\ \ ; 4- ^ -^"^ ^4-^e^c GIORNALE ARCADICO DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI y^ VOL. 235, 236, 237. :^, E> A :,: Il r": R,0 M A ^fKLLA 'TAMPKRlA DELLE UELLR ARTI 1839. ^^ / / (7 /, GIOUIXALE DI SCIErVZE LETTERE ED ART^ TOMO LXX?IX APRILE, MAGGIO E GIUGNO 1839. ROMA '«^ografia delle belle arti 1039 ^ ^ w ss..» t ■?/•. ,,f. ti % 'V? -jif r. .^a^;^»^^i!ft:i^-if9i>^/-iCt/ C^i>g^i?-f<^^<^P''t^^*i>^^^ (^O^^^tTìl'TWà^^^. ^ SCIENZE Di una nuova Lucertola che è in Francia» v-^lii sulle coste meridionali di Francia sbarcasse, vedrebbe avverata quell'antica sentenza, che più si curano le cose lontane delle vicine. Ne se ne ac- corgerebbe già per diligenti ricerche in parti re- condite e deserte di quelle spiagge; ma perfino sotto le mura della popolosa Marsiglia , donde trapas- sano tanti scienziati della non nien curiosa che dot- ta Francia. Ivi mi colpì subilo la vista una gra- ziosa lucertolina non descritta finora , la quale tanto pili mi affretto a far conoscere, quanto piìi mi lusingo che di tal lieve scoperta profittar possano i signori Dumèril e Bibron , che e' impromisero la descrizione di tutt' i rettili del mondo , giU molto inoltrata, e le lucertole propriamente van prepa- rando in questi giorni pe' torchi. Non potendomi dispensare dal richiamare le specie al sistema , che m' ingegno di perfezionare ogni giorno, stringfindolo somj)rc più alla natura, pongo questo rettile nella famiglia dei Lacerti di ^ e \q ascrivo al genere Psammodromiis^ del quale ve- W '4 Scienze niaci finora a notizia una specie sola, cioè la Ld^ certa Edwardsiana^ Dugès. Diverso reputo il Psam-' modramus Jaj genere Notopholis\ il quale io com- pongo di tre specie assai più vicine alle Lacerte clie ai Psammodromi, quantunque a primo aspetto li rassomiglino per una tal qual conformazione «li squame. I^e dette tre specie sono, 1.° \\ Notopholis J^it^/n!^f^''i J' Sirdegna figurato nella mia Icono- grafia. 2." JJJllgyroidf^s moreotica dei signori Bory de S\ Vincent e Bibron, ritratta anch'essa in detta upera, 3," U'ia P'ìi bella e ben piti grande specie dell'isola di Corfìi, che vidi soltanto nel ricco mu" seo di Ghatam in Inghilterra , e ad onta di mie ripetute inchieste desidero ancora di possedere. Quale è però la diiferenza fra il Psammodromus; e il mio IVotopholis? Rispondo brevissimo, che non facendo conto di quella delle scaglie dorsali, grandi, carenate ed embricate in ambedue i generi , basta bene a distinguerli il collare, che nel Psammodf'o- miis non vedesi, e la carena longitudinale, che esso ha sotto le dita, la quale non esiste affatto nel IYq- tophoUs^ i cui diti son lisci come nelle \cvel,acertae, })d questa varia conformazione degli organi loco-- motori tra i (lue generi nascono abitudini diverse; e perciò nella famiglia de' Lxcertidi propongo la i\\s\i\one f-WLiacertifii e dei Psammodromiiù' Ragio- no in vari articoli della mia Fauna sui lor carat- teri generali, il cui sunto può leggersi nella Sjno- psis del retùli d' Europa , che in tenue ringrazia- mento >o-^ aurihus iìiterme- diis rostro et axillis: temporibus scutidaiis : rima gidari continua sqiiamis maiuscuUs iecta.-. pedibus anticis ultra oculos vix productiìibUsi poris femo* ralibus mx conspicUis i cauda tota cylindracea^ sesquilongiore quant corporea Colla seguente diversa frase distinguerò poscia il PSAMMObROMUS ÉDAVARDSIANUS* Ps^MMODRoMu^ virens nigro macutatus tineii lUrinque duabus albidisi subtus cyaueo-matgariti-' 6 Scienze niis: capite grandi ; aurihus valde proximiorihus axillis quam rostro: temporibus squaniulosis: rima gulari infra similes squamas ad medium interruptaz pedibus anticis productilibus ultra nares: poris fe^ moralibus patentibus: cauda subquadrata ad basim^ duplo longiore quam corpore. Apparisce quindi bastantemente dalle due frasi suddette, non essere il solo colore che distingua i due Psammodromi, ma sì ancora il capo assai più piccolo , le zampe più brevi , la coda men pro- lungata nella nuova specie, che da tali caratteri pren- de un aspetto visibilmente diverso. Aggiungasi che in essa le squame temporali sono più grandi, e più dissimili tra loro, assumenti quasi l'aspetto di scu- detti: le piastre parietali minori: i fori auricolari collocati più innanzi: la fessura del sottogola più profonda e non interrotta, talché i bordi delle sca- glie che la ricuoprono disegnano, per così dire, un collare. L'esemplare che ho sotto gli occhi è lungo quat- tro pollici e tre linee dalla punta del muso all'e- stremità della coda: il suo capo è quattro linee e un quarto, il collo due linee e mezzo, il tronco un pol- lice una linea e un quarto, la coda due pollici e sette linee. Le zampe anteriori non misurano più di sei linee, le posteriori si prolungano poco più di nove. La celata del pileo è l'undecima parte di tutto il rettile, la quarta del tronco, la sesta del- la coda. Il capo è triangolare, oltusetto all'apice, e senza rilievo alcuno sulle tempie. L'apertura della bocca si protrae fin sotto il margine posteriore de- gli occhi. La piastra frontale si ristringe alquanto nella sommità: la occipitale è piccola e trapezoide: Nuova Lucertola 1 rinterparielale appena maggiore è un romboide al- quanto più regolare. I granellini esistenti fra il mar- gine del sopracciglio ed il disco palpebrale, sono quasi invisibili. La regione temporale è rivestita di squame grandicelle, irregolari di forme, e disuguali tra loro. Le piastre sottomascellari sono quattro per ciascuna banda. Nove o dieci squame parabo- liche, assai maggiori delle altre, formano una sorta di collare libero sovrapposto alla fessura golare. Distinta è la piega sottomascellare. Le squame del sottogola son piccole, numerose, non imbricate. Le lamelle addominali si dispongono in sei serie lon- gitudinali, le due medie delle quali son le più stret- te, le due laterali ad esse le più larghe : la for- ma però è trapezoidale in tutte. Contandosi circa trenta di tali lamelle in ciascuna fila, perciò il nu- mero loro complessivo è presso a poco di cento ot- tanta. Il triangolo pettorale, debolmente distinto , componesi di poche squame. La piastra preanale è grande, e la precede una doppia serie di squamet- te, il complesso delle quali costituisce una semiel- lissi. Le squame dorsali son grandi, lanceolate, rile- vantemente carenale; quelle però dei fianchi quasi lisce, e pressoché romboidali. Le squame della co- da, larghette, troncate, ben carenate, formano una settantina di verticilli chiaramente distinti , nel primo de' quali giungono da ventotto a trenta. I pori femorali, piccolissimi, e di quasi insensibil ri- lievo, son tredici. Gli arti son gracili, rotondetti, ci- lindrici; i posteriori più pingui: e quantunque il maschio gli abbia tulli più lunghi della femmina, tuttavia gli anteriori suoi, qualora si distendano , non oltrepassano gli occhi, e i posteriori giungono appena all'ascella. I diti scagliosi tutti, poco o nulla compressi , notabilmente carenati al di sotto, han piccolissime le unghie; ed il primo, secondo e terzo degli anteriori crescono gradatamente in lunghezza; il quarto è uguale al terzo; l'ultimo è poco più bre- ve del secondo: il quarto dei posteriori è lunghis- simo; dal quale decrescono gradatamente il terzoj il secondo ed il primo ; il quinto hon olli'epassa il secondo. La tinta generale di questo pìccolo rettile e un cenerino metallico, uniforme, sebben cangiante, al di sopra; bianco di madreperla al di sotto. Roma 10 aprile 1839. Carlo L. Bonapartb Principe di Musignano ■ni «f ^ ìfelV inclinazione delVasse della terra. Lezione di Michele Santarelli pf-ofessore e dottore nella Uni'dersith maceratése, 1. lì^e di molte infermità tanto acute quanto cr*onì^ che, infiammatorie o gastriche, la prima condizione morbosa è lo stato irritativo di quelle superficie del- l'uman corpo, che esercitano le loro funzioni per" opera di quel fluido ih cui siamo immersi; se que- st'opera ispesse volte dall'eccesso o difetto del ca- lore viene resa innormale; se quest'eccesso o difetto annualtnente e quotidianamente soggiace a varia- zioni, d'onde sorgono ì cosi detti morbi costituzio- nali^ e se delle Variazioni di temperatura dell'atmo* sfera e delle costituzioni morbose la nascita ed il ritorno debbonsi attribuire all'ineguaglianza de'gior- ni e delle notti; finalmente se di questa inegua- glianza rinclìnazione dell'asse terrestre è l'indub- bia cagione: non sarà alieno ai vostri studi ^ gio- vani ornatissimi, investigare la causa di tale incli- namento : giacche io vi abituai di buon'ora a non restringere i vostri sguardi intorno all'egra uma- nità, ma di estenderli su tutto il creato che la cir- conda (1). (i) Vedi la mia memoria suU' azione fisiologica dei con- h'ostimolaaii pubblicata dal Grocetti in Fabriano Iranno 1826; e l'altfa sull'azione controslimolante dell'ossigeno, pubblicata in questo giornale l'anno 1827,- e la terza sullo stato irritativo pre- cedente la febbre; dato pur qui rteiranno 1829. Vedi ancora le n..e ricerche sulla causa della lebbre perniciosa , messe in luce nell'anno 1808 dal Quercetti in Osimo. 10 Scienze 2. Il globo terraqueo non corre gik intorno al sole librato su due ali eguali, ma fortemente in- clinato corre nella sua orbita, come uomo che per soverchia brevità di una delle due gambe piegasse verso il suolo, su cui affretta i suoi passi. Que- sta inclinazione è si grande, che declina per una cjuarta parte della sua retta posizione verso il ter- reno: giacche l'inclinazione della terra verso il pia- no della sua orbita è di gradi 22 e minuti 30, cioè la quarta parte quasi di un angolo retto. Vedeste mai allorché l'agile nostra gioventù esercita le pro- prie forze nel lanciare in maggior distanza un di- sco, o sia una rotola, questa inclinarsi alcune fìate verso uno dei due lati, e progredir mantenendo V acquistato incurvamento? Così il nostro pianeta ra- pido fugge intorno al sole. Accordate che il mio discorso per un momento si abbassi, alHnchè io sia da lutti gli ascoltanti inleso. La terra pertanto, in- chinata sopra il piano della sua orbita, gira come se una mano la ritenesse in questa posizione: e per tale inclinazione si ottengono le diverse stagioni , che si succedono nel corso dell'anno. Senza questa obliquila una sola sarebbe la stagione e perpetua. 3. Ne questo incurvamento è proprio soltanto del nostro pianeta. Marte, pianeta superiore, soffre rinclinazione di 30 gradi sopra il piano della pro- pria orbita; e Giove, lontano dal sole maggiormen- te, ha il prop -o asse inclinato di soli 3 gradi. De- gli altri pianeti nulla si è potuto ancora stabilire sulla loro inclinazione. Ma la maggioranza della in- clinazione dell'asse di Marte e della Terra posta a confronto con quella di Giove, ci permettono di so- spettare che presso a poco le inclinazioni degli assi degli altri pianeti sopra i piani delle proprie or- Asse della Terra. ìA bite siano tanto più grandi, quanto più rimangono vicini al sole. E ciò era necessario: perchè le notti sono tanto più lunghe , o sia le occultazioni delle loro superficie dai raggi del sole, quanto maggiori sono le obliquità dei loro asse. Ora i corpi orga- nizzati, che abitano i pianeti molto vicini al sole, se fossero conformati alla maniera di quelli che vivono sulla superficie della terra, abbisognerebbe- ro di notti più lunghe, o sia di più prolungati ri- posi, quanto è maggiore la gagliardia dei detti rag- gi, la quale è sempre proporzionata alla vicinanza del maggior astro, o sia del sole. E queste suppo- sizioni ammesse. Giove lontano cotanto dal centro solare dovea soggiacere ad una piccola inclinazione, affine di essere costantemente e con minore ine- guaglianza riscaldato. 4. Ricercare adunque la causa dell' obliquità dell'asse terrestre, è lo stesso che prepararsi alla soluzione di molti altri problemi , il cui sciogli- mento potrà forse non riuscire inutile alla fioloso- fia. Avanziamoci adunque in tali ricerche. 5. Dissero e dicono ancora, che la terra cam- mina colla divisata obliquità, perchè con tale in- clinazione venne gettata nei campi dello spazio dal braccio dell'Eterno. Tutto ciò che esiste è effetto della prima cagione. Ricorrere immediatamente ad essa, è lo stesso che confessare la nostra ignoranza delle cagioni inter- medie. Aggiungerò di più, che quand'anche gettata fosse con tale inclinazione la terra, avrebbe dovuto a poco a poco da se stessa ricondursi retta sul pro- prio piano, ove niun' altra condizione vi si frap- ponesse, che quella della direzione: giacche così vo- gliono le leggi della meccanica; essendoché la forza 42 Scienze costante che Taltrae agirebbe con eguale energia \ù ambedue gli emisferi. Dobbiamo dunque rinvenire una causa permanente e costante, che ve la conser- vi se cos'i fu diretta, o che ve l'avrebbe condotta ove non vi fosse stata spinta. Ritorniamo all'esem-' pio del disco, e non disprezzate un tal paragone. Le umili cose indicano le leggi dei grandi fenomeni, perchè da queste con egual norma sono moderali i piccoli ed i grandi corpi. Galileo dal movimento di una lampada fu condotto a discoprire le leggi delle oscillazioni dei pendoli; e un pomo caduto da Un albero indicò al gran Newton la gravitazione uni- versale. 6. Se ad una delle facce di un disco di le- gna s'inserisca fissamente un pezzo di metallo, p. e* di piombo; gettato da lungi questo disco cammine- rà incurvalo, e non pili retto al piano che percorre* Cos\ tutto d'i vediamo avvenire, e così esige la leg- ge dei pesi: perchè in tal caso il centro di gravità non pili coincide col centro del disco. 7. Similmente se altro disco sia costretto non da legno omogeneo, ma meta da legno pili grave, cioè le due opposte sue facce risultino ciaschedunaj ab- benchè eguale di superficie, di disuguale materia rispetto al peso, esso camminerà abbassato verso l'a- spetto pili pesante. La ragione è la stessa della già pocanzi riferita. 8. Quello che ho detto di Un disco, si avvera anche di un globo. Mi servo del primo esempio , perchè è un fenomeno che tutto giorno si presenta ai nostri occhi. Sanno però bene i giuocatori del bigliardo , che se la palla non è omogenea, piega sempre verso uno dei suoi fianchi. 9. Applichiamo ora questa teoria al nostro pia- Asse della Terra. ^3 nela. Esso è diviso fiali' equatore in due emisferi, australe il primo, boreale il secondo. Ascendiamo col pensiero fuori di esso, ed immaginiamoci di fis- sare successivamente gli occhi su queste due super- ficie, come spesso li dirigiamo sulla luna, allorché è esposta al sole: e cerchiamo di conoscere se vi è uniformila, o differenza alcuna di apparenza nei due emisferi. Collochiamoci a conveniente distanza suU' asse prolungato dell'emisfero australe. Noi vedremo girare d'intorno a quest'asse il globo lerraqueo, e rappresentare ai nostri sguardi tutto il disco, che ad esso corrisponde. Or questo disco è quasi inte- ramente ricoperto di acqua. Una catena d'isole, l'in- sieme delle quali oggi chiamano Oceanica, poste fra loro a varie distanze, Io divide per mezzo parten- do dalla nuova Zelanda, e progredendo sino dirim- petto all'America meridionale, 10. Innalzando lo sguardo nel lembo superiore del disco, noi vediamo partire dal medesimo la ba- se di oscura piramide, la quale restringendosi giun- ge fino al grado 3'i di latitudine australe. Essa è quella porzione dell'Afifrica, che spetta al disco che miriamo. La menzionata base si estende in larghez- za mille ottocento miglia. ILA molta distanza dall'Affrica verso l'occaso, cioè a 2500 miglia, mirasi altro corpo oscuro, il qu£ile similmente dal lembo del disco, o sia dall'e- quatore, si dirige verso il polo, avente anch'esso la forma di regolar piramide. Questo corpo è l'Ameri- ca meridionale, largo nella base duemila quattrocen- to miglia, ed avente l'altezza di gradi cinquantacin- que: vale £i dire esso è quella parte del nuovo mon- do, che incomincia presso a poco dalle foci del fiu- me 8. L|Oreaz;o, e si prolunga fino alla Terra del fuo« 14 Scienze co. Merita poi la vostra attenzione considerare, che dai gradi cinquantacinque di latitudine fino al polo non esistono se non alcune isole, e che sì ampio spa- zio è ricoperto o dalle acque o dai geli. 12. Apparisce pertanto l'emisfero australe tut- to lucido e splendente , se alle acque accorderemo la facoltà di riflettere quali specchi la luce, oscu- rato soltanto dai due avanzamenti dell' antico e nuovo mondo ultimamente accennati, e dalle isole oceaniche. Non sarebbe mica arduo lavoro rinveni- re, per via di approssimazione, l'estensione delle su- perfipie degli uni e delle altre: ma io voglio sospen- dere presentemente la noia di questo calcolo. 13. Abbandoniamo ora questo polo, e traspor- tiamoci nell'opposto boreale, collocandoci a tale di- stanza da poterlo interamente riguardare. L'aspetto e ben diverso. Il disco non presenta un lucido spec- chio oscurato da macchie, come nell'antecedente ca- so. Una gran parte di esso non ]>iancheggia. Dalle coste della Cina fino a quelle della Francia, dell'O- landa, della Spagna e della maggior parte dell'Af- frica ec, ci si presenta un vasto continente che ha di lunghezza cento ottanta gradi. Dalle vicinanze del polo questo continente si estende prossimamente al- l'equatore. Esso costituisce l'Asia, l'Europa, e la mag- gior porzione dell'Affrica. Tre mari mediterranei ne interrompono la continuità, senza recare al pro- spetto importante turbamento. Attraversando poi il mare atlantico ci sì affaccia l'America settentrionale, la quale ha di latitudine ottanta gradi contando dall'equatore fin verso il polo, cioè quattromila ot- tocento miglia; e di latitudine gradi trentadue, cioè miglia due mila circa, ma di figura assai irregolare. Anche in questo disco esistono isole, abbcnchò con Asse della Terra 15 diverso ordine disposte, il Giappone, l'Inghilterra, rislanda, la Groelandia, la Cumberlandia, le Antil- le, tutte le isole appartenenti all'America setten~ trionale ec; le quali possono in parte contrapporsi alle isole che abbiamo rinvenute nel disco australe. 14. Ora a colui, che fisserà l'occhio dall'asse bo- reale su questo disco, sembrerà che sia esso diviso da quattro zone ineguali ed irregolari, le quali partendo dal suo centro han fine nella circonferenza. La prima amplissima, oscura, risultante dell'Asia, dell'Europa e dell'Afifrica settentrionale; la seconda, più ristretta e lucida, formata dal mare atlantico; la terza, oscura, risultante dall'America settentrionale; finalmente la quarta, lucida come la seconda ed amplissima, co- stituente il mar pacifico. Paragonando l'aspetto di questo disco all'antecedente risulta, esser esso ve- stito da maggior superficie terrestre del primo, mentre questo primo è coperto quasi totalmente dalle acque. Ma io non debbo rinserrarmi soltanto a viste di astronomica prospettiva. I geografi hanno raccolte le dimensioni delle superficie di tutti i re- gni del globo. La somma delle medesime presente- rebbe in due colonne la quantità appartenente alla prima, e la quantità spettante alla seconda. Questo calcolo riuscirebbe troppo noioso nel presente di- scorso. Contentiamoci dunque di ricordare quello, che asseriscono i moderni geografi. L'Asia presenta una superficie di miglia quadrate 6,564,792. L'Eu- ropa ne possiede 2, 049, 022. Queste due qiiantità riunite costituiscono miglia quadrate 8, 613, 814, che apppartengono al disco boreale. A questo me- desimo disco spettano la parte boreale dell' Afi'rica, e la parte boreale dell'America. Noi sappiamo che la superficie intiera dell'Affrica è di miglia quadra- ÌQ Scienze te 5,443, 972, e che di tale superficie due terzi si trovano impiantati nel disco boreale, ed un terzo nell'australe. Dunque alla somma sopraccennala del- le due superficie insieme riunite, Asia ed Europa, si debbono aggiungere miglia quadrate 3, 888, 972. L'A'^^rica poi in totalità ha una superficie della di- mensione di miglia quadrate 5, 858, 409; e di que- sta quantità due quinti competono al disco borea- le, cioè miglia quadrate 2, 343, 363 e y^; e tre ali* australe. Queste quantità per l'addizione somm.ano miglia quadrate 15,896, 149 per il disco boreale,. j5. Venendo al disco australe, e calcolandole due superficie, affricana l'una, americana l'altra, noi abbiamo per il terzo dell'Affrica in essa sporgente miglia quadrate 1, 855, 000. Per 1' A,merica poi 3,515, 045, le quali sommale, costituiscono un inte- ro montante a miglia quadrate 5, 370, 045. Or chi non vede, che la terra ferma nel disco boreale ha molto maggior superficie della terra fer- ma che fa parte del disco australe? E nel rapporto di 15, 896, 149, a 5, 370, 045, vale a dire nella re-- Jazione di circa 3 a 12. 16. Quanto alle isole dei due emisfèri , con-i veniamo^ che il totale delle isole australi è maggio- re, quanto *illa superficie, al totale delle isole del disco boreale. E largheggiando, in favore del primo disco, acconsentiremo che quelle isole presentino un eccesso di un mezzo milione di miglia. Malgrado di questo generoso compenso, il disco boreale pre- senterà una superficie terrestre piìi estesa dell'au- strale, vale a dire nella relazione di 15 a S^. Non crediamo per questo di aver rinvenuto l'ec- cesso del peso del primo sopra all'ultimo. Ulteriori indagini chiamano sopra di essi la nostra attenzione. Asse della Terra 17 17. Le superficie che abbiamo esaminate non sono piane, ma sporgenti in alto per mezzo di colli e di monti. Posano inoltre sopra basi , che giac- ciono sul fondo dei mari del globo terraqueo; i pesi dunque, che differenziano i due emisferi, non istanno fra loro nel semplice rapporto di dette superficie, ma in ragione delle masse, che ad esse debbono corrispondere. Come rinvenire la quantità di queste masse.? Il problema non può essere sciol- to che a meta e per approssimazione. 18. Esaminiamo prima la parte solida, che si solleva sopra le superficie, Essen do la superficie ter- restre del nostro globo un composto di colli e di monti che s'innalzano sopra il suo piano, noi pos- siamo riguardare questo composto come una col- lezione di coni riuniti in pili gruppi divisi fra lo- ro » e collocati a varie distanze. Supponiamo che una sola mela delle superficie summentovate si sol- levi in coni. Questa supposizione non può essere rifiutata da qualunque geografo. 19. Supponiamo che i più alti monti, e que- sti pochi di numero, s'innalzino a poco piìi di due miglia dal livello del mare. La totalità del restante delle montagne non sarà presunzione d'innalzarla ad un miglio di elevazione. I colli sono piìi o meno anche essi elevati. Accordiamo a tutti l'altezza di 30 metri. E considerando il complesso dei monti , e quello dei colli, diann) a tutte queste eminenze, Tuna per Taltra, 50 metri di altezza. Le cose così stabilite riduciamo la misura di miglia , a quella di metri, onde il calcolo ci si presenti con maggio- re evidenza. Si ottiene la misura cubica di un cono moltiplicando la base per il terzo della sua altez- za. Tutte le basi dei coni, che s'innalzano sopra la G.A.T.LXXVIX. 2 1 48 Scienze superficie della terra, sono eguali alla metà di que- sta superficie. Ora si avrebbe la misura di questi coni moltiplicando le loro basi per il terzo delle loro altezze, cioè per 16 ed un ^erzo; il prodotto sarebbe eguale alla massa della materia, che si sol- leva sopra la superficie della parte terrestre del "^lobo, ossia si avrebbe la misura cqbica di tutti ì colli e monti che si ergono sopra la superficie terrestre del globo, Un calcolo assai semplice fa ascendere questa misura per l' emisfero boreale a metri cubici 83, 462,295,000, e per l'australe a metri cubici 22,822, 687, 000. Ma il peso mediq d,ì un metro di terra e di libre 6000. Dunque moltiplicando le teste ottenute quantità per sei inila, ne risulterebbe che i monti e i cqlli riuniti insieme dell'emisfero boreale pe- serebbero libre 500, 773, 370, 000, 000; e per l'al- tra parte, che quelli dell'australe darebbero un pe- so di libre 136,936,122,000,000, Ma perchè la quantità della terra, che appartie- ne per le nostre ricerche a ciascheduno emisfero, sia determinata, è necessario che alle suddette quan- tità s'aggiunga quella che sottostà ai menzionati col- li; cioè quella che sollevandosi dal mare, viene a formare l'imn^ensa pianura dei continenti. Ora una tale quantità debbe essere eguale a questa superfi- cie moltiplicata per l'altezza, che dal fondo del ma- re la conduce a livello della sua superficie. Una mite supposizione, risultante dalla considerazione dell'altezza di tutte le coste marittime del globo, ci permette di concederle almeno tre metri di eleva- zione. Moltiplicando pertanto la superficie terrestre dei due emisferi ridotta a metri per tre, ottenia- Asse della Terra 19 mo la misura cubica della terra ferma dei due emisferi, la quale per 1' emisfero box*eale è di me- tri cubici 71, 532, 670, 500, e per l'australe dì metri cubici 24, 165, 202, 500; vale a dire il pri- mo peserà libre 429, 196, 023, 000, 000, ed il se- condo libre 144,991, 205, 000, 000. Sommando questi valori separatamente co' va- lori dei pesi dei coni e monti a ciascheduno emi- sfero appartenenti, si ritrova che la porzione ter- restre dell' emisfero boreale pesa libre 929, 969, 395, 000, 000. Quella poi spettante all'emisfero au- strale libre 281, 927, 327, 000, 000, cioè che la prima eccede la seconda di libre 648, 042, 068, 000, 000. 20. Io non ho voluto condurvi ad esercitare le stesse ricerche sulle rispettive isole dei due emis- feri, perchè le abbiamo supposte pressoché uguali, ed abbiamo accordate alle australi ampio compenso. Fin qui il problema sciolto con evidenza ha conse- guito risultati di rapporto molto soddisfacenti. Deb- bo però avvertire, che l'altezza dei colli e dei mon- ti è molto maggiore di quello che abbiamo suppo- sto , e che la profondità dei mari nelle coste è maggiore delle ipotesi da noi adottata. Ho voluto preferire questa frugalità per non offendere l'im- maginazione di chi mi ascolta. Voi però potete riem- pire questo vuoto da voi stessi. Ora due ulteriori elementi rimangono a considerare, i quali arrecano notabile differenza nei pesi dei due emisferi, 11 pri- mo è nei mari, il secondo si versa nella parte su- periore, e più vicina ai due poli. In quanto ai ma- ri ci assicurano tutti i viaggiatori, che la profon- dità dei mari australi è cos\ grande, che in mol- ti luoghi si sottrae alla misura dello scandaglio, e 30 Scienze tutti concorrono neiraffermare essere maggiore as-» sai di quella che appartiene ai mari deiremisfero boreale. Da^ì che ne risulla, che le acque dell'emis-r fero australe approfttndandqsi piìi verso il centro della terra di quello che è permesso alle acque dei mari boreali, esse occupano quello spazio che nel secondo è qccupato dalla terra. E poiché l'acqua è piti leggier.a^deiU terra nel rapporto di ui^o a due, ne consegue che anche per questa ragione l'emis- fertì australe è molto meno pesante del boreale. ì?1. Il secondo elemento ci viene presentalo dall'i^pexione, come io diceva, della parte superiore deiremisfero australe, cioè di quella che si avyi*^ cina al circolo polare. I geografi ed i navigatori testificano incontrarsi molto prim^ i geli in questo emisfero,, mentre nel nostro è più ristretto lo spa» zio da essi occupatq. Ed ecco una nuova diffcren-»- s^a di peso, perchè i geli pesano meno deli' acqi^a, e molto meno ancor della terra. 22, Per le cose fin qui detto l'emisfero boreale del globo lerraqueo deve pesar molto piìi: ed in, ve^ rilk pesa maggiormente dell'i^uslrale. Come avvie- ne poi che per questo eccesso di peso il suo ^ss« ottenga TincHnazione di gradi 22 e 30 minuti sul piano dell'orbita, e che a tale inclinazione si man? tenga costantemente obbligato ? Per risolvere que.-» sto problema nuove investigazioni vi si rendono necessarie. 23. Se la massa terrena, che forma 1' eccesso del peso di un emisfero sopra l'altro, fosse stata tutta raccolta d'intorno ad uno dei poli, il globo rivolgerebbe se stesso in modo, che il polo più pe- sante al centro di gravitazione generale,o sia al sole, più dell'altro si avvicinerebbe; e, ciò che è lo stesso. Asse della. TeiIra 21 discenJeréLbe nella parte inferiore e più vidina , trientre l'altro nella superióre e più lontana sarebbe costretto a salire. Cosi voi vedete dai mercatanti del vicino santuario di Loreto vendersi ai faiicitilli fra i molti giocolini un cilindro di leggero legnò avente alla base picciol disco di piombo, e cjuesto giodolino posto in qualsivoglia situazione dirizzarsi da se stes- so sopra la partie pesante che a baàso sempi*e si reca. Cosi antera la tròttola, o sia il p^i^oj vediamo girare intorno al proprio asse allorché dai fanciulli scherzosamente è gettata nel suolò. 24; Se pertanto nel polo boreale e nbl suoi con- torni avesse la natui'a radunato quell'eccesso di mas- sa che fin ad ora abbiamo ritrovato e mensilrato, il nostro pianéta rivolgerebbe questo polo verso il solej e si conserverebbe così rivolto costantemente. Girerebbe intorno al pi*oprio asse come la trotto^ laj ed Un solo emisfero sarebbe perpetuamente il^ luminato dallo splendore del sole. Còsi, credo io^ con questa legge la luna trascina se stessa intorno al nostro pianeta^ mostrandoglisi Sempre da un so- lo aspetto; di modo che ^e quel satellite nutrisce animali^ quelli che nella parte opposta hanno stan- za^ non solo non videro mai il globo terraqueoj ma ne ignorano l'esistenza. Ed avrete nuova ragione per* attribuire al globo lunare un emisfèro dell'opposto più pesante, Se ricorderete altissimi essere i monti rinvenuti in esso da Galileo^ e tanto da sorpassare ih elevazione le più alte nostre montagne- 25. Altrettanto dovrebbe avvenire al globo ter- raqueO) se invece di essere accumulata intorno al polo boreale immensa copia di terra^ i due emi- 22 S e I e N z E sferl fossero dotati ti' inei^ual peso e composti di materia l'una rispetto all'altra eterogenea, e ciò per la slessa legge. 26. Rimane dunque a supporsi una sola terza condizione, cioè che mentre i due emisferi sono di inegual peso, nella superficie di uno di essi, e a distanza media fra il polo e 1' equatore , sia slata radunata tanta quantità eccedente di materia, che lo costringa ad inchinarsi, ed a far si che il suo cir- colo maggiore pieghi parzialmente sopra la super- ficie del piano in cui cammina, vale a dire che il centro di gravità non coincida col centro della sfe- ra; il che è lo stesso come se una mano lo tenes- se inclinato, e non gli permettesse di librarsi e- gualmenle sul piano della propria orbita. 27. Ora da quanto già si disse di sopra risul- tò , che dalle coste del Giappone fino alle sponde delTAllanle, esi.ste un immenso continente, vale a di- re dalla Cina fino alle coste della Francia, Spa- gna ec, e che il mezzo di questo continente ha la sua sede d'intorno ai gradi 45 di latitudine nordi- ca; per lo che ognun comprende, che il globo ter- restre debbe essere da esso fatto declinare verso il proprio lato. Questa conseguenza rinverrà nuova con- ferma considerando, che immensa catena di monti dall'est all'ovest s'innalza in questo gran piano, cioè quelli della Tarlarla e dell'Armenia. Degno è di ri- flessione che i maggiori fiumi dell' Asia da questi monti discendono nell'Oceano quasi paralellì, e tut- ti colla direzione del nord al sud, l'Eufrate, il Ti- gri , l'Indo, il Gange , e nella Cina l'Hoang ed il Kiam: cosa veramente maravigliosa, perchè per essa è dimostrato che la parte piìi elevata dell'emisfero Asse det,la. Terra 23 boreale per an tratto si esteso, è qTiella che abbia- mo descritta. Ed appoggia nuovamente questa con- siderazione il rinvenirsi nella parie opposta di que- sta catena, cioè in quella che riguarda il setten- trione , tutti i fiumi rivòlgersi vèrso il polo. Ora tale conformazione non si rinvierie in riiiin* alJra parte raeditérr'arièa degli altri continenti del nòstro pianéta; I grandi fiumi si dirigono in piìi seiisi , varii ed oppòsti. Nell'Affrica il Nilo discende da mezzogiorno a tramontana, ed il Nigri da ti^àition- tana a mezzogiorno; il Senegal dall' est all*òvest. I grandi fiumi dell'America camminano con Opposto e discor'dante allineamento, come il fiiime s; Loren- zo, quello delle Amazzoni, il Rio della Piata ec. Il Missisip'i tiene però il suo corso da tramontana ver- so il mez;ìiodi con piccola dedicazione all'est : ed appartenendo all'emisfero boreale, conferma così il nostro divisamento. 28. Concordanza di fatti tanto numerosi assoda- no sempre più la nostra proposizione; essere cioè 1* emisfero boreale più pesante dell'opposto australe; maggior còpia di materia terrena ritrovarsi riuni- ta nel gran continente dell'Asia e dell'Europa; co- stituire questa copia maggiore di materia terrestre tutti i monti dalla Tartaria e dal Caucaso fino alle sponde della Gina in longitudine, ed in latitu- dine poi dai 26 gradi ai 78, coniprese le minori elevazioni. Ed io penso che ove di cotesta massa si potesse apprezzare esattamente la quantità, e de- terminare il luogo della sua riunione, si potreb- be con facile induzione rinvenire a priori il grado di declinazione, a cui dovrebbe il globo assogget- tarsi. Ma questa ed altre questioni non formano l'oggetto del presente mio discorso , benché pos- 2/|. Scienze sano venire per esso proposte. Aggiungerò soltanto che soffrendo la luna molte perturbazioni, non an-^ Cora sottoposte alle leggi, è verosimile die a pro- durre o ad accrescere alcuna di dette perturba- zioni possa aver parte l'ineguale distribuzione del- la materia componente il nostro pianeta, e special- mente quella gibbosità che noi abbiamo rinvenuta neir emisfero boreale» istruzione sui parafulmini. Lettera del sig. pro-^ fessore Elice, al professore C. Dentane. Geno-- \>a dalla tipografìa di Gio\>anni Ferrando 1839* Ouggerisce il sìg. dott. Elice, professore di filoso- fia nella regia università di Genova, in questa sua memoria indiritta al professor G. Dentone» alcuni utili e salutari avvertimenti sul modo dì collocare le spranghe elettriche, per renderle piìi efficaci a guarantire gli edifìci dai colpi del fulmine. Egli si vale a questo scopo non solo degli insegnamenti aN trui, ma eziandio delle proprie osservazioni e spe- rienze, di cui già in altre sue produzioni rese conto al pubblico; come sì osserva nel suo Saggio sulla elettricità^ dato alla luce nel 1815 ed anche nella sua lettera Sugli effetti prodotti dal fulmine nella torre della lanterna di Genova il 4 gennaio 1827, inserita nella biblioteca italiana num. 123. Nell'additare pertanto le regole da osservarsi nel collocare i parafulmini, egli prescrive; 1.° Che PARAFULMINf 25 il pai^afulmine non abbia veruna interruÉÌorte , e che non sia in alcun modo ossidato, ossia irrugi^ nito; 2.'^ Clic la spranga verticale sia fissata ad un pilastro o zoccolo alto un metro, e non mai ai le- gni delle armature del tetto; che nelle navi le spran» glie che potrebbero essere della lunghezza di uno o due metili soltanto, si fisseranno agli alberi; 3.°Ghe nelle grosse navi e negli edifìci molto alti, speziai mente quando sono isolati , è necessario oltre la spranga verticale, porvi delle spranghe orizzontali, le punte delle quali non siano tra loro più distanti di 120 metri; 4i** Che se l'edificio che si vuole ar- mare ha una grande estensione, conviene adoprare due o piìi spranghe, collocarle distanti tra loro in modo, che le loro punte non siano più lontane di 20 metri , e farle comunicai'e insieme mediante fili eg^uali a quelli del conduttore; oppure servirsi di due o pili parafulmini; 5.° Che i conduttori sia-^ no formati di funi o fili metallici e non di catene, poiché in queste non vi è mai, o quasi mai fra gli anelli un contatto perfetto; 6.° Che il conduttore sia lontano alquanto dalle materie combustibili; 7°. Che i mota Hi ed altri corpi deferenti, che si trovano vi->- cini al conduttore, si facciano tutti comunicare fra loro; 8.° Che il conduttore sia staccato dal muro due o tre decimetri, benché il più delle volte non sia necessario; 9.° Che il conduttore faccia la via più breve possibile; 10.° Finalmente che lo spandente del parafulmine in mancanza di un filone di acqua, o di altro corpo deferente mollo esteso, sia profon- dato nel carbone e meglio nella carbonina» In quanto poi ai parafulmini da apporsi alle polveriere e magazzini di polverej ove le cautele e diligenze preservatricì debbono essere di gran lun-' 26 Scienze ga maggiori, suggerisce l'autore, 1.° che i parafulmi- ni s'innalzino sopra delle antenne più elevate del tet- to di quattro in cinque metri, e distanti dalle pareti della polveriera di due o più metri; 2.° che in tal caso non sarà necessario, che la spranga sia lunga cinque metri, ma basterà soltanto di due. 3." Tanto la spranga, quanto il conduttore, benché innalzati sopra delle antenne di legno, pure sarà bene che sieno da queste isolate, mediante cilindri di vetro. 4.° Quando i parafulmini non si potranno innalzare sopra torrette od antenne, separate dalla polveriera le spranghe si collocheranno alla sommità del tetto, coU'avvertenza di fissare con buoni coibenti , e di bene isolare e distaccare dalle pareti i conduttori. 5.0 Ai bastoni o cilindri coibenti, che isolano il pa- rafulmine, si porrà l'ombrello o di latta o di piom- bo per impedire, che la pioggia non li faccia di- venire conduttori. 6." Nelle polveriere sarà bene che le punte delle spranghe non siano fra loro più di- stanti di 10 metri. 7.» Si preferiranno le spranghe di rame a quelle di fer'ro ; giacche il rame, oltre all'essere migliore conduttore dell'elettrico che il ferro, non perde la virtU conduttrice come in parte la perde il ferro allorché si magnetizza. 8." Nelle polveriere isolate, benché non molto altCj sarà ot- tima cosa, oltre le spranghe verticali^ porvene delle orizzontali. O.» Finalmente per maggior cautela sa- rà bene, che i due fili conduttori siano ciascuno di 8 e plìi millimetri. Passa quindi a scandagliare la spesa che im- porterebbe l'apposizione di una spranga elettrica in una casa dell'altezza di 25 metri; e calcolando l'im- porto in lire di Piemonte per una spranga, da situar- si nel luogo più eminente dell'edificio, della lun- Parafulmimi 27 gliezza (li 5 metri colla punta di rame dorata del diametro nella base di 40 millimetri; con fune o conduttore formato da due fili di rame della lun- ghezza di 30 metri; trova che questa spesa non ec« cederebbe i fr: 177. Se il filo conduttore dovesse allungarsi per adattarlo ad una maggiore altezza, la spesa si accrescerà di quattro franchi per ogrti me- tro. Volendo per economia fare il parafulmine di ferro, eccetto le punte di rame, la spesa suddetta si ridurrebbe a fr. 70. Equi molto a proposito ri- leva^ che volendosi moltiplicare questo salutare pre- servativo dai funesti effetti del fulmine, si potreb- be ottenere anche un maggiore risparmio, facendo comunicare le spranghe coi tubi metallici, che in Genova dalle grondaie conducono la pioggia fino al suolo, unendo però a questi tiibi lo spandente sot- terraneo per la dispersione della elettricità. Si volge in seguito il nostro autore a rispon- dere ad alcilni cplesiti ed o])biezioni che il sig. A- rago propone nella sua dissertazione sul fulmine, inserita neW^nnuaire pour Van 1838 présente ait roi par le bureau des longitiides. Sono queste pres- so a poco della slessa tempera e della Stessa indole di quelle, che già in altri tempi ed in altre cir- costanze si affacciarono per porre in dubbio l'elB- cacìa dei conduttori metallici. E per verità non so- no rari gli esempi avvenuti anche a* giorni nostri di località e fabbricati percossi e danneggiati dal fulmine , benché riguardati e recinti da spranghe elettriche, come lo fu appunto la lanterna del faro di Genova , nell' epoca ricordata dianzi e come lo fu, al riferire del sig. Arago^ il magazzino di polvere di Purfleet , e la casa dei poveri di Heckingham nella contea di Norfolk , benché guarnita di otta 28 Scienza: parafulmini. Lo stesso professore dì Pavia Aléssari- dro Volta, di gloriosa memoria, mostrò chiaramert-* té di dubitare sulla virili preservalrice dei con-» duttori metallici, quando prefei*! all' azione delle punte quella della combustione è della fiamma, cbé realmente attira ed assorbe la elettricità, mentre le pnnie non ci mostrano che una elettricità acciden* tale 0 di pressióne (vedi Opere del Volta tomo Ij par. I, pag. 263. Firenze 1 81 6)t consigliando perciò ad accendere dei fuochi nelle località minacciate dai temporali ; poiché la colonna dì filmo che si sol- leva dai roghi ardenti, aprendo un canale di comu- nicazione fra la terra e l'atmosfera, influisce po- tentemente a ristabilire Tequilibrio fra la terrestre ed atmosferica elettrici ik. Non però mai il Volta negò alle punte il potere di assorbire T elettrica quando sono fivolte ai corpi elettrizzati, come di dispenderlo quando vi sono immediatamente appli- cate; e perciò dovrk sempre ritenersi come rime- dio utile ed opportuno a guarantìrsi dai colpì del fulmine, l'uso dei conduttori metalici: specialmen* te in quelle circostanze e posizioni di luogo e di tempo, in cui non potrebbe che con incomodo e difficoltà porsi in pratica in tutta la sua estensia-^ ne l'espediente additato dal chiarissimo professore di Pavia. Inoltre l'esperienza c'istruisce, che sono ben rari e straordinari quei casi, in cui le locali- tà armate di spranghe ben collocate e disposte sia^ no malmenate dal fulmine. Debbe poi anche riflet- tersi, che la posizione stabile e permanente delle punte rivolte all' atmosfera giova singolarmente ad attirare e sottrarre in silenzio e senza strepito la elettricità dalle nubi procellose, ed ad impedirne l'uccumulazìonc, da cui han poi origine i tempora- Parafulmini 29 li. Riteplamo perciò per cosa utilissima la molti-' plicazione delle spranghe elettriche, le quali se potessero accrescersi e stabilirsi nei dovuti inter- valli di distanza nelle immense estensioni delle pro- vincie e degli stati, potrebbero anche influire , se non ad impedire totalmente, a rendere almeno non così frequente e rovinosa la formazione della gran- dine che tanti disastri arreca alTagricoltura dei no- stri campi. Riconosciuta cosi la utilità delle spranghe elet- triche, si considerano diversi altri obbietti relativi all'uso delle medesime, come sarebbe, 1''. se giovi ad accrescere la forza dei parafulmini il moltipli- care alla loro sommità il numero delle punte; 2° fi- no a quel limite di distanza si estenda la sfera di attività di una spranga metallica, S». finalmente se il suono delle campane e dei campanelli possa in qualche modo influire a disperdere i temporali, o se Ipro sia piuttosto pernicioso rendendo più vee- menti e pericolosi i colpi del fulmine. Per rispon- der al primo quesito, le teoriche della elettricità e' istruiscono che due o piìi punte poste in vici- nanza fra loro colla azione scambievole si pregiu- dicano nei loro eflfetti; e che perciò una sola pun- ta assorbe in un dato tempo a circostanze eguali una quantità di fluido elettrico maggiore di quella che ne assorba nello stesso tempo un fascio di due o pili punte. Dunque le spranghe ad una sola pun- ta saranno più idonee ad assorbire maggior quan- tità di materia elettrica di quella che ne assorbi- rebbero le spranghe fornite di più punte: per cui sono sempre più preferibili le prime alle seconde. Relativamente al secondo quesito, noi ci riportiamo alla istruzione sui parafulmini redatta dai sigg.Pois- 30 Scienze son, Lefevre Gineau, Fresnel e Gay-Lussac, inseri- ta negli Annali di chimìoa di Parigi , luglio 1824, ove si dichiara come comunemente ammesso e con- fermalo da osservazioni e da sperienze, che la ver- ga di un purafulmine difenda attorno di essa uno spazio circolare di un raggio doppio della sua lun- ghezza: e per conseguenza un edificio, che abbia una estensione di 00 piedi quadrati, non avrebbe biso- gno che di una spranga nel mezzo della lunghezza di circa 15 piedi. Si avverte però che i parafulmi- ni posti sopra luoghi eminenti, per es. sulla cima dei campanili e delie torri, devono estendere per la loro maggiore elevazione in maggior distanza la loro sfera di attività- L'autore della memoria che analiz- ziamo giudica questa regola come erronea e fallace; ma sembra che qui non siasi dato carico, che il ri- manere una spranga più libera ed isolata dai corpi che la circondano può influire di molto ad accresce- re la sua energia ed efficacia nell'assorbire il flui- do elettrico a maggiore distanza. S'inculca inoltre nella sopracitata istruzione dei fisici francesi, che tutte le spranghe siano connesse e collegate fra lo- ro, come tutti i ferramenti di un edificio : che al- meno ad ogni paio di spranghe si assegni un con- duttore, ossia filo di salute, e se fossero tre spran- ghe occorrerebbero due conduttori ; finalmente si raccomanda che non interrotte, libere e spaziose debbano essere le comunicazioni col suolo umido o coll'acqua ed altre sostanze deferenti, onde renderle capaci a, ricevere e trasmettere anche le forti sca- riche di elettricità. Alla mancanza pertanto di tali precauzioni noi siamo cl'avviso, che debbano attri- buirsi il pili delle volte i disastri, di cui si fece men- zione di sopra, e che si addebitarono alla ineffica- cia dei parafulmini. Parafulmini 31 Quanto poi all' 8.° ed ultimo quesito, cioè se 3Ìa utile o dannoso il suonare le pampane in tempo di burrasca, il sig. professor Elice aveva già su ciò fatto conoscere coi suoi propri esperimenti, che il suono delie campane non ha alcuna influenza nell' attrarre e nel respingere la materia fulminea; e vol- le anche verificarlo col(e prove di fatto , giacche provocando il suono di un campaqellq in vicinanza del conduttore di una macchina elettrica, prenden- do cura che non si alterasse la disianza del corpo sonoro dallo stesso condqttore, osservò che le scin- tille si scagliavano sempre alla stessa distanza dal conduttore al campanello, e che i segni elettrome- trici si sostenevano permanentemente allo stesso gra- do, tanto eccitando il suono, quanto facendolo ces- sare; e che perciò il suono niuna influenza poteva avere o nell'accelerare, o nell'in terrompere il flusso della corrente elettrica. Saverio, Barlocci. 32 Sopra alcune applicazioni del metodo inverso delle tangenti. Memoria di Ba,rnaba Tortolini» Sull'equazioni di alcune curve piane e riferite ad assi ortogonali^ supponendo Varco una data fun^ ziont dell'ascissa. 'i, i3e venga data di una cwrva Tequazione fra le coordinate rettangolari x^ ■y, sì potrà sempre avere o esattamente o con approssimazione la Innghezza di un arco corrispondente alle medesime coordinate ,T, jK. Nel primo caso la curva dicesi rettificabile, e nel secondo caso la rettificazione non si potrà espri- mere che in serie, come succede per l'ellissi e per l'iperbola, delle quali la rettificazione ha dato ori- gine ad interessanti ricerche dei geometri. Si po- trebbe ora fare un quesito inverso; vale a dire; sup- ponendo che l'arco di una curva piana sia una de- terminata funzione dell'ascissa, trovare l'equazione della curva fra le coordinate ortogonali x,/. Pri- ma di rispondere a questa dimanda » osserveremo ripetendo quanto sopra, che l'arco s po|rà essere da- to in funzione dell'ascissa, o in termini finiti, od approssimati, e nella prima ipotesi soltanto si dark origine ad un genere di curve tutte rettificabili. La presente memoria offrirà la risoluzione di questa Metodo delle Tangenti '213 doppia questione mostranJone opportune applica- zioni; non tralasciando di piìi l'inda gine dall'equa- zioni delle curve che sono le sviluppate delle prece- denti, quante volte sieno retlifFcabi li. Gli esempi che si scelgono, riguardano specialmente quei casi, nei quali l'arco j", e l'ascissa x esprimono una parabo- la dì un dato ordine w -f- n; ed a questo oggetto riporto le formole che trovansi nel Bollettino delle scienze di Ferrusnc per l'anno 1825, ove si asse- risce essere queste eslralte da un' operetta del sig. I. F. Chr. ff'eniebiirgio di lejia, e sotto il titolo, Curvnrum aliquot nuper repertarum sjnopsis- Non essendo però a mia conoscenza ne l'indicata opera, ne il seguito degli estratti che si promettono nel detto Bollettino ; non mancherò poi di esaminare quei casi, ove l'arco s, e l'ascissa x, esprimono un ellissi, un circolo, un'iperbola, ed un' iperbola equi- latera , ed infine una cicloide ed una logaritmica. Quantunque le indicate ricerche nulla contengano di rimarchevole per parte dell' analisi, contuttociò non saranno del tutto prive di utilità, qualora si ri- guardino pe' giovani studenti, come un esercizio a nuove applicazioni del calcolo Integrale alla teoria delle curve. Siano pertanto x, j^ le coordinate ortogonali per un punto qualunque di una curva piana, dì cui l'arcQ s venga espresso dall'equazione g enerale j = 9 (x) Per dedurre da questa 1' equazione fra le coordi- nate a:,/, basta riflettere, che oltre U solita for- inola ds = V^dx"^ -H dy-* esiste ancora G.A.T.LXXIX. 3 34 Scienze ds = f {x) dx quindi reliminazione ci dà dy = dx l/"9'^ (x) — 1. ed integrando j = j dx \^f'^ (x) — 1 -h C. Le diverse forme, che può assumere

\cosecc/A doc Metodo delle Tangenti 35 il qual valore sostituito nelTequivalente espressione di djr^ porge con integrare ^' (cosec(x) — r- doi-hCt »/ sen (X e trasformando i seni e coseni nella linea cosecantei sarà ancora y =: ^ f(l)'(cosecoi) cosecx (cosec^oc — 1) c?a 4- C. L'integrale di questa ultima furmola unitamente al valore della x, conduce per via dell' eliminazione dell'angolo oc, alla equazione fra le coordinate ret- tangolari X, y. L'arco j, verrà dato in funzione del- l'angolo oc quando si osservi j = 9 (x) = 9 I (// {cosecoc) ) = F (cosecot) Dopo ciò non sark difficile le determinazione del raggio p del circolo osculatore; partendo dalla co- gnita equazione ds essendo Tangolo /3 complemento di «, per cui 1//3 = — doCf ed avremo la trasformata ds ma dalle antecedenti equazioni si ricava , dx , -sen^xdx ds = , da = senoc cosa.^' {cosecoì) perciò sostituendo risulta 30 Scienze cosec^oc[/'cosec^ot — ^ P = ^ ^'{ cosecoc ) La trovata espressione del raggio del circolo oscii-. latore si ridurrà funzione della sola x, eliminando l'angolo a , per mezzo delle relazioni che passano fra X ed ce. Con egual facilita arriveremo a questa, facendo uso dell'altra espressione del raggio del cir» colo osculatore, ove ^x è costante, cioè p = ^4;:: — , dxd^y e per l'equazioni stabilite di sopra ,3 .3 . . ^ 3 ^, 5^' i-r) f (x) dx> ds^ = (p^ {x) dx^ , d^y = ■ , y f^ (x) 1 cosicché sostituendo si ottiene f {x) 2.° Una facile applicazione riesce delle prece- denti formolo, se l'arco s eguagli le corrispondenti ordinate di una parabola di second'ordine e di equa- zione jr2 = px^ od s = i^px che differenziando e dividendo per ds sark dx ^[/'px = senoi ds p d'ond e SI ricava psereon . psemcosadof. '_ // •>•■ — 4 ' 2 Metodo dklle Tangenti 87 ^ cos^«d(x 2 ed integrando f = a cos^adoc -H C . Prima di venire all'integrazione, che non ammette difficolta alcuna, osservo che l'equazione differenzia- le della curva si trova col prendere \/'\-sen^(x. i/'p'^-Anx cotcx. = "^ — = „ ^ "^ sena. 2|/7?x e si avrebbe dy = ^ dxì/ X Essendo più facile integrare la prima espressa dall* angolo a ; sarà evidentemente j- ^== i-. ( a -H senot-cósoc ) H- C, 4 e siccome ad a == o è ^ = o, cosi sarà la costante C = o; ed i valori di x^j in funzione dell'angolo «, saranno ^ = a ( 2a -4- .sen2>-2a, ovvero per X >• ^ . Questa conseguenza può dedursi an- cora riflettendo, che l'arco s di una cicloide compu-» tato dal vertice superiore del diametro 2a si espri- me per s =2 \/^2ax, ed s^ = Sax. Ecpiazione ad una parabola di parametro p = Sa; prendendo dalTestremita deirascisse altrettante ret- te eguali a 2\/^2ax. 3.0 L'applicazione fatta ad una parabola di se- cond'ordine estendiamola ad una parabola dell'ordi- ne /»-+- «, e di equazione m _|_ n n m •y ^P X ave per la differenziazione si ha ( m -+- n ) jm-f-n-i ds = wp" x "-» dx t e dividendo tutto per ds y ed introducendoci stn X — 2 (3 — 4coj2a ) =? sf 8 «Tremo due equazioni, dopo dì aver fatto 4«= 180 -h Ka' , y = j — 180°a, ed a = ^ 8 cioè x' = a.{\ — ' coshoL ) , 7^' = a ( 4« -f- $enh(£ ) le quali, se a:' non fosse una funzione simultanea della J7, e dell'angolo a, potrebbero rappresentare l'equazioni di una cicloide. 7." Sia di pili, e per maggiori applicazioni il numero /w=4, risulterà la parabola del quint'ordine e l'equazioni di già più volte nominate del n," 4 ci danno B)' ^=11 \P ed insieme / 4 Y / 4 V ^ = I "g j /? jcn^a , j: = ( — 1 psen^of, dj = hqsen^cx.cos^a.doL ed integrata 4fir y = 7» coja ( Zsen^^oc — sen^a. -—2^-4-0, ed avendosi per « = o, anche ^=o, così la costante 15 3\5 ) '^ MeTOPO DGLLK TANGENTI 4T ed il valore della ^, risulta J = "ol (3*ew^a— jew'flc — ' 2 ) cosu •+•21 ove à cosv d'onde cota. = — asenM che sostituito unitamente al valore di dx nell'equa- zione fra j ed a, sarà dy = hd^ l/'l — c'^sen'^x) ove per brevità e = — b^ L'integrale di questa rappresenta una funzione el- littica di seconda specie, e dovrà sussistere per va- lori dell'angolo y, da essere 1 — c^sen'v >• o 1 ossia sen u <; — . e L'ipotesi poi a = b ci porge per senoi == — tangv, ed dy ~ adv \/^\ — 2^e7i^u = adxi \^cos2u e dovrh essere Metodo delle Tangenti 51 1 senM <* ^~ che corrisponde ad angoli u <; 45.° Infine come l'angolo « è dato in funzione di u, così l'angolo y potrà esser dato per a; e si avrebbe evidentemente hsena. a semj = — ; costj = che nell'ipotesi di ^ = è, si trasformano in — j'ewa 1 je«y = , cos-o 9.0 Quando l'arco s venga dato dall'equazione di un'iperbola, con l'orìgine al centro che differenziata, e divisa per ds^ dà al solito sejioc == ,-* —— la quale da origine ai valori di x ed j, cioè a^ b^senoc X == —r~ Tz s == Differenziando ora la prima, sarà a^b^senoicosocdx dx («2 — b^sen^cx)'^ il quale sostituito nella consueta espressione di dy^ ci porge 52 S e I E Tf Z E a^h'^cos^cx.doL dr= 3 Espressione che non si può integrare che per se- rie ; e dipenderà da una funzione ellittica di se- conda specie. Nell'ipotesi di un' iperbola equilate- ra a = by perciò a asenadoc coscx, cos^oc ed il valore di dj- diviene adu dy = COSO!. ed integrando '\ -\- senot\ od anche sotto altra forma 2 "^ V / r. O l y| seiVX.) Y = a log tang (45° -h ^«) H- C. Per la determinazione della costante; ad « = o si ha 7=0, e quindi G = o; per cui il valore della y^ sarà soltanto coU'eseguire una leggera trasformata '1 -H senoC 7 a f 2 ''^^ cosce Per l'eliminare l'angolo a, si passi prima dai lo- garitmi ai numeri; ed avremo -^ 1-4- senoc COS0(. ed essendo Metodo delle Tangenti 53 a l/'x^ — a^ cosa. = -^ , sena = sì ottiene col togliere i radicali t ^ y \a e " — X \ = .r^ — a*. Tal'è l'equazione della curva, della quale gli archi sono eguali alle rispettive ordinate di un' iperbola equilatera; qui anche l'introdurre le coordinate po- lari potrà sempiicare alcune delle antecedenti equa- zioni. Infatti, chiamando y un angolo, o coordinata polare, osserveremo che 1' equazione dell' iperbola si verifica per mezzo dei valori X = s = btansy COS^J d'onde differenziando asenifdv , bdv dx = — , ds = coi'^'y cos'^-o dalle quali per la divisione; viene asen^ V^^ — a^je/i^u sena = — ;: — , cosa = 7 cosa i quali sostituiti nella formola dv = dx^ risulta * sena dv = — — 1/ 62 — a'sen^v, ^ cos^u V il quale non si può integrare che per serie, e dovrà essere l'angolo u, da verificare senv <; -• a 54 Scienze e l'ipotesi dì a=:b; ci riproduce evidentemente la formola di già trovata col semplice mutare u in «. In fine sarà utile il mostrare come a quest'ultimo risultato si arriva piìi facilmente ; servendosi im- mediatamente di ciò che è stato detto al n° 2. In- fatti per l'iperbola si ha ds h i = 9'ix) = dx ^ a[/'x'^ — a^ ed il valore di dj del citato numero diviene dX[/^b^ «2 ( ^2 __ «2 ) dj=. «[/"xa — a» ove sostituendo x = torna evidentemente la COSìJ stabilita equazione. 10.O Finora abbiamo considerato l'equazioni alle linee algebriche; estendiamo ora questa teoria ad alcune curve trascendenti, fra le quali in par- ticolare sceglieremo la cicloide e la logaritmica. Ponendo pertanto, riguardo alla prima , l'origine delle coordinate nel punto estremo del diametro del circolo generatore , e che divide la curva in due parti eguali e simili; allora l'equazione diffe- renziale fra l'arco ^, e l'ascissa x, sarà ds = dx i / essendo 2a il diametro del circolo generatore; quin- di la derivata prima deirarco è ^^ '/ s I /^2rt — X Metodo delle Tangenti 55 il quale sostituito nel valore di dy del n.° 2, abbia- mo facilmente a — X X X dy = \/'2. dx Ora ponendo dy' = dx -^ TX rappresenterà questa 1* equazione differenziale di una cicloide del diametro a. Dunque per delineare quella curva, nella quale i suoi archi sieno eguali alle ordinate di una cicloide di diametro 2a, ba- sterà descrivere un'altra cicloide di diametro rt, od eguale alla metà del precedente, e prendere nel me- desimo tempo le ordinate di quest'ultima, molti- plicate per [/^2 . . . Alle medesime conclusioni sa- remmo giunti folcendo uso delle equazioni finite del- la cicloide; come si vedrìi qui appresso. Chiamando infatti u un angolo compreso fra i limiti o, e 7T, si sa che l'equazioni della cicloide saranno jc = a { 1 — cosu ) s = a (n -^ seme ) e che l'eliminazione dell'angolo m, produce l'equa- zione C[/^2ax — x^\ seri = j -+- [/^2ax — x\ Differenziando ora i valori di x ed j-, e dividendo l'una per l'altra, si ha senu senct = 1 •+• cosu - tang é u = f/ 2^x 56 Scienze d'onde 2asen^cx. ce — \ -f- sen^ot. e differenziando UasenC(.cosa.d(x. doc — ■ (1 H- sen^uy d'onde il valore di dy diviene hacos^ccdv dy — (1 H- sen^cCy ovvero trasformando le potenze del seno e coseno nel coseno dell'arco doppio; sarà per la x 2a ( 1 — cosloi ) X 3 — cos2a e per il valore di dy 8a { 1 -+- cos2oc ) dx dy = ( 3 — cos2c< y Integrando quest'ultima, ed eliminando l'angolo «» si ottiene l'equazione fra x ed y. Con piìi elegan- za però potremo ciò eseguire con introdurci l'an- golo ir^ che in funzione di « è dato dall'equazioni ^du seno. = tan^ a w » cosc(.dcx. = ^ cos-'^u per cui il primo valore di dy sì trasforma in dj = 2aducos^iL [/^cosu. Quest' ultima si rende integrabile col chiamare y un altro angolo da essere cosa =31 cos^^u sen 5 u =-■ I Metodo delle Tangenti 57 d'onde l/'l — cos^^-o _ sen^M 2 i/T" ed insieme differenziando cos^vdv cosale die = — 1/^2 i quali valori sostituiti ci danno df == a\/'2. cos^^vd^ ed integrando viene a y == \/^2. -^ ( K -I- seriTj ) non avendo luogo la costante , mentre per >* = o riesce u = o. Se ora si riflette che per gli stabiliti valori avremo 1 COS^J 1 COSlt = 2 cosi all'espressione della j-, sarà il facile il vedere che dovrà corrisponderci a X = -r* ( 1 — cos-o ) e rappresenteranno 1' equazioni della cicloide di diametro «, purché si ponga per la /• = y\/2-^ e quindi eliminato v si ha , a ( [/'ax — x^\ r = — Are. ( sen = j -+■ {/"ax — x"^. Infine l'integrazione della /, riguardo all'angolo a, conduce egualmente a quanto abbiamo trovato ; e si avrebbe 58. ' Scienze , / ( 1 + cos2a ) d.2x ^ ./ ( 3 — cos2| , sen2xi/'S \ \3—'Cos2y. ^8 3— co^2a ""y con la quale dovrà sussistere la x', espressa in fun- zione dell'angolo oc; e siccome da questa si deduce 2l/^2x {a — x) 2a — 3x je«2a = ^ , cos2oc == . 2a — X 2a — • x qui sostituiti nella / , si ricava immediatamente a / i/'ax ' — • x~\ r = "Ó ^^2. Arc.f sen = -^ — - j-h[^2.[/-ax—x' Espressione del tutto identica con quella di già trovata. 11.0 Scegliendo una logaritmica di equazione s = alogx deduciamo X seriof. = — a d'onde Metodo delle Tangenti 59 X = asenoL , dx = acoscx.d-J-a ( log tang^cK -h cosx ) — > acosodog {seno:) X = asenof. — ocsenixlog ( senoc ). La sussistenza di queste due equazioni, e l'elimi- nazione dell'angolo «, fornisce la sviluppata della curva y — b — \/^a^ — x^ a X l/'a^' — x"" Che se si fosse scelta la logaritmica della forma s == e allora avendosi come al n." 1 1 a a X = alog s = — — sencx. sencx. y = b 4-a(«-f- cotOi) si ottiene per X, Y, no. a X ~= b — —-j-flia: X = alog. — a Metodo delle Tangenti 71 ovvero ponendo — . — «=]S sarà più semplicemente Y = è -H fl/3 , X = alog. ■— a cos^ dalle quali due si ricava col passare dai logaritmi ai numeri cosp a d'onde finalmente X_i_(i così - L'evoluta di questa curva ammette per equazione |/ e ■— a^ = a ta?ig\ | come è l'ultima formola del n.° 41. 72 Continuazione della rivista di opere mediche ec. del dottor Giuseppe Tonelli. Della vita di Giovanni Rasori, libri sei compilati da Giuseppe Del Chiappa. Milano 1838,^1.' pag. 377, con rame. •IXgevole impresa per fermo non è quella di scri- vere la vita di un uomo, e di un uomo distinto per fama con tanti sudori ed impegni acquistata; alta- mente malagevole anzi, poiché piìi delle cose ap- partenenti alla vita sociale trattasi di porre nel ful- gido aspetto fatti degni di memoria e nelle senten- ze e nelle dottrine mediche e nelle letterarie. Si, che in cotali fatti precipuamente consiste la vera vita degli uomini sommi. Tornala però non è ma- lagevole impresa sotto la penna dello scrittore su- blime delle vite di Scarpa e di Siro Borda, cioè del sig. Del Chiappa, notissimo già per tanti altri generi di apprezzabili produzioni. Ansioso giustamente il Del Chiappa di lasciare agli avvenire con monumen- to della gloria del suo Rasori, mosso da principii di confidente amista, animato da stimoli di dolcissima affezione, spronato dalle tante novità mediche piene di filosofia, in che ha avuto piacere e desio di rav- volgersi, ne ha assunto il grave peso; ne ha disim- pegnalo eoa lodevole zelo l'ulficio; ne ha delineata Rivista medica 73 e ritratta la effigie dell'animo a ritroso di travaglia- re con non poco stento onde procacciarsi notizie e quinci e quindi. Avvegnaché per altro confessi il sig. Del Cliiappa, che nel dettare il suo lavoro ab- bia avuto parte grandissima l'animo, non si è sot- tratto per questo a quelle critiche aaimavversioni, che convenienti gli parvero alle dottrine sue. In sei libri ha egli diviso la materia, aggiugnendovi parte a pie di pagina, parte in calce all'opera, essenziali note o postille , secondochè richiedeva la svariar- la loro natura. A forma poi di Appendice a tutta l'opera biografica trovasi registrato un « Rapporto « sui principali articoli della dottrina appartenen- « te al prof. Rasori e sopra 1 melodi curativi adot- « tati da questo »: rapporto che dettava egli stes- so perchè fosse posto sotto gli occhi del principe Eugenio viceré allora del regno d'Italia, e forse an- che di Napoleone: rapporto motivato da un singo- iar decreto quivi pure aggiunto, e che provocato venne dalle lunghe istigazioni di alcuni potenti ne- mici del clinico militare e civile della capitale del regno: rapporto che dall'A. dettato in francese, viene dal sig. Del Chiappa riprodotto nel suo originale idioma, e con chiarezza e fedeltà tradotto nella ita- lica lingua. Un catalogo cronologico delle opere e delle traduzioni del Rasori dk compimento all'opera. Nato il Rasori in Parma nel 20 agosto 1766, ebbe in padre un onorato e colto farmacista. Con- secratosi alla medicina, fu in questa conventato alla eia sua di un anno sotto al ventesimo. Venne in somma grazia del celebre Michele Girardi allora co- là pubblico professore di anatomia, che stato era uno dei piìi prestanti allievi del gran Morgagni, ed erede dei suoi scritti, e per molti titoli principale 74 SciSNzs ornamento della parmense università a quel tempo. Per le reiterate lodi e commendazioni del Girardi e di altri professori pervenne al ministero la fama dell' ingegno di questo egregio alunno di Escula- pio, cioè del Rasori; ed il conte Camuti, protome- dico e poscia archiatro della corte di Parma, si die cura di coltivare questa nascente speranza. Fatta opera perciò col conte Ventura assunto al ministero dello stato, e vinte non poche difficolta, si sostenne che venisse il Rasori prescelto a preferenza di altri a godere della munificenza del suo naturai sovrano per proseguire negli studi intrapresi , e perfezio- narvisi, visitando ed usando le piìi celebri scuole mediche d'Italia e di altre parti di Europa. Desti- nato per altro allo studio della chirurgia, fu diret- to in prima sul cader del 1788 a Firenze, che sta- ta è in ogni tempo sede ed abitacolo di sapienti. Fiorivano in fatti in quella italica Atene, dopo la perdita del Nannoni seniore, il figlio di lui , un cav. Fontana, un Ginnetti, un Ottaviano Targioni TozzettijUn Bicchierai ed altri, e tutti di nome chia- rissimo. A tutti questi celebrati uomini si strinse ivi il Rasori coi legami dell'osservanza e dell'afife- zione : ma il Glanetti fu quegli che sopra gli altri posegli amore, e diegliene costantemente prove non dubbie. Al massimo splendore era pur montata a quel tempo la fama della università di Pavia, ove diretto nella state del 1791 il giovine medico, sovvenuto pur com'era dal tesoro del ducato parmense, venne dal Camuti raccomandato allo Scarpa, ed anche al Moscati, che insino da quell'ora godeva in Milano di molta celebrità. Aveva di già il Rasori nella sua patria università consacrato qualche tempo con sin-» Rivista medica 78 golar passione allo imprendimento delle lingue più celebri di Europa, quali sono la francese, la inglese e ralemanna,e perfino la spagnuola: ebbe agio perciò di molto studiare il sistema medico dello scozzese riformatore, di tradurlo e di publicarlo, siccome fece nel 92 a Pavia. Quivi si rendè nel maggio del 93 il Carnuti ad oggetto di concertare col Rasori tutto che occorrer poteva pel viaggio, che ordinato avea di fargli fare a Londra, dove recossi il giovane me- dico italiano circondato da bell'aura di fama e mu- nito di commendatizie dello Scarpa e di altri per l'Inghilterra. Ristette ivi il Rasori insino al febbraio del 95, e sì nell'andata e si nella tornata non toc- cò egli la Francia a quei tempi in grande scompi- glio politico. Profittando quivi infinitamente così rispetto agli studi medici e chirurgici, come rispetto alla lingua e letteratura di quella celebrata nazione, meritò di stringersi in amicizia ed in corrisponden- za di lettere con Wilson, con Thompson, con Bed- does e con altri nominatissimi. Passando nella ri- tornata per Francfort, s'intrattenne alquanti dì con Soemmering di Magonza, il c|uale cotanto lo stimò ed amò, ch'ebbegli comunicato un suo manoscritto inedito contenente una sua scoperta sull'occhio, la quale egli poi fé di pubblica ragione con sua lettera indiritta al Monteggìa uno dei suoi più cari amici. Tornato che fu in Italia nella primavera del 95, si stanziò a Milano: e quantunque divisato avesse re- carsi a Parma, non effettuò per questo il suo dise- gno, ne mai più rivide la sua terra natale. Continuò in Milano ad essere sussidiato dal suo governo , ed ebbe ( per mezzo sempre dello stesso Camuti ) l'in- carico di esercitarsi e di addestrarsi nelle operazio- ni di oculistica sotto il Magistretti , che passava a 76 Scienze quel tempo per uomo assai abile in questa partita. Il vortice quindi del memorabile politico rivolgi- mento nella Lombardia sopravvenuto a se traeva il- lusi i pili animosi ingegni; ed il Rasori si fu pur uno di questo novero, ma non lasciò per questo la prima sua istituzione: ne giova il dissimularlo. Fat- ta indi tregua colla politica, ritornò quanto prima in seno alla primiera e prediletta occupazione del suo ingegno, la scienza medica; e nella circostanza della generale riforma delle scuole della università ticinese, venne dairamministrazione generale della Lombardia nominato nel novembre del 96 prof, di patologia alla università di Pavia, e rettore nel tem- po stesso del collegio nazionale chiamato GKisilie- ri. Pervenuto a Pavia ad assumervi la cattedra, il corpo degli scolari lo acclama rettore magnifico del- la università, e quindi l'amministrazione dello spe- dale e de'luoghi pii annessi eleggelo medico prima- rio dello spedale civile. Sotto questi auspicii e con questo quadruplice ufficio, ascese la cattedra di pa- tologia nel gennaio del 9T, e dall' amministrazione generale della Lombardia ebbe una pubblica testi- monianza di sua soddisfazione pe'servigi lodevol- mente prestati. Ma l'invidia che suol sempre o troppo spesso perseguire i passi e la vita degli uomini, che esco- no dalla volgare schiera, venne a distrarlo sotto spe- cie di onoranza da questi luminosi uffici scientifici, in cui egli spiccava altamente e per un discorrere filosofico, e per una maschia e spontanea eloquenza. Rivocato perciò venne a Milano sull'uscita del 97 a coprirvi la carica di segretario generale del ministe- ro deirinterno,nel qual ufficio bastò insino all'autun- no del 1798: e fu l'anima principale di quella im-^ Rivista mèdica. 77 portante magistratura. A leggere clinica medica e medicina pratica alla università di Pavia venne al- lor nominato; a quella celebre scuola illustrata già cotanto da un Frank, da un Tissot, da un Borsieri. Ma il nuovo clinico non rimase oltre due mesi in tale ufficio da essolui non provocato; e rimosso ne fu senza positivo demerito da quel governo stesso , che aveavelo posto. Ritornato a Milano, ebbe in so- stituzione alla carica di clinico la nomina e l'ufficio di commissario del governo presso lo spedai mag- giore e luoghi pii annessi della capitale. Ma volta in basso ed a sinistro la fortuna dei guerrieri re- pubblicani di Francia, l' aquila austriaca riprese vittoriosamente e rig^uadagnò la Lombardia, così che convenne che quelli ed i loro seguita tori con essi si ritraessero. Sì fu in Genova soprattutto dove si riparavano, sì come in un fortissimo propugnacolo: ed ivi pur convenne il Rasori nel giugno del 99, sta- to essendo ricevuto graziosamente in qualità di me- dico agli stipendi dell'oste gallica, e trovossi quivi testimone di quel lungo e memorabile assedio. Da Genova ripartì nel luglio del 1800, restituendosi a Milano, ove nominato venne ispettore generale di sanità della repubblica presso il ministro dell'in- terno. Ebbe il nuovo ispettore incontanente a mettere alla prova il suo vasto ingegno, e la versatilità delle sue cognizioni mediche, non che la sua sollecitudi- ne ed operosità, mentre poco stante scoppiò debac- cando furioso per le contrade dell'antica Lombar- dia il morbo petecchiale. Accorse in vari luoghi personalmente, facendo in alcuni qualche perma- nenza, e dando e per lettere circolari e di viva vo- ce utili istruzioni e confacenti direzioni ai medici VS Scienze condotti ed ai medici delegati ne' vari dipartimenti. Altre molle occasioni ebbe pur in appresso di se- gnalarsi nel discarico di questo delicato ed impor- tantissimo ufiicio; ed il ministro per la guerra il consultò piìi fiate e solo ed anche insieme con altri medici giunti in commissione. Ebbe altresì l'onori- fico incarico di recarsi a Venezia nell' 11, per la no- mina del prof, di clinica nello spedale militare ma- rittimo, e per l'ordinamento al tempo stesso di tutto quello spedale, compresovi il numeroso servigio sa- nitario. Ed a Venezia non solo in più e diversi tem- pi ingiunto gli venne recarsi, ma a Vicenza pur an- co, a Cliioggia, a Padova, a Udine, a Mantova ed altrove per ordine e commissione del ministro del- l'interno, e bene spesso per quella del ministro del- la guerra per varie emergenze di febbri contagiose; e n'ebbe premio di lode dal pubblico ministero , ed oltracciò anche splendide gratificazioni. Fò par- te poi della commissione di polizia medica milita- re, di quella degli esaminatori degli allievi della R. scuola di veterinaria in Milano , e di tutte le com- missioni che s'istituirono colà per oggetti sanitari e di pubbliche beneficenze. E sotto i diversi siste- mi governativi, che si successero dal 96 insìno ai 14, ogni maggior estimazione godette, ed i più chia- ri contrassegni riscosse di estimazione da chi pre- siedeva alla somma delle cose. Sostenne gratuita- mente fino allo scioglimento del regno d'Italia la clinica medica dello spedai maggiore di Milano, stata già coperta dal celebre cav. Locatelli , e che conferita gli venne con decreto del 30 maggio 1806; ed essendosi nel seguente anno istituita dal viceré una scuola clinica nello spedai militare di s. Am- brogio, fu ad essa chiamato e preposto il Rasori con onorario e trattamento. Rivista medica 79 Nel nobile e gravissimo ufficio di clinica in que- sti due grandi spedali, e nell'incarico insieme d'i- spettor generale di sanità, Jjastò il Rasori insino al- l'anno 1814, allor quando la reggenza provvisoria di governo stabilitasi in Milano venne escludendo tutti i forestieri da ogni pubblica carica; perocché convennegli rientrare nella vita privata, e darsi tut- to, siccome e'fece, all'esercizio pratico dell'arte. Ma non andò guari, cioè sull'uscita dell'anno stesso , ch'egli fu tradotto in prigione, come parteggianle ad una congiurazione contro il legittimo governo dell' Austria ristabilitosi a que' di nelle provincia insubriche. In altro avverso caso ebb'egli poi nel 4818 ad imbattersi, allorché recavasi a Pesaro per visitare e curare la principessa dì Galles. Perve- nuto egli al ponte di Po a Piacenza, seppe che a lui per ordine superiore vietato era l'ingresso e il passaggio per gii stati parmensi. Discese allora pa- catamente il fiume, transitandolo per gli austriaci dominii. Ma fatta opera dagli amici suoi, si conse- guì dal ministero e dalla corte di Parma la rivo- cazione di tal divieto. Teatro però sol degno di lui si giudicò dai suoi amici esser Milano, ov' egli tranquillamente si rimase , ed ove dalla clemenza del governo di S. M. accordato gli venne il libero domicilio nei suoi stati , e concessa una pensione proporzionata agli anni di servigio prestato in qua- lità di professore clinico e d'ispettore generale di sanità. Nelle contemplate vicende di esaltamento e di abiezione fu il Ilasori di una tempra di animo for- te veramente e tetragono ai colpi di ventura, co- sicché e' parvesi sempre eguale a se in entrambe le fortune, in fra le quali trovossi assai spesso av- 80 Scienze volto; ond'è che ne lo enfiò la prospera, ne lo pro- strò l'avversa, ne giamnaai piegò del vigor dell'a- nimo suo. Quanti invero non ebbe inimici, e quan- ti affezionati a se fra i più luminosi scienziati ! Di quante laudi non fu egli colmato e di quante aspre censure non venn'egli colpito nella sua vita scien- tifica medica ! Ma qui sotto triplice aspetto si pro- pone dal sig. Del Chiappa ad essere considerato il Rasori , cioè e come traduttore e comentatore di BroAvn, di Darv^^in, e d'altri : come fondatore della dottrina del controstimolo; e come autore della teo- ria della flogosi: le quali cose andrem qui breve- mente a rimarcare, dando insieme un rapido cenno delle opere che rese in questo mentre di pubblica ragione. Sostenne in un modo glorioso e sublime le prime due parti che l'opera brunoniana risguar- dano, giacche la versione di essa in età molto gio- vanile fece maravigliosa impressione in tutte le menti dei giovani medici e dei provetti ancora , che tutti ammirarono la forza e la evidenza degli argomenti con che venivasi esponendo e dichiaran- do il nuovo medico sistema. In cjuesto suo primo lavoro si raccomandava il Rasori per uno scrittore di merito singolarissimo, ed in ispecial modo nelle numerose ed ingegnosissime note di che lo corredò e lo arricchì, ma principalmente nell'eruditissimo ed elegante discorso preliminare , pel quale ebbe per lettere le congratulazioni di molti e dottissi- mi uomini , fra i quali il Caldani, il Moscati, il Cossali, e il superiormente nominato conte Camuti. Ma nel farsi il Rasori banditore e promulgatore della nuova dottrina brunoniana, non die meno vi- sta di animo superiore e di nobile ardimento; che Rivista medica 81 ' cotesta dottrina insino dal suo nascere fu segno agli odi e alle persecuzioni ed in Italia ed in Inghil- terra stessa che la vide nascere. E tutta nei termini del pili rigido brunonismo pubblicò egli nel susse- guente anno 93 in Pavia una lettera al suo amico Kubini intorno al trattato di Underwood sul modo di curare gli ulceri delle gambe e sopra qualche al- tra novità chirurgica inglese. Tradusse pure in que- sto mezzo dall' inglese qualche opuscoletto , cioè una Memoria di Blanc sul moto muscolare, ed una dissertazione di Moseley sulla cura della dissenteria, in servigio di un' opera periodica che pubblicava quivi il cei. Brugnatelli col titolo di Giornale fisico- medico. Instancabile poi, com'era, volsesi ad una fati- ca grande, al volgarizzamento cioè dell'opera piii profonda e più vasta che siasi mai scritta sulla me- dicina, la Zoonomia di Erasmo Darwin. E come ave- va fatto del Brown, così sepp' egli pur anche co- mentare, correggere ed emendare il DarAvin, in mo- do veramente superiore ad ogni elogio. L'opera così dell'italico traduttore risultò assai meglio dell'ori- ginale colla prefazione sensatissima e nuovissima sulla unitk della scienza medica, e sul bisogno che sarebbevi di concentrare in una od in poche tutte le parti di quella. Appose oltracciò il Rasori al suo Darwin assai note giudiziosissime, altre dirette ad illustrare alcuni punti malagevoli dell'originale, al- tre a confutare alcune massime dell'autore, ed al- tre allusive alla sua teoria dei controstimolo, dì cui or ora imprenderemo discorso. Memorabili vera- mente sono alcune di esse annotazioni per isquisi- tezza di dottrina; due di esse il signor Del Chiappa rammenta ai leggitori, perchè meritevoli di consi- G.A.T.LXXIX. 6 82 Scienze tlerazione. Nella prima, che verte sull'opera del Vil- lers sulla filosofia trascendentale del Kant, ha di- spiegato il valente traduttore un intelletto veramen- te analitico e splendidamente metafisico. Ivi Tana- lisi di un' idea astratta esemplificata nella parola virtù dk a divedere quanto fosse abile il Rasori a ri- salire ai concetti piti generali della mente umana. In altra annotazione ( per non ridir di quella pur memorabile per sottilità metafisica di ragionamenti intorno all'istinto degli animali ) veramente insigne infra le altre e riferibile alla scienza medica sulla inutilità e sul danno delle nosologie, dovrebbero attinger lumi tutti coloro che smaniosi sono d'im- maginare tuttodì nuove nosologie , o classificazioni artificiali di malattie, o vero farsene ciechi e servi- lissimi segui tatori. Ma oltre a queste opere somme e di primo ordine, come il Brown e il Darwin, peri- to qual'era a perfezione il Rasori in molte lingue, voltò l'Agatocle, romanzo pieno di eccellente mo- rale cristiana; l'Engel sulla mimica ; e le difficili produzioni poetiche di Schiller, di Wielland , di Goethe. Filosofo egli era dunque, pensator sublime e sopra l'uso volgare; siccome purgatissimo ed ele- gantissimo : cosa da aversi per maravigliosa e rara. Da che, superati dell'Agatocle e dell'Engel gli ori- ginali, può dirsi che le traduzioni con maestria e felicita condotte splendesser piìi belle sotto stania italica veste che sotto la propria loro e natia. Caldissimo fervea l'amore e l'entusiasmo per la dottrina brunoniana, tale quale usci intemerata e in- tatta dalle mani del suo autore, allorché fatto ac- corto il Rasori della poca giustezza dei principii di quella, non dubitò farsene il confutatore: e ritro- vando i principii della nuova sua teorica, farsene Rivista medica 83 capo e cominciatore e promulgatore. Il merito di questa sua invenzione niuno giammai osò contra- stargli ; per quanti nemici si abbia avuti , che furono innumerevoli e di gran seguito, niuno ardì negargli la lode d'inventore e trovatore della dot- trina del controstimolo. Poco appresso alla pubbli- cazione della versione del Brown cominciò a du- bitare della solidità di alcuni principii, e maturati nudriva in suo pensiero alcuni canoni della rifor- ma, investigando egli col suo ingegno induttivo la maniera di agire del veleno della vipera , quella dell'acido prussico, dei patemi dell'animo così detti deprimenti, e dei funghi velenosi ; conobbe non potersi gli effetti loro nocevoli e la morte istessa ridurre ne all'una ne all'altra delle due debolezze di Brown, posto che dotati fossero tutti di una for- za enormemente stimolante. Formò così il nuovo principio della esistenza di sostanze contrarie nella ragione di loro operare allo stimolo di Brown: e piacquegli distinguere cotesta nuova azione col no- me di potenza controstimolante, onde far sentire col- la stessa denominazione il genere apposito di sua operazione. Nell'ascendere dipoi la cattedra di pa- tologia nel gennaio del 97 mostrò in una prolusione apertamente i difetti della vecchia medicina, e nel- le sue ordinarie lezioni quindi incominciò la con- futazione di alcuni punti della brunoniana dottri- na, rimarcando la insussistenza della debolezza in- diretta, e svelando la gran maggioranza delle ma- lattie steniche sopra le asteniche contro alla sen- tenza di quello, il quale faceale quasi tutte nasce- re e derivare da debolezza e languore. Videsi di tal guisa per lui, come medico pratico, curar le idropi, le febbri intermillentì, le tisichezze polmonari, le 84 Scienze clorosi ed altre forme morbose co'sall medli , col tartaro stibiato, colla digitale , medicamenti tutti già da lui chiariti per antiflogistici, cioè per con- trostimolanti , senza omettere tal fiata le cacciate di sangue ogni qualvolta scorgevane la indicazione. Cosi anche prima della pubblicazione dell' istoria della febbre petecchiale di Genova egli riconosciuto avea la prevalenza grande delle malattie inflamma- lorie con quelle di asma e debolezza; ed avea al- tresì riconosciuto che moltissimi tra i medicamenti che si giudicavano stimolanti sono in vece dotali di contraria e diversissima indole. Primiero e solo di tal modo opponeva animosamente un argine al torrente rovinoso del medicare incendiario, e all'a- buso de'medicamenti e metodi calefatlivi e alessi- farmachi, che soli e quasi esclusivamente erano ce- lebrati e predicati e messi in uso a quel tempo. E se ninno ignora di quanto danno sia stato l'abuso degli stimolanti, e se coU'essere cessato il furor bru- noniano sien ritornate le menti dei pratici al piti o men blando medicar temperante e antiflogistico , non v'ha dubbio che questa correzione di pratica operata dal Rasori debba segnare un'epoca grande ne'fasti dell'arte. Infra gli orrori di quelle fazioni, che accom- pagnarono il memorabile assedio di Genova, ebbe il Rasori ad osservare e curare un'infinita di ma- lati di una febbre che epidemicamente e furiosa- mente discorrca, e che conobbesi poi, sì com'era, per una vera febbre petecchiale. Imperocché ri- fluendo da tutte parti cola persone di ogni condi- zione e disagiatissime, il contagio petecchiale dif- fusosi velocemente secondochè egli suole , avendo per uso di seguitare gli eserciti, infestare gli ac- Rivista medica S5 campamenti , desolare le citta assediate. Accorlo egli si fé esser questa febbrile malattia, cogli usati criterii cimentata, non già a diatesi astenica^ sì co- , me mantenevano il Brown ed i browniani, ma si a diatesi diametralmente opposta, vale a dire stenica. Curolla quindi cogli antiflogistici, ed ebbene il mag- gior possibile profitto, statuendo esser la petecchia affezione a diatesi di stimolo, ed imperciò richie- dere cura e trattamento controstimolante. Conobbe insieme la fallacia dei sintomi e della forma che quindi ne risulta a chiarire la diatesi nelle malat- tie , e che nella petecchia sogliono esservi per lo pili molti sintomi e poca diatesi., o che perciò deesi in essa pur debilitando serbar modo e dar tempo» Dall'acuto suo ingegno scaturiva pur anche la fa- mosa legge della capacità morbosa.^ della tolleran- za cioè dei rimedi proporzionale e corrispondente al grado o c[uantita della diatesi: ma per venirne a capo, conveniva fermare, siccome fece il Rasori, la vera azione delle medicinali sostanze. In mezzo ad ampio esercizio clinico in due grandi spedali si die ad istituire moltiplici e sva- riati esperimenti ai progressi del suo scopo con- facenti; e potè al lume delle memorate esperienze confermarsi nella massima per lui stabilita di una forza diametralmente opposta allo stimolo si nella digitale, nell'aconito, nel tartaro stibiato ed in tutti i sali neutri, e si ancora nella gomma gotta in tult'i drastici e negli amari tutti. E confortato dagli espe- rimenti pratici pubblici e reiterati per la coopera- zione del cav. Borda, estese l'impero dei controsti- moli alla peruviana corteccia, ai rimedi metallici, e ad altri moltissimi, siccome la valeriana, la serpen- taria virginiana e tanti altri, investigando sempre S6 Scienze con acuto ingegno e con lungo studio gli essenziali stati morbosi e le apparenze loro, benché le spesse volte ingannevoli. Da che sotto mentite sembianze e sotto fallace scorza nascondesi e per lo più ve- geta la diatesi di stimolo. Delle tante e tante osser- vazioni fatte per il Rasori nelle menzionate due cli- niche frutto sono gli opuscoli pratici inseriti negli yénnali di scienze e lettere, ch'ei poi riunì in un corpo solo con un' edizione generale, e che forma- no per gran parte il voi. II degli Opuscoli clinici pubblicati nel 1830 in Milano. Di questi ci parla Lene spesso il eh. sig. Del Chiappa per rammen- tarci i dettati del Rasori sull'azione della digitale, di cui è registrata in quegli opuscoli una memo- rabile scrittura, sull'azione del tartaro stibiato ed altri;mentre per il solfato di chinina, per la china e per la chinina ci vengono singolarmente riferiti va- ri brani di lettere del Rasori medesimo a vari suoi corrispondenti , ed una nota singolare dal Rasori apposta ad un' opera di Hamilton, e registrata nel voi. Vili dei sullodati annali di scienze e lettere. Nella semplicità dei principii professata dal Rosari si ristringe l'azione di tutte le sostanze, eh' esistono in natura, ad operare in due sole guise sui nostri corpi, non usando mai la natura per conse- guire i suoi fini moltiplicar le cagioni. Da ciò ne viene (siccome ci rammenta il Del Chiappa) * che « l'esistenza degli specifici sia una chimera ; e se « sì sono ammessi, si è perchè s'ignorava la vera es- « senza dei morbi. Ma dappoiché questa si è messa « allo scoperto, anche l'esistenza degli specifici è « stata riposta fra le assurdità dei tempi passati. « Egli è il vero, che, oltre alla fondamentale azio- « ne delle sostanze tutte, altre in un senso , altre Rivista medica. 87 « in un altro, havvene una propria di ciascuna, la a quale chiamasi elettiva , e che consiste in una « tendenza quale ad un organo, e quale ad un al- « tro, pel quale ella ha una certa singolare predile- « zione. Ma questa non è che una maniera dì azione « al tutto subalterna e secondaria alia prima, e che « non sempre si palesa. Per eguai modo in questa • dottrina semplicissima sì ritengono non già piti « essenze, ma si una sola nelle malattie , ed è « quella che già diceasi nelle antiche scuole causa « prossima. E questa è^ dì due maniere, come di « due maniere è l'azione di tutte le sostanze ; ma « non se ne può verificare nel corpo che una sola » alla fiata: e piìi spesso, anzi quasi sempre, veri fi- li casi quella che risulta da eccesso di azione stlmo- » lante ». Cotesto rasoriano concetto mira a svelare, quanto certe fallaci apparenze delle malattie, e cer- te forme ingannevoli maggiormente campeggiando abbiano mai sempre illusi i medici, guidandoli a trattamento non convenevole dei morbi. Così infra gli altri si ricorda « la paralisi, la quale per questa « fallacia di segni fu ognor creduta, e credesi tut- « tavia dal volgo dei medicanti, richiedere rimedi « incitativi e tonici, e così discorrendo. Pure ella « è generalmente malattia di stimolo, e vuole un « trattamento controstimolante ». Ciò tenne il Ri- sori per dimostrato in una nota per esso appo- sta ad un estratto di una memoria del dott. Hun- ting-Sherill di Clinton nella Nuova Yorck sull'ef- ficacia del salasso e dei purganti nel trattamen- to della paralisi con alcune osservazioni intorno a questa malattia. E, per tacere di tante altre for- me morbose, nelle quali la illusione seduce, il ten- ne alìresì per dimostrato nelle idropi, che il Ra- 88 Sciente sor! tenea le più per affezioni a diatesi dì stimolo ìnsino dal 97, quando pur vivissimo ferveva nelle menti di tutti il Lrunoniano sistema, e che col mag- gior possibile successo egli trattò nelle due cliniche milanesi poi, e nella sua pratica privata. Cosicché in una dissertazione, per lui letta sui diuretici nella università, ne conchiudeva fiancheggiato dai fatti, doversi dalla diatesi desumere la norma della tera- pia. « Ora ragionando ( son sue parole ), se è per- • messo di dir cosi, empiricamente, la conseguenza « di questi fatti potrebb'essere per Tun verso, che « tutt'i rimedi sono diuretici, e per l'altro che nes- « suno è diuretico. Ragionando poi filosoficamente, « la conseguenza è che non v'ha rimedio positiva- « mente diuretico, ne alcuna sorta di specifico per « l'idropisia; e che la cura di questa, come di tutte « le altre malattie universali, debb'essere diretta « dalla diatesi; e che l'empirismo degli specifici e « la falsa teoria dei diuretici sono amendue l'effet- « to della inesattezza delle osservazioni, e la cagio- « ne di gravi eVrori pratici che si commettono tut- « to giorno nel trattamento di questa malattia .» A questi medesimi principii di terapeutica, su cui il Rasori fondata ha la Sua riforma e la sua teorica del controstimolo, coerenti sono tante altre annotazioni di grande acume inserite nei summen- tovati Annali, che il deposito pur sono di vari altri suoi lavori riportati quindi nel secondo volume de- gli opuscoli clinici, siccome quelli che si riferiscono a medicina pratica o clinica. Elaborato ivi leggesi infatti l'estratto di diverse opere rinomate di alcuni tra i nostri scrittori d* chiaro nome, infra le quali quella del Giannini nelle febbri, quella del Testa nelle malattie del cuore, quella del Racchetti su Rivista, medica 89 quelle del midollo spinale-^ estratti, che tutti piena- mente attestano nulla esservi di comune co'volgari compilatori, risultando di un singolare pregio ed eccellenza. Fina solerzia ed acuto discernimento pre- sentò altresì il Rasori nei suoi esperimenti e dettati relativi al tragitto dei rimedi da una ad altre parti del corpo; e di essi, perchè giustamente meritevoli, ha fatta il eh. Del Chiappa una particolar menzione, di cui cjui trascriviamo alcuni brani. « È stata ed è « tuttora grande quistione di qual modo e per qual « via passino velocemente, siccome si osserva tal- « volta, alcune sostanze prese per bocca, sieno es- » se medicamenti, o ver cose liquide o beveraggi « per le vie uropoietiche. In vari tempi sono sta- « ti istituiti esperimenti per chiarire questo fatto: « ma nullo ha potuto finora al giusto comprende- « re ed accertare la cosa, il velocissimo cioè pas- ti sare che fanno certi rimedi dal ventricolo e dal- « le prime vie alla vescica orinarla». Dagli espe- rimenti ch'egli istituì, trasse « induzioni negative; « ed immaginò poi un' ipotesi, che se non è am- « missibile, è certo quella a che per ora in tanta os- « curitk sia lecito di appigliarsi. « Non potendo quindi ne ammettere il passaggio de' rimedi pel sistema sanguifero, né pei vasi linfatici commossi ad un movimento retrogrado, opinò che il tragit- to dei rimedi, in un coU'acqua che li tiene disciol- ti , facciasi per le porosità del tubo alimentare e della vescica. Aveva il Rasori con la dottrina del conlrosli- molo rotto l'idolo di Brown; ma egli dopo questa impresa, a cui si accinse, osò mettere in pezzi e spargere a terra pur quello d'Ippocrate, moderan- do in gran parte l'eccessivo cullo prestatogli, e ri- 90 Scienze ducendolo di tal modo ad un giusto e moderalo ter- mine. Nel dar cominciamento il Rasori alle lezioni di medicina pratica e di clinica dalla cattedra di Pavia, lesse quel discorso, che venne quindi pub- blicato col titolo di Analisi del preteso genio cCIp- pocrate. « La venerazione per quest'uomo (impron- « tiamo le parole del eh. Del Chiappa ), qualunque « egli sia stato, fu in ogni tempo recata tropp'allo « e fuor di ogni misura : e generalmente si è cre- « duto scorgere in esso lui alcun che di sovr'uma- « no, e quasi diremmo di divino. Ma per quanto « merito possasi avere in se questo antichissimo « scrittore, certa cosa è che la cieca fede che se gli « prestò ha nociuto infinitamente ai progressi veri « della scienza . . . Ippocrate si è risguardato per « lunghi secoli, ed anche insino al presente tempo « per un oracolo, e per oracoli le sue sentenze, i « suoi detti, e si è tenuta ogni sua opera quasi per « lo vangelo della umana ragione. I giorni critici, « la quadruplice divisione degli umori, il derivarsi « le malattie dal secco e dall'umido, e tante altre « dottrine del eoo, hanno corrotto per un lungo or- ci dine di secoli tutte le scuole mediche. Non si può « negare che nel caos delle sue opere non si rin- « vengano alcune belle verità: ma le sono per cosi « dire affogate fra cento inezie e assurdità , rari « nantes .... Egli si fu sicuramente un uomo di « singolarissimo ingegno: e, ragguardato per que' « suoi tempi, è certamente maraviglioso. Egli si fu « sommo sì per eloquenza, e sì anche per arte; ma « non si sollevò mai a nessuna idea grande e filoso- « fica, vale a dire a nessuna sublime teoria, a nes- « sun grande e general concetto. E ben per questo « lato lo pennelieggiò il grande da Verulamio ne- Rivista medica 91 « gli impeti filosofici, dove egli se la prencte viva- « mente contro ogni fatta di filosofastri più favo- « losi dei poeti stessi, corruttori degli animi e fal- « sificatori delle cose. Passaggio poi facendo alla parte ultima di quel triplice aspetto, sotto cui dicemmo doversi conside- rare il Rasori, cioè come autore dell'opera che por- ta il titolo di teoria della flogosi, è a dirsi ch'egli dal 1831 insino al 36 ordinò e compilò la medesi- ma, intorno a cui per ben anni quaranta osservan- do e meditando sudato avea, e che egli poi mandò sotto il torchio nell'entrar del 37, e che poi non ha per morte potuto veder pubblicata. Ben si occupa di questa il eh. Del Chiappa con palesarne i concetti, con riferire in sulle prime alcuni brani dell'avviso al lettore, e con dare una scorsa al testo cogliendo- ne i capi principali, e ragionandovi ancora talfiata non senza encomio del Rasori medesimo, e talvolta non senza qualche dissentimento dai dettati di que- sto. Seguitano alla Teoria della flogosi due serie di storie mediche, in ferma di appendice, intese a pro- vare: 1. Che nei malati morti per diatesi di contro- stimolo nato per lo piìi da error di diagnosi e quin- di per impropria medicatura, o vero per eccesso di trattamento controstimolante, non si trova mai nes- suna traccia d'infiammazione; e quando vi fosse sta- ta infiammazione , e per essa e' fossero realmente venuti a mancare, sarebbevisi trovata e riconosciu- ta. 2.