle comporre una sagra famiglia: dove sulle ginoc- chia di Nostra Donna fosse il celeste pargoletto, il quale con semplicità fanciullesca facesse atto di sbi- gottirsi alle strida di un augelletto portogli scher- zosamente dal piccolo san Giovanni Batista. Va- ghissima immaginazione, e degna di quella mente divina, alla quale non cosi le cose solevano fiera- mente rappresentarsi grandi e sublimi, che alla su- (i) V. l'Ape italiana delle belle arti^ anno III, tav. XI. 312 Belle Arti blimità ed alla grandezza non fosse pure congiun- to quel tanto di leggiadria, che fa essere e dir bel- le le arti. Il perchè essendo stata veduta la insi- gne opera dal chiarissimo professore cav. Filippo Agricola, incredibile fu il diletto che egli ne prese: piena come tutti sanno che ha l'anima di quelle gen- tili finezze e di quel modo di fare, che rese unico nelle nuove arti il suo Raffaello, ed immortali gli altri sommi maestri del cinquecento. Sicché avendo chiesto al Wicar dì poterne avere un gesso, con tanto maggior piacere l'ottenne, quanto che poco dopo il l)assorilievo andò fuori di Roma e d'Italia. Slette così alcun tempo quell'opera nello stu- dio del cavaliere Agricola, senza trarre a se gli oc- chi che del professore intendentissimo e di pochi altri suoi pari. Ed ecco che la fortuna portò ivi un giorno ad ammirare i dipinti del rinomato pit- tore Caterina Guglielmi na duchessa di Sagan, nata principessa Byron di Gurlandia: la quale com'è cal- dissima nell'amore delle arti, osservato ch'ebbe ap- pena il bassorilievo, vi pose sopra non che affezio- ne, ma quasi tutto il suo cuore. E siccome intende- va di ornare con qualche eccellente dipinto la do- mestica sua cappella in Vienna, cosi pensò di aver trovalo, appunto con che adempiere nobilmente il suo desiderio: e subito commise al pittore di con- durlene una copia in tavola. Non è a dire se con piacere aderisse l'Agricola alla volontà di una da- ma, eh' egli aveva già ritratta di naturale, e così appagala nelle celebri immagini de'quattro sommi poeti italiani a lato delle loro donne. Ma volle che il dipinto escisse dalla sua mano come cosa di un maestro, anziché di un semplice copiatore. Per supplir dunque al difetto del bassorilie- Descrizioni varie 313 vo in quelle parti, ch'erano o solo Indicate nel mar- mo, o mancanti, primieramente cercò se mai potes- se trovarsene alcun disegno che per suo studio ne avesse fatto l'artefice. Ed in ciò la sorte lo favorì: che fra' disegni, che fanno famosa la galleria del granduca in Firenze, trovò certissimo quello del s. Giovanni Batista, inciso poi dal Mulinar!. Oltre- ché gli parve che R:t(Faello non da altro archetipo, che da questa scultura, traesse l'idea della sua ce- lebre tavola della Vergine col Bamhino, cii'è pres- so il duca d'Orleans. Ed è veramente così: ne chi Lene consideri quella tavola e questo marmo potrà muover dubbio, che il divino urbinate non avesse veduta in Firenze l'opera del grandissimo fioren- tino. La qual cosa giovi a mostrare l'alta riverenza che Raffaello, anohe in quella sua onestissima emu- lazione, ebbe sempre all'ingegno maraviglioso del Buonarroti: ora che a certi novizi della pittura non sembra poter degnamente portare la barba di Ci- mabue e la guarnacca di Giotto, se per primo do- vere di una novella scuola non si fanno a vitupe- rare la fantasia più potente che sia mai stata nelle arti dal secolo di Fidia a questo che ci fiorisce. Giovanesca leggerezza e temerità, che appena i po- steri crederanno! Con questi aiuti, congiunti ad un giudizio così fino e ad una mano così valente, il cavaliere Agri- cola condusse il suo dipinto sul bassorilievo di Mi- chelangelo. Ne qui vuol dirsi come: basti ch'è ope- ra di Filippo Agricola. 314 Belle Arti III. LA STRAGE DEGL'INNOCENTI- Gruppo del cav. Antonio Sola (1). Che un crudelissimo tiranno, il quale tutta la sua vita condusse fra i sospetti e le uccisioni, ab- bia potuto macchiarsi della strage di que' fanciul^ li, che in due mesi erano nati in una piccola cit* tk di Giudea, a me non ha fatto mai maraviglia* Ne mi cale se Tacito, Svetonio e Dione trascuras- sero di parlarne: sapendo bene quanto poco i gen- tili siansi brigati sempre delle cose di un popolo, pel quale sembra che non avessero bastanti scher- ni sia per calunniarne il culto, sia per oltraggiar- ne i costumi. E rispetto a Giuseppe Flavio, la sua religione acerbamente avversa a quella di Gesù Cri- sto poteva ben essere un pretesto, dopo ottanta e pili anni, a trascorrere in silenzio un fatto, grave in se stesso per la testimonianza della nascita del Redentore, non tanto però per la qualità e pel nu- mero delle vittime. Sì dico la religione: perciocché Giuseppe, in tutte le opere che di lui ci riman- gono, non ismenti mai ne la sua setta farisaica ne la sua stirpe sacerdotale. Anzi non cosi reputavasi guerriero e sapiente, che anche più non si tenesse profeta del vero Dio: ripetendoci parecchie volte, come per tale virtù ottenne non pur la vita dopo la presa di lotapat, ma la grazia e i favori di Ve- (i) V- l'Ape italiana, anno I, lav. XXXV- Descrizioni varie 315 spasìano, a cui per divina inspirazione aveva pre- detto l'impero. E come inoltre poteva egli parlare della strage de'fanciulli di Betlem, e ritrarci il timo- re che già ebbe Erode della nascita di un gran po- lente, che dominato avrebbe il suo regno, se la pro- fezia di Michea che dice: Et tu^ Bethlehem terra Iii- dae, nequaquaìn minima es in principibiis ludaez ex te enim exiet diix^ qui regat popnlum, incum IsraeU riferir volle al suo augusto benefattore? D'al- tra parte l'autorità di s. Matteo è gravissima, anche se volesse passarsi l'alta sua dignità di apostolo e di evangelista: siccome quegli che fu contempora- neo al fatto, nativo del regno, e scrittore in lingua siriaca di cose, contra le quali tutta la sinagoga po- tendo levar la voce, e gridare menzogna, sì tacque: e si tacque poi anche Giuliano, che pur pretese in altre narrazioni di trovarlo mendace. Sicché con ar- gomenti di fede umana e divina anche di questo delitto vuol farsi reo quell'Erode di Antipatro, che non so se fosse più grande pel suo accorgimento e pel suo valore, che per la sua crudeltà. E gran- de chiamisi pure un uomo, che nato in privata for- tuna di cittadino, potè con finissim' astuzia indurre il senato ed il popolo romano ad eleggerlo re della sua nazione: che allargò la possanza giudaica oltre a'termini del recano di David e di Salomone: che delle arti greche e romane fece belle le sue citta, alcune delle quali edificò dalle fondamenta; che sep- pe infine nelle nostre guerre civili essere parimente caro ad Antonio e ad Augusto. Ma di quali scellera- tezze non macchiò costui la propria vita.'' Non par- lo del sangue di tanto suo popolo, ch'egli sospetto- sissimo dell'autorità sua versò a torrenti: parlo sì del sangue domestico e piìi illustre, di cui parve fé- 316 Belle Arti roccmcnte assetato. Imperocché fu questo Erode che «lannò a morte la sua moglie bellissima e virtuo- sissima, tre figli, la suocera, lo zio, il cognato gran sacenlotp, tutti i consiglieri del sinedrio di Geru- salemme: e che presso al morire comandò alla so- rella Salome, che radunati con editto i grandi del regno sotto specie di onore, li facesse tutti strasci- nare nell'ippodromo e scannare, affinchè della sua morte non dovessero rallegrarsi. Or vedasi qual ri- brezzo poteva aver questa fiera, come lo chiama il Casaubono, nel far trucidare o per ragione di stato o per timore superstizioso que'poveri fanciulli di Betlem! Hinno preso a rappresentar questo fatto mol- li artefici, fra'quali siccome sole grandeggia il di- vino urbinate: ma non ci è noto che alcuno scul- tore lo abbia mai ritratto in gruppo. Ed eccone appunto un'opera del cavaliere Antonio Soia di Barcellona, consigliere ed or presidente delKinsi- gne e pontificia accademia di s. Luca, e direttore in Roma de'giovani pensionarii della real corte di Spagna. Di che godiamo poter dare la descrizione, come di cosa che vogliamo chiamar romana , es- sendosi il cavaliere Sola fiìtto nostro fino da' suoi giovanissimi anni, inviato a Roma dal suo governo ad apprendere l'arte. Qui egli studiò , qui venne in fama, qui ebbe onori, qui finalmente condusse il gruppo di Daoiz e Velarde ch'è nel museo di Ma- drid , la statua colossale del re Ferdinando VII , la statua di Michele Cervantes, quelle di Minerva e di Cerere, e tanti altri lavori che giustamente lo hanno reso chiarissimo fra'modcrni maestri. L'intenzione dell'artefice in questo gruppo è stata di ritrarci un manigoldo in atto di assalire Descrizioni varie 317 improvviso una donna, che si reca in braccio un fanciullo. Gefifo più atroce e più vile sarebbe dif- ficile a immaginare : certo indizio del mestier di costui, non che della maledizione dell'animo! Gio- vane, e vestita con semplicità leggiadra, e bella del- la persona è la donna; l)enchè in preda a tutto il dolore materno sia siill'empier l'aria di strida. Ella, caduta all'urto di quel feroce, coU'una mano strin- ge al seno il misero pargoletto, coU'altra provasi di respingere l'assalitore per quanti mezzi natura le ha dato di schermo. Perciò lo scultore ha fat- to, ch'ella posi sulla gamba diritta, e si puntelli coir altra per accrescer forza. Ma invano : che il manigoldo colla mano sinistra afferra vigorosamen- te per una gamba il fanciullo, che piange atterri- to e cerca di abbracciarsi alla madre : e si quel crudo ha già innalzato colla destra il coltello per iscagliare il colpo! Inutile essendo riescita all'in- felice donna ogni opera di difesa, ogni grido, ogni implorar pielk, volge aogosciatissima il viso in die- tro per non vedere almeno cotanto scempio. 11 cav. Sola ha condotto questo gruppo per commissione di S. A. R. l'infante di Spagna D. Se* bastiano. 318 Belle Arti I V. LA VESTE DI GIUSEPPE PRESENTATA A GIACOBBE. Pittura a fresco del cw. Guglielmo Schadow (1). La casa di Federico Zuccari, posta in sulla via Sistina onde si va al monte Pincio, è non so s'io dir debba più bella pel vagheggiare che fa tutta Ro- ma che sotto le giace, o più importante per le me- morie di quella stirpe di valenti pittori. Imperoc- ché vedi ivi parecchie stanze con leggiadrissimi scompartimenti dipinte da Federico e dalla sua scuola: e ti rallegrano le vive immagini de'princi- pali della famiglia, non che di Taddeo e di esso Fe- derico che ne furono il più insigne ornamento. Ma una delle cose dì maggiore curiosità per gli artisti è l'appartamento dove abitava il cavaliere Barthol- dy, che fu console generale in Italia per S. M. il re di Prussia: uomo, come lutti conosciuto abbiamo, amatore caldissimo delle antichità e delle arti. Volle egli avere una sala dipinta a fresco dalla scuola ro- mana de' suoi tedeschi: e con egregia scelta allogò l'opera all'Overbeck, al Gornelius, allo Schadow, al Veit, tutti artefici di chiarissima fama, e i due pri- mi anche professori accademici di s. Luca. E vera- mente è incredibile con che amore tutti e quattro abbiano fatto a nobile gara d'ingegno e di pratica, seguendo principalmente la maniera loro diletta del (i) V. l'Ape italiana, anno primo, tav. XVIII. « Descrizioni varie 319 dipingere de'nostri pittori del quattrocento ; talché parvero degni di lode anche a coloro , che non si contentano in tutto del fare di que'maestri vec- chissimi , e vogliono ricondotta la pittura a piìi larghezza, a piìi forza, a più dignità dopo il fio- rire di Raffaello, di Leonardo, di Michelangelo , di Correggio, di Tiziano, e di tutta la divina scuo- la del secolo di Giulio e di Leone. Intorno a che mi guarderò bene di pronunciare alcun' ardita sen- tenza: sembrandomi che in tutte le scuole, dove seguasi il bello, possa giungersi all'eccellenza t e così pure in quella del quattrocento, quando l'ar- tefice abbia l'anima e Tocchio alla elegante e so- ave ingenuità che ne fu il miglior pregio, e at- tenda cautamente a non dare nel secco, nel fred- do, nel duro, nel basso, com'è facilissimo e come abbiamo pur troppo veduto accadere a molti. Fra le pitture di quella sala il chiarissimo marchese Giuseppe Melchiorri, direttore dell'^^oe italiana, ha scelto di d;>re inciso l'a fresco del ca- valiere Guglielmo Schadow di Berlino, direttore dell'accadenìia delle belle arti di Dusseldolf: ed è quello che con brevi parole qui prendo a de- scrivere. Rappresenta esso uno de'fatti dell'istoria di Giuseppe figliuolo di Giacobbe: tema di tutti gli altri dipinti di quella sala. Di che vuol darsi lo- de al giudizio del cavaliere Bartholdy: perciocché istoria pili tenera , più varia, piìi bella, e piìi da prenderne ammaestramento e diletto non è forse in tutte le sacre carte. E dove scorgi infatti l'oc- chio della provvidenza piìi mirabilmente vegliare su' giorni dell' innocente ? dove trovi più abisso ij di miseria, e piìi letizia e dignità di trionfo? Un 320 Belle Arti giovinetto, amore del padre, è da'propri fratelli ven- duto: è tratto poi schiavo in Egitto: calunniato da una impudica: gittato in un fondo di carcere: fi- nalmente sorge a tanto, ch'egli diviene l'arbitro ed il salvatore del regno de'faraoni. Certo niun'altra istoria da un flitto simile: perciocché Dominus erat Clini illo^ et omnia opera eiiis dirìgebat. Anzi ne pur ce Io da la greca mitologia così feconda di maravigliose finzioni: dove il casto ed infelice Ip- polito , che chiamar potrebhesi il Giuseppe della favola^ vedi pagare il fio delhi sua virtù fra le im- precazioni del padre e l'ira di A^eltuno che lo trae miseramente a morire. Al cavaliere Schadow^ è toccato ritrarre Gia- cobbe, quando da due pastori gli è presentata la veste di Giuseppe, tutta tinta di sangue, in segno che il giovinetto era slato divorato da qualche fiera: fatto narrato nel cap. XXXVII del Genesi. Sta il venerabile patriarca sedendo sopra di una pietra fuori del rustico suo casolare nella valle di Ebron, ed ha innanzi a se i due mandriani, che gl'inviaro- no i figliuoli per annunciargli e dargli credere il funesto caso. L'uno di essi, in atto di grande at- tenzione al volto di Giacobine, mostrandogli una ve- ste talare e polimita, o sia a vari colori, è sul dire quelle parole: Questa abbiamo trovata: guarda se è 0 no la tunica del tuo figliuolo (1). L'altro, di età pili giovane, sembra indicargli con la mano sini- stra la parte della regione, e forse i campi di Si- chem o di Dothain, dove annunciavasi essere stata trovata la veste. Giacobbe alla miserabile vista in- (i) Hanc invenimus: vide, ulruin tunica filii tiii sii, an non. Descrizioni varie 321 consolabilmente piangendo e gridando : Ella è la tunica del mio figliuolo\ Una fiera crudele lo ha mangiato ! Una bestia ha divorato Giuseppe ( 1 ) ! per gran dolore si squarcia le vestimenta di dos- so, come il sacro testo accenna (2), e com'era uso di quasi tutti i popoli dell'oriente. Ne 1' angoscia sovrabbonda meno all'animo della madre Rache- le, la quale vedi ivi presso levare al cielo le ma- ni e far tali grida, che un'ancella della casa, com- mossa al clamore , è già sulla soglia della porta per accorrere tutta piena di sbigottimento e di compassione. Quel fanciullo, che osservi seduto in terra vicino al patriarca, è il piccolo Beniamino, il quale con innocenza accompagna anch'esso il piangere de' genitori. Dissi che il lacerarsi le vestimenta di dosso era uso di quasi tutti gli orientali: ne sarà chi ne dubiti, s'egli non sia digiuno afifatto delle cose bi- bliche e degristorici. Giovi però qui notare che forse non opportunamente alcuni artefici danno questa significazione di dolore non solo ai greci, ma anche ai romani. Imperocché quanto a' primi, in tutto Omero non se ne trova esempio. Gravi so- no inoltre le ambasce di Agamennone nella Ifige- nia in Aulide , di Creonte nella Medea, di Peleo I! nell'Andromaca, di Edipo, di Admeto, di Elettra, di Aiace, di Filottete. Ma niuno tuttavia ne in Es- (i) Tunica fiUi mei est: fora pessima comedit eum: bestia de- voravit loseph. [i] Scissisque vestibus, indutus est cilicio, lugens/ilium suum multo tempore. G. A. T. LXXVII. 21 322 Belle Arti chilo, ne in Sofocle, ne in Euripide vedi lacerarsi le vesti. Ed immensa fu la doglia di Achille per la morte di Patroclo nel libro XVIII dell'Iliade: e nondimeno ecco il modo con cui il sovrano poeta ce lo ritrae: Una ìiegra a que detti il ricoperse Nube di duol: con ambedue le pugna La cenere afferrò^ già per la testa La sparse, e tutto ne bruttò il bel volto E la veste odorosa. Ei col gran corpo In grande spazio nella pol've steso Giacca turbando con le man le cliiome E stracciandole a cioccìie. Ne diversa fu tjuella di Alessandro per la mor-^ te di dito e di Efestione, come ci narrano Plutar- co, Arriano e Curzio. Fra i romani poi mu lavasi in bruno la veste, velavasi il capo, lasciavasi crescer la barba, e piangevasi: ma la severa dignità de' no- stri avi non permetteva, se non forse alle prefiche ed ai servi, di abbandonarsi a niun atto di barbarie» co avvilimento. Descrizioni varie 323 V. O M E 11 O. Bassorilievo del commendatore Alberto Thorwaldsen (1). Al nome di Omero ogni spirito gentile in se stesso si esalta, oaoi cuor si commove : ne solo di poeta, ma di filosofo, di oratore, di artista, e perfin di guerriero. Imperocché la cetra del signore dell' altissimo canto, la prima voce sublime die la civil- tà de'popoli di occidente innalzasse all'escire della barbarie, fu a tutti portentosa maestra in ogni ge- nere di sapienza : e così a Platone, a Demostene, a Sofocle, a Fidia, come a Temistocle e ad Alessandro. Quasi tremil'anni sono passati sul sepolcro del gran- de, ed ancora quella voce iniianima il petto de' ge- nerosi. De' generosi, dico : non di coloro, a' quali con viltà degna di questo secolo soffre il cuore di anteporre alla splendida inspirazione del cantore di Achille non so quali stolte leggende e cronache di un'età, cui meglio dovrebbe il pudore italiano dimenticare. Uno de' più caldi nell'amore dello smirneo di- vino è certo il commendatore Thorwaldsen: il qua- le, tutto dato com'è alla meditazione de' classici , così ha posto l'animo al loro principe, che da esso dice aver tratto , più che dallo stesso studio delle opere delfantico scarpello, quella immagine di gre- (') V l'Ape italiana, anno quarto, tav- III. 324 Belle Arti ca beltà, di cui al mondo non fu cosa ne piìi genti- le, ne più perfetta. Nel che il celebre artefice mo- strasi pure italiano non meno di consuetudine che di cuore : ben polendo affermarsi, che niun popolo al pari del nostro abbia mai avuto in tanta riveren- za colui, che alla fantasia di Virgilio e di Torquato dettò i magnifici versi, e volle fra le moderne na- zioni avere in Vincenzo Monti il suo interprete più solenne. Ed infatti chi piìi dell'Italia, oltre alla Grecia, era debito che onorasse Omero , il quale non pur ci fu ospite peregrinando in traccia del- Tetrusca sapienza, ma di qua trasse gran parte del- le immaarinazioni che adornano l'Odissea ? Omero dunque, che alfallezza ed armonia de^ suoi versi rapisce in ammirazione i suoi greci, non so se dell'Europa o dell'vVsia minore, è il soggetto di un bassorilievo che il Thorwaldsen ha condotto in marmo, non già secondando le idee stranissime dei Perrault, dei d'Aubignac, dei Beniley, ne il so- gno metafisico di quel nostro famoso che nel canto- re dell'Iliade e dell'Odissea volle, anziché un uomo, ravvisare un carattere eroico ed un sìmbolo della volgare sapienza della Grecia primitiva: ma seguen- do piuttosto la naturale ragione, il testimonio de' fatti antichissimi , e 1' autorità de' piìi prudenti scrittori. Rappresentasi in esso il poeta seduto so- pra un masso di pietre presso il vestiholo di una citta, ov'eaili si è fermato in alcuna delle sue tante peregrinazioni. Egli è vecchio del volto, cinto del nimbo le chiome, e quale in lutto ce lo ritraggono le arti greche , e ppecialmente l'insigne erme del musco capitolino. Semplice è la tunica che lo veste e che non gli oltrepassa il ginocchio : ampio il pal- lio, che parte gli copre dell'omero : scalzo è de' Descrizioni varie 325' piedi : ed a terra gli giacciono e il bastone e il cap- pello dei viandanti, ed il piccol fardello di una vir- tù cos'i povera. Oli come vorreste essere di coloro che gli fiinno corona, e die con occhio si attento e riverente lo guardano in quell'atto ch'egli è di toc- care con le dita della mano sinistra le corde della cetra, e di far segno, col levare maestosamente la destra, delfentusiasmo a cui è già rapito dalla poe- tica divinità ! Io non so ciò che canti quel labbro d'x\pollo : se l'ira di Achille, se le sventure di Pria- mo, se i casi di Ulisse : ma sublime dev'esser certo il suo canto , e tale che nelle virtù degli avi accen- da il petto de' nipoti con ben altre immaginazioni , che quelle onde oggi l'arte de'versi si disonora fra gli orrori di una elh stnpidamente barbara e le bo- reali tristezze. E bene il mostra la moltitudine ivi raccolta di ogni condizione, di ogni età, di ogni ses- so : della quale ha egli a se tratti mirabilmente non pur gli occhi e gli orecchi, ma il cuore e tutte le potenze dell'anima. Quel vecchio, che fattosi soste- gno del suo bastoncello con tanto desiderio affisa nel poeta lo sguardo, ricorda forse le imprese de' suoi verdi anni, quando anch'egli stimava bello fra l'armi anteporre l'onore alla vita. E quella donna vaghissima, che stringendosi al seno il suo pargolet- to ascolta con si tenera compassione, chi sa qual ca- ro pensiero sente destarsele in petto ! Chi sa che novella Andromaca non abbia il suo sposo fra l'ar- mi ! Chi sa che non l'abbia perduto! Ma quel guer- riero, che alzar vedi la spada in atto di consecrarla al cantore magnanimo, cpiasi a presente divinità de- gli eroi, già pare da'suoi versi infiammato di no- velli spiriti, come da una tromba che per la patria lo chiami a combattere. E così al pericolo potesse- 326 Belle Arti ro seguitarlo, come ne hanno Tanimo, que* due gio-" vinetti di beltà sì fiorita, che lasciato il giuoco del disco , stanno in atto di s\ gentil maraviglia con- templando colui, che col canto de' forti già educa- va la virtù greca ai portenti di Maratona e di Sala- mina ! Un uomo tu vedi a destra, che pieno di dignità il volto e le vesti, e l'una mano avendo sovrapposta all' altra negligentemente, è pure intentissimo a riguar- dare. Egli è certo un filosofo, o alcuno de'magistra- ti della citta, che ivi a caso avvenutosi, sta come at- tonito ascoltando gli altissimi documenti di una sa- pienza, che sì splendidamente viene la prima volta ad illuminare i greci intelletti. Figura nobilissima ! Ed un rapsodo è forse colui, che in pie dietro al poeta osservi stringere nella mano sinistra un papi- ro, e col l'indice della destra sul labbro accennare silenzio : mentre un giovane a lui vicino è tutto at- tento a scrivere in un pugilare quelle omeriche im- maginazioni. Nel che non sia chi stimi essere in- corso l'artefice in alcun errore di tempo, quasi al se- colo di Omero non sapessero ancora i greci l'arte dello scrivere. Così certo hanno creduto alcuni an- tichi (1): e fra'moderni il Vico, il Voocl, il Mercier, e Federico Augusto WolfF: ma pare che quella sen- tenza non voglia pili riceversi dai dotti dell'eia no- stra, specialmente dopo gli ultimi scritti del cava- lierZannoni e del marchese Fortia d'Urban. Ed in vero dirò anch'io con Cesare Lucchesini , esser ciò un troppo abusar della critica : ancorché a tutti ornai sia chiarissimo non doversi avere le lettere in (i) Vi Giuseppe Flavio nella risposta adApioue lib. i, e. r. Descrizioni varie 327 Grecia per così stranamenle antiche, come preten- dono i vanfalori ellen!. Ma nondimeno, ove pur vo- gliasi duliifare della rctia interpretazione a darsi a quel passo lamoso del VI dell'Iliade intorno a Bel- lerofonle, e revocare in quislionc la venula di Gad- itìo in Beozia siccome cosa a cui sem'jra veramente opporsi la cronologia; non saprei poi con qual fronte ardireijbesi nc-ar Tede ad Erodoto la dove afferma essere in Tebe nel tempio di Apollo ismenio ( e po- terla vedere ognuno, siccome la vide egli stesso co* propri occhi) una iscrizione in antiche lettere da lui nominate cadmee, sopra un tripode dedicato da An- fitrione dopo il suo ritorno dalla guerra de'teleboi: e dove altresì ricorda tre altri tripodi posti parimen- te in quel tempio e scritti con eguali lettere all'età certa di Laio, di Edipo e de'suoi figli. E se anche al Wolff (il più ingegnoso insieme e il piii fermo nel difendere che Omero slesso non conosceva l'uso dello scrivere ) volesse pure concedersi che nella Grecia propriamente detta, in cui seguitò fin tardi ad anteporsi la forza del corpo alla bontà della mente, non avcvasi ancor notizia della scrittura alfabetica; non vedo chi vorrà del pari conceder- gli che ciò potesse ugualmente esser vero nell' Asia muiore, la dove nacque Omero e visse tutta la vita Sua, e dove così per tempo fiorirono tutte le arti di Menfi e di Tiro. Se non che noi staremo meglio con Dionigi da Mileto riferitoci da Diodoro : il qua- le CI afferma avere il poeta divino apprese da un Pronapide, di cui fu discepolo, quelle lettere pe- lasghe ( noi le diremmo orientali o fenicie ), onde furono pure ammaestrati Lino ed Orfeo. Intanto è fuor di dubbio che ne gli antichi poeti, ne gli an- tichi artefici, non dubitando della venuta di Cadmo 32S Belle Arti in Grecia, ebbero mai altra opinione che quella se- guita qui saviamente dal commendatore Tliorwal- dsen. Imperocché sa ognuno ch'Euripide e nell'T^- polito e nella Ifigenia in A alide già reputava cosa comune in Grecia a'tempi di Teseo e di Agamenno- ne l'uso dello scriver lettere : ed a pochi conosci- tori delle antichità possono essere ignote le tavolet- te epistolari sì chiaramente rappresentate ne'celebri bassorilievi di Meleagro nella villa Albani, e di Me- dea nel reale museo di Mantova. V I. ERCOLE E DIOMEDE. Bassarilievo di Ponziano Ponzano di Saragozza. Una delle vanità maggiori della Grecia fu cer- to di avere a non so qual tebano, figliuolo di Giove e di Alcmena, attribuite le fatiche dell'antico Erco- le fenicio, cambiando in un uomo greco la somma divinità di Tiro, nelle cui gesto i nostri progenitori di oriente vollero simboleiririate tutte le colonie che da'porti della Fenicia mossero per l'occidente, e tut- te le guerre che dovettero indi combattere co'sel- vaggi de'paesi, ove recarono le loro armi, le loro arti, il loro commercio. Erodoto stesso ne rise in un celebre luogo del libro secondo, in cui parla ap- punto dell'Ercole fenicio : sebbene poi in un altro luogo del libro quarto, non so se per ischerzo o per abuso ch'ei faccia al solito della credulità delle gen- ti, voglia farci credere che da due figliuoli di Erco- le tebano discesero i celti e gli sciti. Iattanza vera- mente curiosa, per non dir meglio ridicola , che Descrizioni varie 329 avrà fatto certo arrossire Tucidide, il greco di mag- gior pudore che sia stato giammai : il quale prov- vedendo, com'egli dice nel primo dell'istoria, alla negligenza con cui sempre nelle cose antiche erasi cercato il vero, afferma che prima della guerra tro- iana la sua Grecia non solo non inviò mai colonia in alcuna parte, ma pur troppo vivevasi agreste, po- vera, debole e barbara , anzi priva perfino di un nome suo proprio. Al che aggiungeremo noi con Isocrate (1), che fu anche signoreggiata quasi sem- pre dagli stranieri. Veggasi dunque se da tal pae- se, tre generazioni innanzi a quella guerra, po- teva escire un Ercole a far imprese cosi formida- bili di terra e dì mare, come i poeti, anzi Dionigi stesso di Alicarnasso benché vissuto nella luce del secol di Augns'o, vorrebbero persuaderci: e non pur nell'Italia, dove quell'isterico con incredibile gravi- ta dice esser venuto l'eroe tebano con un esercito poco dopo la colonia degli arcadi (altro bel sogno), ma e nella Scitia, e nell'Affrica, e nella Gallia, e nella Spagna. Nella Spagna, dico, che anche molti se- coli dopo era si nota ai greci, che uno de'loro istori- ci pili riputati, Kforo scolare d'Isocrate,stimava non già essere una regione, ma una cittk. Cosa certo piìi nuova che di vedere Senofonte collocar l'India fra il ponto Eussino e il mar Caspio: ed Alessandro con- fondere l'Indo col Nilo ; ed Erodoto pretendere che Medea desse il suo nome ai medi, e Perseo ai persia- ni. Se non che, o lettor cortese, chi piìi, salve alcune poche eccezioni, vuol oggi dare ascolto seriamente a' greci quando trattano di cose istoriche? Ad essi che (i) Nell'encomio di Elena. 330 Belle AftTi per rttT consentimento concorde de'più savi anticliì e moderni (diiopo è pur confessarlo, benché io gli abbia pei piìi grandi maestri delle arti del bello, anzr per le prime fantasie dell'uman genere ) così sfrontatamente, e con tante contraddizioni quanti sono quasi i loro libri, si fecero giuoco di tutte tra- sformare le memorie degli altri popoli, parie per quella vanita in che furono sfrenatissimi (1), parte per certo loro diletto di dir sempre cose nuove e maraviglrose, e parte infine per Tignoranza in cui durarono fin tardi quanto agli studi cronologici e geografici i non avendo certo potuto vedere né an- tichi libri ne antiche memorie gli scrittori di una gente, la quale non usò precisamente le lettere, tran- ne qualche caso rarissimo, se non dopo Solone, né conobbe gli sfessi poemi di Omero prima del fiorir di Licurgo. Sicché io penso che male non si avvisasse Giuseppe Flavio quando contro Apione gridava, non avere i greci avuto mai animo di narrare il vero ne' loro racconti, ma sì tutte le loro cure essere state solo di acquistarsi riputazione nell'arte ch'ebbero veramente mirabile di bene scrivere. E noi princi- palmente il sappiamo italiani (2), a' quali appena è bastato finora di consecrare l'ingegno e la sapienza di un Mafrei,di un Mazzocchi, di un Gori, di un Pas- seri, di un Marforelli, di un Guarnacci, di un Carli e di tali altri dottissimi, a riparare al guasto ch'essi (i) Genits in gloriam suani effusissimum, li chiamò Pliaio nel lib. 3 c;ip 5 dell'istoria nalui'nle. (a) E il sapevamo già da gran tempo: e lo gridava Giove- nale con quelle parole: Et quidqu'ul Graeeia meiidax - Audct in hi storia. Descrizioni varie 351 troppo spesso commisero nelle nostre istorie per bo- ria eli volerci essere progenitori, anziché fratelli : specialmente se scrissero, come Dionigi di Alicar- iiasso e Plutarco, in tempo che pervenuta Roma al- l'impero del mondo, erasi parimente insignorita del- la patria di Temistocle e di Alessandro. Dico , se scrissero specialmente in quel tempo : imperocché certo è, che i piìi antichi talora nelle loro narrazio- ni si comportarono diversamente: essendo noto che Aristotele nel settimo della Repubblica giU fra gì' italiani stimava essere slata una civiltà prima del regnare di Sesostri in Egitto e di Minos in Creta, cioè vari secoli innanzi alla guerra troiana, e quin- di alla civiltà greca. Dovendosi per ciò risguarda- re assolutamente siccome favole, non dirò la mag-» gior parte, ma quasi tutte le cose riferiteci in tanti modi dagli scrittori di quel popolo, massimamen- te innanzi alla distruzione di Troia ed alle olim- piadi di Corebo; risguarderemo altresì come fa- vole le imprese impossibili del figliuolo di Alcme- na, di una delle quali mi conviene qui appunta par* lare secondo i racconti greci. Fra le dodici fatiche adunque, che secondo qtle* initologi furono comandale ad Ercole, si pone dai piìi il dover condurre ad Euristeo i cavalli di Dio* mede figliuolo di Marte e re de'bistonii. Il che all' eroe dovette essere graditissima oltre ad ogni altra, siccome a quello che aveva sul tiranno a vendica- le la morte di Abdero suo giovinetto amatissimo, il cjuale da esso Diomede fu morto, e dato in pa- sto a'suoi cavalli, che soleva satollare di carni uma- ne. Andò Ercole in Tracia, e venne a battaglia col barbaro: il quale essendo stato abbattuto dalla for- za di lui, ebbe indi la pena che aveva dato ad Ab- 332 Belle Arti dero. Ercole allora s'impaJroni de'cavalli: e domati clie gli cbl)c, presentolli ad Euristeo che ne fece un sagrifìcio a Giunone in Micene, Questa impresa, che con tanta fierezza si por- ge alla fantasia di un artefice, è stata oggetto di molle e rare opere d' arte, massimamente in gem- me: oltreché Baticle la scolpì sul famoso trono di Amicla, ed Alcamene sulle porte del tempio di Gio- ve olimpico: per non ricordare Prasilele e Lisip- pa e gli altri che ci diedero scolpili gli atli di Er- cole. Quanto però alle statue, una sola ce n'è for- se rimasa: ed è il gruppo illustrato dal grande Vi- sconti nel museo pio dementino (1): bella opera, e forse copia di altra più antica e greca: nella qua- le vedesi Alcide fra due cavalli levar la clava sul capo di Diomede, che vestilo alla barbarica, e col pugnale in mano, gli è già caduto ai piedi. Preziosa è pure una gemma del museo stoschia- no pubblicata dal Winckelmann (2): dove osservi Diomede recar bere in un vaso a'cavalli, che sul- la mangiatoia hanno per loro pasto il corpo di Abdero. E già uno di essi sc|uarcia co'denti il pet- to al vaghissimo giovane, mentre negli altri tre ve- di una gioia feroce di potere anch'essi fra poco fare altrettanto. Tal'è l'interpretazione del tedesco dot- tissimo , che a me piace di seguitare: non sem- brandomi ragionevole l'altra dell'illustre Zoega (3), che in quel divorato volle riconoscere Diomede. Ma (i) Tom. ir, tav. 6. (a) Mon. ined. tav. 68. (3) Bassorilievi antichi di Roma, tav. LXI, LXII, LXIII, no- ta 62. Descrizioni varie 333 Tuomo ignudo, che reca il vaso, chi mai potrà es- sere, non avendo ne l'eroica fisonomia, ne le atle- tiche membra, ne verun segno proprio di Alcide? Un servo già non mi pare: perchè non credo che in sì piccolo spazio di gemma abbia l'artefice volu- to porre oziosamente quella sì vile persona, che nulla indica, piuttosto che rappresentarci alcuno de' principali personaggi, ch'ebbero parte in un fatto sì celebre della favola. Al che aggiungasi esse- re imberbe il viso dello sventurato che giace pa- sto a' cavalli: cosa non conveniente ne all'età di Dio- mede, ne all'uso de'traci. Ne di minore bellezza e l'antica pasta, dataci pure dal Winckelmann (1): nella quale Ercole al- zando con la mano destra la clava, come a dare un colpo a Diomede, tiene colla sinistra afferrato per la criniera uno de'cavalli, che invano s'impenna, e ringhia, e guizza le orecchie, mentre l'altro è gìk morto caduto a terra. Certo l'artefice volle essere di coloro, che tennero avere il figliuolo di Giove non presi, ma uccisi i cavalli di Diomede. La cjuale opi- nione, contraria in lutto a ciò che narrano i più an- tichi poeti e mitologi greci, fu poi ricevuta dallo scultore che operò il bassorilievo borgiano delle im- prese di Ercole (2), da chi coniò la medaglia gre- co-egizia di Antonino Pio (3), da Ovidio, da Q. Ca- labro, ed infine dal seniore Filostrato, che pure in cosa di maggior momento intorno alla narrazio- ne di questo fatto si separò da que'vecchi. Impe- (i) Loc. cit, tav. 69. (a) Millin, Galerie mylhologique, tom.II, lay.CXVII, n.453. (3) Pellei'in, Melanges des medailles, tom. I, tav. i4- 334 Belile Arti rocche nell'immagine XX.V del libro secondo non pone egli l'impresa di Ercole contra Diomede fra le dodici comandate da Euristeo ; ma stima doversi avere per una particolare vendetta dell'eroe venuto in furia per la morte di Abdero. Noi però staremo qui pure cogli anticliissimi: e principalmente con Euripide nell'Alceste, con Diodoro Siculo, con A- pollodoro, i quali dissero ch'Euristeo la ordinò al pari delle altre di uccidere il leone nemeo, l'idra di Lerna, il cinghiale di Erimanto. Da tante e si belle opere che rimase ci sono in- torno a'fatti di Ercole, e piìi dal felice suo ingegno, fu mosso il signor Ponziano Ponzano di Saragozza a condurre di bassorilievo questa scultura. Della qua- le mi piace dover qui parlare, sia per l'amore che mi stringe al giovane artista, cui con dolcezza ri- cordo avere avuto uditore diligentissimo delle mie lezioni di mitologia e d'istoria nell'insigne e pon- tificia accademia romana di s. Luca, sia per esser egli speranza bellissima della Spagna, che in Roma onorevolmente il mantiene allo studio dell'arte sot' to la direzione dell'esimio cavaliere SoTa. Sta Ercole in mezzo del bassorilievo, non d'al- tro ornato che della pelle nemea e della clava fe- nicia: quella gli è sul braccio sinistro, e stendesi con leggiadra negligenza a coprirgli parte dell'o- mero: questa è alzata dal braccio destro sopra il capo di Diomede, che giù dal carro è rovesciato a terra, ed appena ha piìi forza di tener alto lo scu- do ed impugnare la spada. Due sono i cavalli, se- condo ciò che altri artefici antichi hanno parimente usato: benché di quadriga parli Euripide, di qua- driga Ausonio, e (piattro se ne indichino da'mito- logi cu'nomi di Lampo, Xanto, Dino e Podargo. E Descrizioni varie 335 tllrestl che ferocemente su' pie dinanzi levandosi, ed annitrendo, e sbuffando, e spirando fiamme dal- le narici (I), già fuggono con tutto il carro. Se non che l'eroe tehano con un braccio poderosamente gli afferra ambidue per il freno, che solo Tartetìce ha voluto indicare alla maniera greca, aflinchè gli or- namenti della testa non impediscano di ben discer- nere il magistero dell'arte nelle parti bellissime. Se una prudente ragione non mi ritenesse alla sola e pura descrizione dell'opera, più altre cose potrei aggiungere quanto alla scienza e alla pratica del Ponzano nel condurre alla greca gì' ignudi sia di Ercole , sia di Diomede, belli ambidue di elet- ta bellezza, benché diversi fra loro: e nel ritrarre con sì vive movenze e fierezze i cavalli, senza dipar- tirsi punto per alcuna esagerazione dal virgiljano precetto, che tal vuole che sia un destriero per- fetto (2): Ha collo altero', sottil capo'. ha voto Il ventre: ha pieno il dorso', eccede il petto, E agli sporgenti muscoli dà moto. Ma basti qui il rallegrarmene col giovane artefice: il quale ben mi pare aver piena l'anima di quella gre- ca maniera grande e sublime così di comporre co- me di modellare, che alcuni novelli stolti vorreb- bero oggi posporre all'andar vecchio de'nostri del (i) Et Diomedis equi spirantes narihus ignem. Lucret. lib. Vj vers. 29. (•2) Georg. lib. Ili, V. 79. Seguo il volgaiizzameuto del mio celebre e caro amico marchese Luigi Biondi. 336 Belle Arti trecento e del quattrocento ; perchè forse ninna follia manchi al bel secolo, e ninna cosa possa più reputarsi intatta da una temerità e dappocaggi- ne presuntuosa. Io intanto fo voti sinceri, perchè al sig. Ponzano sia larga di favore la nobile patria: che certo potrà egli grandemente onorare se stes- so, e la Spagna e le arti. VII. ULISSE RICONOSCIUTO DA EURIGLEA. Gruppo di Ponziano Ponzano di Saragozza (1), Ecco un'altra opera del sig. Ponzano di Sara- gozza. Pieno egli la mente dello studio de'classici, mi dà novello campo a parlare di lui: il che som- mamente mi è caro. L'opera ch'egli in questi mesi ha condotta in iscultura deesi ad una inspirazione di Omero, gran padre non meno de' poeti e degli oratori, che degli artefici di ogni maniera: imperoc- ché ci ritrae uno degli ultimi fatti del ciclo mitico, siccome lo dice Proclo, cioè il momento in cui Ulis- se, tornato in Itaca dalle sue lunghe peregrinazio- ni, è riconosciuto al bagno dalla sua vecchia nutri- ce Euriclea. Bellissima immaginazione, come ognun sa, dell'autore dell'Odissea nel libro XIX; ma non mai recata in opera statuaria di tutto rilievo, per quanto almeno raccogliesi da Strabene, da Plinio, da Pausania, da Luciano, e dagli altri antichi e mo- derni che sogliono ricordarci lavori di arte: paren- (i) V. l'Ape italiana, anno IV, tav. XV. Descrizioni varie 337 doci, per le parole stesse di Slrabone nel libro XIV, che lo scultore Trasone non avesse fafto altro agli efesi i che la sola statua di Euriclea. Ben porse pe- rò argomento a gemme ed a bassorilievi, come può specialmente vedersi nel Dolce (1), nel Visconti (2), e soprattutto nel Winckelmann (3). La narrazione di ciò, che il Ponzano ha voluto nel suo gruppo significare, trovasi tutta in questi versi dell'Odissea (4): L'ottima vecchia una lucente conca Prese^ e molta fredcV acqua entro s>ersovvi., E sti vi sparse la bollente. Ulisse^ Che al focolar sedea^ ver V ombra tutto Si girò per tim,or, non Euriclea Scorgesse, brancicandolo, l'antica Margine cliei portava in su la coscia, E alla sua fraude si togliesse il velo. Euriclea nondimen, che già da presso Eatta gli s'era, ed il suo re lavava, Il segno ravvisò della ferita Dal bianco dente d'un cinghiale impressa Sul monte di Parnaso: e ciò fu quando Della sua madre al genitor famoso Garzone andò, ad Autolieo, che tutti Del rapir vinse e del giurar nell'arti. "iVTi o'ttJU^V) ui^ aio ''■ ' (i) Gemme, 5. 107. (2) Esposizione delle gemme antiche raccolte dal principe ^ 'Chigi, n.o 4o2. (3) Gemme stoscliiane, nuni. 362, 363. Monum. inediti, tav. 'i6r. (4) Seguo la traduzione d'Ippolito Pindemonte. G. A. T. LXXVII. 22 338 Belle Arti E poco appresso: Tal cicatrice Vamorosa vecchia Conobbe, brancicandola, ed il piede Lasciò andar già: la gamba nella conca Cadde, ne rimbombò 'l coricavo rame, E piegò tutto da una banda, e in terra Vacqua si sparse. Gaudio a un ora e duolo La prese, e gli occhi le s'empier di pianto, E in uscir le tornò la voce indietro. Proruppe al/in, prendendolo pel mento-. Caro figlio, tu sei per certo Ulisse] Né io, uè io ti ravvisai, che tutto Pria non avessi il mio signor tastato\ Tacque e guardò Penelope, volendo Mostrar che famor suo lungi non era. Ma la reina ne veder di centra Poteo, né mente por: che Palla il core Le torse altrove. Ulisse intanto strinse Con la man destra ad Euriclea la gola, E a se tirella con la manca, e disse: Nutrice, vuoi tu perdermi? Tu stessa Sì mi tenesti alla tua poppa un giorno, E ne ir anno ventesimo, sofferte Pene infinite, alla mia patria io venni. Ma poiché mi scopristi, e un dio sì volle, Taci, e di me qui dentro altri non sappia. Sicché avendo l'animo a questi versi il Pon- zano, ha rappresentato sedente l'eroe, cosi mezzo ignudo della persona com'è ben naturale che fosse in quel momento di esser lavato dalla nutrice. Colla destra mano egli si appoggia all'estremità dello scan- no: coU'altra, recandosi il dito indice al labbro, fa Descrizioni varie 339 cenno ad Euriclea di tacere. E già in quell'alto stu- pore di essere riconosciuto, l'un piede dell'itacense e balzato fuori della conca che gli è dinanzi: e l'al- tro è nell'istante, secondo la narrazione omerica, di farla così piegare, che l'acqua se ne riversi. Tra lieta e maravigliata la vecchierella sta con un gi- nocchio a tèrra in quell'umile ministerio; e, dirò così, con tutto il cuore sugli occhi guardando in vi- so il suo tanto amato e desiderato signore, è in atto di esclamare: Caro figlio, tu sei Ulissel E intanto con una mano accenna la cicatrice che sulla coscia sinistra gli ha scoperta. Figure amhidue animatis- sime, secondo l'età, il sesso, e la condizione: e con arte egregia disposte, e condotte con assai pratica e ragione sia nel nudo, sia nel panneggiamento: e belle infine di una semplicità sì vera e sì classica, che ben può la nazione spagnuola fin d'ora congra- tularsi di avere nel giovane artista di Saragozza chi un giorno emulerà il magistero chiarissimo dei So- la e degli Alvarez. a4o VARIETÀ' La sposa del cantico de'cantici scolpita dal cav. Cincinnato Ba- ruzzi, ode di Giovanni Marchetti. 8. Milano costipi di San- to Bravetta i838. V alga per ogni gran lode 1' annunziare il nome dell' autore di questi versi. Egli è il conte Giovanni Marchetti, la cui anima di- remo inspirata da quelle stesse grazie, die un giorno sedettero a'fianchi di Anacreonte, di Tibullo e del cantore di Laura. Può darsi infatti soavità e gentilezza maggiore di quella ch'è in que- ste strofe! Figlia gentil di Solima, Deh qual favor celeste, Deh qual virtù le vergini Bellezze ti riveste? In te l'ardor medesimo Visibilmente asconde. In te la stessa infonde Soavilade Amor. Varietà' 341 Oh date fiori, oh fatemi (i) Letto di poma al fianco, Ch'io per dolcezza insolita Sentomi venir manco! Con la sinistra il debile Mio capo egli ricinga, E caramente stringa Me con la destra al cor! Dici." e il vagante spirito Là per lo Engaddi aprico, Sul colle ermo de'balsarai Cei'ca il diletto amico: L'amico tuo, fra'giovani Qual nella selva il melo, O quel che d'arduo stelo Cedro superbo è più. •.■•>..i>. Francesco Guadagni romano. 8.° Roma tipografia Salviucci i838. ( Un voi. di carte XXIV e i66. ) V-jhi sia stato Francesco Guadagni i lettori di questo giornale lo avranno potuto spesse volte conoscere da loro stessi pe' vari egregi scritti che ha qui pubblicati. Uomo dottissimo nelle cose latine, era anche versato nelle greche , e ben conoscevasi eziandio delle italiane. Stimato universalmente per le doti dell' ingegno, noi fu meno per quelle del cuore, e soprattutto per la sua piacevolezza e modestia. Della religione poi fu specchio chiarissimo, come ognun sa , e come singolarmente dimostrano tutte le opere sue. Può quindi immaginarsi qual sia stato il co- mune rincrescimento , alloicliè dopo lunga e penosa malattia venne la morie a rapircelo il di g di luglio iSSy nell'anno ses- santesimo ottavo dell'età sua. Egli fra le altre illustri accade- mie appartenne, come socio ordinario, alla pontificia romana di archeologia, ed era membro del collegio filologico della univer- sità. Non vi sarà cultore delle lettere che non faccia buon viso a questa scelta , che degli opuscoli postumi del valenl' uomo hanno avuto cura di pubblicarci chiarissimi amici suoi P. Giam- pietro Secchi della compagnia di Gesù e cav. Francesco Fabi Montani. Apresi il volume colla vita del Guadagni , accurata- menle ed elegantemente scritta al suo solito dal lodato sig. Fabi Montani. Seguono due dissertazioni italiane: la i. Confronto di moderne costumanze romane con quelle dei tempi remoti : la 2. Quanto Eoma debba al popolo sabino. Ad esse tengon dietro tre orazioni latine.- la i. Cur Clirislus non iudaeos litteris eruditos, sed pastores illiteratos et rudes ad se prunos accersìverit ; la i. Bcìie ac sapienter esse factum, ut litterarius coelus latinae lin— guae excolendae inslitutus Mariani virginem sideribus receptam sibi patronam adsciscerel; la 3. De dignitale et utilitate monu' mentoruni christianorum- ludi vengono i versi latini , ne' quali pochi .litri pareggiarono a' dì nostri il Guadagni sia per purità, sia per eleganza; e sono essi, i." POAOAOriA , «Ve e Gulistano Saadii pnetae jiersac rosarum delectus , latinis epigramniatis ac fabulis exhihilus: diviso in due libri, il primo de' quali è degli Varietà' 345 epigrammi, il secondo è delle favole. E gli va innanzi un co-« nientario, altresì latino, della vita e degli scritti di esso Saadl.-r- 2.0 Quaedain carmina varia. Trattato storico metrologico sulla estensione del piede ed intera scala della misura antica ed attuale romana legale di lun- ghezza, rinchiuso in una relazione diretta alV insigne acca- demia di s. Luca di Roma, corredata di tredici interressan- ti tavole a scala, e delle due dotte dissertazioni , l' una del sig. Matteo Raper — Ricerche sulla misura del piede ro- mano: — e l'altra del sig. arcidiacono Cagnazzi — Sulli va- lori delle misure e de' pesi degli antichi romani, lette nelle accademie di Londra e di Napoli — , compilato da G. M. Sisti giurisperito romano. — 4-° Roma i838. LJì questa non meno utile, che laboriosa opera del benemeri- to sig. avv> Sisti, sono già esciti alle stampe sei fascicoli. Osservazioni sulla sedia pontificale ch'era nell'abside della basi- lica di s. Paolo sulla via ostiense. 4- Roma i838 dalla tipo- grafia della R.C. A. (Sono carte 20 con una tavola in rame). vJ na quistione insorta nel rifabbricarsi che si fa in Roma la basilica di s. Paolo ha dato motivo a questa dotta dissertazione dell'egregio signor Luigi Moreschi segretario della commissione speciale per essa riedificazione. Un non so chi pretendeva , che in fondo all'essedra o abside non dovesse porsi la sedia pontih- cale, dicendo che non eravi stata mai. L'autore prova invece con irrefragabili testimonianze, ch'eravi stata come in tutte le altre antiche basiliche, e che ve la pose il santo pontefice Leone III: 346 Varietà' benché poi la togliesse Sisto V verso il iSSj per le tante varia- zioni architettoniche da lui introdotte, specialmente nel coro. Non è a dire quante belle notizie ci abbia qui data l'erudizione del signor Moreschi intorno agli usi e alla forma di questi augu- sti edifìci della religione cristiana. La bellezza della natura .^ inni di Antonio Buonfiglio C. R. S. la, Genova tipografia arcivescovile 1837. (Un voi. di carte 106.) Inno alla terra, del medesimo. S.Roma tipografìa Salviucci i838. (Sono carte 8.) x ieni tutte di alta filosofia e di quella gravità elegante , che solo si apprende ne'classici,sono sempre le poesie del eh. P.Buon- figlio professore di rettorlca nel collegio dementino. Noi ce ne congratuliamo di cuor sincero con lui: e soprattutto il ringrazia- mo e lodiamo, perchè abbandonatele vecchie ciance,onde anco- ra siamo annoiati da tanta turba di rimatori (veri incomodi del secolo ! ), abbia egli alle sue splendide inspirazioni trovato ar- gomento vasto non meno, che santo e sublime. Renda fede al nostro dire quest'inno; Alla luce. Da questa solitudine deserta, . Dove mi chiami a vagheggiar natura La cui bellezza per te solo è aperta, Un inno io ti consacro, o luce, o pura E viva immago del beato regno, E d'ogni vate dolcissima cura. Varietà* 347 Ma quale ondeggia sul combusto legno La fiamma incerta di spiccare il voloj Alzasi timoroso a te l'ingegno. Oh come dall'ardente al freddo polo Discorri rapidissima, e riempi Di te le sfere, la marina e il suolo! Tu la misura e regola de'tempi. Tu l'opra che di Dio meglio favella l giusti ad animar, confonder gli empi. F o strisci nel baien della procella, O dal sol qual torrente ti riversi, O lieve sprizzi da solinga stella; O che ti piaccia scintillar da tersi Cristalli e fonti, o su diversi fiori Far temperanza di color diversi; Parmi che sempre da'celesti cori Qual fattura bellissima di Dio, Tu sia cantata fra i divin fulgori. Del delitto nemica e dell'oblio. Sei dell'uom, delle sfere e delle piante Gioia, vita, speranza, amor, desio- Bella per te del mar l'onda spumante. Bello il monte di gel denso incrostato. Bella ogni nube per lo ciel vagante. E se verdeggia rigoglioso il prato, Se di grappoli il colle s'invermiglia, Se d'aurea messe in campo è coronato; 348 Varietà* Quanto alfln s'incolora alle mie ciglia. Tutto favella di tue glorie, e ia seno Tutto versa diletto e maraviglia. Ma i grandi pregi tuoi scovertl appieno Diffavillano sopra il mortai viso Da te cosparso di gentil sereno. E' un raggio tuo quel tingersi improvviso Di pudico rossore, ed è un tuo raggio L'eloquenza del guardo e del sorriso. Tu in ogni affetto, che dal cor passaggio Fa sopra il volto, ignota forza imprimi Negata pure al favellar del saggio. Chi penne or mi darà, perchè dagl'imi Lochi salendo per le vie del tuono, Fino alla vera luce io mi sublimi? Luce vera se'tu, gran Dio, che in trono Di luce eterna eternamente siedi Piovendo a noi ia grazia ed il perdono. E oh quanti figli della luce vedi Ire, tornare, volteggiarti intorno, E quanti rabbassar l'ale a'tuoi piedi I Di melodi festose il tuo soggiorno Rallegran tutti, e al suon delle melodi Fan di raggi più santi il viso adorno. Tu che al canto gl'ispiri, al canto godi; E assorto ognun nel tuo godere istesso Più ferve nell' amor delle tue lodi. Varietà' 349 Ed è vero che a me fia pur concesso Gustar dolcezza tanta, ed il chiarore Di tua gloria vedere in me riflesso? Perchè dunque si tarde volgon l'ore Di questa vita, che a forza strascino Weirombra, nell'esilio e nel dolore ? S'affretti il giorno che del mio cammino Cessi le angosce, e da'terreni guai A te voli lo spirito peregrino, O abisso^ 0 centro d'infiniti rai .' Precìs hìstorique et raisonnè sur l'origine, les progrès, la déca- dence de V architecture , par Leon Kendramini architecte^ chevalier de l'ordre de Saint-Gregoire le grand, membra de plusieurs académies d'Italie. 4- Saint- Petersbourg, ini- primerie de A. Pluchart iSSy. (Un voi. di pag. 48). Al sig. cav. Vendramini è uno di quegli egregi, che di là dalle alpi mantengono in riputazione il nome italiano. Valentissimo architetto, comechè ancor giovane, egli fiorisce in Pietroburgo architetto di S- M. l'imperadore delle Russie nel ministero della guerra.- ed è operalo meritamente in molti illustri lavori, fra' quali in quello di restaurare e decorare I' incendiato palazzo imperiale. Noi godiamo di questi suoi lavori, di questa sua fa- ina: e ci congratuliamo poi vivamente del bello scritto, che qui • annunziamo, nel quale il sig. Vendramini, tessendo l'istoria cri— 350 V A R i K T A* tica dell'origine, de'pfogréssi e della decadenza dell' arcliiteKù- ra, chiaramente dimostra come alle teorie e al £[ùstol dell' arie sappia pur congiungere una non volgare dottrina. Dissertazioni della pontificia accademia romaria di archeologia. Tomo ottavo. 4 Roma dalla tipografia della R. C. A. i838. (Sono carte CXXVII e 58i, con tredici tavole in rame.) i5e ne darà un ragionato estratto nel tomo Ventilro. Intanto an- nunciamo qui il catalogo di ciò che contiene questo nuovo vo»- lume degli alti di si celebre accademia , oltre alla dedica alla Santità di N. S. Gregorio XVl, alla notizia delle adunanze or- dinarie e slraordinarie> e al catalogo de'soci dell'accademia. i.o Sopra uno specchio metallico grafito proveniente dagli scavi di Vulcia, dissertazione di Vincenzo Campanari. 2.0 Continuazione delle memorie sui luoghi una volta abi- tati, ed ora deserti dell'agro romano, dell'ab. Antonio Coppi. 3.0 Sul porto ueroniano di Anzio e sui rostri del foro ro- mano, dissertazione del cav. Luigi Canina. 4.0 Sopra un sarcofago ostiense sculto a bassorilievo, lette- ra di Clemente Cardinali. 5.0 Delle genti e delle arti primitive d' Italia , dissertazione del prof Luigi Poletti G.o Sopranna Iscrizione antica dell'Imperadore Claudio tro- vata in Porto, dissertazione del cav. Pietro Ercole Visconti se- gretario perpetuo. 7.0 Delia fossa traiana, e di quella che l'imperador Claudio fece scavare dal fiume Tevere al mare a cagione del porto da lui fondato, nou che del nome di augusto dato ad esso porto , dissertazione del cav. Luigi Canina. 8.0 Della stazione delle navi di Ostia, sul porto di Claudio con le fosse indicate nella iscrizione scoperta l'anno i836, e sul Varietà' 351 porto interno dì Traiano e la fossa distinta col nome di questo imperadore, dissertazione del cav. Luigi Canina. q.o Commentario islorico della vita privata e pubblica di Tiberio, scritto da Sua Em. il sig. cardinale Giacomo Giusti- niani camerlengo della S R. C. lo.o Intorno al rapimento di Egina figlia di Asopo fatto da Giove arcade, espresso in Un vaso etrusco del museo gregoria- no, esercitazione istorico — mitologica del marchese cav. Giusep- pe Melchiorri. ii.o Le testimonianze scritte e figurate dell'antichità intor- no ad una violenza fatta da Ercole tebano al santuario di Del- fo, raccolte dal cav. Luigi Cardinali. 12.0 Ragionamento sulle relazioni cattoliche che ha pre- sentemente Roma in tutte le parti della terra, di monsignor An- gelo Mai ora eminentissimo cardinale. Dissertazioni bibliche di Giuseppe Bruttati sacerdote. 8. Milano dalla tipografia Pogliani i838. xjLnche di questo libro dottissimo parleremo in uno de'venturi volumi del nostro giornale. Intorno agli uomini illustri che pia fioriscono in Bologna nelle lettere e nelle scienze. Lettera di Gaetano Lenzi all' aw. Fabio Fabri. "Alo letta la sua versione letterale in versi sciolti dell'ode deci- ma del secondo libro di Orazio Fiacco, che ella ha avuta la bontà d'inviarmi, e l'ho rinvenuta veramente bella e carissima cosa. Mi rallegro moltissimo con V. S. che oppressa da tante brighe, e distornata dallo strepito del foro, trovi ozio e quiete 352 Varietà* per conversare dì tratto In tratto colle muse: d'onde appare in quanto amore ella abbia le belle lettere e lo studio de' classici. E più debbo rallesfrarmi nel vedere come altresì le siano cari i sommi scrittori latini, oggidì tanto negletti dai moderni saccen- ti. Nelln sua versione me ne ha dato uu ottimo saggio. Rispetto poi a Dante, di cui tenemmo ragionamento , non posso che ripetere ciò che altra volta le dissi, cioè che ha tutta la ragione di esserne innamorato. E chi non dev' esserlo di quel- la sua originalità di pensieri ed evidenza d'immagini ? Chi non dev'esserlo di quello stile robusto, sublime e concettoso , e tal- volta ancora gentile e tenero ? Il poema di Dante dopo tanti se- coli è e sarà sempre maraviglioso , sì per 1' immensa dottrina che asconde (di che, come diceva il celebre Algarolti, era pieno in ogni genere sopra quanto i tempi suoi comportavano}, e sì per la bellezza di una poesia, che discende all'anima sempre varia ed avvivata continuamente da singolari azioni espresse con quel- la tempera e forza di colorito , accomodato al soggetto che ha per le mani. Algarotti stesso, checché ad altri ne sembri, vi fece sopra un grande studio, come si scorge dalla cura che ebbe di raccoglierne le parole e le maniere di dire più scelte ad orna- mento del suo stde. Dante fece uso del suo ingegno versatissimo Ja ogni genere di dottrina, che nella mente raccolto avea gran- dissimo tesoro di cose: ed olire aver sortito, per vestirle di belle immagini, una fantasia sopra ogni credere vivace e gagliarda , ebbe un sommo discernimento nell'accallare e scegliere da tutte parti d'Italia i più accomodati modi da esprimerle, onde merita- mente di nostra lingua è riverito padre e principe. Volesse Id- dio che questo poeta, il quale cotanta ammirazione eccitò già in Algarotti, e in moltissimi altri , e più recentemente in Alfonso Varano, in Vittorio Alfieri, in Vincenzo Monti, in Ugo Foscolo, proseguisse ad essere in grandissimo amore a'nostri connazionali! Non si deturperebbero per certo tra noi il buon gusto, e la ve- ra nostra eloquenza! Ma fino a che molli de'nostri, che si arro- gano il nome di scrittori, avranno fra le mani Young, Walter — Scott, Scriba, yutor Hugo ed altri simili , che formano stolta- mente la loro delizia, e sono i loro modelli d'imitazione, le no- stre lettere andranno in totale ruina. Ora, signor avvocato stimatissimo, ben è vero che anche noi bolognesi sventuratamente dobbiamo lagnarci di tali deprav£.tori della buona nostra letteratura: ma non però tanto, che non si ab- Varietà* 353 Ì)ìa la nostra patria a consolare dì molti valenti suoi figliuoli , che ne curano il decoro, e ne sono il sostegno. Piacemi a modo di conversazione di ramméntarlene alcuni, che ella ^ii conosce fra i pivi chiari: senza pretendere di enumerarli lutti, che ìonuii intendo di detrarre a nessuno il particolar merito eh' egli ab- bia. Dirò dunque de' più provetti , che sopravvivono ancora al troppo vilipeso secolo passato, come d'un Amorini , d'un An- gelcUi, d'un Mezzofanti, d'un Salina, d'uno Schiassi, d'un Bian- coni, d'un Tognetti, d'un Cl.iudio Ferrari , d' un rcltor Tarta- glia, d'un monsignor Minarelli, uomini di lettere; e d' un Ran- zani, d'un Santagala, d"un Venturoli, che onorando le scienze , pur anco s'abbellano delle lettere stesse : siccome poco più in- nanzi di questi un Gaetano Monti, un Seh.isliano Canlerzani e un Luigi Palcani adoperavano. Che se vogliamo poi altresì a' diversi periodi dell'età nostra por nienle, ci si parano avanti un Alessandrini, un Baietti, un Medici, un Tanari, un Casineìli, un Bertelli, i Bernardi, gli avvocati Gaudenzi , Uugarelli e Gaspa- rini, un padre UngnrellI barnabita, a cui più d.nppresso quasi giovani piante sovrastano i due padri barnabiti il Notari e il Venturini; come pure gli avvocati Lisi, Taveggi, Giovannardi , Pizzoli, Astolfi, Martinelli e vari altri ancora nobili ingegni, sor- gono a bellissime speranze di questo nostro non mai ingrato suolo delle lettere e delle scienze. Non si offenda ora la modestia di V. S. se annoverar mi è a grado la degna sua persona nel bel numero di quegli uomini ciliari, che sì studiano di tener in fiore e scevra da macchia la bella nostra letteratura. Veda un po- co se ho ragione di confortarmi ! E mi si accresce pur anco il conforto pensando a quegli ospiti insigni, che possiamo dir no- stri, i quali ne hanno resi qui cari i nostri studi, come un Mar- chetti, un Saffi, un Valorani, uno Zappi e che so altri di bella fama, uomini colti nelle scienze e nelle lettere, siccome un Ber- toloni, un Magistrini ed un Vecchi. Ma più non finirei parlan- do della cara mia patria, che da taluni si vorrebbe cosi povera e meschuia a'nostri giorni in fatto di sapere e di coltura. Sono desse si poche le dovizie nostre ? Ella le dispieghi agli amici , arricchendole di qiie'nomi,che sarannomi sfuggili:non avendo io che toccato quello, che sul punto di dettar questa lettera mi è venuto alla memoria. Veggo di esser entrato in acque più vaste, che prima non avrei pensalo. Depongo la penna , e m' auguro che il buon gusto della vera eloquenza, congiunto alle più sane G. A. T. LXXVn. 23 354 Varietà* dottrine, sia da sì valenti uomini conservato; e cosi l'onore s'ac- cresca della illustre mia patria e Insieme del nome italiano, affin- chè non venga adombrato e leso dalla malignità dei cattivi e dal- l'ignoranza degli orgogliosi. Mi conservi nella preziosa sua grazia e benevolenza: che al- tro non desidero se non di poterle confermare la eingolare de- vota mia servitù , con cui mi dico tutto suo Dì casa il di io ottobre i838. Gaetano Lemzi Della madre defunta alla figlia pargoletta. Discorso del conte Francesco Mangelli, Roma i838. Mio carissimo^ ilobile, lieto e generoso é il vostro dolore. Nobile perchè muo- ve la origine dagli affetti santissimi di marito e di moglie, di fi- glio e di padre; cupidità ed onoranze cospicue. Lieto , siccome un dolore compatito, acclamato in così grande gentilezza di mo- di, ammirato dalle genti, e quasi ad ese»npio proposto. Genero- so per indole vostra, carissimo conte, e per facilità di studi gra- vi ed ameni. Non inlorpidisle,no cerio, al dolore. Avevate la spe- ranza in pronto : al passalo nulla aggiugneva il dolor della fa- ma, o scemava la obhlivioue. Colla scavila delle iellere , e coli' acume della cristiana lilosolia rintuzzaste ogni ambascia del pre- sente: melanconico, non intristito, raccontaste le virtù dell'estin- ta; nel cuore di lei faceste centro di gaudio; ed insegnaste all'u- Varietà' 355 biversale, in che guisa un degno affanno si conleinpen ad am- pia ilarità di coscienza e di costumi. Molli veramente e dei più chiari, carissimo conte , invidiano al vostro dolore. Dappoiché la età che si vive in tali precipizi ci affonda , clie barbara ne riesce la morte, obbrobrioso lo scampo. L'animo, sebbene intat- to; né contrista però la opinione ohblIqua,che nei nialicjni tem- pi sempre acquista forza e trionfa. Dopo l'infortunio non si ri- ihane interi anche vincendo. La pubblica garrulità , le rivalità degli studi o degli averi o degli onori deturpano nna gran par- te della guerra, una gran parte della vitioria. Codiamo, non già per nostra; ma per altrui o superbia o vendelta o leggerezza ir- resistibile. Né di una l^grim.-» il beneficato indifferente ci coni- misera abliattuti ; né di un sorriso ci allegra piangenti la pau- rosa clientèla. Felice voi, carissimo conte, a cui resta nella figlia la semliianza animaliMce della sposa defunta! felice, a cui ap- plaude il parentado sincero e ramicizia innocua! Aspro all' in- contro è il cammino di tanta parte degli uomini. Non confort; di famigliari e di consanguinei; non protezioni o franchigie di grandi ; non da lettere umane , umane inimicizie. Onorati ci calpesta o l'invidia o l'odio. Così corrono i tempi, e con questi gli uomini e le cose! Statevi sano, carissimo conte, ed amate sempre Roma il 29 dicembre del i838. Il Vostro Affnio. G. R. N. U. 356 V A R I K T a' Aceademia reale delle scienze di Torino. ija classe delle scienze morali , storiche e filologiche', la quale annovera fra i suoi studi tutte le dottrine tendenti al perfezio- namento delle instituzioDi sociali , ha accolto con grandissima soddisfazione la proposta fattale da uno de'snoi onorevoli soci , il quale ha messo a sua disposizione una somma da destinarsi a premio d'un' opera rivolta a particolar benefizio della gioventù nelle classi meno elevate della società. Ha perciò l'accademia deliberato di rendere di pubblica ra- gione il seguente PROGRAMMA. L'opera per la quale si propone il concorso avrà per tllolo: ESPOSIZIONE SUCCINTA degli elementi pia usuali della vita civile ridotti in forma idonea per V ammaestramento della gioventti che non si destina alle professioni più elevate. Questo lavoro dovrà comprendere in un sunto tutte le co- gnizioni elementari di tal genere e di più volgare utilità per il giovane, il quale terminali i suoi studi nelle scuole italiane , e non abbracciando una delle professioni sovra indicate , non ar- riva ad acquistare siffatte notizie , se non se a poco a poco , e colla propria esperienza; laonde per lo più storte, imperfette o male interpretate, insomma tali da lasciare spesse volte , o false od anche nocevoli impressioni. L'opera dovrà dividersi in diverse parti riunite a formare un tomo almeno di giusto volume. In una di queste si esporranno le notizie più usuali sull'am- ministrazione ecclesiastica, la gerarchia sacerdotale, gl'istituti religiosi, le corporazioni analoghe, le opere pie, e tutte quelle Varietà' 357 principali coasuetudini della chiesa che, sebben di pratica, usua- le, non trovansi insegnate uè spiegale negli altri libri elementa- ri d'educazione religiosa. Un'altra parte comprenderà quelle particolari cognizioni di Statistica che giova a tutti il sapere; quali per esempio: la di- stinzione degli stati , mestieri e condizioni, facendo osservare l'utilità rispettiva di ciascuno d'essi, lo scambievole aiuto che deggiono darsi, e l^eccellenza di tutti, quando sono lodevolmen- te esercitati; poi la distinzione che passa tra i luoghi abitati, os- sia l'ordine diverso che vien loro assegnato in ragione dì popo- lazione, di civiltà e di proprietà relativa, notando i costumi, le usanze particolari che possono pur anche stabilire una fondata differenza fra essi. Quindi s* avrauno ad indicare le cagioni principali di quella mentovata prosperità, provenienti dalla na- tura del suolo, dalle circostanze del sito o del clima, dall'indo- le, dall'educazione, dalla moralità degli abitanti; annoiando sif- fatte cause si materiali che morali, ed aggiungendo, all'uopo, altre notizie scelìe fra le più volgari e pratiche che si possano desumere dall'economia civile- Una parte speciale verrà dedicata a dare un'idea succinta, ma chiara ed esatta, di quei punti essenziali e di quei procedi- menti della legislazione rivile e cri(nInale,de'quHli si appresenta tutto di l'immediala applicazione ai casi ordinari della vita; co- si per esempio: dell'aulorilà paterna o maritale,dei diritti rispet- tivi che governano le famiglie, delle relazioni tra vicini, delle eredità, dei testamenti, delle contrattazioni d'ogni genere ed al- tre cose simili, come pure della classificazione dei delitti e delle pene, con indicazione delle leggi che vi si riferiscono. E qui l'autore procurerà di far bene scorgere il fondamento morale dei principali atti legislativi, e il vantaggio che ne proviene all' or- dine sociale. Una parte ancora sarà impiegata nel dare un cenno chiara- TOente espresso intorno agli ordini ed alla gerarchia delle pri- marie autorità sì giudiziarie che amministrative, attenendosi più in particolare alle forme stabilite nei reali stati, e segnando le principali specialità delle loro atti'ibuzioni per quanto ne riflette l'uso più abituale. Finalmente s'avrà, nell'ultima parte, a trattare in breve mo- do delle più frequenti transazioni del commercio , per quanto speirìfi sia al negozio in grande, sia al traffico ordinario, sia alla 358 Varietà* mercatura anche più minutaj quindi delle regole per essi stabi- lite e dell'applicazione giornaliera di queste, tanto al commer- cio in ogni suo ramo, qutinlo all'esercizio dell'industria, oggetti di frequente utilità per l'universale della gioventù che vive in condizioni meno elevate. Né si trascureranno i cenni utilissimi intorno alla tenuta dei libri, al maneggio delle cambiali, ed alle altre pratiche commerciali alquanto importanti in ogni ordine di negozio. In tutto poi il corso di quest'opera sarà cura incessante dell'autore r infondere nella gioventù quello spirito di morale religiosa, senza il quale ogni altro ammaeslramenlo riesce inuli-. le o pernicioso. Dovrà frammischiarne destramente i principi» coi diversi oggetti d' apposita istruzione che sarà per toccare. Avvertirà di farlo in modo che non istanchi le scorrevoli menti giovanili sempre pronte a rifuggire da qualunque troppo s^rmo.- neggiante lelturn; e perciò egli eviterà ogni forma di appòsiti^ rimostranza, o di solenne ammonizione, procurando anzi di de- durre tali princrpii dall'argomento medesimo che si tratta, e mo- strandoli come vere norme d'ogni ordine regolai mente stabilito,. Dovrà altresì cogliere, senza scostarsi da t;jli norme, tutte le occasioni opportune per mostrare a quegli animi giovanili la certezza del fruito immenso che già in questo mondo raccoglie- ranno da un virtuoso tenor di vita; la dignità di qualunque professione quando è lodevolmente esercitata; il bene che ridon- derà per essi, pei loro concittadini, pel loro paese, dal perfetto adempimento dei propri doveri. Insomma sarà giudicato il più degno di lode e di gratitudi- ne quell'autore che, lavorando sul teina jjroposto, si applicherà ad innestare nel cuori della gioventù i salutari principii di una morale soda e religiosa, nel tempo stesso eh' egli imprenderà a fornire di cognizioni utilissime cotesta numerosa e prege voi par- te della crescente generazione. L'opera dovrà essere scritta in buona lingua italiana, ma in piano stile adattato alla comune capacità. Il premio sarà di una medaglia d'oro del valore di lire mille. I lavori dovranno essere presentati prima del fini*- di dicem- bre dell'anno iSSg manoscritti, e senza nome d'autore. Essi porteranno una epigrafe ed avranno unita una poliza sigillala con dentro il nome e l'indirizzo dell'autore, e di fuor: la stessa epigrafe posta sullo scritto. Se da questo non sarà viur lo il premio, la polizu nou si aprirà e sarà bruciata. Varietà.' 359 Il manoscritto rimarrà di proprietà dell'autore premiato, a condizione tuttavia ch'egli debba averlo pubblicato nel termine di sei mesi dal premio riportato, e che la stampa si faccia colle norme che a tal uopo gli verranno prescritte dall'accadeinia stes- sa, la quale si offerisce di acquistarne per proprio conto cento esemplari. Sono esclusi dal concorso i soli accademici residenti. Il giudizio sarà pronunziato nel primo trimestre dell'anno i84o. I pieghi dovranno essere diretti per la posta od altrimenti, ma sigillati e franchi di porto, alla reale accademia delle scien- ze di Torino. Quando non vengano per la posta dovranno esse- re consegnati all'uffizio dell'accademia medesima, dove al por- tatore se ne darà ricevuta. Torino 1.0 maggio i838. // V- Presidente Conte ALESSANDRO SALUZZO V Accademico Segretario Cavaliere Gostìnzo Cazzerà.. 360 Varietà' A fc Q OFFICIA . PIAE . IVSTAEQVE . MEMORIAE CLEMENTIIVAE , PASIAE EX . PAGO . S . NICOLAI . PROV . FEBRAB, VXORIS.0.IOAN.BAPTISTAE. RICCI. QVI.ET.CVRBASTER.ADV. QVAE . MITI . INGENIO . FORMA . PRAESTANTI LAETITIAM . AFFERENS . HEV . NIMIVM , BREVEM MARITO . AMANTISSIMO . NOVAEQVE , DOMVI POST.MENSES . CONIVG . X . RAPTA . EST, IN.PVERPERIO IDIBVS . DECEMB . A . MDCCCXXXVHI CVM . ESSET . ANNOR . P . M . XXI, Heu . quod . te . facìam . iocunda . prole . parentem Tarn . grave . primipavae . debuìt . esse . mihi Ut . sponsae . et . natae . gloris • nurus . ut . mage , matris Nomine . sic . bi'evitev , blaaditiisque . vacem Utque . domo » et . patria . caelesti . sola . beata lam . fieri . sine , te . pars , mea . magna , querar Nam . quid . habet , muudus.tam.sero.tempore.quod-plus Detiueat . sine , me , quid . tibi . dolce . dabit Ergo . deum , breviare . moras . exposce . piaque Cum . prole . in . caelum . me . praeeunte , veni A. C. Ferhuccius, Varietà' 361 un fior sul sepolcro. Mf eccellentissimo signor avvocato Giambattista Ricci Curbastro lughese. JL ributar volli un poetico fiore alla cara memoria della vostra degna consorte sig. Clementina Fasi, ove interpretare studiai i sensi del vostro cuore. Io vel presento qui appiedi. Per questa, e per le molte altre dimostrazioni, che vi vengono lutto di dagli amici, comprenderete che il cordoglio arrecato dalla perdita di lei non è puramente domestico. La natura dell'uomo in stradi casi addimanda uno sfogo; e sta bene che 1' abbia. Saggio però come siete, moderarlo vogliate; pensando, che temperato solleva, soverchio danneggia. Anche a me fu tolto un fratello e piansi, e meco piansero cortesissimi spìriti (i); di che mi è dolce far qui parola, e rimeritameli ; ma la ragione vinse, non diminuì l' affetto; e vivo riposato. La benedetta, che a voi fu sposa, nella tenera bimba che vi sorride innocente lasciovvi un pegno dell' amor suo , che ora fatto più puro, vi serba memore in cielo. Schiudete pertanto il cuore alla paterna speme; avrete nella neonata figliuola le sembianze e le virtù della madre , la quale dall'alto vegliando continuo su lei, vi compenserà un giorno delle lagrime, che sparger vi fece nel suo abbandono. Conservatevi tranquillo agli studi, e tenete vivo nel cuore Pi Lugo i8 dicembre i838. Il Vostro Francesco CapOzzi (i) Canti fun§ì)ri alla memoria del dottor Giovanni Capozzi lughese. — Lugo dalla tipografia Melandri \S7t']. — Gli autori Bono i seguenti: — profes. P. {ìernarbò Silorala, avv. Antonio Strozzi, prof. Antonio Mezzanotte, monsig. Agostino Peruzzi , dott. Ignazio Borzaghi, prof. G. I. Montanari, avv. L. C. Fer- rucci, prof. D. Vaccolini, monsig. C. E. Muzzarelli, prof. Luigi Muzzi, conte Ferdinando Pasolini, Francesco Capozzi. 