° Che molte malattie mal curate insin da prin- cipio, o per eccesso di trattamento controstimolante ridotte agli estremi, si sono cessate con un gover- no di cura opposto, ritornandone a piena sanità i malati. Sul pregio per altro di queste mediche isto- rie, udiamone qualche ragionata avvertenza del va- 92 S e ì E N Z B lente sig. Del Chiappa. „ Questa collezione di tue- „ diche storie hassi una duplice ed utilissima ten- „ denza,almeno secondo il parere nostro; ed è l'una „ di confermar sempre piìj la dottrina delia du- „ plice diatesi, fondamento verace e perno unico ,, della medicina, ove vogliasi renderla veracemente „ filosofica e ragionata, liberandola e sceverandola „ da ogni empirismo. L'altra poi si è di rattener „ tanto o quanto i medici dallo spignere troppo „ innanzi, e non di rado, le cure controstimolanti^ „ e creare cos\ talvolta una diatesi opposta, quella „ di controstimolo. Nel che come è facile cosa Ver- ^, rare, cosi è difficil cosa il correggersi. Imperoc- „ che spessissimo rovesciasi la diatesi e trapassa „ senza che si cangino i sintomi e la malattia ; e ,) spinti i medici come nave dalla prima foga, non „ sanno far sosta, avendo fitto in loro mente il pen- „ siero della sempre sussistente infiammazione. E „ come il Rasori si fu quegli che represse il furor „ brunoniano, che traeva tutti allo stimolare, allo „ incendere per errore di diagnosi, tratti i medici „ dall'erramento della fallacia apparente dei sìn- „ tomi e della forma , così pure quel medesimo „ autore e promovitore di tanto beneficio, nel ri- „ vocare ad onore le cure antiflogistiche e refri- „ geranti convenevoli a quello stalo patologico, che „ più spesso regna nel corpo, avrebbe conseguito „ una seconda palma col rattenere generalmente i „ medici spinti ad eccesso opposi to, quello del so- „ verchio conlrostimolare salassando e sanguisu- „ gando, come die' egli, eccessivamente e fuor di „ misura „. Non sembra poi al sig. Del Chiappa opera com- piuta la teoria della flogosi : od è compiuta , egli Rivista medica ^ dice, in quanto può esserlo riguardata sotto certo aspetto. « Manca veramente una teorica che leghi « i fatti (cosi aggiugne ); manca la dottrina della « genesi della infiammazione morbosa; manca l'in- « dagine delle cagioni cha la producono , e quel « che più importa, vi si desidera l'investigazione u delle diatesi. L'autore non teneva quella senlen- « za, ch'è professata da altri ; della identità sem- « pre costante della flogosi. L'infiammazione come « forma -può anch'essere a diatesi di controstimolo, « e tale era la sentenza dell'autore. Ed ei parlommi « più volte della infiammazione per controstimolo, « ed adducevami in esempio il pedignone come una « infiammazione di questa natura: e son certo che « a questo sarebbesi recato, se non avesse temuto « di contraddirsi. Dappoiché aveva posto , che la « diatesi di controstimolo non offre mai ne'cadaveri « il prodotto vero di una infiammazione. Ma in que- « sto pensomi stato sia troppo generale ed assoluto». In due difetti sembra pure al sig. Del Chiappa che vada ad offendere questa opera d'altronde ragguar- devolissima; cioè di aver voluto fermar canoni ge- nerali e dogmi costanti in cosa che non li ammette, cioè lo stato patologico dei visceri in quanto ai se- gni d'infiammazione: e di non aver valutato a suffi- cienza la forza vitale, ed essere caduto nello stesso abbaglio dello Spallanzani rispetto alla digestione, riducendo quasi a puro e material meccanismo tut- te le funzioni patologiche. A malgrado però di que- sti difetti , se pur son tali ( prosieguo il sig. Del Chiappa), l'opera è grande, memorabile, e tale da servire di modello a tutti coloro, i quali intendo- no d'investigar le leggi ed i fenomeni della natura. Né debba impugnarsi che molti benefici! non abbia 94 Scienze recati questo lavoro; il Zanini in un articolo per lui compilato su di esso in forma di lettera al cel. Thiene da Vicenza, e l'ili. Montesanto in Padova, li annotavano con diligenza e perspicacia. Udiamo anzi come quest'ultimo egregio critico la discorra. « Qualunque sia la scuola cui piaccia ascriversi , a qualunque il maestro cui vogliasi seguire, egli è a pur certo, che si dovrk da ognuno tributar lo- « de somma all' autore della recentissima opera « Teoria della flogosi. Quivi tu trovi in effetto « chiara esposizione dei fatti, severità di ragiona- « mento, induzioni legittime insieme ed importan- » ti, parsimonia e aggiustatezza di parole : a dir « breve, limpido coordimento d'idee, grande mae- « stria e proprietà di dire; talché Giovanni Rasori, « già celebrato per altri scritti di medicina, acqui- o stossi coU'ultimo nuovi e perenni diritti ad una « fama agognata da molti, da pochissimi si giusta- a mente conseguita ». Lodatori molti e sommi ebbe il Rasori; ma detrattori pur della sua fama, delle sue novità, del- le sue produzioni non mancarono. Fra i primi ci dice il sig. Del Chiappa, sul proposito dell'opera teste menzionata, che i due prefati ili. medici, l'u- no decoro della medicina in Venezia e l'altro in Padova, ed entrambi pieni di gravi dottrine e di maturo senno, e nei quali la bontà dell'animo va del pari con quella dell'ingegno, valgono ben piìi di assai essi soli, che cento altri detrattori dell'ulti- ma rasoriana fatica. Ebbe onoranza altresì di grandi e fervidi amici, fra'quali annoverar si possono spe- cialmente Domenico Viviani l'ili, botanico, il Tom- masini, il Rubini, il Monleggia, il Borda , 1' A- prilis, l'ili. Vincenzo Dandolo, il cav. Michele Leoni, Rivista medica 95 il dott. Calvettl da Bergamo, il dott. Camuzzoni da Verona, il dott. Vasani, il dott. Benvenuti di Chiog- gia, il Fontaneilles di Parigi, l'ili, italiano Fossati, che onora sulla Senna la patria sua, il Gazzetti da Trento, il dott. Trinchinetti già medico a Ger- nusco , il prof. Gemello Villa di Lodi , il dott, Delhò, del quale egli ha fatto un Lello e tenero elogio che leggesì nella prima edizione della edi- zione di Genova, e vari altri di minor nome, ed anche senza nome. Detrattori, si disse, non mancarono, e spuntar se ne videro con aspre critiche a Parma fin da quando tradusse e coraentò l'opera del Brown. Il modo quindi di pensare e di operare del Rasori parve ai piìi niente meno che un'eresia medica de- gna di scomunica e di anatema , punse vivamente I caldissimi e per poco fanatici seguitatori della brunoniana dottrina. Ed al tempo stesso l'aver po- co men che profanata la memoria d'Ippocrate , a cui la posterità medica ha per così dire tributalo una maniera di culto, gli rendè suoi avversari e mortali nemici i partigiani ed i veneratori della vecchia scuola ippocratica, che son pur sempre mol- ti e possenti. Inaugurò il Moscati la sua clinica scuo- la con un discorso tutto rivolto a celebrare gli an- tichi, e specialmente Ippocrate: e tai discorsi del Rasori e del Moscati, ad elogio ed a carico del vec- chio di Goo, furono fatti di pubblica ragione con l'aggiunta di frizzantissime note anzi che no. Con- tro la teoria e pratica del Rasori si adoperarono Ozanam ed altri^ e venne anzi istigalo il pubblico ministero per vari anni e con perseverante insisten- za a scagliare decreto per vietare al Rasori 1' uso del tartaro stibiato, o limitarne a certe determina- te dosi l'amministrazione. 96 Scienze Lamentò già contro alcuni di questi detratto- ri l'italico riformatore, riprovando quella specie di cieco empirismo introdotto, e riprovando i' osser- vazione priva COSI del sostegno e direzione dell'a- nalisi. « Non è cosa troppo sperabile ( ripiglia il « Rasori ) che la più parte dei medici seguiti que- « sta dottrina così semplice e così chiara. Non tut- « ti possono o vogliono ragionare secondo l'indu- « zione, ne tutti amano l'evidenza filosofica, ne tut- « ti applicar la sanno alia scienza salutare. I piìi « si fermano alle cose di fuori: molti non veggo- « no che eccezioni : alcuni si piacciono di fatti e « di fenomeni accessorii e parziali, e su di questi « hanno vaghezza estrema di sofisticare : e di tal « modo la medicina è per molti un campo di iso- « fismi, piena di eccezione e di concetti sistematici « e di paradossi; delle quali cose malagevolmente « può liberarsi le patologia, la terapeutica , e la « materia medica. « Altro obice alla propagazione della rasoriana dottrina si è l'abuso di questa dottrina medesima, contemplato dal sig. Del Chiappa che si fiancheg- gia co' ragionamenti del Zannini. Se il Knsori aprì gli occhi dell' intelletto dei medici , come si esprime il prof, pavese, e li fé accorti essere anzi ]a pili parte delle malattie procedenti da diatesi stenica e da flogosi, per cui invalse a poco a po- co il metodo antiflogistico, che fessi in picciol tem- po generale ; è vero per altro che diedesi di poi effli neir eccedente controstimolare. Non si vedea pili che flogosi, ed ogni forma morbosa esser do- vea informata e sostenuta da flogistica diatesi: tut- to facea convergere le dottrine e gli studi dei me- dici e la tenace loro operosità intorno ad un solo Rivista, medica 97 pensiero, e questo era la flogosi: « E flogosi ( di- „ ce il Zannini ) si gridava dali'un capo all'altro „ della medicina, flogosi ogni malattia dei visceri „ addominali , flogosi ogni turbazione dei nervi , „ flogosi le paralisi, flogosi le intermittenti, e flo- „ gosi, se Dio ne scampi , fino alle stesse perni- „ ciose larvate; quelle febbri cioè, nrd trattamento „ delle quali se l'inganno ordito dalla larva v'induce „ al salasso, il salasso v'uccide in poco tempo l'in- „ fermo,,. Sia poi o per l'abuso della dottrina, o per le pili fiere ed acerbe gare contro questa ridestate, il tempo giudicar sa, dice il Del Chiappa, ineso- rabilmente gli uomini celebri, il tempo ch'è il pa- dre dei sapienti ( soggiugnc con Erasmo ), l' im- parziale giudice dei trapassati, il quale nel silen- zio delle tombe a tutti assegna quel posto che lor si compete. Ma qualunque poi sia la sorte ( con- chiude il pavese) che possa subire la medicina spe- rimentale per il Rasori fondata, avrà mai sempre l'ammirazione e il seguito dei pochi e veri sapien- ti , e sarà in tutto il tempo avvenire riguardata la rasoriana dottrina dai veraci estimatori delle co- se per una singolare e niaravigliosa restaurazione della scienza medica. La fedeltà di un imparziale istorico richiede* va che il sig. Del Chiappa facesse cenno di quel- le miserie, che ciascun uomo paga come un tribu- to alla nostra frale umana natura, e che comuni fu- rono pure al Rasori. Imperò egli riflette, che ap- parentemente ingrato mostrossi il Rasori verso que- gli istessi che aveangli giovato dapprima; riflette^ che un certo orgoglio ed un concetto troppo gran- de di se risulla dagli scritti suoi, quantunque nel conversare non lo appalesasse; riflette^ che contrgi G.A.T.LXXIX. 7 98 Sciente alla sconcezza del linguaggio di alcuni deslataglisi in petto la più splendida bile,armossi di saette cen- sorie non senza qualche rancore verso alcuni pro- fessori dell' università ticinese. Ma può mai V uo- mo spogliarsi al tutto delle sue passioni ? Può mai esservi animo cotanto virtuoso da non risen- tirsi tanto o quanto delle ricevute e non provoca- te offese? Il divisamento del Rasori sull'azione del chinino e su quella del miasma paludoso ( si es- prime altrove il sig. Del Chiappa ) sembra il de- bole di questo grand'uomo. Ma egli voleva far co- noscere la sua scoperta del potere controstimolan- te della china e del suo preparato più celebre, e forse perciò s'induceva a queste sentenze non cor- rispondenti alla buona induzione e all' analisi dei fatti. Che certo non può credersi che in tutti i ca- si, nei quali egli prescriveva il chinino , pensasse che operato vi avesse il miasma: e dee credersi più presto che con questo farmaco, secondo lui contro- stimolante, si potessero cessare diverse affezioni. Di queste cose per altro intende il Del Chiappa oc- cuparsi di fermo proposito in altra occasione. Stavasi imprimendo la prefata opera della Teo- ria delia /logosi^ allorché sull'uscita di marzo del 1837 sopravvennero inaspettatamente, a giorni sla- ti temperatissimi e dolci, dei freddi repentini ed acutissimi, sì che dava vista di esser noi anziché in primavera, rimbalzati nel più crudo verno. E per questo rapido mutamento nella temperatura ad- divenne, siccome per lo più suole addivenire, che molti d'ogni etk e d' 02:ni sesso infermassero, e massimamente le persone attempate, fra le quali il Rasori. La infermità di questo celebre uomo fu breve e fatale , mentre non essendo valso niun Rivista medica 99 sussìdio dell'arte, nel corto volgere di due soli di fattosi ad un tratto soffocativo il catarro, e falli- tagli la favella, tuttoché egli serbasse interissimi i suoi sensi, vennegli meno il vivere nel dì 13 apri- le, essendo nella età di anni 71 non ancora com- piuti. Piccole alterazioni al capo, molte e pili no- tabili al petto si riconobbero dall' egregio dott. Gherini nella sezione del cadavere, e per queste ultime si giudicò esserne principalmente avvenuta la morte. Diverse osservazioni frenologiche v'istituì insieme con altri il prestante Molossi , ed ebbe riscontrato tra le altre cose ,, i rudimenti o sboz- „ zi ( come dic'egli ) di varie pieghe secondarie „ nei lobi anteriori del cervello, le quali a giu- ,, dizio de' maestri in cose anatomiche non si so- ,, gliono altrimenti osservare giammai ne' cervel- „ li degli uomini volgari. Si notò poi una sin- „ golarissima sottigliezza nel cranio di lui in cor- ,, rispondenza di quella parte del cervello che ri- „ guarda l'organo del paragone, il quale videsi nel ,, Rasori assai prominente e magnificamente svi- „ luppato : e COSI tutti gli altri organi cerebrali „ addetti specialmente alle facoltà intellettuali si „ trovarono in lui assai ragguardevoli ». Onorificenze molte riscosse un tant'uomo men- tre ancor si vivea: ma di esse è agevole l'immaginar le misure. Fu inciso in profilo con iscrizioni intor- no alla testa ed a pie del busto nel 1808: la Beri- ni, figlia dell'ili, scultore di questo nome , lo ri- trasse ottimamente nel 1819 in un gran medaglio- ne in gesso: fu inciso a profilo nello studio Tos- chi di Parma; ed anche scolpito in litografia dal Cornienti, senza dire de'vari ritratti in cera, in gesso, a pastello, e in pietra dura, e ultimamente a 100 Scienze olio dal Gualcii in un quadro; che fu pur esso espo- sto nel 37 in Brera. Surse però incontanente dopo morte una maravigliosa gara di onorare per ogni maniera la memoria di questo egregio uomo: si aprirono soscrizioni, e s'istituì Jina società direttri- ce composta di ragguardevoli persone per erigergli un condegno monumento, onde attestare i meriti e le lodi di questo gran pensatore a chi verrà nella lunghezza del tempo avvenire: e ad un'ora la grati- tudine e l'amniirazione dei contemporanei. Ma appe- na mancato ai vivi il clinico milanese, tutti i gior- nali di Milano ed anche d'altre parti d'Italia ne hanno fatta onorevolissima ricordanza col darne qualche necrologia, od alcun cenno biografico. Tri- Luto all'amicizia pagò altresì il sig. Del Chiappa in un biografico articolo inserito nel Pirata^ mese di aprile 1837, ed una breve biografia egli pur ne com- pilò negli /annali di medicina dell'Omodei pei me- si di giugno e luglio dello stesso anno, ed eguale articolo per la Biografìa del Tipaldo, che si pub- blica in Venezia, e che leggesi nel tomo quinto. Un' inchiesta assai curiosa e ben degna dell'ar- gomento promuove il sig. Del Chiappa, cioè: « Se „ non fosse stato Giovanni Brown, sarebbe egli mai „ stato Giovanni Rasori? Con che vuoisi dire, che se „ non avesse preceduto chi ha sottoposto all'analisi ,, i fenomeni della vita organica, e ferme le leggi „ dell'economia animale, e stabilita la genesi della „ sanità e dello stato morboso, e determinato il mo- ,, do di agire, quantunque non vero in tutta la „ sua estensione, di tutte le sostanze esistenti in ,, natura sopra i corpi vitali, sarebbe mai stato il „ fondatore della dottrina del controstimolo ? ,, Al che il professor pavese risponde opinando, che Rivista medica 101 avrebbe più presto potuto il Rasorl essere quel- lo ch'è stalo Brown, anziché quello cli'è stato do- po lui. L' ingegno analitico e induttivo dell'ita- liano avrebbe a grande probabilità fatto quello che già fece Io scozzese. E qui il Del Chiappa con va- rie maniere di ragionamenti fiancheggia il suo av- viso; istituisce un parallelo di confronto cosi nelle vicende della vita sociale, come nelle altre della scientifica medica, fra lo scozzese e l'italiano da riguardarsi per li più benemeriti uomini che se- gnar possa la scienza medica ne'fasti suoi; ed in compendio epiloga i principii tutti della rasoria- na dottrina. Acutissimo e di veloce comprendimento fu in suo genere l'ingegno del Rasori, tantoché egli po- tè osservando e meditando fare grandi e segna- late scoperte. Egli si può dire uno di quegl'in- telletti che sanno ritrovare un nuovo mondo di cose, ed aprire nuove vie nell'umano scibile; uno infine di quei pochi ingegni originali e creatori che onorarono tutta una nazione, e per cosi dire tutta l'umanità, ,, Per le quali cose tutte ( per tal „ modo chiude la sua opera il sig. Del Chiappa) l'i- „ storia della medicina il dovrà riporre fra i più }, grandi suoi riformatori, e in ispezial modo la te- „ rapeutica, la quale riconosce da lui non solamen- „ te il suo nuovo ed utile ordinamento, ma ancora „ il più grande perfezionamento, e'I suo più lumi- „ noso splendore ,,. Ma il fato comune di certe grandi riforme (osia- mo conchiudere ) tal si è, di non piacere quasi a veruno mediocremente, e sol bens\ di conseguire sommo plauso, o di esser segno a somma censo- ria riprovazione : o sia, perchè ciò ch'è oggetto di 102 Scienze grande stima è parimente bersaglio Ji grande in- vidia; o sia perchè gl'intelletti umani sono avidi di contrasto, e perciò sommamente biasimano quel che altrui scorgono sommamente accarezzare: o sia finalmente, perchè le cose mediocri son simili ad un focherello gik mezzo spento, il quale siccome poco ristora un che assideri, così poco offende un che avvampi; laddove le grandi rassembrano una gran fiamma, la quale per quella istessa virtìi per cui al- letta i gelati ad avvicinarsi, forza riarsi a fuggire. Questa dottrina imper tanto ha avuto i suoi par- tigiani ed i suoi detrattori. Si è per molti lustri combattuto dall'una banda e dall'altra, bene spesso colle armi della invettiva e del sarcasmo, qualche volta pur senza intendersi. E così dopo un lun- go conflitto di ragionamenti pili che di ben marcate osservazioni, sembra che i partiti sieno ancor cia- scuno quasi padrone dei propri divisamenti e dei professati principii. Peso non è dei miei omeri il portar giudizio su questo argomento per infir- mare o convalidare le asserzioni già altrove sparse: valenti censori vi si segnalarono , rilevandovi con diligenza le mende; e fra i recentissimi vi ragiona un Medici con molta cognizione e senno (1). Ma ciò non vieta per altro, che somma estimazione non debbasi al valentissimo Rasori per le tante utili innovazio- ni, per lo spento genio verso la brunoniana dottri- na, e per la tentata luminosa riforma. Lode quindi (i) Lettere fisiologiche al chiar. sig. dott. Francesco Freschi di Piacenza scritte da Michele Medici M. D. pubblico prof, ec Estratte dal giornale per servire ai progressi della patologia e terapeutica. Venezia i858. Rivista medica 103 pur sia all'egregio e chiarissimo sig. Del Chiappa, che con laboriosa solerzia ha rilevato e con giusto encomio delinealo i meriti del Rasori, e con giu- dizio talvolta imparziale e critico ha pur discorso saviamente delle opere del clinico milanese. E se convenevolissima trovammo sempre in ogni tempo la maniera di scrivere del sig. Del Chiappa , nel che consiste (applichiamo qui a gloria del prof, pa- vese le forme di elogio per lui tessuto al Rasori) il decoro e la proprietà del diro; asserir dobbiamo che il suo stile è chiaro, evidente, robusto; che mi- rabile è la ricchezza delle sue locuzioni, la varietà e copia delle sue frasi, e la proprietà della sua di- zione. Giuseppe Tonello 104 Fisica de corpi ponderabili , ossia trattato della costituzione generale de\orpi. Del cav. Amadeo uivogadro dell' ordine civde di Savoia, mastro- uditore nella lì.^ camera de^conti, professore e- merito di fisica sublime nella R.^ università^ membro della reale accademia delle scienze di Torino, e della società italiana delle scienze ec» Volumi due. Torino, dalla stamperia reale. XVX^ncava fin qui tra le opere di scientifico argo- mento un trattato compiuto della parte di fisica , che si può considerare come la base di tutti gli al- tri rami di questa scienza, qual'è la fisica de'corpi ponderabili. L'illustre cav. Avogadro, già cosi chia- ro per molte sue dotte e svariate scritture, ha da- to all'Italia un' opera assai estesa su questa parte delle nostre cognizioni: ed io intendo di farne un brevissimo cenno, non comportando il lavoro una particolarizzata analisi. Mi limiterò sulla scorta del- la luminosa prefazione dell' opera , di cui già vi- dero la luce due volumi dedicati a S. M. il re di Sardegna, a toccare delle cose nuove in essa conte- nute, e del metodo seguito: quantunque la mode- stia dello scrittore lo abbia rattenuto dal far sen- tire gì' importantissimi nuovi risultamenti , a cui dalle accuratissime sue ricerche e dalla più subli- me geometria egli è stato condotto. Dato un rapido sguardo sulle parti affini alla fisica , e fatto osservare come tra le diverse parti Corpi ponderabili 105 delle scienze naturali la fisica de'corpi ponderabili sia la sola che non sia ancora stata esposta in un trattato compiuto, e come scienza per se stessa sus- sistente, quale a'di nostri dee considerarsi , viene l'autore a trattare partitamente nel l.'* volume del- la costituzione generale de'corpi come formati di molecole distinte, animate da forze attrattive e ri- pulsive, e delle proprietà esterne de'medesimi, ri- sultanti da queste forze, come il peso specifico, la coesione, l'elasticità ec; e riferisce su ciascuna di queste proprietà, limitandosi dapprima a'corpi soli- di, tanto i risultamenti piìi precisi delle esperienze, quanto quelli delle più profonde speculazioni teo- riche, di cui essi furono l'oggetto. Si occupa piìi particolarmente delle vibrazioni de'corpi solidi atte a produrre in noi la sensazione del suono e delle relazioni fisiche tra i suoni stessi che ne sono pro- dotti. Tratta quindi molto estesamente della cristal- lizzazione, sulla quale riunisce in un corpo solo i lavori di Hauy, e quelli fatti più recentemente da' cristallografi tedeschi, ancora pochissimo noti fuori della Germania; e vi aggiunge finalmente quello che riguarda alcune proprietà de' corpi , strettamente connesse colla cristallizzazione, quali sono l'isomeria, l'isomorfismo e il dimorfismo. Nel secondo volume l'autore passa ad occuparsi specialmente della costituzione de'corpi liquidi, e quindi de'corpi gazosi od aeriformi. Quanto a'iiqui- di si estende principalmente sull'azione capillare proveniente dalle forze attrattive delle molecole de' liquidi stessi fra loro, e da quelle de'corpi solidi sopra i medesimi. Espone per intiero la teoria del sig. Poisson su quest'azione, e riferisce quindi le più accurate esperienze fatte sui fenomeni che ne 106 ScifirtEK dipendono, tra le quali alcune istituite recentemen- te dall'autore medesimo, e già pubblicate negli atti dell'accademia delle scienze di Torino. Vi aggiunge ciò che riguarda la compressibilità de'liquidi per mezzo di forze estranee. Quanto a' fludi aeriformi, stabilisce il dotto autore le loro distintive proprie- tà, e particolarmente la legge della loro compressi- bilità nota sotto il nome di Legge di Mariotte^ e fa conoscere la costruzione e l'uso de'barometri e della macchina pneumatica, ec. Passa quindi alle leggi del loro moto, per quanto appartiene al suo scopo, e si arresta particolarmente a quelle delle loro vi- brazioni sonore, a compimento di quello che già ave- va detto nel primo volume sulle vibrazioni de'corpi solidi. Esaminando poi le proprietà, per cui i di- versi fluidi aeriformi differiscono dall'aria atmosfe- rica e tra loro stessi, tratta della determinazione del- la loro densità, e cerca la relazione tra questa den- sità e la natura chimica della loro sostanza, parten- do dall'ipotesi già da lui stesso da lungo tempo pro- posta, ed ora quasi generalmente ammessa, dell'e- guaglianza del numero delle molecole integranti in un dato volume di qualunque fluido aeriforme sotto egual pressione e temperatura. Questi due volumi già pubblicati formano la prima parte dell'opera, in cui si considerano i cor- pi ad una temperatura determinata e costante. Nella seconda parte, che formerà l'oggetto del terzo ed ultimo volume, Tautore esaminerà l'influenza delle variazioni di temperatura sulla costituzione e pro- prietà de'corpi; ed avrà quindi ad occuparsi della determinazione della temperatura per mezzo de'ter- momelri,della dilatazione de'corpi tanto solidi, quan- to liquidi e gazosi, del passaggio de'corpi dall'uno Corpi ponderabili 107 dì questi stati di aggregazione airaltro, e de'feno- meni calorifici che Taccompagnano ec. Chi coltiva le scienze fìsiche non potrà a meno di consultare tal'opera magistrale, frutto delle piìx dili- genti e perseveranti fatiche, senza ricorrere ad ope- re straniere dispendiose e non poco imperfette, od alle memorie originali sparse in immense collezioni e giornali scientifici, bastando quella che annun- ziamo, a pienamente soddisfare le brame di chic- chessia. Cav. dott. B. Trompeo. 408 Collezione di voti medico — legali. Art. II. INFANTICIDIO XI giorno 29 giugno 1824, sulle ore 20 italiane, Do- menico Ercoli nel mietere il grano alla propria co- lonia in contrada Costa Martina, territorio di Civi- tanova, e distante dall'abitato circa due miglia, potè avvedersi che nel ciglio interno della siepe, che di- vide il terreno dalla strada comunale, esisteva un cadaverino umano del tutto ignudo. Ne dette immediatamente parte alla curia di Cìvitanova, che si recò sul luogo per la necessaria ispezione; ed i fisici ritrovarono il cadaverino di ses- so femmineo, lo giudicarono nato vivo e vitale, ed ucciso ex scelere per colpi ricevuti in testa da cor- po contundente. La vita disonesta menata sempre da Marianna Moretti di Civitanova, che fin dalla prima gioventù erasi resa madre per illegittimo commercio;la circo- stanza, che questa donna il giorno 27 del mese sud- detto erasi recata da s. Elpidio in Civitanova , e quindi n'era partita l'islesso giorno 29 per resti- tuirsi in s. Elpidio ; qualche alterazione osservala nel suo fisico, ed una certa equivoca condotta rile- vata in essa, fecero si, che il fisco gli dirigesse con- tro le sue indagini; e fatta immediatamente ispe- zionare, si trovò fresca di parto. Voti medico-legali 109 Sottoposta ai costituti, quantunque abbia vo- luto far credere di essere stata violentata, ha am- messa la sua gravidanza, V occultazione della me- desima, e di aver partorito una bambina morta di sesso femmineo, che essa occultò, e che quindi nel partire da Civitanova depositò appunto nel descrit- to campo nel quale si rinvenne. Cessava qualunque dubbiezza tanto per il par- to, quanto per l'identità del feto, e cadeva la sola indagine nel vedere se potesse dirsi ex scelere per fatto della madre: su di che era convinta dalla pe- rizia fiscale. Il difensore peraltro della prevmuta ha attac- cato di fronte la regolarità della suddetta perizia: e pretendendo di rilevare gravissime omissioni ha sostenuto, che il parto non potesse coirsi nato vivo e vitale, e molto meno ucciso ex sedere. Volendo il tribunale procedere con tutta ma- turità in una causa di tanto rimarco, ricercò in pro- posito il giudizio di due esperti e primari fisici di Macerata sulla perizia emessa dai fisici assunti dal fisco: e questi sostennero virilmen:e la parte della prevenuta, giacche conclusero chf dalia perizia fi- scale non veniva afifatto stabilito, eie il parto fosse nato vivo e vitale, rilevando nelh medesima mol- tissime mancanze, che impedivanoun fondato giudi- zio per la vita e vitalità del fet». In questo conflitto di opiniori il tribunale non volendosi erigere in giudice in jna materia , che non è propriamente della sua sfera, ricercò il giu- dìzio de'fisici fiscali di Roma tanto sulla perizia fi- scale prodotta in atti, quanto su i rilievi fatti con- tro la medesima dal difensore e dai fisici di Mace- rata, come meglio rilevasi daffli scritti seguenti. 110 Scienzk Alto giuridico del uisiim et repertum del cadaverino. A dì 29 giugno 1826. Immediatamente ed in forza del giudiziale de- creto, io notaro e cancelliere infrascritto sono par- tito da Civilanuova in unione ai signori dottor Ales- sandro Vespa primario medico condotto in detto comune, e dottor Giuseppe Gommi chirurgo con- dotto parimeiti in detto comune, periti deputati, al cursore Giuseppe Capitani ed alla forza armata, e col mezzo di un trasporto ci siamo diretti alla casa colonica del predio in contrada Costa Martina nel territorio di Civitanuova distante dal comune ridet- to circa due niglia, ritenuto a colonia da Marone Er- coli detto Moitefora: ove giunti notificai all'Ercoli, che trovavasi nelle vicinanze di detta casa, la causa del presente accesso. Chiamati due testimoni nelle persone di Marcne del fu Liberato Propeti contadi- no di questo teiritorio in contrada Pisciarelle, e di Marone del viveite Filippo Fidoni contadino, nella suddetta contradj Costa Martina, ambedue di età mag- giori ed idonei tutti, colla scorta dell' Ercoli pas- sando sempre per il terreno da esso Ercoli colo- nizzato, che era seminato a grano trovandosi al suo- lo la stoppia non per anco recisa, ci siamo diretti ed avvicmati ad una fratta viva di spini , che ha principio dalla strada comunale , che conduce al molino Ciccolìni ed al ponte di Chientij qual fratta che divide il terreno suddetto dalla strada indicata è ben connessa, alta da terra tre in quattro palmi circa di mano da uomo, e si estende fino al con- Voti medico-legali iW fine del ridetto terreno Ciccolini colonizzato dall'Er- coli. In adiacenza alla fratta predetta dalla parte del terreno, e nella distanza di circa un quarto di miglio tanto dalla casa dell'Ercoli, quanto dalla car- rareccia, in cui prende origine la predetta strada comunale, che conduce col molino Ciccolini e ponte di Chienti, si è veduto disteso in terra un fazzoletto da naso color turchino piuttosto lacero, ed avendo- mi l'Ercoli dichiarato che sotto il predetto fazzolet- to esiste il cadaverino, di cui etc; e che da esso era slato coperto in tal guisa appena se ne avvide, è stato immediatamente il fazzoletto, di cui sopra, ri- mosso, ed ho veduto ed osservato, conforme osser- varono i testimoni e gli altri della comitiva, essendo le ore sette pomeridiane, un cadaverino umano di sesso femminino disteso alla supina al terreno, che forma il ciglio della fratta, che è sodivo, erboso, del tutto ignudo, col capo volto, e quasi totalmente in- ternato alla fratta, e colle gambe in direzione al terreno, ove si vede la stoppia del grano in linea obbliqua alla fratta ridetta, della lunghezza di detto cadaverino di due in tre palmi di mano d'uomo, faccia tonda, naso piuttosto piccolo, bocca regolare, occhi biancastri, che si poterono osservare mediante la sollevazione delle palpebre, perfettamente organiz- zato e completo, con unghie alle dita delle mani e dei piedi, e con capelli corti in testa di color ca- stagno chiaro, senza ligatura al funicolo ombelicale, che si osservò della lunghezza di circa due dita tra- sverse di mano di uomo e che si vide di molto asciutto e diseccato. Si osservò che il luogo del rin- venimento di detto cadaverino trovasi quasi nel pun- to medio a due pertugi, ossia passetti che esisto- no in detta fratta, per i quali liberamente può pas- 112 Scienze sare un uomo di qualsivoglia età e di giusta corpo- ratura, esistente cioè uno di tali pertugi dalla par- te di sotto, ossia in direzione al ponte di Chienti in distanza dal luogo del rinvenimento predetto qua- ranta in cinquanta passi di cammino andante, e l'al- tro dalla parte di sopra ossia in direzione all'origine della ridetta strada comunale dalla parte della car- rareccia verso Givitanova: ed in distanza dal luogo del rinvenimento ridetto trenta o quaranta passi di cammino andante. Sollevato da terra il cadaverino suddescritto, e voltato e rivoltato, la periferia del corpo si presentò piuttosto biancastra , meno le spalle, le guance , la barba e la fronte, che si os- servò di colore tendente al paonazzo, le pudende e la parte anteriore delle cosce , che si videro gene- ralmente lorde di sangue già diseccato, il mento si- nistro sotto l'orecchio, il collo da detta parte, e la parte superiore ed anteriore del braccio corrispon- dente, che si videro tinti di sangue parimenti di- seccato, e che si osservò avere avuto principio, ed esser profluito dall'interno dell'orecchia predetta. Si vide parimenti ed osservò , che al terreno ove giaceva il cadaverino suddescritto non esiste altro sangue, se non che poca quantità e precisamente poche gocciole, che vedonsi gik aride ed in ten- denza all'orecchio sinistro, da cui tali gocciole sono senza dubbio derivate; s'intese, che il cadaverino ri- detto incomincia a tramandare un poco di fetore, e fu veduto ed osservato da me, periti e testimo- ni, che non porta nella periferia del corpo altre offese, se non che le seguenti. Una contusione ed echimosi, che impegna tutto il parietale sinistro, ^ì porzione del frontale sinistro, una lacerazione dei comuni tegumenti sopra l'orbita sinistra in tenden'- Voti medico-legali 1 1 3 za airorecchia corrispondente di figura irregolare, e dell'estensione di circa due dita trasverse di ma- no di uomo, ed altra che impegna la parte supe- riore dell'oreccliia predetta: alle quali lacerazioni ed echimosi si vedono infisse ed internate delle gra- nella, e qualche piccola zolla di fango o loto- Ba- sandosi il giudizio sulla situazione ed atteggiamento in cui fu il cadeverino, di cui sopra, rinvenuto ri- sultò, che l'echimosi e lacerazioni descritte non han- no potuto avere origine da inavvertente pestatura o pestature di persona o persone che possono esser passate a contatto della fratta medesima, atteso che, come si disse di sopra, il capo trovavasi quasi to- talmente internato nella fratta stessa, e da questa difeso: per cui il restante del corpo piuttosto , e non il capo poteva andar soggetto ad esser pestato per inavvertenza da persona o persone, che fossero potute transitare in adiacenza alla fratta anzidetta. Tutto ciò premesso, ho invitato i prelodati si- gnori periti a voler portare sul cadaverino le piìi minute ispezioni ed osservazioni, e di riferirle, e par- ticolarmente a voler dichiarare coi possibili detta- gli, se possa esser nato vivo, se è nonimestre e per- fettamente ultimato ed organizzato, e se fosse vi- tale, qualora sia stato dato alla luce: mentre era in vita, da quali cause possa essere derivata la morte: quanto tempo sia da che è rimasto estinto, e quan- to tempo abhia potuto respirare e rimanere in vita. Per rendere un adequato giudizio su quanto sopra, ho ordinato al signor chirurgo che fosse passato alla sezione del cadaverino tanto nel corpo, quanto nel torace e parti sottoposte. Posto il cadaverino sopra un banco fatto a tal uopo approntare col mezzo di anatomici islromcnti, aperto avendo il signor chirur- G.A.T.LXXIX. 8 \ 114 Scienze go il torace, e sollevate le ossa, si è veduto ed os- servato da me, periti e testimoni, che tanto il cuo- re,quanto i lobi dei polmoni sono stati generalmente spiegati dall'aere respirato. Essendo stati i polmoni predetti estratti dal signor chirurgo, e posti imme- diatamente di mio ordine in un piccolo catino di creta verniciato bianco della rotondità di circa tre palmi di mano d'uomo, con entro dell'acqua comu- ne limpida, che si eleva dal fondo cinque in sei dita trasverse di mano d'uomo ; catino che era sta- to di già approntato: si vide ed osservò da me, periti e testimoni , che rimasero del tutto galleg- gianti , e che non inclinarono in conto alcuno al fondo. Furono speculati di mio ordine anche gli al- tri visceri interni, e si trovarono nello stato naturale e perfetto. Quindi il ridetto sig. chirurgo col mez- zo degli opportuni istromenti anatomici ha di mio ordine rimosso i comuni tegumenti nella parte del capo, in cui si presentò l'echimosi, di cui sopra, e le suindicate due lacerazioni. Tra detti tegumenti e le ossa si vide ed osservò, ma in piccola quanti- tà, del sangue di color nericcio grumato ed estra- vasato, e parimenti si vide ed osservò da me, pe- riti e testimoni che le ossa predette, cioè il parie- tale sinistro e porzione del frontale parimenti sini- stro, sebbene in esse non si presenti rottura, resta- no contuse e nericce fuori dell'equilibrio naturale, ed alquanto inclinate, e depresse alla sottoposta so- stanza. Sollevate dal chirurgo le ossa predette, si osservarono contuse , e nericce anche dalla parte interna, e sopra le sottoposte membrane del cere- bro, ossiano meningi, si presentò del sangue gruma- to ed estravasato, e piuttosto in abbondanza. Si spe- culò la sottoposta sostanza cerebrale, e si rilevò al- Voti medico-legali 415 quanto compressa ed iniettata di sang^ue fuori di circolo. Si ricercò da che parte possa esser proflui- to il sangue derivato dall'orecchia sinistra, e si ri- levò avere avuto origine da rottura dei vasi cere- brali, ed esser sortito per la tuba eustachiana. Tutto ciò eseguitosi, i più volte nominati signori periti dissero, riferirono, e concordemente giudica- rono secondo la loro perizia, professione, lunga pra- tica e coscienza, e sotto il vincolo del giuramento, conforme toccate ec. separatamente giurarono ec. a mia ec, che il cadaverino della fanciulla, di cui si è fin qui parlato, è perfettamente compiuto in tutte le sue parti; perfettamente organizzato, e con mem- bra in tutto e per tutto corrispondenti ad un par- to maturo e perfetto di nove mesi; che la fanciulla, di cui sopra, è sortita viva dall'utero materno, ed ha vissuto più ore, conforme ancora si desume dal cuore, e dai polmoni che sono stati totalmente spie- gati dall'aere respirato: e si sono convinti della ve- rità di tale incidenza, sebbene sia palpabile la re- spirazione^ suddetta, dall'esperimento fattone in un catino con dell'acqua, in cui posti i polmoni si vi- dero del tutto galleggiare; che stante la dichiarata perfetta organizzazione delle membra in tutte le parti tanto all'esterno, quanto all'interno, e la matu- rità, la fanciulla ridetta fosse assolutamente vitale; che, come dissero, ha vissuto piìi ore dopo essere stata data alla luce; che sarà una giornata e mezza circa, da che è passata fra gli estinti, e che ciò si desume ancora, atteso che incomincia a tramaìidarc qualche cadaverica esalazione. Dichiararono però concordemente, che il cadaverino ridetto non tro- vasi in conto alcuno nello stato di corruzione. Che tanto la contusione od cchiiuusi, che impegna lutto 116 Scienze il parietale sinistro, e porzione del frontale pari- menti sinistro, quanto le lacerazioni sopra l'orhita, e nella parte superiore dell'orecchia, il tutto a parte sinistra superiormente rilevate ec., sono state pro- dotte mentre la fanciulla era in vita da veemente colpo, o colpi d'istromento contundente e lacei'an- te, come sarebbe sasso, legno o altro consimile istro- raento, lordo però di fango o terra, stante che vi si rilevarono infisse e conficcate talune granella e pic- cole zolle di loto, o pure dall'essere stata la fan- ciulla nella parte suddetta fortemente battuta o get- tata in terra; che il colpo o colpi che produssero la contusione o echimosi, di cui si parla, e le rile- vate lacerazioni per aver causato la contemporanea depressione delle ossa suddescritte, una forte com- mozione nella sottoposta sostanza cerebrale, lo stra- vaso sanguiguo, ed altri sconcerti superiormente ri- levati, sono la causa certa ed indubitata della morte immediata e violenta della fanciulla, di cui sopra; che sono di costante e fondato sentimento, che non sia concorsa a privare di vita la fanciulla la rilevata mancanza di legatura al funicolo ombellicare, atteso che il cadaverino non trovasi esangue, o perchè il funicolo predetto si è osservato molto inaridito e ristretto, per cui opinano che la fanciulla appena data alla luce possa essere stata tolta la ligatura al- l'atto dell'uccisione, giacche se nel sortire dall'ute- ro materno si fosse omessa la ligatura predetta, non avrebbe potuto vivere pili ore come hanno di so- pra concluso; che però non possono giudicare su basi certe se possa essere avvenuta la ligatura, e sia stata poscia tolta, atteso che non hanno potuto ri- levare alcuna traccia per convincersi di tale verità; che parimenti non possono rendere un adequato giù- Voti medico-legali 117 dizio sul come, ed in che modo possa essersi otte- nuta la separazione del funicolo ridetto dalla pla- centa, o seconda, non presentandosi traccia, se sia stato reciso, o strappato a forza, atteso che la som- mità ancora trovasi oltre modo ritirata e compressa; che il sangue diseccato, di cui si vedono lorde le pudende e la parte anteriore delle cosce, può es- sere derivato dalla natura materna all'atto del par- to; che quello al mento, al collo ed alla parte su- periore ed anteriore del braccio, il tutto a parte si- nistra, ha senza dubbio profluito dall'orecchia cor- rispondente in secjuela del colpo o colpi, de'quali superiormente ec, anche perchè la parte interna dell'orecchia predetta, e la parte inferiore esterna si vedono lorde di sangue gik diseccato ec. confor- me anche io vidi ec. coi testimoni ec; che il co- lore tendente al paonazzo, che si osserva alle spal- le, alle guance, alla barba ed alla fronte, compro- va la morte immediata e violenta, acni per il col- po o colpi ricevuti, dei quali di sopra ec. e andata la fanciulla soggetta ; e cosi su tutte le premesse cose dissero, riferirono e concordemente giudicaro- no secondo la loro perizia, professione, lunga pra- tica e coscienza ec. in fede ec. Quindi il signor perito chirurgo si è posto a ricomporre il sezionato cadaverino: ed io anche col beneficio di un lume acceso, essendo prossimo il suono dell' Ave Maria, sebbene il Cielo fosse ben chiaro e sereno, ho portato le più minute ispezio- ni alle vicinanze del luogo, in cni si rinvenne il cadaverino suddetto, ma non mi riuscì di acquista- re alcuna traccia relativa al delitto, ed al come, e con quale preciso istromcnto commesso. Ho rileva- to dietro informazioni somministratemi a ricerca 118 Scienze tanto dairErcolr, quanto dai testimoni, che il luogo ove si rinvenne il cadaverino suddetto può rima- nere distante dal ponte di Ghienti un buon miglio circa tenendo la suindicata strada comunale, e dal porto di Civitanuova circa mezzo miglio passando per le .stradelle scorciatoie. In seguito il cadaverino suddetto fu depositato in casa dell'Ercoli, ed in un vano appartato per ogni effetto ec. con ordine di ritenerlo a disposizione della giustizia fino a nuovo avviso. Avendo i testimoni dichiarato con loro giura- mento di essere stati sempre presenti a tutto quan- to si è di sopra veduto, osservalo, giudicato, spe- culato ec. , e d' ignorare del tutto da qual donna il cadaverino, o parto di cui sopra ec, era stato dato alia luce , conforme ec. toccate ec. separata- mente ec. a mia ec, come pure di non saper scri- vere; ho chiuso il presente atto, che fu firmato dai sullodati signori periti, previa lettura, e conferma ec. ed ho fatto ritorno, licenziati i testimoni, col- la comitiva in Civitanova, ove giunsi alle nove po- meridiane del giorno suespresso aggiornando im- mediatamente di quanto sopra l' illmo signor go- vernatore. Firmati = Alessandro "Vespa primario medico condotto. Giuseppe Giommi chirurgo condotto. Così è Dionisio Domeniconi not. cane. rog. Voti medico-legali 119 PARERE Di Francesco Puccinottl professore di medicina le- gale nella unis^ersità di Macerata^ e di Giaco- mo jdssiari chirurgo primario e dissetare ana- tomico della detta università. Sopra un rappor- to medico legale tendente a provare un infan- ticidio ex scelere ec. ec. Interpellati da questo rispettabilissimo tribu- nale criminale di prima istanza intorno il valore delle prove fisiche d'infanticidio criminoso esposte in un rapporto medico-legale, dopo averlo attenta- mente letto e considerato , ci sembra che di esso possa giudicarsi come segue. Per rispondere alla prima dimanda del foro, e giudicare se il cadavere della neonaia fosse ginn- to a maturità, e nonimestre e vitale, i signori pe- riti lo hanno prima misurato a palmi e lo hanno trovato lungo di due in tre palmi di mano d'uomo, ed hanno poi tra i caratteri esteriori del suo per- fetto sviluppo notalo essere esso provveduto r/f" ««- ghie alle dita delle mani e de^ piedi, e di capelli cor- ti in testa di color castagno chiaro. Ma non si è mai per mia fede permesso di misurare un infante a palmi, e di determinare la sua lunghezza coH'equi- voca espressione di due in tre palmi, perche l'ag- giunta o la diminuzione di un palmo può far re- trogradare un feto dalla misura nonimcslre sino a quella di sei o cinque mesi : il die non avviene dalla differenza di un pollice al di la o al di qua de'dieciotto, ordinaria misura di un fanciullo giun- to alla maturità dello sviluppo. Poco precisa è a- 120 Sciènze dunque la determinazione della misura del cadave- re. Mono esatta e poi la indicazione dello stato del- le unghie e de'capelli, perocché anche i feti imma- turi hanno le unghie alle dita delle mani e de'piedi, ed i capelli corti; e per distinguere lo stato di que- sti da quelli de'feti giunti a maturità , conveniva aggiungere che que'eapelli erano folti e sodi, e con- sistenti e lunghe le unghie. Gl'indizi interni di maturità e di vitabilità, che si deducono dal diligente e minuto esame anatomi- co delle parti contenute nel cranio , nel torace e neir addome , sono appena accennati nel suddetto rapporto. Le osservazioni fatte sulle meningi e sul cervello ebbero solo in mira di confermare gli ef- fetti di una supposta esterna violenza, di cui ap- parivano le tracce sul parietale e frontale sinistro. L'esame superficiale istituito sui polmoni ebbe solo a scopo di verificare la respirazione del feto. Ma dello stato de' visceri del basso ventre non si fa parola. Ne bista il dire generalmente, che gli altri visceri erano nello stato normale. Conviene precisa- re ogni dove 11 perito ha portato la sua attenzio- ne , afilnchè costi al foro che nessuna parte dell' infante è stata trascurata dal fisico, e nessuna di- ligenza ha egli omessa per riunire tutti que' par- ticolari indizi, dalla cui completa riunione soltan- to può avere scaturigine l' aggiustatezza di un giu- dizio medico-legale. Qual'era lo stato del diafram- ma, del fegato, dello stomaco ed intestina, de're- ni, della vossica? S'ignora. Non si sa nemmeno se il basso ventre sia stato aperto, ed osservato. Que- sta incompleta disamina delle parti interne, e la poca precisione nell'osscrvarc ed esporre i carat- Voti medico-legali 121 Ieri Jcir esterne, rendono assai dubbie le prove addotte di vitabilità nella neonata. Passati ad esaminare poscia come , secondo che risulta dal loro rapporto , abbiano operato i sullodati signori periti per soddisfare alla secon- da inchiesta del foro ; cioè se la neonata avesse vissuto^ o no dopo il suo nascere: abbiamo anche qui dovuto dolerci assai della poca esattezza nell' osservare e nello sperimentare, e delle gravissime omissioni, e della temerità nel concludere di quei fisici. Aperto adunque a tal uopo il torace^ e sol- levate le ossa (dice il rapporto) , si vide ed os- servò che tanto il cuore^ quanto i lobi dei polmoni erano stati generalmente spiegati dalVaere respi- rato. Contenti di questa rapida occhiata, si estras- sero i polmoni dalla cavità, impazienti di procede- re allo sperimento dell' acqua, ossia alla docimasia idrostatica. Qui si commise certamente il pecca- to di Luca Giordano, che consisteva nel far trop- po presto. Prima di staccare i polmoni dal torace e passare alla prediletta docimasia , doveansi no- tare altre cose sui polmoni in sito, oltre la loro es- pansione. Doveasi osservare e notare se erano di color roseo-pallido e screziati, se coprivano co' lo- ro lembi il pericardio , se leggermente compressi mostravano cjualche elasticità , e se empivano tut- ta la cavità toracica. Oltre poi all' avere omesse queste necessarissime avvertenze, curiosa è la espres- sione del rapporto, che anche il cuore era stato ge- neralmente spiegato dalVaere inspirato. Di questa nuova opinione fisiologica, cioè della introduzione dell'aria nel cuore per mezzo della respirazione, ne dimanderanno i periti il perdono a que'vecchi mae- stri, che credevano in buona fede, che nelle arte- 122 Scienze rie ci fosse aria e non sangue , mentre i moderni non glie la menan buona per certo. Estratti i polmoni, senza che si sappia se fu- rono estratti unitamente col cuore, o senza, essen- do già pronto un catino coli' acqua, i periti, non volendosi prendere altre brighe, li gettarono a di- rittura dentro , e si videro galleggiare- Anche qui si ebbe troppa fretta. Appena separati i polmoni insieme col cuore dal torace, doveasi attentamen- te osservare se erano incorrotti, se contenevano i da- tìdi, o vesciche piene di aria, ed anche lavarli se erano imbrattati di sangue, o di schiume saniose. Per poi procedere alla docimasia, conveniva ave- re apparecchiato un vaso di un piede almeno di larghezza, e di otto o dieci pollici per lo meno di profondità, e pieno di acqua: ch'è quanto dire, che quest' acqua si elevasse dal fondo per otto o dieci pollici in circa di altezza. I nostri periti invece si contentarono, che l'acqua del loro catino si elevasse dal fondo di esso cinque o sei dita trasverse : la qual misura appena arriva a quattro pollici. Della quantità dell'acqua ch'essi usarono non altro sap- piamo, se non che cotest'acqua era limpida: ma la precisione del rapporto doveva indicare altresì che essa non era ne tepida, ne calda, ne salmastra. Veduto ch'ebbero i periti galleggiare una so- la volta nell'acqua i polmoni, fu bastante per es- si per troncare ogni sperimento ; e per decidere che il feto aveva respirato, ed era vissuto dopo la nascita. Ma essi cominciarono male la loro docima- sia, la continuarono peggio, e l'abbandonarono quan- do questa doveva anzi proseguirsi colla massima attenzione. Dopo che si era veduto per la prima volta soprastare all' acqua la massa carnea sotto- Voti medico-t-kgali 423 posta allo sperimento, doveansi togliere dal vaso i polmoni, staccarne il cuore, e cimentare di ntio- vo i soli polmoni. Fatto questo, dovea separarsi il polmone destro dal sinistro, e ripetere con entram- bi separatamente la sperienza. Finalmente dovea ta- gliarsi ciascun polmone in vari pezzi, e soprappor- li ciascuno all' acqua, e notare se queste parti, sic- come il tutto, si mantenevano galleggianti. E nel mentre che si faceva questa ultima prova, doveva osservarsi, se sotto il coltello anatomico crepitava l'aria , che si sprigionava dalle cellule polmona- li ; se nella sostanza del polmone v' erano scirri, incrostamenti calcarei, sleatomi, congestioni muco- se e sanguinose ; e principalmente doveasi consi- derare se le propagini delle arterie e delle vene polmonali erano dilatate, e piene di sangue: osser- vazione che non può omettersi dal perito, essen- do la sola che distingue se 1' espansione de' pol- moni, e il loro galleggiare suU' acqua dipenda da aria soffiata ad arte nella trachea del neonato, ov- vero da aria inspirata; nel quale ultimo caso sol- tanto i vasi arteriosi e venosi polmonali conten- gono notabile quantità di sangue. E appunto per- chè possono mostrarsi enfiati e galleggianti anche i polmoni enfiati ad arte, o passati alla putrefazio- ne, non doveasi dimenticare nemmeno 1' avverten- za hunteriana sulla differenza notabile delle bolle aeree che si svolgono dal polmone enfìsematico, e dal polmone dilatato da aria naturalmente inspi- rata. Potrà adunque chiamarsi docimasia idrostatica quel frettoloso, incompleto e grossolano sperimento che hanno praticato i nostri periti? No per certo. Ma quand'anche essi l'avessero praticato con tutte 124 Scienze le cautele da noi accennate , che sono pur quelle raccomandate da tutti gli scrittori di medicina le- gale, con qual diritto potevano essi trarne la pre- cipitosa conseguenza della vitalità, e della vita del neonato dopo la nascita? Quale vi ha trattato og- gimai di medicina-forense, nel quale non si pre- dichi ad alta voce, e con migliaia di osservazioni ed autorità, che la sola docimasia idrostatica non basta per acquietare i nostri giudizi, e per assi- curare il foro che il feto ha respirato , e che vi- vo si è mantenuto dopo la sua uscita dall' utero? Chi v' ha che abbia consultato , non dirò tutti j ne molti , ma un solo autore moderno di medici- na-legale, che non vi abbia letto esser necessario avvalorare la docimasia idrostatica con quella del- la bilancia del Plougnetì Dall'assoluto silenzio nel rapporto intorno questo secondo necessarissimo spe- rimento , si può dedurre che i signori periti lo ignorassero affatto. Ma Dio buono! quando essi furono chiamati a decidere del consaputo infanticidio, quando il fo- ro pose nelle loro mani la spada della giustizia, essi sentirono così poco la importanza diìlla com- missione, che non si dettero nemmeno la pena di consultar prima un libro di medicina-forense? È forse negozio da pigliarsi a gabbo 1' infanticidio; delitto da uno de'più gravi giuresconsulti, dal Bec- caria, giudicato quasi sempre d'incerta prova; de- litto, le cui materiali e fisiche cognizioni sono co- sì spesso intralciate , commiste , ed oscure , che non bastano le piìi severe e spicciolate indagini per formare un rapporto incensurabile, e per sta- i)ilire un giudizio che non ammetta ambiguità, e che possa acquietare la coscienza nostra, e quella Voti medico-legali 125 de' giudici ? Noi ci saremmo appagati, ch'essi so- lo si fossero rivolti al Tortosa, e vi avrebbero pure appreso come dovevano diportarsi in questa deli- catissima faccenda: avrebbero letto, che si potrà giudicare con qualche probabilità che sia nato vi- vo un infante allora solo che „ i polmoni turgi- „ di, varii, cedenti, leggeri occupino tutta la ca- „ vita del torace, coprano il pericardio, siano il- „ lesi da enfisemi, da vessiche piene d' aria, e da ,, sensibile corruzione; che posti in tale stato nell' „ acqua, costantemente galleggino; che nel com- ,, plesso dei loro vasi arterie si e venosi conten- „ gano notabile quantità di sangue ; e che il lo- „ ro peso, paragonato {docimasia plouqueziana) a „ quello di tutto il corpo, stia in ragione di due „ a settanta , o di uno a trentacinque „. Ma se i periti hanno con dssdoro dall' arte loro , e con grave pericolo di trascinare dietro la loro ignoran- za e negligenza il tribunale, trascurate cotesto in- dagini e cotesti indispensabili consideramenti, non lasceremo noi di ricordarne 1' assoluta importanza e necessità a questo rispettabilissimo tribunale di Macerata, onde esso si convinca, che un rapporto, dal c|uale non risulti avere i periti praticate tut- te coleste cautele ed sperienze, non e mai tale da provar loro che la consaputa fanciulla sia nata viva. Fallita pertanto a' nostri fisici la sperienza in- torno alla funzione del respiro, come prova di vi- ta, essi si sono messi per gli errori loro nella as- soluta impossibilità di satisfare alla terza e piìi grave dimanda del foro: Qualora sia stata messa al- la luce mentre era in vita la fanciulla^ da quali cause pub essere derivata lo morte sua? Troppo sc- ducevano l'animo dc'periti una contusione, o echi- 426 Scienze mosi, che portava il piccolo cadavere sul parietale sinistro e porzione del frontale ; una lacerazione de'comuni integumenti sopra l'orbita sinistra, e so- pra l'orecchia dell'istesso lato: piccola quantità di sangue nerastro e grumoso trovato tra i tegumen- ti : le ossa contuse nerastre sì all'esterno e sì al- rinlerno, inclinate, e depresse le meningi con san- gue aggrumato e stravasato: la sostanza cerebrale alquanto compressa, ed iniettata di sangue. Osser- vate le quali cose senza esitanza conclusero , che tutti cotesti guasti erano effetto d'istrumento con- tundente e lacerante vibrato con violenza contro la testiccluola della fanciulla, e che queste offese furono fatte mentre la fanciulla era in vita. In me- dicina-legale s'insegna, che quando si trovano così fatte echimosi o suggellamentl, massime alla testa, invece di precipitare incontanente il giudizio sul- la inferita violenza, non debba mancare di ricor- dare a se stessi ed al foro, che simigliantl effetti possono avvenire anche ne'travagli del parto a ca- gione o della somma angustia del bacino, o di qual- che irregolare prominenza delle ossa clic lo formano. ^, Se in tali sciagurate circostanze (dice il Tortosa) „ vengono a perire gì' infanti prima, o nell' alto „ di nascere, mostrano nel capo, nel collo, o nel „ torace, o nell' addome notabili suggellamentl; in- „ cìdendo i quali, scopronsi i vasi lacerati, effusi „ gli umori, e talvolta confusa e lacera la sostan- „ za de' muscoli , sconnesse oltre misura le ossa „ del cranio, mortalmente offeso il cervello ec.Qaani oh causam (avverte Ernesto Bose) cautos iunioros medicos esse volamus., ne in setionibus ob sangui- nis sub capitis integunientis^ aut sub pericraiuo praesentiatn, violentiae exteniac testeni certuni se \ Voti medico-legali ■127 detexisse concluclant. Da se soli adunque cotesti cchimosi , contusioni o siiggcHamenti ( ne' quali hanno pur lasciato i periti di notare que' carat- teri che distinguono i legittimi dagli illegittimi ) non provano nulla. Acquistano solo qualche grado di certezza di conserva colle prove sulla respira- zione. Dunque o essi suggellamenti erano legitti- mi, cioè fatti a corpo vivo, rossi, tumidi, sangui- nati, e allora doveva corrispondere ad essi la pro- va della respirazione: o essi erano illegittimi , cioè fatti a corpo morto, ed in tal caso dovean man- care con essi gli sperimenti idrostatici, e plouque- ziani. Ma siccome nel rapporto è manifestamente fallita la prima prova ausiliaria, non avendo i periti eseguita la docimasia plouqueziana,ììon avendo pra- ticata secondo le regole la idrostatica^ resterebbero quelle echimosi ed offese encefaliche sole a provare il delitto e la sua causa. E sole per le ragioni anzi- dette non bastano: quindi è perduta per i giudici ogni via di relazione fra gl'indizi di vita progressu^ e gli altri d' inferita yìolenzaiz e l'infanticidio cri- minoso, a dispetto del fiscalismo de' periti, è entra- to, per questi e pe' giudici, tutto intero nella sfera degl' impossibili a verificarsi. Tale essendo il nostro parere, passiamo a sot- tosciriverci. Dott. Francesco Puccinotti prof, di medicina legale. Giacomo Assiari chirurgo. Per copia conf. di ufficio. P. Mancini cane, criminale. 128 Scienze I I I. Voto dei professori periti fiscali della s. consulta. In ossequio degli ordini del supremo tribunale della s. consulta, trasmessi per mezzo dell'officio del governo il giorno 25 ottobre, si è letto ed esami- nato il processo a carico di Maria Moretti di Civita- nova prevenuta d' infanticidio. Nel suddetto pro- cesso si trovano in primo luogo gli atti compilati dal tribunale di Givitanova nelT accesso fatto in campagna per una bambina trovata morta dietro una siepe: ed in essi leggonsi le ispezioni pratica- te dai fisici scelti dal tribunale, ed il giudizio pro- nunciato in proposito dai medesimi. In seguito gli atti processuali eseguiti in vari luoghi, ove si era trovata prima di quel giorno la prevenuta. Indi la scrittura presentata dal difensore al tribunale cri- minale di Macerata, che doveva giudicare suU'in- quisita. In fine la perizia fatta dai fisici professo- ri di Macerata ad istanza del preìodato tribunal cri- minale. Se si consideri a qual grado di scienza da qual- che tempo è pervenuta la medicina forense, per V applicazione che tanti illustri uomini vi hanno po- sta , per le tante esperienze fatte , e pe' canoni sulle medesime stabiliti: se si rifletta a qual pun- to la sana critica abbia servito di scorta ai culto- ri di questa scienza ne' loro giudizi, e quali rigo- rose obiezioni hanno saputo fare a se stessi , on- de prevenire le questioni, che un diverso modo di vedere, od i cavilli del foro sogliono facilmente promuovere; reca certamente maraviglia come ne- I Voti medico-legali 129 gli atti pubblici fiscali, e nelle perizie medico-le- gali possano ignorarsi , omettersi, e male eseguir- si quelle indagini, ispezioni, ed esperimenti ripu- tati indispensabili dalle regole dell'arte, e dall'au- torità delle leggi. È vero pur troppo che per for- mare un adequato giudizio in si fatte materie è d' uopo ricavarlo non dalle isolale ricerche, ma dal tut- to insieme delle osservazioni: mentre allora si ve- dono nel loro giusto punto di vista quelle diffe- renze, che passano tra la verità e la menzogna, e quei gradi di probabilità che portano al dubbio, e quelli che s'approssimano alla certezza; ma pu- re converrà distinguere in dette osservazioni le principali dalle secondarie, le indispensabili dal- le concomitanti: e fissare il caso, ove la dubbiez- za delle une obbliga alla ricerca delle altre, e I quando , essendo positive le piìi interessanti, non i venga ad indebolire un giudizio l'oscitanza di alcu- ne,che servirebbero di corredo soltanto alle altre ri- putate essenziali. Altrimenti chi potrebbe giammai I rinvenire la verità, e per conseguenza pronunciare I un giudizio? Di migliaia di casi appena qualcuno i potrebbe esser definitivo, e tutto il resto rimarreb- be nell'incertezza per difetto delle piìi minute di- sattenzioni. Venendo ora alla questione, è d'uopo convenire in primo luogo che allorquando voglia verificarsi la ; maturità o <^ltalità di un feto dalla sua misura ^c^nc- I sta debba esser fatta a pollici, e che quella presa col- la palma della mano può divenire inesatta. Ma ve- diamo se può trovarsi la giusta misura del feto, nel ! nostro caso, anche con questo mezzo. I dlciotto pol- lici almeno, che si richiedono per la maturità del feto, ed i quindici almeno per la vitalità, il ritro- O.A.T.LXXIX. 9 130 Scienze viamò nei due In tre palmi stabiliti dai periti fiscali; mentre il palmo ordinario della mano di un uomo portando sulli sei in sette pollici, poco pili di due palmi sarebbero bastanti per la vitalitÈ^ ; e se ai due palmi volesse aggiugnersi il terzo, sopravan- zerebbe per la piena maturità. Perciò questo pun- to di questione sembra pptersi ammettere, senza op- posizione, affermativamente. Oltre la misura del feto, la mec^icin^ legale ne ricerca anche il peso-, e le regole stabiliscono che un feto maturo pesa ordinariamente le nove libre, e che non può riputarsi vitale se per lo meno non giunga alle sei. Questa osservazione nel nostro caso, come mancante del tutto , non si è veduta in al- cun modo rimarcata dai siigg. fisici di Macerata, che sono stali d'altronde minutissimi esploratori dei di- fetti della perizia fiscale. La naancanza di questo ri- sultalo però, isolatanxente preso, non potrebbe for- mare una essenziale eccezione alle altre prove di maturità, ed i periti fiscali avranno creduto di com- prenderla tacitamente nelle generali espressioni di noni/nestre maturità. Nel mostrare poi i periti fiscali nel feto il colo- re della cute, lo descrivono col terniine piuttosto biancastro:! ed essendo questo, secondo le regole del- l'arte, ciò che costantemente si rinviene nella piena maturità, è d'uopo però riguardarlo come un segno positivo e senza eccezione. E vero che notando essi nel feto l'esistenza del- le unghie, avrebbero dovuto aggiungere la qualità lunga e consistente delle medesime : ma avranno creduto d'includere si fatte qualifiche allorquando caratterizzarono il (elo perfettamente organizzato. E parimenti vero che i periti descrivono i ca- Voti medico-legali 131 pelli corti nel feto, ma vi aggiungono esser essi di color castagno chiaro. Il trovare i capelli più o me- no corti, non forma una parte essenziale di maturi- tà, e molto meno di vitalità; ma il colore viene ri- putato di maggior peso, mentre ai feti immaturi si assegnano costantemente i capelli biancheggianti, scarsi e lucidissimi. Per la qual cosa non sembra che debba escludersi anche per questo titolo la ma- turità. I sigg. fisici di Macerata non hanno neppure fat- ■ ta menzione di un' altra trascuranza de' periti fi- scali, di non aver notato cioè, parlando del capo, delio stato delle fontanelle^ essendo che la rlstret-* tezza e picciolezza delle medesime indicando la ma- turità di un feto, la larghezza in quelle parti l'e- scluderebbe . Ma questa osservazione ancora, per quanto potesse esser valutabile nel complesso delle prove, non sarebbe poi tale separatamente conside- rata, ne questa negligenza potrebbe indebolire o render sospette tutte le altre prove. I termini però, con cui la perizia fiscale giu- dica delle apparenze esteriori del feto, e del tut- to insieme del medesimo, sono positivi ed assolu- ti: mentre dicono di averlo ritrovato perfettamente organizzato^ e completo in tutte le sue partii e con ìnembra in tutto e per tutto corrispondenti ad un parto maturo e perfetto di nove mesi. Il qual giu- dizio derivato dalle apparenze esteriori del feto, e dalla esperienza che hanno le persone dell'arte di osservare tutto giorno de'bambini appena nati, è as- sai pili valutabile per la prova di maturità, di quel che sia al contrario T omissione di qualche se- gno concomitante, o l'aver trovata qualche inesat- ta espressione che poteva rettificarsi nel complesso del discorso. i32 Scienze Benché quanto si è detto sarebbe bastante a considerare il feto in questione vitale e maturo, pure la medicina legale insegna che i professori, chiamati a fare un voto su di qualunque verten- za di simil genere, devono anche dagli atti proces- suali ricavare delle comprove, onde maggiormen- te conformare la verità alla nuda espressione de' fatti. Nel nostro caso abbiamo l'inquisita, che ap- punto termina di sciogliere ogni dubbio allorché confessa di aver avuto motivo di rimanere incin- ta il mese di settembre dell'anno venticinque, e di aver partorito nel susseguente mese di giugno del- l' anno ventisei. Qui si trova non solo il tempo per un feto vitale^ ma per uno anche pienamente maturo e nonimestrei la qua! cosa corrisponde per- fettamente al giudizio delia perizia fiscale, ed alle riflessioni di sopra notate. In quanto al funicolo ombellicale , sembrano inutili le verosimili spiegazioni che si sono date, ed altre che potrebbero darsi sul modo, col quale si è il medesimo diviso dalla placenta: se cioè sia stato legato prima, e poscia disciolto, se sia venu- to naturalmente o sia stata posta in pratica qual- che altra possibile maniera. Avvegnaché insegnan- do la medicina forense che qualche volta, ancorché reciso o strappato il funicolo ombellicale, può non accadere l'emorragia, o che questa non giunga sem- pre ad esser mortale, diverrebbe per questa parte problematica la questione; e di pili non essendo que- sta, nel feto di cui si parla, causa della morte, per non esservi vuotamento de'vasi, diverrebbe anche estranea ogni ulterior discussione. Non egualmente è piana la soluzione del que- sito, se il feto suddetto sia nato vivo: e molto meno l'altro, che posto d'esser nato vivo, quale possa es- Voti mbdtco-iègali 133 sere stata la vera causa della morte: mentre non essendovi nel nostro caso, come in quello di molti altri, testimonii al parto, e non potendo fidare sul- la relazione dell'inquisita, rimane per lo più la que- stione avviluppata da un apparato di menzogne e contraddizioni, e le medesime prove fisiche vanno sovente a non poche eccezioni soggette. É verissimo, che nella sezione del feto non fu- rono praticate le piii minute e scrupolose ricerche; ed i signori fisici di Macerata eruditamente enu- merano tutte le osservazioni, che dovevano farsi, e che si trovano registrate in tutti i libri di me- dicina legale. Ma pure quando dice la perizia fi- scale di aver trovato i lobi de polmoni general- mente spiegati nel torace^ sembra assai valutabile, mentre la mancanza di questo segno porterebbe una conclusione del tutto opposta. E vero altresì che l' esperimento della, docimasia poi monale non fu ripe- tuto nelle diverse maniere, che le regole dell'arte insegnano; ma queste diverse maniere sembra che tutte debbansi praticare quando riesce imperfetto ed equivoco il principale esperimento. Nel nostro caso i polmoni galleggiarono sempre nelVacqua^ e non mostrarono ne tutti, ne una parte dei medesimi la minima inclinazione a cadere nel fondo: dunque il principale esperimento essendo positivo, deve ri- putarsi senza eccezione. Si sarebbe richiesto dai signori fisici di Mace- rala di veder notato nella perizia fiscale, che l'acqua adoperata nell'esperimento della docimasia polmo- nale non fosse stata ne calda, ne salata; ma aven- do notato di aver posta in uso acqua comune e lim- pida, parrebbe esser sufficiente, onde calmare qua- lunque scrupolo. Anche il vaso adoprato per il me- 134 Sciènze desìmo esperimento si è trovato dì sufficiente am- piezza, ma dì non corrispondente profondità, man- cando gli otto pollici circa richiesti dalle regole dell* arte; ma di questa mancanza potrebbe piuttosto do- lersi il fisco, mentre quella minor quantità di flu- ido in proporzione del volume de'polmoni poteva facilitare la discesa di questi al fondo: e ciò non ac- caduto, veniva a consolidarsi l'esperimento della do- cimasia polnionale. La mancanza della perizia fiscale di non aver notato,se ne'polmonì vi fossero indizi patologici,sem- hra scusabile: imperocché avendo detto che il visce- re era sano, pareva escludere qualunque morbosità. Oltredichè quando in un viscere vi siano affezioni morbose, allora è d'uopo descriverle: ma quando non vi si trovano, potrebbe inutile riputarsi, essen- do che non tutto quello che i libri dicono per istru- zione è sempre in tutti i casi identicamente neces- sario a descrivere. Così dell'altra negligenza, nella perizia fiscale, dì non aver lavato i polmoni per to- glier loro qualunque imbrattamento di sangue o di sanie , potrebbe piuttosto lagnarsi il fisco : per- chè aumentando con quell'imbrattamento il peso del viscere, potea facilitarne vieppiLi la discesa. Il non aver esaminato se le propagini arterio- se ed i vasi venosi fossero dilatati e pieni di san- gue, onde conoscere se l'aria entrata nei polmoni fosse per naturale inspirazione, o per artificiale in- sufilamento derivata ( osservazione che unicamente potrebbe decidere di siffatta questione, secondo il giudizio dft' signori fisici di Macerata ), non sembra mancanza da ledere totalmente un canone legale fi- sico: imperocché alcuni insigni scrittori di medici- na legale non credono che il soffiamento artificiale Voti medico-legali 135 nel polmoni possa portare una completa dllatazio- ne, e che divenendo parziale ed imperfetta non po- trebbero i lobi del viscere sostenersi pienamente a galla nello esperimento della docimasia polmonale. Mollo meno siflfatta osservazione sarebbe valutabile nello stato di putrefazione: perchè non solo nel no- stro caso non si è parlato di feto putrefatto, ma per- chè ancora le leggi fisiche imitamente alla comu- ne esperienza istruiscono, che il viscere polmonale per la sua qualità è il piìi tardo a subire la pu- trefazione , essendovi molti casi di corruzione di feti, ne'quali si sono trovati i polmoni in sufficien- te stato di sanità. Come questa, cosi viene qui pro- posta dai signori fisici di Macerata l' altra osser- vazione hunteriana, più per mostra di erudizione che per necessita di prova. In quanto poi al confermare la docimasia pol- monale colla statica polmonale dì Plouqicet^ ben- ché sia un metodo da alcuni moderni praticato, pu- re non è stato ancora dai tribunali richiesto : e fi- no a tanto che esso non venga sanzionato , non può riputarsi legale, ne la sua mancanza deve inde- bolire la docimasia polmonale, come quella ch'è ri- ^ conosciuta dalle leggi ed universalmente adottata. Il metodo altresì di Plouquet quanto potrebbe ser- vire d' appoggio nel caso che non riuscisse equi- voca la sunnominata prova legale, altrettanto sareb- be inutile senza di essa : giacche scrittori gravissi- mi su questo metodo hanno fatto moltissme obie- zioni, ad alcune delle quali, specialmente alle prin- cipali, non si è fino ad ora plausibilmente risposto. Fa specie che i signori fisici di Macerata, tanto istruiti come si mostrano, non abbiano fatta anche ^tf^ 136 Scienze menzione dell'altra statica di Daniele per obbligare COSI i periti fiscali, in mezzo ad una campagna, ad intessere una dissertazione piuttosto che a di- stendere un rapporto giudiziale. Forse meno scusabile nella perizia fiscale po- trebbe reputarsi la mancanza di non aver descrit- to lo stato de' visceri del basso ventre , e quello specialmente della vescica : perchè non solo l'esi- stenza del meconio negl'intestini, e dell' orina nel- la vescica, sono di comprova, se non sicura, alme- no molto probabile, per distinguere se il feto sia venuto vivo alla luce, ma soprattutto per lo stato del diaframma, il quale suole immancabilmente tro- varsi spinto verso il basso ventre allorquando l'or- gano polmonale abbia ricevuto l'aria, riempiuta la cavita del petto, e siasi dal feto pienamente effet- tuato l'atto della respirazione. In ogni modo però se per le omissioni ed inesattezze della perizia fiscale non può dimostrarsi ad ultima evidenza essere il feto nato vivo , dal- le principali osservazioni di sopra notate , e dal- l'insieme delle medesime si può dedurre per lo meno una forte presunzione per l'aflfermativa. Quel che veramente sembra riprovevole nella perizia fiscale si è la conseguenza assoluta e neces- saria della morte artificiale del feto ; conclusione difficilissima a determinarsi , e che in casi anche men dubbi avrebbero fatto esitare un consesso di professori i più consumati nella scienza medico-fo- rense. Vediamo ora quale sia nella perizia fiscale la causa, che qualifica per infanticidio la morte del- la bambina. Una contusione od echimo si, che im- pegnava tutto il parietale sinistro e porzione del Voti medico-legali 437 frontale corrispondente, con lacerazione de^comuni integumenti sopra Vorhita sinistra prossima alVo- recchio, di figura irregolare, delV estensione di cir- ca due dita traverse, ed altra che impegnava la parte superiore delV orecchio predetto: neirinterno della parte descritta, una piccola quantità di san- gue nerastro grumato, le ossa del parietale e del frontale contuse e nericce, fuori delV equilibrio na- turale ed alquanto inclinate e depresse alla sot- toposta sostanza: nella massa cerebrale corrispon- dente una compressione con del sangue iniettato e fuori di circolo. Questo presso a poco è quel tanto che Ja perizia fiscale riguarda come effetto di praticata violenza , e che l'induce a giudicarlo un delitto. Queste ardite ed inconsiderate decisioni , che per la maggior parte dei casi si trovano soggette ad infinite ambiguità ed errori, si rendono non po- co dubbie anche quando l' autopsia cadaverica e tutte le altre ispezioni vengano fatte con le più esatte regole dell'arte: mentre le contusioni , 1' e- chimosì, le lacerazioni degl'integumenti, e lo slesso sfiancamento delle ossa del capo, che prolungato alle volte viziosamente mostra una figura diversa dalla naturale, possono essere prodotte facilmente dal par- to lungo e laborioso , dalla difficolta che trova il feto neir uscire per la costruzione organica delle parti naturali della madre, dagli sforzi violenti che soglionsi fare in slmili casi , dalla posizione in cui si trova il feto , e da quella ove si pone la madre nelle angustie del parto, in ispecial modo quando una donna nubile, sola, priva d'ogni soccor- so, si trova colla terribile idea di dare alla luce il frutto della colpa, e che può essere al tempo stes- 138 S e i £ fr e; fi so sorpresa, infamata, e punita. Oltre i patimenti comuni in ogni parlo, quanto non dovrk essere piìi infelice nelle angosce di queste previsiòrti quella donna che manchi di una mano che l'assista, e di una voce che la consoli? Poteva perciò il feto fa- cilmente perire o nel nascere, o appena nato, per tanti motivi alcune volte leggeri, ed in tanti modi da non potersi tutti enumerare senzachè possa ad alcuno attribuirsi la colpa ; avvegnaché la morte negl'infanti suole non di rado avvenire anche quan- do si apprestino alla madre i migliori aiuti nel parto, ed al bambino le maggiori assistenze dopo venuto alla luce. Innumerevoli essendo dunque le cagioni che possono produrre naturalmente la mor- te dell'infante, le leggi non sono crudeli, che vo- gliano vedere il delitto anche ne'casi ove può esservi l'innocenza. In questo stato di cose la parte piìi im- portante, la causa cioè della morte della bambina, rimarrebbe ancora avvolta tra quelle dubbiezze, che escludono un positivo e determinato giudizio. Quel che potrebbe dilucidare quest' ultimo interessantissimo punto sarebbe l'esatta relazione del parto, e le circostanze che lo precedettero e lo susseguirono; ma fino ad ora non ha potuto il fisco conoscere se non quel tanto che la stessa inquisita ha riferito. Non rimane pertanto che fare de'rilievi sulla relazione esposta nel processo dalla inquisi- ta medesima, onde vedere se possa con questo mez- zo scoprirsi, per quanto sia possibile, la verità. Ella suppone che il feto fosse morto da qual- che giorno neir utero, senza allegare verun segno che lo giustifichi: mentre la madre non può esse- re fisicamente indifferente alla morte del proprio figlio prima di partorire; ed ella, oltre all'aver go- Voti medico-legali 4 39 duto un ottima gravidanza, come dal contesto de- gli atti e dal suo stesso discorso apparisce , non accusa alcun malessere nei. giorni precedenti , ne il giorno medesimo del parto: quando che le re- gole dell'arte insegnano che se un feto muore nel seno della madre prima del parto, specialmente quando sia di qualche giorno, questa non deve piìi sentire niun moto volontario del feto, suol traman- dare dalla matrice alcune umidita fetide e cadave- rose, e suol soffrire non solo eccessivi dolori, ma sen- tire singolarmente un peso forte nel ventre a guisa di una palla che senza sostegno cada involontaria- mente or dall'una parte, or dall'altra. Ne qui ter- mina un si tristo apparato: imperocché la madre in simili casi dovrà avere frequenti sincopi e con- vulsioni, le mammelle flaccide, il volto plumbeo, lo sguardo languido ed abbattuto, ed il fiato puz- zolente: e i se non tutti , è d'uopo che vi sia al- meno la maggior parte di questi segni. L'inquisita dice di aver chiesta licenza di ritirarsi in camera, non per altra ragione che per fare un lavoro, sen- za far cenno ( neppure prossima al parto) di sentir- si il minimo incomodo: la qual cosa escluderebbe qualunque indizio capace a giudicare il feto morto da qualche giorno. E duopo anche aggiungere, non esser molto facile ad una donna il liberarsi di un feto morto da qualche giorno senza l'aiuto dplla le- •vatrice, mentre non raramente accade che ciò debba eseguirsi dalla mano chirurgica. Perchè poi le contusioni , o echimosi, le la- cerazioni, le compressioni del cranio, l'estravaso san- guigno possano essere attribuite all'angustia di un parto lungo, laborioso, e difficile, è necessario che questo sia stato tale; ma dalla relazione della in- T40 Scienze quisita si conosce che essendosi intesa come un pru- rito di andare di corpo, adagiatasi per eseguirlo s'intese dei dolori, indi uno scoppio, e poscia, a- pertasi la natura (come ella si esprime), vide uscire dalia medesima la testa di un bambino: e ciò sem- bra sì speditamente riuscito, che tutt'altro può ri- guardarsi che qual parto lungo laborioso e difficile, tanto pili che volehdosi nella perizia fiscale alle of- fese del capo attribuire la morte del feto, dal rac- conto del parto parrebbe che il capo del feto avesse dovuto poco o niente soffrire. Ne deve qui dimenticarsi che quando il capo di un bambino è fuori della matrice, Tuscita del rimanente del cor- po si riguarda come di facile esecuzione, ed il par- to poco men che compito. Non deve neppur recar maraviglia la spontaneità del parto in una donna che in siffatto travaglio non era primipera. Sebbe- ne si consideri, secondo la relazione della inquisita, il tempo precorso dalla prima iniziativa del parto fino al suo termine, si scorgerà non essere stato che \ poco piti di mezz'ora, volendovi includere la sinco- pe dalla donna enunciata, che si fa ascendere alla durata di circa mezz'ora; per lo che il tempo ma- teriale vero del parto si ridurrebbe a pochi mi- nuti, se si volesse escludere l'inazione dell'utero nella sincope dalla partoriente sofferta. Sembrerebbe non molto verosimile finalmente che in seguito di un parto laborioso e difficile po- tesse una donna con tanta disinvoltura pochi istan- ti dopo il travaglio uscire di casa, girare per le strade e chiese del luogo ad oggetto di semplice curiosità. Se fu soggetta ad una sincope nel tempo del parto, e ad un' altra al termine del medesimo, Tcsporsi ad un disagio di tal fatta nello slato in Voti medico-legali 141 cui si trovava parrebbe che dovesse apportarle del- le altre sincopi più forti e pericolose delle prime, se si rifletta ancora alle perdite a cui soggiace ordi- nariamente una donna subito il parto, tanto più quando fosse stato un parto laborioso e difficile. È se niente di tutto questo è accaduto, dovrebbe e- scludersi ragionevolmente un parto laborioso e dif- ficile, senza di che non potrebbero giustificarsi le contusioni, rechimosi, le lacerazioni, le compres" sioni, gli estravasi come provenienti naturalmente dal parto. Non volendo omettere per princìpio di equità i casi, ne' quali potrebbe anche involontariamente essere accaduta la morte dell' infante, secondo la narrazione della inquisita, essi sarebbero probabil- mente due: l'uno cioè, quando uscito il capo dal- la matrice rimaneva col resto del corpo nell'utero, essendo accaduto in quel tempo una sincope della durata di circa mezz'ora; il secondo, poteva l'infante parimenti perire al termine del parto, allorquando l'inquisita essendo caduta nuovamente in sincope,re- stò la bambina per un'altra mezz'ora in terra, senza soccorso, immersa nel sangue, e forse in qualche sconcia posizione. Siffatte cose, come possibili, sem- bra dovere che siano rilevate: mentre essendosi fat- to conoscere ciò, che poteva essere d'aggravio all'in- quisita, secondo la propria relazione, era giusto al- tresì notare quanto per la verità potrebbe servirle di difesa la relazione stessa. E' d'uopo anche far co- noscere, che nei due casi summentovati poteva l'in- fante aver pienamente respirato. Riepilogando infine quanto fino ad ora si è di- scusso, può determinarsi in primo luogo, che quan- tunque la perizia fiscale non sia stata fatta in alcu- »M punti con tutte le regole dell'arte, pure altre par- 142 Scienze ti essenziali della medesima sembra che debbano es- sere valutale, perchè non sempre la mancanza del- le ispezioni omesse distruggono quelle , che si so- no pienamente eseguite. Secondo-, che dal complesso delle ispezioni fat- te, dalle qualifiche che si trovano nella bambina, e dai termini non dubbi con cui si esprimono i pe- riti fiscali, sembra potersi decìdere che la suddetta bambina sia stata matura e vitale: la qual cosa coin- cide perfettamente colla relazione positiva della in- quisita, che confessa esser percorso il tempo di ol- tre nove mesi dal suo concepimento fino al punto preciso del parto. Terzo: che non giustificando l'inquisita con precedenti segni, e con altri che soglionsi rinveni- re nel travaglio del parto, la morte anteriore del fe- to, è d'uopo su cjuesto punto riguardare Qonie falsa l'assertiva della medesima. Quarto: che non essendo provato un parto lun- go, laborioso e difficile, non sembra neppure veri- simile che l'echimosi, le lacerazioni, gli stravasi nel capo che penetrano fino nella parte interna del cra- nio, possano essere totalmente naturali, o che alme- no potessero queste produrre immediatamente la morte: avvegnaché anche in molti casi di parti la- boriosi e difficili , ne' quali i feti vengono con e- chimosi o contusioni, lacerazioni ed estravasi, pure sopravvivono e si ristabiliscono, o almeno non muo- iono immediatamente : e che perciò rimane molto dubbia la questione, che il feto possa essere perito per questa cagione. Quinto: che la conclusione della perizia fisca- le sul modo artificiale, col quale può essere perito il feto, non sembra potersi ammettere che in senso dubitativo, ma giammai assoluto, per esservi in sif- Voti medico-legali 143 fatti casi tante combinazioni da non potersi tutte ne conoscere, ne preve(Jere : che perciò la giusti- zia istessa in circostanze di tanta entità richiede , che si proceda colla maggior prudenza nelle deci- sioni: e che finalmente, dove regna un qualche dub- bio, è d'uopo escludere un §'nidìz,\o positivo di colpa. Sesto: che mentre i signori fisici di Macerata si mostrano istruiti in medicina forense, e che be- nissimo parlano genericamente trattando sulle pro- posizioni discusse,sembra però che si siano più occu- pati a rintracciare i difetti della perizia fiscale che a discoprire la verità: e che nel rilevarne le omissioni non hanno abbastanza preso in considerazione ciò, che poteva e doveva rettificarsi per lume del tribu- nale: per la qual cosa se i periti fiscali peccassero mai di favorire il fisco, eglino mostrarono invece di essere divenuti i procuratori della prevenuta. Settimo: che se la morte della infanta fosse ac- caduta senza colpa dell' inquisita , secondo la sua narrazione, non potrebbe essere stata probabilmen- te che ne'due modi di sopra indicati: ma che se non viene provato un parto laborioso e difficile, non è neppure tanto sicuro il riguardare come naturali le offese descritte nel capo della infanta, Ottavo: che quel tanto che può in ultimo de- terminarsi senza dubbio si è, d'essere il feto nato maturo e vitale, che probabilmente può aver respi^ rato nel nascere, ma che rimane incerta la vera causa della morte, qualora il fisco non abbia detta- gli più sicuri e precisi sulle circostanze del parto. Roma questo dì 14 dicembre 1827. Dottor Francesco Valori medico fiscale del go- verno,della s.consulta, ec.ec. estensore del voto. Dottor Antonio Baccelli chirurgo fiscale della s. consulta, del governo ec. ec. 144 Scienze Decisione del supremo tribunale della sagra consulta. Considerando che visitata la Moretti dalTe oste- trici fu riconosciuta recentemente puerpera, ed as- soggettata ai costituti ammise essere suo il feto rin- venuto nel luogo accennato, ed avervelo posto essa stessa per essere nato morto; Considerando, che non è smentita la Moretti nel suo assunto dalla fiscale perizia, o sia dal visum et repertum del cadaverino ; perchè tale perizia è sostanzialmente contraddetta e dal voto di due pro- fessori fisici della università di Macerata, e da quel- lo di altri due della dominante, richiesti tutti di officio dal tribunale di prima istanza; voti che met- tono in dubbio che la bambina in discorso sia nata viva, ed escludono poi positivamente la di lei mor- te violenta; Considerando altronde che è certa la contesta- ta contravvenzione della Moretti al precetto di one- stamente vivere, e che per questo titolo non deve essere esente dalla meritata punizione; Il sacro tribunale ha dichiarato e dichiara, che Marianna Moretti ha bene appellato , e che ha male giudicato il tribunale di prima istanza: la cui sentenza riformando^ ha deciso e decide in quan- to all'infanticidio che debba la stessa Moretti di- mettersi col precetto di ripresentarsi sopravvenen- do., ed anche senza la sopravvenienza di nuovi in- dizi-j e che per la contravvenzione al precetto^ deb- Voti medico-legali 145 ha condannarsi conforme la condanna a tre anni di carcere correzionale', espiata la qual pena deb- ba rilasciarsi colla rinnovazione dello stesso pre- cetto., sotto la comminatoria del settennio da incor- rersi irremisibilmente in caso anche di prima ben- ché lievissima delinquenza. G. jémadori Piccolomini F. M. Pandolft Alberici A. Lazzari S. Del Bufalo della Valle C. Di Pietro F. F. La Grua A. Grimaldi segretario. G.A.T.LXXIX. 10 146 Sul melena. Lettera critica del cav. prof. Carlo Speranza. Al chiarissimo sig. dott. Angelo Santini., medico primario in Montalboddo, membro d'illustri accademie ec. ec. Quidquid dìctum sit, non contradicendi , sed veritatis studio dictum putetur. Freind. Collega pregiatissimo (1). lava il giorno 29 marzo de 1837 allorquando riceveva Io scritto suo intorno al ramontava il giorno 29 marzo dello scorso anno [i] La presente lettera doveva essere consegnata in Roma sul principio dello scorso anno i838. Ma la persona, cui era affidata, ammalatasi per viaggio, non ancor giunta alla città eterna, fu costretta di retrocedere, dopo di avere lottato per più mesi contro grave morbo. Per questa ragione io aveva pre.'- sochè deposto ogni pensiero intorno la medesima. Se non chi volendo dare al sig. dott Santini un pubblico omaggio di stima, parmi di non potere meglio raggiungere lo scopo , che produ- cendo la stessa mia lettera, alla qii ile , per compensare l'invo- lontario ritardo , ho cercalo di dare una maggiore.cstensione. SULMELENA 147 inelena, estratto da questo riputato giornale scien- tifico al tomo 73, e del quale ella facevami gradito dono. Veramente non è questa la prima volta, in cui volle essere meco urbano e cortese. Poiché ri- chiamo le molte gentilezze da lei compartitemi, e le ore seco lei con soddisfazione passate nella mia breve dimora in Senigallia, allorché faceva ritorno dalla ridente incantatrice Partenope, e della eterna città, regina un tempo del mondo. Ne dimentico che più volte ella ha voluto farmi partecipe delle produ- zioni del suo ingegno, delle quali ritengo impresse in mente quelle sull'azione conlrostimolante dell'os- sigeno: suir azione fisiologica de'controstimolanti : sullo stato irritativo precedente la febbre: sui sa- lutari etfetti del creosoto ec. E ho ben d'onde seco lei rallegrarmi pel modo istruttivo, col quale ha e- sposto 1 suoi concetti: per cui traggo bastante ar- gomento per conoscere con quanto profitto ella col- tivi la scienza e l'arte salutare. Discorrendo le sue osservazioni medico-prati- che sul melena, rilevo aver fatto onorevole menzio- ne del mio commentario su tale malattia (pagg.5,77, 31, 38). E siccome io conosco gli angusti confini del mio intelletto, ben comprendo che ella accorda al- lo scritto mio più di quanto merita: del che le ren- do mille ringraziamenti e ne serbo grata indelebile memoria. Se non che discorrendo ella del mio pen- sare intorno alcuni concetti patologici e pratici, re- puto njio dovere di sottoporre al savio suo giudizio alcune riflessioni, colle quali vieppiù confermando quanto ho esposto nel citato mio scritto, possa for- nire ulteriore appoggio a' miei pensamenti. Vera-^ mente in questi tempi, in cui somma è la tolleran- za in medicina, i nostri colleghi con soverchia faci- 148 Scienze litk ci menano la croce addosso senza compassione, e sovente ancora per semplice varietk di opinione, quasiché non fosse lecito a chiunque di sentire di- versamente dagli altri, o di esporre libero e fran- co il proprio giudizio. Ella però ben diversamente operando, ha con tanta modestia esposto i suoi con- cetti, che sarebbe peccare d'inurbani th se a lei at- tribuire volessi un solo pensiero di medica intem- peranza. Io stimo quei medici, i quali si mostrano gra- ti ai loro maestri: ed ella è ben degna di lode per la considerazione professata nello scritto suo al pro- fessor Santarelli. la forza di simile principio io serbo e serberò questa indelebile ricordanza ai be- nemeriti Gio. Pietro Frank e Locateli i per avermi additata la via piìi sicura onde condurmi nella dif- fìcile carriera della pratica medica, in mezzo anco- ra alla seduzione della dottrina browniana in allora predominante. Ma nello stesso tempo non ho mai dimenticalo il consiglio del grande Morgagni, l'ido- lo della mia venerazione, laddove dice di non altri- ; buire agli uomini pili di quanto essi meritano (1). Poiché la riputazione nell'arte salutare non è sem- pre la certa misura del merito, e molto piì^ nel!' età presente, in cui ^^^rte la piìi bella, la piti utile, la conservatrice degli uomini, viene sovente trasfor- mata in turpe lenocinio, in un ramo di commercia- le speculazione. In taluni poi la rinomanza non ha di grande e di rimarcabile, che la pompa del no- me, il suono dei banditori, il favore dei proseliti, e la grazia del fanatismo. Non tutti i nomi, osserva (i)EpÌ3t. LV, §.4. S U L ni E L E N A 149 «no scrittore moderno, brillano per propria luce: ma per maggiore o minore splendore loro impres- so dalla voga, per la quale travagliano, onde figu- rare fra i nomi dei giorno (1). Tolgami il cielo dal volere ciò attribuire al prof. Santarelli, del quale invece apprezzo i talenti e l'esteso sapere nella scienza e nell'arte salutare. Da qualche tempo ì medici riclamano contro le denominazioni delle malattie, le quali per essere u- nicamcnte appoggiate a qualche sintoma prevalente, vago, ed incerto, non insegnano il fonte principale d'onde scaturiscono i fenomeni morbosi, e molto me- no additano il cammino sicuro per dirigere le indi- cazioni terapeutiche. Contuttociò fa maraviglia, co- me ad onta delle rimostranze fatte da medici ita- liani e stranieri sulla sconveniente denominazione dei morbi (2), si voglia tuttora usare dei nomi i quali non esprimono in verun modo l'essenza e la sede dei medesimi. Anzi convien confessare, che si- no a tanto che il nome delle malattie sarà fondato sovra instabili principii od enti supposti, non potrà mai contribuire al progresso della scienza, ne ser- vire di norma nel pratico esercizio, con diventare invece dannoso piìi che giovevole alla inferma uma- nità. Di modo che i vocaboli equivalgono alle cose: le idee astratte alle reali: le ombre al corpo: d'on- de nasce una confusione, la quale offusca invece di rischiarare la stessa malattia in quantocliè designa- ta dalla semplice apparenza. Per questa ragione fu lo XVI. (i) Cremonesi nel Pirnta i5i8, mese di febbraio. (2) Strambio, Giornale di medicina analitica 1827, fascico- 150 Scienze mio intendimento di sostituire al nome di melena, 1) quale non esprime che una morbosa evacuazione, quella di ematemesi melenode , come indicante colla qualità del profluvio , il viscere essenzial- mente interessato, ossia la sede della malattìa. In tal modo apprezzando le cognizioni dei moderni per istabilire una piìi ragionata denominazione del mor- to, non ho dimenticato quanto dobbiamo ai maestri del nostro sapere, e specialmente ai medici greci. Poiché se gli uni hanno poste buone fondamenta al medico edificio, gli altri forniscono piìi validi aiuti e materiali piìi opportuni per sostenere il medesi- mo. In questa maniera non si tratta niente meno che di tutelare le glorie degli antichi colle glorie dei moderni. E tale è la strada, che ogni medico do- vrebbe imprendere, piuttostochè spargere l'obblio ed il ridicolo sulle opere dei padri nostri , i qua- li sono e saranno sempre i maestri del nostro sa- pere. L'antichità del secolo , scrive il cancelliere Bacone, è la gioventù del mondo: e il nostro tem- po sarà un giorno dell'antichità (1). Non dispre- giando il mio concetto l'amico e collega cav. Griffa, ha creduto opportuno di adottare la denominazio- ne di ematemesi melenode (2). Ed il dott. Nava- rino, facendo del morbo negro argomento di medica lesi, ha dimostrato che il nome da me adottato me- glio conviene colle odierne cognizioni (3). Con simi- le principio avrei bramato che ella, seguendo l'e- sempio del professore torinese e del padovano can- (i) Nov. organ. scientiar De augment. (a) Rendiconto clinico dell'anno i834. Torino. (3) Animadvers. in hymateraes. melenod. Patavii i835. Sul melena 15t didato, avesse pure scelto il nome di ematemesi me- lenode a preferenza dell'antico vocabolo di melena (pag. 3). Ma non creda die tale desiderio in me na- sca dall'avere io primo di tutti usato di simile deno- minazione. In questi tempi, in cui la medicina vie- ne trattata con metodo analitico, induttivo, filosofi- co, interessa che dallo stesso principio parta ben anco il nome delle malattie. Il quale risultando dal- la loro sede, indole e natura, stabilisce un filosofico rapporto fra il nome e la malattia medesima. Ricliiamando ella l' opinione di Monfalcon, di Broussais, di Rochoux, di Velpeau, di Segalas, da me stesso citati come propensi ad ammettere nel melena, od almeno nel suo principio, un vizio dei fluidi (pag. 8), tosto soggiunge avere io escluse le malattie umorali. Ed appoggia il suo dire ad un giu- dizio emesso dal giornale dei letterati di Pisa intorno una polmonite cancrenosa, della quale ragiono nel mio secondo anno clinico-medico (1). Per cui, se ve- ro fosse quanto espone il redattore toscano compen- diando lo scritto mio, io sarei divenuto in seguito contraddicente a me stesso per quanto scriveva sul medesimo argomento nel mio commentario suli'e- matemesi melenode. Perciò mi permetta, che a mia giustificazione ed a gloria del vero dimostri l'erro- neità del giudizio emesso dallo scrittore toscano. Ed a ciò fare trovomi ancora più indotto, onde to- gliere lei dal concepito errore, e nello stesso tempo disingannare quei medici, i quali leggendo lo scrit- to suo avessero a mio carico adottata simile opinio- ne. Richiamando pertanto le mie riflessioni intorno (i) Giornale dei letterali. Pisa, fascic. XXVII. 152 Scienze quella polmonite cancrenosa, dove pretendesJ ave- re io escluse le malattie umorali, dichiaro che La- ennec ripeteva in generale la causa prossima della medesima da infezione dei liquidi, e che Bouillaud, poco diversamente pensando, incolpava una profon- da alterazione ed avvelenamenlo dei liquidi. Del- la quale opinione soverchiamente esclusiva non ah- Lastanza soddisfatto, io considero piuttosto per es- senza morbosa la fibra mancante di vitalità, o se- condo Martinet e Buffalini, di resistenza organica, per cui era divenuta incapace di far fronte alle po- tenze nocive, e cjuindi piìi pronta a disciogliersl e morire. E ritengo pure che tale morbosa condizio- ne della fibra esisteva prima dello sviluppo della polmonite, in quanto che per particolare disposi- zione dell'infermo il processo di assimilazione ritro- vavasi difettoso, ed incapase della sua funzione. Per cui non dalla forza dell'infiammazione: non da ma- ligno virulento principio: non da influsso nervoso; nò da vizio esclusivamente umorale, io ripeteva il rapido passaggio del viscere alla cancrena; ma bensì da preesistente profonda alterazione del processo di assimilazione, la quale è ben div^rsa da quella che avviene per cagione di violenta flemmasia (1). Nes- suno ignora, semprechè addottrinato dall'esperien- za e dall'osservazione , piuttostochè dalle sistema- tiche dottrine, come le malattie a processo dissolu- tivo modificano le condizioni degli imponderabili della vita: alterano il processo di assimilazione or- ganica : viziano i solidi ed i fluidi ; per cui mani- festandosi una infiammazione qualunque in pcrso- (i) Anno cliuico medico 1823, 1824. Panna 1825. SULMELENA 153 ne, nelle quali prevalgono simili morbose condizio- ni, passa l'organo interessato a rapida cancrena. Ta- le era difatti la condizione morbosa dell'individuo estinto per polmonite cancrenosa, non per veemen- za di flogosi, ma per difetto di vitalità e di organica assimilazione. Ne per diversa ragione perisce uno scorbutico, un idropico, un cachetico, laddove col- pito viene da infiammazione in qualche organo o tessuto. Con simili concetti ella bene scorge, che nell'epicrisi di quella polmonite cancrenosa, lungi dall'escludere le malattie umorali, io ne ammetto invece non solo la esistenza, ma apprezzo ben anco le cagioni che favoriscono la genesi delle medesime. Dalle quali riflessioni risulta, che giudicando ella della mia opinione intorno le malattie umorali, ha preso per appoggio V altrui erroneo giudizio. Del qual fallo sono bene alieno dal fare a lei ca- rico: incolpando piuttosto l'anonimo redattore , il quale compendiando lo scritto mio, non ha forse ahbastanza penetrato nel mio concetto patologico: semprechè io non mi fossi con sufficiente chiarez- za spiegato. Contuttociò trattandosi di un argomen- to, sul quale discordi sono tuttora le opinioni dei cultori dell'arte salutare, parmi che ricorrendo el- la al fonte del mio dire, cioè alla storia della pol- monite cancrenosa, si sarebbe persuaso di non ave- re io escluse le malattie umorali. E scorrendo le altre affezioni, di cui rendo conto nello stesso anno clinico-medico, avrebbe pure compreso, che nelle scrofole ammetto una imperfetta assimilazione per vizio dei solidi e dei fludi : nell'erpete considero una generale alterazione dell'organismo, divori ta dal- le stasi sanguigne degli umori viziati (1). Inoltre (i) Anno clinico-medico cit. 154 Scienze richiamando quanto scriveva un giorno al collega Tommasini per mostrare, che io non militava sot- to i vessilli della sua dottrina, della quale mi vo- leva da contrario fatto seguace, dichiaro che nella genesi delle malattie negare non si possono le alte- razioni degli umori fi). Ne diversamente rispon- dendo in seguito all'amico e collega Strambio in- torno vari argomenti di patologia analitica soggiun- go, che nella intemperie, nella discrasia degli an- tichi, io ravviso un cangiamento dell'aggregato nel- l'organica composizione del corpo vivente prodotta per vizio dei solidi e dei fluidi (2). Ed in prova ancora pili convincente di nou avere io escluse le malattie umorali trattando della clorosi, asserisco: « Essere questa un'aft'ezione organico-dinamica ma- teriale composta da lesione del solido con vizio dei fluidi. Solochè ignorando l'intima natura degli uni e degli altri , le loro influenze reciproche ed i fenomeni dullo stato morboso , non è possibile determinare quale dei due sistemi tenga il prima- to nella genesi della malattia. Che se in molti ca- si r affezione comincia dai solidi , in altrettanti prende origine dai fluidi « (3). Ma giacche ella ha fatto buon viso al mio com- mentario suH'ematemesi melenode, parmi che nou poteva sfuggire alla sua penetrazione quanto espon- go intorno la natura del medesimo: « Per le quali considerazioni, io scrivo , dobbiamo riguardare il (i) Lettera all' eccell. prof. Tommasini intorno ciò che mi I riguarda sull'opinione in medicina. Milano 1826. | {7) Lettera al dott. Strambio intorno varii argomenti di pa- tologia analitica. Milano 1827. (5) Della clorosi, commentario. Milano 1828. SULMELENA 155 melena per una malattia composta da lesione dei solidi con vizio dei fluidi . . . Nell'ematemesi mele- node niente ripugna, che lo sbilancio idraulico, la congestione vascolare abbiano la parte principale, e prima ancora che sia interessato il solido. Am- messo nn sangue più denso, o per temperamento o per ìsproporzione ne'suoi principii elementari, e perciò divenuto più pesante e meno attivo, rallen- ta il proprio movimento , per cui ristagna nelle minute estremità vascolari. A ciò contribuisce non poco il lento circolo nel sistema della vena porta, e la scarsa reazione degli organi interessati. Inol- tre neiraumentarsi in queste parti il calore per ef- fetto di malattia , scema in proporzione la parte più fluida del sangue, di cui invece si accresce la densità , d'onde nasce una maggiore difficoltà alle congestioni, agli infarcimenti . . . Con simili prin- cipii non siamo lontani dal ripetere il melena, al- meno nella sua origine, da vizio umorale . . . Con- tuttociò rimane sempre a provare, se quella den- sità morbosa del sangue, che forma l'elemento pri- mo della congestione nel melena, sia malattia esclu- sivamente degli umori, senza che concorra in al- cun modo l'azione dei solidi . . . Non ignorando che nella reciproca azione dei due sistemi consiste il segreto della vita, ne consegue, che non può esse- re viziato l'uno dei sistemi , senza comunicare al- l'altro il proprio vizio « (1). Con questi concetti sparsi nei diversi miei scritti, sui quali appoggio l'esistenza , anzi la ge- nesi delle malattie umorali , io sfido qualunque (i) Dell'ematemesi melenode, commentario. Torino i853. 156 Scienze medico ad asserire che io abbia escluse le mede- sime. Anzi, partendo da simili principii, ella ben poteva rendere alla mia opinione quella giustizia, di cui il redattore toscano mi aveva indebitamente privato. E ben mi soddisfa di avere sempre ammes- se le malattie dei fluidi, e considerata la loro inr fluenza sull'umano organismo.Poichè malgrado della derisione e del bando scagliato dai solidisti contro le medesime, l'osservazione e l'esperienza hanno ri- petutamente dimostrato certa ed innegabile la loro esistenza, Indipendentemente ancora dai movimenti delle fibre. Solochè i medici dei tempi decorsi , lungi dal cercare simili alterazioni nella loro re- altà, immaginavano le medesime ad arbitrio in ra- gione delie predominanti chimiche scuole: per cui, sebbene comprovate dai fatti, venivano d'altronde con falso metodo interpretate. Per questa ragione fra i moderni il consigliere Gius. Frank (l)Tesla (2) Buffalini (3) Polidori (4) Levret (5) Prus (6) Sega- las (7) Velpeau (8) Rochoux (9) Andrai (lOj Pucci- notti (11) Magheri (12) Medici (13) Zecchinelli (14) (i) Prax. med. univ. praecept. Tom. i. (2) De vitalib. perlod. (5) Saggio sulla dottrina della vita 18 13. Fondam. di Pata- log. 1817. (4) Dei vizi dei fluidi come cagione di malat. Pisa i8aa. (5) Archiy. gcner. de medecine i8q6, mai. (6) Arcliiv. cit. 1826, iuin. (7) Archiv. cit. 1826, settembre. (8} Archiv. cit. 1826, novemb. (9) Archiv. cit. 1827 fevrier. (io) Precis. d'anatoin. palholog. 1828, t. i. (il) Patologia induttiva. Macerata 1828. (12) Suiraherazione degli umori. Firenze 1829. (t5) Cenni fisiol. pat. terap. sul male di fegato di Comac- chio Bologna iS35. (i4) Sulle terme padovane. Padova iSaS. SULMELENA 157 Schina (1) De Renzi (2) Brera (3) ec. hanno riven- dicato ai fluidi Tantica primazia nella genesi dei morbi, e loro restituita quella vitalità, della qua- le volevansi per effetto di sistematiche dottrine as- solutamente privi. Ed allo stesso fine tendono le più recenti esperienze istituite sul sangue umano da Le Canu (4) da Denis (5) da Scultz (6) da Buf- falini (7) , intenti a rilevare le mutazioni che il sangue subisce, e la loro Influenza nella formazio- ne delle malattie. All'appoggio delle quali osserva- zioni e riflessioni, sostenute da uomini rispettabili per fama , per dottrina , e per pratico esercizio , io sono intimamente persuaso, che non si bandirà pili la croce addosso a chiunque parla di umorali affezioni. E se in avvenire, riflette saggiamente l'a- mico e collega Zecchinelli, si vorrà fondare una no- sologia sui soli fatti clinici, dovrà essa avere tre grandi sezioni, cioè dei sistemi, degli organi e de- gli umori (8). Proseguendo nella lettura delle sue osservazio- ni rilevo che ella , adottando l'opinione di Santa- relli, ammette esclusivamente per condizione pato- logica del melena la flogosi del tubo gastro-ente- rico ( pag. 11 ): il quale concetto aveva il suo pre- (i) Archivio di med. prat. univers. i836, t. i. (2) Pensieri sulla patolog. geuer. Napoli 1837. (3) Isch. e Venezia, memoria ec. Venezia i858. (4) Etud. sur le sang. huin. Paris i838. (5) Archiv. cit. i858, fevrier. (6) Hufeland, Journal 1828, aprile. {7) Giornale per servire ai progressi della patol. Veuezia x838 decembre. (8) Sulle terme padovane. Padova. i855 158 Sciente cettore anticipato prima ancora che comparisse la dottrina briino-riformata, la quale ha trasformato pressoché tutte le malattie in altrettante infiamma- zioni. Ma perchè tacere che Tissot primo tli tulli aveva considerato il melena per una cronica flogosi! Perchè non fare cenno di G. P. Frank e di Portai, che molti anni prima del clTnico maceratese ave- vano emessa la medesima opinione! Ma conviene confessare che la flogosi, la quale sotto V impero del controstimolo e della dottrina bruno-riformata "venne innalzata all' onore di dominatrice in ogni malattia, con avere allucinata la mente di non po- chi medici, ha scemato in questi giorni gran parte di sua possanza. E trattandosi di croniche infermità, molti sono gli elementi, non esclusi i vizi dei fluidi, che concorrono alla formazione delle medesime, eoa divenire secondaria la infiammazione piuttostochè principale essenza morbosa. Per questa ragione io ravviso nella ostruzione dei visceri splancnici il fonte principale del melena, d'onde avviene l'ingor- go, l'infarcimento , cui tien dietro la lenta irrita- zione dei vasellini, la quale comunicata ed a lun- go proseguita sulle membrane mucose dello sto- maco e degli intestini tenui determina sulle me- desime una cronica flogosi. Per cui in molti casi ritengo la condizione patologica del melena nel- la cronica alterazione degli organi splancnici, con riguardare la infiammazione gastro-enterica come conseguenza od immediato effetto della medesima, li Ma ella o troppo deferendo all' opinione del suo p precettore, o forse accarezzando la dottrina bruno- riformata a preferenza di quella che contempla nei morbi un materiale mutamento delle parti, conside- ra esclusivamente e sempre neii'infiaamiazione l'es- Sul melena 159 senza del melena. La quale se si avvera in diversi casi, e specialmente laddove il morbo decorre sotto forma acuta, ben altrimenti avviene se cronico, in cui la infiammazione prende non di rado una par- te secondaria piuttosto che essenziale. Per la qual cosa non è che nell'ematemesi melenode sia man- cante la flogosi, ma diversa è l'analisi e la indu- zione colla quale deve essere contemplata. Crederei di offendere la sua delicatezza ed o- nesta se dubitassi dei risultamenti anotomico-pa- tologici e da Santarelli e da lei rilevati in prova del- la prevalente infiammazione. Solochè rimane a de- cidere se tali alterazioni debbano sempre riguardar- si condizioni primarie assolute, piuttosto che effetti della malattia. Ella non può ignorare l'abuso fatto in questi tempi dell'anatomia patologica per appog- giare il preroncetto pensiero intorno l'indole infiam- matoria del maggior numero delle malattie, per cui il turgore, l'iniezione, la congestione, l'arrossamen- to dei tessuti dei vasi ritenevasi indizio di pregres- sa infiammazione. Il maestro e padre dell'anatomia patologica aveva insegnato, che trovandosi nei ca- daveri qualche porzione d' intestino o di membra- na rossa, od iniettata di sangue, non debl)asi tosto pronunciare di infiammazione, polendo ciò avvenire ben anco dopo morte: specialmente se il sangue è disciolto o fluido. La quale verità, riflette saggia- mente l'amico collega Thienc, hanno in questi tem- pi confermato i benemeriti Polidori e Nespoli in Fi- renze: Ortìla, e Lesueur in Parigi (1). E Laennec in seguilo, mediante interessanti esperienze, ha dimo- (i) Thiene, Quesiti sulla flogosi. Venezia, i834- 100 Scienze strato, che il colore rosso dei vasi lungi dall'essere un risnltamento di processo flogistico, non è che un meccanico effetto di sanguigna imbibizione, dipen- dente dalla porosità organica propria dei tessuti specialmente membranosi. La quale proprietà seb- bene controversa, e negala dal sommo Cuvier,non si può a meno di riconoscere ed ammettere in quanto che i vasi hanno la facoltà d' imbeversi del sangue per essi circolante (1). Con simile concetto parmi che non si possano ritenere per carattere di essen- ziale infiammazione i vasi turgidi per sangue, che ella riferisce osservati da Bonnet e da Hoffmann ne- gli individui estinti per melena (pag. 11). Ne mag- giormente mi convincono a favore di flogosi primi- tiva i risultamenti delle sezioni anatomiche istitui- te da Santarelli, e consistenti nel tessuto piii denso degli intestini: nel colore rosso pili o meno cari- co dei medesimi: nel sangue nero : nelle echimosi sparse sulla loro tonaca interna: nei vasi venosi gonfi, ed aumentati in dimensione (pag. 12, 13, 14). La maggior parte di tali alterazioni patologiche so- no comuni colle turgescenze vascolari, coU'angioi- desi, e possono formarsi negli ultimi sforzi della vi- ta, ed anco dopo morte, sotto il predominio delle leggi meccaniche e chimiche. Ma la infiammazione, come insegna l'amico e collega Medici, a malgrado ancora di quanta asserisce il benemerito Rasori (2), produce un lavoro plastico formativo con genera- re cose nuove, organiche, e col mutare le materiali (i) Freschi, Considerazioni patologiche sulla reazione vita- le. Milano, 1837. (a) Della teoria della flogosi. Milano, iSjj. Sl)L MELÉNA 161 condizioni delle parti interessate (1). E quand'an- che considerare si voglia per una plastica produzio- ne il tessuto degli intestini divenuto più denso, e l'adesione della loro esterna membrana colle pros- sime parli, rimane sempre a determinare, se una ta- le condizione flogistica sia sempre primitiva, o se- condaria, o sviluppatasi nel lungo decorrere del morbo. Inoltre come ripetere da infiammazione il versamento di sangue oscuro, nerastro piceo, ritro- vato da Morgagni, da Tissot, da Portai nel tubo ga- stro-enterico senza traccia veruna di flogosi nel me- desimo! Come sottoporre alla stessa cagione la men- brana mucosa gastro-enterica osservala dallo stesso Portai bianca e scevra da qualunque condizione flo- gistica, non altrimenti che si riscontra nel cadave- re degli idropici ! E quante volle Rhodio, Aureli- que, Fleur, Gordier, Bourcher, G. P. Frank, Por- tal, Rayer, Schirlitz videro il pancreas, il fegato, la milza aumentati di volume, scirrosi, cartilaginei, in- tatta la membrana dello stomaco e degli intestini (2)! Per le quali osservazioni degne di tutta la fe- de, e che io stesso non ho mancato di richiamare nel mio commentario suU'ematemesi melenode, ella bene scorge, che io non posso seco lei convenire, e ritenere sempre ed esclusivamente per condizio- ne patologica del medesimo la infiammazione del tubo gastro-enterico. Ammettendo ella che in parecchi cadaveri so- nosi ritrovati i vasi venosi laceri, dalle cui fendi- (i) Saggio di un' analisi di alcune dottrine riguardanti la vita. Bologna i834 - Cenni patol. terap. sul male di fegato in Comacchio. Nota 8. Bologna i835. (2) Coninicutario cit. G.A.T.LXXIX. 11 1G2 Scienze ture scaturiva il sangue coagulantesi poscia negli intestini ( pag. 1C ), sembrami che richiamare vo- glia ropinione di Colombo, di Valverde, di Fiate- rò, di HofFemann, riconosciuta in seguito, colla face dell'anatomia patologica, erronea dal grande Morga- gni. Il quale, non ritrovando che un solo caso di la- cerazione dei vasi brevi riferito da Riolano, argo- mentava avere quegli scrittori confusa la dilatazione colla rottura dei medesimi (1). Guardimi però il cielo dal negare i risultamenti delle sue anatomico- patologiche investigazioni, e dall'attribuire a lei stesso un ugual errore ! Contuttociò non posso a me- no di riflettere, che rara e la rottura dei vasi ve- nosi, poiché Rhodio, Fieur, Cordier, Aurelique, Bo- urcher , Tissot , Frank , Portai , Rayer ec. , in- tenti tutti a rilevare negli individui estinti per melena i patologici sconcerti , non ne hanno fatta veruna menzione (2). Anzi non parmi che sia meno rara, come ella suppone, la rottura dei vasi arte- riosi (pag. \Gj 17), se un solo caso abbiamo da Lullier in cui lacerata era l'arteria coronaria del ventricolo (3). Ne abbastanza mi persuade il san- gue rosso spumoso, sgorgante a colpi isocroni colle pulsazioni delle arterie,espulso dall'ano ed osservato da Santarelli, in quanto che la malattia era asso- ciata con affezione emorroidale : per cui a questa piuttostochè a quella attribuire potevansi i fenome- ni arteriosi. Oltre di che l'abbondanza della mate- ria nera sanguinolenta e senza interruzione avvenu- (1) EpJst. XXX, §. 2 1. {n) Coitinient. cit. (3) fournal des progres, toni. Ili, Sul ME LENA 163 ta, clic ella sospetta proveniente da lacerazione di qualche vaso arterioso, poteva benissimo provenire dai vasi venosi oltremodo dilatati e distesi, od an- che da una specie di deviazione, per cui in mag- gior copia si scaricava negli intestini a segno da imporre sortendo per l'ano per un sangue arterioso. In forza delle quali riflessioni non trovo sufficien- te ragione, perchè ella ripeta dalle fenditure dei vasi rotti' il sangue effuso nel tubo enterico. Poiché il concetto dell'esalazione sanguigna osservata an- teriormente a tutti da Morgagni, confermata poscia da G. P. Frank, apprezzata in cpiesti tempi da Por- tal, da Merat, ed ammessa pur anco da Santarelli sebbene propenso alla lacerazione dei vasi, spiega chiaramente la provenienza della materia evacuata : dimodoché ricorrendo alla fenditura dei vasi ve- nosi od arteriosi sarebbe lo stesso, per servirmi di una bella espressione di Missirini, che cibarsi del- le ghiande, quando abbiamo il frumento (1). E cjui- vi sarebbe stato mio desiderio che ella, ad imita- zione del suo precettore, avesse pure adottata la esalazione sanguigna, in cjuantochè pili confermata dal fatto a preferenza della rottura dei vasi, e ren- duta a Morgagni quella giustizia di preminenza che al medesimo lo stesso Santarelli render non seppe. Fra le tante cagioni , da lei menzionate come capaci di produrre il melena ( pag. 18), scorgo di- menticate le predisponenti , e proprie degli indi- vidui per impasto organico e per temperamento co- lerici , melanconici , ipocondriaci: d'onde il facile ingorgo dei visceri splancnici. E fra le principali (i) Dell.T vera eccellenza nella letteratura. Milano i834. 4G4 Scienze cagioni occasionali non poteva omettere i vizi del fegato e della milza, come aventi gran parte nella genesi del morbo: d'onde Portai stabili il nome di ematemcsi splancnica. E parmi che ella, troppo accarezzando l'opinione del suo precettore, accordi soverchio valore all'abuso del vino, dei liquori spiri- tosi e del caffè nel promuovere la malattia (pag.18). Poiché risulta per fatti costanti, che all'abuso delle bevande alcooliche tengono dietro d'ordinario la flo- gosi gastrica, l'epatitide, la splenitide, la paralisi e l'idrope a preferenza del melena. Gos\ all'encefalite tremefacente, propria di chi abusa dei liquori spiri- tosi, giammai trovo accompagnato o successo il mor- bo negro (1). Io non dirò con Redi, che il caffè sia un veleno: poiché altrove soggiunge, che bene inzuc- cherato conforta lo stomaco (2). Ma non posso a me- no di riflettere, all'appoggio della propria e dell'al- trui esperienza, che l'abuso del caffè determina ver- tigini, dolori di capo, veglia, tremori, paralisi, dima- grimento del corpo: non già la infiammazione dello stomaco, degli intestini, e molto meno il melena o la predisposizione al medesimo. Che se richiamo le tan- te febbri periodiche trattate negli anni decorsi da Grindel (3) da Richelmi (4) da Zambelli (5), ed in questi tempi da Spinetta col caffè (6), non rilevo (i) Vedasi la mia memoria sul delirium tremens. Parma iScjS. (2) Precetti di Francesco Redi esposti dal profess. Martini. Torino 1829. (3) Annal. cliniq. de la societé medie, de Mompellier, 1811. (4) Brera, Glorn. di medie, pratica 1812, fase, IV. (5) Gioru. cit. i8i3, fase. VII. (6] Effemeridi delle scienze mediche. Milauo i83g, febbraio. S U L IW K L E N A 165 un solo cùso, in cui quand'anclie dato a dose ge- nerosa, e per piìi volte ripetuta, abbia prodotto ir- ritazione o flogosi deìlo stomaco, degli intestini, o preparato la strada all' ematemcsi melenode. Anzi troncando il caffè gli accessi febbrili, si può con fon- damento asserire, che la sua azione viene elettiva- mente determinata sul nervoso sistema, nel quale precisamente risiede il misterioso fenomeno della periodicità. Ne trovo ragione per cui debba richia- mare, a giudizio di lei e di Santarelli , il flusso emorroidale; non avendo veruna azione elettiva su- gli organi splancnici , ne sul sistema della vena porla, ne sui vasi emorroidali per quivi determi- nare una congestione, una irritazione, e quindi una sanguigna evacuazione. E molto meno posso accor- dare, che gli individui colpiti da febbre petecchiale contagiosa , per non essere stati salassati nei pri- mordi del male , non di raro diventino melenici. Senza richiamare le storie delle epidemie petecchia- li dei tempi andati, bastami dire che nelT ultima costituzione epidemica, la quale ha percorsa tutta 1' Europa, con avere fornito a molti medici un vasto campo di interessanti osservazioni, non rilevo un so- lo caso di melena successo al morbo, quand'anche non salassati i pazienti sia nel principio, sia nel de- corso del male ('/). Nel considerare con giusta ragio- ne i forti patemi d'animo per causa del melena, ella poteva aggiungere la somma influenza della collc- (i) Omodei, Prospetto nosografico statistico comparativo della febbre petecchiale dominata iu Lombardia. Milano i82t. Acerbi, Uotlriua teorico-pratica del morbo petecchiale. Milano 1822. 166 Scienze ra, dell'ipocondriasi, della melanconia nel promo- vere il medesimo, in quantocliè agiscono diretta- mente sopra orfani, nei quali ha sede il morbo. E ritengo pure, che i forti eccitamenti dello spirito lungi dal turbare, a giudizio di lei e di Santarelli, le funzioni intestinali , sconcertino a preferenza quelle della mente, d'onde lo straordinario carat- tere morale, e le tante variate forme delle psicolo- giche alterazioni, cui soggiacciono i pazienti colpiti dal melena (1). Che se gli uomini di lettere sono di- (i) Fra le diverse malattie, le quali conducono al tedio del- la vita, al suicidio, riteneva il benemerito Testa le affezioni car- diache, convalidando la propria opinione coi risultaraenti del- l'anatomìa patologica (Delle malattie del cuore, tom. II, cap. X). Contuttociò moltissime sono le osservazioui di morbi cardiaci , raccolte da Home, da Leder, da Hufeland, dal cons. Giuseppe Frank, da Kreysig ec, senza che i pazienti, i quali n'erano col- piti, abbiano dato in istato di vita segno di meulale alterazione o di attentato contro la propria esistenza (Vedasi la mia disser- tazione sulla coincidenza morbosa della milza col cuore. Vene- zia i835. ). Anzi lo stesso Testa racconta di avere veduto molli individui infermi per simili lavori , i quali vivendo non hanno giammai argomentato in modo cotanto miserando contro se me- desimi ( Oper. cit. ). Altrove io dimostrava che le affezioni de- gli organi del petto mantengono negli ammalati un carattere ga- io , aperto , e confidente ; quandoché quelle del visceri del basso ventre producono uu carattere pensieroso, tristo , sospet- toso , diffidente , e facile a lasciarsi vincere dalla disperazione. Per cui negli organi splancnici, e specialmente nella milza, piut- tosto che nel cuore e nei precordi ammettere si deve la sede e la cagione del tedio della vita e del suicidio. E molto più se gli individui sono per temperamento melanconici, ipocondriaci ( Dissertaz. cit.). Difatti nelle persone datesi a volontaria morte, di cui Testa riferisce le storie, non mancava il morboso ingrandi- mento della milza , né la melanconia^, né la ipocondria ( Oper. cit.). Per questa ragione gl'inglesi riferiscono alla milza realmen- te pervertita , ed alterata nel suo impasto organico , una parli- S U L M E L E N A 107 sposti al morbo negro, ciò non dipende assoluta- mente, come ella opina, dai forti eccitamenti dello spirito , che turbano le funzioni gastro-enteriche; ma bensì dalla loro vita sedentaria, e dalla po- tenza nervosa tutta concentrata sul cervello a danno delle funzioni digerenti: per cui diventano queste inerti, rallentasi il circolo del sangue nei vasi ab- dominali, d'onde le stasi, gl'infarcimenti, e tanti al- tri sconcerti, i quali aprono la strada al melena. Ignoro sin dove la retropulsione della gotta, dell* artrite e delle impetigini sia capace di promuovere il morbo negro: anzi, dubitando di simili potenze no- cive, avrei desiderato di conoscerne le pratiche pro- ve, nessuna delle quali ritrovo ne da lei, ne da San- tarelli riferita. Nelle quattro storie del melena, che formano argomento delle sue osservazioni medico-pratiche anatomiche e patologiche, ella n'ha cosi bene descrit- ta la forma, le cagioni, la sede, con averne consegui- to, mediante opportuno trattamento curativo, un e- sito felice, da non lasciare alcun desiderio intorno le medesime: per cui ella merita giusto tributo di lode. Solochc io non avrei considerato il melena per una malattia dinamica (pag. 31), consistente cioè, se- condo le odierne dottrine di Bufalini e di Medici, nella preternaturale mutazione del movimento pro- colare malattia della mente , la quale portando abusivamente il nome dello stesso viscere, spinge i medesimi al disprezzo della vita, ed al suicidio. Da simili condizioni morbose , le quali non mancano negli ammalati per melena, io ripeto la cagione per cui 1 animo loro è cliiuso ai più dolci sentimenti della vita a segno da diventare insociabili, feroci, diffidenti, e perfino intollerabi- li della propria esistenza ( Comment, cit. ). 168 Scienze prio delle parti interessate, ma bensì per nna af- fezione organico-dinamica, ossia di riproduzione e dì plasticità, in cui le stesse parti sono materialmen- te mutate. Cosicché quell'eccitamento aumentato, che ella, a senso della dottrina bruno-riformata, consi- dera per condizione principale del morbo, non è che secondaria, in quanto che accompagna o segue l'al- terazione materiale delle parli slesse, nella quale consiste realmente la malattia organica (1). E parmi (i) Il profondo fisiologo, rariiico e collega Medici, dichia- rava pochi anni or sono , che non è più lecito di considerare le malattie per altrettante affezioni dinamiche , essendo invece la maggior parte di esse, e specialmente quelle che attaccano , per cosi dire, la vita, materiali mutamenti del solido {Stcggio di una analisi di alcune dottrine fondamentali della vita. Bolo~ gna i834- » Cenni fisiologici, patologici, terapeutici sulla malat- tia del fegato in Comacchio. Bologna i835). I quali concetti ri- chiamando pure in questi giorni, saggiamente soggiunge, che la vita fisiologicamente considerata è un allo organica dinamico , dimostrato per l'un lato dagli «viti della vita esistenti nella plasti- cità , e per 1' altro dagli alti vitali che sono semplici movi- menti. Poscia dimostra che le malattie patologicamente conside- rate sono preternaturali mutazioni o della plasticità o del moto, oppure dell'una e dell'altro; d'onde risultano malattie organi- che, od organico-dinamiche. Ed applicarlo in seguito gli stessi principi! patologici alle sostanze terapeutiche, ritieneche queste, in quanto al modo col quale agiscono, ed agli effetti che de- ternìlnano sull'animale economia, sono dì azione organica o di- namica od organico-dinamica. In tale maniera, conchiude il fi- siologo di Bologna, tutte le parti del medico edificio trovansi in facile e diretta comunicazione. Dalla fisiologia discendono i principii generali della patologia .• e da questa e da quella rice- ve la terapeutica conformi applicazioni. Nella vita si conosce tutto ciò che può diventar malattia, e questa offre una immagi- ne di ciò, che per lo innanzi era sano , ed i rimedii spiegano come la malattia venga ricondotta a sanila ( Della vita in gene- rale. Nel giornale per servire ai progressi dclld patologia ce- i858 maggio e giugno). Tali sono le basi della dollrinu medica Sul melena 169 ancoraché il melena, d'ond'erano colpiti i suoi am- malati, decorresse con andamento acuto, o subacuto, piuttostochè cronico. Tanto almeno ravviso dal pron- to sviluppo: dal rapido progresso del male: dal breve corso del medesimo: dal metodo curativo; co- me dalla febbre ardita, dall'aumento e diffusione del calore, scorgo manifesti segni di reazione arte- riosa, e propri di qualunque irritazione o condi- zione flogistica. Per questa ragione non potevano riuscire piìi vantaggiosi i salassi generali e locali, per minorare la soverchia riproduzione: gli evacu- organica-dinamica, alla cui fondazione hanno contribuito Rasori, Tommasini , Bufalini, Puccinotti, Medici, De Renzi , e la quale nella nostra bella penisola non è soltanto adottata dalla mag- gior parte dei cultori dell'arte salutare, ma divenuta ben anco argomento di pubblica istruzione pressoché in tutte le noitre scuole. Dimodoché si può con ragione asserire , che il bel pae- se, nel quale videro la luce Redi, Torti, Ramazzini, Vallisnieri, Lancisi, Morgagni, Valcarenghi, Cotugno , Porta, Testa e tanti altri preclari ingegni, possiede veramente una dottrina italiana. (Vedasi la mia lettera al chiariss. prof. Folcili sulla dottrina me- dica-organica di Nostan. Milano 1839). Non sono molti anni, dacché la dottrina organica di Bufa- lini piantava sede in Dublino con farne il prof Wallace ogget- to di patologico insegnamento (Vedasi il mio Commentario sul- la clorosi. Milano 1828 ). Attualmente insegnando in Parigi il prof.Nostan,che non evvi lesione di funzione senza lesione di or- gano.- che secondario è il movimento innormale delle proprietà vitali, e dipendente dall'alterazione dello stato organico; egli è lo stesso che circoscrivere il dinamismo ne'suoi giusti confini, ed adottare quei medesimi principii,che Bufalini, Puccinotti, Medici e De Renzi hanno anticipatamente ammesso, sostenuto e difeso. Per cui si può dire a gloria dell'italica medicina, che la dottrina organico-dinamica, insegnata sul Delissi e sulla Senna regale, è merce trasportata da quella classica terra , la quale nelle scieu- ae e nelle arti fu mai sempre maestra alle straniere nazioni (Ve- dasi la citata mia lettera al prof. Folchi). 170 Scienze anti, le bevande rifrescanti, per correggere le ma- teriali alterazioni, per coacuare la materia morbosa, e per iscemare i dinamici movimenti. Chiunque medico, semprechè non sedotto da prevenzione, ne affascinato da sistematiche dottrine, ritroverà sempre nelle sue interessanti istorie ba- stante campo per istruire se stesso, e per farne uti- le applicazione in casi uguali, laddove richiesto sia di sua assistenza. E per quanto apprezzi il suo giu- sto criterio nel!' aver tratto partito dalla cassia , dal tamarindo, dai blandi evacuanti, non posso con- venire col sentimento di Tommasini, e da lei stes- sa riportato, col quale si esprime che, dopo i ri- petuti salassi, i purganti portano dei maravigliosi effetti nelle flogosi enteriche (pag. 34). Poiché i mi- gliori medici di lutti i tempi , di tutti i luoghi, hanno sempre all'appoggio dell osservazione e dell' esperienza riprovalo l'uso dei purganti nelle in- fiammazioni intestinali , come capaci di accresce- re, invece di scemare la malattia. Anzi rilevo che ! ella saggiamente operando , e seguendo in pa- I ri tempo i consigli del suo precettore, non ha va- lutato il concetto dello stesso Tommasini, per ave- i re approfittato dei blandi evacuanti, piuttostochè | dei purgativi. Ne solamente nell'acuto melena, ma ( ben anco nel cronico diventano dannosi i purganti, in quanlochè accrescono i movimenti vitali, e Taf- , flusso degli umori sugli intestini, i cui tristi ef- U. fetti hanno ad evidenza dimostrato Tissot, G. P. Frank, Alibert, Portai, e lo stesso Santarelli, fi- no al punto di promovere in alcuni individui una abbondante ematemesi brevemente funesta, ed in altri una sincope fatale (1). Guidati da simili prin- (i) Commentario cit. SULMKLENA ITI cipii Bagllvl, De Haen, Van-Swieten, Sarcone, Bor- sieri, G. P. Frank ec. non cessavano mai dal mostra- re i danni cagionati dall'uso dei purganti nelle in- fiammazioni del tulio gastro-enterico. Ma sia per dimenticanza d' insegnamenti cotanto preziosi , sia per amore di sistematiche dottrine , sia per so- verchia deferenza all'autorità , conviene pur trop- po confessare , che nei tempi presenti i medici hanno generalmente abusato, ed abusano tuttora dei purganti nelle flogosi enteriche, con avere, lun- gi dall'abbattere e deprimere la preesistente in- fiammazione, aperta non di rado la strada a nuo- ve malattie per effetto dello sconcerto arrecato col metodo purgativo. Per questa ragione egli è de- siderabile, che i medici, e specialmente quelli e- ducati alla dottrina del controstimolo e della bru- no-riformata , a malgrado ancora di quanto pro- clamano i banditori delle medesime, abbiano a per- suadersi , che le sostanze purgative non agiscono sempre controstimolando, e che non si possono im- punemente applicare sovra di un tessuto infiamma- to senza temerne gravi conseguenze (1). (i) L'azione primaria dei purganti, riflette saggiamente 1' a- mlco e collega Emiliani, lungi dall'essere di controstimolo , ac- cresce invece i movimenti vitali e I' afflusso degli umori alle parti, sulle quali agiscouo: per cui sono di sua natura contrari a quanto richiedono le malattie dipendenti da processo flogisti- co. E se i medici avessero meglio apprezzato gl'insegnamenti di Baglivi, di De Haen, di G. P. Franck ec intorno il danno dei purganti nelle flogosi enteriche, piuttostochè seguire sistematici principii, avrebbero avuto pro^e più che bastanti per non rico- noscere nei medesimi una pretesa facoltà controstimolante ( V. Ricerche a stabilire le migliori indicazioni nel Iraltamenlo dei morbi infiammatoiii. Modena 1829 ). Ma egli é inutile dimostra- 473 S G I E K K E Dall'avere ella dichiarato clic il melena è sempre malattia dinamica, non vorrei cKe i giovani medici avessero a prendere per assioma un simile concetto patologico con approfittare di un metodo di cura unico ed esclusivo , qualunque sia la natura e V indole del male. Allorquando 1' autore della dot- trina bruno-riformata proclamava, che la infiara- zìone è la maestra e la guida di quasi tutte le ma- lattie acute e croniche: che è curabile soltanto con mezzi atti a deprimere il movimento vitale, finche il morbo sussiste : che se avvi scampo, tutto con- siste nei generosi salassi , non escluso persino il caso del tisico pressoché moribondo; i seguaci della medesima facevano della lancetta il rimedio pres- soché universale. Anzi i medici pili volgari, ed a- lieni per l'addietro di prescrivere un farmaco di qualche momento : i flebotomi e le mammane or- dinavano salassi senza riserva. Io non dirò quali re quanto la divisione delle sostanze terapeutiche in stimolanti e controstimolanti non combini colle invariabili leggi della na- tura, in seguito a quanto hanno in questi tempi scritto in pro- posito gli amici e colleghi Bufaliiii, Brera, Bruschi, Folchi, Me- dici, Sehina, Semmola, Vulpes, Decrasca ec. intenti tutti a mo- strare col raziocinio e col tatto, che l'azione dei rimedi non istà negli angusti confini dallo stimolo e dal controstimolo : e che non pochi di essi operano in modo del tutto contrai-io a quello dipendente dalla classe, nella quale vennero collocati per amore sistematico. Per questa ragione io scriveva giorni sono, che il volere ai risultamenti conseguiti dall'osservazione, e dall' espe- rienza di tanti secoli intorno gli effetti palesi dei rimedi, sosti- tuire un nuovo modo di agire da pochi lustri sorretto, che non regge in natura, e che consiste più nelle parole che nei fatti , egli è lo stesso che volere ritardare, anziché favorire, i progressi della materia medica ( Vedasi la mia dissertazione sull'azione te- rapeutica del ferro. Venezia iSBg). Sul melena 173 siano stati i tristi effetti di tanta profusione di san- gue, in seguito a quanto scrissero in proposito Pra- to, Angeli, Meli, Bufalini, Goldoni, Strambi© ed io stesso , intesi tutti a comliattere colTosserv^zione e coll'esperienza una pratica oltre modo perniciosa (1). Ad oggetto pertanto di non sottoporre il melena ad un principio unico, esclusivo, con divenire sor- gente di errore nell'applicazione del metodo cura- tivo, interessa di far conoscere ai giovani medici, che il morbo negro non ha sempre sede nel tubo gastro-enterico, ma sovente negli organi splancnici : che non è malattia semplicemente dinamica , ma per lo piii organico-dinamica : che se in alcuni casi decorre in modo acuto prodotto ed alimentato da processo flogistico, anzi d'ordinario assume un andamento cronico, senz'avere per essenza morbo- sa una infiammazione qualunque ; ovvero, se que- sta avviene, non è sempre primaria , ma consecu- tiva e sviluppatasi nel decorso del male. Per la qual cosa quei salassi da lei ritrovati vantaggiosi nella cura del melena, perchè d'indole stenica, di corso 1 acuto, non sarebbero tollerati da quegli individui, nei quali cronico è il morbo: mancante la reazio- i ne arteriosa: somma, reale, e non apparente la de* bolezza. Ma ella ne' suoi ammalati ha molto hene studiato il gran libro della natura, con avere all' appoggio della medesima applicato il conveniente metodo curatiVo. Anzi non ignaro della greca me- dicina, ha saputo trarre utile partito dal precetto d'Ippocrate, il quale insegna di purgare e dì ca- li) Lettere polemiche sull'abuso del salasso. Pesaro 1876. 174 Scienze var sangue Mi- lano, presso Ripamonti Carcano 1838 in 8." fig. Fark forse maraviglia che in una rivista ar- cheologica io dia luogo ad un libro, il cui scopo quello si è di scrivere un viaggio fatto dal eh. A. Ma quando si conoscerà che esso con molta dili- genza ha trascritte tutte le iscrizioni antiche che ha incontrate ne'molti luoghi percorsi; che, per la pe- rizia che ha dell'antica epigrafia, molte lapidi per altri pubblicate con errori potè rettificare; e potè dimostrare la falsità di altre: sarà chiaro che que- sto libro non solo può essere un buon compagno pe' viaggiatori, ma anche dì utilità pe'cultori dell' antica epigrafia. E debbo notare che in questa par- te l'opera del sig. Amati si slarga piìi che nelle al- tre ; nelle quali descrive i luoghi che percorre, ne accenna la storia, ne ricorda gli edifizi sacri e pro- fani ec. IV. Reale museo borbonico descritto ed illustrato da Erasmo Pistoiesi ec. Roma 183G — 1838. /^o- lume primo in 8.° gr. fig. Al n. IX della Seconda rivista feci un cenno de'primi fascicoli di quest'opera; della quale ora è terminato il primo, e sta in corso d'associazione il 196 Letteratura secondo volume. Allora mi strinsi a recare alcune prove , per le quali si facesse chiaro chi dovesse ritenersi per autore delle illustrazioni; se il sig. Pi- stoiesi, oppure gli espositori del reale museo bor- Lonico : quindi su ciò non farò ulteriori parole , per non esservi state evenienze che abbian fatto cangiar aspetto alla cosa. Si dirò, quale sia la ma- teria che compone questo primo volume. Ma è esso un sol volume, o si deve dividere in due ? Eccone la descrizione. Un frontispizio che porta la data del 1836, ed è intitolato volume pruno ^ ha di seguito la descrizione delle eruzioni del Vesuvio, dalle an- tichissime a quelle del 1834 (p. 1-91); poi la sto- na di Ercolano (p. 92-115); quindi le notizie sugli scavi ercolancsi (p. 116-216); ed è corredata questa parte di cinque tavole in rame. Cambiando poi nu- merazione e frontispizio, ma con la data del 1838, o con la stessa indicazione di volume primo, sono cento tavole di monumenti, le cui illustrazioni si spaziano per 438 facce. Il perchè mi parve buon consiglio dividerlo in due parti ; specialmente per non aver l'incomodo dì maneggiare uno sformato volume di oltre a 650 pagine, e 105 rami. Nelle cento tavole di monumenti s'incontra molta varietà; cosa che forse a taluni può venir grata. Oltre a diciotto pitture operate dopo risorte le arti, ven- gono descritte pitture antiche in muro , gruppi e statue in marmo, statue equestri, statue in bronzo, vasi fittili dipinti; arroge cinque tavole di busti , due di musaici, tre di vasi in bronzo ; arroge un vaso di marmo, e candelabri, e lucerne, e armi, e lampadari, e gioielli, e cammei, e trapezofori , e bisselli, e stucchi, e pareti dipinte, ed anche una superba testa di cavallo in bronzo: per modo che, Rivista abcueologtca 197 volendo numerare i monumenti descritti di questo volume, essi ascenderebbero a 140 circa, comprese le moderne pitture. Non mi è permesso spaziare a lungo nel ren- der conto di quest'opera ; pure non ristarò dallo esternare alcune mie opinioni, contrarle in parte a quelle che per certi monumenti in essa si leggo- no; e siano esse del sig. Pistoiesi, siano degli edi- tori del reale museo borbonico, siano degli erco- lanesl, dichiaro che a ciò fare mi consigliò l'amore per questi studi, non il desiderio di entrar in lizza con alcuno ; che nel mio particolare professo sti- ma sincera a qualunque scrittore; e lascio al pub- blico il diritto di giudicare da qual parte sia la ragione, esaminate che abbia le opinioni diverse. Animato da questo principio, considero nella tavola III il celebre dipinto pompeiano rappresen- tante la restituzione di Crlselde. 11 sig. Pistoiesi ri- tiene col Bechi, che Agamennone sia quello che sostiene la giovane, ed Ulisse uno dei due guerrieri che la stringono. Mi sembra che in quel guerriero la mancanza del nautico berretto, senza il quale non mai,o ben di rado fu rappresentato l'i tacense, ponga m dubbio quella opinione. Nel supposto Agamenno- ne poi assai piìi volentieri coll'Inghlrami riconosco un servo del seguito di Griseide; come consiglia il Corto abito , ed il capo quasi rasato e disadorno. Ma è egli certo che in quel dipinto sia Griseide? Il Munter ne dubitò, ed amò piuttosto riconoscervi la partenza di Andromaca per l'Epiro; nella prora del vascello notò i segni della vittoria; e nel gio- vinetto, che è alla destra della donna, vide Astla- natte. Non molto mi persuade il dichiarare per Melpo- 198 Letteratura mene quella donna nuda delle ])raccia e con veste leggera, che chinata sta in atto d'incidere una qual- che iscrizione sotto una maschera tragica (Tav.XV)- DovVinfatti l'ampio sirma, dove l'erculea clava, do- ve i tirreni coturni, dove la leontèa, attributi di quella musa? dove quell'aspetto di dignità e di au- sterità, con cui sempre gli antichi la rappresenta- rono ? Io col mio Betti ripeto, essere canone di archeologia che le muse non siano mai state ritrat- te presso i greci, gli etruschi ed i romani, se non con vesti di grande onesta; e certo non è tale quel- la della figura in quistione. Per simil modo non mi ristarò dal dichiarare, che le ragioni addotte per sostenere esser ritratto di xiristide , piuttosto che di Eschine, quello di una celebre statua ercolanese (Tav. XVll), non mi paion tali, che possano rivo- care in dubbio la opinione del Vescovali, che pri- mamente e per mezzo di sicuri raffronti in quel- la statua riconobbe Eschine. La statua della tav. XLVII è giudicata rap- presentare un gladiatore, a motivo della ferita che si scorge nella sua coscia sinistra. Non molto vo- lentieri vi converrei; e ricordo che per lunghi anni fu detta di un gladiatore quella statua già borghe- siana, nella quale finalmente il Visconti riconobbe un Teseo. Ma se quel marmo del moseo borbonico vien reputato copia eccellentissima di greco origi- nale, mi sarà permesso dimandare: I greci usarono i feroci combattimenti de'gladialori .** D' altronde , manca forse nella storia eroica ogni allusione ad un guerriero ferito nella coscia? Per esempio, Euripilo fu ferito in una coscia, secondo narra Omero ncU' undecimo dell'Iliade; e se lo slesso sommo cantore raccontò nel quarto, come Pandaro ferisse prodi- RmSTA ARCHEOLOGICA 199 toriamente Menelao, due gemme edile dall'In gli ira- mi fan fede che lo feri nella coscia. Nella tav. LV è il famoso gruppo in marmo di Oreste ed Elettra. Anche così lo intitola il sig. Pi- stoiesi; ma non persuaso di quanto ne scrissero i napoletani editori del museo borbonico, tenta ad- durre ( specialmente nelle note ) alcuni argomenti, per far credere il gruppo non rappresentarne le im- magini di Oreste e di Elettra-^ e benché confessi che si ravvisa in essi una certa aria di famiglia degli Atridi, dice altrove essere necessario escludere af- fatto quella denominazione. Se non lo persuasero i dotti espositori del museo borbonico, avrei desi- derato che prima di contraddire quella loro opinio- ne, avesse egli letto quanto Ennio Quirino Visconti, Raoul-Rochette, Giovanni Labus ne scrissero corro- borandola; e nella sentenza di questi piace a me convenire, non ostante la contraria opinione del sig. Pistoiesi. Un musaico pompeiano è alla tavola LXIII. Il nostro A. lo intitolò Corago, seguendo le opinioni del Bonucci e del Bechi. Tralascio di notare co- me altri sognassero di vedere un Apollo in quella figura di questo musaico che suona le tibie; ed un Marsia in quell'altra, che ridendo alza le braccia per indossare la veste : ma sì posso mettere in dub- bio che il vecchio sedente sia il choragis, il quale nel choragium, o portico della parte posteriore del palco scenico, distribuisce a'suoi attori maschere e vesti, presiedendo nel tempo stesso al loro abbiglia- mento. E lo metto in dubbio, perchè fuvvi chi sup- pose essere il vecchio un affittatore di maschere in atto di distribuirle, e concertare la mascherata di una compagnia di avventori del suo negozio; e fuv- 200 Letteratura vi chi aggiunse, che il portico rappresentalo nel musaico, piuttosto che un choragium, devesi rite- nere per parzial copia dell'interno di quella casa ( la diceano omerica ) in cui quel monumento fu trovato. Comunque ciò sia, osservo che se asserii nella seconda rivista, esser questa romana edizione una contrafazione dell'originale di Napoli , resta quella asserzione evidentemente provata da questa tav. LXIII; la quale non è tratta certo dall'origina- le musaico, ma si dal rame che ne fu inserito nel real museo Lorhonico. Ora quel rame in diverse cose si allontana dall'originale , e quelle infedeltà passarono nel rame romano. L' originale presenta due sole maschere sullo sgabello, e nel rame se ne veggono tre ; nell'originale il vecchio sedente solle- va con la destra una delle due maschere, e nel rame distende la destra in atto di discorrere con uno dei due che gli stan dinanzi. Aggiungo poi che neppu- re del tutto fedele è il rame di questo musaico nel- l'opera del Raoul-Rochette. \ Uno dei tre busti riportati nella tav. LXXXVIII dicesi di Arianna per le note forme del giovanile volto. E forse Arianna un personaggio storico, di cui ci siano pervenuti sicuri ritratti? Ogni artista l'im- maginava a sua voglia; e può il sig. Pistoiesi os- servare tante diverse forme di volto, quanti sono i diversi intonachi ercolanesi e pompeiani, che la rappresentano abbandonata da Teseo nell'isola. Per simil modo, alla p. 176 il N. A. di una statua rin- venuta nell'Ercolano senza braccia, e senza testa, e poi restaurata per un Claudio, dice che incerto fu il giudizio a chi si appartenesse quel tronco; ma cessò di esserlo quando netfesca'va2Ìone di f^eio consimile simulacro vide la luce. Io non so com- Rivista archeologica 204 prendere il come quella scoperta veiente abbia potuto assicurare a Claudio imperatore quel torso acefalo di statua sedente ercolanese. Un bel gruppo, già della collezione Farnese, è alla Tav. XGV. L'autore opina che rappresenti Bacco ed Aerato; e quest'Aerato è di forme assai giovanili : dunque dir lo doveva Ampelo. Ampelo (cioè la vite) è il favorito di Dionisio, il suo piii caro sostegno, ed è sempre rappresentato in sembianze giovanili: per contrario Aerato vien figurato vec- chio, barbuto, calvo, rubicondo; egli è il Brumi bo- nus edncator et altor degli inni attribuiti ad Orfeo; il Sileno sopreminente, il precettore, il compagno il partecipe de'trionfi e de'piaceri di Dionisio. Se il sig. Pistoiesi desidera le prove di questa ne- cessaria distinzione fra Aerato ed Ampelo, può leg- gerle radunate con bell'ordine dal Labus nel mu- seo di Mantova. Diverse osservazioni mi occorrono intorno la tav. XGVII. Essa rappresenta tre busti: e cos'i nel rame, come nella intestazione della parte descrittiva, si dicono di Siila, di Galieno, di L. Vero: nelle illu- strazioni poi per diverse ragioni si conclude, che né il secondo rappresenta Galieno, ne il terzo Lucio Vero. Dunque perchè intitolarli con nomi che poi vengono dallo stesso autore dell'opera contraddetti? Quanto a quello di Siila inoltre, che egli stesso ri- tiene per veridico, mi permetterà che io ne tenga la cosa assai dubbiosa; perchè non somiglia la immagi- ne sculta sulle monete di argento battute da Q. Pom- peo Rufo; le uniche, ripeto col Visconti, che ci pre- sentano l'autentico ritratto di quel celebre dittato- re. Aggiunge il sig. Pistoiesi, che tal busto fu per taluno aggiudicato a Celio Caldo: ma dice, che egli 202 Letteratura non vi conviene, specialmente perchè nel tempo in cui Celio viveva , le arti per la barbarie insorta erano decadute e sparite quasi dall'Italia. Chi non penserebbe quindi che Celio Caldo fosse vissuto al- meno nel quinto o nel sesto secolo dell'era volga- re ? L'equivoco è di pochi anni ! Caldo tenne i fa- sci consolari nell'anno 660 di Roma; quindi fu con- temporaneo di Siila. Che poi uno stesso marmo pos- sa essere stato per alcuni riputato ritratto di Ce- lio, per altri di Siila, vedi, o cortese lettore, se sia possibile, confrontando fra loro i sinceri ritratti di ambidue, che sono nella iconografia romana del Vi- sconti. Di un' ultima cosa voglio pregare il sig. Pisto- iesi: cioè di far in modo che le descrizioni combi- nino co' rami, il che talvolta si desidera in que- sto primo volume; e di essere più attento alla cor- rezione, evitando que'moltissimi errori tipografici, che deturpano questo libro. V. Intorno un antica statua etnisca. Lettera del marchese Giuseppe Melchiorri ec. Roma 1338, in 8. fig. Sono ora già venti anni, che nel territorio del- l'antica Chiusi fu rinvenuta questa statuetta, alta, compreso il plinto, palmi tre, once tre. È sculta in quella pietra vulcanica che dicono nenfro., e che è una varietà della pietra albana comunemente chia- mata peperino. Rari sono i lavori che in tal ma- teria giunsero sino a noi; sì perchè facile è quel- la pietra a decomporsi per la umidità; si perchè antichi, ma non belli per l'arte, poco furon cura- ti ne'tempi andati. Pure la statuetta chiusina, che il Melchiorri imprende a descrivere, è di tal con- servazione, da recar maraviglia. Rappresenta una Rivista archeologica 203 tìonzella sedente , ignuda della persona , salvo in quelle parti che onesta vuol coperte: essa è sen- za meno una ninfa o naiade, che si prepara al ba- gno. Questo insegna la sella halneatoria^ su cui sie- de ; il suppedaneo , sul quale posa i piedi ; l'at- to di spinger a basso con la sinistra il manto, che ancor le cuopre una gamba, onde svestirsi del tut- to . Forse ab antico era essa allogata sopra la fonte che alimentava un qualche bagno. Lo stile è etrusco: e di que'tempi, ne'quali la romana po- tenza incominciava ad influire anche sulle arti di quest'antichissima nazione; cioè a dire fra il quar- to ed il quinto secolo di Roma. La possiede mon- signor Michelangelo Luciani. IV. Congetture intorno ad una statuina di bronzo del gabinetto particolare di S. M. il re Carlo Alberto'^ del professore Carlo Gazzera^ cavalie- re ec. Torino della stamperia reale 1838 in 4°. di face. ^ T con una tavola litografica. Dal suolo dell'antica Industria tornò a luce la statuina che il eh. Gazzera imprese ad illustrare. Rappresenta una figura femminile in piedi, vesti- ta di stola e di manto, con mitella nella testa. Reg- ge con la sinistra un lembo del manto; tiene al- quanto alzata la destra, nella quale par certo che sostenesse alcun che: sull'omero sinistro posa un putto alato, che col braccio destro si regge alle trecce di lei, e la riguarda. Simile rappresentan- za nell'antichità figurat^^ non si era ancora veduta. Solo il Borghesi, correggendo la descrizione dei denari di Manio Cordio Rufo, notò che sul rovescio di essi si scorge una figura femminile stante e ve- stita, con iscettro nella destra, e bilancia nell'altra mano; e sulla sinistra spalla, non una civetta, ma 204 Lette r a tura SI un amorino. Queste medaglie hanno tanta so- miglianza con la statuina industriense, che non può essa reputarsi tratta da un tipo diverso da quelle : e se il Cavedoni dapprima, poi il Raoul-Rochette reputarono che in quelle medaglie venisse rappre- sentata la Venere Verticordia o Apostrofia, non di- versa denominazione dee darsi alla statuina in bron- zo. Poi per parecchie antiche epigrafi di Torino e d'Ivrea prova il eh. Gazzera,che la gente Cordia era assai cognita in quelle contrade ; per il che si co- nosce la ragione della somiglianza che v' è fra la statuina e le medaglie. Se io non prendo equivoco, parmi aver veduta alcuni mesi fa in Roma, fra le mani del eh. cav. Kestner, un' antica gemma inta- gliata , rappresentante anch* essa una Venere con amorino sulle spalle. VII. Intorno al monumento sepolcrale di M- F'ergi- lio Eurisace^ recentemente discoperto presso la porta maggiore. Cenni del marchese Giuseppe Melchiorri ec. Roma, tipografia delle belle arti 1 838 in 8. di pag. 23 con una tav. in rame. Avendo la paterna sollecitudine del regnante sommo pontefice intorno la conservazione degli an- tichi monumenti comandato il dìsgombramento di tutte le costruzioni, che in varie epoche erano state barbaramente addossate alla maestosa fronte dell'a- cquedotto Claudio alla porta già detta Esquilina, ora Maggiore; tornò quindi a luce il sepolcro di cui nel- l'enunciato libretto si discorre. Nel riattamento delle mura di Aureliano, al principiare del quinto seco- lo dell'era volgare, esso monumento era stato rin- chiuso per ordine di Onorio entro una specie di torre rotonda , centrale tra i due fornici della por- ta esquilina. È di forma quadrilunga irregolare , Rivista archeologica 205 con tre angoli ottusi ed uno acuto ; ne potea esser diversamente: perchè posto in origine sulla punta del bivio, dove dìramansi le due vie labicana e pre- nestina, faceva mostra di se tanto a chi veniva dal- la citta, quanto a chi, percorrendo quelle due stra- de, alla citta si recava. In tre lati è conservatissimo; il quarto manca solo dell'esterno rivestimento: ha base di pietra albana; di pietra tiburtina è coperto nel resto. Rappresenta nell'esterno come due piani; il primo formato da colonne senza base e capitello, internate oltre la meta nella fabbrica; agli angoli sono pilastri; al disopra una semplice fascia serve d'architrave: nel quale è scolpita con buoni carat- teri una epigrafe, che ripetesi dai tre lati restanti. ]Nel più stretto si compone di due linee , e dice: EST HOC MONIMENTVM MARCE! VERGILEI EVRYSAGIS PISTORIS REDEMPTORIS APPARET. La parte superiore ha pilastri con bei capitelli ne- gli angoli: ogni faccia poi è decorata da tre ordini di fori circolari a modo di finestre: sopra i pila- stri del secondo piano posa un architrave a guisa di fregio pure in travertino e scuUo a bassorilievo, con rappresentanza di quanto concerneva l'arte di M. Vergilio Eurisace. Le due facce laterali mostra- no l'operazione della mola, il cernere, l'impastare, il cuocere nel forno. La parte più stretta porta sculto l'atto della consegna e del peso del pane che fa l'appaltatore, il ricevimento che ne fanno gli ap- paritori, ed il trasporlo nelle corbe. Sopra il bas- sorilievo era una cornice elegante di ordine ionico; e forse sopra era un attico decorato con acroteri. Venendo alle iscrizioni, si rileva da esse che M. Ver- gilio era pistor redeinptor appaiitorani, cioè fornaio appaltatore o provi>isioniere degli npparitori. Erano 206 Letteratura gli apparitori coloro, qui magistratui alieni appara- re solebant, eiusque imperio presto esse-^ e sotto tal denominazione conjprendevansi gli accensi, i viato- ri, gli interpreti, i littori, gli scriba, i banditori ec. Che essi avessero pane dal pubblico , si prova così da un senatoconsulto del 724 conservatoci da Frontino, come da una legge del codice giustinia- neo. Anche un'altra iscrizione fu rinvenuta nel de- molire la torre rotonda: essa, benché rotta in piìi pezzi, pure fu riunita interamente; e porta scritto quanto segue : FVIT ATISTIA VXOR MIHEI = FEMINA OPITVMA VEIXSIT = QVOIVS COR- PORIS RELIQVIAE = QVOD SVPERANT SVNT IN = HOC PANARIO. Quest'ultima voce potreb- be indurre incertezza; perchè panarium fu il pa- niere o canestro o arca ove riponevasi il pane; e non vi sono altri esempi che fosse adoperata per arca sepolcrale : ma l'incertezza cessa, dacché si co- nosce che la pietra ha la forma presso a poco di quelle arche , le quali in molti luoghi del Lazio servono ancora per conservare il pane. Se non è certo, facile è almeno, che questa Alislla fosse la consorte di M. Vergilio Eurisace, la quale essendo a lui premorta, volle egli che collocate ne fossero le reliquie nel monumento che per se aveva fatto in- nalzare.L'epoca di questo monumento non può esse- re anteriore al 580 di Roma; perchè allora soltan- to, per testimonianza di Plinio, furono introdotti in Roma i fornai pubblici; non può essere posterio- re all'anno 803, perchè per senatoconsulto fin dal 724 era stato vietato di eriger fabbriche meno di- stanti di quindici piedi dai pubblici acquedotti : ed il monumento di M, Vergilio dista meno di quindici piedi dall'acquedotto di Claudio costruito Rivista archeologica 207 nell'anno 803. A stringer questi limiti valgono le osservazioni sulla materia di che si compone il mo- numento, sullo stile architettonico di esso, sulla la- tinità delle epigrafi. Per ciò che è della materia, le due pietre indigene furono adoperate nell'epoca re- pubblicana, e non più o molto raramente al prin- cipiar dell'impero. Se fossero stati in uso i marmi, certo non si sarebbero fatti lavorare i bassorilievi in pietra tiburtina. Lo stile poi cosi di essi bassori- lievi, come degli ornati, risente assai dell'antico; e dell'arcaico risente la ortografia delle due iscrizio- ni. Quindi par da credere, che il monumento conti l'epoca del settimo secolo di Roma, verso il decli- nare. Queste cose, che ho appena accennate, sono dal- lA. eh. largamente e con diligenza trattate. Mi vien fatto credere che intorno lo stesso monumento stia- no lavorando alcuni altri dotti archeologi ed ar- chitetti; l'opera dei quali, se mi verrà alle mani, mi darà luogo di tornarne a scrivere. Vili. Alcuni scritti intorno ad un monumento se- polcrale scoperto presso la città di Padova^ ed illustrato dalVah. Giuseppe Furlanetto. Padova'. tipografia Cartallier e Sicca 1839, di p. 12 in U." gr. Alla Mandria, luogo poco discosto da Padova, fu scoperto l'anno 1821 il monumento in discorso, e venne illustrato dal eh. Furlanetto.Vi si legge quan- to segue : DIS = MANIBVS = GLAVDIAE = TI . AVGVSTI . L = TOREVMAE = ANNOR .XVIir= HAG - EGO . BIS . DENOS. NONDVM . MATVRA. PER . ANNOS = GONDOR . IIVMO . MVLTIS . NOTA . TOREVMA . lOGIS = EXIGVO . VITAE . SPATIO . FELIGITER . AGTO =. EFFVGI . CRI- 208 LETTERATUnA MEN . LONGA . SENECTA . TVVM. La Illustra- zione del Furlanetto venne applaudita; la riprodus- se intera il giornale di Siena; ne abbracciò l'inter- pretazione rOrelli, che a quella iscrizione die luo- go nella sua Inscriptionum latinorum amplissima collectio. In occasione che nell'anno scorso la ma- està dell'imperatore e re onorava di sua presenza le venete provincie, di nuovo veniva quell'illustra- zìone stampata; ed il eh. Moschini ne fliceva i do- vuti elogi nella gazzetta privilegiata di Venezia del 4 gennaio 1839. Ma poco dopo Giovanni Petrettini corcirese, con una epistola al conte Orti, rivocava in dubbio la interpetrazione del Furlanetto ; anzi più, accusava quel dotto di non aver saputo leg- gere il marmo. Perchè, da molte misure che egli asseriva aver prese sull'originale, e dal confronto delle lettere e degli spazi, sosteneva che nel pri- mo pentametro doveva lengersi LOGIS, non lOGIS: faceva derivare la etimologia della voce Torewna dal greco Topjyw, che spiegava y^ar/oir altamente chia- ro'^ mentre il Furlanetto a quella parola attribuiva il senso comunemente attribuitole di la^^orar vasi al torno; e congetturava che la giovinetta Claudia appartenesse alla professione degl'istrioni; e tradu- ceva il primo distico: Quella io chiamata Toreuma ( gran parlatrice comica ) qui giaccio , benché di pochi annij conosciuta in molti luoghi. Se per la derivazione della parola Toreuma, e per la spiega- zione di essa, parevami che la sentenza del Fur- lanetto fosse da seguire; anche perchè appoggiata dai recenti lessicografi Schneìder e Passow ; pure lo scioglimento della quistione stando nella diversa lezione lOCIS , o LOCIS , senza vedere il marmo originale sarebbe stata impruilenza l'assentire più all'uno che all'altro. Rivista, archeologica 209 Ma non doveva quietarsi il Furlanetto a quel- le accuse del corcirese; come di fatto non si quietò: e con una risposta indiritta al eh. Moschini sod- disfece pienamente a tutte le opposizioni che il Pe- trettini avea pubblicate contro la prima illustra- zione del monumento. E quando dico pienamente, intendo che lasciare non ne passò la piìi piccola senza risposta. Solo di una farò parola; dico di quel- la che riguarda la lezione della controversa paro- la. Ora chi avrebbe mai creduto che tante misure, tanti confronti addotti dal corcirese, fossero tutti aerei, tutti capricciosi? Il Furlanetto lo prova evi- dentemente; e adduce i testimoni presenti alla veri- ficazione che ne ebbe fatta. Ma ciò è poco: molto pili rileva, che nello stesso monumento si sono sco- perte le visti gie di coloro che, essendosi pria colà recati per istituire quella disamina^ aveano colpe- volmente tentato^ adoperando un istromento a pwz' ta^ di allungare talmente la parte inferiore della prima I in lOCIS^ sicché potesse apparire una L\ ed aveano solcate con la punta stessa altre lette- re^ le quali poteano cadere acconce a dimostrare Vassunto opposto a quello del Furlanetto. In tan- ta luce del secolo XIX, tentare di falsare i monu- menti dell' antichità, e tale eccesso di ardimento da meritare la pubblica indignazione. E basti que- st' una cosa per giudicare il signor Petrettini : il quale, benché professore di filologìa greca e latina nell'università di Padova, pure si mostrò nel rima- nente della sua epistola cosi povero e nell'una e nell'altra, da meritarne compassione. Ma già il mon- do letterario conosceva qual peso avesse la dottri- na di lui: e lo conosceva per l'opera che ebbe pub- blicata, sono ora tredici anni, Sui papiri greco-egi- G.A.T.LXXIX. U 210 Letteratura zi ec; opera che gì' illustri e flottissimi Peyron e Lelronne confutarono per modo, che si deve tene- re, non aver il Petrettini neppur conosciuto l'ar- gomento contenuto in quepapiri che aveva presi ad illustrare. E qui ringrazio il eh. Furlanetto di questo nuovo dono per lui fatto alla repubblica lettera- ria; e se a caso questi fogli gli giungono alle ma- ni, non mi risto dal pregarlo a risolversi alla edi- zione delle antiche iscrizioni di Padova, che gli stu- diosi attendono dalla dotta sua penna. IX. Titilli nonnidli ailifani, calatini^ saepinates : Rajmundi Guarirli.- f^elletri^ tipografìa Mugnoz 1 839 di p. 35 in 8.» Pili volte ho fatto cenno in queste riviste de' lavori archeologici del eh. Guarini ; e sempre ho lodato r impegno in ispecie che ha di render pubblici i diversi monumenti epigrafici di nuova scoperta che gli vengono alle mani, in due para- grafi divide egli l'enunciato opuscolo: parla nel pri- mo di alcune lapidi allifane ; rimanda al secondo quelle calatine e sepinati. Non più di tre sono le lapidi allifane: la pri- ma, che pure è la più importante , porta scritto quanto segue : SEX. MINIO, sex. f. = TER .SIL- VANO = AED . IIVIR . QVIN = PATR . CO- LON . ALLIF = QVAEST . SAC . P . ALIM . QVAEST = DEFENS . RP . PRAEF . ITERVM = GVRAT . CIVITAT . ATINATIVM = ITEM. CVRAT . LIGVRVM . COL = CORNELIANORVM =C0NTVRBEN1VM . VE^^£RlS = PATRONO. OB. MERITVM . EIVS = L . D . D . D. Riconosciute dal signor Guarini come municipali in Sesto Minio le cariche di edile, di duumviro, di quinquennale, e Rivista archeologica 211 di patrono della colonia, scende a dire della que- stura sacrae pecwdae alimoniariun^e. ragionevolmen- te rimprovera l'Ottone, che con la questura annona- ria la ebbe confusa. Parla poi dell' iterata prefet- tura , che ritiene come surrogazione ai duumviri iuri dicundo. Solo una cosa non mi sembra ben cer- ta; cioè che tale epigrafe spetti al finire del quarto secolo dell'era volgare. La menzione della tribìi Te- rentina non bastò perchè 1' A. eh. almeno ne du- bitasse? Di minor conto sono gli altri due titoli allifani; in uno de'quali, che risente di molla an- tichità, si legge: T . FVT1VS= PRAEFEGTVS = CASINATIVM. Nel secondo paragrafo pubblica quattro iscri- zioni calatine; una greca cioè già conosciuta, e tre latine: ed otto sepinati. Fra le prime parmi che la piìi importante sia la seguente, che leggesi an- cora in un muro alla sinistra della porta della cit- tà : M . HERENNIVS . M . F . GALLVS = Q . VE- SERIVS . Q . F . DVOVIR = QVINQ = D . D . S . F . G . EIDEMQ . PROB=ARGrTEGTVS . HOSPES. APPIAI . SER. Fra le seconde ve ne ha una ono- raria innalzata dai sepinati ad Elena madre di Go- stantino augusto. Sembra però che non tutte le se- pinati siano state ben lette, e forse taluna non va esente da sospetto di falsità: delle quali cose non intendo fare rimprovero al sig. Guarini , perchè dichiarò non aver veduti gli originali di per se stesso. X. Come gli antichi romani, usando delle loro let- tere ad indicare i numeri, facessero i loro com- puti : dissertazione del prof. Filippo canonico Schiassi ec. Modena, reale tipografìa 1 838, di pag. 32 in 8.» 212 Letteratura Non è questa la prima volta che per un ar- cheologo siasi sciolta una qualche quistione rela- tiva alle scienze matematiche degli antichi : e fi- nora invano si sarebbe cercato, nei libri pubblicati prima della enunciata dissertazione del dotto pro- fessor bolognese , il come i romani , usando delle loro lettere ad indicare i numeri, avessero potuto fare i loro computi, e sommare e sottrarre, mol- tiplicare e dividere. Immaginò lo Schiassl come ciò facessero; e quelle sue congetture ci comunica con questo libretto. Premette che, come noi, i romani facessero uso di numerazione decupla : premette che, per non esser costretti di ripetere dall'uno si- no al nove il segno di convenzione esprimente la unità, trovarono il segno di convenzione esprimente cinque unita, cioè TV: premette che essendovi, co- me nella computazione con numeri arabici presso noi, unità semplici, unità di decine, unità di cen- tinaia ec, e non avendo essi come noi Io zero che è il segno esprimente la mancanza di una o piìi di quelle unità, per non cadere in errori che sareb- bero stati inevitabili, dovettero servirsi di segni di- versi per esprimere le diverse unità; usando la X per le decine, e per l'unione di cinque la L; la C per le centinaia, e per l'unione di cinque la D; la M per le migliaia ec: premette infine che essi pronunciavano e scrivevano i numeri come facciamo noi, principiando dalle unità di classe più alta, e passando da grado a grado alle unità delle classi più basse. Da queste premesse apparisce, che per eseguire le quattro operazioni aritmetiche dove- vano usare un metodo diverso da quello che noi adoperiamo con le cifre arabiche. Ed il metodo im- maginato dal eh. A. consiste in ciò; che i ragionie- Rivisti archeologica 213 ri nel far computi usassero fogli a tal uopo desti- nati; divisi cioè per mezzo dì linee rette in più co- lonne dall'alto al basso; ed in questi scrivessero i numeri,come facciamo noi, procedendo dalla sinistra alla destra, e facendo uso dei soli segni esprimenti le unita, cioè dell'I e del V, a qualunque classe le unita appartenessero: così che la classe diversa ve- nisse indicata non dal diverso segno, ma dalla di- versa colonna, nella quale il segno venisse collocato. E quindi la prima colonna a destra dello scriven- te fosse destinata a contenere le unita semplici: e procedendo alla sinistra, la seconda colonna le de- cine, le terza le centinaia ec. Segue il sig. profes- sore per immaginare, che ciascuna delle colonne, del- le quali ha supposto che fossero divisi i fogli, avesse in cima il segno indicante la classe delle unita che dovevano appartenerle; e quindi la prima a destra portasse in testa la I, che era il segno delle unita semplici ; la seconda la X, che era il segno delle decine; la terza la G, la quarta la M ec. Una tavola, che l'A. eh. unisce in calce, mostra il tipo de'fogli preparati per uso de'calcolatori; altre tavole in piìi numero presentano diversi esempi delle operazioni diverse, che particolarmente va egli spiegando nel seguito della dissertazione. Ne recherò io qui due soli esempi. . 214 Letteratur Addizione C^enlinaia di niil. Id Milioni Ixl Centinaia dì migliaia CCCI033 Decine di migliaia CC103 . . . i Migliaia M VI Centinaia C VI Decine X Unità , I VI » I VII VI V )• mi » Villi II VI » mi I I II V Villi III » > I 1 VII I i vili V VI » A cifre romane la somma sarebbe |CLXXI| XVIII. loLX; e tradotta l'operazione a cifre arabiche, co- me segue 1, 766, 656. 4, 093, 604. <11,259, 300. 47, 418,560. Rivista archeologica Moltiplicazione 215 Moltiplicando Moltiplicatore Prodotto > I vini mi V I VII VI I I VI VII l » II A cifre romane il prodotto si scriverebbe jXli I LXVII. CU; e tradotta la moltiplicazione a cifre I arabiche come segue, 194, 517 I 6 1,167, 102, Termina l'A. eh. questo ingegnoso scritto con I le seguenti parole: « Ma siccome il metodo, che u- « savano i romani nello scrivere i numeri, appar- « tiene ad un popolo, che da gran tempo non è « più; COSI tutto ciò che ho detto intorno all'ana- « logia che poteva essere tra il metodo tenuto dai « romani nello scrivere i numeri colle loro lettere, « ed il modo che teniamo noi colle cifre arabe, « non può servire che a pascolo d' immaginazio- « ne, e non ad assicurare un fatto che non cono- « sciamo appoggiato ad alcun documento «. 216 Letteratura XI. De e hristianorum veterum monumentorum in rem bibli cam utilitate dissertatio-, auctore lose- pho Bruna tio- Mediolani ex tipografìa Poliania 1 838, in 8° di p. 24. Era a mia cognizione che da lungo tempo l'A. eh. dell'enunciata dissertazione aveva rivolti i suoi studi alla critica, all'ermeneutica, all'archeologia sa- cra: e già per le stampe di Torino, di Firenze, di Modena, di Brescia , di Treviso, avevo conosciuti alcuni suoi scritti importanti: quando, per la corte- sia che lo distingue, mi ebbe inviata questa disser- tazione intorno l'utili tk che può ricavarsi dagli an- tichi monumenti cristiani per le cose bibliche. Ne qui si fermò la gentilezza del sig. Brunati: che poco dopo volle donarmi un volume. nel quale le già pub- blicate dissertazioni radunò, unendovene altre non prima edite, che in tutto formano il numero di se- dici. Abbenchè alcune delle evulgate in esso volume per la prima volta , si leghino a questi studi ar- cheologici; come sarebbero quella sul titolo della s. Croce che si conserva nella basilica sessoriana , e l'altra sul monogramma sacro ; pure mi stringo per ora a far breve cenno di quella soltanto qui sopra indicata, riserbando a miglior tempo il dire delle altre. Imprende primamente l'A. a provare qual sia la età delle antiche pitture de'cimiteri romani ; e con le autorità, e con gli argomenti addotti dal Bonari, dal Boldetti, dal Mamachi, dall'Orsi , alle quali molti ne aggiunge che particolarmente gli ebbe comunicati il eh. cav. Labus, ne riferisce al- cune al seconda, altre al terzo ed al quarto secolo. Noti diversamente la pensava l' Agincourt, non di- versamente il Raoul- Kechette. A tal parere aggiun- Rivista archeologica 217 gè forza il vedere in tali pitture che Giona sta per lo più sotto la cucuzza, non sotto l'edera: che i set- tanta tradussero l'ebraica voce in cucurbita-^ e ne* primi secoli non era nelle mani di tutti la versione di s. Girolamo, che la voltò in hedera. Né può op- porsi all'antichità di tali pitture ciò che si legge nel sinodo illiberitano del 305; perchè proibendo quel sinodo che nelle chiese non fossero pitture, da argomento certo per dire che anteriormente ve n' erano; e perchè quella proibizione debbesi riferire alle immagini di Dio, come opinò il Mendoza ; ma nelle pitture cimiteriali, non la immagine intera, sì spesso sì vede la sola mano di Dio. Uguale antichità è da attribuire ai così detti vetri cimiteriali. E se non tutti, anche molti sarcofaghi sculti e dalle cata- combe escavati possono contare uguale antichi Ik. Rufino infatti, scrittore del quarto secolo, li diceva antichi al tempo suo ; ed il Labus ne attribuì al terzo secolo due editi dal Bottari ; e i'Agincourt ne attribuì uno al primo : alle quali opinioni si deve aggiungere quanto ne scrissero il Goldhagenio , il nostro Scitele e il gran pontefice Lambertini. Stabilita l'etk approssimativa de' monumenti, osserva il sig. Brunati che nel Buonarroti sono tre vetri, ne'quali vedesi Varon, ossia l'arca in cui gli ebrei fin dai tempi antichissimi custodir solevano i libri santi; costume abbracciato poi anche dai pri- mi cristiani, come è chiaro da un musaico raven- nate e da altri documenti. Ora questi vetri spiega- no quelle parole di Tertulliano relative al libro di Enoc, che nel giudaico armarium non admittitur^ e le altre de' santi Epifanio e Giovanni Damasceno, asserenti che i libri apocrifi non riponevansi in ar- ca. Altri vetri e sarcofaghi fanno fede che soli quat- 218 Letteratura tro sono i veri evangeli : altri monumenti cimite- riali rappresentano i tre fanciulli, la casta Susanna ed i vecchi impudichi, diversi fatti di Daniele, il giovine Tobia sia col pesce in mano, sia accompa- gnato dall'angelo, i sette martiri maccabei, ed altri consimili fatti di molta utilità agli apologisti de'li- Lri deuterocanonici. Inoltre da tali monumenti ci- miteriali può ricavarsi una, dirò cosi, iconografia cristiana. L' immagine del divin Redentore, tante volte in essi ripetuta, par quasi tratta da un sol ti- po ; si dica lo stesso di quella di Maria sempre vergine; delle altre de'santi apostoli Pietro e Paolo, quello con le chiavi, questo con la spada: e per soprappiìi dai monumenti stessi si rileva la mag- gior dignità ed il primato di Pietro. Finalmente ci presentano altri gli animali presenti alla nascita del divin Verbo; i re che lo adorarono nella culla ; l'entrata in Gerusalemme, il tribunal di Pilato ec. Quanta ricchezza per chi voglia e sappia farne uso nelle bibliche illustrazioni ! Ampio assai era il tema che l'A. eh. si ebbe pro- posto; e benché in poche pagine, pure lo seppe trattare magistralmente. E qm dirò com'io abbia fondata speranza di fa- re un dono accettissimo al benigno lettore, pubbli- cando un articolo originale di numismatica, che mi ebbe trasmesso il eh. professore don Celestino Ga- vedoni. Esso, nel dar compimento a qussta quinta rivista, compenserà con la dottrina, che per entro vi è sparsa, la pochezza dello mie osservazioni pre- cedenti. XII. Congetture intorno alle monete antiche irn~ presse al tempo della guerra italica da alcune città fedeli a Roma. (Originale del prof. Cele- stino Cavedoni.) Rivista archeologica 219 Intorno alle monete antiche, che verisimilmen- te furono improntate da alquante città fedeli a Ro- ma negli anni della guerra italica, proposi non ha molto alcune congetture (V. Bollett. arch. 1837, p. 202, e Giorn. di Perugia 1838 feb. p. 103); ed ora parmi Lene il dichiarare e confermare la cosa con altri riscontri e considerazioni. Se si dovesse prestar fede a Floro (Epit. Ili, 18) non si avrebbe quasi veruna città e contrada d'Ita- lia, che si mantenesse fedele a Roma in quella ter- ribile contingenza; mentre, a detto di lui: Omne La- tium atqite Picenum^ Etrurla omnis atque Campa- nia^ postremo Italia, contra maire m et parente m suam nrbem consiirgerunt. Ma i dotti ebbero av- vertito come quello scrittore non merita in ciò fede, avendo in contrario i riscontri di altri piìi antichi ed autorevoli. Livio, giusta l'epitome, narrava come italici populi defecerimt picentes, vestirti, marsi^ peligTii, marrucini, samnites, lucani, initio belli a picentihus moto ; e come poscia complures populi ad hostes defecerunt (Epit. LXXII seg. ) ; ma nel decorso della guerra, oltre que'primi sette popoli, non ricorda altri ribelli, che gli umbri e gVirpini. Nelle monete sannitiche gli otto duci in atto di fa- re alleanza rappresentano i capi di quegli otto po- poli (Millingen, Syll. p. 1). Appiano (Giv. I, p. 374), segna i confini delle contrade ribelli col corso del fiume Liri; e narra come YEtruria, che già piegava alla rivolta, se ne rimase allorché il senato romano promulgò per l'Etruria stessa la legge che concedeva la sospirata cittadinanza alle città ed a'popoli, che serbavano fede a Roma (Appiano p. 379). E Cice- rone (Agrar. II, 30), che vide quella guerra, scrive- va poco dopo : y^n obliti estis italico bello^ amissis 220 Letteratura caeteris vectigalibus^ qiiantos agri campani friicti~ bus exercitiis aliieritis ? Pare dunque fuor d'ogni dubbio, che il Lazio, la Campania e VEtriiria, al- meno in parte, si mantenessero allora fedeli a Ro- ma; e giova considerare se in queste tre contrade s'improntasse allora moneta pe'Jjisogni straordinari di quella guerra. LATIVM — Alba. 1 . Caput Palladis galeatum. )( ALBA, Àquila fulmini insistens. Àrg. 3 te- nuioris laminae [Veìlevin, Hec. pi. VII, b). Vedi in fine la nota (1). 2. Jllii adsimiles anepigraphi. 3. Caput Mercurii. )( ALBA, Griphus currens. -^rg. 3 tenidoris laminae. Il Sestini (D. N. V. p. 8) vorrebbe attribuire colali monetine ad Alba Longa; ma non saprebbe assegnarsene T età, poiché quella città si rimase sempre deserta dopo che Tulio Ostilio l'ebbe di- strutta ( Dion. Halic. Ili, 31 ). L' Eckhel con altri nummografi a ragione le attribuisce ad Alba Fucen- tia, senza per altro assegnarne l'età. Lo stile e fab- brica di esse parmi assai bella, e tale da richiamar- ne al secolo VII di Roma, anzi che a' tempi ante- riori. Il peso di una di quelle anepigrafi, che è nel reale museo estense, è alquanto minore del sesterzio vetusto, e presso a poco agguaglia il peso del se- sterzio posteriore alla legge papiria , come a dire quello di Manio Gordio Rufo ( v. la mia Appendice p. 141 ); onde sembra doversi riferire alla secon- da meta del VII secolo di Roma. D'altra parte poi intorno agli anni di Roma 663 si ha una contin- genza straordinaria che desse motivo e ragione al- Rivista archeologica 2?A la straordinaria impressione di colali monete in u4lba. Fin dai principio della guerra italica Aeser- nia et ALBA coloniae ab italicis obsessae sunt (Li- vio, Epit. LXXIl); ed in appresso il console del 665 L. Porcio Catone rimase ucciso mentre pugnava in- torno al lago Fucino, vicino ad Alba medesima (Orosio, V, 18). Può dunque ragionevolmente sup- porsi o che i coloni romani assediati in Alba, per le strettezze in che si trovavano, convertissero in mo- neta l'argento loro infectiun et factum \ o che ciò facessero per prestare aiuto di pecunia ai romani che vennero in soccorso loro, e che scarseggiar do- vevano di moneta specialmente per le spese minute giornaliere. E consta dall'osservazione, che in simili strettezze anche i monetieri romani non omisero d' improntare sesterzi^ sia pel risparmio dell'argento che scarseggiava ( v. 1' Append. l. e. ); sia per co- modità di trasporto delle casse militari, che cosi non occorreva caricarle di rame monetato; sia per facili- ta di stipendio e spese giornaliere. Cosi i triumviri del 705 impressero in copia sesterzi del peso di queste monetine di Alba. Questa citta poi si man- tenne sempre fedele a Roma; poiché nel 710 ivi si pose la legione marzia, come in citta fedelissima, munita ed opportuna: Quumqiie legio martia AL- BAE constiterit in municipio ftdelissimo ed fortis- simo in urbe opportuna, munita, propinqua (Cic, P/«7.m, 3, ^5; V, 2). Sigilla — Caput Mercurii, prae quo caduceus. )( SEIG. Persona Sileni seu Marsiae, et protome apri in lani morem coniuncta: in area variantia si-" gilla. Arg. 3 tenuioris laminae. Il Sestini (Lete. T. V, p. XXlV,ed. 2) dice que- 222 Letteratura st;i merlaglia della mole de sesterzi ; e \ Amali (Giorn. arcati. T- XXXIX, p.244) lo chiama hel se-^ sterzietto. Io non ho modo di confrontare il peso e la forma di colali monetine; ma il Sestini avverte, che le medaglie di Alba sono della stessa forma di que- ste signine; e, confrontando anche nel tipo della testa di Mercurio, vd'^lone\o\mente presumo che sia- no dello stesso peso che quelle d'Jllba, ed impron- tate nello stesso tempo e contingenza. Se Signia non è ricordata ne'pochi frammenti che ci rimase- ro degli antichi intorno la guerra italica , essa do- vette per altro, per la felice sua posizione, servire di presidio alle milizie romane. La sua situazione sull'aspi'O monte Lepino, in distanza quasi uguale dalle città latine di Gora e di Frenesie, e dall'ernica Anagni, la rendeva un presso che insuperabile ante- murale (Gerhard, Inst. arch. anno 1829 p. 86). t si- gnini son ricordati con lode pei primi nel bel no- vero de'soci che serbarono fede a Roma per la guer- ra di Annibale (Liv. XXVIl, 10); e tali verisimil- mente si mantennero altres) al tempo della guerra sociale. D'altra parte, prescindendo dalla singolare e straordinaria contingenza della guerra italica , parmi assai difficile il render ragione della parti- colarità di monete d'argento ragguagliate al sester- zio romano, ed impresse in ^Iba e in Signia e non in altre città del Lazio. VEckhei (addenda p. 12) suppone un privilegio speciale di Roma, che per- mettesse alle due colonie di ^Iba e di Signia d'im- prontar moneta propria anche in argento, in ri- guardo della sincera e comprovata (or fedeltà; ma tale ipotesi ha del gratuito; e non toglie la diffi- coltà, che sole esse dun, e non altre fra le molte colonie antiche latine , improntassero moneta col proprio loro nome. Rivista aucheologica 223 CAMPANIA. Sebbene aìcune citta della Campania venissero per tradimento o per forza occupate da C Papio Mutilo (Appiano p. 375); pure quelle ricche e fer- tili contrade dovettero per la più parte rimanersi fedeli a Roma , che a detto di Cicerone alimentò grandi eserciti per la guerra italica col provento e co'frutti dell'agro campano (Cìcer., ^gr. II, 30). Vuoisi inoltre avvertire che sul principio della guerra italica: Sex. lidio L. Marcio cos. miri XXFIy XX.DCCCXXIX in aerario populi romani fuere (Pli- nio, Hist.natT^sJs^yiWS.