362 Varietà* CANZONE Vien meco, amore> a lagrimar su l'urna Di colei, che finor mi tenne in vita ; Ella da me pocanzi è dipartita Dicendo: Sposo mio, che non mi segui ? l'seguirla volea, che assai m'è grave Senza lei questo esiglio, Né Ignota m'è del carcere ruscita; Ma intelletto di ben mi die consiglio,- Perchè in oprar l'afflitta anima pavé, E a la confusa mente Sclama: Trista, che fai! chiaro non vedi Ce me tu perdi ed essa eternamente ? Dunque vivrommì, ed a quest'urna a'piedi , Ov'è quaut'ebbi di più caro in terra, Starò finché abbia fin si cruda guerra. Ahi quanto mi togliesti , iniqua morte, Quella involando ! Si odoroso mai Fior non si colse a'bei giorni d'aprile. Perla non cosi lucida e gentile Trasse finor de l'Eritreo sul lido; Né in più divine forme , Abbandonato il suo diletto nido. D'oriente l'aurora apri le porte. Tu la vedesti, amor; di s'era bella Alti'a cosi, se a tal sorriso, e a talo Dolcissima favella Varietà' 363 Altra atteggiò le labbra. Ogni mortale In lei si fea beato, e vinto in lei Dicea: Per fermo è jiata in ciel costei! Pen io rimembro or lagrimando i giorni £ l'ore che al suo fìanco ebbi trascorse; Ratti n'andar quale da l'arco un dardo, fio fìa che quel bel tempo ahi più ritorni \ Sol la memoria resta! À che più tardo ? Lo sparso crin s'adorni Di ferale cipresso, abbia la tomba Onor di gigli e di viole; e in questui Fossa deserta e mesta, Ove l'immenso mio dolor rimbomba, Pace s'implori a l'alma fìda,.... e pace A chi fra tanto lagrimar si giace. Ma che dissi! a me pace? Amor, non Ha Non fia giammai: che al dolor solo io nacqui^ £) al dolor m'educò la sorte ria. Oh tutto in pianto si stemprasse il core , E il duol pur m'uccidesse ! R^lto a te volerei, anima bella. Ma poiché tanto del fato il rigore Non mi concede, e tutto Ber deggio a sorso a sorso L'amarissimo calice d'affanno, Porgi, o donna, soccorso A le mie labbra che virtù non hanno, 364 Varietà' JLn occasione del fausto matrimonio contratto tra il sig. Giusep- pe Fracassetti di Fermo e la sig. contessa Ernestina Piccolomi- ni di Siena, il cavaliere Luigi Pelagalli , dopo avere esternato all'amico sposo i più felici augurii del suo cuore in eleganti ver- si latini^ intraprende a volgarizziare cento venticinque epigram- mi latini inediti, che meritano di essere da noi commendati. Io ne sceglierò alcuni e dei più brevi, per porli sott'occhio del let- tore, onde conosca se il cavaliere Luigi Pelagalli in tale sua produzione sia meritevole di questa lode,che noi gli tributiamo. Il primo, scritto in latino da Zeffirino Re, riguarda il carat- tere di quelle donne che hanno la debolezza di occultare e di- minuire i loro anni, Octacum ajjìrmal se ducere, Sihìa, lustrum. Quis neget! Jlaec anno iurat ab hinc decima. Silvia di aver soltanto ci assicura Otto lustri di età. Chi fia, che il nieghi, Se son dieci anni che ogni dì lo giura ?..•• Il secondo epigramma fu scritto in latino dal Pananti, che altresì lamentasi di Sofia, che per quanto veridica, pure alla ri- chiesta della sua età dice bugia. lEstOf (juod rigidae mendacia nulla Sophiae Px ore., ut perhibes, actenus acceperis. Deponam ut quid vis tecum, si vera loquatur Dum quaeras illae, nane quolus armus est. Dice' tu, che da Sofìa Non udisti mai bugìa. Sfìdo a udir la verità Se le chiedi dell'età. V A fl 1 E T a' 365 Finalmente prendo a riguardare quell'epigramma latino di Aurelio Bertola, che non può essere riportato in italiano con maggiore gentilezza. Aspice, ut infrendens omnis late aestuat unda; Heu quid erit reti^ naviculaeque mene ? ... Haec Cromis Nisae assidens prope lectus: at illa : Cur mecum adslantent mens rapii hinc alio?.... Ah te si cupidum semper tunc, Cromis, haberem, Haud equidem cordi retta cymbaforent. Ve', che freme su per l'onda La più nera traversia: Che farà la barca mia? Di mia rete che sarà ? .... Disse Cromi, che sedea Su di un greppo con Regella; £ rlsposegli la bella: Sei qui meco, e pensi là.... Cromi allora: Kè alla barca Né alla rete io penscei , Se tu fossi, come or sei. Sempre tenera con me. Ma voi, ninfe, al par dell'onde A cangiarvi usate siete; Troverommi senza rete, Senza barca, e senza te. 366 Varietà Proiìegua il giovane cavaliere ad arricchirci di nuove inedite produzioni : che ne avrà onore presso il pubblico lette- rario, ed accrescerà splendore alla sua patria^ che in ogni tem-» pò ii distinse nella coltura delle scienze tra le città dell'Italia^ fi. i. jid losephum Vgolinium V. E.ferrarien. provinciae legatum, d morbo gravissimo liberatum. Pkaleucium Caesaris Montaltii caesenatìs, Ferrariae ex typographeo Caietani Bresciani censoribus annuentibus. Al chiarissimo sig. Francesco Capozzi Giuseppe Ignazio Montanari i^ell'ultimo fascicolo dell'arcadico voi avete fatto onorevole menzione di un componimento poetico del eh. dottor Caroli per la ricuperata salute dell' eminentissimo sig. cardiaale Giuseppe Ugolini legato di Ferrara. E perchè dall'avere voi soltanto quel- la poesia italiana onoralo di lodi mi dà argomento certissimo a credere, che non vi sia venuta a mano una bellissima latina del nostro professor don Cesare Montalti , io ve la mando , e sono certo che quando l'avrete letta e gustata, ne scriverete un arti- colo più lungo. A me pare cosa catulliana al tutto ; voi vedrete se mi paia a torto o a ragione. Intanto leggetela, ed amate Di Pesaro i5 dicembre i858. 11 vostro Montanari Varietà' 367 Sat datura lacrymis: sat imminenti Urbem mors fera terruit periclo Tarn cari capitis: sagax medentum Adfuit labor, adfuit vel ipse Deliua, medicae magister artis, Qui teuens reducem manu saluiem, Piena roboris, integrasque malas Nascentùm minio illitam rosarum, Febric relliquias acerbioris, Et quidquid suberat metus, ferendum Euris adriacas dedit per undas. O factum bene ! o dies beata ! Signanda o niveo dies lapillo, Qua tantum, auspicibus diis, in uno Bonorum, mora nulla restitutum ! Laetos laeta decent : doloris index, PuUa nunc libi vestis exsuenda; Danda nunc manibus ligustra plenis, Urbs olim Eridani potens, memorque Heu ! frustra veteris decoris : aetas Saeclorum tacito voluta lapsu Quid non praepete subruit volatu ? Laetos laeta decent: procul, quot estis, Hinc procul lacrymae, melusque abile: Scilicet nimio nefas dolori 368 Varietà* Indulsisse animo usque pertinaci { At nefas mage damna iam peraclae Fortunae memori fovere mente. Macte ì GREGORIUS iubet, quieto Tandem sis animo. Viden'? regendam Nuper, urbs bona, te dedit referto Virtute omnigenà viroy recenti» Qui morbi prope fuoeratos irà Se vix obtulerat tibi excolendum; Dìgnus, aedepol, omnium unus ore Princeps nomine, re pater vocari. At grates superis: ut ortus undis Noctis sol tenebras fugai reduclàs, Terrasque exhilarat coruscus aegras, Primum ut convaluit, novus, nec usquam Fors amabilior, venusiiorque, Kisus diditus ilicet ; deorum Visa tburicremis frequentar aris Uri dona pio sabaea ritu ; Visus incolumemque, sospitemque, Effusis precibus, perenne in aevum Quilibet sibi principem ominari, Qui late omnia fausta pollicetur. Votis pondus inest : valens, ut ante, Iam ministerii subire curas Graves, lupiter! et laboriosas, Varietà' 369 Gestii impatiens, vigilque recti Vindex, et rigidi sequester aequi. Insolabiliter nefas, diuque, Urbs bona, indoluisse : Civitati Ut molimine nititur peracri Aoiissam reparare dignitatem ! Partium studium perosus, omnes Mentem conciliare gloriosum Ut ducit sibi ! cereos ut uno Vinctos foedere continere cives! Acer ut meriti aestimator artes Lubens excitat optimas ! iacenti Antiquum adserit ut decus Minervae, Augens muneribusque, gratiàque Quotquot palladiae vacaut palestrae ! Quis sit laetìtiae modus futurus, Quisque, magnanimo viro recepto, Insuetae citius beatitatis Quum certam sciai esse spem paralam ! O factum bene ! o dies beata ! Signanda o niveo dies lapillo, Qua tantum, auspicibus diis, in uno Bonorum, mora nulla , restitutum ! Al vobis male sit malis Averni Educlae domibus siticulosae Ftbjcs, Icibiferum genus: refcrte G.A.T.LXXV11. 24 1570 Varietà' ' Nalales (monco) pedes ad ambras : Diguus nestorea fruì senecta , Non hic victima devovenda vestris Tarn cito insidiis : rubent ocelli Vestra adhuc opera clientulorum , Quos vita mage diligit vel ipsà : Febres, lethiferum genus, referte Natales (monco) pedes ad umbras, Hoc ne depereunte, sit dolendum Uno tempore deperisse secum Spei si quid adhuc bonae supersit. Di, casum proliibcte tam nefandum ! • > I I INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IVEL TOMO LXXVII, VOLUMI 229, 2óO, 251 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Sorgoni^ Annotazioni cliniche sul grippe' pag. 3 Perrone^ Praelectiones theologicae. Voi. /^.« h^S Versavi^ Storia di un enorme tumor fibroso peritoneale • « 58 Gabbani^ Quadro delle malattie contagiose che si propagano da un genere ali altro di animali ec « 8 I Biolchini, Necrologia di Alessandro Pieri' « 84 Cardinali j Strade a rotaie di ferro {con due rami ) « 95 LETTERATURA Maius, Scriptorum veterum collectio vati- cana « 125 Rambelli^ Biografa di Annibal Caro . . < Ì(V7 Cardinali, Quarta rivista di opere italiane di archeologia ^ 181 372 Notizie della vita e delle opere di Niccola Ratti « 213 //., Pensieri intorno all'indole ed alle vicen- de della poesia « 226 Campanari^ Pitture delle grotte tarquiniesi.^i 252 BELLE ARTI agricola, Discorso all'accademia di s. Luca.» 292 Betti, Descrizioni varie di opere di belle arti.a 307 f^arietà. 2^avole meteorologiche. EWOB Osservazioni Meteorologiche. )( Collegio Romano )( Ottobre iS38. mat. si- mal. si- ser. mat. si- ser. mat. si- Baromet. 28' PO li. mat. §i- ser. mat. mat. si- mat. Si- mat. Si- mat. si- mal. si- ser. mat. si- ser. mat. si- „ „ 7 M „ 9 » 2 5 )> 5» 3 0 )) » „ „ 2 7 » ,, 4 « I 7 » 2 3 » >i 2 ,, ,j 3 J) „ 6 ». M 0 „ 1 4 „ „ 0 » ,, 5 2 4 2 „ >5 0 „ )> 1 >» I 7 „ 2 I 0 7 27 „ 0 » 0 7 » 1 1 0 " 9 7 6 „ 10 5 „ 9 7 " 10 2 0 Term. esterno i3 Term oni elio 20 4 19 5 16 '7 19 18 IO 5 IO 5 7 5 18 5 8 Igrom. i5 Vento Pioggl; N. d. pio.ab. SO „ 9, li 00 N ,, 2 00 0 0 N d. NE .. 19 5 96 84 9 5 NO d N. q. O s. a. N d 2, li 25 „ „ 4 75 11 m 12 5o 0 0 t) 1, S. yar. m. SSE d l.l.p. llOt 2 So S f. 4 5o SO m. 1 25 xMi (] 4 45 ]\0 f N .1 Evapor 1 5 2 5 2 8 a 3 2 5 a 3 2 7 1 5 3 3 4 Stato del Cielo nuvoloso chiaro chiarissimo chiaro nu. £p. nuvoloso chiarissimo ser. nuT. tp. cliiarissinio nuvoloso chiaro chiarissimo chiarissimo Lhiai'issiiiio ser. nuv. sp, chiarissimo chi str.vap.uu.sp. nuvoloso di. nuv.oriz. nuvoloso „ piove molle nu. sp. nuvoloso eh. nu orlz. vapoioso cop. nuvoloso eh. nuv. oriz. jnuvoloEO clii.Trissimo T5g!gg->s-T-TOiir»j'yr?T»r3Bg»CT {tia, 0 ser. ^> 7 mal 7 6 «'• 8 0 ser. ,, ò mal. >i 0 el- „ se r. mal. 9 5 „ ei- 10 3 ser. 11 7 mal. 28 1 0 gì- » 6 ser. •j mal. ,. 6 S'-- «9 1. >i ser. ^^ I ò mal. 9 S^- 11 7 ser. '» 0 mal. " >» SI- ser. )) 3 mal. „ 1 • 0 H ser. )i 3 mal. 27 11 7 S'- 38 0 4 ser. „ Q 0 mal. „ 5 0 si- „ „ 7 ser. » 4 0 mal. „ ,j j^ S^- ., » » V 3 6 mal. ,, »> 1 §'• 11 2 il ser. „ » 4 Ossen-cizioìii JMeleoroloi^icìie )( Collei^io Romano )( Novembre Igrom, ;.:».-jaiiTO.Tr«c:7w- ■= Ore \ Baroraet. Term. Terme max. metro min. 0 7 Igrom. Venlo 0 0 SSO m. Pioggia Evapor. — — 1 Slato del Cielo' 1 16 1 ! »? S»9 mal. si- ^8P°- 1 „ 0 )) » „ 1 5 8 6 2 8^ 14 I i I I 12 5 0 .4 4 1° 4 0 2 10 pi.e gran- ii 1 3 nuvoloso tulio „ piove chiarissimo nuvol. tulio )» ser. JO 5 10 11 0 0 1 00 1 mal. si- ser. i5 5 SO m.l s (ì! 1 7 1 1 i5 12 5 mal. 8i- ser. » >» l 16 0 10 0 2 3 0 0. S (1 SE J pio.not. 2 5o 1 3 „ piove mat. Si- se r. „ 0 1 12 >4 i3 5 5 16 0 0 S il. 2 » Il 07 10 6 1! ' 20 22 inai. si- li er. i3 iG i3 5 61 »3 10 10 2 8 2 I 2 1 0 o| SO m! 2 2 1 5 " mal. si- ser. 1) )> Il 8 5 3 0 8 7 1 1 12 i5 5 0 0 S m' SSE „ )am. pio chiaro nu. or. nuvoloso limi. gi- sor. 11 i5 12 '4 3 7 2 '3 7 3 SE d S m SO fmo 6 70 1. pio. net. „ piove ;! \iiu,t. ■ìV.gi. " 7 4 0 3 3 IO J2 I 1 7 i3 12 I I 12 9 6 9 7 6 9 8 10 12 8 - '4 9 5 6 5 10 0 0 4 5q 2 i5 1 5 ra. nuT. sp. 1' .24 j 25 2G 29 3o inai. Si- .■ler. iiiiil.\ li- inai. si- ser. mal. si- ser. ., 8 " 9 .. 8 14 i3 0 7 5 5) »1 SSE f' „ ni 0 q. 0 N i\ "NNEm N „ 0 0 "n <1. 0 0 SE .1 „ frao 0 for. 0 0 3 4 2 i 8 ' 4 nuvoloso nuv. sp. nuvoloso nuvoloso „ sole Iralu. chiarissimo " 7 » >} „ 8 4 7 8 2 5 2 4 i4 2 ì 0 8 3 3 2 1 „ 10 >> ' » Il fi » 8 .. 9 7 7 8 0 8 6 ~6 0 0 jo 5 5 5 9 S 9 pio. poi- 2 So ser. nuv. sp. puvoloso 1 JO chiarissimo nuvoloso mal. Si. ser. mal. si- ser. 12 5 1 6 coperto piove ser. nuv sp. coperto i „ 10 1. 1 1 28 0 8 3 6 5 0 9 i3 13 i4 5 ■ 5 .•lira.'.. S fj 0 „ fmo „ q. 0 0 0 S m. " a piog.noi . 0 25 2 5 2 4 nuvoloso luiv. sp. nuvoloso » ' mat. S'- ser. 10 i5 1 16 3 1 ■ , .-.=,■*«■«•» Osservazioni Meteorologiche )( Collegio Ramano )( JJecembre i838. 1 Ore mal. si- ser. mal. gi- ser. B aromet. Terni, esterno Termo mas. i4 metro min. 11° Igrom. Vento Pioggia Evapor. Stato del Cielo l „ „ 6 28 0 6 0 12 i3 5 9 6 11 8 0 I 7 1 I 20 2 S d. 0 ra N d. 1 3 nuvoloso „ sole tralu. eh. vap. oriz. 0 7 2 " 3 0 >' 7 3 3 12 5 0 0 NNE d 0 0 » vap.tutto cop. 0 7 5 10 8 12 12 4 0 8 N d. 0 0 it »» N d^ NE d 0 0 3 mal. gì- ser. mal. gi- ser. mal. Si- ser. inat. si- ser. 1} » ., 3 a 7 ;, i 0 6 eh. nu. oriz. chiarissimo 0 7 6 5 1! 5 9 5 1? 5 IO 5 2 6 2 4 nuTol. tulio 12 8 0 5 0 0 a 6 0 0 S d 0 0 N d n n „ m. li 3 4 1 nuvolosissima coperto piove 5 27 11 5 »o 7 1 7 5 1» 9 ■ 12 6 5 l 1 6 1 »i 11 0 10 6 m. nu. sp. nuvoloso n 1 7 S 9 IO n i3 i5 mal. gi- ser. » 9 7 » jo 8 i. 5 11 8 10 27 i5 9 „ frao )) » NOq.O 9 1 ser. riT. oriz. 7 10 8 1 1 6 5 4 i5 3 N m ,. q 0 „ m 0 0 NE d 0 0 2 7 0 9 mal. si- » 1. 2 9 5 8 7 chiarissimo nuvoloso coperto piove DUT.pio.lut.noi mal. gi- ser. " 9~5 10 6 '» 9 9 10 9 11 7 6 3 3 3 3 6 6 5 4 4 3 7 1 » 0 3 mal. Si- ser. 28 0 7 1 2 5) » 7 10 8 9 N d SOq E d NNE qo NE „ N „ 0 5 sereno vap. nunoloso mal gi- ser. )' » 9 2 0 8 10 7 5 8 7 7 10 6 4 8 6 6 5 1 1 6 5 0 Ó nuvoloso ser. m. oriz. mal. si- ser. mal. gì- ser. mal. gi- ser. mal. gi- l ser. >> 1 "i 8 IO 4 4 4 6 „ d 0 0 NNE d 0 6 mezzo coperto coperto lulto nuvoloso 0 8 1' 3 1 1 4 12 25 16 9 27 16 N m » f „ m 0 0 1 1 7 5 » ser. nu. ip. chiariss. « 2 ~ 0 6 » 5 9 5 7 5 3 5 1 4 7 4 JN q. 0 ,. d 0 3 nuvoloso Baromet. 8'- 2S''"-x''-^ 3O 5 .scr. ìiiìat. •' !-er. \ lìtui, I e,; ; 20 ^^• \mtit. Utr. \inat. ■>. p- Unal. I "^^' hii'ut. 2A .?'"• Iser. mat. s^r. mat. Ì26U»/. iser. \mat. ìser. 8 h 5 _6_|4_ 4 ~ 8 9 ^ 7 6 le 8 4 „ 5 4 o >, 6 G |4 9 ' 27 11 28 1=9 ! mat. gì- sei: mat. gì- ser. mat. mal. IO 8 " 9 3 6 » 10 0 r " 11 28 0 8 *7 11 7 28 0 0 » »> 4 " 5 6 5> 8 » 2 6 )' „ 2 l> » 8 1^ 2 0 >» „ 6 )> 3 5 " 2 8 6 •» 1 0 Termometro max. Iniiri 2 5 o 5 5 5 7 5 1 o 5 14 27 6 5 Vento Pi ogg NE DI, N „ » d NE d N NE NO d.' NE f. N ,: „ ra f NE m nuT. E f.| _ „ var. f. pio. not. „ f.i 2 25 SE "n" o „ S (] ss E o o SE m NE d' 6 5o O 25 N d „ f. .' m. NE N Erapor. 1 6 o 5 gelalo i o 1 5 Slato del Cielo' chiarissimo vap. nuv. sp. cbiarissirao luiv. sp. coperto nuvoloso cliiarissimo pie. nuv sp. 1 5 0 4 1 5 1 4 nuv sp. nuvoloso ser. uuv. sp. cliiarissimo coperto nevica „ |>iove „ sole Iralu. nuv. sol. trai. copcito piove ■opcilo n -"' — ^•"' ser. niiv. sp. vap. sol elral tiuv. sparse NIHIL OBSTAT E Jacopinì Ceusor TheoL Deput. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patriarcha Antiochenus Vicesg, / GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 232. ROMA NELLA STAMPERIA DELLE BELLE ARTI 1839. h^i s^!^ GIORNALE DI SCIENZE LETTERE ED ARTI TOMO Lxxvm GENNAIO, FEBBRAIO E MARZO 1839. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1839 Ili DIRETTORE DEL GIORNALE ARCADICO S. E. il sig. principe D. PIETRO ODESCALCHI, membro del collegio filologico dell'università ro- mana, socio ordinario della pontifìcia accademia di archeologia. COMPILATORI BETTI SALVATORE, professore di storia e mitolo- gia e segretario perpetuo dell'insigne e pontificia accademia romana di s. Luca, socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia. BIONDI marchese commendatore LUIGI, presiden- te della pontificia accademia romana di archeo- logia, soprintendente generale degli studi di bel- le arti in Roma per S. M. il re di Sardegna , membro del collegio filologico dell'università, ac- cademico della crusca. BORGHESI BARTOLOMEO, accademico della cru- sca. CAPPELLO prof. AGOSTINO, già medico consu- lente di Leone XII, membro della congregazione suprema di sanità. CARDINALI CLEMENTE, consigliere governativo della legazione di Velletri, dittatore dell'accade- mia volsca veliterna. CARPI PIETRO, professore di mineralogia e mem- bro del collegio medico-chirurgico dell'universi- tà romana. DE-CROLLIS DOMENICO, dottore in medicina. FOLCHI GIACOMO, professore d'igiene, di tera- peutica generale e di materia medica, membro del collegio medico-chirurgico dell'università ro- mana, e della congregazione suprema di sanità. IV GERARDI FILIPPO, dottor di leggi. POLETTI LUIGI, consigliere e professore dì ar- chitettura pratica nell'insigne e pontificia acca- demia di s. Luca, professore ordinario di archi- tettura nell'ospizio apostolico di s. Michele, pro- fessore onorario della R. accademia delle belle arti di Modena, architetto direttore della riedi- ficazione della basilica di s. Paolo, socio ordina- rio della pontificia accademia di archeologia. TONELLI GIUSEPPE, dottore di medicina. VISCONTI cav. PIETRO ERCOLE, commissario delle antichità romane, presidente onorario del museo capitolino, segretario perpetuo e socio or- dinario della pontifìcia accademia di archeologia. COLLABORATORI DEL GIORNALE ARCADICO A, -NTALDI marchese Antaldo, a Pesaro. ARMARGLI conte Leopoldo, giureconsulto, a Ma- cerata. ASTOLFl avv. Angelo, giureconsulto, a Bologna. BARLOCCI Saverio, professore e membro del col- legio filosofico dell'università, segretario del con- siglio amministrativo degli acquedotti, in Roma. BELLENGHl monsig. D. Albertino, benedettino-Ca- maldolese, arciv. di Nicosia, consultore delle sa- gre congregazioni de' vescovi e regolari, dell'in- dice e degli affari straordinari , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. BIANCHINI xAntonio, segretario della società degli amici delle belle arti, in Roma. BRIGHENTI Maurizio, ingegnere, a Rimino. BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Mo- dena. BUONAPARTE S. E. Don Carlo, principe di Musi- gnano, in Roma. CAMILLI Stemmo, a Viterbo. CAMPANARI avv. Secondiano, socio ordinario del- la pontificia accademia di archeologia, in Roma. CAMPANARI Vincenzo, a Toscanella. CANALI Luigi, professore e bibliotecario, a Pe- rugia. CANONICI FAGHINI marchesa Ginevra, a Ferrara. CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, ad Ascoli. CAPOZZI Francesco, a Lugo. CASSI conte Francesco, a Pesaro. VI CECCONI avv. Luigi, giudice capitolino di appel- lo, in Roma. CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, pro- fessore al collegio nazareno, in Roma. CIAMPI cav. Sebastiano, a Firenze. CONTI ab Andrea, presidente del collegio filoso- fico dell'università, in Roma. CONTI doti. Filippo , medico , a s. Anatoglia di Camerino. COPPI ab. Antonio, socio ordinarlo della pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma. CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, membro della reale accademia delle scienze, a Torino. DE-LUGA ab. Antonino, professore sostituto dell* università, in Roma. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. DUMOUCHEL padre Stefano, della compagnia di Gesù, astronomo del collegio romano, in Roma. FARI MONTANI cav. Francesco, sotto-custode di arcadia, in Roma. FERRUCCI avv. Luigi Crisostomo, a Lugo. FERRUCCI Michele, professore, a Ginevra. FIORINI MAZZANTI Elisabetta, a Tivoli. FOLCHI cav. Clemente, vice-presidente dell' insi- ^ gne e pontificia accademia di s. Luca, ingegne- re ispettore membro del consiglio d'arte, socio ordinario della pontificia accademia di archeolo- gia, in Roma. FONTANA cav. Pietro, a Spoleto. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Ginevra. GUZZONI DEGLI ANCARANI Carlo, a Trevi. JONII avv. Lodovico, giudice, a Norcia. LABUS cav. Giovanni, imperiale e reale epigrafi- sta di corte, a Milano. TU MAL VIGA barone Ferdinando, socio ordinario del reale instituto d'incoraggiamento, a Palermo. MAMIANI DELLA ROVERE conte Giuseppe, a Pe- saro. MARGOTULLI dott. Luigi, medico, a Sezze. MASETTI canonico Celestino, a Fano. MORDANl Filippo, a Ravenna. MONTANARI Giuseppe Ignazio, prof., a Pesaro. MORIGHINI monsig. Garlo Luigi, votante della se- gnatura di giustizia, in Roma. MUZZARELLI monsig. Carlo Emmanuele, uditore della sacra rota, consultore della sacra congre- gazione detriti, in Roma. ODDI Giuseppe, professore e membro del collegio filosofico dell'università, in Roma. PAOLI conte Domenico, a Pesaro. PERETTI Pietro, prof, dell' università, in Roma. PERUZZI monsig. Agostino, rettore dell'università, a Ferrara. PIANCIANI padre Gio: Battista, della compagnia di Gesìi, professore nel collegio romano, mem- bro del collegio filosofico dell'università, in Roma. PUCGINOTTI dott. Francesco, professore nell'uni- versità, a Pisa. PUNGILEONI padre maestro Luigi , min. conv. , consultore delle sacre congregazioni de' vescovi e regolari e dei riti, in Roma, RAMBELLI Gio: Francesco, professore, a s. Gio- vanni in Persiceto. RANALLI Ferdinando, a Firenze. RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Macerata. ROVERELLA conte Gio: Antonio, a Cesena. SALVI cav. Gaspare , consigliere e professore di architettura teorica nell'insigne e pontificia ac- vm cademia di s. Luca, ingegnere ispettore membro del consiglio d'arte, architetto de'ss. palazzi apo- stolici, membro del collegio filosofico dell' uni- versità, in Roma. SANTARELLI Michele, prof, e medico, a Macerata. SANTINI dott. Angelo, medico primario, a Montal- boddo. SANTUCCI ab. Loreto , custode generale emerito di arcadia, membro del collegio filologico dell' università romana, incaricato di affari della santa sede presso la corte di Toscana, a Firenze. SCLOPIS di Salerano conte Federico, membro del- la reale accademia delle scienze, a Torino. SECCHI padre Gio: Pietro, della compagnia di Ge- sìi, professore e bibliotecario del collegio roma- no, socio ordinario e censore della pontificia ac- cademia di archeologia, in Roma. SORGONI dott. Angelo, primo medico, a Montolmo. TORTOLINI ab. Barnaba, professore dell'universi- tà, in Roma. VACCOLINI Domenico, professore, a Bagnacavallo. VALDRI.GHI conte Mario, a Modena. VALORI dott. Francesco, membro del collegio me- dico-chirurgico, professore di sanitk della sacra consulta, in Roma. VENTUROLI prof. Giuseppe, presidente del con- siglio d'arte pei lavori di acque e strade, mem- bro del collegio filosofico dell'università, in Roma. VERMIGLIGLI cav. Gio: Battista, professore nell' università , direttore del museo di antichità , a Perugia. VESGOVALI Luigi, socio ordinario della pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI dott. Paolo, professore soslilulo dell' università, in Roma. SCIENZE Memoria sulla quadratura delV ellissoide a tre assi ineguali. 1.° Ijj la superficie curva dell' ellissoide a tre assi ineguali dipende, come si sa dallo sviluppo di un integrale doppio preso entro dati limiti. Legendre^ il quale ha trattato estesamente la risoluzione di questo problema nella sua opera delle funzioni el- littiche, ha provato che la formola, la quale ci dà la superficie totale dell' ellissoide è rappresentata dalle funzioni ellittiche di prima e di seconda spe- cie. L'autore arriva in due modi a questo risulta- to; il primo dei quali consiste ad esprimere per serie il doppio integrale, e quindi con l'introdu- zione di un parametro ausiliare prova che il dop- pio integrale per serie verifica un'equazione dif- ferenziale del secondo ordine, dall'integrazione del- la quale vien fuori il valore della superficie. 11 se- condo metodo è dato dalla considerazione delle li- nee di massima e mìnima curvatura, tracciate sul- la superficie dell'ellissoide. Le difficoltà che s'in- contrano in questo caso sono dipendenti dalle fun- zioni ellittiche di terza specie, le quali alcune volte sono esprimibili in funzioni ellittiche di prima e seconda specie. Legendre, dopo un complicato giro di analisi, arriva finalmente a dimostrare che la su- G. A. T. LXXVIII. 1 2 Scienze perfide curva deirellissolde è espressa molto sem- plicemente (la funzioni ellittiche di prima e secon- da specie. Lo scopo principale di questa memoria è di far vedere, che il risultato rimarchevole dato da Legendre può facilmente rinvenirsi, mettendo a profitto quanto lo stesso Legendre dice alla pag.358 voi. I.° delle funzioni ellittiche, e che è relati- vo al primo metodo da lui usato. In seguito di ciò ho conosciuto una memoria del eh. slg. Plana di Torino, riguardante il medesimo oggetto, ed inseri- ta nel tomo ^7 del giornale di matematica, pubbli- cato in Berlino dal slg. Creile. In questo elegante scritto il sig. Plana arriva all'importante risultato trovato da Legendre per la quadratura deirellis- solde con princìpii dedotti dall'opera di Legendrei in seguito termina con ricerche analoghe allo stes- so soggetto. Le considerazioni delle quali cose essendo al- quanto diverse da quelle di Legendre e del sig, Plana^ penso che non sarà del tutto inutile questa breve memoria per semplificare un'importante ap- plicazione del calcolo integrale, e che riguarda una bella applicazione delle funzioni ellittiche. 2.° Chiamando al solito x, ^, ? le coordinate rettangolari del punto di una superficie curva qua-- lunque, faremo al solito uso della formola, la qua^ le vien data per la quadratura delle superficie cur- ve, cioè s = ,/7-rJ/-(7:h(JJ ove — , — sono le derivate parziali dedotte dall' dx dy Quadratura dell*ellissoide 3 equazione generale delle superficie z = /(x, /) Nel caso di un ellissoide riferita a tre assi princi- pali, 2a, 2Z>, 2c paralleli alle coordinate or,^, z do- vrà valere a* 02 c^^ Quest'equazione si suol comunemente verificare con due coordinate polari p, q\ ed a quest'oggetto noi potremo prendere X = acospi y = bsinpcosq, z = csinpsinq i quali sostituiti danno evidentemente cos'IP -h sen^p cos^q ■+• sen^p sen^q = 1 Gli angoli/?, q saranno 1.° p l'angolo che una retta fissa forma con l'asse della x, 2.° q l'angolo che la proiezione di questa retta nel piano delle ^z fa con l'asse delle x. Dalla trasformazione degli integrali doppi doir- vremo differenziare, y considerando la x come co- stante, o che torna lo stesso considerandovi p co- stante: per lo che avremo dx == — asenpdp. dj == — bsenpsenqdq d'onde dxdy = ab senp senp senq dpdq Differenziando l'equazione dell'ellissoide dz X c^ dz y c=» dz za'' dy z b^ 4.'- Scienze quindi elevando al quadrato e sostituendo i valori di a:,7, z \dxj a^sen^psen^q ' \djj h'^sen^psen^'q delle quali con facilita \dxj \djj [/'b'c^cos^p -H a^b'sen^psen^q '-h a^c^sen^pcos^q absenpsenq e finalmente l'integrale doppio si trasformerà in S = / fsenpdpdq\/'b^c^cos^p-{-a^b^sen*psen^q-\-a^c^sen^pcos*q Per estendere alla superficie intera deirellissoide questo integrale, basta prendere il valore di p en- tro i limiti di o, e, n= 180°, ed il valore dell' angolo q entro i limiti u, -n, e perciò facendo per brevità A = b^c^ , m = a^c^, n = a^b^ B = mcos'^q •+■ nseii^q si otterrà per l'intera superficie dell'ellissoide ad assi ineg uali S = / / senp dp dq 3/ Aco^^^-J-Bi^en*^ Prima di eseguire l'integrazione non sarà inu- tile di far conoscere il significato geometrico dcll^^ Quadratura, dell'ellissoide 5 quantità sotto il vincolo radicale. Chiamando p un raggio vettore, che dal centro dell'ellissoide si con- duce ad un punto della medesima, si avrà X == pcosp, y = -• psenpcosq, z = psenpsenq e per conseguenza 1 cos^p sen ycos'^q sen'^psen-^q p' a' ò» e» dalla quale ahc yAcos^p -h Bseny ed allora l'integrale definito doppio si esprimerà molto semplicemente per ==~ahcj f n senpdpdq ? Questa coincide con quella data dal sig. Caucliy in una memoria litografica in data dei 19 ottobre del 1832. La formola si verifica immediatamente nell' ipotesi di una sfera, mentre allora abbiamo j> = a = 6==c, e quindi l'integrale ci porge S = knp"^, 3.° Non è difficile però ad arrivare con gli or- dinari metodi delle trasformazioni ad un primo in- tegrale relativo alla variabile y?, considerata q come costante, riducendosi cosi ad S'dq 6 Scienze facendo per brevità S = / senpdp\/' kcos'^p '^'^sen'^p A quest'oggetto consideriamo l'integrale indefinito V = f senpdpi^kcos^p •+• Bsen'p ove chiamata u una variabile ausiliare si ponga {/"Acos^p •+■ BseTi^p = V dalla quale e dififerenziando senpdp = 1 vdi' 1 . . d'onde sostituendo col porre 6=* = — • si ricava 1 in- B tegrale trasformato Dalla cognita teoria delle integrali abbiamo v^di^ V . \ /* dv /dv ^ , , ^^ \ = -« Are itang = —; ; per cui subito si ottiene Quadratura dell'ellissoide '^T 2/y- Per avere i valori in A, B, basta richiamare che B B od anche , /"B-A [/"l — ev* = =t: cospW ove prendendo il segno -h dovremo nell' integrale sostituire ^ = o, /? == 180, cosicché risulta V = ^ cospi/'Acosp^ ■+• Bsen^p L'aggiunta della costante si rendereLbe inutile qualora si parli dell'integrale definito: pur tuttavia non è difficile la determinazione della medesima. La quantità SttV rappresenta la superficie di un el- lissoide di rivoluzione di assi 2A, 2B con l'origine al centroi e che all'angolo yo=90° corrisponde V=o e sarà o = — _ Are. f tans 21/-B-A ossia B C = 2l/^B — A 2 Avvertendo ora che per valori di z minori di 90" Scienze Arci tang = z JH- Arc.j tang = —.) = — potremo avere eziandio per Tintegrale la formola V = ^cosp\/'Kcos^p -f- Bsen^p B ^ / cospi^B—A \ -4- Are. taiis;= i :;- I 2i/B— A \ i/^Acos^p-hBsen^pJ Ponendo ora successivamente)» = o, ^ = I80'' =77 otteniamo i due integrali ^l^A-+-- Are. tajig = — B , / l/^B— A\ — éA Arc.l tan2= I ^ 2KB— A \ "^ 1/^A ; Dalla sottrazione di essi risultando Tintegrale defi- nito, sarà per conseguenza S'= / senpdp\/~ Acos^p -f- Bsen^p B i/^A H- Are l/^B— A {^angJ^'j Il valore adunque dell'intera superficie dell'ellissoi- de si esprimerà per l'integrale definito semplice: /7r r^TT B . / KB— A\ , non dovendo perder di vista essere B = mcos'^q -t- ììsen^q. Quadratura dkll*ellissoide 9 4.° La nuova integrazione relativa alla varia- bile q non può farsi che in serie, e non tardere- mo a mostrare, che le funzioni ellittiche di prima e seconda specie sono precisamente le serie che rappresentano la superficie dell'ellissoide. Nel caso di un ellissoide di rivoluzione l'inte- grazione può facilmente eseguirsi ; supponendo 1.° che l'asse di rotazione sia 2a, e Z>=c, avremo l/^A = {^b^ = Z»% B = a^h\cos^q 4- seri'q) = a^b* per cui integrando ^a^hn r l/^a^-b'' \ S=2Z>»;rH — Are I tans =^-— — - \ra^-b^ \ b J Questa espressione può mettersi sotto due forme secondo che il semiasse a e maggiore, o minore del semiasse b. La ipotesi di a >• ò da per l'ellissoide di rivoluzione S = 2b^n -H^ Arci tang= ^ 1 qualora sì ponga l^a^ -- b^ =ai Che se anche fosse b :=a, riuscirà £^= o; allora per la teoria de'limiti 1 / az\ lim. ^ Are I tang =: — I = 1 e viene al solito per la superficie della sfera S = 47ra^ Sia 2.° 2b l'asse di rivoluzione; ponendo in questo 10 Scienze caso j^62 — a» = &£ avremo S =2^2;: H Arc{tang = i\^ — i ) ma sappiamo che Arcitang = ei^ - 1) = ^ '"^(^^7) dunque sostituendo ove i logaritmi sono della base iperbolica e. Qui pure Tipotesi dì b =^ a rende e = o; d' al- tronde dai limiti abbiamo che ^ —1 limJog (l-f-e) ' = ///w log (1 — e) ^ =log e=1; ossia 1 /1 -f-£\ iim ^ log { 1 = 2 6 \^1 -^Sj e verrà al solito per la sfera S = Ana^. 5.° Passiamo ora a dimostrare che l'integrale re- lativo a q verifica una certa equazione differenziale del second'ordine , dall'integrazione della quale si ottiene il valore della superficie S. Primieramente ci sarà utile di trasformare in logaritmi l'arco dato per la tangente; ed a questo fi- ne porremo Quadratura dell'ellissoide 41 .=-» dalla quale facilmente B=A(1 B p^Ad- -L) -1 1/^-1 KB— A \nv- che sostituiti nel valore della S ne iln.o 3 otteniamo r^". r A J^ 1 , r^^^A(i-L)^_ _i/-T !/• IV ^\)dq e siccome Arc(.«^^=l^L.i/--1)=— --% 1^ ^-^^ J perciò risulterà ove ponendo per brevità avremo anche semplicemente La quantità denotata con la lettera Q può svilup- parsi in serie per mezzo della nota forinola loga- ritmica 12 Scienze Questa moltiplicata per ci darà dopo facile ri- duzione Il problema sarebbe ridotto pertanto alla ricerca /■7t L'^r/^, del quale la de- ~7Z terminazione non ammette grande difficolta ; ma non essendo questo il nostro primario scopo, andia- mo a trattare la questione sotto un altro punto di vista. 6.° Alla serie della Q del numero antecedente, ed ordinata secondo le potenze della L, si rimpiazzi la seguente ordinata per le potenze impari di una quantità, j' vale a dire Y_^l/A^^ 3 3.5 5.7 7.9 ~ j che si riduce per^=1 ad Y=Q, e si annullerà per y=o. Ciò posto, differenziando due volte rapporto alla/, e dividendo per -^ 6L3y5 8LV7 \ - = - 2,/A(2LKH-f + -f + -^ 4-.J Quadratura dell'ellissoide 13 e se quest'uUima si moltiplichi per y, e dalla pri- ma si sottragga, avremo ancora dY d^Y d/ dy^ E siccome la serie 1 1 4- L/^» -h Ly ^ -1- L V^ -t- Ly^ -*- • = TUFI cosi la quantità Y verificherà l'equazione dififeren^ ^iale dY _ d"J __ Sl/'A dy •" dj^ '\-Lj- moltiplicando quest'ultima per dq^ ed integrando entro i limiti ^ = tt, q = — ;:, sarà /'TT dY nu d^Y /^v: da Dalla sola ispezione di questa equazione è facile il dedurre, che l'integrale definito S= / ^ (Ida verificherà l'equazione differenziale del second'or- dine ly ^ dy^ ^ / -n l—Ly^ purché dopo le integrazioni si faccia /=a1, ed ab- biasi S = o per ^ = o, ed ancora per y = 0. 14 Scienze L'integrale del secondo membro si determina con richiamare il valore delle L in A, B dato dal n.° 2, ove trasformando la potenza seconda del se- no e coseno, nel coseno dell'arco doppio si ottiene /» -I- w 4- (w — n) cos2q B = ^2 ed A — B 2A ■— (w 4- /i) — im — n)cos2q L = quindi 2A dq l^dq f" — IVa ai •+• biC0s2q a, , bi si esprimono pur flr,=2A (1 — y^) -H (w -f- n) y""-^ bi = j^ {m — «). D'altronde sappiamo che f _?^? == _?_ Are. A.«g=^^^:*^^-^) -^ ai'+-b,cos2q y/'ai^—bi^ \ ° [^a^=^—bi^J e ponendo successivamente q = 18o° = tt , e ^ == — 18o° = — - TT, avremo per risultati, tt, — • tt nel secondo membro di questa ultima equazione: cosicché r-v: 2dq Un •^ -TT tti-^b^cos^q [/"ai^ — Z^i^ e per conseguenza /n dq An A ~n i — hy^ ~ \^ai^ — bi^ Quadratura dell'ellissoide 15 e l'equazione differenziale del second'ordine diviene dS d^S _ SttAKA nella quale rimane a conoscersi in funzione della j' il radicale [/'a,/ — è, 2. 1° I valori di «i, bi elevati al quadrato ci por- gono le formolo b^^ = {m — nYj^ dalla sottrazione delle quali deduciamo un risulta- to della forma Le nuove quantità «3, bz sono evidentemente 2A — (m -H n) a, = A mn 4- A(A — (w H- ») ) ^^— ' A^ sostituendo in queste ultime i valori di A, m, n ri' caviamo con facilita 2b^c^ — (a^c'' 4- a=*Z>») ^"^ — «* . e* — a* «2= ^ ^ == «4- Z>^c=» b"" c^ _ a\b^c''-hb''c''(b^c'' — (a'c^-Ha^è^)) b^-^a^ e 02=^ e ponendo in fine b sarà b^ — a^ c^ — a^ ^fGl :;, S CI E N Z E per cui essendo oixnn'i i'.' Il = j/^l — (oc2 -+- 132)^2 -h «^^jS^j-'t e l'equazionó differenziale si trasforma in, j ._ ^S ^S _ Anbc '"^ ^ ' ■ Tale è l'equazione differenziale, che integrata ci fa conoscere il valore della superficie S, non do- vendoci dimenticare che l'integrale di questa equa- zione deve verificarsi perp^ == o (n.° 6) 8=0,— = Unbc dy e porre in fine^ = 1. 8.° Quest'equazione ultima a coefficienti varia- \ bili rendesi integrabile col moltiplicare — ^ dalla quale SI ricava y dy^ j^ dy'~ j^^ e moltiplicando per dj^ ed osservando che 1 ^S_ ^n d'S "^ -.\ j dr~ J \} 'dj ~' J^ J si ottiene un primo integrale i dS i- ^ ^ J dj ■/ JK^R Quadratura dell'ellissoide 17 Essendo C l'arbitrarla costante. Ora dal (n.° 6) ab- biamo che nella formola dS ^Tz non si contiene il termine j- alla prima potenza , per cui G = o, ed avremo soltanto --,=;.—. /tnbcr f -^. Per trasformare l'integrale del secondo membro è utile seguire le orme di Legendre, con avvertire che R jdK—'^dj ove sostituendoci ^fì= C2«^/3'7^ -- («^ -H fi^)j-]djr ^ R si ha , R dj jK^a'jS^^flJr « . — < = — -4- e per conseguenza f^ =_S +«,^. tó ed II rapporto -7 diviene -- =hnhcR—l\^bc(x}^y f^2È^ , Moltiplicando per dj ed integrando, sark G. A. T. LXXVIII. 2 18 Scienze S = nbc f 4 fRdj — 2«^/3- f^jdjf^ \ Applicandovi il principio dell'integrazione per par- ti, sarà ancora per cui e siccome K R perciò dedurremo Inoltre J R 3a^/3^ Sa^»^* ./ R 3«^/3 J R quindi sostituito dopo facile riduzione verrà sem- plicemente S^2nhc {^ + f^J^u^^y.fll^\ 9.° or integrali indicati nel secondo membro di questa ultima equazione facilmente si riducono a funzioni ellittiche di prima, e seconda specie; men^ tre ponendo Quadratura dell'ellissoide 19 dalla quale cos

ens ponatur^ et inibì se moveat, interno quo- dam et arcano mota ita cieri ut vivere videan' tur. Popò le sperienze del Galvani, ciò non ci ap- pare punto inverisimile, ne tale ora sembrerebbe al Reaumur (2). Relazioni piìi circostanziate , in quanto alla descrizione del pesce , si ebbero del ginnoto, di cui scrissero Richer, il p. Guniilla e La Condamine, Musschenbroeck fu il primo che paragonò la scossa della boccia di Leida a quella della torpe- dine. Il medesimo, Gravesande e Allamand , pub- blicando l'importante osservazione che la scossa del ginnoto si propaga assai bene pe'metalli o per al- tri corpi conduttori dell'elettrico, e non già per la cera di Spagna, resero almeno probabilissima la na- tura elettrica di essa. Buone osservazioni sui pesci elettrici fecero pure Adanson già mentovato ( nel 1751 ), Gronovio, Vander-Lott, Bancroft e Fermin. Il dott. Schilling alle buone relazioni, che dava del ginnoto, aggiunse il racconto d'altre sperienze, che furono giudicate aflfatto inverisimili: ora peral- tro vediamo che non tutte lo sono. Allorché io mi recai a Fiumicino, per fare qualche sperienza sulle torpedini , recai meco delle forti calamite , con (i) L'opera del Godigno (Z>e ahassinoruvi rebus etc. P. Nic. Godigno Soc lesu auct. ) fu stampata nel i6i3. De'nostri pesci sì parla a pag. 67, 68. (■2) ]\è al Lorenziai. Y. le sue Osservazioni intorno alle tor* pedini, pag. io5. 30 Scienze qualche speranza di vedere il pesce attratto da queste, allorché dava la scossa e faceva parte di un circuito elettrico , com'è attratto e respinto dalla calamita un leggiero elettromotore voltiano. Cosi si sarebbe verificato uno de'paradossi del dott. Schil- ling. Ma la debolezza de'due soli pesci che potei sperimentare , e i pochi comodi che io aveva sul- la spiaggia, fecero che non tentassi Tesperimento. Viene l'A. all'ultima delle epoche, di cui s'è proposto trattare, e che comincia dalle prime spe- rienze di Walsh nel 1772. Queste finirono di mo- strare la natura elettrica della scossa della torpe- dine, e da esse dedusse Walsh, che il dorso e il petto di essa, e precisamente le superficie superio- re e inferiore degli organi elettrici, sono , allorché essa si scarica , elettrizzale contrariamente , come le due facce del quadro magico. Ne ciò asserì sen- za provarlo, come ha detto il sig. Becquerel, ma Io provò con mezzi non punto dispregevoli, come- chè ora la cosa possa dimostrarsi con evidenza mag- giore. Solo non mi pare che sia al tutto vero ciò che egli aggiunge, che una persona isolata non può ricevere scossa finché tocca gli organi unicamen- te di sotto o unicamente di sopra: e che quando ha la scossa, ha toccato, oltre l'organo, qualche porzion- cella contigua comunicante coU'organo opposto. La- sciando ciò che hanno osservalo alcuni illustri mo- derni, e in particolare il sig. Colladon, anch'io ho veduto declinare l'ago del moltiplicatore , mentre amendue i capi del filo metallico toccavano la su- perior superficie dell'organo elettrico. Walsh dice che il muco, il quale spalma il corpo della torpe- dine, sembra di natura isolante o almeno dimostrasi tale a misura che si secca; ma qui s'inganna a suo Pesci elettrici 31 danno, come dice il nostro A., a danno dell'inge- gnosa spiegazione da lui ideata (1). Dalle sue mol- te e ben condotte sperienze dedusse Walsh, che V elettricità della torpedine viene condensata nelV istante della sua esplosione^ per uno sforzo spon^ taneo delf animale , che gli organi di questo si caricano d'elettricità e se ne scaricano in un istan- te: cosa verissima, dalla quale ottimamente deduce: siccome questa elettricità non è accumulata succes- sivamente e non è trattenuta, come nel caso del quadro o della boccia di Leida, così non è per ni un conto straordinario, cK io non abbia potuto ravvi- sare alcun movimento d* attrazione e di repulsione (i) Aggiunge l'A. cìie questo muco è miglior conduttore deW acqua, come venne provato in seguilo, particolarmente dal yol— ta. Il Volta in qualche luogo parla di qualche muco animale co- me dì corpo deferente, e trovava più deferenti dell'acqua tutte le sostanze animali che sperimentò, salvo i grassi: ma il rauco del- le torpedini non credo che sia stato mai da esso esplorato. Dal- la sua lettera Sopra l'esperienze da intraprendersi sulle torpedini ( i5 luglio i8i5 ), eh' è uno degli ultimi suoi scritti, si rileva, se mal non avviso, ch'egli non aveva mai esaminato, ne per avven- tura veduto, torpedini vive o fresche. Gio: Davy, in seguito di una sua esperienza, giudicò il muco delle torpedini più deferente dell'acqua del mare. Una mia sperienza può sembrare a prima vista favorire l'opinione di Walsh. Avendo veduto che la cor- rente della pila non produceva alcuna contrazione nella torpe- dine, né questa dava il minimo segno di molesta sensazione, se essa corrente passava per gli organi elettrici, benché vestili della loro pelle, volli esplorare la parte posta fra i detti organi. An- clie questa pareva insensibile; ma tolta via almeno parte di quel muco che impiastra la superficie della pelle , a ogni contatto de'roofori della pila, osservavasì una contrazione, benché il pes- ce non desse certo segno di soffrirne. Io pensai che quella mu- cosità conducesse l'elettrico o gran parte d'esso per lasuperficiej e però nulla e poco uè penetrasse ai muscoli. 32 Sciènze nelle palle di midolla di sambuco. Walsh non vi- de che la torpedine fulmini a distanza i pescioli- ni o almeno gli istupidisca (1), come sulla fede di alcuni moderni (e. g. di Pouillet e di Becquerel) io aveva creduto: ma però scrisse essere cosa indubitata ch'esse ciò fanno, allorché sono in perfetta liberta. Dopo un'estesa notizia di queste indagini di Walsh, ne dà l'A. un estratto delle belle sperienze fatte quasi contemporaneamente da Bojon sul ginnoto , accenna quelle d'Ingenhousz sulle torpedini, e de- scrive quelle di Garden e Williamson sui ginnoti. Nel 1776 Gavendish pubblicò \\ Ragguaglio di alcuni tentativi per imitare gli effetti della tor- pedine colf elettricità. Ivi fa vedere che una elettri- cità copiosa, ma di debol tensione , come in una boccia di grandissima armatura , può imitare la torpedine, dando scosse abbastanza forti , benché non si veggano attrazioni e repulsioni, e la commo- zione sia impedita da'conduttori imperfetti o da pic- cole interruzioni negli ottimi, e non si vegga scin- tilla. Altri in Italia speravano di vedere ancor que- sta, e in particolare il P. Beccaria immaginò e fe'co- struire un inaesfnoso strumento da lui detto Occhia- le elettrico per ispiare la luce nella scossa della torpedine. In vero agli italiani era serbato il ve- dere la scintilla della torpedine; ma il tempo non era ancora venuto. Frattanto Walsh l'a, 1776 la vide ne'ginnoti,o anguille elettriche, come pur le chiama- vano. Egli annunziò a Le Roy con sommo piacere^ che questi pesci gli avevano dato una scintilla elet" (i) Vide di poi ciò farsi dal ginnoto, e con lui ciò vidc U Poli, del quale or ora avremo a parlare. Pesci elettrici 33 trica., discernibile nel suo passaggio attraverso una piccola separazione praticata in una striscia di sta- gnola incollata sul vetro. Questi pesci ^ aggiunge, erano nelVaria- nell'acqua V esperienza non è rie- scita (ì). Le Roy ricevette altre relazioni da Prin- gle e da Magellan, che confermavano il fatto veduto 10 o 12 volte da quaranta e più membri della socie- tà R. Tutto ciò fu pubblicato nel giornale di Rozier. Magellan descrisse ancora il modo con cui il gin- noto uccide o stordisce i pesci. Mi sia qui lecito osservare esser cosa mirabile che un dotto inglese, il cel. Faraday, l'anno 1833 non fosse ancora persuaso che la scintilla siasi ottenuta da'pesci elettrici ( Phil. Trans. 1833, P. Ip.4T): e pure egli confessa che Le- sile narra, tali scintille essersi vedute a Londra in una camera oscura, benché non dica di averle esso vedute, e che secondo Humboldt dallo svedese Fahl- berg fu veduta ( dopo Walsh ) la scintilla del gin- noto. Egli credeva che Walsh nc'suoi scritti mai non avesse parlato di questa scintilla. Abbiamo veduto che ciò è falso. Allorché io vidi quello scritto di Faraday, non aveva notizia della lettera citata di Walsh a Le Roy, ma opposi la testimonianza dell'ita- (i) Sarebbe forse riuscito d'aver la scintilla nell'acqua men- tre l'animale era fuori dell'acqua, ponendo un de' due fili con- duttori nel mercurio chiuso in un tubetto , facendo pescare in poca acqua sovrapposta al raercurio un capo dell'altro filo, e al- ternamente tuffandolo nel mercurio e innalzandolo da esso. Co- si ho ottenuto molte scintille da pile di assai mediocre forza, e dalla macchina magnetelettrica di Newmann, o di Saxton che debba dirsi, e non dubito che possano ottenersi da altre analo- ghe, come da qnella del eh. signor prof. Gherardi o dall« cala- mite coniugate del Nobili. G.A.T.L^^^ vi^T 3 34 Scienze liano Giuseppe Saverio Poli, il quale trovandosi a Londra fu ammesso da WalsK a osservare i feno- meni del glnnoto, e protesta di narrar ciò di che fu testimonio oculato. Ecco le sue parole : « Se la a scossa faceasi trapassare lungo un conduttore me- tt tallico, in cui era una p.icciolissima interruzione, « vedeasi lanciare in queiratto una viva scintilla « di fuoco dall'uno all'altro capo del divisato inter-^ « rompimento » ( Elementi di fisica t. IV, lez. XXVI, art.6 n.1439). Aggiunge il Poli una curiosis- sima osservazione, degna d'esser qui riferita, per- chè meritevole d'essere, da chi ne abbia il comodo, ripetuta ed esaminata:» 11 piìi mirabile di cosiffatto « animale si era, che qualora la catena era interrotta a a segno, che la scossa norj si potea trasmettere af- a fatto, non si accostava egli giammai ai due capi di « quella per poterla produrre. Tentai replicate \q\- « te di porre al cimento codesta maravigliosa pro- « prietk, parendomi ella del tutto favolosa ed incre- « dibile. Mi convinsi col fatto della verità della cosa, a cui ritrovai costantissima. Avendo tuffato, per ca- « gion d'esempio, i due capi di due verghe metalli- ose. Il Lorenzini chiamava que'tubclti vesciche piene di acqua, ne à me pare che dicesse assai m de. A Gio. Davy gli or- gani elettrici d'una torpedine, portata a Roma, par- vero contenere centesimi 92, 72 d'acqua, e secondo le sperienze del eh. sig. Matt. (Z^e Vitidu- ction d'un courant sur lid-métne. Ann. de chim. et de phys. septembre 1837 p. 5, v. §. LXVII, LXVIII). G. B. P. Ricerche sul termo-elettricismo dinamico ^ e luci- magnetico ed elettrico., di Francesco Zante de- schi pubblico professore di fisica e m,atematica applicata nelfimp. e regio liceo di s. Caterina in Venezia. F a molto onore al nome italiano l'opuscolo, che qui annunziamo, pubblicato in Milano nel decoi'so anno 1838 pei torchi del Pirotta e G. dal eh. sig. professore Zantedeschi personaggio già cognito ai coltivatori della scienza per altre sue opere e sco- perte. E desso principalmente diretto a far conosce- re i pili pregiati lavori, che vanta sino a questo giorno la nostra Italia su questo ramo importante delle fisiche discipline, e vien diviso in cinque se- zioni: nella prima si tratta delle correnti termo-elet- triche, nella seconda delle correnti indotte dal ter- mo-elettricismo, nella terza del termo-elettricismo delle calamite, nella quarta del luci-magnetico, nel- la quinta del luci-elettrico. Fu infatti il primo il celebratissimo professore di Pavia cavaliere Ales- 42 Scienze ^andro Volta a discoprire, die per mezzo del calore e delle variazioni di temperatura potevano susci- tarsi e porre in circolazione le correnti elettriche nei conduttori metallici capaci a scuotere gli orga- ni irritabilissimi delle rane. Fu questa scoperta am- pliata e resa piìi evidente da Seebek nei circuiti formati da sbarre di due metalli dissimili alterna- tivamente disposte, ove per mezzo d'innalzamento di temperatura si produce circolazione di correnti elettriche atte non solo a convellere gli organi del- le rane, ma a deviare eziandio gli aghi da bussola dalla direzione del meridiano magnetico, senza Tin- terposizione di conduttori liquidi. Questi nuovi fat- ti riceverono luminosa conferma dalle spericnze istituite in Monaco dal professore Yelin, in Fran- cia da Becquerel e Fourier, da Gumming e Marcsli in Inghilterra, in Italia dal cav. Nobili, Botto, An- tinori, Linari e Matteucci. Si riconobbe poscia che in questi fenomeni la corrente elettrica si dirige dalla parte calda alla fredda dei circuiti metallici, come venne sperimentato dal profess. P. Pianciani qui in Roma, e come risultò dalle osservazioni fatte in Milano dal profess. Zantedeschi con un suo ter- moscopio sensibilissimo, da cui ottenne corrente elet- trica diretta dalla parte calda alla fredda, facendo subire alla estremità dei fili del galvanometro una qualche ossidazione, o ricuoprendoli di fuligine. Se però alle estremità dei fili congiuntivi non si faccia subire alcuna modificazione, la corrente muove in senso contrario, cioè dalla parte fredda alla calda. Con questo stesso strumento fece diversi saggi il lo- dato autore, adattando alle due estremità del suo moltiplicatore lamine metalliche di diversa natura, da cui trasse argomento di stabilire, che le cause Termo elettricismo A3 clie Influiscono ad invertere nei suddetti apparecchi la direzione delle correnti termo-elettriche ripeter si debbono 1.° dalla chimica azione, 2." dalla con- ducibilità, pel calorico, che hanno le due estremità metalliche: 3.° dalla massa del filo: 4." dalla sua tessitura. Quanto ai mez/j atti a rinvigorire le corren- ti termo-elettriche, era già stato osservato da See- beck che lo sviluppo elettrico ha luogo principal- mente nei punti di contatto dei due metalli a tem- peratura diversa, e che tanto è più forte quanto il contatto è piìi perfetto e maggiore la temperatura, dentro però certi limiti, e salve alcune eccezioni. Dagli esperimenti di Pouillet, presentati nel 1831 all'accademia delle scienze, venne poi confermato , che la intensità delle suddette correnti termo-elet- triche prodotte da un solo elemento , è in ragione inversa della lunghezza del circuito , e in ragione diretta della sezione e della conducibilità del filo o della verga metallica che chiude il circuito. Il po- tere elettrico dei diversi metalli fu messo a prova da Becquerel ( Traité de l'eletricité toni. I, pag. 241) presso i suoi interessanti sperimenti, e si riconobbe nell'antimonio e nel bismuto superiore a quello di tutti gli altri metalli sottomessi finora all'esperienza. Per mezzo delle correnti termo-elettriche sono giunti i fisici ad ottenere gli stessi effetti avuti dalle correnti voltiane. Botto, professore di fisica nella reale università di Torino, produsse con questo mezzo fenomeni chimici, come è quello della decom- posizione dell'acfjua: il cavalier Antinori in Firenze, ed il P.Linari delle scuole pie, professore nella uni- versità di Siena, confermarono i fenomeni chimici della decomposizione dell'acqua e del nitrato di ar- 44 Scienze gento; e ne ottennero di più la scintilla, la magne- tizzazione degli aghi di acciaio circondati da eliche metalliche, ed il palpito del mercurio. Questi effèt- ti possono facilmente conseguirsi mercè delTappa- recchio ideato dal professore Zantedcschi, formato da archetti di bismuto e di antimonio che peschino in recipienti ripieni di mercurio alternativamente riscaldati, che a somiglianza della pila idro-metal- lica del Volta denominò pila termo-elettrica a bic- chieri o a corona. Sono parimenti degni di rimarco le osservazio- ni istituite dal suUodato fisico sulle correnti termo- elettriche circolanti nelle masse dei cristalli metal- lici ; di cui egli arguì l'esistenza, e ne riconobbe la direzione mediante le correnti indotte in spirali di filo metallico ricoperto di seta, con cui avvolgeva i diversi pezzi metallici cristallizzati in diverse dire- zioni. Così ottenne, con spirali formate da otto o sei avvolgimenti del filo metallico intorno le sostanze cristallizzate, delle notabili deviazioni di ottanta e pili gradi nel suo moltiplicatore, che si manifesta- vano tostochè si produceva nel minerale sottoposto all'esperienza una variazione di temperatura, im- mergendone una porzione in un bagno caldo o di acqua o di mercurio. Erano dette correnti ora volte in un senso, ed ora in un altro, secondo le diverse superficie che immergeva nel bagno caldo, e la di- versa disposizione dei cristalli metallici. Or sicco- me potrebbero forse riguardarsi i descritti fenome- ni come un efifetto semplicemente termo elettrico ri- svegliato da ineguaglianza di temperatura nelle di- verse parti del filo, e non da correnti indotte, l'au- tore verificò col fatto, che tolte le spirali dal con- tatto dei cristalli, e riscaldate ora totalmente ed ora Termo elettricismo 45 parzialmente, non ebbero mai virtù di deviare l'ago dalla sua posizione come avveniva nel primo speri- mento. Variando l'autore su questo soggetto i suoi e- sperimenti, riconobbe avere la cristallizzazione gran- de influenza nel determinare il senso della corren- te termo-elettrica, ch'egli chiamò polarizzazione per quell'analogia che ha questo fenomeno con quelli della polarizzazione della luce e del calorico. Passa quindi l'autore a considerare le alterazio- ni che la virtù magnetica subisce per l'azione del calore ; e condotto dai propri suoi esperimenti, sta- bilisce e conferma le seguenti leggi : cioè : che il calorico infievolisce il vigore delle calamite t che l'indebolimento del vigore magnetico non segue la ragione dell'aumento di temperatura : che rido- nata la temperatura iniziale, la forza magnetica non ritorna precisamente al vigor primitivo : che le ca- lamite non riprendono porzione di loro energia al- l'abbassarsi della temperatura, seguendo una ragio- ne precisamente inversa a quella del decremento per l'aumento di temperatura: che la perdita che fa una calamita sottoposta all'azione del calorico , infine più non aumenta entro i limiti della tempe- ratura usata: che la influenza del calorico nel di- minuire la virtù magnetica di un polo, dopo alcuni istanti si manifesta nel polo opposto, ma però con un grado minore : che la diminuzione della virtù magnetica, prodotta in un polo di una calamita dal- l'azione del calorico, si estende al polo opposto, in grado però minore indipendentemente dall'influen- za calorifica. Dopo la esposizione degli enunciati fatti tratta l'autore, nella sezione quarta del suo opuscolo, delle 46 Scienze recenti scoperte sul magnetismo e sulla elettricità dei raggi solari, che distingue colla denominazione di luci-elettrico, e luci-magnetico; e qui tributa i ben meritati elogi al valente professore di chimica della università romana doti: Domenico Morichini di chiara memoria, che fu il primo a discoprire nei raggi pili refrangibili dello spettro solare la effica- cia di rendere magnetici gli aghi di acciaio esposti alla loro influenza. La sua scoperta fu sostenuta e convalidata dalle sperienze dei suoi colleghi profes- sori nella stessa università dott. Pietro Carpi e Sa- verio Barlocci. Il primo,in assenza del Morichini, ri- petè in Roma resperimenlo in presenza di molti ra- guardevoli personaggi , come anche del chimico Onofrio Davy e del prof. Plaifair; il secondo imma- ginò il metodo di facilitare la magnetizzazione degli aghi stessi, facendo scorrere sulla loro lunghezza il fuoco dei detti raggi violacei condensati da una len- te convessa. Il prof. Francesco Zan tedeschi contribuì coi variati suoi sperimenti a stabilire ed accredita- re tjuesta scoperta, che quantunque verificata e ri- petuta dal marchese Ridolfi in Firenze, dalla signo- ra Sommerville a Londra nel 1825, dal profes. Ve- lia di Monaco, dal profes. Baugmartner di Vienna, e profess. Cassola di Napoli, non che da molti altri, non ebbe lo stesso esito presso alcuni fisici tanto italiani quanto esteri. Ma può verisimilmente ciò at- tribuirsi , al non avere essi tenuto conto e valutato a dovere tutte quelle cagioni, che possono molto influire sulla non riuscita di tali esperimenti, co- me molto acconciamente rilevò ed avverti il lodato professor Zantedeschi in una sua dotta memoria in- serita nel Poligrafo di Verona, nel maggio del 1831, Ma oltre all'essere il sole la fonte del magneti- Termo elettricismo 47 smo, vi sono ancora ben fondate ragioni di crede- re, che sia la sorgente perenne della elettricità ter- restre ed atmosferica. Gik ne aveva il professor Mo- richini qualche sospetto, quando il profess. Barloc- ci nel settembre dei 1830 presentò all'accademia ro- mana dei Lincei una sua memoria, ove espose alcu- ne sue congetture sulla origine della elettricità atmosferica. Dopo vari tentativi si valse egli a que- ste indagini del più perfetto elettroscopio che pos- sa somministrarci la natura, cioè degli organi irri- tabilissimi delle rane sensibili allo stimolo delle pili deboli correnti elettriche- Preparata perciò nel mo- do ordinario una rana, e posti a nudo i nervi cru- rali attaccati al tronco della spinale midolla, so- spendeva la rana pel tronco ad una piccola lamina di ottone, che a foggia di cerniera scorreva sopra una colonnetta verticale di vetro, e poteva avvici- narsi o discostarsi ad altra cerniera inferiore pari- menti di ottone, sulla quale toccavano le gambe del- l'animale. Dcicomposta la luce per mezzo di un pri- sma, si trasportava l'apparecchio a conveniente di- stanza, onde la luce violetta irradiasse la cerniera superiore, e la rossa la inferiore. Cos'i disposta l'e- sperienza, si avevano segni non equivoci di contra- zione nella rana tutte le volte che per mezzo di un arco metallico di ottone si apriva comunicazione fra le due cerniere superiore ed inferiore.Gli scuotimen- ti della rana erano piìi o meno vigorosi, secondo lo stato più o meno robusto dell'individuo che si sot- toponeva al cimento, secondo la maggiore o minore rifulgenza della luce, e secondo la minore o mag- giore umidita dell'aria atmosferica, che molto in- fluisce suir esito dell'esperienza. E siccome queste contrazioni non si osservano quando l'apparecchio 48 Scienze si trasporta fuori della irradicazione , ed in luogo ombroso; e neppur quando si riscalda per mezzo della fiamma uno dei due dischi, o qualche porzio- ne dell'arco di comunicazione fra i nervi ed i mu- scoli della rana ( ciò che potrebbe attribuirsi ad un efifetto termo-elettrico ); vi è tutto il fondamento di credere che il potere elettrico , che in questi casi convelle ed agita gli organi di questi animali, ri- siede nella luce del sole. Queste sperienze furono ripetute e diligente- mente verificate dall'illustre professore Zantedeschi in Verona, unitamente al sig. Mayer, li 23 agosto 1831 , e se ne ottennero i medesimi risultamenti. E siccome erano stati promossi contro le citate spe- rienze del profess. Barlocci alcuni dubbi per par- te dell'insigne fisico francese Becquerel, che attri- buiva piuttosto le ottenute contrazioni ad una chi- mica azione prodotta dalle impurità di cui si rico- prono le superficie dei metalli ; oppure , come si avvisava negli annali delle scienze del regno Lom- bardo-Veneto, potevano detti fenomeni riferirsi ad un'azione termo-elettrica; lo stesso profess. Zante- deschi potè far conoscere con valide prove e coi pro- pri suoi esperimenti l'insussistenza di tali conget- ture, avvalorando cosi la ipotesi che sia il sole la sorgente immediata della terrestre ed atmosferica elettricità. Saverio Barlocci 49 I LETTERATURA Su vocabolari di patrio dialetto colle corrispon- denze delle voci italiane. Xn un secolo, ove si studia di affinare per ogni gui- sa (almeno dicesi) la civiltà de' popoli, certo non doveva essere ultima cura quella d'inspirare il più ardente amore verso la propria patria. Che se essa fu appellata, e Len a ragione, madre comune a lut- ti coloro che vi ebbero vita, sarebbe per vero un mancare alla filiale carità il non amarla , che è quanto dire il non promuovere il maggior bene de* concittadini, e specialmente la loro istruzione, che infra tutti n' è il primo. E diciamo il principale: perchè riputandosi sopra ogni altra cosa la gloria del paese ove si nacque, niente avvi che piìi ren- da lodata una terra, una città, che quegli uomini addottrinati che vi trassero i natali. Certaldo, Ca- dore, Possagno, sarebbero luoghi quasi ignoti an- che all'Italia che li racchiude , se non avessero da- to Boccaccio, Tiziano, Canova. Pel divulgato loro sa- pere quegli ermi villaggi divennero chiari, e ri- nomati quanto le popolose citth, e videro correre da' pili estranci lidi principi ed ogni maniera di G.A.T.LXXV1II. // 50 liETTKRATURA uomini ricchi e sapienti per ammirare que'tuguri ove questi sommi uscirono al mondo. Perlocchè chi vieppiù gioverà l'ammaestramento del popolo, que- gli si avrà pel più benemerito cittadino, come pro- movitore del suo maggior prò. La munificenza e la liberalità de' governanti cerca al presente di addimesticare anche i più roz- zi alle lettere, aprendo scuole fornite di sufficien- ti maestri dal comune provvisionati, affinchè i po- veri fanciulli senza il più minimo dispendio pos- sano giugnere a rilevare le parole da' caratteri scrit- ti, e così mano mano ordinare i loro pensamenti per manifestarli ad altri. Ma a questi giovinetti per le dimestiche strettezze non è dato il più delle vol- te di proseguire gl'impresi studi: si che appena so- no in quelli iniziati, i padri ad essi interrompono il corso e li richiamano alle proprie case. Qual uti- le da ciò? Poco o ninno: perchè quantunque ab- biano alquanto arricchita la mente di alcune cogni- zioni, e rimangano loro fra mano libri per vie me- glio istruirsi, costumando del continuo con uomi- ni parlanti i più sformati dialetti , non arrivano mai ad apprendere di bene esprimere i loro con- cetti, per non sapere come tramutare quel muni- cipale linguaggio nella favella nazionale. Ne loro possono arrecare sussidio i dizionari della lingua italiana, i quali giovano assai a comprendere il ve- ro senso di una parola, la cui significanza ti sia dub- bia od ignota, o ad accertarti, se gli scrittori del buon secolo la usassero; ma non mai ad iscambia- re una voce corrotta in altra di buon conio , ed intesa da tutti i tuoi connazionali. Questo impor- tantissimo vantaggio adunque di mettere alcuno di j per se, e quasi si direbbe senza uopo di maestro, Vocabolario bolognese 51 in grado di Lene esprimere i suoi pensieri , non può trarsi che da un libro , il quale ti tolga di bocca quelle voci, che balbettante apprendesti dal- la nutrice, e le traslati in altre precisamente ila- liane. Eppure nel mentre che il secolo cotanto si travaglia, per progresso di civiltà, a celebrare di- pinture fin qui mal note , a dar fama ad antichi monumenti, o a mettere in aperto l'astruso detta- to di una iscrizione latina od etrusca, niuno si ac- cingeva ad un'opera di si gran momento, quale si è quella di porre gli uomini del volgo in punto di far comprendere i loro pensieri a chiunque non sia nato nella loro stessa terra; e ciò che anche più importa, a segnare in carta questi concetti, affine di comunicarli per via di scrittura ai lontani. Dal che quale reale vantaggio ne conseguiti al popolo, e come lo sospinga a vera civiltà, ognuno di per se il ravvisa. Siffatto pensiero da lunga pezza il sig. dott. Claudio Ermanno Ferrari di Bologna ravvolgeva in mente, convinto che un vocabolario della lingua bolognese colla corrispondenza delle voci italiane grandemente avesse a giovare l'ammaestramento del volgo. Ed a tanto convincimento ei giunse, che sen- za altra intromessa vi pose mano: ed il suo lavoro fu sopramodo gradilo agli uomini dotti, andando eglino persuasi, che un tal libro fosse essenziale al- la istruzione del popolo, non meno che di grande aiuto ad ogni guisa di filologi e di scienziati. Im- perocché, diciamolo con buona coscienza, quale ev- vi si versato nella lingua volgare, o italiana, che abbia intera contezza del nome proprio di ogni piìi minuto utensile che si adopera negli usi domestici, 52 Letteratura di ogni animale terrestre, palustre/ volatile, delle erbe anche le più comuni del giardino o del cam- po? Occorre di sovente, e nell'istante che nelle mag- giori angustie di tempo sei tutto rinteso a scrive- re una lettera, un memoriale, una allegazione, di avere ad esprimere cosa di servigio famigliare: qua- le inciampo non ti arreca il disconoscerne il no- me con cui italianamente si appella? È mestieri ri- correre in quel frangente ad una perifrasi, o ad un tortuoso giro di parole: il che ti appalesa ignaro, o povero della stessa tua lingua, e forse ti pone in rischio di non bene significare il tuo pensiero. Per esempio, non tutti i dotti avranno pronto alla me- moria che quell'arnese, composto di alcuni legnetti incurvati a maniera di porvi sopra i panni a scalda- re, appellasi trabiccolo: non tutti, che quel drappo serico, che veste il sacerdote per compartire al po- polo la benedizione, dicesi umerale', non tutti, che le ova delle mosche deposte sulle carni fresche di- consi cacchioiù'.pev l'opposto i vermicciuoli,che s'in- generano nelle carni secche, nomansi marmegge, e così via via discorrendo. Questo libro pertanto, che traduce in pretta lingua italiana ogni parola de' più corrotti dialetti municipali, e che cotanto tor- na utile ad ogni persona, venne con molto studio composto e dato in luce nell'anno 1819 dal commen- dato sig. dott. Ferrari. Il quale sebbene non n'aves- se attestazione di pubblica lode, tuttavolta si senti confortato in vedere il suo vocabolario bolognese italiano fra mano di molti giovanetti, ed usarlo con grande loro utilità. Ma il sig. dottor Ferrari, tornando su quel suo lavoro, si accorse che poteva anche migliorarlo per guisa, non solo da essere di maggior giovamento a' Vocabolario bolognese 53 suol concittadini, ma da servire di esempio, e di ec- citamento a molti altri per muoverli a fare altret- tanto ne'loro propri paesi. Onde egli ideò di pro- durlo nuovamente , dandolo al pubblico vieppiù l'ingrossato di voci t e queste esposte, siccome Io stesso autore si esprime, con miglior collocamento. Per la qual cosa avvisiamo non fuori di luogo il far cenno di quest'opera del sig. dott. Ferrari per invogliare altri a tener dietro alle sue poste, ed in tal guisa procacciare a'propri concittadini un mez- zo di ammaestramento nella parte sua piìi essen- ziale, che è quella di mettere in grado anche le persone del piìi minuto popolo di bene esaminare i loro concetti: il che ninno niegherà tornar al massimo suo incivilimento. Fatto pensiero dal lodato sig. Ferrari di nuo- vamente pubblicare il suo vocabolario bolognese- italiano, egli in effetto lo riprodusse in bella edi- zione dataci fino nell'anno 1835 per diligenza dei tipografi della Volpe al Sassi di Bologna. L'autore con ben acconcia prefazione addimostra il motivo di quella ristampa , ed i mutamenti che un piìi accurato studio del dialetto bolognese lo ha mosso ad introdurvi. Avendo pertanto considerato che l'or- tografia di una lingua debbesi trarre vicino il piìi possibile al delicato chiaro o aspirato suo accento, il sig. Ferrari ha premesso al suo vocabolario, qua- si direi, un trattatello sulla pronunciazione delle vo- ci bolognesi, parlando distintamente del vario mo- do di profferire le vocali, secondo le varie signifi- canze delle parole, indi della guisa in cui vengono adoperate le consonanti. Appresso l'autore discorre delle lettere eufoniche, tolto questo epiteto, credo io, da eufonia termine de'rettorici e de'grammati- 54 Lettkratura ci» acconcio ad indicare il modo della pronunzia di una voce di un sol suono. Riandate quindi in bre- ve le diverse maniere di adoperare le lettere voca- li e consonanti sì in profferire le parole e sì in iscri- verle, l'autore pone alcuni brani di componimenti in dialetto bolognese, tratti da vari autori, per mo- strare la differenza fra l'ortografia fin allora ado- perata, e quella prescelta da lui medesimo, affinchè ognuno giudicar possa se con sano criterio o no abbia tentata quella prova. Per mostrare poi il sig. Ferrari quanto sia stato anche ne'pessati tempi tenuto in conto da' bologne- si questo dialetto, e come si pieghi facilmente ad essere usato tanto in versi quanto in prosa, dispone il catalogo degli autori, che scrissero nel patrio idio- ma, cominciando da quell'Adriano Banchieri, che nato nell'anno 1567 diede in luce varie operette, la cui prima edizione apparve nel 1621 pel tipi del Cocchi, E questa serie di scrittori e condotta con molta accuratezza per fino a' dì nostri, non intra- lasciando di annotare neppure alcuni libricciuoli d'incerto autore, poco conosciuti anche dagli stessi bolognesi: la qual cosa, oltre che chiarisce il sig. Ferrari per attento e diiigentissimo , da conforto altresì a coloro , i quali teneri delle cose patrie amano di vedere assicurato a perenne memoria tut- toché riguarda il loro paese. Pare che il corrente secolo non voglia lasciare gran fama di se per la rettitudine ed imparzialità de'giudizi che si vanno profferendo. Questa mia as- serzione, presa alla lettera, potrebbe offender molti e farmi Jiandir la croce addosso. Dichiarerò me- glio e pili nettamente il senso delle mie parole. Io sono d'avviso, che a formare buoni giudizi sia es- Vocabolario bolognese 55 scnzlale d'avere piena contezza delle cose su cui si vuole sentenziare. Dal che ne viene che forse niu- no sarà in grado di risolvere sopra ogni materia che se gli presenti all'esame: perchè non è da am- mettersi esservi tale di sì sterminato sapere da po- terla discorrere dirittamente sopra ogni subìetto sia di scienze, sia di lettere e di arti. Sono parecchi an- ni da che si è introdotto il costume di far appren- dere a'gìovani, e perfino alle fanciulle, più lingue: di dar loro a leggere certi trattatelli di filosofia, che dicono alla sfuggita di ogni pili astruso pro- posito: d' istruirli nella storia, nella geografia, nel- la cronologìa, nel disegno, nella musica, compien- do il corso de* loro studi col por loro fra mano cer- te cos'i dette enciclopedie^ per renderli atti a di- scorrere di tutte cose. Di qui avviene che creden- do di poter arrischiare una parola sopra ogni ar- gomento, i giovani cominciano, e divenuti adul- ti proseguono a farne giudizio superficialmente : donde poi ne conseguitano spesse fiate le più tor- te sentenze contro il merito degli autori e le opere loro. E per essere degni di queste non sempre in- vidiate decisioni, occorre anche che il libro parli di sublimi materie, o che l'autore abbia nome ce- lebrato: disdegnando per lo piìi questi censori tut- to ciò che venga dettato da uomo che muova i pri- mi passi nella carriera delle scienze. Cosi è accaduto all'autore del vocabolario bo- lognese-italiano, di cui superiormente abbiamo par- lato. Dato a luce nell'anno 1819 questo suo libro, niuno che si sappia lo ha commendato, altaiche al- cun tempo occorse prima che una si utile opera venisse in cognizione per fino degli stessi bologne- si. Ma il sig. Ferrari, che guardava al vantaggio che 56 Letteratura ne poteva derivare specialmente a'siioi concittadini, più che alle ben meritate lodi, anzi che attristarsi di questo sprezzo, tornò sopra, come fu detto, a quel suo lavoro, e pensò di migliorarlo, arricchendolo di voci, e seminandovi per entro i principi! gram- maticali: sebbene egli protesti (quasi si direbbe per meglio attirarvi il leggitore) che per non allunga- re di soverchio il suo