^ 17): cioè a dire, giusta il rag- guaglio del Brotier, 1,512,783,405 di lire antiche di Francia; e che sul finire di quella guerra: Cum penitus exhaustum esset aerarium^ et ad stipen- dium frumenti deesset expensa^ loca publica., co- gente inopia, vendita sunt (Oros., V, 1 8). Nel de- corso pertanto della guerra si dovette spendere quella ingente somma d'oro o in verghe o in mo- neta effettiva; e pare più verosimile che si spen- desse ridotto in moneta, perche la Sicilia, la ma- gna Grecia , ed altre contrade dalle quali doveva farsi provvigione di frumento, d'armi e d'altre cose necessarie a sostenere la guerra , usavano già da molto tempo l'oro del pari che X argento monetato (Vedi infine la nota (2) ). Congetturo pertanto, che parte almeno di quell'oro romano venisse allora ri- dotto in moneta, come a dire della forma seguente: Caput lani geminum, tenui lanugine ad genas spectabile. )( ROMA. Duo milites hastati stantes porcam bacillo contingunt, quam vir aut puer ingeniculatus tenet. Aur.granorum 128 vel 64 (Eckhel T.V p.31). La particolarità dei pizzi della barba giovai 224 Letteratura nile avvertita già dal eh. Borghes^i, che ne limita l'uso fra gli anni di Roma 640-727 all'incirca {Del- la gente Jrria p. 63-67); il tipo A^W alleanza^ e l'altro di Giano che presiedeva all'alleanza medesi- ma, o simbolico di due popoli confederati; e la cir- costanza dell' oro dell' erario romano speso nella guerra italica, parmi siano argomenti assai validi per credere, che i suddetti aurei fossero impressi a nome di Roma in Gapua od in altra città della Campania negli anni della guerra sociale. Il tipo dell'alleanza facea contrapposto a simile tipo usato dagli italici nelle monete loro sannitiche, e torna- va in lode e vanto de'campani fedeli a Roma. In riguardo alla particolarità dei pizzi della barba ed ai tipi, parmi che anche le seguenti monete fossero impresse a'tempi della guerra italica dai campani o da altri popoli di quelle contrade fe- deli a Roma. 1. Caput iuvenile geminum tenui lanugine ad genas spectabile. )( ROMk.Iupiter comite P^ictoria fulminans in- citis quadrigis. Arg. 2,3. [Eck.T.V^p.hò. MusMest.). 2. Caput Herculis diadematum iuvenile , tenui lanugine ad genas spectabile-^ iuxta collum clava et exuviae leonis. )( ROMANO. Lupa getnellos lactans. Arg. 2. {Eck. p. 49. Mns. atest.) 3. Caput Martis galeatuni, cuni tenui lanugine ad genas. )( ROMA. Caput equi frenatum: in aliis, e^mi^ currens. Arg. 2, 3. {Eck. p. 47.) La prima delle descritte monete pare senza meno impressa in Gapiia; poiché in altra moneta con gli stessi tipi, ma di rame, è la leggenda osca i I Rivista archeologica 225 di Capua (Avellino, Opusc. T. Il p. 32); e sarebbe a desiderare, che chi la può oss- rvare avvertisse se anche in questa di Capua la testa gemina abbia similmente i pizzi della barba. Siccome la testa ge- mina, o di Giano che voglia dirsi, appellar sem- bra al campani confederati e fedeli a Roma ; cosi Giove fulminante e vittorioso sembra posto in au- gurio della vittoria che i romani s'impromettevano sopra i popoli ribellanti. Nella seconda delle sud- dette tre monete la lupa marziale , oltre che ap- pella alla pretesa divina origine di Roma, sembra far contrapposto al tipo simbolico del bove che ferisce con le corna una lupa in monete sannitiche; e la testa d'Ercole giovine può appellare alla fama che diceva /{orna figliuola di Telefo figliuolo d" Ercole. Nella terza moneta Marte col suo guerre- sco cavallo può similmente riferirsi alla pretesa di- vina origine di Roma e de' romani. Alcuni tipi per altro ponno dirsi propri delle citta o contrade, in cui furono impresse queste ed altre monete a no- me de'romani. Dico a nome de'romani, perchè son d' avviso che segnatamente le monete d'oro e d'argento so- pra descritte fossero fatte coH'oro ed argento che seco portavano gli eserciti romani in quella guer- ra. Così nel 705 i magistrati monetari, che segui- vano l'esercito di Pompeo, impressero monete in Sicilia, in Grecia, nell'Asia minore, e in altre con- trade a nome loro proprio e di Roma, prendendo per altro di sovente tipi propri delle citta ove im- prontavasi la tale o tale altra moneta (Vedi in fine la nota (3) ). Giova per altro avvertire, che le mo- nete impresse nella Campania coH'epigrafe ROMA e ROMANO sembrano, anziché al denaro romano, G.A.T.LXXIX. 15 226 Letteratura ragguagliarsi alla dramma grecai e ciò forse perchè dovessero in gran parte spendersi per comprare vit- tuaglie, armi ed altri oggetti da'circostanti popoli greci od usi al ragguaglio della moneta greca. Le citta della Campania, ed altre ivi intorno, sembra- no avere allora impresse a nome loro proprio mo- nete per lo più di rame. Cos'i Capua allora pro- babilmente impresse la moneta di rame co' tipi identici della sopra descritta dramma e didramma di Roma num. 1, apponendovi come a moneta sua propria il nome KAPVA a caratteri osci ( Vedi in- fine la nota (4) ). Similmente le monete di rame impresse a Napoli co'tipi àeWvi testa d'Apollo ààì- l'una parte, e del mezzo hne a volto umano dall'al- tra, tanto con l'epigrafe POMAIQON , quanto con l'altra NEOnOAlTON (Eck. V. V, p. 45), sembrami per tal modo indicare , che le prime furon fiute improntare a nome e spese di Napoli stessa. Ma ciò sia detto e proposto per semplice congettura. Anche la seguente bella moneta di lavoro gre- co, benché non abbia l'indizio della barba giova- nile (vedi infine la nota (5) ), parmi probabilmen- te impressa al tempo della guerra italica, in ri- riguardo al tipo singolare del riverso: Caput muliebre galeatum; pone variantia si- gilla. )( ROMANO. P^ictoria stans lauream e summo palmae ramo adligatam suspendit\ in area litterae vel numeri graeci variantes. Arg. 3. {^Eck. T. t^^ 48; Pellerin, Ree. PI. IX, 43). Questo tipo graziosissimo cosi per l'invenzione, come per l'esecuzione, e che non può derivare che dall'arte greca, trovasi poi ripetuto nella seguente moneta di stile inelegante e di lavoro trascurato: Rivista archeologica 227 Caput Herculis imberbe leonis exuviis tectum, )( ATGKAA Victoria stans laiiream summo palinae ramo longiori taenia suspeiisam adligat. Ae, 3 {Mas. atest. Cf. Pellerin^ Sappi. I. PI. J, n. 12; Sestifii, Lett. T. V, p. XXX. ed. 2.) Non ostanti le tlifficolta proposte dall'Eckhel {^Addenda p. 14) pare indubitato che questa ed al- tre simili monete spettino ad Ascoli delV Apulia (vedi in fine nota (6)), una delle città italiche ri- Lellanti, poiché l'agro suo fu devastato dall' eser- cito romano guidato da Cosconio, di cui dice Ap- piano (Giv. I, p. 381. E): xarj A2KAAIQN yvjv tni^^x- ^''jjv. D'altra parte poi consta dall' osservazione , come que'popoli ribellanti ebbero il mal vezzo di contraffare i tipi delle monete romane, segnata- mente contemporanee, rimutando per altro ciò che necessariamente appellava a Roma; onde in questa contraffazione sostituirono la testa d'Ercole a quella femminile della moneta verisimiimente di Roma (Vedi infine nota (7)).Cos\ per questo riscontro, come per una tenue ciocca di capelli che graziosamente scende serpeggiando dinanzi 1' orecciiio di quella testa femminile nel sopradescritto didramma con l'epigrafe ROMANO, e che simile ricorre in de- nari romani del secolo VII di Roma , parmi as- sai verisimile, che la suddetta didramma fosse im- pressa a nome de'magistrati romani che guerreg- giavano nella Campania e in altre contrade greche contra gli italici (Vedi infine la nota (8) ). ETRVRIA. Popalonia. Capat ia^^emle laareatum^ tenai barba ad ge- nam conspicaa; pone X. )( Sine tjpo et epigrapfie. Arg. 3 {apad me). La particolarità della barba giovanile, ed il 22S Letteratura peso (leirargenlo che di forse 2 o 3 grani appena eccede quello del denaro romano , non che la no- ta del valore X, propria appunto del denaro ro- mano , mi sembra che che siano indizi bastanti a riferire l'impressione di questa moneta (che per la singolarità dell'area pura nel riverso suole at- tribuirsi a Populonia ) circa a mezzo il secolo VII di Roma; tanto più che lo stile di essa, anzi che dell'arcaico, tiene un non so che di arte rude e decadente. Siccome poi constar sembra dall'osser- vazione, e dalla condizione delTEtruria da lungo tempo già soggetta a Roma, che quelle contrade non avessero piìi di legge ordinaria il diritto o l'uso d'improntar moneta loro propria; così pare che fosse impressa per concessione o contingenza straordinaria: e la più opportuna e singolare fu certamente quella della guerra italica. In tale ipo- tesi può dubitarsi se Populonia improntasse quella moneta come confederata degli italici, ovvero di Roma: e'parmi più verosimile che l'improntasse come fedele a Roma, e per rimeritarla con tale sus- sidio della concessa cittadinanza romana; giacche, come avvertimmo addietro, la defezione dell'Etru- ria, o non avvenne allora per nulla, oppure fu mo- mentanea. Chi ha modo di osservare lo stile ed i particolari di altre monete di Populonia, eziandio in oro, potrebbe forse riscontrarvi argomenti ad assegnarne alcune altre al tempo della guerra ita- lica. f^olsinii. Caput muliebre tenui filo aut diademate re- dimitum^ prae quo L. )( V 2 vi 31 . Canis currens, Aur. 4 {Avellino^ Opusc. T.II, p. 100-106). RiyiSTA ARCHEOLOGICA 22d Queste controverse monetine, che furono già assegnale a Felsina., e poi a Velia^ sembrano de- finitivamente restituite zìvolslnii delt Etriiria dopo le osservazioni del eh. Mulier, che confrontano con quelle del giudiziosissimo sig. canonico Schiassi (Ve- di infine nota (9)). Io non vidi gli originali di quelle monetine d'oro; ma chi le vide, le disse di bello ed elegante lavoro; e allo Schlichtegroll {Annalen des numismatik^ III ^d. p. 21 ) parvero da riferirsi per appunto ai tempi della guerra sannitica , ben- ché egli le attribuisse a Velia seguendo il Sestini. Vevolsinii valgono le cose dette in riguardo a Po- pulonia ; e inoltre giova avvertire, che a detto di Plinio (1 1,52): Vulsinii oppidum tuscorum opulen^ tissimum (Cf. Florus 1, 21); e che fino a'tempi di Vitruvio (11, 8): Officinae maximae (lapicidinarum) sunt circa lacum vidsiniensem^ le quali danno anch' esse argomento di opulenza e cultura delle arti belle. E qui pongo fine a queste qualunque siensì con- getture, pregando chi ha mezzo di osservare pili monete antiche originali, e di fare piìi accurati ri- scontri , che si compiaccia darne notizia al pubbli- co, si che le mie congetture si confortino, oppure restino rettificate; che per me torna lo stesso, non cercando che il vero, unico nobile scopo de'nostri studi. 230 NOTE (i) Panni notevole che la testa o busto di Pallade, in que- ste monetine di Alba, ha la galea con la sua wisiera alzata, e con bel cimiero crinito, e che sul collo della dea stendesi la lunga sua chioma stretta da nodo a mezzo la cervice. E cotali particolarità confrontando con la testa di Pallade che ricorre in monete di Cales della Campania, e di Aesernia del Sannio , mostrano che Alba avesse artelici venuti da quelle contrade, ^e- sernia pcv altro era venuta in potere degli italici (Appìan., Civ.I, p. 38i). Nel resto anche il semisse di Marrui-io {Sestin,i y M. hederv. p. I, pag. 3) , non lontano da Alba, per la sua picco- lezza (Ae. 3) potrebbe spettare a'teinpi della guerra italica. (2) Livio (XXVII, 10) ne attesta, come nell'anno di Roma 545 in estrema penuria di pecunia, auruni vicesiniarium , quod in sanptiore aerarlo ad ultimos casus servabatur, pronti placuit; e che l'anno innanzi, ad esortazione del console M, Valerio Le- vino, aurum, argeiitum, aes signatuni senatores in publicum con- tulerunt (Livio XXVI, 36). D'altra parte Plinio ( XXXIII, i3 ) scrive, che aureus nunirnus post annwn LXII percussus est , quani argenteus; cioè a dire nell'anno 547^ allorché ardeva più che mai la guerra di Annibale; giacché secondo Plinio la prima moneta d'argento fu impressa nel 485. Dal riscontro di queste autorità parmi assai verisimile, che con l'oro posto in pubbli- co, e tratto dall'erario negli anni 544 ^ 545, s'improntassero al- lora o poco dopo que' belli e copiosi aurei, che da una parte hanno la testa di Marte, co'numeri VX, XXXX, XX, e dall'al- trs. l'aquila stante col fulmine, con la scritta RO.MA. In tale ipo- tesi rimane intera e salva l'asserzione di Plinio contrastata dall' Eckhel. Questi dimanda; Perché mai Plinio dissimulò di ram- meutare i tipi propri della moneta d'oro, e le divisioni e parti di essa ? Ma vuoisi avvertire che quelle monete d'oro dovettero essere impresse per legge o decreto straordinario, probabilmen- te nella Campania, e con tipi e divisioni che in parte si riferi- vano alle regioni ove lurono improntate, e dove dovevano aver corso; e cotali aurei potevano ciò non ostante annoverarsi fra la moneta romana, si perchè impressi coll'oro romano, e si per- chè aventi la scritta TvOMA. RiVIST\ ARCHEOLOGICA 231 (3) Per simile modo a mano a mano che Alessandro Magnò conquistava sempre nuove contrade, le città greche dell'Asia, e le fenicie altresì, improntarono monete co' tipi e nomi di Ales- sandro medesimo; e credo che a nome e spese di esso , segnata- mente gli aurei e i tetradrammi. (4) Il colto sig. Giuseppe Boschini di Ferrara mi diede no- tizia di un asse romano singolare da lui posseduto, che è come siegiie : Testa laureata di Giano a due facce, una delle quali appa- risce senile e barbata, e l'altra giovanile ed imberbe, colle let- tere CA sotto il collo. )( Prora di nave: al di sopra la nota del valore I, ROMA al di sotto, e dal destro lato CA ripetuto. Pesa grammi 25, io. Il eh. Borghesi che possiede il triente, il quadrante, e l'oncia corrispondente , giudica clie spetti alla classe degli onciali, ma con sensibile diminuzione del suo peso; che non debba essere anteriore al VII secolo di Roma ; e che, avuto riguardo al lavoro manifestamente greco, spetti a Capua. ]\é gli fa difficoltà la forma arcaica dell' A, che più a lungo do- "vò conservarsi nel paese degli osci. Se quell' asse co' suoi spez- zati si ponga impresso in Capua sul principio della guerra so- ciale, tornerebbe in conferma della mia congettura intorno all' anno ed occasione della legge papiria, che spetti cioè al tribu- no della plebe del 665 (Vedi la mia append. nota 9). (5) Iri riguardo ai pizzi della barba vorrei assegnare agli anni della guerra sociale anche la seguente njoneta assai comu- ne, e di stile manifestamente greco (C/l Eck., Mus. cacsar. p. 4> n. 23, 24 ): Caput Mercurii petaso et lanugine ad genas spectabile..^.^^>^ )( Prora navis: superne ROMA. Ae. 3 (6) Egli impugnò la lezione V>|ZlVfl datane dal Sestini, o per esemplare erroneo che questi avesse solt' occhio , o perchè guardasse la scritta a rovescio, e la leggesse a ritroso : ma nelr «semplare conservatissimo, che ho sott'occhio,leggesi flVCKAl-l» e cosi lesse anche il Pellerin, tranne Io scambio del A all' A pri- ma lettera. Che poi gli apuli potessero scrivere flVCKA^ P*^"^ ASKAAlftN , comprovasi pel riscontro di Frontino ( De colon. p. 329. Cf. p. 414. ed. Keuch.)c\ie ha AVSGVLIN VS, AVSCE- LINVS; di Plinio (III, 16) che scrive AVSECVLANI; e di un marmo antico di Ascoli (Grut. p. 4i4> ^ì ^^^ ^ ClYlTatts AV- SCYLanae. Che queste monete fossero probabilmente impresse allora, ne dà argomento anche l' osservare , che talune di esse veggonsi improntate sopra monete preesistenti ( Vedi Sestiiii 232 Letteratura T. V, p -XXXI). Altri potrebbe amare di riferire la moneta «addetta ad Ascoli del Piceno, sede della prima rivolta degli ita- lici ; ma ad essa forse meglio riferirebbesi la moneta di concor- dia con Adria del Piceno slesso, senza tipi, e con H dall'uà lato, ed A2 dall'altro ^Sestlui D. N. V. p. 7). {7) Dico ciò in riguardo all'apice della galea ricurvo all'in- nanzi, come vedesi sulla testa di Koma nei denari di G.Poblicio, e fors'anche in quelli di G. Metello. (8] A'tempi della guerra sociale potrebbe pur riferirsi la moneta avente epigrafe osca, la quale dairEckhel(i5rj//ag-e p.8g) fu attribuita ad Acherontia Apuliae , e da altri restituita ad jiquiLonìa degli irpini (V. Mellingen, Med. grec. p. 26) , e che forse spettar potrebbe apche ad Aeculaneum degli irpiuj mede- simi. Dall'una parte di essa è una testa galeata che all'Eckhel parve di Pallade, e dall'altra una Jlgura militare galeata e lori- cata, con patera nella destra protesa, e con asta e clipeo nella sinistra- Nel R. museo estense è una statuetta di Marte con gli stessi attributi (vedi il mio Saggio p. yr, nota 107); e in questo riguardo potrebbe dirsi moneta di popolo confederalo e fedele alla ciità di Marte. D'altra parte il eh- Avellino ( Opusc t. H, p. 17, n. 11) attribuisce, benché non indubitatamente, ai popoli italici una njoneta di rarne con riverso in parte simile- Del resto l'epigrafe della suddetta moneta d' Aquilonia è in lettere osche o campane simili a quelle delle monete italiche di C, Papio Mutilo. E vuoisi avvertire che Mutilo dovette usare di cotali lettere, dopo che venne in suo potere Nola con altre città cam- pane; laddove l'altro console od imperadore degli italici Q. Pom- pedio Silo, standosi per lo più nelle contrade sanqitiche di con- fine al Liazio, usò lettere sannitiche, o pure prette latine. (9) Il lodato eh. Schiassi ne ragiona in una sua dissertazio- ne latina intorno all' origine della zecca di Bologna , la quale ora si stampa nel tomo IV degli atti dell'istituto bolognese. Ma egli la scrisse qualche anno addietro, senza sapere dell'attribu- zione proposta dal MuUer nell'esimia sua opei'a tedesca intito- lata Die Etrusker; la quale anche a me non è cognita , se non che per la indicazione in proposito datane dal eh. Avellino (Opusc. tomo if, p. 106). Nel resto il Sestini ( Mas. hed. P. I, p. -ì) ne attesta che le monete scritte ROMA e ROMANO non sono rare nelle parli di Cosa, di Populonia e di Volterra; e forse vi ebbero corso, segnatamente al tempo della guerra sociale. c. e. 233 Traduzione del capitolo secondo del libro di To- bia. Del prof. Giuseppe Ignazio Montanari. (Ve- di il primo a carte 311 del tomo LXXIII di que- sto giornale ). Pesaro 1838, dalla tipografia No- bili (1), X ortava il sol festiva luce, e lauta Mensa nelle sue case il Luon Tobia Poiché vide imbandita: O figlio mio, Disse, deh ! vanne, e qua radduci quanti Della nostra tribù chiudon nel petto La tema del Signore, onde con noi Dividan oggi l'apprestato desco. Disse, e al cenno paterno il giovinetto Si porse obbediente: e ricalcando Quindi le sue vestigie, al genitore Si rese; e. Padre mio, sclamò, là dove Si stende il foro popoloso, io vidi \n un lago di sangue alcun de'figli D'Israello giacer ! Indi si tacque, Che g'I'interruppe le parole il pianto. Surse Tobia da mensa, e pria che alcuno Cibo appressasse alle digiune labbia, Ei cordogliando il doloroso caso, Recossi al foro, ed all'estinta salma Fe'degli omeri suoi letto e feretro. (I) Questi versi sono una traduzione, o a dir medio ,m, -one. del secondo capitolo di Tobia. Ind. ridaranno gì altW imita- 234 Letteratura Poscia alle soglie sue copertamente Trasse; qm il carco egli depose: e quando Cederà il giorno alTaer bruno, allora Lo renderà alla terra onde già nacque. Ma poi che a tutti gli occhi ebbe difeso L'infelice cadavere, non d'altro Cibo al lungo digiun diede ristoro Che di pan misto a gemiti e a sospiri Di che l'aria tremava. E richiamando Alla memoria del Signore i forti Detti, che d'Amos già suonar sul labbro: « I vostri dì festivi in pianto e in duolo « Saran conversi:» egli sentiasi un gelo Stringere al cor, sì che le gote e il petto Di lagrime rigava. Allor che il sole Toccò lo stremo del grand'arco, ei mosse, Ed all'estinto die sepolcro. Intanto I suoi congiunti, a cui tutte eran conte L'opre di lui, gli davan biasmo a torto, E mala voce. — Altra fiata, il sai. Per tal cagion, gridavan essi, usciva Contro te bando della vita, e appena Piischioso scampo da celala fuga Ti avevi: or ecco tu qual pria ritorni Ad inumar gli estinti. E perchè tanto Tu de'morti t'impigli, e di tua vita Non prendi guardia? — Ma Tobia che in petto Viva ha la tema del Signore, e l'ire E le minacce del tiranno ride, Degli insepolti corpi in traccia move: E gli occultando sotto il proprio tetto, Allor che al fondo vien la notte, dona Lor della tomba l'ultiaìo conforto; II solo ben che nel servaggio avanza. Libro di Tobia 235 Or mentre lasso del pietoso ufficio Tornava i passi alle sue stanze, vinto Da sonno si lasciò giacer lunghesso Una parete. Scesa ancor non gli era Dolcezza di riposo alle pupille, Allor che argute rondinelle al caro Nido posate degli implumi nati Piovver sugli aperti occhi del digesto Alimento il soverchio, onde conteso Gli fu dappoi del dì bearsi al raggio. Infelice Tobia, qual frutto acerbo Da sante opre raccogli! Ma sì piacqjie A quel Signor che l'universo regge , Onde far di Tobia speglio fidato Di pazienza alla futura etade, Sì che solo non fosse al mondo Giobbe. Egli, già cieco brancolando, il piede Volgeva all'altrui scorta: ne lamento Mise unqua, o segno di tristezza. Infìno Da'suoi verd'anni avea temuto Iddio, E di sue leggi si avea fatto legge; Quindi quetossi nel divin decreto, Ne sospirò la spenta luce. Integra Fede mantenne al suo Signore, e in tutte L'ore a lui benedisse. E come Giobbe Fu segno a' scherni de'scettrati amici, E de'parenti, e de'congiunti; tale Ferita a patir s'ebbe anco Tobia. Beffardi a lui venian gli amici, e gioco Facendo di sua vita, e de'suoi mali; — Ov'è, dicean, di tue larghezze il merlo? Ove la speme tua? Dunque a ciò solo La man stendevi a chi mercè ti chiese? Vedi bel premio di furtive esequie! 236 Letteratura Or va, Tobia; del tuo largheggia: appresta Onor di tomba ai morti. — A cui Tobia Tal fea rimando: — Non parlate, o folli, La parola dell'empio, e vi ricorda Che frondi siam della beata pianta Serbata al ciel. Ne farà grazia Iddio Di quella vita che non vede sera, Si com'egli impromise a chi mai fede Non gli falli. — ■ Frattanto Anna sua moglie, A riparar della miseria i danni Facendo opra di spole, di sue mani Guadagnava la vita, e sosteneva La famigliola travagliata. Avvenne Che un caprettino un dì si avesse in dono; Ella a casa lo trasse: e poi che il grido In voce di belante al pio Tobia Ferì le orecchie: — O mia fida consorte, Le disse, bada che non sia cotesto Cosa d'altrui: tosto lo rendi, e ammenta Che cibarne di furto a noi disdice Legge suprema, e di toccar l'altrui. — In fiamma d'ira ai mansueti accenti Del buon marito Anna sì accese, e tosto Tal gli fece risposta: — Omai tua speme, Credulo vecchio, dileguossi, e troppo A nostro danno è manifesto, quanto Sempre mal giovi, sovvenendo altrui, Del suo far gitto. — In cotal suono d'onta Trafiggean tutti del buon veglio il core. 23T Ricerche storiche sulla esposizione degli infanti presso gli antichi popoli^ e specialmente presso iromanii, delVavv. conte Leopoldo Armaroli. 8.° Venezia^ dalla tipografìa di Giuseppe Antonelli 183S. (Un voi. di pag. 225.) XJsive esattamente un sunto dì quest* opera del chiarissimo sig. avv. conte Armaroli, e cosa assai ardua. Essendo ella ricca a dovizia di preziose eru- dizioni e di savie considerazioni, non può sì facil- mente ristringersi, e di tutte in pari tempo farsi conoscere il pregio. Tuttavia ci proveremo. Egli primieramente ci espone nei Prolego- meni le ingiurie soflferte dalla propagazione della specie umana presso gli antichi popoli , conside- rando, che mentre fra' bruti si sviluppa un puro istinto di propagare, alimentare, custodire e difen- dere la prole, fra gli uomini invece, ne'quali Dìo inserì gli stimoli de'sensi del cuore e della propria felicita, fuvvi chi nulla curando tali preziosi doni, l'alto mistero conservatore della umana specie con- vertì in isgravio di materiale sensualità, ed estinse il germe o prima che respirasse, o respirante an- cora esponendolo alla morte. E qui ricorda l'orgo- glio, la superstizione, l'esagerato amor patrio, che già fece sagri ficare l'umana specie: le madri sparla- ne che a morte flagellavano i figli dedicandoli a Dia- na : la morte per legge di Licurgo decretata ai par- goli di non belle forme: i procurati aborti de'figli 238 Lette ratura generati o da' troppo vecchi, o da'troppo giovani r le esposizioni di Semiramide, di Edipo, di Paride^ di Abide, di Romolo e Remo e di Giro. Considera quindi che le leggi di Dracone e di Solone, abilitan- do i padri a vendere ed uccidere i figli, per necessi- ta gli autorizzavano ad esporli: che i figli delle me- retrici, le quali non si reputavano infami, come in- farai pure si esponevano: ma che però era la espo- sizione proibita fra'tebani. Parla infine di Didimo ateniese ch'edificò un tempio ad Ercole, ove gli espo- sti si accoglievano. Volgesi dopo questo il chiarissimo autore agli antichi italiani, dichiarando che di Dionigi d'Alicar- nasso, di Plutarco, di Appiano, di Dione Cassio rife- rirà soltanto ciò che avea ottenuto sanzione legislati- va. Quindi osservò che Romolo obbligò ad allevare tutta la prole virile e le primogenite della femmini- le: che vietò di uccidere i figli prima dell'etU di tre anni, salvo i difettosi; che il diritto dato a' padri dì ucciderli o venderli, fu durante il governo dei re e nelle dodici tavole conservato; e che se non si ser- virono i romani della liberta di uccidere le secon- dogenite , era però fino all'impero degli Antonini abitudine di non curarle, quali esseri che si cre- devano di tristo augurio, e perciò da disfarsene an- che siccome inutili. Che se Romolo ordinò la estin- zione de'mostri e degli storpi, i decemviri restrin- sero l'ordine a'soli mostri> Sull'abuso della patria potestà ricorda Giunio Bruto, Aulo Fulvio, Cassio Viscellino e Fabio Eburneo: aggiungendo che tali parricidi erano anche piìi frequenti nel basso celo, e terminarono col finire della repubblica, dopo essere stato Essinone, cavaliere romano , pugnalato dalla plebe sotto il regno di Augusto, e qualche padre Esposizione degl' infanti 239 punito come assassino sotto Adriano. Definitivamen- te sotto esso Augusto fu abolito il ius necis de' padri. È qm è dove ritornando agli aborti savia- mente riflette, che spento il parricidio di pochi es- seri, incominciò la soppressione di migliaia di ger- mi negli uteri di cjuelle donne giovani romane, opi- nanti perdere la freschezza degli anni col divenir gravide: delitti che non poterono impedire le leggi proibitive, sebbene mai fra'romani non fosse l'abor- to un pubblico misfatto sino a che da'cristiani non si pensò, santificando la ragion di natura, alla con- servazione degli esposti. Finiti i Prolegomeni, V esimio autore indaga come i romani abbiano esposto gl'infanti, sebbene fosse ciò ad essi interdetto da una delle leggi fonda- mentali della loro citta, desumendola da quella di Romolo proibitiva di ucciderli prima di tre anni. Non sembra a lui essere stata causa il ritegno di farsi veder gravide le donne senza marito , per- ciocché la lascivia era da'romani, anziché proibita, garantita. Ma piuttosto gli è avviso ch'essendo rito fra'romani di porre i bambini appena nati sulla fredda terra e farli a' padri sollevare , col ne- gligentarsi quest'atto, erano come illegittimi desti- nati alla esposizione. Anche rinviene altra causa nel non ammettersi fra essi i germi dichiarati di mal augurio dagli auspicii. E qui, sfoggiando nella erudizione, il N. A. lascia i romani, e ricorda la divinazione fatta a Faraone sulla nascita di Mosè, divinazione, produttrice dell'eccidio d'ogni bambi- no, che circa quel tempo in viscere ebraiche fu- rono generati: d'onde Mosè fu esposto. Ed esposti per uguale divinazione furono Edipo, Egisto, Pa- ride, Giro e tanti altri. Ora essendo essa radicata 240 Letteratura in Roma, sebbene da Cicerone derisa e confutata! fu tuttavia da Orazio, da Seneca, da Giovenale, da Ausonio , da Censorino , e fin da Cornelio Tacito mantenuta e difesa: sicché dairArmaroli vien re- putata una delle primarie cagioni delle antiche ro- mane esposizioni, fondandosi egli anche sulle auto- rità di Tolomeo e di Firmlco. Altra cagione dell'esposizione degli infanti pres- so i romani riconosce il N. A. ne'pubblici disastri. Egli ricorda quella degli infanti nati in tempo di Germanico, del figlio di Giulia nipote di Augusto, di Claudia figlia della ripudiata Erculanilla. Altra nella povertà de'genitori, allorché Roma fra Vespa- siano e Traiano già decadeva. Altra ancora nella guerra convertita in mercenario mestiere, cui su- bentrò l'indigenza, che costrinse i genitori alla espo- sizione di que'figli che o alimentar non potevano, o solo il potevano con grandi sudori. Quanto poi al modo, ed al luogo ove i roma- ni esponevano gl'infanti, prova il sig. Armaroli che ciò accadeva presso il fico ruminale nel foro de'co- mizi e nel foro olilorio, ov'era la colonna lattaria, quando se ne volea la vita: altrimenti nelle cloa- che, e nel. lago velabro. Si ponevano poi o in ce- stelle, o in culle, o in involucri di cuoio, o in pan- nicelli. Quindi avveniva che a*nutrIcatori, I quali rac- coglievan gli esposti , e li facevano allattare o in ingenuità o in ischiavitti, rivolgevasi chi volea ri- parare alla propria sterilità: chi amava alleggerir- si del latte dopo morta la sua prole : chi surro- gar voleva altro infante a quello estinto, ch'ebbe a nutrire; la meretrice che volea farsi credere in- cinta dal suo amasio; e generalmente chi cercava profitto dal comprarli, educarli e rivenderli grandi. Esposizione degl' infanti 241 Sulle disposizioni legislative che si riferiscono ai diritti acquistati dai nutricatori nelle persone degli esposti, e da essi o raccolti o allevati o edu- cati, ricorda il N. A. quella riferita da Seneca, da Quintiliano, anteriore d' un secolo a Traiano , in forza della quale il padre aveva diritto di ricupe- rare il suo figlio esposto, quando sborsasse al nu- tricatore ciò che speso aveva in educarlo. Quindi la legge 1 del codice giustinianeo nel 'TU. de inf. exposit.-^ la conservazione della patria potestà sulla figlia esposta nel Tit. de nuptiis: e la legge di Co- stantino sui soccorsi ai padri indigenti , affinchè non esponessero, od esponendoli fosse tolta loro la speranza di rivendicarli. Vien egli poi al concilio d'Arles del 336, in cui dichiarossi , che dopo 10 giorni dalla esposizione niun diritto avessero piìi i genitori alla ricupera dell'infante; ciò che indi ap- provavano Carlo Magno, Lodovico Pio, il decreto di Graziano ed il concilio vesense. Procede in seguito a provare come Triboniano viziasse ad arbitrio suo quelle leggi nelT inserirle che fece nel codice di Giustiniano;; conchiudendo che quell'augusto rifuse tutta l'antecedente legislazione, ordinando che i pa- dri e i padroni richiamar non potessero gli esposti; che i nutricatori niun diritto avessero sui nutriti e gli educati; e che essi esposti non avessero peso alcuno di patria potestà, di servitici o di patronato. Nel ricercare inoltre fino a qual periodo di tempo siasi tollerata dal governo romano l'esposi- zione degli infanti, e quando siasi emanata dal tro- no una legge penale contro gli esponenti, fa il con- te Armaroli avvertire che quella semplice esclama- zione di Paolo: Sembrargli, che si uccidesse il fe- to tanto soffocandolo, quanto esponendolo a mo- G.A.T.LXXIX. 16 242 Letteratura. rirc (li fame; die motivo a Triboniano di porla co- me sanzione nella L. 4 digest, de agnosc et alen. liher. vel patron, vel Uhertis : ma che, secondo il Lipsio, non vi fu sanzione penale contro gli espo- nenti fino alla metà del IV secolo dell'era volgare; bencliè il Binkershoek abhia preteso ch'ima n'esistes- se fin da Trai;mo,al!a cui opinione si oppose il Nood e si oppone ora il nostro celebre giureconsulto. Sostiene egli poi che V Astronomicon di Firmico porge un ulteriore argomento, che nel periodo dell* impero di Costantino il grande non conoscevasi al- cuna legge che annoverasse fra'delitti l'esposizione degli infanti; poiché se Firmico parlando a Mavor- zio Lolliano, sotto l'impero di esso Costantino, ri- ferì in molti capitoli le maligne combinazioni ce- lesti, che consigliassero la esposizione de'figli ; se scrisse il capitolo De expositorum vel non nu~ tritorum genitura-^ ciò non avrebbe egli fatto se fos- se veramente esistita una legge proibitiva della esposizione. Altro argomento desume il N. A. dal non es- sersi conosciuta in occidente la legge di Valentinia- no, di Valente e di Graziano, finche nel secolo XIII non si accettò la legislazione di Giustiniano. Oltre- ché sebbene in questa legge dicasi : Unusquisque soholeni siinm nutriate quod si esponendnni piita- verit^ animadversioni^ qiiae constituta est^ subia- cehit: e sebbene le parole aniinadversioni subiace~ bit^ voglian credersi importare la pena di morte: tut- tavia proseguendosi : Sed nec dominis nec patro- ni s repetendi aditum relinqidmus, si ab ipsis cxpo- sìtos qiLodammodo ad morteni voluntas misericor- diae amica collegerit , nec suum quis dicere po- tcrit q uè ni pere unte lìi contempsit; non è presumi- Esposizione degl' infanti 243 bile, che agli esponenti capitalmente puniti sì ordi- nassero di non pater ripetere gl'infanti da loro espo- sti; e perciò non può credersi che fosse ancora proi- bita la esposizione. Riferisce appresso ciò l'ambigua ed assurda le- gislazione di Giustiniano sulla esposizione degli in- fanti , ricordando che Triboniano inserì nel codi- ce la legge dell'imperadore Alessandro, che per- metteva a Claudio di rivendicare l'esposto compen- sando delle spese il nutricentirent, tamen lex non posset ferri, vel quis magi- stratus crearijcaeteris classibus renuentibus; uno ver- bo centuriarum omnium ius ila ooaequabatur, Hanc legem tamen Gracchus promulgavit tantum, nec ro- gavit vero, nec lulil (2). Et hanc existimo Servii sen- tentianii fuisse, quam Cicero rèfert his verbis: Con- pisionem suffragiorwn flagitastl^ aeqaationem grn^ tiae, dignitatis, suffragiorutyi'. S'im\ì\s enim est Sallu' stii locus; Ut ex confusis quinque classibus forte centuriae vocarentnr. Ita coaequati dignitate ^ pe^ cunia , virtule^ nnteire alius aliuni properabit. Ad hanc sententiam adstruendam facit locus Ciceronis, (1) IbMcm. ' ' ' ■ " *'"'■' (2) Sallust, ad Caes. de rep. ordin. §. 7. ,, ■ ttA«ilNO».w\ /JZZJ.TJ. ' Vita Ser. Sulpicii 259 qui sequitiir statim. Ait enim : Gravifer homines honesti, atque in suis civltntlbus et municipiis gra- tiosi, tiderunt a tali viro (a senatore scilicet et pa- tricio , ideoque panilo aJdictiore aristocraticae fa- elioni) esse pugnatimi, ut onines et dignitatis et gru' line gradus tollerentur. Veruni iti fecerat Servius, tnm quia iJ aequius ei videLatur ahsque parlium studio reni perspicienti, tum quia eo modo ambitus di/lìcilior evadebat. Nani plures cenlurias corrum- pere opus eral, quia omnes pariler poterant prio- re lo'.'o vel extremo ex urna extrahi. 20. Superost ut dicamus de prorogatione legis maniliae. Ad quem locum Manutius notat: Lex ma- nilia de suffragiorum confusione, quae iani abroga' ta fuerat,in posteruni valeret. Refert igitur et le- gem maniliam ad confusionem siifFragiorùna de qua supra: ?,ed perperam. Nec enim ullius lei^is ma- niliae, quae id sancirei, memoria exslal. Necpie ex hoc loco id arguere necesse est. Satius est igitur-i*t cum Aut. Augustino (1) inlelligamus legem mani- liam de libertinorum sufFragiis , de qua Ascopins mcntionem facit in corneliana et in miloniana. Guni enim Cicero in fragmentis oralionis prò Cornelio ita de Manilio loquatnr: Nani qiiod is trihunus plo-r bis duas leges tulisset in eo magistratUy imam > per* niciosam, alterain egregiain: Asconius notài: Dictum est enim supra de his legibus, quaruni una quae de libertinorum suffragiis, quae quum S. C. damna- ta esset, ab ipso quoque Manilio abiecta èst; alte- ra autem defensa est de bello mitridatico Cji. Pam- peio extra ordinem mandando etc. 'Explicat Vero in .' I ,.:, l f.lrjblfH l) (i) De legibus et S. C. De lege maiiilia;- 'é "ijliidi >;. 2tìO Letteratura miloniana (4) ea legc cautum esse ut libertini, qui non plus quam in urbanis tribubus suffragium fe-r rebant, possent Terre in rusticis quoque tribubus, quae propriae erant ingenuorum. Cum igitur hanc legem non potuisset ferre Manilius, ut auctor est Asconius, eam prorogare sive rursura rogare cu- piebat Servius. Id est enim prorogare; sic dicimus prorogare imparium, prorogare iurisdictionem, pro- rogare provinciam. Notandum vero est legem hanc pertinuisse ad corintia tributa; de tribubus enim agi- tur. At superior illa de confusione suifragiorum ad comitia centuriata pertinebat. Haec igitur flagilanti Servio senatus negavit, auctore Cicerone, quia ni- rnium popularia videbantur, 21. Pergit Giceroi Itein editicios iudices esse vohùistì, ut odia occulta civiiim, quae tacitis nunc discordiis continentur^ in fortunas optimi cuiusque erumperent (2). Brevi ter ex bac re me expediam. Apparet ex Tullio prò Plancio (3), lege licinia edi- ticios iudices indicasse de sodalitiis. Servius idem et in quaestione de ambi tu fieri volebat. Editicii au- tem iudices erant ab accusatore editi, facta potesta- te reo ad certuni numerum recusandi (4). Nec id tanien Servius oblinuit (5). Sed hae res omnes se- natum ab eo abalienarunt; reiectus itaque in peti- tione consulatus fuit. .•>. \y22. Itaque Servius, cum repulsam passus esset, •■-M\v; .V. — ^ -^ ■ ^ — lii tì^fi'A4i.^Ì?-.P5"*' Milpne 5. 3-2. (u) Pro Muraena §.23. ... 43) §. i5. .- _ (4) Ibidem §. i5, i6, 17. (5) Ibidem §. i5. Vita Ser. Sulpicm 261 Muraenam consulem (ìesignatum de amliitu accu- savit. Una cum co et M. Calo, et Servius filius, et Cn. Postiimius Muraenam accusavere. Postumium hunc oIj affinitatem Servii nomen Muraenae detu- lisse, facile crediderim. Ut autem eum Servii levi- rum polius putem, quam socerum, locus Ciceronis facit in eadem oratione ubi ait: Respondebo ìgitur Postumio prliniim^ qui nescio quo pacto mihi \>i~ detur praetorius candidatus in consularem, quasi desultorius inquadrigarum curriculum incurrere {\), Servium vero illuni adolesccntem Servium filiuin esse facile milii persuadeo. Evidenter enim appa- re! eum a Servio patre distingui. Ait enim Tulli- us: Nam ut omittam Servium Sulpicium, quem in- telligo non iniuria L. Muraenae^ sed honoris con- tentione permotum^ accusai paternus amicus Cn. Postumius e te. accusai Ser. Sulpicius sodalis fìlii etc. (^2). PJanum igitur est, hunc Servium non eun- dem esse ac Servium Sulpicium nostrum- Quis ve- ro alius potest hic esse nisi filius Servii, cum et praenomen congruat, et ratio accusandi, et aetas, quippe qui non modo adolescens appellalur, sed et sodalis filii Muraenae, qui cuuctos honores una cum Servio patre petierat ? 23 De Catone vero nulla alia caussa fuit ut accusaret, nisi nota eius severitas. Ex quo coniici licet nierito nomen Muraenae delatuni fuisse. Ve- runtamen, Cicerone consule orante, caussam obtinuit Muraena. 24. Servius vero gravissime et acerbissime se (t) Pro Muraena $. ay. (3) Ibidem. 2G2 Letteratura ferre dìxlt, Ciceroneni familìnritatis necessiludinls- que oblitiim caussam L. Miiraenae contra se de- fendisse (1). Ast cum Ciceronis multum interesset consulem Insequentis anni sibi devinclum habere, Muraenam contra Serviiim dcfentlit, eo tamen mo- do ut Servio insta causa non subesset cur irascere- lur (2). Quod et Cicero ipse dixit, et nobis videtur. Non enim quae de iure civili ad risum iudicum captandum disputai, tanti erant, ut ob id Servius deberet irasci. 25. Consulatus vero obtinendi spem non amì- sìt Servius. Certe A. V. DCLXXXXV, Caesare et Bibulo coss., eum rursus consulatum petiisse ex epi- stolis Ciceronis ad Atticum colligi potest. Cicero enim, in villa prope Antium degens, ad Atticum qui Homae erat scribit. De istis rebus expecto tiuts lit- teras .... qui consules parentur\ utrum, ut popiili sermo, Pompeius et Crassus: an, ut ini/ii scribitur, cum Gabinio Ser. Sulpicius (3). Verum cuin G lesar probe coguosceret nunquam futurum ut Servius ad- duceretur ad Ciceronem ex urbe expellendum, et omnia nutu suo et Pompei! gubernanda, efFecit ut cum Gabinio non Servius sed Piso consul fierct. Ila- que insequenti anno Pisone et Gabinio coss. Cicero in exsìlium pulsus est. 26. Quid postea Servius per sex annos gesserit, nescimus. Mirum vero quod memoria nulla extet , quid ipse egerit quo tempore Cicero exactus fuit in exsilium: ncque enim, cum in oratione post re- fi) Pro Mtiraena J. 3. (a) Pro Muraena ^. 4 '" f'ie. (3) CJc. ad Att. lih. II, cp. 5. Vita Ser. SutPicri 263 diluiti ad scnatum senatores plurimns Cicero lau- del, et lis gratias agat quol rediuim suum adiii- vassent, ulla menilo Servii fit. De qua re nescio utrum dicam, S relinquere periculosum erat, sena- tum omnino haberi nobierunt (2). Etenim ncque ipsi id sibi negocii volebant dari , ncque alium mitti in Asìam cum imperio aequo animo lulissent, tum quia id in eos contiimeliosum videri poterat, tum quia periculosum fiiisset Pompeii aut Caesa- ris vires augere. Cum res ieLat (1). 39. Postcniam Cicero Servii litteras legit, enm et Postumia uxor et Servius filius convenerunt. liis placiiit ut Servius in Gumanum Giceronis veniret, et etiam apud TuIIiuin egerunt, ut Serviuin ad id hortaretur (2). Qua de re Cicero ad Servium scri- psit epistolam , quae est secunda libri quarti ad diversos. Quae epistola scripta fuit circa kal. maias A.V.DCCV. Pene eodem tempore Tullius Attico scri- bebat: Iniecta mihi quaednm spes est, velie me ciim Ser. Sulpicio colloqui ... Si vir esse volet, praeclara Gvvo^ìa; sin autein, erimus nos qui solemus (3). 40. Servius morem gessit uxori et fiiio , et quamvis valetudine non satis commoda uteretur , parvis itlneribus Cumam contcndif. Pridie nonas mali Minlurnis mansit. Nonis in Liternino apud G. Marcellum. Postridie nonas in Cumunum perve- nit (4). Cuni Cicerone collocutus est. Sed tardus ad exeundum erat Servius, etram valetudinis caussa; in suo lectulo malie mori dicebat , quidquid foret. Unum illud firmissime asseverabat , si qui iudicio damnati fuerant, puta de ambi tu, de vi, de pecu- niis repetundis, qui plures tunc erant, et novis re- bus idcirco studebant; si ii, inquam, restituii luis- sent, se in exsilium iturum. Cicero vero multa col- ligebat, ut eum hortaretur ad discedendum ex Ita- lia, et ad castra pompeianorum sequenda; sed haec (i) Cic ad div. Uh, IV, ep. i. '"' ' " (2) Ibidem, et ad Att. lib. X, ep. g, la^'id. '' *•' -' (3) Lib. X, ep. 7, §. 2. -.ol .vih b« .3.f3 ^;: (4) Cic ad Alt. lib. X, ep. i3, 4. ••- viJ- i,.. .31:) (. Vita Ser. Sulpicu 271 timorem eius augebant (1). Oiliosus scrupuliis eliam eum angebat de fìlii militia brunclusina. V[ i(his maias in Gumano ambo eraiil. Sed cum Servius cunctator esset et tardas, eius Consilio niliil expe- diebatur (2). Cicero igitur, cum eum haesitantcm vi- disset, in Graeciam ad pompeianos profectus est. Serviura vero quid tum egisse putemus ? 4-1. Et quidem nec Bertrandus nec Grotius ali- quid de hac re scripserunt: immo, quod nìirum vi- deri potest, Everardus ipse nil aliud proferì, quam ieiuna haec verba: Pompeio tandem vieto, Jcliniani regundam accepit. Attamen ex l>inis locis Tullii sa- tis evidenter apparere existimo, Servium quoque pompeianorum castra secutum esse. Siquidcm Tul- lius scribcns Caecinae exsuli, eum bona spe esse iu- bet, dicens: Nunquam nisi lionori^centhslme Punì- peium appellai. Ast in eius persona multa fecit asperius. Armorum ista et victoriae sunt pietà, non Caesaris. At nos quemadmodum est cornplexus ? Cassium sibi legaifit, Drutum Galliae prae fecit, Sul' picium Graeciae, Marcellum, cui niaximne succen- sebat , curn summa illius dignitate restituit (3). 42. Aeque id colligi potest ex Philippica XHL Nani cum ibi Cicero Antonii lilteras recilaret , qui scripserat: Castra Pompeii senatum appellntis: enti- meratis antonianis dui : Hoc igitur f rei us senatu), pompeianum senatum despicit, in quo deceni fui- mus consulareSi qui si omnes viverent, belluni onini' no hoc non fuisset ... Quod si fortuna nobis modo (i) Cic. ad Alt. lib X, ep. i.i. (2) Cic. ad Alt. lib. X. ep. i5. (3; Cic. ad div. VI, 6. 272 Letteratura non erìpuisset Ser. Sulpicium, eiusve colle gam an- te M. Marcetlum^ quos cives, qicos viros ? etc. (1). Aperte igiliii* Cicero recenset Serviurn Inter eos , qui pompeiana arma secuti fuerant. Necesse igitur est, ut clicamus Serviurn post discessum Ciceronis vcl in Graeciam vel in Africam contendisse. Sed Ci- cero alt: Poinpeianwn senatum despicit, in quo de- ceni faiinus consulares. Hos autem recenset : Ser. Sulpicium, M. Marcelliim, duos consules (qui anno, quo pugna pliarsalica pugnala fuit, e magistratu e- xierant, ideoque consulares erant), (2) L. Afranium, P. Lentulum, M. Bibulum, L. Domitium, Ap. Ciau- dium, P. Scipionem. Quibus si Cicero addatur, iam undecim erunt non decem. Addendus autem est: ait enim : In quo decem fuimus. Dicendum est igitur unum ex iis pompeiana arma secutum esse , non vero castra pliarsalica. Verum constat, caeteros o- mnes (3) in Graecia apud Pompeium fuisse; de Ser- vio vero non liquet. Itaque ex illis consularibus Servius eximendus est: quem tamen Cicero praete- rire non debuit, licet in Graecia non fuerit. 43. Superest igitur ut Servium in Africa fuisse putemus. Id plura nobis suadent. Et quidem Caesar in libro secundo belli civilis ita ail: f'^icto Canone, Juba equo in oppidum vectus^ prosequentibus com- pluribus senatoribus, quo iti numero erant Ser.Sul- picius et Licinius Damasippus, paucis diebus quae fieri vellet Uticae constituit atque ìmpera\'it: die- (i) Philip. XIII, §. i3, 4. (2) Ad div. lib. XII, e. 5. Caes. beli, civil. lib. HI, e. 6. (3j Cic. ad div. lib. IV, ep. 7. Caes. de bello civ. lib. I. e. i4, lib. Ili, e. i5, 83, et alibi. Fiutar, ia Caesare et Pompeio. Vita Ser. Sulpicii 273 husque post paucis se in regnuni cum omnibus co- piis recepii (1). Ncque ego adducar ut putem hunc Sulpicium eumdem esse atqnc illum de quo loqui- tur Gaesar in primo belli civilis scribens: Jfranii etiam filius adolescens de sua et parentis sui sa- lute cum Caesare per Sulpicium legatwn agebat (2). Hic enim Sulpicius tantum vocatur a Caesare, illc vero qui in Africa fiiit Ser. Sulpicius. Cur in eo- dem opere eumdem virum non appellasset eodem modo.? Ast, si verum amamus, idcirco hic adiecit praenomen Servii, ut notum omnibus faceret de quo Servio ibi ageretur. Plures tunc erant Sulpicii, quos eruditissime recensct vir omni laude maior Barlho- lomaeus Burghesius in libro de censoribus ; nemo tamen simpliciter Servius Sulpicius vocabatur. Et ubi nam in huius aevi scriptoribus , cum legitur Ser. Sulpicius , de alio intelligendum est , quani de Servio nostro,'' IIuc accedit, quod utrum ille, qui in Hispania eral, senator fuerit an non, piane ne- scimus. Neque enim legatus Pompeii dicitur , sed legatus Afranii apud Caesarem. Nec valet quod Gae- sar non adiiciat Servium consularem fuissc, et lan- tummodo eum primo loco inter senatores recenseat. Nara et idipsum facit, in iisdem libris de bello ci- vili, dum scribi t : Erant senatorii ordinis L. Do- mitius et P. Lentulus Spinther e te. (3). 44. Atque hic ad mentem revocemus oportet, Servium relictum fuisse a Tullio Gumis in tyrrhe- ni maris ora sitis, ita ut hominem cunctatorem et (i) Bel. civ- lib. II in fine. (2) Lib. I, e. 74- (3) Caes. de Bello civ. lib. I, o. 23. n\.T.LXXIX. 18 274 "Letteratura inorosum sola iiavii>,ii o[>p<)rlHiiilas excitarc polucrit aiici !ii<: tauien posset Ser- viuni adliuc fuissn Ciiniis VI idus maias. Tane vero Servius iam scirc doìjxicrat, Tuhcronem Africa pro- hihitum fuisse a!) Attio Varo. Tubero autem gener Servii fuit. Veruni d issimi iis Iota res est. Tubero efiim in Africani porrcxit, ut eam provinciani re- geret; Servius vero ncc imperlimi appetebat, et 11- liie se tontalcrat ut cum pomj)eianis csset. JNec At- tius Iam audax fuisset ut eum portu atqne oppido proliiberet. Gaeterum aiìlnitas cum Tubcrone et po- slea contraili potuit a Servio. 45. Eodcm modo vi Uulilius scripsit, qui bre- vi ter aitt Tandem est^ ne reìp. deesset^ in Jfricani profi'Ctus: ibi [idxiin rege/?i, partesquc relp. secutits^ vieto i'nrionc, Uticam deduxit. Qtmc verba Evcrar- diis, qui postea scripsit, omnino neg'.exit. Dcbuerat autem aut laudare aut repreiiendere. 46. Sed ad liane opinionem adstrucndam, Ser- vium seilicet in Africa fuisse, facit ceieber iocus di- gestorum de Origine iuris, qiieni modo oxplanabi- nuis. Ait igitur Pomponius : Ea \'elut contumelia Servius f rad US, dedit operani iuri civili, et pluri- mum eus, de quibus locuti sunius, audiit, institutus a Balbo Lucilio, insiructus autem maxime a Gallo Jcptilio: qui fuit Cercinnae. Itaque libri eius com- plures exstant Cercinnae confecti. Hic cum in Icgatiofie periisset etc. (1\ Locus liie mire torsit (i) Leg. 2, Dig. (le Or. iuris. Vita Ser. SulpicIì 275 interprctes. Primura enlm disputatum est , utrum Aquilius Galliis, an potius Scrv. Sulpicliis Cercinnac fuisset, et ibi libros conscripsisset. Deincle assequi non poterant ad quidnam ve! Servius ve! Aqxiiliiis, ut libros componerent, Cercinnam se contulissent. Est autem Cercinna parva quaedam in mari siculo insula, XXV passum niiilia Adrumeto et ab ora A- frlcae distans. Bertrandus et Grotius pularunt Ser- vium Cercinnae institutum fuisse a Gallo Aquilio. Ridiculum vero est existimare, Gallura ius civile Cer- cinnae docuisse. Sed et Gothofredus in notis ad hunc locum seri bit, Cercinnae compositos fuisse li- bros a Gallo, non a Sidpicio. Quod et Everardus censuit. Verum Cuiacius diserte ait : Servius Sal- pi cius fiiit Athenis^ fuit JRhodi: fuisse euni etiam Cercinnae, insula Siciliae vicina, ex eo coarguit , quod libri eius complures exstent Cercinnae confe- cti (1). Cuiacio concini t Rutiiius qui ait: Pleraque scripta sua fuisse ad Cercinnam insularn, eumcfue ibi aliquandi u vixisse Pomponius significare vide- tur. Et sensus ipse id flagitat: postquam enim di- xit : Itaque complures eius libri exstant Cercin- nae con fedi-, stati m subiicit : hic cuni in lega/ione periisset: Igitur hic est Servius: Servius igitur libros Cercinnae scripsit. 47. Ast cum hoc absurdum videretur, Servium vel etiam Aquilium Cercinnam seccssisse studiorum caussa, audaciores critici lectioncm sollicitavcrunt, et Zasius legit Sycionem, alii Corcyram, alii alia. Everardus O tlio, cum et ipsc iiaereret , Muretum (i) 111 noi. ad hil. tojn. I; edit. Neap. p. 912. 276 Letteratura soriitiis ìeg^ìl Caecinae : et quia sciebat Caeclnam Etruriae fltinion esse, suspicatus est liixta illud ali- qiiatn urbem, vel saltem aliquoJ praetorium exti- tisse, quo Aquilius et Servius se conferrent, ut in olio et tranqiiillitate Aquilius libris conscribendis vacarci, Servius vero disceret. Nec tamen emenda- tio haec nimìs ei arridebat, sed ea profitebatur se esse contentum, donec aliquis melius quid protu- lisset. Sed recte ad hunc ipsuni locum vir summus Cuiacius animadverterat, retinendam esse lectionem Cercinnae, scribens: Bis dicit Cercinnae., itaqiie ni- hit mutari volo. Cercinnae vero Servium scripsisse, dum praeceptore utebatur Aquilio , quis putet ? Num libri eiiis, qui adhuc exstabant, omnibusque vigebant tempore Pomponii, scripti fuerant a Ser- vio adolescente adliuc et iuris studioso, non ab eo- dem consulari summaque praedito auctorltate? Quod si Pomponii verba non ita perspicua sunl, id mi- rum non erit iis, qui sciunt, rpiam male fragmen- tum illud se habeat phiribus in locis : nec tamen id movere potuit Cuiacium ut Ixic sollicitaret lectio- nem, emendatorem alioquin non parcum et acutis- sìmuni. 48. Quid igitur est? difficultas, quam sibi pro- ponunt, facile dissolvi tur. Non enim Servius Romam linquens Ccrcinnam secessit, ut ibi otiosior libros conscriberet: sed, I)ello primo africano confecto, no- vum bellum instaurare inutile putans, non tutum vero nec in Italiam revcrti, nec in Graeciam con- tendere a victore occupatam, in insulam hanc se- cessit, parum ab ora Africae distantem, ubi mcmor illius Catonis eftati : Clarorum virorum atqiie ma- gfwrnni non minns odi quam negotii raiionem exla- re oportere: cum nil aliud possct agerc, libris scri- bundis opera m dedit. Vita Ser. Sulpicii 277 A9. Id significare videlur locus quidam Cicero- nis ad Atticum. Scribens enim Brundusii post pu- gnarli pharsalicam kal. ian. A. V. DGGVII ait: •S'et/ ex omnibus nihil magis tamen deslderatum, quam quod iti Africani non ierim. ludicio hoc sum iisus^ non esse barbaris auxiliis fallaci ssimae gentis remp. defendendam^ praesertim contra exercitum saepe vi- ctorem. Non probant fortasse: multos enim viros bo- nos in Africam venisse audio ^ ET SCIO FUISSE ANTE A. Valde hoc loco urgeor .... Nam si perse- verant et obtinent .... Si vieti erunt, honestior est plaga. Haec me excruciant.' Sulpicii auteni consi~ lium non scripsisti cur meo non anteponeres; quod etsi non tam gloriosum est^ quam et Catonisy ta- men et periculo vacunni est et dolore. Extremuni est eorum, qui in Achaia sunt eie. (1). 50. Manutius eo loci notat : Sulpicius, qui se~ dem tutam et a bello vacuam elegit: putans fortasse Servium Italia non excessisse, ut omnes praeter Ru- tilium scripsere. Sed cura dubitari necjueat, Servium pompeianos secutum esse, quispiam dixerit consi- lium Sulpicii fiiisse ut in Asiam contenderei ad ali- quem liberum et tutum locum , ut alii fecerant , Samum fortasse , ubi exeunte insequente anno DGGVIll eum fuisse patet ex Bruto (2). Sed si hoc intellexit Gicero, cur ait Sulpicii consilium ? Num unus Sulpicius id fecerat? an non et collega eius M. Marcellus .'* singulare igitur erat consilium Servii. Et necesse est, ex verbis Tullii, aliqua ex parte ad Africam pertinuissc. Consilium Servii comparat cum (i) Cic. ad Ali. lib. XI, ep. 7. (2) Gap. 42. 278 Letteratura Consilio Catonis: ait minus gloriosum esse. Calo enim in Africani contendeva t; manebat ibi Sulpicius. Sed consiiitim ceperat periculo vacuum et dolore : non cnim Uticae erat, sed Cercinnae, XXV millia pas- suum ab Africae ora, mari interiecto. Loeus igitur erat tutus et procul a belli tumultu. Quaravis enim secundo bello africano pompeiani liane ìnsulam occupassent, ibique C. Decius esset , qui praeerat commeatui (1), probabile tamen est tunc demum porapeianos id fecisse cum bellum a Caesare in eos pararelur, antea vero a nemine occupatara fuisse, Duobus itacjiie illis annis a pugna pliarsalica ad se- cundum bellum africanum lociis ille tutus fuit, ibique Servius complures libros potuit conscriberc. Verum cum pompeiani et liane insulam occupare studerent, Servius rumores belli fugiens, illinc ex- cessit, ut pulo, anteqviam pompeiani id facerent. Nam postea furiasse id ei integrum non fuisset. Siquitlem et Tullius prò Ligario ait, Tuberonem, qui Uticae erat, necessario non voluntate in Africa man- sisse (2). Quippe is erat in continenti terra, quam pompeiani tenebant. 51. Perrexit igitur Servius in Aslam. Vel e Ger- cinna vero, vel ex itinere, puta ex Aegypto aut a,- liqua insula, scribehat Tullio, quid ageret Caesar; r>am ipse proximior iis locis erat. Sane scribi t Ci- cero Bruiidusii III nonas quintiles A. V. DGCVII. Jllum (Caesarem) discesslsse Alexandria rumor est non ftrmus^ ortus ex Sidpìcii litteris , quas cnn- cti postea nuncii confìrmarunt (3). Cum vero Sa- (i) Caes. bel. afr. e- 8, et 34- (i) Pro Ligario e. 2. (5} Ad Alt. lib. XI, ep. ull. Vita Ser. Sulpicu 270 miim advenissct , ihi per alìqtiod tempiis luoratus est: qua in insala cum et M. Brufus tuiic tenipo- ris cssct, Servium rogavi t, ut se «loceret ius pon- tificlum, qua ex parte est cum iure civili coniun- ctum: qtiod Servius libeiiter fecit, ita ut summo- pereBrutus comitatem et ingenium eius laudaret (-j). Cum ibi moraretur, a Gaesare praefectus fuit Graeciae (2): sub qiia iurisdictionc comprcliende- batur universa Graecia, et Peloponiiesus , immo et Epirus (3). Quamvis vero pacalam Italiam Servius cnperet revisore, et uxorem et filium qui in Italia rcmanseraiit , quosque per biennium non viderat (4); tamcn sii)i suscipiendum hoc nogociuni putavit, caussasfjue quibus ad hoc motus fuit Ciceroni per- scripsit, qui eas iustissimas esse duxit (5). E Sinio igitur contendit in Graeciam anno DCCVIII. Circa enim id tempus iilae Giceronis epistolae scriplae sunt. 52. Cum vero Servius In Achaia esset procon- sul, Caesar M. Marcello collegae Servii pepercits quod faciens, memor consulatus illins, in quo Ser- vius Caesari favens Marcello restiterat, huius acer- bitatem accusavit, honorificentissime vero laudavit Servii prudentiam et aequitatcm. Qua de re univer- sa Cicero ad Servium litteras misit (G): sed Mar- cellus clementia Caesaris frui non potuit; si((ui- dem antequam Italiani versus navigarci, Atlienìs in- (i) Cic. in Bruto e. l\i. {i) Cic ad iliv. IV, 4: VI, 6. (3) Cic. ad aiv. IV, 12: XIIT, iS. (4) Cic. ad div. IV, 3, 4.- ad Alt lih. XII, M. (5) Cic. ad div. IV,, 4. (6) Ibidem 280 Letteratura terfectus est a Magio Chi Ione familiari suo. Ser- vius tunc Athenis erat, sed in animo habebat pro- ficisci, 60 Consilio ut in Boeoliam iret, reliquamque iuristliclionem absolveret, cum iti ei nunciatum est. Statim ad tabernaculum Marcelli perrexit. Corpus illius in sua lectica rettulit in urbem, ibique fu- nus ei satis amplum faciendum curavit. Ab athe- niensibus locum sepulturae intra urbem impetra- re non poluit, ideoquc in academia eum sepeliri, ibique ei monumentum marmoreum exstrui iussit. Rei totius demnm diligenter Ciceronem certiorem fecit, elegantissima epistola, quae exstat Inter tul- lianas (1). Data est epistola Athenis prid. kal. iun. A. V. DGGIX. 53. Ipse interea peragrabat provinciam (2): Ci- cero vero plures familiares suos , qui in Graecia negocia habebant, ei commendabat. Ipse autem hu- manissime morem gerebat amici desideriis (3). Ad- monendi vero sumus, Bartholomaeum Burghesium vlrum doctissimum in libro de censoribus notasset, epislolam LXXVII libri XIll ad diversos non esse a Cicerone scriptam Ser. Sulpicio, ut vulgo legitur, sed M. Sulpicio. Is vero et imperator salutatus fuit, et ei supplicationem senatus decrevit: quod nunquam evenit Servio nostro. Eodem anno DGGIX, cum TuUiola diem supremum obiisset, Servius so- latus est Ciceronem elegantissima pulcherrimaque epistola, quae pariter extat inter tuUianas (4). In- (i) Lib. IV ad div. cp. 12. (i, Ibidem. (3) CJc. ad div. lib. XIII, ep. 17 ad 28. (4) Ad div. IV, 5. Vita Ser. Sulpicu 28 f lerea Servius fìlius, qui Romae eral, summa obser- vantia Giceronem colebat, cum ei se se in discipli- nam tradidisset , ut pliilosophiae operam navarci; TuUius vero ingenium et probitatem adolescentis saepe numero patri laudavit(l). 54. At Servius cum per annum praefuisset Achaiae , noluit amplìus abesse a suis ; et eodem anno DGGIX Romam reversus est. Siquidem Curio A. V. IV kal. nov. eìusdem anni rogavit Gicero- nem ut se Sulpicii successori commendaret (2). Ni- si hic de M. Sulpicio Gurio loquatur. 55. Servius igitur Romae erat vel prope, quum Caesar occisus fuit : certe panilo post , ilio ipso anno DGGX, senatui interfuit, quippe in eius sen- tentiam senatus censuit, ne qua tabula post idus martias uUius decreti Gaesaris, aut immunìtatis aut Leneficii, fìgeretur (3). Gum enim senatus ad pa- cem conciliandam acta omnia Gaesaris confirmas- set (4), prudentissime Servius censuit iis actis, quae a senatu confirmata fuerant, ea sola adnumeranda esse quae non post idus martias fixa essent, id est publice proposita et aeri infixa. Incidebantur enim in aes senatusconsulta, et quandoque id aes figeba- tur in publico , si id senatus iussisset , prout pa- tet ex Plinio (5). Praeterquamquod enim id ad fra- udes removendas necessarium erat, et iilud incivi- le fuisset, acta nunquam promulgata legis vim ha- berc. Nam cum Gaesaris commentaria possideret (i)Addiv. lib. IV, 3, 4, 6. (a) Ad div. lib. VII, 29. (3) Cic. Philipp. I, S. i; Philipp li, J. 36. (4) Philipp. II, §. 39, i5) Lib. Vili, ep. 6.' 282 Letteratura Antonius, quisnam scire poterai utnim qnod Ipse in ad versar! is Gaesaris oxstare aiel)at, reapse ibi legerc'tur, an non? Et ut id omitlarnus, nimium gra- ve fnlsset non modo acta Gaesaris, ex quilms po- terai quis dicere se ius quaesiisse, sed cliam cogi- tationes Gaesaris, tanquam legcs, servar!. 56. Id igitur, Servio suadente, si^ialus censuit. Piacuerat eliam senatni , ut de Giesaris aclibus (ntrum germani essent an suppositi) ex kal. iuniis consni Antonius cnm Consilio cognosceret (1). Ast ille nec ka!. iunias expectans, nec uiìo advocato , flasitiosas nundinas vectigalium el immunitalum , sub praetextu commenlariorum Gaesaris, domi suae facere instituit (2). 57. Quae cogitans Servius, pacis ut erat aman- tissimus, mala haec reip. verbis et iitleris sedare conabatur, ut et priore civili bello fecerat. Gir- cumil)at autcin imumquenique, ut sr^rmone flocleret discordes animos , et impellerei ad rempublicam conservandam. Gicero vero, qui cunì antonianis pa- cem stare non posse ducebat, pene Servium irri- dens scribejjat ad Atticnm V. kal. iiin. eiusdem anni: ServliLS vero pacifìcator cani librariolo suo videtiir ohiisse legationem, et omnes capti unculns pertimo- scere. Dehuerat aittein fion ex iure manu coiiscr- tum, sed quae sequuntur (3). Cnm vero nil expe- diri videret, nec luto et libere se posse in senalu loqui perspiceret , Roma discossit. Siquidem ex quadam epistola Tullii ad Gassi um apparet, circa (1) Philipp. II, §.39. (2) Ibidem. (3) LJb. XV ad Att ep. 7. Confer lib. XIV, cp. 19, ad Ali Vita Ser. Sulpicii 283 kal. octobr. Servium Romae non fuisse. Alt enim : Ser. Sulpicius et sumnia ouctoritate, et optime sen- tienSt noji adest (1). 58. Sed paullo post reversus est, ne reip. decs- set. Huius rei indicium est, qiiod in Servii senten- tiam senatui visum est, ut Caesari Octaviano ali- quid de rigore legis annalis reiaxaretur, eo quod Antonio restitisset. Deinde vero etiani amplius re- laxatum est ex lege Servi li i (2). Ilatlo autem tem- poris facit, ut putemus Servium, post quam egrcs- sus est ex urbe, eam denuo petiisse; et huius rei auctorem fuisse senatui. Nam liaec certe evenerunt post dictam aTuUio tertiam pliilippicam, quam XIII kal. ian. habuit Cicero. Servius vero extra urbem erat circa mensem octobrem. Sed reversus Romae mansit donec in legationem missus est , ut mox dicemus. 59. Antonius enim D. Brutum Mutinae obsi- debat. Coacto senatu kal. ianuar. insequentis anni DGGXI, Servius auctor fuit ut decerncretnr lega- tos mitti ad Antonium, qui eum cohortarentur ut ab incoepto desisterei. Id apparet ex eo quod Ci- cero ait: Ncque eius sententiae periculum \>itatu- rum^ cuius ipse auctor fidsset (3). Servius enim et pacis studiosissimus semper fuit, et tum maxime, metuens ne quid D. Bruto corjtingeret, qui conso- brinus erat filii sui (4). Legationem igitur suasit Servius kal. ianuariis: cui rei tamen cum Cicero (i) Ad div. li'o. XII, cp. 2. (2) Cic. ep. ad Brutum lib. I, ep. i5. (5) Pliilipp. IX, §.4. (4) Ad div. lib. XI, ep. 7. 284 LsTTBftATURA veliementer obstitisset oratlone, quae est quinta In- ter philippicas, nil nec eo die, nec duobus inse- quentibus decerni potuit. Sed deniiim pridie no- nas ianuarias plerique censuerunt ut legati mitte- rentur (1). Pridie nonas, inquam; non recte enim Ferratius ait III nonas, factum esse senatusconsul- tum. Tullius enim ait initio sexlae philippicae, per triduum rem ancipitem fuisse: ea vero die, qua ipse loquebatur ad populum, rem definì tam fuisse. Pia- ne kal. ian. res disceptari coepla est. 60. Legati vero delecti fuerunt Ser. Sulpicius, L. Philippus, et L. Piso. Servius, qui infirma va- letudine utebatur, morbi excusalionem praetexuit: sed cum senatus nil speraret non posse efiìci eius auctoritate et prudentia , veUementer excusationi obstitit, immo et Pansa consul gravissimis verbis eum ad id cohortatus est (2). Tum vero Servius Tullium filiumque seduxit , iisque confirmavit se, quamvis perspiceret hoc iter sibi causam mortis fu- turum, tamen autlioritatem senatus vitae suae an- teferre. Itaque in coetum cum rediissct, pollicilus est, se quod senatus vellet facturum (3): ncque eius sententiae periculum vìtaturum, cuius ipse auclor fuisset. Quod maxima laude et gratulatione omnium senatorum evenit. Nec moras iniecit: sed postridie, id est nonis ianuarii, profectus est: discedentem se- natus prosecutus est in honoris indicium: ipse ve- ro discedens ita locutus est cum Cicerone, ut eius oratio omen fati videretur (4). (i) Philipp. VI, §. I. (a) Philipp. IX, S-4- (3) Ibidem. (4) Ibidem. Vita Ser. SutPic» 285 Gì. Mutlnam igltur ciim pervenissent, ab An- tonio reiecti fuerunt, nec eis potestas facla fult cum D. Bruto colloquendi; immo ante oculos legatorum Antonius tormentis Mutlnam verLeravit, ac ne pun- ctum quidera teniporls, cum legati adessent, oppu- gnatio respiravit (1). Servius vero labore itineris, praesertim hyemali tempore, morbo et dolore con- fectus, paullo post quam pervenlt Mutìnam, obiit (2). Quod exeunte mense ianuario anni DGGXl Hlr- tio et Pausa coss. evenisse , ex iis quae diximus , putamus. Annum vero agebat tunc Servius sexage- simum secundum. Legati vero reliqui duo Piso et Philippus Romam redierunt, non modo re infecta ob quam ierant, sed et intolerabilia quaedam po- stulata Antonii ad senatum reportantes (3). Ob quae Cicero Cassio scripsit, nihil iis foedius, nil flagi- tiosius esse (4), eosque etiam in senatu , obscure quidem, increpavlt, quod cum Antonio fecisse vide- rentur (5). Mors enim Sulpicii totam legationem or- bam debilitatamque reliquit , ut ipse Cicero pu- blice dixit (6). Privatim vero honorlficam Servii mentionem fecit Cicero, bis. Trebonio enim scripsit: Magnum damnum factum est in Servio (T). Cassio vero: Ser. Sulpicii morte magnum praesidium ami- simus (8). (0 Philipp, vili, S. 6, 7. (2) Philipp. IX, \. I, 7. (3) Philipp. Vili, §. 8 et seq. Ad div. lib. XII, ep. 4. (4) Eadera epistola. (5) Philipp. Vili, §.10. (6) Philipp. IX, J. I. Vid. et Philipp. XIII,$ .14. (7) Ad div. lib. X, ep. 28. (8) Ad div. lib. XII, ep. 5. 286 Letteratura 62. Allato igltur de Servii morte nuncio, C. Pansa consul verba fecit in senatu de honoribus Ser. Sulpicio tribuendis, et ipse multa copiose de illius laude dixit (1). P. Servilius vero sententiam rogatus, sepulcrum publice decernendum Ser. Sul- picio censuil, statuam non censuit (2): ea ratione raotus, quia hunc honorem iis tantum tribuendura esse existimavit, qui ferro essent in legatione inter- fecti. Moris enim erat illis statuas ponere in ro- stris , qui in legatione periissent , nonnullaeque earum eliam tunc ibi visebantur (3). Sed et vivo M. Lepido statua in rostris decreta fuit (4). 63. Cicero vero egrcgium amicitiae specimen dedit extincto amico, P. Servilio respondens pulchra sane oratione, quae est nona inter pliilippicas. Id au- tem contendi t Cicero, Servium oh legationem mor- tem obiisse, et caussam mortis non genus esse quae- rendam. 64. Itaque censuit: Ser. Sulpicio statuam pe de- strem aeneam in rostris ex S. C. statui., et in ba- si inscribi, propter id statuam ei positam esse, quod ipse ob rempublicam mortem obierit (5). Statuae enim marmoreae magis frequentiores postea fue- runl. Sifid nec inauratane censuit, putans id magis grafcum facere memoriae Servii: mirifice enim Ser- vins Sulpicius maiorum continenliam diligebat, sui aevi insolentiam vituperabat (6). (i) Philipp. IX, §. I. (2) Philipp. IX, §. 1,6. (3) Philipp. IX, §. 2. (4) Philipp, xm, §. 4. (5) Philipp. ]X, §. uh. (6) Ibidem §. 6. Vita Ser. Sulpich 287 65. Item circum eam statuam liheros posteros' qiie ei us qiioquo versus pedes qicinqiie habere lu- (lis ^ladiatoribiisque invisendis (1). Sciendum si- quideni est antequam amphiteatnim a Vespasiano extrueretur, ludos et gladiatorum spectacula in fo- ro vel in circo edi solere. Id igitur censult Cicero, ut loctis eminens ad ludos spectandos liberis po- sterisqne Servii publice daretur, et liic satis am- plus, quippe in circuitu fere pedes triginta duo. G6. Ite in itti C. Pausa A. Hlrtius coss. al- ter ambove^ quaestoribus urbanis imperarent^ ut eam basini statuamque faciendam^ et in rostris sta- tuendam iocarcTit; quantique locaverint^ tantum pe- cuniani redemptori solvendam , attribuendamqiie cururent (2). Locationum publicorum operum pe- ncs censores erat potestas ; cum vero censores non erant, cura baec ad consules pertinebat, qui ministerio quaestorum utebantur (3). Piane censo- res eo anno nullos fuisse patet ex eo, quod inse- qncnti anno DGCXH censuram gesserint Antonius et M. Sulpicius quidam, qui, ut notavit Bartholo- maeus Burghesius, nec Servius pater fuit, ratione temporum id vetante, nec Servius filius, quippe cui certe id non crat praenomen. Aut enim Lucius vocabatur, duplicato praenomine ex more familiae, ut idem vir doctissimus ex nummis putat (4), aut si hoc non placeat, certe Marcus non vocabatur , sed Servius tantum. (i) Philipp. IX, §. ult. (a) Ibidem. (5) Burghesius, De ecnsoribus. (4) Ibidem. 288 Letteratura 67. Item^ uti quarti amplissime efferretur^ utìque aediles curules edictum^ quod de funerihus habe^ reni, Ser, Sulpicii funeri remitterent.YetahantXll tabulae plura circa funera; vetabant ne aurutn una cum corporibus sepeliretur, exceptione tantum ad- dita: Quoi auro dentes vincti escunt^ ast im cum, ilio sepelire urereve se fraude e sto (1). Quod ea ra- tione motos decemviros fecisse crediderim, ne au- rum co modo humano commercio subtraherelur. Si- quldem populis romano finitimis id moris fuisse, niortuos cum aureis ornamentis sepelire, veterum sepulchra probant, quae effossa sunt , et quotidie efifodiuntur. Sed et in duodecim cavebatur, ne am- plius certa summa in funeribus impenderetur. Aie- bant enim: Hoc plus ne facito (2). Vulgo id ita ìn- telligunt, ne facito haec quae prohibentur circa fu- nera, quorum pleraque memoriae prodidit TuUius in secundo de legibus. Ast ego puto, parvam ali- quam summam, prout paupertas illorum tempo- rum suadebat, statuisse decemviros, quam egredi in impensis funerum non liceret. Cum vero haec modica videretur, crescente luxuria, et fortasse in desuetudinem abierit, Sylla rursus eam defìnivit. De qua re testem habemus Plutarchum, qui seribit: Toy $£ Tvj? Ta9>7? cpì^cjTOc Tvjy 5«7:ay>jv vó/xcy àvzhc; noe- pBca£vv}vc>xcSg na^z'^ri (3). Et quidera Giceronis tempo- re haec lex sullana vigebat. Ut id putemus facit epistola Tullii ad Atticum (4). Tullius enim, cum in animo haberet magnificum extruere monumen- (i) Cic. de legibus lib. II, J. 24. (2) Ibidem J. 23. (3) Plut. in Sylla e. 35. (4) Lib. XII, ep. 35. Vita Ser. Sulpicii 289 tiim fillae suae, scripsit: Anteqaam a te proxime discessi nanquain mihi veiiit in mentem^ quo plus iìisumptum in monumenium esset, quam nescio quid quod Icge conceditur, tantundem populo dandum esse. Quo ex loco apparet et certam summam prae- stitutam fuisse, et sanctionem additam legi. 68. Sed quomodo praetores edictiim proposue- rant supplend.i, corrigendi, adiuvandi iuris civilis gratia, sic et aediles curules, non plebis, edictuin proponebant , nonnuUis de rebus , cjuas inter et de sumptibus funerum; ut et ipsi, in iis quae suac ciirae demandata erant, ius civile supplcrent, cor- rigerent, adiuvarent. Sic cum duodecim tabulis cau- tuin essct, ne amplius quam decem tibicines in fu- neribus adhiberentur (I), id repetitum fuit edicto aedilicio, teste Ovidio, qui loquens de tibicinibus ait : Adde quod aedilis, pompa qui funeris irent, Artifices solos iusserat esse decem (2). Pari ter cum lex iussisset mortuorum corpora cuni auro non bumari, aediles vetarunt etiam ne quid pretiosius ornamentum una cum mortuo conderetur. lluius rei testis est inscriptio in duplici lapide re- perta ad G. Cestii monumentum via ostiensi, nunc in aedibus capitolinis asservata, quae talis est : (i) Cic. lib. II de Icgibus §. 20 (2] Ovid. Fast. VI, V. 663,(34- G.A.T.LXXIX. 19 290 Letteratura M . VALERIVS . MESSALLA . CORVINVS P . HVTILIVS . LVPVS . L . IVNIVS . SILANVS L . PONTIVS . MELA . D . MARIVS NIGER . HEREDES . C . CESTI . ET L . CESTIVS . QVAE . EX . PARTE . AD EVM . FRATRIS . HEREDITAS M . AGRIPPAE . MVNERE . PER VENIT . EX . EA . PECVNIA . QVAM PRO . SVIS . PARTIBVS . RECEPER : : : : EX . VENDITIONE . ATTALICOR QVAE . EIS . PER . EDTCTVM . AEDIL IN . SEPVLCRVM . C . CESTI . EX TESTAMENTO . EIVS . INFERRE NON . LICVIT Cum C. Cestius iussisset in suo testamento, attalica stragula Inferri in sepulcnim smini, cumqiie id ac- dilicio edicto vetitnm essot, heredes ex ea pecunia binas statnas ponendas curarunt, addita in basi in- scriptione qu im rellulimus, ut memoria testatoris alio et licito genere celebraretur (1). Ceterum or- namenta inferri non debere in monumentum , etsl testator hoc iusserit, patet ex phiribus iuris nostri locis (2). 69. Simili modo qnod de sumptil)us funerum lege XII labularnm cautum erat, et in aedilicio edi- cto repetitum fnit, ita ut liaec probibilio videretur (i) Confer Modesllnuni in 1. legatum civitati i6 ff.de usu et usufructu legato. (2) L Et si quis impedinl §. fmicris ff. de relig. et sumiit, funerum. L. Servo alieno §. iuej)las de legalis primo L. ult. §• ult. de auro et argento legalo- Vita Skr. Sulpicii 201 ex iure honorarlo descendere, quamvis et leglbus id cautum esset. Quae nam sumina iiaec csset, quam excedere non licebat, mihi non liquet : puto tamen eam variani fuisse prò modo facultatiira. Movcor eo, quod et Plato funerum sumptus praetinivit , ex censii, a minis qiiinque usque adminam(l). Po- tueriint aiitcm decemviri et Sylla et aediles simi- le ius statuere, summam praefiniontes aliam primae classis hominibus, aliam secundae, et ita deinceps. Huc vero referendum puto locum Ulpiani in 1. Et si qids §. haec aedo fF. de religiosis. Ait enim : Sciendum est nec voliintatem tesiatoris sequendam^ si res egrediatur iustam sumptus rationem-. prò mo- do enim facidtatum debet sumptus fieri. Iustam, intelligo legitimam. 70. Sed dicet aliquis; Ecquid est, quód tam ma- gnifica et sumptuosa monumenta romani extruxe- runt, si id vetitum erat ? Respondeo primum, poe- nam additam fuisse legl, ut quo plus insumptum in monumento esset, quam lege concederetur, tan- tundem populo penderetur (2). Hanc vero aequo animo solvebant ii, quibus in animo erat sumptuo- sum monumentum extruere, prout de se testatur Cicero in citata epistola. Serioribus vero tempori- bus et mulctam in desuetudinem abiisse facile cre- diderim; et quod Ulpianus ait, nec voluntatcm te- statoris scquendam, si res egrediatur iustam sum- ptus rationem, id tantum significare puto , here- dem non teneri in hoc morem gercre voluntati te- statoris; ccterum liberum ei esse, si velit, id in fii" (i) Cic- lib. II de leyibus §- 26. [1) Cic. ad Alt. lib. XII, cp. 55. 292 LKTTKIIA.TUR1. niis insumore, quod testator iusserit; sublata iam , desuetudine, proiiibitionc aedilicia, ne quis plus cer- ta summa in funus impenderet. Quod etiam suadet vetus inscriptio , quae in coenobio s. Pauli extra- muraneo asservatur, ubi legitur : Cidus honorificae vìtae non iinmenior heres Quinqungiiita meis millibus., ut volai, Nane aedeni posiate struxitcjue novissima tempia Manihus et cineri posteriisque meis. Sed et Svetonius memoriae prodldit, Ncronem fu- neratunì fuisse impensa ducentorum rnillium stra- gulis albis auro intextis (1). 71. Verum de diverticulo aliquando redeamus in viam. Senatui igitur placuit, ut id ediotum de funeribus funeri Ser. Sulpicii remitterelur, volens ut in honorem tanti viri plus impenderetur, quam quod edicto acdilicio concedebatur. 72. Item itti lociun sepulcro in campo esqui- lino C. Pansa consut, seu quo in loco videhitur , pedes triginta quoquo versus assignet, quo Ser. Sul- picius inferretur. Campus esquilinus locus publi- cus erat sepulturae destinatus: et hoc Miserae ple- bi stahat commune sepulcruni, ut ait lloratius (2), quia scilicet in id unicuique fas erat mortuumj'n- ferre, cum locus publicus csset, et adamussim buie rei attributus. Nam generaliter in locum publicum nemini fas esse raortuum inferre, et, si inferatur, (i) In Nerone e. 5o. [i) Lib. \, sat. Wlii, V. IO. Vita Ser. Sulpicii 293 locum religiosum non fieri, et ratio luris suadet , et Cicero ipse docet (I), 73. Sf^natus igitur iussit, consulein in campo esquilino locum seligere per triginta pedes tam in fronte cjuani in agro porrectum, quem in locum Servius inferretur. Ob id igitur campi esquilini mentionem hic facit Cicero, quia cum is publicus esset , in eo opus non erat ut locus coemeretur. Tamen id sententia Giceronis in consulis potestate relinquebatur, utrum vellet illuc inferre, an alium locum coemere. 74-. Quod sepulcrum ipsius^ llberoruin, poste- rorumque eliis sit, itti quod opti/no iure sepulcrum publice datmn est. Liheris posterisque eius ; fre- quens haec dictio est, et id valet, quibuscumque ex Servio descendentibus, nulla habita ratione nec sexus , nec agnationìs. Interest cniin familiare se- pulcrum sit an hcreditarium: hereditaria enim he- redum eliam extraneorum sunt ; familiaria posfe- rorum tantum, qiiamvis heredes non sint (2). Opti- mo iure., id est sepulcrum illud ad posteros Servii pertineat, perinde ac si eis mancipatum, vel in iu- re cessum, vel ab iis usucaptum esset. Veruni qui- denj est, scpulcra non esse in commercio, et ideo nec vendi nec donari posse: sed hoc intelligendum est, cum iam religio locum occupavi t; non de mo- numento puro, in quod quispiam mortuum inferre in animo habet. Ait enim Ulpianus: Si adhuc mo~ numentuni purum est., poterit quis hoc vendere et [\] Gic. llb II de legibus §. q3. (2) L. familiaria scpulcra 5 et 6 ff. de rellgiosis. 21)4 Letteratura donare (1). Plano qiiamvis Lona pars campi esqiiU lini religiosa cssel, nempe loca illa in quibus ho- mo conditus crat, attamen locum purum in eo se- ligere debebat consul, et Servii Sulpicii monumen- to destinare. Quem locum ita ad Servii posteros per- tincre placuit senatui, perinde ac si ipsi locum il- lum optimo iure coemissent. 75. Verba Giceronis explicavimus, in quae se- natus consultum factum esse patet ex eo quod Pomponius dicat, suo tempore exstare statuara prò rostris Augusti, quod ctiam testatur D. Hierony- mus apud Eusebium. Non absurdum ideo est, se- natum qui in re maioris momenti, ceu statua erat. Ciceroni assensit, etiam in aliis eius sententiam et auctoritatem secutum fuisse. 76. Unum vero milii liceat adnotare, quod animadversum non fuisse miror. Pomponius enim ait (2): Statuam ei P, R. posiate hodieque exstat prò rostris Augusti. Non idem est forum romanum ac forum Augusti : foro romano forum Caesaris ad- iunclum fuit, foro Caesaris forum Augusti. Igitur id vult Pomponius, ut mihi quidem videtur, sta- tuam Servii, quae posita fuerat in rostris fori ro- mani, postea translatam fuisse in rostra fori Augu- sti. Non mirum vero est, Augustum ad suum fo- rum ornandum statuas ex velcri bus rostris sustu- lisse, et in nova transportasse. Quod et ob eam rem fecisse Octavium puto, quia et Gn. Octavii maioris sui statua erat in rostris fori romani (3), (i) L. Vel quae, §. ull. ff. de r {'i) Ij. 1 fi. de orig. inr. (3,1 Philipp. IX, §. 2. Vita Skr. Sulpicii 293 quam una ciim aliis statuls, quae in iìsdem rostris erant, in novi fori rostra eum transportasse facile crediflerim. 77. Inscriptlonein vero, cjuam in basi statuae insculpam fiiisse patet ex Cicerone , refert Reine- sius (1), et nos hic siibiiciraus» SENATVS. POPVLVSQVE. ROMANVS SER.- SVLPIGIO. Q. F. LAEMONIA RVFO. QVOD. DIFFIGILLIMO. REI? TEMPORE. AVGTORITATEM. SENATVS SALVTEMQVE. POPVLI. ROM. VITAE. SVAE PRAEPOiNENS. IN. LEGATIONE. MORTEM OBIERIT. VlTAÈ. CONSElNTANEAM De qua inscriptione tamen libentissime Eve- rardi iudicium sequor, qui eam prò confida ha- bet; eo magis quod Reinesius alt se illam non vi- dissc, sed a quodam accepisse, qui ubinam eam in- veneri t non dixit. Attamen eyidenter apparet, ve- ram inscriptionem non multum ab liac difFerre po- tuisse; siquidem ex Tullii verbis confida haec est. 78. Utinam vero simulacrum illud ad nos per- venisset! Vultum non ignoraremus tanti viri qui in iconocrrafia romana non exstat. Si vero habitus corporis eiiis ad nos non pervenit, pervenit certe imago eius animi, qui corpore praestantior est. Ex iis enim quae diximus apparet, Servium veterum morum sectatorem, frugi, et disciplinarum om- nium studiosissimum tuisso, in iurisprudentia ve- ro longe excellentem. In republica procuranda, ab- (t) Pag. 5o4- 1296 Letteratura sc((ie pnrtiiim studio, scmper hono palrìae consd-» luit. Nam ciim idem sentirei quod Cicero, tamen magis popiilarem se praebuit, tum cum legem Grac- chi de confusione suftVagiorum, Maniliicjne de li- hertinis siiadere conatus est (1), tum cum furenti collègae in consuiatu suo resti t:t (2). Cum bellum exarsisset, auctoritatenl scnatus secutus cum pom- peianis fuit, nec postea ullo in tempore reipubli- cae defuit. Siquideni iusti et aequi teilax, id quod maxime e republica sibi vidcbatur esse suasit sem- per. Itaque et optimatibus carus, et non invisus po- pularibus fuit. 79. De secta vero philosophorum cui addictus foret Servius, Everardum scquor qui piitat nuUius sectae eum fuisse, sed liberi iudicii, ut sapienles decet. Nam et Cicero ob id novae academiae secla- tor erat, quia nuHum dogma habeijant academici: sed quod magis ipsis probabile vidcbatur, seque- bantur. 80, Nune vero reslat ut allquid de progenie eius dicanius. Postumiam eum uxorem duxissc di- xinaus, quae ci snperfuit (3). Ex ea filitim suscepit Servium, queni accusasse Muraenam, cum Caesarc Brundusii militasse, postea se in disciplinam Gicc- ronis tradidisse, vidimus. Senatorem eum fuisse pa- tet ex nona plillippica, cum Cicero dicat eum hi- ctu afflictum in senatum non venisse ilia die (4). Ex iis quae supra diximus apparet, eum, cum pa- (i) V. ({. ig et 70. {f.) V. 5. 5i. (5) Philipp. IX, §. 3. (4) Ibidem §. 5. Vjta Ser. Sulpicii 297 io.v inorerclur, plus qiiain triginta qulnque annos niitiim fiiisse (1). Quoti vero nonnulli aiant, Ser- viiun fìlinin trihnnum plebis fiiisse, falsum est, ncc ullo vetcì'uin testimonio patet. Quoti et Everai'dus rccte negavi t. Exceptioiiem vero vel hanc subiicere poterai peremptoriam, quoti Servius patricius es- sot. Nec enim eum Glodii exempUim sccutum fuisse facile quis sibi persuascrit. Quamoljrem valtlc mi- rop, hunc errorem repeti tuni fuisse a I.Vict. Ledere in ciceroniano intlice editionis Augiistae Taurino- rurn A. MDGGCXXXLV, nullo vetcrum loco citato. 81. Eum attamen magistratum fuisse, et fortas- se suffectum consulem, indicare videtur Festus, qui in voce sifiis ait: S/fus usurpatimi est prò tu- bis ipsis: iti qiiod graece dicititr ) Astronom. lib. IV, v. 2i3, i4- Vita Ser. Sulpicii 299 fuisse neptem Ser. Sulpicii (1). Servii igitur gna- tam Tubero habuit in matrimonio, ex qua genuit filiam, quac Cassii Longini mater fuit, qui ideo pro- avum suum Ser. Sulpìcium appellabat (2). 84. Quid vero dicemus de Sulpicia illa Tibulli, quae se iactat filiam Ser. Sulpicii (3) ? Everardus Broukusium secutus scripsit, ea carmina tribuen- da esse Sulpiciae poetriae, uxori Galeni, quae flo- ruit temporibus Domitiani, et ideo nil pertinere ad nostram hanc disputationem. Sed et Vulpius et Heynius consenserunt aevo augusleo scripta fuisse illa carmina; nec aliud asserere sinit, elegantia et pulchritudo carminum illorum. Cum vero tempo- ribus Augusti ea scripserit, indignatione permota se non vile scortum, sed Servii Sulpicii esse filiam , ecquis alius Servius in mentem venit , nisi noster liic ? Quamvis eninx, ut Heynius ad illa carmina notai, et alii Servii Sulpicii tunc temporis fuerint, quod tamen mihi non liquet, attamen de nullo alio poterat Sulpicia illa tam iure gloriar!, nisi de Ser- vio hoc nostro , non de alio quodam obscuro ho- mine, si modo quis exlitit. Fuit igitur illa ipsa uxor Tuberonis, an alia Servii filia ? Postremum id pro- babilius est. Veruntamen non absurde quispiam pu- taveritjhanc neptem fuisse Servii Sulpicii, cuius vi- tam scribimus, filiam vero Servii adolescentis. Ra- tio temporum conveniret. Nam ante annum dccxxxv, quo anno TibuUus obiil, scripta esse illa carmina apparet: puto enim Tibulium, Sulpiciae nomine, ea (i) Pomp. 1. 2 de or. iiir. (n) Ibidem. (3) Tibul. lib, IV, el. IO, V. 4. t 300 Letteratura carmina scrlpsisse, ob ea quae disputata sunt in li- bello quodam de vita et scriptis Albii Tibulli (1). 85. Superest nunc ut de Servii scriptis sermo- nem instituamus. Quae quidem duplicis speciei sunt: vel enim ad ius pertinent, vel non. Et primum vi- deamus de iis, quae ad ius pertinent. Libros itaquc reliquit centum octoginta, qui et tempore Pompo- nii exstabant: et per eos scripta praeceptorum eius nota erant , quae aliunde non talia erant , ut ea omnes appeterent (2). Frammenta, quae supersunt, haec sunt: I. De reprehensis Scaevolae capitibus, sive no- tae ad Q. Mucium. Frammenta huius operis, quae exstant, sunt in A. Gellio lib. IV, e. 1: in Digestis lib. XVII, t. 2, 1. 30: lib. XXXII, 1. 29: lib. XXXIII, t. 9, 1, 3: lib.XL, t. 7, 1. 39: lib. L, t. 16, 1. 25. Ita inxla Ant. Augustinum (3), quibus locis adiungi possuat hi tres lib. XVII, t. 2, 1. 65: lib. XLVII, t. 2, 1. 70: lib. L, t. 16, 1. 122. IL Llber singularis de dotdjus. Gellius Uh. iV, cap. 3 et 4. In capite qu irto legimus fragmentum maius legallum operum Servii, quod supersit , ex I quo discimus sponsalia apud latinos obligat.onem induxisse matrimonium contrabendi, vel id prae- standi quanti interesset matrimonium contractum non esse: et hoc ius in latio viguisse, donec, lega iulia, data civitate universo Latio, in eo ius roma- num obtinuit, quod diversum statuere, notum est. (,) Giornale arcadico, tomo LXXYI, voi. 226, 227. (•2) Pomp. loc cit. (3) De nominibus pandectarum. Vita Ser. Sulpich 301 Praetei*ea ad liunc librum Ant. Augustinus refert lo- cum digestorum lib. XII, t. 4, 1. 8. Sed et huc re- ferenda sunt loca quae sequuntur: lib. XXIII, t. 3, ]. 79 et §. 1 eiusdem legis, lib. XXIV, t. 3, 1. G5, et lib. XXXVIII, t. 10, 1. S. III. Duo libri ad Brutum, ad edictum subscri- pti, quara brevissimi (1). Subscrlpti: id indicat, Servium edicti verba re- tulisse, et interpretationeni iiniciiique capiti subie- cisse, ut postea Ulpianus et Paulus fecerunt ad edi- ctum perpctuum. Servius vero edictum tralatitium interpretatus est. ^d Brutum: hoc est M. Bruto in- scripti ; non enim nofae sunt ad Brutum iuriscon- sultum, quia edictum Servius interpretabatur. Pri- mi libri exstat fragmentum in Dig. lib. XIV, t. 3, ]. 5. Sed et ad hosce libros, primum \el secundum, referenda puto loca haec, lib. IV Dig. t. 6, 1. 2G, hb. IX, t. 1,1. 1: lib. XL, t. 12, 1. 24. IV. De sacris detestandis, libri saltem duo; nam a Gellio liber secundus citatur lib. VI, e. 12, quod unum exstat huius operis fragmentum. Nec mirum, cum id ad ius pontificium spectet. Agebant autem hi libri de translatione sacrorum privatorum de una in aliam domuna. V. Commentatio, quamobrem mensa linquen- da non sit. Mentionem liuius iniicit tantum Plinius in hisloria naturali (2). Et haec spedasse videtur ad ius pontificium : quod forlasse non sinebat, ut xnensae in niediis sacris conviviis relinquerenlur. Servium vero et excellentem fuisse in iure ponti- fi) Poinp. loc. cit. (2) Lib. XXVIII, 5, 4. 302 Letteratura ficio, et id M. Brutum Sami docuisse, superius di- xi (1). VI. Portasse et aliquld scrlpsit ad aedilicium edictum. Geli. llb. IV, e. 2. VII. Aliquot libros responsorum Servium edi- disse existimo ex responsis eius, quae saepe in di- gestis citantur. Portasse collecta haec fuere ab au- ditoribus eius. Vili. Ad leges XII tabulariim videtur ali- quid scripsisse Servius ex 1. 238 ff. de V. S. et ex Feste in voce Pedem stritit. Sed et alia frammenta omnia relata a Festo in bis vocibus Orba, Postica linea, P^indiciae, Noxa et Sanates^dià hoc opus sunt referenda. IX. Denique ex incertis libris. Talia sunt alia omnia , quae ad nullum librum referri commode possunt. Omnia vero frammenta legalium operum Servii haec snnt. Gic. in Top. §.9: (2). Gellius lib.IV, e. 1,2, 3, 4 et lib. VI, e. 12. Macrob. lib. 3. Saturn. Festus in sex illis vocibus, quas nuper citavimus; octoginta vero et unum in digestis, quae videri pos- sunt in aureo libello Ant. Augustini, de nominibus pandectarum. Demum adde quatuor alia loca, quae I viginti abbine annis ad vitam redàere ob inventio- j nem commentariorum Gaii. Sunt vero lib. I, §. 188; ! II, 244, III, 179, III, 183. Et haec sunt omnia frag- menta , quae supersunt , legalium operum Servii numero nonagincta octo. Male igitur Terrassonius 1! (1) V. §. 5o. (2) lunge locum huuc cum 1. in bello \i ff. de capt et pò- stliin. reversis, quae eamdeni sentculiam exliibet. Vita Ser. Sulpicii 303 ea enumer;ìt ad octoglnta duo {A). Iiistinlanus etiam, in institutionlbus, binis in locis Servliiin citat, li- bro primo tit. X[II, et libro tertio tit. XXV, §. 2; sed horiim locorum idcirco rationem non habui, quia repetita sunt in digestis lib. XXVI, tit. 1,1.1 etlib.XVII, tit.2, 1. 30. 86. Progrediamur vero ad ea scripta Servii , quae ad ius non pertinent. Et primum tres oratio- nes eum scripsisse, ob quas insignem non immerito famam obtinuit, lestis est Fabius (2). Everardus Ilio dubitai utrum de hoc loquatur Fabius, an vero de Sulpicio tribuno plebis. Sed , omissis caeteris quae dici possent, id unum sat erat animadvertere, Sulpicium tribunum plebis non potuisse centra Messailam causas orare , qui tot annis post eum lloruit. 87. Unar/i vero trium harum orationum illam contra Muraenam fuisse credibile est; de altera ve- ro Quintilianus idem mentionem facit, dum ait, Ser- vium prò Aufidia quadam contra Messailam dixisse: quam quidem iam senem dixisse, ex eo colligi po- test, quod Messalla multis annis minor natu Servio fuit. Quas orationes Messallae et Servii tantopere fecit idem emunctae naris iudex, ut de iis statini post orationes de Ctesiplionte Demosllienis et Aes- chinis mentionem facere non dubitaverit (3). Ve- runi hic quaestio est , utrum Servius prò Aufidia (i) De tout ce grand nomljre d'ouvrages il ne nous est reste qiie qiiatre vingt deux passages dispersès dans le digesto, et dans quelques auteurs anciens. (u) Lib. X, e. 1, §■ 1 16, X, 7, 3o. (3; Quiiit. X, I, 22 304 Letteratura tlixcrit, an centra eam: siquiclem Quintilianus ipsc alibi citat orationem Servii Snlpicii contra Autì- diam (1). Sed fjuoniain duobiis in locis ait prò Au- fidia (2), uno vero in loco tantum contra : et quo- niam etiani Festus in voce Maiicìpatus ^ fragmen- tnm recitat orationis Servii prò Aufidia; facile est ilio in loco, quo scriptum est contra Aufìdiam, sive amanncnsium negligentiam, s!vc niemoriae lapsum Fabii ipsins, recognoscere. Fx fragmentis illius ora- tionis, (juae in Festo et in Fabio leguntur, scatet controversiam illam fuisse de iure privato. 88. Tcrtia vero oratio vel ca fuit, quam in se- nalu de pace habuit initio consulatus sui, cuius su- pra mentionem feci, vel oratio aliqua ab eo habita in scnatu post mortem Gaesaris: puta Illa, qua sua- sii ne ullae tabulae post idus martias Bgerentur. 89. Diximus de orationibus Servii; scquuntur episloiae. Cuiusdam epistolae a Servio ad Varro- nem missac, ut eum perconlaretur de favissis ca- pitolinìs, meminit Geliius (3). Duae vero elcgantis- simae exstant ad M. Giceronem epistolae, de qui- bui? supra loculi sumus, altera ut ei narrarci mor- tem M. Marcelli, altera vero ut eum de obitu Tul- liolae solarelur: e quibus, ut ail Everardus, inge- nitim Servii nosci potesl , tanquam ex ungue leo. Elenim haud facile in syntagmate ilio vel Cicero- nis , vel cuiusdam alius coaevi scriptoris elegan- tiores inveneris epistolas. (i) Lib. VI, I, 20. (2) X, I, 9.2 et IV, 2, 106. (3) Lib. II, e. IO. Vita Ser. Sulpicii 305 90. Sed et carmina iocosn Serviiis script! tavit. Siquitlem et Plinins iunior scribens ad Aristonein ìtirisconsultum ut se excusaret, quod versiculos pa- rum severos scripsisset, exemplum affort inultorum illustrium virorum aetatis aureae, qui idem fece- rant, quos inter et Servium Sulpicium nominai (1). Id et Fabius indicai (2), et Ovidius aperte teslatur, canens (3): Nec siint Hortensi^ nec siint minus improba Servi Carmina. Quis diibitet nomina tanta sequi ? 91. Commentarios quoque causarum a se acla- rum reliquit (4), qui tamen inter opera adnume- randi non sunt. Et quoniam de Servii scriptis agi- mus, et illud dicemus, Ser. Sulpicium solitum fuis- se subtrahere S litteram, quoties ultima esset, alia- que consonante susciperetur, quod Quintilianus rae- moriae prodidit (5). Quod Everardus intelligit de Sulpicìo tribuno, et nonnulli etiam dubitant, utrum ad Servium nostrum referendum sit, an ad alium. Ego vero dubi laudi causam non video; nam de Sul- picio tribuno nunquam mentionem facit Fabius , de Servio vero nostro plurimis locis, ut vidimus. Et quoties Servius in veteribus auctoribus simpliciter nominatur, intelligendum est semper de Servio no- (i) Llb. V, epist. 3. (2) X, 5, 4- Videtur ex iis quae alt Fabiui, Servium graeca quaedam carmina in Ialina transtulisse. (3) Tristium libr. II, v. 44o. (4) Quint. Inst. X, 7, 3o. (5) IX, 3, 38. G.A.T.LXXIX. 20 306 Lettsratìira Siro, qui relebrior omnibus fuit, nisi alìud senten- tia flagitct. Et haec omnia sunt, quae de Servii operibus dici possimi. Nec enim Zasio obtemperandum est, qui cum legisset in Pomponio, praeceptores Servii iiotos esse ob id quod in suis scriptis eos Servius laudasse! , putavit Servium conscripsisse vitas ex- cellentium iurisconsultorum: quem errorem merito explodunt et Rutilius et Everardus. 92. Cum igitur omnia Servii et facta et scri- pta,quae quidem milii cognita sunt,exposuerim,non de laudibus Servii orationem instituam, sed potius bic testimonia et elogia praecìpua veterum de Ser- vio nostro recensebo, ut magis magisque appareat principem illum fuisse virum. Equidem, ut Cice- ro eloquentia excellebat, ita iurisprudentia Servius, princeps iurisconsultorum omnium, quot tunc erant, quotque ad id ttMnpus fuerant. Qualis Papinìanus se- quiori aevo, talis Servius, libera republica fuit. Pri- mariis vero eius aevi viris amicitia devinctus fuit, Ci- ceroni, Attico, Catoni, Caesari, Bruto, Trebatìo, a- liisque. Auditores vero habuit multos, qui principes iurisconsulti actate inscquenti fuere. Inter eos prae- cipue a Servio Alplicnus Varus et Aulus Ofilius profecti sunt (1). De auditoribus Servii mentio fit etiam in /. 6,//'. de dote praelegata.,et in l. 1'2, /f. de fundo instructo i>el instrumento legato. Demuxo. et ad laudem Servii hic animadvertam ex octoginta et una sententiis Servii, quae in Digestis referun- tur, octo tantum reprobar!. Haec loca subscribere iuvat. Lib. IV, t.3, 1. 1; lib. XXX, 1. 63; lib. XXXIII, (i; Pomp. 1. cit. VtTA Sei\. Sui.prcii 307 t. 7, 1. 10, §. 1; lil). XXXIII, t. 9, 1. 3, §. 3; lib. XL, t. 7, 1. 39; lib. XLIII, t. 17, 1. 3, §. 9; lib. XLVII, t. 2, 1.76, §. 1; lib. L, t. 16, 1. 122. Secl iam te- stimonia veterum adscribamus. 93. Cicero libro IV ad diversos epist- III ad Ser. Sulpicium: 2^e autem ab initio aetatis memoria fejieo, sum- me omnium doctrinarum studio sum fuisse, omnia' que, quae a sapientissimis ad bene vis>endum tra- dita essente summa cura studioque didicisse. In epist. sequenti ad eumdem: Et ego ipse, quem tu per iocum, sic enim ac- cipio, di\>itias orationis habere dicis, me non esse verborum admodum inopem agnosco , it^^''X)VÌvsa^oci enim non necesse est : sed tamen idem (nec hoc £:o!i)y£U5/Ji£vc- ) facile cedo tuorum scriptorum subtl- litati et elegantiae. - Idem libro primo de legibus §. V: Sii ista res magna, sicut est (ius civile): quae quondam a multis claris viris, nunc ab uno, summa auctoritate et scientia sustinetur. Idem in Bruto §• 41 ad 43. Quem locum, quìa satis longus est, indicasse suffioiat. Idem philippica nona capite V: Nam reliqua Ser. Sulpicii vita multis erit prae- clarisque monumentis ad omnem memoriam commen- data. Semper illius gravitatemi con stantiam, fidem^ praestantem in republica tuenda curam atque pru- dentiam, omnium mortalium fama celebrabit. Nec vero silebitur admirabilis quaedam , et incredibilis ac pene divina eius in legibus interpretandis, aeqni- tate explicandn , scientia. Omnes ex ornili aetate, qui hac in civitate intelligentiam iuris habuerunt. 308 Lettiratura si unum in locum conferantur^ cutn Ser. Sulpicio non sunt comparandi. Neque enitn ille magis iuris consultus, quam iustitiae fuit. Ita^ qiiae proficisce- bantur a legibus et a iure civili, setnper ad faci- litatem aequitatemque referebat : neque instituere litium actiones mallebat, quam controversias tollere. Ergo hoc statuae monumento non eget; habet alia maiora. Plinius in historia naturali lib. XXVIII, 5, 4: Servii Sulpicii principis viri commentalo est, quamobrem mensa linquenda non sit. Quintilianus in institutlonibus oratoriis, lib. X, e. 1^§. 116: Et Servius Sulpicius insignem non immerito famam tribus orationibus meruit. Idem lib. XII, e. 3, §. 8: yerum et M. Cato cum in dicendo praestan- tìssimus, tam iuris idem fuit periti ssimus, et Scae- 'volae Servioque Sulpicio concessa est etiam facun- dine virtus. Idem lib. XII, e. 7, §. 3: Ideoque principe s in republica viri non detre^ ctaverunt hanc ofjicii partem (accusandi), creditique sunt etiam- davi iuvenes obsidem reipublicae dare malorum civium accusatione m\ quia nec odisse im- probos, nec siinultates provocare , nisi ex fiducia bonae mentis, vidùbantur. Idque cum ab Hortensio, Lucullis, Sulpicio-, Cicerone, Caesare, tum ab utro- que Catone factum est. Idem lib. XII, e. 10, §.11: Hic vini Caesaris, indolem Caelii, subtilitatem Calidii, diligentiam Pollionis, dignitatem Messal- ine, sanctitatem Calvi, gravitatem Bruti , acumen Sulpicii, acerbitatem Cassii reperiemus. Vita Ser. Sulpich 309 A. Gellius, Noci, atticarum lib. II, e. X: Servius Sulpicius, iuris civilis auctor^ vir bone literatus. Idem lib. VI, e. XII: Servius Sulpicius iuris consultasi vir aetatis suae doctissimus, Petronius Sat. e. 137: lurisconsultus paret, non parete habeto^ A Èque e sto quidquid Servius et Labeo. Demum Manillus, Astronomlcon lib. IV, v. 213, 14 loquens de signo librae: Non alio potius genitus sit Servius astro , Qui leges proprias posuit, cum iura retexit. 94. Verum post haec omnia quae de Servio scripsi, liceat milii liuc aliam non iniucundam di- sputationem altexere prò Coronide scriptionis huius. Siquldem cum animadverterem quanto in honore Servius fuisset his extremis reipublicae temporibus, quantaque amicitia Tullio foret devinctus , valde mirum mihi videbatur nuUum ei ex tot suis ope- ribus Tullium inscripsisse. Etenim et pleraque M. Bruto, et exhortationem ad philosophiam Horten- sio, et de academicis prioribus alterum Catulo, al- terum vero LuciiUo, posteriores Varroni, topica Tre- batio inscripta fuisse constat. Vehementer igitur su- spicabar, aliquem librum et Servio nostro Tullium inscripsisse. 95. Cum vero revolverem ciceronianum opus de republica, quod bisce temporibus e situ palira- psestorura erulum fuitab eminentissimo Maio,quem 310 Lktteratura virum, ut par est, honoris amplitudinisque caufesa nomino, gravis admodum milii dubitatio exorta est, num Tullius Servio Sulpicio libros de republica in- soripserit. Et multa erant, quae me ad id suspican- dum adducerent. Verbis enim modisque dicendi le- gitimis et forensibus libri illi conferti sunt, ut mo- ris erat Tullio, cum sive ad Servium sive ad Tre- batium scriberet. Id probatur ex plurimis locis, pu- la libro I, §. 6 et 13; libro II, §. 31, 35, 36, 37; libro HI, §. 5, 7, 10, 14; libro IV, §. 8; libro V, §.2,3. Deinde videturmihi Giceronem per interposi- tam personam Manilii iurisconsulti de Servio loqui, diim a.it: Sic noster hic rector studuerit sane^ et iuri et le gibus cognoscendis: fonte s quidem earitm uti- que perspexerit^ sed se responsitando et lectitan- do, et scriptitando ne impediat, ut quasi dispensare rempablicam., et in ea quodammodo villicare pos- sit (1). Pariter et illud ad Servium spectare videtur. Lael: Immo vero te audiamus- nisi forte Manilius interdictum aliquod inter duos soles putat esse com- ponendum , ut ita caelum possideant ut uterque possederit. Tum Manilius'. Pergisne, Laeli^ artem illudere^ in qua primum excello ipse; deinde sine qua scire nemo poteste quid suum^ quid alienum (2)? 96. Huc accedit quod in mss., cum sermo sit de Servio Tullio rege (3), loco Ser. Tullii legatur Ser. Sulpicii, ob perspicuum sane amanuensis erro- rem. Quam ad rem notat Moserus: Nam quod in cod. est Sulpicius, id facile in calamuni venire pò- (I) Lib V, S. -x. [1] Lib. I, S- »5. (5) Lib. 11, <;. ai. Vita Ser. Sulpicii 311 tuìt homini, qui in /ustoria romana toties Ser. Sul- picii nomen legisset, cwn plures eiusdem nominis variis temporibus fuerint viri celebres. Sed a gè; ce- lebrior est certe in historia romana Servius Tullius rex, quam ullus Sulpicius. Nec vero necesse est pe- ritimi romanae historiae existimarc amanuensem , qui innomine Tullii regis tam lurpiter erravit. Fa- cile ideo adducor ut putem , librarlum indoctum Ser. Sulpicium scripsisse, deceptum ex eo, quod initio libri scriptum fuisset ad Ser. Sulpicium: nam vaticani palimpsesti reliquiae non a principio ope- ris exordium summit, sed pauUo post. 97. Verum eminentissimus Maius cum quae- reret, cui nam opus de republica inscriptum esset, putavit Attico librum hunc inscriptum fuisse , quamvis id dubitanter dixerit , et de Q. fratre et de Varrone etiam coniecturam protulerit. Sed Mo- serus prò certo id affirmavit. Ratìones autem ob quas eminentissimus Maius probatum ivit, boc opus Attico inscriptum fuisse, hae sunt. Proemium ope- ris ad Atticum quadrare, quasi euni excitare ve- lit Cicero ab otio ad capessendam rempublicam. Atticum saepe bos libros laudasse , et ei inscri- ptum fuisse Laelium, cuius operis mvdtae sunt cum hoc congruentiae. Attico demum convenire pos- se, quod ait Cicero in proemio sui operis: Dispu- tatio repetenda est, quae mihi, tibique quondam adoleseentulo, est a P.Rutilio Rufo Snijrnae, quuni simul essemus complures die s, expo sita (1); nam Al- ticus Ciceronem vidit Athenis eo tempore, et cre- dibile est eum secutum fuisse in Asiam Ciceronem. (i)Lib. I, 5- 8. 312 Letteratura Veruni ut liae rationes penitus doctlssimo viro non satisfecerunt , ita nec mihi valde arrident ob ea , quae mox dicam. 98. Et primum contra Atticum fortasse facit , nimls severa vltuperatio illorum qui abstinent a re- publica procuranda. Quae vero afiferuntur de Lae- lio pariter Attico inscripto , et de laudibus qui- bus hoc opus Atticus ornavi t, leviuscula mihi vi- deo tur; sicut nec me movet , quod Moserus notat ad illam disputationem erainenlissimi Maii, ex quo tamen ille rem prò Attico confici exìstimat , scri- bens : Attico vero inscriptos esse revera hos libros^ praeter rationes ab ipso A.Maio allatas, demonstrat locus Ciò. Bruti cap. V: ubi postquam Cicero ob opus historicum ab Attico sibi inscriptum, simile aliquod u'jzì^'-jìpov ei promiserat, Atticus respondit : « E^o a te peto .... ut scribas aliquid ; iampridem, « enim conticuerunt tuae litterae: nam, ut illos de « republica libros edidisti, nihil a te sane postea « accepimus; eisque nosmet ipsi ad veterum anna- * lium memoriam comprehendendam impulsi atque « incensi sumus. Quod sane quid aliud indicai, nisi id quod et ex multis aliis locis apparet , Atticum nempe scriptorum Tuliii fuisse avidissimum, Tul- liumque ad eum sua omnia scripta, vix edita, mitte- re solilum ? lUud nihil a te sane postea accepimus^ nil aliud sibi vult, nisi ìiihil amplius tuorum legi- mus^ quia nil scripsisti. Quid enira rogat Atticus .'* Ut Cicero scribat aliquid, non ut aliquod opus sibi inscribat. Alioquin et dialogus ille de claris orato- ribus, qui Bruto inscriptus est, dicendus esset Atti- co inserì plus; quia Atticus ibi queritur, nil post edi- tos de republica libros a Cicerone accepisse. 99. Sed et locus alter conlra Atticum facit. Ait f Vita Ser. Sllpicii 313 cnim Cicero circa initiuin operis: AI. vero Catoni homini ignoto et novo, quo omnes qui eisdem rebus studemus, quasi exemplari ad industriarti virtutem- que ducimar (i); quo sane in loco non de se uno lo- quitur TiiUius plurali numero, quia ait omnes. At- ticus vero non vacabat honoribus, ideoque hoc ei apiari non polest. Optime vero id congruit Servio, qui etsi novus homo non esset, tamen eadem condi- cione erat ac homines novi, quia nobilissimae gen- tis Sulpiciae decus, oh maiorum incuriam tantum in imaginibus vivehat. Qucm locum de republica locus alter Giceronis eiusdem prò Muraena mirifice illustrat, ubi Servium alloquens Cicero ait : Quare ego te semper in nostrum numerum aggregare so- leo^ quod virtute industriaque perfecisti , ut cum equitis romani esses filius, summa tamen ampli- tudine dignus putarere (2). Cicero enim Servium, quamvis non novum hominem, inter novos tamen recensebat ob ea, quae diximus : locus hic igitur et centra Atticum et prò Servio facit. De codice ve-r ro sarmatico, ex quo narratur apparere ad Afticum hos libros inscriptos fuisse, ipse eminentissimus Ma- ius ait fabulis ea similia videri. 100. Reslat igitur ut locum illum considere- mus, ex quo probatur eum virum, cui hic liber in- scriptus est, aequalem Ciceronis fuisse, et una cum eo Smyrnae commoratum apud P. Rutilium Ru- Ifum (3^. Àge vero ? ait eminentissimus Maius, qui- \snani adolescentulus Ciceroni vel comes in ilio iti~ (i) Lib. I in principio. (2) §. 7- (3) Lib. 1, §.8. 314 Lkttkrìtura nere^ vel certe simul Sinymae versatus fingitur ? Atticas in primis menti occurrit, qui Ciceronem viclit eo tempore Athenis^ quemqite facile credide- rim comitem se Ciceroni in Asiam eunti ndiunxis- se: praesertim cum Atticus ad eas tra'ismnrinas re- giones identidem se conferret, negociorum et no- minum caussa-, quae ibidem habebat. Hactenus vir clarissimus. Ast ego priraum valde acklubito , u- trurn tuac Atticus Athenas reliquerit, et comes Ci- ceroni se adiunxerit in illa asiatica peregrinatio- ne. Moveor eo quoJ Nepos ait in vita Attici : Huc ex Asia Sulla decedens cum venisset ( Athenas ) qiiamdiu ibi fuit secum habuit Pomponium . • . . At Sulla adolescentis officio collaudato^ omnia mu- nera ei quae Athenis acceperat proficiscens ius- sit deferri. Pergit statini Nepos: Hic complures an- nos moratus .... tranquillatis autem rebus ro- manis, remigravit Homam, ut opinor, L. Cotta et L. Torquato coss. (1). Nec verbum iniicit de pere- grinatione ulla asiatica, cum tamen dicat lune Atti- cum Ciceroni ex patria fugienti HS ducenta et quinquaginta millia donasse. Moveor etiam , quod in Bruto , sive in dialogo de claris oratoribus , qui dialogus habetur Inter Atticum et Brutum et TuUium, Cicero ait : Memoria teneo Smyrnae me ex P. Rutilio audisse etc. (2). Sane si Atticus una cum Cicerone Smyrnam traiecisset, et ibi invisisset Rutilium Rufum, vix fieri posset, quin hic Cicero adiiceret aliquid, puta cum ibi una fuimus, ceu hoc loco de republica ait. Deinde, vero, Atticum in Asia (I) $. 4- (2) §.22. Vita. Ser. SuLPicir 315 una curn Tullio fuisse non liquet, proul ncc de Quinto fratro aliud scimns, nisi eum Atheni.s fuisse. 10!. D(i Servio vero Sulpicio scimus, ejim Tul- lium in hac {(cregrinatione asiatica comitaturn fuis- se ex Gii-'erone ipso in eodem libro de claris orato- ribus (1). Ait enim Tullius: Nam et in iisdem exev citationibus ineunte astate fiùmus^ et postea una Rhodum die etiam profectus est, quo melior esset et doctiur etc. Loquitiir autem de se et de Servio. Porro Rhodus extrema ex insulis est in ora Asiae sitis, adeout si Servius Rhodum usque una cum Ci- cerone perrexit, necesse est eum et Smyrnis una fuisse. Siquidom si Smyrnas usque Servius perve- nisset, certum non esset num et Rhodum se coiitu- lisset; cum vero Servium in insula Rhodo una cum Cicerone fuisse constet, ratio vult, ut etiam Smyr- nas eum attigisse , vel in eundo, vel in redeundo ex peregrinatione illa, credamus. Eo magis quod in opere ipso de republica consti tutionem reipublicae rhodiorum describi t Scipio dicens: Tuni ille: Quid tibi tandem, Furi, rhodiorum, apud quos nuper fui- mus una, nullane videtur esse respublica (2) ? Veri- simile igilur videtur Giceroneni illic indicare, eum, cui inscriplus liber est, secum una Rhodum conten- disse. Transfert enim saepe Cicero in personas dia- logorum, quod de se et de suis temporibus intelli- gil. Cum igitur dicat eminentissimus Maius : Àge vero quinam adolescentulus Ciceroni vel comes in ilio itinere, vel certe simul Smyrnae versatum ftn- (0 S- 4'- (3) Lib. Ili, i. 35. 316 LETTERATURA gìmiis ? Respondere possutnus; de nemlne M lique- re nisi de Servio Sulpicìo. 102. Huc accedi t, eliam tempus in quo id opus scriptum est, maxime sententiam nostram adiuvare. Editi enim libri hi videntur anno urbis DGGII vel DCGin ineunte. Recenter enim editos fuisse , cum Tullius in Giliciam profectus est, patet ex binis lo- cis. Alter, epistola est ad Atticum scripta ad insu- lam Delum mense quintili A. DGGIII,ubi a'it'.De rei- publicae stata litteras exspecto ^rsXajxwTSjO^v qiiidem scriptas , quoniam ineos cum IViellumeto nostro pervolutas lìbros (1): alter vero est, epistola Gae- lii ad Giceronem, in qua ait: Politici tui libri omni- bus vigent (2), quasi de libro nuper edito sermoncs hominum referens absenti auctori, Nec me movet quod multo ante incoepti sint libri illi: siquidem Tullium saepe scribendi operis illius mutasse ra- tionem, constai (3). Sic et postea Rutilium dialo- go adiunxit, ex quo ipse et alter ille sermones audi- verant. IQ'Ò, Anno vero DGGII interrex Servius fuit difficilimis reipublicae temporibus, eodemque anno consul designatus ; non absonum igìtur consuli sal- iera designalo opus de republica inscribi, in quo et nonnulla tanguntur de reipublice statu, qui tunc erat anceps ob binas factiones Caesaris et Pompeii; quod ipse deplorai, Scipionem inducens de calami- tate et discordia suorum temporum conquerentera (i) Lib. V, ep. 12. (i) Lib. Vili, ad div. ep. x. (3) Ad Q. fratrem II, il\, ad Alt. IV, i6. ViTA SeR. SULPICII 317 (1). Ad Servlum enim tunc maxime pertlneLat ma- 1Ì9 reipublicae mederl, quod ipse, quantum polult, praestitit. Ilisce vero caussis publicis et illa adiun- gitur privata, quod scimus circa id temporis Tul- lium cogitasse gnatam suam Servio filio nuplui da- re, ut amicitiae affinilatem coniungeret (2). 104. Haec igitur cura scripserim non ego qui- dem puto, me ad veritatem piane probasse, libros de republica Servio fuisse inscriptos; probabilioreni tantum coniecturam protulisse me reor, quam ullae aliae quae adhuc prolatae sunt. Sed de hoc docto- rum virorum esto iudicium, ac praecipue illius viri eminentissimi, qui, ut haec disputatio fieri posset , effecit. Iacobus Bruni. (i) Lib. I, $. ig. (3) Y. $. 36 jupra. 318 Vaes grave del museo kircheriano, ovvero le mo- nete primitive de^ popoli delV Italia media ordi- nate e descritte^ aggiuntovi un ragionamento per tentarne V illustrazione. 4.° Roma tipografia PuC' cinelli 1839. (Un voi. di pag. 120 con un atlante di 40 tavole in fol. bislungo). J_J antica moneta, per la special condizion sua co- nosciuta sotto l'appellazione di aes grave, si vuol noverare fra le testimonianze piìi nobili che dia dì se stessa la nostra Italia. In essa sta la pili irrecu- sabil prova delle primigenie e nazionali sue arti : in essa si serbano le memorie delle origini, della indipendenza, delle leghe, della gloria, de'commer- ci deVetusti suoi popoli. Non pertanto monumenti di tanto insigne importanza giacquero in sin qui, se non negletti ed ignoti, certo ne ordinati, ne in- terpretati, come meritavano di essere, e come gio- vava grandemente che fossero. A generosa ed utile impresa si accinser dunque due dotti padri della compagnia di Gesù, soci ambedue della pontificia accademia romana di archeologia: i quali avvisa- ta la gravità somma dell'argomento, con infinite cu- re ed indefesso studio, durato per più anni, si po- sero a far completa' la raccolta deli'aes grave, che in vari tempi, e dal cardinale Francesco Saverio Zelada massimamente, era stato adunato nel museo kircheriano. Donde non solo si accrebbe di prezio- sa e rara collezione quel celebre museo; ma si pre- parò la via alla illustrazione di quell'antichissima Aks grate 319 moneta, cho ora viene pubblicata. I nomi de'PP. Giuseppe Marchi e Pietro Tessieri, raccommandati per questa loro opera alla riconoscenza e alla lode di quanti godono ai progressi dei classici studi, o gli amano, o li coltivano, non abbisognano de'no- stri encomi. E di vero ne saranno largamente ri- meritati da chi consideri quale sia stata in fin qui la notizia che dai numismatici si avea dell'ae^ pra- o ve\ e quali e quante siano adesso le illustrazioni af- fatto nuove, che ne sanno trar fuori gli AA. Si di- sponevano per lo innanzi queste monete con ordi- ne da parere incredibile. Che gli assi eran da se: da se similmente i mezzi assi: da se ciascuna delle parti. Donde nessun legame pareva di conoscere fra loro, se una ed un'altra serie se ne eccettuino , nelle quali aveva il nome scritto sulla moneta ser- vito di guida , aggravando piuttosto il mal giudizio di chi non aveva saputo da questo fatto trar luce di analogìa all'ordinamento delle altre monete si- miglianti. Così infinito era il numero dell'ae^ gra- ve^ qualificalo d'incerto. E quando si volle asse- gnarne a questa o a quella citta, si sbagliò quasi sempre, o male interpretando le figure dei tipi,- o travolgendone le allusioni; o dando ad un luogo e ad un popolo, ciò che era d'altro popolo e di al- tro luogo. E merito degli autori della presente opera se conosciamo con tutta certezza la esistenza di oltre a quaranta officine monetali nell'Italia media; surte le migliori in quel secolo medesimo in che nacque Roma, e chiuse verso la meta del secolo terzo di questa citta; le men nobili nate alla metà di esso secolo, e spente incominciando il quarto secolo del- la citta stessa. Donde discende per prima conse- 320 Letteratura guenza questo fatto all'italiano ingegno gloriosissi- mo, che cioè l'arte del figurare la moneta è irre- pugnabilmente trovato degl'italiani; sì perchè fuor d'Italia non vi è testimonianza di moneta fusa; si perchè la moneta coniata fuori d'Italia non può, per qualunque sforzo, essere attribuita né al primo ne al secondo secolo di Roma. Si aggiunga che le quaranta officine, delle qua- li viene ora più nobile questa parte della nostra penisola, non ci presentano quanto allo stile dell' arte un solo ed identico tipo. Anzi lo stile vi è tanto diverso, ch'c maraviglia come questa osser- vazione sola non abbia guidato fino a questo gior- no a por mente alla varietà delle officine stesse. Non può dunque piìi esser creduto, che lo stile del- le arti in tutta questa Italia da una sola scuola si propagasse; meno ancora che ella fosse di trasmarini e di stranieri. Qui le scuole e gli artifizi si ma- nifestano tanto diversi, cjuanto diverse sono le of- ficine: e ne apparisce in tutta evidenza, come cia- scuna citta tendesse di per se ad aggiungere alla ec- cellenza dell'arte; facendosi a quella piìi o meno dappresso, secondo che le locali circostanze o le vicende del potere e della richezza favorivano o im- pedivano il conseguimento di un tale scopo. Di siffatti argomenti quali sieno le conseguenze, e quan- to a Italia favorevoli, sei vede ciascuno. Perchè se l'infinito numero, se la varietà, se lo speciale ar- tifizio degli ori, de'bronzi, de'vasi dipinti usciti a questi tempi dalle terre d'Etruria, non hanno ba- stato a convincere certuni , che noi vogliono ad ogni modo discepoli di greci maestri; i quali quan- to di bello, di raro, di splendido era fra quelle oreficerìe, fra quei metalli, fra quelle stoviglie, Aes crave 32i non temerono di affermare venutoci lutto dal di fuori; nostro esser solo il mediocre, e piìi certa- mente il brutto: avranno ora a solvere un nodo ben piìi inestricabile e nuovo. In verità queste mo- nete non si potranno dire recate d'altronde, quan- do greci non n'ebbero di altrettali; quando ogni popolo che le adopera , le crea sempre nel recin- to della propria citta, ne soffre che sia imitato, non dirò contraffatto, quel tipo che sceglie a se- gnarle. Che poi in fra esse monete ve ne siano delle belle di un bello che tocca il perfetto, sia il giudizio dell'occhio, guardando nelle tavole dell' opera de'nostri autori, che sono di una somma fe- deltà, e vennero in ispecial modo dirette dal P. Tessieri, fattosi guida al pittore Girolamo Apollo- ni, che vi ha prestato ottima opera dell'arte sua. Ma se Vaes grave da uno splendore non isperato alla primitiva condizione delle arti d'Italia, ben pili molto se ne vantaggiano le antiche istorie di queste contrade, già si fiorenti e civili. Una mo- struosa laguna aveva diviso fin qui i popoli ci- stiberini , da quelli posti oltre il Garigliano, ol- tre il Tevere. Dicevamo arrivati a raro segno di civiltà i campani, arrivati a raro segno di civil- tà gli etruschi; e se ne recavano in prova i mo- numenti delle arti campane, i monumenti delle ar- ti etrusche. De'popoli ch'ebber sede tra il Tevere ed il Liri, si taceva affatto: quando pure non si avevano per barbari al tutto e privi di ogni ar- te gentile. Ma le dodici officine monetali, che la mercè degli AA. riconosciamo in questa regione, non pure lor rendono il pregio delle arti; ma as- segnando ad essi le piìi ])elle in fra le monete primitive, lasciano conghietlurare di uno stato di G.A.T.LXXIX. 21 322 Letteratura civiltà, eguale al certo, se non pur superiore , a quello de' vicini popoli, che furono più felici in far giungere fino a noi le loro memorie. Altri fatti d'assai rilevanti per l'italica isto- ria sono quelli, che dall'ordinamento dato all'ae* grave dai benemeriti scrittori, sono come sponta- neamente emersi. Dico la confederazione de'po- poli iguvini; della metropoli Cortona e delle sue colonie; della propagazione dei rutuli e degli al- tri popoli cistiberini nelle diverse regioni um- bre, etrusche ed adriatiche, dimostrata dalla iden- tità de'nomi geografici e delle imagini rappresen- tate sulle diverse monete di quelle diverse genti. Ma già è da farsi piìi da presso al libro, dan- do una generale idea delle parti e dell' insieme di esso; che sarà un invogliare ciascuno a legger- lo e vederlo in fonte : tante sono le peregrine eru- dizioai e le egi"t:gie scoperte che vi si trovano per entro. L'opera è diretta ai coltivatori della scienza delle antiche monete, dove si parla del metodo in essa seguilo, e della sollecitudine posta in racco- gliere i monumenti che ne forniscono l' argomen- to. Si aggiunge ancora con lodevole modestia, che basterà venga accennata l'insussistenza degli argo- menti che or si producono, e gli AA. medesimi si recheranno in faccia al pubblico a sostituire ai lo- ro errori le altrui ragioni ( a e. VII ). Si pro- mette inoltre di ritornare sull'argomento deWaes grave^ pubblicando un qualche quinipondio qua- drato: e per verità senza una tale addizione sem- brerebbe alcuna cosa mancare all'intiera notizia di questa moneta. Segue la prefazione, distinta in cinque titoli, A E S G 1\ A V B 323 sotto a' quali si ragiona: deiVaes grm>e del museo kirclieriano : dell'origine deìVaes grai^e: del peso e del valore di esso: delle impronte onde è se- gnato: delle utilità che si traggono dal peso e dal- le impronte dell'ae^ grave. A saggio degli argomenti su' quali si fontla il rasrionar deali autori, non meno che delle erudizioni e dello stile di questa loro opera, n'è paruto ri- ferir qui intiero il titolo dove fìivellano dell'ori- gine dell'agi' grave, come quello in che tutti so- no enunciati e raccolti que'principii, che poi nel litro divengono fecondi di nobili conseguenze. Dice dunque: « La comodità che qui in Roma per pa- recchi anni abbiamo goduta, di osservare e stu- diare di proposito molti dei fatti, che alla mo- neta italica primitiva appartengono, ci obbliga a far comune a' nostri lettori la notizia almeno de' pili generali, eziandio perchè siano informati del- le principali ragioni, su cui si fondano le cose che veniamo accennando nella nostra descrizione e ragionamento. Incominciamo dall'origine. Egli è certo che que'primi uomini , i quali posero loro stanza in questa terra italiana, seco non recarono moneta figurata: anzi egli è pure certo, che molti secoli anche qui per loro trascorsero, prima che scoprissero una tal arte. Citeremo a testimonio del fatto la sola lingua de'latini. Ci serba questa la memoria del primo commercio italiano in quelle voci, che allora appunto nacquero, quando il bron- zo, metallo comune a tutta l'Italia media, di grez- zo ed informe, quale si adoperava nel cambio e nell'acquisto delle merci, prese quella forma de- terminata, che più non doveva abbandonare. « Gli aggiunti di rude e di signatum furono ap- 324 Letteratura proprlati siìVaes in un medesimo giorno; e fu ap- punto quel giorno, in che fu trovata la nuov'arte dell'effigiare a diverse, figure il metallo, che servir non doveva piìi se non al traffico, y^es signatum si chiamò la nuova moneta, per distinguerla àsAVaes rude^ che allora usciva dall'uffizio, nel quale era stato adoperato. • Antichi scrittori tra gli altri meriti che a Gia- no attribuiscono, il lodano eziandio come invento- re di quest'arte alla vita civile degli uomini cotan- to vantaggiosa. Il nome di Giano tuttavia pare non ci scuopra che il luogo e forse anche il tempo, in che l'arte fu ritrovata. Il luogo sarebbe la provin- cia , su cui quel re od eroe ebbe stanza ed im- pero, e su CUI fin quasi dalla prima origine fu col- locata questa Roma che tuttora abitiamo. Il tempo anch'esso pare che debba essere eroico: per cui non temiamo d'andar molto lungi dal vero, stabi- lendolo prossimo alla edificazione di questa città, ordinata da Romolo, anzi anteriore piuttosto che posteriore. • E a vero dire, se da estrania terra fosse stato tra noi recato l'artificio ([eWaes signatum^ ne a- vremmo un qualche avviso nelle memorie degli au- tori pili vetusti, o almeno nel medesimo aes si- gnatum^ il quale avrebbe in quella sua prima cul- la lasciato di se alcune reliquie, come le ha lascia- te in queste terre che lo videro nascere e andare in uso. Ma ne gli scrittori ne fanno parola, ne fuori di queste italiche provincia noi conosciamo paese, il quale tra' suoi monumenti ne additi una qualsiasi prova di moneta in bronzo, distinta da ogni altra forma di moneta per la sua fusione, per il suo peso, e per la distribuzione in quelle parti Aes grave 325 clie dalla libra scendono gradatamente infino all' oncia. L'Egitto, l'Asia, e la Grecia, nella copia e varietà maravigliosa delle loro arti, nulla ci offro- no di simigliante: anzi nell'Italia medesima trove- remo a suo tempo non pochi popoli e città, che o non poterono o non seppero, o non vollero aiu- tarsi del beneficio di questo ritrovamento. « Pare quindi a noi, che nella sola Italia tro- visi l'arte nascere, progredire e sollevarsi passo passo dalla prima rozzezza sino alla miglior sua perfezione. Quivi incomincia da un peso quasi strabocchevole, e a grado a grado discende a pesi più comodi; incomincia universalmente dalla fu- sione, e trapassa al conio. Non già che l'arte del coniare, anche con coni a cilindx'o, sia quivi di tarda origine; che anzi noi la stimiamo anteriore all'uso stesso della moneta fusa, Anella, borchie, fibbie , collane in sottili lamine d'oro purissimo, lastre di bronzo con componimenti di varie figu- re, ripetuti senza interrompimento con applicazio- ne di coni, ora piani, ora cilindrici, noi quivi in Roma abbiam vedute in grande copia uscire dal- le escavazioni suburbane ed etrusche di questi ul- timi anni. Ma tuttoché queste opere così coniate ne presentino lo stato dell'arte, qual era ne'tempi più remoti, rozza e meschina; quivi tuttavia la mo- neta figurala nasce per l'artifizio della fusione, non per quello del conio. Tutto all'opposto di ciò che accade universalmente presso gli altri popoli dell' antichità. Né breve fu il tempo, in che i nostri monetieri perseverarono in quel loro primo ritro- vamento: anzi se ha a giudicarsi dal numero e pe- so delle monete fino a noi pervenute, nonché dal- la varietà del loro artifizio, siamo quasi costretti 326 Letteratura ad affermare, che forse per più centinaia di anni durò fra noi una tale arte. Non è se non tardi che incominciasi a vedere il conio applicalo alla moneta , della quale pare che in principia non sappia abbellire che una sola delle due facce , in progresso le adorna ambedue. Ella è cosa po- sta fuori dei confini del nostro istituto il rin- tracciare chi fosse primo a darci monete di que- sta seconda foggia; se gli artefici della Grecia, o deiritalia; se quei delle città meridionali, o quel- li della nostra Italia media. Ma non possiamo la- sciare di far riflettere agi' investigatori delle pri- me origini delle umane arti, che un troppo gra- ve oltraggio farebbesi all'ingegno e alla civiltà degli abitanti antichi di queste provincie, quando immaginar si volesse, ch'eglino dopo aver veduta la moneta altrui coniata in una comodissima for- ma, dopo avere nelle loro città allargato l'uso del conio in oggetti di puro lusso e di semplice or- namento, s'appigliassero al non onorevole partito di fondere la propria moneta con un tal meto- do, che se offre molti vantaggi in confronto dell' aes rude^ rimane incomparabilmente piìi incomo- do della moneta di seconda invenzione; e la fon- dessero per tanta lunghezza di tempo, prima di conformarsi aT costume già divenuto universale. « Pertanto chiunque voglia co'monumenti tesse- re la vera storia di questa bell'arte, non ha me- stieri di uscire d'Italia per rinvenirli. Troverà tra noi \aes rude che si trasforma in aes signatum^ e questo in tre diverse forme, rettangolare, elitti- ca, rotonda. Troverà la forma rotonda dell'ae^ sl- gìiatum discendere gradatamente da quel peso, che porta il titolo di grave^ a pesi minori: dall'asse di Aks GRArff 327 dodici a quello dì due once. Lo troverà di^ppri- ma senza una lettera o parola, che ne indichi la patria; quindi con le indicazioni o iscrizioni de' suoi diversi padroni, nelle quali pure apparisco- no i miglioramenti che il tempo a poco a poco veniva arrecando. Avrà per ultimo il trapassare dell'arte dalla fusione al conio ; e in questo ve- drà le prime prove assai rozze migliorare rapida- mente e sollevarsi alla più squisita ed insupera- bile eleganza. Con la quale svariatissima copia di monumenti non prenderemo noi mai a predica- re, che quelle antiche menti italiane sieno state anche di quest'arte insegnatrici ad altrui. La sola cosa, che vorremmo ci fosse conceduta, sarebbe, che contro la troppo evidente ragione dei fatti niun ci venisse a dire, che gli antichi italiani nell'arte della moneta figurata sieno stati discepoli a stranieri maestri ( a e. 2. a 4. ). » Questo vanto d'Italia è poi con una si co- spicua dimostrazione reso in tutta l'opera evi- dente, che non se le potrà più ricusare da al- cuno: sarà anzi chi spingendo più oltre quel che gli AA. solo accennarono, affermerà esser pur na- ta in fra popoli di questa terra privilegiata la seconda arte della moneta, improntata a forza di conio; massime che evidente cosa stimiamo qucU' artificio usato prima ne'più preziosi metalli, che più importava limitare a ponderala misura; e poi disceso al rame ed al bronzo. E allora non vi sa- rà forse luogo di Grecia trasmarina, od altro fuo- ri d'Italia, che possa con sue monete coniate en- trare in paragone d'antichità con quelle, incusse da un lato e rilevate di figura dall'altro, primo tipo della seconda invenzione, che cosi spesso tor- nano airaprlco dalle prossime terre di Campania. 328 LETTSaATURA Una tavola geografica, posta dopo la prefa- zione, rappresenta quella parte d'Italia, alla qua- le appartenne Vaes grave. Vi si conosce che l'uso di tale primitiva moneta di verso il mare tirre- no ebbe confini l'Arno ed il Liri; verso l'adriatico, il Rubicone e l'Aufido. Segue la descrizione delle trentanove tavole , nelle quali si comprende tutto Vaes grave, e tut- ta la moneta coniata che gli AA. ebbero come raf- fronto alla illustrazione di esso. Ciò forma la pri- ma parte. E nella seconda un ragionamento, che espone i motivi dell'ordine nuovamente dato alla maggior parte deìVaes grave, e a quali argomenti si sieno gli autori lasciati persuadere nello spiega- re i tipi di esso. La serie delle monete cistiberine s'incomincia con quelle di Roma, ultime invero nell'ordine dell'età; ma prime in quello della certezza. Per- chè abbiamo intiera la storia della moneta roma- na in bronzo dalla sua origine, fino al finire del- la repubblica. Questa storia , figurata tutta nelle cinque prime tavole, presenta come di per se ogni opportunità di raffronti; ed è come la via e il gra- do onde gli autori pervengono alla illustrazione delle altre monete cistiberine. Il decusse, il tripondio e il dupondio, posti a principio di cotesta serie, ne sono in verità piut- tosto il compimento, e come la fine. Tardi allar- garono i romani i confini della primitiva divisio- ne della loro moneta, aggiungendole queste tre, rappresentative di un valore maggiore. E se ne ha la dimostrazione nel peso, che si riferisce ad un asse di quattro once. Veggano pertanto gli AA. se non sarebbe più secondo verità chiudere, anzi Aes gravb 329 che aprire, con qjiesti metalli la serie romana. Nel- la quale il denario, il quinario, e il sesterzio di argento, fece poi che fossero disusati. La spiega- zione delle figure del decusse, del tripondio e del dupondio, è trovata dagli autori nella supposizio- ne, che ne' due primi si ricopiasse l'impronta del- l'oncia; nel terzo quella del triente. Allora non più la immagine di Roma, ma quella della Venere fri- gia e di Minerva si troverebbe in essi rappresen- tata. Dicon essi però che non vorrebber per que- sto romper lancia con alcuno, che difendesse aver- si assolutamente in que'tipi la protome della per- sonificata citta. I notissimi tipi dell' aes grave romano rice- vono dichiarazioni non prima state loro attri- buite da' numismatici : alcune differiscono ancora dall'aperta sentenza degli antichi. Quegli argomenti, che gli autori pongono innanzi , non vogliono pe- rò ricusarsi alla prima: vogliono anzi, se non pur tutte, certo moltissime volte essere accettati. II bifronte, ch'è nel dritto degli assi romani, non è per loro la immagine di Giano; ma simbolo della unione del romano popolo col sabino. Noi sen- tiamo al tutto con essi, quanto all' intendimento con che si pose nel tipo quella immagine. Ma non pertanto cesseremo di aver quel bifronte per esso Giano. Le parole di Servio, addotte dagli autori, lo affermano pur chiaramente, se il giudizio nostro non c'inganna. In esse è detto che fatta da Romolo alleanza con Tazio , quasi ad immagine de'due popoli si formò il simulacro a Giano di doppia fronte: Ipse ( lanus ) faciendis foederibus praeest: nam post~ quam Romulus et T» Tatius in foedera convene- 330 Lettbratura runt^ Inno simulacruni duplicis frontis effectum est, quasi ad imaginem diiorum populorum (A.d Aen. lib. XII v. 147). Dunque è qui veramente la immagine de'tlue popoli ; ma una tale immagine è Giano che la rappresenta. Così resterà per un lato vera la interpretazione degli AA., e non si andrà ad urtare per l'altro in quello scoglio dell'affermare che i romani, pochi anni dopo che i tipi della città li- bera erano disusati (a'tempi di Augusto), ne igno- rassero la figura a modo di misconoscere qual deità fessevi impressa. Il Giove del mezzo asse, la Minerva del trien- te, l'Ercole del quadrante, han tutti ragione per essere stati prescelti a figurare nella parte della moneta in che sono. Mercurio si riconoscerà ora stare nel sestan- te, come iddio e condottiero degli aborigeni e de* pelasgi che nel Lazio stanziarono: e questo tenia- mo congetturato assai felicemente. Felicissima poi ne sembra l' altra opinione degli A A., onde ravvi- sare nell'oncia non un'altra Minerva, con ripetizio- ne inutile, ne l'immagine di Roma; ma la Venere frigia, la creduta madre di Enea. Ma la nuova sentenza intorno alla prora del- la nave, che è costantemente in tutti i rovesci di ciascuna delle parti AeWaes grave romano, temia- mo non sia di una felicità eguale; comunque mol- to ingegnosa. Avendo gli AA.. riconosciuto nelle impronte di queste monete parlari figurati, espri- menti nomi o fatti di popoli e di città, che le formarono; vorrebbero, che la prora della nave di questi rovesci, come quella che fu ancora detta forza, importasse un'allusione al nome di Roma, che a'greci suona esso stesso non altrimenti che Aesgrave 33 f forza. E per una seconda congettura, che quella prora medesima, dimostrasse i romani godere de'be- ni del Tevere, navigandolo sino alla foce. Noi perì} ritiene in avviso diverso il conosce- re per le istorie, quanto tardi si volsero i qui- riti alle cose del mare: e le testimonianze non di uno e di un altro, ma di tutti gli scrittori dell' antichità, nel riconoscere quella figura per sim- bolo dell'arrivo di Saturno in Italia. Nobilissimo ed antichissimo fasto delle nostre contrade, don- de si derivavano tante religioni, tante istorie, e nomi e ordinamenti di civiltà. Del quale aveva principalmente a trar vanto e serbar memoria una citta come Roma, surta in gran parte e fin dalla prima sua origine in sul monte saturnio ( poi Campidoglio ) . Cos'i le cause del romano tipo dell'asse rimar- rebbero esposte senza troppo contraddire a'classici; e noi abbiamo tanto piìi volentieri detto libera- mente su ciò il nostro avviso, quanto è vero che nulla si detrae per esso al generale vedere de- gli AA.; e acquisteremo così fede di quella im- parzialità che professiamo, lodando le altre loro scoperte veramente mirabili , onde in questa clas- se si riconoscono le monete degli antichi latini. Sono queste ventisei in numero , e si dividono in quattro serie. Donde appaiono formate in cjuattro principali citta della confederazione, che sono per gli AA., Alba, Tusculo , Aricia e Lanuvio. E que- sta scoperta propria tutta degli illustratori dell' aes grave del museo kircheriano , e diciamo pure una vera conquista per la primitiva storia del La- zio; e le serve di conferma quanto si ragiona in proposito della moneta di Alba ( a e. 54. ). Ne di 332 Letteratura minor profitto è quel loro felice divlsnmcnto in riconoscere e ordinare la moneta de' rutuli. Prin- cipio fecondo in manifestare le migrazioni e le alleanze de più ignoti tempi di queste contrade tx'anstiberine, i popoli delle quali, per fede de'tipi cos'i interpretati, si conoscono propagati nelle re- gioni umbre, etruschie ed adriatiche. Sono a vede- re nella tavola ottava disposte in bella serie le mo- nete di un popolo, che si manifesta per esse gran- de e civile; e ben si poteva chiamare sin qui peri- to senza monumenti. La rota sta in esse come sim- bolo parlante; cosa affatto conforme a' modi di que* primi figurati emblemi, che precedettero la scrittu- ra, e per lungo tratto ne tennero le veci. I volse! compariscono nella tavola IX con sei loro monete, manifestate da' luoghi del ritrova- mento, dalla qualità dei tipi e della fusione. E certo quella regione, già si celebre, avrà meglio a lodarsi della industria de'nostri AA., che del patrio amore di Stefano Borgia cardinale , che di non sua moneta voleva dotarla. Risorgono pure in queste carte gli aurunci; e i tiburtini vi com- pariscono con una lor serie, che si ha a far com- pleta con l'asse avente la testa d'Ercole nel ritto, e nel rovescio il busto d'un grifo, per abbaglio collocato fra le incerte ( N. B. n. 4. ). La illustrazione delle monete umbre etrusche ed adriatiche è nobilitata pur essa da utili scoperte. Fra le quali incontrastabili, e per l'antica istoria utilissime, sono quelle della confederazione degli iguvini; della metropoli Cortona e delle sue colonie; le origini cistiberine di popoli che posero stanza in diverse contrade al di qua e al di là dell'Appenni- no. Cose tutte dimostrate adesso dai tipi dell' aes grave, a dovere ordinati ed esposti. Ae8 gravk 333 Fatto quanto certo altrettanto curioso e altre- sì quello della libra adriatica, ora per la prima volta riconosciuta non conforme al peso delle do- dici once , sul quale fu stabilito Vaes grai>e, ma di quello di dieci. Era di una somma semplicità, e per alcun lato utile ancora il monetale sistema delle Provincie, nelle quali si volle che non vi fos- se differenza fra il peso delle monete e i comuni pesi delle merci tutte, che con la moneta si com- peravano. Ma il sistema adriatico aveva il vantag- gio della massima facilita nel computo decimale. Cosi una disposizione di moneta, che ora tut- ta corre l'Europa, confessala per la migliore, era stata già ritrovata e posta in uso dagl'italiani in- gegni in quelle remotissime età. Le osservazioni intorno la moneta di Todi si han pure a ritenere per ampliazione di questa scienza. E stimiamo gli AA. aver colpito nel segno, separando dalla ofHcina urbana di quella città le monete ovali su cui è scolpita la clava, e assegnan- dole ad altro luogo da Todi dipendente. Vuole ancora esser qui riferito ciò che osser- vano in proposito della moneta etrusca. Della qua- le si nota come prima particolarità, che mai l'asse non è maggiore di sette once. La seconda poi si osserva consistere nella semplicità delle loro im- pronte. Se l'officina è di una metropoli ( scrivono gli AA. a e. 89), stampa nel rovescio l'immagine medesima del diritto, e la ripete immutabilmente dall'asse alla parte minima ch'è l'oncia. S'è d'una città nata della metropoli, ritien nel dritto l'im- magine della madre patria e nel rovescio vi scol- pisce l'impronta sua propria, ripetendole amendue in tutta la serie. Che se la città va libera da que- ste relazioni, segna nell'asse le immagini sue prò- 334 Letteratura prie, dlscìolte e libere; e le rinnova, giusta il co- stume nazionale, nelle monete inferiori all'asse. Con questa chiarezza e semplicità di osservazioni si viene a schierare in bell'ordine nelle diverse sue serie tutta la numismatica d'Etruria. Si asse- gnano le proprie monete a Volterra, a Cortona. Pe- rugia vi comparisce del pari che Arezzo e Chiusi, come uscita da quella seconda citta: e con la bi- penne, che adotta per tipo suo proprio, forse ci manifesta in Ferusia il primitivo e vero suo nome. I limiti, entro a'quali ci è forza dimorare, ci sono impedimento a quel moltissimo, che delle nuove dottrine di questa opera potremmo e vor- remmo aggiungere. Ma speriamo, se non altro, che il fin qui detto ne abbia fatto sentire tutta la gra- vita e tutta la utilità. E lavoro da prender luogo fin d'ora fra'piìi lodati. Gli autori però si mostra- no bramosi di perfezionarlo e di ampliarlo, E noi molto ancora ci promettiamo dalla loro industria, usata già con tanta cura e perseveranza in ragu- nare queste monete in seno proprio al paese che le produsse; in profittare de'piu sfuggevoli indizi; in porre a raffronto i pochi avanzi della moneta coniata da questi popoli, quando piìi non erano li- beri, per farne emergere i tipi che ostentavano mentre godevano dell'indipendenza. Per conchiudere, deve l'Italia all'elaborato vo- lume de'due eh. padri della sempre benemerita e dotta compagnia di Gesù, una nuova rivelazione, ne sperata, ne congetturata per lo innanzi, della primigenia sua gloria e grandezza. Cav. P. E. Visconti. 335 BELLE ARTI Imperiale e reale galleria Pitti ^ illustrata per cu- ra di Luigi Bardi regio calcografo. Firenze 1836-1838 in foglio. {Finora i8 fascicoli, conte- nente ognuno cinque stampe con le relative il- lustrazioni, al prezzo di franchi dieci per ogni fascicolo)» \/uando, son già due anni passati, ci venne alle mani il primo fascicolo di questa impresa calco- grafica del sig. Bardi, promettemmo di scrivere, giunto che ce ne fosse un maggior numero (V. to- mo LXXI p. 206). Ora che Y opera sta già alla quinta parte, perchè novanta sono i fascicoli pro- messi , e già ne vennero a luce diciotto, ne par tempo conveniente a dirne alcun che. Certo l'im- presa del Bardi è ardita; ma d'altronde sarà per fruttargli bella lode. Dar incisi quattrocento cin- quanta quadri, pareva altre volte che richiedesse pili che la vita ordinaria di un uomo; pure, in poco pili di due anni, eccone già a luce novanta, 336 Belle Arti mercè della giudiziosa distribuzione dei disegni di- versi a diversi incisori delle scuole italiane; e se l'opera prosiegue con uguale alacrità, l'avremo com- piuta in un decennio o poco piìi. Ma i quattro- cento cinquanta quadri saranno tutti meritevoli d' illustrazione? Niuno ignora certo di qual ricchez- za sia la galleria Pitti, specialmente nella scuola toscana : niuno ignora che essa può vantarsi di possedere molte e molte opere del divino Raffael- lo, mentre tutte le rimanenti gallerie di Europa possono vantarne una o due al pili: ma ciò non ostante è da temere che nel numero dei quattro- cento cinquanta quadri ve ne sia alcuno medio- cre, se non al dì sotto della mediocrità. Comun- que ciò sia per essere, vogliamo sperare nella giu- diziosa scelta che sarà per farne il sig. Bardi; e dobbiamo pur dire che se l'impresa progredisce come ne' diciotto fascicoli già editi avremo in es- sa una ricca collezione, se non di tutti capo-lavori (il che sarebbe impossibile), certo di dipinti me- ritevoli tutti di lode. Le incisioni di essi comin- ciarono a farsi a semplice contorno; poi furon con- vertite a mezza macchia; quindi alcune ridotte ad incisione completa. Già sul finire del secolo scor- so, per la solerzia del Wicar, ebbe la galleria Pitti un bel volume d'incisione nell'opera pubblicata a Parigi nel 1789, ed intitolata: Tableaux, statues, hasreliefs et carnee s de la galerie de Florence du palais Pitti^ dessinès pas M. Wicar peintre et gra- vès sous la direction de Mr^ Lacombe: e benché questa impresa del Bardi si stringa ai soli quadri, pure di quella riescirà più grandiosa. E qui ver- remo notando i diversi quadri già tradotti in ra- me e pubblicati: piuttosto che tenere il metodo , I Galleria Pitti 337 della distribuzione de' fascicoli, riuniremo insieme quelli di un solo maestro, dando la precedenza al- le*scuole italiane sopra le straniere. E per dar principio rial più granfie fra quan- ti dipinsero dopo risorte le arti, notiamo ohe fi- nora furon tre i lavori del sommo urbinate inse- riti ne' fascicoli che abbiamo sotl'occhio : il ri- tratto di Tommaso Fedra Inghirami (fase. I), in cui quel divino imitò la natura con tanta verità, che ti par veder la persona, toccarne gli abiti; che se questo può esser superato da un altro ritratto, non lo può che da quello di Leone X (fase. VII) anch'esso pittura di Raffaello ; capo lavoro dell* arte, cui però non risponde la stampa assai squal- lida nella raccolta del Bardi: il terzo lavoro dell' urbinate è la cosi detta Madonna della seggiola (fase. Il), la cui celebrità è tale, che non ha biso- gno di ulteriori parole. Dall'inarrivabile capo del- la scuola romana non vogliamo disunire il prin- cipe della scuola veneziana ; di cui finora il Bardi fé voltare in rame cinque quadri- Il Salvatore (fase. IV) ha tal dignità nella mossa, tal dolcezza nel sembiante, che t'avvedi della sua amorevolezza e misericordia infinita. La Maddalen.') (fase. IX) non è forse delle piìi lodate opere del Vecellio. Nel ri- tratto intero di Filippo II di Spagna (fase. XII) traspaiono i rimorsi e la tirannia nel volto; è que- sto un capo-lavoro, cui ti sembra non mancare che la parola. Anche assai vivo è il ritratto del sa- tirico aretino (fase. XVII), nella cui faccia seppe Tiziano imprimere l'alterigia e l'inverecondia. È da notare che in questo i panni non sono termi- nati: per contrario con isquisita finitezza è condot- to l'altro ritratto di Luigi Cornaro (fase. XVIII), G.A.T.LXXIX. 22 338 Belle Arti che può dirsi una delle opere colorite dal Vecel- lio nel più bel vigore dell'eli». E ne' ritratti vediamo essersi distinto anche Andrea del Sarto: egli ben tre volta se stesso ri- trattò, e quei tre quadri abbiamo nella galleria Pit- ti; più che mezza figura nel suo fiore di gioventù (fase. IV), con assai larghezza di stile; in età più matura (fase. IX) con volto mesto e meditabondo; ed insieme alla consorte (fiisc. IX) cui consegna un foglio in atto di dolce rimprovero. Nell'Annunzia- zione (fase. III) dipinse Andrea in compagnia dell' arcangelo due angeli di tal bellezza , che li di- resti lavoro dell'urbinate: ma nella disputa di al- cuni santi intorno il mistero della Triade san- tissima (fiisc. I) superò quasi se stesso; così è ordi- nata la composizione, magnifiche sono le vestimenta, grandiosi i caratteri delle teste, e bellissima fra le altre quella della Maddalena. Di fra Bartolo- meo veggiamo incise tre tavole: il Salvatore cogli evangelisti (fase. II), di tal vigore e severità che ne resti sorpreso: una sacra famiglia (fase. XII) di stile largo e con ricco partito di pieghe: e la Pietà (fase. I). Chi dir potrebbe quanti affetti si risvegliano al mirare quella tremenda tragedia? Pochi sono i per- sonaggi che la compongono, ma son tutti sublimi. Nel martirio di s. Agnese, opera di Bastiano dal Piombo (fase. II), ben si conosce la direzione di Mi- chelangelo; l'impasto morbidissimo delle tinte è di mirabile effetto. Di Giulio Romano si ha il bal- lo delle muse con Apollo (fase. VII), lavoro gra- zioso, elegante, pieno di leggiadria. Quanta gio- condità nei volti! quanta grazia nelle mosse! Lo scolare di Raffaello fu grande ne' subietti severi, lo fu negli allegri. Gaileru Pitti 339 Son molti i dipinti di Salvator Rosa che ab- Lelliscono la galleria; finora ne vediamo incisi set- te. In uno è una rada di mare con prospetto di torri e barche e marinai (fase. II); in altro è un bosco animato qua e la da varie persone in vario movimento (fase. IV); in questo una deliziosa ve- duta di un bel ponte, con alberi assai gentili (fase. Vili); in quello una tremenda battaglia (fase. XIV), e vedi Timpeto, l'ira, il coraggio ne' vincitori, ne' perditori la paura, il terrore. Bello è un ritratto d'incognito (fase. V); anche piìi bello quello che il sublime napoletano pitturò di se stesso (fase. V); ed in fine ne'feroci compagni di Gatilina (fase. IX), che stanno in atto dì proferire il tremendo giuro, vedi la risoluzione, la fierezza, gli affetti i piìi gagliardi. Certo questo dipinto non la cede ad alcun altro storico di Salvatore. Cui contrapponia- mo un' anima tutta dolcezza, quale indica il co- gnome: diciamo Carlo Dolci, di cui quattro opere furon tradotte in rame. La santa Marta (fase. IV) è tanto naturale, tanto viva, che saresti quasi ten- tato a crederla un ritratto: il quadro che ci pre- senta l'efììgie della duchessa della Rovere in età matura (fase. VIII) soffrì qualche guasto dal tem- po: il san Pietro piangente (fase. XI), figura intera con difficili scorti, non raggiunge a creder nostro la bellezza delle mezze figure di Carlo: nel Cristo orante (fase. Vili) vedi divina umiltà e rassegna- zione. Il convegno de' cacciatori (fase. I) fu esegui- to con ammirabile spontaneità da Giovanni da s. Giovanni: ed è pur sua una Vergine col santo bam- bino (fase. XI), dove non desideri eleganza di for- me, non grazia di mosse, non bella serenità di pa- radiso nei volti. 340 BsLLK Arti È di Paolo Veronese il hatlesimo (fase. V), in cui danno una poetica novità alla scena due an- geli die stan pronti per asciugare co' pannolini il divin Redentore. Anche op«ra di Paolo è il ritrat- to di Daniele Barbaro (fase. XIV), che ha tanta trasparenza nel volto, e tal forza di chiaroscuro, che contrasta co' piìi celebrati ; la ricchezza poi delle vesti è tutta degna di lui. Altri celebri pitto- ri della scuoia veneziana furono Giorgione e Pa- ris Bordone. Del primo è il congerlo musicale (fase. II) di bellissima composizione e colorito: del se- condo è un san Giorgio (fase. XVI) di singoiar franchezza di pennello, e di bellissimo effetto nell' armatura. Sono del Moronc due ritratti; d'incognito l'uno (fase. XIj, l'altro di Girolamo Argentino (fase. XVll). È noto quanto egli fosse famoso in questo genere. È ben lo testificano questi due cjuadri, il secondo de'quali in ispecie molto si accosta al far di Tiziano. Anche d' ignoto personaggio è un ri- tratto operato dallo Scbiavone (fase. XII), e ben vedi dai tratti del volto, che volge egli nell'animo pensieri assai gravi. La cena in Emaus (fase. I ) fu dipinta da Giacomo Palma il seniore; dal viso del Salvatore, che sta in atto di benedire il pane, tra- spare una divina inspirazione. Di Artemisia Gen- tileschi sono la Giuditta (fase. V) e la Maddalena (fase. XV): opera iodata la prima per avvenenza mascbia, risoluta, ben condotta composizione, e bel contrasto fra le splendide vesti dell' eroina, ed il villereccio costume della fante; pili lodata però la seconda per largo disegno, pronunciata espressio- ne , gagliardia di colorito, e franca dift'usione de' chiari. Di Guido Reni vediamo trasportato sul rame Galleria Pitti 341 un san Pietro piangente (fase. IX), una santa Eli- sabetta (fase. XVI), un Bacco (fase. VI) in cui fan- no assai bel contrasto il colorilo brillante posto a confronto con le tinte di un picco! satiro; ed una Cleopatra (fase. X), pastosa, morbidissima nel- le carnagioni, in alto f^razioso, nobile nplfespres- sione, degna infine dell'alta fama che gode quel degno allievo della scuola caraccesca. Di Pietro Perugino è una Verdine che adora il bambino (fase. X), tutta purità, candore, gloria celestiale; una Maddalena (fase. XIV), mezza figura, in cui non è men leggiadro l'acconciamento o men bello l'aspet- to, di qu-ello che evidente il compungimento: e un deposto di Croce (fase. XVI), ricco di figure, ben ordinalo nella composizione, pieno di dolore e di pietà ne' volli affelluosissimi, quadro in fine che tocca i termini del sublime, e ben dimostra quan- to valesse quel sommo, che meritò di avere a sco- lare il primo pittore delle arti risorte. Il san Gio- vanni nel deserto (fase. Vili) è dell'Allori : l'ef- fetto del chiaroscuro, la veritk della natura, la dot- trina dell'arte gareggiano in cjuesto dipinto. Anche dell'Allori è la Giuditta (fase. Ili), di virile bellezza, e panneggiata assai nobilmente. Una santa Cateri- na (fase. XIV) vien reputata opera della scuola di Leonardo, si per la spiritualità della sembianza, sì per la squisitezza del pennello, e sì per la studiata finitezza in ispecie ne'capelli. La Vergine col putto in grembo (fase. VI) è il capo-lavoro del Lippi; in lontananza sì vede la storia del parto di s. Anna in piccole figure, disegnate e dipinte con tal grazia e venusta, che innamorano. Un bel ritratto, che si ha nel fascicolo VII, è d'ignoto personaggio ed autore. 342 Belle Arti Un sant'Andrea (fase. XV) ed un sant' Isidoro (fase. XVI) son opere di Simone da Pesaro, tanto celebre nel contraffare lo stile anche de'piìi va- lenti, ma par che la prima non raggiunga il merito delle altre pitture di lui. L'Ecce-homo del Cigoli (fase. IH) mostra rassegnazione nel Redentore, fe- rocia ne'manigoldi. L' angelo che ricusa i doni di Tobia (fase. XI) è tal quadro del Bili ver ti, dove al- la franchezza del pennello trovi unita una bella finitezza. Il dipinto delle tre età è del Lotto (fase. IV). Come esprimono quelle fisonomie! qual mor- bidezza in tutta la tela ! Le zingare del Manfredi (fase. IV) spirano verità; esse sono intente a pre- dir l'avvenire ad un vecchio, che insensatamente credulo si rallegra all' oroscopo. La santa Lucia del Marinari (fase. VI) è di tanta squisitezza, che saresti tentato crederla del Dolce. In una santa famiglia dell'Albertinelli (fase. XII) si vede devo- zione e naturalezza. Il ritratto del card. Ferdinan- do Medici fu operato da Scipione di Gaeta (fase. XII) che gode molta rinomanza in questo genere. Il Boattari proponevasi ad imitazione l'inarrivabi- le urbinate; e ciò è ben chiaro dalla sacra fami- glia della galleria Pitti (fase. XIII). D'un incogni- to è il ritratto operalo da Lorenzo Costa (fase. XV): lo sposalizio (fase. XVII) tavola di Rutilio Manetti, o, come altri amarono intitolarla, il dipor- sto degli amanti, risplende di un magico effetto pei riverberi di una fiaccola. Il trionfo di David (fase. XVIII), opera di Matteo Rosselli, è quadro pieno di grazia e di vivacità, in ispeeie nelle feste- voli donne che al trionfatore applaudiscono. Il san Girolamo, mezza figura (fase. XVill), fu dipinto dal Crespi coii tale e tanta fluidità che saresti quasi Galleria Pitti 343 tentalo a crederla opera guidesca. Il ritratto di Francesco I (fase. XVII) fu operato con molta ma- estria dal Bronzino: una sacra famiglia del Puli- go (fase. XIV) supera il nome di che gode quel dipintore: e la Madonna del rosario del Muri Ho (fase. XIII) ha bella freschezza di colorito, non di- sgiunta da molta naturalezza. E poiché abbiamo ricordato un dipinto di quel celebre spagnuolo, continueremo per accenna- re i rimanenti quadri non italiani che ci die il Bardi dalla galleria Pitti. E prima d'altri notere- mo quelli del Subternions, che giungono finora a sette, compreso il ritratto di Galileo (fase. II), che se non è suo certamente, è della sua scuola. Indub- biamente è suo quello di Federico III di Dani- marca (fase. Ili) opera condotta con assai amore, nella quale l'armatura specialmente produce un effetto maraviglioso. La duchessa della Rovere (fase. VIII) fu per lui ritratta sotto le sembianze di una vestale; e poi di nuovo sotto le forme della Ver- gine in una sacra famiglia (fase. Vili), dove an- che le altre due figure paiono imitate dal vero. Nel ritratto di Mattia de' Medici (fase. X) è tutta la forza e la verità che quel maestro dar soleva ai suoi dipinti. Quello di Pandolfo Ricasoli (fase. XIII) ha tal sorriso sardonico, che sembra beffar- si di chi lo guarda; e quello d'un incognito (fase. XVI) ha molta imponenza e dignità. Non meno celebre ritrattista fu il Rembrandl; ed uno d'igno- to personaggio (fase. X) è di tal effetto pel magi- co giuoco di luce, che non sai desiderar di meglio. Anche lodevolissimo è il ritratto di Cromwell (fase. XVIII), lavoro sublime del Vandyck, di ma- raviglioso effetto nella luce, dignitoso negli atti, 344 Belle Arti ricco ne' vestimenti. Un paese del Ruysdael (fase. XV) è di tal dilizia e vividezza, che incanta. E chiuderemo questi cenni con dire de'quadri del Rubens e del Pussino; nomi che non h;in bisogno di ulterior encomio. Quattro dell'uno, altrettanti ne vedemmo finora trasportati in rame dell'altro. Del Pussino son tutti paesaggi ( fase. VII X XII XVII); nell'uno poche linee di colli e di boschi, due pastori e tre vacche compongono il quadro , parco di oggetti, ma ricco di bellezza: nell'altro architetture bellissime, vaghissimi arboscelli, ame- nità di orizzonte; nel terzo fra mezzo gli alberi ve- di il sole, e ti par quasi che l'aura agiti i rami; nel quarto due masse laterali, molto sfondo nel mezzo, due soli pastori e due cani lo rendono su- blime. Del Rubens sono due paesi (fase. V, XIII), un quadro storico (fase. XV), ed un ritratto (fase. XI). Provano i primi che egli fu sommo in tut- ti i generi; nell'uno campagna lieta, serena, ani- mata da quanti oggetti sai desiderare; nell'altro ve- di l'isola de' feaci : il momento scelto dal pittore è quando Ulisse si presenta alle seguaci di Nau- sicaa negli orti di Alcinoo; opera deliziosissima che ti rapisce. Il san Francesco è di bell'effetto: il ritratto del duca di Buckingam è mirabilmente armonioso. Nelle novanta tavole , che sono in questi di- ciotto fascicoli della galleria Pitti si ha bella va- rietà di scuole e di subietti : vi son pitture che spettano alla scuola romana, alla veneziana, alla bolognese, alla fiorentina, alla mantovana, alla fer- rarese, alla napoletana, alla fiamminga, alla spa- gnuola, alla francese, all'olandese; vi sono 45 qua- dri storici, 29 ritrattii 10 paesaggi, sei dipinti di Galleria Pitti 345 genere: e fra le quarantacinque pitture storiche» se ne escludi quattro soltanto , il Bacco cioè e la Cleopatra di Guido, il ballo delle muse di Giulio romano, e la congiura di Gatilina di Salvator Ro- sa, le altre quarantuna sono di subietto sacro, al- cune poche fra le quali tolte dalle carte dall'an- tico testamento. G;k una consimile osservazione fa- cemmo nel dare un estratto della pinacoteca veneta illustrata dal professor Zannotto. Quindi sempre più è chiaro quanto debbono le arti Lelle alla no- stra santa religione; la cjuale risvegliando affetti de- voti, atti a muovere la pietà ed il buon costume, tolgono la pittura da quella bruttezza di vizi, ne- cessaria conseguenza dell'irragionevole politeismo. Per non oltrepassare i limiti che ad un ar- ticolo di giornale convengono, senza ricordarli un per uno, rendiamo qui le dovute grazie ai valen- ti scrittori, che dettarono le diverse dichiarazioni dei dipinti diversi: l'intelligenza delle cose d'arte che in essi scrittori s'incontra, le savie massime di cui sono sparsi, saranno utili dottrine pei gio- vani che si travagliano attualmente nella pittura, e ne'quali è riposta la speranza delia gloria futu- ra d'Italia. Certo essi, se studieranno accuratamen- te ne' capo-lavori dì que' che furono, manterran- no a questo bel giardino di Europa quel primato pittorico, ad ottenere il quale contribuì non meno il cielo, e la ridente e varia natura, e la dolcezza dell'aere , di quello che lo studio dei capo-scuola delle arti tornate a miglior vita. Ma non lascere- mo di far ricordo di coloro, i cjuali egregiamente adoperarono il bulino per tradurre in rame i qua- dri della celei>rG galleria Pitti. Sono essi Benucci, Bonaiuti, Della Bruna, Erani, Fedi, Ferreri, Fio- 346 Belle Arti rìdi, Foiirnìer, Gatti, Gruner, Guadagnini, Lasinio, Livi, Mancion, Marchi, Marrì, Martelli, Migiiavacca, Muzzi, Paradisi, Parbonì, Ravano, Rosaspina, Rossi, Sanguinetti, Steinla, Trasmondi. E già non poteva quest'impresa per la parte calcografica non riuscire eccellente ; poiché sappiamo che il valentissimo To- schi dirige i rami affidati agli allievi della sua scuo- la : il Perfetti quelli della scuola di Morghen : il Rosaspina della bolognese; e quest' ultima pare a noi che siasi sopra le altre distinta per nitidezza d'intaglio ed eccellenza di effetto. Prosiegua il sig. Bardi nella ben incominciata impresa: non receda dalla necessaria diligenza; e sia certo di far cosa utile e grata a quanti animi gen- tili amano quelle arti che sogliamo dir belle per antonomasia. C. C. 34T VARIETÀ^ Relazione del viaggio di Sua Santità Gregorio papa XFt da Roma a s. Felice, scritta dal principe d'arsoli. Roma tipo- grafia Salviucci iSSg. Un voi. in. 8. di facce 71, U. Vittorio Massimo, principe d'Arsoli, ha dato già al pub- blico buon saggio delle sue erudite ricerche con la storia della villa di Sisto V in suU'Esquilio: villa posseduta adesso dalla preclara sua famiglia. Egli si dimostra eguale a se stesso in questo elegante volumetto, del quale ci fa l'A. conoscere l'o- rigine nelle parole della lettera da lui diretta nel principio del libro al suo fratello monsignor Francesco Massimo, maggior- domo del regnante pontefice, che sono tali: ,, Affidatomi dalla Santità di nostro signore Gregorio papa XVI l'onorevole in- carico di accompagnarla nel suo viaggio a s. Felice, in vece dell'amatissimo nostro genitore allora per infermità impedito dall' esercizio della su» carica di soprintendente generale alle poste pontificie, ho cercato di rispondere in qualche menoma parte a cosi grazioso sovrano favore con lo stendere una breve ma esatta relazione di questo viaggio , a cui ho unito alcune iaedile uoliisie iuloiuu a quella terra ed alle sue viceude. ,i,Edi 348 Varietà' Tero iu tutta quanta è questa relazione spicca un amor grande a serbar memoria di qualsiasi cosa che a quel viaggio si riferisca ; né più esatta o più compiuta idea se ne potrebbe volere. Me- ritano una special lode la ricerche falle per tessere la istoria della terra di s. Felice , antichissimo de' luoghi popolati in Ita- lia , e vero riso di questo cielo. L' A. si adopera a farne co- noscere lo stato qual'era ne'templ di mezzo : e qui pone innan- zi inediti documenti, dall'archivio Caetani massimamente, che giovano non pure alla particolare storia di quel luogo ; ma si ancora a quella generale d' Italia in tempi tuttavia involti di molte tenebre. Piacerebbe a noi che queste narrazioni de' gior- nalieri fatti , già cosi comuni ed ora poste quasi al tutto da lato, non andassero cosi disusate. Perchè in esse sono sem- pre materiali alle istorie, e ci si serbano cose talora utili e spesso gioconde ad esser lette; le quali ove cosi non si tramandino agli avvenire , facilmente escono dalla memoria degli uomini: e in certi particolari minuti sono a dipingere una età, e farla manife- sta, assai più argomenti che altri non crede. Qui sarà in ogni tempo veduto con soddisfazione quel divoto e fervente amore de' popoìi all'ottimo Principe che ne governa le sorti; e di quan- ti modi venisse ad appalesarsi. Si abbia pertanto il commendevole scrittore l'encomio che al suo lavoro si debbe; e quella lode lo dica delle patrie illustra- zioni studioso quanto benemerito. P. E. VlldOHTl V A K I « T \' 349 Notizie istoriche intorno alta vita ed agli scrini di monsignor Francesco Pacca arcivescovo di Benevento, pubblicate dal cardinale Bartolomeo Pacca suo pronipote. Aggiuntavi in questa terza edizione una prefazione del sig. ab. Car" lo Gazala, ed una nota infine sul preteso platonismo dei padri. Orvieto presso Sperandio Pompei iSSg. Un voi. di pag. XFIii e 117) '" ^° ^°^ ritratto delVautore, JLie geste luminose ed egregie di monsìgnot* Francesco Pacca , arcivescovo beneventano vissuto nel secolo XVIII , meritava- no una duratura nienzlone per opera di uomo illustre : e l'hanno ottenuto adequatamente nelle notizie istoriche , che ha voluto scriverne 1' eminenlissimo porporato Bartolomeo Pacca, ministro, consigliere e conipnguo nelle onorate sventure a Pio "VII: il pronipote dell'encomiato arcivescovo. Non avvi persona di lettere che non conosca i nobilissimi scritti del Pacca, e non ne ammiri i grandissimi pregi. Noi qui riporteremo a' leggi- tori nostri le parole del eh. ab. Gazola , che stanno in un ben ordinato ed erudito discorso, o prefazione, d'innanzi alle ac- cennate notizie (del che vogliamo contribuirgli la debita lode) e che saranno come saggio dello scrivere di lui. ,, Comecché egli qui narri un suo illustre antenato , che fu efficacissimamente benevolo e caro alla patria, non trasandn termini , impeti d' eloquenza non segue. Imperturbabile il car- dinal Pacca tien suo stile di verace storico , e non racconta il tio se non ricisamente quale irrepugnabili documenti il ritrag- gono. Eppure all'alto e copioso scrivere avea pronta e facile scusa, la nobiltà del soggetto: che all'arcivescovo Pacca era si- curo testimonio d' ingegno il tenerlo che facea in gran conto Benedetto XIV, e non è dir poco, e d'ingegno e di virtù in- sieme quel valent' uomo di monsignor De Vita, che collo stes- so pontefice si rallegrò solennemente di avere colla elezione di tal arcivescovo felicitato il paese .... ,, Con tutto ciò piacque al cardinal Pacca esser narrator parco e positivo, di che lo avranno a lodare que'tutti, «'quali 350 Varietà' è noto come quella abbondante e sonora maniera di scrivere esaltando sempre, e celebrando ogni cosa eziandio non grande, procacciasse nota di adulatore al Bembo , che pur è storico si universalmente ammirato ed ammirabile Altri però non reputi dal ragionato fin qui arida né secca quest' opera del car- dinal Pacca. E' calda ed affocata loquenza,e mette fiamme di zelo in difendimeoto del clero la dotta introduzione: procede ordinato e limpido il racconto, e ricco di considerazioni sapien- tissime e immediatamente generate dai fatti: il bello e il sostan- ziale dì due maschie dissertazioni metton sott' occhio e il dan- no assaporare analisi accurate; lumeggiano il discorso erudite notizie ed utili sentenze dispensate con garbo ec. ,, Vien dietro a questo discorso del Gazola 1' introduzione accennata di sopra , la quale è ben ragionata , franca e piena di verità , e da cui rilevansi le cagioni che mossero il degno autore a dettare questa vita, e che noi vogliamo colle stesse pa- role sue qui riferire. ,, Perciò mi sono indotto a scrivere un breve compendio della vita di monsignor Francesco Pacca mio prozio, arcivesco- vo di Benevento, di cui il nome è in benedizione, ed è ancor fresca la sua memoria negli animi dei suoi grati concittadini per le tante beneficenze a larga mano versate sulla sua diletta pa- tria , e suir amatissimo gregge. Non mi ha a ciò mosso la jjic- ^ola gloria ( gloriola), benché non ispregevole, di portare il suo cognome in fronte, ma per dare un saggio della pastorale ca- nta e munificenza degli arcivescovi e vescovi d'Italia. Deb- bo qui avvertire che in questo compendio della vita di monsi- gnor Francesco Pacca pare talvolta ch'io mi sia allontanato dal soggetto propostomi con alcune digressioni; ma il lettore vedrà, che sono queste utili per mostrare le circostanze dei tempi, nei quali quel prelato visse , e che la più estesa di queste di- gressioni sul pontificato di Benedetto XIII, oltre che toglie ogni sospetto che potrebbe cadere sulla condotta tenuta allora da Francesco Pacca , mi ha aperta la strada per difendere e giu- stificare i miei concittadini di quei tempi dalle calunniose vo- ci , che si sparsero contro di essi in Roma , e che furono sen- za esame accolte e tramandate nelle loro opere da valenti scrittori ,,. Varietà' 351 Ora a far pago il desiderio di colorò, cui non giuri- se 1' opera dell' eminenlisslmo Pacca , sarebbe duopo darne qui per disteso un sunto , coni' usa farsi dai più che scrivo- no nei giornali ; ma non vuoisi fare da noi ; si perché amiamo che venga più presto da essi acquistato tale preziosissimo libro, si perchè il metterne dinanzi un' arida narrazione ristretta in brevi termini, come vorrebbe la legge impostaci , e senza es- sere ingemmata di quelle sublimi ed utili riQessioni, di quelle digressioni erudite, onde è ricco il lavoro del porporato insigne, non farebbe conoscerne a' leggitori nostri i maggiori intrinseci pregi. Dobbiamo aggiungere ad onore del vero , che la nota posta in fine del libro', Sul preteso platonismo dei padri della chiesa , riferibile alla pagina 48, in che l'autore egregio par- la di un discorso letto da monsignor Pacca nel 174^ al cospet- to di Benedetto XIV" su questo argomento, è cosa da non pas- sare in silenzio: e noi volentieri ringrazieremo il sig. canonico Domenico Bartoccini d'Orvieto, uomo di molte lettere, che in forma di nota ha voluto qui riportare tradotto egregiamente un articolo del sig. Granier de Cassaignac , oce la questione vieti trattata in modo da non lasciar più nulla a desiderare. Termineremo col dire , che di quest' opera vorranno sa- per grado all'eminenlissimo porporato tutti que' gentili spiriti , cui sta a cuore lo splendore della religione , e il debito di ono- rare r operosa virtù; e che è da incuorare il sig. Sperandio Pompei, tipografo editore, a proseguire nella ben incominciata intrapresa di riprodurre alla luce opere che valgano, siccome questa, a mettere ne'cuori il seme di nobili e virtuose azioni. Fkamcssco CArozzi 352 Varietà' // buon padrone. Dialogo morale specialmente diretto a mo- strare alcuni degli utili derivanti dalla cassa di risparmio. Forlì tipi Casali iSSg, in 8. di pag. 38. \J'\ quanto bene sia la cassa di risparmio a pruoinovere la eco- nomia e l'industria, ed eziandio la buona morale nella classe meno agiata delle città, è provalo oggimai dalla esperienza, che si ha anche nello stato nostro per gli esempi luminosi della cas- sa di risparmio di Roma , di Bologna , e di altre città , dove questa benefica istituzione si mantiene e cresce prosperamente. Non mancano però dubbi e difficoltà , che vengono poste ia campo o dagl' ignari o dai maliziosi o dai nemici di ogni nuova cosa. A rispondere alle obbiezioni basterebbe indicare la prote- zione accordata dal saggio governo a tali istituzioni. Ma perchè la gente volgare ha bisogno di spiegazioni più minute e parti- colari, cosi sonosi pubblicati qui ed altrove dialoghi, istruzio- ni, o discorsi; dichiarazioni in somma de'veri vantaggi derivanti dalla cassa di risparmio. Essendosi toccato più volte questo ar- gomento, portando anche gli atti della società che dirige nel- la capitale una simile cassa , ed avendo fatto quasi toccar con mano il bene ottenutosi e che ragionevolmente può aspettarsi , non andremo in lunghe parole annunziando questo opuscolo, che è fatto per la città di Forlì , dove vuoisi appunto istituire una cassa di risparmio. Egli è un diagolo tra padrone e servo , nel quale questi obbietta e quegli risponde adequatamente. Non abbiamo voluto lasciare di annunciarlo, come di encomiarlo pel buono spirito , da cui è mosso ; meritando pure di essere ap- provato per la chiarezza delle ragioni messe a portata delle menti anche più grosse , e pei vizi del giuoco , delle usure , ed altri che si combattono, mostrando che è un modo di ban- dirli la istituzione e durata della cassa di risparmio. L'autore ha tenuto l'anonimo, e noi rispetteremo la sua modestia. D. Vagcolini Varietà'^ 353 Rime di Cesare Cattura in morte di due suoi fratelli. Bologna tip. dairOlmo iSSg, in 8. di pag. ^q. JL renta sonetti , due canzoni , e qualch" altra poesia sullo stesso funebre argomento, parranno troppi a clii non senti mai al cuore la punta del dolore per la morte de' suoi più cari. Ma qui è un fratello che si duole della immatura perdila di due ben amati fratelli: e si duole imitando ora il Petrarca, ora Dante, e facendo sue senza plngio le bellezze de' classici. Giovanissimo , com'è l'autore, dà assai buone speranze: egli fu educato a scuo- le d'v bontà e di cortesia, ed ha mente e cuore disposti a poe- sia. Per saggio diamo il seguente sonetto, incuorando l'autore medesimo a non ristare dallo studio per meritarsi tutta la lode dai savi estimatori. Madre , che sono que' pietosi lai. Che sospirando metti fuor dal core? E voi , sorelle , qual mortai pallore ? E tu che guardi si , padre , che hai ? Lasso , rispondon , forse tu noi sai ? Noi sai tu , che dimostri il fier dolore In fronte scritto , e ti legglam di fuore Quel ch'entro indarno soffocando vai ? Ad uno scoglio egual rotta la nave Abbiam , quando ci fur tolti e distrutti Qua' duo che avean de' nostri cor la chiave. Allor cresce la doglia; e il mesto ciglio L' un fiso all'altro , lagrimiamo tutti, Madre, sorelle , genitore, e figlio. D. V. G \ .T.L XXIX. 23 354 V A B I E T V Lettera del sìg. dolt. Francesco Zantedeschi professore di /?- sica nell'imperiale liceo di s. Caterina Jn f^enezia , al sig. prof. Saverio Barlacci in Roma, V>4 omunichi per grazia all'accademia de' lincei e alla direzio- ne generale del giornale arcadico;, che ho finalmente [sciolto il problema della identità dell'apparato voltiano colle spirali elet- tro-magnetiche e le calamite. Si prenda un elemento voltiano fatto a circolo con due li- sterelle uguali di rame e di zinco, lunghe ciascuna cinque cen- timetri, alte due, e dall'un capo si saldino insieme , e dall' al- tro si sovrappongano interponendo un cartoncino , per cui si ha una circonferenza di nove centimetri circa. S'immerga I' ele- mento elettromotore in un bagno acidulo colle due estremità separate dal cartone , ed abbia il suo asse centrale paralello all'orizzonte : e col sussidio degli scandagli mag-neticl si tro- verà , che la zona concentrica elettromotrice ha alle due im- boccature due poli opposti, a' quali corrispondono poli dello Stesso nome nella parte esterna attigua, e poli di diverso nome nella rispettiva interna. Per cui se da una imboccatura della suddetta zona e della vicina circonferenza convessa il polo nord di un ago è attratto, nella parte interna concava è ripulso; e vi- ceversa dall'altra Imboccatura e dalla attigua circonferenza con- vessa il suddetto polo è ripulso, mentre è attratto dalla rispettiva interna concava. Nell'anello adunque elettromotore si ritrovano quattro poli trasversali: due opposti, che corrispondono al due spigoli trasversali delle lamine: e due parimenti opposti, che corrispondono alla grossezza delle stesse , con questa legge, che il polo dell' imboccatura è sempre dello stesso nome di quello dell' attigua circonferenza convessa. Un elemento voltiano im- pertanto a zona concentrica presenta un fenomeno identico a quello delle spirali elettromagnetiche ; perchè queste iicU' im- boccatura, ove risponde il polo sud, hanno pure il sud nell' e- steruo , e il nord ncll' interno , ed una polarità inversa nell al- tra imboccatura e nell' esterno ed interno delle relative spire. Varietà' 355 I miei esperimenti furono fatti sopra spirali, che hanno due la- ti ineguali, l'uno de'quali è di tre cenlimetri, e l'altro di sette. E le calamite hanno poli simetricamente disposti a quelli delle spirali elettro-magnetiche ; perchè gli aghi messi nelle spirali prendono sempre le polarità delle relative imboccatnre e dell'e- sterno delle spire. Io ho con ciò stabilita una sintesi che tuttavia mancava al- la scienza , intorno alla quale tanto fantasticarono i fisici, e so- no ancora clamorose le ipotesi di Oersted , Berzelius ed Am- pere. Ella mi continui la sua amicizia. Venezia il i8 gennaio i85g. Francesco Zantedsschi P. S. L'ago, del quale ho fatto uso, era ad una sola polarità; mentre dall' altro lato non v' era , che una listerella d'ottone, e con questa, come ho detto nel n. IX della gazzetta privilegiata di Venezia iSSg, ho ottenuto dei fenomeni di attrazioni e ripul- sioni laterali , ove i fisici non ne scopersero alcuna. 356 Varietà' Orazioni sacre del p. d. Clemente Brignardelli già preposito ge- nerale della congreg. somasca. Roma , tipograf. delle scienze i83g. yol. due in ottavo. J. loi raccomandiamo queste orazioni ai cultori della sacra elo- quenza , perchè siamo persuasi che debbano tornar gradite a chi nello scrivere ama tenersi egualmente lontano e dalla sover- chia licenza e dalla rigida pedanteria. Ordine lucidissimo , vi- goria di argomenti , disinvoltura di stile, copia ad unzione, so- no pregi che qui con rara felicità accoppiati, bastano a farci ri- conoscere nel p. Brignardelli un profondo oratore consumato nell'arte , il quale potrebbe con gran profitto seguirsi da quanti amministrano dal pergamo il pascolo della divina parola. O T. Elementi di geologia di T. G. Brande professore di chimica nel reale istituto di Londra. Prima traduzione italiana dall' inglese, con note e coli' aggiunta di un dizionario di termini geologici, del D. M. Carlo Ormea. Voi. in ottavo. Torino i856, presso i fratelli Rcjcend e compagai, con va- rie vedute litografiche. Ouesti elementi furono scritti dal professore inglese ad uso de' suoi allievi, e degli studenti di geologia; giacché nella loro Varietà' 35T ristrettezjta non possono servire ad uomini già istruiti , o cono- scitori profondi della scienza. Ciò non ostante ninna delle cose le più essenziali vi è omessa: sono indicati gli autori tutti , che meglio ne trattarono: non vi si entra in discussioni teore- tiche , ma sopra tutto si hanno dei cenni , e delle brevi no- tizie , esposte con buon ordine, divisa essendo 1' opera in un- dici sezioni. Il benemerito traduttore italiano , a renderla più utile , vi ha aggiunte delle annotazioni con varie figure li- tografiche rappresentanti rocce e vulcani, con un dizionario dei termini geologici compilato sopra i migliori autori di mineralo- gia e di geologia. Inoltre ha voluto aggiungervi quattro brevi di- scorsi pronunziati dal presidente alla reale società di Londra nelle scienze fisiche e naturali, onde far meglio comprendere r alta importanza di siffatte scienze. G. De Mattheis Della maniera di studiare la lingua e V eloquetiza italiana , li- bri due di Basilio Puoti , con l' aggiunta di un allocuzione del cav. Dionigi Stracchi. Terza edizione. S" Napoli dalla officina tipografica sita Carrozzieri a Montoliveto iSSg. ( Un voi. di carte XXII 1 e 127 ). XL questo un libro veramente classico del volgar nostro così per le cose , come per le parole. Sicché io consiglierò i profes- sori di eloquenza e di belle lettere a provvedersene , ed a leg- gerlo e studiailo insieme co' trattati di Cicerone e di Quintilia- no. Ninno, secondo che a me pare , ha saputo meglio del Puo- ti dare un giudizio rettissimo degli scrittori italiani di tutti i se- coli , un giudizio cioè che non pecchi ne di troppa licenza né di pedanteria. Incomparabil criterio ! S. Betti 358 Varietà' Della educazione de'' fanciulli , trattato di Plutarco , voltalo di greco in toscano da Basilio Puoti. S» Napoli, da A. De Ste- fano e soci i838. ( So/jo carte 67. ) VJon quell'aureo suo siile, con quella elegantissima sua favel- la, e con una somma dottrina di lingua greca, non era possibi- le che il signor marcliese Puoti non ci desse una lodatissima tra- duzione anche di questo trattalo del gran filosofo di Cheronea. S. B. Saggio storico artìstico sulla chiesa cattedrale di s. Feliciano di Fuligiio , dell'ingegnere Antonio Rutili Gentili. 8° Fu- ligno , tipografia Tomassini i^'5g. ( Sono carte 92. ) 1 X-i cosa piena d'importanti notizie così di antichità , come di belle arti; e vogliamo lodarne l'egregio autore. Varietà' 359 DelV ospizio apostolico di s. Michele, e dei nuovi lavori ed ab- bellimenti ivi ulliinamente fatti eseguire da S. E. Rina, monsignor Antonio Tosti presidente del pio luogo , edora cardinale amplissimo di S. R. C. e prò tesoriere della S. di JV. S. e sua R. C. A. 8" Roma tipografìa Salviucci iSSg. ( Sono carte 21 ). -Liibro piccol di mole , ma non cosi d' importanti notizie e di senno. Basti che n' è autore queli' acuto ingegno dell' archi- tetto Francesco Gasparoni. Per esso sarà lieve a ciascuno il sapere qual grande instituto di beneficenza sia questo di s. Mi- chele ; quale animo abbiano avuto sempre i gloriosi nostri ge- rarchi nel renderlo degno della maestà pontificia e romana: e ciò che in questi ultimi anni vi h« fatto, principalmente coll'ope- ra del chiarissimo architetto sig. prof. Luigi Poletli, 1' eminen- tissimo cardinal Tosti vero e splendido prolettoi-e d' ognicosa che abbia utilità e gentilezza. Storia documentata dell' antica università degli studi di Mes- sina. 8° Messina, tipografia di G. Fiumara iSSg [Un voi, di pag. 74. ) JLNon senza ragione i messinesi hanno ordinato che una statua in bronzo, modellata in Pioma dal celebre Tenerani , debba rap- presentare la maestà del re Ferdinando li, benefattore munifi- centissimo di quella illustre città. Imperciocché quale maggior favore poteva egli coacederle, che di assicurarle i progressi delU 360 Varietà' sapienza e d' ogni maniera di civiltà colla restituzione dell' uni- versità degli studi? Favore veramente da re: e, quanto a Messi- na , atto non meno di giustizia che di beneficenza: del qua- le tanto più dee godere il cuore del sovrano , quanto più ha potuto egli conoscere la vivissima gratitudine, con cui è stato accolto da que' sudditi suoi. Il che soprattutto apparisce da quest' opera del signor Domenico Ventimiglia , nella quale con eleganza e con dignità sono i ringraziamenti a sua maestà, e con diligenza è l'istoria dell'antica università messinese instituita già dal pontefice Paolo III nel i548, e soppressa dal re di Spa- gna Carlo II nel 1675 , quando quel popolo levossi invano a scuotere il giogo della sovranità spagnuola. jil conte Giovanni Marchetti degli Angelini in morte del suo Federico, elegia di Giuseppe Ignazio Montanari. 80 Pesa- ro dalla tipografia Nobili iSSg, ( Sono carte 8.) J.1 oi vogliamo veramente congratularci coli' autore di questa bella elegia. Non potevasi certo più teneramente parlare ad un padre ( ed a tal padre! ) consolandolo della perdita del figliuo- lo carissimo : non potevasi più elegantemente e pietosamente , anzi , secondo che ci pare , più nuovamente. Valga questo saggio a mostrarlo: in cui dicesi di un' affettuosa preghiera che lo spirito del gioviaetto Federico fece alla sua beala parente Giacinta Marescotti. V 1 n I « T A* 361 Come colui che adora e insieni ringrazia , Drizzai la voce , e „ Donna , allor diss' io , Per r immensa dolcezza che ti sazia, M' impetra tu eh' io possa al padre mio Starmi vicino , com'io gli ho promesso , Sì eh' ei non venga men per lo desio ! Che senza me hai ! deserto , ed a se stesso Tolto , in pianto si stempra , e dalla doglia Sarà , se aita noi sovviene, oppresso. ,, E mentre eh' io dicea, di soglia in soglia Saliva il prego istesso , e le beate Alme, che Amor governa in una voglia . Aveano tutte già le man piegate , Ed aspettavan che alla casta prece Intendesse di Dio V alta boutade. Quando Giacinta presso me si fece. Dicendo; ,, Come piace al mio signore, Starti col padre a tuo piacer ti lece. ,, Ed ora , o mio diletto genitore , Siedo invisibil spirito al tuo fianco. Noi senti tu ? non te lo dice il core ? Io son con teco , se ti assidi stanco Sotto le chiome di una quercia antica: E sovente con teco io mi son anco Qualor ti movi alla tua villa aprica. Non odi tu r óra fra i fiori e i rami ? Non sembra che di me ti parli e dica ? 362 Varietà' E quando tu ne' tuoi sospir mi chiami In voci di dolor profonde e crebre, E invan la quiete della notte brami, Son io che scendo a te fra le tenebre , Siedo al tuo letto , e colle lievi dita Premo tue lagrimose adre palpebre. E quindi teco in vision gentile Favello , e verso il balsamo soave Di paradiso sulla tua ferita. Son' io che volgo del tuo cor la chiave , Quando alla madre mia porgi conforto Si che la vita a lei scorra men grave: E mille baci alla tua fronte io porto Spesso di mattutine aure sui vanni.- Kè ancor de'baci miei ti sei accorto ? Allor che ad alleggiare i lunghi affanni Stendi la mano alla vocal tua lira. Conscia di tante glorie e tanti danni ; E traggl un' armonia mesta che spira In te dolcezza di diletto ignoto , E' lo spirito mio che si raggira Fra quelle corde , e lor dà suono e moto. 5. B. ■a>>»'^ Varietà' 3G3 Della pittura di fra Filippo Lippi nel coro della cattedrale di Prato e dei loro restauri, relazione compilata dal C. F. B. 8» Prato per i fratelli Giacchetti i835. [Un vol.di pag. 56 con sei tavole. ) X ra Filippo LippiyM tale , dice il Vasari , che ne' suoi tempi ninno lo trapassò, e nei nostri pochi. Bellissimi soprattutto sono i dipinti eh' egli operò nel coro [della cattedrale di Prato dal i456 al i4^4' 6 <^i ^ssi , 0 dei restauri che ultimamente vi ha fatti l'abilissimo pittore sig. professore Antonio Marini, parla con assai criterio e diligenza la presente relazione , la quale è giunta ora solo alle nostre mani. Memorie intorno alla vita di Giovan Francesco Barhieii detto il Guercino da Cento. 8° Bologna pei tipi di Francesco Marsigli ( Sono carte i6, col ritratto del Barbieri.) ly d autore il signor Michelangelo Galandi. L' operetta è as- sai breve: ma è assai pur diligente; e contiene parecchie notizie del grande artefice che prima non si sapevano da' biografi; e soprattutto vi si dà in appendice il suo ultimo testamento dei >a di ottobre j665. 364 Varietà' Poesìe liriche di autori genovesi vigenti. 8" Roma, tipografia Salviucci iS3g. ( Sono carte i4*' ) kJ a carissimo amor di patria ha mosso V illustre P. Antonio Buonfigllo, chierico regolare soinasco, a darci insieme riunite pa- recchie belle poesie liriche de'suoi genovesi. Belle diciamo, per- chè veramente nella maggior parte son tali. Il che già non è po- co in un tempo , in cui le lettere , non so per qual codar- dia , si mostrano generalmente si schive di quelP oro de' clas- sici che solo può farle belle; ed amano anzi vivere pochi giorni nella lode degli stolli, che durare immortali e famose ne' tesori della nazione I nomi de' poeti, delle cui j-ime ornasi il volu- metto, sono quelli di Felice Romani, di Lorenzo Costa, di Anto- nio Crocco, di Pietro Giuria, di Giuseppe Gazzino , di Gian- Carlo di NegrOj di Gian-Lorenzo Federico Gavotti, di Tomma- so Borgogno, di Angelo Maria Gè va, di Pietro Bernabò Silurata, e di esso eh. P. Bonfiglio.- il quale inoltre con breve epigrafe italiana ne ha donato il titolo ad Alessandro Manzoni. S. B. Una gita nella Toscana e in Roma , rimembranze per Giusep- pe la Farina. i2" Messina presso Michelangelo Nobolo i838. C Un volumetto di carte 164.) Al sig. Giuseppe la Farina messinese , giovane di vivacissimo ingegno e di alto cuore , non poteva certo vedere si la Tosca- na e sì Roma , queste due grandi madri dell' antica e moderna civiltà della terra , senza sentire all' auiuia mille forti emozioni. Egli ha ben cercato trasfonderle in questo gentil libretto , il quale con piacere si leggerà da quanti amano le glorie nostre , V A R 1 E T a' 365 né parteggiano con un infame Giuseppe Ferrano (i) e sanuo topraltulto apprezzure i portenti delle arti belle. G R. A Francesco Saverio apostolo delle Indie inno. 8° Bologna iSSg, tipi della Volpe al Sassi Nelle funerarie del sacerdote Giuseppe Zama Mellini ottimo in- comparabile, poesia del marchese Antonio Tanari. S» Bolo- gan, tipi della Volpe al Sassi. tSono carte 21.) XI sig. marchese Antonio Tanari, cavalier bolognese , apprese a venerare i classici nella scuola e nella famigliarità del celebre Paolo Costa: e bene il dimostra in queste poesie. Di lui ab- biamo altre volte parlato con lode nel nostro giorna/e. Vocabolario domestico di lingua italiana scritto da monsignor Tommaso Azzocchi cappellano segreto di Sua Santità. 