libro, si asterra dalTentrare a discorrere di proposito di queste regole. Chiun- que per altro prenda in mano la seconda edizione del vocabolario bolognese-italiano del sig. Ferrari si accorgerà, come l'autore a quando a quando pon- ga ottimi avvertimenti per indurre ad isfuggire que* madornali errori, o solecismi, in cui piìi di frequen- te il popolo incorre. Così egli adopera, insegnando di usare le pa- role che hanno molte e svariate significanze, chia- rendo il discorso col riportar esempi tolti o dai dizionari della crusca, o da scrittori avuti per au- torevoli in fatto di lingua. Il sig. Ferrari aggiugne anche l'intera coniu- gazione di qualche verbo per mostrare come vada messo in opera ne'suoi diversi tempi, affinchè il leg- gitore ne faccia distinzione in sua mente: il che gli basterà nel buon uso degli altri. Si è anche dato cura di unire nel suo vocabolario molta copia di sinonimi italiani, ammonendo secondo la circostan- za gli studiosi a non aver tali quelli che vengono bensì ricevuti da' poco esperti per voci di eguale si- gnificazione, ma che realmente ne hanno altra ben dissimile, come puoi vedere alle parole guscio, re- spirare e cent'altre. E perchè questo suo libro pos- sa quadrare altresì a quelle persone sopra modo gentili, le quali (altri giudicherà poi se bene o ma- Vocabolario bolognese 57 le) Intendendo dare a' giovanetti una più scelta edu- cazione, mettono per primo capo lo studio della lin- gua francese, il sig. Ferrari alle parole bolognesi vi ha unite le rispondenti voci francesi: nel che eseguire si è mostralo profondo conoscitore anche di quella favella. Pei quali pregi avvisiamo, che il vocabolario bolognese-italiano del sig. Ferrari riu- scirà sommamente utile, specialmente ai giovanetti parlanti il dialetto bolognese, perchè col sussidio di questo libro potranno, appena sapran leggere, voltare in italiano le parole del materno idioma. E dal far apprendere a' teneri garzoncelli cosi sollecitamente la lingua italiana se ne trarrà un al- tro utile pel maggior progresso delle scienze. Pare che di presente sia disparita dalla mente degli uo- mini quella (diciamo così) maltezza, per cui da mol- ti semidotti si predicava a gran voce essere infrut- tuosa, anzi perduta opera, lo studio di una lingua morta e disusala come la latina. Questo errore sem- bra ricorretto, e si è tornato (lasciamo la ricerca se si potesse fare o no con miglior metodo) ad av- viare gli scolari per la strada una volta praticata per istruirli in latinità. Ma siccome l'imparare una lingua non è appunto che il tradurre una lingua ignota in una nota ì siccome i lessici e le gramma- tiche per apprendere la lingua latina, sono forma- te con voci italiane, supponendosi che lo scolare sappia almeno la sua lingua nazionale : siccome oggi tornasi al costume di cominciare ad insegnare la lingua latina a' fanciulli in età di otto o dieci anni al piìi; cos'i metìendosi fra mano de'ragazzetli, appena sono a tanto di leggere a distesa le scrittu- re, questo vocabolario per render loro famigliare l'uso delle voci italiane, eglino ne trarranno il prò- 58 Letteratura fitto di apprendere più speditamente il latino, giac- che conosceranno hastevolmente il senso delle pa- role italiane, in cui hanno a tradurlo. Per tal guisa i figlioletti non avranno piìi ad imbozzacchire l'in- gegno per lunghi anni e senza alcun prò nelle scuo- le elementari, potendo usare di quel tempo per arredare la mente di altre utili coirnizioni. Questi vantaggi dehbonsi sperare dal vocabo- lario bolognese-italiano di seconda edizione, che il sig. doti. Claudio Ermanno Ferrari con tanto stu- dio ha pubblicato, E bisogna bene che molti altri dotti siano entrati in persuasione del gran giova- mento che questo libro arreca al popolo, e special- mente alla gioventìi ; perchè dopo l'esempio dato- ne dal prefato sig. dott. Ferrari, altri vocabolari di lingue provinciali colle corrispondenze delle parole italiane sono venuti in luce, ed un nuovo di già è stato teste annunziato della lingua romagnuo- la, alla cui formazione si è accinto l'egregio sig. An- tonio Morri di Faenza. Che se fin qui muta è ri- masa la voce de'prezzolati gazzettieri intralasciando di dar cenno di un'opera cotanto utile, abbia al- meno il sig. dott. Ferrari questo sincero testimonio di ossequio che un suo concittadino gli rende nel giornale arcadico per avere egli giovata l'istruzione della bolognese gioventìi, ed il progresso della ve- race civiltà. Angelo Astolfi 5d Prose e poesie di Luigi Ciampolini, seconda edizio- ne. Firenze per Guglielmo Piatti 1 838. T A-iulgi Ciampollni puhbllcava nel passato anno 1838 due piccoli volumi, uno di prose, l'altro di poesie; e questa era la seconda edizione delle opere sue. Il primo contiene, Un commentario intorno alle guerre dei sulliotti contro Ali bassa di Gianina; Una lezione sopra un luogo della divina Commedia, nel canto XIII del Purgatorio; Cenni sulla vita e sugli scritti di Francesco Benedetti; Della vita e delle poesie di Giovanni Fantoni; Articolo necro- logico sul professor Gaeteno Grassetti; Altro sopra Filippo Pananti; e finalmente un terzo sopra Fran- cesco Fontani. Le cose avvenute ai sullioti dal MDCCLXXXIX al MDCCCIV sono narrate dal Ciampolini in quel suo breve commentario. Chi stoltamente prendesse a giudicare le opere di alcuno scrittore dalla gran- dezza del volume, e non da quanto hanno in loro di buono , certo che non istimerebbe gran fatto questo scritto per la sua brevità. Ma il buon giudi- ce che mira non come sia grande, ma come buona l'opera che si fa a leggere, non potrà a meno di reputarlo degno di altissime lodi, onde il nome del- l'autore passerà ben chiaro anche nell' av\enire. Quanti storici, per opere non maggiori di questa, non sono anche dopo molti secoli in altissima ce- lebrità ? Fra i latini, per molti, valga un Sallustio: fra noi un Dino Compagni, un Camillo Porzio ed altri assai. Ne al Ciampolini credo si possa presa- 60 Letteratura gire minor fama di questi per tal commentarlo, nel quale trovi facilmente quanto in sì fatti libri >w si vuole : ordine di narrazione donde viene chia- rezza, brevi ma vivavi descrizioni, parco sentenzia- re, perchè ciò meglio allo storico che allo scrittore di commentari si addice; eleganza, facilita, vibra- tezza, armonìa di stile, lingua pura e lontana ad uti tempo da ogni affettazione. La descrizione del pae- se, del governarsi, del vestire, delle cerimonie sa- cre o civili, ed ogni altra costumanza del suUiotti, con che dà principio al suo narrare, è veramente ammirabile. E perchè non pretendo che al mio di- re si presti cieca credenza: che io piìi che ogni al- tro potrei andare errato in sì fatti giudizi: si ab- biano i miei leggitori un saggio del libro nel vivis- simo ritratto, che il Giampolini faceva di Ali di Tepeleni, e veggano se io mal mi apponeva in da- re al medesima quelle lodi i erno «. Qui parendo al Ciampolini poco sensata la comune spiegazione, ne dà altra col solo mutamento del merlo in mergo-, e ciò per l'esame da lui fatto di molti manoscritti dei primi del trecento, nei quali ha riscontrata soven- te la lettera g tratteggiata in modo da andare fa- 62 Letteratura cilmente confusa con la lettera /. Oltre a questa altre ragioni ne adduce. « Or posto (userò le paro- « le stesse di lui ) quello che io diceva per vero, « che mergo e non merlo abbiasi a leggere, riepi- « legherò ciò, che i fìlosofì intorno alla natura di « questo uccello ne insegnano. Nidifica il mergo « appresso laghi e scogli vicino al mare, e ad ogni « poco sole che splenda, e ad ogni lieve consolan- « te calma, sbuca dal suo ricovero, e tuffandosi e « ri tuffandosi svolazza, e del bel raggio e dell'aer « quelo e sereno dilettasi, tenendo fuori soltanto la « testa dall'acqua. Perciò fu creduto prognosticare e il buon tempo, come ne avverte Eliano lib. VII A cap. T, nel trattato della natura degli animali , « il quale pure concorda con Aristotile,seguito nel « volo di lor fantasia dai poeti Così, egli sog- « giunge poco dipoi, l'espressione di Dante per po- ti ca bonaccia con\'iene ottimamente al mergo che « abita molto in riva al mare, e in nessun modo al « merlo che si sta chiuso nelle selve o spazia per a le campagne «. Le quali ragioni a me sembrano abbastanza forti per ritenere questa migliore di ogni altra lezione intorno al detto verso. Alquanti elogi ed articoli necrologici, come è detto, chiudono questo primo volume di prose, le quali tutte si fanno ammirare non meno per belli concetti, che per la purità e chiarezza del dire. E perchè io non mi voglio taccia di adulatore, e per mostrare quanto ho detto fin qui in lode del Giam- polini averlo per amore del vero, io dirò ora fran- camente che non così, come le prose, mi sembrano degne di lode le sue poesie. Sono idili nei quali s'introducono pastori a parlare fra loro, a conten- dere sul cauto, a ragionare di amore. Da Teocrito Prose e Poesie del Ciampolini 63 infino a noi sono tante le poesie di questo genere, che il poterne scrivere di originali è oggimai fuori d'ogni speranza. Se a questo modo di poetare sem- plice, ingenuo, grazioso, che fu nel passato secolo richiamato in uso principalmente dall'Arcadia, de- ve Italia la ristaurazione delle lettere, troppo tra- viate dalla sfrenatezza del seicento, oggi quello stes- so modo è fatto vizio per il troppo abuso, e sì vuo- le giustamente poesia più maschia , più utile che non sono le contese di due pastori, le loro pene amorose , i costumi loro, non veri ma immaginati dalle fantasie degli stessi poeti. Dirò per altro che se in queste non ho veduta molto originalità, lo sti- le egualmente che nelle prose è bello, terso, ele- gante. Sappiamo come questo chiarissimo scrittore sì adoperi al presente intorno alla storia dei moderni greci: il che ove egli, come è Lene a credere, scri- va a quel modo che i commentari intorno ai sul- lìoti, crescerà ognor più in quell'altissima fama, in cui le sue prose lo hanno di già collocato. Possa egli condurla a termine: cosicché i moderni greci per questa istoria di Luigi Ciampolini debbano essere eternamente riconoscenti a lui ed all'Italia , come gli americani il sono per quella famosissima, che di loro scriveva un Carlo Botta. Oreste Raggi 64 Cenni intorno alcune opere biografìche. Articolo II. iyedi il tomo LXf^III, pag. 307.) XJo studio della biografia progredisce con mol- to ardore in Italia; e quasi non passa anno , che nuove imprese in questo genere non si veggano alla luce. Oltre che esso forma la più scelta e mi* glior parte dei materiali necessari alla storia let- teraria della nazione; oltreché è utilissimo per in- fondere nell'animo de'giovani l'amore alla virtù ed alio studio, l'abborrimento dell'ozio e delle colpe: anche è materiale non ultimo per la storia civile ; perchè, conveniamo che nelle biografie gli avveni- menti si hanno senza quella connessione, che alla storia è tanto necessaria; ma si deve anche conve- nire che spesso dalla biografia deriva la certezza delle date, de'siti ne'quali gli avvenimenti accaddero; e che da essa sì conoscono alcune particolari circo- stanze, per le quali s'intende il perchè un indi- viduo fu spinto ad agire cosi , e non altrimenti. Quindi è che ogni qualvolta vediamo alla luce un nuovo libro biografico, ne facciam plauso; perchè sempre da esso un qualche bene deriva. Come al- tra volta inserimmo in questo giornale alcuni cen- ni intorno diversi libri di tal genere ; così inten- diamo ora di fare con questo secondo articolo; ed abbiamo lusinga di non disgradire a'cortesi lettori. I. Iconografia italiana degli uomini e delle donne celebri^ dall'epoca del risorgimento delle Cenni biografici 65 scienze e delle arti fino ai nostri giorni» - Milano^ tipografia Morelli 1836-1838 in 4.« AI primo annunzio di questa nuova impresa iconografico-biografico-italiana , dubitammo forte che potesse procedere innanzi; non già perchè sin dai primi fascicoli non promettesse essa assai be- ne di se; ma si per la tenuità del prezzo. Infatti ogni fascicolo in 4.°, composto di due ritratti in rame, e di due vite, si consegna agli associati pel valore di novanta centesimi, corrispondenti a ba- iocchi romani diciassette circa. Quel timore però va a poco a poco dileguandosi , quanto piii procede innanzi l'impresa: la quale d'altronde sappiamo che viene appoggiata da copioso numero di associati. Il sig. Antonio Locatelli, cui dobbiamo questa nuova italiana biografia, incide assai lodevolmente molti fra i ritratti, togliendoli il più che può da buoni dipinti. E tanto aveva egli promesso nel manifesto; di escluder cioè cjuelli , de' quali non fosse certa l'autenticila ; e d'indicare da quali tipi siano co- piati cjuelli che traduce in rame. Quindi vediamo nel primo fiiscicolo aver desunto il ritratto del Ca- nova da un busto del Monti, quello del Tibaldeo da un quadro di Raffaello; nel secondo, quello del- la Andreini da un incisione del Sadaler, e quello deirOriani da un disegno del De Marchi; e così via discorrendo. Molti letterati italiani gii sono di beli' aiuto; sia scrivendo le nuove, sia producendo le gik prima pubblicale vite degl'illustri che han po- sto nella raccolta: la quale, fra tante che a'dì no- stri ne vedemmo venire a luce in Italia, ci sem- bra che sia la più giudiziosamente pensata, e dili- gentemente eseguita. Avemmo ultimamente alle ma- ni il decimo quarto fascicolo; e ci confidiamo far ,G. A. T.LXXVIII. 5 66 Letteratura cosa grata ai cortesi lettori del nostro giornale, in- dicando qui i ritratti e le biografie finora venute a luce. Ne ordineremo 1' elenco, seguendo i nomi degli scrittori, non degli elogiati: Aliprandi Antonio, vita di Cosimo de'Medicì (fas.13). Ambrosoli Francesco , vita di Alessandro Volta (fase. 8). C. A. C. i, vita di Alberto Fortis (fase. 13). Calderini Carlo Ampelio, vita di Gaspare Aselli (fase. 9). Cambiasi Isidoro, vita di Domenico Cimarosa (fas.4). Di Maniago conte Fabio, vita di Gio: Antonio Por- denone (fase. 8). Gabba Alberto, vita di Barnaba Oriani (fase. 2). Lomonaco Francesco, vita di Bartolomeo Coleone (fase. 3): di Lodovico Sforza (fase. 5): di France- sco Sforza (fase. 14). Marzini Antonio , vita di Sofonisba Anguisciola (fase. 4): di Antonio Scarpa (fase. 12). Michaud, vita di Giuseppe Luigi Lagrange ; dalla biografia francese (fase. 6). Paradisi Agostino, vita di Raimondo Montecuccoli (fase. 10). Roscoe, vita di Antonio Tebaldeo; dalla sua opera, vita e pontificato di Leone X, tradotta da L. Bossi (fase. 1). Rosini Giovanni, vita di Antonio Canova (fase. 1). Sacchi Defendente, vita di Isabella Andreini (fasc.2); di Tullia d'Aragona (fase 3): di Bernardino Lui- no (fase. 7): di Leandro da Ponte (fase. 11): di Arcangelo Paladini (fase. 12): di Bianca Maria Sforza (fase. 14). Scarpa Antonio, vita di Giambattista Garcano Leone (fase. 11). Cenni biografici 67 Solerà Temistocle, vita di Domenico Zampìeri (f.6): di Teresa Bandettini Landucci (fase. 7). Tiraboschì Girolamo, vita di Leon Battista Alberti (fase. 10). Ugoni Camillo, vita dì Adeodato Turchi (fase. 5). Vasari Giorgio, vita di Giovanni Cimabue (fase. 9). II. Piccola biografia di donne illustri alessan- drine dell' A. C. M, - Alessandria-^ presso Guidetti 4837 m 8.° Noi non avemmo alle mani questo libro; solo ne conosciamo un cenno datone in un giornale lom- bardo dal eh. Defendente Sacchi. Ciò non ostante ne abbiamo voluto far ricordo, perchè venne an- nunziato come libro utile, nel quale s'incontrano virtù di ogni fatta e pubbliche e private, e si ri- cordano atti di beneficenza, ognora meritevoli di lode. Certo se ogni provincia dell' Italia imitasse quest'esempio, e ci desse la biograia così delle don- ne, come degli uomini che meritarono passare alla posterità per esercizio di sociali virtù, o per fatti di mano o d' ingegno; allora sì potremmo avere una biografia universale italiana : che bene il sig. Sac- chi osserva: « Gli uomini, che studiano i fatti della « propria provincia, trovano sempre qualche igno- « to tesoro ». III. Biografia degli italiani illustri nelle scien- ze^ lettere ed arti del secolo XFIII e de'contem- poranei, compilata da letterati italiani di ogni pro- vincia^ e pubblicata per cura del prof. Emilio de Tipaldo - Venezia , dalla tipografia Ahisopoli 1834-1838 in 8.*^ - {Finora quattro volumi-, il pri- mo di p. h\\ in tutto-., il secondo di pag. 512; il terzo di pag. 511; il quarto di pag- 512). Altra volta facemmo parola di questa bella e 68 Letteratura lodevole Impresa del prof, de Tipaldo (v. il tomo LKVIII p. 320); ed accennammo cosi lo scopo cui mira, come i mezzi de'quali usa per ottenerlo. An- che dicemmo quali siano i principii generali che regolano la raccolta, ed aggiungemmo alcun che in- torno il primo volume che ci era giunto alle ma- ni. Ora che l'impresa, progredendo sempre di be- ne in meglio, può dirsi giunta alla meta quasi del suo corso (che otto volumi furono promessi, e quat- tro già ne vennero a luce), ci sembrò giusto re- tribuire di nuovo al professore chiarissimo quelle lodi, che tanto giustamente gli si debbono. Questi quattro volumi racchiudono ben settecento venti- quattro biografie. la tanta ricchezza è difficile lo scegliere per indicarne alcuna: pure e per la loro intrinseca importanza, e pei personaggi cui si ri- feriscono, sembra a noi che meritino particolar men- zione quelli di Albani, Aldini, Andres, Arici, As- sarotti, Azuni, Bandini, Beccaria, Bellini, Belzoni, Bianconi, Bodoni, Borgia, Bossi, Brocchi, Brunacci, Buonafede, Cesari, Cocchi, Compagnani, Corniani, Cotugno, Cuoco, Delfiume, Denina, Filangeri, For- ccllini, Fortis, Galiani, Garampi, Genovesi, Gerdil, Gioia, Gozzi, Longhi, Marini, Martini, Mascheroni, Milizia, Morelli, Moscati, Napione, Oriani, Passeri, Perticari, Piazzi, Poli, Pompei, Rosmini, Scarpa, Segato, Soave, Tiraboschi, Vallisnieri, due Verri, Vidua; e gli altri delle illustri donne Agnesi, Ban- dettini. Fantastici. Fu accusato il sig. Tipaldo della mancanza in questa biografia di ogni ordine, sia di tempo, sia di materia, sia alfabetico; ma ciò è necessaria con- seguenza dei mezzi che egli ebbe alle mani come raccoglitore: perchè i diversi collaboratori scrissero Cenni biografici 69 secondo che loro parve, e di chi meglio parve loro. D'altronde questo difetto in parte è riparato dagli indici alfabetici, che sono al fine di ogni volume; ed anche meglio si riparerà cogli indici generali metodici promessi a fin d'opera. Anche taluni non lo lodarono di aver dato posto nella raccolta ad ar- ticoli che non si posson dire relativi a persone illu- stri: e sia pure che il sig. Tipaldo sia stato qual- che volta indulgente verso le vanita municipali; ad ogni modo in tali opere meglio è peccare per eccesso, di quello che per deficienza. E già non i soli più illustri formano la letteratura di un secolo, ma vi han diritto anche coloro, che dierono una prova non dispregiabile del loro amore per le let- tere, per le scienze, per le arti, benché non siano valenti artisti, ne profondi scienziati, ne letterati insigni. D'altronde questa raccolta debbesi, secondo a noi sembra, ritenere piuttosto come un copioso magazzino di materiali per servire alla storia della letteratura italiana del secolo XVIII, e del presen- te, di quello che considerare come una nuda rac- colta biografica: e se vi sarà chi si accinga alla grande impresa di scrivere essa storia letteraria , saprà degnamente usare di tali materiali, e scar- terà di per se quelli, i quali per la loro tenuità non corrispondono al subietto; o li porrà al piìi nelle lievi sfumature all'indietro del quadro. Piut- tosto noi troviamo, che forse ad alcuni articoli di minore importanza ben si converrebbe una mag- gior sobrietà di parole: e forse non tutti approve- ranno che il professor Tipaldo abbia allogati nella raccolta alcuni articoli relativi a persone, le quali se in Italia trovarono comodità di studi ed asilo pa- cifico, non però ebbero in Italia la cuna: come, a ca- '^0 Letteratura glon di esempio, sarebbero Emanuele Ja Ponte, Ruggero Boscliovich, Giovanni Battista Wicar, ed alcuni altri. Ma già il sig. professore, nella prefazione al terzo volume , dubitò egli slesso di alcun difetto della sua opera: e vide che alcune biografie eransi convertite in elogi; e che alcune non meritavano forse di esservi allogate. Anche si dolse della fred- dezza e della tardità, con cui i letterati italiani secondano la sua impresa. Ma questa doglianza a noi non par giusta; perchè in poco piìi di quattro anni non è piccola cosa aver raccolte settecento ven- tiquattro biografie, che dieron materia a più che due mila pagine in ottavo a doppia colonna. Nella stessa prefazione poi ci fa conoscere, com' egli sì propone di scrivere alcune opere, che con questa raccolta saranno strettamente legate, e ne formeran- no quasi il compimento. Esse sono le seguenti: I, un indice degli italiani illustri nelle scienze , lettere ed arti dei secoli XVIII e XIX. II, un catalogo delle accademie e de'giornali d'Italia. Ili, una biografia de'viventi italiani illustri nelle scienze, nelle lette- re e nelle arti. IV, un indice di tutte le opere che trattarono della letteratura italiana ne'secoli XVIII e XIX. V, infine un discorso sullo stato delle scien- ze, lettere ed arti in Italia nei due secoli. Noi fac- ciamo sinceri voti, perchè tali generosi proponi- menti siano seguiti dall'effetto; il quale sarebbe per tornare ad incremento del suo nome e dell'onore letterario italiano: perchè da esso si farebbe chia- ro quale e quanto inesauribile sia la ricchezza no- stra; e che l'Italia conservò sempre il primo grado fra i popoli, che si travagliano co'buoni studi per accrescere e diffondere la civiltà. Cenni biografici 71 Lodevole noi reputiamo l'impresa del sìg. Ti- paldo; e riteniamo che la materia, che ha sotto le mani, esser non poteva piìi sublime. Il tempo che la racchiude è memorabile più che altro qualunque per alti infortunii, per mirabili successi; tempo di vizi enormi, di rarissime virtìi : tempo che abbrac- cia sconvolgimenti di stati , dispersioni di popoli, distruzioni di dinastie, guerre sanguinosissime, con- quiste immensurabili, cadute d'imperi sterminati: tempo che scuopri verità recondite nella natura, che operò riforme e miglioramenti di ogni specie sia nel viver civile, sia nel politico: tempo infine in cui fiorirono Volta e Piazzi, Lagrange ed Oria- ni. Mascagni e Scarpa, Morgagni e Colugno, Filan- geri e Genovesi, Gioia e Romagnosi, Gravina e Spe- dalieri, Vico e Beccaria, Gerdil e Stellini, Muratori e Mafi'ei, Visconti e Marini, Metastasi© ed Alfieri, Monti e Parini, Milizia e Canova, Napoleone e Mas- sena, Benedetto XIV e Pio VII. IV. Cenni biografici degli accademici di Pa^ dova mancati a vivi dopo la pubblicazione del ter- zo volume de nuovi saggi del 1831: del socio eme- rito Antonio Meneghelli, - Padova co^ tipi della Minerva 1838 in 4." Sempre intento il eh. Meneghelli a raccoglier le memorie di coloro, che meritarono passare alla posterità, con questo volume, che serve di giunta ai nuovi saggi dell'accademia di Padova, ha propo- sto ai giovani, ne'quali sta la speranza della futu- ra gloria italiana, belli e lodevoli esempi, alti ad infiammarli onde conseguire per mezzo dello stu- dio quella lode, che si meritano gli uomini utili alla società. Gli elogiati sono tredici; de'quali ci ba- sterà qui ripetere i nomi; Gaetano Malacarne, Gi- 72 Letteratura rolamo Melandri, Gregorio Qiiaini, Luigi Arduino, Giacomo Bonfadini, Daniele Francesconi, Giovan- battista Znndonella, Floriano Caldani, Luigi Mabil, Stefano Gallino, Francesco Fanzago, Giuseppe Bona- to, e Salvatore Ma nd ruzzato. Imparziali sono i giu- dizi che ne dà il Meneghelli; e con lodevole dili- genza nota per quai titoli venissero all'accademia aggregati, e per quali opere ne abbiano accresciuto il lustro e il decoro. V. Notizie biografiche e letterarie degli scritto- ri dello stato estense. Reggio 1833-1837 in 4.^ {y. il tomo LXVIII di questo giornale p. 314). Anche di quest'opera facemmo altre volte men- zione. Allora però ci era giunto alle mani il solo primo volume, ed un fascicolo che dava principio al secondo: ora ne contiamo già quattro tomi com- pleti. Dire di tutti gli uomini illustri che merita- rono un posto in questa raccolta, sarebbe impos- sibile, per la necessaria brevità conveniente a que- sti fogli; quindi ne sceglieremo due soltanto, cele- bre l'uno nelle lettere, Luigi Lamberti; l'altro nel- le scienze, Lazzaro Spallanzani. Nacque il primo in Reggio nel 1758 : inviato all'università di Modena per farne un avvocato , si occupò invece dell'eloquenza ed imparò lingua gre- ca. Tornato in patria nel 1783, fu nominalo segreta- rio dell'accademia letteraria e scientifica, subentran- do al Paradisi. Preso dal desiderio di viaggiare, toc- cò la Francia; ma richiamato dal padre, si recò in Ferrara, dove fu segretario del vice-legato Vidoni. Vacando nell' 87 in quell' università la cattedra di lingua greca, si recò in Roma, sperando ottenerla dal card. Riminaldi : ma se ne restò deluso, conob- be invece l'eccellenza del principe Borghese , che Cenni bioorafìci 73 con Incumhenze onorifiche lo tenne presso di se. Strinse allora amicizia col Visconti: insieme al Vi- sconti pubblicò la illustrazione della villa pin- ciana; e più tardi (nel 1796) co'tipi bodoniani die a luce una scelta di varie poesie, e l'Edipo re, tra- gedia di Sofocle, da lui tradotta in versi italiani. Con lo stesso Visconti migrò poi a Parigi, dove tradusse ed illustrò i cantici militari di Tirteo. Tornò poi a Milano; e nominato prefetto degli studi e professor di eloquenza a Brera, ivi il 15 giugno 1801 lesse quel suo discorso proemiale sulle belle lettere, tanto lo- dato. Due anni dopo fu ai comizi di Lione; quindi venne nominato direttore della biblioteca di Brera, membro dell'italiano istituto, e cavaliere della le- gione d'onore e della corona di ferro. Giovato dal- l'amicizia del Melzi, pubblicò co'tipi del Bodoni la pili magnifica edizione che si conosca dell'Iliade in gran foglio. Dopo alcuni anni (nel 1813) die alle stampe le osservazioni sopra alcune lezioni dell'Ilia- de stessa^ con le quali giustificò il lesto, che aveva egli adottato, e dimostrò la profonda sua dottrina filologica. Altre molte sono le sue opere, delle qua- li si ha nella biografia un diligente catalogo. Nellelà ancor fresca di 55 anni, morì compianto da tutti i buoni il k di dicembre 1813. Lo Spallanziani nacque in Scandiano, terra del- la provincia di Reggio, nel 1729: morì nel 1799 in Pavia, Insegnò in Reggio filosofia nel 1758, fisica in Modena nel 1760, storia naturale in Pavia dal 1769 finche visse. Molti viaggi intraprese per raccogliere oggetti naturali; e da que'viaggi trasse motivo a fare osservazioni pregevolissime, ed importanti scoperte. Percorse la Svizzera nel 1779: due anni dopo il Pie- monte, la Savoia, il littorale da Genova a Nizza, da 74 Letteratura Antibo a Tolone e Marsiglia ; quindi l'Adrialico da Rimini ad Ancona; poi le spiagge venete e le coste dell'Istria, ed i monti euganei. Nel 1783 corse dal golfo della Spezia e porto Venere, a Livorno e alla Corsica; visitò le alpi apuane e parte dell' apenni- no: dopo due anni si recò a Costantinopoli, tornan- do per la Bulgaria, la Valacchia , la Transilvania , l'Ungheria e l'Austria. Nel 1788 fece il famoso viag- gio delle due Sicilie ; e due anni dopo l'ultimo sul- r apennino estense. Alcune relazioni di tali viaggi die alle stampe; trasse da altri motivo per pubbli- care diverse osservazioni; come quelle sulle brecce ossifere, sulle lacune di Comacchio, sulle torpedini, sulle salse e sui terreni ardenti dell'apennino. Al- tri suoi studi fatti pubblici con la stampa presero di mira la circolazione del sangue, la respirazione, la digestione, la generazione, la fosforescenza, il vo- lo de'pipistrelli, gli animali microscopici ec. Fu lu- me della storia naturale italiana: avido di gloria, non potè sospettare che il suo amor proprio venisse leso, benché menomamente : quindi tal volta fu censore troppo acerbo; tale altra forse tentò accre- scer grido alla propria fama coli' inimicarsi alcu- ni dotti estranei e nostrali. VI. Elogi di XL uomini illustri italiani^ dettati da Melchior Missirini. Firenze per il Ciar detti 1837, in S."" dip. 40. Quaranta iscrizioni italiane scritte con preci- sione, eleganza e chiarezza, compongono i quaranta elogi. La scelta degli elogiati è tale che meritamen- te si posson dire illustri. Ad esempio dello stile ado- perato dall'autore, riportiamo quello di Genki biografici 75 GIUSEPPE PARINI Catone de'poeti filosofo con una lira intesa a destare la sonnolenta sua età, fremente d'indignazione liberissima contro l'insolente ignavia, il vizio opulento, e le corruttele del volgo decorato; con una sferza sparsa di amarulento perpetuo sarcasmo pompose scurrilità, trionfanti vergogne, e tutto il mondo delle magnatizie frivolezze al pubblico ridicolo consacrò; in molta lacuna di ciance canore testore di rime severe fra i primi alle oziose lettere il pensiero la morale e la bontà della lingua restituì; censore incolpabile povero ma integro I serbò immune dall'adulazione la nobile musa, e morendo ebbe i sospiri degli animi gentili e degno monumento al suo nome nella mascheroniana. Forse dir sì potrebbe alcun che intorno la linea de- cima quinta; essendo il ma congiunzione che di- sgiunge o che contraria : e forse non a tutti piacerà nella linea sesta il suono di quelle parole con una sferza sparsa. VII. Famiglie celebri italiane, del conte Pom- peo Litta. Milano 1819 - 1838; in fol. fig. Corre già il ventesimo anno dacché il slg. con- te Pompeo Litta con nobile impegno prosieguo la illustrazione della storia delle piìi celebri famiglie italiane : opera che basta essa sola ad onorare un secolo, una letteratura. Qual' altra nazione può van- 76 Letteratura tarne una simile ? E quale potrebbe intraprender- la che potesse starsi a petto di questa ? Che in Italia ogni citta, ogni terra ebbe «omini grandi e potenti, i quali furon da tanto non solo di acqui- starsi rinomanza appo i posteri, ma di fondare ri- nomate famiglie. E non è vana gloria , non è am- pollosa esagerazione il dire , che per ogni famiglia celebre , che vantar possono altre nazioni, l' Ita- lia potrebbe noverarne almen cinque. Quelle illu- strate dalLitta, finora sono sessantacinque; cioè Ac- colti di Arezzo, Alighieri di Firenze, Appiani di Pi- sa, Arcimboldi di Milano, Bentìvoglio di Bologna, Boiardo di Reggio, Bonacossi di Mantova, Boncom- pagni di Bologna, Borromeo di s. Miniato, Buonar- roti di Firenze, Camino (da) di Trevigi, Gandiano di Venezia, Cantelmi di Napoli, Carraresi e Pappa- fava di Padova, Castiglioni di Milano, Cavalcabò di Cremona, Canaviglia di Napoli, Cesarini di Roma, Cesi di Roma, Colonna di Roma, Concini di Arezzo, Cornaro di Venezia, Correggio di Correggio, Eccelini dalla Marca di Trevigi, Erizzo di Venezia, Este (d') di Ferrara, Facchinetti di Bologna, Fogliani di Reg- gio, Foscari di Venezia, Gaddi di Firenze, Gallio di Como, Giovio di Como, Gonzaga di Mantova, Guic- ciardini di Firenze, Launoy di Napoli, Machiavelli di Firenze, Martelli di Firenze, Medici di Firenze, Monte (del) di Montesansovino, Orseolo di Venezia, Pallavicino di Bologna , Peretti di Montalto , Pico della Mirandola, Piccolomini di Siena, Pio di Carpi, Pusterla (della) di Milano, Rangoni di Modena, Ros- si di Parma, Roverella di Ferrara, Sanvitale di Par- ma, Scaligeri di Verona, Sforza Attendolo di Roma- gna, Simonetta di Calabria, Tiepolo di Venezia, Tor- nabuoni di Firenze, Trinci di Foligno, Trivulzi di Cenni biografici 77 Milano, Valori di Firenze, Varano di Camerino , Verme (dal) di Verona, Vettori di Firenze, Viscon- ti di Milano, Visconti Aicardi di Milano, Vitelli di città di Castello. Sentiamo da quali principii sia mosso il sig. Lil- ia allo scrivere la storia di tutte le illustri famiglie d'Italia; qual modo voglia adoperare; e sentiamolo con le sue stesse parole. « Non possono essere giam- « mai hene adempiute le mire della filosofia, sem- « pre dirette a raccogliere dalla storia un frutto « morale, quando le facoltU del corpo non vi ab- « biano parte ; né il cuore pascolo maggiore, mag- « gior interessamento può rinvenire, quanto nelle « cognizioni delle cose, che pili da vicino lo circon- « dano. Io adempirò con tripudio all'ufficio rico- « noscente e pio di onorare la memoria di coloro, « che per singolare altezza d'animo si sono renduti « il modello delle nostre azioni. Possano le opere « loro esserci sempre sotto gli occhi ! i' eloquenza « del buon esempio è ancor piìi efficace dello spa- « vento della legge. Ma parlerò con austerità dei « malvagi, perchè sia sempre tolto loro il conforto, « che la lunghezza del tempo abbia a scancellare « giammai la macchia delle loro ribalderie. Questo è « il dovere di chiunque si mette a scrivere storia. » E questo dovere adempie il sig. Lilla da vero filoso- fo: quindi loda le azioni degne di lode; encomia la virtù; biasima le colpe; s'incontrino queste in per- sone storiche di qualunque condizione o sesso, per lui' non vi sono riguardi; dirittamente tende al suo scopo, sfuggendo cosi nel lodare, come nel vitupe- rare il soverchio. Onde poter riuscire in un'impresa così grande, le storie generali, quelle della nazione, le munici- 78 Lettkratura pali sono state per lui consultate: oltra ciò le crona- che, le carte de'mezzi tempi, i registri familiari , i documenti privati. Ben conoscendo poi che oltre tali materiali la storica verità può essere fiancheg- giata dalla autorità irrefragabile de'monumenti , i quali sono le prove sincrone degli avvenimenti di- versi, ne raccolse quanti piìi ne potè di ogni fami- glia; ed i pili interessanti pubblicò a corredo dell* opera sua. E perchè molti italiani furon grandi ed illustri per fatti di mano e d'ingegno anche fuori d'Italia; così anche da fuori egli seppe e potè, con dispendio più che da privato, aver copie esattissi- me de'monumenti relativi a diverse famiglie. Quin- di vediamo nell'opera di lui non solo stemmi e mo- nete e medaglie, ma statue e quadri e dipinti a fre- sco e sepolcri e cenotaffi e archi e trofei. Il perchè anche le arti dall'opera del sig. Litta ricevono una copiosa illustrazione. E basti ricordarne in prova un esempio : i monumenti storici riportati dal Gi- cognara nella storia della scultura, sono in questo lavoro del Litta riprodotti; e più, tanti di nuovi ve ne sono stati aggiunti, che già di molto han supera- to quelli per numero. Quando pose mano il nobile autore a così vasto lavoro, disse che tentava d'innalzare in una nicchia ancora vuota una statua, cui nessun italiano aveva ancora pensato : e Defendente Sacchi, son gii» oltre due anni, aggiungeva: « E la statua ci la collocò, con « animo veramente pari all'impresa ; e la nazione « vi scrive sotto per riconoscenza il di lui nome ». Vili. Tavole genealogiche della real casa di Savoia^ descritte ed illustrate da Felice Garrone marchese di s. Tommaso. Torino presso Bocca 1837.4.-^ Cenni ìbiografigi 79 Non è questo, come annunzia il titoli, un sem- plice libro di tavole genealogiche ; ma è un'opera biografica e storica insieme. La narrazione vlen di- visa in quattro colonne: nella prima sono le notizie genealogiche e diplomatiche dei principi che han- no regnato : nella seconda la loro biografia : nella terza la storia del principi collaterali: nell'ultima quella sincrona degli altri principi e sovrani di Eu- ropa. Cosi in quest'opera non solo si ha una storia della real casa di Savoia, ma quella pure contem- poranea di altri stati ; onde non difficilmente si co- nosce rinfluenza che a vicenda ebbero le une na- zioni sulle altre: e per la parte biografica non solo si ha la vita dei regnanti e parenti di quella real casa, ma quelle altresì di molti uomini di stato e di assai famosi guerrieri. Basti per ora questo cen- no brevissimo; perchè l'opera del signor marchese sarebbe degna di un articolo analitico di assai mag- gior estensione. IX. Elogi storici inseriti negli atti delVacca- demia volsca veliterna. {Voi. /, Roma 1 834 in 8.** dalla p. 181 allay^ne, VoL II, Velletri 183T in S.'* dalla p. 241 alla fine ). Fra 1 diversi obblighi che in ogni accademia incombono al segretario, non ultimo è quello di tes- sere un breve elogio ai soci che morte ne va to- gliendo. Questo vediamo che pone in esecuzione il segretario dell'accademia volsca di Velletri: la qua- le avendo da poco incominciato a pubblicare i suoi atti, lodevolmente, secondo a noi pare, divide ogni volume di essi in due parti: inserendo nella prima le dissertazioni accademiche, nella seconda gli elogi de'soci defunti. Di questi soltanto cadendo in que- sto luogo il discorso, diciamo che sei ne leggemmo 80 Letteratura nel primo volume, cinque nel secondo: meno gli ul- timi due del secondo volume, tutti gli altri furon dettati dal segretario dell'accademia. Fra di essi son quelli di Gaetano Marini, Ennio Quirino Visconti, Giorgio Zoega , Luigi Lanzi , Giuseppe Antonio Guattani; de'quali non faremo discorso, perchè tut- ti uomini precarissimi che lasciaron di loro larga fama. Gli altri sono di Ignazio Maria Raponi, mon- signor Filippo Buflfa, conte Paolo Maria Toruzzi, e monsignor Onorato Gaetani. Il primo aveva studiato nelle antichità greche e nelle romane ; pubblicato un grosso volume di antiche gemme con illustrazio- ni dettate in lingua francese, e la dichiarazione di una epigrafe greca della villa Mattei : anche avea trascritte ed in parte commentate oltre ad ottocento lapidi antiche che il card. Borgia avea radunate nel suo veliterno museo; ma quel lavoro per la di lui morte precoce restò incompleto ed inedito. Il Buffa, se nulla pubblicò con le stampe, molto vantaggio recò alla gioventìi coli' insegnare ad essa per lun- ghi anni le scienze e le lettere greche e latine. Si- milmente son poche le cose edite del Toruzzi ; il quale però gustò molto, e molto incoraggiò le buo- ne lettere: e già in tali opere, che servon poi di ma- teriali per la storia letteraria, non debbono trascu- rarsi coloro, che ebbero un nome solamente muni- cipale, come furono i tre ricordati. Di maggior fa- ma gode monsig. Onorato Gaetani; del quale ultima- mente un altro elogio pubblicò in Roma il eh. Fabi Montani. I due elogi che restano furono scritti da Luigi Cardinali; essi si rifereriscono a monsignor Giovan- carlo Antonelli; il quale se non fu autore di opere grandiose, ebbe però assai buon gusto, ed amore Cenni biografici 81 per gli studi e per la patria : l'altro a Giovanni Antonio Riccy. La sua storia di Albano; le rispo- ste al Lucidi; le memorie sull'antico pago Lemonio; la dissertazione sul monumento consolare di Palaz- zola e diversi altri lavori, che prevenuto da morte non potè compiere, gli hanno già assegnato un po- sto non ultimo fra i cultori della classica letteratura. X. Elogi e vite diverse. E qui faremo ricordo di alcune vite ed elogi di uomini illustri isolatamente pubblicate ; le quali operette forman poi il più preciso materiale per co- loro che si occupano nel raccogliere le memorie biografiche di una città, o di una provincia, o di una nazione ec. 1. E sia primo Velogio di Barnaba Oriani re- citato da Alberto Gabba nell'ateneo di Brescia, e pubblicato poi in Milano (1834 di pag. 78 8.°). II Gabba si propose di mostrarlo, per mezzo delle ope- re e de'fatti, astronomo sommo, uomo pio, modesto, benefico. Le osservazioni e le scoperte dell' Oriani sulle macchie solari; sulla riduzione del luogo me- dio e vero all'apparente delle stelle fisse ; sulla pro- cessione media degli equinozi; sul decremento seco- lare dell'obliquità dell'eclittica; sulla teorica delle rifrazioni; sulla trigonometria sferoidica; sulle per- turbazioni de'nuovi pianeti Urano, Cerere e Pallade; sull'orbita delle diverse comete ec. gli hanno meri- tamente acquistato il nome di astronomo sommo. 2. Venga secondo Velogio di Leopoldo Nobili^ recitalo dal cav. Vincenzo Antlnori alla società co- lombaria, e pubblicato in Firenze (1836,dl p.50.8.°). Ben potea l'Antinori scrivere di quell'illustre fisico Italiano, col quale era stato lungamente legato in amicizia, ed anche compagno di studi negli ultimi G.A.T.LXXVin. 6 82 Letteratura anni del vivere. Aveva il Nobili esercitata l'arte mi- litare; era stato professore nelle scuole dì artiglie- ria; erasi trovato nella gran disfatta di Russia: sot- trattosi con la fuga alla prigionia, tornò in patria e si die al più pacifico campo delle scienze. La memo- ria sull'attrazione molecolare fu il primo saggio dei suoi studi; pubblicò quindi l'introduzione alla mec- canica della materia, ed il nuovo trattato di ottica. Nel 1824 produsse al pubblico le sue osservazioni sul magnetismo; quindi la teoria dell'irraggiamento magnetico, e le considerazioni sul conflitto elettrico- magnetico; cui poco dopo aggiunse il galvanoraetro, o misuratore dell'intensità e direzione delle corren- ti elettriche. Non la finiremmo per ora se tutte vo- lessimo ricordare le scoperte e le osservazioni del Nobili : di una però non è da tacere; diciamo di quella che costituisce l'arte metallocromia-^ che cosi chiamò egli quella maniera di colorare i metalli per mezzo delle apparenze elettro-chimiche. Neil' agosto del 1835 cessò di vivere, mentre era appena entrato nel cinquantesimo anno. 3. Le notizie intorno la vita e gl'i scritti del- l'ah. Daniele Francesconi , furon dettate dall' a- bate Federici e pubblicate in Venezia (1836. 8.°). Il Francesconi non fu autore di opere di gran polso, ma ebbe molto ingegno e sapere assai vasto. Molto studiò nelle fisico-matematiche, come ne fan pro- va alcune memorie sulle deviazioni dei gravi caden- ti, sui fenomeni dell'urto de'corpi specialmente ela- stici, sul rimbalzo de'corpi proietti obliquamente ne' fluidi. Da una considerazione di geometria fu condotto ad una questione di archeologia ; a quella cioè della marca arcana, che Erodoto accenna so- lersi rappresentar sulla fronte del bue Api : anche Cenni biografici 83 nella dissertazione sulla figura dello specchio delle vestali, vittoriosamente contro il Lipsie chiamò in aiuto dell'archeologia l'ottica. Si mostrò valente filo- logo ed ellenista in alcuni discorsi relativi ad in- venzioni di geometria e di aritmetica di antichi greci autori. Amò appassionatamente le arti; e vol- le dimostrare che una lettera, ritenuta del Castiglio- ne, fosse di Raffaello; ed illustrò un' umetta lavo- rata all'agemina. Insegnò dalle pubbliche cattedre giurisprudenza, fisica, geometria, storia, diplomazia: fu bibliotecario in Padova ; ed ispettore generale della pubblica istruzione. Morì per appoplesia in Venezia nel 1835, mentre era entrato nel settantesi- mo quinto anno di età. h. Il cardinale D. Placido Zurla fu compianto da tutta Italia; ed a tempo conveniente ne fé ricor- do questo nostro giornale. Quindi basterà accenna- re V orazione funebre che ne recitò il canonico Gia- nantonio Moschini, e che fu pubblicata in Venezia nel 1824. In essa abbonda spontaneità e sincerità di affetti. 5. Anche del Cicognara, autore illustre della storia della scultura, si pianse in questo giornale la perdita. Il perchè non altro faremo che accennare Yelogio che ne lesse Tab. Fruttuoso Becchi nel l'acca- demia della crusca, e che fu pubblicato nel 1837 in Firenze. Esso è dettato con eleganza di lingua, e condito da copiosa erudizione. 6. Il professor Meneghelli pubblicò per le stam- pe di Padova ( 1837, 8.° ) le Notizie biografiche di Isabella Albrizzi nata Teotochi. Nacque in Corfìi nel 1760, finii la vita nel 1836 in Venezia, dove fin dal suo primo matrimonio avea fissata la stanza. Stringendoci ai soli meriti letterari di lei, dobbia- 84 Letteratura ^ mo ricordare !a ditesa della Mirra di Alfieri, i Ri- tratti e la descrizione delle sculture del Canova; per la quale il sommo artista la donò del busto di Elena da lui scolpito, a fine di dimostrarsele grato. 7. Il canonico Niccola Candia pubblicò in Na- poli per le stampe del Porcelli (1837, 8.°) V Elogio storico deir arcivescovo Giuseppe Capece- Latro. Lo divise in tre parti : lo dimostrò nella prima tutto intento al miglioramento spirituale e temporale del- la diocesi; nella seconda, qual sommo uomo di stato, che tenne anche il portafoglio dell'interno ; nell'ul- tima, come dotto in molti rami dell'umano sapere. Sarebbe troppo lungo l'accennare le opere diverse che die alle stampe; ma non è da tacere come, no- nagenario quasi, ancor pubblicasse libri. Così in quell'età, cui pochissimi toccano , e quelli che vi giungono la passano in totale riposo, il Capece-Latro non ristava dal travagliarsi nello studio. Quel ne- store dell'italiana letteratura cessò di vivere in Na- poli nel 1837, quaranta giorni dopo aver compiuto il suo novantaduesimo anno. 8. Tommaso Antonio Catullo inserì nella bi- blioteca italiana (aprile 1836) i Cenni biografici del cav. Pier Luigi Mabil , tessuti sopra alcune note orijrinali scritte dall' illustre defonto. Il quale co- minciò la sua carriera letteraria con alcuni opusco- li relativi all'agricoltura ed al giardinaggio. Molto più nome gli fruttarono le traduzioni delle due let- tere di Sallustio a G. Cesare, della storia di Livio, delle lettere ciceroniane, e del sogno di Scipione. Nelle diverse cattedre che coprì ebbe a recitare prolusioni lodatissime. I temi di alcune sono i se- guenti; dell'uflìcio de'Ietterati nelle grandi politiche mutazioni; della gratitudine de'Ietterati verso i go- I Cenn( biografici 85" verni benefattori ; dell' utiiitk delle amene lettele nella solitudine; in che può peccare l'arte del dire. Molte altre cose di piccola mole inserì nel Poligra- fo ed in altri giornali; e dopo lunghe fatiche ot- tenne un onorato riposo. Egli era nato a Parigi nel 1752: venuto di soli sei anni in Italia, vi trovò ospi- talità e larghezza di studi, e onori e premi. Mori in Padova nel 1836 in età di 84 anni , lodato e pianto generalmente. 9. Di Robustiano Gironi un Articolo necrolo- gico fu inserito nella biblioteca italiana (feb. 1838), della quale da molti anni era il primo fra i diret- tori editori. Nato a Gorgonzola nel 17G9, per lun- go tempo fu maestro di rettorica in Milano; poi pri- vato segretario del ministro dell'interno ; quindi coadiutore e custode della biblioteca di Brera, del- la quale divenne bibliotecario nel 1817, e vi si man- tenne finche visse. Fu anche imperiale regio consi- gliere di governo, e cavaliere della corona di ferro. Come collaboratore del poligrafo, e come direttore della biblioteca italiana, compose gran numero di articoli, abbracciando le scienze tutte morali ed ine- dite. Son sue molte vite e prefazioni nella collezione de'classici italiani: ed a lui si deve così la illustra- zione deiri. R. pinacoteca di Brera in tre volumi in foglio; come le descrizioni de'costumi greci, della Spagna e del Portogallo, che furono inserite nella grande opera del Ferrario. Partì iXi questa vita il 1.° di aprile 1838. C. G. 86 Biografie e ritratti d'illustri siciliani morti di cho- lera Vanno \ S3T. Palermo, presso Giuseppe Ài- leva libraio-editore 1 838. Xli vanto singolare degli italiani di questo secolo l'avere destato e messo in pregio grandissimo l'a- more allo studio delle storie biografiche della na- zione da lungo tempo caduto, e direi quasi estinto. Dal che ne veniva per manifesta conseguenza che dei grandi scrittori, salvo le opere, sovente ignora- vamo le patrie, le stirpi, le condizioni della vita, le virtù domestiche e cittadine: cose tutte a sapersi gradevolissime ed utili, atte ad accenderci agli esem- pi, ed ampliare la gloria loro. Giaceva poi nascosto nel tempo e pressoché interamente dimentico un numero infinito di sapienti, i quali sebbene giunti non fossero in altissimo grido di fama, lasciati pure ci avevano degli scritti, in copia pochi e di mole piccoli SI, ma per utilità grandi e preziosissimi, e per questo indegni della nostra oblivione e di quel- la degli stranieri. Il perchè i loro dizionari biogra- fici sono cos\ scarsi d'italiani autori, e dei piìi cele- bri ancora a pochissimi si restringe la storia. Ma dobbiamo essere lieti che a cotanto difetto siasi fi- nalmente posto rimedio per le biografie generali e particolari che dai vìventi letterati nostri si vanno tutto dì pubblicando. Per la qual cosa non possiamo non accogliere con grato animo, e con le debite lo- Biografie siciliane 87 di encomiare il nobilissimo divisamente di quei bravi siciliani, i quali si accinsero a scrivere delle opere d'ingegno e delle altre virili di que'migliori tra i concittadini della loro isola, i quali furono ra- piti dalla ferocità dell'asiatico morbo. Resero adun- que alla loro memoria il più giusto e pietoso tribu- to che dai superstiti si poteva, scrivendo e pubbli- cando non ha guari in Palermo per cura di Anto- nino e Vincenzo Linares, e per le stampe di Giu- seppe Alleva, le notizie biografiche di undici sici- liani di chiarissimo nome nelle lettere, nelle scien- ze e nelle arti, e ornamento il più bello della pa- tria loro: de' quali faremo ora menzione per ma- niera di brevissimo cenno. È il primo come nella fama, così anche nell* ordine della schiera , il restauratore delle scien- ze fisiche in Sicilia, dico lo Scina, quell' ingegno straordinario e potentissimo, che estese la sua in- fluenza su tutti gli spiriti, e dominò la letteratura siciliana del suo secolo: le cui opere pervennero a tanta eccellenza, che non si possono piìi lodare sen- za fare cosa soverchia. E tanto più ci astenghiamo dal fare molte parole di quest'uomo immortale , avendosi egli avuto un degnissimo e copiosissimo elogio del Malvica, de'cui pregi tenne lungo ragio- namento l'illustre pesarese conte Domenico Paoli, uno de'nostri collaboratori, in un suo articolo inse- rito in questo istesso giornale (T.75 a e. 140 e seg.). Ne solo si mosse il Malvica a parlare dello Scinà; perciocché anche il barone Vincenzo Mortillaro scrisse altro non men degno elogio di lui, memora- to egualmente nell'arcadico, e co'dovuti encomi ono- rato dal eh. sig. professor Salvatore Betti ( T. TI, p. 352). A' quali va unito il eh. sig. R. Liberatore che 88 Letteratura ci ha dato pure una terza biografia da lui pubbli- cata nel Lucifero di Napoli. Dello Scink finalmente non si tacquero le accademie; perocché nelle eser- citazioni dell'Agraria di Pesaro parlò delle opere e della sapienza di lui il signor marchese Francesco Baldassini (1), e nella romana dei Lincei fu letta dal sig. cav. Francesco Fabi Montani (2) una me- moria, in che diffusamente discorse i vantaggi, che da questo insigne professore arrecati furono alle scienze fisiche, nelle quali tenne il più alto grado fra quanti lo avevano in Sicilia preceduto. Un altro gran nome, e alla sua patria deside- rato e caro, si è quello di Nicolò Palmieri mate- matico, politico, archeologo, istorico, ma sovra tut- to di eccellente fama nella economia agraria, sicco- me autore del Saggio sulle cause e su i rimedi delle angustie agrarie della Sicilia, e chiaro per avere confutato i principii economici del Gioia, di che valevansi coloro i quali avevano impreso a con- trariare le opinioni di lui (3). Antonio Bivona pervenne in molta rinomanza di naturalista e di botanico esimio. Le sue Ce/i- turie delle piànte siciliane , la Monografia delle tolpidi, i Quattro manipoli, ne'quali prese ad illu- strare 67 piante indigene della Sicilia, largamente il comprovano. Apparve eziandio in mineralogia ed in agricoltura peritissimo , e in lui fecero grave perdita e la patria e le scienze (4). (i) Semestre 2.° anno VI. (a) Nella tornata del 21 settembre i838. (3) Francesco Perez. Vengono notati ne'seguenti numeri gli autori delle biograGe (4) Principe di GraaatclU. Biografie siciliane ' 89 Fu non oscuro filosofo Luigi Garofalo, e inda- gatore instancabile dei fasti del sapere di Sicilia an- tica: e siccome parvegli che la storia gli scovrisse nel nome di Gorgia leontino un epoca splendidissi- ma per la sua patria, che fu causa e base ai pro- gressi della filosofia e dell'eloquenza, si. diede a ri- cercare sottilmente, se la Grecia fosse stata veramen- te tanto ingiusta nello svergognare la fama di quel- lo sceltico ed oratore famosissimo, quanto in prima eragli stata giusta nel profondergli statue ed onori pressocchè divini. Per lo che studiò gagliardamente negli antichi scrittori, e con certezza di argomenti riconosciutolo onorato dai contemporanei, incolpa- bile nella vita e nell' uso della sua eloquenza, ago- gnò di fare ricredere il mondo intorno a Gorgia. A questo scopo compose e pubblicò nel 1831 quattro discorsi: e questa opera sebbene pecchi nell'ordine, e nella ridondanza di soverchie minuzie, pur me- ritò al suo autore distinte lodi, per essere stato il primo a rivendicare in gran parte l'onore del leon- tino, e a far si che la Sicilia si rechi a vanto ri- cordare quel nome, che per girare di molti secoli sol di biasimo era stato cagione. Il Garofalo reca- to aveva a compimento una storia della capella pa- latina, ed un'altra ne meditava degli avvenimenti civili della Sicilia: ma la morte s'interpose a' suoi consigli, e cosi fu tronca ogni pili bella speranza (1). A lui ravvisiamo somigliante cos'i nella dottrina, come nella condizione ecclesiastica, Giuseppe Alessi letterato, filosofo, canonista, autore rinomato della Storia degli incendi etnei e riputalissimo ancora (x) Benedetto Castiglia. 90 Letteratura nelle scienze naturali, e nello studio delle antichi- ta(1). Chiarissimo e sommamente benemerito della sua patria e del regno fu il giureconsulto Antonino della Rovere, ragionatore profondo , cultore della letteratura e della filosofia, onde compose gli Ele- menti della ragione^ e scrisse intorno alla magìa, dimostrando con solidi argomenti e di erudizione copiosissimi la impossibilita della sua esistenza. Ma soprattutto e'sì fu d'intelletto straordinario e capa- cissimo alla pubblica economia: talché in giovanis- sima età era slato segretario della zecca, e poscia ascendendo a'pubblici impieghi i più alti, tanta fe- de si meritò del governo, che fu eletto a direttore del ministero di stato per V interno. In materie di pubblica economia compose a servigio ed intendi* mento del governo lavori riputatissimi , come il Ha spianamento sulla necessità e i mezzi di ritirare e rimpiazzare le monete tosate introdotte nel regno di Sicilia', le Osservazioni sopra l'esistenza^ le conse- guenze, e i rimedi della sproporzione delle monete d'oro e d'argento correnti in Sicilia nell'anno 1802, e pubblicò l'opuscolo intitolato : Pensieri di Da- miano Mingli sul coraggio e sull'onore, e ultima- mente raccolse e riprodusse tutti i suoi travagli mo- netarii sotto l'unico titolo di Opere sulle monete si- ciliane, tra le quali sono compresi due libri sulla perdita e sul ritorno delle proporzioni delle mone- te d'oro e di argento nella Sicilia. Era ingegno da recare onore e giovamento grandissimo alla lette- ratura: ma le pubbliche cure non glielo permisero. (i) Bernardo Serio. Biografie siciliane 94 Dettò nondimeno degli applauditissimi discorsi per raccademia del buon gusto^ di cui fu membro, e scrisse sulla commedia del Goldoni La donna sola, riducendola in prosa per togliere l'ingrato suono del martelliano. Visse nell'ammirazione e nell'amo- re del suo principe, degli uomini di stato e de' suoi concittadini, e morì da tutti benedetto e com- pianto (1). Pietro Pisani fu riputato il gran filantropo del- la Sicilia, siccome ingegno svegliatissimo e singola- re, destinato veramente dal cielo alla cura degli in- felici, che hanno perduto il bene dell'intelletto. Fu direttore e riformatore celeberrimo dello stabili- mento dei maniaci di Palermo, talché eguagliò, e forse superò nella rinomanza e nella fortuna delle cure i famosi francesi Pinci ed Esquirol, e di lui corse SI lontano il grido, che insino dall'America i comitati detti di pubblica carità gli offrirono il privilegio di loro corrispondente, e in Londra gli fu decretato un busto. E non fu estraneo ad altri studi, massimamente ad archeologia: onde fu pre- scelto dal governo a porre in ordine e ad illustrare pregievoli frammenti di scultura dissotteratisi dalle rovine del tempio di Selinunte , e scrissevi e pub- blicò una dotta memoria (2). Giuseppe Tranchina fu insigne in anatomia , e pose lungo studio e meditazione nello scovrire il modo di perpetuare e conservare i cadaveri dalla naturale corruzione: arte pregevolissima ed altret- tanto difficile ed oscura, nota soltanto agli antichi (r) Antonio Bonafede. (2) Antonino Liuares. 92 Letteratura egìzi: da loro a niun popolo derivata e con loro estinta, rinvenuta nuovamente dall'olandese Ruisch, e con lui nuovamente sparita. Il TrancUina non la- sciò indietro diligenza alcuna: e morto in età fio- rentissima, se non toccò l'apice della perfezione , giunse nulladimeno molto innanzi nell'arte, e il suo nuovo metodo è tuttora in ammirazione agli italia- ni ed agli stranieri (1). ^Domenico Greco fu professore di patologia e terapeutica nell'universitk di Palermo, e le sue me- morie suW aneurisma, sulle cause della scarlatiiia e sulle febbri regnate in Trapani fanno fede di quanto egli nelle scienze mediche valesse (2). Il nome di Filippo Fodera è collocato in tale altezza di gloria, che ogni lode gli saria scarsa. Tan- ta si accolse in lui grandezza d ingegno e vastità di lumi, che trasse ad ammirazione la Sicilia sua pa- tria, al cui pubblico bene indefessamente travagliò. Giureconsulto insigne, e pili insigne criminalista, pubblicò fino dal 1812 la sua opera dei princi- pii della legislazione e della riforma dei codici cri- minali, opera estremamente necessaria in quel tem- po alle bisogne della Sicilia, e che riuscì di tale ec- cellenza, che il fece gareggiare in celebrità collo stesso Bentham: senza fare parola del suo libro su- gli Interdetti, e della copia innumerevole delle ora- zioni forensi da lui pubblicate. E poi da maravi- gliare che un uomo, tutto dato alla severità della giurisprudenza, intendesse l'animo alle scienze na- turali, alla meccanica, alla poesia, e inventasse una (i) Otiavio Lo Bianco. (2) Pasijuale Pacini. Biografie siciliane 93 nuova macchina sulla combustione de'zolfi, scriven- dovi un apposito libro: due ne lasciasse inediti sul- la cristallografia descrittiva, e conducesse fino a no- ve canti un poema di altissimo argomento intitola- to il Destino delV universo. E parrà incredibile che tanto passionatamente della musica si dilettasse, che avesse a trovare non solo il tempo di assaporarla , ma tanto innanzi vi sentisse, da scriverne un' opera stimabilissima La scienza delVarnionìa per nuove vie condotta sotto le leggi generali delV acustica se- guita dalla storia delle principali teorie armoni- che (1). L' ultima delle biografie è quella di Vincenzo Riolo, nome non di uno scienziato, bensì d'un pit- tore illustre, il quale sebbene non giungesse ad al- tissima cima di perfezione, fu nondimeno il miglio- re de'suoi tempi, che nell'arte onorasse Sicilia (2). Chiudesi il libro con un Ricordo di molti altri insigni nelle lettere, nelle scienze e nelle arti, chia- ri per le loro opere, e degnissimi di passare alla memoria dei posteri. Ne' quali mentre leggeranno con dolore quelle carte, piaccia al cielo si accendi- no le brame di gloriosamente seguirli, e di riparare in alcuna guisa ai tanti danni dell'Italia nostra, la quale, non so per che malignità di fortuna, dalle alpi all'estremo lido di Sicilia fa un perdere continuo, e quel ch'è più, quasi sempre immaturo di grande copia d'uomini preclari cui sarebbe dovuta immor- talità: talché è fatta oramai vana questa terra, la quale un giorno così fertilmente rendeva. G. Gelestiwo Masetti (i) Emmanuele Viola. (2) Paolo Lo Giudice. 04 Compendio della istoria romana di monsignore Pel- legrino Farini. Voi. I. Lugo per Vincenzo J/e- landri 1838, in 12.° di pag. VII, 340. u n Lei regalo egli e questo alla gioventù studio- sa, anzi alle nostre lettere , che quel chiarissimo monsignor Farini, già benemerito degli studi, ne viene facendo di un compendio della romana istoria dettato da lui con tanta gravità di giudizio, e pu- rezza di lingua, che meglio non si potrebbe. Inti- tola modestamente questa sua nuova fatica all'Em-R. del sig. cardinale Giacomo Luigi Brignole con let- tera data di Bagnacavallo il 15 novembre 1838. Ap- presso è la prefazione, dove il eh. autore parla ai giovani e mostra suo fine essere stato ancora, oltre il racconto de'fattl, di metterli in qualche utile eser- cizio d'ingegno, di prudenza, di aflfetti e di buone volontà: poi dice, lui avere attinto alle fonti di Dio- nigi, di Livio, di Polibio, di Sallustio; ma di Li- vio principalmente, pigliando non pure la materia, ma alle volte traducendo que' luoghi , che meglio non potrebbero darsi: con che ha Inteso d'innamo- rare i giovani stessi dello studio de'classlci del La- zio, che durano belli e pregiati contro la guerra del tempo e della fortuna. In questo primo volume sono quattro libri: il 1.° è dal principio di Roma sino al principio della repubblica: il 2.° seguita sino alla creazione de'de- ì Istoria romana 95 cèmvlri: il 3.*^ giunge sino a Camillo, che salva Ro- ma: il 4.° sino ai giuochi celebrati l'anno 490 del- la fondata citta. A dire il pregio di questi libri saremmo infi- niti; perchè vogliamo rimanerci contenti ad osser- varli in qualche parte dal lato della morale, per cui a'glovani non solo, ma ad ogni ordine di per- sone torneranno utilissimi; potendosi da questi fa- re stima di quelli che seguiranno: de'quali io ne ho gustati più tratti, che l'autore per sua gentilez- za degnossi di leggermi. Al proposito adunque noteremo, quanto alla mo- rale, ciò che è detto non pure di Numa, che con- fermò la citta colla religione (più forte scudo delle armi stesse); ma ciò che si osserva sul fatto notis- simo di Lucrezia, che era già con somme lodi ce- lebrata. « Ma qui estimo (così il eh. autore) dover- « si considerare, se lodi piene le fossero veramen- « te dovute; perciocché il beneficio degli esempi, « che è principale nella istoria , viene ad essere « corrotto, dove le lodi non siano giustamente di- « stribuite, o le mal distribuite non siano sjiusta- « mente emendate. Poteva bene Lucrezia avere le « Iodi di pudica moglie; ma qual toglie a se la vi- « ta, è un micidiale; e chi nelle sventure volge con- « tro di se le mani violente , o è un debole che « non sa, o un orgoglioso che non vorrebbe le sven- « ture sopportare ». Ma bello è riferire le parole, con che finisce il primo libro. « Ora in questi fatti si può vedere « come le malizie quasi di loro piede vanno alla « loro rovina. Tarquinio Prisco per avere il regno « adoperò non solo le lusinghe, ma tradì la fede « di tutore; Servio Tulio lo ebbe coU'inganno: Tar- 9G Letteratura « quinio Superbo scelleratamente se lo tolse; nella « quale scelleraggine era la causa di doverlo per- « dere, e solo vi bisognava l'occasione, che fu data « da Sesto; come pure manifestamente da questi « fatti si può conoscere, che la superbia è a se me- « desima struggimento. E sebbene questi esempi « non siano nella condizione delle cose private, pos- ti sono non ostante alla privata vita servire di do- « cumento; giacche tali malvagità differiscono dalle « private solamente per la moltitudine, e per la « grandezza de'mali che partoriscono ». E non è da tacere ciò che è detto saviamente dopo narrati i fatti di Muzio Scevola e di Clelia. « Ora considerando questi due fatti estimo, che il « generoso desiderio di Scevola di liberare la pa- « tria fosse dal fellonesco modo disonestato. Clelia « poi, la quale per verginale prudenza fu certamen- « te assai commendevole, avendo usato il coraggioso « suo animo contro l'ordinamento del console, che « l'aveva data ostaggio, mi pare che non merltas- « se lode. Con esempio ben diverso si vedrà a suo « luogo in questa istoria alcun fatto di nobile pro- « dezza punito colla morte, perchè ruppe divieto. « Ma Roma in quei giorni aveva bisogno di ardi- « re, e perciò ogni fatto ardimentoso colle lodi e a colle statue celebrava ». Cosi il saggio autore viene spargendo la nar- razione di belle riflessioni, che senza esser sover- chie servono al fine dì formare il cuore ai giovani, ed avvezzare la mente alle giuste considerazioni, Ne solo ai giovani; ma al più de'iettori, a*quali, co- me dicemmo, torneranno utilissimi questi libri, do- te con tanto senno e tanto decoro sono narrate le Istoria romana 97 cose di quel popolo romano, che empì la terra del suo nome e della sua potenza. Fu notato da altri, che per la istruzione de' novelli usammo finora alcun compendio di estero scrittore tradotto. Da qui innanzi avremo un com- pendio tutto nostro per la lingua e per la morale, e degno della presente età e dell'avvenire. Raccomandiamo intanto questa prima edizione, che si fa sotto gli occhi dell'autore; onde maestri ed apprendisti se ne provvedano, essendone il prez- zo tenue appunto per la pili facile diffusione di un compendio, che sta bene in ogni famiglia: come è dell'istoria sacra dettata pulitamente dallo stesso au- tore, che non cessa di porre ogni opera pel bene delle lettere e degli studi. Del che abbia qui giu- sta commendazione. D. Vaccolini G.A.T.LXXV1II. 98 Memorie istoriche del duomo di Faenza e deper- sonaggi illustri di quel capitolo , esposte dal canonico Andrea Stracchi faentino , corredate di 14 tavole incise. Faenza tipografia Monta- nari e Marabini 1838, in 4.° grande dipag, 186. Oplcnde alla chiesa faentina quel vivo lume di S. E. R. monsignor Gio. Benedetto de'conti Folical- di, vescovo vigilantissimo, al quale giustamente so- no dedicate queste memorie. Le ha dettate con in- genuità e fedeltà il sig. canonico Andrea Slrocchi studiosissimo delle patrie istorie. Egli è inteso già da buon tempo a rendere meno incompleta la se- rie de'vescovi di Faenza incominciando dal marti- re s. Savino. Per la connessione delle materie ha pensato intanto mandare innanzi questo volume di- viso in due punti: nella 1 si descrive il tempio , disegnato dall' impareggiabile Bramante Lazzari , unendo in tavole incise la pianta, lo spaccato, ed il prospetto: si aggiunge l'esposizione delle cose am- mirate dagl'intelligenti delle arti, con incisione di ciò che proviene da lodati maestri. E prima è il monumento all'altare di s. Savino, che è in basso rilievo e diviso in sei storie , le quali sono come segue: 1.° il santo che fa orazione in luogo solitario presso Fusignano; 2.'^ predica il vangelo in Assisi; 3° atterra un idolo; 4.° ha tronche le mani; 5.° ren- de la vista ad un cieco; 6.° suo martirio. Viene ap- presso l'urna sepolcrale del s. vescovo e martire, E per toccare delle altre incisioni, evvi il monu- Duomo di Faenza. 99 mento del cardinale di s. Giorgio vescovo di Faen- za, e quello di Evangelista Masi, l'urna sepolcrale di s. Terenzio, il quadro d'Innocenzo da Imola, il monumento del cavalier Bosi, il reliquiario di s. Sa- vino, ed una iscrizione relativa alla dignità di ca- nonico custode nel capitolo sul fine del secolo XII. È incisa in rozza pietra nel muro esterno del duo- mo, e non era stata finora debitamente interpre- tata. Illustrate queste cose, si accennano antichi e nuovi privilegi del capitolo, tra i quali un onore- vole distintivo conceduto dalla santità di N. S. a petizione dello stesso monsignor Folicaldi. Segue un cenno storico sulla miracolosa immagine della B. V. delle grazie che si venera nella cattedrale. Quanto alla 2 parte, è qui la serie de'perso- naggi illustri di quel capitolo, e prima una memo- ria storico-critica intorno a s. Fulco proposto dalla chiesa faentina sul principio del secolo XIII, clic mostra essere stato soltanto eletto di Piacenza, nomi- nato poi e consecrato vescovo di Pavia: nel che l'au- tore combatte con documenti certi contro lo sto- rico Campi. Nota altresì che un canonicato fu te- nuto dal cardinale Giuliano della Rovere vescovo d'Ostia, che fu poi Giulio II. Il diligentissimo autore nutre fiducia, che que- sto saggio sìa per essere accolto si dagli studiosi del- le istorie ecclesiastiche, e si dai cultori delle arti belle; e promette indi pubblicare la serie cronolo- gica storico-critica de'vescovi faentini. A dare alcun che di queste memorie, sceglie- remo la biografia del cardinale Gio. Carlo Boschi, che è la seguente , colle parole stesse del lodato scrittore. « Nacque Gio, Carlo Boschi in Faenza li 9 apri- 100 Letteratura le 1715 di famiglia patrizia. Applicò agli studi nel collegio clemenlino in Roma, da cui passò nell'ac- cademia ecclesiastica. In tutte le scienze pel suo in- gegno singolare iece molti progressi, e ne riportò sino da quell'età l'elogio d'uomini sapienti. Due ora- zioni latine, 1' una sopra la cattedra di s. Pietro, che fu delta nella basilica vaticana alla presenza di Clemente XI I^ l'altra in morte dell'imperatore Carlo VI nella cappella quirinale li 26 novembre 1740 pubblicate con le stampe del Bernabò e Laz- zarini, piene aoìbedue di gravi concetti e di elegan- te elocuzione, gli acquistarono la stima del sommo pontefice Benedetto XIV^ nel di cui cospetto que- sta ultima fu recitata. Conseguì la carica di abbre- viatore della curia nel 1743, ufficio della quale è dettare e sottoscrivere le bolle. Fu fatto canonico nella basilica vaticana li 11 ottobre 1744. Nel mar- zo 1754 ebbe la carica di segretario de'memoriali. Giovò colla sua erudizione alle opere celeberrime del sinodo diocesano e del bollano composte da quel dottissimo pontefice. Il successore Clemen- te XIIl^ che dapprima per ìntima amicizia era a lui congiunto, lo assunse alla carica di segretario della cifra, e poscia all'altra più insigne di mae- stro di camera. In questo mezzo fu adoperato nella trattativa di gravissimi affari come uomo d'insigne prudenza, e bel parlatore. Nell'anno 1760 a'31 ot- tobre dal pontefice stesso fu consecrato arcivescovo di Atene, e li 21 luglio 17G6 creato cardinale. Fu prefetto della congregazione deputata a correggere i libri della chiesa orientale, e tenne luogo distin- to in molte congregazioni cardinalizie. Il primo di settembre 1767 fu nominato penitenziere maggio- re. Le virtù che gli abbellirono la vita sono in Duomo di Faenza 101 gran numero, e specialmente la illiLatezza do' co- stumi, l'affabilità, la modestia e la erudizione nelle cose ecclesiastiche e nelle profane furono in lui maravigliose, e lo resero caro a quattro pontefici, e ai più ragguardevoli personaggi. Il eh. Mazzuchel- li nella sua grand'opera degli scrittori d'Italia fa di lui onorevole menzione indicando le cariche lu- minose da esso sostenute, mentre era prelato. 11 ce- lebre P. Giambattista Roberti della compagnia di Gesù, in una sua lettera a monsignor Zaguri vesco- vo di Geneda parlando di questo porporato, lo di- chiara una gemma del sacro collegio per consen- timento universale. Lasciò a questa chiesa molti ar- redi sacri, che sono di ricamo d'oro, e di pietre preziose oltremodo adornati, e procurò che fossero aumentate le rendite della fabbrica e della sacre- stia di questa cattedrale. Ciò che egli ritraeva dalle sue abazie era da lui speso nel culto" delle rispet- tive chiese titolari, e potè dire nella sua morte che egli non ne lasciava parte alcuna ai suoi eredi. Ric- co di tante doti, terminò la sua gloriosa carriera in Roma li 5 settembre 1788 d'anni 73, e fu sepolto in s. Lorenzo in Lucina titolo del suo cardinala- to ec. ». Seguita riscrizione sepolcrale, che per brevità si tralascia: limitandoci a rendere la debita commen- dazione all'autore per la molta cura che pone nel ricercare e pubblicare preziose memorie, e confor- tandolo a dar fuori la Serie de''esco\>i di Faenza., come ha promesso. Loderemo in fine l'edizione di questo volume, nel quale ha pubblicato le memo- rie storiche, di cui vogliamo ci basti aver dato un cenno agli studiosi delle cose ecclesiastiche e delle arti belle. D. Vaccolini 103 VARIETÀ^ Elettrieismo. JLia scienza elettrica forma ora l'obbietto precipuo delle ricer- che de'fisici; ed è per questo, che avendo osservati alcuni feno- meni, che non mi venne fatto di leggere in alcuna opera di fi- sica, mi do sollecita cura di annunziarli con questa mia. I. Una pila elettrica formata a chiocciola o a spirale, come suole far costruire il valente professore ab. cavaliere Dal Ne- gro dietro la nuova proprietà dei perimetri da lui discoperta , presenta questo singolare fenomeno. Si faccia girare la pila a chiocciola di fianco al polo nord , o sia a quella parte dell'ago magnetico, che si volge al settentrione della terra : e si trova , che giunto il polo zinco dell'elemento volliano di fianco al po- lo nord dell'ago lo attrae, nell' atto che si chiude il circuito ; e collocatovi in quella vece il polo rame, lo respinge al compiersi parimenti del circolo. Il massimo dell'attrazione e della ripul- sione si scorge alle due estremità , che costituiscono i poli dell' apparato elementare. Neil' intervallo , che separa i due poli, l'ago non viene né attratto né ripulso ; ma nella circonferenza 104 Varietà' si diminuisce da un lato l'attrazione e dall'altro la ripulsione , fino a che si trova un piano, in cui l'ago non declina né dall'un lato né dall' altro. Nelle due indicale posizioni 1' ago oscilla in un piano verticale. Questo fatto è importantissimo, e costituisce il fondamento del conflitto elettro — magnetico di Oersted, Am- pere, Dela Rive, Faraday, Barlow , e Watkins , e della magne- tizzazione, come si vedrà nelle mie Ricerche elettro — magneti' che, che in breve pubblicherò. II. Immersa una pila a chiocciola in un bagno di acqua acidula in guisa, che l'azione chimica si manifesti con lieve ef- fervescenza, si scorge, che a circuito aperto , il gas idrogeno si svolge dallo spigolo superiore dello zinco, e ninna bollicina dal- lo spigolo del rame/ ma se si schiude il circuito , dopo alcuni minuti secondi cessa d'effervescenza allo spigolo dello zinco, e tutta o quasi tutta si manifesta sullo spigolo del rame ; e rac- colto il gas , si trova essere l'idrogene. In questo fenomeno chi- mico si vede chiaramente il trasporto del gas dal polo zinco al polo rame, e la ragione di quelle modificazioni , alle quali va soggetta la pila al chiudersi del circuito. Dischiuso il circolo , dopo alcuni minuti secondi, sullo spigolo del rame cessa intie- ramente l'effervescenza, e ripiglia suo corso sullo spigolo dello zinco. Questo tramutamento corrisponde al tempo delle perdi- te e delle riprestlnazioni, che fa l'apparato voltiano , come av- verti prima di ogni altro fisico il prof Brugnatelli. HI. Se a un cilindro metallico si avvolge una spirale iso- lata diretta da sinistra a destra, i capi della quale comunichi- no colla estremità del filo del galvanometro, si trova, che la cor- rente traversale nella spira va da destra a sinistra al capo del cilindro ove entra l'elettrico. Questo fatto, pubblicato altra vol- ta da me ed ora ancora esteso alla elettricità di attrito, è il fon- damento unito al primo delle deviazioni degli aghi magnetici, intorno alle quali sono celebri le immaginose ipotesi di Oersted, di Ampere e di Berzelius. IV. Se ad un filo metallico percorso da una corrente elet- trica si avvicini altro in istato naturale, si trova, chela corrente indotta ora va nella stessa direzione deirinducente,ed ora nella contraria , secondo la varia tensione della elettricità statica , dalla quale si deriva la dinamica, e la varia distanza, nella qua- le si colloca il filo, che è allo stato naturale , da quello invaso dalla corrente. Queste particolarità si legano all'atmosfera elet- Varietà' 105 trica, come avviene ancora nei fenomeni d'induzione statica , e dimostrano come la legge del Faraday sulla induzione non è universale, ma un semplice fenomeno di quelli, che presenta l'atmosfera elettrica. "Venezia il io dicembre del i838. Francesco Zantedeschi professore di fisica nell'I. R. liceo in Venezia. Jl trionfo della religione in Algeri. Del patrizio Gian Carlo di Negro. 8.0 Genova 1808, tipografia de^ fratelli Pagano. (Sono carte 25). V^uando nell' età nostra avviene alcun fatto celebre o per re- ligione, o per valore, o per cortesia, è ben difficile che si tac- cia la musa del signor marchese di Negro. L'anima sua nobilis- sima n' è subito vivamente commossa : ed alla commozione non è tarda a succedere l'inspirazione. Ora di qual fatto più illustre a questi giorni può rallegrarsi la religione, che di scorgere Al- geri divenuta provincia di un gran regno cristiano , e quindi pacifica sede di un vescovo zelantissimo e di tanti operosi mi- nistri del vero Dio? Qual tema più Ijello e sublime ad una poe- sia, che non voglia più darci canore ciance ( delle quali tutto il mondo è ornai sazio), ma splendidi documenti di virtù, e ve- re glorie del secolo? E di questo tema non si è mostrala minore nella presente cantica la fantasia del sig. di Negro : a cui vo- gliamo perciò qui porgere quella lode che altamente a un beli' ingegno e ad un bell'animo si conviene. G. A. T. LXXVIII. '106 Varietà' Opere diverse delV architetto cav. Luigi Canina accademico di merito residente della pontificia accademia di s. Luca , so- cio ordinario della pontijicia accademia romana di archeo- logia, socio onorario della direzione delL'instituto di corri- spondenza archeologica, ed aggregato ai soci corrispondenti di altre accademie di scienze e belle arti delle più cospicue città d' Europa. jL\ nome del cav. Canina è ornai fatto celebre non pure in Italia, ma in Europa; tante e si importanti sono le opere, colle quali va egli illustrando l'istoria non meno, che le arti e le an- tichità. Quindi non sarà chi non faccia buon viso a questa rac- colta delle più insigni fra esse: e sono : i .<> L' architettura an- tica descritta e dimostrata co'monumenli. Edizione seconda in IX volumi in ottavo con tavole, v." La storia e topografia di Ro- ma antica e sua campagna-.'in Vili volumi con tavole. 3." Gli edi- fizi di Roma antica e sua campagna, cogniti per alcune reliquie, descritti e dimostrati nella loro intera architettura: in due volu- mi in foglio con tavole. Questa raccolta si stampa in Roma nella tipografia a tale oggetto stabilita presso il eh. autore in via Gregoriana n. ^i, e sarà pubblicata in tre anni, incominciando dal principio dell'an- no corrente i85g. La prima opera non oltrepasserà il costo di scudi romani 90, pari a lire ital 5oo; la seconda non oltrepas- serà quello di scudi 35, pari a lir. i35; la terza è di scudi 54, pari a lir. 3oo. Varietà' 107 La donna saggia ed amabile. Libri tre di Anna Pepali uedova Sampieri. 8,0 Capolago, tipografia e libreria elvetica i838. (Un voi. di carte 419.) -Uella donna saggia ed amabile non poteva che scrivere egre- giamente una dama cosi amabile e saggia com'è la chiarissima si- gnora contessa Pepoli Sampieri. Quindi il libro ci par degno e della gentile sua mente e dell'aurea sua penna. Imperocché non è cosa che leggermente vi sia trattata, incominciando dalla re- ligione santissima,principio e fondamento di ogni umana virtù e civil società. Com'è bello intorno a ciò il preambolo ch'ella fa alla parte seconda, dove dice AeWeducazione ! „ Conclossiachè „ lo studio della religione ( sono parole della signora contessa ) „ sia principio e fondamento d'ogni studio, e guida sicura alla „ feh'cità , ho stimato cosa opportuna, ed anzi necessaria che , „ imprendendo io a trattare dell'educazione in questa seconda' „ parte del mio lavoro, faccia precedere alcune poche conslde- „ razioni su quella; le quali se non saranno di quell'altezza che „ richiederebbe la sublimità dell'argomento, credo che i leu.,,,! „ di buongrado il condoneranno non tanto alia piccolezza d. ì- „ l'ingegno mio, quanto al fine a che mira quest'opera , in cui „ dovendo dell'educazione dar precetti, parmi che basterebbe- „ ro le parole che intorno la religione qui sono per fare , per- „ che sempre più sia dimostrata vera quell'antica sentenz'a.che „ 1 educazione dell'uomo mal si comincia se dall' insegnamento „ della religione non prende suo principio. Onde dal nome di » lei pigliando buon augurio al mio qualsiasi lavoro, verrò con „ dimesso stile dimostrando siccome sia santissima nella sua fon- „ dazione, purissima ne'suoi dogmi, giustissima e d'utilità som- » ma ali uomo ne'suoi precetti „. E come pur belle sono quelle altre parole ? „ Come potranno i figliuoli della Chiesa d'ogni „ grado non vergognarsi dicendo , che i lavori e le occupazio- „ ni tolgono loro assolutamente il tempo di studiare la vera re- ,, l.gione ? Provano essi rossore nel comparire al cospetto de' „ miscredenti, siccome conoscitori del vero Iddio ? O non po- ,. iranno col loro esempio mostrar questo ,. che nelle speranze „ re ig.ose solamente si può cercare il sommo della filosofia e „ della felicità ?„ Noi abbiamo letto questo hbro con incredibil 108 Varietà' piacere^ e con ugual maraviglia di tanta bontà e dignità di sa- pienza, di tanta nobiltà di dettato: e solo preghiamo l'illustre e nobilissima dam^t a considerare, se in una nuova edizione, che certo se ne farà, possa opportunamente darsi mano qua e là a qualche più precisa dichiarazione di alcune sentenze; sulle quali però ci guarderemo bene di malignare, specialmente quando ia animo si cortese e si retto parla o l'amor fraterno, o l'amicizia e la gratitudine. ItrtitaSìóne di due elegie di Sesto Aurelio Properzio fatta dn Giuseppe Ignazio Montanari. 8.° Pesaro, tipografia Nobili i838.(Sono carte il). JUe elegie di Properzio, ch'egregiamente il professor Montanari ha qui preso meglio a tradurre che ad imitare, sono la seconda del libro primo, e la seconda del libro secondo. Noi abbiamo detto egregiamente: e che non ci sia fatto velo al giudizio dalla stima e dall'amicizia che professiamo al chiarissimo scrittore ^ da se stesso conoscalo II leggiltore per questo saggio. Varietà* 109 ELEGIA II DEL LIB. l. A Cinzia perchè fugga le lusinghe del lusso. Colla chioma di perle e d'or contesta Muover, dolce mia vita, a te che giova, Ed i seni agitar della eoa vesta ? O che mirra orontea dal crin ti piova? Che vai che tu ti renda, o Cinzia mia. Schiava di merce peregrina e nova ? E perdere la tua beltà natia Per fucate lusinghe, e alle tue care Forme negar la propria leggiadria? Mei credi; nulla può l'arte aitare A tua persona. Ignudo amor non prezza Beltà che sol per artificio appare. Vedi qual «fletta il suol varia bellezza In più facce di fior vermigli e gialli; Edra, che da se nasce, ha più vaghezza. no Varietà* Ve'come lieto in solitarie valli Sorge l'arbusto, e volgoao i ruscelli Per non segnati solchi i lor cristalli. Splendon le gemme accese in color belli Sul natio lido, e dolce l'aria intorno Fanno senz'arte risentir gli augelli. Non Castore cosi fu preso un giorno Per Febe di Leucippo, né Elaira Piacque a Polluce per lo viso adorno. Né alla figlia di Eveu cosi sospira Ida, né Febo in cui l'ardor si puote Che l'eca al patrio suol ree fiamme d'ira. Non il falso candor delle tue gote, 0 Ippodamia, ebbe il garzon piagato Che ti rapiva sulle frigie rote- L'ingenuo viso non di gemme ornato Trasse gli sguardi, qual soglion d'Apelle 1 semplici colori ond'è laudato. Desio d'aver più d'un amante a quelle Non punse il petto, e sempre lor fu a cuore Sentirsi dir pudiche anzi che belle. Varietà' 111 Io faccio a te di quelle al pari onore : Casta donzella, a cui un uoin sospira. No sa piegarsi ad un secondo amore. A te Febo benigno il guardo gira, E de'suoi carmi ti fa don, né avara Porge Calliope a te l'aonia lira. Sta sul tuo labbro ogni dolcezza: rara Cortesia ti fiorisce ognor la vita; Cotanto a Palla e a Citerea sci cara. I giorni miei tu gioverai d'aita Soavemente, o mia Cinzia gentile. Se, come sei d'ogni valor vestita. La noia avrai d'altre lusinghe a vile. H2 Varietà' Estratto delle rime del conte Ph. d'A. P. A. — 8.° Avignone dalla tipografia di Francesco Seguin i838. ( Sono carte 5i.) XJLiitore. di queste rime è il signor conte Filippo d'Arbaud, gen- tiluonio d'Aix in Provenza. Niuna cosa egli ama tanto , quanto la poesia italiana : ed ha fatto su'nostri classici] uno studio lua- ghissirao, specialmente ne' suoi viaggi a Roma e a Firenze. In Roma pubblicò il i836, dalla tipografia Olivieri, un libretto dì rime sotto il nome di Teandro Elateo P. A., donandone il titolo a'suoi illustri amici monsig. Carlo Emmanuele Muzzarelli e pro- fessore Salvator Betti. Ora appena ripatriato eccone un altro, parimente intitolato ai due lodati signori sotto l'arcadico loro no- me di Dalindo Efesio e di EntlmoPanopeo.Che ne diremo? Egre- gia certo è la volontà del signor d'Arbaud : molta è anche l'in- telligenza ch'egli ha della lingua di Dante, del Petrarca, e degli altri Italiani de'secoli XIV e XVI .■ ma troppo gli manca l'uso comune del parlar nostro. Sicché non osereino affermare ch'egli scriva italiano si bene, come fecero altri stranieri, e soprattutto il Milton, il Menage, il Regnier Desraarais. Sia per saggio questo sonetto, ch'é certo il migliore di tutta la scelta : A Thorwaldsen. L'opra chiara stupisco ed immortale Da Alberto sculta e ch'a lui cresce onori. Di Filippo la prole, i corridori Reggendo, appar dal carro trionfale. E veggio quanto gloria è cosa frale A re privo di scettro e di splendori. Belle donne vegg'io che spargon fiori, E 'incontra quai virtù d'armi non vale. Quel villanel, che mandra ivi conduce. Tutto mira sorpreso e nulla teme, Ch'abita sicurezza le case ime. Divina è l'arte, ove il piacer n'adduce Grandezza disprezzar e temprar speme, "Verità dimostrando alta e sublime. V A K I I T A fO Elogio del cav. Gio. Battista Zannoni, detto da Fruttuoso Bec- chi nella solenne adunanza delV accademia della crusca te- nuta la mattina del io settembre i833. 8.0 Firenze coi tipi della galileiana i838. (Sono carte 22). Intorno a Giambattista Zannoni, nome sempre caro alle italia- ne lettere, arevamo già fin dal i835 alle stampe un'ampia e ma- gistrale biografia (se pure vuol chiamarsi cosi, e non anzi vita) scritta dal celebre Cavedoni, ed inserita nel tomo IX della con- tinuazione delle memorie modenesi di religione, morale e lettera- tura. Or ecco pure l'elogio che il signor ab. Becchi ne recitò all'accademia della crusca: elogio pieno di bella eleganza e dot- trina, e degno cosi dell'illustre letterato defunto , come del vi- vente e chiarissimo successore di lui nel segretariato di essa fa- mosa accademia. i>lel giorno 3o dello scorso gennaio la gentile Pesaro pianse la morte del cavaliere Antonio Donati mancato in età di 38 an- ni e pochi mesi. Questo nobile giovane aveva viaggiato per molti anni nelle più eulte nazioni d'Europa, e si era fatto ovun- que distinguere per la genlilezita e probità de'suoi costumi. Re- stituitosi alla patria , ove lo richiamavano il desiderio e i voti de genitori, per satisfare alle brame loro, prese a moglie la mar- chesa Silvia Romagnoli, dalla quale fu consolato di due figliuo- li. Mentre egli viveva in mezzo la domestica pace, amato e ca- rezzato da tutti.fu soprappreso da violenta malattia di nervi che m breve gli tolse la vita. Quanti lo conobbero vivo, morto lo piansero, e spezialmente i poveri, ai quali veramente fu sempre più presto prodigo, che largo di soccorsi. L' infelice suo padre Vincenzo Maria, rimasto prima senza moglie, poi senza figliuoli, gh fece fare esequie solenni e convenienti alla nobiltà della sua' 114 Varietà* famiglia, le quali poi vennero rinnovate anche nel giorno setti- mo dopo la morte. In queste ultime si leggevano le seguenti iscrizioni dettate dal eh. prof. Giuseppe Ignazio Montanari. I . alla porta delta chiesa TEMPLVM . HOC . INGREDIMINI . CIVE3 SVPPLICATVRI . AD . ARAS VTI . SERVATOR . GENERIS . HVMANl ANTONIVM . DONATI . EQ. evi . DIE , Vìi . AB . HVMAtlONE FVNVS. INSTAVRAMVS PUS . PLAGATVS . INFERIIS REQVIETE . AETERNA . RELAXET 2. sul catafalco. ANTONIO . DONATI PATRIC. PISAVREN. SAMARINEN.ET.FELTREN.NOB. INTER . EQVITES . GREGORIANOS . ADLECTO CVBIGVLARIO . MAGNI . DVClS . ETRVRIAE VIRO . INTEGERRIMO . PIENTISSIMO QVI . MVLTIS. EVROPAE . GENTIBVS . PERLVSTRATIS PARENTVM.DESIDERIO.INDVLGENS.DOMVM.SE.RECEPIT MORTEM . MATRIS . KARISS . INVICTO. ANIMO. TVLIT QVVM.OTII DOMESTICI.TRANQVILLITATE. VTERETVR PRAEPROPERO.FATO.CORREPTVS.DIEM.SVVM.OBIVIT m. KAL. FEBR. MDCCCXXXIX. AET. S. XXXVIII. P. M. VINCENTIVS . MARIA . PATER SYLVIA . ROMAGNOLI . MARCH . VXOR FILIO . DESIDERATISS . CONIVGI . OPTIMO CONTRA . VOTVM . CVM . LACRYMIS P.C. Varietà» 115 5. tii lati del catafalco AERVMNOSAE . PLEBIS . INOPIAM CHARITATE . ET . BENEFICENTIA . LENIIT n. VIRTVTEM . ET . SINCERAM . PIETATEM EIDE . ET . OPERE . EXCOLVIT III. FILII . OBSEQVENTISS . CONIVGIS . OPTIMI EXEMPLVM . QVOTIDIE . PRAEBVIT 116 ERRATA CORRIGE Nelle mie Descrizioni di opere di belle arti, pubblicate nel pas- sato tomo LXXVII, sono occorsi tre principali errori di stampa^ i quali desidero che siano qui notati. Il primo è a carte 3og lin. 5i, dove si ha dirò in vece di dirà. Il se- condo è a carte 325 lin. 27, dove si ha in petto, in vece d' in mente. Il terzo è a carte 33 1 lin. 26, dove si ha // che in vece di La ^ua/e.Tutti e tre questi errori sono sostanzia- lissiiui. S. Betti I NIHIL OBSTAT E Jacoplni, Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr, Dom, Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patriarcha Antiocheuus Yicesg. Osservazioni Meleorólogiche )( Collegio Romano )( Gennaro 1839. 1 Ore B bromet. Terni, esterno Term max. imelro min. 0 7 Igrom. Vento Pioggia E vapor. li 1 7 Stato del Cielo 1 mal. gì- ser. 28'' »» 27 "• o^'-3 11 5 8" IO 6 3 7 3 10°5 8° 14 23 • 5 25 8 1 «9 i3 N for. » >» » f- nuvoloso eh. vap. oriz. i 5 a mal, gì- ser. »> 10 7 » 3 8 2 „ m « d 0 0 N "d Jl jj >j 1» 0 0 " i> Il nu. „ chiarissimo )» ' mal. gì- ser. 28 „ 6 il 7 1 0 3 10 0 5 „ p. nv. oriz. 4 5 6 7 mal. gì. ser. mal. gì- ser. » a 5 » 3 0 „ 2 8 2 8 8 10 1 5 16 1 ' 4 II. ch.oriz.nuv. coperto tutto 7 11 9 9 IO 8 a 8 8 5 11 5 6 5 6 a S m. » >> 50^'ra~ 0 „ NO „ piccola 1 nuvoloso » » 6 i 5 11 8 1 19 20 0 i5 1 ^— 4 0 9 7 24 7 4 25 19 i5 54 27 piog. 2 cbiariss. chiarissimo JJ coperto nuvoloso Ti. ch.oriz.nuv. mal. ser. 27 II 28 il 3 10 8 0 2 il i 5 8 0 0 E d S d 2 mal. ser. a?" I 5 „ 3 0 7 II 3 10 7 11 0 9 10 8 4 8 6 12 SE „ s „ 0 0 0 il 25 1 6 6 mal. gì- ser. 9 mal. gì- ser. Jl " 7 » 6 „ 5 1 0 3 5 >i » S d NO f. N fmo » » „ fte «) furioso „ fino 0 75 2 chiarissimo 1» BUV. sp. IO il 12 i3 '4 i5 mal. gì- ser. 28 10 2 » 7 0 5 5 6 3 7 4 3 5 chiarissimo mal. gi- ser. mal. gì- ser. » a 9 „ a .. 7 3 5 .. 7 » 0 a 4 3 3 7 4 3 7 5 45 1 a ^ li 8 20 26 i5 24 4 0 9 I 1 5 0 ti 1) 1) 1) j. (1 2 chiariss. ser. nu. sp. chiariss. iiu.sp.oriz.nu. chiariss. lutto mal. g'- ser. n 1» » a 7 » 8 5 0 9 2 0 0 1 4 mal. gi- ser. 1» 27 i> 2 7 „ 0 11 7 » 0 1 6 5 7 8 II 8 9 5 11 0 ó 1 N d 0 0 nri'ii;it i^r^'^' tm I ser. saporoso nuv. tutto mal. gì- ser. S d Jl )) 0 0 1 )i ij » Ore mat, gì- ser. mat. ner. mat. Sm- inai, ser. mat. 20 §'■ Baromet, DO. li. r nf 9 5 » 9 3 5» » 3 » IO 7 28 i-er. miit. 21 gì- .'■er. mat. 22 81- sei: mat. 20 8'- ser. mal- 24 8'- ser. mat ' 25 i'- ser. mat. 26 Si- ser. mat. 27 (?'• 27 IO 9 4 10 o 11 8 o 7 ter. 28 39 3o mat. 8ì- ser. mal. gì- ser. mat. 8^- ser. mat. 6'- ser. " 0 5 » 0 6 ,,02 27 11 3 — 10 4 9 6 10 9 « 9 10 3 8 2 6 3 8 3 „ 0 7 6 „ 8 8 0 6 8 » 0 » 4 INDICE DELLE MATERIE Contenute nel voi. 232. SCIENZE Tortolini, Quadratura dell' ellissoide a Ire assi inegufili, r*"'' ' S. G , Cognizioni intorno alla virtù de'pesci elettrici prima del galvani- smo ec. „ 22 Z;intedeschi , Ricerche sul tprmo — elettricismo dinamico ec. ,, 4^ LETTERATURA Alfonsi, Vocabolario di patrio dialetto „ 49 Ciampolini, Prose e Poesie. ,, Sg Cardinali, Cenni inl-ruy ad opere biografiche. >, ?2 Biografie e ritraiti d'illustri siciliani morti di colera nel iSSj ,, 86 Farini, Compendio di storia romana. „ 94 Slrocchi, Memorie sul domo di Faen- za. ,, 98 Varietà. Tavole meteorologiche. GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 233, 234. ROMA NELLA STAMPERIA DELLE BELLE ART» 1839. 12! SCIENZE Sulla lenta angioite predominante nelle vene cele- brali prodotta da patemi d^animo deprimenti., e risoluta con fausto esito dopo gravissima epi- tassi. Dissertazione del dott. Angelo Sorgoni di Recanati., membro di varie accademie , e pri- mo medico di Montolmo. JL progressi fatti dalla fisiologia hanno oggi di- mostralo colle piìi plausibili ragioni la necessaria influenza de'nervi sulle funzioni del sistema vasco- lare sanguigno, Vematosi, e la circolazione del san- gue. Dietro tali progressi la dottrina di llallcr, e de'suoi seguaci Fontana, Caldani, Prokaska, Chri- cton, Girtanner, Beherends , Blane, che escludeva da'movimenti del cuore la nervosa influenza , non ha potuto reggere agli argomenti, che in contra- rio le vennero esposti dai Gullen, Zimmermann , Gregory, Lecat, Cigna, Fa])re, Scarpa , e da altri classici autori. Ed è per siffatti argomenti, che le attuali fisiologiche dimostrazioni porgono fuori di ogni dul)ljiezza i rapporti sì dinamici e si chimi- mico— organici esercitati dall'azione nervosa sulla sanguificazione, e sulla circolazione del sangue. Del- la quale veri Ih penetrato il Lobstein, nominò il nervo intercostale il nervo della circolazione; e Sa- G. A. T. LXXVIIl. 9 122 Scienze li e tanti esperimenti furono istruiti da Dumas , Dupuy, Dupuytren, Bell, Bichat, Blainville, Em- mert, e da altri sulla nervosa influenza dell'appa- rato di que'nervi, il cui centro è il nervo pneu- mo-gastrigo, che per essi si è rinvenuto essere que- st'appunto quello, che mantiene i rapporti tra la circolazione e la respirazione, ne' quali prende tan- ta parte l'ematosi. In siffatte medesime funzioni, la sanguificazione e la circolazione del sangue, fa d' uopo ancora ravvisare 1' influenza di que'nervi, che formano una delle parti essenziali componenti l'or- ganizzazione del cuore, e di tutto il sistema de'va- si sanguigni. Per il che siccome l' illustre Medi- ci ammetteva l'azione nervosa determinatrice im- mediata de'movimenti del cuore negli stessi nervi cardiaci, che si diramano nel tessuto di questo vis^ cere, e formano una parte essenziale di sua organiz- zazione; COSI pure convien ravvisare l'azione nervo- sa, che immediatamente determina i movimenti dell' intero sistema vascolare in que'moltissimi rami ner- vei, che secondo le scoperte principalmente di Soe- meringe di Lucae, si distribuiscono nel tessuto vas- colare, e secondo il medesimo Lucae formano in que- sto tessuto una specie di delicato reticolo, concor- rendo in SI fatta guisa all'organizzazione de' vasi san- guigni. E questa immediata nervea azione nel cuore ed in tutto il sistema vascolare non solo è la cau- sa vitale del producimento de' moti dinamici di ta- li vasi, pe' quali si effettua il circolo sanguigno , ma ancora è causa vitale della sanguificazione, sic- come ciò s^ dimostra con validissimi argomenti fi- siologici. Ma i necessari suddetti rapporti sì dina- mici e sì chimico-organici, i quali nella sanguifica- zione e nella circolazione del sangue si esercitano Sulla. Lenta Angioite 123 da que'nervi, che immediatamente concorrono all' organizzazione del cuore e di tutti i vasi sanguigni, secondo il parere di alcuni autori, o da que' ner- vi che costituiscono 1' apparato del pneumo — ga- strico e dello intercostale, secondo altri autori , oppure si esercitano tanto dagli uni quanto dagli altri di siffatta serie di nervi, siccome ciò sembra esser cosa più d'ogni altra ragionevole; questi me- desimi rapporti, mentre ricevono l'immediata ne- cessaria influenza da tali nervi, sono pure in corre- lazione coir intero sistema nervoso. Imperciocché siffatta correlazione è manifestata da ciò, che l'azio- ne fisico-organica delle cause fisiche prodotta in qualsivoglia parte del sistema de'nervi è capace di turbare tali rapporti: da ciò, che questi restano pur turbati dall' azione chimico—organica delle stesse fisiche potenze agenti in qualunque punto del ner- voso sistema: e da ciò ancora, che le cause morali, fra le quali singolarmente i patemi d'animo, eser- citano un'influenza grandissima nella sanguificazio- ne e nella circolazione del sangue , siccome con fatti mille quest'influenza si dimostra nell'ordina- ria osservazione fatta sugli uomini vessati dalle mo- rali affezioni. In conseguenza cogli effetti di tali cause sì fisiche e si morali, sviluppati nell'ematosi e nella circolazione, rimane dimostrato, che l'inte- ro sistema nervoso è in correlazione co' rapporti tanto dinamici, quanto chimico— organici prodotti da'nervi nelle due sunnominate funzioni del sistema vascolare sanguigno. Ravvisata in tal modo la influenza dell'inte- ro sistema nervoso nelle funzioni de' vasi sancui- gni, potrà esser meglio conosciuta e calcolata quel- la concatenazione di effetti , che ha principio da' 124 Scienze patemi d' animo deprimenti , e perviene sino al completo sviluppo dell' angioite colle conseguenze di quest'infiammazione. Ed è perciò che, ilietro i progressi fatti dalla fisiologia, io tornerò a consi- derare (I) la lenta angioite prodotta da'patemi d'a- nimo deprimenti con altra osservazione relativa- mente a qualche fenomeno singolare da tal ma- lattia presentato, ed all'esito di emorragia, che nel- la medesima flogosi succede: il tutto in relazione col metodo curativo. Con molti fatti notati da'classici dell'arte me- dica si dimostra evidentemente l'azione fortissima che i patemi d'animo, col mezzo de'nervi, hanno sul cuore e su tutto il sistema vascolare. Si notò come fatto, che da'commovimenti dell'animo violen- ti sì producono ancora nel sistema sanguigno ef- fetti violenti, quali sono i turgori vascolari, la flo- gosi acuta de'vasi , lo sconcerto mortale della cir- colazione col disequilibrio di essa immediatamen- te all'impeto morale, e la stessa rottura de'vasi. Si notò pure come fatto, che non sempre effetti vio- lenti nel sistema irrigatore derivano dalle morali cagioni , ma che ne conseguitano ancora effetti di lento procedimento, specialmente quando l'azione de'patemi d'animo non succede in un modo violen- to, ma a gradi continuati. Sia di ciò una prova l'al- terazione lenta diatesica , o chimico-organica, che ne'vasi è prodotta dal continuo e lento dispiacere. E veramente si trova ragionevole il pensare , che come il forte ed improvviso dispiacere mediante (i) Vedi fase. i6 ùcgli opuscoli della sociclà incdico-cliiriu- gica di Bologna, ili cui evvi l'altra memoria del Sorgoni sulla leiUa angioite prodotta da patemi deprimenti. Sulla Lenta Angioite 125 i nervi produce le tante volte nel sistema vascola- re un' acuta alterazione proporzionata in intensi tU alla causa produttrice, ed all'individuale suscetti- vità organica ; così il dispiacere lento e continua- to produce alterazione lenta e continuata nello stes- so sistema vascolare. DifFatti quella stasi sanguigna, che nell'impetuosa sensazione dispiacevole succede in un tratto del sistema irrigatore analoga alla mor- bosa cagione, e clic quindi dà immediatamente ori- gine ad acute alterazioni, nel caso di lento e con- tinuato dispiacere avviene lentamente in modo , che corrisponde all'azione di sua causa, e produce poi lenti i suoi effetti. Si nota ancora , che a se- conda del morale patema, ed a seconda dell'orga- nica predisposizione, le prime morbose alterazioni nel sistema irrigatore in rapporto immediato colle cagioni si producono in vari punti di esso sistema, come ne' vasi cerebrali , toracici , addominali. Le quali alterazioni stabilite in vari tratti de'vasi san- guigni in forza delle cagioni e dell' organica pre- disposizione, dopo d'aver percorso un certo dato periodo, sogliono produrre risultati diversi tra lo- ro relativamente allo stato dell* organizzazione in rapporto all'individuale temperamento, all'età del soggetto invaso dalla malattia in discorso , al cli- ma, al modo di vivere, e ad altre cause concomi- tanti. Per il che in seguito alla lenta angioite so- gliono prodursi ordinariamente dilatazioni aneuri- smatiche, ossificazione di qualche tratto delle pa- reti arteriose, l'idropisia, l'emorragia, ec.Fra i qua- li esiti della lenta angioite io andrò a considerare, come diceva, l'emorragia de'vasi cerebrali nel ca- so, che sono per esporre, di lenta angioite prodot- ta da lento e continuato dispiacere, dopo d'aver 126 Scienze fatto già alcune considerazioni sulla stessa malat- tia ( vedi la mia memoria sopra citata ) prodotta da patemi d'animo deprimenti, e terminata coU'e- morragia da'vasi addominali e toracici. Ed intanto una signora di trentacinque anni, di temperamento nervoso-sanguigno, dì collo cor- to, di capo assai sviluppato , avente l'occhio nero con guardo tetro, ed il sopraciglio denso , e con- siderabilmcnfe distante dal bulbo deiroccliio: il to- race aveva sufficientemente sviluppato , 1' addome panciuto, e le sue estremità inferiori grosse, e non molto lunghe : per il che non era molto alta la sua macchina, ed aveva il suo andamento progres- sivo, lento, e maestoso. Venne educata in mezzo al fasto ed alle idee di mala intesa grandezza; per il che il suo morale si formò agitatissimo in modo , che la soddisfazione d'un desiderio serviva di mez- zo per avere altri desiderii, sempre con affannosa cu- ra e con ambascia , specialmente quando opposi- zione insuperabile s'incontrava alle sue brame. Era infastidita da' mezzi di conservare lo stato, in cui trovavasi, per l'ardente desiderio di migliorar for- tuna ; veniva vessata dal timore di essere da altri superata; e così la sua vita era un continuo tor- mento. Da ciò avvenne, che i dispiaceri da lei sof- ferti per gli obici incontrati al suo orgoglio es- sendo continui per la continuità delle cagioni, al- terarono il suo fisico disposto a sentir fortemente l'azione di tali cause. La quale alterazione si ma- nifestò con quelle sensibili qualità, per cui suolsi ravvisare una marcata depressione di tutto l'orga- nismo, e specialmente delle parti encefaliche, sic- come lo dimostrava lo stato dinamico generale, ed un parziale difetto delle intellettuali funzioni. La Sulla Lenta Angioite 127 continua azione della causa morbosa non tardò di esser seguita dallo sconcerto de'rapporti fisico-or- ganici del sistema sanguifero. Imperocché la me- struazione divenne assai copiosa , e due volte av- veniva entro lo spazio d'un periodo lunare, i pol- si si fecero assai frequenti, il volto e tutta la su- perficie del corpo si tinsero di color terreo, la lin- gua si coprì d'un fosco pallore, si manifestò tur- gescenza delle vene superficiali del corpo , e spe- cialmente di quelle del collo e del capo : si pre- sentarono sintomi di dispepsia , il respiro si fece ambascioso, ed accusava l'inferma un senso di op- pressione e di pena in qualunque esercizio del corpo. Nel quale stato si procurò di rendere me- no sensibile, per quanto il si poteva, T impressione della nota morale cagione con tutti que' mezzi mo- rali , che possono essere additati opportunamente dalla scienza salutare; i quali mezzi però riusciro- no ineflìcaci, non solo per la difficoltk di vincere morbi di tal natura, ma anche per la persistenza della sopraccennata morale cagione. Mai non aveva calma lo stato di dispiacere in quest'infelice: anzi maggiormente divenne intenso, quando la sua pas- sione si trovò più arrestata ne'suoi insaziabili tra- sporti per molte disavventurose circostanze accadu- te in sua famiglia tendenti tutte alla sua depres- sione. Per il che quel morbo , i cui principi i , come sono stati rimarcati, già eransi sviluppati, si aumentò, mentre prosegui a manifestarsi col succe- dere a'sintomi sopra nominati, costante febbrile vi- brazione arteriosa prevalente più d'ogni altro pun- to ne'vasi cerebrali, de'quali l'inferma accusava mo- lesti i battiti, senso di peso e di calore al capo , flacciditk de'tessuti organici, ed il più marcato abi- "128 Scienze to ciorotico. Mentre si presentò l'annunciata mor- bosa successione, furono amministrati i marziali, gli acidi, e veniva eseguita qualche sanguigna sottra- zione. In progresso di tempo, sempre pili aumen- tandosi Io stato morboso in questo soggetto, si con- tinuò a notare il costante predominio della malat- tia nel capo; poiclic anche le funzioni intellettuali continuarono ad alterarsi, essendosi sconcertato 1' ordine , per cui si eseguiscono nello stato sano le sensazioni e le volizioni. Una erronea sensazione di deficiente ricchezza dominò il suo sensorio, in- torno a cui si aggirarono le strane ed incongrue operazioni dell'intelligenza. Rimase la paziente nel- lo sconcerto di tali funzioni per vari mesi : dopo de'.quali ebbe una certa calma in seguito a qual- che sanguigna emissione , ad un vitto totalmente vegetabile , ed alla continuata dimora in amena campagna. Dopo poco tempo di siffatto migliora- mento l'inferma, sempre con lo stesso abito cioroti- co, tornò ad accusare il senso di peso e di calore al capo, di cui specialmente lagnavasi nelle ore ve- spertine: si accrebbero in intensità i sintomi flogi- stici, e quindi presentarono piìi d'ogni altro tem- po considerabile alterazione le funzioni intellettua- li. Ed in questo stato un giorno la paziente fu pre- sa da SI forte e tale epitassi, che per la grave per- dita di sangue fatta nel tempo di circa ventiquat- tr ore, in cui durò quest'emorragia, e per aver fat- to resistenza in tutto questo tempo al salasso , al ghiaccio, all'ipecacuana, agli acidi, alle meccaniche compressioni, pose l'inferma nel piii grave perico- lo di sua vita. Riscossa dal quale stato col soccor- so de' citati presidii , andarono gradatamente ri- stabilendosi le funzioni dell'intclligeuza, e miglio- Sulla. Lenta Angioite 129 rò ancora sempre più il suo fisico. Quindi si se- guitò la cura nel modo soprannominato, continuan- do la paziente a dimorare nelle campagne. Di quan- do in quando si eseguiva qualche emissione di san- gue; si continuò l'uso degli acidi e de' cibi vegeta- bili: e così dopo il corso di quasi un anno, facen- do essere il soggetto in discorso lontano dal gran mondo , e confortata dagli aiuti di nostra s. reli- gione, potè riordinarsi il suo fisico, e per conse- guenza ritornarono nello stato normale tutte le or- ganiche funzioni tanto relative al sistema nervoso, quanto agli altri sistemi. Per intendere questo fatto, e tanti altri con- sìmili prodotti dalle morali cagioni, si devono va- lutare i patemi d'animo nel nostro caso deprimen- ti, 1.° in quanto agli effetti per essi indotti nel si- stema irrigatore : 2.*^ in quanto alla loro elettiva azione nelle varie parti del sistema nervoso: 3.° in quanto alla reazione organica , che si produce in forza di questa cagione nel sistema vascolare san- guigno. Ed intorno alla maniera d'agire di siffatte cause riguardo agli effetti per esse indotti nel si- stema irrigatore vuoisi riflettere, che la cognizione di questo modo d'agire deriva da'rapporti dinami- ci e chimico-organici, che il sistema nervoso eser- cita sull'ematosi, e sulla circolazione del sangue. E veramente è cosa dimostrata colle piìi plausibili ra- gioni fisiologiche, che il sistema nervoso, come so- pra ciò già si è avvertito, esercita la sua necessa- ria influenza neU'emotosi e nella circolazione del sangue mediante rapporti dinamici e chimico-or- ganici. E pure cosa dimostrata coi fatti , che per l'azione de'patemi d'animo si accrescono o si di- minuiscono i movimenti dinamico-vitali, secondo la 130 Scienze qualità degli stessi patemi: come anco è dimostra- to col fatto , che per Y azione di tale o tal' altra causa morale in vari modi si può alterare Tema- tosi nella sua chimico-vitale composizione, secondo la qualità de'nervi interessati da queste medesime cagioni. In conseguenza i nervi influendo nell'ema- tosi e nella circolazione del sangue per rapporti dinamici e chimico-organici , ed i commovimenti dell'animo influendo nelle stesse funzioni co' me- desimi rapporti, il modo d'agire de'paterai d'ani- mo, in quanto agli efietti per essi indotti nel si- stema irrigatore, è chimico-vitale e dinamico-vita- le. In quanto poi alla elettiva azione di queste ca- gioni si nota, che il patema non produce indiffe- rentemente i suoi effetti in qualunque parte del corpo. Qualunque sia la sede particolare, in cui si sviluppa il patema , sia essa ne' visceri della così detta vita organica, come si è pensato in quasi tut- ti i tempi, ed in ciò convenivano ancora i subli- mi ingegni de'Cabanis , Bichat , Lecat , Reil e dì tanti altri riguardevoli autori : sia essa sede nel cervello, e distinta ancora nelle varie parti dì que- sto viscere secondo la varietà medesima de'patemi, come furono d'avviso Gali e Spurzheim ; la veri- tà del fatto si è, che certe marche organiche e gli effetti immediati delle morali cagioni dimostrano l'azione elettiva de'patemi. Ed è per siffatta ragio- ne, che si osserva coraggioso e collerico per esem- pio quell'individuo, in cui 1' apparato polmonare, il circolatorio ed il cuore hanno sopra le altre par- ti un più distinto sviluppo: così pure si nota in- vidioso, animoso, intrigante quegli, che ha a pre- ferenza delle altre parti un predominante svilup- po del fegato e dell' apparato gastrico. Lo stesso Sulla Lenta angiojte 131 maggiore o minor grado di perfezione nella com- posizione organica di uno od altro viscere, di una od altra parte, può esser causa della più o meno pronunciata manifestazione de'commovimenti dell'a- nimo.L*origine delle quali organiche marche fu rin- venuta da Gali e da Spurzheim nell'apparato ence- falico, e venne da loro ritenuta distinta a seconda della distinzione de'palenii d'animo, ravvisando tan- te origini quanti sono ì patemi. Le quali orìgini vennero considerate da' medesimi autori Gali e Spurzheim nell'apparato encefalico come tanti or- gani dello stesso apparato necessari alla manifesta- zione de'patemi d'animo in modo, che ove alcune di queste origini delle organiche marche ed orga- ni encefalici è più sviluppata, ivi tanto più pre- domina il corrispondente patema. Conseguita dal- le quali cose, che non ogni individuo è atteggiato a qualunque patema, ma che una morale affezione predomina in chi ha singolarmente sviluppato un apparato organico relativo alla stessa cagione ; ed in conseguenza l'azione elettiva del patema si de- sume da quelle marche organiche sopra contempla- te relative ad una parte o viscere, con cui il pa- tema è in rapporto : e si desume pur anco da'sin- tomi od effetti corrispondenti alla stessa parte o vi- scere. E riguardo alla reazione organica, che tal- volta viene prodotta dai patemi così detti depri- menti, convien considerare l'azione dinamico-vitale del patema deprimente: la quale quantunque dif- fusa nel generale dell' organismo , pure non la è ugualmente in tutti i punti, ma dove è più e do- ve è meno spiegata, secondo la sua elettiva azione in quell'apparato organico relativo all'azione elet- tiva della medesima cagione, manifestandosi in tale e 132 Sciènze apparato la depressione in grado maggiore di quel- lo che si manifesta in altre parti. Da siffatta dif- ferenza di azione nelle varie parti dell'organismo per l'influenza dinamica , che il sistema nervoso esercita sulla circolazione del sangue , succede in questa medesima funzione una differenza di rap- porti per modo, che i movimenti idraulici del san- gue in relazione a' movimenti dinamico-vitali dei tessuti nervoso e vascolare trovansi generalmente depressi, ma piìi del generale sono depressi quelli SI dinamici e sì idraulici della parte singolarmente interessata dall'azione elettiva del patema d'animo deprimente. Per tal diversità di grado nella de- pressione de'movimenti idraulici del sangue si for- ma un disequilibrio nel circolo sanguigno , che è causa d'ingorgo , stasi o congestione di sangue in quella parte, che rimane elettivamente impegnata dal patema d' animo deprimente. La congestione sanguigna costituita in tal parte, dopo di essersi as- sociata a tutti que'sintomi di depressione, che so- no in corrispondenza colla morbosa cagione, e col- la parte o viscere impegnato da questa medesima cagione: la congestione sanguigna, dissi, diventa sti- molo atto ad accrescere i movimenti dinamico-or- ganici de'tessuti, ed idraulici del sangue. Con sif- fatto morboso accresciuto eccitamento in rapporto tanto a'movimenti dinamici de'tessuti, quanto agi' idraulici del sangue, si costituisce in primo luogo Tangioidesi attiva, distinta dalla semplice stasi san- guigna sunnominata od angioidesi passiva, perchè questa si associa a sintomi di difettoso movimen- to, e quella si unisce a sintomi di accresciuto mo- vimento dinamico de'tessuti, ed idraulico del san- gue; e COSI costituita l'angioidesi attiva, questa do- Sulla Lenta Angioite 133 pò piì» o meno tempo, a tenore della suscettività organica determinando la reazione della parte cor- rispondente, da motivo in secondo luogo al produ- cimento delle due condizioni necessarie allo svilup- po dell'infiammazione, che sono i due fattori idrau- lico e dinamico dimostrati dal Goldoni quali ele- menti del processo flogistico. Sviluppatosi per tal guisa il processo infiammatorio, esso corrisponden- temente alla sua intrinseca natura, ed alla organi- ca suscettività, produce vari esiti, alcuno de'quali relativo al descritto caso di malattia sarà in segui- to esaminato. Nel tempo medesimo, clic si svilup- pano i fenomeni relativi a'movimenti dinamico-vi- tali fin qui considerati prodotti in origine dalle mo- rali potenze agenti sul sistema nervoso, dalle stes- se potenze si produce ancora l'alterazione de'rap- porti chimico-organici dell' ematosi in relazione a que'nervi, che alla stessa ematosi corrispondono. Frattanto posta a calcolo la causa nominala del descritto caso di malattia veduta in relazione a' sin- tomi nell'origine di essa ; valutato quindi lo stato dell'organismo dopo di siffatta origine, e rilevati i sintomi successivi a tale stato nel loro prodursi, ed in rapporto al modo di risoluzione del male, co- me anco in rapporto al metodo curativo pratica- to nel combatterlo; si può stabilire, 1.** che il pa- tema d'animo, di cui qui si parla, produsse alte- razione dinamica nel sistema nervoso con sintomi di depressione predominante nel capo: 2.° che da tale depressione nacque disequilibrio idraulico nel circolo venoso sanguigno de'vasi cerebrali, il qua- le determinando la reazione organica, dette motivo all'angioidesi attiva negli stessi vasi: 3.° che da sif- fatta angioidesi ebbe sorgimento lo sviluppo della 134 Scienze flebite predominante ne' vasi cerebrali , da cui si produsse singolarmente V esposta emorragia , che può anche considerarsi qual modo di risoluzione del male in corrispondenza al metodo curativo. Nel cjual producimento di cose si notò ancora lo svi- luppo di fenomeni chiraioo-organici prodotti dalla stessa morale cagione nel sistema sanguigno. Nel considerare gli obici incontrati dall' in- ferma relativamente alla stima di se stessa come causa del primo sviluppo della malattia, di cui qui si tratta, si presenta anzi tratto in quest'analisi la sede di siffatto patema, nella quale la detta cagio- ne ha prodotto morbosi effetti. Pertanto istituendo ricerca su di questa sede, essa, secondo che vien dimostrato dalle marche organiche, e da'fisici effet- ti in relazione allo stesso patema, non ad altro vi> scere sembra appartenere se non al cervello. Di- fatti in quanto alle marche organiche indicanti la sede della stima di se medesima, voglionsi queste distinguere in esterne ed interne: le esterne sono quelle, che furono notate nella descrizione del vol- to e di tutto l'esterno dell'inferma, di cui qui si tiene discorso: le interne vengono stabilite, dietro le osservazioni di Gali, in quella parte del cervel- lo, che corrisponde al vertice del capo nella som- mità del cranio. In quanto poi agli effetti fisici di questo patema relativamente alle alterazioni per es- so indotte, la costante esperienza ci addimostra, che questi medesimi effetti sono relativi al cervello: nò certamente con altro viscere si trovano in relazio- ne. In conseguenza, tanto per le marche organiche quanto pe' fisici effetti in rapporto all'orgoglio o stima di se stessa, sembra potersi ritenere, che nel cervello abbia sede il patema in discorso. Ri- Sulla Lenta Angioite 135 conosciuta questa sede, si conosce ancora la parte in cui elettivamente hanno agito le potenze , che nel nostro caso sono state le opposizioni alla sti- ma di se stessa, mentre queste esercitano appunto la loro azione elettiva in quella parte del cervel- lo, nella quale si è rilevato aver sede il nominato patema. Agendo dunque le nominate cagioni nell' an- nunciata parte del cervello, producono in essa ef- fetti dinamici o fisico-organici, i quali quantunque si diffondano nel generale dell'organismo, pure so- no più pronunciati in quella parte del cervello , in cui elettivamente hanno agito le suddette po- tenze. Analizzati questi eiFetti dinamici, o fisico-or- ganici indotti da tali cagioni per ciò che annun- ciano lo stato delle forze vitali, in cui trovasi l'or- ganismo dopo l'azione delle potenze sopra espres- se, si rinviene, che questi medesimi effetti espri- mono un difetto di eccitamento, una diminuzione delle forze vitali, insomma uno slato di depressio- ne. Il quale stato mentre sì ravvisa nel generale dell'organismo, scorgesi più che in altre parti svi- luppato in quella, in cui hanno agito direttamen- te le potenze morbose , vale a dire nel caso no- stro in quella parte della massa encefalica , dove ha sede particolare l'organo della stima di se stes- so. Questa differenza di grado tra la depressione della parte encefalica, dove ha elettivamente agito la potenza morbosa, e quella del generale dell'orga- nismo, è causa di disequilibrio ne'movimenti idrau- lici del sangue; per il che avviene una stasi san- guigna nella parte piìi delle altre depressa , che nel caso nostro è il sunnominato organo encefali- co. La quale stasi sanguigna associata allo stato di 136 Scienze depressione sopra annunciato, e già esposto nella descrizione del primo sviluppo del caso narrato di malattia, non può essere accaduta, che ne' vasi ve- nosi corrispondenti al detto organo encefalico. Im- perocché a ciò stabilire conducono tanto i feno- ìTieni del producimento della reazione organica , quanto quelli dell'angioidesi attiva e del processo infiammatorio , che succedono alla stessa organica reazione, e che per molte ragioni, le quali saran- no in seguito esposte, debbonsi ritenere come de- rivanti da lesione nelle vene in discorso. Per tale stasi sanguigna si sconcertano i rapporti dinamici del circolo sanguigno, e le funzioni del sistema ir- rlgatore. L'accumulamento di sangue intanto, avve- imto per la stasi sanguigna nelle vene encefaliche sunnominate, divenne stimolo negli stessi vasi; per 11 che questi dotati di sufficiente grado di eccita- bilità reagirono a siffatto stimolo, e si costituì per tal guisa l'organica reazione con accresciuti movi- menti dinamico-vitall. Dalla quale reazione ebbe luogo Tangioidesi attiva nella stessa parte, in cui era avvenuta la stasi sanguigna : e siffatta angioi- desi si è presentata con sintomi tanto parziali quan- to generali di accresciuti movimenti dlnamico-vi- tali 0 di eccitamento. Il quale stato di angloidesi come immediato risultato della reazione organica, quantunque suscitato ne' suddetti vasi venosi del cervello, pure diffuse la sua influenza nel generale delle vene; e cosi fu causa dello sviluppo de'sin- tomi encefalici narrati nella descrizione della ma- lattia, di cui qui si tratta, e de'fenomeni relativi all'intero sistema vascolare già contemplati. Quest'angioidesi è avvenuta nelle vene encefa- liche, ed ha diffuso i suoi effetti, come dissi, nel Sllla. Lenta Angioite 137 generale delle vene. E difatti nel descritto caso di malattia, cessati i sintomi di depressione, che ve- demmo in immediato rapporto colle cause morbo- se deprimenti; e cessato pur con la cessione di que- sti sintomi l'accumulamento di sangue considerato come semplice stasi sanguigna ; dopo esser succe- duta la reazione organica a tale accumulamento, si costituì , come vedemmo , l'angioìdesi associata ad accresciuti movimenti dinamico-vitali, che per l'ap- parato sintomatico, con cui si è manifestata , ad- dimostrò interessato il sistema venoso con predo- minio nelle vene encefaliche relative all'organo del- la stima di se stesso. E che quest' apparato sinto- matico relativo alla suddetta angioidesi indichi lo stato morboso in discorso nelle vene, si dimostra dal color terreo della cute, dalla turgescenza delle vene superficiali del corpo, specialmente da quelle del collo e del capo, dal fosco pallor della lingua, dalla moltissima frequenza de' polsi , dal senso di ambascia , di oppressione, e di pena in qualsivo- glia esercizio di corpo , e da tutt' altro di questa natura , siccome tuttociò venne riscontrato nel de- scritto caso morboso. I quali sintomi formano l'es- pressione dell' angioidesi venosa con accresciuti mo- vimenti dinamico-vitali , siccome io esposi nella mia dissertazione sullo scorbuto pubblicata nelle memorie della societli medico-chirurgica di Bolo- gna voi. 2.^, e nel giornale arcadico di Roma tomo 75. La quale angioidesi, secondo l'aspetto sintoma- tico annunziato, si presentò diflfusa per ragione di sua influenza nel generale dell' organismo; ebbe pe- rò predominio nelle vene encefaliche , siccome lo addimostravano i sintomi riferibili alla lesione del- le funzioni intellettuali in rapporto all'organo della G.A.T.LXN.VHL 10 138 SciKNZE stima di se stesso , e siccome Io faceva dedurre r azione delle cause morbose , ed i ragionevoli ri- sultati di quest'azione. E così il capo, centro della malattia e della dimostrata angioidesi, con accre- sciuti movimenti dinamico-vitali faceva essei' più sensibili gli effetti di questa medesima angioidesi per nervose relazioni in quelle parti , colle quali egli è in più marcati rapporti. Per siffatta rela- zione io credo , che Tutero piìi d' ogni altro vi- scere, nel soggetto preso dall'infermità di cui qui si tratta , sia rimasto affetto da' simpatici risenti- menti col capo, che la stessa angioidesi fu di qual- che intensità ne' vasi uterini, come ciò poteva de- dnrsi dalla doppia mestruazione avvenuta dentro un solo periodo lunare. JNel tempo medesimo , che pe* rapporti di- namico-vitali de' sistemi nervoso e vascolare si so- no prodotti i fenomeni fin qui contemplati in se- guito all' azione delle cause morali nominate sino allo sviluppo dell'angioidesi attiva, un'altra se- rie di fenomeni pure si è prodotta , che è in re- lazione co' rapporti chimico-organici dell' emato- si per nervosa influenza esercitata dalle stesse mo- rali cagioni. Per questi rapporti chimico-organici si altera la sanguificazione e 1' organica composi- zione del venoso tessuto , come viene dimostrato dalla flaccidita delle vene, e dall' abito di corpo, che si è osservato nel descritto caso di malattia. E perchè una tale alterazione della sanguificazio- ne e del suddetto tessuto ha molta affinità colla clorosi, e colla cacchessia scorbutica : e perchè è cori^eggibile cogli stessi mezzi terapeutici, co' quali si vincono siffatte malattie ; così parmi , che un difetto d'ossigenazione sia la base dell' alterazione Sulla Lenta. Angioite 139 organica nel narrato caso morboso accaduta pei rapporti chimico-organici relativi alle cause dell'ac- cennata malattia. La quale alterazione nel tessu- to venoso predispone all'ingorgo vascolare ed all' angioidesi quelle vene , nelle quali Fazione ner- vosa per le cause morali deprimenti contemplate fa essere più sensibili i rapporti dinamico-vitali, che eflfettuano la circolazione del sangue. Il metodo curativo, dopo d'aver preso in mi- ra lo stato di depressione prodotto immediatamente dalle dette cagioni, si diresse secondo l'esposta ge- nesi di questo morbo : e perciò furono considerate due curative indicazioni ; la prima fu desunta dal- l' ingorgo vascolare : la seconda dall' alterazione considerata nel venoso tessuto. Per soddisfare la prima si praticarono le sanguigne sottrazioni : per soddisfar la seconda furono amministrati gli acidi ed i marziali , che però furono insudicienti non solo a vincere il morbo fino a questo punto con- siderato, ma anche ad arrestarlo nel suo progres- sivo andamento per la ragione della continuata azione delle cause di questa malattia , che non si dissiparono con quella sollecitudine , che si sa- rebbe richiesta dal piìi felice risultamento di que- sto caso. Per la qual cosa successe all' angioidesi il pro- cesso infiammatorio nel sistema venoso: il qual pro- cesso manifestò la sua partìcolar sede nelle vene en- cefaliche , siccome si scorge nell' apparato sinto- matico della descritta malattia. Imperocché in se- guito alla manifestazione de' sintomi indicanti l'an- gioidesi , che sono stati sopra annunciati, si pro- dussero quelli dinotanti il processo infiammatorio, come la costante febbrile vascolare vibrazione pre- h 140 Scienze valente più d' ogni altro punto ne' vasi ccrehra- li, il senso di peso e di calore al capo, ed altro di questa natura. La quale infiammazione, secondo l'induzione che faceva farne l'esposto quadro sin- tomatico, quantunque abbia manifestato la sua par- ticolar sede nelle vene encefaliche , pure s' irradiò nel sistema venoso generale, siccome i sintomi ge- nerali già narrati nella descrizione dell' indicata malattia palesavano. Ma con tutto ciò non con- viene ritenere , che tutte le vene fossero infiam- mate, come ne tutte poterono ritenersi per affette d' angioidesi. Dall' infiammazione furono impegnate quelle vene , le quali già prese d' angioidesi pas- sarono allo stato infiammatorio in forza del grado di eccitabilità dello stesso tessuto venoso , e del- l' intensità considerabile a preferenza delle altre parti, in cui trovansi ammorbate d'angioidesi quel- le vene, le quali per la nervosa influenza risen- tirono elettivamente 1' azione della potenza produt- trice la malattia. Di ciò in modo singolare davano esempio le vene encefaliche , che per 1' apparato siiifomatico descritto , manifestavano i decisi segni inliammatorii. Palesavano ancora l'infiammazione quelle vene , che particolarmente col capo sono in relazione, siccome per siffatta relazione erano più delle altre affette dalla descritta angioidesi. Que- ste medesime vene, consenzienti in particolar ma- niera coir organo encefalico , furono le vene ute- rine , che per tal consenso rimasero impegnate dall' angioidesi , e quindi dal processo infiamma- torio , siccome si può desumere dalla narrata de- scrizione della malattia , che forma l' oggetto di queste riflessioni. Molte altre vene rimasero nello slato d'angioidesi, le quali singolarmente erano le Sulla Lenta. Angioite Ui1 culiinec ; di che davano indizi V abito clorotico dell' inferma , il turgore delle stesse vene, ed al- tro di questa natura. Molte altre poi ritengo esser rimaste nello stato normale, e queste parmi essere state le vene di molti visceri , perchè dall' analisi delle funzioni de' medesimi non si aveva per ri- sultato alcuna loro alterazione, che facesse argo- mentare il venoso turgore. Pervenuta la malattia in discorso allo stato no- minato d'infiammazione, si mrse in efletto il me- todo di cura antiflogistico diretto dalle indicazioni curative in rapporto all' accensione infiammatoria delle pareti venose , ed al fondo di organica al- terazione considerata nello sviluppo de' fenomeni chimico-organici, come risultato de' rapporti pro- dotti per nervosa iiiflucnza dalle accennate cagioni nel sangue e nel tessuto venoso. Alla indicazione curativa desunta dal processo flogistico si corri- spose colle sanguigne sottrazioni e colla dietat al- l' altra curativa indicazione desunta da' rapporti chimico-organici della sanguificazione, e del fondo di organica alterazione del venoso tessuto, venne corrisposto coli' uso degli acidi e del ferro. La distinzione delle due narrate indicazioni cu- rative parmi esser marcata in ogni caso di svilup- po del processo infiammatorio in qualsivoglia vi- scere o parte. Imperocché in qualunque caso d'in' tìammazione si rinvengono sempre i due dati: l'uno di accensione, che si risolve nell'afflusso sanguigno, neir aumento del calore , e come pur vuoisi nel- r aumento delle condizioni elettriche : l' altro dato si risolve in un' alterazione de' rapporti chimi- co— organici del sangue e del tessuto , in cui si è sviluppato il processo infiammatorio. Il primo 1/^2 Scienze comprende lo stato dinamico della parte afFcUla r il secondo costituisce lo stato chimico-organico del- la stessa parte, il quale varia a tenore della va- rietà degli organici tessuti in rapporto alle cagioni morbose produttrici le malattie, per le quali essi sono alterati. Per il che ciascun viscere o parte in caso d'infiammazione soggiace ad un'alterazio- ne, che è relativa alla composizione organica della stessa parte o viscere , ed alle morbose cagioni. I vari medicinali , che si adoprano per vincere il processo infiammatorio secondo che questo im- pegna piuttosto un viscere che un altro, una piut- tosto che un' altra parte, confermano la varietà dell' alterazione del fondo organico , di cui cia- scun viscere o parte rimane affetta mentre viene invasa dall'infiammazione, dovendosi amministrare un medicinale piuttosto che un altro, secondo che una piuttosto che un'altra parte è interessata dal processo infiammatorio , e secondo le varie cause morbose relative all' alterazione chimico-organica in discorso. In sifl'atta amministrazione terapeutica non e valutabile la sola azione dinamìco-vitale della medica sostanza , che agendo elettivamente nella parte affetta frena gli accresciuti dinamico-vitali movimenti ; ma è ancora l' azione dinamico-orga- nica della stessa medicinale sostanza, che concor- re a rimettere in equilibrio i rapporti chimico- organici del tessuto, o viscere impegnato dal pro- cesso morboso. Ed è perciò, che in forza di qucst* azione chimico — vitale del rimedio che si appre- sta in rapporto al viscere o tessuto , con cui egli e in relazione, rimane ancor dimostrata la parti- colare alterazione di ciascuna parte , che si rea- Sulla Lenta Angfoite ì)/,3 lizza nel caso, in cui si sviluppa in tal parte V\i\- fiammazionc. Nell'andamento progressivo della descritta fle- bite , e nella progressiva amministrazione de' mez- zi terapeutici , mentre i sintomi annunciavano il pili forte aumento di malattia , come si desume- va dalla molta intensità de' sintomi flogistici, e dal- la considerabile alterazipne delle funzioni intellet- tuali, si sviluppò l'epi tassi gravissima già annun- ciata. La quale emorragia si poteva riguardare nel- la malattia descritta, tanto come risultato di quell'or- ganico lavoro mantenuto dall' influenza venosa, che si trova essere costituito dallo stato flo^ristico de' vasi cerebrali venosi afletti dall' infiammazione , che nel maggiore incremento della medesima sog- giacquero air emorragia , quanto come un modo di risoluzione dello stesso morbo in corrisponden- za al metodo curativo. E difatti allorché una parte viene impegnata dal processo infiammatorio, si rea- lizzano in questa parte medesima due condizioni; l'una in rapporto al fondo organico relativamente alla sua tessitura , 1' altra in rapporto alla mag- gior quantità di sangue , del quale si sopracca- rica la parte infiammata. In quanto alla prima condizione, quando quel fondo organico è alfelto di alterazione di tal natura che costituisce nella parte lesa il cosi detto stato od abito emorragi- co, che è lo stesso di dire un'attitudine all'e- morragia, come si rinviene nel tessuto venoso am- morbato dalla cachessìa scorbutica , si ha per siffat- to fondo organico una predisposizione, per la qua- le nella parte infiammata si produce la emor- ragia. La quale condizione si realizza nel caso di malattia qui contemplato , mentre si è rinvenuto 144 Scienze nella descritta flebite quel fondo organico , che ha molti punti di analogia con quello che rin- viensi nello scorbuto , predominando soltanto in questo caso l'alterazione nelle vene encefaliche a differenza dello scorbuto , in cui cpicste vene sono Je meno delle altre alterate. E ciò avviene per la diversità delle morali cagioni , rimanendo per esse nel caso qui contemplalo lesa la parte del- l' encefalo già nominata; e nello scorbuto in tutt'al- tra parte diversa da quella qu\ considerata si ef- fettua l'azione della morale potenza. Dalla suddetta condizione pertanto risulta, die nel processa della malattia in discorso si è sviluppato quello stato morboso, per il quale si produce la predisposi- zione alla emorragia : e siccome nelle vene ence- faliche singolarmente si costituì un tale stalo, così in esse prevalse la nominata cagione di emorra- gia. L'altra condizione in rapporto alla maggior quantità di sangue, di cui si sopraccarica la parte infiammata, che per essa rimane atteggiata all'emor- ragia , si nota sempre ogni volta che in una par- te qualunque si accende il processo flogistico, la questa medesima condizione i vasi della parte flogo- sata sono turgidi , ed iniettati di sangue per mo- do, che quando questo stato d' iniettamento e di turgor vascolare è giunto ad un certo considera- bil grado d' intensità , siccome avviene in molle circostanze, succede allora 1' emorragia: o perchè i vasi cosi turgidi in qualche punto si rompono , oppure perchè esalano il fluido sanguigno. In am- bedue le quali condizioni vuoisi grandemente con- siderare la influenza nervosa. Imperocché i rap- porti chimico — organici e dinamico — organici che si esercitano dal sistema nervoso nelle funzioni de' Sulla Lenta Angioite 1 45 vasi sanguiferi , come già si sono notali , pren- dono parte essenziale nella produzione dell' emor- ragia. Nella quale il sistema nervoso ha influenza, SI perchè concorre pei rapporti chimico-organici alla formazione di quello stato dei tessuto vasco- lare, clic fii sopra considerato come condizione pre- disponente air emorragia; sì perchè il sistema ner- voso concorre pei rapporti dinamico — 'organici al producimento della circolazione, e del disequilibrio della medesima col conseguente ingorgo sanguigno; si perchè concorre ancora a c[ueli' esaltata vitale azione, che si sviluppa nella parte flogosata. E pre- scindendo dal caso di rottura vascolare, considerata come solo risultato di causa meccanico-organica tanto interna quanto esterna , la nervosa influenza viene esercitata neil' esalazione, o trasudamento san- guigno, sia cjuesto considerato in quelle parti, nel- le quali si effettua secondo l'ordine fisiologico, co- me periodicamente in una certa etìi avviene nel- l'utero, ovvero sia considerato in cjualsivoglia altra parte, in cui si produce siffatto trasudamento san- guigno secondo lo stato patologico della medesima parte. In conseguenza, realizzandosi le quali cose nel riferito caso di malattia, rimane dimostrato , che la descritta epitassi fìi il risultato di quell' or- ganico lavoro mantenuto dall' influenza nervosa , il quale si trovò costituito, come venne considerato, nelle vene encefaliche affette dall' infiammazione. Ma la stessa emorragia siccome si è contem- plata qual risultato di organico producimento nello sviluppo dell' indicata infiammazione , così ancor essa può essere un mezzo di risoluzione della stes- sa flogosi in corrispondenza al metodo curativo. E veramente nel processo infiammatorio , allorché 146 Scienze tende ad un fausto esito, voglionsi distinguere due modi di risoluzione: l'uno in rapporto al fondo or- ganico , nel quale trovasi ordito siffatto processo: r altro in rapporto all' accumulamento sanguigno avvenuto nella parte infiammata. In quanto al modo di risoluzione relativo al fondo organico, si nota es- ser corrispondente alla stessa natura dell'alterazio- ne, da cui è affetto quel dato sistema organico, o vi- scere: e sebbene si pronunci un tal modo di risolu- zione col mezzo delle conosciute crisi, un'analisi fat- ta sulle medesime ci scoprirebbe la relazione, che passa tra il mezzo critico e la natura dell' alterazio- ne. In questa guisa la parte lesa si libera dal mor- boso processo , per cui era alterata la sua orga- nica composizione , e ritorna nei normali rapporti di miscela , tessitura , ed officio. Il che è risulta- to del tempo : e sebbene la maggiore intensità del processo morboso nelle malattie acute si risolva den- tro un corto periodo, pure interamente non si dis- sipa lo stesso processo , se non dopo lungo spazio di tempo. In prova di ciò si osservino quei sog- getti, che furono presi da acuto processo morboso: e si vedranno nel loro abito di corpo le tinte di tal morboso processo non solo dopo superato lo sta- to acuto della malattia, ma ancora nel tempo del- la convalescenza. La quale non è altro, che la con- tinuazione del processo , che va risolvendosi me- diante i critici naturali movimenti: ed è di più o meno lunga durata, secondo che la natura impie- ga un tempo piìi o meno lungo nel produrre V intera risoluzione della malattia. Ne' morbi cronici poi, anche quando piegano a felice risultamento , quel naturale lavoro , per cui va dissipandosi il processo morboso , come si appalesa coi critici Sulla Lenta Angioite 147 movimenti , è di assai piìi lunga durata di quel- lo che avviene nelle malattie acute, ed ha un lento processo di scioglimento. L' altro modo di risolu- zione è relativo , come dissi , all' accumulamento sanguigno. Questo avviene, perchè il sangue accu- mulato nella parte infiammata o indirettamente o direttamente rimane sottratto dalla stessa parte. Ri- mane indirettamente sottratto, quando diminuita la quantità del sangue co' mezzi generali, come col- la dieta e co' presidii terapeutici , e ceduta pur anco in corrispondenza a tale diminuzione quella causa o lavoro organico, che determina Taccumu- lamento sanguigno nella parte llogosata, il sangue riprende il suo naturale equilibrio nella circolazio- ne , senza che nello stesso circolo accada piìi quel- l'afflusso , che avveniva nella parte impegnata dal processo infiammatorio. Direttamente poi l' accu- mulamento sanguigno vien sottratto dalla parte in- fiammata coU'eraorragia accaduta nella stessa parte. Ed in questo caso, quando tende alla fausta riso- luzione il contemplato fondo organico, e quando va cedendo quella causa, od organico lavoro, che determina nella parte flogosata l'afflusso sanguigno, in questo caso, diceva , siccome si va a produr- re per la immediata sottrazione sanguigna quell'e- quilibrio della circolazione, che si è sopra consi- derato , cosi in siffatto caso si riguarda l'emor- ragia come un modo di risoluzione del processo infiammatorio. Potrà fpur considerarsi l'emorragia qual modo di risoluzione anche nel caso che non corrisponda^^a tal fenomeno la graduata diminu- zione di quel morboso processo , da cui rimane affetta l* organica tessitura , e ne vi corrisponde la risoluzione di qucU' organico lavoro , che de- 148 Scienze termina 1' afUiisso sanguigno nella parte infiamma- ta. Ma in questo caso l' emorragia vuoisi ritene- re come inefficace ed insufficiente allo scopo cui tenderebbe, se avesse in corrispondenza l'altro no- minato modo di risoluzione. In prova di che ab- biamo moltissimi esempi di pneumonite, di me- tri te , e di altre flogosi , nelle quali quantun- que accada una, o più volte anche profusa emor- ragia , pure non si vede in seguito di tal feno- meno cederq il processo infiammatorio nel polmo- ne o neir utero ; anzi le molte volte con tutta la comparsa dell' emorragia lo stesso processo dh svi- luppo alla disorganizzazione del viscere affetto. Que- sta è la circostanza, in cui l'emorragia venne con- siderata come sintomatica, non essendo essa in tal caso corrispondente al processo di risoluzione del- la malattia. Ancora in siffatta circostanza conviene valutare assaissimo la quantità del sangue estravasa- to; il tempo impiegato nel producimento dell'emor- ragia; il modo lento od impetuoso, con cui avviene il profluvio sanguigno : tutte le quali cose van- no valutate in rapporto alla parte lesa, ed* all'in- tera economia dell' umano organismo. In tal gui- sa potranno essere posti a calcolo tutti que' dati, pe' quali si può ritenere 1' emorragia o un risul- tato di sanguigna esalazione, ovvero un effetto di vascolare rottura. Le considerazioni sopra questi due modi, mediante i quali l' emorragia può pro- dursi, sono molto utili nel ravvisare la maggiore o minore entità del male, nella direzione del me- todo curativo, e nella prognosi della malattia. Non solo peìò quando r emorragia viene ritenuta co- me sintomatica fa d' uopo porre a calcolo la quan- titk del sangue estravasato, il tempo impiegato nel Sulla. Lenta Angioite 149 producimento tlell' emorragia, il modo lento od im- petuoso , con cui essa avviene ; ma ancora tutte siffatte circostanze vogliono essere valutate quando l'emorragia si può considerare qual modo di ri- soluzione del processo infiammatorio. In ambidue i casi r emorragia sta in rapporto colla maggio- re o minore vascolare grandezza, e colla maggiore o minor lesione accaduta in uno od in un altro vaso. La quantità del sangue estravasato, conside- rata col tempo impiegato nel producimento del san- guigno profluvio, e considerala pur anco nel mo- do lento od impetuoso, con cui l'emorragia avvie- ne, ci può istruire sulla grandezza del vaso leso, suir intensità della vascolare lesione , e sulla ma- niera , colla quale l' emorragia si produce o per rottura di vaso, o per vascolare trasudamento. Im- perocché l'impetuosa emorragia sembra apparte- nere a vascolare rottura, siccome a sanguigno tra- sudamento sembra potersi riferire l'emorragia lenta. Così pure una quantità grande di sangue estravasalo in poco tempo non può esser prodotto che da grave lesione d' un vaso grosso, ed in conseguen- za siffatta lesione deve essere della piìi forte in- tensità: siccome la poca quantità del sangue estra- vasato è indizio di lieve lesione in piccolo vaso. Colle quali avvertenze la forte epitassi , nel caso di malattia che qui si tratta , corrispondendo al processo di risoluzione, si manifesta, come si dis- se, quale effetto di organico lavoro, e qual modo di risoluzione del male. A tale risoluzione corri- spose pur anco il tenuto metodo curativo: men- tre questo nel tempo che veniva diretto a frena- jre lo stesso stravaso sanguigno , che senza salutare medela poteva oltrepassare que' limiti fissati dalla 150 Scienze natura pel riacquisto della sanità , veniva ancora il metodo curativo praticato secondo la vista di cor- reggere la morbosa condizione in rapporto al mor- boso impasto della parte lesa, e secondo pure il ri- flesso di secondare ancora di questa lesione il na- turale scioglimento. Bibliografìa statistica degli stati pontifìcii ed esten- si. Opera del colonnello conte L. Serristori. I l chiarissimo sig. colonnello conte L. Serristo- ri, autore delle statistiche dell'isole di Corsica e di Sicilia , del principato di Monaco , della re- pubblica di s. Marino , del regno di Sardegna , del gran ducato di Toscana, e dei ducati di Lucca e di Parma, ci ha fatto ora dono preziosissimo di quelle degli stati pontifìcii ed estensi. Bisognereb- be patir difetto di ogni nozione sulle scienze so- ciali ; sarebbe d' uopo non andar presi all'impor- tanza della scienza della statistica, per non sentir profondamente qual tributo di lode , qual obbli- go di riconoscenza debba al signor Serristori l'Ita- lia nostra. Bene a ragione fu detto , essere la statistica il termometro delle nazioni, ed il loro più elo- quente linguaggio. Altri le diede lode d'igiene de- gli stati. Taluno la definì : Scienza che descrive un paese in modo da fornire esalte nozioni valevoli a servire di utile norma al governo, a tutti i cit- tadini, ed agli esteri ancora. Tal altro addimostrò Bibliografia statistica 151 com'ella sia la base essenziale di tutte le scienze che alla politica si riferiscono. E quell'ingegno acu- tissimo e sorprendente del Rosmini dettava nella sua opera „ Della sommaria cagione per la quale stanno o rovinano le umane società,, che le stati- stiche debbono avere per fine il calcolo comples- sivo delle forze politiche, aflìne di rilevare il gra- do della vita sociale, ossìa la vera potenza interna, nella quale sta la sussistenza della società. La topografia degli stati, la popolazione, l'a- gricoltura, le manifatture ed il commercio, l'am- ministrazione politica, giudiziaria ed economica, la forza militare terrestre e marittima, la pubblica istruzione , la pubblica beneficenza e la religione; ecco i principali importantissimi oggetti della sta- tistica ; ed ecco i fonti positivi, da cui poi l'arit- metica politica trae cifre esatte , mercè delle qua- li giugno a stabilire tutti quegli assiomi, a dimo- strare tutti que'teoremi, a sciogliere tutti que'pro- blemi, che per una via diretta e sicura conducono al conseguimento de' tre grandi perfezionamenti , economico, morale e politico, ch'è quanto dire al sociale incivilimento, ed al maggior bene essere di tutti. Vuoi tu, abbandonate le incerte astrattezze , conoscere in modo positivo il grado di prosperità o decadenza di una nazione? Vuoi farti certo che l'istruzion popolare ingentilisce l'animo , corregge il costume , allontana 1' uomo dai vizi e dai de- litti , lo rende sobrio, previdente e provvidente , operoso , rispettoso e cordiale ; quantunque volte però la istruzion venga saggiamente indirizzata e condotta giusta i rapporti fondamentali della ci- vil convivenza ; e quantunque volte vada stretta- 152 Scienze mente congiunta ad una saggia eJ accurata educa- zione morale e religiosa ? Vuoi rimaner convinto che l'accrescimento della ricchezza non e sempre cagione di ben essere sociale , ove quella non sia con giustizia ed accorgimento distribuita ? Vuoi persuaderti che la ricchezza dev' essere mezzo, non fine ; eh' ella dee servire all' uomo, non T uomo a lei ? Tutto ciò , e cento altre utilissime verità ne sì fanno manifeste per Y operosa scienza della statistica. Felice quel popolo, ripeteremo anche noi con un gran filosofo , ove comunemente si ragio- na colla statistica alla mano! Il legislatore, l'uomo di stato, il mercadante , l'intraprenditore, il pa- dre dì famiglia, tutti di ogni classe, di ogni con- dizione, traggono dalla statistica regole certe per ])en condurre gl'interessi della casa e della citta. L' Inghilterra e la Pcnsilvania , che più delle al- tre nazioni in questa scienza posero studio, deb- bono ad essa la loro immensa ricchezza. La Fran- cia già corre sulle tracce di quelle , e fa ogni ope- ra per raggiungerle. E V Italia ! ! ! L'Italia dovrà venir sempre da ultimo, non già a gettar semi d'in- civilimento e di ben essere sociale ( in che fu sem- pre, ed anco in fatto di statistica, la prima ), ma si bene a coltivarli diligentemente, ed a trarne te- soro di preziosissimi frutti ? Vi sarà ancora fra gl'italiani chi dubiti dell'utilità, o dirò meglio, della necessità delle statistiche? Certo che no: ed il pregevolissimo lavoro del sig. conte colonnello ne conforta e ne assicura. Gli stretti limiti di questo giornale non ci permettono di entrare ne'molti particolari dell'ope- ra del signor Serristori. Ci ristringeremo quindi a dire intorno alla statistica dello stato pontificio (che Bibliografia statistica 153 più da vicino ne interessa ) come ci goda V animo nello scorgere che la popolazione vada di anno in anno gradatamente crescendo, e che di pari passo ricevano eziandio incremento le sussistenze. All'ali- to di un pane nasce un uomo, diceva Buffon : e diceva vero. Ma perchè lo sviluppo dell' uman ger- me non sia precoce ed intempestivo , perchè tor- ni utile al ben essere ed al perfezionamento so- ciale , egli è d'uopo che l'alito di quel pane esali eziandio fragranza di costante ed immancabile ri- produzione. Notammo nel lavoro del signor con- te colonnello difetti di alcuni dati. Altri si pre- sentarono al nostro sguardo forse bisognevoli di qualche maggiore sviluppo e di una più minata analisi. Gli avremmo poi saputo particolarissimo grado, se alquante delle notizie, ch'egli ci porge, fossero di data meno remota, talché non se ne ve- dessero a colpo d' occhio i mutamenti avvenuti nei tratto successivo. Ma nessuno per certo vorrk di ciò dar carico al signor colonnello, cui non isfuggirono tali difetti , se pur voglionsi così chiamare. Anzi tutti i buoni italiani debbono concorrere a tribu- targli l'altissima lode che si meritò per essersi mes- so sì addentro in un* opera piena d' indicibili dif- ficolta, ed avere di tal guisa validamente promos- so ed eccitato altri ad immitarlo. Fra tanfo, la mer- cè sua, ci è ora dato conoscere molte interessantis- sime cose che furono sempre dalla maggior parte ignorate, ed abbiamo la consolante certezza, che i nostri sapientissimi magistrali intendono anch'essi a promuovere la pubblicazione delle statistiche , porgendone, per quanto è da loro, le necessarie no- tizie e gli autentici documenti. Che se anche nei dettati del signor colonnello Scrristori siamo co- GA.T.LXXVm. 