8° Roma, Stamperia Aureli 1839. (Uuvol. di carte IX e 84- V^ualunque possa essere 1' opinione sulla maggiore o minor libertà , che quanto all' uso di alcune parole vuol concedersi a chi scrive nella lingua italiana j certo é che ognuno reputerà degne di lode le costanti, fatiche, che per la purità ed elegan- za di essa lingua non lascia di prendere 1' egregio amico del Cesari , il nostro chiarissimo monsignor Azzocchi. (i) Autore dello spropositatissimo e vilissimo libro intitolato La mente di Giambattista Vico. 366 Varietà' Intorno ad alcuni poeti della famiglia Piccolominl di Siena lettera di Serafino d' Allenips all' aw. Giuseppe FracaS' setti nobile fermano in occasione delle sue nozze con la contessa Ernestina Piccolomini sanese. 8°. Roma nella ti- pografia Gismondi iSog. ( Sono carte i5. ) JLiode al signor don Serafino dei duchi d'Altemps non solo per le belle memorie , delle quali ha pieno questo libretto, ma anche per aver dato un nuovo esempio ( e il ciei volesse che ornai tutti il seguissero! ) di non annoiare con balorde raccolte di versi 1' allegria delle nozze. Notizie pei regni di Caterina II e Paolo 1, accompagnato da interessanti note. 120 Velletri tipografìa di Antonio Mu- gnoz iSZg. ^ Un voi. di pag. 63. ) XI oi abbiamo letto con somma curiosità e con altrettanto pia- cere questo libretto , in cui svelati ci sono molti segreti ma- neggi di corte , e molti tratti di virtù e di delitto. N' è auto- re il signor marchese Carlo de-Ribas Pieri napolitano , nipote di quel vice-ammiraglio de-Ribas, che fiori in Russia sotto gl'im- peri di Caterina e di Paolo, e formò l'ardito progetto di caccia- re eoa 80 mila russo-tartari gì' inglesi dal dominio delle Indie. V A R I K T A^' 367 Descrizione dell'arcata dorica dell'antico tabularlo romano nuO' vamenle scoperta. Fol.Roma i85g.,per Alessandro MonaldL tipografo. Con una lilografla. J^evesi questa descrizione ad uno dei più eleganti architetti , che oggi onorino le arti romane, cioè al sig. prof. Giovanni Az- zurri, che ne ha donato il titolo all'insigne e pontificia accade- mia di 5. Luca, di cui meritamente è socio e cattedratico. Viaggio pittoresco da Roma a Napoli colle principali vedute di ambedue le città , delle campagne e dei paesi frapposti , disegnate dal vero ed incise da Luigi Rossini architetto, ac cademicO di merito dell' insigne e pontificia accademia di s. Luca , socio corrispondente dell'istituto di archeologia. Fol. Roma, presso l'autore i83g. Xli opera non pur piacevole , ma importante per le antichità e per le arti; degna perciò del celebratissimo professore italiano che n' è l'autore. Otlantuna sono le tavole incise all' acqua for- te col solito magistero: e ci rappresentano le cose più singolari, e le vedute più pittoresche, che si osservano per la lunga via che si stende dalla porta dèi popolo in Roma fino alla piazza e alla chiesa di s. Francesco di Paola in Napoli. Il sig. prof. Rossini non ha mancato inoltre di aggiungere alle tavole quelle illustra- zioni in iscritto che ha reputate essere necessarie: e ha dedica- to un sì nobil lavoro al suo caro amico e collega sig. prof. Sal- vatore Betti segretario perpetuo dell' insigne e pontificia acca- demia romana di s. Luca. 368 Varietà' Cenni sulle antiche leggi etrusche, dell' avv. Luigi Cecconi giudi- ce capitolino di appello. 8» Roma 1808, nella tipografia Olivieri. ( Sono carte 55. ) J-lon poteva il signor avvocato Cecconi avere più nobii tema alle sue investigazioni di giurisprudenza. L' Etruria dominò uà tempo l'Italia non meno per autorità che per sapienza, e le sue leggi fiorirono di saviezza quando la filosofia ellenica appena trovavasi nell' infanzia. Quindi noi loderemo il signor avvocato per questa sua opera , che tende a mostrarci le istituzioni dei nostri avi nei tempi dell'italiana civiltà e possanza , non in quelli della barbarie ( grande studio dei degeneri nipoti di og- gidì.') che svergognarono la cosi detta età della cavalleria , o meglio dell' ignoranza , della brutalità , e del brigantaggio- Elogio funebre di monsignor Giuseppe Cattani faentino , cano- nico in patria e camerier d' onore extra urbem di sua san- tità Gregorio XVI, recitato nel dì settimo dalla sua morte XIF febbraio MDCCCXXXIX nella chiesa cattedrale da monsig. Gio. Benedetto de'conti Folicaldi vescovo di Faen- za ec ec. Lugo per Vincenzo Monaldi in 4° di pag. 28. Oe di monsignor Giuseppe Cattani questo solo si sapesse, che tra le altre cariche tenne quella di rettore del seminario di Fa- enza, e di provicario generale di monsignor Tanari, poi di mon* signor Folicaldi ; e che in morte meritò ed ebbe 1' elogio dallo Varietà' 369 stesso monsignor Folicaldi ora vescovo di Faenza , e clie quell' elogio in istampa, per cura del cugino dottor Angelo Longanesi Cattaui, venne intitolato al predetto monsig. Tauari , ora arci- vescovo d'Urbino: basterebbe a destare concetto di buono e sa- vio. Che sarà poi, se le virtù di lui si considerino con verità e facondia esposte, di lui,clie per dirlo colle parole appropriategli nell'elogio, erat vir ille.... rectiis , ac tiinens Deuin ? Che sarà se leggasi la iscrizione postagli al sepolcro dal lodato monsig Foli- caldi? 3Ia una nuova commendazione all'illustre Irap^issato viene dall'uso a cui destinò le proprie sostanze, jj Pensando egli come j, gravissimi mali provengano alla società in ispecial modo dall' ,, abbandono, in che sovente trovasi la gioventù, la quale poi in- 5, felicemente rompe ad ogni nequizia, dispose nelle carte'depo- ,, sitarle dell'ultima sua volontà, che la propria sostanza s^impie- „ gasse a rendere agevole per alquanti giovani una regolare edu- „ cazione, onde fino dagli anni primi essi attenendosi alle vie del ,, Signore, producessero poscia fruito di lodata vita a vantaggio ,, della società e delle particolari famiglie. In tanto beneficio ac- „ cordò egli la preferenza a' consanguinei, i quali in lui , e „ nel celebre monsignore Stefano Marcello Cattani arciprete ,, che fu di Bagnacavallo , avranno esempi carissimi del come ,, convenga all'uomo di regolare la vita per farsi meritevole di ,, commendazione. „ Questo tratto dell' elogio abbiamo voluto riferire, onde si scorga da questa benefica istituzione una ragio- ne di più perchè il uome del lodato ia patria e fuori viva chia- ro e immortale. D. Yaccolini G.A.T.LXXIX. 24 370 V A R I f; T a' Notizie della i-ita a dclh^ opere del jirnft-s.i-jre Giiise/ì/ie Zama Melliiìi, scritte da Giaiifrancesco Ilaniludli. Imola per Igna- zio Calcati in S'^ di pag. 22 {iS?>C) . fji Giorgio e di Maria Magri nacque in Bologna Giuseppe Za- ma Mellini , e Jjene avviato negli sludi da chiari pi'ofessorl ( toccali appena i 2j anni } meritò essere nominato ripetitore di teologia, poi d'ermeneutica sacra , ascritto del 1824 tra i dot- tori del collegio teologico. Si ricorda un suo Lessico peripa- tetico ; ma più le Istituzioni bibliche : né vuole omettersi il Comp'endio di dottrina cristiana , e 1' aureo opuscolo Gesù, al cuore del giovine, e l'altro la Donna forte. Alle cure della cat- tedra , a cui mcrllaniente venne assunto , altre ne aggiunse: tra le (juali di canonico della melropoliUina , che rinunciò per darsi tutto agli sludi sacri. Postumi uscirono i Pensieri teolo- gici, hene accolli dagli inlelligenli , che sarebhero stati ancora più copiosi se fosse a lui durata la vita. Ma la morte che non perdona lo colse il 1 marzo i838 con esito conforme alla santa vita da lui condotta. Dopo le esequie il cadavere fu accompa- gnato alla Certosa dagli alunni, non che dai professori della facoltà teologica e da non pochi canonici. E solenni anniversa- rie esequie in s. Giovanni in Monte si celebrarono a cura degli amici e discepoli con nuova pompa e mestizia il 28 febbraio i83g. Egli è una consolazione il vedere le modeste virtù dell' ottimo professore cosi splendidamente onorate nel nostro secolo. Chi vorrà sapere di lui, vegga le notizie, che annunciamo, e le sue opere, monumento del cuor buono e della mente saggia dell'au- tore desideralissimo. D. V. 371 I IN D l C E DELLE MATERIE CONTEjNUTE NEL T03JO LXXIX, VOLUMI 23S,2ò6, «ir>7 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Principe di Musignano^ Scoperta di una lu- certola {con tavola litografica) . . pag. 3 Santarelli, Dell' inclinazione dell' asse della terra « 9 Elice, Istruzione sui parafulmini ... « 24 Tortolini, Alcune applicazioni del metodo in- verso delle tangenti « 32 Del Chiappa, Vita di Giovanni Rasori . « 72 Avogadro, Fisica de' corpi ponderabili. . « 1 04 Voti medico-legali. Art. II. « 108 Speranza, Lettera sul melena al prof . Santini.* 146 Sereni, Idrometria « 176 Toffoli, Memoria sulla rabbia canina . . « 1<'^4 LETTERATURA Cardinali , Quinta rivista di alcune recenti opere italiane di archeologia. . . . « 185 Montanari, Traduzione del cap. II del libro di Tobia n 233 372 Jrmarolh Ricerche istoriche sulla esposizio- ne de gV infanti presso gli antichi popoli.^ 23T Bruni, Fita Ser. Sulpicii Rufi I.C. . . '^ 245 Marchi e Tessieri, V aes grave del museo kircheriano «oi<- BELLE ARTI Bardi, Galleria Pitti di Firenze Varietà. T'avole meteorologiche. 33: 373 Errori occorsi nello scorso tomoj aW articolo del sig. doli. Tonelli sulla dottrina frenologica del dottor Ferrarese, «wayr» ERRATA CORRIGE fag lin. 1(96 i5 la breve in sulle prime 201 I queste 2o3 21 virtù 206 4 asserzioni; e con ipotesi 2og 20 con l'aspetto 210 22 forse 214 8 in Salomone 2i5 21 idest multo plura ivi liu. 6 della nota) Ili questo profondo filugofo di Paliano , che uello scorso secolo in ratione , non con- senlp le 21 mezzo di parallelismo 22 onustamente venato VII'] Un. II della nota) fertile si- stema 217 14 I225 21 226 La breve istoria in sulle prime questi verità asserzioni a dimostrazioni ; e con ipolesi sotto l'aspetto forte da Salomone idest potentem multo plura Di questo profondo filosofo di Pa- liano ( ove ognora ebbero culla vari rip.utalissirai e dotti eccle- siastici) che nello scorso secolo motione, non conseutioue nesso di parallelismo onaslamento ornato futile sistema ^H M^ ,.:-^ , j^ iiiiiitr II ■pii-iii.™t'»iu^u»iBiiMiu*w»irjiiEu;L>^iig.JBiKJii 9 3 » 7i 9 „ 6 G „ 7 9 4 5 „ „ 9 " 10 0 G mal s'- iCV. — — . — mal. ser. mal. si- 2S 27 28 Temi, esterno 5 5 la 8 5 4 Termometro iG"5 19 i5 7 5 r4 5 9 5 95 i:, i) Igroin. 1 Venlo 0 2 53 N J SE m i5 35 5G 3 19 5 0 0 K m SE f E fmo 0 0 0 (1 0 0 I )3 S d 0 0 0 1 '7 N .j 0 0 ni 2 i3 0 0 SO ci 0 t 12 12 ^i fiiio ìn r 24 1 5 ,, J 9 29 » J IO 0 in 3 25 0 0 S d n 0 0 2 23 N d 0 0 9 N d 7 33 1 3 „ ni i5 35 SO . 1 1 3 3 a 3 Slato del Cielo ser. nu. sp. cop. fi piove ser. nu. sp. nuv. lutto « ra. luiv. sp. ser. nuv. sp. vaporoso Z eli. or. nuv nuvoloso nuv. sp. iHi\oluso cliiarissimo ser. uu. sp. nuv. tliiarissimo vaporoso cliiariss. nuv. sp. niivolopn nuv oloso vaporoso cliiaro nuvuliibO \ a poroso clilaro nuvoloso tliiarissimo ;r. uuv. sp. _ ___ _ cliÌKnsS""o il wm«tMiiJuiiSi!!tmia«asa«i!i.j^ MSima^Bimm Pioggia E\apor. Sialo del Ciulu lìiiit. 1 ^^\tr I iiitil. \ 1 ■'"■'''■ I nini. ■2g]S'- ! lìifit. 7 5 1 \o 5 1 5 9 „ „ 6 Us ì8 o /, 5 ,.5 li6 '8" 5 iG 7! 8 i8 5 7 ^ 0 1 1 SO a. 0 . " ' 2 N. q o 1 S J o 0 o o 17 N il 1 o o 1 puTolp spar. nuvoloso copcito I 75 3 00 1 nuvol. piove N q. o o o Uo|it'ilo 0 7 ! V l'i ove m. iiuv. sp. S. eh N. cop. 1 6 ^^■'- "«• *r- Z di. oi'iz. nuT 1 4 n,. nuv. sp. tliiai'isBjnic 2 7 ^Tanigass^!rragr.^i:i^^T;r..'t;saa,5nigsì°iggaM3g^^ - |gfiSf:«aV&%aii)flyMtf ■Vjt.ìatmw. ìiiV JliSi^. ^ ■ Osservazioni Meteorologiche )( Collegio Romano )( Maggio iSSg. Ore Baromet, ,}0 „ 5 »! 6 3 )1 0 '} 4 ^H O tì 27 11 0 „ 40 7 „ 5 )> 4 „ ft .. I 1 6 2» 0 6 7 " 5 „ 4 " 3 27 S 6 4 16 5 17 7 Terraomelro' niax. min 17 5 .0% »7 '7 7 9 '7 18 j8 7 18 7 10 5 i3 i3 5 Vento SO d SS o SSE f SE fino Pioggia nel)bia Evapor. li 2 2 4 i 2 pò. pio. 3 3 neb. folla 3 2'' 25 neb. oriz. 1 4 a 7 3 2 2 2 7 3 luoni pie. pio neb. folla 3 5 3 5 0 76 1. t. pio 10 0 7 5 Slato del Cielo ser. vap. cbiarissinio ■vaporoso nuv. s[). nuvoloso ser. nuv. sp. cliiarissiino neb, Tap. nuv. sol. Ira ), tulio coperto piov. pbiarissirao >a[) oriz. nuv sp. rissimo chia vap oriz. 11 11 v sp. ser. vap. eh. nuv. oriz. nuvol. sp. inez. nuv. nuvoloso ni. niiv. sp. chiariss. ser. nu. sp. chiarissimo vaporoso nuv. sp. nnvuloso ser. uu. sp. vaporoso cop, jiiov. ser. nu. sp. )» ì> coperto niat. si- 1 Baroraet. 27 8 5 9 2 mal. 17 18 ser. mot. si- ser. mal. Si- ser. Terni. »7 i3 i3 mut. si- ser. mnt. gi- ser. iser. \mat. 'li5\S'- ser. I mat. ser. 25 s-;r. mat. ^Ssi- 'ser. .IIUll. 2 7 Ut. ,mnt. 28 gi. ser. 3 o I 3 27 n j ». « o i 9 4 „ 8 10 8 li 9 7 o o 3 29 mat. si- ser. mat. gi- ser. mat. gi- 2 II 0 2 >l » 1* 3 » >i II 0 1 7 " 6 2 6 5 2 5 Termometro 12 5 i5 5 12 5 16 20 3 '9 19 5 »7 i5 5 16 17 5 >9 20 5 8 5 9 6 Vento S d SO m S d SO f S d SE S NE •'"6§ N f ,> J NÉ „ N m NO d 0 0 NO d 0 0 )» II SO m 0 0 NO d SSO f SSE m SE m N d NO 0 ., 0 SO m 1) d N d o o S d 0 0 SSO m 0 0 N SO H 0 d 0 0 SO m 0 0 SO a nttm-miK-^ -rrinrifiim-i pie. pio. o 5o 3 3o la. O 5o 3o Eva tuoni p. 2I 0 0 2 30 2 20 1 00 por, 4 » 4 3 7 5 5 Stato del Ciel, nuvoloso ser. nuy. sp. nuvoloso chiarissimo cop. pie. pio. ,j piove eh. nuv. oriz. ser. nuv. sp. nuvoloso chiarissimo sereno vap. nuv. sp. chiarissimo ser. nuv. leg. 7 chiarissimo — — Osservazioni Meteorologiche ){ Collegio Romano )( Giugno 1 839 a •o Ore Baromet. Terra, esterno Terme max. 18° metro ni Io. Igrora. 0 2 18 2 Veuto Pioggia Ev 1 apor. i 8 Slato del Cielo 1 nuvolo spar. nuvoloso eh. oriz. vapor. m. nuv. sp. cliiarissniic 3 1 mat. si- ser. 2/ n i> 28 n ^l''• » 0 0 1 « 5 2 5 7 3 7 0 4 .3° 17 12 10 17 >4 i3 19 i5 Ol- io 5 0 0 SO m. 0 0 li p. pio. 1 00 2 2 mal. ser. 18 5 9 11 2 i3 3 N q. 0 SO d 0 0 3 4 3 mat. si- ser. 20 6 1 »7 4 5 3i >7 S J 5 8 7 „ 111. (iriz. ^ cliiarissliuo ■ ^ eh. Olii. miT. 1 nuvoloso ■ vaporoso 1! chianssinio M 4 mal. Si- ser. n 0 0 4 i3 5 21 16 5 23 li ■N „ S f. 0 0 5 mat. gi- ser. 27 28 1 1 0 0 7 _4 3 9 6 4 0 17 20 i5 1 i5 18 i4_ 12 19 i5 •4 21 i3 i6 21 20 i5 10 5 17 i3 2 S ra » f. » (1 4 5 6 J 8 9 IO 11 12 i3 '4 i5 mat. si- ser. 4 12 4 19 3 » ., N .1 0 „ 0 0 4 3 8 S'Ji-. 11 uy . sn, ^ ni. Iluv.sp. H thlarissimo ' a nuT. sp. g cliiarissimo ^ mal. gi- ser. )> )» 1 « 2 2 1 11 mat. si- ser. 1/ )> 3 2 » >» 1 5 7 8 0 8 0 2 8 22 12 il 5 5 20 3 NE J S0„ 0 0 6 5 5 mat. si- ser. 24 01 25 3 20 i5 JN. q. 0 0 0 : inai. gi- ser. IO 21 i5 22 5 11 5 0 m NO d. N m 5 5 nuvoloso H Z.ch.oriz: nuv. 9 mat. gi- ser. 5) 2 0 7 16 5 22 5 17 16 21 18 i5 22 17 23 23 24 i3 11 3i 4 12 22 i5 N. q. 0 NO d N „ so!,' 0 0 lam. t.pi. 3 5o 5 sereno vaporoso ■ chiarissimo B mat. gi- ser. » li " 14 5 6 mat. Si- ser. >y " 6 5 i3 12 5 9 27 3 N.d. SO m 0 0 N d. 0 m 0 0 5 mat. gi- ser. mat. gi- ser. 3" 2 i5 20 .7 5 24 2 28 10 3 » ^J » 5 7 3 i5 23 i8 25 i3 5 25 i5 N d SO „ 0 0 6 5 ;; ! Ore 1 Baroraet. mal. I mal. ' ser. ìiJiat. ..ser. ìiiuit. ìniat. 2o;é''- Imiit, 23 o' ser. I mrit. ìlIKlt. iscr. '.tiuU. 27 s?- ; 28 é'^ 5er. I ma/. Ì29 si. jl lA'cr. I /HI//. lòP'^-ò'-'S 2 9 Term. 16 24 18 •7 25 '9 18 »5 ''9 7 i»9 4 ]25 5 j6 119 5 18 '7 a5 l'i. ;'7 :24 6 j iC). o 24 7 i'9 9 ^9 O 25 7 19 2G 3 2 l 0 '9 7 2G n 20 19 18 2 3 '9 ■28 T.rm max. Dmetro min. ,0 2lj ,.0 10 14 16 i5 27 26 27 27 5 i5 5 i5 5 27 2G G 14 i5 i6 27 26 275 17 i5 16 27 5 26 24 22 17 5 20 1 3 Igrom. Vento Pioggia 8° 35 N J S m 7 0 0 so' 1 0 (j 8 3o i3 9 27 SO a 10 0 0 12 21 so d 3 0 0 8 34 0 a. 21 0 0 12 25 2 so a s „ NE a" s „ ss E „ 4 i5 »7 7 20 2 N [j. 0 S m „ '1 8 17 0 0 SS E m 2 0 0 No"a 4 42 17 '00 1'^ 29 NE J so ni 7 12 29 2 0 0 ■<> » SSO cu , s a - 4 " .5 4 3 >4 2 5 0 0 SSO a s ,. sso""" so m N a I 3 26 6 0 m 0 0 .y<^. bl^^^ Evapor. Sialo del Cielo • cliiarissimo 6 6 6 7 4 6 5 8 5 7 5 4 5 sereno vap. iij chiarissimo Ser. nuv. sp. vaporoso cliiarissimo ciiiarissuuo ser. nuv. sp. chiarissimo nuv. sp. chiarissimo NIIIIL OBSTAT E Jacoplni Censor Thcol. Deput. IMPRIMATUR Fr, Dom. Buttaonl O. P. S. P. A Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patriarcha Antiochenus Vicesg, ARCADICO DI SCLENZE , LETTERE , ED ARTI VOL. 238. m%k f t^ R O U A NELLA STAMPERIA DELLE BELLE ARTI 1839. GIORrVALE DI SCIENZE LETTERE ED ARTI TOMO LXXX LUGLIO, AGOSTO E SETTEMBRE 1839. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ABTl 1059 «s SCIENZE Cenni di Giovenale f^egezzi intorno al correzio- nale delle prostitute ed alVospizio celtico , eret- ti con regie patenti del 28 maggio 1836 neW edifizio dell'ergastolo presso Torino. Torino , tipografia Pomba^ 1838 in 4**. Ne [el 1776 era stato fondato presso Torino un ospizio femminile per le malattie sifilitiche. Esso era stato collocato nel luogo detto il Martinetto , che un tempo serviva ad uso di concerìa, ed era un edifizio vecchio, angusto ed insalubre. L'uma- nità richiedeva di trasferirlo altrove. Presso la stessa capitale, nell'edifizio detto la Generale j era stata nel 1816 stabilita una casa cor- rezionale per le prostituite. Salubre era il luogo, mi la struttura era tale, che non permetteva l'in- troduzione delle discipline tendenti all'emendazio- ne delle carcerate. S. M. il re Carlo Alberto non potè ulterior- mente tollerare tali inconvenienti, e nel 1836 or- 4 Scienze Jinò al conte di Pralormo, primo segretario

  • jut, v, e due co- stanti è, e, e per fissare le idee ZxC^c. In questo modo formando le tre equazioni 2ju!, z^^' — Z>2 /Ji2 — 0=* >''' &2 — y^ e* — ^v^* ove prendendo \ maggiore di &, e c\ il parametro ^ compreso fra Z>, e, ed in fine il parametro v più piccolo di h'^ la prima rappresenta un* ellissoide, la seconda un' iperboloide da una falda, e la ter- za un' iperboloide da due falde. Lo scopo che ci proponiamo nella presente memoria è di far co- noscere dei risultati, che si ottengono col trasfor- mare alcuni integrali introducendovi le nuove coor- dinate ellittiche \ [x, v, od altre del medesimo ge- nere ; ma è necessario di premettere le seguenti considerazioni. 2.» Dalla forma delle equazioni (1) si vede come dato un punto,si potrà sempre determinare per mez- zo delle nuove coordinate X, ^, v; ma non si potrà già stabilire, che date le tre superficie del secondo ordine determinino esse la situazione di un punto; mentre otto sono i punti d'intersezione, per cui nel calcolare estensioni simmetriche di superficie, o di volumi, si dovrà sempre moltiplicare per 8,. onde avere l'intera estensione simmetrica. Di piìi non è difficile di provare dalle equazioni dei piani tangen- ti,che le tre superficie (1) si segano ad angolo retto, e nelle loro lince di curvatura: e per conseguenza Integrali definiti 15 si potranno denominare superficie ortogonali. Le sezioni principali hanno i medesimi fuochi, e dal sig. Lamé sono chiamate superficie omofocali. Non tralasceremo però di avvertire, che queste propo- sizioni erano state già dimostrate dal sig. Binet fi- no dal 1811 in una memoria sui momenti d'iner- zia, e che trovasi nel decimosesto fascicolo del gior- nale della scuola politecnica; come il medesimo sig. Binet lo espone in un articolo inserito nel tomo 2.° del citato giornale del sig. Lioviile. Essendo le x^ y, z determinate da tre equa- zioni, si potrà per le regole ordinarie dell'elimi- nazione dedurre il valore di ciascuna coordinata in funzione delle nuove X, jv., v, ed avremo bcx=).iJ.Vt b[^c^—h\y=^[/^l^—b\ l^ix^-^b^. \^b^—v* I trovati valori possono eziandio dcdursi da una equazione di sesto grado riguardo ad una delle va- riabili X, /^, V. Infatti ripresa per esempio l'ellis- soide l^ l^ — b^ X^ — c^ ed ordinata per le potenze di X, sarà X6 — AX4 -f- BX^' — C = o ove A = x' H-/2 4- 2=* — b^ — c^ B = x^b'^ H- c^) -f- y2C2 H- z^b^ -+■ b^'c'' C = b^c^x' Dall' ispezione dell' equazione di sesto grado si scorge, che anche ^ , v delle due iperboloidi sa- 16 S e r E N X K ratino radici che la verificano, e per conseguenza A -H X^ _{_ 1^2 4- v2 B = hn^ -4- X^v^ -t- i^Jt^ya , e = X'jU^v' e quindi coireliminazione ritorneranno i valori del- le X, j*, z di sopra trovati. 3.° In alcune applicazioni riesce piìi comodo di usare, invece delle tre superficie del second'or- dine , tre varietà di esse ; e si potrà scegliere la sfera per 1' ellissoide , e due coni obliqui a base ellittica invece delle due iperboloidi. Allora, chia- mando r il parametro della sfera od il raggio, ed una quantità costante b^— y^=N, |/'c»— ia^==P, ^/'c»— v»=Q si ottiene rv -+- fJLvr r[x -h [xvr p» X = — -— ^^— • f X • — — — ^— ^— — bc ' he 1 m A \ ( M \ r=,— 7 r -7 m4-MNr ), r = MNr, — — rv hv'c-'—hA^ • / ''' Z^^/c^— Z^^V N ] z= ( PQr — ^ rp. ), z = ^ [ PQr — --rv ) Formando i prodotti a due a due per ottenere i valori di X, Y, Z , sarà primieramente per la Z i a riduzioni eseguite j 2 = ^, ,,Jar^M^ H- yr,N» -H r ( /^^ — - v^" ) ) 1 c|/c^— Z'MVIJNV J \ ì similmente per la seconda ^ == ^7?^'-:pì7 (f'^'P" - •"■' Q' - -■ "^'- '"^) In fine Prima di elevare al quadrato queste tre espr'ssio- ni, e sommare, si riducano al medesimo tlenomi- natore, e facendo per semplicità K-= '' Z^cl/'c- — Z;MV1NPQ' sarà Integrali definiti ^9 Y=K ftxrV^ — vr, Q* — r {^^—v^) j cMN Nell'elevare al quadrato e sommare è facile il ve- dere che le somme dei doppi prodotti si annulla- no; e raccogliendo i coefficienti di r^ , r/ , r^ si troverà il fattore comune b^c^ (e* — b^ )., e a ri- duzioni eseguite si ha _ I / ( p^2 — v2) ( M^P^r'^ 4- N'-Q'r/-h (p.* — v^) r^ ) ~^V ^MNPQ quando per brevità sì ponga R = i/ X^ -i- Y- H- Z^ Ciò posto, la formola per la quadratura delle su- perficie curve si trasforma in S = /• frd^d. 1/ (f"-")(M-P^/-^N-QV,-^(^^-v.),;^ J J ^ V MNPQ ed essendo |x compreso fra b, e, e y <; b^ si potrà l'integrale per una determinata porzione di super- ficie definire =///*" K MNPQ Uno dei casi più semplici è quello della sfera di raggio r; allora le derivate r', r si annullano, e per avere l'intera superficie , conviene moltiplicare il 20 S e I E N Z 8 secondo membro per 8 ; perciò la superficie sferi- ca tli raggio r è espressa dall'integrale definito J* .^^ i fx^ — v^) dudv e __ 8^,2 / / i : — 1- -^ o' b\/'l^^—b\ \^b^—v\ [^c^—ix\ [/'c^-—v^ Ma d'altronde la superficie sferica è Anr^-, dunque avremo l'integrale definito duplicato ( /7,2 — v^ ) dixdy TX J oj c\^P^'—h\ Tale è il valore trovato dal sig. Lame (*) nel to- mo 2*^ e 3° del giornale di matematiche del sig-Liou- ville; verificato ancora per mezzo delle funzioni el- littiche del sig. Poisson (**), dimostrato anche geo- metricamente dal sig. Chasles (***), e semplificato in seguito dal sig. Terquem. Riferito pertanto il trovato integrale a considerazioni geometriche, espri- merà l'ottava parte di una superficie sferica di rag- gio 1. Non mi occupo presentemente di altre ap- plicazioni nell'ipotesi della variabilità della r; men- tre i risultati, che si ottengono nel caso anche di un ellissoide, sono complicati. Passo piuttosto ad un'altra dimostrazione del medesimo integrale de- finito. 5.° Questo si ottiene col trasformare la formo- la generale per la cubatura dei solidi; e chiaman- do al solito X, ^, z le coordinate rettangolari di un punto di una superficie curva cpialunque, si ha per un volume indefinito V, C) Liouville, lonrnal voi. 2, iSS; p. 167; voi. 3, i838 p. 555. ("'*J d." voi. y, p;ig i85. (*'*) d.o voi. 3, i838, pajj. i5 e 99. Integrali DEFiNirr 21 V = fffdxdjdz. Ora sì sa dalle trasformazioni degli integrali, che se r, jUL, V sieno tre altre coordinate del punto che in relazione con le antecedenti sieno date dalle for- inole dx = ocdr ■+■ ^d[x ■+■ yd-j dy = oi'dr ■+■ fi'd^ ■+■ y'dv dz = oc'dr -f-/5'V/7,-i- y'dv allora l'integrale triplo diviene Riprendendo pertanto i valori di x, j-, z del n.» 4"; e differenziandoli completamente alle variabili r,/7.,v, sarà [j.\fdr -+- rjd[x -+- r[jxlv dx bc 1 dy = MNrfr H- — rrxdP^ rvdv ]- ^ l M ' N Jbi/^c' Q P \ 1 ~ rixd[J~ — — rydv ] ■ dz= fpqdr— .,.„. ^ ,... , e quindi ì valori di «, /3, y sono ""^bc'^^bc'-^-bc MN ^ N r/Jt ^'_ M ry ^ ^ b[/^c'—b^' ~WWc^-b^'' '^ N bl/c^—b^ 22 Scienze Formando i prodotti richiesti, e sottraendoli, risul- terà dopo di aver ridotto al medesimo denomina- tore ... , , ^ MQ r^ii- /3 (7« — «7)=--, NP c\ c^—-b^ ) y ( «/3 — «/S ) = -— MQ c^ {c^- — b^) Sia V la somma di queste tre espressioni, e si ri- duca al medesimo denominatore, sarà 7ji^— v^ìP^Q^ ■+- M'Q^/Jt^ -h N^P^'v^ e ' {c- — b-)\ MNPQ J Eseguendo in fine le indicate moltiplicazioni nel numeratore, si trova il commun fattore c^i c^ — b^ ); d'onde più semplicemente p2 (^^■X y2 ) V = MNPQ Ed il volume V sarà espresso per l'integrale tri- plicato r r A IJ-"" — ^' ) rnlrdixch ^ ^ J J J MNPQ Una prima integrazione rapporto ad r si fa entro i limiti o, ed r, e per conseguenza ^ 3 ' J MNPQ ; I.XTKGRALI DErriVITI 2.^ Nel caso di una .sf<-ra, il raggio r è costante, ed j| volume di essa coll'integrante entro i limiti b , e per /x e di o, e Z» per la y , e moltiplicando per sarà 3 J oj b MNPQ ma il volume della sfera si esprìme d'altronde per — ;rr3, e l'eguaglianza dei due valori darà eviden- temente Tultiraa formola del numero quarto; dun- que il richiesto integrale definito rappresenta an- 3 Cora -(\^-y.') =-- (X='-ix=') (i^."-vO (X'-v^t dunque l'integrale triplo V del n.° 5.° si trasfor- merà in (^'-f^')(f^--v)a'-v') ^,,^^„ '/'/'/ GHIKLM ^ Se si integra entro i limiti di o, e, b per la v di b, e per la ^ , ed entro X , e per la stessa X , si avrà l'ottava parte del volume dell'ellissoide di e- quazione = 1 Ma il valore dell'ellissoide si esprime per -- TÙ\ri^ — b\ i/X^ — 0=* o Dunque si ha la trascendente triplicata definita !/ o / Je HGiKLM ^'^^^^ = -V^X-è .1^X^-0^ ! Tale è il valore che trova il sig. Lamé (*), e ve- (*) Liouville, Journal voi. 2,pag. 167. 20 Scienza rificato anche tìal sig. Poisson per mozzo della dif- ferenziazione C'). 7." Cerchiamo infine il valore di un altro in- tegrale definito duplicato, e che è relativo alla qua- dralura dell'ellissoide a tre assi ineguali Ritenute tutte le denominazioni dell' antecedente n." 6.", si determinino le derivate parziali delle .r, :>', z riguardo a /^, e v, col considerare X costante: si avrà Iv X[x bc oc ' ^ ^^^'' —b^h l/"^^ — b^- _I *^ '^bi^c^ — b^ • 1 ^ ' '^' ~ byc' — b'' l"" l/'X^ — c^ M \^}? — c^ N ci^c^—b^-'^ ' cVc^—b^ M r ormando i prodotti x' j , x,y' .... per ottenere i vatori di Z, Y, X; e facendo per brevità _ l\r\^ — b^ i/^l^ — C2 ' Z>"c^ ( c^ — b"" ) si ha col ridurre al commun denominatore, IKLIM, _ b^c]/'c^ — b^ KMKi ( tx^ — v^ ) Y = X \/-X^ — c^ IKLM c^b[/-c^ — b^ ILK, ([x^—v^) [^l- — b- IKLM _^ bc{c^ — b^) /x^v^K. ( /x^ — V' ) X IKLM {*] Liouvillc, lourual voi. 3, pag. i85. Intfcralt definiti 27 Elevando al quadrato, e sommando, e quindi si e- slragga la radice col fare R = [/-X^ -t- Y- -h Z^ e si ponga entro il vincolo radicato il denomina- tore della K, , si ottiene vt IKLM r X4 i^k'h-Y ^'-c'Y coll'osservare che Ma dai valori di x^j, z dell'antecedente numero X^^ jr^ z^ (X^ — iu.^) (X" — v^) X4 e perciò il valore della R si riduce semplicemen- te ad Da ciò ne viene che la superficie dell'ellissoide a ( tre assi ineguali dipenderà dall'integrale g^ ..(/x--v0l^(X3-^-)(X--v-) ^ ' IKLM e per l'intera superficie •^ o/ & IKLM ^ 2?^ Scienze Ma per altri metodi è noto, che la superficie di un ellissoide a tre assi ineguali 2/t, 2h\ Vi\ ove Ih sia il più piccolo, viene espressa dalla somma dei termini (*): •^ pT -^ o T ove e T ^ 1/^1 — ( £' -H £/ ) M' -h e2£/a4 Ma nel nostro caso per i valori di e >• è si ha h = i/1,2-. c\ H = ]/-\^ — h\ W = X e quindi 2l^c^ — Z^^X^" C2( c^ — b^) l\ X^ — 6^ ) ' x^' ( X^ — ^>M perciò risulterà l'integrale definito -^ o^ b IKLM ^ I -- 7- X^— c^ -t- Xl/^X^— Z»" / / -7F- 1 C) Si può consultare Legendre Fonctions elliptiques tora. I, pag. SSg, una Memoria del sig. Plana inserita nel tom. 17 del giornale del sig. Creile, ed anche una mia piccola Memoria che trovasi nel tom. 78 di questo giornale. Si veda altresì una re- cente ed elegante Memoria del sig. Catalaa ( Liouville, lournal. juillet i839 ). INTEGRALI DKFIMTI 29 Ognun vede che l'integrale deiinito del primo mem- bro di questa ultima equazione dipende dalle tra- scendenti ellittiche di prima e seconda specie. Ter- mineremo con alcune riflessioni sulle trovate for- mole. Sia P la perpendicolare abbassata dal centro delTellissoide sul piano tangente la superficie nel punto Xf y^ Zi sarà P=_ ^__ x^ r^ z^ Vt: X4 ( X* — b^ y ( x^ — c^ y o più semplicemente con la sostituzione dei valori di X, ji 2, come già si è avvertito, P = j: L [/X^— [J-^. 1/ X^* — V2 Da questa espressione , e dalle cognite proprietà dell'ellissoide si deduce, che ^/X^ — f/,^ p/X^ — y^ è il prodotto degli semiassi principali di una sezio- ne diametrale parallela al piano tangente. Ciò po- sto, si differenzi due volle la S, che rappresenta l'integrale indefinito duplicato: avremo ^^S _ ( ^^ _ v= ) dudv J/-X^"^ ^^ l/^X» — v^ IKLM ' Per estendere all'intera superficie dell'ellissoide que- st'ultimo rapporto si deve moltipllcare per 8 ed in- tegrare entro i convenuti limiti, e si divida inol- tre per n i ( essendo n il rapporto della circonfe- renza al diametro ) si ha / ^ / '^ Q^'S _ 8 ,.* .<^ ((J^'—y^) dijxh J J b Tc.l/X^— /I=.|/X^— v^~ ■^ J oJ b IKLM 8 30 Scienze e per conseguenza il primo membro rappresenta la somma degli elementi superficiali tieirellissoide, dirisa per le aree delie sezioni diametrali parallele ai piani tangenti di questi elementi. Il sìg. Glia- sles (*) asserisce aver dimostrato con la sola geo- metria in una sua opera (**), che la somma indi- cata è eguale a 4. Dunque tornerà il noto risultato J ol b IKLM 2" Facendo uso dell'enunciato teorema, il sìg. Chasles deduce la dimostrazione geometrica dell' integrale definito. (*) Liouville, Journal voi. 3,pag. i3. (**) Apersu des méthodes eu geometrie, pag. 819. 31 LETTERATURA lusti Fontanini , archiepiscopi ancyrani , philolo - gica disquisitio , ex aufogmpho hihliotìiecne s. Gregorii ad clivuni Scauri in lucem edi- tn, cnm D. Amhrosiiis Bianchi^ ord. s. Bene- dicti cong. camaldulensis abhas generalis, iti collegiutn patrum cardinaliam cooptaretur , FUI id. iul. mi. MDf ce XXXIX. Romae ex tipographia Sahiucci. Fol. in 8.° di facce 18 con due tavole di litografia. I 1 R. P. D. Gregorio Nardinocchi, cancelliere dell' ordine de'carnaldolesi, biioliotecario del monistero di s. Gregorio al clivo di Scauro, La jjeii giusta- mente posto industria in celebrare avvenimento tan- to lieto all'universale e tanto all'illustre sua con- gregazione glorioso , quanto è stato la esaltazione alla porpora del P. D. Ambrogio Biaiìchi , abate g^-neraie dell'ordine benedettino camaldolese; nomo di quella dottrina e virtìj che tutti conoscono ed afnniirano. Né per questo solo vogliamo encomiare l'erudito monacoi w^^ sì ancora pel modo di con- 32 Letteratura gratulazione da lui preferito come migliore, secon- do esprime egli stesso nella elegante sua lettera al nuovo cardinale : Àc mihi qiddem quo gratiilatio- nis genere itti deberern cogitanti^ il la gratulandi ratio optima visa est, recenti consuetudine rece- pta, nimirum, ut ineditnm quidpiam opus, doctri- nae copia vel auctoris fama praeclarum, tibi nun- cupatum in luceni emitterem. E in questo gli suc- cesse ottimamente , che fra' manoscritti di quella biblioteca, che illustrarono gli studi di un Mitta- relli, di un Costadoni, di un Sarti, di un Biagi, di un S;mclemenfe, e di altri di quella nobile schiera, si trovasse autografo ed inedito uno scritto del Fon- tanini, nel quale raddirizzando gli errori di stranie- ri chiosatori, s'espone quel detto di Giovenale (sat.V) Aliena vivere quadra; dichiarando poi cosa ben di- versa, ch'è Vhomo quadratus. Non vogliamo però tacere che il vero di quel motto , se rimasto era ignoto al Britannico, al Baldi e al Baifio; non pe- rò lo era a' nostri filologi. De' quali ricorderemo per tutti il dottissimo senator Buonarroti ne Pietri cimiteriali, che ne scrisse:» A dir vero però, tal con- trassegno nei nostri vetri non porta seco certo ar- gomento dell'allusione [alla croce), che noi dicem- mo: conciossiacosaché anco appresso gli ebrei ed i gentili il pane, che serviva loro di quotidiano ali- mento, era per lo più contrassegnato con una cro- ce, senza però dividerlo affatto . . . Onde poi quan- do egli era cotto si faceva in quattro parti, le qua- li perciò si denominavano quadre (1). » E il Boldet- ti , che parlando di quella divisione a foggia di [t] Vetri » e. 56. I. Fontani»! Dìsquisitio 33 croce diceva: » Edi qui eLJie origine la denomina- zione di quadra a qualunque sorta di pane, di cui Orazio: Et inild d'widuo f'undetur munera quadra-, e Marziale: Nec te Uba iuvant^ nec sectae quadra placentae . .. Donde poi nacque il trito proverbio accennato da Giovenale: ^//e«a vivere quadra {\).» I quali luoghi sono appunto que' medesimi che dal Fontanini si dichiarano. Il benemerito editore ha aggiunto di suo alcune note, e il raffronto di due monumenti, pagano l'uno, cristiano l'altro, che sono ambedue nella collezione del vaticano. Sentiamo poi al tutto con esso lui , quando afferma che se nel monumento del fornaio appaltatore degli appari- lori Marco Vergi li o Eurisace (2) i pani non sono ora distinti da quella divisione; ciò avvenne per- chè il bassorilievo in travertino era tutto finito a stucco , aggiuntivi ancora diversi colori. Cosa che non ha poi durafo al tempo; alla quale dovevano forse por mente, piìi che non hanno fatto, coloro che scrissero sin qui della condizione di quelle scullxu'e. P. E. Visconti (i) Oss. sui cimiteli de' ss. niartir. llb. i, a e. 209. (2) C.ilgo questa occasione per rivendicare innanzi al piih- lìlico la sposizione delle voci bedemptoeis apparet per Redeinplo- ris appareturum, da me data in sul luogo al primo scuoprirsi dell'iscrizione stessa, presenti l'erninentissimo e reverendissimo sig. cardinale Mczzoranti, il R. P. Marchi della C. di G. ed altri molti, che qui uon accade di nominare. G.A.T.LXKX. 34 Lettera di Zefirino Re a sua Eccellenza Reveren- dissima monsignore Emmanuele de conti Muz- zarelli uditore della sacra rota. JT er le nozze dell'avvocato Giuseppe Fracassetti , distinto giureconsulto e letterato di Fermo , colla contessa Ernestina della illustre famiglia de'Picco- lomini di Siena, sonosi pubblicati alcuni leggiadri componimenti, che fanno vaga corona all'acclamato imeneo: e sono oflferte degnissime all'erudito sposo ed al suocero di lui , provveditore generale della patria università, e uomo in ogni genere di sludi ed in particolar modo nel greco profondamente versato. Il conte Luigi Pelagallo , coltissimo cavaliere fermano, che nella lingua del Lazio ha il vanto di purgato ed elegante scrittore , ha fatto al novello sposo il pregevol dono di una traduzione in latini versi di cento venticinque epigrammi; molti de'qua- li da me in varie edizioni stampati, ed altri di re- pulatissimi autori italiani, fra i quali Roncalli, Pa- nanti, Bertola e Gio. Gherardo De-Rossi. Merita il I dotto cavaliere quella lode , che un collaboratore di codesto giornale nell'ultimo quaderno del 4 838 a tutta ragione gli ha reso: ed io in ispecial modo devo a lui grazie distintissime, pel bello onore a* miei epigrammi compartito: ma non mi soffre l'a- nimo di togliere a lui il merito di si pura latini- tà, e di attribuirmi a suo discapito una indebita lama. L E T T E R A D I Z. R E 35 Prego quindi^ l'eccellenza vostra reverendissi- ma a far conoscere Terrore, in cui l'estensore del- l'articolo, malgrado de'suoi lumi (forse pel dubbio collocamento de'nomi nella stampa del libretto), è incorso di credere cioè che quella del conte Pela- gallo sia una versione italiana d'inediti epigrammi in latina lingua scritti da me e dagli altri nomi- nati autori, non avvertendo a que'versi della dedi- ca, in cui si legge : Italico e plectro nonnulla epigrammata, chordns Qui quondam in latias^ te auspice^ transtuleram^ Nunc primuin vulgata tjpis^ tihi sistere nunc est^ Atque istud nostri mittere mnemosjnon. E non sarà, credo, discaro all' estensore me- desimo, che si corregga questo suo innocente ab- baglio, poiché tal correzione a maggior lode ridon- da dell'egregio cavaliere per la maggior difficoltà di rendere con tanta proprietà e purezza nella la- tina favella i concetti degl'italiani epigrammi. Ed a pili esteso saggio di questo suo lavoro al- cuni altri io ne riporterò, che mi sembrano mae- strevolmente tradotti. I. Di DE-COOREIL Un giorno la Speranza Per ciaschedun mortale Fece un bel canocchiale. Questo, com' è l'usanza, Dall'un dc'lati suoi Ingrandisce l'oggetto oltre misura ^ 36 Letteratura Dall'altro lato poi Rende piccola e lunge ogni figura. Se l'uom dal primo lato il guardo gira, Il ben futuro mira; Guarda dall'altro lato, E vede il ben passato. TRADUZIONE Mortali^ ut perhihent^ cidvis Spes condidit olim Aptum daedalea ex arte telescopium. De more hoc^ Intere ex uno, protrudit et auget Obiecta: ex alio semovet^ imminidt. Inde sua advertat si lumina, quisque futurum Prospicitf elapsum prospicit hincque bonum. XII. DI ZEFIRINO RE La moglie di Lucon, ieri affogata, Invan per la corrente è ricercata. A voi, che suo costume appien sapete, Contr'acqua andate, e la ritroverete. Hesterno suhmersa die, frustra amne secundo Uxor Luconis quaeritur heu misera ! At vos, qui morem cerehrosae noscitis, ite, Jdversaque illam reperietis aqua. XIX. DI PAOLO ROLLI Non bastan mille e mille Poetiche parole LetteradiZ. Re 37 Per dir dell'altre belle: Ma per descriver Fille Ne bastano tre sole; Ossa, rossetto e pelle. Non mihi, si reliqiias laudarem Carmine nymphas , inerba poetarum millia sufficerent. Ast uhi contingat describere Phillida^ teniis Me expediam merhis^ ossa, cutisi minium. XXV. DI ZEFIRINO RE In questa tomba, u Albin poeta giace, Co'versi, che fc' in vita, implora pace. E qual pace sperar, se ancor sotterra Co'tristi versi suoi ci muove guerra? Carminibus, cptae vivus adhuc sibi scripserat, Aidus Exposcit pace in, conditus hoc tumulo. Quo pacto at sperei? nobis si forte sub umbras Bella suis mo^eat nunc quoque carminibus ? XXXIII. DI G/O. GHERARDO DE-ROSSi Quando da giovinetto ti adorai, La madre dell'amore io ti chiamai. Mio (ìglio or t'ama; ei può chiamarti, o Glori, L'avola degli amori. Cum te deperii primaevo in flore iuventae, Ipsa mi/li, ut cecini, mater amoris eras'- Ast te, Nisa, meus redamat ?iunc nntus; amorum Iure ergo hic nviam dicere te poterit. 38 Letteratura. LXXXV. DELL ABATE LAMPREDE Nel porre in scena il furibondo Aiace, L'Atride altero e l'itaco mendace, Gran fatica Telesforo non fé: Copiò se stesso, e si divise in tre. Dum scenae Aiacem furihiindam, yltridu superbum Mendacemqae ithacum Fusculus exhibuit; Nil stiidii impendit: nam sese cjfuixit ad unguem; In tres seque uno tempore diribuit. LXXXVIII. DI ZEFIRINO RE Diogene austero nell'età remota Solca filosofare a botte vuota: Ma Lucio, che miglior secol riraena, Filosofar si piace a botte piena. Diogenes illa longinqua aetate solebat E vacuo sophiam tradere doUolo. Lucius ast ortus meliorl tempore gaudet E pieno sophiam tradere doliolo. XCVIIL DI AURELIO BERTO LA „ Ve' che freme su per l'onda „ La piìi nera traversìa: L K T T E a .\ D I Z. R I 39 „ Che farà la barca mia, „ La mia rete che farà? „ Disse Cromi, che sedea Su di un greppo con Nigella. E risposegli la bella: ,, Sei qui meco, e pensi là? „ Cromi allora: „ Ne alla barca „ Ne alla relè io penserei, „ Se tu fossi come or sei f, Sempre tenera con me. „ ,, Ma voi, ninfe, al par dell'onde „ A cangiarvi usate siete: „ Troverommi senza rete, „ Senza barca e senza te. „ Aspice ut infrendens omnis late aestuet unda : Heu quid erit reti, naK>iculaeque meae ? Haec Cromi s Nisae assi de ns prope littus; at illm Cur mecum adstnntem mens rapit hinc alio? Ah te si Qupidam semper, tane Croinis, haberem^ Haud equidem cordi retia, cymba forent ! At nimphae^ ut pontus, variae ! Sic denique cogar^ Et rete et cymha teque carere simul. L'eccellenza vostra reverendissima, che tanto sente nelle italiche e nelle latine lettere, applau- dirà meco , sono ben certo , all' illustre scrittore nella nobil favella, che a' giorni nostri ha sì pochi cultori, e che stoltamente alcuni tentano d'invilire, distruggendo cosi la fonte, da cui tanto bello è a noi derivato. Ho l'onore ec. 40 Due ragionamenti letti Vanno MDCCCXXFII ai cherici dello studio filosofico del seminario di Brescia dal prof. Giuseppe Brunati. Ragionamento priìno d' introduzione alla lettura della storia delV origine, de^progressi e dello stato attuale di ogni letteratura delV abate Giovanni Andre s. S. I- PROEMIO JTer secondare le brame di lui die ci rej^ge (1), assai di buon animo, ne'giorni ne'quali a quest'ora non avrò a parlare da altra cattedra, io mi unirò qui a voi, o venerandi allievi del santuario , e ci dedicheremo in comime ad uno studio che vi ser- virà di compimento agli studi già fatti, e di prepa- razione e di guida agli altri più svariati, piìi va- sti, più difficili e pili importanti, ne'quali gik ave- te posto il piede od a cui v'inoltrerete negli anni avvenire. C'interterremo cioè della lettura alquanto posata della Storia dell' origine, de^ progressi e del- (i) Mons. Gabrio Maria JNava allora vescovo di Brescia di gloriosa memoria. R\GIONAMBNTI DEL BrUNATI 4Ì lo stato attuale di ogni letteratura delt ah. Gio- vanni Andres , imitando così T esempio del reale liceo di s. Isidoro di Madrid, nel quale codesta ope- ra recata in lingua spagnuola si legge e si espone in apposita scuola (1J. Onde però richianiare mag- giormente la vostra attenzione ad essa, e renderve- ne la lezione piìi vantaggiosa, stamattina ve ne es- porrò primamente i sommi pregi senza tacervene i difetti, ve ne svolgerò l>revemente il sistema ossia l'ordine, e vendicherò come dobbiate valervi delie singole sue parti per gli studi passati, attuali e av- venire. II. Pregi e difetti della storia di ogni letteratura dell" Jndres. A dire primamente dc'pregi e de'difetti della Storia di ogni letteraturx del Cab. Andres, ognuno vi ravvisa grandiosità di disegno o di sistema , e saggia distribuzione e chiarezza lucidissima in tutte le sue parli. Desta maraviglia il vedere come quel grande istoriografo abbia saputo disaminare fred- damente e penetrare in tante e sì disparate ma- terie; riunire le sparse fila di tutto lo scibile uma- no ; serbare in un' immensa raccolta e varietà di erudizione, di vicende, di opinioni, e di popoli, or- dine , precisione e chiarezza; ottrire in tanti vari (i) Caballeros Diosdados, Supplem. biblioth. scrìptor. soc. lesuT^. 83. Roma i8i4 in 4- Elogio storico del p. Giov. Andres. Napoli 1817 in 8. 42 Letteratura prospetti o vedute unisone e lumeggiate maestre- volmente l'origine, i progressi, le vicende, la vita delle lettere e delle scienze tutte; e presentare co- sì al mondo un'opera unica nel suo genere. L' An- drea però imprese e continuò questo difficile la- voro per gran parte fra gli sconvolgimenti e le an- gustie, e in tempi ne'quali l'idolatria per certi uo- mini, per certe massime, e per certe teorie o si- stemi seco quasi trascinava l'opinion generale dei dotti e delle scuole e quella de'governi medesimi, i quali senza molto avvedersene, e credendosi illu- minati, fablìricarono quelle armi che poi s'imbran- dirono contro di loro. Inoltre talvolta non potè stu- diare abbastanza nelle materie, o dovette arrischia- re de'giudizi sull'altrui fede, o temere di pronun- ziare troppo francamente , trattandosi o di autori viventi o di altri legati per troppi riguardi agli uomini di quol tempo, o di quistioni tuttora bol- lenti e avvivate da traviati ma forti ingegni. Per le quali cose eziandio nella seconda edizione di que- st'opera dall'autore fatta in Roma nel 1808 (1) sì veggono „ accreditate, distese ed ammesse certe opi- „ nioni, ben piìi che ardite e ipotetiche, su certi ,, sistemi 0 romanzi fisici, su certe antichità favo- „ leggiate da certi scrittori entusiasti per alcuni „ paesi o da'nemici della mosaica cronologia; qua „ e la citate con soverchia lode certe opere usate „ da quella congrega, che ha smascherate abbastan- (i) Opera enciclopedica, la disse ultimamente il eh. Vacco- lini, art. Andres nella Biografia degli ital. illustri del prof. Ti- paldo tom. IV, p. a63, che presenta un gran quadro intellettua- le per la sua ampiezza maravigliosa. Ragiokamemti del Brinati 43 „ za le proprie mire colla pubblicazione della più „ infame corrispondenza, encomiali talvolta ezian- ,» dio certi nuovi scrittori di nissuna fede anche ,f tra'protestanti, e accreditati soverchiamente certi „ altri autori, i quali precursori de'falsi filosofi ed „ eco miserabile de' protestanti, prepararono alla „ chiesa e allo stato quelle luttuose vicende, che „ non ne hanno ancora disingannato i troppo cre- „ duli e tuttavia numerosi discepoli (1) „. Io però non tralascerò di venire passo passo avvertendo, per quanto me ne avvedrò io stesso, nella progressiva nostra lettura cotesti falsi o pericolosi giudizi , i quali introdusse l'Andres nella sua Storia, malgra- do del suo buon volere e della sua somma adesione alla retta fede ed alla ecclesiastica autorità. Sembra eziandio a'critici che nella Storia, di cui parliamo, troppo s'innalzi talvolta il merito degli arabi e troppo se ne vogliano scusare i difetti (2), e che vi si ragioni con qualche inesattezza delle cause del decadimento della eloquenza (3), apponendose- ne p. e. qualche colpa a quegli scrittori che fer- marono ne'loro trattati le leggi di essa, e asseren- dosi che le spelonche, le grotte e le sponde del mare fossero quasi le uniche scuole della rettorica (i) Baraldi, Notizia geografica del p. Andres nelle Memo- rie di religione, di morale e di letteratura t. "VI, p. 458, 45q. (i) Andres, Storia t. I, e. VIII-XI, p. ii6-33i. Vedi il Ti- raboschi, Storia della Ietterai. Hai. t. IV, llb. II, eli, n. io 35 e toni. V, lib. I, e. IV, n. 21 ; l'aggiunta all' art. Andres nella' Biografìa universale della edizione venetaj il Lotiìbardi, Storiti della letterat. ital. nel secolo decimo ottavo lib. III, e. I, n, 64; non che l'Arleaga, Rivoluzioni del teatro ec (3) Andres, Storia tom. I, e. III.p. 41-43. Vedi Tiraboschi t. I, par. II, e. II, n. i5; e par. Ili, lib. III, e. II, n. a6, 27. ii^4 Lkttkratura (li Demostene. Si fatti difetti o vizi però non ci debbono disanimare dal leggere e studiare un'ope- ra che riunisce meriti luminosissimi : come non vuoisi tralasciare di solcare il mare, perchè abbia qua e la sparse le sue sirti : sì queste voglionsi conoscere e schivare attentamente (1). Senza piìi dunque veggiamoqual sia il sistema della grande storia. §. III. Sistema della storia di ogni letteratura dell' ah. Andres. L'opera è divisa in quattro yoar^/, le quali han- no tutte la loro (ìi\%\!\x\\s\. prefazione. La prima parte presenta una storia filosofica generale delV origine^ progressi e stato di ogni letteratura. L'autore da quella anteriore alla greca passa alla greca stessa , indi alla romana^ confrontandole e seguendole am- bedue nelle loro vicende. Parla poi della lettera- tura nata e cresciuta col propagarsi della chiesa cristiana, cui perciò òcuovciinvi ecclesiastica^ la quale colToscurarsi di ogni scienza per poco oscuratasi anch'essa, aspettò un nuovo lume dalle regioni o- rìentali. E qui entra l'autore a discorrere della let- teratura degli arabi, e della sua influenza nel ri- sorgimento della letteratura europea, magnifican- (i) Dicesi che il eh. p. A. Narbona nella sua Storia di ogni letteratura di G. Andres abbreviata e formata di «oito di buon cittadino, è altre- sì valido mezzo perchè la gioventù s'innamori, allo Necrologie 65' specchio fli Ini, d'opere gentili e laudate. Torna bene per tanto dare c|uli un cenno della vita di quell'illustre Carlo Boucheròn, che procacciò all' Italia vanto novello di latine eleganze. Egli nacque di Giambattista Boucheròn e Vit- toria Grandi in Torino il dì 28 di aprile 1773, ove diede opera agli studi delle latine ed italiane let- tere, e dappoi a quelli della teologia e giurispru- denza, ne' quali fu decorato di laurea , toccando appena il quarto lustro d'etk. Fu posto ancor gio- , vinetto ad onorificentissime cure di stato, princi- palmente per opera del cav. Clemente Damiano di I Priocca ministro di stato, che pervenire il fece j alla carica luminosa di segretario. Non molto tem- po la tenne però; dacché le variate forme di reg- ! gime, cui dì que'giorni andò soggetto il Piemonte, rientrare lo fecero nell'ordine privato di vivere, e gli apersero un campo bellissimo ad erudirsi vie- I maggiormente nelle lettere latine, e ad apprende- i re le greche ed ebraiche all'amorosa scuola di Torn- ii maso Valperga di Caluso, potentissimo ingegno, che ■\ l'ebbe caro assai. La varia e molta dottrina, ond' Ì| erasi posto al possesso, gli guadagnò l'onore della ij cattedra di lettere latine nel patrio imperiale li- M ceo, e nel 1812 di letteratura greca nella univer- sità; nelle quali esercitazioni durò fino all'anno 1814-, in cui dal reduce suo principe fu eletto altresì a professore di latine lettere nel regio ateneo. La po- tenza somma dell'intelletto, e la profondita e acu- tezza del criterio, che ammirasi in ogni cosa che ci venne da lui, valsero ad accrescere grandemente la fama di questa scuola, salita giU in pregio pe' suoi predecessori, fra'quali accenneremo il Vigo e il Garmagnano. Le reali accademie , militare e di G.A.T.LKXX. 5 66 LsTTSnATURA belle arti, vollero pure far tesoro delle sue lezioni; nella prima delle quali insegnò le umane istorie, nella seconda rarcheologia. Dal che tutto argomen- tare possiamo, quanta fosse in lui copia di erudi- zione e vastità di sapere. Queste nobili faticbe gli meritarono bei premi dalla reale munificenza, che il volle dell'ordine de' cavalieri de' j^j. Maurizio e Lazzaro non meno, che del merito civile. Ma quel- lo che piìi gli porse consolazione al cuore si fu la elezione in lui a precettore de'due principi fi- gli, che gli diede a conoscere pienamente quanta fosse la estimazione, in che era tenuto dal re Car- lo Alberto, che l'onorò mai sempre di sua amore- volezza. Queste gravi e moltiplici incombenze, co- mechè si portassero molta parte del tempo di sua giornata, pure gli permisero a quando a quando di dettare assai preziosi lavori , che sparsero il suo nomo per le bocche di tutta Europa. Primo dei quali fu la vita di quel!' egregio cav. Priocca, che ne'primordi della sua gioventli elevare il fece all' onore, che dì sopra è detto; con che addimostrar volle quanta fosse la gratitudine che all'uomo de- gnissimo professava. Un commentarlo latino sul barone Vcrnazza, statogli amico e collega nell'ac- cademia delle scienze, e che meritò fama di eru- dito, venne alla luce secondo. La terza opera , che vicmaggiormente accrebbe il grido di suo sapere, fu quella sulla vita e sugli scritti del Galuso, nel- la quale si ammira la vasta e svariata sua dottri- na, la profonda filosofia de'pensamenti , e quella cara e sublime eleganza, che le latine grazie dif- fusero in tanta copia in ogni sua cosa. Giudizioso il tipografo Pomba designò riunire le tre accen- nate opere , ed oUennc dal Boucheron una assai NECROl-OGlfi 67 ^estesa prefazione, ove si dìi a conoscere valentissi- mo nel dipingere e tratteggiare gli avvenimenti delle nazioni, e la varia fortuna degli uomini, alle cui origini vere l'acutezza di sua veduta perviene. Coadiuvò pur grandemente quel tipografo nella edi- zione de'classici latini, ove ad ogni scrittore pose innanzi fertilissime e sugose prefazioni: fatica che venne da quello rimeritata con medaglia d'oro, co- niata appositamente dal chiaro incisore Gaspare Ga- leazzl piemontese, nel cui diritto leggesl all'intor- no della ritratta effigie : Carlo Boiiclieron : e nel rovescio : Ob egregiam operam in edltlone scripto- rwn latinorum collatam I. Pomba an. M. DCCC. XXXf^II. Scrisse inoltre molte latine orazioni pre- giatissime, che vennero lette da lui a quando a quan- do pel riaprimento delle piemontesi scuole, e per altre circostanze; e fatte poscia di pubblica ragio- ne. Riunì pure il Pomba in un solo volume le ma- ravigliose epigrafi di lui , che anche in tal ramo della nazionale letteratura lo addimostrarono non inferiore ad altri valentissimi, cioè a dire al Mor- cclli e allo Schlassi; Cosicché meritarono gli elogi dell'accademia di storia di Madrid, e de'piìi accre- ditati giornali italiani. Sull'ultimo della vita erasi posto a tradurre V opera di Senofonte, che narra la ritirata dei dieci mila ; versione che per mala ventura non fu tratta a fine. Questi furono gli scrit- ti , che ne restano a testimonio dell' alta mente del Boucheron. Ma egli fu virtuoso ancora dell'a- nimo, e noi non vorremo essergli ingrati , tacen- done a'ieggltori nostri. Bellissime doti del suo cuo- • re furono 1* ingenuità e cortesia delle maniere , e {| la schiettezza dc'sentlmenti, non disgiunta però dal- la prudenza. Conoscendo che la vera amicizia in pò- ri 68 Letteratura chi petti s'annida , egli si tenne contento di aver quella de'buoni, che è vera consolazione. Godè ogno- ra Ja riverenza dogli alunni, a'quali più che mae- stro fu padre alTettuoso. Il molto sapere , di che avea ricca la mente, rendealo parlatore eloquente ed arguto. 1 primi letterati italiani tennero corri- spondenza d'amore e di lettere con essolui. Con si J)eile virtù non gli fu dato però di fuggire l'inimi- cizia di pochi, verso i quali non si mostrò giammai cruccioso o debole ; perchè dal sapere deriva no- hilth e grandezza d'animo. La morte recise il filo de'suoi preziosi g'orni nel 16 marzo 1838, gettan- do nell'angoscia e nel pianto lutti coloro, cui l'ita- liana gloria non è vana parola. Francesco Capozzi III. CONTE GAETANO MVZZARELLt BrVSANTINI. T. ra le nobili famiglie di Ferrara occupa uno de' pili distinti luoghi quella de' Muzzarelli originari di Bologna, ove cominciarono a fiorire poco dopo il secolo XI e tennero le primarie magistrature fin- tanto che nel secolo XVI, per aver seguita la par- te guelfa, si trasferirono in Ferrara, ove conser- vando sempre la nobiltìi bolognese furono ammes- si al patriziato, ebbero il titolo di conte, e si strin- sero in parentela colie piìi cospicue famiglie d'Ita- lia, e per fino con quella d'Estc, che ivi dominara con tanta potenza e splendore. La brevità dovuta ad un articolo c'impedisce di noverare tutti gli uo- INEcnotoGiE 69 mini insigni o per armi, o per lettore, o per incari- chi, usciti (la questa prosapia: ma non possiamo pe- rò passarci dall' accennare un Giacomo canonico della basilica vaticana e chierico di camera : un Girolamo dell'ordine de'predicatori maestro del sa- cro palazzo apostolico , creato da Giulio III arci- vescovo di Cosenza, e per selle anni nunzio apo- stolico di Spagna: un Giuseppe Maria, il quale do- po avere lasciato bella fuma di se nel collegio di Parma, ed aver sostenuto con grandissima lode in Ferrara innanzi al card. Giacomo Serra conclusio- ni di fìlosolìa, di teologia e di diritto canonico (1), fattosi cappuccino, e dedicatosi al ministero della predicazione, fu in opinione grande di santità e dì dottrina: e finalmente un Alfonso della compagnia di Gesìi, teologo in Roma della penitenzieria , il quale ad una singolare pietà accoppiò vastissimo sapere, siccome ne fanno fede le moltissime opere da lui pubblicate e continuamente riprodotte. Da un lignaggio cosi illustre, e in cui giammai venne meno l'amore per le lettere, discendeva Gaetano Muzzarelli J3rusantini, il quale ultimo cognome ri- corda altra nobile famiglia ferrarese già estìnta,* in cui nel secolo XVI fiori quel Vincenzio Brusan- tini autore del poema in ottava rima intitolato V angelica innamorata, e di altre poesie lìriche che in parte si leggono nel tempio di Giovanna d'Ara- gona. Nacque il nostro Gaetano ai 21 di ottobre 1746 in Ferrara dal conte Francesco, e dalla con- tessa Isabella Moro ultima superstite della sua co- (i) Le suddette tesi furono stampate in Parma nel 1622 per Antheo yiothi. 70. L È T t fi ft A T U R A spicua ed antica prosapia, della quale recò ia ca- sa Mazzarelli il pingue retaggio. Insieme agli altri suoi fratelli, cioè al gesuita Alfonso già ricordato, a Giuseppe padre di monsig. Carlo Emanuele uditore della s. romana rota, a Bar- tolomeo e a Pietro, fu Gaetano educato in Prato nel collegio Ciccognini, fiorente allora di professori illustri e di moltissimi convittori, alcuni de'quali si destinsero poi in ogni maniera di civile e lette- raria disciplina. Compiuto con molto prodotto il corso di studi, tornò in patria, ove sposossi alla con- tessa Lucrezia Gregori, dalla cjuale ebhe non pochi figli. Quanto però fu buon padre di famiglia per l'affetto alla moglie e ai figli, altrettanto fu poco sol- lecito della domestica amministrazione: il die pro- va sempre più come gli uomini di lettere sieno as- sai spesso cattivi economi. Pieno di attaccamento ai sovrani pontefici, in tempi turbolentissimi e sog- getti a tanti rivolgimenti di cose visse mai sempre trancpiillo, e meritossi ognora la stima e l'amore de* suoi concittadini, die ravvisxivano in esso lui un ca- valiere fornito di tutte le ottime doti. Occupò le primarie magistrature, e ad ognuno giovò coU'ope- ra e col consiglio. Amantissimo della religione, ne professava pub- blicamente, ma senza ostentazione, le pratiche; e desideroso di giovare anco agli altri, stampò nel 1193 un' operetta apologetica in difesa della mede- sima, vendicandola specialmente dagli attacchi dei filosofi del secolo XVill e addimostrandone la ve- racità colle testimonianze dei dotti di ogni secolo. Operetta utile ad ogni classe di persone, e che ap- palesa la grande erudizione e pietà dell'autore. Fu in slngolar modo caritatevole, ed ancor egli assai Necrologie 71 dllettossi della italiana poesia, la quale, come dice mons. Giuseppe Baraldi nella sua notizia biografica sul canonico don Alfonso Muzzarelli (1) , sembra ereditaria in questa famiglia. In fatti scrisse il con- te Gaetano molte poesie, e parecchie ancora ne pub- blicò , siccome rilevasi dal catalogo che ne diamo in fine. Scorgesi nelle medesime grande spontanei- tà, ne sono prive di eleganza; e solo talvolta sono alquanto frondose.Ciò peraltro non impedì, che pia- cessero, e che si ravvisasse in esse quel merito rea- le che hanno. L'Ughi nel suo dizionario storico de- gli illustri ferraresi, toni. 2 a carte 84, mentr'era ancor vivo il Muzzarelli ne fece onorata menzione siccome di poeta gentilissimo ed ameno oratore ; ed il ricordato Baraldi, nella notizia biografica detta sopra, ci fa sapere, che il conte Gaetano per le sue poesie venne applaudito in un tempo^ in cui Fer- rara- godeva i Minzoni e i Rondinetti: e nel tomo j III delle suddette memorie di religione tornò a par- larne con onore. Fu socio dciraccademia degl'intre- pidi, e quindi dell'altra degli ariostei. Appartenne ancora ad altri letterari istituti. In arcadia fu detto Atamanzio Feacio. In età settuagenaria, pianto da quanti il conoscevano, mori in patria il 18 di apri- le 1816. Ebbe onorevoli funerali : gli accademi- ci e gli amici ne accompagnarono il cadavere alla tomba. Fu sepolto in quel comunale cimitero ove a ricordarne le virili vennogli dal marchesa Girolamo Canonici posta la seguente epigrafe: (i) Memorie di religione, morale e letteratura, tomo I. Mo- dena 1822. 72 Letteratura CAIETANVS MVZZARELLI BRVSANTINI PATRICIA NOBILITATE CLARISSIMVS CARITATEM PRO DELICIO MVSAS PRO SOLATIO HABVIT PER ANN. LXX OBIIT IN CHRISTO XIV KAL. MAI. AN. D. MDCCCXVI SODALES CONCORDESQVE AREOSTAEI OPTIMI SODALIS ET AMICI SPONTE FYNVS DVXERVNT HIERONYMVS CANONICI IV VIR COEMETERIO CONDENDO AMPLIANDO REGENDO L. D. S. P. P. ANNO MDCCCXVIII LE OPERE PUBBLICATE DAL CONTE GAETANO MUZZARELLI SONO LE SEGUENTf I. Uj-lmhita^ azione pastorale per musica nel- V acclamati s Simo ingresso alla legazione della città di Ferrara e suo ducato delVeminenti ssimo princi- pe il sig. card. Ferdinando Spinelli^ sotto il sud- detto pastoral nome celebrato. Ferrara per Fran- cesco Pomatelli. Al seminario. Senza datn tli anno: deve però essere il 1787; impcrorchè ai primi di tjuell' anno si condusse ii card. Spinelli in quella citta. II. Sacre toscane poesie. Ferrara \ 793 per gli eredi di Giuseppe Rinaldi. III. La cattolica religione difesa contro i se- midotti del secolo Xf^llI^ con autorità de' dotti di ogni secolo. Opera apologetica. Ferrara 1793 per gli eredi di Giuseppe Rinaldi. NccnoLOGiE 73 IV. Poesie sacre toscane. Ferrara presso i so- di Bianchi e Negri stampatori del seminario 1 804. V. Scelte poesie sacre, morali, eroiche e dram- matiche ad uso della oolta gioventù italiana. Fer- rara 1808 per gli eredi di Giuseppe Rinaldi. A questo libro lo stampatore premise il seguente av- vertimento. « È questa la terza edizione delle poe- « sie del sig. Gaetano Muzzarelli ferrarese, accade- « mico toscano , ma la sola eh' egli riconosca per • sua .. VI. Poetico tributo alVaugusto pontefice e so- vrano Pio ni. Ferrara dai tipi di Gaetano Bre- sciani 1815. VII. La pace italica. Cantata eseguita con mu- sica del dottor Brizio Petrucci, nel fausto incon- tro di sua eccellenza reverendissima monsig. Tom- maso Bernetti delegato apostolico, il quale ripren- de il dominio della città e del ducato di Ferra- ra pel sommo pontefice Pio VII felicemente re- gnante. In Ferrara Vanno 1815 dai torchi di Gae- tano Bresciani. Nella raccolta intitolata: « Orazione e tributi poetici alla memoria del eh. sacerdote Alfonso Muzzarelli ferrarese, nelle sue solenni esequie ce- lebrate nella chiesa del Gesù il giorno 1 luglio \^\2>. Ferrara \8i3 pe'socii Bianchi e Negri: » sono del conte Gaetano, il sonetto in dialogo fra Vano- nimo autore e la morte, a carte 58; e la i^isione a carte 89. Negli applausi alla santità dì Pio VII pel suo ritorno in Roma nel dì 24 maggio 1814, e al possesso di Ferrara il dì 18 luglio 1815 (Ferrara per Gaetano Bresciani 1815), a carte 16G è un sonetto del nostro autore ; finalmente nella raccolta di versi sacri di rinomati poeti, pei* f^in- 74 Letteratura cenzo Poggioli {Roma 1828) si trovano inserite al- cune terzine^ in cui sono poeticamente espresse la litanie della Beatissima f^ergine. CAv» F. Fabi Montaki IV- PIETRO SClEDONi I n Sassuolo, amena e popolosa terra del modene* se, nacque Pietro Schedoni nel 1759 da Antonio, e da Isabella Ferraresi. Mancatogli ben presto il pa- dre, si trasferì con la madre e il fratello presso uno zio materno in Formigine, ove crebbe fino a 13 an- ni istruitovi negli elementi della latinità, che ap- prendeva molto agevolmente senza che nulla vales- se ad infrenare la sua indole impetiiosa e vi-vacis- sima. La quale venne attemperata soltanto quando, passata a Modena la sua famiglia, ei prosegui gli studi presso i gesuiti. È a notarsi che il p. Va- lerio Benincasa suo maestro di rettorica, avvisato- rit l'acre ingegno e l'avidità d' istruirsi, ad ispro- narlo vieppiù soleva chiamarlo presso di se, e so- vra un catalogo di libri spiegargli i pregi de' più scelti, aggiungendo, che bene adoperando le for- ze dell'intelletto, anche il suo nome sarebbe posto un giorno in cataloghi somiglianti. Dal che fervi- damente incitato, fé' progressi bellissimi si nelle lettere e sì nella filosofia, la quale udì nell'univer- sità, e nella matematica in che venne istrutto pri- vatamente. Oltre a questi studi, amando intendere alla musica e alla pittura, Io zio che al tutto vo- Nech»i.ogie T5 lea faPtia un giureconsulto glieli ebbe vietati , astringendolo a darsi alle leggi, nelle quali ebbe la- urea e di cui fé studio pratico presso 11 celebre aw. Ansaloni. Notasi come particolarità degna di ricordo, ch'ei mandò alla memoria l'intero codice estense in modo d'averne pronto all'uopo ogni pas- so e capo. Contemporaneamente, e di per se e gui- dato dal co: Agostino Paradisi, s'addottrinava nella politica, apprendendo altresì la lingua inglese dal- lo stesso Paradisi, dal p. Gabaldi la greca, la fran- cese dal colonnello d'Abadie, e la spagnuola e por- toghese da se- Veggendo lo zio come lutto si distra- eva in esercitazioni aliene a quelle del foro, e in quanto abborrimento avesse il seguirne le vie, con- cessegli d' appigliarsi a quale studio piìi avesse in amore. Fu allora che s'immerse totalmente nella filoso- fia, nella storia e nella morale, apparecchiandosi ad essere, come poi venne chiamato, il creatore delV etica sperimentale. E che tale fosse per riescire ne dava bella mostra quando, proibiti da Ercole III i giuochi d'azzardo (1788), lo Schedoni fra i molti che disapprovavano la provida legge ardì levare la voce col Saggio intorno a" giuochi , applaudito e ristampato più volte come quello ch'era pieno di belle ed utili verità, ma scritto in gonfio e pom- poso stile, riprovato dall'autoi'e medesimo. Moriva frattanto il Paradisi, e Io Schedoni ne onorava la memoria con un elogio , che meritò tre edizioni. In questo mezzo leggeva all' accademia modenese una Memoria sulla libertà della stampa , in che combattea le opinioni del Filangieri: ed un' altra Sulla commedia a soggetto, ]^ro\nndo di quanta ver- 76 Letteratura gogna forse all'Italia, e di qaal danno accostumi ed al gusto. Allorché ì francesi varcarono le alpi (1796) lo Schedonl si recò a Venezia continuando gli esami delle leggi, de'costumi e de'luoghi, dilettandosi nel visitare oggetti dì Lelle arti, ed usando frequente nella Marciana ove strinse amicizia col celebre ab. Morelli. Vinta la battaglia di Marengo, e tornandosi alla dominazione francese, lo Schedoni si recò in Toscana ove legò amicizia col Morghen, cui lesse una Memoria dell' abuso delle belle arti colla vio- lazione del pudore^ che parve sì faconda o utile al chiaro incisore da proporgli di doversi imprimere e dare in dono ad ogni alunno delle accademie di belle arti. Proseguendo ne'viaggi e nelle osservazio- ni, fu a Napoli e quindi a Roma ove usò famigliar- mente col Canova. Tornato in patria, e venendo- gli chiesto dal bibliotecario della Estense che egli pensasse su'viaggi de'giovani, rispose coWOpuscolo de'viaggi, breve di mole, ma grande di dottrina e di morale utilità. Nell'anno medesimo (1806) die a luce il libro Sulle tragedie d'Alfieri^ in cui dopo averne mostra- to i pregi, ne die a vedere con robustezza ed evi- denza g// enormi errori in morale^ ossia la mostruo- sa violazione di quell'ordine morale che tutte le leggi del teatro e la pubblica utilità richieggono. Finalmente nel 1810 apparve l'opera delle Influen- ze morali, nella quale si fé ad ordinare una scien- za al tutto separata dalla morale filosofia. « Questa insegna i principii e i precetti, quel- ■ la dimostra come sian essi o seguitati o trapassa- « ti nelle leggi, nelle istruzioni e nelle pubbliche « usanze, additando gli effetti che sopra i costumi Necrologie 77 « e sul bene della società fanno. In somma è una « sperimentale scienza, per la quale s'impara a far « giusto uso delle teoriche, delle sentenze e delle a manifeste ed approvate verità. Le considerazioni ■ dello Schedoni sono brevi e spedite, piene d'in* « gegno e di rettitudine, e comprese di una occul- « ta filantropia. Forse nello applicare i principiì, 0 e segnatamente allorché l'effetto morale esamina « dell'arte drammatica, egli è troppo severo; e « può essere altresì che il mostruoso abuso dei « principii, dirizzato a ruinare ordinazioni utili e « ragguardevoli, lo sospingesse alla lode e alla difesa « di molte che, non ostante la buona apparenza che « le giudica dai loro aifetti, sono da radice vizio- • se (1) ». Questo libro, oltre le lodi meritate de'sapicnti e de'giornali, gli fruttò dal gran duca di Francfort la medaglia d'oro del merito. Mentre nel 1801 l'Eu- ropa bolliva tutta in guerra , osò lo Schedoni far pubblico il libro De mezzi di prevenire e scemare i bellici mali. Nello stesso anno scrisse la Memo- ria sui pregi e dijjetti del panegirico di Plinio a Traiano, che svolge insieme le cagioni per cui cad- de la romana eloquenza: e la scrisse per un con- corso dell'accademia lucchese , da cui ottenne il premio d'una medaglia d'oro: premio che non fu il solo per lui riportato, poiché anche il comune di Modena lo ebbe similmente remunerato di me- daglia d'oro pel nobile Elogio del Muratori, (i) Ferri, Spettatore italiano voi- I, nel Saggio critico sopra i fflosofì morali p. 177. Milano 1822. 78 Lettbuatora Nell'opera delle influenze morali, avendo con- fortato i giovani ehe vogliono darsi al pergamo a proporsi Tullio per modello, a provare che in ciò non era andato lungi dal vero, diede tradotte do- dici tra le pia eloquenti orazioni di Tullio^ per le quali ebbe in dono una tabacchiera d'oro da Fran- cesco IV duca di Modena. Già nelle memorie Sulla libertà della stampa^ nel Saggio su giuochi , e nelle Influenze morali avea combattuti alcuni errori del Filangieri ; ma nel 1826 scese direttamente in campo col libro Alcuni sguardi sulV opera del cav. Filangieri^ la scienza della legislazione, di cui Leone XII ebbe a dire in un breve all'autore : Materies operis est hu- iusmodi, ut eius lectio in hoc diffcilliino reipubli- cae gubernandae munere magno nobis usui esse pùssit. Non pago abbastanza di ciò, scrisse anco : Appendice intorno air opera del cav. Filangieri , ed alla lettera di Chuteubriandj sulla libertà della stampa. Era sempre doluto allo Schedoni il vedere alle mani della gioventù raccolte di poesie, che ponno guastarne il costume ed il gusto; e quindi a rime- diarvi, per quanto era in lui, stampò nel 1827 una raccolta di cento sonetti con annotazioni, ch'ei mo.- destamente disse ad uso del proprio figlio (di se- condo lotto , avendogli hi morte rapiti quelli del primo). Che se l'autore quanto alla scella degli ar- gomenti ed alla morale ebbe raggiunto lo scopo , panni noi raggiungesse in ciò che riguarda il gu- sto, essendo la piìi parte dc'sonetti del Salandri , Frugoni, Cassiani, Filicaia, Bondi, Cesarotti, Maz- za ec. Il marchese Lucchesini lodò nondimeno nel giornale di Lucca silTaUa impresa, confortando l'au- Necrologie 70 tore a fare una e^ale scelta di odi italiane: alla quale non potè intendere rivolto a cose maggiori, dando frattanto la P^ersione della \>ita d'Agricola scritta da Tacito^ ed i Principii morali del teatro ravvisati in ogni genere drammatico^ libro che eb- be lodi e censure. Sappiamo che nel 1830 egli stava occupandosi di due opere assai importanti, cioè : Relazione fra la dottrina di G. Cristo, e gVinteressi della società', e la Storia della legislazione morale delle antiche e moderne nazioni. Da cjuest' ultima, eh' ei diceva utilissima e grande, prometteva che immensi confronti, e utili grandissimi erano per ve- nire a governi per gli universali provvedimenti su co- stumi degli uomini, e per tutto l'ordine morale de- gli stati. Cosi egli, già ne'settant'anni, In florida e robu- sta salute meditava, scriveva, studiava come sem- pre. Il suo discorso era facile, spontaneo e spesso eloquente, solendo trar profitto di ogni occasione per renderlo arguto. Ebbe la memoria ricca de piìi bei luoghi de'poeti latini e italiani, che recitava con tal pronta facilità, come se innazi agli occhi avuti gli avesse. Cariche ed onori non ambì mal: anzi è chi af- (crma,, essersi egli adoperato per non averne; ma nel 1827 non potè sottrarsi d'esser uno de' 12 cen- sori di libri per gli stati estensi. Sotto qualunque -reggimento si mostrò probo e onesto cittadino : e uscita in Modena la f-^oce della verità, quantunque vecchio d'anni e di merito, ei si fé uno de' colla- boratori (1), e 15 giorni prima di sua morte dettò l'articolo inserito nel num.» 6G9, che fu l'ultimo suo (i) Ebbe pur iiiauo nelle Memorie di religione, letteratura o morale che escono in Modena, 80 Letteratura lavoro, e quasi il testamento politico che V uomo retto, sapiente e sperimentato lasciava come pegno d'affetto alla gioventù che abbandonava (1). Mori lo Schedoni in Modena a 27 novembre del 1835 (2). Le opere sue, tutte indirette a scopo morale ed al miglioramento degli uomini, meritarongli al- to grido ne'contemporanei, e gli raerileranno la sti- ma e la lode de'posteri. Vuoisi però notare che egli usò in esse uno stile piuttosto pomposo e gonfio e traente al poetico, non senza cadere in ispesse de- clamazioni: il che anche vivente gli venne rimpro- verato. G. F. Rambelli _ (i) V. Annali delle scienze religiose voi. 2, pag. 459, Roma i835. (2) Le presenti notizie sono tratte da un diffuso scritto clie ha per titolo; f^ita del sig. Pietro Schedoni scritta da un anoni- mo i83o. Mss. ch'ebhi dalla incomparabile cortesia del eh. mon- siij. Miizzarclli, cui fu indirizzalo colla seguente lettera, da cui ne par travedere che sia lavoro dello Schedoni medesimo. Monsignore Del tutto occupato, e specialmente di un^ opera che già ter- minai e che a' torchi fra qualche settimana consegnerò , non potei della mia vita scrivere, qual ella con sannita gentilezza mi richie- se, uè pure una linea: ma un dottissimo amico, al (jual manifestai la pregiatissima sua, se ne incaricò di pronta cura, anzi mi rea- le palese quanto in addietro mi ticnne sempre celato , cioè che da qualche tempo intrecciava spontaneo tale comeutario: diffalli mi voìgea non rare domande, ma in guisa die io ravvisare non potessi il meditato disegno. Ora che lo compì, me lo diede, affinchè a V. S. I. lo invii. Ho l'onore di confermarmi con distintissimo ossequio. Di y. S. Illma. Modena 1 marzo i83o Umo Devino Servitore PiETKO Schedoni Necrologie 61 V. VINCENZO CICOGNARA Vi Incenzo Clcognara, fratello del celebre autore della storia della scultura , nacque in Ferrara di Filippo e di Luigia contessa Gaddi di Forlì ai 16 luglio 1767. Fin dai primi anni applicatosi alle lettere, fece conoscere nelle scuole quale ei doves- se essere un giorno buon letterato e filologo. Ma vi son certi tempi, ne' quali il movimento impresso ai secoli, e modificato da imprescrutabili cagioni, trae dietro a se in parte opposta gli uommi, che lo perchè non sanno. Quindi nell'età fervida il Gi- cognara, balzato per forza di combinazioni inattese nel vortice degli affari, percorse per venti e più an- ni la carriera degl'impieghi politici amministrativi ne'tempi più difficili, ne'quali l'aver menato meno romore è vera lode. Fu nominato vice-prefetto a Lecco, quindi per oltre cinque anni a Pavia (detta l'Alene lombarda), finalmente seg. generale e pre- fetto interino in Milano, capitale allora del regno italico, e poi del regno lombardo-veneto. Benché tratto fuor di luogo e fuor di tempo in tali rap- presentanze, il Gicognara, con la sola intenzione di meritare più dell'umanità, che dell'uomo singolare innanzi a cui taceva allora la terra, ottenne lodi e testimonianze di pubblica soddisfazione, fino a che crollò quel colosso, che strascinò seco il destino di Europa tutta. E giova qui ricordare, come a sug- gel che ogni nomo sganni su i sentimenti di lui, come sedendo egli vice prefetto in Pavia seppe ren- G.A.T.LXXX. G 82 Letteratura dere men penosa la condizione di inonsig, Gastiglio- ni, allora vescovo di Montalto, asceso quindi alla cattedra di s. Pietro col nome di Pio Vili di glo- riosa memoria. Fa grande onore al cuore di c|uel pontefice, degnissimo di storia in cosi breve tempo di regno, la lettera da lui sci'itta all' abate Vin- cenzo Cicognara ( appena assunto al pontificato ) nella quale ricordagli la sua gratitudine, tanloppiù rara in mezzo alla grandezza, che cancella le ri- membranze delle passate sciagure per l'opposta re- gola, ond'è più duro ai miseri « // ricordarsi del tempo felice nella miseria «. Ricomposte le cose di Europa e d'Italia col baleno del prodigio, tal- ché parve più portentosa la caduta, che l'innalza- mento della gran mole, Vincenzo Cicognara rima- sto lontano dalla sua patria, laddove cangiossi la terra sotto a'suoi piedi, riassunse l'abito ecclesia- stico. Non ostanti le caligini delle opinioni, che accompagnano sempre quelli, che appartennero co- munque a caduto ordine di cose, egli vinse i pre- stigi della opinione colla memoria di sua condot- ta, e con la testimonianza di quella morale (che all'uomo è fisonomia d'ogni tempo), e fu incarica- to di dar mano ed ordine a parecchie amministra- zioni pie, per le quali egli rientrava in provincia che fu sempre sua. Ricondotto in patria, fu nomi- nato prefetto della pubblica biblioteca, e segreta- rio dell'accademia ariostea. Da un ragionamento interessantissimo sulla prima si rileva non solo di qual dottrina filologica e bibliografica fosse fornito, ma come ancora avesse a buon termine condotta una grande opera sulla storia letteraria della sua patria. La morte però recise in erba questa speran- za, poiché egli cessò di vivere in Padova, dove Necrologie S3 trovavasl per coml)inazione, ai 31 di agosto 1832. Il chiarissimo cav. Ricci pubblicò un lungo artico- lo sopra il citato ragionamento, inserito nel gior- nale arcadico. Il Cicognara pubblicò due altre ope- rette che portano il seguente titolo: I. I cavalieri dell'ordine di s. Giovanni in Ge- rusalemme, detti di Malta : cenni storici raccolti dall'abate conte Vincenzo Cicognara bibliotecario della pontificia università di Ferrara e socio di va- rie accademie. Ferrara tip. di Gaetano Bresciani 1827. II. Per l'esaltazione al pontificato di Leone XII, festeggiata dagli ariostei di Ferrara il 20 febbra- ro 1824, orazione di V. Cicognara. Ferrara 1824, per Gaetano Bresciani. VI. MONSIGNOR ALBERTINO BELLENGHI. Ecco le notizie che Vilhistre prelato dava di se ad un altro prelato chiarissimo e assai benemerito delle lettere italiane. A Monsignor Carlo Emmanuele Muzzarelli. Eccellenza reverendissima JL roppo onore degnasi 1' E. V. R. compartire alla miserabile mia persona, ed ai ristrettissimi miei talenti, col volermi unire a tanti celebratissimi uo- mini che illustrano 1' Italia. Sinceramente le con- fesso, che di mala voglia so adattarmi a quanto mi 84 Letteratura richiede; ma pure non posso negare all'È. V. R. il sagrifizio che vuole da me, stante le infinite buone grazie che da lei ho ricevute. Ecco pertanto co- me io soddisfaccio ai suoi desideri. Notizie della mia persona. Sono di Forlì (1), nato in Forlimpopoll nel settembre del 4758. Abbracciai l'instituto dei mo- naci camaldolesi nel 1773. Feci gli studi di filo- sofia nella Marca, dì teologia dogmatico-scolastica e di canonica in Roma. Previ i soliti esami e gli alti pubblici, fui fatto lettore di filosofia , e poco dopo di teologia e canonica. Compiuto il corso degli sludi attivi, esercitai per sette anni l'ufficio di par- roco in Faeii/ca ed in Perugia, fui eletto abate pri- ma di Sassoferralo, poi di Fabriano, finalmente del monastero dell'Avellana celebre per la dimora ivi fatta da Dante, che vi compose alcun suo canto dell* inferno, per la dimora del cardinale Bessarione abate commendatario, di 85 santi, di 7G vescovi e di quat- tro cardinali esciti da quel monastero. Fui fallo abate visitatore, poi procurator generale dell'ordine, final- mente vicario generale. Quindi da Leone Xll elet- to arcivescovo di Nicosìa, delegato e visitatore apo- stolico de'regolari in Sardegna (2). (i) Dalla fede di battesimo, esistente in Roma presso i mo» jiaci di s. Gregoiio, si rileva che nacque il 24 settembre 1757, e non 58 come scriveva egli, e come trovasi registrato nei diversi Cracns, cui soglionsi somministrare tali notizie dalle persone stesse clic vi sono notate.- ed in quest'errore dev' essere sicura- mente caduto il Bellenglii per una dimenticanza. Dalla medesi- ma fede di battesimo si rileva, che suo genitore fu il nobile Fran- cesco Bellenghi e la madre una Violante Fiorentini di Forlì. (2) Indi fu anche visitatore apostolico della diocesi di Forlì. Necrologie 85 Libri da me stampati. 1. Osservazioni critiche sui doveri Ueiruomo. Forlì 1789 per il Barbiani. Ne parlano le eiFenie- rìdi romane del 1790. 2. De veri tate ac divini tate sacrae magorum historiae. Dissertatio historico-tlieologico-critica. Pi- sauri in aedibus Gavelliis 1786. 3. Anìmadversiones in sacrarum reliquiarum cultus vetustatenrj ac probitatem adversus iconocla- stas, protestantes, aliosque religionis catholicae ri- tuum nuperos criticos. Faventiae 1791 typis losephi Antonii Archii. Ne parla il giornale ecclesiastico di Roma del 1791. 4. De lesu Christi reliquiis. Dissertatio theolo- gico-critica. Faventiae 1791 typis losephi Antonii Archii. Ne parla lo slesso giornale ecclesiastico del 1791. 5. In civile imperium. DIsqnisitiones ex iure canonico eminentissimo principi Leonardo Antonel- la S. R. E. cardinali nuncupatae. Romae 1794. Excudebal Puccinelli. Ne parla il giornale ecclesia- stico di Roma del 1794. 6. Sulle tinte che si estraggono dalle cortecce di tutti quanti gli alberi nostrali. Memoria di Fi- lippo Bellenghi di Forlì (nome del secolo). Fabria- no 1810. Nella stamp. di Ciò: Grocetti. 7. Processo sulle tinte che si estraggono dai legni ed altre piante indigene da Filippo Bellenghi di Forlì. Ancona 1811 dalla stamp. sartoriana. Per l'invenzione ebbi la medaglia d'argento. 8. Riflessioni sul granito , o gneisso osservato da Filippo Bellenghi di Forlì alle basi del Galria. Macerata 1813 presso Francesco Mancini. 86 Letteratura 9. Articoli sulla coltivazione de'boschi nel Pi- ceno e neJl' Umbria , e sulla utilità degli alberi indiseni, con note interessanti la medicina indiire- na, le arti meccaniche e l'economia domestica, di don Albertino Bellenghi abate camaldolese. Roma 1816 presso Fr;incesco Bourliè. 10. Fossili del Catria e monti adiacenti, sco- perte ed osservazioni di don Albertnoi Bellenghi di Forlì abate camaldolese. Roma 1819 presso il Gon- tedini. 11. Articolo di alcuni oggetti mineralogici rin- venuti al Catria nell'autunno del 1819 da don Al- bertino Bellenglii abate camaldolese. Fabriano 1821 presso Giovanni Grocetti. 12. Risposta di don Albertino Bellenghi abate camaldolese ad un art. del giornale di letteratura di Padova, di novcinbre e dicembre 1822 num." 64. Fabriano 1823 presso Giovanni Grocetti. 13. Sugli antichi battisteri. Dissertazione del p. abate don Albertino Bellenghi procuratore ge- nerale de'monaci camaldolesi, recitata nell'adunan- za dei 19 febbraio 1824 dell'accademia romana di archeologia. Roma 1825, stamperia De-Romanis. In- serita nella raccolta degii atti dell'accailemia. 14. Sul pregio della bassilica classense, e del suo monastero annesso in Ravenna. Dissertazione del p. abate don Albertino Bellenghi, procuratore ge- nerale de'monaci camaldolesi. Nel giornale arcadi- co, voi. di giugno 1827. Necroiogie 8T Onori e titoli. 1. Nel 1790 fui eletto teologo del fu monsig. Zoppetti vescovo di Fabriano e Matelica, ed insie- me esaminatore del clero e sinodale. 2. Nel 1799 fui fatto teologo del fu monsig. Boschi vescovo di Bertinoro. 3. Nel 1803 fui dichiarato presidente perpe- tuo del liceo-fabrianese con patente di quella ma- gistratura. A. Nel 1816 fui fatto consultore della s. con- gregazione dell'indice. 5. Nel 1S24 fui eletto presidente del collegio filosofico della università di Roma. 6. Nel 1825 fui eletto censore e revisore per le stampe delle opere di filosofia. 7. Nel 1826 fui eletto consultore della s. con- gregazione degli afiari ecclesiastici straordinari (1). accademie a cui sorto ascritto, 1. A colombari fiorentini. 2. All' I. e R. accademia dei georgofili fioren- tini. 3. Air accademia di scienze , belle lettere ed arti di Orciano. 4. All'accademia pesarese. 5. All'arcadia romana: poi designato per uno dei XII colleghi. 6. All'accademia di religione cattolica romana; poi designato per uno dei XII censori. (i) Indi fu pure consultore della s. e. de'vcscovi e regolari. \ 88 Letteratura 7. Airaccademia de'lincei dì Roma. 8. Alla società agraria del dipartimento del Crostolo, ossia di Reggio di Modena. 9. Alla società georgica di Treia. 10. All'accademia tiberina. 11. All'accademia imperiale e reale aretina di scienze, lettere ed arti. 12. Alla pontificia accademia romana di ar- cheologia. 13. All'accademia dei filergiti forlivesi. 14. All'accademia latina di Roma. Avendola in tal guisa ubbidita, altro non mi resta, se non che rinnovarle la mia debole servitìi, ringraziandola per tante attenzioni che degnasi usar- mi, ed assicurandola che sono e sarò sempre qua- le con ogni maggiore stima e rispetto ho l'onore di protestarmi Dell'E. V. Rma S. Romualdo 15 dicembre 1829. Dmo obbiiio servitore D. Albertino Arcivescovo di Nicosia Questo illustre prelato cessò di vivere in Ro- ma il giorno 22 di marzo del corrente anno 1839; ed ebbe onorate esequie in s. Gregorio al monte Ce- lio il giorno 23, venendo tumulato nella cappella Salviati, ove gli sarà posta una epigrafe. Necrologie 89 Il sig. cav. Francesco Fabi Montani ne pubbli- cò subito un elogio inserito nell' Jlbum^ anno VI. Aggiungiamo al catalogo delle opere da lui descritte alcune altre pubblicate in processo di tem- po, o tralasciate, e sono le seguenti: 1. Lettera inedita di G. B. Passeri pesarese, intorno le miniere di rame del ducato di Urbino, con alcune osservazioni di D. Albertino Bellenglii. Ella è diretta dal Bellenglii al suo amico sig. prof. Salvatore Betti, e venne inserita nel gior. ar- cadico tom. XVIII, parte III. 2. Dissertazione sul preciso luogo della bat- taglia fra i romani ed i galli nelT agro sentlnate sotto i consoli L. Fabio e P. Decio* Letta il dì 4 febbraio 1830. Sta negli atti dell'accademia di ar- cheologia tom. V. Roma nella stamp. della R. G. A. 1835. 3. Dissertazione in cui si precisa il luogo, ove accadde la battaglia vinta da Narsete capitano ge- nerale deirimp. Giustino contro Totila re de'goti. Letta il dì 29 marzo 1832. Ivi tom. V. 1835. U. Notizie sulla storia naturale dell'isola di Sar- degna raccolte e pubblicate da mons. don Albertino Bellenghi arciv. di Nicosia ec. Inserite nel giorn. ar- cadico tom. 57 (ottobre e dicembre 1832). 5. Sulle antiche custodie della s. Eucaristia. Dissertazione letta il 12 dicembre 1833 ( con una tavola in rame). Negli atti dell'accademia romana di archeologia t. VII. 6. Nel giornale scientifico letterario pubblica- to in Perugia, 1.° seni.» 1837 a carte 317, inseri altra dissertazione col seguente titolo: Sulla pili antica arte liberale ed insieme mec- canica che abbia una somma possanza sullo stato 90 Letteratura fisico dell'uomo, sulla morale e sulla politica. Dis- sertazione recitata all' accad. tiberina li 14 aprile 1834. Nell'elenco delle prose di essa accademia tiberi- na pel corrente anno il Bellenghi aveva scelto per tema, nell'adunanza generale del 17 giugno, il se- guente : Tentativi di concordia tra i libri santi e gli autori profani sulla cronologia degli antichi re dell'Assiria. Dissertazione prima. - Regno di Semi' rami de, seppure vi fa. Lasciò molte cose inedite, fra le quali tre me^ morie sulle misure itinerarie degli antichi ebrei, onde rinvenire la situazione delle vetuste citta di- strutte della Palestina e cambiate di luogo. Dis- sertazioni lette da vari anni nella suddetta acca- demia. VIL • FABBITIUS . GUZZONIUS . qui . ET . ANCJR^NUS» Hic . Corrigii . ann . M .DCG . LXXVinT . Wl . kal . ianuarias . nobilissimo . genere . natus . eam . ab . ineunte . adolescentia . in . litteris . scientiisque omnigenae . doctrinae . segetem . sibi . comparavit ex . qua . bonorum . omnium, aestimationem. et.ce- lebritatcm. nominis . indeptus . est . Quumque . nil sanctius . habcret . quam . sapientiae . suae . fructus in . universorum . utilitatem . et . commodum . con- ferre . severioris . iuris . prudentiae . studia . coete- ris . omnibus . praetulit . et . in . iure . interpre- tando . in . causis . agendis . in . advocatione . reo- rum . assidue . versatus . prò . fortunis . prò . li- Necrologie 91 Lertate . prò . vita . civium . et . allenigenarum . pa- trocinia . alacriter . suscepit . diligentissime . gessi t sumnia . felicitate . et . laude . jexpedivit Graecam . latinam . gallicani . hispanicam. angli- cam . germanicam . linguas . probe . caliens . rerum iuJicatarum . per . Europam . celebriorum . histo- rias . collcgit . digessit .De. rebus . phiiosopliicis quaestiones . de . publica . oeconoinia . elucubralio- nes . de . niente . loliannis . Bapt . Vici . orationem ad . haee . selectorum . Quinti . liuratii . Flacci carminum . et . primi . alteriusque . libri . statianae thebaidos . itemque . multorum . graecorum . epi- grammaton . italicam . versionem . comoedias . de- nique . fabuluscjue . aliaque . leviorls • momenti quamplurima . scripta . reliquit . ob . singularem inodestiam . eius . haud . typis . vulgata . vulganda tamen . et . summa . eruditorum . expeclatione tamdiu . probata . Quorum . omnium . egregia . lau- de . exceptum . est . commentarium . quod . imum in . lucem . edidit . de . vita . Raymundi . Desezii qui . prò . Aloisio . XVI . galliarum . rege . chri- stianissimo . in . capitis . discrimen . addncto . pa- tronus . extitit . virlute . et . constantia . memoran- dus . in . aevum Integer . vitae . propositi . tenax . consilii. ple- nus . re . gratia . auctoritate . nemini . defuit . Viris sui . temporis . ingenio . et . doctrina . principibus familiaribus . usus. munera . amplissima . ab . iis sponte . oblata . constanter . renuit . honoribus . et divitiis . privatam . praeferens . vitae . rationem. in- ter . lilterarum . studia . et . soboiis . suae . curam dispertitam . quam . ad . omnem . ingenii . et . vir- tutis . laudem . excmplo . magls . quam . praeccptis educavit , paterfamilias . diligcntissimus . Anniim 92 Letteratura aetatis . suae. vix. LVIIl. emensus . obiit . vlr. optl- mus . prid . non . februarias. an . MDGGGXXXVIII cuius . mortem . quasi . publicam . calamitatem ephemerides . nuncìavere Coniux . vidua . et . octo . heu . liberi ad . luctum . et . lacrimas . superstites parentls . ac . viri . desideratissimi De . se . plus . quam . tltulo . scribi . possit benemerentis memoriatn . ad . posteros . amandandam curaverunt. Joseph Fracassettius. 9» BELLE ARTI Lettere pittoriche da unirsi alle puhhlicate da monsig' Giovanni Bottari^ tratte da libri stam- pati e da manoscritti^ e puhhlicate con note dal cav. P. E. Visconti. Articolo IL P^eggasl il tomo LVII di questo giornale. A ANNIBAL CARO (1). A monsignor Giovanni Guidiccione a Fossombruno (2). quest'ora il ritratto di V. S. è finito del tut- (i) Nelle lettere pittoriche se ne trovano già ventidue di questo egregio scrittore. Questa e le seguenti sono state da noi tratte dal volume intitolato: Lettere CXXVUdel commendatore Anniba) Caro, raccolte dal conte Giulio Bernardino Tornitane opitergino, ed ora per la prima volta pubblicate. Venezia per Antonio Zatta 1791. L'editore non si dette briga d'illustrarle di nota alcuna, e lasciò pur correre qualche abbaglio, che avremo luogo di manifestare in progresso. La presente lettera è a e. 8. (2) Fu questi, come noto è, uno de' maggiori prelati della romana corle, dove andò egualmente distinto pe' molti e gra- 9*4 B E L L E A R T I to, ed oggi gli si da la vernice. Il Pontormo (1) si è portato da un uom grande, ed ha migliorato assai; ma io non me ne soddisfaccio interamente, perche V. S. è degna de'Micheiangeli e de'Bastia- iii (2). Volea fare intarsiare le lettere nell'orna- mento; ma perchè conficcandosi si disordina ogni cosa, mi sono risoluto di farvele dipingere. V. S. m'ordini quel che v'ho da fare, e intanto me lo vagheggerò invece di lei .... Di Roma alli 12 d'ot- tobre 1539. ANNIBAL CARO A messer Giovanni Cesari (3). a lloma Io non ho potuto ancora tanto respirare che abbia avuto tempo di scrivervi a lungo , come io vissimi incarichi a lui commessi da Clemente VII e da Paolo III, e per la somma perizia nelle lettere e nelle scienze, onde non si reputava secondo ad alcuno degli oratori o poeti del tempo suo. Fu amicissimo del Caro, il quale aveva pensato di scriverne la vita. Però noi fece. Ora se ne leggono due, dettate sul principio dello scorso secolo.