11 454 Scienze stretti a lamentare la quasi totale mancanza di tutto: che si riferisce all'istruzione, all'educazione, ed al- la beneficenza pubblica, ciò non pertanto non vie- ne in noi meno la speranza di veder in breve riem- pila questa interessantissima lacuna. L'esempio de- gli istituti del re2;no Lombardo Veneto non andrà certo senza frutto. Essi saggiamente avvisarono non potere offrire all' augusto imperatore ( nella circo- stanza della sua incoronazione ) omaggio più so- lenne e pili gradito al suo cuore paterno, di quel- lo che fargli dono delle statistiche degli istituti stessi , rendendole pubbliche colle stampe. Il ciel ne guardi dallo indirizzare ai nostri istituti quel- le acerbe parole che il signor barone Corvaia det- tava già sull'Italia! « L'Italia comincia in qualche , punto a sentire il potente bisogno della statistica, ma è troppo ritrosa di far conoscere i suoi beni come i suoi mali. Simile a quegli ammalati vere- condi, che vergognansi di far conoscere al medico i loro incomodi, gl'italiani nascondono i fatti loro, come se volessero scansare i rimproveri della loro condotta. Ma come medicarli, quando si nascondono al medico i propri mali.'' Come guarirli, quando il cronicismo gli avrìi resi incurabili.'' » Annali uni- versali di statistica voi. 57 pag. 112. Daremo ter- mine a qiiesto articolo coli' unirci al chiarissimo nostro autore delle statistiche suH' Ilalia, facendo voti perchè l'esempio della Lombardia e del Pie- monte non rimanga senza imitatori. G. Massei. 155 Collezione di voti medico-legali. DISCORSO PRELIMINARE A, llorchè ranlica sapienza, personificando la mag- gior parte degli enti morali, volle fare delle virti^x e delle scienze tante divinità, onde visibili simula- cri destassero sulla moltitudine una permanente ve- nerazione, videsi consultare in uno stesso tempo tan- to gli oracoli di Temi quanto quelli del dio di Epidauro, e dagli enigmatici precetti che ne de- rivavano dipendeva sovente cosi l'individuale e ge- nerale salute degli uomini , come le norme civili e politiche di tutti i popoli. Caduto il politeismo al sorger di quelle eter- ne ed immutabili verità che seppero dare il giu- sto valore a tutte le cose, e collocarle al loro po- sto, la giurisprudenza e la medicina ebbero seg- gio nei licèi , ove sempre avrebbero dovuto tro- varsi: e da ciò ne avvenne che l'arte sabitare, egual- mente che tutte le altre parti dello scibile umano, arricchita di quelle utili e progressive cognizioni, che il tempo può soltanto donare, fece conoscere qual particolare utilità poteva ognuna ricavare dal reciproco saccorso che doveano prestarsi, e qual pubblico beneficio derivarne in un tempo appun- to, in che l'estesa copia delle umane cognizioni, sud- 156 Scienze divise necessariamente in tanle diramazioni, non permetteva più a mente alcuna il poterle dettaglia- tamente tutte approfondire , ed a colpo d' occhio calcolare il valore intrinseco delle medesime, on- de farne l* applicazione. In fatti nelle scienze na- turali diviene arida ogni cognizione, ed oggetto di pura vanita ogni scoperta, quando non possa di- venire utilmente eseguibile. D' allora in poi tutte le altre parti dell' umano sapere posero a tributo la vasta ed utilissima scienza salutare, e la giuris- prudenza avendone ravvisato l'importanza fu la pri- ma a profittarne; finche le due facoltà, postesi in una mutua corrispondenza, produssero quella spe- cial dottrina , che medicina legale appellossi. Da quel punto avvenne che le determinazioni de' giu- reconsulti fossero precedute da quelle dei cultori dell' arte salutare: divennero questi giudici de' fat- ti, rimanendo ai primi quelli dei diritti ; addita- rono gli uni la natura offesa, gli altri la legge con- culcata; calcolarono i fisici la qualità della colpa, fecero i legali l'applicazione della pena: ed ai no- stri di singolarmente , ove le scienze a tanta al- tezza pervennero, la quiete sovente, la fortuna , la liberta, la vita, e quel che piìt importa l'onore, dal- l' armonico accordo di queste due facoltà unica- mente dipende. Chiunque ha fior di senno per- tanto potrà comprendere di quale e quanta impor- tanza ciò sia, qualora voglia riflettersi che le prin- cipali proprietà ed i più cari interessi dell' uomo può sì fatto accordo togliere e ridonare; e che se avvi talvolta chi sappia o mostri disprezzare la vita, non vi sarà alcuno giammai che possa o debba ri- nunziare alla fama. Voti Medico-Litdali 157 Lo scorgere pertanto come da qualche secolo a questa parte nomini predarìssimi si occuparono della scienza medico — 'legale, o trattandola in tutta la sua estenzione , o prediligendo qualche parte della medesima, o raccogliendone le mediche deci - sioni, onde dall'esatta esposizione de' suoi dettagli risultasse un maggior utile ai casi speciali, ed una latitudine più considerevole al generale della scien- za stessa , ci mostra vieppiù il merito di que- sta consonante unione, e come di pari passo cam- minando nell'applicazione ce ne faccia conoscere la necessita, mentre talvolta non solo nelle criminali procedure , ma nelle civili e canoniche contesta- zioni i voti medico — legali ne precedono il defini- tivo giudizio. Ora dunque questa interessantissi- ma facoltà, che tante cognizioni racchiude, perchè sovente ha d'uopo servirsi di tutte quelle ausilia- rie che compongono la scienza dell'intera natura, e che a questo esteso sapere deve essere anche congiunto un rigoroso criterio filosofico, affinchè a traverso d'intralciate combinazioni, d'inesatti rap- porti, e non di rado incontro la insidiosa eloquenza del foro possa trionfare di tutti gli ostacoli che si frappongono, è necessario che alla cognizione delle dottrine che in grande copia al presente in que- sto importante ramo medico si scorgono, venga an- che a conoscersi l'applicazione delle medesime col presentare il giudizio di alcuni casi pratici ne'più gravi argomenti della criminal procedura, per es- ser quella [)arte di medicina forense, che giornal- mente è d'uopo porre in opera per la frequenza dei delitti , e che di più forn)a la vera base di ogni giudiziale andamento. La mancanza , l'impe- rizia ed anche 1' inesattezza di questa interessali- Ì6$ Scienze tissima parte, paralizza sovente la procedura, arre- ca titubanza ne' giudizi de' tribunali, e sommini- stra armi validissime, affinchè vadano tanto enor- mi colpe impunite. Pt;r queste gravissime ragioni, analogamente a quanto già effettuarono i celebra- tissimi Ammanno, Vaientini, Alberti ed altri, si è creduto presentare i voti medico— legali , che da molti anni a questa parte sono serviti di schiari- mento ai tribunali dello stato pontificio, e segna- tamente della capitale, per giudicare cause impor- tanti su vari argomenti criminali: i quali potran- no forse istruir le persone dell'arte sull'applica- zione che deve farsi delle tante dottrine sparse a dovizia sulle opere di questo genere, ed illuminare altresì i cultori del foro su qualche argomento, che in avanti non avevano peranche incontrato. Sarebbe pure un preziosissimo beneficio quello di dare impulso alle persone dell'arte salutare, on- de maggiormente applicarsi a questo ramo di me- dica scienza: in special modo a coloro che devono formare le prime relazioni medico — 'legali che so- no il fondamento della procedura, perche dagli er- rori e dall'insufficienza delle medesime nasce di fre- quente , che r esito de'giudizi avvenga in opposto senso a c|uello che richiederebbe la verità e la giustizia. 159 PER NEGATA SEPULTURA ECCLESIASTICA I. VOTO MEDICO— LEGALE sul preteso suicidio volontario di Giovanni Turriani. Una causa, il cui fondamento è poggiato nel riconoscere, se un uomo prima di aver commesso un attentalo si trovasse o no nello stato di follia, è uno dei punti della scienza medico — legale che vien riguardato tra i più difficili e delicati a risolversi, qualora l'individuo, che abbia commesso questa col- pa, debba attendere dalla severità delle leggi una grave ed esemplare punizione; mentre in tal caso essendo principale interesse del delinquente l'ap- parir folle per esimersi dal meritato castigo, im- piega tutte le arti possibili onde mostrare di es- ser tale, e sventuratamente non vi è malattia che possa pili facilmente mentirsi quanto questa , se- condo quel che insegna la giornaliera esperienza, ed il comune parere di tutti i più famigerati scrit- tori. Ma in tutt'altro modo trovasi la condizione di un uomo, il quale dopo aver dato visibili indizi di follia, ha condotto finalmente se stesso ad un ter- mine fatale : avvegnaché non avendo alcun ragio- nevole motivo a mentire s\ fatta malattia , tutte quelle azioni che potessero provare a qualificarlo per folle devono essere ammesse per positive, per- chè d'esse non per artificio, ma senza suo volere, anzi a suo malgrado, devono necessariamente ac- cadere. E per dare all'assunto che s'imprende a Irat- 160 Sciènze tare un miglior ordine, come capace a recare più chiarezza ed evidenza alle ragioni che esporranno- sì, si va prima ad esaminare se il temperamento dell'individuo, di cui si tratta, mostrasse disposi- zione e proclività a questo genere di malattie; in secondo luogo, se vi sono state cause sufficienti ad eccitare lo sviluppo di queste disposizioni; terzo^ se le parole e le azioni del medesimo possono far- lo qualiticare per folle, e ciò posto per quale delle varie specie di folTia debba essere caratterizzata : quarto in fine, se questa specie di follia potesse es- sere confacente a quanto disse, a ciò che scrisse , a ciò che fece prima che l'infermo si precipitas- se nelle acque dell'emissario di Claudio. In primo luogo è da osservarsi, che fra i tem- peramenti che si rinvengono nell'umana natura, i più proclivi allo sviluppo della follia per regola generale sono quelli , che mostrano una decisiva tendenza agli estremi, sia quello eccessivamente di vivace, ardente ed impetuoso carattere, sia l'altro soverchiamente serio, riconcentrato, melanconico e silenzioso. In ambi i casi, ed in altri ad essi pres- so a poco uniformi , sopravvenendo molti e pro- lungati patemi d'animo, o qualcuno soltanto forte ed impensato, e più ancora di tal natura che per individuali circostanze della persona a cui accade, le faccia una profonda impressione, può facilmen- te succedere che nel temperamento in primo luo- go descritto vada a destare una furiosa mania, ed all'altro una melanconica fissazione, che ne'termi- ni dell' arte viene classificata col nome di mono- manìa. Quando poi l'uno o T altro di questi due casi si è fatto permanente, allora succede quello stato che chiamasi demenza , che costituisce prò- Voti Mcdico-Lt;gali Ifii prlamente la follia confermata. Varie altre divisio- ni sogliono farsi della follia: ma a riserva dell'idio- tismo, clie forma 1' imbecillilk della mente , tutti gli altri propriamente parlando non sono se non i gradi diversi delle principali divisioni, e che non possono essere ben ravvisate se non dalle persone dell'arte, Queste sono le dottrine dei più celebri scrittori, e specialmente dei più recenti, come di Sphurzlieim^ di Darwin^ di lìush, di Gre din g^ Fo- dere^ Esquirol, e soprattutto dell'immortale Pinel^ che viene riguardato come il vero maestro di que- sto interessantissimo ramo di medicina, e come il fondatore del nuovo ed utilissimo trattamento di siffatte malattie , che tanti benefizi ha recati alle più sciagurate creature viventi. Fra le due classi di temperamento sopra de- scritte sembra senza dubbio doversi riportare al melanconico quello dell' individuo in questione , mentre da tutti i documenti che trovansi negli atti del processo , e da quelli che ulteriormente sono stati esibiti, chiaramente dimostrasi che il Turria- ni fosse di sua natura melanconico, e che il tenore della sua vita a questa naturale tendenza, pienamen- te corrispondesse. Per la qual cosa, se la fisica sua costituzione lo chiamava alla melanconia , ed indi se il sistema di vita adottato non si fosse virtual- mente opposto a questa congenita tendenza, è certo che egli doveva avere e naturalmente e abitualmen- te tutte le possibili disposizioni ad oltrepassare quei limiti^ che successivi avvenimenti potevano fa- cilmente suscitare in si fiitto temperamento. Pme/, nella celebre sua opera &n\V Alienazione mentale^ prova che una costituzione melanconica è causa 162 Scienze frequente di tras>iamenti i pia eccessivi e delle idee pia esagerate', cap. VII, pag. 47. Le cause ordinarie, le più potenti, le più efficaci ad apportare la melanconia morbosa, sono i pate- mi di animo deprimenti, percliè più analoghi al- l' indole di un carattere melanconico, e tanto più capaci ad apportare una profonda impressione sul- r animo dell* individuo di cui si tratta, in quanto che /' imputazione di una grave colpa contro il buon costume^ nelV uomo di savia e religiosa con- dotta, è pia sensibile che ad un altro che siffatte cose le riguarda con usuale indilFerenza ; e tanto pili in lui doveva l' impressione esser maggiore , stante che la taccia dataglisi d'aver tradito il tala- mo, e ripetuta anche dal padre stesso e dalla pro- pria sua moglie poteva profondamente avvilirlo se vera, doveva fortemente indignarlo se falsa; e le paterne querele da un canto, ed i giornalieri rim- brotti dell' indiscreta consorte dall'altro, sarebbe- ro stati capaci ad opprimere un spirito melanco- nico non solo, ma a fare stravolgere il cervello al più impassibile filosofo del mondo. Lo stesso Pinel dice, che t alienazione mentale trae spesso la pro- pria origine dalle passioni vive e contrariate pag. 27: e Zimmerniann, nella sua classica opera dell' e- sperienza in medicina, così paria su questo pro- posito: « Nel continuo ritorno della tristezza, dello « stesso dispiacere, e degli stessi vari patemi che « troppo occupano l'anima di quegli obbietti , e « quasi intrattengonla unicamente sopra di essi , « l'uoMìo finalmente piìi non esiste che per afflig- « gersi: ed a poco a poco alterandoglisi T imma- « ginazione, cade egli nella più cupa melanconia, « e da questa passa alla manìa ». T. Ili, cap. XI, Voti Medico-Legali 103 pag. 145. Rimane pertanto indubitatamente prova- to, die patemi d'animo affligg'onti vi sono stati, che questi erano di tal natura da destare in un tem- peramento melanconico cupe e profonde impres- sioni , capaci di stabilire sul noto individuo una morbosa melanconia, ossia manomanìa, vocabolo a- dottato al presente da tutte le migliori scuole di Europa. « La monomaìiia è una specie di follìa , « dice Esguirol, limitata ad un solo oggetto o per « lo meno ad un piccolo numero di oggetti, con- « servando la prima ragione sugli altri ; è tl'essa « insomma un delirio determinato da poche idee « fisse , dominanti , esclusive, erronee, e dal ra- « gionamento spesso sano sopra qualunque altro « oggetto ». In tal guisa la riconosce il famoso no- sologo di Monfpellieri Sauvages, T. II, pag. 173: « Non perverse ratiocinantur inelanchonici\ sed a « principio falso, cui constnnter inhaerent, conse- V quenlias suas recte saepius deducunt ». Non dis- similmente parla Areteo, uno dei più classici scrit- tori dell'antichità, allorché dice: « Plerumque in « melancholia in una aliqua re est lapsus, con- « stante in reliquis iudicio ». De causis et signis morboruni lib. I, cap. VII. Esqnirol poi distin-ue la monomania in più gradi, dal più mite cioè fino a quello del delirio massimo: ed allora la chiama monomania furiosa, o quello stato morboso che è la collera del suo delirio parziale. Pinel aggiunge che « 1 trasporti ripetuti di collera sono mai sem- « pre nocivi al giudizio, di cui impediscono il li»- a bero esercizio: ed una estrema irascibilità è ta- « lora il preludio dell'alienazione, e dispone po- ti tentemente ad incontrarla ». Art. IV, pag. 37^ sull'alienazione we/z^ni/e. L'imputazione fatta al Tur- 164 Sciente rlani, della quale si trovava innocente, non doveva oltre la tristezza eccitare nel medesimo anche vee- mentissimi impulsi di collera ? È d'uopo qui fare un' osservazione della piti grave importanza nella presente causa, e che la pro- bità e sapienza dei giudici saprà con tutta atten- zione considerare. Il passaggio che fassi in un in- dividuo daìh melanconia fisiologica a quelh pato- logica è tale, che siccome non vi è che un passo dair ultimo grado delVuna al primo grado dell" al- tra^ fa SI che all'apparenza dei circostanti questo cambiamento diviene quasi invisibile nel suo prin- cipio. La monomania non ha, come la mania, l'im- peto furioso del delirio, in ispecial modo allorché è incipiente, ma appalesa le sembianze di una cupa preoccupazione, prodotta da affliggente impressio- ne, che divenuta poscia principale ed unico ogget- to de'suoi pensieri, occupa presso che tutte le fa- colta dello spirito. Questa specie di follia non to- glie affatto, come si vede, la facoltà di ragionare: anzi fa osservare Esqwrol, che nella melanconia i sentimenti morali non solo conservano talvolta tut- ta la propria energia, ma inoltre sono in certi casi esaltati al massimo grado , quand'anche il malato non vuol confessarlo : e lo stesso autore aggiunge anche di più, che il monomaniaco adopra tutto il suo criterio per penetrarsi maggiormente delle idee da cui è preoccupato, ed esaurisce i mezzi sommi- nistratigli dalla dialettica per persuadere altrui es- ser cosa reale ciò che egli crede. Anche Sphurzheim riconosce nella pazzia che « la facoltà di giudica- « re non è sempre sconcertata , e che molti pazzi «t quando accordansi loro le premesse conchiudo- Voti Medico-Legali 165 « no perfettamente bene: da cui ne è nato che al- « Clini autori, egli dice, hanno parlato di una paz- « zia raziocinante «. Osservazioni sulla pazzia e. 2, pag. 57. Tutti gli scrittori poi convengono che in questa specie di pazzia si passa non solo facihnen- te , ma bensì rapidamente dallo slato di calma e di ragionevolezza a quello di alienazione, di per- turbamento ed anche di furore, perchè una conti- nuata monomania può far cadere l'infermo in ac- cesso di vera mania per indi ritornare allo stato di quiescenza. Ma ciò non basta, mentre una sola contraddizione, una parola, un guardo, un gesto, la pili piccola cosa insomma interpretata dal mono- maniaco a suo disvantaggio, è sufficiente per veder- lo all'istante cangiar fisonomia e linguaggio, e rica- dere nelle mentali sue alterazioni. E tanto sono fa- cili questi passaggi nell'animo dell' infermo , che pochi momenti prima che ciò accadesse, nessuno, fuori che un fisico professore lungamente eserci- tato, l'avrebbe creduto capace di un si pronto scon- volgimento mentale. L' estensore del presente voto, come medico fiscale di Roma e della direzione generale di poli- zia, è obbligato per officio ad esaminare la mag- gior parte dei dementi, che dalle private abitazio- ni sogliono condursi all' ospedale de' pazzi: ed ha in conseguenza col frequente esercizio osservato la qualità e l'andamento di sì sciagurati mali, e può assicurare per propria esperienza che ad onta dei pili evidenti fatti di follìa reclamati per denuncia- re i soggetti, su cui prendere gli opportuni provve- dimenti, nondimeno pochissimi sono gì' individui sui quali si mostri al primo aspetto una positiva pazzia , e conviene sovente che ripeta pili volte 166 Scienze delle osservazioni onde poterlo con sicurezza asseri- re; tanta è l'apparenza di benessere, che per qual- che tempo sostengono la maggior parte dei pazzi,, anche coli'esatta esplorazione delle persone esperi- ni 'Il tate nell' arie. Vedasi ora dunque se il Turriani, avendo un temperamento melanconico e per conseguenza di- sposto alla monomania, ed avendo avute esuberan- ti cause a produrla, abbia poi dato indizi sicuri di soffrire una tal malattia. Conviene pur'anche av- vertire, che oltre le disposizioni del temperamento ve ne sono parimenti delle altre concomitanti , che come la prima si rinvengono nel nostro caso. Ciò può reputarsi quella, che la follia sviluppasi più facilmente nella primavera e nelT estate : ed appunto tra la primavera e 1' estate si è manife- stata ed ha progredito la mentale alienazione del Turriani. I medesimi insegnamenti c'istruiscono, che il furioso delirio suole piìx facilmente attaccare gl'individui nel primo ardore della gioventù, e che la monomania suole a preferenza investire le per- sone nella virilità: e l'età ejQFetlivamente del Tur- riani era prossima agli anni 40 ; sicché tutte le fisiche condizioni favorivano lo sviluppo in esso della follia. In tal situazione, e con tali disposizio- ni di naturai melanconia , una voce calunniosa venne a turbar la sua quiete, ed urtare 1' ecces- s'va sensibilità , che gran parte formava del suo carattere: ed allora si fu che l'ordinaria sua me- lanconia andò a poco a poco ad aumentarsi no*» solo per l'intensi tk del grado, ma bensì per la pro- lungazione del tempo, e la frequenza degli acces- si. E qui è necessario di bea riflettere^ esser questo il modo col quale ordinariamente si passa dal^ Voti Medico-Legali 167 la melanconia naturale a quella morbosa^ e sicco- me la causa della tristezza ogni di si rinnovava, ed imprimeva al tempo slesso nel!' animo addolorato di qiiest' uomo già infermo acutissimi dardi, per- ciò era ben naturale che la morbosa melanco- nia divenisse ogni giorno piìi frequente e più for- te. Ma non è questo solamente quello che induce a riguardare il Turriani già affetto da permanen- te monomania, colle ordinarie sue alternative, ma si hanno ben' anche gl'indizi caratteristici di una positiva follia. L'essere interrogato e non rispon- dere^ o rispondere male a proposito; la ricerca fattagli da un uomo sulla provvista di un gene- re di sua negoziazione, e presentare in cambio un diverso oggetto di total discrepanza; Vesibita di un pagamento fattogli da un altro individuo, che aveva seco contratto un debito, ed egli lungi dal ricevere il danaro gli offre silenzioso in vece altri generi in vendita, e tutto ciò con tale esteriore al- terazione da indurre le sopraddette persone a de- sistere da qualunque ulteriore ricerca. Queste cose di fatto che non ammettono in- terpretazioni, e che si trovano in atti e riferite dai testimoni ineccezionabili, i quali parlano per fatto proprio, sono tali che non ammettono il minimo dubbio non solo, ma provano ad evidenza la po- sitiva alienazione mentale del Turriani: ed è duo- po distruggere questi fatti per negare che un tal uomo non fosse pazzo. E quella lettera stessa, scrit- ta dal medesimo prima del suo line fatale, a be- ne esaminarla da capo a fondo prova vieppiù la Sconvolta sua mente , mentre la dichiarazione di andare a morire innocente non è propria se non di quello che è condannato all' ultimo supplizio, jjGS Scienze e che deve morire suo malgrado: ma non può che da uno assolutamente folle fiirsi la protesta di an- dare a morire innocente, quando il vivere era in sua piena liberta. Anche le varie somme, che in- dica doversi riscuotere , non si trovano poi alla quantità descritta : lo che prova aver egli idee va- ghe ed incerte, come è proprio di una mente di- sordinala. Alcune altre particole della suddetta let- tera restano ancora ad interpretarsi, ed in fine la raccomandazione che fa a tutti di stare in alle- gria, che sarebbe lo stesso che dire, che festeggi- no il suo precipitarsi nell'acquedotto di Claudio, è, in una lettera, la vera chiusa del re dei pazzi. In fine sullo scrivere che fanno i pazzi odasi ciò che dice in proposito il tanto commendato Pinel:„ Al- • cuni sono pure sì suscettibili di fermare la pro- « pria attenzione in mezzo ai loro chimerici di- « vagamenti, che possono scrivere ai parenti^ al- € le autorità costituite, lettere piene di buon sen- • so e di raziocinio. Un giorno ( prosegue il me- « desimo autore) impegnai uno di essi, d'uno spiri- « to caldissimo fornito, a scrivermi pel giorno ap- « presso: e questa lettera, scritta all'istante che te- « nea i più assurdi discorsi, fu piena di sen- • so e di ragione. Si sa finalmente che una delle ( varietà della mania, che negli ospizi chiamasi « follìa raziocinante, e notevole soprattutto per « la massima coerenza nelle idee, e per l'aggiusta- « tezza del giudizio; l'alienato può allora leggere, « scrivere, riflettere come se godesse di una sa- li na ragione; e frattanto egli è soventi volte su- « scettibile ancora di atti della pia gran violenza * « Opera citata pag. 74, e scg. Voti Medico-Legali 169 Ma qui non termina ancora il deplorabile qua- dro: imperocché si hanno anche testimoni ocula- ri (li quanto accadde alcuni istanti prima che si gitlasse nel divisato acquedotto: e la descrizione che ne fanno è tale, che sarebbe duopo negare la verità conosciuta se non volessero riguardarsi tutti gli atti, gesti, azioni sconnesse di qualunque spe- cie che precedettero il suo fine, come una totale alienazione mentale ; e non altrimenti riputar si debbono quel misto di religione malintesa co' ri- provevoli impulsi di una delirante risoluzione. Se dopo tutto ciò che è stato esposto, e che indubitatamente è accaduto, voglia ancora chiamar- si volontario suicidio e compiuto con sana mente il funesto fine del Turriani, è d'uopo allora rinun- ziare ad ogni sano ragionamento, ed alle migliori dottrine dei più insigni scrittori. Ma lasciando ora di riferire quanto la mag- gior parte dei giuspubblicistl e de' codici legisla- tivi espongono sul suicidio , dai quali si cono- scerebbe che il compiere quest'atto nella più par- te dei casi è follia e non sano intendimento , è necessario però dimostrare ciò che su tal propo- sito determinano i più gravi autori di medicina forense: mentre presso tutti i tribunali del mon- do civile i soli professori di medicina, ed esercita- ti nell'arte, sono con tutta ragione riguardati co- me le sole persone competenti nelle decisioni di tali vertenze « Suole il giudice ( dice 1' illustre « Sprengel ) proporre al medico pubblico lo scio- « glimento di si fatte questioni, non solo perchè « il medico è la soia persona dall' autorità pub- « blica destinata ad eseguire quest' uffizio, ma a G. A. T. LXXVIII. 12 170 Scienze « motivo eziandio che non può intraprendersi al- a cun esame sullo spirilo , senza investigare nel M tempo stesso lo stato dell'organismo ,,. Instituz. di med. leg. cap. III. pag. 173. Lascisi però di parlare del suicidio, che frut- to di sofismi e di errori nazionali si videro si- stematicamente adottati dai greci , dai romani , nella Cina, nel Giappone ed in altre parti ancora del nostro globo, perchè ciò è da porsi tra i co- stumi, come quelli di sacrificare vittime umane, o di esporre la propria vita per una falsa gloria. Ne meno è d' uopo far menzione di que' suicidi che in un'isola famosa, ove in mezzo ai lumi di cui si vanta racchiudonsi tutte le possibili stra- vaganze, si uccidono perchè dopo aver tra l'ebrie- tà e l'opulenza tutto a sazietà goduto i piaceri del- la vita, vanno o per noia, o per curiosità ad espe- rimcntar quello che non hanno ancora provato. Molto meno sembra degno il tener discorso di quel- lo che talvolta accade ad alcuni leggieri spiriti , i quali privi di alcun principio o con corrotte mas- sime, senza cambiare il frivolissimo tenore della loro vita fino all' ultimo istante, si danno la mor- te per vanita o bizzaria, commettendo un'azione di tal natura come fosse il cambiarsi un abito di nuova moda. Nel nostro caso non si tratta certa- mente di un ingegno speculativo, che abbia let- to le istorie filosofiche degli antichi popoli , ne le opere di lìobek e di Gio\'anni Donne , ne la seconda centuria di Giusto Lipsio^ né la Que^ stion royale di f^erger, né le riflessioni di De- slandes, né le lettere persiane di Montesquieu^ e cos'i tanti altri scritti di simil fatta: mentre r individuo di cui si parla era un negoziante , Voti Medico-Legali 17 j molto povero di spirito , pienamente ignorante, ed Incapace per conseguenza di essersi ucciso per sottigliezza filosofica; era inoltre un uomo buo- no, religioso, dedito alle pratiche di devozione ed agli uffizi materiali della sua professione , per cui è fuori di luogo che sia corso al sno fine per corruzione di massime, o per vanita e le"'>-crezza di costume: e perciò è duopo collocar sempre il Turrianl nel numero di quelli che sogliono com- mettere un simile attentato per sola alienazione di mente; tanto piìi che egli ne aveva tutte le dispo- sizioni , che sono state cause potentissime a svi- lupparle , e che in fine coi fatti evidenti se ne sono veduti i segni caratteristici. Il celebre Fo- dere, su questo argomento trattando, in tal guisa si spiega. « Se noi ci diamo la pena di esaminare « con qualche attenzione le diverse circostanze, nel- « le quali l'omicidio di se stesso ha avuto luogo, « noi troveremo sempre che esso è stato provo- « cato o da uno stato di follia anteriore, o da un « delirio temporaneo derivato da passioni violen- « ti, o per un disordine dello spirito e delV in- « tendiniento. In questi tre casi il suicidio è egual- « mente un atto formale di alienazione di mente.,, Med. Leg. Part. I cap. IV, pag. 311. E più sotto, dopo aver fiuto conoscere che alcuni libri di giu- risprudenza danno una diversa idea al suicidio e proclività al medesimo, secondo la qualità, Tedn- cazione ed il rango delle persone, riguardandolo lontano dalle classi del popolo come più vicine alla natura, conclude che qualora il suicidio abbia luo- go nelle altre classi volgari indicate, non potrà essere attribuito che alla demenza. Op. citat- p.3l9. ^T2 Scienze Tutte queste classiche dottrine di uno dei più rinomati autori dei nostri tempi sono si opportu- ne al caso ed alle circostanze del Turriani , che sembrano essere state scritte appunto per lui: da che ne viene , che sotto qualunque de tre descrit- ti casi voglia il medesimo riguardarsi^ dovrà dir- si con Fodere^ essere il suicidio, di cui si tratta, egualmente un atto formale di alienazione di men- te. £ che se mai qualche colpa evvi nel presen- te caso, non sarà per parte dell'infelice infermo, ma per quella fatalità dei piccoli luoghi, che man- cano dell;» superiore vigilanza ( tanto comune nel- le grandi citlk ), colla quale all'apparire dei più leggieri indizi di follìa si previene con un me- todo curativo quel che di peggio sarebbe potuto avvenire, o con opportuna reclusione si reprime tosto qualunqpe effetto funesto. Ma pure, è d'uopo confessarlo, anche coi piìi saggi provvedimenti si vede talvolta , nella stessa Roma , non potere ne prevenire , ne riparare alcuni sciagurati casi di occulte e non bene manifestate monomanie, o di subitanee e deliranti manie. Da quanto dunque si è finora discusso me- diante r autenticità dei fatti, 1' uniformità di tut- te le dottrine, le autorità dei piti classici autori, si può con piena ragione conchiudere che la fisica costituzione del Turriani era di sua natura melan- conica, e disposta pertanto a contrarre tutte quel- le infermità, che da un tal temperamento soglio- no derivare. Che patemi di animo deprimenti, re- plicati E cjuasi continui per aver turbata la do- mestica armonia, essendo di loro natura capaci ad apportare sommo perturbamento ad un animo già proclive a meianconiche affezioni, doveva per ne- cessaria conseguenza condurre il Turriani ad una Voti Medico-Legali 173 morbosa tristezza , che costituisce propriamente quella specie di alienazione mentale , chiamata al presente da tutte le scuole monomania , o mania parziale .Che l'aumento della tristezza, succeduta nel suddetto individuo con visibile turbamento, e con- testato da moltissimi testimoni degni di fede: l'aver- lo inoltre osservato i testimoni suddetti da qual- che mese innanzi ricusare la compagnia degli ami- ci, ritirarsi mesto e silenzioso da tutti come preoc- cupato in profondi e tetri pensieri; 1' averlo in fine riconosciuto sconcertato, come suol dirsi , di mente o col non rispondere alle dimande o col farlo male a proposito , col prendere nella sua negozia- zione un genere per 1' altro, col presentare un oggetto invece di ricevere il pagamento di un altro già venduto, e varie altre cose uniformi, che tut- te palesano in esso i' esistenza di un' alienazione mentale, la vera follia del genere melanconico , e quella che nei giusti termini dell' arte chiama- si mania parziale, e meglio ancora monomonia ; e che perciò la maggior parte de' suoi discorsi che precedettero il funesto suo fine, i suoi scrit- ti, ogni passo, ogni gesto, ogni sua azione in ul» timo dimostra positivamente che il Turriani, prima che si precipitasse nell'acquedotto di Claudio, tro- vavasi nello stato di reale folTia. Ora dunque dopo tanta evidenza di fatti e di ragioni, dopo essersi dimostrato che nella natura di tali questioni la sapienza dei giudici, la terrena giustizia insomma, non può deviare dal se ntimento degli uomini pe- riti neir arte, e da quelli singolarmente istruiti nella scienza medico — legale, non si dubita pnnlo che il deplorabile fine del Turriani debba riputarsi come derivato da una vera alienazione mentale» 174 Scienze Francesco dott. Valori, professore di sanità della s. consulta, medico-legale del medesimo supre- mo tribunale, medico fiscale del governo, del vicariato e della direzione generale di polizia , medico primario dell'ospedale delle carceri, già presidente della società medico — chirurgica di Bologna, socio di molte accademie mediche e letterarie ec, estensore del voto. Gio. Battista dott. Bomba, professore dell'archigin- nasio romano, medico di collegio, medico pri- mario dell'arciospedale di s. Spirito, socio di molte accademie mediche e letterarie ec. ec. ec, confermo pienamente quanto sopra, Michel' — Angelo dott. Poggioli, pubblico professore nell'archiginnasio romano, medico di collegio, medico primario dell'ospedale di s. Gallicano , socio di varie accademie mediche e letterarie ec. mi unisco ancor'io al sapientissimo parere del- l'eccellentissimo sig. dott. Valori. Antonio dott. Baccelli, professore di sanità della s. consulta, chirurgo-legale del supremo tribu- nale, chirurgo fiscale del governo e del vicaria- to, chirurgo primario dell'ospedale delle car- ceri, membro del collegio medico — chirurgico e socio di varie accademie ec. mi unisco anche io al voto del chiarissimo autore. 175 Saggio storico sulle pestilenze di Perugia e sul governo sanitario di esse dal secolo XI f^ fino ai giorni nostri: del dottor Cesare Massari, f^o- lume unico in 8.» pag. 238. Perugia tipografia Baduel 1838. \_iol modesto titolo di saggio storico presenta l'au- tore un giudizioso e paziente lavoro, il quale, se precipuamente aggirasi sopra una delle più vetuste ed illustri citta d'Italia, non disgiungesi però dal- la pubblica utilità per la dottrina ed esimia saga- cita che vi si racchiudono. Accenna egli nell'in- troduzione, che pei progressi delle scienze e delle arti, pei migliorati costumi e politezza nel vive- re, per la reciprocanza de' lumi dall' uno all'al- tro degl'inciviliti paesi, siensi diradate ed accor- ciale eziandio le epidemiche contagioni. Che se un tempo per la ignoranza e per gl'innumerevoli vol- gari errori si ricordano, da Augusto fino al 1680, novantasette pestilenze, 32 delle quali dal 1060 al 1480, notandosi massimamente che nel secolo XIV venne l'Europa desolata 14 volte da fieri contagi, oggidì, quantunque dobbiamo taluna volta dolerci, abbiamo tuttavia a consolarci in confronto de' tem- pi andati. Facendo il eh. autore da 28 anni onorata parte dei sanitari consigli perugini, gli si è pre- stato campo largliissimo per raccorrò notizie, non prima però della metà del secolo XIV (siccome 176 Scienze vedesi dall'intitolato lavoro ), somministrategli dai ricchi municipali archivi e dalla copiosa Liblioteca del celebre archeologo professor Vermiglio!!. A raggiugnere il lodevole scopo, da prima egli un cen- no storico di ciascun secolo colla contemporanea polizia medica: narra indi le avvenute pestilenze, alle quali fanno seguito le savie sue riflessioni. Un' appendice alfabetica, con documenti compro- vanti l'assunto, chiude quanto di maggiore interes- samento ci si presenta pel gravissimo argomento. Discorsi quindi di volo il deplorabile acce- camento degli uomini, che ad eccezione di pochi avveduti credevano allo spirare del mille il fi- nimondo; la nullità delle igieniche discipline, ed i micidiali, svariati ed atroci italiani parteggiamen- ti provinciali e municipali di alcuni secoli ve- gnenti; passa l'autore ad accennare le pestilenze del 1311, 1319, e 1390, epoca nella quale per \?iprima volta veggonsi fiaccamente stabiliti taluni marittimi provvedimenti sanitari dalle repubbli- che di Venezia e di Genova. Nella pestilenza del 1347, durala circa 3 anni, importata col commercio del Levante , e dotta- mente descritta da tutti i nostri classici scrittori, attinge primamente il Massari le notizie dalle pa- trie croniche: mostrando che in soli 5 mesi del 1348 perirono nel perugino 100 mila persone. Il che sembrerebbe incredibile, se i nostri eru- diti lettori non tornassero alla memoria , come tutti gli elementi dall' autore rammentati, non fos- sero concorsi valevolissimi a cosiffatto esterminio. Ne male egli si appone , quando pensa che la contagiosa semente or qua, or là ripullulò con ge- nerali stragi in Italia; dimodoché la sola sua pa- Pestilenze di Perugu 177 tria negli ultimi 53 anni del XIV secolo fu da sei pestilenze straziata. Nell'entrata e nel proseguimento del secolo XV, malgrado dei progressi delle scienze e delle let- tere, soprattutto di tre memorandi avvenimenti, l'invenzione della stampa (l/iST), l'instituzione dei primi lazzaretti marittimi (1478) nei principali porti d'Italia a salvaguardia delle coste di Egitto e del levante, e finalmente della scoperta del nuo- vo mondo (i492), paransi tuttavia dinanzi pesti- lenziali stragi, senza contar quelle per altri im- portati europei malori, oltre la sordida americana lue. Imperocché ebbe proponimento l'autore di par- lare soltanto degli esotici pestiferi morbi febbri- li. Narransi perciò nel 1405 le pestilenze di Ge- nova, Padova, Savona etc. Gadegli anche in accon- cio di ricordare che ogni italiano municipio van- tava , per cosi dire , celebri guerrieri , e distin- guevasi specialmente Perugia , soprammodo con Braccio Fortebracci ( vittima nel 1424 dell' im- mensurabile suo valore e ardimento nelle pianure vestine ). Impossessavasi egli di molti luoghi , e della stessa Roma nel 1417 , vacante il pontefice: ma comunicavasi nelle sue schiere ( a nostro av- viso ) contagioso morbo, che nel vegnente anno , secondo 1' autore , trasportavano esse in Perugia, che spopolossi non poco eziandio , perchè molti fuggirono , e venne anche il pubblico studio tras- ferito a Castello della. Pieve per un anno, nel qua- le durò l'epidemico male (1). Cospicue città d'Ita- (i) Guidati da lunga esperienza, e da accurate nostre ri- cerche, portiamo avviso che neirepidemia perugina possano es- sersi frammescolate febbri intermittenti perniciose prese in Ro- 118 Scienze lia tornarono a gemere pei contagi nel 1422, e nel- la citta di Perugia adottaronsi nel 1425 alcune deboli sanitarie precauzioni : ma quivi riapparve la pestilenza nel 1429, ed infierì l'anno vegnente, Dopo qualche anno tornò nel 1437 in questa citta la peste : nel qual tempo con qualche mi- glior modo usaronsi alcune cautele , e se vidersi ionissimi medici (dice l'autore) fuggire, decretaron- si dal perugino magistrato laudi pubbliche al fa- hrianese medico Andrea di Romito. Per gl'italiani guerreggiamenti importavasi ivi di nuovo la peste ( che in molte citta d'Italia menava stragi ) nel 1447, e perdurava fino al 14>iO: indi novamente nel 1456, e poscia nel 1460 sino al 1468 !! In quest' epoca però diversi sanitari provvedimenti pili utili furono dai perugini adottati, e dassi gran lode al sulmonese medico cavalier Rainaldi co- la per dottissimo reputato , principalmente per «no scritto sulla peste. Passati appena 7 anni di tregua, risorgeva e dominava per un lustro con istragi in tutta Italia il pestilenziale malore. Il Massari lo confronta per lo esterminio nel pe- rugino con la peste del 1348. Giusti elogi si fanno ma dai bracceschi, ed a Perugia in essi soli, per istraordinaria cagione qualunque, risorte senza essere passate ad altri; impe- rocché queste febbri, meno nei luoghi dove sono endemiche, non assumono mai V epidemico ^enio che perdono negli stessi luoghi palustri durante l'inverno. Ora l'annuale epidemia, dalla quale l'u fortemente attaccata Perugia, debbe riportarsi ad uà seminio contagioso: il che l'autore nostro medesimo saggiamente non discrcde.il i!/w/'afor/ di fatto ed altri ricordano in questi lem- pi pestilenze in diversi luoghi d'Italia, inclusive in Toscana, d' onde spesso solevano da ultimo provenire le pestilenze perugine. Ilcomp. Pestilenze di Perugia 179 del Tranquilli-, e più del Ficino che diede nel trattato de peste lodevoli ed assennati precetti; e sebbene duraturi ancora veggansi i perversi costumi, e le atroci civili discordie, tuttavia sem- pre più accrescevansi le benetìcenze, e talune sa- nitarie discipline per diminuire le calamità pub- bliche coi frequenti contagi moltiplicate. Vcdesi difatto per la prima volta in Perugia, fuori delle sue mura , un lazzaretto per gli appestati. Con- simili misure, ma non mai positivamente distrut- tive del pestilenzial morbo, vedonsi del pari in molti luoghi d' Italia, la quale seguitava di tem- po in tempo ad essere straziata dal flagello, che nel 'I486 riaffacciavasi in Perugia , che , se respira- va pel disperso contagio sino al 1493, stante al- cuni sanitari regolamenti, veniva oltremodo ber- sagliata per intestine fazioni. Ma rividesi ancora strage per contagio nel 1494, epoca in cui l'au- tore accenna anche la comparsa in sua patria del mal francese, importato in Italia dall'esercito di Carlo Vili. Che se taluni contrastar vogliono que- st'importazione , certo sì è che la presenza degli stranieri ricondusse la penisola nostra nello squal- lore nella miseria, e nel decremento del sapere, e soprattutto ne soffrì la meridionale Italia. Vuoisi ciò nulla ostante convenire coli' illustre autore, che diffondendosi pel trovato della stampa più facil- mente le dottrine di sommi italiani , alla cima dei quali sono il Fracastoro e il Massaria., meglio poterono riguardarsi da' contagi i comuni italia- ni , che ciò nulla ostante per la detta presenza straniera soggiacquero a desolanti pesti nel seco- lo XVI. Non può per altro negarsi , che questo secolo mostrasi apertamente più dirozzato e civile 180 Scienze dei precedenti. A buon diritto perciò trlbulscon- si dall' autore meritate lodi a que' sommi ponte- fici , i quali non solo mirarono di proposito a spegnere le nefande discordie intestine, siccome avvenne in Perugia , ma a tutelare eziandio la pubblica incolumità con ottimi provvedimenti, in- fra quali ricordasi quello, dopo oltre la meth del secolo, di un supremo tribunale di sanità. Ma per tornare al proposito, l'Italia fu flagellata da pesti- lenza nel 1504-5: e narraci l'autore che in Perugia vi si congiunse la carestia, onde molti denari ver- sarono i deputati ad pe Stein in oggetti di pubblica e privata salute. Dopo 17 anni di riposo, molte cittk d'Italia vennero ad essere aspramente ritormentate da piti contagioni. « Roma la soffri feroce nella sua invasione, ferocissima dopo l'ingresso del pon- tefice Adriano Vl,che fu nel 29 agosto (1522); quel- la peste durò in Roma tre anni, e per sette anni se la tenne la Italia. In Perugia vi fu ugualmen- te, e settennale e indomabile si trattenne ». Ciò nulla ostante ricordansi dal Massari molti prov- vedimenti presi nella sua patria; molti elogi si fan- no a tre medici ed alle loro opere, specialmente a quella del bolognese Bavera contenente utilissimi precetti. Glie se Italia vedesi ancora bersaglio di pestilenze , fra le quali rammemorasi la famosis- sima di Milano nel 1576, detta di s. Carlo Borro- meo, Perugia dopo il 1528 ne rimase immune sino al 1580. La contagiosa pestilenza di questo tempo ve- nuta di Francia, detta mal del castrone o del mon- tone, fu chiamata ancora mal del bazzuccolo e del mazzacollOf con febbre gagliarda e tosse. Rarissimi furono gl'individui attaccati che non perissero. Ma Pestilenze di Perugia 181 sembra che ne andassero immuni le persone mo- rigerate e che usavan dieta. Raccontasi che il sa- lasso fu sperimentato nocivo. Dal luglio sin verso r autunno fece in Perugia grandi stragi. Passava- no anni nove, e quivi per una carestia quasi in- credibile svolgevasi il tifo petecchiale , che per sei mesi condusse gran gente al sepolcro (1). Nel terminare del secolo il perugino magistrato pren- deva più proficui provvedimenti sanitari fra i quali pubblicossi nel 1599 un bando „ utilissimo ad allontanar per sempre i saltimbanchi e cer- retani , che furono e sono pur sempre le grandi pestilenze delle città „. Saviamente riflette ancor r autore che per la vigile sorveglianza delle leg- gi sanitarie , per la ritornata interna tranquil- lità, si fecero piìi sicuri la vita ed il censo dei popoli. Difatti i secoli che vennero furono belli o men tristi. Eccoci ( dice l'autore ) al secolo XVII, secolo di pace, di sapere, di civiltà. Non che man- cassero guerre , carestie , o pestilenze: ve ne fu- rono, come ve ne saranno pur troppo a trista sor- (i) L'autore, che riconosce questo morbo per contagioso ed indigeno , sebbene qualcuno lo reputi di esotica origine , scri- ve ancora che insorge tra noi spontaneo. Non cade qui in ac- concio il dire, che uomini sperimentati mostrarono dannosa, ed evidentemente falsa la spontaneità dei contagi ; imperocché noi crediamo che la parola spontanea, usata dall'autore, la intenda quando improvvisamente veggasi ripullulare il male in quistione. D'altronde se esso è contagioso ed indigeno, se tuttodì vediamo, in ispecie nelle grandi capitali, alcun caso dello stesso tifo, del vainolo, e di altri morbi attaccaticci resi indigeni fra noi , sem- brerebbe non convenir affatto la spontanea insorgenza, quando per cause esteriori riprendono il genio epidemico; subitoche il contagioso seme o latente, o manifestamente sporadico , fra noi covasi o serpeggia. Il comp. del giorn. 182 Scienze te degli uomini „. Egli poscia ricorda i dotti uo- mini di questo secolo, e la gai'a dei principi nel proteggerli. Fassi sommo elogio del supremo tri- bunale di sanità in Roma, che sotto Urbano Vili, durante la pestilenza sterminatrice di Milano e di altre italiche provincie (1630), occupossi maggior- mente a diffondere pel pontificio dominio sagacis- simi regolamenti sanitari. Accennansi quindi i laz- zaretti marittimi dagli austriaci sovrani meglio sta- biliti in Livorno (1643), e quegli eretti in An- cona e Civitavecchia nel 1630 e 1696 : ne si tra- scura di riportare tante altre sapientissime leggi a tutela degli stati romani, impedendo special- mente, eccetto colle dovute cautele, qualunque di- retta o indiretta comunicazione coi luoghi sospet- ti. Fu per esse che Perugia fu salva non men dal- le pestilenze fuori di stato, che da quella dalla quale fu invasa la fiorentissimaEmilia nel 1611-14. Fu per quelle provvidenze che rimase incolume /' intero stato pontifìcio dalla notissima peste del 1630. „Se noi, dice l'autore, cosi ci serbammo sem- pre liberi da questo contagio di Lombardia e di Etruria, debitori ne fummo ai prudentissimi or- dinamenti della sanità di Roma , e delia civica congregazione di municipale incolumità. Non d'al- tro si dovettero dolere i nostri maggiori , per il corso di più anni al 1630 posteriori, che del srravoso soddisfacimento dei molti debiti contral- ti, onde star bene in salute. « E vero bens'i che non iscampò Roma la pestilenza, che nel 1656 annientava, per modo di dire, Napoli e i suoi din- torni per peste importatavi di Sardegna dal bar- baro governamento di un viceré straniero (1). Ma (i) Giorn. are. tom. 44 P^g- 173-4' Pestilenze di Pkrugia. 183 clandestina ne fu in Roma l'importazione, e tut- te, dal sommo pontefice Alessandro VII furon mes- se in opera le opportune provvidenze: talché in confronto della sventurata Napoli, non solo assai più leggiero fu il romano infortunio , ma con apposite barriere provvidesi ancora all' incolu- mità dello pontificie provincie (1). Loda quindi l'autore con ragione l'aureo opuscolo del dottissi- mo cardinale Sforza Pallavicino ultimamente pub- blicato per cura del chiar. signor abate Cicconi. Le sanità marittime intanto non poche pestilen- ze tennero lontane. Che se abbiam veduto col- pite molte cospicue italiane citta da 3 pestilen- ze nel secolo XVII, Perugia, siccome tanti altri luoghi , per le vigilantissime precauzioni ne fu libera sempre; e ciò che vuoisi notare si è, che le tre pestilenze accennate „ non si ebbero per ignoranza di opportuni mezzi a tenerle lontane, o per ispensieratezza di uomini, ma per prepotere di armati, per funeste guerre di straniere domi- nazioni, per clandestine transizioni di appestati, cui inevitabilmente (per lo piìi ) si va incon- tro nel commercio de' popoli continentali,,. Con giulive parole passa l'autore a parlare del secolo XVIII (però fin presso al suo termine): ricorda i sommi italiani che lo illustrarono in ogni (i) Si introdusse clandestinamente if male a Civitavecchia e Nettuno: nella prima fu isolatole subito distratto: sulla seconda menò strage: e di là credesi dal Gastaldi che fosse da una donna trasportato in Roma: ma il Pallavicino lo ripete, siccome alcuni altri, da un marinaio napolitano. Inoltre scrive il Pallavicino che il male sdrucciolasse in alcuni paesi dell'Umbria limitrofi al re- gno ; il che consuona con altri storici documenti. Il compii. 184 Scienze maniera dì sapere; rammenta che a tutelare vieme- glio la pubblica incolumità , maggiori e più si- curi provvedimenti adottaronsi dagl' italiani prin- cipi, e miglioraronsi ancora i regolamenti dei no- stri porti di Civitavecchia e di Ancona. Ogni dì crescendo l'universale incivilimento, sotto altri rap- porti eziandio crebbero per ogni dove i saluta- ri trovamenti mercè di saggia medica polizia : onde le stesse armate ne trassero non piccolo gio- vamento, dimodoché vidersi sovente preservate da contagiose febbri; ne pochi furono i vantaggi ovun- que risentiti per le varie discipline di medica po- lizia per gli stessi apiretici contagi : ne si trala- scia dall' autore di ricordare l'immortale scoperta ieìineriana. Che se per poca avvertenza della sanità di Marsiglia nel 1720, se per clandestina merce del levante introdotta in Messina nel 1743, furon da peste flagellate, e indi se anche nella Dalmazia s'in- trodusse nel 1763 il bubonico tifo, ed invase dal me- desimo ne vennero Spalatro e Lampedusa in Sicilia, sl'italici aoverni mercè delle additate sanitarie mi- sure energicamente adempiute, liberarono l'Italia dal gravissimo flairello. Peraltro l'autore ci descrive il desolante epidemico morbo, che afflisse non poco la citta di Perugia nel 1716: ma esso non fu di eso- tica e pestilenziale provenienza. Finiva intanto il secolo XYIII senza straniere pestilenze: „ ma altri mali ne vennero, e ve ne furono di altro genere, da ricordarli sempre, non riscriverli mai ,,. Ma per l'importantissimo argomento de' con- tagi, savissimamente intorno quel secolo conchiude il Massari: ,, Se a persuadere gli uomini che gl'iso- lamenti delle citta infette dalle sane, tra provincia Pestilenze di Perugia 185 e provincia, le vigilanze, le contumacie, le disinfet- tazioni, ed altro sono veramente l'tniico mezzo di salvare a vicenda i popoli dal più terribile dei flagelli, non bastassero i fatti da noi narrati nei secoli anteriori, ciò che in questo è avvenuto sem- bra al certo valevolissimo. Il contagio di Marsi- glia durò cola circa tre anni, e la Italia per ope- ra di saggio governo sanitario ne fu liberata. Un triennale appestamento messinese pose in remore l'Italia meridionale, ma con gli stessi mezzi non sor- tì mai fuori dal dove nacque. IN uova siciliana con- tagione ebbe luogo sul declinare del secolo, ep- pure dalle siculo terre in altre non si diffuse. Ge- nova per epidemia fu manomessa, ma sulle genti sue e non sopra altre funestissima dominò. Una lettura di confronto che f^icciasi tra gli ordini sa- nitari pubblicati dalle autorità governative e mu- nicipali dei tempi più lontani con quelli a noi più vicini, di leggieri farà conoscere come i lu- mi sempre crescenti delle salutari scienze, i prò- gressi della medicina politica , e V attività più. filantropica dei principi, abbia favoreggiato la pro- sperità fisica delle popolazioni sul lato dell'inco- lumità universale ,,. Ragiona dipoi l'autore del nostro secolo, del- le riformatrici dottrine mediche, e delle non po- che discordie per esse in Italia specialmente in- sorte e dilucidate : loda con ragione que' medici che tendono ad un' ecclettica conciliazione. Parla indi del dilucidamento e progresso ottenuti colle opere di diversi viventi e recenti trapassati au- tori intorno ai morbi popolari. Senonchè a qual- che illustre italiano sembrerà discaro il vedersi obli- gate, mentre talun altro crederà non ravvisarsi in G.A.T.LXXVllI. rò 186 Scienze tutte quelle opere ( d'altronde di uomini dottis- simi) quel progresso di cui parla 1' autore. Giu- sti elogi tribuisconsi agl'italiani governi por gTin- trodotti miglioramenti sanitari , infra quali ap- po noi si ricordano il codice marittimo pubblicato in Roma nel di 25 novembre 1818, ed altri sanitari regolamenti pubblicati nel 1831. Narrasi come le congregazioni e deputazioni sanitarie di provincia e di comune esistessero solamente in tempi di epi- demici-conlagiosi ed epizootici morbi, ma che per provvido consiglio del sommo regnante pontefice Gregorio XVI in tutte le provinciesistemaronsi per- manenti con ordinanza del d'i 20 settembre 1836, onde le medesime formassero un nesso tutelare da congiugnersi prontamente colla suprema centrale congregazione di sanità sedente in Roma (1).Nè mi- nori sono le laudi al sovrano pontefice tribuite per l'erezione generale de'campi santi ordinata con cir- colare del marzo 1837. La città di Perugia che mancava di un cam- po santo, di un mattatoio e di una pescheria, li vede oggi sorgere a maggior suo lustro e salubri- tà. L'autore ci ricorda ancora il salutevole soppres- sivo decreto per mezzo della S. C- nel 1832 intorno i maiali, che per un tal malinteso privilegio impu- nemente vagavano in buon numero in quella città ! (i) Questo supremo dicastero ripete parimenti la sua isti- tuzione dal sommo pontefice Gregorio XVI. La S. S. per mi- gliorare r andamento amministrativo e giudiziario degli aflMii sanitari, inleso anche il parere di una congregazione particola- re di eminenllssimi cardinali, fondò il medesimo , e venne al pubblico notificato con editto per mezzo della segreteria degli affari di slato interni nel dì 25 luglio 1854- Pestilenze di Perugia 187 Narra poscia Tautore i popolari morbi che af- flissero rilalia, e ricorda dapprima la febbre gial- la importata in Livorno verso il fine del 1808. La S. G. nulla omise per preservarne gli stati roma- ni, e ne conseguì completamente 1* intento. Cor- doni ai confini, contumacie, lazzaretti speciali, di- sinfettazioni furono messe in opera. Perugia limi" trofa alla Toscana „ tutto ciò esattamente esegui- va che Roma ordinava, e guardie di cittadini, for- za di armati, assegno di forestieri, verifiche di sa- nitarie bollette, e nettezza universale della citta da quei magistrati si prescrivevano, e da tutti si adempivano ,,. Durarono le vigili sanitarie misu- re a tutto marzo 1805, e nel seguente aprile Ro- ma dichiarò sana VEtruria da ogni sospetto di con- tagiosa infezione. Narra poi una carestia del 1812 nella sua patria, ed una fèbbre carceraria del 1813, cui si pose riparo immediato con molta lade del Massari, che ne ordinò le apposite sanitarie pre- scrizioni. L'autore, con nostra sorpresa (1), senza parlare di altra italiana pestilenza, passa di subito a ragionare del tifo che tutta Italia invase (1816-17) con più o meno strage accresciuta a seconda degli esclusivi medici sistemi , e laddove non usaronsi (i) Una lacuna difatti interessantissima della storia medi- ca, ed onorevolissima per la [lalia,si è l'oblio casualmente forse serbato dall' autore sulla peste di Noia del 18 15. La peste che dominava in quest'epoca in tutti gli scali del levante, e che erasi propagata in Dalmazia, ed entrata eziandio in Gorfù , svolgeva- si poi a Noia città commerciante e contrabbandiera. Non è qui luogo riandare le più dispendiose spese, e rigorissime precau- zioni addoltalc dal governo napolitano che liberò il regno e 1' Italia ancora dalla pestilenza che tutti aveva i caratteri pestilen- ziali ed epidemico-coutagiosi. Il comp. del giorn. 188 Scienze profilattiche discipline. A Perugia, siccome in altre citta, vi si aggiunse la carestia, che era di maggior esca alla diflfusione ed intensità del morbo petec- chiale. Ma quivi, come dappertutto, il governo pon- tificio niente trascurò per alleviare il comune disa- stro, e molto contribuirono le sanitarie deputazio- ni municipali alle benefiche viste del supremo tri- bunale di sanità di questa capitale. Fu per esso ancora, che, nel secondare le sovrane beneficenze e gli ottimi provvedimenti del sommo regnante ponte- fice Gregorio XVI, andarono immuni nella maggior parte, anzi tutte per cos'i dire, le provincie roma- ne dal desolante colera-morbus. Intorno al quale, mentre proponesi fautore di tacerne , dilungasi ab- bastanza: sembraci però che molte cose note e pub- blicate abbiale esso taciute ; dappoiché non sono state poche le sanitarie provvidenze che ricordano luminosissimi fatti da immortalare il sommo pon- tefice ed il suo dicastero supremo di sanità, da cui pri'ncipalmente la patria dell'autore medesimo deve ripetere la salvezza dall'indiano flagello. Diamo noi fine a quest'estratto col rinnovare all'autore i dovuti encomi non mai bastevoli a ridirsi, e lo chiudiamo con alcune sue memorande parole, cioè che Vinte- resse solido e permanente del pubblico deve trion- fare sugli interessi frivoli e momentanei da' privati. 189 Discorso sopra un parziale avvallamento del dì 2 marzo \ 838 presso la valle superiore del fiume Tronto colla comparsa di acque sulfuree^ pre- ceduto da un breve cenno isterico sul cholera di Roma del 1837, di Jgostino Cappello, letto alla pontificia accademia dei lincèi nel dì 30 settembre 1838. Àquila tipografia Grossi 1838. V^ualunque scientifico argomento intenda a trat- tare il dotto autore ed ottimo nostro concittadino, lo si scorge sempre sorretto sulle salde basi della esperienza e della osservazione; e giustamente pro- digate sonogli straniere e nazionali lodi. Se quindi ci è caro trovarlo in una recente opera nel nove- ro dei classici scrittori medici italiani (1) , a noi gode sommamente l'animo di ricordare ai nostri let- tori due pregi assai rari che lo distinguono, e so- no una vera filantropia e un nobile disinteresse che chiaramente manifestansi nella sua vita medica e civile. Come compilatore di un giornale ( Gran Sas- so d'Italia) avevamo noi pili fiate avanzate al eh. autore delle premure, perchè ci fosse cortese di ar- ricchirlo con qualche suo dotto articolo: e non ha guari avendogliele pressantemente rinnovate nella (i) Massari, Saggio storico medico sulle pestilenze di Peiu- gia, pag. i33-i34. 190 Scienze brevissima sua dimora in questa citta , poco ap- presso (10 ottobre 1838) ci diresse l'annunziato discorso con graziosa lettera che abbiamo al mede- simo premessa. Glie se a taluno sembrasse strano che pei tipi aprutini vegga la luce un discorso let- to in una pubblica scientifica accademia della ca- pitale del mondo, a noi anzi è parulo che ninno argomento piìi del presente addicevasi a pubbli- carlo fra noi. Imperocché porta esso un titolo spet- tante all'abruzzese suolo: quivi ebbe culla l'autore, ed una seconda vita, come da una sua lettera rile- viamo, vi trasse per la ricuperata salute di un suo amatissimo figliuolo preso da forte nevrosi a cau- sa dì reiterati insulti e contumelie, quando il suo genitore mettendo in non cale più volte la vita, aveva con incomparabile zelo e maturo senno stu- diato di salvare dall'asiatico morbo gli stati della s. sede. Ripeleremo quindi coll'eccelso e dotto direttore del giornale arcadico (1), che la storia severa farà palese il penetrantissimo avvedimento del sommo regnante pontefice Gregorio XVi, che ebbe la beni- gnità di ordinare che facesse il Cappello parte ono- revole del suo magistrato supremo di sanità. La storica digressione sopra il clioiera degli stati roma- ni esposta nel suo discorso dall' autore, conferma apertamente che egli con lo scritto e coH'opera die- de religioso ed esatto adempimento alle provviden- tissime sovrane mire. Per dire del fisico fenomeno che diede ma- teria a questo discorso, l'autore ebbe fortuitamen- (i)Tora.LXXlV, pag. 34. Parziale Avvallamento 1§| te campo di studiarlo in occasione che nel prossi- mo passato luglio da Roma portossi in Accumoli suo paese natale per riabbracciarvi il benamato figlio. Dopo avere egli accennato l'aere saluberrimo che vi si respira, rammenta i suoi diversi istorici e geo- gnostici lavori sopra cpiel municipio, il cui terri- torio, risultante per lo piìi di terziaria formazione marnosa , sgraziatamente soggiace ad avvallamenti talor rovinosi : onde con vera carità di patria in- siste, che vi si appongano energiche riparazioni nei modi pili acconci, piii fiate da esso raccomandati, e valevoli eziandio in molte subapennine contrade soggette per la stessa geognosia a consimili disav- venture. Il parziale franamento dei 2 marzo 1838 porge una novella prova perche abbiansi in seria considerazione i suoi savi divisamenti. Racconta di poi che la contrada, lungi un miglio di Accumoli al sud, sia venuta a motivo di detto fenomeno anche men bella per la franata terra che ha ricoperta parte della verdeggiante valle prativa , alla quale facendo corona boschive colline, spaziavasi l'occhio in una deliziosa prospettiva. Ragiona inoltre che per le stesse cause, per le quali accaddero gli an- tichi e recenti avvallamenti (1816) da esso descrit- ti, sia parimenti successo l'attuale. Per lo che tor- na sopra i vituperevoli diboscamenti, specialmente un tempo cola avvenuti per gelosa invidia inverso i discendenti dei fondatori di quel municipio, e pel vessatorio governo di straniere dominazioni. Laon- de abbondevole cjuel territorio di colline marnose, spogliate per lo piti di grossi alberi di alto fusto che eran sicura barriera agli avvallamenti , o nel rapido scioglimento delle nevi de' superiori apen- nini, o per le continue abbondanti piogge, produ- 103 SCIENZT!: consi frane or pili or meno rovinose. Appunto per le co|)io.se piogge dell' autunno 1837, e delTinver- no 1838, accadde il parziale avvallamento in discor- so. Narraci l'autore che se nelle convicine contrade riscontransi strati di fitan trace ed elcantrace, non veggonsi finqui nell'accumulese circondario; e dopo un attento esame dell'avvallata terra, ha esso ricono- sciuto, oltre V humus 'vegetali s^ la solita argilla cal- carea— silicea. Ma il singolare fenomeno di questo avvallamento è la nuova comparsa dì accjue sulfuree non fredde , come sono le vicinissime discorrenti nella suddetta valle , ed influenti in poca distanza nel Tronto. L'autore saviamente riempì una hotti- glia di detta acqua, che condotta in Roma , dopo tre dì fu sottoposta in sua presenza ad accurata analisi chimica dall'egregio professor Perctti. Noi non ci estenderemo a riportarla in questo sunto , ma diremo in complesso che la medesima contiene gas solfoidrico in discreta quantità, sali a base di soda e di calce, solfati dei medesimi ossidi, cloro- idrato di calce, silicato di ferro , ed una sostanza vegeto-animaie che vi si trova in soluzione. Ricor- da egli anche due altre scaturigini sulfuree già da circa tre lustri in vari suoi lavori notate , presso una delle cjuali torna a rammentare il luogo da lui rivendicato dell'onorandissima educazione, che vi eb- be dalla paterna nonna Tcrtulla, Vespasiano impe- ratore. Accenna un'altra copiosa sorgente sulfurea, ove veggonsi reliquie di antichi bagni, della cjuale non avendone fortuitamente mai fatta parola, pro- ponesi per le sue tera[)euliche cjualitli parlar di pro- posito nella continuazione delle patrie memorie. Vol- gesi da ultimo l'autore ai fisici locali perchè spe- rimentino le medicinali virtù della novella acqua Parziale Avvallamento 193 dal Peretti analizzata, mentre avvedutamente opina che debba riuscir utile in diversi morbi, special- mente nelle calcolose affezioni. Mette fine al suo di- scorso, interessantissimo sotto ogni rapporto, colle seguenti parole: « Per altro cjuesto mio tenuissimo lavoro mira principalmente a scuotere i miei con- cittadini, affinchè di proposito riparino i rovinosi avvallamenti si frequenti nell'accumulese circonda* rio. Spero ancora con questo discorso di aver da- ta prova novella di quella gratitudine ed amore verso il natio suolo , e di contestare agli odierni abitanti la mia riconoscenza per le tante e replica- te cortesie , e per gli affettuosi sentimenti non ha guari ancora a me largamente da essi dimostrati ». Prof. Hozzi 194 IWttl<»flBai»lBTWrmmiHTW>gJMBJSga«wyLjL''"-»*"^Ì-T^J^ jille » Memorie rlsguardanti la dottrina frenolo- « gica ed altre scienze che con essa hanno stret- « to rapporto »> — • di Luigi Ferrarese dott. ec. socio ec. ec. Fascio, If^ pag. SO ^ Napoli iS^T. — Fascio. V pag. 87; — Fascio. f^I pag. 98. 1838. (1) Nota del compilatore Giuseppe Tonelli in con- forto a coloro che vengono dal di. sig. Ferra- rese designati come falsi religiosi o ambiziosi abatini. X motivi, che or ora sarem per addurre, ci astrin- gono nostro malgrado a limitarci presso elio alla semplice esposizione dei titoli degli argomenti nel- le devisate Memorie discussi. Vengono nel IV fa- scicolo ventilate varie Questioni di psicologia me- dico-forense. Consiste la prima di esse nei ricerca- re se » può la gravidanza produrre in alcune donne « desideri! e propensioni irresistibili. E se li pro- ■ duce, fino a qual segno le azioni di esse, quando « sono di disturbo all' ordine sociale, o consuma- « no dei delitti o dei misfiUti, possano meritare « l'indulgenza delle leggi ».-La« storia del sonnam- « bulismo considerato sotto l'aspetto psicologico , « morale, ed imputabile » forma il subietto della (i) Continuazione delle cose enunciate in queste carte al voi. di giugno 1837. Dottrina frenologica ^95 seconda questione. Si raggirano ivi i punti dell* argomento nell' indagare « lo stato di sonnambu- « lismo fin dove in diritto merita esser preso in con- « siderazione: » — > se « può il sonnambulismo esser « simulato per nascondere la reitk di un delitto. « E se può esserlo, quali sono i segni che pos- « sono principalmente appalesare la simulazione. » — Quando imprende nella terza questione a ra- gionare della condizione degradante dei sordi-mu- ti di nascita o della piìi bassa eth, s'intertiene sul- r esame dello stato psicologico e morale dei me- desimi, e su quello della moralità ed imputabi- lità di essi per investigare « quali considerazioni « e quali riguardi possono meritare le loro azioni « nei giudizi tanto civili, quanto criminali. » — • L'argomento della ebrità costituisce il soggetto del- la quarta questione, in cui si dedica il N. A. all' « esame dello stato di ubriaccliezza considerato « sotto il rapporto della ìnoralità ed imputabilità « delle azioni che si commettono dagli uomini in « quel tempo. » Trattando quindi della enomania secondo le denominazioni dei più recenti scritto- ri , cioè « del delirium tremens considerato sotto l'aspetto della moralità ed imputabilità delle azio- ni che si commettono « negli accessi di cjuesto de- lirio, rammenta le leggi relative alla ubriachezza.—— Con maggior illustrazione riprodotto presenta quin- di il sig. Ferrarese nella quinta questione un suo lavoro già altra volta pubblicato, cioè l'aesame del- « lo stato morale ed imputabile dei folli monoma- « iliaci^ ed in particolare dei monomaniaci suicidi « con le corrispondenti applicazioni alle azioni di « questi, tanto per determinarcelo stato della in- « lelligenza, quanto per istabilire il grado di li- 196 Scienze « hertà morale^ onde risolvere molte questioni dif- « ficili nel foro. — Discende in appresso ad in- vestigare « se può darsi nella natura umana una « propensione irresistibile all' incendio. E se av- « viene che un uomo consumi colai atto per ef- « fetto di cosi fatta propensione , quali riguardi „ potrà meritare nel foro criminale.,, — Finalmen- te importantissima questione si agita dal N. A. af- fin di decidere ,, in quali casi di follia o d' in- „ debolimento delle facoltà intellettuali deve il „ magistrato pronunciare la interdizione^ o la se- ,, mi - interdizione dei diritti civili di un citta- fi dino „. Articoli pur di svarialo argomento nel fasci- colo V racchiudonsi. In breve in sulle prime si espone di „ un caso di tubercoli del cervelletto „ con corrispondenza di disturbo negli organi geni- „ tali, di cui quell'organo è l'eccitatore.,, — Si rife- risce quindi un „ caso singolare di satiriasi in un „ ragazzo di tenera eia; „ ed un ,, caso molto sin- „ golare di una varietà monomaniaca, dagli au- „ tori non descritta, e che monomania psellisti- „ ca „ vien dal sig. Ferrarese denominata. — ■ Con- seguita ad essi una memoria, in cui il N. A. si trat- tiene ad istituire delle ,, ricerche risguardanti i „ mezzi onde conoscere le malattie simulate dal- „ le vere. „ — Fissato dipoi il titolo di un la- voro suir „ analisi filosofica delle pene ed in par- ticolare della pena di morte „ invita con un'/Ai- tj^odwzione generale gli scienziati a cooperare a co- tale agognata riforma mercè degli odierni lumi del- la dottrina frenologica e della fisiologia del cer- vello. — Brevemente quindi si occupa „ del sen- „ timento morale ovvero dell' instinto morale „ Dottrina frenologica 197 non che „ del processo ideologico del sentimen- „ to morale „ — •. Seguono due discorsi del „ do- „ lore considerato per gli effetti morali che pro- „ duce. „ Espongonsi nel primo di essi i beni, eh' è capace di produrre questo grido benefico del- la vita : nel secondo, scritto dall'A. sotto l'influ- enza di dolorosissima infermità che tollerava in Melito piccolo paese nella provincia di Cosenza, si rilevano i mali che arreca quel formidabile ti- ranno della vita umana. — Corretta si riprodu- ce in appresso dal sig. Ferrarese la memoria, che porta il titolo di ,, Ricerche intorno all' origine „ dell'istinto. „ Nel VI fascicolo, dopo un breve discorso proe- miale ( che pur negli altri due or menzionati fa- scicoli precede alle memorie ), trattasi „ dell' ap- ,, plicazione della fisiologia ed in particolar mo- „ do di c|uella del cervello e sistema nervoso al- ,, lo studio della filosofia del pensiero: ,, che chiù- desi con una tabella di „ relazione fra i tem- peramenti e l'organizzazione cerebrale. „ — Di- scorre in seguito di un caso tratto dal giornale frenologico di Edimburgo, cioè del sogno curioso di un tale, nella cui mente si eseguivano due ope- razioni alio stesso tempo , l'una apparentemente nascosta affatto all'altra. E qui il sig. Ferrarese, ac- cordando importanza all' aspetto di due serie di ra- gionamenti diversi, che precedettero nel medesimo tempo nello stesso cervello, l'uno non solo non con- scio dell'altro , ma diviso altresì da una barriera che chiameremo di opposizione, s'impegna in pro- durre e presentare la soluzione frenologica della operazione medesima del sogno istesso. — • Tien die- tro a questo discorso un lavoro del valente sig. 198 Scienze Rafifaello Zarlenga , in cui dopo una introduzione sul suo proposito, leggesi un „ Breve esame sulle „ principali causo della follia ,, illustrato da va- rie relative osservazioni, cui aggiungonsi nel quar- to cap: i ,, Risultati necroscopici , e brevi rifles- sioni sulle esposte osservazioni.,, — ■ Vien quindi riferita una „ Memoria del sig. Briere di Boismont „ suir influenza dell' incivilimento nello sviluppo „ della follia ,, con la tabella delle capitali e re- gioni, che mentre la cifra presenta delle popola- zioni, quella pur ci off're del numero dei folli. — Sussiegue la esposizione dei „ Principii della scien- za frenologica del dott. Fossati. ,, Questo celebre italiano , che in Parigi occupa il posto di presi- dente della società frenologica, indirizzò al sig. Fer- rarese con lettera del 12 agosto 1838 l'articolo, in cui i principii fondamentali della scienza frenolo- gica si sviluppano. Il N. A. che aveva già in mira di arricchire le sue memorie di un articolo su ta- li basi condotto, onde giovare agl'iniziati in que- sta novella dottrina per ofi"rir loro una guida si- cura , ha volto dal francese nell' italiano idioma il lavoro del sig. Fossati inserendolo nel fascicolo, di cui è parola. — Chiudesi finalmente questo con una ,, Novella nomenclatura delle facoltà annesse „ ad alcuni peculiari organi del cervello ricavata „ da greca origine. ,, Si augura il N. A. di ve- dere universalmente addottalo cotal linguaggio , eh' egli come piìi consono sostituisce al fin qui usato che ritiene per difettoso , proponendo in una tavola 17 vocaboli con la spiegazione della ori- gine loro, e con la loro corrispondenza alle im- proprie voci vagheggiate finora. Cos'i , per dir di qualcuna , al nome di alimentività surroga il N. Dottrina frenologica 199 A. quel (11 troformìa ( dal greco trophe^ alimento; e horme, appetitas animi, impetus ) : quel di tau- mestesia (da thauma^ res mira: esfhesis, sentimen- to ) al nome di maravigliosità. Ha qui il suo fine la semplice da me pro- messa esposizione de' titoli degli argomenti dal si- gnor Ferrarese maneggiati nelle riferite memorie. In queste , come nell' intero sistema frenologico, non vedesi , a mìo debol parere , non che a giu- dizio di tanti , non vedesi, dissi , che un valoro- so sforzo di ingegno. Ma fermissimo ed incontra- stabil diritto non può negarsi che abbia acqui- stato alla riconoscenza de' posteri il suo fondatore Ga!l, si per il suo istancabile zelo e per le sue cure, come anche per lo impegno adoperato nei suoi moltiplici esperimenti e viaggi a ritroso delle im- ponenti pecuniarie profusioni. Di originali e gran- diose vedute sull' anatomia del cervello, sulla sua connessione col sistema nervoso, debitori gli slamo, e di tante altre importantissime osservazioni di- rette a correggere le proposizioni e le vedute de- gli anatomici suoi predecessori. Assai meglio di questi ultimi seppe cpiel gran genio investigar la natura, chiamando pure in soccorso la zootomia; e di rimarcare così gli fu concesso quel che ad altri dato non fu di vedere, o che realmente scru- tinar non seppero. Debitori pur siamo a tanti sa- pienti , che cogl' indefessi loro studi cooperaro- no alla illustrazione delle proposte di Gali. Ma ciò non pertanto costretti siamo ad asserire, che alla frenologia manca moltissimo per giugnere al suo compimento: e tanto pili, se non vengo- no in prima tolte di mezzo le fortissime difli- collà che vigorosamente si oppongono, onde l'ap- j200 Scienze plicazione dei prlncipii galliani sostengasi in sì- stematico ragionamento, ed erigasi in edifizio non vacillante di scienza. Difllcoita fortissime ho detto: emergendo per queste, che la menzionata appli- cazione pugna co' principi! della retta filosofia , della sana morale, e della ortodossa. Si annun- ziano, è vero, come vittoriosamente combattute le obiezioni tutte ; ma sembrami che soverchiamen- te gratuita sia cotale declamazione di trionfo. Sciol- te non veggo le dubbieta; ed unicamente si è mi- rato a recidere i nodi della questione. Più oltre anzi si è giunto, al disprezzo cioè delle obiezioni e dei dubbi medesimi ; e lungi dal serio occuparsi nello scioglimento di questi, rifugio pur si ebbe ad usar modi ben disdicevoli al letterario decoro. Generoso infatti ad esuberanza io veggo nei prefati fascicoli il chiarissimo sig. Ferrarese in lar- gire calunnie, anatemi, derisioni, e minacce a chi ciecamente non adora V idolo de' suoi concetti , quasi che rassicurato egli sia di aver raggiunto lo scopo divisatosi nei suoi frenologici lavori. Arma- to di queste sferze e di questi scudi, è disceso no- vellamente in campo con le produzioni accenna- te , sulla essenza delle quali riterrei necessario l'u- sare alto silenzio. Giacche essendomi io, o signo- ri , avvisato nel sunto dei primi tre fascicoli (1) di aggiungervi alcune critiche riflessioni, non posso ora lusingarmi di essere eccettuato dal partecipare di quelle tante buone grazie, che non so con quan- to dignitoso sdegno contro i censori scaglia, ap- (i) Registrato negli Annali uaivers. di med. del ch.Oniodei per il mese di ottobre iSSy, e nel voi. di giugno detto auuo del nostro giora. arcadico. Dottrina frenologica. 201 I pellando le opposizioni di cfueste ora calunnie dei falsi religiosi o ambiziosi abatini ,• ora arte mal- I ya-ia ; ora studio di accecare la moltitudine ed incepparla nella ig^noranza; ora impegno d' illumi- nare i governi ed i ministri di nostra religione, on- de questi non cessino di proteggere cpiella setta I di filosoa che il progresso dei lumi con tutte le ^ forze cura potentemente impedire; ora frivolo pre- testo, che le frenologiche dottrine pericolose alla real potenza ed oltraggiose alla religione riescano, e possano ancora la morale rilasciare. „ Siamo la Dio „ mercè (scrìve il sig Ferrarese) in un'epoca di ra- „ zionale emancipazione .... É necessario con costoro „ venire alle prese , onde colla forza degli argo- „ menti riescire a smascherare il loro fintocelo p'er „ la morale e per la religione. E' vero, che noi „ combattiamo (prosiegue) con armi disuguali, tro- „ vandosi essi affiancati dai preti e dai governi, „ per cui dispongono di tutt' i giornali per dif-' „ fondere le loro teoriche , per accalognare di „ materialismo e d'irreligione quelle opere che non „ sono nel senso loro, o che non possono facil- „ mente confutare. La religione non ha bisogno „ della loro protezione . . . . „ Lungi dunque dafre- care al eh. N. A. ulterior noia e molestia, e lun- gi pur dall'assumerlo per tipo e modello, rinun- ziò al proposito di soggiugnere qui parole, sulla ierma fiducia che da chi si debbe pongasi un di novello argine e freno all' imperioso entusiasmo, con CUI SI cercano alcune dottrine oltre i limiti accreditare a nocumento degl'incauti. Al silenzio me- desimo esarto ancor voi, o signori: e giudici della questione saranno il tempo e qualche novello ora- colo della cattolica chiesa. G.A.T.LXXVnL j4 202 Scienze Pago io non era delle assertive del N. A. stil- la innocenza delle dottrine frenologiche in ordine alla morale ed alla religione; ma non ha egli sciol- to i nodi delle promosse obiezioni, insistendo sem- plicemente , e con ira insieme , sul nudo asserto della innocenza della dottrina, e dispensandosi dal- l'obbligo di addurne giustificazioni e documenti. Si duole anzi , che in lui suppongasi nutrirsi prin- cìpii distruttori della uirtà, della morale e della religione. Ma da questa imputazione che a lui non ho io osato impartire, e che tutta propria riten- go dell'entusiasmo a cui vuol condursi il subiet- to della scienza , non gli è riuscito disbrigarsi , ed ha anzi appellato questa specie di censura col nome di solite armi dei deboli. Convien dunque tacere , e giudici della causa saranno il tempo e qualche novello oracolo della cattolica chiesa. E bello il predicato di cui si fa pompa, che « tutte le scienze guadagnano luce coll'applicazio- « ne delle dottrine del frenologo di Tiefenbrun , « e massimamente quelle che piii da vicino hanno « in mira il ben essere, la felicità, e la sicurezza « dei cittadini, come la morale, come la religione, « la medicina, la legislazione ». Ma potrei qui, mil- le altre cose pretermettendo , ristringermi a dire che il sostenersi Vimbecillità o // cretinismo tener luogo di ogni discolpa si oppone direttamente alla giustizia divina, ai dettati della religione, ove trat- tasi di cretinismo primigenio: taccio per altro, il dissi.- Gran fortuna dichiarasi per noi il trovarci in una età, nella quale di quelle scientifiche discipli- ne che hanno per iscopo lo studio della fisiologia del cervello, delle facoltà affettive e psicologiche dell'uomo, si vanno difloadendo i principi! dai fre- Dottrina frenologica. 203 nologi dì tutte le nazioni incivilite. Dichiarasi es- ser questa l'epoca, in cui può dirsi che la specie umana ha gittato la pretesta delle servili dottrine per essumere la toga virile del vero esodo sape- re ; poiché essa vuol veder chiaro in ogni cosa , nelle scienze, nelle lettere, nelle leggi, negli isti- tuti civili e politici, e nelle stesse dottrine perti- nenti alla religione desidera istantemente la veri- tà. E qui dir potrei , che a nostra mortificazione intanto ci risentiamo intuonare all'orecchio :« essc- « re cosa di fatto , che il materialismo, sbandito « oggidì da tutte le scienze, trovasi ancora rim- « piallato nella medicina » (1)- ma, il dissi, taccio. Non lice, dir potrei, colla fiaccola della frenologia veder chiaro in tutte le cose , ne lice assumere dalla medicina argomenti per comprendere certi ar- cani impenetrabili, per oltrepassare i limiti delle ricerche alla cognizione lucida della mutua corri- spondenza fra l'ente spirituale che ci anima ed il materiale strumento ; per intendere con chiarezza le singole virtìi della religione; e spingere l'intel- letto umano alla conoscenza e spiegazione chiara de'misteri. Lo stesso s. Agostino (2) non ebbe dif- ficoltà di riporre fra gl'incomprensibili la nozione del commercio dell'anima col corpo: « Modus, e-di « scrive, quo corporibus adhaerent spiritus, et ani- • malia fiunt, omnino mirus est nec comprehendi « ab homlne potest : et hoc ipse homo est ». (I) Antropologia ec: di Antonio Rosmini - Serbati. Voi 2 fascicolo I, pag. 5; nota (i) Milano 3i marzo i838. (3) De Civit. Dei, XXI, io. 204 Scienze Sia pur esteso il bibliografico annunzio delle opere scritte da molti sapienti del secolo di ogni nazione, che militare intendono sotlo il glorioso ves- sillo del fondatore di Tiefenbrun: sìa pur vera la conversione di altri valentissimi a professar questa scienza frenologica, non esclusa la classica terra di JNapoli , di cui si acerbe querimonie ha innalzato alle stelle il signor Ferrarese nel IV e V fascicolo delle sue memorie per la persecuzione ivi accesa contro la dottrina in proposito e contro il fervido di lei cultore; sia pur non dubbio, che persone d'il- libata morale e molto attaccate alla verità della cri- stiana religione han preso a proteggere e difende- re ia frenologica scienza. Era però ben di dovere il far conoscere il nome ed il numero di que'mi- nistri dell'altare, di quegli ecclesiastici che ne di- vennero caldi propagatori. Dir potrei altresì, che i soli nomi del teologo di Ginevra Theremin, di Spra- gue in Albania, di Warne di Brookline in Boston, quando fossero senza eccezione, bastevoli non sareb- bero a dar peso all'argomento. Cauti anzi dovrem- mo essere in arrenderci alle autorità dei medesimi, poiché alcuni di loro respirando V aere di alcune regioni , nelle quali venne già iugulato il libero arbitrio, havvi ragion ferma a conghietturare, che lieta accoglienza abbiano offerta a questo novello sicario degli umani spiriti, qual'è appunto l'appli- cazione dei frenologici principii. E quand'anche molti sapienti siensi apertamente dichiarati persua- si delle massime frenologiche; quand'anche uomi- ni distinti per probità e per morale divenuti ne sieno successivamenle devoti partigiani, quantun- que avversi per lo addietro vi fossero; tutt'al piìi dir potrebbesi, che il merito di questa convinzio- Dottrina frenologica. 205 no si debba a qualche cosa di probabile o di ve- risimile che siasi immaginato rimarcare nei prin- cipii di questa scienza , per abbattere e rigettare intieramente i quali molto pili tempo ricercasi di quello impiegato da Gali e da'suoi fautori per ista- bilirli in sistema; mentre l'applicazione dei memo- rati principii sarà sempre assurda e pericolosa. In opposizione pur anco a coleste bibliografi- che nozioni del eh. sig. Ferrarese rimetter potremo il medesimo ad una pregevolissima opera, che ignota a lui esser non debbe, perchè vide già la luce in Napoli, parto fecondo del valente sig. ab. Scotti (1), in cui aurei documenti rimarcansi. Se di svolgere quelle carte abbia egli la compiacen- za, rinverrà come alla pag. 128 rispinga la mal intesa libertà di pensare dei medici anche in teo- logia, difesa un tempo da Gregory ; come alla p. 130 dimostri con l'apostolo delle genti e con l'an- gelico dottore, che un Dio più giustamente riscuote da noi l'ossequio alla fede nel rivelarci i miste- ri, cioè talune verità non contrarie ma superiori al nostro intendimento; come fiancheggialo dalle dotte riflessioni di Tertulliano e dell'ottimo monsig. Caldora (2) sostenga alla pag. 132, che se l'uomo in Dio non trovasse misteri, sarebbe egli il Dio del suo Dio, e quindi più non sarebbe vera , ne degna di Dio la rivelazione; come., usando le frasi di monsig. Zamboni (3), o pportunamente dimostri, (i) Catechismo medico , o sia sviluppo delle dottrine, che conciliano ia religione colla medicina ec- Napoli 1821." (2) Dissertazione sulla necessità de' misteri nella religione, Napoli 18 18. (3) De necessitate praeveniendi incautos adversus artes nonnullorum recentium physiologorum. Romae 18 19. 206 S e t E K 5t K che,, chiunque finora ha preleso d'attribuire alla „ materia le funzioni intellettuali, non si è mai ri- „ volto a rispondere a' nostri argomenti : e tutti ,, sempre hanno opposte asserzioni; e con ipotesi, ,, analogie, e dubbiezze si sono sforzati di abbat- „ tere le prove raccolte dall' intimo sentimento „ o dalle leggi della natura ,,. E qui rammentar potrei al N. A., che quest'ultimo dotto prelato nel cap. 6 della sua memoria (1) s' impegnò in com- battere i frenologici principii galliani. Che cosa poi direbbe il sig. Ferrarese, se avverse alla frenologia sieno già slate le decisioni della cattolica chiesa? Ma, siccome altra fiata il dissi, io tacio. Ripigliar io sento il sig. Ferrarese, che » sven- « turatamente (fase. VI, pag. 14) una classe di filo- « sofi, reputati moralissimi e religiosissimi, i quali « professando lo spiritualismo puro con l'arte più « raffinala hanno saputo ingannare i ministri au- « gusti della nostra sacrosanta religione di Cristo, « e nel tempo istesso cattivarsi la protezione dei « sovrani di Europa, osano con armi così disuguali « combattere quella classe opposta, la quale è ben « lungi dal professare il kanto-platonismo di Cousin « od altro bizzarro delirio alemanno, che alle piìi « stravaganti follie dell'estasi lo spirito conducono; « ma bensì l'è suo scopo principale quello di stu- « diare l'uomo sotto i rapporti pili stretti dell'or- « ganismo e rispettive funzioni considerato ». Al che osereste, o signori , avanzar qualche risposta? Non mai , e tanto piìi che asserzioni dal N. A. (i) I/etta in adunanza teuuta nella sala dell'archiginnasio ro- jìiano il di 29 maggio 1817. Dottrina frenologica 207 sì opponi^ono a dimostrazioni ; il che e si vero , che le obbiezioni da me promosse contro la in- nocenza della dottrina non partono da' principii dettati dagli spiritualisti puri, dagli eccletici cusi- neani. — Sark forse giusto pei puri spiritualisti il rimprovero di rinchiudersi nel recinto della co- scienza , di vagheggiare IVo , senza punto rimon- tare alle cause eccitatrici; ma non perciò l'innesto della fisiologia colla ideologia nel senso di Lalle- Lasque dovrà dirsi indifferente; e lecito non fia il farsi condurre nell'opposta via del materialismo , volendo troppo e tutto concedere alle funzioni del cervello. Che anzi dir io qui potrei, che per que- sti processi di ciascuna funzione dello spirito vo- glionsi supporre inerenti alle facoltà intellettuali certi immaginati organi, che l'anatomia finqui non ha rivelati, per servirmi dell'espressione del fisio- logo di Torino Martini. Ma piìi volte il dissi , io taccio. Sono ben seducenti, e quasi dir polrebbesi il- lusorie, le religiose proteste dei frenologi di non seguir ciò che non è consono a quanto la nostra chiesa ne insegna; di conoscersi anzi meglio per la frenologia le perfezioni eccelse di che ha voluto Id- dio colmarci; e dallo studio di noi stessi farsi pas- saggio a quello delle qualità infinite del creatore, del quale meglio che gli altri mortali veniamo ad intendere la magnificenza. « Che se poi in seguito « di cotali indagini, facendoci ad osservare che mol- « te innormali conformazioni della materia danno « cagione a molte malattie dello spirito, o a talune « irregolari propensioni, consideriamo queste pro- « pensioni tutte subordinate ad una facoltà supe- « riore dell'anima fornita di forza proporzionata 208 Scienze n- 9, P^g* i35, — Ediz. ia 4-° Napoli 1773. Tipograf. Orsin. Dottrina, frenologica 211 pò di addimostrare non essere altrimenti vero, che i corpi celesti imprimano nella mente idee o fanta- smi. S'impegna nei primi otto numeri in confutar l'opinione dì coloro, i quali sostenevano che i corpi celesti influiscono nell'intelletto. Stabilisce quindi la diflFerenza che passa fra il senso e l'intelletto; diffe- renza non riconosciuta dagli antichi filosofi , come Democrito, Empedocle ed altri, i quali « posuerunt „ quod intellectus non dìffert a sensu. Et ideo se- „ quebatur, quod intellectus sit qunedam virtus ,, corporea sequens corporum transmutati onem (no- tisi qui come cambia di aspetto con tali premesse l'autorità di s. Tommaso riferita dal N. A. che altro senso verrebbe ad imprimerle ) : et ideo dixerunt , „ quod cutn transmutatio inferiorum corporum se' „ quatur transmutationem superiorum corporum , „ intellectualis etiam operatio sequitur corporum „ coelestium motus .... Hinc etiam processit (pro- ,, siegue indi) stoicorum opinio, qui dicebant co- ,, gnitionem intellectus causari ex hoc^quod imagi- ,, nes corporum nostris mentibus imprimuntur^sicut ,, speculum imagines, et pagina recipit literas im- ,, pressas absque hoc quod aliquid agat .... Unde et ,, ,y/o/c/ /wer/m^ (soggiugne) qui praecipue necessi- „ tate quadam fatali hominum vitam duci posue- ,, runt. Sed haec positio inde falsa est^ ut Boe- ,, tius ibidem dicit , quod intellectus componit et „ dividit ( noti bene qui il sig. Ferrarese , come stabiliscasi la differenza che passa fra il senso e r intelletto ) , et comparat suprema et infima^ et „ cognoscit universalia et simpUces formas quae „ in corporihus non inveniuntur : et sic manife- ,, slum est quod intellectus non est sicut recì- di ptens tantum iniagines corporum^ sed habet a- 212 Scienze „ liquam -virtutem corporibus altiorem ; nam sen- „ sus exterior, qui solum imagines corporum re- „ cipit, ad praedicta se non extendit ^^. Dichiara- ta COSI falsa l'opinione di coloro qui ponehant intel- lectum a sensu non differre, conchiude il santo dottore:,, /g^iV/^r manifestum est^ et eam esse falsam, „ quae ponit corpora coelestia esse nohis causas „ intelligendi directe. Hinc est^ quod sacra scri- „ ptura causam nostrae intelligentiae attribuit non „ alicui corpori, sed Deo ...• qui docet hominem „ scientiam. Sciendum est tamen^ quod licei ( ed eccoci più davviciiio ai periodi di quel sublime scrittore riferiti dal Ferrarese al proprio scopo, ma con impropria applicazione ) corpora coelestia di- „ recte intelligentiae nostrae causae esse non pos- „ sint^ aliquid tamen ad hoc operantur indirecte, „ licei enim intellectus non sit virtus corporea: ...,, con quel che siegue, e che venne nella superiore nota trascritto. Conosceva pertanto a fondo l'ange- lico dottore il vincolo di connessione fra le due di- verse sostanze , cioè dire fra l'anima ed il corpo: fin dove si estenda il mutuo loro commercio ; e dove si arresti : e voi d'altronde ben ravviserete, o signori, quanto incongrua torni l'applicazione di autorità mutilate, che pervertir possono perfino il retto senso dei pili sacri libri e dei piti venerati scrittori. Ma se le cose fin qui mostrate non fosser baste- voli a convincere i frenologi pel vero significato dell'autorità di s. Tommaso , rimandar potremmo i medesimi a consultare la -j^ parie della Somma (1) (i) Art. I. Q. LXXVI. Dottrina frenologica 213 del prelodato aquinate. Neil' impaccio, in cui tro- vavansi ì filosofi scolastici per provare ( secondo le nozioni ricevute in antecedenza nelle scuole), che l'anima intellettiva fosse forma del corpo , cercò l'angelico dottore la via di mostrare, come l'anima fosse la forma dell'uomo. E qui rammentatevi, che forma del corpo e forma deW uomo sono due ma- niere di dire, che in quell'articolo si usano pro- miscuamente. Or dunque dopo molte sottili defini- zioni il santo dottore conchiude (1): ,, Quod hama- „ na anima non est forma in materia corporali ,, immersa, vel ab ea totaliter comprehensa pro- „ pter siiam perfectionem\et ideo nihil prohibet ali- ,, quam eiiis virtutem non esse corporis actum , „ quamvis anima secundum suam essentiani sit cor- ,, poris forma ,,. L'anima intelletiva (cioè) è bensì forma del corpo ( tal è la perifrasi che del testo ora allegato ci descrive l'ili. Rosmini (2) ,, è ben^ sì forma del corpo secondo la sua essenza, ma non secondo il suo atto dell'intendere'^ giacche l'intende- re è un tal atto, che sì fa al lutto senza l'istrumen- to dell'organo corporale ,,. L' autorità di s. Tommaso , di cui fin qui si tenne discorso, mi richiama, o signori, alla mente, che il si^;. Ferrarese si è giovato altresì a mal uso di altre autorità e testi per carpirne documenti al suo assunto. Vero è, che riprova , e protesta egli contro il materialismo : e plauso far gli si debbe del buon volere. Ma il tutto dedurre dai sensi (an- cor senza prava intenzione, com' è ad opinarsi) non (1) Ivi, ad 4. (2) Aalropologia ec. Fascicolo IV, pag. 20, noia. 214 Sciènze è senza reato, poiché si agevola inconsideratamente il sentiero a coloro che tutto dì si adoperano e su- dano per gittarne le semenze: e più riflessibile tor- na cotal reato, ove e dal sagro codice inspirato e dai santi padri vogliasi con certo pervertimento di senso, qual nasce da mutilati periodi, trarre dalle parole istosse non giusta interpretazione!,, Tutti gli « antichi moralisti principiando in Salomone (ci di- « ce il sig. Ferrarese ) (1), s. Paolo (2), s. Gipria- « no, s. Agostino (3), s. Ambrogio (4), s. Crisosto- M mo (5), risguardano il corpo come l'isiromento « dell'anima, e professano liberamente che l'anima « si regola sempre secondo lo stato del corpo.,, Ma già poc'anzi il dissi , non pugna che il principio pensante, in quanto è in comunicazione col mon- do esterno, e da lui dipende, e sopra di lui agi- sce, usa di taluni strumenti corporei siccome mez- zi di comunicazione 1 non debbe però ritenersi e trarne per conseguenza, che tutti i motivi deter- minanti i nostri voleri debban derivarsi dai sen- timenti ; o almeno non si potranno essi risguar- dare come ingenerati assolutamente e precisamente dalle impressioni sensibili e dalla risultante fun- zione fisica, se non vuoisi far dell'uomo un auto- ma, un meccanismo: lo che evidentemente pugna ai concetti delle rivelate scritture, dei concili e dei padri. Troppo lungo sarei, se dimostrar volessi al sig. Ferrarese il vero significato delle autorità da (i) Liber sapientìae, cap. IX, n. i5. (j) Epist. I ad corint. cap. XIII, a. ii, (3) Lib. de libero arbitrio. (4) Lib. I de off. (5l Hora. II. Ili super epist. ad hebc. Dottrina, frenologica 215 lui or menzionate, e dai limiti uscirei della medica provincia. Impresa sarebbe questa di cattedratico o di ecclesiastico individuo. Nulladimeno ometter non voglio di trar profitto da qualche valido altrui sussidio gentilmente apprestatomi; e senza tener die- tro a tutti quei moralisti^ che il N. A. accenna, mi arresterò brevemente ai due primi, Salomone cioè e s. Paolo, i quali, secondo le chiose, non han vo- luto intendere quel che dai frenologi si vorrebbe che essi esprimessero. « Corpus, quod aggravat animam^ « et terrena inliabitatio deprimit sensum multa co- fertile sistema, risulta- ,, no manifeste dalle facezie, delle quali spargono i loro discor- „ si. Chi nou riderebbe a sentir dire, che gli esperimenti di uno „ dei più abili freuolo£;isti portano a stabilire , che 1' organo ,, dell'omicidio è sviluppatissimo nel coniglio, quello della fur- ,, beria e della satira nellasino ?,, Altro valente letterato quasi mi rampognava in quel torno di aver dato con le mie critiche riflessioni soverchio valore a questa dottrina, ch'egli reputava assai materiale e poco morale ..,. Ma non più oltre, e taccio. ?28 LETTERATURA Vi un antica stauroteca istoriata^ che si conserva nella vecchia cattedrale di Brescia. Dissertazione di Giuseppe Briinati sacerdote, dedicata ai Cento Divoti della Santa Croce della stessa città, I. X ra' molti antichi monumenti cristiani, che ar- ricchiscono e decorano Brescia, tiene certamente di- stinto luogo una sacra teca o capsula contenente un frammento non piccolo della santissima Croce di Nostro Signore, serbata nella vecchia chiesa cat- tedrale della stessa citta. La lamina però argentea istoriaJa che ne copre la faccia superiore, e le la- minette non altramenti argentee istoriate, che ne ricoprono la faccia interiore corrispondente ( ec- cetto il vano dell'incavo formato nell'assicella a rac- cogliervi il preziosissimo legno ), ci daranno argo- mento a conghietturare e del secolo e del paese, in cui esse furono lavorate, e ad alcune altre archeo- logiche considerazioni in illustrazione delle mede- sime. Quindi avvisiamo buon consiglio l'oflfrire in- cise codeste lamine anaglife sui disegni fattine al \ Stauroteca istoriata 229 naturale, con isquisita diligenza e perizia e con ra- ra cortesia favoritici dal nobil uomo sig. Alessan- dro Sala da Brescia , e all' aspetto di esse venire parti tamen te ragionando e dell'arte loro e delle lo- ro rappresentanze» II. Comincerò a parlare dell'arte delle tavole anaglife della stauroteca bresciana colle parole del medesimo sig. Alessandro Sala die le disegnò sugli originali, a I disegni che le invio (così egli scrivea- « mi da Brescia qua a Roma il d'i 6 gennaio di que- « sfanno) sono nella misura degli originali, e per ■ servire alla fedeltà seguono i tipi anche nelle lo- « ro scorrezioni, ov*era facile emendarli, come nel- « la lunghezza delle braccia del crocifisso, e di uno « di quelli della beata Vergine (tav. I) I tipi « originali di s. Elena e di Costantino (tav.Il) evi- « dentemente appariscono essere il prodotto di una « stampa in ferro temperato, facente l'officio di co- « no, da cui la sottilissima lamina di argento rice- • yesse l'improntata imagine con la stessa, anzi con « maggiore facilità che non la riceva dal cono della • zecca una moneta. È quindi presumibile che al- « tre similissime lamine anaglife siano diffuse nel- « la cristianità destinate al medesimo pio offizio « di custodire le reliquie dello strumento della no- « stra redenzione, ovvero altre affini (1). Gli anagli- (i) Io non potei però avverare tale sapiente conghiettura del sig. Sala con nessuna delle poche ieroteche fin ora messe in luce, e cui verro accendando nel processo di questa disserta- zione. Chi sa tuttavia quanti altri di somiglianti sacri cimeli si serberanno inediti nelle varie chiese di oriente e di occideota e quanti saranno periti ? 230 Letteratura • fi (lei coperchio (tav. I) paionnii invece opera di « cesello, non trovandosi in essi quella minutezza « e finitezza di lavoro o di esecuzione che si scor- « gc a colpo d'occhio ne'tipi di Elena e di Costan* « tino (tav. II) •. III. Premesso il giudizio di cosi perito cono- scitore dell' arte intorno l'officina delle nostre ta- vole anaglife, sia lecito anche a me, che di consor- zio con lui ebbi buon tempo alle mani la ieroteca nel maggio del 1837, aggiugnere che certamente gli anaglifi di Costantino e di Elena (tav. II) non solamente sono il prodotto di altro artifizio , ma anche di altro artista da quelli del crocifisso e suoi accessori (tav. I) : tanto sono meno imperfetti e nella esecuzione e nel disegno. Inoltre giova notare che la rappresentanza di Costantino e di Elena , della interposta doppia croce e de'due angeli so- prastanti (tav. II) sono somigliantissime a quelle di altra stauroteca greca, già stante nel monistero di s. Michele di Murano in Venezia, pubblicata dal P. Ab. d. Anselmo Costadoni (1), e poscia da Flami- nio Cornelio o Corner (2) e dal Gori (3): sicché può conghietturarsi essere le dette tavole anaglife delle due stauroteche lavoro della stessa greca officina e dello stesso disegnatore, sebbene appaiano chiara- mente essere il prodotto di due diversi disegni. La quale considerazione c'induce ad attribuire alla no- stra stauroteca la stessa età, che fu assegnata alla (i) Osservazioni sopra un'antica tavola, in cui è rinchiuso un insigne pezzo della Croce di Gesù Cristo, ec. In Calogerà, Opuscoli T. XXXIX. (2) Ecclesiae turcellanae, P. Ili, p. i4- Venetiis 1749 'i 4- (3) Thesaurus velerum diptjchorum, T. Ili, p. i^o. Stauroteca. istoriata 23'1' suddetta di s. Michele di Marano dai suoi editori» or ora indicati, cioè quella del secolo X, o piut- tosto deirxr. IV. Una tale nostra induzione sull' età della stauroteca bresciana può avvalorarsi anche col con- fronto di altre simili sacre capsule, le quali seb- bene somiglino ad essa meno della stauroteca dì s. Michele di Murano, pure vi si uniformano an- ch'esse non poco, e nel pensiero o composizione, e nel costume e nell'arte e nella paleografia, e ma- nifestano una stessa greca scuola, ed una poco di- versa età. Sono queste la stauroteca cortonese edita dal Venuti (1) e dal Gori (2); altra stauroteca di s. Marco di Venezia data in luce dal Corner (3) , e una terza della confraternita veneta di s. Maria della carità , illustrata dallo Schioppalalba (4): tutte credute opere de'secoli X o XI. V. A quest'uopo istesso di conghietturare ap- prossimativamente Vela della ieroteca bresciana, e dL attribuirla al secolo XI , torna bene il notare anche la sigla 0, preposta al nome KOGTANTING (tav. II), per esprimere O AriOS salito (5). Con- ciossiacliè per tal modo si compendia e si scrive (i) Dìss. De Cruce cortonensi. Liburni \']SS, in 4- (2) Op. cit. T. Ili, p. i36. (3) Ecclesiae venetae decas XIII. P. I, pag. i55. Venetiis 1749, in 4. (4) Diss. in perantiquam tabuìam graecnm insigni sodalitio s. Marine charitatis venetinrum a cardinali Bessarione dono da- tam, lab. III. Venetiis 1767 iaf. (5) Ottavio Rossi {Storia delle croci t^. 1^1,1^1. Brescia. 1620) certamente travide e rese errato il principio di ambedue le epi- grafi della capsula, leggendo al principio della prima Q invece di @, e al principio dell'altra I invece di H.AU'errore della pri- 232 Letteratura questo titolo dinanzi al medesimo nome di Costan- tino, in due delle stauroteche greche succennate e attribuite, come dicevamo, a'secoli X o XI, cioè in quella di s. Michele di Murano e in quella di Cor- tona, e non altramenti dinanzi al nome di molti degli apostoli negli anaglifi della porta enea di s< Paolo fuori delle mura di Roma , lavoro di gre- co artista dell' XI secolo, come dimostrò 1' Agin- court (1). VI. Non essere la nostra ieroteca piìi antica del secolo XI o X, ci persuade anche il vedervi espressa (tav. I) sotto al suppedaneo del crocifisso una testa : mentre non avvenne mai a'sacri afcheo- Wa falsa lezione J aggiunse il itossi quello di scioglierla in TO, e l'altro maggiore di credere TO posto in luogo di TQ , e poi quello di supporre scritto KOCTANTINC per KOCTANTINQ, e da ultimo il massimo di riunire le due epigrafi in una, dandovi n senso di DONO DI ELENA A COSTANTINO. Questa pessi- ma traduzione di quelle epigrafi passò dal Rossi a tutti quelli , che scrissero della nostra santa reliquia, non eccettuato il Biem- mi [Storia di Èrescia T. I/p.a^S) né il eh sig avv. Pagani [So— lennilà delle sante croci p i8. Brescia 1837). Solo il Gradenigo [Brixia sacr. p. 253) non la seguì, dando tuttavia mancante del suo principio la prima epigrafe, quasi non scritto fosse più che KOCTANTING. Ma egli riguardando la capsula non si avvide , che la laminetta argentea portante le epigrafi era rovesciata in- dietro nel suo angolo superiore,, su cui è cesellata la sigla 0 . Avendo io perù tra le mani la sacra capsula nel maggio del 1837, vidi e svolsi la detta ripiegatura , e tosto vi lessi chiaro 0. Sic- ché le due epigrafi, che ivi sono cesellate perpendicolariuente disposte per lungo sono queste : 0 KOCTANTINC , H|AriA EAENH Santo Costantino Santa Elena e quindi sono i nomi de'due personaggi ivi rappresentati ambi- due col titolo di santo, di che diremo più sotto. (1) Storia dell'arte , scultura, tav. XV-XVII. Stauroteca istoriata 233 logi di vedere questo simbolo , o rappresentanza sotto ai crocifissi di più antica età. Anzi il croci- fisso anaglifo sulla porta enea della cattedrale di Pisa (1), lavoro forse del XII secolo (2), quello del- la succennata stauroteca della confraternita veneta di s. Maria della carità, giudicata dallo Schioppa- lalba del secolo XI, un crocifisso rilevato nel pre- ziosissimo legno della croce stessa di Nostro Si- gnore, stante nel privilegiato sacrario di s. Pietro in Roma, per l'arte sua certo non anteriore al X secolo (3), e un crocifisso dipinto sopra un codice vaticano del secolo XII pubblicato dall'Agincourt (4), sono i monumenti piìi antichi che la offrano. VII. CoH'eta, cui assegnammo alla nostra stau- roteca, ovvero alle sue tavole anaglife, si accorda anche la croce doppia, ovvero a due traverse, che vi vediamo in mano a Costantino e ad Elena, ed an- che sul dinanzi delle vestimenta di questa , e la barba, di cui vi è ornato il mento di Costantino, non altrimenti che nella ierotcca simile di s.Michele di Murano, e in una di quelle di s.Marco di Venezia edite dal Corner (5). Conciossiachè la detta croce doppia si comincia vedere per la prima volta nel secolo Vili, ne'numismi di Leone Isaurico (6); e (i) Martini, Theatrum basilicae pisanae p. 49- (2) Vedi r abate Ranieri Tempesti, Anliperistasi pisane, p. SS-Sy. Pisa 1812, in 4- (3) Rocca Angelo, Opere t. I, pag. i53. Roma 1719 inf., e Curti, De clavis dominicts p. 81. Antiierpiae i634 in 12. (4) Storia dell'arte, pittura, tav. LVII |5) Ecclesiae venetae, decas XIlI, P. i, pag. i55. (6) Ducange, Numisinata byzant., p. laS, seqq. Vedi su ciò anche Costadoni, Op. cit. e. IX, n. 34» e Borgia De criice vati- cana p. 9, 127. Roma 1779 in 4. G.A.T.LXXVIII. 1G 234 LETTERATURA la l>arba, che non sì vede in nessuno tlelT effigie

  • Letteratura Alberto nel suo soggiorno in varie citta di Oriente potesse venire in possesso di tal sacro tesoro, cui poi reduce a Brescia, vi deponesse qiial preziosis- simo pegno del pastorale suo affetto (1) ? Siffatta è la congliiettura sapiente del Biemmi (2), del Gra denigo (3) , del Sala (4) e del Pagani (5) , sul la provenienza a Brescia di questa sacrosanta reli- quia, a lacere delle altre supposizioni fatue ed as- surde , messe perciò in campo dal Malvezzi (6) , dal Caprioli (7) e dal Rossi (8). XI. Quindi non è maraviglia, se di questa au- gusta reliquia non si fa menzione alcuna nelle pa- trie memorie prima dell'anno MCGXGV, nel qua- le essa trovasi indicata per confusione col nome di croce DEL CAMPO insiememente con altra croce de- (r) Forse insiememente Alberto, o i crociati da lui capita- nati e reduci dalla Terra Santa in quel torno dì tempo, depose- ro in Brescia quella croce, che loro era servita di vessillo e che perciò fu detta croce del campo e delV orofiamma dal drappo appesovi. Dall'arte sua pare essa lavoro indigeno del secolo XIII. Essendosi essa esaminata nel suo interno, nell'aprile del i837,vi si trovarono varie reliquie coi loro ritagli di pergamena por- tanti le iscrizioni: de tra cnlvnrie ics ubi ex donino exli'it sang et aqua et de Ugno chtl — reliquie s. Andrene — s. Faustini — s. Christofori — De unguen Dna. Anche queste epigrafi con- fermano l'esposta conghiettura sulla età e nazionalità della croce. (2) Stor. di Brescia t. I, p* 2^5. (3) Op. cit. p. 262, 253. (4) Guida di Brescia p. 4^- (5) Solennità delle sante croci p. 19. Brescia i836. (6) Chronicon, distinct.Y, cap.5; 7-10, presso Muratori /?(?-> rum Hai. scrip. lom. XIX. {7) Delle storie della città di Brescia lib. V. (8) llisloria delle sante croci, P. II. Stal'hotbca istoriata 237 nominata dell' oro fiamma , alla quale conveni-, va anche quel nome di Croce del Campo (1), per- chè vcssillaria di campo guerresco e forse de'cro- ciati bresciani capitanati dal vescovo Alberto ver- so il 1220 (2) ; e perciò portante appesa quella specie di labaro o stendardo detto oro fiamma (3). Nel detto anno MCGXCV troviamo fatto il seguen- te ordinamento, per qualche attentato forse di furto poco prima successo, del quale parla con esagera- zione una tradizione popolare riferita dal Rossi (4): { i) Ciò notarono prima di me altri scrittori bresciani , cioè Malvezzi (Chronic. distincl, V, e. 5 et 7) ; Rossi [llistoria delle sante croci p. 3i, 4^ ^ 49^ •' cav. Lodovico Bailelli (Breve isto- ria delle sante croci p. 12, i3. Brescia, Tarlino lyoS); il Blem— mi [Storia di Brescia t. I, pag. 2^75); il Pagani ( Solennità delle sante croci p. 15-17. Brescia iSSy ) e gli anonimi autor! dc.ijli opuscoli. Notizie delle sunte croci p. io, la. Brescia , Bossiao 1712, e Storia ragionata delle sante croci pag. 12, i5. Brescia, Bendiscioli 1799. (2) Gradenigo, Brixia sac. p. 243-252; Biemmi, Storia di Brescia t. I, p. 275; Sala, Guida di Brescia p.^i; e Pagani, iSo— lennità delle sante croci p. ig. (3) Che fosse l'oro-fiaiuma si dice nell' Enciclopedia, art. Oriflamme , nel Dizionario delle origini, t. Ili, p. 1722. Mila- no i83i; e dal Pagani, Solennità delle sante croci p. i5. (4) i/istoria delle sante croci p. 88-go. Brescia 1620, Far- mi miglior consiglio ammettere la sostanza di un tal fatto , an- corché se ne voglia col Biemmi (Storia di Brescia l. I, p. 272), rifiutare lutto il aiiracoloso. Le tradizioni popolari, per quanto siano esagerate, hanno sempre un qualche fondo di verità. Fal- sa però avviso massimamente la data del 1089, apposta dal Rossi a un tal fatto.- perchè in quel tempo non esisteva, credo, ancora in Brescia questo tesoro. Altro l'urto delle stesse croci fu poi ten- tato nel celebre sacco di Gastone di Foix del i5i7, e miracolo- samente represso, a quel che narrava un secolo dopo il Rossi medesimo Op. cit. p. 96, 97. 238 Letteratura Statuunt correctores (1) quod faturu^ potè sta s te" neatiir infra quindecim dies sui regimims habere et capitaneiim et antianos populi et partis citin ea quantitate sapientium sibi videbitur , cum quibi^s providere debeat super chmbus crucis campi et al- terius, quae cum illa recluditur., dandis et consi' gnandis illis personis quae eis videbuntur. Et su- per deliberando, ubi dictae cruces debeant reponi et stare, et eorum pro\fisio plenam fìrmitatem ha- beat in praedictis. A codesto ordinamento tenne dietro non guari dopo lo stabilimento e la scelta di sette cittadini a custodi delle chiavi delle due anzidette croci. Eccone alla lettera il documento statutario (2). In lesu Christo nomine, die lovis^ 25 mai. MGGXLV, indictione octava- In sacristia canonicae Brixiae dominus Gaspare Garfagjiate po~ testas civitatis Brixiae de voluntate et conscien- tia dominorum Thomasi de Ghisleriis capitane i pO' puli, lulianii Ugonii, Fiorini de Pontecarali, Ta- talardi de Salodo et Rondi Averoldi antianoruni partis, Gratiadei de Calvizano iudicis, Lanfranchi domila lacobi de Cazago, Regordini Guercii , Q- gnabeni Bellasiae, Martini de Ochis, Alcherii de Quinzanello, Thadaei Bonae, Baldowii de Cela- tica, Framundini de Flumiana, Gratii de Sethesiis, Imbertini de Porta et Gualengini de Humeltatis antianorum populi Brixiae ibi praesentium^ censi- (i) Statuto ms. della cancelleria della città di Brescia f. r, presso il Biemmi, Storia di Brescia t. I, p. i^S, e presso il Pa- gani Op. cit. p. i8. (2) Statuto antico della città di Brescia f. ultimo, presso il Rossi, Storia delle sante croci, p. Qi-gS. Brescia 1620. Stal'roteca istoriata 239 gnavii, dedit , et dimisit infrascriptls septem ci-' vibus Brixiae ibi praesentibus clu^es crucis campi et crucis quae dicitur Orialiauinia. Dominus Gru- tiadeus de Cahizano iudex qif,arterii s. Stepliani habet uiiam clavem. scrinei magni ab uno capite ; dominus Ugo de Salodo quarterii s. Alexandri habet undìn clavem dicti scrinei in medio; domi- nus Ghirardus de Quinzanello iudex quarterii s. Ioannis Jiabet tertiam clavem dicti scrinei ab alio capite. Dominus Manuel fllius q. domini Corradi Gazine de Salis quarterii s. Faustini habet clavem cathenaccii zeppi; Ognabenus de Averoldis quar- terii ^. Faustini habet claveni zeppi a capite dextro; domirius Gerardui de Gambara quarterii s. loan^ Tiis habet clavem zeppi in medio; dominus Boche- tus de Flexo quarterii s. Stephani habet clavem dicti zeppi a Qapite sinistro (1), Xir. Ma è oggimai tempo di venire a dire al- cun che in illuslrazione delle rappresentan/e dell'i due tavole anagli fé della slanroleca che sonosi date incise (2):il che può importare maggiormente anche (i) Per parte poi presa iie'tempi posteriori rie'bresciani sta» tuli, come nota il Pagani, Op. cil. p. 20, si ordinava invece che all'arca custqditrice delle due sante croci fossero fatte sei chia- vi, una delle quali fosse tenuta dal vescovo della città, una dal signor podestà, una dal signor capitano, una dal cancelliere e le altre due d^ due probi cittadini da eleggersi perciò. {1) Ottavio Rossi, Ilisloria delle sante crocia p. 58, ^1, de- scrive verhaliiienle le rappresenlauze delle due tavole; se le a— veise invece date incise, griliustralori stranieri di simili ankichi- tà le avrebbero facibiienle e ristampale e illustrate. Invece nes- suno di essi ne parlò mai, se si eccettui lo Schioppalalba , il quale [Oj) cil. p. t:|, ^5) ne l'u cenno dietro quel pochissimo , che ne avea letto nel Gradenigo lìrixia sacra p. ioì-'i^^' 240 Letteratura agli stranieri alla citta di Brescia. Adoprerò però di essere parco nella trattazione dì argomenti, sui quali hanno già profusa tanta dottrina principalmen- te il Costadoni, il Venuti, lo Schioppalalba^, e il Borgia in dissertazioni appositamente scritte ad il- lustrare alcuni particolari somiglianti sacri cimeli. XIII. Riguardando a Gesù crocifisso, cui ci rap- presenta la tavola prima, più cose ci si offrono cui avvertire particolarmenle,conformi all'uso antico ed alla verità dell'istoria e dell'archeologia: e prima- mente i quattro chiodi, con cui vi si offre confitto in croce il Divin Redentore. Parlano in conformità di ciò e Plauto (1) e Seneca (2), in accennando a questo ignominiosissimo e tormentosissimo supplizio; e non altrimenti l'antico autore del Sermone de Passione Christi^ che è stampato in fine alle opere di s. Ci- priano (3), s. Agostino (/|.), S.Gregorio Turonense (5), e Innocenzo III (6), in ragionando della crocifissione di Gesìi Cristo, sebbene diversamente scriva l'au- tore greco non molto antico della tragedia Christus patiens pubblicata nelle opere di s, Gregorio Na- zianzcno (7), E quattro chiodi ci offrono il croci- fisso dipinto delle catacombe di s. Giulio a porta Flaminia datoci dall'Arringhio (8), dal Bottari (9), (i) Mostell. act. II, se. i, vv. i2, i3. (2) De vita beata e. 19. (3) S. Cypriani, Opera p. 4^9 ex edit. Rìgallli, parisiis iS^S inf. (4) Tract. CXVIII in Ioan. n. 8a, et Medit. e. VI. (5) De glor. conf. lib- I, e. 9. (6) Sermo de uno martire. (7) Vedi Buonarroti, Vetri. Appendice p. 264. (8) Roma sotterr., t. II, p. 354. (9) Roma solterr. t. III, tav. CLXXXII, Stauroteca istoriata 241 e dall' Agincourt (1); un altro, anch'esso dipinto sul codice evangeliario siro della biblioteca loren- zìana, scritto nel 586, e pubblicato per le sue ta- vole istoriate dall' Assemani (2), dal Biscioni (3), e in parte anche dall' Agincourt (4); un terzo cro- cifìsso lavorato a musaico nel 706 , che era sulla porta santa dell'antica basilica di s. Pietro in Ro- ma, esemplato dal Curti (5); un quarto pure di- pinto su di un codice latino dell'VIII secolo della biblioteca viennese dato dal Lambecio (6), e tutti gli altri crocifissi di età anteriori al secolo XII (7), i quali furono pubblicati dagli ecclesiastici archeolo- gi, come notarono il Buonarroti (8), il Gori (9), il Bottarl (10), lo Schioppalalba (11), il Borgia (12) e Benedetto XIV (13). XIV. Senza la corona di spine in capo appa- risce Gesù crocifisso nella nostra immagine. Ne e altrimenti de'quattro crocifissi dipinti or ora men- tovati e di molti altri de'piìi antichi. E in fatto (i) Storia dell'arte, pittura, tav. XII. (9.) Calai, biblioth. laureili, medie, p. 49> tab, XXIII. (3) Calai, blbliot. laurent. medie- p. ig4, igS, tab. XXIII. (4) Star, dell'arte, pittura, tav. XXVII. (5) De clai>is dominicis p. pi» Anluerpiae i634, iu i6. (6) Biblioth. caes. vindob. lib. II. p. I\i5. (y) Da 8. Anselmo però, il quale morì nel 1109, possiamo argomentare che anche nel secolo XI vi fossero crocifissi con tre soli chiodi. Veggasi la sua Meditai. X de Passione, 0pp.p,22i. Parisiis 1^21 inf. (8) Vetri p. 263, 364- (g) Diptych. sac, toni. Ili, p. 167. (io) Pitture e sculture di Roma soli. t. Ili, p. 174' (II) Op. cit. p. 4o. (i2) De cruce valle, p. 43, Romac 1779 iu 4- (i5) Defcstis D. N. I. C. ^. 87, p. 212. 24^ Letteratura non pare al p. Galmet (1) conforme al vero cho Gesù Cristo sia stato condotto al Calvario e con^ fitto in croce tuttavia coronato di spine , come si cominciò a rappresentare forse fino dal secolo X(2), e in tempi più tardi usarono fingere comunemente gli artisti , i quali però credettero ciò confarsi si. chi poco innanzi era stato illuso qual re da scena, e poscia per regia autorità attribuitasi sopra i gìi|- dei condannato e tratto alla crocq (3). XV. Che che sia di ciò triplice, o quadruplice raggio di luce adorna le tempie a Gesìi crocifisso nel nostro sacro anaglifo , non altrinienti che in altre simili immagini antiche edite mi è avvenuto vedere (4), simbolo appunto della sua divinila e di quella luce invisibile, per cui egli illumina Ogni uomo che viene nel mondo, XVI. XJn emicipzio, ovvero una larga fascia, cin-^ gè i lombi a Gesù altrimenti ignudo sulla crocq ne[\t\ nostra ieroteca ; e sì è con^unemente degli antichi crocifissi o metallici o dipinti venuti sino a noi, e pubblicati da tanti illustratori delle eccle-? siastiche antichità (5). Anzi nel crocifisso dipinto del cimitero di s. Giulio , in quello dell' evan- geliario siro lorenziano del VI secolo, nell' altro del 706 già stante nell'antica basilica di s, Pietro (i) Comm. in Matth. XXVII, 35. (2) Vedi Gori, De mitralo capile D. N. I. C. p. 179, e Mar-? tini, Theatrnm basilicae pisanae p. 87. (5) Vedi su ciò Origene in Matth. tract. XXXI; e Tertul- liano, Cont. ludaeos e, XIII, (4) Curii, De clauis doininicis p. 91, ii3. (5) Yedi anche s. Gregorio di Tours, De glor.martyr. 1. I, e. 23. Stauroteca istoriata 243 e in altri accennati dal Mabillon (1), dal Rui- nart (2) e dal Bottari (3) , Gesù appare in croce coperto della tonica o veste interiore senza mani- che, detta colobiO' Al qual uopo s.Anselmo (4), Tostato (5), Salmero- ne(6), Gretsero (7),Menochio (8) e Schioppalalba(9), furon d'avviso che Gesù in croce, sole di purità e di modestia, fosse, se non in tuttp il corpp coperto di una qualche tonica interiore, almeno in quelle parti, elfi il pudore ingiugne di coprire, velato di una qualche fascia o subligaculo; sebbene non alia- no di tal loro piissimo opinare alcuno storico do- cumento. Ma il Paleotto (10), il Vossio (H), il Serry (12), Benedetto XIV (13) e niolti altri sono di con- trario sentimento. Su di che piacemi trascrivere qui ciò che scrivea già il celeberrimo cardinale Stefano Borgia {]A). Christus, ut patres ex sacris litteris anìmadvertunt^ tactus est etiani ab ingenua Illa , quae a nuditate est, pudoris aegritiidine, ditni e (i) Praef. in acta ss. ord. bened. saec. IV, p. i> n. 47» e Itinerar. ital. p. i53. (q) Not. in s. Gregor. Turon. De gì. martyr. 1. i. e. a3. (3) Roma sott, t. Ili, p. 174, '75. (4) Medit. X, de Pass. Domini. (5) Opuscul. Paradoxon V, e. /{l. (6) Comment. t. X, iract. XXV, in Malth. p. 294. Coloniae }&o\ inf. (7) De cruce, 1. I, e. 22. (8) De repub. hebr. 1. VI, e. 2. (9) Op. cit. p. 38. (io) Spiegazione della s. Sindone e. VI. (11) Ilarni. evang. 1. 11,0.7- (12) Exercit, LIV, n. 9. [l'S] Da /estis D. N. I. C. §. 88, p. 2i3. (i4) De cruce fe///.p.XXIX; einot. ìah.l.Romae 1780 in 4r 24-4 Letteratura cruce penderete ut proinde nonnisi pudicae fide" liiwi pietati et commiserationi tribuendum sii , sì dein ipsum in hoc oppressionis opprobriique actit exhibentes ipsiits corpus salteni in parte velave- rint. Sane Christi lesu crucifixi nuditatem haud obscure indigitavit Ioannes (I) per haec verba : Milites, cum crucifixissent lesum, acceperunt vesti- menta eiiis et tunicam. Quibus consonant et caeteri evangelii scriptores. Ncque enim dubium est de ea tunica heic sermonem esse, quae omnes corporis partes obtegeret. Psalmorum autem scriptor ex per- sona Christi pudoreni, quem subiit nuditatis causa, declarat cum ait (2): Ipsi vero consideraverunt et inspexerunt me. Huic sententiae plerique sancto- rum patrum et interpretum calculum adiiciunt , Christum Adamo comparantes, qui peccati nondum labe inquinatasi nihil loto corpore haberet quod puderet, ut ait s. Augustinus (3). Alle quali osser- vazioni del dottissimo arclieologo si può aggiugne- re che Cristo Signore, mentre mostravasi così so- migliante ad Adamo innocente e purgava insieme- mente nella sua nudità il peccato di lui, dando an- che sommo esempio di povertà estrema all' uomo servo delle pompe e ricchezze terrene, potea cer- tamente reprimere la concupiscenza degli occhi la- scivi. Malgrado però di queste ed altre ragioni, che forse potrebbonsi aggiugnere, confesso il vero in- clinar io alla contraria opinione tenuta dagli au- (i) Ioan. XIX, a3. (2) Psalm. XXI, ig. (h) Cont. Faust. 1. XII. Il Serry, loc. cit., congrega all'uopo testimonianze conformi di molti de'se. padri e di altri eruditi. Stauroteca istoriata 245 tori lodati Ja principio, e non sapermi indurre a credere, che Gesù Cristo e i due ladri con lui cro- cifissi, e gli altri giustiziati alla croce, pressoi ro- mani antichi venissero appesi a quel supplizio in- teramente ignudi (1) per pubblica autorità, men- tre l'uso e il sentire comune abborriva da tale asso- luta nudità. Al quale proposito Nonio (2) ci dice, che subligaculis utehantur verecundiae caiisa^ qui- hiis pndendae corporis partes tegehantiir. Marziale introduce (3) Chione o Chionia pudenda corporis parte tectani se se lavantem. I monumenti almeno più antichi (4) ci presentano anche i gladiatori co- perti del j^M&Z/g-fl'CM/o, mentre combatteano nell'arena. Giovenale (5) fa cenno del subligar degl'istrioni o de'pantomimi. Cicerone (6) attesta, che scenicoruni quidem mos tantam habet vetere disciplina vere- cundiam , ut in scenani sine subligaculo prodeat nemo> Verentur enim, ne si quo casu e^>enerit, ut corporis partes quaedam aperiantur^ adspiciantur non decore. Plinio poi (7) fa cenno del subligar de'lavoratori dell'incenso , cui tuttavia dice essere (i)Artera!doro, fiorilo a'tempi di Antonino Pio, veramente at- testa [Oiieirocrilica 1. II, c- 58 ; che y^fx-voi ianpoiivra.t. Ma forse o non parla egli d'intera nudità, o l'antica cautela era venuta me- no, come in altri fatti riguardanti il pubblico pudore. (2) I. 127. (3) Epigr. Ili, 87. (4) I gladiatori primamente scendevano nell'arena cosi rico- perti, come si può vedere ne'bassorilievidi un sepolcro di Pora- pcia pubblicati da Miliin, Description des tombeaux qui ont eté decouvert a Pompei dans Vannée 1812 , planchelll, Naples i8i3 in 8. (5) Salyr. VI, 70. (6) Offic. Ili, 35. (7) Hist. Nat. XII, 02, 2. 246 Letteratura stati nudi. E in oriente, come già notammo di so- pra, dove il clima più invita alla nudità, gli stes- si lavoratori de'campi e tutti i plebei vanno cinti a'iòmbi di un cotal panno détto hèram che li rico- pre daì'fianclii fino alle ginocchia. Onde crederei che non sòlaniente la nlodestia e la pietà inducesse gli antichi artisti cristiani a velare, alnieno del subli- gare, là nudità di Gesù e de'due ladri con lui croci- fissi, ma sì la verità , Tantico costume e l'artistica tradizione. £ i testimoni dal vangelo di é. Giovan- ni (1) e dal salnlo XXI {T) citati di sopra dal Bor- gia, e altri simili adunati anche da Alfonso Paleot- to (3) , non hanno tutta la forza che ad essi si at- tribuisce, ovvero non escludono la sentenza da noi esposta. Ne è altramente de'ss. padri, i quali dis- sero essere stato sospeso nudo in croce Gesìi: men- tre non può dimostrarsi che parlino di una total nudità, come avverti il Gretsero (4). Ma su di ciò basti il detto sin qui. (i) loaii. XIX, aS. Per la voce t« ljxa.7icc doversi ivi inten- dere il mantello o pallio, è chiaro da s. Giovanni stesso XIII,4> e da s. Marco Y, 27, 3o e da s. Matteo IX, 20. Per la j^(9wva poi intendesi chiaramente la tonaca, sotto la quale allora i romani almeno più comodi usavano portare la subucula, detta da' greci ^iSwvi'crxof, t>Vd(3a(rj; , JTroSt/tvj? , UTrosa-rrii;. Varrone presso Nonio XIV, 36 dice all'uopo noslro: Postquainduas tunicas habere eoe- perunt, instituerunt vacare subuculam et indusium. — Veggasi an- che ciò che dice s. Girolamo Episl. CXXVIII ad Fabiolam sect. XI; e s. Isidoro Originunt lib. XIX della voce camisia. (2) Psal. XXI, 19. Le voci inspexeriuit me , richieggono esse necessariamente una total nudità ia Gesù crocifìsso , la cui riguardarono malignamente i giudei beffand(^I di lui? (3) Spiegazione della s. Sindone e. VI- (4) De cruce lib. I, e. 22. Stauroteca istoriata 24-7 XVII. Rispetto a quella tavoletta, cui la no- stra stauroteca ci presenta sottoposta a' piedi del divin Salvatore crocifisso, detta perciò ipopodio o suppedaneo, nolcvo solamente, che innumerevoli an- tiche immagini o dipinte o fuse o scolpite, e un nu- misma vetusto presso il Lipsio (1), ce la rappre- sentano non altramente, e che anche s. Gregorio di Tours (2) chiaramente vi accenna. XVIII. Pili meritevole sembra di considerazio- ne quella testa non scarnata e a chiusi occhi, che soggiace al suppedaneo del nostro crocifisso. Nes- suno simile monumento di etk anteriore al seco- lo XI ci mostra ivi questo simbolo o rappresen- tanza; giacche le porte enee di Pisa (3), la stauro- teca di s. Maria della carità edita dallo Schioppa- lalba (4), la miniatura del codice manoscritto gre- co vaticano del secolo XII esemplata dall' Agin- court (5), e il crocifisso intagliato nello stesso pre- ziosissimo legno della santa croce edito dal Roc- ca (6) e dal Curti (7), che ci offrono un cranio , invece però Scarnato, sotto al crocifisso, come ho già avvertito altra volta di sopra, non vantano cer- tamente maggiore antichità. Una tal testa o cranio poi sembra indicare (8) quella pia antica tradizio- (i) De cruce, not. ia lib. Ili, e. X. Vedi anche Benedetto XIV Defestis D. JN. I. C. n. 85, p. 209. [i] De gioì: marljr. lib. i, e. 5. (3) Martini, Theatr. basilicae pisanae p. 49- (4 , Op. cil. tab. Ili, p. 52. (5) Pittura, tav. LVII, n 4. (6) Opp. Omnia, tom. I, p. i53. Romae 1719 inf. (7) De clavis dominicis p. 81. Antuerpiae i634, in 16. (8) Vedi Schioppalalba. Op. cit. p. 52j e Saruelii, Lettere eccl. t. V, p. 52. 248 Letteratura ne, di cui fanno cenno parecchi de ss. Padri (1),' e per cui Adamo da Sem con istinto profetico sa- rebbe stalo sepolto sopra il Calvario, e quivi po- scia scoperto il suo craaio. Al qual uopo quel cra- nio ne'detti monumenti di Gesù Crocifisso e rap- presentato quasi interrato sopra il monte, su cui sta fissa la croce (2^. Altri invece vorrebbe che co- desta testa o calvarie anziché rappresentarci il cra- nio di Adamo quasi bagnato dal sangue di Gesìi Cri- sto, ci simboleggi la morte vinta per la morte di lui giusta il vaticinio O mors ero mors tua. Questa seconda sentenza però mi pare piìi poetica che vera. XIX. Nella tavoletta o titolo stante al sommo della croce la nostra slauroteca , anziché la causa IH20T2 O NAZQPAI02 O BA2IAEY:S TQN IOY- AAIQj>f dataci per intero dall'evangelista s. Giovan- ili (3) leggiamo le sigle IG XC , ossia le lettere iniziali e finali del nome IRIOYI XPI2T02. Ne al- trimenti troviamo scritto in altre antiche croci par- ticolarmente stazionali (4), in greci numismi (5) e in altri antichi monumenti (6). (i) Esprime forse il medesimo Adamo, qnasi sopraccarico di ferri o incatenato, quella protome senile, che sta effigiata sotto la croce bresciana del Campo o delT Orofiamma, lavoro forse indi- geno del principio del secolo XIII, che si custodisce colia slau roteca di cui parliamo nella vecchia cattedrale di Brescia , d che è descritta verbalmente dal Rossi, Stor . delle croci p. ^g, 5o, e fu incisa dal Beceni nel i^gi al naturale. Vedi Tp.i56,'ì'5j.siip . (2) S. Girolamo, Contm. in Epist. ad Eph . V, i4; e Epist. XLVI al 17; Tertulliano, Origene, Epifanio, Grisostomo presso il Gretsero, X>e cruce lib. I. e. 8; e il Baronie an.XXXIV.n. 112. (3) loan. XIX, 19, 20. (41 Schioppalalba, Op. cit. p. Sg. (5) Schioppalalba, Op. cit. p. 58. (6) Ciampini, De sacris aedificiis e. IV, e Vettori, De mo - nograinmate s. noni. lesu p. io. Stauroteca istoriata 249 XX. Nulla ho cui notare particolarmente in- torno alla beata Vergine e s. Giovanni, i quali con- formemente all' evangelica istoria sono nel nostro sacro cimelio rappresentati astanti a Gesù croci- fisso; se non che 1' effigie di Maria vi sembra ve- ramente oflfrirci lei, alla quale il santo vecchio Si- meone avea prenunziato che Tuam ipsiiis animam doloris gladius pertransibit. XXI. Due angeli veggonsi nella nostra stauro- teca istoriati sopra la croce, non ignudi, ma si ve- stiti, come i greci costantemente usavano rappre- sentarli, e in atteggiamento di venerazione e di do- lore, quasi compassionanti l'amorosissimo loro divi- no creatore sì maltrattato dagli uomini. Per lo stes- so modo assaissimo delle antiche immagini di Gesìi crocifisso (1) hanno assistenti due angeli, i quali ci richiamano quasi quelle parole d'Isaia (2): Angeli pacis amare flehunt. XXlI.Finalmente veggiamo al sommo della stessa tavola anaglifa indicala la miracolosa ecclissi (3), che fu in pieno meriggio innalzandosi in croce Gesìi (4), nella protome virile che ivi è a destra, e nella lu- na che vi è a sinistra bifalcata , non già perchè allora tal fosse la sua fasi, ma sì perchè si argo- menti oscurata nel pieno suo disco. Tale simbolica rappresentanza si vede anche al sommo del croci- (1) Is. XXXIII, 7. (2) Vedi Buonarroti, Vetri p. g e 270; il Biscioni, Catalog. hiblioth. laurent. medie, pag. 194, igS; Schioppalalba , Op. cit. p. 46,tab. ITI. (3) Vedi la mia Diss. sull'ora della crocifiss. di G. C. nelle mie Dissertazioni bibliche p. 210, 211. Milano x83S in 8. (4) Buonanoli, Fclri p. 267. G.A.T.LXXV11L il 250 Letteratura fisso dipinto del cimitero di s. Giulio già sopraccen- nato, in quello del codice evangeliario siro istoriato della biblioteca lorenziana spettante all'anno 586, in quello dipinto in altro codice della palatina viennese appartenente all'VIII secolo edito dal Lambecio (1), e sopra altre molte somiglianti antiche immagini (2), Anzi in cima alla croce bresciana detta del campo o deir oroftamma^ cui ho indicato di sopra e che sembra lavoro patrio del principio del XIII seco- lo, e sopra altre antiche croci (3), si veggono due protome, virile l'una, femminile l'altra, indicanti li sole e la luna (4). XXIII. Passando alla seconda tavola anaglifa deU la nostra stauroteca, ci si offrono a considerare i due imperanti Costantino ed Elena a sinistra del vano della stauroteca, in cui si ha riposto il preziosissi- mo legno della santa croce di nostro Signore. Pri- ma però di avvertire al loro costume vuoisi nota- re che Costantino, in monumento della faustissima scoperta della santa croce fatta dalla santa sua ma- dre Elena, eresse in piìi luoghi di Cpoli la croce e a' suoi lati la statua di se e di s, Elena, come ci (i) Bihlioth. caes. vindob. II, p. l\i%. (n) Vedi Buonarroti loc, cìt. (3) Vedi Buonarroti loc. cit. (4) Anche negli anticlii sarcofagi e gentileschi e cristiani ve» desi rappresentato il sole e la luna, con due teste, virile l'una, femminile l'altra. Ma ivi esse simboleggiano, come notano il Bot- tari {Pitt. e scult, della Roma solterr. t. I,p.i25,i8i; tom.II,p.97 e tom. Ili, p no), e Raoul Vt.ochei\.e [Tableaux des cafec p.2i5. Paris i856) il corso della vita umana. Non altrimenti gli egizi , per quanto attesta Orapollo , Jlierogljph. e. i, ad indicare il secolo descrivevano il sole e la luna, come elementi di esso: ai'w'v* 0"/jfA«i'vovr£f, ftXiov y.a,ì asXyivriv ypccifouai, Si» tò ai'wvia Jiv«« ioi^^st». Stauroteca istoriata 251 attestano Ccdreno, Snida (!) e lo storico anonimo edito dal Bandurio (2) , onde si estese a' greci la consuetudine di rappresentare quegli augusti dal Iato alla croce; e un tale costume venne seguito da- gli artisti della nostra stauroteca, di quella di s. Mi- chele di Murano edita dal Costadoni, di quella di s. Marco di Venezia, pubblicata dal Corner (3), di quella di s. Maria della carità in Venezia, data in luce dallo Schioppalalba, ec; in tutti i quali mo- numenti Costantino tiene la destra ed Elena la si- nistra, perchè la destra a Costantino si attribuisce, quale primo per la dignità dell'impero: se pur la sinistra data ad Elena, sua santa madre e inventrice delle sante croci, non era anche tenuta per la parte più degna appresso i greci, come pur vorrebbe il Costadoni (4) , quistione antica e complicatissima, come avverte il Paciaudi (5). XXIV. Nella nostra stauroteca, non altrimenti che nella veneta di s. Michele di Murano, è rappre- sentato Costantino adorno superiormente della veste detta dagli antichi latum clavuin^ o trahea^ ovvero siiharinale^ e di cui usavano i consoli e gl'impera- dori fatti consoli, e poscia perpetuamente gl'im- peratori stessi quando fu unito il consolato all'im- pero fino al decadimento di questo in oriente (G). (i) Presso Pietro Gyll, De topographia ep. 1. II, e. 23, (2) P. I, lib. I, n. 27, p. IO. (3) Eccl. venet. decas XIII, P. I, p. iSg. (4) Op cit. e. X. (5) Antiquit. clirist. Diss. VI, C- 8. (6j Non però i soli augusti di oriente, ma gli occidentali eziandio la usarono, come vedesi di Federico II in un codice di Augusta, di cui fa menzione il Ducange,Diss.Z>ei/i/'.aev/ numism. n. VIII. 252 - Letteratura Descrive questa veste il Ducange (1), quale si vede nel nostro anaglifo del modo seguente : Consit- les tunicis palmatis et togis pictis induti apparent , cui sitperfunditur fascia latior collum ambiens^cidus pars dextra strictior a destro humero recta circa pectus ultra genua descendit^ipsumque humerum ao brachium dextrum circumvolvens sinistrum h,um,e- rum ampie ctitur^ explicans se se, latior q uè sensim effecta, ac circa dorsum delapsa, rursum a dextro latere per urnhilicum transversum agitur, et infi- mani sinistri brachii partem, qua manui illud con- iungitur, involvit, reliqua fasoiae parte retro pen- duta. E il Costadoni (2) « era, dice, la trabea una « assai larga fàscia ossia stola fregiata di gemme, « la quale cadendo dietro agli omeri ascendeva al « fianco destro, e coprendone il ventre passava sul tt braccio manco, da cui scendeva infine pendente « colla sua estremità ». Di questa medesima veste ci si mostra ornata s. Elena stessa in altre stau- roteche ; cioè in quella di santa Maria della carità, e in una di quelle di s. Marco di Venezia (3) , e non altrimenti le mogli d'imperatori anche con^ soli appariscono vestite in greci monumenti del me- dio evo, in cui il consolato era già riunito all'impe- ro (4). Nella nostra stauroteca però, e in quella di (i) Diss. De inferioris aevi numistn, ìmp.n.\-YIll- (2) Op. cit. e. VI. la Cologerà, Opuscoli t. XXXIV. p. i45. (3) Corner, Eccl. venetae, decas XIII, P. I, p. i55. (4) Anche le donne consolari ( cosi nomina Ulpiano ( lib. I, D. de Senator.) le mogli dei consoli) , la stessa o poco disomi- gliante trabea de'loro mariti portavano , come può vedersi iu Ducange [Hist. bizantina p. I. Familia augusta byz. p.iSg, i40' Lutetiae Paris 1680 inf.) e in Lambecio, Comment- caes. biblioth. Stauroteca istoriata 253 s. Michele di Murano data dal Costadoni, s. Elena è sfornita di questo ornamento, ma ci si mostra in- vece ornata di tale preziosa veste, cui siamo ten- tati credere essere stata costumata dalle impera- trici di Oriente, almeno ne'secoli IX, X e XI. Con- ciossiacliè la ravvisiamo consimile anche nella im- magine della b. Teodora augusta moglie dell'impe- ratore Teofilo, morto nell'anno 867, cui ci offre il menologio di Basilio al dì del passaggio di lei 1 1 di febbraio, e in quella dell' imperatrice Maria mo- glie di Niceforo Botoniata imperante gli anni 1078- 1081, presentataci da un manoscritto sincrono della biblioteca coisliniana (1); con questa sola differen- za, che in quest'iconismo di Maria non si vede sul dinanzi disegnata la croce, come in quello della b. Teodora e di s. Elena della nostra stauroteca e di quella di s. Michele di Murano. Cotal veste od or- nato, come nota il Costadoni (2), dal destro piede piìi o meno elevata sorgendo fino al ventre, quivi quasi un circolo va formando, su cui è improntata una gran croce semplice o doppia , che pare di- mostrare in s. Elena la fortunata inventrice del sa- cro legno, e sulle vestimenta di altre imperatrici, come la b. Teodora, indica appunto il glorioso ves- lib. II, e. 7, p. 071). Dà il Ducange l'iconismo dì Eudossia, mo- glie dell'imperatore Flavio Basilio morto nell'SSG, tratto da un codice regio parigino degli scritti di s. Gregorio Nazianzeno, di- pinto mentre viveva lo stesso Flavio Basilio; e il Lambecio altro iconismo di Giuliana Anicia, fiorita nel VI secolo, tratto da un codice sincrono di Dioscoride. (i) Bibliolh. coisUn. p. i35. (2) Op. cit. e. VI. 254 Letteratura siilo eli nostra salute, già reso insegna di onore e di pompa anche ai re. XXV. Dovrei pur dire alcuna cosa anche delle corone che alquanto diverse ornano le teste de' due augusti, e nella nostra stauroteca e in quella di s. Michele di Murano già tante volte accennata, e in altra di s. Marco di Venezia edita dal Corner. Ma penso invece rimettere, chi desideri esserne istruito al Ducange (1), al Gostadoni (2) e allo Schioppa- lalba (3), i quali ne trattarono dottamente. XXVI. Invece verrò a dir tosto alcun che in- torno alla croce doppia ovvero a due traverse, che veggiamo nella destra mano di ambidue gli augusti, e sulle vestimenta anche di santa Elena nella no- stra stauroteca. A tal uopo però non è pur da ac- cennare, perchè tale augusto vessillo sia in mano e sulle vestimenta della avventurata e santa scopri- trice del prezioso istruraento della nostra redenzio- ne. Più presto è da chiarire perchè l'artista l'ab- bia posto in mano all' augusto suo figlio ; mentre nc'numisrai egli noi si vede mai portante in mano la croce (4). A tal proposito però potremo avverti- re, avervi presso il Tristano (5) un numisma di Costantino , su cui vedesi la croce ; che Euse- bio (6) ci attesta di lui, come entrato in Roma or- dinasse che la propria statua tenesse colla destra un* asta sublime in forma di croce; e che 1' anonimo (i) Dìss. cit. §. i^, (2) Op. cit. C. V. (3) Op. cit. e. V, p. 70, seqq. (4) Schioppalalba, Op. cil. p. 72-74- (5) Comm. historique t. Ili, p. 55o. (6) De vita Constantini I. I, e. 4o- Stauroteca istoriata 255 Scrittore delle antichità cpolltane (1) ci testimonia di altra statua di Costantino eretta nelle parti pres- so il Tauro, dove Costantino soleva abitare talvolta la state, una statua reggente nella destra la croce. Del resto l'artista avvezzo a vederla in mano agli altri imperatori bizantini nelle pubbliche solenni- tà (3), e ne'loro numismi e statue, facilmente s'in- dusse a metterla in mano anche a Costantino. Per ciò stesso, ossia per la sua abitudine, l'artista se- gnolla e in mano ad ambidue gli augusti e sulle vestimenta di uno d'essi, cioè di s. Elena, doppia anziché semplice, perchè tale appunto portavan- la gì' imperatori bizantini fino almeno dal secolo Vili, come già di sopra notammo (3). XX.VII. Se poi mi si chiedesse, perchè appunto gli augusti di Bisanzio solessero portare la croce, an- ziché semplice doppia ovvero a due traverse, po- trei rispondere col Ducange (4), che in tal croce, veramente greca di origine e di uso (5), indicavansi riunite ambedue le croci de*due coniugi imperiali, o piuttosto simboleggiavasi la loro matrimoniale unione. XXVIII. I due angeli, che sovrastano a'due au- gusti ovvero piuttosto alla superiore traversa del- la croce del preziosissimo legno che si suppone stan- te nell'incavo della stauroteca, o vi fanno l'oiìicio (i) Lib. V, p. 99 presso lo Schioppalalba p. 72. (2) Codino dice al proposito ( De offic. magn. eccl^ et aul. cpolit. e. VI, n. 37.): E reliquis gestaminibus gestat impevator quaecumque voluerit, crucem autem ili. dexlera semper porlat. (3) N. VII. (4) Diss. de inferioris aevi numistn. p. 43. Rontae lySS ia4' (5) Borgia, De cruce vaticana p. 9. Boraae 1779 in 4- 256 Letteratura stesso che sovrastanti al crocifisso della parte supe- riore della medesima stauroteca (1), ovvero ne accen- nano a que'due angeli, cui giusta Sozomeno (2) vide Costantino nella celebre visione della croce, da'quali udì dirsi quelle enfatiche parole iv Tara v/xa. In me- moria del qual fatto Costantino, a detta dello scrit- tore anonimo delle antichità costantinopolitane (3), fece erigere nel proprio foro di Costantinopoli, col- le statue sua e di Elena dal lato alla croce, anche quelle di due angeli. Le due protome de' due an- geli nella tavola della nostra stauroteca non hanno alcun nome; ma in una di quelle di s. Marco di Venezia pubblicata dal Corner (4), e nell'altra di Cortona pubblicata e illustrata dal Venuti e dal Gori, i due angeli hanno a fianco segnato uno il nome M^xavjX, e l'altro il nome Fa/SpfijX, i quali ap- punto per Toffizio loro, giusta ciò che sappiamo del primo da Daniele (5) e dall'Apocalisse (6), dell'al- tro da Daniele stesso (7) e da s. Luca (8), bene sta- vano effigiati presso alla croce. XXIX. Non posso tralasciare di dire alcuna cosa del titolo ò cqi-og santo, dato,come già notavamo di sopra (9), a Costantino nella nostra stauroteca, in quella di s. Michele di Murano, e nella cortonese (I) Vedi il n. XIX. (a) Hist. eccl. lib- I, e. 3. (3) Lib. I, n. 53 e 4o- (4) Bccl. venetae, decas. XIIT, p. I, pag. i55. (5) Dan. X, i3; XII, i. Vedi anche s. Giuda v. 9. (6) Apoc. XII, 7, 9. (7) Dan, Vili, i6;IX,:2i. (8) Lue. I, 26. (9) Vedi n. V. Stauroteca istoriata 257 gik più volte menzionata, ed espressovi uniforme- mente colla sigla 0; e dal nimbo che ne cinge le^ tempie non altramenti che ad Elena, qual segno di creduta e sperata eterna vita (1). I greci fino da'tempi antichissimi, come apparisce non solamen- te da'loro menologi al di 21 maggio, in cui Costan- tino passò di questa vita, ma anche dal frammen- to di antichissimo calendario della chiesa gotica dato In luce da un palinsesto ambrosiano nel 1819 da'chiarissimi uomini Mai e Castiglioni (2), gli tri- butano culto quale a santo: culto però cui la chie- sa romana non approvò mai, sebbene il tolleri an- che in alcuni luoghi dell'Inghilterra, non diversa- mente da quello, che a Carlo Magno danno il di 28 febbraio alcune particolari chiese di Germania (3). Non dirò di più intorno ad un argomento, del quale ragionarono già distintamenfe con tanta sapienza e dottrina i Bollandisti (4), il Costadonl (5) e il Muratori (6). Solamente soggiugnerò ciò che di un numisma di Costantino, il quale tuttora si vede nei (i) Vedi Visconti Alessandro, Diss. sopra la cristianità di Costantino magno, e sopra il nimbo usato ne^ritratti di es^o, ne- gli Atti dell' acad. rom. di archeol. t. VI, p. ii-j. (2) Ulphilae partium ineditarum sp eci ni en. ^\eà\o\a\n 1819 in 4- Il cardinal Mai ne ha tuttavia pubblicato la versione la- tina neWAuctorum veterum vaticana collect. toni. V, p. 67. Ro- mae i825 in 4- L'eminentissinio principe stesso, 0/> c/f. p.XXIX, cosi scrive; Calendarii gothici fragmentum a me Mediolani edi- ium, liberiano et carthaginensi, qitae duo antiquissima hactenus habita sunt, suppar aetate est. (3) Vedi Butler, Fitade'padri, de^ martiri e degli altri prin- cipali santi, 28 genn. Venezia iSaS. (4) Ada sanctorum, XXI mai, tom. V, p. i4" (5) Op. cit. e. III. (6) Annali, all'an. 337. 