- la prima da Alessandro Pompeo Berti della congregazione della madre di Dio (Genova 1749): la seconda di Giovanni Battista Rota bergamasco, posta in fronte alla raccolta de'lirici componimenti del Guidiccione. (Bergamo 1753). (1) Giacomo Canucci dal luogo del suo nascimento chiama- to volgarmente Pontormo, pittore di molta valentia. (Si vegga il Vasari P. III, lib. I, a e 472.) (2) Dice del Buonarroti e di Sebastiano del Piombo. (3j L'editore di questa lettera, ch'è a carte i3 del libro so- pra citato, ha trasformato con un errore di lettura, riportato an- cor nella tavola de'cognomi, il celebre Alessandro Cesari, nell'o- Lettere pittoriche 95 voleva. Intanto ho ricevuto uiici vostra , la quale m' è stata sommamente grata. Ma prima che mi dimentichi vi voi^lio dire, che in Faenza ho trovato messer Giovanni di Castel bolognese (1), che lavora scuro e non mai dicliiarabile Alessandro Cesati. Corretto tale abbaglio, ricoQosceremo qui quel Cesari, peritissimo uell'intagliar gemme, e in far coni per medaglie, del quale scrisse il Vasari nel tomo I della parte III delle sue vite a e. 296. Quindi tutto che si dice nella lettera jriesce di una somma evidenza , e ren- de ancor manifesto, perchè il Caro mostri di sentir tanto bassa- mente dell'altro incisore emulo del Cesari, al quale vien cosi ad adular blandamente. Il eh. sig. Pietro Mazzuccbelli , prefetto della biblioteca ambrosiana , al quale dobbiamo la raccolta di lettere inedite del Caro pubblicata con annotazioni in Milano, (anno 1827 e seg. voi, 4)) sotto gli auspici del marchese Giovan- ni Giacomo Trivulzio, che fu grande mecenate di questi studi , ha prodotto ancor esso lettere del commendatore al Cesari (voi. I, a e ig, t4i)- Anch'egli però cade nell'errore del Tomitano, e vuole che Alessandro fosse di casato Cesati; e, quel che più è, ne vuol cavare indizio di origine milanese, scrivendo a e. 19, n. i: ,, Bai cognome sembra elisegli dovesse essere milanese, se non di nascita, almen di origine. ,, Aggiunge ancora essere stato mala- mente chiamato Cesari nell'edizione di Firenze del i568 e nelle seguenti, non che nell' abecedario dell'Orlandi. Ma in verità la cosa va appunto al contrario. Perchè non solo il Venuti ( in praef. ad numism, rom. pontif. pag. XXI ), ed Ennio Quirino Visconti (op. varie, ed. mil. voi. 2, a e. ti8), chiamano questo W artefice Alessandro Cesari ; ma tale ei si dice per se medesimo WL in una gemma ove scrisse il suo nome, e che fa parte della rac- K colta del Dolce. Hl (i) e questi Giovailni Bernardi, da Castel bolognese , uo- ^H^ mo peritissimo nell'intaglio, così per lavori di rilievo, come per ^^P' quelli di cavo. Egli fu in pregio e favore presso i maggiori per- sonaggi del suo tempo. Il cardinale Farnese , del quale qui si parla, usava seco come con particolare amico, e (come il Vasari racconta ) mai non passò per Faenza, dove Giovanni aveva fab- bricato una comodissima casa, che non andasse ad allogiare con esso lui ( Vit. par. Ili, lib. I, ce. 99 j ). Abbiamo già notato che questo giudizio del Caro intorno alle opere di Giovanni , è più 96 BelleArti i cristalli del cardinal Farnese. In fino a ora ha fat- to di molta opera, del resto non so che mi dire. Egli mi fa grandi offerte; imperò se vi par che io tenti di aver quei disegni di Ferino, de'quali mi ragionaste nel partire, avvisate, che ne farò prova: e penso che mi riesca. Ho voluto che mi faccia un poco di schizzo per rovescio della medaglia del ve- scovo (I); ed è tale che mi vergogno mandarvelo. Pure sarà con questa, perchè desidero d'averne un disegno che venga dal buono, e vi priego che quan- to prima potete me ne mandiate uno di vostra ma- no, o di Ferino del Vaga. L'invenzione è quella di Virgilio, quando Giunone per mezzo di Eolo re de'venti fa una tempesta contro troiani; e Nettuno la placa. E per venire al particolare, avete a fin- gere da ìm canto della medaglia una grotta tal- mente fatta, qual vi potete immaginar che sia la casa de'venti, in bocca della quale sia Eolo re lo- ro, il quale ricercato da Giunone di tempestar il mare, gli mandi tutti fuori; e sieno figurati per fi- gure, o mezze figure di uomini co i crini, e con le barbe rabbufìfate, e con i visi gonfi,con panni te- nuli dall'una e dall'altra mano, che gonfino mede- simamente a uso di vele piene, disposti tulli con qualche bella invenzione, e che faccino certi grop- pi d'aria, che da diverse parti uscendo delle rot- ture della grotta, entrino a fare un mar turbato. conforme all'affezione cli'ei portava per Alessandro Cesari , che alila narrazione degli altri, e alla fama di un tale artefice, che viene posto Innanzi a quasi tutti i suoi contemporanei, f Vedi Oilaiidi, Aheced. piltor. a e. 243.) (i) Cioè di nìonsig. Giovanni Guidicclone, del quale si veg- ga quello che si è detto nella nota i alla lettera precedente. Lettere piTToniciiE 97 Solo se M. Lodovico (1) avesse pei* avventura av- vertito come si dipinge , fatelo come vi dice , se non, fingetelo a vostro modo, purché abbia mae- stà di re con l'abito, co'capelli, con la barba, e con alcuni svolazzi, che paiano ributtati da' venti all' uscir della grotta. Stia innanzi a Giunone in atto di riverente, e se vi paresse, con un otro da una mano, per toccar quella favola di Ulisse. Giunone si faccia come una regina in abito grave , in atto imperioso; e con un viso maligno comandi Eolo che faccia quella tempesta. Abbia in capo uno di- adema, cioè una fascia sopra Tacconciatura di es- so; e sopra la veste di sotto un manto, certi cal- zaretti in piede, nella destra un fulmine e nella sinistra un cembalo. Dall'altra parte della meda- glia sia un Nettuno col suo carro, co'suoi cavalli marini, col tridente nel modo che voi sapete, e in atto di comandare ai venti, e di sedare quella tem- pesta, la qual fate che intorno a lui paia cessata. E se vi torna l)ene, e l'istoria non riesce troppo confusa, fatevi qualche ninfa a nuoto per qviella tranquillità, ed un Tritone, con una conca marina in mano, o a bocca come vi pare. Ed in quanto al Net- tuno vi potete servire, parendovi, del disegno di Leo- nardo da Vinci. In alto sopra una nuvoletta sia posta una Venere, la quale sia piccola per dinotare la di- stanziate guardi Nettuno, come se ambedue procuras- (i) Credo certamente che qui si parli di Lodovico Leoni da Padova, che horì in Roma appunto in questo tempo, e che non solo liellissimc opere condusse In gemme e in metalli, lavorando di hulino e d'intaglio; ma fu ancora dotto pittore; e parve crea- to da natura per l'esercizio di ogni beli' arte. Si vegga ciò che nu scrive il Hiigliuni a e. i44- G.A.T.LXXX. 7 98 BelleArti sevo la tranquillità del mare. E vorrei, che per ri- spetto del motto, il quale uscirà da Nettuno, la grot- ta e Giunone fussero da man destra, Nettuno da sinistra, Venere in alto piìi presso alla grotta, ac- ciocché tra lei e Nettuno si lasci piìi spazio al mot- to. Hovvi voluto distendere questa cosa di mio capo, non per darvi legge , e perchè facciate appunto come dico, ma perchè aljl>iate 1' intento a un di- presso, e la materia e la disposizione poi sia a vo- stro senno : e leverete e porrete secondo che vi sa- rà necessario d'obbedire alla storia, e secondo che vi dirà l'oracolo di M. Lodovico, il quale preghe- rete da mia parte, che vi pensi insieme con voi ; facendovi intendere che mi farete un piacere infi- nito a mandarmelo quanto prima. Fatene fare schiz- zi da Ferino, o a chi vi andrà piìi per fantasia: e quella che vi riuscirà più gagliarda invenzione, fa- rete finire, o finirete voi: e se la metteste in cera, me ne fareste un servigio rilevato; e a voi so quan- to gioverebbe. Di grazia servitemi presto e volen- tieri, perchè lo fate per un uomo, il quale merita che ci mettiate tutto il vostro pensiero: che io avrei caro, che vedesse una sìmil cosa di vostra mano, a paragone di un'altra, che se ne farà fare a mes- ser Giovanni (1). Io aspetto messer Paolo Manuzio a Ravenna, il quale viene per menarmi a Venezia; sicché vi sarò prima di voi , ed è ai piìi fra un (i) La medaglia finor disegnata venne in fallo eseguita dal Cesari, e se ne può vedere 1' incisione nella tavola LXVI, u. i del museo MazzucchcUi. II molto è QUOS EGO; la occasione fu appunto per la tranquillità resa alla Romagna, con somma auto- rità e destrezza del Guidiccione, mandatovi commissario straor- dinario dopo lo scompiglio del i55g. Lettere pittoriche 99 mese. Avvisatemi quello che ho da fare della fac- cenda, che tenete coi Comari, e scrivetemi il no- me di colui, che ha la pietra da cammeo, perchè proverò d' averla. Delle cose di qua sarei troppo lungo a scrivervi ; bastivi che ho caro un mondo a trovarmi in queste faccende, perchè sono con un uomo singolare e pratico di molte cose. Questi dia- voli romagnuoli ci danno mollo da fare; tuttavolta sono alle mani di uno, che darà più da fare a lo- ro : pur questa mattina ne sono impiccati due, e se ne impiccheranno degli altri. Ora penso che ci fermeremo qui qualche mese, e forse a Ravenna, se si potrà fare che costoro non sì ammazzano ogni giorno, come sogliono, subito che il presiden- te volge loro le spalle. Questo signore pensa di far- mi ricco a dispetto della fortuna: e se la cosa du- ra, gli verrà fatto : ma io sto sospeso per la licen- za limitata, che monsignore mi dette, e prego Id- dio che gli metta in cuore di prolungarla ; e vo- lendo il ben mio, spero che '1 farli: quando no, harò pazienza. Il vostro anello fu sverginato con una let- tera papale, e ve lo rimanderò, se non prima, a Venezia. Intanto vi ricordo la mia corniola , e vi prometto che non la donerò, come feci del cammeo. Pregovi, che per mio amore visitiate qualche volta il sig. Molza, e mi diciate come la fa col suo male. Raccomandatemi a M. Claudio ; ditemi se M. Gio. Maria si trova ancora in Roma , e se finì mai la mia carta da navigare. Dite a M.Bernardo, che lo son dietro a buscare 1 suoi coni. Avvisatemi se il Cenami venne in casa, e raccomandatemi stretta- mente a lui. Vi raccomando i miei libri, e quelle bazziche che sono in camera ; e perchè non vada- no a male, fatele riporre ne'forzieri : e sarebbe be- 100 BelleArti ne clic faceste levare i panni di torno. Tenetemi in grazia di monsignore , raccomandatomi a Intti gli amici e familiari. Salutale vostra madre, visi- tate la comare, e state sano. Di Furlì alli 4 di febbraio 1540. IL MEDESIMO A messer Apollonio Filareto (]). M'avete liberato d'un grande affanno a risol- vermi, COSI generosamente come avete fatto, che 1' ornamento del vostro quadro abbia ad esser con la sua proporzione : perche con cjuella legge della strettezza, che mi fu data, non l'avremmo mai po- tuto tanto ornare, che non fosse riuscito cosa gretta. Cosi mi son deliberato di far che sia magnifico, ed henne già un bellissimo disegno di don Giulio (2), il qual non ho tempo di mandarvi, perchè lunedì ci si mette mano. Ma risolvetevi che sia così bello, e secondo me piìi di quello di donna Giulia, e non- dimeno di non tanto volume. E perchè si possa te- nere il ritratto in loco stretto, farò che l'ornamen- to sia di due quadri commessi l'un dentro l'altro per modo che vi potrete servire del minore. Ma non veggo, che mai possa venir fatto a quel prez- zo che v'ho scritto. Gliene darò dunque quel più che bisognerà, e basta che non saremo fatti ftire. Non iscrivo a sua eccellenza, ancora che alla sua par- (i) Famigliare di Pier Luigi Farnese duca di Panna. E nel citato libro a carte '23. (2) Questo è il celebratissirao don Giulio Clovio miniatore. Lettere pittoriche 101 tita me '1 comandasse, perchè non avendo di che, mi parrebbe vanita e mostrerei poco giudizio fa- stidire un principe tale con baie e novelluzze. Se vi pare che io faccia errore, piacciavi d'avvertir- mene, che farò incetta di borra. Al suo ritorno pen- so di darli la commedia scritta. Intanto vi prej^^o tenermi in sua grazia: ed a V. S. mi raccomando. Di Roma alli 15 di giugno 1543. IL MEDESIMO Al vescovo di Pola (1). I disegni che furono fatti per la sepoltura del papa Paolo santa memoria, si mandarono al reve- rendissimo Santa Croce, per risolvere qual di essi si dovesse mettere in opera (2). Qui non è ora se non il modello di fra Guglielmo ; ma egli non si contenta di darne fuora il disegno, perchè dice, che se di coslk fosse ripreso, come dubita, non vi sarebbe persona che lo difendesse, immaginandosi che ci sia chi aspiri a levarli l'opera dalle mani; ed in questo caso non gli pare onesto, che gli al- tri si vaglino delle sue fatiche. Dico bene, ch'egli desidera che l'opera si faccia, e che il padrone sia servilo,- e se bene l'esser privo di questo lavoro gli torna vergogna, che avrà pazienza. Solamente si (i) Questa lettera, tutta colma di notizie di somma preziosi- tà, è a e 6i del libro citato. (2) La lettera del Caro al cardinale Santa Croce può leg- gersi sotto il numero gy, nel voi. Ili delle pittoriche. Tali due documenti sul sepolcro di papa Paolo III, che si ammira in Va- ticano, illii\;uKÌnno di esser posti a rafl'routo l'uno dell'altro, e si danno mutuumeule chiarczzu. 102 Belle Arti duole di non esser lassalo fare , trovandosi bene animato a servire , e tenendo il suo modello per ben risoluto , per lo molto studio che v' ha latto sopra, e per lo parere che n'ha preso da Michel Angelo. Io ho cercato di consolarlo ed assicurar- lo, che '1 cardinale non domanda i disei^ni per man- care a lui; ma per conferir di costà, e risolv«3rsi della forma dell' opera, essendo tanto varie quan- to sono le opinioni di questi signori che ne han- no cura , e 1' opera di tanta importanza. In som- ma non si cura, anzi non vuole che '1 disegno del suo modello vada fuori. Ma per non impedire il desiderio del cardinale , e perchè dice aver caro, che ognuno vi faccia e dica la sua fantasia , s' è contentato di darmi informazione delie misure, e della materia, che si trova in essere: e qnesto ba- sta. Ora vi dico , che tutto cjuello che s'ha da fa- re , ha da obbedire a quello che già s' è fatto. E questo è prima una base di metallo istoriata, fat- ta dal Frate già per il vescovo di Solis morto, e comprata dal papa mentre vivea , perchè la re- putò degna della sua sepoltura. Questa è alla quat- tro palmi e mezzo, larga tredici, lunga diciolto, e sopra c[uesta fu risoluto da S. Santilìi medesima, che si collocasse una sua statua di bronzo , della quale il Frate di suo comandamento fece il model- lo : dipoi s'è formato con molta spesa e condotto alla fonderia di Belvedere, ed è comparso il me- tallo di Genova per gi Ilario ; ed è qiresla statua un colosso del papa a sedere in atto di pacificato- re, alta palmi quindici e mezzo. Queste due cose che sono, si può dir, fatte, s'hanno a presupporre che non si possono tirare indietro, perchè costano molte cenlinara di scudi ; e ragionevolmente non LSTTERB PITTORICHE 103 s*arebTjero a levare dalle mani di fra Guglielmo. Resta che si pensi al finimento loro: e per questo ancora liisogna presupporre, che ci sia in essere ini pilo antico bellissimo di paragone , destinato dal papa medesimo per lo suo corpo; e che non s'han- no a gitlar via i marmi, che si sono fdtti venire con tanto dispendio da Carrara per questo effetto, e che sono sedici pezzi; de'quali otto sono i termi- ni che si diranno appresso. Si sono pur comprati per ornamento molti mischi bellissimi, e di molto costo; e questa è tutta la materia della sepoltura. Della forma, poiché non vi posso mandare i disegni di qua, vi dirò a im dipresso in quanti modi s'è figurato infino a ora. Fra Guglielmo fece il suo pri- mo modello in questo modo : pose la statua e la base già detta sopra otto termini di marmo , con l'altre appartenenze d'architettura; e dai fianchi del quadro pose una cassa per fianco, e due statue per cassa a giacere. Dalle teste di esso quadro fece da ogni testa un cartellone; e cosi le statue, come le casse, dal bronzo in giìi erano di marmo, ed an- co il componimento dell'architettura: e tutto il re- sto del campo si scompartiva di mischi. E il qua- dro veniva ad esser tanto grande, che dentro vi re- stava un vacuo capace d'una cappelletta, in mezzo della quale si poneva il pilo antico col corpo del papa; e di cjuesto il cardinale ha visto il modello di legname. Il quale considerato di poi e parso che si potesse migliorare , perchè rappresentando la sepoltura d'un corpo solo, pareva soverchio far- vi due casse fuora, e un pilo dentro; ed anco es- sendo il pilo bellissimo, e lo spazio della cappella di dentro capace, come ho detto, si desiderava che vi si potesse entrare, e che si ornasse di pitture 104 BelleArti e di musaico : e in questo disegno non v'era luogo per l'entrata; e per molti modi che si pensasse di farvela, non s'è potuto accomodar mai, se non si- nistramente. II Paciotto ne fece uno ad istanzia mia a suo modo , il quale piacque assai (1). Egli con un altro ordine di architettura posò tutta l'opera di bronzo sopra certi pilastri doppi , e da ciascuna testa fece una porta cancellata da poter vedere il pilo, e gli ornamenti della cappella dentro ; e di fuori dai fianchi levò le casse, e in vece di quelle pose certi dadi con i lor candelieri, e con due sta- tue appoggiate sopra ciascuno di que'dadi; e per ogni canto del quadro innanzi ai pilastri mise ne* suoi piedistalli una statua ritta. Dipoi fra Gugliel- mo ricorresse il suo modello , e dice d' aver tro- vato modo d' accordare ogni cosa. Questa faccen- da s' è disputata assai innanzi a questi signori car- dinali ; ma non s' è concluso mai nulla , perchè e' è chi non vuole che quest' opera vada innan- zi : e per questo dà pastura di nuove invenzioni, e mette in dubbio il sito della sepoltura. Michel Angelo ha consigliato questi cardinali, che si fac- cia solamente un nicchio, e vi si metta dentro quel- la statua del papa di bronzo, con la sua iscrizione, e non altro ; per modo che parerà un giudice di campidoglio- Quel che m'è parso che piaccia pili di ogni altra cosa è questo: che la statua e la ba- se non si metta sopra al componimento d'archi tet- (i) Sappiamo così chi fosse colui , che il Caro nella ricor- data lettera al cardinal Santa Croce, indicò con queste parole : ,, L'altro (disegno) schizzato d'acquarella è d'un uomo ilahhene, che non si cura d'esser nominato , j)ci'chè per modestia non si vuole ingerire nella opera degli altri.j, Leti piti, volili, u. 97. Lettere pittoriche 105 tura, che sia di tanta altezza; ma sopra un pezzo de'marmi e de'mischi , il quale non si sollevi da ferra, se non quanto possa dar loco alle statue; e così non vi riuscendo il vano per la cappella, ne per il pilo , non accadera farvi porte e cornicia- menti, e le si troverà sito piìi fìicilmente, poiché per r altezza fa scrupolo d' allogarla in s. Pietro. Considerate tutte queste cose il cardinale può con- sultare con cotesti valentuomini, e farli disegnare, e dipoi risolversi del meglio così di qua, come di costa, e commettere che se ne cavino le mani, per- chè la tristizia degli uomini non impedisca così Lell'opera; avvertendosi che un ministro camerale è ito alla fonderìa, e domandato molto fiscalmente dei danari di questa sepoltura. Gli si è risposto , che sono già spesi nella materia, come sono in ef- fetto in buona parte: e però non vi restando a fa- re altra spesa che della manifattura, onore e de- bito del padrone sarà che si finisca. Ed è neces- sario che V. S. illustriss. sia quella che se ne ri- solva, perchè di qua veggo le cose a che cammino vanno,- e per questo non mi son curato mai pììi di parlarne, non conoscendo che '1 padrone se ne curi pili che tanto : e volendo i disegni a ogni modo, potrete mandare per essi al reverendissimo Santa Croce, al quale mandai ancora una istruzione sopra quanto occorreva in quel tempo. E sarà bene che gliene domandiate oltre i disegni, perchè ci sono non so che altre considerazioni, delle quali non mi ricordo, e specialmente delle statue: sopra di che s'è disputato pure assai. Ma fino in vita del pon- tefice si risolvette , che per i lati corrispondenti fossero da ciascun lato due, la giustizia e la pru- denza, la pace e l'abbondanza; e per le due teste 106 Belle Arti le quattro stagioni dell'anno, le quali a me non so- no mai piaciute, per non esser cose ecclesiastiche ne morali; e in loco di queste se ne sostituiscono quattro di nuovo, e sono la religione, la costanza e due altre, delle quali non mi rammento : e di tutte queste ho fatto le descrizioni secondo che gli antichi le figurano. Queste ancora potete doman- dare al reverendissimo Santa Croce; che io non ri- trovo ora dove siano appresso di me. Ora finche il quadro e la statua si risolvono; poiché il colos- so e la base è stabilita; e che n'è fatta quasi tutta la spesa, essendo la madre e '1 metallo a ordine, saria bene , che '1 cardinale facesse dire al Frate che la gittasse; perchè mi par di vedere che qiial- che accidente gli levi questo metallo dinanzi. Ne altro per questa. A V. S. bacio le mani. Di Roma alli 5 d'agosto 1551. LO STESSO ^l medesimo ...... Sì farà rofficio col Corvino (1), e di quel che avete fatto voi in beneficio suo n'arete molto me- rito; e se '1 cardinale l'abbraccerà, n'avrà molta lo- da. Oltre che, avendo le cose sue, potrà dire d'ave- re le più belle che sleno in Roma in questo genere. Fra Guglielmo ha poco manco che finita la pri- ma statua, ed abbozzata la seconda, e portati a ca- sa i marmi per la terza e per la quarta; e l'opera del quadro si continua con quella sollecitudine. (i) Raccoglitore di anticaglie, e in ispecie di cammei e pie- tre incise. Lettere pittoriche: 107 che si facea quando partiste; ed ora si segano i mischi a furia: tanto che pensiamo fra due o tre mesi cominciare a gittarc i fondamenti per la se- poltura, perchè facendosi difficultà, come dubito per la traversia di Michel Agnolo, abbiamo tempo di vincerla. Fin qui abbiamo sempre tenuto che li dieci mila ducati depositati a questo efletto fosse- ro d'oro in oro; ed ora troviamo che sono di mo- neta, e che 1 mandato è stato tocco in margine, e detto di moneta, in loco d'oro. Non sapemo come questa cosa sia ita, ne chi l'abbi maneggiata. Se ne sapete cosa alcuna, o veramente il padrone, da- tecene lume: perchè io non posso credere che la camera in quel tempo sborsasse a moneta, tanto più che '1 calculo della spesa, che si ha da fare, è fon- dato sui mille d'oro. Avete fatto bene a dar buona speranza al frate, perche farà correre la cavallina... Di Roma alli 6 di aprile 1554. LO STESSO A messer Francesco P aciotti a Brus selle. La vostra di 28 agosto non m'è capitata alle mani se non dieci giorni sono; da che io giudico, che delle vostre lettere sia fatto quel servigio che voi mi dite. Ho indugiato di rispondervi fino a ora, aspettando di Piacenza le piante dei palazzo che madama ordinò che mi fossero mandate, per l'effet- to che vi dirò poi. Ore rispondendo alla vostra vi dico, che maggior piacere non mi potevate fiire, che mandarmi la ricetta del gittare; la quale io tengo per tanto piìz cara e più vera, quanto mi dite es- ser uscita da sì gran personaggio, qual'è il sig. du- 108 BellbArti ca di Savoia, e che da Sua Altezza medesima è stata sperimentata. Ve ne ringi'azio quanto non vi saprei dire; e mi è caro conoscere, che non vi dimentichia- te di me. Io ne manderò la copia a messer Orazio vostro, secondo che m'ordinate, e la metterò in ope- ra non quelle diligenze che mi ricordate. Quanto alle commende, il favor del duca per ottenerne una nel suo paese è di grandissima importanza per ac- quistare il possesso, e per ogni altro rispetto; per- chè si tira dietro ancora quello del re. Ma non ba- sta se non se ne fa impresa gagliarda, e se per gra- zia non si dimanda al gran maestro, ovvero al papa, la prima vacante nel paese di Sua Altezza: il che per ordinario fanno difficilmente. Ma se Sua Altezza: in qualche buona congiuntura la domandasse, o faces- se domandare a Sua Santità, come dire nel nego- ziare di questi signori Caraffi alla corte; essi ve ne potriano far passare in Roma una riserva, e con essa in mano aspettar la vacanza, e col favor del duca entrarne in possesso. Questa è una delle vie d'averle: e in questi trattamenti, che corrono fra la casa Caraffa e '1 re cattolico, io perso che se '1 duca vuole gli verrà facilmente in taglio di far ve- nire la detta riserva da Roma, perchè a' Caraffa è molto agevole il farla passare, ancora dio '1 papa se ne renda difficile; ne al duca manca modo d'otte- nerla da uno di loro. E se D. Antonio marchese di Montebello viene ora alla corte, come si dice, po- treste operare che domandasse questa grazia a lui: e sollecitandone la spedizione, la potreste avere avan- ti che si partisse di corte; perchè in questi loro ac- cordi dovrà aver bisogno del favore di Sua Altezza, ed aver caro di servirlo. L'altra vìa è di doman- dare la medesima riserva al gran maestro; e quo- Lettere pittoriche "109 sta crcJo che sia piìi (Islìlcile, perchè quei cavalie- ri , che sono alla religione , mal volentieri sop- portano che le commende si diano fuori della lor congregazione: e quando anche il gran maestro vo- lesse, non può darne se non una per ciascuna lin- gua. Pure io non so ch'entratura abbia Sua Altezza col gran maestro: che potrebbe averla tale, che gli fosse facile ad impetrarla: e massimamente per un vostro pari, del quale hanno di bisogno in cjuesto articolo della fortezza che vogliono fare , essendo morto il Genoa architetto che andò la per questo effetto. E se con buona grazia del vostro principe poteste entrare in loco suo, questo sarebbe il vero modo d'aprirvi la via a questa grazia. E sopra ciò non mi occorre altro. Ora vi dico che a questi gior- ni sono stato a Piacenza, e che madama ha voluto che io vegga il vostro modello, e che intervenga a certi ragionamenti della sua fabbrica, ne' quali ho compreso che qualcuno fa piìi 1' architettore , che non bisognarebbe: non per impugnare le cose vostre; che, a dire il vero, ognuno confessa che voi siete un valentuomo; ma perchè avendo trovato che ì fondamenti della fabbrica vecchia non sono buoni per fondarvi la nuova, con questa occasione mutan- dosi, o crescendosi il disegno, vi aggiungono non so che stanze di piìi. Ed è opinione ancora di al- cuni che vi si debbano aggiungere i fianchi; e d' alcuni altri, che si levi la forma del teatro: poi- ché accrescendosi lunghezza alla pianta, viene a ces- sare la cagione della strettezza, che vi fece pensa- re a darvi la forma d'esso teatro. Madama è sa- via, e non ha voluto dare orecchio a mutazione al- cuna ; ed io le 'ho detto il mio parere , che sen- za il vostro parere non innovi cosa alcuna. A che no BellbArti si è risoluta, e mi ha commesso che io ve ne scri- va ; il che fo con questa , mandandovi le piante incluse , delle quali una è la vostra prima , i' al- tra è la medesima vostra, con 1' aggiunta che vi vorrebbero fare. Sarete conlento quanto prima dir- mi il parer vostro distesamente, specificando sopra tutto questi capi. I. Se non essendo buoni i fonda- menti vecchi, fareste i nuovi dove costoro voglio- no. II. Se raggiunta che vi fanno, vi piace, o se la voleste altramente. III. Se allargandosi il cortile con l'aggiunta, vi piace che resti la forma del teatro, o no. IV. Se le lumache doppie volete che vi sie- no in ogni modo. V. Se approvate che vi si aggiun- ghino i fianchi. VI. Se basta che i fondamenti sie- no in sulla creta, e in su la ghiara, come costu- mano a Piacenza : e tutlo quello di piìi che v'oc- corre, perchè ne possa parlare a madama secondo la vostra opinione, dalla quale son certo che non si discosterà per detto d'altri; percliè cosi mi pare d'averla disposta, e che S. A. sia risoluta ancora da se. E se voi poteste impetrar licenza di venire a dar ordine a questo edificio, vi esorterei a farlo; perchè fareste un grande acquisto nella vostra pro- fessione, che si vegga un saggio come questo del- l'intelligenza n'avete. Oltre che lo dovete fare per servire questa principessa, la quale vi ama assai, per quanto ho ritratto da' ragionamenti ch'io n'ho tenuto seco. Insieme con questo vi dirò per mio conto, che mi bisogna fondare ora le mura del giar- dino della mia casa, avendo già comprata 1' altra sul cantone; e però vi mando la pianta che voi mi faceste, perchè in quel fidso verso il fiume aggiun- giate quel che vi pare per isquadrare il giardino. Di grazia pensatevi qualche cosa che abbia del vo- Lettere pittomche ^H stro, e mandatemelo subito. Scritto sin qui, madama mi ha mandato una vostra sopra quel che deside- ra, o quel che dite voi sopra il suo edificio, che mi viene a chiarir parte di quello che vi ho do- mandato di sopra. Tuttavolta mi sarà caro che mi diciate , ed anco replichiate quel che vi occorre , e quel che io vi domando di più sopra ciò ; per- chè con la vostra lettera in mano io sarò con ma- dama, e sono securo che la vostra opinione ande- ra avanti. Quanto all'opinione che s'abbiano questi signori di voi, in madama l'ho trovata bonissima; che vi loda sommamente in molte cose: ed in cer- te che vi biasima, v'ha per ìscusato; e vi promet- to che in un ragionamento, che io ho passato seco di voi, ha mostro aver caro quel eh' io le ne ho detto, e di credervi assai nella vostra professione; e per amore che vi porta, m'ha detto che v'aver- tisca, che sappiate mantenervi in cotesta corte , e che non facciate alcune cose, delle quali Sua Altezza mostra di avervi ripreso. Il cardinale v'ha per va- lentuomo: ma sapete che vuol dire sempre qualche cosetla. I cortegiani vi trattano male al solito: ma non guardate a questo, andate dietro al vostro asi- no; e come siete valentuomo, così siate circospetto e diligente e rispettoso : che supererete ogni dif- ficolta. Di me avete a pensare che vi sia amico sempre, e pili lontano che appresso , e piìi nelle tempeste che nelle bonacce. Rispondetemi a que- sta subito e distesamente. Sopra tutto mandatemi il disegno della casa di Roma, e comandatemi. Di , Pesaro la vigilia di natale 1558. H2 Belle Arti LO STESSO A messer Bernardo Soiaro pittore (1). Ho la vostra delli 28 del passato, per la qua- le ho conosciuto che non avete ricevuta una mia, che vi scrissi molti giorni sono: che me ne duole sommamente, avendovi per quella dato notizia di un lavoro che aveva per le mani di farvi avere in Roma, il quale mi pareva che fosse molto al pro- posito per voi ^ potendo con cjuesta occasione ve- der questa citta, e farvi conoscere per quello che voi siete, con utile e con onor vostro. Ma poiché la lettera non è capitata, vi dirò per questa, che risolvendovi a venire, o che il lavoro s'abbia , o che non s'abbia , voi potete star meco quanto vi piacerà, e vi sarete cosi hen visto e servito come in casa vostra. E poiché avete avuto l'opera della cupola di Parma, mi parrebbe che lo doveste fare a ogni modo. Quanto al ritratto della signora Por- zia, Dio sa se io avessi avuto caro che l'aveste fi- nito; ma io non voglio altro dagli amici , che si vogliano essi medesimi. Se potete finirlo con vostro comodo, lo riceverò per uno di quelli piaceri, che mi possiate far maggiori; quando no barò pazien- za. Di qua vi manderò un disegno a mio modo: e di farlo o non farlo, lasso pure in arbitrio vostro. Una cosa vi dico: che non è persona che stimi pili le vostre cose di me, uè di piìi desideri di farvi (i) Voi. cit. a e. 123. Bernardo Gatti, detto il Soiaro , cre- monese, o come altri volle, vercellese o pavese, Tu piUoi'e di me- lilo, scolaro del Coreggio. Lettere pittoriche 113 servizio. Quanto al disegno della madonna che va in cielo, chi l'ha non è in Roma: e però non ve lo posso mandare per questo. Ho bene scritto nel- la Marca per averne una copia, e subito che l'avrò ve la manderò State sano. Di Roma alli 27 di aprile 1560. LO STESSO A madama (T Austria in nome di don Giulio Clovio (1). Mando a vostra altezza il quadro della Giudit- ta, finito pur una volta, quando è piaciuto a Dio. Dico così, perchè, quanto alla velocita e alla solle- citudine mia, sarebbe già da molti mesi compiuto; ma sono stato impedito da tanti mali , e da tanti sinistri cos'i della vita come della fortuna , che se non fosse stato l'ardore e la devozione con che ci ho lavorato, credo che non ne sarei mai ve- nuto a capo. Ora lodato sia Dio che m' ha con- cesso tanto di grazia , che 1' abbia condotto fin qui. Avrei voluto andar pi li oltre con darli for- za e moto e spirito di vita e di verità , se avessi potuto, per empire il giudizio degli occhi suoi col concetto mio stesso : e se non 1 ho conseguito, non è però che non sia una delle men biasimevoli ope- (i) A e. iSs del già ridetto voi. Ed è d'avvertn-e, che le ot- to lettere che vengono dopo di questa, non sono altriiiiente scrit- te dal Caro a nome di don Giulio Clovio ; ma si del cardinale Farnese. L'equivoco del titolo dato ad esse dall'editore, fa trat- tare al nostro pittore le più alle quistioni di governo e di poli- tica, che allora vi fossero, e scriverne al vescovo di Lucca, al du- ca di Savoia, al re di Na varrà eie. G.A.T.LXXX. 8 11 /i. Belle Arti re che io m'abbia fatto, e forse che possa far l'ar- te. Ne credo ingannarmi di molto, perchè di qua è stata veduta, non senza lode mia e maraviglia di ognuno. Desidero che piaccia altrettanto a V. A., e quando pure non la satisfaccia intieramente, suppli- sca al mancauìento dell' opera la voglia che io ho avuta, e la diligenza che iio usata grandissima per satisfarla. Resta che io mi raccomandi, come fo mol- to sommamente all'altezza vostra, nella quale solo è restata quanta speranza m'abbia in questo mon- do; giacche gli anni, l'infermità e la mala fortuna m'hanno condotto a termine, che tanto ho piìi bi- sogno, quanto gli aiuti suoi mi sono più lontani : quelli di chi m'avrebbe a sovvenire sono più scar- si che mai. Dio conceda all' altezza vostra quella felicita che merita la sua molta virtù ed umilis- simamente le bacio le mani. Di Roma aili 11 set- tembre 1561. GIUSEPPE BATTISTA (1) j41 signore cavaliere Massimo dipintore (2). La lotta d'Ercole e d'Anteo , dipintura delle mani di vossignoria, lietaìncnte ricevo. Ha ella dc- (i) Dalle lettere di Giuseppe Battista, opera postuma ed ul- tima, est l'atta alla luce da SimoH'-Antonio Rallista nipote dell' autore- All'illustrissimo sig. Antonio Mugliabeclii. Venezia 1678 -^er Lombi e la Noci, a e. '21. (a) Massimo Stanzione nato in i585, mancato nel contagio del i656, fu de' più grandi inaestii che vanti la scuola napoli- tana Urbano Vili lo creò cavaliere dell'abito di Cristo. La sua vita si ha dilì'u.iainenle scritta da Bernardo De Doniinicl nella opera; Vita de' pittori , scultori ed architetti uapolitani; a e. 44- e seg. Lettere pittoriche 115 Sfritto col pennello quanto lo non saprei dipinge- re con la penna. L'ho appicata in una parete del mio museo, perchè io possa consolarne sovente la veduta: non che aspetti la censura del calzolaio di Apelle. E maraviglia il vedere Anteo, che quando gittasi in terra, allora credesi essere in cielo: quan- do è sollevato, teme le perdile, e conosce nelle ca- dute le sue vittorie. Gode meno dell'aria, quando ne partecipa piìi : e tanto più Ercole procura di fargli male, quanto più l'abbraccia, e perchè non l'ama se lo stringe in petto. Gran vanto è di vos- signoria , che sa dipingere anche i pensieri. Per- suadasi finalmente, che con cjuesta tavola sola non cadrà mai sommersa in Lete la gloria del suo valore. DOMENICO ROSELLI A Paolo de Matthaeis (1). Essendo così stretto col vincolo d'un'anlica a- mlcizia con V. S. il sig. Domenico Andrea de Milo, autor della presente opera (2), che a mie spese ho pubblicato con le stampe, e trattandosi in essa va- rie materie, che all'arte della pittura son conface- voli, non ho stimato ad altri farne dono che a lei, che in cfuesto secolo pareggia i più celebri antichi maestri di tal professione; tanto più che vi sono (i) Pittore napolitano di molto grido^ nato nel 1662, e man- cato nel 1728. (2) Eccone il titolo : Ragionamenti del sig. Domenico An- drea de Milo napolitano, cioè, il primo intorno all'arte della pit- tura; il secondo intorno agli affetti e ni movimento di essi; il ter- zo, intorno alle medaglie antiche, con l'aggiunta di alcune rime non più impresse. Napoli 1721. ^16 BellkArti ai^giunte nel fine alcune rime dello slesso autore, a V. S. dirizzate (1 V Io credo intanto non aver la taccia di adulatore, se dirò che si è Ella resa cosi celebre con le sne opere, delle quali ne restano ar- ricchite non solamente l'Italia, ma anche le citta più famose da quella lontane; che con ragione vie- ne stimata il primo pittore del secolo (2), perchè in lei si ammirano tutte le più profonde regole dell'arte, o siano quelle che riguardano il regola- tamente disegnare, o pur quelle che conducono a perfezione il colorito; ne tacer si dee l'erudizione e la notizia che ha di tutte quelle cose , che son necessarie a un famoso maestro. E dove lascio la (i) Le poesie, che qui si accennano , sono su gli argomenti segueoti: Sonetto, per le dipinture della cupola del Gesù nuovo di Napoli. Questa grande cupola fu dal De Matthaeis dipinta in sessantasei giorni. Vanto senza esempio , ne scrive il Lanzi , il quale non manca pure di ricordare, che raccontala una così fat- ta bravura al Solimene, questi freddamente rispose , che senza che altri il dicesse , 1' opera lo diceva. Sembra però in questo giudizio del Solimene essere stata troppo severità, e che in quel- la cupola fossero cose assai belle, imitate con bravura dal Lan- franco, Ora non se ne può recare ulterior sentenza , giacché quella gran mole, minacciando rovina, venne sul fluir del passato secolo demolita. Segue un sonetto per la volta di s. Francesco Saverio, similmente colorita da Paolo : poi due altri sono, l'uno per chiedere al pittore d'esser ritratto, l'altro per ringraziamen- to di tal lavoro. Due altri sonetti esprimono quindi, l'uno il de- siderio d'aver dal De Matthaeis il suo ritratto da lui stesso di- pinto, l'altro la gratitudine per aver conseguito il dono richie- sto. Finalmente in quindici ottave si descrive la Galatea , pittu- ra di esso De Matthaeis. (2) La lode, che qui può sembrare sospetta di esagerazione, è confermata dallo storico dell'italiana pittura che ne scrisse. ,, E pittore che può contarsi tra'primi della sua età.„( Lauzi, voi. 2, a e. i83). ì Lettere pittoriche 117 gentilezza e la piacevolezza, eli' è propria del suo spirito, che la rendono singolare ed amabile ? Per- locchè spero, che riceverà con gradimento l'opera, che le presento, come d'un tanto diletto amico, an- che in segno della stima , che io faccio delle sue singolari virtù , mentre mi confermo baciando a V. S. divotamente le mani. Napoli 10 luglio 1721. ANTONIO BRUNI (1). j4 Lorenzo Pellicini- Presentando a V. S. questa mia epistola (2), io non pretendo di sciogliermi, ne dal debito che ten- go di osservar il suo merito, ne dall'obligo, che (t) Antonio Bruni nacque in Mandusia città del regno di Napoli, di famiglia venutavi dal Piemonte, e pi'oprianieute da Asti. Si ebbe a" suoi tempi per maraviglioso , così nella poesia , come nella prosa toscana, e in ogni altra professione di lettere. Fiori alla corte di Francesco Maria duca di Urbino, cbe lo eb- be in grado di segretario di stato e consigliere. Quindi passò in Roma, segretario del cardinale Gessi bolognese, prefetto delia segnatura di giustizia. Soggiacque in questa città al debito di natura ai 24 di settembre dell'anno iò35. La sua sepoltura fu nella cbiesa de'ss. Apostoli, dei padri minori conventuali; ma non gli venne posta alcuna memoria. Molto però ne cantarono e ne piansero i poeti di quella stagione, e specialmente i nostri ac- cademici umoristi, fra' quali era stato scritto, come egli medesi- mo lo ricorda in età molto giovanile, per non dir fanciullesca , essendo principe dell'accademia il cavalier Guarinije dice pure, come vi tenesse più volte i carichi di censore e di segretario. Chi fosse Lorenzo Pellicini, non ho notizie per dichiararlo. (2) La epistola, di cui qui si dice, è quella di Diana a Vene- re, la duodecima cioè delle epistole eroiche di esso Bruni , com- prese nel libro primo di tali poesie, dove a carte 118 si legge la lettera che ristampiamo. ff8 Belle Arti professo di mantener vive co'segni della mia gra- titudine, l'amicizia e la servi tìi, che ho con lei; ma Len'ardisco fare a V. S. un presente di molta stima, mentre le offerisco e le dono con la mia epistola 1' imagine di Diana, ch'è disegno del cavaliere Gui- detti Borghese (1), il quale non sa con minor ec- cellenza trattar la penna nell'opere poetiche, che lo scarpello e il pennello in cpielle di scoltura e pittura. V. S., c'ha gentilezza eguale all'ingegno e giudicio, sarà giudice sincero ed approvatore di tal verità, mentre la desidero lettore amorevole e cor- tese di questa poesia. E vivamente le bacio le mani. Di corte. IL MEDESIMO A Gaspare de Simeonibus. Intanto , mentre temo che non sieno bastevoli a Zenobia (2) i miei inchiostri, come già (i) E' questi il celebre Paolo Guidotti, dottore dell' una e dell'altra legge, matematico, nel suonare e nel canto lodatissimo, poeta, architetto, scultore e pittore Per tali eccellenti doti il pontefice Paolo V lo creò cavaliere dell' abito di Cristo , e gli permise di più d' aggiungere al cognome natio il suo proprio, e di soscriversi Borghese, come qui lo nomina il Bruni. Fu ancora conservatore nel magistrato del popolo romano Era nato in Luc- ca e mancò sessagenario in Roma nell'anno i6'i6. Sue opere a fresco si veggono nella libreria vaticana , alla scala saata e in più cliiese. (a) Dedica il Bruni a Gasparo de Simeonibus 1' epistola di Badamistu a Zenobia, che si legge a carte 96 delle sue epistole eroiche, già citate di sopra. Questi ancor giovane , come ne lo encomia il Bruni, oltre all'ornamento delle scienze più gravi, riusciva con molla lode in poesie latine e toscane: applaudito per Letture pittoriche ii9 furono le acque dell'Arasse a conservarla in vita , ho voluto procurargliene maggior sicurezza col di- segno aggiuntole del signor cavaliere Giuseppe d* Arpino, la cui mano, alta non pur a dar vita ma immortalila, fa die il nostro secolo non a])bia da invidiare all'antica età qualunque piìi nomato pit- tore, e rende ragionevoli le lodi, che V. S. diede in un suo componimento alle pitture , che di lui si veggono nel Campidoglio, dichiarando vagamen- te con esso, che per evento fatale venivano quivi ammirate le opere di si degno pennello, dove vide giìi Roma trionfare anche la spada di Mario, e la penna di Tullio, lumi chiarissimi della medesima patria Arpino. E a V. S. bacio con singolarissimo afì'etto le mani. Di corte. IL MEDESIMO yfl conte cavaliere Andrea Barhiizzi Man'zoli. .... Saluterà V. S. a mio nome il signor Valesio, ringraziandolo de'suoi bellissimi disegni ed intagli, co'quali ha voluto onorar quest'epistola (1) ciò nelle due nobilissime accademie, del serenissimo principe car- dinale di Savoia e degli umoristi. Percorse quindi luminosamen- te la ecclesiastica carriera, e fu vescovo di Campagna e segreta- rio de' brevi a principi del pontefice Innocenao X. Il cavaliere Giuseppe d'Arpino e le sue pitture sul campidoglio, sono trop- po celebri , perchè debba io qui aggiunger parole su tale pro- posito. (i) È quella di Venere ed Adone, stampata a carte "212 del volume citato di sopra Gio Valesio dalla scuola de'Caracci, ove tardi venne, e più che a dipingere apprese a miniare e ad inci- 120 Belle Arti ed alcnii'altiM, dando con essi certezza della sua cortesia e del suo gran valore. Ed a V. S. bacio le mani. Di corte. IL MEDESIMO A monsig. abate Onofrio del Monte. .... Spero intanto, die la figura di Semirami- de, che qui V. S. illustrissima riconoscerà delinea- ta dal sig. Demenichino celebratissimo pittore , le farà maggior dichiarazione di quost'osseijiiio, men- tre per fine riverentemente le bacio le mani (1). Di corte dere, passò a Roma; e quivi servendo ai Ludovisi nel pontifica- to di Gregorio XV figurò molto. E' lodalo nelle opere del Ma« rini e di altri- poeti, non tanto per 1' arte in cui valse mediocre- mente, quanto per la sua fortuna e per le sue industrie. Fu di quegli uomini (che pur troppo si riveggono in ogni età!) i qua- li alla mancanza del merito sanno sostituire altri mezzi più facili per vantaggiarsi ; regalare a tempo chi può giovare, simulare allegria fra gli avvilimenti, secondarci geni, adulare, insinuarsi, farsi partilo fin che si giunga dove si miri. Cosi egli tenne car- rozza in Roma , ove Annibale Capacci pei- più anni non ebbe altro stipendio delle sue onorate fatiche, fuor che una camera a tetto, il vitto quotidiano per se e per un servo, e 120 scudi an- nuali. (Lanzi storia pillorica voi. IV a e. 108, Malvasia toni. I a e. 374)- (i) La epistola che si accompagnava del disegno del Zain- pieri, è quella di Semiramide a Nino , impressa a carte 245 del citato volume. Monsignor Onofrio did Monte fu prelato pesarese figlio del celebre matematico Guidubaldo, e uipole del cardina- le Francesco Maria. 121 VARIETÀ' Del senato dì Casale nuovamente eretto dal re Carlo Alberto , esposizione istonca di Alberto Nota. Seconda edizione. 8. Casale, tipografia Maffei e Scrinano i833. (Sono carte 43). i3e Alberto Nota, tutto dato presentemente ad affari di gover- no, si riposa da vari anni sulle tante gloriose corone che mento dall'italiana Talla, non è già che appieno abbia abbandonale le lettere. Ecco una sua operetta isterica, scritta da lui, come in- tendente generale ch'egli è della provincia di Casale di Monler- rato, per mostrare le ragioni che aveva quella città alla munifi- cenza del re Carlo Alberto , che nel 1857 l'onorò di uu senato. Il libretto è diligentlssimo, e degno del celebre autore. Un tributo di onore e di gratitudine dell' accademia agraria di Pesaro alla memoria del dottor Ignazio Lomeni socio cor- rispondente, per Giuseppe Mnmiani socio ordinario e cen- sore. - 8. Pesaro, tipografia del Nobili iSog. ( Sono car- te iG.) Al comune di Pesaro, gratissimo alla largezza del milanese Igna- zio Lomeni, il quale di dieci mila franchi dotò l'accademia agra- ria che con tanta lode fiorisce in quella città si dotta e gentile , decretò che a perpetua memoria fosse posta all'uomo illustre un' epigrafe nelP aula municipale , e che alcun chiarissimo )ie di- cesse e pubblicasse le lodi. A dettar 1' epigrafe fu deputato il cav. Giovanni Labus, gran maestro di queste cose: e 1' elogio fu affidato meritamente al conte Giuseppe Mamlani della Rovere 122 Varietà' socio ordinario e censore. E quella e questo riescirono, com'era bene a supporsi , degnissimi degli autori; imperocché se l'epi- grafe con latina dignità ed eleganza accenna solo, com'era con- veniente, la beneficenza ed i meriti del Lomeni: l'elogio col lin- guaggio nobilissimo della scienza e colla più affettuosa facondia ci dice quanto e quale uomo egli fosse , e come in tutta la sua vita non cercò altro che giovare le scienze ed onorare l'Italia. Sopra r ordine serafico in Sanseverino, e sopra la vita di s. Pa- cifico Dhiui minore riformato, saggio storico illustrato con fatti provinciali e patrii, di monsignore Giovanni Carlo can. Gentili. - 8. Macerata, tipografia di Alessandro Man- cini i83c). (Un voi. di carte 17Ò.) XJ egregio autore nel farsi a scriver la vita di quel santo Paci- fico Divini, che in questo stesso anno dalla Santità di JN.S. Gre- gorio XVI è stato innalzato all' onore dell'altare , ha tolto an- che opportunamente a narrarci l'origine e le vicende dell'ordine serafico in Sanseverino. Il che ha latto per modo, che la sua nar- razione con singolare facilitasi leghi all'istoria non purdella pa- tria e della provincia, ma dell'Italia e della sede apostolica • e cosi torni utile e grata a qualunque maniera di leggitori. Della qual cosa vogliamo sinceramenle congratularci con monsignor Gentili, il quale ha coivciò indicala bellamente una via da per- corrersi con frutto e con lode da quanti altri imprenderanno quind' innanzi a trattare di tali argomenti con volontà di farsi leggere da maggior numero possibile di persone. Risposta ad un libello di Serafino Laurenti sul disegno del nuo- vo teatro da erigersi in Terni. 8. Roma iSSg. (Sono carte 20). V^uest'operetta è dell' egregio sig. Francesco Gasparoni archi- tetto, il quale, presa la sferza del Baretti, la incua terribilmente Varietà' 123 sul presuntuoso e insolente che per solo privato rancore tolse a farsi censore del nuovo teatro che il chiarissimo sìg prof. Lui- gi Poletti sta edificando in Terni: teatro e per ragione architet- tonica, e per novità elegantissima cosi degno dell' alto sapere dell'insigne maestro. L. M. Velia maniera di studiare la lingua e l'eloquenza italiana, libri due del marchese Basilio Puoti, con V aggiunta di alcuni di- scorsi del Farinif del Cesari , del Monti , dello Strocchi , del Colombo e del Costa. 8. Pesaro dalla tipografìa Nobili iSSg. ^Un voi. di carte i55)^ JZi un bel dono che il eh. professor Montanari ha fatto novel- lamente alla giovetù studiosa d' Italia. In questo volumetto ve- ramente d'oro sono ristampati i due libri del Puoti sulla manie- ra di studiare la lingua e l'eloquenza italiana: il discorso di monsignor Farini sulla necessità di studiare la lingua italiana: la lettera del Cesari sulla facile maniera di apprendere essa lingua; l'orazione del Monti sulla necessità dell'eloquenza: l'allocuzione dello Strocchi sullo studio dell'eloquenza : il ragionamento del Colombo intorno all'eloquenza de'prosatori italiani, e la sua let- tera di appendice: il discorso del Costa, Che cosa è gusto e co- me non va soggetto all'arbitrio del popolo. Intorno ai quali no- bilissimi scritti noi solo diremo: Studiate, o giovani , in queste prose di sì valenti maestri di ben pensare e scrivere .• sì studiate in esse, e veramente saprete ciò che l'Italia, non abbietta nelle cose straniere, ma tutta attesa alla sua dignità, vuole da voi: e ciò che assolutamente vi è duopo per vivere non una vita di pochi mesi, ma una eternità famosa nella grande istoria della nostra letteratura. S. B. 124 Varietà' Nota sulla Memoria del metodo inverso delle tangenti che tro- vasi inserita nel tom. 79 di questo giornale. Di Barnaba Torto li ni. J. 1 el n.o 9.0 della citata Memoria cercai l'equazione della curva, della quale gli archi sono eguali alle rispettive ordinate di un'i- perbola equilatera, e della forma xi — 52= a» ed ottenni , a . \ae — a: )2 =r= x2 — a3 La curva di questa equazione è una catenaria: e risoluta riguar- do alla y^ darà. a: -J- J/" a:2 — «a y = alog . a ovvero sviluppando l'indicata potenza, e separando la x , si ha per la medesima r _r e per conseguenza si potrà enunciare, che la sviluppata della catenaria sarà /a -H ^/" «2 _ X2\ Y H- \/'a^ - Xa = alog\ -^ / che è la penultima equazione del num< 17» NIHIL OBbTAT E. Jacopìni Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patriarcha Antiochenus Vicesg. Osservazioni Meteorologiche ){ Collegio Romano )( Luglio i SSg. 1 e 2 5 i a 3 4 5 6 7 8 9 IO 11 13 i3 «4 i5 Ore mal. si- ser. mal. 8'- ser. mat. si- ser. mal. si- ser. Baromet. 2>%^S „ „ 6 „ 1 5 ,. » 5 " " i r 0 5 Teim. esterno '4°~ ai 16 i3 21 i3 la ao 16 rcimc max. 0 22 metro min. Igrom. Veuto Pioggia I^Vapur. li 5 8 Stalo del Cieli cliiar'stinio III IV. sp. chiarissimo' nu\olu spar. chiarissime 11^ 1 1 IO i5 0 9 26 10 0 0 S d SO „ W d so „ N cj. 0 S m 0 0 21 5 4 29 3 tiion.pi. li 3 3o lampi pio. mal. 0 75 5 4 5 4 5 7 4 3 31 1 29 5 4 10 1 27 11 a .. ., 7 i5 18 20 i3 80 d S f. N d mi vuloso chiarissimo chiarissimo nuAolcso chiarissimo 5) 1 mat. si- ser. mat. Si- ser. » ,. 8 28 0 0 „ 1 3 13 20 •4 ao 22 24 24 5 10 XI 5 2 22 4 SO m N. d. 0 0 S d N „ N ,, s ., teiiip. 1. l. 6 25 M •» 8 „ a 0 „ „ 5 '4 21 16 i5"~ 33 n 16 24 18 6 29 5 3 37 5 3 8 5 7 6 6 7 4 mat. Si- ser. » »> J i3 14 » mat. Si- ser. .. « a !, -, 0 »• )J n » *■ 7 )» I» 4 » » 3 5 27 7 N „ S m 0 0 ^ir-d:- SO ni 0 0 mat. Si- '^'[^ mat. Si- ser. 16 25 i3 16 23 >9 23 5 '4 i5 i5 5 7 32 4 2 5o 10 llfll. sp. chiarissimo niiv. sp. chiarissimo )» «> »> „ „ 0 » „ 6 ,,20 » ). 2 » ,. 0 » » 4 „ „ 2 25 25 5 25 5 27 N. q. 0 0 d 0 0 A d SO m S. t£. 0 5 0 mat. gi- ser. mat . si- ser. i5 5 24 18 5 17 19 5 3i 4 3 25 7 6 6 6 8 " :5 0 0 ■■' mal. Si- scr. mat. si- ser. mat. Si- ser. 17 2tj 20 14^^ 26 5 '9 i5 4 55 i5 10 53 4 0 d 0 0 H 8 7 6 4 " 1 >> « " 28 29 16 ^ Ó ra. S d ser. iiuv. sp. chiarissimo t ,, „ -,, ,, „ 0 I) )j 3 i5 7 55 4 N „ OSO 0 0 pa Ore' Baromet 1 ' o u mal. \ zgP" 2^2 i6 ?'• >» » » ser. » » 6 mn/. j j, J, JJ i >7 Si- )» 1» » ser. lì .. 7 mal. »» ., 5 18 ser. '> ti ' mal. » ' H •f) et- »» „ i> 3 mal. » 0 )9 '20 SI- ser. >» >» »» mal. » 0 7 21 «'• „ »> >» ser. „ 1 6 mal. „ 5 )* 32 S^- )> ») » ser. ,. » 7 iiiat. „ »> 9 ,23 S'- „ 2 0 ser. 1 9 mal- „ 8 24 fi'- ser. ''' .. 7 Ls mat. ^'■ „ „ 4 1 sir. „ ,, 5 1 mat. „ 1 26 ser. »> „ „ 11 27 mat. „ „ 0 S'- „ 0 S ser. „ 1 0 [mat. 28 gì- >> ser. mat. '^_ ., i) „ 3 29 gì- jj ,, 2 ser. ,j ,, mat. ,, 0 5o g'- It li u ser. 1» 0 7 maf ., » 6 3i gì- „ ,, 4 1 ^ser. „ » 7 Tcrm. 2G 19 26 6 '9 21 17 27 29 20 18 26 28 21 17 —> 26 iq ò 22 5 18 26 28 20 18 ''9 |i8- 26 21 .8" 27 Termometro 28^ 26 '7 24 ò 20 18 25 20 17 25 "5' 20 18 25 20 <7 24 >9 5 5 16 25 Vi 7 5 >7 16 16 16 16 5 17 16 grom. Vento SO J S d o o N q O S m ,. Tortolini, Trasformazioni e valori di al- cuni iutc^rali definiti ce. . . • „ '•> M Ot 4o 63 LETTERATURA Fonlaniui, Philologica disquisitio . . „ Re, Lettera a monsig. Muzzarclli • . „ Bruiiatì, Ragionamenti istorici. • ■ • ,, Biografie e necrologie di P. Paoli, di C Bouclicron, di G- Mnzzarelli-Brusan- tini, di P. Sclicdoni , di V. Cicogna- rn, di A. Bellenglii , di F. Guzzoni degli Ancarani ,, BELLE ARTI Visconti, Continuazione delle lettere pit- lif!^^ forlclie . . . ■ i> 9^ Varietà. Tav(dc meteorologiche. 129 SCIENZE Ragionamento di j4gostino Cappello sopra la me- moria del chiarissimo Toffoli chimico bassanese intorno la rabbia canina. K ell'anno 1823 pubblicossl il mio primo lavoro sulla idrofobia basato sopra esperimenti ed osser- vazioni continuate per circa 3 lustri, e che insì- no ad oggi, siccome mostrerassi , confermate veg- gonsi a sollievo della tribolata umanità. Se non che, nel provarsi chiaramente da me non riproducibile la idrofobia, se non per morso, o per innesto di saliva di cane spontaneamente arrabbiato, intorno alla sorgente essenziale della medesima, ipotetico fu il mio ragionare, quantunque venisse sorretto da solido fondamento (1). Chiudeva quindi la mia pri- (t) Memoria sulla idrofobia, di Agostino Cappello in 8. di p. 54» pel tipi del Salviucci i^iò, e glorn- arcadico dello stesso anno. G.A.T.LXXX. 9 130 Scienze ma memoria colle seguenti parole: „ Due o Ire lu- „ stri di esatte osservazioni o metteranno in chia- „ ra luce, come io spero, la mia opinione, oppure „ la ricondurranno nel nulla (1) ,,. Se il eh. ToIToli abbia ora dilucidato cosififatto argomento, mi accingo io colla critica piìi severa a dimostrarlo. Vuoisi a buoni conti premettere che l'autore, malgrado di preventive idee prima di met- tersi in istrada, non adduce tuttavia fantastici ra- gionamenti che spacciansi di continuo nell'arte sa- lutare , soventi con danno della salute publ>|ica ; ma fonda bensì il suo lavoro sopra attento ed ac- curato esame desunto dalla maestra esperienza., che ebbe opportunamente campo di osservare e di ci- mentare non meno pel filantropico suo zelo, e pei lumi suoi nelle naturali scienze , che pel grande trasporto ancora alla caccia ed ai numerosi cani, in mezzo ai quali consumò e consuma tuttora non bre- ve spazio di tempo. Egli di fatto se le comuni idee avvisava sopra la rabbia canina, di giorno in gior- no le abbandonava pei replicati fatti accuratamente osservati: onde in un aspetto totalmente diverso dalle prime impressioni vedransi i felici suoi ri- sultamenti. L' amore dunque per la caccia, raddoppiato nell'autore per igienico consiglio di un celebre me- dico (Brera), ispirogli il desiderio nel 1827 di ri- volgersi allo studio del morbo in discorso prose- guito indefessamente fino a questi dì. Dava nel 1834 alla luce una sua lettera Sul contacio idrofobico rabbioso disseminato nei cani (i) Id. ih. pag. 54> e giorn. arcaJ. id. Ragionamento di A. Cappello 131 in varie delle provincio venete (1). L'anno vegnen- te il ciottissimo Emiliani indrizzavagli in istampa un caso particolare di rabbia avvenuto in Mode- na (2). Nel dì 22 aprile 1836 il Toffoli dirigeva invece all'Emiliani una sua lettera sulla rabbia ca- nina, che dice risguardar sempre di carattere con- tagioso contro r opinione del Cappello , alla cui massima tuttavia nota un fatto favorevole per se stesso avverato nel luglio 1835, senzachè veggasi in detta lettera un solo caso che contrariar potesse quella opinione (3). Di Bassano 30 giugno pei tipi del Baseggio intitolava a me alcune critiche sue os- servazioni intorno un preteso rimedio contro la rab- bia pubblicato d'ordine superiore in Parigi, e con- temporaneamente m'inviava il programma della me- moria or pubblicata (4). Contiene essa quanto di maggiore interesse fu scritto sopra la rabbia: e se talora sonovi di buo- na fede messe osservazioni altrui, le proprie vi so- no riportate con diligenza: e di tempo in tempo che le medesime rischiaransi , e che con irrefragabili prove confermansi, diverso e retto ne forma il giu- dizio, che da ultimo, in ciò che risguarda eziandio la non riproduzione della rabbia comunicata, me- co del tutto conviene. Le quali cose premesse, passo all'analisi della memoria , chiarendo all' uopo ciò che più grave- mente risguarda l'orrendo morbo. (i) Bassano, tipografia Baseggio. (2) Reggio, tipografia Torrcgiani. (3) Venezia, tipografia Alvisopoli. (4) Giorn. arcadico toni. 69, pag. 374, SyS. 132 Scienze Intitola r autore la sua inemoria ad un illu- stre medico in Vienna: premette poi un proemio che può dirsi un sunto dell'opera, e (juivi narra di aver trascurato perfino i suoi chimici fornelli per attendere all'argomento di cui si tratta (1). Capitolo I. Quali sieiio gli animali che vengo- no affetti dalla rabbia spontanea o primitiva. Ognuno vede apertamente che fissasi dall'au- tore la spontaneità dì questo male, che in più luo- ghi dell'opera rimane evidentemente provata nel genere canis ( cane, lupo, e volpe ): onde vien per esso confermato quanto non pochi classici autori stabilirono col Vanswieten. Certitm est numerosis- siniis observationibus^ canes absque ulla infectione alterius animalis rabiosos fieri, adeoque in illorum corpore illud venenum produci, non autem aliunde venire. Rigetta perciò colla sana critica e colla quo- tidiana esperienza la rabhia spontanea degli erbi- vori e dell'uomo, e conferma del pari l'innocuità, rispetto aklo svolgimento rabbioso (1) , delle loro carni. Dice peraltro sulla testimonianza del Ma- (i) L'egregio signor Toffoli intitola cosi il suo lavoro:,, Me- moria sulla rabbia canina divisa in io capitoli , nel terzo dei qunli si dimostra colla scorta dei fatti, quali sieno le cause dello sviluppo della rabbia primitiva o spontanea negli animali del genere canino; e nei quarto si presenta un piano facile e sicuro per impedire lo svolgimento di questo terribile veleno. Voi. uni- co in 8, dipag. XXIV e "218. Bassano, tipografia Baseggio iSSg. (2) Nel riferire numerosi esempi di quest'innocuità, da me stesso più volte osservata, riporta però al cap. 8 per autorità altrui lo sviluppo di rabbia in persone, che mangiarono carne di lupo arrabbiato : il che, se sia vero, mostra che spontanea fu in quest' animale la rabbia , le cui carni essendo spruzzate di ato- mi della sua saliva, mercè della masticazione edeglutizioue delle medesime potè avvenire il rabbioso ianesto. Ragionamento di A. Cappello 133 gendie, cbe riproducasi la rabbia insino al 3.° gra- do. Laonde, prima di proseguire sopra la memoria dell'autore, m'incombe dilungarmi assai su que- sto importantissimo articolo. Imperciocché le mie osservazioni, continuate per sei lustri, non mai un sol dubbio caso di canina rabbia al di là del se- condo grado riprodotta mi offersero; ed avendo uno straniero avanzati alcuni fatti contrari, furono chia- ramente da me dimostrati assurdi : ma veggendo dipoi che un solo caso registrossi in qualche me- dico giornale, e unitamente ai primi furono ripor- tati nel dizionario classico di medicina che si ri- stampa ora in Venezia, vuoisene tenere fermo pro- posito. All'articolo rabbia ( lom. 37 pag. 160 ) dicesi importantissimo il mìo lavoro pubblicato nel 1823, e si aggiugne: Semprechè, come il Cappello mode- stamente desidera^ venga confermato da ulterio- ri spregiudicate osservazioni. Dassene quindi un estratto , ne omettonsi le ragioni per !e cuali da me mostrossi la fallacia del caso rifariio dal cele- bre 3Iagendie, mentre non solo ia gio/nalisra espe- rienza, ma ripetuti sperimenti in Italia e nello stes- so Hotel Dieu di Parigi molte voke praticati, af- fermarono detta fallacia apertamente (1). Ma pre- cedentemente alla pag. 117 dello stesso tomo di quel dizionario riportansi i pretesi casi di rabbia del professor Berndt^ riferiti dal celebre Hufeland nel 1827, e riprodotti in vari giornali italiani. Egli- (i) L'opinamenlo del Ma^endie era, che la rabbia dell' uo- mo possa coll'ianesto ripassare al cane non più di là del 3 gra- do dairorisfine sua. 134 Sciente no, per chiunque non abbia le traveggole agli oc- chi, veggonsi a tult'altro morbo appartenere, fuo- richè alla rabbia. Furon da me tosto diliffentemen- te riportati nell' arcadico di marzo di detto anno (1837), e dipoi negli opuscoli scelti (1830), e con- frontati colla malattia in quistione , provossi che neppure ad un solo sintoma della rabbia ravvici- navansi (1). Fui quindi sorpreso che un nostro il- lustre italiano fondasse sopra i medesimi serio ra- gionamento, ed in opposizione cogli stessi suoi di- visamenti ; mentre dianzi (1828) 1' Hufeland pre- cisamente all' anno vegnente , in cui eransi quei casi da esso pubblicati nello stesso giornale , nel riferire V interessante lavoro del Hertwig, che fu inserito ancora nel suddetto dizionario (2\ tacqueli totalmente. Che anzi l'Herlwig per obbiettare con- tro di me la non riproduzione della rabbia comu- nicata, invece di citare que'casi del suo concitta- dino Tanno avanti nello stesso giornale pubblicati, o di ripetere gli esperimenti cbe aveva tutto l'agio d'istituire, mise dinanzi il suddetto caso del Ma~ gendie^ ed un isolato caso del Girard. Io ho buon diritto di discreder questo dappresso le mie indagi- ni praticate a Parigi nel 1832, e riferite nel mio (i) È ben curioso di caratterizznre per rabliia un morbo che per più mesi di seguito domina e comunicasi senza morsicatura in Diandre di didatti/i; i quali né cozzano colle corna, né fuggono dal domicilio; mangiano invece , ijevono e tuffano il muso sino agli estremi nell'acqua Ciò che è più notevole si è, che non ma- nifestano mai incitamento al mordere; il male inoltre arrestasi fra la loro specie senza comunicarsi ad altre, poiché i detti ani— )nali stavansi in piena libertà, passavansi anzi senza alcuna cau- tela da uno all'aiiro pascolare. (2) Tom id. pag. 118, •i4- Ragionamento di A. Cappello 135 viaggio medico a Charenton (1). Ciò nulla ostante se quest'unico caso di provata rabbiosa riproduzio- ne al secondo grado posteriore, potesse invece es- ser accaduto per ispontaneo idrofobico svolgimen- to nell'inoculato cane, stante la circostanza gravis- sima di morbo or dominante (2), siccome avviene che pili in una che in un'altra epoca per esteriori ausiliari cagioni svolgonsi le relative malattie, raf- fermarebbesi piìi sempre quanto fu per me chia- ramente provato. Che seppure ammetter si volesse quest'eccezione, essa cade del tutto a fronte di mol- tiplicati fatti positivi e negativi nei diversi miei lavori colla maggiore evidenza dimostrati. Mi di- lungherei di troppo se volessi ancor ripetere il di- scorso di alcuni , ai quali forse neppur un solo caso di rabbia fu dato di osservare, e tuttavìa con tuono magistrale mettono in comun fascio la rab- bia essenziale , sintomatica e morale. Vuoisi però entrar ben addentro in ciò che dissero non autori di teorie a tavolino, ma osservatori vigilanti della malattia. E prima di ogni altro dimandare' in gra- zia al direttore dello stabilimento di veterir>aria di Berlino ( il lodato Hertwig ), perchè nel!' oppor- misi, siasi riportato, come si disse, al caso del Ma- gendie e del Girard, e non ai propri esperimenti: mentre poteva ben cogliere 1' opportunità di ese- guirli, avendo egli non poche inoculazioni di rab- bioso virus praticate. (i) Giorn. arcad. tom. 69, pag. 23, i^. (2) Se ciò è rarissimo ad accadere, come dalla storia ampia- mente scorgesi, debbesi tuttavia tenere in vista da chiunque con vero studio attender voglia a questo importante argomento. 136 Scienze Uno del migliori e più antichi stabilimenti veterinari d'Italia è certo quel di Milano. Ora un distinto allievo del medesimo nel compilare il di- zionario veterinario, all' articolo Rabbia, riporta, senza citarmi, le identiche mie parole sopra l'argo- mento in discorso tolte dalla mia prima memo- ria (1), e che ognuno potrà confrontare: ,, La rab- „ bia secondo le moderne e replicate esperienze, „ esso dice , dopo il suo primo passaggio in un „ altro animale, non escluse le specie del genere „ CaniSi pili non conserva la sua forza venefica , „ ma rimane del tutto distrutta; non è riprodu- „ cibile quindi come riproduconsi le malattie con- „ tagiose „ (2). Un linguaggio cosi positivo non solo debb'essere basato sopra attentissime osserva- zioni di anni cinque, dalla pubblicazione cioè del mio lavoro, ma eziandio sopra accurate ricerche ivi praticate, se mai un solo fatto contrario si fosse in quella scuola anteriormente osservato. Per tacere di altri, leggasi attentamente la pre- sente memoria del Toffoli, che avendola scritta fin dal 1836, e solamente ora pubblicala con ulterio- ri aggiunte e colla data dell' anno corrente , si è formalmente ritrattato non solo sul dubbio della contagiosità della rabbia, ma eziandio della ripro- duzione al terzo grado, che da esso era stato prin- cipalmente basato sul riferito caso del Magendie, e su quello di una dama morsicata da cagnolino (i) Memoria sull'idrofobia citata i823 pag. aS, e giora. arca- dico torn. XXX, pag. 291. (2) Haidvoglj Dizionario di veterinaria voi. 2, pag. 117. Mi- lano 1828 pei tipi di Giovanni Silvestri. Ragionamento di A. Cappello 137 cK'el sospetta, senza pro\>a alcuna^ fosse stato ad- dentato da cane rabbioso (1). Perciocché se l'au- tore, conosciuto che ebbe il mio lavoro nel 1834, come esso scrive, portò tuttavia la comune opinio- ne della contagiosa riproduzione della rabbia ca- nina, e vi perseverò malgrado del caso chiaramente da esso avveralo, del quale parla nella lettera del 1835 all'Emiliani diretta, vedendo poscia costan- temente casi novelli a mio favore, chiuse il libro di cui ragionasi colle seguenti parole: „ Furono ad- dentati negli scorsi mesi molti individui da cani affetti di rabbia comunicata; alcuni di questi a nudo, e non si sottoposero ad alcuna cura topica , razionale: altri medicati empiricamente, e in nes- , suno finora si è sviluppata la rabbia, malgrado , sieno scorsi 3, 4, 5 mesi. Ripetiamolo pure col , prof. Cappello di Roma: Guai e guai indicibili , se la rabbia andasse coll'ordine de'contagi! Quanti , nuovi fatti io raccolsi e vado raccogliendo a fa- , vore dei pensamenti dell'illustre e filantropo pro- , fessore romano ! (2) „ (i) Il sospetto del Toffoli derivò forse dall'essersi egli talora espresso, che nelle sole campagne svolgasi la spontanea rabbia canina. Inoltre ecco quanto scriveva nel corso oltre la metà del- le sue osservazioni (i836). ,, Neppure una parola io avanzo su „ questo importante argomento, malgrado clie io abbia già rac- ,, colti alcuni fatti della più alta importanza. Vado ora racco- „ gliendo de'nuovi, e in altro tempo esporrò la mia opinione , ,, semprecliè sia questa scortata da^fatti positivi. Dirò solo che ,, la rabbia, dai tanti fatti osservali colla massima solerzia, noa „ segue l'andamento de'contagi. Toffoli mem. cit. pag. 62 alla ,, nota 18, e pag. 77 aggiugne. Il primo a distinguere la rabbia. ,, dai contagi fu il dotto ricercatore il sig. prof. A. Cappello. „ (2) Credo inutile di ripetere ciò che più volle ho scritto iu- toruo ai distiuti e assai differeuti caratteri fra i morbi ìndub- 138 Scienze Tornando in sentiero coli' autore, pensa egli che il gatto non vada soggetto alla rabbia sponta- blamente contagiosi e la rabbia, e che lo stesso Toffola ha ri- prodotto alla pag. 77-79 della sua memoria. Che se io pur volli considerare la rabbia canina qual anello medio fra la catena dei contagi e dei veleni, dopo maluratissimo esame dovetti collocar- la nella classe dei secondi. Né la opposizione fattami, da me nel- l'arcadico riportata tom. 68, pjfg- i52, i53, che nell'essere stata l'idrofobia collociita piuttosto fra i veleni, che fra i contagi, rin- veniva contrarietà non solo per l'identità del riprodotto morbo, ma ancora per la necessità del contatto, anzi del morso di uà idrofobo o dell'innesto della sua saliva. D'altronde, mi si oppo- neva, nessun sinistro nell'animale osserverebbesi per introdotte sostanze di gente ammorbata di un veleno nel suo proprio ter- mine. Questo fatto, generalmente vero, soffre alcuna eccezione per gli stessi veleni inorganici. Imperocché gli avvelenati per arsenico divengono causa d'identico avvelenamento in un ani- male che si nutrisse della loro spinai midolla ( Virey , Journal de cUnique de 1' Hotel dieu etc. Paris iuillet i83t). Vuoisi inol- tre ripetere, che se in un carnivoro per istraordinarie cause spon- taneo sviluppossi il veleno idrofobico, mancavano esse in chi ri- cevette il morso e l'innesto della rabbiosa saliva. Se il fatto dal Virey narrato ci somministra uno dei più distruttori inorganici velenj (l'arsenico), quanta diversità di azioni nell'organismo nou ci porgono i veleni organici propriamente detti? Imperciocché taluni ravvicinansi pe'loro fenomeni agli stessi contaci animali. La delitesenza, e talora la nessuna azione, non mostrasi, a modo d'esempio, nel jR/jM5 rrt^/ca/i,s? Io ben (1817) rammento che la sua ripetuta applicazione nell'estremità inferiore destra di una signo- ra di Tivoli (Anna Bulgarini , affetta di paralisi secondaria, non produsse alcun risultalo, né eruzione di sorta. Per contrario fui spettatore dolentissimo negli ultimi due anni della vita dell'illu- stre amico Ernesto Mauri, che curato da peritissimo professore, desiderava eziandio la giornaliera mia visita medica. Imperocché dopo l'applicazione del Rkus radicans suggeritagli da altri pro- fessori per incompiuta paralisi negli arti inferiori , e in seguito di spinite, comparve buon numero di pustole in dette estremità che non mal più dileguaronsi, e di tempo in tempo riaffaccia- vansi con esulceramento, e talmente abbondevoli che cagmna- vangli violente febbri , onde ne rimase in fine la vita estinta : Ragionamento di A. Cappello 139 nea, e ne adduce non dispregevoli ragioni. Opino io diversamente , e concedo che rarissima sia la spontanea rabbia nei gatti per la ragione appunto che non osservansi ostacoli nel loro accoppiamento, come nella specie canina. Ma riflettendo che anche carnivoro si è il genere felis, e che possa pur ac- cadere, siccome rarissimamente avviene, di essere accidentalmente o dispettosamente frastornato il gat- to domestico ne'suoi amori, quindi a me pare che abbia presso a poco per le istesse cause ad andar soggetto alia rabbia spontanea. Fa duopo però pon- derare, che talvolta la morsicatura d infuriato gatto per alcune nervose lacerazioni, e talora per inde- bita medicatura, sia cagione di tetaniche convulsio- perlochè un suo dottissimo amico ( Tenore ) nel rendergli fer- ventissimo doloroso triliuto noli' Omnibus napolitano del dì 4 giugno i83(3 esclamò: ,, Fatalrssima applicazione del Rhus ra— ,, dicansi, perla quale la più illustre vittima fu immolala all'uso „ sconsigliato di quel potentissimo veleno! ,, Ora la nullità di questo veleno osservata nella signora Bulgarini, io la credo non tanto derivata dalla paralisi maggiore di quella del delicatissimo temperamento del Mauri, quanto dalla non suscettività della fi- bra della paziente a risentire l'azione di quel veleno potente. Ma pel grave argomento di cui si tratta, io fermamente mi con- fermo nella mia opinione, in che converrà ogni uomo di buon senso, che un contagio non solo sia tale perchè similmente ri- producasi, ma soprattutto perchè dappresso favorevoli condi- zioni individuali si propaghi ancora all'infinito dall'uno all'altro individuo, e dall'una all'altra opposta regione per mediato ad immedialo conlatto o per innesto. Il che non verificandosi nella rabbia, per la probabilissima ipotesi da me ragionata e discussa, e dal Tolfoii or comprovala di spontanea insorgenza derivante da tutto altro fuorichè da contagioso seme, debbe rimanersi nella classe del veleni, fintantoché non con parole, come segui- tasi a scrivere , ma con replicate esperienze dirette non dimo- strerassi il contrario. 1A0 S e f E N Z K ni mortali , che il volgo medico caratterizza per idrofobia. A me per verità non fu mai dato di os- servare la rabbia spontanea di quest'animale. Bensì erano circa due anni (1828) che in Roma manca- vano casi del male in discorso, quando fu adden- tato da un gatto in via di Ripetta un carabiniere che fu vittima del rabido morso. 11 che accennai in una nota de'miei opuscoli scelti pag. 85 (1). Tralascio parlare del secondo capitolo , nel quale il ToflFoli riporta le diverse ipotesi degli au- tori intorno allo sviluppo della spontanea rabbia canina , dovendosi delle vere influenti cagioni di essa ragionare a lungo nel terzo capitolo. Siccome in questo e nel seguente capitolo quarto racchiu- desi il massimo pregio colla maggiore utilità, così mi propongo ragionarne largamente per ultimo : onde vuoisi la mia disamina proseguir ora col ca- pitolo V, che aggirasi sopra ^V indizi primi della rabbia del cane, e sui sintomi caratteristici della medesima. Ragiona l'autore delle sagge e molte avverten- ze intorno alla quistione: ed essendo comunemente note, io ricorderò brevemente, che sebbene taluni segni possano esser comuni con altre malattie, tut- tavia debbono aversi per sospetti, convenendo iso- lare con sicurezza l'animale per due o tre giorni. Avvertesi ancora, che nelT acquisto dei cani fore- (i) Sebbene in quest' epoca io guardassi quasi sempre il letto (giorn. arcad. toni. L, pag. i5-i8 e 3o , e opuscoli scelti pag. 47j 4^ nota), pure per cortesia di un illustre mio amico of- ficiale superiore nei corpo de'carabinieri, ed immaturamente non ha guari defunto, fui assicurato che, per le indagini le più accu- rate da esso prese, spontanea fu la rabbia nel gatto. Ragionamento di A. Cappello tUi stieri vanno usate per qualche tempo cautele per mettersi al sicuro; mentre all'autore stesso avvenne, die acquistato avendo nel 1830 quattro cani da un suo culto amico, tuttavoita dopo un mese narrogli che erano stati essi addentati da cane rabhioso. Nessun sinistro per altro accadde per la probabile provenienza di rabbia comunicata (1). Fra gì' indizi precursori del morbo sovente l'autore rammenta con alcun funesto caso, nel ca- pitolo settimo riportato, il gran leccamento dè'ca- ni: e fra i sintomi caratteristici del medesimo as- segna l'alteramento della voce; dimodoché l'JIertwig ebbe campo di riconoscere più fiate la rabbia dal so- lo rauco e speciale abbaiamento del cane. Deve del pari considerarsi che non di raro osservasi, che lam- bisce il cane Tacqua, e talora la ingolla, e mangia eziandio alcun poco: ma tosto o tardi manifestasi più o meno, a seconda delle razze, l'incitamento al mordere. Untar porta opinione che in 12 cani rab- biosi ve ne sia anche uno, il quale non morde. In questo caso però tutti gli altri animali rimarreb- bero immuni dal rabido innesto. Riportansi ancora esempi di cani apparentemente in salute, che mor- sicando, comunicarono la rabbia, in essi più tardi sviluppata. Glii conosce gli elementari principi! di patologia non rimane sorpreso, se in questa or- ribile e mortale malattia apparir possano da prin- cipio forieri mitissimi nel cane e inosservati dall' uomo, cui nulla ostante ponno colla morsicatura e col leccamento dell'animale diventar funesti. Quante volte vidcsi il cane con sintomi decisivi di rabbia (i) Toffoll pag. 120 nota 5. 142 Scienze fuggire dal domicilio, e ritornarvi poi negl'lnter- valli di calma, e sano in apparenza, e morire indi arrìiLbiato? Quindi sarà sempre prudentissima cosa di procedere con possibile cautela, anche nel sem- plice sospetto di rabbia, siccome sopra si disse. Capitolo VI. anatomia patologica del cane rabbioso e proprietà della sua saliva. Non mal isi appone l'autore se, per lo scopo gravissimo cui tende, riescano inutili le operazioni di patologica anatomia: ma non lascia però di ri- portare lo recenti del prof. Dupuy. Ìj/Iertwig, che a me sembra il pili esercitato in materia di rab- bia, a questo proposito egregiamente scrive: „ Co- „ me i sintomi veggonsì varianti nella malattia , „ COSI le alterazioni patologiche dopo la morte di- „ versi tìcano per varietà , estensione ed intensi- „ ta ,, (1). La qual cosa, come io stesso pili volte osservai, aveva gik ad evidenza dimostrata il sommo Morgagni (2). L'Hertwig osserva ancora, che il vi- rus è inerte ( come il veleno della vipera ) am- ministrato per bocca: il che se sarà felicemente riuscito, perchè il veleno fu subito ingoiato, pure potrebbe a mio giudizio innestarsi il medesimo nel- la deglutizione o per forte confricamento , o per accidentale escoriamento della mucosa faringo-eso- fagea. Moltopiìi che lo stesso Hertwig conferma il detto virus serbare la qualità venefica 24 ore ezian- dio dopo la morte del cane rabbioso. A sentenza di gravi autori, il Tofifoli dice che debbansi conservare in vita gli animali addentati (i) Dizionario cit. ib. pag. iig. (a) Opuscoli scelti cit. pag. iS-iy. Ragionamento di A. Cappello 143 da cane rabbioso per mettere al sicuro le timorose persone che lo fossero state egualmente: potendo fortunatamente stare che, invece che da sicura rab- bia, da mordacità solamente provenissero i morsi del cane addentatore. Io sono di contrario avviso. Pri- mieramente tal rara volta fu osservato, che nell'uo- mo, benché morsicato da carnivore bestie sponta- neamente arrabbiate, non innestossi il rabido ve- leno: l'opposto essendo accaduto nei domestici ani- mali dalle medesime addentati, svolgendosi conse- guentemente in essi la rabbia, potrebbe l'uomo pel morale esaltamento soggiacere a forte nes^rosi ezian- dio mortale. In secondo luogo può avvenire che non tutte le morsicate bestie possano custodirsi: e sviluppandoglisi poscia la rabbia, in questa benché di sua natura si separi innocua la saliva, perchè di secondaria provenienza, l'uomo addentato da ta- luna delle medesime potrebbe nulla ostante andar incontro alle stesse morali alterazioni. Io debbo pe- rò ingenuamente confessare di aver procurato sem- pre l'opposto; vale a dire che varie volte mi sono, o per pressanti consigli, o per istruttiva curiosità, incontrato in circostanze simili, ed ho desiderato sempre che non solo si ammazzassero, ma anche liberi si lasciassero gli animali, inclusive i cani, af- fine d'infondere negli animi la sicurezza che svol- gendosi in detti animali secondariamente la rab- bia , immuni , rispetto ad essa , risulterebbero i loro morsi, siccome sempre avvenne. Perlochè le mie predizioni verificaronsì costantemente: ne po- che furono le famiglie che riacquistaron per esse la perduta tranquillità. Piìi volte ancora ho pro- vato il dolce conforto di udire in luoghi pubblici, senza esser conosciuto, cacciatori di professione di- 144 Scienze scorrere di cani arrabbiati , da' quali era stato ta- lun di loro ed altra persona morsicato, ma viversi affatto tranquilli, perchè per comunicazione erasi in que'cani sviluppata la malattia , rammentando eglino anche passati esempi , ed in diversi tempi accaduti. Laonde in simili casi in questa dominan- te, e laddove ancora tennesi diligentemente appres- so a quanto fu per me pubblicato, invalse general- mente la massima salutare. Ciò nulla ostante debbe da ultimo considerarsi, che sebbene a me non siasi mai dato di osservare, ne di verificare malgrado di praticate indagini, rabbia di sorta alcuna, pure in attualità di rabbioso morbo dominante (1), anche nel cane morsicato, siccome superiormente si disse nel cane inoculato, potrebbe svolgersi spontanea la rabbia, e mortai veneficio all'uomo ancora ap- portare il suo morso : perciò, come mi sono so- pra espresso, penso che per rette viste di medica polizia debbansi sempre gli addentati animali uc- cidere. Capitolo VII. Awertbnenti importantissimi ai cinofili^ e a tutti quelli che tengono cani. Diremo poco sopra questo capitolo, in cui si danno salutevoli ricordi, parte de'quali raccoman- (i) Questo concetto è in senso relativo, giacché anche nella stagione favorevole allo sviluppo di questo morbo, non mai co- tanto nuraerevoli sono le sue vittime; e ciò avviene perchè vi è bisogno del rabido innesto per morso di cane o gatto spontanea- mente arrabbiato: ora la maggiorità delle morsicature osservasi fortunatamente proveniente da cani secondariamente arrabbiati. In 3o anni e più di accurate osservazioni, l'anno, e specialmente la stagione, più favorevole alla rabbia in Roma, fu la primavera del 1826; cinque furou le persone vittime dello spaventevole morbo. Opuscoli scelti scientifici pag. 76, 77. Ragionamento di A. Cappello 1 'i5 Jatl nel precedente. Narra raiitore alcuni lagrime- voli fatti presi tla libri, o tla altrui racconti, pel troppo scherzare co' cani , soprattutto pel loro leccamento. Se nonché l'ansietà d'istruire, e l'idea forse, generalmente vera, di risguardare la sponta- nea rabbia nel cani di campagna di razza bastarda, lo ha, a mio giudizio, condotto a riferire sull'altrui fede, e talvolta per detto di detto, qualche Inveri- simile istoriella, siccome, a modo d'esempio, mi par quella di rabbia' ingenerata nell'utero. Sembrami ancora di scorgere In alcuna di quelle narrazioni una morale idrofobia, e tal altra volta giudicarsi (sen- za aver visto il malato) rabbia dall' autore, quando per lo avviso degli stessi medici carafterizzossl per tetano. Credo superfluo di ripetere, che autori gra- vissimi riportarono non pochi casi di sitfalti scon- certi, che nel capitolo seguente frequentemente cl- tansl dallo stesso TofFoli. In un'occhiata che diasi al- le opere di Frank, e al citato dizionario classico, In ispeeie all'articolo Idrofobia^ avverasi assai pili di quello che da me era stato osservato e scritto. Vuoi- si per altro seriamente riflettere, che ogni qualvolta r autore ebbe largo campo di esaminare e vedere co'propri occhi, consentanei alla vera esperienza sono 1 risullamenti. Capitolo Vili. Proseguono salutari avvertimen- ti ad Ogni classe di persone ec. JNel desiderio sempre d'istruire e giovare, tor- na l'autore a dire che la rabbia primitiva trae or- dinariamente origine dalle campagne (1): estima perciò che disseminate sieno le utili istruzioni per (1) Pag. i46. G.A.T.LKXX. 10 146 Scienze impedire le continue sciagure che la società soffre per colpa di clii mal custodisce i cani. A tal uopo riporta le parole a lui dirette da un illustre italiano professore (1): „ Bravo iDravo, così va fatto: parlare, „ dialogare, scrivere, ed urlare se occorre, tantoché „ si piantino e radichino le buone massime salva- „ trici, e battere ogni strada, tranne le disoneste, „ purché ii ottenga vantaggio per l'umanità „. L'autore quindi con iscandalo fa le più alte maraviglie, perchè negli ultimi di di maggio 1837 verificò da se stesso che un cane spontaneamente arrabbiato in un vicino villaggio, oltre vari cani, alcuni de'quali uccisi, altri indi arrabbiati , adden- tò anche un bue, ed essendo soggiaciuto questo ai- la rabbia, furono le carni ne'convicini villaggi ai- pubblico spacciate : di che venuti in cognizione gli abitanti che le avevan comprate e mangiate , ne furono angustiati e spaventati (2). Volgesi perciò ai parrochi, sacerdoti, medici, deputati comunali, farmacisti, veterinari ec. perchè impediscansi sif- fatti vituperi. Appendice. Capitolo IX. Della cura preserva- tiva nei morsicati da animali rabbiosi^ e av\>ertl- menti al popolo. Erasi l'autore proposto di non trattare nella sua memoria di quest'argomento: pensò poi meglio occuparsene, e io fa con molta esattezza. Rammen- ta la istruzione popolare da me e da altri calda- mente raccomandata, rifiutando sempre colla espe- rienza l'inutilità ed il nocumento talora di tanti (1) Png. ,48. [1) l'a^'. iJu. Ragionamento di A. Cappello 1 57 predicati medicamenti, che io credo superfluo rife- rire, mentre ehi legge può consultare la di lui me- moria per vedere cotesta spiacevole verità poggiata sempre sopra irrefragabili prove. Mira la popo- lare istruzione a persu idere e mostrare co'fatti, che il solo ferro ro\>ente profondamente e largamente applicato nelle ferite il piic presto possibile possa mettere in salvo l'individuo morsicato da animale (spontaneamente) arrabbiato. Alcun autore racco- manda all'uopo più ferri arroventati al bianco, cioè uno acutissimo, uno largo, uno ovale, alfine di po- ter bruciare quanto deve andar distrutto (1). Narra la sag-ace previdenza che debbo aversi per tenere in calma le persone morsicate, e riferisce diversi esempi di rabbia morale evidentemente chiariti. Ri- porta vari periodi di un mio articolo diretto a Palermo e pubblicato nell'arcadico (tom. 68, 183G), ove mostrossi l'illasione del Buissun sulla decan- tata sicurezza di guarigione per rabbia col bagno a vapore, rinvenuta anche dopo il mio articolo inef- ficace coH'esperienza, e del tutto ora obliata, come era stata per la stessa inefficacia dagli antichi. Notasi ancora una mia risposta all'autore diretta per un caso di rabbia, creduta guarita, e riportato nella biblioteca universale di Ginevra, e negli an- nali universali dcH'Oinodei (2). Io ripeto che Jjasta attentamente leggere quell'istoria per vedervi chia- ramente l'andamento di rabbia morale. Di vero una giovinetta di anni 20, che graffata nel viso da uo- mo idrofobo per morso di cane rabbioso, soggiace (i) Toffoli pag. i^r. {'1) Voi. 87, pag. 648 148 Scienze all'idrofoLìa circa tre settimane dopo, dalla quale a gradi a gradi guarisce, ma che per molto tempo ogni qualvolta la minima circostanza si rammemora- va di quello sgraziato idrofobo, andava soggetta a leg- giere convulsioni epilettiche^ conferma il mio giu- dizio di rabbia morale. Ne quasi mai, come narra il TofFoIi aver io scritto (1), ma nessuno, non solo per la mia propria, ma anche per l'esperienza di gravissimi autori, guari di vera sviluppata rabbia per morso di cani e loro specie, e di gatto (spon- taneamente ) arrabbiati; mentre le vantate guari- gioni di alcuni scrittori riferisconsi a idrofobia sin- tomatica e morale, e le preservative cure sono per lo più illusorie, e avvengono frequentemente quan- do i morsi degli animali arrabbiati furono per rab- bia loro comunicati. Il TofFoli conferma colla pro- pria e coir esperienza di altri suoi conoscenti la illusione delle pretese pustole del Marrocchetti. Conchitulesi perciò con tutta ragiono, che l'unico preservativo rimedio è l'ustione col suddetto fer- ro rovente sollecitamente alla ferita applicato, po- tendo talvolta sostituirsi l'amputazione; mentre per diversi terribili esempi riuscì nulla l'ustione del caustico potenziale. Capitolo X. Appendice seconda. Quali sieno i primi sintomi nell'uomo indicanti il vicino svilup- po della rabbia. Non mi tratterrò a ridire i segni caratteristici dell'umana idrofobia; infra i quali l'avversione all' accpia etc. più costantemente che nel cane osservasi nell'uomo, d'onde venne l'etimologia generalmente (I) Pa PvAGIOn\ MENTO DI A. GapPELT.O 1/(9 aflollala della malattia. L'autore, colla hrarna snmpre di giovare al suo simile, non lasi;ia