258 L ETTERATURA museif scrive Euse])io (1): Quin edam numi eiusdeni forma signati sunt anteriore quidem parte beatiim principem protecto capite proferentes '. altera vero parte in quadriiugo curru aurigae instar sedentem et porrcela ipsi caelitus dextra ad superos assum- ptiim. XXX. A chiusa della nostra disamina degli anaglifi della sacra stauroteca bresciana rimane a ricercare se tale stauroteca stessa fosse vjv.óXntog o pettorale, ossia tale che si portasse o potesse por- tarsi appesa al collo e pendente sul petto (2). Il ram- mentarmi però di aver vista la medesima staurote- ca al sommo traforata così, che un anello o qual- che filo o catenella la trapassasse, mi fa inclinare a credere poter essa essere stata veramente pettorale, e forse portata sotto la veste pendente dal collo in sul petto da quell'Alberto vescovo di Brescia,al qua- le di sopra conghietturammo (2) dovere Brescia tal suo preziosissimo tesoro e tale suo possente presidio e tutela (4). O criix ave spes unica. (i) De vita Constant, lib. IV, e. yS. (2) Vedi Borgia, De cruce vatic. p. 46. Romae 1779. (3) N. IX, X. (4) Vedi la Pastorale letta dal card. Quirlni vescovo di Bre- scia il 18 gennaro 1746 , inserita dall'ab. A. Sambuca nelle Cu- re sacre e letterarie dello stesso cardinale vescovo p. II. p. 7i5. Brescia, Rizzardi 1745 ; e ristampata dal eh. avv. Pagani , So' lennità delle ss. croci p. 29~3i. vvJc .-.,>; ri'' JT. ■■?<,(■■,.■,. éi^ avo»-..,, ca' !'.<.';"> oV.oicti- 263 Dissertazioni della pontificia accademia romana di archeologia, tomo otta\>o. Roma dalla tipografia della lì. a A. 1838 in 4. di pag. CXXFIl e 582, oltre 12 non numerate, con 13 tas>ole in rame. Oollecitamente vogliamo render conto di questo volume, venuto a luce sul finire dell'anno 1838 , nella sicurezza di far cosa grata ai benevoli nostri lettori ; perchè esso è ricco di molta dottrina in ogni ramo di archeologia, sia etrusca , sia greca , sia romana; ed abbonda di erudite discussioni mi- tologiche, storiche, topografiche de'tempi antichi e de'mezzani. Il benemerito presidente con tutta giu- stizia lo presenta al trono sovrano: si perchè dai monumenti etruschi raccolti nel nuovo museo gre- goriano ne emex'ge una scienza gloriosa al nome italiano; si perchè moltissimo deve l'accademia alla benefica protezione di che ha voluto privilegiarla il sommo pontefice felicemente regnante, in ispe- cie per la generosa munificenza nello avere larga- mente accordati i mezzi necessari alla pubblicazio- ne di questi atti, sì perchè ne accrebbe di molto il decoro, avendo in una sola promozione innalzati alla sagra porpora ben quattro fra i soci. Sieno rese grazie a chi proteggendo le buone lettere ed i pro- ficui studi, procaccia a se una gloria non mai peni- tura. Vien dopo la Notizia delle adunanze ordinarie Straordinarie dell'accademia dal 21 gennaio 1836 a tutto l'anno 1 837. Noi faremo qui ricordo di queU 264 Letteratura le sole prose, che finora non ebbero posto nella edizione degli atti accademici. Prima fra le quali è una dissertazione del se- gretario perpetuo in Dichiarazione di una epigra- fe cristiana scoperta nel territorio di Canale nel mese di maggio 1835, in un predio spettante alVac- cellentissima casa Altieri. Fu posta per memoria al sepolcro di un Formosano e della sua moglie So- fia: termina con la non rara formola d' impreca- zione contro i violatori: SI ALIQVIS SEPVLCHRV ISTVDI BIOLARE VOLVERI HABEA ANATHE- MA DA PATRE ET FILIV ET SCM SPM ET GVM IVDA TRADITORE ABEA PORTIONE. Il 7 apri- le 1836 il eh. p. Secchi lesse ritorno uno specchio etrusco; sul quale tornerà il discorso in appresso. Poi il 14 dello stesso mese il presidente dell'acca- demia recitò la Dichiarazione di una singolare scul- tura trovata nel tempio di Bacco in Tormarancì. Rappresenta un satiro barbato a cavallo ad una ru- picapra; e per ingegnosi raffronti il disserente dì' mostrò doversi in essa riconoscere il simbolo del solstizio d'inverno; ciò che ben conviene a Bacco, che è l'emblema del sole, ed al luogo in cui il mo- numento fu trovato. Il 28 dello stesso aprile il se- gretario perpetuo die contezza di alcune cave in- traprese fuori la porta s. Lorenzo, nel luogo detto Torrione degli scavi^ dalla eccellenza del principe don Urbano del Drago Biscia Gentili. Molte furono le iscrizioni ivi trovate; le due, che l'accademico rife- rì per la loro singolarità, son le seguenti: M.ATIVS DOMETIVS — VASCVLARIVS . DE . VIA . SA- CRA — M . ATI . ANTEROTIS . VASGVLARI — LIB . V . A . LXII . ET . HERES . IN . PARTE. SEXTA: l'altra dice: T . FL . THESMO . ET — ACCADEMU ABCHEOLOGICA 265 FL . EVDOSIAE — HEDIVS . CAES . ]N . — SER. A . VESTE . MVND — FEGIT . PARENTIBVS — SIB[ . ET . SVIS . Il socio ordinario marchese Giuseppe Melchiorri, nel tempo racchiuso in que- ste notizie^ tre volte lesse alcuni diversi capi di un suo più ampio comentario intorno l'editto mar- moreo dell'imperatore Diocleziano De venalium re- rum 'venditione. Siccome ci vien fatto credere che l'intero lavoro sarà forse inserito negli atti acca- demici, così ci riserbiamo di scriverne quando ciò sia per aver effetto. Intanto ne par giusto rimar- care, che dall'opera del Melchiorri si farà chiaro a tutti chi sia quegli che debbesi ritenere per trovatore della vera epoca di quest'editto, quando si conosceva mutilo, ne ancora era venuta a luce la lapide d'Aix, che confermò col sugello della ve- rità quella divinazione. Il 24 novembre 1836 mon- signor Albertino Bellenghi ragionò sul vestiario degli antichi monaci. Nella notizia non altro leg- gendosi oltre il nudo titolo di questa dissertazione, noi non possiamo dirne di più: ed ugual protesta ne occorre per la dissertazione del p. Pungileoni intorno le architetture e sculture dell'antico batti- stero di Parma. Ora faremo ricordo di quattro scritture intorno la celebre statua todina in bronzo, che abbellisce il nuovo museo etrusco gregoriano. Due volte ebbe a ragionarne il p.Secchi; una il professor Lancia una l'avv. Secondiano Campanari. Quella statua è stata un largo campo alle questioni archeologiche; che non già i soli tre ricordati, ma molti altri ne scris- sero; il Visconti cioè, il Cicconi, il Betti, il Ver- miglioli, il Deminicis, il Valeriani, lo Speroni tra i nostri; e tra gli esteri il Panofka, il Braun , il G.A.T.LXXVIII. 18 266 Letteratura Wolff, il Lepsius. Chi vi riconobbe un Marte, chi un Genio; chi un ilhistre personaggio di Todi, e precisamente un Q. Cecilio Attico che fu tribuno militare; chi un eroe; chi Enea; chi un milite, chi Vibenna venuto dalle terre etrusche, come ausilia- re di Romolo nella guerra contro Tazio; chi la Vit- toria; chi un tal Vero; chi Marte Tomicida. Alcuni la ritennero di lavoro etrusco, altri greco: questi la giudicarono antichissima, quelli di tempi da noi meh lontani: chi ne rimirò le bellezze, chi i di- fetti dell'arte. Alla questione accrebbe vigore una iscrizione, che si rinvenne scritta pel lungo di una delle frange della corazza: v'ha chi la disse greca, chi etrusca, chi umbra, chi pelasgica: uno la spie- gò con l'aiuto della lingua d'Omero; uno ne derivò le radici dall'ebraica e da altre orientali. Noi siam Davi, non Edipi; non possiamo entrare in lotta fra tanto senno: ma ci sembra che bene operasse l'ac- cademia archeologica, nel non dar luogo ne' volumi de'suoi atti ad alcuna delle tante interpretazioni , dilucidazioni, spiegazioni, divinazioni ec. Se vi ha cosa che faccia toccar con mano la superbia dell* umano sapere, quella si è, a creder nostro, di voler torcere con isforzo etimologico ogni antico scrìtto, onde recarlo a sostegno di un proprio preordinato sistema. Un luminoso esempio ne porge la leggenda di questa statua todina. Clii volle riconoscervi un monostico greco, spiegò Vis laboris mei din in mare vexati ferehat: chi ritenne derivar essa da lingue orientali, vi lesse Acco da Todi e Tito effigiarono il simulacro della vittoria : quei piìi che la cre- dettero etrusca, la volsero in mille modi. Tradusse uno Aveial Quirinus Vibi filiits nomine Vibius^os- vero Aveial dono dat Fibi filius nomine Vibius, op- Accademia archeologica 267 ^ure Ji'eìal tuders Fibi filius ec; un altro, Jhala natus legatus exercitiis in Martis honorem offere- hat\ ed uno spiegò, Aeia Larthis Trutidi fdia po- no\ sum P^erus^owero Mars sum\ui\o, Trutivio Fo- no figlio di Jeiafece\ ed un altro, Jhala Trutedii fìlius Martelli Fonioneni dicavit. Tanto poco sap- piane noi dell'antica lingua etrusca, che una epigra- fe di sole 1\ lettere potè dar campo spazioso a tante divinazioni ! Ma basti di essa. L'ultima dis- sertazione, della quale si ha ricordo in questa noti- zia., fu letta dal segretario perpetuo il dì 13 aprile 1837;. Prese in essa a dichiarare un' iscrizione cri- stiana recentemente trovata in Porto, e ricordante una basilica fatta innalzare colà dal vescovo Donato ai santi martiri Eutropio, Bonosa e Zosimo. Durante il periodo di tempo che abbraccia la indicata notizia, l'accademia ebbe a soffrire la per- dita di diversi soci; de'quali il segretario accennò brevemente la vita letteraria, nel dar conto della lo- ro morte. Furon essi il cardinale Tommaso Weld, monsignor Alessandro Lazzarini, l'abate don Paolo del Signore, il conte Prospero Balbo; uomini tutti per dignità illustri, chiari per dottrina.Per gli studi archeologici anche piìi dannose furon le. perdite del cav. Guglielmo Geli, dei monsignori Giuseppe Capecelatro e Carlo Maria Rossini, e dell'avvocato don Carlo Fea, uomo tanto benemerito delle roma- ne antichità e dell'accademia, che ci ha fatto ma- raviglia non vederne inserito in questo volume de- gli atti un elogio degno di lui. Si tien anche di- scorso nella stessa notizia dei conviti celebrati nell' annua ricorrenza del natale di Roma; e della scelta del tema da premiare nell'anno 1838; e di una prima e straordinaria medaglia di benemerenza do- 268 Letteratura nata al marchese Luigi Marini, il più dotto fra i comentatori di Vitruvio ; ed infine di una lettera scritta al presidente dell'accademia dall'eccellenza reverendissima di monsignor Tosti tesorier gene- rale, nella quale notificò, come il sommo pontefice felicemente regnante erasi degnato di mostrar be- nigna compiacenza nel vedere gli ubertosi frutti dell'accademia; conseguenza del beneficio compar- titole col far sostenere dal pubblico erario la spesa per la pubblicazione degli atti; e come la Santità Sua intendeva, che tal beneficio dovesse esser pe- renne. Dopo la notizia^ vien l'elenco de'soci onora- rii, ordinari e corrispondenti; e con esso termina la prima numerazione del volume. Seguono nella seconda le dissertazioni; delie quali scendiamo a render conto, seguendo l'ordine progressivo che tengono nella stampa. L Sopra uno specchio metallico proveniente dagli scavi di fluida. Dissertazione di Vincenzo Campanari socio onorario (con una tavola in rame). Le cave di Vulcia, da qualche anno inesausta miniera di monumenti etruschi, sin dal marzo 1835 fecero tornare a luce uno specchio metallico scritto e figurato, uno fra' molti che abbelliscono il museo gregoriano; dove in brevissimo correr di tempo fu- ron raccolti in gran numero monumenti de'nostri antichissimi progenitori, pili unici che rari. Sono nello specchio tre figure: una alla sinistra di chi lo guarda, barbata e sedente, con brando impugnato nella destra, e fodero nella sinistra; ha dinanzi un cartello, nel quale a caratteri etrusci è scritto il no- me di lui VTHVXE : le sta davanti alla destra del bronzo una figura vestita di largo peplo, con san- dali ai piedi, nastro nella testa; essa si appoggici Accademia AncnEOLOGicA 269 ad un bastone, e col capo chinato e cogli occhi soc- chiusi si sostiene alla figura di mezzo. JYel titoletlo, che le sta scritto sulla testa, si legge in due righe HINTIAL-IERASIAS. La figura di mezzo, meno un leggier pallio affibbiato sul petto, nel resto è nuda; ha sulla testa il petaso alato; sostiene con la manca la figura che le sta alla sinistra; e nel suo titoletto sono pure due righe di scrittura , che leggono TVRMS — AITAS. Primo a scrivere di questo bron- zo fu il dottor Braun ne! bollettino di corrispon- denza archeologica: e perchè chiaramente nel nome del guerriero sedente si riconosce il famigerato ita- cense; e perchè nella seconda riga del titoletto, che sta sulla figura rimpetto ad Ulisse, egli lesse TERA- SIAS; così vi credette rappresentata la famosa vivjjiy. descritta da Omero nell'undecimo dell'odissea. Ome- ro però non introduce in quella scena Mercurio ; quindi il Braun credette che l'artefice ve lo avesse effigiato nella sua qualifica di psìcopompo : ma la- sciò poi quel dotto senza spiegazione le altre due voci delle due iscrizioni a doppia riga. Il cav. Bun- sen credette supplire a questo difetto; e convenen- do che il bronzo rappresenti la vsxwa di Ulisse, les- se negli altri due titoli Turmis Aitas , cioè E^^vjg Aj§vj5 Mercurio inferno , e Finthial Terasias lo spettro di Tiresia sì^qXov litoncsiov. Di opinione totalmente diversa è il sig. Cam- panari. Riconosce anch'egli Ulisse nel guerriero se- dente; e Mercurio nella figura di mezzo ; ma crede che la terza sia Circe: e ritiene che il bronzo rap- presenti quel fatto dell'itacense narrato da Omero nel decimo dell'odissea; cioè quando Ulisse avverti- to da Mercurio, e premunito dell'erba moly che aveva virtù di disfare gli incantesimi, toccato che fu 270 Lettekatura dalla verga di Circe, sfoderò il brando per ucci- derla. Nella prima riga del cartello, che sta presso Mercurio, legge l'etrusco nome di quel dio Xurms\ eia seconda riga, in cui è scritto aitas^ spiega Eeta. Sapendosi però che Eeta fu fratello di Circe, e tol- se quel nome dalla penisola della Colchide così nominata; opina il Campanari che, a differenza dei greci e de'latini, gli etrusci non il fratello ma Circe dicessero Eeta, ed aggiunge che al fratello s'ignora qual nome attribuissero. Nell'altro cartello poi, do- ve è HINTIAL — lEPASIAS, facendo derivare la seconda voce dal greco tspa,, spiega Hintiae {filla) sa- cerdos; cioè il nome della sacerdotessa padrona del- lo specchio, ed una memoria in esso del sacerdozio di lei. Guardando il monumento sembra a prima vista, che il sig. Campanari non abbia il torto: per- chè la figura che sta dinanzi ad Ulisse è femminile, o sembra almen tale al rotondo imberbe viso ; ne può facilmente supporsi che Tiresia, tanto nominato per la sua scienza e per la sua vecchiaia, venisse rappresentato come un giovine sbarbatello. Secondo il racconto di Omero poi. Mercurio non intervenne alla vexLi£«; e non poteva in quella scena far la figu- ra di psicopompo, perchè le anime che allora com- parvero ad Ulisse, eran già prima state da lui con- dotte in que'luoghi. Sta bene per contrario che co- me consigliero d'Ulisse intervenga nella scena di Circe. Infine nel bronzo non è indizio alcuno che la rappresentanza sia all'inferno; non v'è neppur la fossa, nella cjuale il solo Tiresia doveva bere il sangue delle vittime. Se queste considerazioni con- validano l'opinione del sig. Campanari, altre per contrario pare che possano aflievolirla. Come sup- porre infatti che Ulisse, brandendo la spada per uc- Accademia archeologica 271 cider la mag«, sene restasse placidamente seduto? come credere che la supposta Circe, al veder l'atto dell'i tacense, non tentasse sottrarsi con la fuga? D'al- tronde che in un cartello di scrittura siensi uniti due nomi di due diversi personaggi, non solo è co- sa senza esempio, ma sarebbe contraria allo scopo cui tendono tali iscrizioni sugli specchi metallici ; imperocché facendosi esse per chiarire la rappre- sentanza, la renderebbero invece più oscura, ponen- do diversi nomi vicino ad una sola figura. Infine se il terzo cartello contenesse il nome del posses- sore dello specchio, sarebbe stato collocato altrove, non sopra una delle figure in esso grafite ; e nel bronzo erano in altri luoghi molti spazi, che non avrebbero ingenerata confusione. Quarto a scrivere di questo specchio fu il eh. p. Secchi; il quale ne pubblicò prima un articolo nel bollettino archeologico, poi ne recitò in acca- demia una più lunga dissertazione, che quindi leg- gemmo stampata nel volume ottavo degli annali dell'istituto. Desiderando noi che il benevolo letto- re possa essere al corrente di quanto si è scritto finora intorno questo prezioso monumento, ci per- mettiamo aggiungere poche righe circa l'interpre- tazione del Secchi. Anch'egli nello specchio ravvi- sa la v&-KVi(x d' Ulisse ; ma non quale la descrisse Omero; bensì come doveva leggersi nella perduta tragedia d'Eschilo intitolata ^vyocyoyoi; argomentan- dolo e dai frammenti che se ne sono salvati, e dalla descrizione che ce ne lasciò Licofrone, il quale, se-' condo lo scoliaste, seguì più le vestigio di Eschilo, che quelle di Omero. Quindi nei tre personaggi ri- conobbe Ulisse, Mercurio, Tiresia: nel cartello di Mercurio opinò che fosse sculto il nome di lui in 272 Letteratura ' due lingue , etrusca cioè e greca ; TVRMS oci^vj^ « Mercurio, Plutone; provando che il Mercurio pe- lasgico della mitologia dei tirreni è un sinonimo dell 'At5>j5 della greca mitologia: ed una sinonimia bilingue trovò nell'altro cartello, in cui lesse FIN- THIAL TERASIAS : e con pienezza di recondita dottrina provò che l'indovino Fauno del Lazio non era differente dal Tiresia dei greci. Fauno d'altron- de e Tiresia, ambidue androgini e facilmente non diversi da Ermafrodito, spiegano il perchè sia l'in- dovino rappresentato nel bronzo in sembianze più femminili che no. Lasciamo che il pubblico giudichi di questa ingegnosa e dotta spiegazione; la quale, se- condo a noi sembra, scioglie le difficolta che incon- travansi nello spiegar la v?xy«a secondo il racconto di Omero; ma non scioglie quelle che derivano dalle scritture del bronzo. Ed infatti (trascurando la opi- nione del Lanci, che da radici orientali volle spie- gare in un cartello // fìgliuol della morte , o il morto Tiresia ), il Bunsen replicò un lungo arti- colo nel medesimo volume degli annali dell'istituto, oppugnando quella pretesa sinonimia etrusco — gre- ca. Anche meno gli piacque l'altra spiegazione, che ne die alle stampe il sig. Grifi (Roma 1836 4.°); e solo rinunziando alla prima esternata opinione cir- ca il cartello di Tiresia, propose di spiegare fati- dicae filius-, o deae filius, o meglio divinator 7Y- resias. Così, rapporto alla rappresentanza dello spec- chio, tanto il Braun ed il Bunsen, quanto il Sec- chi ed il Grifi , ed anche il Lanci , si accordano contro l'opinione esternata dal sig. Campanari in questa dissertazione. IL Continuazione delle memorie sui luoghi una volta abitati ed ora deserti dell'agro romano : Por~ Accademia archeologica 273 ?o> Antipolio Casetta di Mattei, Maglìana, Campo di Merlo e Porta Galera. Dissertazione del socio ordinario Antonio Coppi. Nel dar l'estratto de' precedenti volumi , no- tammo come il Nicolai aveva intrapresa la compi- lazione di queste memorie, che fino dal bel prin- cipio vennero inserite negli atti accademici; e co- me non avendole potute condurre a fine , perchè prevenuto da morte , subentrasse allo incarico il sig. Coppi : le cui memorie di continuazione furo- no anch'esse stampate dall'accademia; e tre ne leg- giamo in quest'ottavo volume; la presente cioè e le due seguenti. Cesare fu il primo che pensò a stabilire un porto presso Ostia. Ciò che egli non eseguì, fu poi operato da Claudio; quindi Traiano ne fé costruire un altro interno: delle quali fabbriche avremo mi- glior occasione di scrivere in altro luogo di que- st'estratto. Porlo fu delta la citta ivi presso fabbri- cata; ebbe suoi vescovi fin dal principiare del ter- zo secolo di Cristo; Costantino ne rinnovò le forti- ficazioni; nel quarto secolo Pammachio vi fondò un ospedale; sotto Teodorico aveva un comandante col titolo di conte; Belisario ne fece la sua principal piazza di deposito. Dopo la guerra di Telila non v'è notizia, che il porto di Claudio fosse più pra- ticabile alle navi; sul finire del decimo secolo quel- lo di Traiano era stato conceduto per la pesca. An- che della citta si hanno molte memorie. Leone IV la risarcì, e vi stabilì una colonia di corsi. Vien dopo una hmga serie di carte d'archivio e di bol- le pontificie, ricordanti Porto , i suoi vescovi, le concessioni loro fatte. Pio II visitò la città nel 1461, ne vide gli antichi monumenti , forse pensò a 274 Letteratura spurgarne il porlo ; e lo stesso pensiero ebbe Si- sto IV. Sul finire del secolo decimosesto vi sbar- caron presso gli algerini: nuovi lavori vi fé opera- re Paolo V. Molte furono le antichità ivi scavate; e mentre ne era vescovo pochi anni fa l'eminentis- simo card. Pacca, con provvido consiglio fé murare le antiche iscrizioni , che ivi escavò, nelle pareti dell'episcopio. Plinio ricordò Antlpoli come antichissima citta esìstente nel Gianicolo, rinchiuso poi nel recinto di Roma. Dovunque questo fosse, le tenute che son là vicine diconsi Casetta di Mattei,Magliano, Cam- po di Merlo e ponte Galera. La prima nel 1815 passò per vendita a Santo Spirito. Maglianu sul principiare del secolo XI apparteneva al monaste- ro di s. Pancrazio. Innocenzo Vili vi costruì un palazzo di villeggiatura; in esso Leone X fu sor- preso da quella malattia che gli tolse la vita. Vi son documenti che per villeggiatura del sommo pon- tefice ritenevasi ancora alla metà del secolo XVI; passò poi in commenda degli umiliati, e soppressi questi venne assegnata al monastero di s. Cecilia, che tuttor la possiede. Del luogo detto Campo di Merlo, con piccola differenza di ortografia, si ha ri- cordo in carte del settimo secolo e de'seguenti: ora è diviso in due tenute che si posseggono dai Pal- lavicini e dai Lepri. Sul declinare del secolo otta- vo fra le domoculte istituite da Adriano I , era- ne una detta Galera, poi donata al vescovo di Por- to; era situata dove oggi è la tenuta dei Serlupi nominata Ponte di galera. III. Dei castelli di Scorano, Morolo , Mar ti- gnano, Stracciacappe e Polline o s. Caterina. Dis- sertazione di Antonio Coppi socio ordinario» Accademia ARCHEOLocrcA 275 Giace Scorano sulla sponda destra del Tevere fra i territorii di Leprignano e di Fiano; se ne ha memoria in carta del primo anno di Giovanni XV. Appartenne agli Orsini, ai Rainani ed ai Conti^ que- sti vendettero la loro porzione ai Colonna; gli al- tri al monastero di s. Paolo, che poscia anche la parte de'Colonna acquistò: ora è proprietà dei Bor- ghesi, ed il casale conserva ancora l'aspetto di un antico castello. Morolo è alla sinistra della via fla- mìnia al vigesimo terzo miglio da Roma. Che Au- gusto cola dopo la battaglia di Azzio innalzasse una mole rostrata , donde gli provenisse poi il nome di Morolo^ è un sogno; ma che vi esistesse un Lea munito castello , non può dubitarsene pei residui che tuttor vi rimangono. E' in potere dei Borghesi. Nell'odierna tenuta di Martigìiano, possidenza del collegio Crivelli, fuvvi chi pretese che sorgesse una volta l'antica Artena\ anzi lo Zanchi assicurò, che alcune muraglie erano ancor visibili fra la valle di Baccano ed il lago. Certo ora non se ne scorge re- siduo. Stracciacappe e Polline (detta pure s. Cate- rina ) eran prima divise: di Polline è menzione in carte dei mezzi tempi fin dal secolo decimo; del ca- stello e de' fondi di Stracciacappe nel decimo terzo e seguenti. Passò per molte mani, sino a' Mengacci attuali possessori ; e sulla sponda occidentale del lago vedesi ancora un' antica torre colle rovine del castello. IV. Dei castelli di Pirgi , s. Severa, s. Ma- rinella, Loterno, Castel Giuliano e Sasso. Disser- tazione di Antonio Coppi socio ordinario. Plrgi era sulla spiaggia del mar tirreno: lo ri- cordarono Virgilio, Strabone, Servio, ed altri antichi. Volendone fissar il sito preciso, convien seguire il 276 Letteratura greco geografo, che per più modi ne insegna le di- verse distanze da altri luoghi tuttora in essere; ma il eh. Coppi, confrontando quelle distanze sulle car- te topografiche del Gingolani, del Nicolai , e del Geli, trova tanta disparita fra le une e le altre , che ne abbandona come disperata la impresa. Siamo certi però che dopo letta l'ultima opera del eh. Ca- nina sull'antica Ceri (opera della quale ci riserbia- rao a dare altra volta un estratto) si sarà il sig. Cop- pi ricreduto, e non dubiterà piìi che Pirgi sorgesse presso la moderna torre di s. Severa. Forse a que- sta restò tal nome dopo il martirio colà presso ese- guito nel 298 dei santi Calendio, Marco e Severa. In carte di archivio si ha menzione dì quel castello fin dall'undecimo secolo. A santa Marinella, mezzo miglio circa lontano dalla torre , esistono resti di fabbriche antiche, e residui di sepolcri sulle colline poco distanti. La tenuta appartiene alfarciospedale di s. Spirito. La massa di Loterno^ come esistente nel territorio di Ceri, è ricordala in carte del 1053; in altre seguenti muta il nome di massa in quello di castello; lo ebbero i Normanni , poi i Salviati , dai quali i Borghesi. Di Castel Giuliano, attuai pos- sidenza dei Patrizi, è memoria in un atto del 1290 assai interessante , perchè ricorda due senatori di Roma non conosciuti dal Vitali ; Nicolò de' Conti cioè, e Luca Savelli. Sasso infine, già piccolo ca- stello costruito nella gola di un monte, vien ricor- dato da Cencio camerario , come possidenza della chiesa romana sin dal 1130; oggi è dei Patrizi. E qui han fine le tre dissertazioni del Coppi. Voglia- mo ammettere che può derivare una qualche uti- lità dalla raccolta di tali notizie: è certo poi che bisognò per farla una somma pazienza. Ma forse Accademia archeologica 277 vi sarà pure chi convenga con noi, che la lettura di esse non può essere vantaggiosa, che a pochissi- mi fra i lettori degli atti dell'accademia romana di archeologia, dilettevole forse a niuno. Sappiamo che assai lodevolmente molti sì vanno ora occupando della storia dei Ì3assi tempi; e che alle carte degli archivi son rivolti gli studi di assai italiani; fra i quali basti ricordare il Morbio. Ma questi studi puramente storici stan meglio soli , di quello che uniti all'archeologia. V. Sul porto neroniano di Jlnzio, e sui rostri del foro romano. Dissertazione del socio ordinario cav. Luigi Canina {con quattro tavole in rame). Nuovi studi, fatti dal eh. autore sulla faccia del luogo , non solo gli diedero motivo a correg- gere le opinioni per altri esternate intorno la co- struzione delTanziatino porto di Nerone, ma lo con- dussero anche a scoprire un' antica fabbrica , per altri non prima avvertita. Dei due metodi usati da- gli antichi nel costruire i porti, scavandoli cioè en- tro terra, o formandoli entro mare con solidi moli di costruzione muraria, in quello d'Anzio fu ado- perato il secondo. Crederon molti che la forma di esso somigliasse ad un triangolo rettilineo; ma sba- gliarono all'ingrosso. Si componeva di due bracci, che da un imbasamenlo retto, posto verso terra, si distendevano nel mare, secondando una curvatura assai simile ad una mezza elissi; innanzi aveva un antemurale, che formava due fauci. Sulla terra rim- petto a questo si elevava il tempio bifronte delle Fortune , ove era il casino della villa Corsini . I moli non erano continuati, ma composti con pile ed arenazioni aperte a guisa di ponti , meno fre- quenti però e meno ampie che in quelli di Ni sita 278 Letteratura e di Pozzuoli: sopra i moli erano archi e portici. Alla parte sinistra del porto ergevasi, lungo il lit- torale, il palazzo de' Cesari ampliato da Nerone , ed abitato dagli imperatori sino ad Antonino Pio: dalla sinistra fu dal N. A. scoperto un ragguar- devole non pria conosciuto avanzo d' un circo o stadio, dove certo furon celebrati que' giuochi cir- censi che, secondo narra Tacito, ordinò il senato pel felice parto di Poppea. Due diligenti tavole in rame accompagnano questa prima parte della dis- sertazione ; in una è delincala la forma dell'antico porto e de' circostanti edifici; nell' altra l'aspetto attuale di que' luoghi. Gli anziati non ebbero porto innanzi di Nerone: ma molti secoli prima ebbero navi e furon forti predatori per mare. Le legioni romane avendo vinta Anzio , e bruciato o traslo- cato il navilio, ne portarono a Roma i rostri, che collocarono nel foro nel luogo destinato ad arrin- gare al popolo; luogo che da ciò ottenne il nome di rostri', e cosi il sig. Canina lega la prima parte della sua dissertazione con la seconda. Prima di dire della quale , ci sia permesso dubitare che T arce innalzata sull'alto del Circeo fosse fatta fabbricare da Tarquinio il superbo, come opina il N. A. Non vogliamo negare che quel re , conquistato Circeo, lo fortificasse; solo diciamo che quell' arce, che è sul pili alto del promontorio , conta certo alcuni secoli di anteriorità a Tarquinio, come dimostra- no i residui che tuttor ne rimangono, ed ai quali non si può giungere senza molta fatica e qualche pericolo. Così non possiamo convenire che quella statua trovata in Anzio, già borghesiana, e detta volgarmente il gladiator combattente , fosse anti- Accademia archeologica 279 camente collocata nel piccolo circo colà scoperto dal sig. Canina: il quale sembra che in tale opi- nione fosse indotto unicamente dal nome che ha quella statua. Ma quel nome non gli conviene as- solutamente; e già Winckelmann lo avea osservato, molti altri dopo di lui vollero attrihuirlene di- versi ; fino a che Ennio Quirino Visconti vide il vero, e vi riconobbe Teseo combattente contro Ip- polita. Quel luogo del foro romano , dove i magi- strati e gli oratori parlavano al popolo, acquistò, come fu detto, il nome di rostri, dappoiché ven- ne abbellito co'rostri delle navi anziatine. Cesare poi, in luogo differente dello stesso foro, fece un secondo suggesto; quindi a distinguerli, i primi fu- ron detti rostri vecchi, gli altri rostri giulii. Molti scrittori antichi, nel ricordare i primi, li dissero esistenti nel mezzo del foro; ma perchè nel mezzo la situazione de' rostri non era conveniente allo sco- po cui erano destinati , cosi molti fra i moderni interpretarono quella frase, come indicante il mezzo di uno dei lati piìi lunghi del foro; ed in ciò ave- va convenuto anche il sig. Canina. Ma uno scavo ope- rato presso l'arco di Settimio Severo,, gli fé mutar parere. Fu colà scoperta una crepidine curvilinea, che egli ritiene come ragguardevole avanzo dei ro- stri vecchi. Curvilinei infatti sono essi rostri nella notissima medaglia di M. Lollio Palicano ; e può difendersi la frase che stessero nel mezzo del foro, perchè infatti sono sul mezzo di uno dei due lati minori di esso. Noi non dobbiamo entrare in piìi minuti dettagli circa questa nuova opinione del- l'accademico chiarissimo: sapra ben egli difenderla contro chi rimarcasse, che per antiche testimonianze 280 Letteratura i rostri vecchi dovevano essere avanti la curia osti- lia, presso il comizio e la grecostasi. Solo ci pare che Asconio nella Miloniana alludesse ai rostri i^ec- chi^ non ai giulii come opina il sig. Canina ; ec- cone le parole : « Erant tunc rostra non eo loco quo nunc sunt, sed ed comitiwn prope iuxta cu- riae ». Quelli che Asconio dice quo nunc sunt, son certo i giulii ; dunque sono i vecchi gli altri ad comitium prope iuxta curine. Ci pare similmente che Varrone non alludesse ai giulii : ci pare che matematicamente quasi possa desumersi la pre- cisione dei rostri i^ecchi, bene esaminando una te- stimonianza di Plinio ( H. N. Vili, 70 ); il quale dopo aver narrato, che nelle dodici tavole era no- tato il levare ed il tramontare del sole , aggiun- ge:» Post aliquot annos adiuiicturn est et meridies, accenso consuluin id pronunciante , cum a curia Inter rostra et graecostasin prospexisset seleni. Ma questa ed altre piii testimonianze sono ben note al eh. autore , tanto dotto nella topografia di Roma antica. Egli adornò questa seconda parte della sua dissertazione con altre due tavole in rame; in una delle quali die il prospetto della parte superiore del foro, delineato in corrispondenza di quanto si vede rappresentato in un bassorilievo dell'arco di Costantino; e nell'altra la pianta di esso foro deli- neata alla grandezza di 1 a 5000 dal vero. VI. Sopra un sarcofago ostiense sculto a basso- rilievo. Dissertazione di Clemente Cardinali, socio corrispondente ( con una tavola in rame ) Gii scavi ostiensi del 1825, feracissimi in an- tiche iscrizioni , fecero tornare a luce il sarcofago che forma il subietto di questa dissertazione. Esso attualmente esiste presso la maestà del re di Prus- Accademia, archeologica. 281 sia. Rappresenta Selene che scende dalla sua bi- ga per bearsi della vista del pastore di Latmo. Uno sciame d'amorini l'accompagna; chi con face accesa rischiara le tenebre, chi le addila l'addormentato Endimione, chi occupa la biga lasciata vuota dal- la diva, chi rattiene pei crini i cavalli. Una fan- ciulla con face accesa nella destra sta dinanzi ai destrieri; essa è una delle Ore foriere della luna. Sotto il carro di Selene è la terra personificata in una figura seminuda e sdraiata, che facendosi pun- tello del destro gomito solleva la testa , e par che chiegga alla diva di terminare l'amoroso con- vegno, e di proseguire il suo viaggio pei deserti campi del cielo. Intanto Endimione placidamente sen dorme entro la spelonca; il fido cane gli sta d' appresso : Ipno , o un genio di lui, al di sopra dell' antro tien dalla sinistra i papaveri, e con la destra versa dal corno il soporifero liquore sull'ad- dormentato garzone. Che la scena sia nel monte Lat- mo, lo indicano le capre e gli altri animali che aggiransi su pei dirupi; che il tempo sia di notte, lo fa chiaro Espero alalo con la face accesa. Un vecchio barbuto sedente accarezza un cane, e cu- stodisce il vagante gregge: ciò che allude alla vita pastorale di Endimione. Del quale 1' accademico cerca distinguere il poco vero fra il molto falso che vi aggiunsero i mitologi ed i poeti: e riconosce in lui un de' primi , che sul monte Latmo si occu- passe di studiare nelle fasi della luna. Ma ciò che rende il sarcofago più. pregevole, sono altre figure che debbonsi considerare come estranee alla scena principale: diciamo la quadriga del Sole alla sini- stra di chi riguarda il bassorilievo , con l'Oceano sotto, e preceduto da Fosforo alato fanciullo con G.A.T.LXXV11L 19 282 Letteratura face accesa; e dalla destra la Luna che sulla hlga continua il suo notturno corso. Come nella prin- cipale rappresentanza del bassorilievo riconosce l'accademico un' allegoria del sonno che riposava l'estinto, le cui ceneri nel sarcofago eran chiuse; così nelle due rappresentanze, che aprono e chiù- don la scena, trova che indicano, la vita non es- sere che un lampo, brevissimo il corso dall' albeg- giare al tramonto di essa: allegoria resa più chia- ra dalle due figurine di Amore e di Psiche che nel marmo veggonsi sculte presso il carro del sole. Il coperchio marmoreo della cassa è diviso in dieci conette , entro ognuna delle quali è sculta qual- che figura; un Ercole dendroforo; Cupido caccia- tore; Marte gradivo; Amore e Psiche; Selene ed En- dimione; la protome della Pudicizia; Venere arma- ta; Venere sedente; Cupido stante; Silvano. Nel mez- zo è sculto alla peggio il titoletto — ANINIA. HI- LARA — CL. ARRIAE. MARI — INCOMPARABI- LE = FECIT. VIXIT = ANN. L. MEN. X. Due grandiose teste di leoni sono sculte ai due lati del- la faccia principale. Questa è la descrizione del mo- numento: del come sia stata operata la illustrazio- ne, non ista a noi darne giudizio. VII. Delle genti e delle arti primiti\>e (t Italia. Dissertazione del professor Luigi Paletti socio or- dinario. Un articolo dello statuto accademico prescrive cheuna volta all'anno debbano solennemente riunirsi insieme le due pontificie accademie di archeologia e di s. Luca; e con molta sapienza: perchè le arti gentili non possono andar disgiunte dalle scienze antiche. La sapienza deg^li archeologi infatti si l'as- soda con la cognizione dei monumenti dell'arte; e Accademia, archeologica 283 sì sveglia il genio . Pietro Ercole Visconti ( con una tavola in rame ). Accademia archeologica 289 IX. Della fossa traiana^ e di quelle che Vimp. Claudio fece scavare dal fiume Tevere a cagione del porto da lui fondato, non che del nome di au- gusto dato ad esso porto. Dissertazione del socio ordinario e segretario perpetuo cav. Pietro Ercole Visconti. X. Sulla stazione delle navi d'Ostia: sul porto di Claudio^ con le fosse indicate nella iscrizione scoperta iann. 1836: e sul porto interno di Tra- iano^ e la fossa distinta col nome di questo impe- ratore. Dissertazione del socio ordinario cav. Luigi Canina ( con cinque tavole in rame ) Abbiamo riunite insieme queste tre dissertazioni, che nel volume furono stampate Tuna dopo l'altra, perchè tutte ebbero origine dalla seguente iscrizio- ne trovata in Porto l'anno 1836: TI . CLAVDIVS. DRVSI . F . CAESAR — AVG . GERMàNIGVS . PONTIF . MAX — TRIB . POTEST . VI . COS . DESIGN . mi . IMP . XII . P . P — FOSSIS . DV- CTIS . A . 'I IBERI . OPERIS . PORTV — CAVSSA. EMISSISQVE . m . MARE . VRBEM — INVNDA- TIOiNIS . PERICVLO . LIBERAVIT . Il segretario delTaccademia con tutta ragione reputa assai im- portante questa lapida per le cose che ci narra. Essa probabilmente era collocata in un fornice che ornava le opere fatte costruire da Claudio in quel porto. Divide egli il ragionamento in due parti. Dice nella prima dei titoli dati a Claudio nella iscri- zione; e da questi non altro di nuovo si ricava, se non che doversi la duodecima acclamazione impe- ratoria di Claudio all'ann. 799 della città, non al seguente, come ebbe fissato Giuseppe Eckhel. Nella seconda ragiona di quelle opere di Claudio , che per la prima volta ci ha fatte conoscere Tiscrizio- 290 Letteratura ne portuense. Della grandiosa opera del porto pres- so Ostia, imaginata da Cesare, eseguita da Claudio, poche son le notizie che leggiamo sparse in diversi autori. Plinio e Svetonio ricordano l'afifondamento della smisurata nave che servì a Caligola pel tra- sporto dell'obelisco che è nella piazza del Vatica- no; ma l'un dice che fu affondata sotto il sinistro lato del molo, l'altro che formò la base dell'ante- murale del porto. Dione narra l'escavazione di un tratto di terra; e ricorda gli aggeri gettati nel mare, e l'isola fondata per sostener la torre col faro. Nin- no però parla dei lavori, de' quali l'is' nzione da contezza, benché fossero essi gran parte di quelli occorrenti nel porto ; cioè delle fosse scavate dal Tevere al mare. Queste eran già terminate nel 799, quattro anni cioè dopo incominciata 1' opera del porto; e per adulazione certo si asserì, che per mez- zo di esse aveva Claudio liberata Roma dal pericolo delle inondazioni. Ora non si può, secondo il sig. Visconti, assegnare il luogo dove erano tali fosse; ma inclina a credere che una sia quella tuttora esi- stente, detta di Fiumicino, che vuoisi comunemente attribuire a Traiano. Questa sua opinione procura rassodare con più largo ragionamento nella seconda dissertazione; nella prima parte del quale discorre della fossa traiana, e di quelle fatte escavare da Claudio dal Tevere al mare per cagion del suo porto. Plinio l'epistolo- grafo fa ricordo di una fossa fatta operare da Traia- no per liberar Roma e le campagne dalle inondazioni del Tevere. Coloro che, risorte le buone lettere, ebbero a scrivere di esso fiume, procurarono di ri- conoscere la direzione ed il luogo di quella fossa; e chi ne segnò l'andamento per la così detta valle Accademia archeologica 291 dell'inferno, sino a ponte Molle; chi dalla insena- tura inferiore a quel ponte sino al trionfale; chi da sopra al Milvio, per ritornar nell'alveo a' piedi dell'Aventino. Ma il Fea, veduto che il braccio del Tevere, che dal capo due rami tende al porto di Claudio, è artificialmente dedotto, volle in esso ri- conoscere la fossa traiana ; e benché il Linotte tentasse contradirlo , pure col Fea convennero il JNibby ed altri archeologi. Opina il sig. Visconti che la scoperta del marmo porluense abbatta quella sentenza; che quella fossa, o sia l'attuai canale di Fiumicino, sia una delle fosse operale da Claudio. E per molti argomenti procura convalidare quel suo parere , che vedremo or ora contradetto dal sig. Canina. Nella seconda parte del ragionamento poi scrive della denominazione di augusto data a quel porto, secondo lui, da Claudio. Una nieda- glia di Nerone, che la forma di quel porto esibi- sce, ha l'epigrafe PORTVS O^TIENSIS AVGVSTI. Quest' augusto non poteva esser Claudio gik man- cato di vita: non l'imperatore regnante ; dunque necessariamente doveva esser quel primo che il ti- tolo di Augusto meritò. Ed infatti Claudio era molto devoto alla memoria di quel grande; il suo giurare piìi solenne ev^ per Augu.stum\ Augusta denominò una strada, secondo c'insegna una lapida scoperta nel territorio di Feltre ; e per fine opina il dis- serente, che di Augusto, non di Nerone debba ri- tenersi quel colosso eretto nello stesso porto , e rappresentato nella citata medaglia. Per soprappiìi lo scoliaste di Giovenale in diversi luoghi lo dice portum Augusti; e PORTVS AVGVSTI ET TRA- lANI FELIGIS dicesi in due lapidi, che mal sì vollero per taluno riferire ad una colonia Au- 292 Letteratura gusta Traiana nella Frigia. Tutte le quali cose lo conducono ad affermare, che il porto edificato da Claudio fu da esso distinto con V appella- zione di augusto, 'perchè lo dedicò a colui che pri- mo assunse tal nome. Il eh. Canina credette di poter meglio sta- bilire la vera situazione delle opere enunciate nel- la iscrizione portuense , ed anche di farne cono- scere le vicende cui andaron soggette. Riprendendo quindi Targoraento piìi da lungi, intese primie- ramente a provare qual fosse la vera situazione della foce tiberina, a cui approdavano ne' piìi an- tichi tempi le navi che a Roma recavan le merci, e come questa si protraesse sempre verso il ma- re, a misura che dilatavasi la spiaggia, e si andasse per conseguenza accrescendo il fabbricato neces- sario, alla stazione delle navi. Prova innanzi altro, come due grandi variazioni nella località, 1.° la de- viazione che fece il Tevere , oramai è un secolo , dal capo due rami al moderno magazzino del sale in linea retta , mentre prima faceva un gomito , passando presso l'attuale Ostia; 2.° la protrazione colla spiaggia del mare generata dalle arene che deposita il Tevere alla sua foce. Quindi per buo- ne ragioni stabilisce, che Ostia antica fabbricata da Anco Marzio era dove è in oggi Ostia moder- na, e che là anticamente era la foce del Teve- re. Cresciuta poi la popolazione di Roma, si au- mentò anche il fabbricato di Ostia verso il mare ne' tempi della repubblica. E quest'accrescimento di fabbriche, che il sig. Canina chiama Ostia re- pubblicana, lo limita dalla più antica Ostia reale, alle rovine del teatro che rimangono a poca di- stanza dallo scalo moderno. Più ragguardevoli assai Accademia ARCHEoLocrcA 29S sono gli avanzi d'Ostia imperiale. Come più per de- posizioni si allontanava la foce tiberina, cosi anche stendevasi sempre piìi la citta verso il mare.L'opera del teatro sembra de'tempi di Traiano; vengon poi alcuni bagni, ed ampie terme, ed un tempio no- bilissimo, e vastissimi granai, ed un emporio, ossia piazza di commercio pe' naviganti, del quale rico- nosce la forma in una medaglia di Settimio Severo. Con la descrizione di questi e di altri monumenti ostiensi chiude egli la prima parte della sua dis- sertazione , cui fan corredo due grandi tavole in rame. Nella prima sono indicate le ruine di Ostia e di Porto nello stato attuale: nell'altra le fabbri- che di Ostia antica. Passa quindi nella seconda parte a dichiarare qual fosse la disposizione del porlo ostiense , e delie fosse fatte escavare da Claudio per liberare la città dal pericolo delle inondazioni, come narra la lapida portuense. E pria d'altro giudiziosamente rimarca, che Cesare non per la spesa, ma pel di- fetto di stabilità si ritenne dall'ordinare quell'ope- ra, che poi Claudio fece eseguire, senza voler te- nere a calcolo le difficoltà insuperabili perchè l'o- pera riuscisse utile. Poi ( toccata la questione del nome augusto dato a quel porto, nella quale se discorda dal Visconti credendone autore Nerone, col Visconti conviene che con esso nome si ap- pellasse al primo Augusto) con Dione va narran- do il modo tenuto nella costruzione. La parte esca- vata entro terra fu quella inclusa nei due bracci protratti a linea retta ; quella formata nel mare veniva determinata dai bracci che s'incurvavano in quarto di circolo nei lati , e che erano condotti sulla direzione dell'isola. Questa stava sulla linea 294 Letteratura retta di detti moli , come ancor si conosce dalle tracce superstiti. Nel mezzo dell'isola si elevava la torre a somiglianza del faro alessandrino; nella parte rivolta verso il porto era la statua colossale di Au- gusto. Il braccio sinistro rivolto verso il mare era ì costrutto di struttura continuata, a guisa di agge- ' re, per impedire alle arene trasportate dal Tevere di entrare nel porto; il destro era costruito ad ar- enazioni. Sopra i moli eranvi portici; nella linea chti costituiva la base del porto, eran le fabbriche ne-^ cessarle al commercio ivi praticato. Cola presso transitavan le fosse fatte operare da Claudio, co- me dimostra la ricordata medaglia; dove nella cor- rispondente posizione venne rappresentata una fi- gura giacente in atto di versar acqua, come gli an- tichi simboleggiavano i fiumi. Essa figura era situata nel mezzo della base, ove si trovano le tracce di un molo isolato; ed in corrispondenza di questa si- tuazione sono veramente due bracci di canale, che prima della scoperta dell'iscrizione portuense non sapevasi per qual motivo fossero fatti. Furon esse le fosse di Claudio che comunicavano col Tevere, e che col tratto di tempo furono riunite in una sola; cos\ la loro disposizione concorda precisamen- te con le parole dell'iscrizione: Fossis ductis a Ti- berio operis portiis causa, emlssisque in mare; per- chè le fosse del Tevere comunicavano con le opere del porto e trasmettevano le acque al mare ; le quali cose piU chiaramente si dimostrano da una tavola in rame, contenente la pianta del porto di Claudio, e la elevazione di esso così verso il faro, come verso la base. Fassa poi l'accademico nella terza parte a dimo- strare la disposizione del porto interno di Traiano, Accademia archeologica 295 e della fossa da lui operata. La forma di quel por- to è ancor visibile; e ad essa si riferisce una me- daglia, che mal si opinò per taluni spettare a Cen- tocelle o ad Ancona. Quell'imperatore nel formarlo, di necessita si dovè prevalere dell' incavamento delle fosse claudiane , conservandone quella parte soltanto che era necessaria a dar comunicazione fra i due porti, e chiudendo il loro sbocco nel mare. Cosi spiega chiaramente il passo di Plinio: Reclusit vias, portits patefecit^ itinera terris^ litoribus mare^ lltora mari reddidit. Perchè veramente con tal'opera ingrandì il porto , facendone uno secondo interno; restituì alle terre le strade troncate dalle fosse di Claudio; ed i lidi al mare ed il mare ai lidi, che erano stati con quelle opere sconvolti. Ma ben presto s' avvide Traiano che era dannoso 1' aver sopprc'sso le fosse, ed impedito in parte lo scarico del fiume nel mare. Ed a ciò supplì facendo esca- vare un' altra fossa adiacente alle fabbriche del suo porto interno, come adiacenti all'esterno eran quelle di Claudio. E questa fossa debbe riconoscersi nell'ai tual canale di Fiumicino; sì perchè adiacente alle fibbriche del porto interno; sì perchè munita di opere murarie di costruzione uguale a quelle di esso porto. Infine questo canale non può dirsi opera di Claudio, perchè non ha comunicazione col porto di lui, anzi ha tutt altra direzione. Quindi si deb- be tri])uto di lode al Fea, che primamente asserì, non aìtro essere il canale di Fiumicino, che la fossa traiana. E qui ritornando il disserente sul porto di Claudio, cerca delineare la struttura del faro. Era esso architettato come l'alessandrino; alcune medaglie di Commodo glie ne danno l'idea; e com- binate quelle eoa una testimonianza di Erodiano, 296 Letteratura e con un bassorilievo borgliesiano escavato in Ostia, ne presenta in una tavola la restituzione; come in un' altra da la pianta dei porti ostiensi di Clau- dio e di Traiano. Ci sembra che la quistione sia d'ogni lato vittoriosa a favore del sìg. Canina ; il cui ragioname;nlo è ricco di molte dottrine topo- grafiche ed architettoniche; tale infine da far onore alla già ben conosciuta dottrina di lui in queste materie. XI. Commentario storico della vita privata t pubblica di Tiberio imperatore-^ letto dall' eminen- tissimo sig. cardinale Giacomo Giustiniani socio d onore. Questo commentario è ricco di profonda filo- sofia e sapere. L'illustre A., d' appresso la scorta dei classici e dei monumenti, ci conduce con la face della critica alla mano a seguir passo passo la vita di quel romano imperatore che può te- nersi qual tipo de' tiranni piii celebri. E parlato prima della stirpe oriunda sabina, celebre per am- bizione, alterigia, e zelo soverchio a favor de' pa- trizi, ne racconta la nascita; i primi perìcoli nel fuggire dall'odio di Ottaviano mentre era appena bienne; e come poi di cinque anni ne divenisse figliastro; e di quattordici Io seguisse nell'azziaco trionfo; e quindi nelle Spagne contro gli asturi; e come poi fosse scelto a riporre il diadema sulla testa a Tigrane; ed i primi allori guerreschi co- gliesse nella Rezia; e compiuti appena trenta anni ottenesse il consolato, e dovesse, benché contro vo- lontà, unirsi a Giulia figliuola di Augusto. Acca- duto il qual matrimonio, partì per la guerra pan- nonica, per cui ottenne l'ovazione. Domati quindi i germani^ meritò il trionfo, ed il secondo conso- Accademia archeologica 29T lato, e la tribunizia potestà. Ritirossi poi a Rodi per viver lungi dagli affari cortigianeschi; cadde in disgrazia di Augusto; e con difficolta gli fu per- messo il ritorno in Roma. Morti però Caio o Lucio Cesari fu adottato dall' imperatore, ebbe mietuti nuovi allori nella Germania, ebbe ottenuto il se- condo trionfo; e morto Augusto, invaso più che ereditato il comando. Salito al trono, cessata la ne- nessìta d'infingere, divenne più apertamente scel- lerato. Incominciò dall'ordinare la morte del gio- vine Agrippa postumo, poi quella di Giulia sua moglie. Invidioso di Germanico, ne interruppe le vittorie sul Reno; lo inviò in oriente, dove Pisone e Plancina lo avvelenarono; ne sterminò a poco a poco la numerosa famiglia, sotto mendicati pretesti, lasciando in vita il solo Caligola, perchè lo aveva conosciuto di se peggiore. Innalzò Sciano ai piii grandi onori; e quando incominciò a temerlo , lo fé cadere estinto. Si allontanò da Roma per oc- cultare la sua ferocia e la sua libidine; ma dall'isola di Capri partivano continui ordini di morte contro chi dispiacevagli. Non permise che a Livia sua ma- dre, cui tutto doveva, si rendessero dopo morte gli onori decretati e dal senato. Infine lacerato dai ri- morsi delle proprie scelleragini, non trovando sol- lievo, non quiete, passò a Miseno, dove morì non del tutto naturalmente neU'etk di 79 anni, dopo averne regnato 23 circa. Questo dotto lavoro avrebbe richiesto ben al- tro spazio di quello che a questi fogli è concesso, per tesserne un conveniente estratto. Ci basti il dire che ninna privata, ninna pubblica azione di Ti- berio degna di memoria vi è preterita. Che di quan- do in quando vi sono assai accurate disquisizioni G.A.T.LXXVm. 20 298 Letteratura cronologiche ; fra le quali merita esser ricordata quella, in cui si discute intorno Tanno della mor- te del divin Redentore; morte che avvenne senza meno durante il regnar di Tiberio; ma diversi so- no i pareri intorno l'anno preciso. XII. Intorno al rapimento di Egina ^glia dì jésopo^ fatto da Gioire arcade, espresso in un vaso etrusco del museo gregoriano. Esercitazione isto~ rico-mitologica del marchese Giuseppe Melchiorri socio ordinario ( con una tavola in rame), L' avere , in ispecie i greci, adombrata sotto poetiche forme la più gran parte de' misteri pro- posti alla venerazione delle genti ; l'aver unito il falso al vero, e congiunto ai miti derivati dal culto arcano de' popoli la verità di fatti storici ; fé sì che bene spesso 1' accurato studio de' filologi non basta a liberarci dall'oscuro sentiero, entro cui si aggirano le varie teogonie dei popoli antichissimi. Quindi ne nacquero i sistemi dei moderni, sempre fatali al vero. Alcuni ravvisarono nelle rappresen- tanze dagli antichi miti, soggetti puramente alle- gorici, e rappresentanti il primitivo culto; altri vi riconobbero fatti storici di personaggi vìssuti ne' tempi lontanissimi. Questi e quelli presero appoggio dai monumenti e dagli scrittori antichi. Il Melchior- ri ritiene che siavi modo per conciliare sistemi così opposti, e porli in perfetta concordia : dividendo cioè con sana critica e dottrina i monumenti isto- rici dai mitologici. Questo ci pare in certo modo una petizione di principio; perchè appunto i siste- mi dal eh. A. indicati nascono dal voler gli uni rite- nere come istorici i monumenti mitici, gli altri co- me mitici gl'istorici. Ma, comunque ciò sia, di quel suo parere adduce una prova , prendendo ad il- Accademia, archeologica 299 lustrare un vaso fittile dipinto , escavato a Vulci nel 1829, ed esistente ora nel nuovo museo gre- goriano. Sopra campo nero è dipinto con figure gial- le, ed è ricco di greche epigrafi. Vi è rappresen- tato il rapimento d'Egina re di Fliunte per opera di Giove, xirgomento novissimo , non prima com- parso ne'monumenti antichi; perche quelli addotti dal Panofka essendo allegorici , nulla han che fare col vaso , in cui la rappresentanza è meramente isterica. Le figure son disposte in un sol ordine nella fascia che gira attorno al corpo. Sul davanti è Giove (ZEYl) con barba aguzza , corona di allo- ro, scettro nella destra, il quale con la sinistra afferra la donzella ( AIFINA ) che spaventata tenta fuggir- gli di mano. Ai lati sono le sorelle di lei, tre dal suo, quattro dal canto di Giove; e dietro il corpo del vaso è il vecchio Asopo (A^OIIOS), con crine e barba canuta , serto nella fronte , e scettro nella destra. Semplice è la rappresentanza , e di facile spiegazione; perchè si sa dai mitologi che Asopo, fiume della Beozia, ebbe molte figlie; fra le quali Egina, di cui Giove s'innamorò, la rapi menan- dola nell'isola di Cenone , e la fé divenir madre di Eaco. Aggiungono che Asopo, avvedutosi del ra- pimento, si parli in cerca della figlia , e giunto ad Epope, da Sisifo ebbe nozione del rapitore; con- tro il quale volendo estollere le sue acque, Giove lo fulminò ricacciandolo nel suo letto, e punì Si- sifo per lo svelato arcano. D'allora in poi quel- l'isola prese nome di Egina. Ma il eh. accademico altre verità scuopre da que- sto racconto, riguardandolo in parte isterico, in parte mitologico. E fermato prima che il mito è intera- mente greco; e che il più antico e semplice culto 300 Letteratura prestato dagli antichissimi popoli era in rapporto con la genesi umana, e con la natura animale o ve- getale; cerca indagare quale fosse la divinità che ot- tenne ne' tempi antichissimi il culto naturale di quelli che primi dirozzarono le greche contrade, e qual rapporto avesse con la favola d'Egina, Legge in Pausania che Fiìunte ebbe entro un bosco di cipressi un tempio di antichissimo culto , dedica- to a Ganimeda , nome dai moderni mutato in Ebe. Che non molto discosto era l'altro colle con la rocca de' fliasi, ed il tempio di Ebe ossia della Gioventù; e che non era nel tempio alcun simula- cro. Risulta da ciò un antichissimo culto di Ga- nimeda, il cui nome arcano secondo Strabene fi| Dia-^ e risulta che Ganimeda, Dia, Ebe, la Gioven- tù , eran la stessa cosa. Nel culto prestato dagli orientali alla natura ottenne i primi onori un ente supremo generatore di tutto, e perciò reputato di ambedue i sessi, i cui effetti fisici adorarono sotto le immagini del sole e della luna, che essi reputaro- no origini del principio calido e dell'umido, ambi- due necessari alla fecondazione ed alla riproduzio- ne. Questi principi! 1' Egitto rappresentò sotto le sembianze di Osiride e d' Iside; altri popoli sotto nome di cabiri: ed i greci, secondo la dottrina orfi- ca, sotto nome di Giove, il nume sommo che racchiu- deva in se tutte le naturali derivazioni delle cose. Quindi la Dia di Strabone non altro è che l'ema- nazione frigida o umida della natura, la parte fem- minea di Giove androgino. Plutarco infatti narra che Dia furon dette la Luna e Giunone moglie di Giove;Pausania che così fu nominata Cerere; ed altri che Dia si dissero Proserpina, e Vesta, e la Terraf Altri rapporti inoltre trova il sig. MelcUiorri coi Accademia archeologica 301 riti dionisiaci. Incontra in un vecchio glossario , che alla voce Juventa fu unita l'altra vjjOa; e dal tut- to insieme conclutle, che la divinità adorata con antichissimo culto dai filasi, era la natura , ossia la parte femminea di Giove androgino. Ma qual rap- porto aveva essa con Eglna figlia di Asopo, rapita da Giove ? Come questa favola si legò con la sto- ria? Che un Asopo re di Beozia e padre di Egina sia esistito, lo afferma Diodoro. Narra Pausania che re- gnando in Fliunte inalveò quel fiume, che da lui si disse Asopo ; aggiunge Leonzio di Tcssalonica , che gli fu rapita la figlia Egina dal re d'Arcadia; e perchè gli antichissimi re furon detti Giovi, igno- randosi il vero nome del rapitore , si attribuì il ratto a Giove arcade. Saputo ciò Asopo, si mosse in cerca della fanciulla, ed andò a Sisifo che regnava in Corinto; da questo conobbe che il rapitore l'avea condotta in Cenone, e gli mosse guerra. I poeti al- teraron la storia. Asopo, arginatore di un fiume, di- venne per essi lo stesso fiume che guerreggiava con le sue acque. Il re d'Arcadia fu mutato in Giove arcade; per conseguenza Egina, divenuta sua moglie, fu nomata Dia-^ e perchè nel tempio antichissimo de' filasi mancava il simulacro, e sapevano che Egi- na era stata trasportata all'isola Orv^vvj vinosa, mu- tarono Egina personaggio storico con Ebe, con Ga- nimeda , con Dia. Queste ed altre molte aggiunte, che il N. A. accuratamente ricorda , mutarono in favola la storia; e diedero campo agli artisti di va- riare le rappresentanze del subietto. Nel vaso gre- goriano è espresso istericamente; e forse nel modo stesso con cui Pausania narra averne veduta una scultura in Elide nell'alti di Giove olimpico. Ed è unico esso vaso; perchè se mai volesse credersi espri- 302 Letteratura mente la stessa storia un vaso Durand, benché de- scritto come spettante alla favola di Semele , esso è ristretto in due sole figure. Scende quindi l'A. eh. ad accennare i monumenti che lo stesso ratto allegoricamente rappresentano. Son essi tre vasi addotti già dal Panofka in una peculiare dissertazione.In tutti e tre è rappresentata una donzella in atto di esser rapita da un' aquila. Soli Lattanzio Placido ed un anonimo mitografo va- ticano fingono, Egina essere stata rapita da Giove mutato in Aquila. Il Panotka argomentò , che in que'vasi fosse rappresentala la figlia di Asopo, che anch'egli con Ganimeda, con Ebe, con Dia vuol con- fusa. Ma il Melchiorri ben altro crede che significhi quel ratto della donzella fatto dall'aquila ministra del tonante; e contro il Panofka ne adduce molte e conchiudenti ragioni, alle quali non ci è permesso tener dietro minutamente. Questa sola accenneremo, che una testimonianza di Nonno, non avvertita dal filologo tedesco, descrive Egina in modo assai di- verso da quello, in che la creduta Egina è rappre- sentata nei vasi. In uno dei quali la donzella è ve- stita di stola candida sparsa di stelle, con benda sulla fronte, con braccia aperte, non in atto di ti- more, ma di purissima compiacenza; al di sopra è la voce 0AAIA, ed in questa voce il Melchiorri tro- va riposto l'arcano, e la considera come una omo- fonia della stessa Dia, o sia di Ebe, della Gioventìi. Infatti talia o talea deriva dal greco ^càlzi^j^ reci- dere per far rifiorire; e dicesi propriamente dei virgulti delle viti che recidonsi, onde trapiantarli e farli rifiorire. Da ciò con molto ingegno ne deduce, che i ratti favoleggiati dai poeti non altro signifi- casserase non che, l'anima de'buoni essere stata eie* Accademia archeologica 303 vata alla regione de'celesli in guiderdone di una vita illibata e pura: ratto che ben potè dirsi talia, perchè ciò veramente è un reflorescere^ cioè ringio- vanire. E qui conchiude , che la dea adorata in Fliunte fu la Gioventù, la quale ottenne per l'arca- na teogonia della natura special culto, sotto molte e varie forme: che nel vaso vulciente grec;oriano il ratto di Egina è cosa del tutto istorica, non mito- logica: e che i tre del Penofka appartengono alla dottrina arcana del ratto, ossia del risorgimento e del rifiorire, dottrina che fu detta thalia. Xlll. Le testimonianze scritte e figurate deW antichità intorno a una wolenza fatta da Ercole tetano al santuario di Delfo, raccolte dal cav. Lui- gi Cardinali socio ordinario Molte testimonianze, sia di scrittori, sia di mo- numenti , tramandarono memoria di una violenza commessa da Ercole tebano nel santuario di Apollo delfico. Scopo dell'accademico nel raccoglierle si fu il restituire alla piìi antica storia civile delle na- zioni quel fatto , che per sentimento comune dei dotti fu rilegato finora nel patrimonio della mito- logia; opera ben degna della severità degli studi ar- cheologici. E primamente dice del responso pitico. Pausania, narrando la storia del rapimento, pone in bocca a Senoclea sacerdotessa delfica il concetto se- guente: Costui Alcide di Tirinto mai quel di Ca- nopo: dove l'anfibologia sta in quel mai, potendo ri- solversi il responso tanto nel dire, che colui non è Alcide di Tirinto, ma si quel di Canopo, quanto al contrario. Ma certo questo concetto non fu espres- so così : reso a voce come tutti, se ne conservò me- moria per tradizione : molto piìi lardi furon con- segnati alle lettere. La tradizione ne alterò la pri- 304 Letteratura mitiva semplicità. Questa stava nella mutazione del nome di Alceo o Alcide in Eracle o Ercole^ si al- terò aggiungendo ad Alceo il gentile della citta, di- cendolo tirintio; e sì tacque il nome dell'Ercole egi- ziano, ravviluppandolo sotto il nome della foce del Nilo. E con ciò si commìsero più anacronismi: per- chè a'tempi di Ercole ignoravano i greci che esi- stesse l'Egitto; e perchè il nome di Canopo a quel- la foce provenne dopo esservi approdato Menelao. Che il cambiamento del nome andasse unito con la violenza, si vedrà in appresso. Ed è naturale che la Pìtia, vedendosi in faccia un eroe furente, per pa- ciarne lo sdegno dicesse, esser quello un nume, non un mortale. Ma vengon due difficoltà: 1' oracolo di tal permutazione del nome di Alceo in Ercole leg- gesi in Elìano, e nello scoliaste di Licofrone, con differenza l'uno dall'altro. Nel primo il giuoco della parola Hera, cosa grata e benefica^ forma tutto il concetto; cioè: Te Febo con altro nome chiama Era- de, poiché beneficando avrai onore immortale. Nel secondo varia assai la cosa; e benché i critici cer- cassero restituirlo al vero, pure poco profittarono. Queste stesse diversità però non altro provano, se non che da diversi fu vestita la tradizione di di- verse parole. L'altra difficoltà sta nella circostanza, ?n cui dicesi pronunziato il responso. Apollodoro lo pone dopo l'uccisione dei figli d'Ificle: Dìodoro do- po aver sofifogati i draghi mandatigli contro da Giu- none; tutti gli altri attinsero ad un di que'due. Ma Dìodoro è almeno contradìttorio a se stesso: quin- di la sua testimonianza per fatto proprio divien nulla ; ed il testo di Apollodoro per molti argo- menti si prova viziato- Quindi è da conchiudere , che Ercole sì disse da principio Alceo: che tal mu- Accademia archeologica 305 tazione accadde per responso pitico; che quello che si legge diversamente in diversi, ridonda di ana- cronismi, di puerilità, di aggiunte; che il responso dovette esser semplicissimo, quale lo spavento il permise a Senoclea, cui Alceo sembrò non Alceo ma Ercole, cioè il nume tebano, non il figliuolo di Al- cmena : che l'occasione fu quella assegnata da Pau- sania, come l'unica che consuona con la sana ra- gione; e che la tradizione ci dice, che debbesi lega- re quella permutazione di nome con la storia del rapimento del tripode. Ridotte così alla primitiva verità le testimonianze tradizionali, passa il eh. ac- cademico ad esaminarne le scritte. E vien Pindaro per il primo: il solo fra i poeti, il quale parla di una contesa fra Ercole ed Apollo: ed il suo scoliaste aggiunge che fu pel rapimento del tripode. Dalle stesse parole del poeta rileva il sig. Cardinali, che Pindaro ben conosceva , come cantando di un iddio combattente con un mortale falsava la storia; ma la legge del maraviglioso, e la necessita di evitar la colpa di violata religone, a ciò lo consigliarono. Nelle parole dello scoliaste poi Tunica osservazione da farsi si è, che egli non dice aver negato la Pitia di rispondere , ma solo aver detto che nell'assenza del nume non dava 1' oracolo voci canore; nelle quali parole è un carattere isto- rico, ripensando che in versi furon dettati gli ora- coli antichissimi. Vien dopo Apollodoro, la cui nar- razione è impastata di maraviglioso piìi assai che in Pindaro. Pure il eh. accademico, meno che la disce- sa di una divinità a combattere con un mortale , crede che nel resto abbia un'autenticità storica mag- giore di altri. Segue una testimonianza di Cicero- ne, nella quale facilmente si travede il pirronista. 306 Letteratura che pretende alla fama dì erudito nelle cose recon- dite della Grecia, senza cercare le più vere : e cosi sembra che pensasse di quel suo libro intorno la natura degli dei uno che lo conobbe personalmen- te, e ne'suoi libri studiò , cioè Diodoro Siculo, il quale, quando poteva, non rammentò per nulla 1' opinione intorno a ciò promulgata dal romano ora- tore. Scrisse della consultazione dell'oracolo fatta da Ercole, ma non ricordò il rapimento del tripo- de; non il combattimento col nume. E qui bene il eh. disserente rammenta quella testimonianza di Plinio, essere stato Diodoro il primo fra i greci che non fosse favoliere. Plutarco in piìi luoghi de'suoi opuscoli ricordò alla sfuggita il rapimento del tri- pode; e con esposizione di ragioni, nel libro della iscrizione delfica EI , scrisse il cheronese, che quel rapimento accadde per questione di logica; e me- scolando le favole egiziane con le greche, queste e quelle con le storie, con la morale, con le dottrine cosmogoniche, scrisse una bizzarria, che certo non tien l'ultimo posto fra quelle molte degli uomini. Vien dopo Pausania, il quale per la tradizione ci narra l'intero fatto; pel criterio distingue la parte storica; cioè la domanda di Ercole, il nome della sacerdotessa, il negato responso, le ragioni della ne- gativa, il fatto del rapimento del tripode, e come e perchè fu restituito; il resto manda alla favola. Ul- timo fra gli scrittori è Igino, la cui testimonianza, che non molto dalle altre discorda, non può avere gran peso. Passando alle testimonianze figurate, dice pri- ma di un donario esistente in Vellelri nella biblio- teca Cardinali, sì perchè come donario è la specie di monumenti fra tutti più anticEj sì perchè è il Accademia archeologica 307 pili bello , il più integro fra quanti bassorilievi rappresentano un tal subietto. Il marmo è greco; vi sono scolpite due sole figure; alla destra Ercole tebano con la leontea sul capo affibbiata avanti il petto, e nella destra la clava alzata, come per of- fendere; alla sinistra è Apollo con corona d'alloro e lunghe chiome inanellate. Ambidue sono armati dell'arco patulo: ed Ercole si è recato sulla spalla sinistra il tripode, Apollo con la destra tenta ri- torlo; la cortina è caduta a terra, e sta fra i piedi dei due combattenti. La scultura è risentita, ardita l'espressione, l'azione evidente; il lutto fa mostra di essere antica copia di monumento antichissimo, di quello stile greco arcaico che tende al sublime. Viene seconda un'ara, o meglio una base di can- delabro del museo di Dresda. Ha tre facce: in quel- la della contesa somiglia perfettamente al donario veliterno; le altre due , checche altri ne abbiano opinato , crede il N. A. non abbìan che fare con la faccia principale. Terzo è un donario del mu- seo Albani in Roma. D' antico restò la sola parte superiore; affatto eguale in quanto alla^osa al do- nario veliterno, non lo è in quanto all'esecuzione; che all'artefice non bastaron le forze per imitare lo stile arcaico del marmo che gli servì d' origi- nale. Molti moderni e goffi restauri sono anche nel donario del museo Nani a Venezia; la incisione che ne die il Paciaudi non conserva il carattere; la espo- sizione ne fa elogi non meritati. Il quinto monu- mento è un donario «lei museo di Parigi, dove pu- re si hanno moderni restauri; nella principale rap- presentazione è copia de' ricordati ; solo l'artefice aggiunse vicino all' Ercole un alberello , e ad esso attortigliò una serpe. Vien dopo un puteale 308 Letteratura del museo reale di Prussia, non intero ma fram- mentato ; nella disposizione e nella composizione non diversifica dal donario veliterno. Anche più frammentato è un puteale vaticano, dove restò solo l'Apollo, il braccio di una persona che lo seguiva, e dell' Ercole non altro che un frammento della leontea, ed un' asta del tripode; l'opera è ornamen- tale, e molto si dilunga per la esecuzione dai pri- mi marmi descritti. Pure nel museo vaticano è una statua, che il Visconti opinò doversi riferire a quel fatto d'Ercole; ma evidentemente prova il sig. Car- dinali, che il restauro di essa fu fatto per la in- terpretazione, non pel restauro il cemento. Il va- ticano però non manca di quella storia. La base di uno fra i molti candelabri che lo arricchiscono rappresenta il rapimento diviso in tre facce; Er- cole sta nell'una. Apollo nell'altra, e queste due fi- gure somigliano ad ungiiem quelle dei denari, ma con assai piìi morbidezza di taglio; nella terza è un edituo invocante soccorso contro il violatore del santuario. E con questo candelabro termina 1' enu- merazione de'monumenti che rappresentano in mar- mo quel rapimento. È in gesso una tavoletta del museo Albani fi- gurata a rilievo e con iscritture greche. In molti scogli ruppero que' dotti che pretesero trovar in essa una unità d'azione; e chi l'espiazione, chi il ri- poso, chi l'apoteosi, chi il banchetto, chi i bagni d'Ercole la intitolò. Ma evidentemente si riferisce a pili e diverse azioni, copiate da pili e diversi ori- ginali. Al rapimento del tripode riporta il nostro A. senza dubitazione quella figura d'un eroe offe- rente un tripode , sull' ultimo piano della tavola. La relativa scrittura dice: Anfitruone per Alceo Accademia archeologica 309 un tripode ad J pollo . . • ( molto manca ) . . . da prima non Ercole ma Alceo chimarsi . Il perchè quella plastica conferma quanto narrammo nelle te- stimonianze scritte; legarsi cioè il rapimento del tri- pode col mutamento del nome da Alceo in Ercole. Vien poi ricordando il eh, accademico quattro gem- me. Due del museo di Berlino portano scolpito il so- lo Ercole con la leontea sul capo, tripode nel brac- cio sinistro, nel destro la clava in alto, guardante indietro; uguale nel subietto è una gemma astrifera edita dal Gori. La quale è nel Caylus, e rappresenta il gruppo intiero come ne' bassorilievi, con le sole differenze che Ercole è alla sinistra e barbato , ed Apollo tien l'arco con la destra. Anche tre medaglie debbonsi riferire alla stessa storia. Una in oro col capo d'Ercole imberbe con leontea, e tripode nell'a- rea, e nella parte avversa una testa di cavallo; la se- conda in argento con la sola diversità che in luogo del cavallo è una clava. La terza rappresenta Ercole che con la destra brandisce la clava ed abbranca il tripode con la sinistra. In assai maggior numero sono i vasi dipinti in terra cotta; alcuni sviluppano la storia in due o tre figure, alcuni in più. Di que- sti secondi, otto ne ricorda il sig. Cardinali. Il piìi ricco di figure è annedoto, e lo possiede il Depo- letti. Ercole ed Apollo occupano il mezzo; presso l'eroe è Minerva, e quindi un uomo barbato, forse Anfitruone; presso il nume è Diana , poscia Mer- curio. Gli altri sette vasi diminuiscono di due per- sonaggi la scena. Annedoto 1' uno presso lo stesso Depoletti, pone Ercole alla sinistra come nella gem- ma del Gayliis, e presso lui Mercurio ; vicino ad Apollo è Diana. In due idrie del principe di Ca- nino, ed in altri due vasi della collezione che già 310 Letteratura fu del Durand, la scena è quasi slmile alla descritta. In un alahastron del Feoli invece di Diana è La- tona: infine in un vasetto della raccolta Revil, ol- tre alcune piccole dififerenze, presso Ercole par che sia un Mercurio sedente. Dei vasi che rappresen- tano la storia in due figure, ne ricorda uno pa- rigino delBlacas: poi uno napoletano del Lamber- ti , nel quale presso ognuno dei due combattenti è una colonnetta con sopra un gallo. Uno annedoto ne possiede il Depoletti somigliante nella compo- sizione i donari, meno che Ercole è barbato. An- che più li somiglia un quarto di migliore scuola e tempo, posseduto dal principe di G;inino. In un quinto, proveniente da Basilicata ed esistente nel museo borbonico, fra i due personaggi sorge dalla terra un alberello di alloro; ed alle spalle del nu- me una finestra, in cui una mezza figura femmi- nile, giustamente dal MUlingen reputata la Pitia. Un vaso del museo gregoriano rappresenta i com- battenti r uno in faccia all' altro col tripode nel mezzo, al quale ambi stendon la destra. E final- mente un'idria dello stesso museo, per disegno ec- cellente, fra i due porta dipinta Minerva che rom- pe la zufifa; composizione archetipa forse , e con- dotta con economia e vaghezza di stile. Avendo l'accademico eh. descritti per tal mo- do tutti i monumenti a noi pervenuti dall'antichità in rappresentanza certa di tale storia ( che savia- mente trascura i dubbiosi per la mancanza del tri- pode), passa a cercarne i tipi originali presso gli antichi; ritenendo che da uno sian provenuti quelli che la figurano con due personaggi, da uno quelli che con più. Ed in Pausania incontra memoria di ambedue. Poco lungi da Megalopoli, in un portico Accademia archeologica 311 nel bosco sacro di Despoena, narra il periegeta aver veduto un bassorilievo ( tuthoj ) in cui Ercole che strappa via ad Apollo il tripode'^ dunque di due sole immagini, oltre il tripode. A Delfo poi vide un gruppo di cinque statue provenienti dalla scuola di Corinto; Ercole ed Apollo afierravano il tripo- de contrastandosene il possesso; Diana e Latona in atto di lenire lo sdegno del nume, Minerva quello dell' eroe. Sembra al sig. Cardinali che sia proba- bilità vicina a certezza l'assegnare il bassorilievo del sacrario di Despoena per tipo comune ai de- nari, al candelabro, al piiteale berlinese, al mag- gior numero delle gemme , a qualcuno fra i di- pinti; ed il gruppo oiFerto dai focesi per tipo al puteale vaticano, e ad alcuna delle pitture che spie- garon la storia in quattro o sei personaggi, toglien- dosi gli artefici la liberta di aggiungere o togliere alcuna figura. Il gruppo delfico fu per testimo- nianza di Pausania dedicato durante la guerra de' focesi co' tessali ; cioè verso l'olimpiade 74, e ciò sta bene con le dottrine del Campanari , che al- l' olimpìade 77 assegnò i dipinti di quella specie, cui spettano i vasi rappresentanti la storia del ra- pimento con più figure. Piìi antico assai fu il bas- sorilievo arcadico ; e per buone ragioni il disse- rente lo reputa anteriore all'olimpiade sessantesi- ma. Da ciò ne vien chiaro , che le testimonianze figurate di una tale storia furono anteriori alle scrit- te; la piìi antica delle quali, quella di Pindaro, potè appena esser contemporanea al gruppo fo- cese, posteriore d'un secolo forse al bassorilievo arcadico. Quindi ne scende, che preoccupata dagli artisti la storia, per dar forma alla tradizione do- vettero servirsi del linguaggio metaforico rappre- 312 Letteratura sentativo, rispondente in qualche modo al linguag- gio metaforico reale; e vestiron la storia di maravi- glioso, cioè di favola: e che gli scrittori non potero- no smentire apertamente ciò, che le arti avevano già consacrato, sia per paura di violare la religione , sia perchè così esigeva la poesia. Il tripode delfico infatti, come cel descrive Diodoro, non era sicura- mente un arnese da potersi recare in ìspalla ; ed anche ciò fosse stato possibile, non dal tripode, ma dalla voragine, su cui era imposto, procedeva la for- za dell'oracolo; né certo la voragine potevasi tra- sportare. A che dunque l'inseguimento d'Apollo che la storia condanna, abborrisce la ragione, se Ercole lungi dall' essere rubatore di un arnese, fu il deva- statore, il violatore del luogo sacro ? A questo deb- Lonsi ridurre gli infingimenti degli artisti e dei poeti, come consigliano i caratteri storici di tal vio- lenza. Primo fra i quali è il consenso nell' attribuire il fatto ad Ercole tebano; la prossimità di Tirinto al Parnasso spiega come Ercole, benché malato, po- tesse girne alle sorti, e come cosi poco tempo cor- resse dalla violenza al pentimento. Altro carattere storico è il particolare dell'oracolo da Ercole a se stesso fabbricato; particolare che si accoppia al ra- pimento del tripode. Considerata la cosa con le idee di que'tempi, ciò veste l'abito di storia. Anche sto- rica è la malattia di Ercole, assegnata per cagione del suo venire alle sorti di Delfo, e la caduta del fulmine a ricondurre la ferocia di lui umiliata ap- piè degli altari. La malattia par che fosse epiles- sia maniaca, che da lui prese il nome di erculea o malattia sacra. Storica e la purgazione dell'omici- dio d'Ifito, che fu a vicenda effetto e cagione del Accademia, ARcnEOLOGicA 313 male, pel quale venne consultato roracolo; ed isto- rico, che la Pitia non niegasse il responso, ma di- cesse, il nume esser assente, e però non rendere V oracolo voci canore. Da ultimo il sig. Cardinali ne viene a concliiudere, die sceverata dal maraviglioso combattimento di un nume, e dal metaforico con- cetto del tripode, la narrazione della violenza com- messa da Ercole tetano al sacrario di Delfo, veste e si accompagna di tanti caratteri storici, da dover dire che non è un infingimento, ma si uti frammento della storia eroica dei greci. Pochi subietti, secondo a noi pare, furon trattati con maggior precisione e dottrina di questo; pochi ne addussero uguali ri- sultamenti di certezza. XIV. Ragionamento letto nell" anniversario del- la fondazione di Roma, dal socio ordinario monsig. Angelo Mai, ora eminentissimo card, di s. Chiesa. L'autorità di Roma presente non solamente non è inferiore, ma eccede di molto quella di Roma an- tica. Questo è il subietto trattato dal celebre per- sonaggio con ricchezza di storiche ricerche. Che se Roma antica fu grande per le conquiste, Roma ri- nata alla fede ad assai più lontani paesi stese i suoi trionfi. E preteriti que'reami generalmente cat- tolici, ne'quali la maestà del romano pontefice non ha emulo che le contrasti, e parlando solo de'paesi eterodossi, vien narrando come nel vecchio mondo assai più lontani sono i luoghi, ne'quali Roma papa- le ha stese le sue conquiste, di quello che Roma pa- gana le sue armi; e nel^iuovo si aggiunga la nuova Olanda e l'America, Haiti e le Antille, il Perù ed il Brasile, la Giamaica e l'Oceanica, ed altri luoghi assai più, ne'quali la propaganda ha le sue missio- ni. Così nelle cinque parti del mondo si stende la G.A.T.LXXV1II. 21 314 Letteratura religione nostra veramente cattolica, cioè universa- le; e l'universo intero rende ossequio al sommo pa- store di Roma. C. C. Elogio di Paolo Costa. JTaolo Costa è tal nome, che durerà glorioso in Italia finche viveranno in essa le lettere, le arti, la filosofia. E sebbene di lui si potesse parlare mol- to distesamente, e considerarlo sotto un sol punto di vista, riguardandolo cioè come scrittore filosofo, quale in ogni specie di scrittura, sia sciolta o vin- colata dai numeri, si mostrò: pure a meglio osser- vare il valore del suo ingegno parmi debba giova- re considerarlo prima come prosatore , poi come poeta, infine come filosofo; e dare a vedere come in ogni genere egli si levò alto, e si fe'sommo sopra molti. Dico sommo sopra molti, perchè a me non piace tirargli invidia addosso, dicendolo, come pa- re ad alcuno, primo nella filosofia ; che ben so a questo secolo molti essere saliti a grande altezza per profondità di filosofiche discipline; e però non è mio intendimento venire a paragoni, perchè sem- pre o ingiusti o odiosi, ma solo mostrare come an- dò chiaro fra i filosofi dell'età nostra, e come forse tutti poi avanzò nella maniera dell'ordinare e del- l'esporre le sue dottrine; sicché se per una parte dovesse ad alcuno cedere per maggiori e più alte Elogio di P. Costa 315 vedute, tutt'altri devono cedere a lui per isquisi- tezza e chiarezza di stile nell'esporre cosa che, sem- bra a me, dee molto e molto valutarsi. E in que- sto a dir vero egli sì fé specchio de'nostri antichi filosofi, e spezialmente del Galilei , del Redi^ del Bellini, dello Zanotti , i quali oggidì a grave no- stro danno non sono seguitati , anzi si crede do- versi a nuova faccia d'idee dar nuovi suoni di pa- role, non intese che da chi le foggiò, o da pochi altri assai: con che si fa della sapienza un mistero, e delle filosofiche discipline un gergo oscurissimo, non altrimenti che i geroglifici dell'Egitto. Ma per- chè tenendo questo modo dì ragionare intorno gli scritti del Costa, e dividendo in tre classi distinte le opere che egli lasciò, e di queste secondochè la materia comporta ragionando, non posso tenere l'or- dine cronologico in cui furono date a luce, voglio fin da prima escusarmì con que' gentili, che queste parole mie udiranno, e far loro conoscere che io mi ho tolto a parlare del sapere del Costa; non a tesserne la biografia e l'indice delle sue opere. Il che mi valga a scusa anche presso coloro che dei casi diversi della sua vita bramassero sapere mi- nutamente; i quali secondo il piìi furono comuni a molti che vissero in queste strane vicende di tem- pi in cui noi viviamo, e de'quali tenere discorso poco o nulla metterebbe alla lode del Costa. I. Incominciando adunque a parlare del Costa, dirò che gli fu patria Ravenna antichissima città di Romagna, ove nacque di Niccola Costa e di Lucrezia Ricciardelli nobilissime famiglie: che fu educato da prima nel pubblico collegio di Ravenna, e indi in Padova alla scuola del Cesarotti: e che di là tornato alia patria, fu chiamato, per molto grido che egli fin 316 Letteratura da giovinetto avevasi acquistato di savio ed onesto cittadino, a dar mano alle bisogne della patria. Ma tra breve ridonandosi a'suoi dolci studi, ebbe cagione di vedere la falsità delle dottrine ossianesche, delle quali era stato imbevuto dapprima, e d'innamora- re de'classici, e specialmente di Virgilio, il quale solo ne'traduttori aveva conosciuto, e di Dante del quale diffondevano l'amore i versi mirabili del Mon- ti, gridati come fior di poesia da quanti avevano senno e fiato di buon gusto. E tanto gli valse l'amo- re posto ai classici, tanto i consigli di Luigi Palca- ni, di Dionigi Strocchi, di Giordano Montrone e di Pietro Giordani, cime d'ingegno e di sapere italiano, che allorquando il Monti per cantare le imprese di Buonaparte pose la mano alla celtica lira del bar- do, il Costa volle mostrarne le mende e i difetti, e come traviando quel sommo ingegno, che nella bas- villiana si sublimava sugli antichi e sui moderni poeti, nel Bardo della selva nera appariva sovente di se stesso minore. Che se quelle sue osservazioni parvero a taluni un pò leggiere e sofistiche, non è perciò che non dessero a vedere fin d'allora l'inge- gno e il gusto che il Costa si era già formato, e non fossero buon preludio alle cose che egli poi scriverebbe. Appresso chiamato a dettare eloquenza prima in Trevisio, poscia nel liceo di Bologna, citta alla quale aveva riparato come a porto dopo le for- tune dei tempi e della sua patria, compose un trat- tato sulla elocuzione: cosa veramente stupenda, che basterebbe a dargli eterna nominanza, come eter- na se l'ebbe Dionigi Longino dal suo trattato del sublime. « Avendo io piì^i volte considerato ( dice l'autore nella prefazione ) quanto siano contrari i pareri degli uomini d'Italia intorno io stile, ho Elogio di P. Costa 317 veduto che una delle cagioni di questo male (es- sendo la più parte di esse in arbitrio delia for- tuna e de' principi) procede da' precettori, e que- sta si è la troppo noiosa e materiale specifica- zione delle regole. A togliere questo pubblico dan- no stimai che potesse giovare il raccogliere i più utili precetti intorno l'elocuzione, e nel breve spa- zio di pochi fogli dichiarare con facil ordine quel- le ragioni de' precetti stessi, che dalle proprietà dell'intelletto e del cuore umano sì ricavano». Non istarò io a parlare a lungo di quest'opera, la quale con gran prò delle lettere ormai ha luogo in tutte le scuole d'Italia, e della quale molte e molte edi- zioni si sono fatte; e mi basterà accennare, die di questa dissertò con profondo ragionare Giulio Perticari, che dopo averla esaminata e lodata, pose fine con queste savie e vere parole, che si leggono nell'arcadico, e negli opuscoli di quello scrittore. « Noi dunque raccomandiamo questo libro a quanti insegnano eloquenza o l'imparano , promettendone loro un buon frutto. Perchè egli è l'opera non di un meschino retore, ma di un grave filosofo; e la so- la filosofia (come dice il grande Alighieri) fa ono- rato chi la segue, e salva gli uomini dalla morte deirignoranza ». Appresso compilò una diligente biografia del massimo de'poeti italiani Dante Ali- ghieri, e ne espose con beltU ed eleganza di dettato il fortuneggiare continuo della sua vita, le miserie dell'esilio, la sicurezza dell'animo e l'altezza di quel suo più presto divino che umano ingegno, e agevolò con essa l'intendimento di alquanti luoghi forti ad intendere nella divina commedia; scrittura al lutto aurea, e meglio da paragonare alle migliori degli antichi, che ad alcuna de'modenii. Ne a muravi- 318 Letteratura gliare punto è, se in sì poche pagine tanto buon sonno racchiuse: poiché egli aveva chiare e mani- feste le bellezze del primo scrittore della nuova epopea ( che vera epopea è la cantica dei tre re- gni , come per me altrove fu mostrato chiaramen- te), e la storia, e quanto deve buon filologo avere a mano per chiarirle; come manifestasi dalle note, con che poi la illustrò. Il quale lavoro del Costa in- torno a Dante giovò d'assai, a creder mio; poiché quell'alta poesia fé più agevole ai giovani: onde av- venne, che ovunque nelle scuole ora si usi Dante colle illustrazioni del filologo ravignano, le quali e per brevità e per chiarezza non solo avvantaggiano molle altre, ma per saviezza di discernimento nel recare le lezioni piìi belle fra molte, e nel chiari- re modi oscuri, e nel dimostrare artifizi , cui poca perizia difende al guardo dei meno istruiti. Intanto in Italia si dava per tutto voce della grand' opera del Monti, colla quale proponeva di nuove ammen- de al vocabolario della lingua compilato dagli ac- cademici della crusca, e riprodotti con aggiunte dal Cesari. I libri del Perticari precorrevano a dar pe- so alle osservazioni del filologo poeta, e si ridestava in ogni petto italiano l'amore del nostro idioma. Si tornava al trecento ed ai classici, non piìi con cie- ca venerazione, ma colla face della critica alla ma- no; si scioglievano le catene ordite dai pedanti; e lo studio, che prima era stato poco proficuo, perchè guidato da superstizione, diventava dietro alla scor- ta della filosofia utilissimo. Paolo Costa con animo pari all'ingegno formava il divisamento di correg- gere il vocabolario della Crusca: toglierebbe ciò , che licenza smodata aveva gettato in quello dell'Al- berti; accoglierebbe ciò, che scrupolosità soverchia Elogio di P. Costa 319 aveva sbandeggiato da quello del Cesari. Impresa paurosa invero, e da tremarne ogni mente più si- cura; ma no il Costa, cui aggiungevano forza e sti- molo l'amor della patria e della gloria. Egli adun- que ad incarnare il suo disegno si tolse a compa- gni Francesco Orioli, il quale avrebbe cura deHe voci spettanti a chimica e a fisica, e Francesco Car- dinali che lo aiuterebbe nel resto. E sebbene a non molto, per quella mala ventura che le italiche let- tere suole perseguitare, rimanesse solo senza altra compagnia che di se, pure da se bastò all'uopo; e il vocabolario incominciato nel 1819 toccò termine nel 1828, cioè in poco più che nove anni. Se io di- cessi che questo lavoro gli riuscì tale da non la- sciar nulla a desiderare, mentirei per la vita, non altrimenti che chi dicesse non avanzare di molto quelli della crusca e del Cesari. Il vocabolario del Costa, comechè più ricco, più sincero degli altri , non manca però di difetti, cui era impossibile evi- tare ad un uomo solo, fosse pur dotto e profondo delle cose di lìngua; ma fin qui non ha forse chi possa ancora per poco togliergli grido; e se in ap- presso, terminata l'edizione di Napoli , resterà da meno (giacche è quella di Padova già terminata, e quelle di Firenze e di Verona non ancora compiute mostrano non andare più là dell'edizione bologne- se , se pure quanto alle scienze non vi sottostanno), non sarà perciò minore la gloria del vocabolario ravignano; perchè egli colle sue fatiche fu primo ad aprire la strada agli altri, ed agevolare coU'e- sempio ad essi l'impresa. Né sì stette contento il Costa dell'occuprizione che gli dava il compilare quel vocabolario, ma in quel tempo altre cose pur diede, tutte scritte con istile purissimo. 320 Letteratura Nel 1822 mancava alle lettere italiane uno de' migliori lumi. Giulio Perticari passava di questa vi- ta, e tutta Italia era in pianto. L'accademia de'fel- sinei decretava l'epicedio all'illustre trapassato: Dio- nigi Strocchi apriva con dolenti e gravi parole la tornata accademia, e Paolo Costa leggeva l'elogio di quel suo raro amico, dì quel compagno e consola- tore (1) sìncero de' suoi studi. Il quale elogio, se male non mi appongo, è d'antiporre dì gran lunga all'altro, che esso Costa aveva scritto nel 1813 ad onorare la memoria di Michele Rosa, testa delle più filosofiche che vi avesse nel secolo XIX. Non che non sia pieno e sentenzioso e forbito pur quello del Eosa: ma egli a parer mio non ha quel calore che muove all' affetto , né quella soavità che forse era frutto dell'amicìzia, che al Perticari lo aveva sì vi- vamente ristretto. Pubblicò ancora una novella, l'ar- gomento della quale prese dal Gii Blas, intitolata Demetrio di Modonei ad encomio della quale basti, che Bartolommeo Gamba, il giudizio purgatissimo di cui non è chi non conosca in Italia, chiamò que- sto scritto non meno che 1' elogio del Perticari , esemplari di favella calta ed immacolata. Ne tace- rò che, morto il Costa, furono nell'anno 1838 fatte di pubblica ragione in Firenze alquante lettere di luì a vero dire foggiate alla caresca per lo stile e per la gentilezza de'parlari: le quali però quanto mostrano la bontà del cuore e dell'ingegno, tanto nel più sentono di leggerezza ne'giudizi, s\ che sem- bra potersi asserire, che con esse volle meglio gra- tificare agli amici, che dare ai posteri bontà di se- (i) Yedi la Biografìa del Costa descritta da Filippo Mordani. Elogio di P. Costa. 321 vero e giusto giudizio delle opere loro. Ma ella è cosa a d'i nostri veramente caduta a mal'uso, il far pubbliche le scritte degli autori, che essi vivendo avevano raccomandate al segreto dell'amicizia, spe- cialmente quando il pubblicarle non giova a cre- scere la fama del trapassato, ne ad aggiungere ric- chezza alcuna al patrimonio delle lettere e delle umane cognizioni. Questo mi sia concesso dire ora liberamente : e se alcuno volesse da ciò prendere ragione a calunniare, sappia fin da questo punto, che mio intendimento è parlare il vero, non lusin- gare o sprezzare persona del mondo. E qui mette- rebbe bene toccare di alcune altre prose del Costa, come di quella, cui die titolo A'\ Cenni sulla neces- sità dello studio della lingua italiana , stampata neirAbbreviatore in Bologna, nella quale si fa pa- ragone fra l'antico volgarizzamento di Livio e quel- lo del prof. Mabil ristampalo più volte; e starebbe pur bene dare qui alcun cenno di ciò che egli scris- se, quando fra lui e l'autore del giornaletto Le Fan- falecche^ si accese forte contesa ( la quale merite- rebbe essere preterita negli annali delle lettere per scemare scandalo), e dell'appendice che appose al libro dell'elocuzione, ove dimostrò il bisogno che vi era in Italia di ripigliare lo studio degli antichi, e di quant'altro disse intorno le poesie del decan- tato Labindo, e di quanto dettò intorno la questio- ne sui classici e sui romantici, che tien puranche divisa la letteratura nostrale (forse più per forza di parole non ben dichiarate, che di cose sostanziali), e di altre brevi coserelle qua e colà sparse nei li- bri e nei giornali. Ma perchè giudicando di esse, null'altro potrei aggiungere a quello che ho espres- so fino da prima, cioè che le sono tutte tinte nel!' 322 Letteratura oro antico, e cosa da quel maestro di lingua e di stile che egli era; io volentieri me ne cesso; poiché mi caccia e mi sospinge oltre il lungo tema che mi ho tolto, si che mi giova far passo dal Costa pro- satore al Costa poeta. IL Dico adunque che il Costa fu uno de'buoni poeti dell'età nostra: e perchè non si paia che io troppo gli attribuisca con ciò , sendo che troppo variamente il titolo di poeta da taluni s'interpreta, esporrò intorno a questo alcune cose. Poeta, sicco- me suona in greco questo vocabolo, può significare due cose, l'una delle quali è creare, l'altra rappre- sentare: di che a parer mio utile divisione si può trarre. Conciossiachè si può avere a poeta non me- no chi crea, che colui che imita : d' onde poi ne viene essere poeti non solo quelli che, ispirati dalla natura , seppero creare nella propria mente quel bello, che i filosofi chiamano ideale, e con tratti ef- ficaci e con colori lor propri porgerli sotto gli occhi altrui, ma benanche coloro, che imitando i grandi maestri, dalle loro stesse creazioni, altre ne seppero trarre con bell'arte e con forza mirabile d'ingegno. Della specie deprimi, pochi se ne annoverano: mol- tissimi della specie de' secondi; poiché nella specie dei primi non entrano che due privilegiati ingegni, cui chiamano geni, ne'quali grande è la forza dell' intelletto, e grande del pari quella della fantasia e della volontà; laonde questi con moderna voce han- no nome di originali. Nella specie poi dei secondi sono da collocarsi quelli , ne' quali la forza della fantasia è minore deila forza dell'intelletto, e amen- due inferiori a quella della volontà: e questi sono poeti d'arte o d'imitazione. Dico adunque che de* secondi fu il Costa , ne in questa stessa classe io Elogio di P. Costa 323 saprei consentirgli il principato ; ma certo si fu Luon poeta. Che non poteva in vero levare altissi- mo il volo una mente fino da giovanetta usata alle speculazioni dei filosofi: poiché l'esattezza del ra- gionare di questi tarpa naturalmente le penne di quella facoltà, che come ben disse un dotto scrit- tore, si acqueta ove si mostri non l'intera ragione geometrica, ma solo segno ed ombra di ragione. Il carattere delle poesie del Costa è tutto filosofico, e tale tu lo scorgi in quel mirabile inno a Giove , che egli dettò, quando le nozze di Giulio Perticari con la figliuola di Vincenzo Monti allegravano il regno delle lettere italiche. « In questo (parlerò a meglio significare i concetti, le parole di un bio- grafo del Costa) (1) vedi dipinta la maestà dell'E- terno, la bellezza e l'armonia dell'universo con tan- to nobili fantasie, e con sì leggiadri colori, che l'a- nimo ti si commove altamente, e si riempie d'in- finito diletto ». E veramente' quest'inno è tale poe- sia e splende di tale magnificenza, che io penso po- ter meglio compararsi cogl'inni dei greci, che con alcun altro de' latini o degli italiani. E basti che nell'appendice al libro degli scrittori del trecento del Perticari, Vincenzo Monti potè dire di quell'in- no a Giove, che egli quasi lo alzava sopra quello del cireneo. Ne meno filosofico è il carattere del canto, in cui egli festeggia al venire del Canova in Bologna, intorno al quale mi fia assai pure reg-istra- re le parole , che ne pubblicò Pietro Giordani: « Egli raccontando la visione (che il poeta finge es- (i) Cenni intorno la vita e le opere di Paolo Costa. Bolo- gna iSSy. 324 Letteratura sere da Psiche recato al tempio della Memoria, e veder ivi ritratte in marmo le opere del sommo scultore), cosi ci rappresenta i sembianti e le pas- sioni figurate dal Canova, cosi ci commove ad am- mirazione, a tenerezza, a pietà; ci fa dolere, trema- re, venerare, che alcuno direbbe non essersi invano da lui invocato al suo cantare il genio di Ariosto ». E quando la Francia rese all'Italia le mal tolte ope- re degli antichi pennelli e scarpelli, per le quali ora principalmente Roma molto aggiunge alla prisca sua maestà, il Costa fé suonare un canto sublime veramente: e questo fu il canto del Laocoonte, tanto più stupendo, quanto più vi erano difficolta a supe- rare. Le quali chi ben voglia conoscere e ponderare, non ha che a leggere la lettera, che egli vi premise indiritta a Giovanni Marchetti degno giudice e mae- stro di siffatte cose. E che egli sia tale, tei mostrano le odi di Anacreonte, che a prova col Costa tradus- se; onde poi l'Italia fu lieta di vedere per l'opera di questi due il greco poeta vestire italiche forme , non meno belle e aggraziate delle native. Ventidue, dice il Mordani (1), sono le odi volgarizzate dal no- stro autore con maestria non piccola; e la quarta parve al eh. Salvator Betti incomparabile versione, anzi la più bella e perfetta cosa, che abbiano dettato le grazie italiane a concorrenza di ben tradurre le greche. E che avrassi a dire della traduzione della Batracomiomachia d'Omero, condotta in politissimi versi ? de del volgu'izzamento del libro decimo delle metamorfosi d' Ovidio sì forbitamente verseg- (i) Vedi la Biografìa ùi Paolo Costa brevemente descritta da Filippo Mordani. Ravenna iSoy. Elogio di P. Costa 325 giato, da fronteggiare i migliori traJultori', Caro, Monti e Marchetti ? Trapasso il canto in sesta rima, cui die subbietto Amore, titolo la felicita coniugale: in cui egli ritrasse al vivo le dolcezze d' una vita menata lungi dall'accorgere e dall' invidiar delle genti, in seno della sua compagna contessa Giuditta Milzetti, che egli in età di ventesei anni e non più si tolse a moglie, e dalla quale non ebbe consola- zione di figliuoli. Trapasso altre belle e nitide poe- sie, le quali per la brevità loro non posso qui ad una noverare, tanto più che troppo altro mi rimane a dire. Ma perchè io giudico la commedia e la tra- gedia, comunque dettate senza numeri poetici, do- versi avere fra le opere di poesia, non posso tener- mi dal favellare di alcuni componimenti di tal ge- nere pubblicati dal Costa. Trafiggeva l'anima a que- sto eccellente scrittore vedere il teatro italiano ab- bassarsi tuttodì, e andarsi a perdere in amorazzi, in racconti immorali, i quali o tirano gli animi a giu- dicare la virtù cosa inaccessibile, o ti portano sotto gli occhi ogni guisa di malvagità (scuola nefanda agli spettatori ), o infine ridestano pericolose pas- sioni, e sono a turpitudine dell'età nostra, ad eter- na vergogna dell'arte. E però coll'intendimento di muovere col suo esempio qualche potente ingegno, e ristorare i danni dell'età presente riformando il teatro, scrisse una commedia, cui disse La donna in- gegnosa^ nella quale punse la vanità dì coloro, che con brutte opere infangano la fama degli avi. Qui vedrai derisi e morsi Color, che le onorate opre degli avi Abbandonando, bruttano di fango Le già famose insegne 326 Letteratura In questa egli si tiene airimitazione del Goldoni, e mette bei caratteri, e vivezze e sali; ma siami con- sentito parlare schiettamente, il Costa non seppe evitare alcuni difetti di freddezza ed intreccio. Per- lochè la sua commedia se nel lato della purità della lingua avanza il Goldoni , nella parte drammatica troppo è lontana da quel sommo esemplare. E così Properzia de'Rossi, tragedia in prosa, per pulitezza e fiori di stile, di che ride per ogni dove, non basta a conseguire quel pieno effetto, che solo nasce dal forte scuotimento degli animi ; e pare a me che nella catastrofe non risveglino quel terrore, quel tre- mito di cuore negli ascoltanti, che al dire di Ari- stotile è il fine principalissimo dell'azione tragica. Recò anche in eleganti versi la tragedia il Don Carlo dello Schiller: ma o sia, che ciò che è bello in una nazione in fatto di rappresentazioni e di efifetto tea- trale, non è bello egualmente nelle altre, ossia (ciò che meglio mi pare) che i grandi poeti non con- sentono passare di una in altra favella (come av- viene della Divina Commedia, la quale non è piii dessa se o al latino o al francese o in altra lingua la rechi), fatto è che il Don Carlo verseggiato dal Costa non ha quell'efficacia, quel movimento di pas- sione, che trovi nello Schiller, e rimane languido e freddo, anziché no. Non intendo io con questo di scemare alcuna lode del Costa, perocché come bello scrittore adempì ogni officio anche in queste opere; ne voglio pretendere che il mio giudizio sia un ca- none, ma solo mi piace esporre una opinione, alla quale prontamente rinunzierei volentieri, quand' al- tri giungesse a farmi sentire il contrario. Ne perchè io non do corona di grande drammatico al Costa, pensi alcuno che io meno pregi l'altezza dell'ingegno Elogio di P. Costa 327 suo; perchè il non riuscire in una cosa, ove si parli dì un grande scrittore, non è mancare d'ingegno, ma averlo ad altre cose disposto. E egli 1' Alfieri nelle commedie e negli altri generi da lui tentati sempre quel magnifico e terribile, che nelle trage- die lo scorgi ? Certo che no: non per questo , egl è grande; e tal penso io del Costa. Ben sommo egl fu ne'sermoni satirici , e forse non erro dal vero se affermo, che ove egli a tal genere si fosse iute ramente dedicato, o il Gozzi non sarebbe ora solo, o non sarebbe primo. Infatti il sermone indiritto al Roverella, con che l'autore fa preambolo alla Don- na ingegnosa, nel quale rende conto di se, de'suoi studi , della sua vita e del suo desiderio di avere seggio fra l'Aretino e il Goldoni, e l'altro a Cesare Mattei contro alcune false opinioni cjrca i progressi che fa nel bene l'umana generazione, sono due veri gioielli di Parnaso. Ma più preziosi ancora sono quel- li, che dettò intorno la poetica, de'quali siami ora permesso tenere men breve discorso. L' operetta , dice il eh. marchese Biondi (dalle parole del quale mi è bello prendere le mosse), piccola per mole, ma grande per le utili cose che in se contiene, è divisa in quattro sermoni. Nel primo si parla della poesia in generale; nel secondo della poesia pastorale, del- la lirica e della satira; nel tei'zo della tragedia e della commedia; nel quarto della poesia epica. Vero e che in questo libretto nulla o poco di nuovo ri- trovasi in fatto di precetti; poiché dopo Aristotile, Fiacco, Tasso, Boile-au, Menzini, Zanotti e tanti al- tri, che dettarono ne'tempi andati savi precetti in- torno l'arte poetica, non sarebbe stato agevole cosa trovar novità: e però sul far del principio del pri- mo sermone egli dichiara, che le leggi da lui det- tate sono quelle stesse 328 Letteratura Che il Tebro trionfale in dotti carmi, E a' dì più tardi udia la regal Senna. Ma perchè non vi abbia novità di soggetto, non me- no vi si pare per entro il solenne maestro. Concios- siacchè comunque vecchia sia la materia, nuova al tutto e la forma, e ride di tanta freschezza, che di se innamora ogni guisa di leggitori. Nel primo ser- mone, ove si tratta della poesia in generale, tu vedi ciò che occorra a riuscire grande poeta: come male sì affidi all'arduo volo, chi non ha penne da tanto; come si debba far ragione de'proprii omeri, e del peso a cui si sommettono; come a tutti sia dato e- gualmente trattare ogni argomento. Che agli anti- chi, le favelle de'quali erano ricche d'armonia, non fu mestieri usare per cagion di diletto la rima, la quale a noi tanto aggrada. La rima dover servire ai pensieri, dover esser facile e naturale. Doversi in- frenare la fantasia , e darne il freno alla ragione. Del pari la soverchia brevità e la diffusione doversi fuggire: la varietà ingenerare diletto e bellezza, la semplicità dover andare scevra da viltà, da gonfiez- za e da uscurità i sublimi concetti. Il ritmo doversi adoperare conveniente al subbietto. Discorre quindi le glorie dell'italica poesia; mostra cagioni onde i poeti del secolo decimosettimo sì forte traviarono. La sapienza esser fonte di buon poetare: di là solo buona e perenne vena. La filosofia discoprire e ciò che noccia, e ciò che giovi: alla filosofia doversi man- dare congiunto lo studio della propria favella. Po- tere molto l'arte aggiunta all'ingegno: ne l'ingegno senz'arte , ne l'arte senza ingegno bastare. Doversi usare severità nel giudicare delie cose da noi scrit- Elogio di P. Costk 529 te: ricorrere agli amici schietti e veggenti, e seguir- ne i consigli. La stolta vanita de'poetastri togliere presso il volgo buona fama ai poeti di polso; tanto al mondo é infinita la schiera degli sciocchi. Il secondo sermone é tutto in parlare della pa- storale, della lirica e della satira, come é detto. Il poeta buccolico dover imitare piìi che altro l'aurea semplicità della natura, ed avere un canto soave co- me l'innocenza. Non però la semplicità dovere tor- nare in rustichezza: il bello della semplice natura, non il deforme doversi prendere a ritrarre, cosic- ché n'esca un canto senza viltà e senza fasto. Dal- la pastorale scende a ragionare dell'elegia, dall'ele- gia all'ode e alla canzone, italiana. E qui dichiara come vi é ancora per noi un lauro, i cui rami so- no quasi intatti; ed esaminando i lirici, mostra che il Filicaia è talor vano declamatore, che il Ghia- brera non tiene nel piìi a Pindaro, che nella for- ma delle odi: e ove pure ha spiriti da lui, non lo sostengono, si che al fine non cada a mortali ca- dute. Il Guidi dai cento suoi baldanzosi cavalli es- sere tratto sovente ad urtar nella meta : il Testi, che forse aveva, per dir cosi, anima veramente li- rica, perdersi di sovente fra le follie del suo secolo. Gosì il Gosta inforno la poesia lirica. Ma, con buo- na pace di tanto scrittore, dichiarerò a troppo se- vero giudizio aver egli chiamato i nominati poeti, e avere, non so perchè, cessati i nomi di molti che possono meritare a schietta lode. Infatto se i nomi del Monti e del Leopardi come troppo recenti non voleva egli registrare, perchè tacere quello di Tor- quato Tasso, di cui forse non vanta lirico piìi subli- me il secolo decimosesto? Perchè cessare quello del Parinl , che da vena al tutto venosina trasse le G.A.T.LXXV1II. 22 330 Lettera tura sue odi subblimemente morali e politiche ? Forse il Guidiccioni, ii Majifredi , il Zanetti non ebbero merito a nome di lirici ? Sei veggano i saggi: che io qui non fo che esporre l'avviso mio, e seguo a dire della poetica del nostro Costa. Il quale passan- do a favellare dall'epigramma alla satira, e tessen- do di questa la storia, e i nomi e i caratteri dc'mi- gliori fra i greci, latini e italiani satirici registran- do, è dispensiero or di biasimo, or di lode gravissi- ma. La tragedia e la commedia danno materia al terzo sermone, ed è maravigiioso il vedere come nel giro di pochi versi con profondila e chiarezza somma tocchi fondo a questioni gravissime, obbiet- ti, risponda, confuti, trionfi, e fermi i pili lumino- si ed utili principii. Accennata la storia della tra- gedia da Eschilo a noi, dice che per gli scrittori di tragedie vi ha ancora luogo a tentare di cose nuo- ve. E invero a me pure è sempre paruto che fra la terribile asperità dell'astigiano e la voluttuosa mol- lezza del Metastasio sia una strada non ancora bat- tuta, e forse forse non difficilissima a percorrere con onore. Se non che mala ventura ha porlato fin qui i nostri scrittori alla servilità dell'im tazione, quando de'greci, quando degli stranieri, quando del maggior tragedo italiano, cosicché essi hanno volu- to rimanersi imitando inferiori di gran lunga ai loro esemplari, anziché discostandosi da quelli, far- di ragione a titolo di tragici originali. La questio- ne &\ì\[e, unità è poi si bene trattata dal Costa in po- chi versi, che meglio non si potrebbe in lungo trat- tato. Alla poesia epica, come alla pili nobile e princi- pale delle altre, è dato intero il quarto sermone, nel quale si parla delle qualità piìi necessarie a poeta Elogio di P. Costa 331 epico, specialmente a' dì nostri, e tleiruso che può farsi ancora utilmente della mitologia. Le quali co- se sebbene erano in gran parte state esposte in bei ragionamenti dalla divina penna di Torquato Tasso, ov'egli disputa intorno il poema eroico, non era stata però fin qui persona che avesse dato loro ve- ste poetica, e le avesse presentate ai giovinetti in modo che non sapessero della grettezza, che recano sovente agli occhi de'giovani le meditate questioni e le regole delle arti. Quale debba essere il subbiet- to dell'epopea, quali e come comporsi gli episodi, come la stessa favola debba avere in tutto faccia di verità, debba essere una (perchè belle membra di- scordi fra loro non possono commettersi a modo da formare un bel corpo), e simili altre cose si leggo- no in questa poetica, dette con grazia ed evidenza che non ha pari, e colla maggiore nitidezza di elo- cuzione. Chiude il sermone col dichiarare diversità grande, che vi ha fra l'elocuzione conveniente alla lirica, e quella conveniente alla poesia epica: e reca in mezzo le stesse osservazioni, che faceva l'immor- tale Torquato, le quali poco sembrano fin qui stu- diate, pochissimo osservate dai moderni poeti. Se io dirò che questo canto simile al canto de'cigni fu uno de'più soavi, che da gran tempo consolassero le orecchie italiane, non dirò che il vero: e bene sarà gran mercè se la lettura e lo studio della poetica del Costa si appaiera a quella del venosino nelle scuole, ove ancora regna qualche spirito di gloria nazionale. Ma tempo è ornai di venire consideran- do Paolo Costa quale egli ci si mostra nel novero de* filosofi. III. Se filosofo è chi cerca di mettere amore della sapienza in altri, dimostrando savie ed utili 332 Letteratura dottrine, mi penso che non vi sarà certo persona, che neghi il titolo di filosofo al Costa, e credo che il solo Discorso sulla sìntesi e sult analisi^ il qua- le al dire del eh- Gamba, mette in sì chiara intel- ligenza teorie di scienza astrusa-^ che non solo in- segna , ma tosto si conosce essere verità ciò che insegna; basta a dargli sì onorevole nome. Concios- siachè in questo discorso, emendando alcune dottri- ne del Gondillac, prova all'evidenza cose le quali prima parevano incompatibili: l'analisi non essere che una scomposizione d'idee, composizione la sin- tesi: e come questi non sono due metodi fra se con- trari, ma tutti e due buoni alla ricerca del vero. Che se alcuno vorrà dirmi, poco o nulla avere il Costa scoperto di nuovo, o avere aggiunto al patrimonio della scienza psicologica, che già non fosse accennato o intravveduto da Loke e da Condillac, io in pri- ma risponderò che in queste cose mi pare ben poco o nulla potersi aggiungere» ed oserei dire, la scien- za psicologica essere fra le pochissime umane di- scipline che non ammettono progresso, perchè in essa la prova de'fatti per difetto de'sensi non può il piti delle volte da ipotesi tornare a tesi , come nelle scienze fisiche avviene. Infatti da Platone e da Aristotile che nuova verità si è egli trovata , che prima non fosse conosciuta .'' I due grandi princi- pii di que'fiiosofi , il primo de'quali insegnava, che l'anima veniva al carcere ilei corpo improntata da molte idee, che furono da lui dette innate; il se- condo dimostrava, che tutto che dalla mente umana si percepiva, era per lo ministerio de'sensi, e per la forza di riflessione, sono quelli che ventilati in mille modi giunsero poscia, ora con varie modifica- zioni, ora con aggiunte, insino a noi. Loke e Condii- Elogio di P. Costa 333 lac sono rimasti con Aristotile, Cartesio e Leibnizio con Piatone, e nulla piìi si è saputo. Vero è die al- cuni hanno cercato (lell'una e deli'aitra ipotesi trar- re parte, e parte rigettare, e delle parti raccolte una nuova scuola fonnire: ma pur essa sempre in ipotesi rimanendosi, nulla ha di certo, a parer mio, più che le altre. Che se non fosse in me sovercìiio ardi- mento , e qtiasi oltracotanza , tenterei dimostrare Platone ed Aristotile non avere forse inteso che una cosa sola; e Tunica differenza tra loro essere, che il primo usò il mistico linguaggio della poesia, l'altro l'esatto della dialettica. Infatti quel dire che r anima entra nel corpo con idee già improntate, non potrebb' esser egli un significare per figura , che quelle idee sono le prime per lo ministero del corpo ad esserle recate innanzi, sì che nulla pos- savi ostare ? Ognun sa che Platone parla sempre nella guisa de' poeti, Aristotile nella forma dei dia- lettici ; e che 1' un linguaggio dista dall' altro co- me la metafora dalla parola propria. E valga il vero, Platone, seguendo le dottrine di Pittagora, insegna che l'anima entra nel corpo con tutte le idee e le nozioni , ma che la materia che indi la circonda si le oscuri, che non basti a rischiararle senza stu- dio e cotemplazione. Ora questo avere in se idee e nozioni, che senza studio e contemplazione non le valgono, che altro importerebbe, che avere in se la forza di creare le idee al movere della sensazione, o all' atto della riflessione, come dicono Aristotile e Loke .'' E nello studio de' platonici perchè non potria ravvisarsi l'attenzione, che dee porre l'ani- ma alle sensazioni, onde avvertirle e tornarle po- scia in idee? Perchè non potrebbe dirsi, che colla contemplazione non avesse altro inteso Platone, che 334 LETTERATUn k ciò che Loke disse con altro nome riflessione? Que- sto però, che in me non è che un dubbio, potrebbe forse uscire a dimostrazione per l'opera di chi sa innanzi molto in queste cose, di cui io sono quasi digiuno. Ora che altro insegnano i moderni che non fosse detto da costoro ? Ma siccome , secondo queste (ine scuole, la platonica e l'aristotelica, ora lo spirilo è dipendente dai sensi nella formazion del- le idee , ora indipendente al tutto, n' è venuto in appresso che alcuni filosofi, non considerando bene che neir una e nell'altra ipotesi ai confini sta l'er- rore (poiché la mente umana cade necessariamente in errore , ove uscir voglia dai termini , cui al- ia bassa ragione nostra segnò la mano del Crea- tore) ne venne che dalla scuola dei platonici nac- quero presto ^Videalisti, dalla scuola d'Aristotile i sensualisti. E questo a' di nostri è pur nato: poiché i seguaci di Loke e di Condillac, volendo recar in- nanzi oltre il debito le indagini; la dove l'occhio del- la ragione non basta, quella del senso non giunge; precipitarono turpemente nel materialismo; i se- guaci di Cartesio e di Leibnizio dierono nell' idea- lismo , dottrine ambo pestifere , ambo detestabili dall' uom ragionevole. Ora perchè di tali travia- menti non solo l'umano ardimento, il quale si getta sempre contro al divieto, ma la incertezza de' par- lari de' filosofi era cagione; alcuni adoperarono a rettificare il linguaggio, e dopo questo si fecero a segnare il confine , a cui deve fermarsi 1' umano ingegno. Questi filosofi, pare a me, furono piìi sa- vi degli altri, comunque nulla di nuovo, dall'or- dine in fuori e dalla chiarezza, alla scienza ideo- logica recassero: e fra questi mi è caro potere an- noverare Paolo Costa. Io qerd an- ni comporta e a cui aveva dato le cure delle sus- seguenti età\ ma la morte gli tolse di compire il suo desiderio, e il comune profitto. Conciossiachè ridotto a mal termine, ne avendo speranza di scampo, che col farsi estrarre col fer- ro la pietra che da molti anni il tormentava forte, si sommise al doloroso pericolo, mostrando anche in questo, come in altri casi della vita, non solo avere egli insegnato , ma ben per se apparato fi- losofia, ed essere veramente filosofo cristiano: con- ciossiachè bene acconciossi dell' anima , e fidando a Dio la salute di quella , commise al ferro la sa- nità del corpo. Ma era ne' decreti della provvi- denza , che egli dovesse uscire del mondo : e un' ora sola o poco piìi là dopo il taglio gli mancava la vita fra i conforti della ss. religione a lui pre- stali con carità dal p. Paolo Venturini , e fra il pianto della ben amata moglie e degli amici, che intorno al ietto si stavano , non so qual piìi , se dolenti del perderlo, o ammirati del vederlo pas- Elogio di P. Costa 339 sare in tanta tranquillità di pace. Il quale do- loroso compianto ben presto si stese per tutta Ita- lia, e tosto si videro non compri elogi dell'illustre defonto, e i fiori delle muse (1) onorargli il se- polcro. Fu di giusta statura (2); di membra robuste e nervose, di volto non bello, ma avente anche di ragguardevole, come può vedersi nell'effigie rimasa di lui. Bel parlatore e franco: facile all'ira egual- mente che alla pace; veneratore de'grandi ingegni, amatore de' giovani , sprezzatore degli scioli. Non fu argomento che trattato da lui non ricevesse abito di gentilezza e di eleganza; talché ( dice acconcia- mente il prof. Vaccolini ) (3) lodarlo si può cer- tamente , come altri lodò quel modesto discepolo di Platone Isocrate, che tutte le veneri parlando e scrivendo aveva con se. Fu in tale riverenza pres- so i contemporanei , che tutti i primi d'Italia si onorarono dell" amicizia sua, e fra questi princi- palmente il Monti e il Perticari. Il Gamba diede ad esempio un volume delle prose del Costa vi- vente, e vi premise una biografia assai bellamente scritta ^al coltissimo conte Antonio Papadopoli venezia^K la quale rende a maraviglia il carattere dell'illustre suo maestro - « Insegnava, dice egli, di maniera, che la profondità del ragionare non (r) Fra le poesie pubblicate in morte di Paolo Costa, bella per alti spiriti e vigore di poesia mi pare la terza rima del mar- chese Antonio Tenari stampata in Firenze nel iSSy. (2) Vedasi l'Elogio del Costa già citalo, scritto da Filippo Mordani. (3) Vedasi l'Elogio del Costa dellato dal eh. prof. Domeni- co Vaccolini. / 340 Letteratura pregiudicava alla chiarezza, e ciò instillava a* suoi discepoli quanto più potca no'suoi ragionamenti ». Fu ascritto alle principali e più rinomate accade- mie italiane , fra le quali è da nominare princi- palmente l'accademia della Crusca, che, volendolo a socio, intese rimeritarlo del molto cli'egli aveva fatto a prò della lingua, di cui ella è custode e mo- deratrice. Ebbe parte in molti giornali italiani, e specialmente nell'Arcadico. Corse varie fortune più de'tempi che sue: ebbe m.igistrature, e sedè ai ma- laugurati comizi di Lione. Tenne cattedra a Trevi- so, a Bologna, a Corfìi, e co'suoi scritti e cogli in- segnamenti si fece fama. Mancò il 21 dicembre 1836 in età di sessant' anni appena: (1) perdita gravis- sima e da piangersi , finché tra noi non sarà del tutto morto il sentimento del buono e del bello. G. Ignazio Montanari (i) Ho tolto queste parole all'Elogio di Paolo Costa scritto dairamico mio Ferdinando Ranalli. Elogio di P. Costa. 341 OPERE DI PAOLO COSTA, \. Sul Bardo della Selva Nera^ poema epi- co-Urico idei cav. Vincenzo Monti, osservazioni cri- tiche di Paolo Costa, membro del collegio eletto- rale dei possidenti. Uscirono queste prima nel Re- dattore del Reno, giornale che si stampava a Bo- logna, e vennero appresso ristampate in un libro di p. -^iS in 32, Bologna 1807, tipografia Marsigli, 2. Elogio di Michele Rosa. Rimino, 1813. 3. Dell'elocuzione, libro uno di Paolo Costa, Il Perticari scrisse un bellissimo articolo intorno questo libro inserito nel giornale arcadico quader- no II e III, febbraio e marzo 1819, ristampato ne* suoi opuscoli pubblicati in Lugo coi tipi di Vin- cenzo Melandri, 1823. 4. Negli opuscoli letterari t. 1, Bologna per Annesio Nobili 1818, dalle carte 52 alle 63, si tro- va un saggio di nuo\>a traduzione di Anacreonte di Paolo Costa e di Giovanni Marchetti, preceduto da alcune parole dei traduttori di confronto fra il volgarizzamento del Regnier ed il proprio. 5. // gran dizionario della lingua italiana, dal 1819 al 1826, in sette voi. in h. Di quest'opera fu uno dei principali e più benemeriti collaboratori. 6. La divina commedia di Dante Aligli eri con tavole in rame, Bologna 1819, per Gamberini e Parme ggiani, voi. 3 in 4- grande. Questa è la pri- ma edizione di Dante colle note del Costa: vi si trova la vita di Dante scritta da lui, V allerroria del poema del Marchetti, ed i conienti del Costa con alcune dichiarazioni di altri letterati. 7. Cenni sulla necessità dello studio della Un- 342 Letteratura gua italiana di C. P. C, voi. 1 ( 29 aprile 1 820). Sta nel N. V p. 65 delV Abbre\>iatore^ ossia appen- dice di tutti i giornali^ ec. Bologna tip. di Jac. Mar- sigli 1 820. É questo il paragone fra la traduzione antica di Livio e quella del Mabil^ ristampato pia volte in appresso. 8. Osservazioni di P. Costa intorno Vartic» I del giornale che ha per titolo il Novellatore o le Fanfaluche. Bologna , tip. Nubili e Comp. 1822. Ques€ opuscolo fu pubblicato ivi presso Romano Turchi. 9 Risposta di P. Costa alle brutte accuse da- tegli da Filalete nemico delle contese. Bologna presso R. Turchi. 1 0. Discorso sul filosofare degli antichi. È ri- cordato ne* cenni della vita del Costa, scritti dal eh. conte Antonio Papndopoli, e deve essere edito prima del 1825, in cui que' cenni furono stampati. 1 1 . Elogio del co. Giulio Perticari. Fu stampato innanzi le opere del Perticari edite a Lugo per Vinc. Melandri 1823 in 8. Fu recitato dal Costa air accademia dei felsinei nelV adunanza dei 1 6 di febbraio 1 823. \1. Nella nuova collezione di opuscoli lettera- ri, della quale fu uno dei principali compilatori il Costa (Bologna, tip. Marsigli 1824 dalle carte 273 alla 291), si legge una sua dissertazione epistolare alla eh. contessa Teresa Malvezzi che ha per ti- tolo: DelV analisi e della sintesi. 13. Nella stessa collezione, anno 1825 dalle carte 75 alla 90, è una dissertazione di lui, della quale si rileva l'argomento e lo scopo dalle se- guenti parole: « Nel giornale de* letterati, che si stampa Elogio di P. Costa 343 in Pisa, fu in quest'anno 1825 pubblicato un ar- ticolo che intende a confutare diverse proposizioni, colle quali io mi sono studiato di chiarire quel metodo, in virtù di cui V uomo acquista cognizioni vere: e V altro, del quale fa uso sovente per conosce- re se bene o mal fondate siano certe proposizioni, d'onde spesso prendono principio i ragionamenti. L'autore di quest' articolo, che nasconde il suo nome, mostra di essere uomo non solo di incita scienza ed erudizione fornito, ma della cortesia propria di coloro che senzira di parte cercano la verità; per la qual cosa io, che la verità so- lamente ho per fine, mi sono consigliato di ren- dergliene grazie pubblicamente. Lo ringrazio in prima perchè il suo contraddire farà prova a molti, che la materia da me trattata e di somma im^ portanza; e in secondo luogo, perchè egli mi porge occasione di significare pia estesamente e meglio che io non feci i miei pensamenti , e di correg- gere alcune espressioni che potevano indurre altrui in errore. Acciocché dunque le cose da me dette si facciano più chiare, dividero il mio discorso in due parti. Nella prima esporrò ad una ad una le proposizioni fondamentali della mia teorica , e le rafforzerò con prove novelle : nella seconda prenderò ad esame quelle proposizioni dell'ano- nimo, che a me non paiono secondo verità », 14. DelV elocuzione , di Paolo Costa libro uno, col discorso delV analisi e della sintesi. Bologna, Turchi Verdi e comp. in 8, 1824. La stessa. Venezia tipograf. Alvisopoli edita per cura del chiarissimo Gamba con altre ope- rette, che sono il Discorso delV analisi e della sin- tesi, l'Elogio del Perficari, e la novella di De- 344 Letteratura metrio di Modone. Queste cose sono precedute da alcune notizie delV autore scritte dal co. Anto- nio Papndopoli. La stessa^ con altri opuscoli sullo stile. Reg- gio, tip. di Pietro Fiaccadori in l'^, 1825. 1 5. La donna ingegnosa^ commedia di Paolo Costa con un epistola al sig. co. Gio. Antonio Roverella, Bologna^ tip. Turchi Veroli e comp. 1825 in 8. \ 6. Opere di Paolo Costa. Volume I. Bologna presso Turchi Feroli e comp.^ 1820. Questo primo volume contiene: Stanze per lo sperato arrivo di Antonio Cuiova in Bologna nel novembre 1809.-Za felicità coniug(de, sestine- Lino a Giove, pubbli- cato in Parma coi tipi bodoniani nel 1812 dalla rubiconia simpemenia, dove il Costa aveva nome di Timete Classense, in occasione delle nozze di Giulio Perticari e di Costanza Monti. - Lnno alla B. V. - Laocoonte , in terza rima, preceduto da lettera al co. Marchetti. - yolgarizzamento di un ode di Saffo. - Odi di Anacreonte volgarizzate. Sono opera del Costa e del Marchetti.- Volgariz- zamento della Batracomiomachia, in verso sciolto con discorso del traduttore. - Sonetti del fregio di una camera. - Elogio del conte Giulio Perti- cari. - Vita di Dante Alighieri. - Osservazioni e nuova interpretazione di un passo di Dante, del cav. Giusti. - Risposta di Paolo Costa. - Discorso nel quale si dichiarano due luoghi controversi del- la divina Commedia. - Alcune appendici alle note della prima cantica della divina Commedia di Dan- te Alighieri. - Demetrio di Modone , novella. - Voi. II. - Della sintesi e dell* analisi. - Dell' elocu- zione. - Discorsi morali. - Epistola , e la Donna ingegnosa, commedia. Elogio di P. Costa 345 i 7. // Don Carlo tratto dallo Schiller ^ rappre- sentazione tragica ( pubblicata però senza il con- senso del Costa ). 18. Properzia de"" Rossi, rappresentazione tra' gica. Bologna^ tip. Cardinali e Frulli., 1828. 19. Opere di Paolo Costa , edizione corretta ed arricchita di cose inedite., toni, l e II , Firenze^ stamperia di Francesco Cardinali i 829 e 1 830. Nel primo volume si contiene: Il libro della elocuzione con una appendice di esempi., pei azioni di antichità, insieme con tut- ti gli altri suoi scritti, monumenti ed averi, furono dal Winckelmann lasciati in eredita al card. Ales- sandro Albani con atto giuridico a'd'i 8 giugno 1768. Così quel sommo letterato volle mostrarsi ricono- scente verso l'amantissimo suo protettore, cui per più anni avea servito in qualità di bibliotecario , come egli stesso s'intitola nella sua Description des pierres gravées dii feu haron de Stoch ec. A Flo- rence 1760. Ignoro poi di che trattino quegli altri non pochi manoscritti accennati dal sig. Gazzera: ma so uni- camente, che non pochi a\tves\ sono quelli che man- cano in questa biblioteca; e che ora, scoperto il luo- go ove furono trasportati, sarebbe agevole il rico- noscerli, e provare ad evidenza che sono nostri, co- me ho fatto sin qui di tutti gli altri, de'quali ho potuto sapere l'autore o il titolo. Ed ecco pienamente dimostrato, come tutti que- sti codici descritti dal sig. Gazzera, e da lui trovati in Montpellier, sono una vera proprietà dell'eccel- lentissima casa Albani. Se io non ho potuto recarne G.A.T.LXXVIII. 24 362 Letteratura in prova ranlico indice di quesJa biblioteca, non ho molto a dolermi; poiché un indice manoscritto può essere in più modi alterato, contraffatto o intera-- mente supposto. Ma chi oserà credere, che sien ca- paci di corruzione gli autorevoli testimoni da me prodotti? Un principe romano, cjual fu TOdescalchi; un prelato, qual fu il Bottari; e tre altri insigni let- terati, il Winckelmann, il Serassi, l'Affò, tutti atte- stano ad alla voce e gridano con tante bocche, quan- te sono te copie de'Ioro libri stampati e diffusi per tutta l'Europa, che que manoscritti appartengono alla biblioteca Albani. Che poi la rapina di questi libri fatta in Ro- ma in que'trambusti repubblicani fosse violenta, e contro la volontà del legittimo possessore il princi- pe don Carlo Albani, è cosa qui a tutti nota. E però i vari compratori di essi si credettero in obbligo di restituirli al vero padrone. Anche la maestà di Fer- dinando IV re di Napoli, che ne acquistò una parte per la sua real biblioteca, quando gli fu fatto cono- scere che erano della casa Albani, rimandò in 19 cassoni 1127 opere, delle quali 188 manosv?ritte, e molte di piti volumi. Questo è im fatto pubblico : ma innumerabili sono i libri restituitici privata- mente. Sono 12 anni in circa, che un libraio di Lombardia, il quale nella prima invasione de'fran- cesi aveva qui comperato all'asta alcune rare edi- zioni del secolo XV pertinenti a questa biblioteca, ne potendo restituirle perchè le aveva già vendute, scrisse piìi volte al cardinale Giuseppe Albani di eh. memoria, che per quiete di sua coscienza volea darne un compenso. Il cardinale incaricò me a trat- tare questo negozio col libraio, da cui presto riebbi l'equivalente in un buon numero di ottimi libri. Fi- Trattato della dignità* 363 naimente , mentre sto scrivendo questi fogli , mi vengono consegnati tre preziosissimi manoscritti ori- ginali, affinchè io li rimetta nella biblioteca, ove erano prima dell'anno 1798. E perchè meglio se ne conosca il valure, siami c|uì permesso d'indicarne il frontespizio: 1." Il Linceo grafo ^ ove sono le regole de'lincei, i nomi degli accademici tutti scritti di mano propria, le informazioni segrete di quelli, che venivan proposti ec. 2.° Gasparis Sciopii Macchia- 'vellica^ opera autografa ed inedita. 3." Io. Mariae Lanci sii Ephemerides valetudinis ss. D. N. Clemen- tis XI. In somma quasi tutti hanno restituito. Non meno di dieci mila sono le opere o stampate o ma- noscritte, che o presto o tardi ci sono state rendale da chi ha sentito tutta la forza di quel grand' assio- ma: Res clamat ad dominum. Ma pe' manoscritti passati a Montpellier vi è anche una ragione di più, che milita a nostro fa- vore: ed è, che la loro mancanza rende qui imper- fetta la raccolta che abbiamo delle opere autogra- fe del Baldi, del Carli, de' lincei, della regina di Svezia, e specialmente del carteggio di Cassiano dal Pozzo disposto per ordine alfabetico. Quale scon- cio, che Vu4 debba stare in Francia, e il resto dell* alfabeto in Roma ! Un celebre letterato francese, il sig. Quatreniere de Qiiincy, fra le altre ragioni che adduceva in certe sue lettere stampate in Parigi nell'anno 1796 , per distogliere i suoi nazionali dallo smembrare le bi- blioteche e i musei d'Italia, era appunto « il pre- « giudizio che reca alle arti e alle scienze il rimuo- « vere i monumenti dal loro luogo » : ed osserva con molto senno, che trattandosi specialmente di 364 Letteratura raccolte, il dividere è lo stesso che distruggere (i ). Quelle sue lettere furono ristampate in Roma nel ■1815, ed ottennero il loro effetto. I monumenti tra- sportati in Francia furono restituiti alTItalia : ed anche la vaticana riebbe i suoi codici. Era poi trop- po giusto, che non solo il governo e i pubblici sta- bilimenti, ma sopra ogni altro le famiglie private racquistassero il perduto : poiché a'privali è più grave il danno d'uno spoglio, non avendo essi, co- me ha un sovrano, il modo da ristorarlo; e però il loro diritto alle antiche proprietà fu sempre da ogni nazione come sacro ed inviolabile riconosciuto. Infatti la famiglia Albani senza alcuna difficoltà ot- tenne il decreto di riavere quanto nella invasione francese le fu involato. La villa ricuperò le sue scul- ture;; e la galleria i suoi dipinti. E perchè dunque non dovrà ancora la biblioteca riavere i suoi ma- noscritti.'^ Ne sì creda già, come potrebbe cadere in men- te di qualche straniero male informato, che questa biblioteca sia stata smembrata, o punto diminuita dopo la morte del cardinal Giuseppe Albani, e che al presente non abbia certo padrone. Vive ancora, la Dio mercè, e pieno di robusta salute S. E. il prin- cipe don Filippo Albani, a cui c(uesta biblioteca de- ve principalmente la ricuperazione di quasi tutti i suoi libri. JNè sono meno impegnati di lui gli eccel- lentissimi suoi nipoti, donna Antonietta Litta prin- cipessa Albani, e il conte Carlo di Gastelbarco suo (i) Lettres sur le préiudice qu'occasionneroint aux arts et à la science le dépl;icenient des nionumens ec. Lelt. 3, pag. 25. Vous le savez irop bien, man ami, que diviser c'est déUiiire. Trattato della dignità' 365 sposo, ai quali, come a legittimi eredi, egli ha ce- duto il possesso di questa libreria e degli altri beni fedecommessi. Questi generosi signori, che attual- mente spendono molto denai'o per ristorare la cele- bre villa suburLana, hanno dato anche gli ordini opportuni per migliorare ed accrescere la biblio- teca. E tutti aspettiamo di poterla nuovamente ar- ricchire degli antichi suoi manoscritti ora trovati in Montpellier; del che non ci fa dubitare la conosciu- ta lealtà della nazione francese, che restituì all'Ita- lia ed alla famiglia Albani gli altri preziosi monu- menti. " ' Tito Cicconi Bibliotecario della Eccma casa Albani 366 VARIETÀ' Essendo pervenuta cortesemente ad alcuni compilatori di questo giornale la seguente lettera d'invito, ci affrettiamo di ripro- durla per intero a decoro delle scienze e delle arti' Chiarissimo Signore Jua fama ognor crescente delle riunioni annue, che i professori e cultori tedeschi delle scienze naturali sogliono tenere in una città della Germania per ciascun congresso diversa, invitandovi eziandio gli stranieri, venne in Italia viemaggiormente diffusa per un articolo relativo avidamente Ietto, non ha guari^nella Biblio- teca italiana ( t. 91, pag. 267 ). Il desiderio perciò di vedere una simile istituzione fra noi , desiderio che già in molti dei nostri scienziati allignava, si accrebbe in loro, e in non pochi altri si propagò di maniera, che ai voti nostri sonosi riuniti quelli di persone ripulatissime nelle suddette facoltà, le quali accennaro- no altrecì che la città di Pisa estimavano opportunissima a con- gregarvisi la prima volta colle semplicissime norme della Ger- mania, e quindi provvedere in quale altra città d'Italia potesse rinnovarsi la convocazione per l'anno avvenire. Se l'amore del luogo natio non rende sospetto il pensiero di alcuno tra i soscrittori al presente foglio, se il dritto veder de'nostri colleghi non può interpretarlo diversamente, ben ci «embra che si apponesse chi giudicava cloversJ incominciare "da Pisa. Perche questa città, che fiorisce nel centro della nostra pe- nisola m ogni maniera di studi, è pure assai vasta ed opportu- na ad albergare molti forcstier. di ogni grado, è amena , tran- quilla e r.cca d. musei; ed a perenne e scambievole onore della rehgmne, della filosofia e delle belle arti, mostra altera la torre da cu. si bene esplorava le n.araviglle del cielo il maggior de' filosofi naturali dato dalla Toscana alla conum patria. _ Se finora i principi della Ger.nania gareggiarono nell' offe- rire cospicue città de'lcro stati per cotali riunioni, cui piace ri- maner hbere nella scelta, come per esempio (senza ritornar mol- to indietro) abbiam veduto che S A. R. il granduca di Badea desiderasse di averla nell'amena Friburgo, dopo che la cesarea maestà dell imperatore d'Austria e re del regno lombardo vene- '" rf '°k'""'""' '''°''' "'^^' '"^^''^' ^^^'« B««-- . come b. M. Il re d. Wurtemberg alhergavala prima nella stessa Stoc- carda, e come in quest'anno S. A. il principe di Waldeck invi- tolla in Pirmonte, chi potrà dubitare che S. A. I R {] serenis- simo granduca di Toscana non sarà per godere assai di questo nostro invito nella sua dotta Pisa ? A ninno forse de-li scien z.au cui scriviamo giunge nuovo che l'A. S.I.R. piacesi di pos- sedere nella sua inestimabile biblioteca privata qualunque beli' opera che tratti di scienze naturali , e che le ama e le coltiva a segno, che la severa società reale di Londra, con raro esempio lo aggregava tra'suoi. ' Seguendo pertanto il consiglio di moIti,e l'approvazione di altri, ne d.scostandosi punto dalle pratiche tanto felici di Ger- mania, veniamo ad annunciare che nel bel mezzo delle ferie au- tunnali del corrente anno iSBg, dal dì primo al quindicesimo di ottobre inclusive, sarà aperto in Pisa il consesso dei professori e de, cultori delle scienze fisiche in Italia, comprese la medicina e 1 agricoltura si utili alla umanità. E ciò conseguentemente ci 'af- rettiamo di partecipare ai professori delle scienze suddette nel- Je vane università degli stati italiani , ai direttori degli studi ■ delle medesime, ai capi e direttori de'corpi del genio, degli or- ti botanici dei musei di storia naturale , ai lincei di Roma, ai membri dell I. R. istituto di" Milano, della R. accademia delle scienze di Torino, della società italiana di Modena, dell'istituto di Bologna , della R. accademia delle scienze di Napoli , della Gioenia di Catania, e dell'I, e R. de'georgofili di Firenze j noa 368 Varietà' senza darne anche contezza oltremonti ai capi delle più famose accademie, affinchè possano comunicarne la notizia ai rispetta- bili soci, che tra noi saranno meritamente accolti, esibendo i lo- re respettivi diplomi. E' superfluo il trattenersi qui sul vantaggio che può deri- vare dal commercio delle peculiarie idee dirette in ispecie al perfezionamento delle arti: poiché voi, chiarissimo signore, siete persuaso che questo mezzo è uno de' più efficaci a diffondere utili cognizioni, ed a conseguire sì nobile scopo. Al cattedratico italiano, seniore ti'a'presenti in Pisa ne! pri- mo giorno di ottobre, toccherà aprire l'adunanza, della quale sederà reggitore in tutta la sua durata ; ed il segretario sarà scelto di suo genio tra i professori della università di Pisa. L'as- semblea generale si dividerà il secondo giorno in quante sezio- ni verranno suggerite dal riscontro delle diverse branche scien- tifiche, coltivate dagli intervenuti; ed i membri di ciascuna sezio- ne sceglieranno a loro stessi un presidente ed un segretario ita- liano. L'assemblea generale medesima deciderà nel settimo gior- no come e dove sarà per adunarsi nell'anno futuro. Al cominciare del mese di agosto si spediranno nuove lette- re circolari, dalle quali verranno indicati i provvedimenti locali, non meno per gli alloggi che per tutto ciò che risguardar possa la comoda, lieta e pacifica dimora di tutti coloro che si compia- ceranno d'intervenire. Firenze 28 marzo i83g. Principe Carlo L. Bonaparte. Cav. Vincenzo Anlinori, direttore dell'I. R. mu- seo di fisica e storia naturale di Firenze. Cav. Gio. Battista Amici, astronomo di S.A.I.eR. il granduca di Toscana. Cav. Gaetano Giorgini , provveditore generale dell'I, e R. università di Pisa. Dottor Paolo Savi , professore di storia naturale nell'I- e R. università di Pisa. Dottor Maurizio Bufalini, professore di chimica e medicina nell'I. R. arcispedale di Firenze. Varietà' 369 In morte del marchese Giuseppe yliitìnori di Perugia, chiarissi- mo letterato, e collaboratore di questo giornale. SONETTO P . ,. , . ,. . X an a età, pan di sensi, e pan Nel desio che vagheggia il raro e il bello> Per entrambi parea che gli anni avari Ad un tempo dischiuso avrian l'avello. Tu cadi: e lasci fra singulti amari La sposa e i figli nel si lieto ostello : Ma le spalle rivolgi anco agl'ignari Geni arroganti del saver novello. Felice te ! non ancor vinta e guasta Plora sul sasso tuo la patria amante.- E tu sfuggi al destin che a noi sovrasta. Che del bel non vedrai spegner le sante Faci; né druda divenir la casta DoDna, che nutricò Torquato e Dante. Giovanni Rosini Una notte di Dante, cantica di Giovanni Marcite tti. Terza edizió- ne, 8. Firenze presso Paolo Fumagalli iS3g.(Sono carte 26.) Xl chiarissimo poeta ha introdotto in questa cantica il grande Alighieri che giunge ospite al monastero dell' Avellana. Ivi egli trova un vecchio ìuonaco degli Angelini , che gli narra le terri- bili sciagure della sua famiglia, vittima delle vendette ghibelli- ne." e poco appresso interviene Castruccio Castracene a richie- derlo di consiglio nelle alte imprese che già si maturavano nella mente di quel guerriero. La poesia del conte Marchetti non ha bisogno delle nostre lodi, essa che ha quelle di quanti sono in Italia conoscitori della soavità, della nobiltà, dell'eleganza, della magnificenza. Di- remo solo, che specialmente il canto secondo (di quattro si com- pone il poema ) ci par cosa tale, che 1' Alighieri non lo rifiute- rebbe per suo: e che in esso potranno bene apprendere il modo di trattare classicamente i fatti de'bassi tempi coloro, che non hanno più arima che per l'amore de'secoli della ferocia, dell'ignoranza, della barbarie. S. B. 370 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO LXXVII, VOLUMI 232, 233, 234 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Tortolinì, Quadratura dell'ellissoide a tre assi ineguali. . . , . . . pag. 1 S' G., Cognizioni intorno alla virtù de' pesci elet- trici prima del galvanismo ec. . . « 22 Zantedeschi, Ricerche sul termo elettricismo di- namico ec. . . . . . « 41 Sorgoni, Sulla lenta angioite predominante nelle cerebrali . . . . , . « 1 2 1 Serriótori, Bibliografia statistica degli stati pon- tificii ed estensi . . . . . « 1 50 Collezione di voli medico-legali . . « 155 Massari, Saggio istorico sulle pestilenze di Pe- rugia . . . . . . . « 175 Cappello, Discorso sopra un parziale avvallamen- to ec. . . . • . . « 189 Tonelli, Nota all'opera del doti. Ferrarese sulla dottrina frenologica . . . . « 1 94 sii LETTERATURA Astolf,, Focaholarìo di patrio dialetto, . pag. 49 Ciampolini, Prose e poesie . . . ce 5^9 Cardinali, Cenni intorno ad opere biografiche. « 62 Biografie e ritratti d'illustri siciliani morti di colera nel 1837 - . . ce Parini, Compendio di storia romana. . « 94 Strocchi, 3Iemorie sul duomo di Faenza . « 98 Brunati, Antica stauroteca istoriata {con rame).« 22S Dissertazioni della pontificia accademia roma- na di archeologia, tomo Vili. . « 259 Montanari, Elogio di Paolo Costa . . « 314 Tasso, Trattato della dignità ed altri inediti scritti pubblicati dal Cazzerà . . , 349 Farietà. Tavole meteorologiche. ERRATA CORRIGE Pag. 185Jin. 34 obllgato 234 238 239 249 257 1 nessuno 15 MGGXLV la nota al il. 1 la nota al n. 2 la nota al ti. 1 la nota al n. 2 la nota al n. 3 la nota al n. 4 4 di creduta e spei'ala eterna vita obliato . . . nessuna. . . . MGGXGV. va posta al n. 2. va posta al n. 1. va posta al n. 2. va posta al n- 1. va posta al n. 4. va posta al n. 3. di eterna vita» NIHIL OBSTAT E Jacopini Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr, Dom. Buttaonl O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Palriarcha Antioclienus Vicesg. Osservazioni Meteorologiche j( Collegio Romano )( Febhraro iSòg. 'e tri o Ore O mat. I SI- ser. mat. a 8'- Ser. mat. 3 gì- ser. 4 mal. ser. mat. 5 g^- ser. , 6 mat. gì- ser. 7 mat. 8 ser. mat. gi- ser. mal. 9 gi- 1 ser. gì- ser. i3 14 i5 mot. g^- ser. mat. gi- Baromet. „ 6 7 .. 9 3 28 ser. mat. gì- ser. mat. gi- ser. „ 5 4 4 Term. esterno Termometro 4 5 4 5 5 5 a 5 4° 6 5 5 5 5 6 5 o 5 4 6 5 12 '4 IgroE 17 3 u 5 24 Vento » » ,1 f- NE d o e N. q. o NE N o NE q. O NE 7 I 2 o o S J Pioggia Evapor. 0 6 neve ~ gelato 1 0 1 3 1 gelalo 1 0 0 5 2 » 7 » 4 1 3 2 1 2 1 4 1 1 6 Stato del Cielo coperto nuv. sp. eli la ri ss. nuvoloso vap. nuv. sp. Z. ch.oriz.nuT. Clllaio chiari SS. nuT. sp. chiarissirno nuvoloso coperto chiarissipQ nuv. sp. cliiarissirao ser. vaporoso cliiarissimo ,, nuv. oriz. vaporoso chiarissimo chiariss. nuv. sp. chiariss. nuvoloso nessi »7 mat. 8'- ser. mat. S'- ser. »9 20 \mat. ser. mat. 8i- ter, mat. gì- ser. mat. g^- ser. mal. \g- ser. mat. ìgi- ser. I mat. g^- ser. mat. gi- Ser. a4 a5 26 28 mat. g'- ser. mat. gì- sor. mal. gi- ser. » 0 7 6 ,J II 0 27 1 I 7 0 » '• 3 7 2» 1 0 II „ 1 „ 0 9 » „ 8 » » 4 0 „ 1 2 „ 2 2 „ „ 7 I. 3 0 „ a 6 „ 4 5 " 1 7 „ 0 6 27 il 7 '2 „ q 3 „ 8 2 11 7 0 li 9 7 ,, 10 0 28 0 0 II „ 6 n ji 7 11 » >i „ i> 3 it " " Ter in. esterno o 7 1 1 8 7^^ IO 8 9 12 10 3 11 7 l'erra onietrol 'Dax. Iniin. I Igrom. 7 12 8 5 6 >'( _9 6 5 i5 9 ■5 i3 8 "6~5" 11 5 8 6 5 i5 5 6 5 6 5 14 i3 9 4 5 10 5 Veuto j pioggia E vapor SO d. J pio. mat, f. 2 li 00 1 p. p. I SO f S fm o. f. „ f. d l> m SE „ "ne~ "j. i> )' 0 0 N. d. 0 0 i> „ N SO m d 0 0 s d 55 4 7 pie. |)10. di raat- >- )< p. p so fmo NU m i 00 N. 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SCIENZE Sorgoni, Sulla lenta angioite predo- minante nelle vene cerebrali, pag. 121 Serristori, Bibliografìa statistica degli stali pontificii ed estensi. . • y, i5o Collezione di voti medico legali . „ i55 Massari^ Saggio istoricp^ulle pestilen- ze di Perugia ,, 17$ Cappello, Discorso sopra un parziale avvallamento ec ,. 189 Tonelli, Nota all'opera del dott. Fer- rarese sulla dottrina frenologica, „ 194 LETTERATURA Brunati , Antica stauroteca istoriata (con rame) ,228 Dissertazione della pontificia accade- mia romana di archeologia , tomo ^III ,....„ 259 Montanari, Elogio di Paolo Costa. „ 3 14 Tasso, Trattato della dignità ed altri inediti scritti pubblicali dal Gaz- zera ,, 349 Varietà. Tavole meteorologiclie. !i«P