  • i;imo „ avuti molti cani giovani, e divenuti vecchi, sen- „ za mai aver avuto commercio con cagne, sempre „ chiusi, tranne i giorni di caccia, e godettero sem- „ pre perfetti salute. E tutti i vecchi bracchieri „ conoscono questa verità (1). Nessun cane ci venne „ rabbioso, sebbene restò nelle tane delle volpi sen- ,, za mangiare, ne bere ,,. Parla indi ( pag. 41 ) del niun caso per esso e per altri diligenti indagatori osservato di rabbia spontanea delle cagne e dei cani castrati: e riguar- do alle prime riporta il mio divisamento, che ta- luna rarissima volta potrebbe avvenire la sponta- nea rabbia nelle femmine per le circostanze me- desime per le quali essa svolgesi nei cani maschi (2). Rarissimi, dice del pari, sono 1 casi di rabbia spon- tanea nelle citta, e dalle esatte di lui osservazioni provasi esser sempre di rabbia comunicata prove- niente da cani rabl)iosi delle campagne, e raccon- ta che in f'^enezia non osservasi l'orribile malattia, perchè ivi i cani non hanno libere comunicazioni con quelli delle campagne. Rari inoltre vi sono i cani di razza bastarda, piìi soggetta di ogni altra (i) Bracchiere è quel cacciatore che dirige nella caccia i cani, o hraccheria , e con questo nome intcìidesi runione di molti cani compagni. Annotazione dell'autore pag. ^6. (2) Annotazione pag. 87. Né io veggo ragionevolezza il de- negar-si da taluni la raris.sima rabbia spontanea nelle cagne , qu:mdo queste, per natura libidinosissime nel maggior loro ri- scaldo, private fossero delTaccoppiamento col maschio; ed altre accidentalità si des.sero che potessero più fortemente accenderle, e pel deluso amore eccitarsi simultaneamcale il massimo anima- le pertuiba mento con livore e forte melanconia. 152 Scienze alla spontanea rabbia. Stabilisce quinfli questa che io dirò generica verità^ perchè l'autore stesso non tliscrede ( pa^. 146 ) che la rabbia spontanea svi- luppisi talvolta anche nelle citta; siccome avviene, ma assai di rado: Tutti i cani rabbiosi proi>engono certamente dalle campagne., massimamente quelli affetti da rabbia primitiva .... // cane amico e compagno di una cagna, quando questa comincia a riscaldarsi, diviene piucchè mai fiero e nimico di tutti i cani forestieri. Dopo averlo l'autore com- provato con ripetute esperienze, sempre colle me- desime basi prosegue a dire: „ Molte volte ho ve- ,, duto cani della stessa compagnia ed amici, in at- 5, tualitìi di caccia, ritrovare una cagna riscaldata „ forestiera, e lasciarci, inseguendo questa bestia, ,5 e tra questi impegnarsi una guerra da mettersi ,, a morte. Varie volte ho veduto, per gelosia di ,, una cagna in estro, alcuni cani compagni dive- ,, nire fieri nemici per sempre, ed essere obbligati „ i cacciatori a separarli per non vedere le con- „ tinue risse canine ,,. Torna con molti esempi a convalidare i particolari amori e predilezioni di questi animali. Stabilisce quindi un'altra verità. Al- cune cagne non accordano a tutti i maschi le loro grazie (1). Con forza poscia fassi a replicare: Nelle vere braccherie in cui i cani e le cagne, fuori della caccia, sono costantemente chiusi in un cortile, non avvi un solo caso di rabbia spontanea canina. Ba- sta l'avvertenza, come dissi, del bracchiere di se- parare le cagne appena danno i primi segni di pas- sare in estro. Dice però che separata una cagna in (I) Pag. 45. Ragionamfnto di a. Cappello 153 calflo, se vi fosse alcun prerliletfo compagno, que- sto (lividi lunatico e melanconico pei* l'assenza dell' amica, mentre gli altri cani delia braccheria, che non ebbero amori per le cagne, sono di buon umo- re. Passa poi l'autore a dimostrare il danno grci- K'iss'uno per la perfetta libertà delle cagne dei vil- lici e pitocchi. ,, Vagando cpieste ovunque, sono in- „ seguite dai cani , e i cani delle campagne, che „ sono in piena liberta, sono tutti inclinatissimi all' ,, amore, perchè conoscono le femmine in questo „ stato. Tutti i cani liberi di qualsisia razza al- „ lorquando conoscono che v'è una cagna in estro, „ sebbene sieno attaccati ai loro padroni, e quan- ,, tunque famosi nella caccia , partono dalle loro ,, case, e per tutto il tempo del riscaldo della ca- ,, gna di rado ritornano alla loro abitazione ,,. Nar- ra colla durata dei loro amori le due epoche an- nuali del loro riscaldo, che ponno accadere in tutte le stagioni. Discorre nuovamente gli odi dei cani compagni: ,, Quindi, per 2'» giorni del riscaldo di „ una cagna , non possono accoppiarsi i maschi ,, che otto , e molti senza soddisfare la loro ar- „ dentissim;» libidine , o perchè la cagna ha le „ sue predilezioni , ed alcuni rifiuta , o perchè i „ pili forti lo impediscono, o per la diversità del» ,, le grandezze donde riesce a molti diflicile l'ac- „ coppianiento : e le fierissime guerre canine si „ mantengono per 24 giorni più o meno in que- ,, sti focosi, gelosi, e sommamente libidinosi ani- „ mali (1) ,,. Questo discorso viene dall' autore con molti fatti corroborato. Pe' quali, se dappr?- (I) Pag. 4;. 154 Scienze ma tacitamente defliiconsi le cause influenti alio sviluppo della ral)bia canina primitiva, stabiliscon- si poscia con modi assai chiariti: onde ne conse- gue, che la cagione essenziale della medesima stas- si nell'esaltato eccitamento venereo non soddisfatto. La qual cosa avendo l'autore a varie persone co- municata, hanno esse contribuito con attente no- tizie a convalidarla. Riportasi quindi una lunga e circostanziata lettera del maggio 1832 del sig. Gae- tano Bugada, colta persona ed esimio cacciatore, a- mantissimo de'cani, nella quale conferma con esem- pi la rabbia spontanea pe' delusi amori in alcuni suoi cani (1). Il seguente, per essere più brevemen- te narrato, vuoisi da me riferire colle parole del- l'autore. « Nel vicino vii Ligio di Campese venne in « caldo una cagna di razza bastarda, di un certo « Seraftn. Appena questa cagna diede i primi se- « gni di riscaldarsi, venne tosto amoreggiata da un « gran numero di cani di tutte le razze, essendo « Campese un paese tutto unito. Il cane di un cer- « to Tartn'^Ua^ amico vecchio e compagno fedele « di questa cagna per la .sua vicinanza, cane di raz- « za bastarda, d'indole mordente e focosa, portato a eminentemente all'amore, e sommamente geloso « della sua amica, non ha mai potuto appagare la « sua ardente libidine, e ciò unicamente perchè gli « altri cani rivali, e di lui piìi forti, glielo hanno « sempre impedito. Questo cane nulladimeno conti- « nuò per varii giorni a battersi fieramente coi ca- « ni rivali, e fu sempre soccombente e perditore, « e non ha mai potuto soddisfare il suo massimo e (1) Pag. 49-55. Ragionamento di A. Cappello 155 reiterato eccitamento venereo. Chi lo crederebbe? In una sola notte, che si allontanò dai suoi con- trastati amori, divenne rabbioso. Morsicò subito un gatto che era nella stessa casa del Tartaglia, amico e compagno suo: ma ciò che sorprese si è, che corse furioso subito a gettarsi sopra i cani rivali, morsicandoli tutti fieramente, e disaniman- doli, malgrado ve ne fossero tra questi di gran- di e feroci. Dopo morsicò dei porci ed un fan- ciullo: ed avrebbe cagionato tremende sventure, perchè era colpito dalla rabbia la piii furiosa, se immantinente nello stesso Campese non fosse stato ammazzato. Appena osservato qtiest'impor- tanle fatto, fu mia cura di fare subitamente mol- te e ripetute gite nei paesi circonvicini per isco- prire se poco avanti vi fossero stati cani rabbio- si. Parlavo coi deputati comunali, coi cursori , coi contadini, coi cacciatori etc; ed ebbi le più ferme assicurazioni ch'era qualche tempo che in quei paesi non vi erano cani rabbiosi. Il cane del Tartaglia adunque arrabbiò per certo spon- taneamente,- e in questo caso si combinano tutte le poderose cause operanti questo svilluppamen- to d) ». imperocché 1' autore per le esatte sue osservazioni statuisce non solo la base essenziale del massimo eccitamento venereo non soddisfatto, ma il concorso ancora delle concomitanti cagioni di gelosia e di vendetta per lo svolgimento del tremendo ma- lore (2). Perciò dopo avere riferiti altri esempi con- (i) Pag. 54, 55. {2) Non molto slontanasi la mia definizione , quando pro- nunciai, che oltre il massimo eccitamento veaereo non soddi- sfatto, richiedevasi il simultaneo sconcerto aelle funzioni cere- Brali per lo sviluppo della spontanea idrofobia rabbiosa. 156 Scienze simili ai citati, e da esso chiariti, narra le proprie esperienze fatte in isolate abitazioni di campagna insieme col signor M. A. Apollonio suo amico e vecchio cacciatore, dalle quali avvenne, che quando « univa ad una cagna nel mussi mo riscaldo un ca- « ne non amico di questa, e lo faceva vivamente ec- « citare, e sempre impedendogli di soddisfare la « sua ardente libidine, non vide mai svilupparsi- « gli la rahhia. Ma ottenne risultamentl ben dl- « versi e decisivi, quando univa molti cani , iin- « pedendo V accoppiamento a quello che più amaK>a « la cagna (1) », Risulta ancora dalle replicate os- servazioni dell'autore, che la rabbia primitiva ge- neralmente sviluppasi entro pochi giorni dopo le impellenti dimostrale cagioni; che anzi nella piìx parte de'cani svolgesi in attualità delle operanti cause : il che fu dato anche a me di osservare piìi volte (2). Torna a raffermare che alcune più delle altre razze soggiacciono alla rabbia primitiva: so- prattutto vi sono soggette le razze bastarde, le quali possono meno appagare la loro libidine, o pel ri- fiuto delle femmine, che generalmente preferiscono ì cani più grandi, o per essere dai cani piìi for- ti battute e contrastate nei loro amori ; e le raz- ze, che si trovano le piìi esposte, sono possedute (i) Pag. 58, Sg. Con uu linguaggio convenevole bensì, ma con maggior dettaglio a mio avviso, bramavasi il racconto intor- no coleste delicate interessantissime esperienze. Il che però ma- nifesterassi in una novella edizione che l'autore infine della sua memoria promette. (2) Chi rianderà le istorie per me pubblicate, vedrà clic ge- neralmente nel sommo inverno e nella primavera esse accaddero, essendo appunto le due epoche, che in Roma e ne' suoi dintor- ni vanno generalmente in caldo le cagne. Raoionawento di a. Cappello 157 dal villici , che lasciano in piena liherlh le ca- gne nei giorni del loro riscaldo (1). Difatti nel- lo stabilimento di veterinaria di Vienna^ di 46 ca- ni arrabbiali non ve ne era alcuno da macello o i da caccia: la piìi parte era di razza bastarda. Parla dipoi che nelle provincie mussulmane è rara la rab- bia, per la ragione ancora, die quasi tutti i cani i sono da caccia e da guardia, e «juasi nessun ve ne I ha della razza bastarda. Nel secondo capitolo della I sua memoria aveva l'autore specialmente mostrato con Irrefragabili testimonianze, che pel libero com- mercio eziandio non osservasi che rarissimamente la rabbia in quelle province. Fra le osservazioni I fatte in Oriente m'incombe qui riferirne alcune del- le molte riportale dall'autore, per la grata rimem- jbranza e riconoscenza che Roma serbar debbe ad uno sventurato e celebre scienziato, al TofFoli con- cittadino (2). Narra esso: « Il nostro illustre e sven- i « turalo naturalista nobile signore Gio. Ball. Broc- i; « chi, appena pose piede in Alessandria di Egitto, fece ricerca se sotto quel clima i cani fossero at- « laccati dalla rabbia. Il doti. Marpiirgo^ medico « goriziano di somma riputazione, e stabilito da 19 « anni in Alessandria, asserì al Brocchi che la rab- « Lia era sconosciuta in Egitto. Il dotto compa- « triotto naturalista, nelle sue escursioni scientiG- • che fatte nei susseguenti anni 1823, 1824, 1825 e ■ (i) Toffoli pag. 6o. (2) Io ebbi opportuna e doverosa occasione di ricordare più ! volte quest'insigne ed illustre personaggio. Discorso sopra un ' nuovo fenomeno geologico al gran sasso d' Italia di Agostino Cappello 1828 pag. lo, Il nota. Giorn. arcad. lem. Sg, pag. 99, j 100 nota. Opuscoli scelti scientifici pag, 3oi, 3o2. I « 158 S e I K N « E 1826 ne! deserto orientale dappresso Siene, fino a Suez nella Siria, nella Nuhia e nell'Abìssinia, non omise di fare le medesime ricerche. In al- cuni paesi ebbe una risposta negativa : in alcuni altri riscontrò che dei vecchi ave\>ano una debo- le ricordanza di avere inteso dai loro maggiori essersi dato il caso, che in qualche cane si sia manifestata una tale malattia. E veramente di sorpresa, osserva il Brocchi, come in climi sotto- posti agl'i nfuocati raggi del sole, dove in tanta copia abbonda la specie canina, la maggior parte della quale senza positivo padrone, che va erran- do qua e Ik mal nutrita, e in tante situazioni pe- nuriando di acqua, tormentata da fetidissimi in- setti, segnatamente dalle zecche (ricini), e sog- getta ad una malattia che si approssima alla pel- lagra, non sia anzi frequente lo sviluppo di que- sta rabbia cosi terribile e fatale (1). Tuttociò rac- colsi dal giornale del celeberrimo naturalista Brocchi, mercè la gentilezza del di lui fratello signor Domenico (2) ». (i) Se alcun raro caso di rabbia fu per remiaiscenza narrato al Brocchi, del pari raro fu osservato e ricercato da accorti viag- giatori , dimoranti in tempi diversi nelle mussulmane province (Bibl. ital. 1817, e Coper Diz. di chirurgia. P'irenze i83i). Ora se contagioso seme racchiudesse l'orrendo morbo, nessun paese favorirebbe meglio di queste province la sua riproduzioue. Per contrario rarissimi notandosi colà i casi di rabbia, quantunque in numerose famiglie sieno i cani raccolti e pacificamente convi- vano e poco vadan le cagne in riscaldo, come osservò il celebre Larrey , confermasi che chimerico è il contagio della rabbia, e che in quei paesi, per le razze pacifiche e per 1' altra circostan- za dal Larrey notata, non si riscontrino le cause, siccome in Eu- ropa, per lo sviluppo della malattia. [2) Pag. 24, 9.5. Ragionamento di A. Cappello 159 Dal complesso delle cose (lall'autore laboriosa- mente, pazientemente ed avvedutamente raccolte , sperimentate e narrate, e che torna distintamente a riepilogare, conchiude: Lainore, la gelosia, Vodio^ la vendetta delusa senz effetto pel massimo eccita- mento venereo non soddisfatto^ danno origine alla spontanea rabbia nel genere canis ('))• Basato questo punto, che ogni persona da sen- no vede della massima importanza , dopo alcune premesse l'autore ( che sovente proKlta , talora con critica, delle mie memorie sulla rabbia) riporta di seguito varii periodi del mio primo e secondo la- voro sulla medesima. Sembra a me quindi che, ec- cetto le lodi per sua gentile cortesia tribuitemi, me- ritino e le sue parole, e i miei pensamenti qui esse- re ripetute non meno per l'istorico andamento, che pel conseguimento che l'autore ne trae a conferma delle sue esperienze ed osservazioni. Dice egli (1): « Fino ai 20 ottobre 1834 cosi io scriveva. Ma ap- « punto in questi giorni l'egregio compatriotto, as- « sistente in quel tempo alla cattedra dell'illustre « sig. professore del Chiappa di Pavia, il sig. dot- ti tor Francesco Chemin reduce da Roma, ebbe la ■ gentilezza, non ignorando.il mio lavoro sulla rab- ■ bia , di portarmi due memorie del chiarissimo « sig. professore Agostino Cappello, lette in quel- « la illustre accademia dei lincei. Pubblicamente io « dichiaro, ed il sig. dottor Chemin potrebbe at- « testarlo, che io scrissi fino da quel tempo quasi « tutta la mia memoria sulle influenti cause della (i) Pag. 66. (3J Pag. 68-75. 160 Scienze « rabbia spontanea canina senza conoscere gl'im- « portantissimi lavori del ciotto professore roma- • no, il quale anche per questo oggetto ho tanti • diritti alla pubblica riconoscenza. « Il mio lavoro, come si avrà osservato, è in- « teramente appoggiato ad una serie di fatti; ma, « perchè potesse comparire più francamente dinan- « zi al pubblico, era necessaria la filosofica spiega- « zione del sig. consiglier Cappello^ la quale va in « certa guisa a rafforzare e mettere in piena luce « le mie idee. Ecco le parole dell'illustre romano. « Siccome dall'una un'altra induzione ne sorge, co- « si affacciasi al pensiero di sapere quale o quali « furono le impellenti cause, per cui producesi la ■ rabbia. Sebbene chiara generalmente non sia la . dottrina delle cause morbose, ed oscura sia cer- « tamente pili che altra nel male attuale, tuttavia « le più mature riflessioni sulla etiologia della ti- « bartina idrofobia mi condussero, delle tante ca- « jrioni d;i£fli autori descritte , a riconoscerne una « esclusivamente, la quale, a mio parere, debb'es- « sere la medesima, ovunque si manifesti la rab- « bia essenziale. Non la sfrenata ira (1), non i ci- « bi calidi, ne le carni fradicie: non la privazio- « ne di libertà (2), ne la soverchia fatica: non la (t) Fino all'eia dei a3 anni, mi sono sempre nei primi mesi di autunno restituito in Accumoli mia patria natia. Abbondava- no ivi, per le buone cacce, cani e cagne in gran numero. Anda- vasi conseguentemente di continuo alla caccia. Centinaia di vol- te ho veduto mordersi e adirarsi i cani fra loro al maggior se- gno. La rabbia non è giammai comparsa. Quest'osservazione è giornaliera. (a) Tre cani sono stati rlncbiusi alla scuola veterinaria d"AI- "fort. Uno di essi è slato nutrito colle carni salale, ma non gli è i RAGlONAMEIfTO DI A. CAPPELLO 1G1 " soppressa traspirazione, ne la varietà di ternpe- « ratura (1), ma il massimo e reiterato eccitamen- M to venereo non soddisfatto , coli* istinto portato • per quell'oggetto al pili alto grado, sembra ras- " soluta cagione di questo orribilissimo male. In « Tivoli difatti sono scarse le cagne in paragone «< dei cani maschi. Quelle, allorché son calde, ven- « gono comunemente rinchiuse, per dar loro un « elettivo sposo (2). Dotato il cane di squisitissi- « mo odorato , corre laddove 1' istinto lo chiama. « La vitalità tutta concentrasi nel centro sensitivo, ce che fortemente reagisce sull'organo riproduttore • della specie. Ne la ragione, ne un religioso do- « vere possono imporre un freno a chi per natu- « ra ne manca. Che anzi quanto piìi difficile rie- « sce al cane l'accoppiamento, con altrettanto ar- « dorè un' irresistibile inclinazione lo trascina al « desiderio di quello. Veglie , digiuni , oblìo in « ogni acquistata abitudine , benché domestica e slata data alcuna bevanda, ed ha vìssuto ^i giorni. Un altro non ha preso che acqua, ed è morto dopo 33 giorni. Il terzo è stato senza mangiare e senza bere, ed è morto dentro 55 giorni. Niu- no di essi però ha provato alcun sintoma di rabbia. Orfila toni. II, parte Il^pag. 1G4. (i) Non pochi sono i cani che languiscono in un perfettissi- mo ozio, senza andar soggetti alla rabljia. Tutti i giorni i cani da caccia nel colmo della loro fatica buttansi nelle gelide acque, e sopprimesi il loro traspiro. Dall'eccessiva temperatura passano alla più bassa continuamente; non per quecto vanno essi inconti'o alla rabbia. Queste nocive potenze d'altronde saranno capaci a produrre le ordinarie malattie, viucibili più delle volte con uu appropriato nietodo di cura , e iJÌù spesso dalla natura prima medicatrice dé'nwrbi. (1) Liberissimi e di brutta presenza sono stati i cani tiburli- ni affetti dalla rabbia spontanea. G.A.T.LXXX. 1 1 162 Scienze " piacevole, divengono indifFerentl ad un anima- « le che tulio il suo studio rivolge al desiato ve- « nereo conseguimento. Quanta debba essere la per- « turbazione dell'animale economia, se a vuoto an- « darono le cure e i patimenti di questo animale, « ognuno chiaramente lo vede. « Un cenno sulla distinta sessuale struttura de- • gli animali carnivori, fra i quali viene collocalo «• il genere canis, rafforza l'emessa opinione. Sono « questi privati di ricettacoli seminaii, onde non • può separarsi il prolifico umore senza il carnlc « concubi toi ragione per cui la natura forni, prin- • cipalmente la specie canina , di mezzi tendenti « alla maggior durata dei loro amori. Gli onnivori « all'incontro (come l'uomo) essendo forniti delle « vescichette seminali, ricevono ivi l'umore segre- « gaio , il quale può essere non solo riassorbito , . ma eiaculato anche senza coito, per una qualun- « que fisica o morale potenza. Il che non succe- ' dendo nei carnivori, il latice vitale vien dunque « richiamato incessantemente negli arricciati vasi • spermatici dall' ardente non appagata libidine , « accresciuta anzi dalla potente istintiva reazione, « e nel cane, per l'olfattoria sensazione, raddoppia- «< ta oltremodo. In questi perciò, superiormente a • qualunque specie carnivora , si altamente salirà «( la vitalità dell'organo sessuale, che sconcertandosi '^ ne potendosi sempre riordinare le funzioni ge- li nerative, notabile pervertimento ivi produrrassi, « corrispondente alla violenza delle indicate cause, « da svolgere, per un processo di chimica animale « organica, un principio sui generis sommamente X venefico, clic per fintiina relazione fra le parti « genitali, e i sistemi vocale e dcglutorio, esercita Ragionamento di A. Cappello 163 • in questi la sua delti va azione morbosa. Per la • quale insorge tosto, ed inLensanicnte vi si man- « tiene una spasmodica costrizione nervosa, che per « la coordinata vitale armonia rendesi poscia uni- « versale. Il locale patologico irritamento pertan- « to richiama gli umori da tut'e le parti nelle « glandule salivali : sulle quali pei noti rapporti « coU'organo generatore, pei nervi die vcngon loro « forniti dal sistema della vita animale, e per l'im- « pedita deglutizione infine, riconcentrasi l'idrofo- « Lieo veleno (1). Il perchè tanto nocivo diviene « il fluido salivare, producendo in chi per inne- . sto, o per morso sorbì l'atomo il più impercet- . tibilc, quell'orribile morbo, il quale per mara- « viglioso ordine di natura si arresta, ne piìi si « propaga; e ciò per la plausibile ragione, che non « venne esso preceduto da quel cocentìssimo pate- « ma d' animo, che squilibrio indusse nei sistemi « sensorio e sessuale ; mentre vogliono essere in- « separabili le iimormalità di quei due sistemi per « lo sviluppo della spontanea idrofobia nel gene- » re canis. • Che se questo mio ragionare non voglia con- « cedersi assai valutabile, bisogna pure uno con- " simile accordarne. Perciocché può con asseveran- (i) Per queste ragioni appunto la sola saliva rendesi vene- rea, esclusi tutti gli altri umori, come lo dimostrano le osserva- zioni di autori gravissimi. Portai op. cit. pag. 63. Richerand Fi- siol. per rinnocuità del sangue degli idrofobi, tom. i, pag. 278. uéggiiingo in questo ragionamento alle note messe sin dalla pri- ma edizione, ed anche dal To/foli riportate , che lo sviluppo vedutosi rarissime volte coli' innesto del sangue di cani rabbiosi, avvenne certamente per oiialche particella salivare per casa o per inavvertenza mescolatasi col sangue innestato. 'IG4 Scienze « za pronunziarsi, clic per la comparsa di un ma- • le SI crudele e mortale, potentissime nocive ca- « gioni richieggonsi. Ne sembra, a mio debole di- « visamento, che possano esse combinarsi più vio- « lenti delle anzidette , da storico-notomici , non " meno che da'fisico-patologici schiarimenti conva- « lidate. Insegnaci la storia, che nell'Egitto ed in « altre maomettane province non si ravvisa la rab- « bia (che rarissimamente), per lo carnale commer- • ciò, a mio credere, che liberamente cola eserci- « ta la specie canina. Autori classici ci riferisco- « no essere di raro affetti dalla rabbia i cani ca- « strati (1). Vuol darsi qualche peso alle suddette « riflessioni della idrofobia tiburtina per la scar- « sezza delle femmine in paragone dc'cani maschi. " Debbesi profondamente meditare ìi\ fabbrica delle « parti genitali dei carnivori^ e la squisita azione " fisiologica {[(ìWodorato canino. Inutile qui sareb- « be l'intertenersi a voler riferire le varie e tante '^ simpatie fìsio-patologiche fra gli organi faringo- « laringeo e sessuale a tutti note, e meritevoli e- <( gualmenle di somma considerazione (2). (i) Potranno questi essere affetti dall'idrofobia comunicata. E' rarissimo ancora lo scontro delle cagne arrabbiate spontanea- mente. Quando ciò avvenga^ sarà per l'equivalenti ragioni clic produssero la rabbia spontanea nei maschi. (a) ,, Alibiamo creduto ( Piicberand toni. I, pag. 88 ) dover ,, situare la voce immediatamente avanti la generazione, affin- ,, che quest^ordine indicasse al primo sguardo la connessione ,, che esiste Ira i loro fenomeni. ,, Chi non conosce il cambia- mento di voce , e la comparsa della barba al primo separarsi del proiilico umore ? Non ignorasi l'aumento della salivazione nciratto del coito. Quante volte le malattie delle glandule paro- tidi trasportausi ai testicoli? L'anione patologica simpatica della Ragionamento di A. Cappello 165 « Dalle quali esposte circostanze , se fondate • fossero come sembra , e quindi bene avverate , « ne risulterebbe un sicuro indiretto metodo cu- « rativo. Ne questo vorrebbe essere apprestato dal- < la medica mano, ma bensì da quella di un pa- « terno governo, il miglior medico in simili disav- « venture. L'energica mano dc'governi adunque , « senza alterare punto l'erario pulìblico , laddove « non è rara la ricorrenza di questo disastroso « morbo , potrà obbligare i propietari de' cani a • tener parità di masclii e di femmine, o prendere « altrettali misure , mercè delle quali possano i « cani soddisfare all'uopo il venereo appetito (1). « Due o tre lustri di esatte osservazioni, o met- « teranno in chiara luce, com'io spero, la mia opi- « nione , oppure la ricondurranno nel nulla. Nel « qual caso vorrà perdonarsi il mio ardimento per « l'animo che ho avuto di giovare all'afflitta uma- B nità ». L'autore torna poscia a ridire ciò che io sulle stesse fondamenta pubblicai quattr' anni appresso (1827) (2). Chiude quindi il terzo capitolo colie se- sifilide cogli organi vocale e faringeo e troppo nota. Lungo sa- ria riportare il novero di tutte le relazioni fra questi organi. Non vuoisi omettere lo smodato priapismo , che generalmente ravvisasi negli idrofobi ec. (i) Ottimo sarebbe che, per quanto fosse possibile, venisse ciò eseguito in luoghi racclilusi. Quante volte nei piccoli paesi servono i cani di trastullo, per non dire di scandalo nel loro ac- coppiamenti! Questa forse sarà la ragione , per la quale i russi non lasciano entrare alcun cane nelle chiese: e se alcuno mai ve ne penetrasse, le tornano a consacrare. Frank, Poliz. med. tom. 8 pag. 025 nota. (2) Opuscoli scelli scientifici pag. 65- 120. Giorn. arcadico, mai'zo 1827. Toffoli pag. ']'S-']f\-. 166 Scienze guenti parole: € Sottoposte in ultima analisi a se- « vera bli- ■ co, ladrlove non è rara la ricorrenza di cpiesto « disastroso morbo, potrà obbligare i proprietari « de'eani a tenere parità di maschi e di femmine, o « prendere altrettali misure, mercè delle quali pos- « sano i cani soddisfare all'uopo il venereo appe- M tito (1). » « Non posso in questo punto combinare le mie « idee col chiarissimo medico romano. Queste mi- « sure non possono convenire alla maggior parte « de'proprietari de'eani; e poi mi si condoni l'os- « servazione, io non le trovo necessarie. Dalle lun- « ghe mie osservazioni, come si è veduto nel terzo (i) Come ognun vede l'intendimento mio è basato sugli stes- si principil, e conseguirebbe per una strada diversa Io stesso sco- po, ma con maggiori difficoltà^ che le accorte e lodevolissime ri- cerche dell'autore han dileguale col facile rinchiudimeuto delle cagne in caldo. Ragionamento di A. Cappello 169 « capitolo , i cani isolati , scb])cn non hanno mai « avuto amori collo cagne, non arrabbiano mai spon- « taneamente: essendo indispensal)ili assolutamente « tutte o in parte quelle combinazioni e circostan- « ze descritte nel capitolo terzo. Concludiamo in • fatti, che in grazia delle cagne si sviluppa spon- « taneamente la rabbia nel cane. Dunque sarà " importantissimo chiuderle appena danno esse i • primi segni di riscaldarsi , e tenerle in questo « stato per tutto il corso del loro riscaldo, consi- • stente in 24 a 30 giorni (l). . . . Con pubblico « editto poi si avvertiranno ì proprietari delle me- « desime, che se durante il loro riscaldo le lasce- « ranno in libertà, e andar vagando per le stra- « de, saranno immediatamente ammazzate, ed essi a gravemente multati. Ed il custode o servegliatore « de'cani, lasciando correre simili disordini, si deve « immediatamente destituirlo dal suo posto. Misu- cc sure sollecite, forti e costanti. Questi in ultima « analisi sono i miei pensamenti, che sottopongo al « severo giudizio del colto pubblico, principalmen- • te a quello dei governi, onde liberare la società . quasi interamente dalla tremenda e indomita ma- • lattia (2). • (i) Nò l'autore tralascia di mostrare tacitamente la necessi- tà di un registro di tutte le cagne, per invigilarsi dal sorveglia- tore; e meglio anche in doppia copia.. dovrebbe , a mio avviso , esser il registro per servire la seconda all' autorità locale , o re- gionaria nelle grandi città. (2) Pag. 93-95. 170 Scienze CONCLUSIONS A chiunque con istudlo avrà discorso questo ra- gionamento , cadrà in pensiero che richiedevasi una persona non solamente istruita, paziente e fi- lantropa , ma che fosse ancora amantissima della caccia e dei cani, per isciorre l'inestricabile nodo della rabbia canina. Dalle cose per me bastevol- mente narrate mi pare, che non porrassi in dub- bio che ninno piìi del Toffoli, per la posizione e passione sua, poteva giugnere a svilupparlo: sicco- me sembrami che sia felicemente riuscito, seppure io non travedessi; perchè 4 anni innanzi che l'autore si avviasse pel montuoso cammino, era stato da me largamente appianato, sebbene egli noi conoscesse che undici anni dopo la pubblicazione del mio pri- mo lavoro. Ne varrebbe la malignità di qualcuno che di plagio manifesto volesse perciò accusarlo : mentre io pel primo con sode ragioni, che mi pia- ce qui di accennare^ mi sarei validamente opposto. Nulla difatto primieramente, che dimostrar pos- sa il menomo barlume di conoscenza de'miei lavori sulla rabbia, si appalesa nel suo primo scritto pub- blicato diversi mesi avanti che venisse in cognizio- ne di essi. Il che avvenuto, se tosto fu del mio av- viso, rispetto all'essenziale cagione del male, per le diligenti notizie e per le pratiche di lui ricerche, non rinunciò in secondo luogo alla generale idea della contagiosità della rabbia, che dileguossi sol- tanto nel suo animo non per uno o due, ma per numerevoli fatti da se stesso di tempo in tempo accuratamente verificati. Dopo il quale importan- tissimo obbiettOjil proclamarsi da taluni colle stam- RAGIONAMENTO DI A. CAPPELLO 171 pe la contagiosità, o conscgnentcmcnto la incessante riproduzione della rahbia, oserei io dire che fosse cosa veramente inumana (1). Imperocché porterassi spesso spaventevole scompiglio in famiglie che sa- rebbero vissute tranquille, se non si fosse suscitato un morale alteramento, e cjuindi morbosità fisiche ancora, in alcuni individui di esse morsicati da ani- mali per secondaria rabbia attaccati. Sara dunque lecito, se io non m'inganno, pronunciare contagio rabbioso a chi solamente internerassi con dirette e replicate esperienze che dimostrino il contrario dì quanto fu per me praticato , e per lo spazio di trent^ anni costantemente osservato. In terzo luogo la preoccupazione del Toffoli nel discredere la spontaneità, rarissima invero , della rabbia nel gatto, sono le principali ragioni per ri- movere ogni idea di plagio. In una novella edizio- ne, che l'autore con maggiori schiarimenti promet- te in fine della sua memoria, spariranno i pochi nei che appoiono nella presente, a motivo che il suo lavoro fu, come suol dirsi, compilato a brani e in diverso tempo. Ne taluno, mi pare , vorrà contrastare a me ed al chimico bassanese la fondamentale discoperta della vera sorgente dell'orribile morbo. Impercioc- (i) Non pretendesi perciò che non si adoperi il ferro ro- vente per sospetto morso di cane comunque; sebbene io , come dissi, non feci mai praticarlo;, quando con indubitata certez- za seppi la morsicatura derivata dal cane arrabbiato per morso di altro cane invaso da spontanea rabbia. DovrassI dunque pra- ticar il medesimo, specialmente se varii sieno gli esempi, in at- tualità di rabbia spontanea. Ma ognun vede quanta impressione diversa faccia negli animi 1' applicazione suddetta per semplice precauzione, da quella per necessario bisogno. 172 Scienze che se prima elei mio lavoro sulla canina idrofo- Lia leggcsi in qualche autore V estro venereo non soddisfatto fra le cause alla medesima disponenti, ciò non si asserisce mai in modo positivo, ma in termini generali , e rimescolato alla rinfusa colle tante altre cagioni dagli autori annoverate. Molto meno vedesi l'argomento ragionato e discusso, sic- come, se io mal non mi appongo, fu per me sola- mente con valevoli considerazioni dimostrato. Ne da chimeriche ipotesi esse dipartirono : mentre chiunque voglia ponderarle, scorgerà chiaramente che la prima loro derivazione fondessi nel riflet- tere di proposito , che pei cani da me veduti , o con certezza saputi colpiti in Tivoli e suoi dintor- ni da spontanea rabbia , inapplicabili affatto riu- scivano le tante svariate cagioni prossime e remo- te allo sviluppo della loro rabbia, dagli autori as- segnate: e che influentissimo ed unico io vedeva (per le ragioni nel mio lavoro discorse) atto al rabbioso svolgimento il massimo eccitamento venereo non sod- disfatto coll'istinto dell'animale oltremodo esaltato. Dopo rjuesto maturo concetto mi volsi allo stu- dio dei classici autori di anatomia comparativa: e indicibile impressione fece nel mio animo, non tan- to l'esterna fabbrica sessuale degli animali carni- vori che io ])en conosceva, quanto l'interno appa- rato generatore della specie canina, per la deficien- za delle vescichette seminali (1). Procedendo quin- (i) Verheyer, Anat. corp. Imm. cap. 24, pag. 169. Lipsiae i6gg. Quest'insigne autore parla esclusivamente della sola spe- cie canina. Morirò, Traitè d'anatom. comparèe pag. 43> Cuvier, Leclcon d'anatom. comparèe toni. 5, pag. 3r. Ragionamento di A. Cappello 173 di a riflettere sul mio divisameli to, vedevalo cor- roboralo dalla rarissima, e da taluni anche dene- gata rabbia spontanea delle cagne , dalla nessuna rabbiosa spontaneità dei cani castrati, dalle notis- sime relazioni fisiologiche e patologiche dei sistemi sessuale, deglutorio e vocale, e dalle necrotoraiche alterazioni che osservansi sovente nelle parti geni- tali degli animali periti di rabbia. Ne di lieve ap- poggio si era l'istoria del quasi total mancamento della malattia nelle mussulmane province, ove in libero commercio e pacificamente convivono i cani^ e di raro inoltre si accoppiano (1). Finalmente la squisitezza olfattoria di questi animali, ed il loro istinto cotanto eminente , soprattutto nel riscaldo delle cagne, mi persuasero colle altre ben ponde- rate considerazioni, che dall' amore deluso col si- multaneo sconcerto delle istintive funzioni dovesse ripetersi la cagione positiva della rabbia essen- ziale degli animali carnivori, soprattutto del cane: dacché gli sforzi conservatori della vita non sono sempre valevoli ad aprire straordinarie vie, tanto per rintuzzare l'azione delle nocive potenze inter- ne ed esterne , quanto per ricondurre il normale equilibrio. Sopra questi solidi fondamenti chiudeva io la mia prima memoria, promessa (2) molto innanzi al 1823, in cui fu pubblicata colle già citate se- guenti parole: « Due o tre lustri di esatte osscr- « vazioni, o metteranno in chiara luce, come io spe- (i) Larrey, Rcr. acgyliarum lib. 4- cap. 8. (2) Gioru. arcadico lom. Ili, pag. i54 noia. Effemeridi let- terarie tom. VII, pag. 388. 474 Scienze « ro, la mìa opinione, oppure la ricondurranno nel « nulla. » Crebbero alquanto le mie speranze per le os- servazioni tlell'Hertwig, le quali benché pubblicate nel 1828, a me note furono posteriormente al 1830, in cui feci la terza edizione de' miei lavori sulla rabbia. Quell'autore nel contrariarmi, come si dis- se, per risolalo caso del Girard^ la non riproduzio- ne della rabbia comunicata, parlando delle cagioni della medesima, dice: « Fra le cagioni piìi influen- « ti si può al certo annoverare l'estro venereo non « soddisfatto (1). » Ma se la lettera del Toffoli, inaspettatamente giuntami nell'estate del 1835, e da me pubblica- ta (2), accresceva sempre più quelle speranze, sem- brami che siensi poi adempiute colla memoria di cui si è ragionato. Il facile mezzo di rinchiudere le cagne quan- do sono in caldo, dall'autore progettalo per allon- tanare la malattia, sembrami che non debba pren- dersi a gabbo. Che se il Toffoli, a fine di raggiunge- re il suo proposito, dee lodarsi d'essersi anche di- retto alle dotte società mediche, per attendere il loro giudizio, lodevolissimo io poi lo estimo per aver ri- volte fervide suppliche al saggio austriaco governo. Imperocché apprezzabilissimo certo si è il giudizio di un consesso di dotti: ma per l'argomento in di- scorso vuol venirsi alle prove di fatto. JNè d'altronde mancheranno scrittori che vogliano veder buio dove è pieno meriggio: né vorrassi rinunciare alle precon- (t) Dizionario cil. di Venezia, ib. pag. 122. (2J Giorn- are. toni. 63, pag. i56-i58 Ragionamento di A. Cappello 175 celle opinioni e simpatie: quindi si meneranno fuori fantastici ragionamenti, e dicerie eziandio, per me- nomare le altrui fatiche. I soli governi posson to- gliere ogni difficolta; e se malagevole prcsentavasi la mia proposta per la soverchia e minutissima vi- gilanza col periodico accoppiamento dei cani, age- volissimo all'opposto si è reso il progetto dell'egre- gio bassa nese. Fo quindi fervidi e supplichevoli voti, per- chè i governi concertinsi fra loro pel rigoroso ed esatto adempimento di far rinchiudere le cagne in caldo in una o due sole provincie^ nelle quali piìx spesso manifestasi la rabbia canina. Se le os- servazioni, quivi incessantemente continuale per due lustri almeno, mostreranno, siccome io ho fer- missima fiducia, il dileguo della rabbia nei cani , Staluirassi allora l'universal legge, mercè della qua- le sparirà dalla faccia della terra quasi interamen- te il morbo più formidabile che si conosca (lì. (i) Quasi interamente, finché non saranno , siccome è suc- cesso in qualclie luogo, sterminati lupi e volpi. Rimarrebbe an- che dopo, a mio avviso, il gatto; ma addiviene rarissimamente lo sviluppo della spontanea rabbia di questi animali. In ogni modo può dirsi con statistica certezza, che di loo carnivori arrabbiati spontaneamente, 90 sono della specie canina domestica. Il che lo notava sin dal iSaS in fine della mia memoria, Opusc. scelti pag. 63, 64 noia 2. Tol'foli pag. 81 nota 29. 17C Elementa iuris criminalis a Caesidio Bonanni li- caei, apriLtioram antecessore^ auditorio suo con- cinnata. Aquilae^ tipis Aterninis 1837. ì^e la bontà, la connessione e la chiarezza, non disgiunte dalla convenevole profondita, costituisco- no il pregio di un libro elementare, ognuno cer- tamente farà buon viso a queste istituzioni di di- ritto criminale del sig. cavaliere barone D. Caesi- dio Bonanni: il quale dopo avere con lode d'inte- merata fedeltà, e con somma intelligenza e zelo oc- cupati diversi gradi ne'tribunali delle provincie na- politane , trovasi ora , benché in eia assai fresca, vice-presidente della gran corte civile in Napoli: incarico oltre modo considerevole in se stesso , e che qual premio conferiscesi ai più saggi ed esper- ti magistrati, di cui come di lucida corona si cir- conda nella sua residenza il sovrano. Tutto ciò ab- biamo voluto premettere, afìjnchè sappiasi essere nel Bonanni i pratici ai teoretici studi perfetta- mente congiunti; imperocché non di rado avviene, che molte cose, le quali sembran buone in astrat- to, non lo sieno poi ugualmente in concreto. Ma entriamo più addentro, e diamo un breve saggio di queste istituzioni, composte dall' autore quando nella prima sua gioventù professava tale facolth nel patrio liceo dell'Aquila. Sono esse con molto affetto dedicate ai suoi figli, a'quali con dol- ce gratitudine rammenta i benclicii ricevuti dai monarchi di quel reame , Ferdinando I , Fran- IusCriminalis 177 Cesco I e Ferdinando II. Sfiguo una brovo pnrenesi ai giovani studiosi delle dottrine criminali , nella quale rende ragione dell'opera, e modestamente di- ce, clie non potendo produr cose nuove in una ma- teria cotanto svolta da ogni trattatista, egli a somi- glianza di ape industriosa non ha omesso di consulta- re tutte le più accreditate opere di diritto penale si moderne e sì antiche, e di prendere il fiore da quan- to specialmente hanno scritto il Cocceio, il Matteì, il Renazzi, il Filangeri, il Pagano, il Romagnosi , il Bentham ed altri chiarissimi italiani e stranieri, che tanta luce ed avanzamento hanno portato alla scienza. Entrando poi in materia, il barone Bonanni nel suo libro non si occupa se non dei delitti e delle pene in genere: e dopo avere, giusta il costu- me, parlato ne'proiegomeni della definizione della legge e della sua divisione, dopo avere ben precisato che cosa sia diritto, e che intendasi per giurispru- denza penale, divide la sua opera in tre parti, pro- ponendosi di trattare, I.° dei delitti e delle pene in genere; II." dei delitti e delle pene in ispecie; HI." del modo d'istruire, proseguire e compiere i giudi- zi criminali: divisione giustissima, e che nasce dalla natura stessa della cosa. Il tomo che abbiamo preso ad esaminare , e che è il solo, il quale siaci venuto alle mani, contie- ne la prima parte, ossia quella dei delitti e delle pene in genere. Esso è diviso in XII capi. Nel I si considerano i delitti in genere, calcolandosi filo- soficamente quanta parte abbiano in essi le facol- tà dell'uomo , e quanto grave danno rechino alla società, la quale per essi viene ad essere pili p meno vulnerata. Noi II si tratta della loro differenza, con- G.A.T.LKXX. 12 178 Sciènze siderata in ragione di chi delinque, delle persone, del luogo, del soggetto, della quintita, del nome, del giudice e dell'azione. Nel I[[ dell'attentato, della difterenza che passa fra esso e il conato, della sua divisione in prossimo e remoto, della sua punizio- ne, e di ciò che intorno ad esso viene colle nuo- ve leggi ordinato nel codice napolitano. ]Nei IV del dolo e della sua divisione. Nel V della colpa e de' suoi gradi, esaminando in che differisca dal dolo, e che modo misurare si debba. Nel VI della imputa- Lilità, e quali ne siano gli elementi. Nel VII delle cause, che la tolgono o la diminuiscono, e della mo- derazione dell'incolpata tutela. Qui aggiinige l'autore sette utilissimi canoni per ben ravvisare la imputa- bilità delle azioni passa, in seguito ad esaminare se debbansi pimire i furiosi, i mentecatti, i pentiti, i prodighi ec; e qual grado di pena debbasi ad essi applicare. Nel Vili parla di coloro che sono rei di altrui delitti, o che in qualche modo vi concorrono: il che volgarmente dicesi complicità. Nel IX tratta de recidivi. Nel X di coloro, contro i quali si com- mettono i delitti. Neil' XI delle obbligazioni che nascono dal delitto, de'modi con cui cpieste riman- gano estinte , e finalmente parla nell' ultimo capo delle pene, addimostrando la necessita anche della pena capitale, e facendo vedere che il solo premio è per se stesso inefficace quanto al fine cjuanto all' effetto e quanto al modo di applicarlo. Da questo semplicissimo estratto, che ne abbia- mo dato, ben può ognuno di leggieri convincersi di quanto fin da principio accennavamo, cioè della concatenazione delle materie, le cjuali tutte natural- mente da un medesimo principio e con molto ordine discendono. Ora aggiungeremo che il Bonanni ha IusCriminalis 179 dettata la sua opera con melodo matematico ed in buona lingua latina. Altro pregio non piccolo di cjucste istituzioni si è, che l'autore, dopo aver data una definizione, ])revemente in tutte le sue parti la cliiarisce e l'analizza, facendone conoscere la ra- gionevolezza, e giustificando con solide ragioni il motivo per cui egli allontanasi da c|uelle degli altri trattatisti. Paragona continuamente ciò che stabiliva- si nell'antico diritto romano, e ciò ch'è in pratica nel diritto novissimo; non manca di Leila erudi- zione, e sobrie sono le note ch'egli aggiunge al testo, tratte dai primari giureconsulti e moralisti, si anti- chi e sì moderni. Non tralascia di citare colle sue stesse parole il codice napolitano, allorquando cade in acconcio: come pure originalmente riporta, allor- quando n'ha d'uopo, le dottrine del Romagnosi, del Pagani, e del Filangeri: sapendo però ben discerne- re il vero da quegli errori, in cui anche gli uomi- ni più grandi e profondi sogliono talvolta per uma- na colpa cadere. Noi siamo nemici de'paragoni: perchè, se non sempre, il più delle volte riescono odiosi. Non dubi- tiamo però di asserire, clie utilissime a tutti, ed in ispecie alla gioventù napolitana, saranno per riusci- re queste istituzioni elementari, e quindi non man- chiamo di congratularcene col chiarissimo autore. F. Fabi Montani. 180 LETTERATURA I. Trattato della dignità ed nitri scritti inediti di Torquato Tasso-- premessa una notizia intorno ai codici manoscritti di cose italiane^ consen'ati nelle biblioteche del mezzodì della Francia , ed un cenno sulle antichità di quella regione: del cav. Costanzo Gazzera. Torino^ stamperia reale 1 838 , in 8. di pag. 202 con una tavola in rame. II. Manoscritti inediti di Torquato Tasso, ed altri pregevoli documenti per servire alla biografia del medesimo, posseduti ed illustrati dal conte Mariano Alberti , e pubblicati con incisioni e fac-simili per cura di lì. Gentilucci. Lucca , tipografia Giusti 1837-4 838. f^ol. /, in foglio di pag. 70 con 34 tavole in rame. J-iodovìco Antonio Muratori ebLe scritto: ,, Forse „ di pochi si potrà dire ciò che io credo di poter ,, dire del Tasso, cioè non esservi cosa scritta o ,, dettata da lui, la quale non meriti di essere co- „ municata al pubblico per via delle stampe :„ e non Opere diverse del Tasso 181 diversamente del Muratori sono certo che pensano tutti gli italiani, cui scalda il petto amor di quella patria, che vantar possiamo comune col sommo epi- co delle lettere risorte. Ingegno pili unico che ra- ro ! Aveva egli fatto scopo de'snoi studi gli argo- menti più disparati; filosofici, poetici, storici, ret- torie!, critici. Ed in una vita non lunga, ed assai travagliala, tanto scrisse e con tanta sublimita, da maravigliarne chiunque. Le ricerche, che gli studiosi facevano da qualche anno delle cose inedite di lui, non lasciavano fondata lusinga a sperare, che altre ancora ve ne fossero da dare alla luce. G. Agrati pubblicava nella biblioteca italiana del 1817 un Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia. Lettere e prose del Tasso mandava alle stampe il Mazzucchelli in Milano nel 1822; alcune estratte dalV antico archÌK>io di Mantova ne pubbli- cava il Trivulzio; il Gamba dava a luce in Vene- zia nel 1833 le lettere allo Scalahrino\ il Caldani stampava in Padova nel 1819 alcune rime inedite di lui; altre ne davano al pubblico il Borghesi, il Rezzi ed il Betti lettere e versi pubblicava il Bern;>r- doni ; ventidue sonetti inediti faceva stampar in Modena il Cavedoni nel 1833; etl il professor Ro- sini, nella edizione di tutte le opere, un intero vo- lume consccrava alle lettere e poesie non prima pubblicate. Eppure le due opere enunciate s'ingem- mano di poesie e di prose e di lettere, e d'altri scrit- ti dell'epico sublime, che finora erano restati ine- diti. In questi cenai dirò innanzi dell' opera del Gazzera, poi di quella dell'Alberti. Vero è che del- la prima fece parola il eh. Cicconi nel volume 79 di questo medesimo giornale; ma essendosi egli li- mitato a provare indubbiamente la provenienza dei 182 Letteratura manoscritti, che il Cazzerà rinvenne nella biblio- teca di Montpellier, resta ancora molto a dire in- torno al libro del dotto piemontese. La maestk del re sardo, onde stabilire sopra basi certe e sicure una storia piemontese poggiata a'monumenti, e degna del secolo nostro, creava una deputazione intorno agli stadi di storia patria-^ e con generosa larghezza di mezzi ordinava ad al- cuni fra que' deputuit di viaggiare nella Francia, nella Svizzera, nella Germania ed altrove, e ricer- care con diligenza lutti quegli inediti scritti, che per toccare gli avvenimenti del Piemonte, o dell' augusta casa che da tanti secoli ne regge i destini, potessero tornare opportuni ed utili al nobilissimo scopo che si era prefisso. Socio e segretario di quel- la deputazione il cav. Gazzera , la primavera del 1837 viaggiò nelle provincie del mezzodì della Fran- cia; e rivolse i suoi studi non solo alle cose stori- che, ma pure all'antichità ed all'esame de' codici manoscritti , che potessero per qualunque modo aver relazione all' Italia e alle cose e agli uomini italiani. £ fu a lui propizia la sorte per modo, che molto rinvenne, e di molte cose per la cortesia de' letterati di quelle provincie , e per la gentilezza delle locali autorità, potè trarre copia diligente. Siano rese sincerissime grazie a quel sovrano mu- nificentìssimo : perchè non al solo Piemonte, ma sì a tutta Italia recherà utile quella istituzione ; e già incominciamo a vederne i frutti. Molte so- no le cose italiane manoscritte, le quali trovansi nelle biblioteche di là dai monti e dai mari; e non è questo libro del sig. Gizzera il primo a darcene prove luccntissime. Ricordo che il prof. Marsand per le stampe di Parigi nel 1835, in un volume in Opere diverse del Tasso 183 A.° dì pag. XIII e 8GT, ci die i Manoscritti italia- ni della, regia biblioteca parigina^ descritti ed illu- strati: ricerdo che il eh. Molini, per le stampe di Firenze nel 1836, pubblicò la Notizia del mano- scritti italiani, a che si riferiscono aWItalia, esi- stenti nella libreria delV arsenale di Parigi-^ e che lo stesso Molini pure, per le slampe fiorentine del 1836 , pubblicò giìi due volumi in 8." ( l'uno di pag. LXKIV e 337, l'altro di pag. 506) dei Docu- menti di storia italiana copiati su gli originali au- tentici e per lo più autografi esistenti in Parigi. Sa- rebbe a desiderare che i conservatori delle biblio- teche, nelle quali custodisconsi manoscritti, desse- ro a luce un ragionato catalogo do'Ioro codici ; e più, con la stampa ne pubblicassero quelli che pre- sentano un importanza per la storia; perchè le bi- Lliotcche possono andar soggette ad incendio; esem- pio recente è quello che distrusse la celebre Salis- Lury. La perdita fjuindi potrebbe essere irrepara- bile : e quello spirito di disamina del secolo no- stro, che non si contenta del nudo racconto dcTat- ti, ma vuole che siano documentati, non può otte- nere Io scopo cui nobilmente aspira, fino a che i documenti inlerrcssanti restino sepolti nelle bil)lio- teche. Quello spirito stesso consigliò già, è quasi un secolo, al Muratori la grande e preziosissima rac- colta delle cose italiche. Quello spirito suggerisce all' Inghilterra l'edizione de' suoi pubblici antichi registri : quello spirito dirige gli studi e la pen- na del Morbio nella storia de'municipii italiani, e persuade il Vcrmiglioli a pubblicar la vita e le imprese militari di Malatcsta IV Baglioni. Quello impegna Agostino Thierry a diriger la edizione delle carte e privilegi concessi alle cillà ed ai co- 184 Letteratura muni dai re e signori dal XII al XIV secolo^ im- pegna Champoilion Figeac a spogliare ampie col- lezioni di manoscritti per pubblicare le Lettere del re, regine, principi e principesse di Francia, ai re., regine, principi e principesse d^ Inghilterra ; dirige Weiss nello spoglio di 85 grossi volumi in foglio delle Carte del cardinal Perrenot de Granville; di- riffe Pellet nell'edizione de Documenti intorno alla storia della guerra della successione di Spagna dal 1701 al 1713. Quello spirito consigliò alla maestà del re Carlo Alberto la regia deputazione di cui di- ceva; e già ne vedemmo bel frutto in due volumi in foglio, col titolo il primo Historiae patriae mo- numenta edita iussu regis Caroli liberti: Cluirta- rum (1836): il secondo Leges municipales (1838). E quello spirito fruttò al Gazzera la raccolta dì al- tri tesori, che piìi tardi appariranno pur essi alle stampe. Il volume di lui, che ho sott'occhio, vien diviso in due parli: la seconda è destinata all'edizione delle cose inedite del Tasso; la prima è una specie di relazione del viaggio letterario dell'autore nelle diverse citta che ebbe visitate. Io l'andrò seguen- do passo passo, sicuro di far cosa grata al benigno lettore. Lione non solo è ricca, popolosa e chiara citta per le manifatture e pel commercio; ma è fautrice altresì delle scienze, delle lettere, delle belle arti : pubbliche biblioteche, accademie di scienze, società private letterarie e scientifiche, che tutte pubbli- cano atti e monumenti, musei di antichità e di sto- ria naturale, galleria di belle arti, orto botanico ; non vi desideri infine cpianto può eccitare ed appa- gare la dotta curiosità del culto viaggiatore. Nume- Opere diverse del Tasso 185 rose iscrizioni tratte dal suolo dell'antica cittì», o dall'alveo de'suoi fiumi, sono disposte nell'atrio del magnifico palazzo delle arti. La biblioteca comuna- le, di oltre a 40 mila volumi stampati, possiede an- che vari manoscritti. Fra questi trovò il Cazzerà l'ultimo lavoro dell'istoriografo di Savoia, Samuele Guichenon, intitolato Histolre de la souvranité de Domhes\ e narra lo stesso Guichenon, che non fu stampato, perchè l'ultima signora di Dombes, che a lui l'avea commessa, avrebbe desiderato che quel suo principato apparisse dipendente dalla corona di Francia, anziché da quella di Savoia. Ma l'auto- re non volle alterare la verità, ne acconsentire a une lacheté indivie d'un Jiomme , qui [alt profes- sion dlionneur et détre historien. Pure in quella Liblioleca trovò e prese copia d'una relazione inti- tolata Hescalade de Genè^^e par Godefroy^ che si riferisce al non fortunato tentantivo di Carlo Ema- nuele I del 1602. Nella biblioteca, detta di s. Pietro nel palazzo delle arti, rinvenne la f^ie du conite Marsigli premier fondateur de Vinstitut des scieii- ces et des arts de Bologne^ scritta da P. Hebert de Quinci'^ al finir della quale è una copia dell'orazio- ne inaugurale del medesimo instituto, recitata nel marzo del 1714 dal P. Ercole Corazzi. Ma questa non è inedita, conoscendone io una stampa dello slesso anno 1714 pe'tipi del Pisarri in 4." Incipiente è la biblioteca di Vienna, e senza manoscritti. Essa è collocata nell'interno d' un an- tico tempio periptero, dove pure sono adunate le antichità di ogni natura, che erano sparse per la cit- tà e ne'dintorni. Sufficientemente fornita di libri è quella di Valenza, ma neppure in essa sono ma- noscritti. In quella città si va disponendo una pina- 186 Letteratura coteca ed un museo di storia naturale. Il sig. Caz- zerà non trascurò di venerare riverentemente nella cattedrale il vuoto sepolcro, ove per alcuni anni ri- posarono le ossa sacrate del gran pontefice Pio VI. Avignone è cinta di mura elegantissime, fatte co- struire nel 1358 da papa Innocejtizo VI. 11 palazzo già pontificio, situato sul ciglione dell'elevato maci- gno, intorno al quale è posta la citta, rassembra un castello: v'è un orto botanico; v'è un museo di an- tichità giù sufficientemente fornito di sculture e di epigrafi; e v'è una biblioteca, quella stessa che il Calvet legava alla patria, e che il governo con nuovi acquisti accresceva. Possiede codici manoscritti, ma non ordinati; ciò non ostante il Gazzera potè pren- dere copia di molte lettere autografe del Maffei, del Muratori, del Gori, del Corsini e di altri italiani, che trovò riunite in un volume. L'arco ed il teatro an- tico di Grange meritano sol essi che un erudito si fermi ad esaminarli: piccola è la biblioteca (appe- na di mille volumi) in una delle camere del comune. Carpentrasso è cinta di mura cosi svelte ed ele- ganti, che forse in bellezza superano quelle di Avi- gnone. Le fé costruire lo stesso pontefice Innocen- zo VI. La biblioteca pubblica, lasciata alla patria dal vescovo Inguimbert (che pure alla patria legò una raccolta di 12 mila medaglie), si comj)one di quella che fu del presidente Miizangues, a formar la quale avevano contribuito i lumi del Pagi. Essa conta circa 30 mila volumi , e intorno ad ottocen- to manoscritti preziosissimi : ottantadue di questi appartennero al famoso PeiresL-; e vi sono suoi lavo- ri originali inediti; una ricca raccolta di documenti e memorie relative alla Provenza ; il suo carteggio letterario, nel quale son molte le lettere degli ita- Opere diverse del Tasso iSl lianii ed alcune di Galileo Galilei, nelle quali il sommo filosofo scrive a lunj^o e dello stato suo e delle sue disgrazie. Dal volume 59 di qiic'mano- scritti copiò il Gazzera il lìagioncunento di Domeni- co Sa/di a F*rancesco suo fhgliaolo^ nel quale si narrano alcuni particolari avvenimenti della sua vita; operetta (dice l' A. N.) ricca di fatti annedoti ed arcani. Fra i rimanenti codici rimarcò la Esposi- zione della divina commedia di Dante, per messer Busone de Agubio; uno in pergamena contenente le poesie del Petrarca col titolo di Cantilene, copiate nel 1470 per commissione di Ugolino di Tiberio de Perinetto di Perugia; ed alcune rime di fra Stefano Alemanni di Saluzzo, non cognito per altre poesie. In Tolone invano cercheresti musei, accademie, gal- lerie, instituti scientifici; tutti gli animi sono rivol- ti alle cose marittime. Da poco si è aperta una bi- blioteca di forse 15 mila volumi; v'è un solo mano- scritto, ed è una parafrasi della sacra scrittura in versi eroici latini di autore anonimo del secolo XIV, die il eh. Gazzera inclina a credere fosse Pietro di Riga. L'industria ed il commercio non sono d'impe- dimento in Marsiglia alla coltura de'buoni studi; v'c un' accademia che pubblica i suoi atti; v'è un mu- seo che va giornalmente crescendo; v'è una biblio- teca ricca di oltre a 10 mila volumi a stampa', e di forse 500 manoscritti; ma fra questi ncppur uno ne trovò il Gazzera, che potesse in qualche modo profittar l'Italia. Arles, gih si potente nel IV" e nel V secolo, ora è in decadenza; il teatro e l'anfitea- tro possono appena darci una idea di quello che fu : abbonda di bei sarcofaghi cristiani sculti; ha un incipiente musco di patrie antichità; ed una re- Ì88 Letteratura cente non numerosa biblioteca. In Aix la biblioteca è assai più ricca; fra un migliaio circa di mano- scritti, vide il Gazzera V intero carteggio del Pei- resc, parte originale, parte copiato da altri luoghi per cura del Meianes, che pare avesse intenzione di pubblicarlo; vi sono lettere dell'Aleandro , dei Sirmondo, delTAldrovandi, dell'Alemanni, dell'Al- lazio, dell'Angeloni, del Cittadini, del Plgnoria, del Galilei e di altri. Utilissimo alla real casa di Savoia reputò il N. A. un manoscritto del Colet di Dora- bes intitolalo Critique sur Vhistoire de Eresse par deiLX Gidchenons\ e non meno importante gli par- ve un altro manoscritto, nel quale si leggono: Ze^ troubles arrivés da temps de M. le due de Savoye et de madame la complesse de Sault en cette pro- vence, et sur la fin da regne de Henri III eri Vari. MOLXXXIX ; ou memoires cC Antoine Honoré Louis de Castellane^ contenans tout ce qui e est passe de plus remarquahles en Provence depuis V aiinée 1589, iusqu au 5 mars 1592. Anche gli parve inedito un lavoro dell'arcivescovo Claudio di Scisscl, intitolato: Image de deax regnes differen- ts de Louis XI 1 46 1 , e Louis XII 1 498; ou dia- lo gue entre les deux rois: dialogo pieno di pre- cetti politici e morali, tendenti a dimostrare che il governo di chi regge i popoli con equità e giu- stizia, sovrasta a quello di chi li tiene con la pre- potenza e la forza. Molto più va l'autore notando da quella biblioteca, che la ristrettezza di questi fogli mi costringe a trasandare. Ma non lascerò di ricordare, che egli in Aix fece acquisto di un ma- noscritto in pergamena, contenente fra le altre co- se la relazione latina, scritta da testimonio oculare, del viaggio di un' armata navale di crociati. Far- OpERK diverse t>EL T.ASSO iS>9 tlti essi dal porto di Blecrente il 1." maggio 1189, e visitata l'Inghilterra, e toccate le coste di Francia e di Spagna, sbarcarono in Lisbona;dove pregati dal re, intrapresero l'assedio di Silvia nell'Algarve, e ne cacciarono i saraceni; ritornati alle navi, per lo stretto di Gibilterra recaronsi a Marsiglia. Promet- te il Gazzera una edizione di questa storica nar- razione. In Nimes l'arena e la maison carrée sono mo- numenti tanto noti, che basta ricordarne i nomi : nella seconda con buon consiglio si e formato il museo antiquario. Il Seguier legò alla patria il suo museo numismatico, e quello di storia naturale, e la biblioteca ricca di oltre 30 mila volumi: molti di questi sono postillati da Scipione Maffei. Rtoco è il carteggio letterario dello stesso Seguier di let- tere del Mafifei, del Muratori, del Bianconi, dell'O- livieri, di lano Fianco, del Pacciaudi; ve ne sono dello Spon, del Montfaucon, del Mazangues e di al- tri dotti francesi. Di molte trasse copia 1' illustre nostro viaggiatore, perchè spandono assai luce sulla vita degli autori e sulla storia letteraria dì que' tempi. Le mura della citta di Narbona possono chiamarsi un museo di antichità; perchè sulla estre- mità superiore di esse furono appositamente collo- cate iscrizioni, busti, bassorilievi, capitelli ce; con quanto lodevol consiglio non so; e già per osser- vare le sculture, e per leggere le lapidi, fa d'uopo armar l'occhio di canocchiale. Evvi inoltre in quel- la citta una società archeologica , una galleria di quadri, un museo di storia naturale, ed uno archeo- logico, ed una bibliotecu. Assai importante è la rac- colta in sei immani volumi pergameni contenenti tutti gli alti della repubblica, del viscontado e del 100 Lettkratura comune di Narbona ; da essa raccolta trasse il Gazzera alcune copie di atti importanti. In Garcas- sona è un gabinetto di storia naturale, ed una in- cipiente biblioteca, i cui manoscritti non parvero all'erudito viaggiatore di alcun interesse. Popolosa, grande, vaga citta è Tolosa: la isti- tuzione dei leiix fioraiix è tuttora vigente. Fu re- staurata l'antica accademia delle scienze; fu creata una società arclieologica: l'una e l'altra pu])blicano i loro atti e memorie. La biblioteca del collegio della citta comprende oltre a 40 mila volumi a stampa, e più che 500 manoscritti; si compone in parte dei libri che furono dei due Racine, di quel- li del De Boze, di alcuni fra i posseduti del car- dinal de Brienne; ma i manoscritti non sono anco- ra ordinati. Pure il Gazzera ne osservò uno delle epistolae di Petrarca, che gli parve contenerne al- cune inedite; un altro d'anonimo col Ristretto di alcune vite de principi di casa Bledici da Ferdi- nando a Gastone; e varii altri di cose italiane : e molti pili, aggiunge, se ne potranno scoprire, quan- do siano posti in quell'ordine che conviene. Che se le biblioteche del mezzodì della Fran- cia finora ricordate sono ricche quale più , quale meno di codici, alcuni de'quali contengon cose ine- dite italiane ; tutte le supera quella della facoltà medica di Montpellier. Essa, che nel principiar di questo secolo non conteneva che libri di argomen- to della facoltà stessa, ora per le instancabili cure e ricerche del dotto bibliotecario sìg. Prunelle può j essere annoverata fra le più ragguardevoli per nu- mero e per iscelta di cose stampate e manoscritte. Fra le altre potè il Prunelle trarre dall'abazia di Chiaravalle i codici, che arricchivano il gabinetto Opere diverse del Tasso 191 del presidente Bouhier; potè trarre dalla libreria del collegio di Troyes i codiei ed i libri che ad essa aveva legati Francesco Pithoii; ed acquistò da un militare molti altri manoscritti furati (sembra nella prima entrata in Roma de'francesi) dalla bi- blioteca Albani. I principali fra questi ultimi sono i seguenti: 15 volumi in ^.^^ di lettere originali in- diritte alla regina Cristina di Svezia: le meccani- che di Galileo con varianti dalle edizioni , che se ne conoscono: il Dittamondo di Fazio degli liber- ti, che può essere consultato con frutto da chi vo- glia dare una buona e critica edizione di quell'an- tico imitatore di Dante : la traduzione inedita di Bernardino Baldi dell'Orbo delizioso, ossia del com- pendio della geografia universale, scritto in arabo dal principe Alcharif Aldrisi: il Dicdonariiun arti- hico-latinum dello stesso Baldi: due volumi di let- tere originali, scritte al commendator Cassiano del Pozzo: un volume di epistole autografe indiritte ad Aldo il giovine ed a Paolo Manuzio: un volume di lettere originali, di pittori in ispecie, scritte al par- migiano Carlo Ferrante Gianfattori, consultato già utilmente dal Boltari: due volumi di lettere auto- grafe del Peiresc: un volume autografo del Win- ckeimann, intitolato Osservazioni d'antichità, che il sig. Gazzera crede inedite: infine molti codici con assai cose originali del Tasso; le inedite fra le qua- li sono dal fortunato scopritore pubblicale nella seconda parte di questo volume , di cui sto scri- vendo. Chi avrebbe mal potuto immaginare che tan- te preziosità, le quali arricchivano la romana bi- blioteca de'principi Albani, e dove erano si gelo- samente e da tanti anni conservate , si sarebbero ritrovate in una pubblica biblioteca della Francia? ^92 Letteratura Pure nella stessa lilìrcria di Montpellier trovò il Cazzerà una Collettanea di cose storielle in 34 volumi, parte in foglio, parte in quarto: essa fu di Samuele Guichenon storiografo della real casa di Savoia ; e contiene c|uanto quel dotlo avea notato per la compilazione delle opere pubblicate, e per quelle che restarono inedite, alcune delle quali so- no in essa Collettanea. Quanta ricchezza, qual mes- se abbondante vi avrà raccolta il eh. Gazzera ! Nò questa della medica facoltà è Tunica grandiosa bi- blioteca di Montpellier : una seconda ve ne ha nel museoi^«Z>re. Convien ricordare che nelle buone gra- zie della contessa d'Albany, a Vittorio Alfieri sot- tentrò Saverio Fabre pittore francese, il quale de- gli averi tutti della con lessa restò erede. Aveva il Fabre una ricca e scelta galleria di pitture de'piìi celebri autori antichi e moderni; ed aveva una do- viziosa biblioteca: di tutto ciò, ancor vivente, fece spontaneo dono alla sua patria. La quale, ricono- scente a tanta generosità , fece costruire ampio e sontuoso edifizio, che volle denominato TlfM^eo i^<2- hre-^ dove tutta la preziosa suppellettile donata col- locò, distribuendo nel piano superiore la pinaco- teca, e la biblioteca in tre sale terrene. Nella pri- ma sala vennero allogati i libri, che appartennero alla contessa d'Albany, dove si ha quanto di me- glio posseggono le lettere francesi e le inglesi: la seconda sala die lungo alla biblioteca artistica del Fabre, per la preziosità e copia de'volumi più prin- cipesca che da privato: e nella terza furono situati tutti i libri di Vittorio Alfieri. Chi avreblie mai osalo- dire a quello spirito altero, che i suoi libri sarebbero stati, pochi anni dopo la sua morte, collo- cati in una pubblica biblioteca della Francia ! So- Opeue diverse del Tasso 193 no poc'oltrc i tre mila volumi fra'yreci, latini, ita- liani; uno solo è francese, Marol : tutti ricchi di molte postille di quei sommo tragico : poche pe- rò sono le cose manoscritte di lui. Fra queste è la Mandragora del Machiavelli, che voltò in versi ita- liani sino alla scena decima dell'atto terzo. Il sig. Cazzerà ne pubblica un saggio in questo volume. Anche è preziosissimo un libretto in 8.° che contie- ne Sonetti sei stampati,, di propria mano di Vittorio Alfieri da Asti- esemplare unico, da niuno conosciu- to; come i sonetti non furon compresi in alcuna delle tante edizioni delle rime di lui. L'ultimo di essi (unico saggio del suo poetare nel proprio dia- letto) risponde a chi gli faceva carico di usare so- verchia asprezza di stile nelle tragedie. Esso è il seguente : Sonet d'un astesan,, an difeìsa di stil d'soe tragedie. Son dur, lo seu, son dur, ma i parlo a gent Ch'han l'anima lant mola e deslava, Ch'a le pa da stupì, s'd'costa nià I piaso appena appena a l'un per cent. Tutti s'amparo '1 Metastasio a ment, E a n'han l'orie, '1 coeur, e j'eui fodrh, r eroi ai veulu vede, ma castra, 'L tragic a lo veulu, ma impotent. Pure j m'dugn nen pr'vint, fin ch*as decida S'as dev trono sul pale, o solfegiè. Strasse '1 coeur, o gatiè maria t l'orìa. Già ch'ant costmond l'un d'I'autr bsogna ch'asrida, l'eu un me dubiet, ch'i veni ben ben rumiè , S'I'è mi ch'son d'fer, o j'italian d'potìa. G.A.T.LXXX. 13 194 Letteratura Fin qui la prima parte dell'opera del sig. Caz- zerà. Incomincia la seconda con un preambolo, il quale si raggira precipuamente intorno alle cose inedile del Tasso, che ora per la prima volta ab- biamo alle stampe. Primo fra questi è il Trattato della dignità^ che è uno dei molti scritti da quell* infelice nelle miserie del carcere di s. Anna. È tutto tutto di pugno dell'autore. Era già conservato nella biblioteca Albani, come ricordai: ed il Serassi l'avea consultato (Vita del Tasso pag. 511). Il sommo epi- co avea composto nel 1ò81 il Dialogo della dignità: « Gli parve alcuni anni dopo ( sono parole del cav. « Cazzerà ) di aver in esso dialogo fatta troppo « gran parte alla secolare, in svantaggio della eo- « clesiastica potestà, e di aver forse anteposto l'im- « pero, ed i governi che ne dipendono, alla chiesa « ed al suo capo; onde, o che fosse a ciò fare'da al- « tri stimolato, o che intendesse di maggiormente « guadagnare la buona grazia del pontefice , stese « il presente Trattato della dignità^ nel quale ri- ■ provando alcune opinioni del Dialogo^ fece al pa- ■ pato quella più larga parte che si può vedere ». Lo indirizzò l'infelice Torquato ad Ercole Estense Tassone il giovine, suo intimo amico, per ciò che pa- re verso l'anno 1582 o poco dopo. Gradirà, ne sou certo, il benigno lettore d'aver qui un saggio di questo nuovo scritto filosofico di quell'ingegno ita- liano, a Mi par convenevole di render quell'onore « che debbo a Dio prima, e alla verità poi, la qua- « le forse altro non è che Iddio; perciocché egli «« di se stesso ragionando disse : Ego veritas sum\ « li che è vero in quel modo forse, nel quale di- « cono i filosofi che l'intelletto agente è la verità. " Perciocché non si fa vero con intender le altre i Opere diverse del Tasso 195 « cose, ma con intender se stesso; e a me pare dì • non potere Iddio in alcun modo meglio onorare « che col rendere onore e ubbidienza al papa, che è • vicario di Cristo suo figliuolo in terra, ed è colui ■ al quale si conviene l'interpretare quelle carte, le • quali contengono in se la verità de'divini misteri: • il quale, illuminato dal lume della grazia e dello « Spirilo Santo, come papa non può errare e ingan- « narsi nella cognizione dell'eterna verità: sebben « forse non è inconveniente che, come uomo, s'in- « ganni nella veritU delle cose particolari, la qual • sempre è d'alcuna falsità mescolata in modo, che • non pare ch'ella sia oggetto di quella parte dell* « anima nostra, che come divina ed immortale, è ■ lontana dal contagio delle passioni del corpo, dal • corpo può separarsi; ma di quella che, informa- • ta da fantasmi e dalle immagini delle cose sen- « sibili, è perturbata dagli affetti, molte fiate dalle « passioni è ingannata, e molte dalle passioni quasi • incantata. Voglio dunque che mi giovi di crede- te re, che s'egli alcuna cosa ne*miei particolari ho « commessa, della quale io ragionevolmente a Ce- • sare mi son richiamato, come uomo l'abbia com- « messa: ed io come uomo sottoposto a tutti gli af- « fetti , ed allo sdegno ed allo amore particolar- « mente, me ne son lamentato, forse con minor ri- « verenza di quella che da me era debita all'au- « torita sovrana del vicario di Cristo. Onde ora • umilissimamente gettato a' piedi della sua cle- « mentissima beatitudine, glie ne chiedo perdono, •« usando parole simili a quelle che da Cristo a « proposito della Maddalena furono usate : Remit- « tantur mihi^ Domine^ peccata milita^ quia multuni « dilexi ». E cosi seguita tutto il Trattato con quel- 196 Letteratura la eloquenza e con quel lucido ragionamento, che è dote di tutte le prose del gran Torquato. Ma nell'ad- dotto testo sembra al mio carissimo Salvator Betti, e sembra anche a me, che debba leggersi: « Che noa A pare ch'ella sia oggetto di quella parte dell'anima ■ nostra, che come divina ed immortale, e lontana • dal contagio delle passioni del corpo, dal corpo «può separarsi: ma di quella che informata da' fan,- ■ tasmi e dalle immagini delle cose sensibili , e «f perturbata dagli affetti, molle fiate ec. » Così in- fatti il senso è chiaro; e forse fu errore tipografico 1 aver accennate le due e, che erano congiunzioni e non verbo. Così errore di slampa mi par certo quel- lo a pag» 190, lin. 8, wVa e sald" onestate a me so- migli, dovendosi leggere: viva e sol dConestate ec. JNè io voglio defraudare il benevolo lettore di altre correzioni che il Betti m'indicò. A p. 152, lin. 15, per averne un senso ragionevole, convien leggere: • Nelle morali parimente fa una distinzione, la qua- • le molto serve al nostro proposilo, e con la qua- • le potremo risolvere ogn' altro dubbio, s' alcun « pur ce ne resta. È questa: È l'islesso il comandare « ad alcuna cosa, o '1 comandare intorno ad alcuna • cosa? » A pag. 153, lin. 25 deve lèggersi assolu- tamente: nh senza alto mistero. Alla pag. 158, lin. 2: e pochi anche di Germania il possono uguagliare. Vengon dopo due lettere, che pur lesse il Se- rassi nella hiblioteca Albani, ed opinò che fossero inedite ad Orazio Capponi gentiluomo fiorentino; ed in questo parere conviene il sig. Gazzera. Della pri- ma , che è la più lunga, un buon tratto ne aveva pubblicato il lodato Serassi ( pag. 22G): essa tendo precipuamente a render ragione della unitU della favola del suo poema. Inchiusa in essa trovasi la Opere diverse del Tasso ^\)ì tessitura, o come meglio il Tasso medesimo la chia- ma, la fru'ola (Iella Gerusalemme. È da notare che in essa favola non si legge il tenero episodio di Olindo e Sofronia, tolto forse per aderire alle fred- de critiche de'pedanti; e vi è sostituito il racconto che fa a Goffredo il patriarca, scacciato da Gerusa- lemme, delle imprese fatte dai cristiani in Asia nei sei anni precedenti. Anche altre diversità e cam- Liamenti si leggono in essa favola; e provan essi sempre piìi qual fervido ingegno avesse Torquato. Nella seconda lettera (oltre la meta ne pubblicò il Serassi a p. 236 ), sembra che fossero uniti alcuni Dubbi e risposte intorjio ad alcune cose e parole concernenti alla Gerusalemme liberata; che qui si hanno parimente stampati. Io ne trarrò un saggio, dal quale si fiira chiaro, quanto maturamente il poe- ta avesse ponderata ogni frase, anzi ogni parola del suo poema. Dubbio V, sulle cose. Come Clorinda appena nata accarezza la tigre ? Risposta. ,5"/ cerca il mirabile^ che in questo ca- so pub stare col verisimile, ed è pia necessario del verisimile. Dubbio I, sulle parole. E il sonno in lor serpe •fra il pianto. Non si vede come si possa dire e co- me fora convenevole, che il sonno serpa. Risposta: Tempus erat quo prima quies mortalibus aegris Incipit, et dono divum gratissima serpit. Virg. Aen. XI, 269. y/ me pare che questa voce esprima benissimo ref- fetto che io voglio descrivere. 198 Letteratura Seguono alcune varianti e correzioni al poema tlel Mondo creato^ tolte dai margini di quella pri- ma edizione di Viterbo, che il Serassi aveva vedu- ta nella biblioteca Albani, e che pur essa in ogi^i è a Montpellier. In ultimo sono due ottave che dan compimento al graziosissimo poemetto del Monte Oliveta, e che mancano in tutte le edizioni. Furori tratte dal medesimo codice autografo che descrisse il Serassi ( p. 532), come esistente nella stessa biblio- teca Albani. Qui han fine le cose inedite del Tasso, che riempiono 53 facce di questo libro del eh. cav. Cazzerà; ringraziando sinceramente il quale del bel dono da lui fatto all'Italia, tempo è che venga a di- re dell'altra opera del sig. conte Alberti. Aveva il Serassi provato, che in varie epoche furono sottratte dalle camere del Tasso le sue car- te, le quali non aveva mai potute riavere. Conser- vate venivano sotto sigilli nell'archivio del duca Al- fonso d'Este; il quale solo nel giugno del 1586 le die al Guarino perchè le esaminasse, onde giustifi- care presso i sovrani d'Europa la sua renuenza alla liberazione dell'infelice poeta dal carcere di s. An- na. Il Guarino, visto che alcune di esse carte dimo- stravano giusto il rigore del duca, e desiderando salvare l'infelice Torquato, sottrasse quelle che più Io avrebbero compromesso; e stese una relazione , quale gli amici del Tasso desideravano. Gli scritti sottratti rimasero in poter del Guarino; e da questo passati al figlio, vennero poi alle mani di Marcan- tonio Foppa ammiratore appassionato quanto altri mai del cantor di Goffredo. Il Foppa al morir suo lasciò l'intiera biblioteca a monsig. Ottavio Falco- nieri; dove e quegli scritti del Guarino sottratti, ed altri piì» dal Foppa raccolti, e moltissimi libri dal Opere diverse del Tasso 109 Tasso postillati, si conservarono gelosamente e lun- go tempo. Ma qualunque siane stata la ragione (ciò che a me non conviene indagare) quelle ricchezze di manoscritti cominciarono dalla biblioteca Falco- nieri a passare in altre; e alcuni in Inghilterra, al- t*'\ emigrarono a Firenze, a Lucca , a Parigi , a Monaco, a Pietroburgo. Il conte Mariano Alberti ne acquistò due volumi nel 1825, e più tardi un bel numero di libri postillati; ed ebbe la fortuna che molte pregevoli scritture inedite vennero alle sue mani. Avendo poi in altri luoghi, con molto studio e dispendio, siccom' egli dice, acquistati altri og- getti che pure al Tasso si riferiscono, venne nella determinazione di comunicarli al pubblico con ac- curate incisioni e facsimili, che adornò di ricchi e forse troppo copiosi commentari. Era da sperare che i documenti inediti posse- duti dal sig. conte valessero a tanto, da potere scio- gliere i molti nodi che inviluppano ancora gran parte della travagliata vita di quell'ingegno; e spe- cialmente quelli sulla natura, qualità ed oggetti de* suoi amori; e gli altri intorno la vera causa della dura e lunga sua prigionìa. Ed in quella speranza ti confermava l'Alberti, promettendo in più luoghi del suo libro altre pubblicazioni di maggiore im- portanza sull'uno e sull'altro obbietto. In quest'ope- ra però, che ho sott'occhio, non alza che alcun po- co il velo che cuopre ancora per taluni il vero oggetto dell'amor suo; velo che in parte aveva già alzato il Serassi; il quale usando di una prudenza forse eccessiva, ma non certo riprovevole, vide e conobbe qualche cosa piìi di quello che scrisse ed accennò talora modestamente: velo che seppe squar- ciare, senza l'aiuto dei documenti inediti che pos- 200 Letteratura siede TAlberti, il professor Resini nel suo Saggio sopra gli amori di Torquato. Ma perchè, come già dissi, il sig. conte si riporta a future pubblicazio- ni; sarebbe ora impossibile il giudicare, se avesse o no ragione quando asserì, che i suoi documenti recano gran lume alla vita dell' infelice poeta ; e che per essi sono sciolti que' nodi che la tengono ancora intricata. Benché, per ciò che riguarda la prigionìa di lui nell'ospedale di s. Anna, parmi che non pos- sa più dirsi essere un arcano. Sì perchè il luogo indica stiflicientemente quale ne fosse la ragione , che pubblicamente si voleva che ognuno credesse; dico la mentale alienazione: e sì perchè il vero e riposto motivo ci venne svelato dal medesimo Tor- quato. Scrivendo egli al card. Giovanni Girolamo Albani, ricordò come una delle ragioni per le qua- li era tenuto prigione, V avere scritto molte cose pia licenziosamente de" principi e de' privati , che io non doQeva; e aggiunse: Io non sono stato mai, non dirò sì folle, ma sì imprudente, che non Vahhia co- nosciuto, quando io scriveva quelle stesse cose, che potevano altrui maggiormente spiacere : ma io le ho scritte, perchè ho creduto che V^. S. reverendis- sima, e V illustrissimo et eccellentissimo sig. Scipio- ne Gonzaga principe d" impero, volesse che pren- dessi la difesa di mio padre contro i duchi di Fer- rara ó di Mantova contro monsis^nor illustrissimo d'Este, e contro sua maestà cattolica eziandio-^ ed ho creduto parimenti che il serenissimo sig. duca di Savoia, il duca di Urbino, la repubblica di ì^i- nei:ia, i clemcntissimi principi di Germania, il sig. duca Giovanni d' Austria, la difesa dovessero ap- provare ec. (Bibl. Ital. gen. 1816, pag. 43 e segg.). Opere diverse del Tasso 20 < Queste e molle altre cose, che nella medesima let- tera si leggono, sembrano sufficienti a dimostrare il vero perchè di queir imprigionamento. Che se di qiieil'apologia scritta per suo padre, che Tor- quato ritenne come prima origine dc'suoi travagli, non fece parola il diligcntissimo Serassi, non è da fargliene carico; perchè non era pubblicata a' gior- ni suoi quella lettera, che ci recò notizia cosi im- portante. Ma parmi , che scrivendo 1' Alberti nel 183T dei riposti motivi della prigionia di Torqua- to, non dovesse Irasandarla. Riserbando però a lìiiglior tempo lo scrivere intorno a ciò, mi stringo per ora a dire di che si compone il libro del sig. Alberti. Nel principio si legge: Documenti relativi a donna Lucrezia ilEste duchessa di Urbino. Segue una biografia di essa duchessa; vengono poi i documenti, de'quali darò or ora la nota. Che qui mi cade in acconcio nota- re una opinione dall'autore esternata in quella bio- grafia: La duchessa d'Urbino, sono sue parole, vol- le seco condurre il Tasso alla famosa villa di Ca- stel Durante, luogo tanto ameno e delizioso^ che io non dubito punto d'asserire, che da questo trasse egli la hello, descrizione de' giardini di jdrmida (pag. 11); e poco dopo (pag. \'Ò): Io posso assicu- rare il lettore, che alla villa di Castel Durante fit composto quel decimosesto canto , nel quale il Tasso sembra aver superato se stesso ec. Che il poeta componesse il sedicesimo canto in quella vil- la , non saprei asserirlo , non vorrei negarlo. Ma posso negare che egli da essa villa traesse la bella descrizione dei giardini di Armida; e lo nego, ad- ducendone in testimonio il Cazzerà nell'opera so- pra enunciata (pag. 120): anzi lo stesso Tasso, il 202 Letteratura quale dalla prigione scrivendo al Boterò , lo pre- gava che facesse nota al duca di Savoia la sua gra- titudine: ed aggiungeva, aver egli voluto immorta' lare, per quanto in me stia, la magnifica ed unica al mondo sua opera del parco accanto alla capita- le, in una stanza della mia Gerusalemme , do\fe fingo di descriver il giardino del palagio incantato ili Armida, e vi dico : Poiché lasciar gli avviluppati calli. In lieto aspetto il bel giardin scoperse, Acque stagnanti, mobili cristalli ec. Ma veniamo alla indicazione de 'documenti puh- j blicati in questo volume. È primo (tav. Ili, IV, V, VI ) una lettera a Maurizio Cataneo in data del 4 maggio 1572. In essa il poeta descrive un quadro allegorico ricamato in seta dalla duchessa d'Urbi- no. Mi pare che sia la cosa la pili importante fra le pubblicate finora dal sig. Alberti. JNe giudichi il lettore da uno squarcio che c|ui ne riporto: « La • signora duchessa mi ha donato un bellissimo qua- m. dro di arazzo in seta, che può dirsi l' allegoria • di un poema campestre. Si vede nel campo una • lepre investita da tre cani : e vuole che sia la « mia impresa, perchè in essa vi è simboleggiata « la mia partita da Ferrara coU'illustrisssimo sig. « cardinale suo fratello, la cjuale fu seguita dalle • insidiose e maligne dicerie del Pigna, del Mon- « lecatino e del Giraldini, che vestono la figura di H tre cani, i quali sembrano voler quasi divorare • la lepre timida ed innocente. Pendente poi da « un albero, fatto con la maggiore abilita e dili- « genza, si vedo un vermicello da seta, e cjuasl d' Opere diverse del Tasso 203 « appresso la farfalla in che si trasforma: e dice « essere simbolo del mio genio poetico, che sotto « gli auspicii dell'illustrissimo signor duca e delle €< principesse spiegherà il suo volo verso l'immor- « talita. Appiattato tra le foglie dell'albero appa» ■ re un altro vermicello, che ella vuole trasfor- « malo nel corvo, che poco lungi sembra aver vi- « ta: e questo ella dice voler simboleggiare il Pi- « gna, noto pel suo gracidar molesto, e per 1' in- « dole di rapina che appare dalie sue storiche e « poetiche composizioni ec. » Ci vien supposto che lo stesso ricamo sia venuto alle mani del sig. con- te Alberti, e che sia quello pubblicato alla tav. II. Alla tavola X è il sonetto, che per quel dono Tor- quato compose per via, cioè nel recarsi da Pesaro a Ferrara. Lo avea scritto al rovescio di una carta, nella quale avea segnati alcuni suoi ricordi (tav. XI), ed a pie di cui pur di suo carattere si leggono i due versi seguenti, che fanno prova pienissima del suo essere irresistibilmente attratto alla corte fer- rarese : Torno ove Valma e il cor mai non partìoj Là meritare e conseguir desìo. Alla tav. XII è una ottava intorno all'anno, gior- no e mese dell' innamoramento di Torquato. Non dispiacerà ai lettori di leggerla qui intiera: Era quel dì che, memorando al mondo. Del primo padre a riparar l'errore Fu di vergine madre il sen fecondo, Quand'io fui preso ne' tuoi lacci, amore'. Né della Senna il festeggiar giocondo. 204 Letteratura La ferita a sanar valse del core; Che la manOf che stringe il fior fatale, Col don la fé profonda, aspra, mortale. Con la illustrazione di questa ottava termi- nano quelle del sig. conte Alberti che ho sott'oc- chio; ma non terminano le tavole. Alla I è il ri- tratto della duchessa d'Urbino: alle tav. VII, Vili o IX sono quelli di Giambattista Pigna, di Antonio Montecatino, di Ascanio Giraldìni; de'quali tre tien discorso il N. A. nelle note alla lettera , di cui ho riportalo un saggio. Ne vengono poi altre XXI, le illustrazioni delle cjuali vedremo nella prosecu- zione dell'opera. Se non prendo equivoco, pare che alcune si dovranno riferire alla biografia di Eleo- nora d'Este , che è fra quelle dal sig. conte pro- messe. Ma per ora mi basti l'osservare, che in que- ste XXI tavole sono altri otto ritratti; altri due ri- cami, uno creduto di mano di Eleonora, uno della duchessa di Ferrara Barbara d'Austria; una lettera di Eleonora al Tasso, una del Tasso ad Eleonora, una scheda della duchessa Barbara, ed alcuni ma- drigali, sonetti, obbligazioni e note diverse del Tas- so. In fronte al libro è il ritratto dell'infelice poe- ta, copiato dalla maschera tratta dal suo cadavere. Questo aveva io scritto, quando mi fu presentato un manifesto di Candido Mazzarini di Napoli, nel quale sÌ4)romette la pubblicazione dei J/a^iO^^cr//// inediti di J'orquato Tasso, posseduti ed illustrati dal conte Mariano Alberti. Non si creda che que- sta sia una ristampa dell'edizione di Lucca; perchè la lucchese sì compose di soli sei fascicoli; e nella napoletana se ne promettono venti. E gli acquirenti della prima resteranno con im' opera interrotta ? Opere Dìvr.nsi^ del Tasso 205 con un' opera, nella quale si danno 34 tavole, e se ne illustrano dotlici soltanto ? S\, risponde il nuo- vo editore; perche ( dice egli ) quella edizione di Lucca non fu che un saggio; e perchè pochi furo- no gli esemplari (nel primo fascicolo di quell'edi- zione lucchese si die un elenco di 317 associati) sparsi per l'Italia. Vorrò rispondere: E la buona fe- de è salvar* Dopo quest'esempio stiano in guardia gli associati alla ristampa; perchè non promettendosi la pubblicazione di tutti i manoscritti inediti del Tasso, the il sig. Alberti asserisce di avere in pro- prietà, facilmente nel 1840 si avrà una terza edi- zione pili piena; alla quale, oltre a quanto si lesse nella lucchese, e si leggerà nella napoletana, si uni- rà qualche lettera o sonetto o madrigale inedito ec. Ma vada comunque la bisogna, voglio notare, che avendo avuto sott'occhio due fascicoli della napo- letana ristampa, essi, e per la parte tipografica e per la calcografica, sono inferiori di molto a quelli della lucchese. C. C. 206 »=renzione^ derivando questa parola dal latino augere^ verbo che tra gli altri significati conserva pure il primitivo di ge^ Iterare, produrre, ins>entare: onde poi eguali signi- ficati ha la parola autore. Cosi Virgilio disse Apol- lo auctor mihi subvenit, per chiamarlo inventore della medicina: e Lucano piìi chiaramente nominò per tal modo Mercurio inventor della cetera e della palestra: Mercurius auctor citharae liquidae- cjue palestrae\ e Fedro chiamò Esopo autore per inventore'. Esopus auctor, quam materiam reperii., Hanc ego poli\>i etc. Notissima poi è la frase esse auctorem alieni alicuius rei, cioè consigliatore, o, letleralmenle spiegando, essere inventore o consi- gliere ?n\ alcuno di qualche cosa: significazione che equivale a porgere ad alcuno rcseinpio o il consi- 208 Letteratura g^//o intorno qualche cosa. E il ForcellinI spesso accenna: Latius inde extenditur ad signi ftcandiiiu euni,cuius auctoritate aiit imperio, ite ni Consilio, opera, impili su, suasic vel edam exemplo, aliquid fit-, uno verbo, qui aliquo modo causa est aliquid fa- ciendi. Anzi, senza ricorrere a questa frase, non pe- nerei a pensare che Dante avesse quasi voluto di- re a Virgilio: Tu sei il mio inventore, cioè l'invento- re delle cose che io ho descritte. Ne mi pare di- lungarsi mollo da questo avviso il Buti, citato dal vocabolario alla voce autore, poiché dice: Maestro è colui che insegna, autore colui che Varie coli* opera dimostra, a cui si dà fede nella sua opera. Conciossiachè chi dimostra con opera tutta propria un' arte propria, a chi ha fede nell'opera sua , è inventore appunto. Così credo io che coli' opera propria il Galilei dimostrasse, a chi aveva fede in lui, la verità del moto della terra; così il Volta la potenza dell'elettricità dimostrava coU'arte sua nei replicati suoi esperimenti. Farmi poi che acquisti bellezza dalla gradazione de' pensieri T intero ter- zetto: poiché Dante ringrazia prima Virgilio degli insegnamenti che gli ha dati; poi della invenzione che gli ha somministrata; indi dello stile che gli ha porto a colorirla; che è la terza delle cose es- presse da Dante. E tutto questo poi si comprova dal fatto : polche non è figliuolo tanto simile al padre, quanto Dante al suo maestro Virgilio sì nell* invenzione, e sì ne'colori dello stile. Alla qual cosa se altri avesse posto mente, non si sarebbe, credo io, fantasticato da taluni , che la visione di frate Alberico , o il versetto di un salmo che per caso comincia: Nel mezzo de miei giorni', avessero dato l'invenzione all'Alighieri della piìi vasta creazione, Divina Commedia 209 che mal facesse umano intelletto. Ora giudicate voi se io abbia o no torlo di dubitare , che non sia stato fin qui ben inteso Dante : perciocché io alla sentenza vostra mi abbandono. Un altro luogo neW Inferno vi ha al canto XII verso 119, che fa stralunar gli occhi agli inter- preti : . . . colui che fesse in grembo a Dio Lo cor che sul Tamigi ancor si cola. Chi vuole detto si cola per si cole, antitesi non bella ne dantesca, poiché non so che onore ivi si rendesse a quel cuore, fuorché il segreto fremito di bramata vendetta: altri ancor sì cola, intende che ancor se ne sta sul colatoio . . . Ma non sa- rebbe egli accomodato tutto con un solo accento posto sul si, leggendo ancor sì cola, vale a dire, ancora gronda sì fortemente, sì fieramente sangue? Noi usiamo dire comunemente di una cosa , che chiama vendetta: Questa cosa gronda sangue ! Or bene, non sarebbe egli questo modo equivalente al cola sangue ? E in questo caso a me sembra , se mal non mi appongo , che siavi il senso reale e metaforico. Nel senso reale cola forte ancora, vale, è ancor fresca la ferita : e nel metaforico , cola sangue, vale aspetta vendetta. E ciò a senso degli interpreti tutti è quanto vorrebbono doversi inten- dere a questo luogo , al quale poi hanno dato il guasto sì malamente. Infatti dicono che « trasferi- « to in Londra (vedi il Dante della Minerva di Pa- « dova tom. I pag. 276 ) il corpo del morto Ar- • rigo, fu sopra di una colonna , a capo sul Ta- " migi, posto il di lui cuore entro una coppa d'oro, G.A.T.LXXK. 14 210 Letteratura • per ricordare agi' inglesi l'oltraggio ricevuto: • cioè ridestarli alla vendetta del medesimo. Se io adunque non vado in fallo, con un accento solo il passo intero è chiarito. Non crediate però , mio caro marchese , che colla mia nuova lezione intenda toglier pregio alla vostra, pubblicata già nell'arcadico, e ripetuta nel comento del Costa: ove vi piace leggere si gola^ dall'antico verbo italiano e dantesco gelare , aver gola, aver desiderio : ma solo voglio che sappiate essere stato intendimento mio il mostrare, che an- che con un accento potrebbe darsi ragionevole spie- gazione a questo luogo. Al canto XIII dell'inferno verso 20 si legge da alcuni : Però riguarda ben se vederai Cose, che daran fede al mio sermone; ed altri : Però riguarda bene, e si vedrai Cose, che torrien fede al mio sermone. Il codice vaticano poi legge: Però riguarda ben, sì vederai ec. Ora da se nessuna di queste lezioni mi sembra schietta: no se {federai, perchè la dubitazione qui non ha loco: no bene e sì vedrai, perchè quella co- pulativa sente di debolezza, e snerva la dizione dan- tesca. Nel secondo verso poi chi può ammettere per buono il torrien, senza vedervi stranezza ? Ora non Divina Commedia 211 Sì potrebbe di tante lezioni farne una sola, che io giurerei la vera ? Però riguarda ben: sì vederai Cose, che daran fede al mio sermone. Ove il sì corrispondente sarebbe allo scilicet dei latini, e acconciamente verrebbe a rinforzare la ma- raviglia , come nel luogp del Boccacio cilato dal vocabolario: — O sì^ non l'avrei mai creduto: se non piacesse ad altri averlo in luogo di afferma- zione, per crescere fede al detto: nel qual caso sa- rebbe equivalente al i?i vero, certamente. Dante al canto XXVIII del Purgatorio verso 49 assomiglia Matilde a Proserpina, e dice così : Tu mi fai rimembrar dove e qual era Proserpina nel tempo che perdette La madre lei, ed ella primavera. Terzetto chiarissimo in ogni parte, ma solo oscu- ro nell'ultima parola, sì che i commentatori hanno date varie interpretazioni a quella primavera. Al- cuni, non andando più oltre la corteccia, hanno in- teso primavera per fori, perchè Ovidio nelle me- tamorfosi al libro 5.° verso 399 dice : Collecti flores tunicis cecidere remissis. Ma questa interpretazione, sia lecito il dirlo, sa di puerilità. Infatti che vi sarebbe di gradazione nel concetto dicendo, che una madre perde la figliuo- la, e la figliuola i fiori ? Dante sempre afforza e cresce le tinte, non mai le illanguidisce e le sce- 212 Letteratura ma. E poi l'idea è troppo lontana dal sensi, a pa- rer mio, e riesce fredda; cosa che sta affatto con- tro la natura dello stile dell'Aligliieri. Altri dice perde il terreno nativo lieto di eterna primavera: e la interpretazione, noi nego, è migliore; ma non sod- disfa interamente , a chi ben guardi per entro il concetto. Il eh. cavaliere Strocchi fondandosi prin- cipalmente sopra l'autorith di Ausonio e di Poli- ziano, che usano primavera pel primo fior virgi- nale (e prima d'essi Ovidio nelle metamorfosi iib. X aveva usato modo somii^liante o' , amorem In teneros transferre mares, citraqtie iuvenlatn Aetatis breve ver, et prìmos carperà flores ) intende che qui si alluda alla verginità perduta da Proserpina per opera di Plutone. Se non è arro- ganza contraddire all'opinione di sì lodato e grave maestro, siami lecito avvertire alcune cose. Prima il concetto acquista non so che di luliricita , che non è dicevole spezialmente parlando di casta e santa donna, qual è Ma tildi; : coiiciossiachè par mi che poco aggraziato sarebbe il concetto Tu mi seni- bri Proserpina quando perde il fior virginale. Ol- tre di che, se è da credere agli antichi mitologi, la madre non perde la figlia, quando la figlia per- de il primo fiore; giacche ed Esiodo nella teogonia al verso 911; ed Orfeo negli inni, ed Apollodoro nel libro 1.° capo 6, e Diodoro Siculo nel libro 5, e Pau- sania nel libro 8, e Igino nelle favole, e Arnobio nel libro 5 ci fanno sapere, che non Plutone, il qua- le sposò nell'inferno Proserpina, ma Giove ne colse le primizie; perocché, preso dalla .bellezza di lei, Divina CoMiwEDrA 2f3 sotto forma
  • era per sempre: volendo si- gnificare: Colei andò ad abitare fra i morti ? Non potrebbe qui il poeta aver preso per figura ret- torica la primavera, ad indicare stagione tutta pro- pria della terra che noi abitiamo, e con cjucsla pa- rola significare bellissimo concetto, cioè: La madre perde la figliuola , e questa perde primavera per sempre: cioè perde per sempre il mondo ? A me sembra che il concetto acquisti quella gradazione, che altrimenti non ha, e tenga del carattere dello stile di Dante; cosa che nell'interprctare parmi si debba avere sempre in mira. Or per passare ad altro, vi ricorderà certo co- me monsig. Della Casa riprende Beatrice, perchè al trentesimo del Purgatorio dice a Dante : L'alto fato di Dio sarebbe rotto ' Se Lete si passasse, e tal vivanda Fosse gustata senza alcuno scotto Di pentimento, che lagrime spanda: e vi ricorderà pure delle ragioni, che adduce per farne coscienza a Dante; le quali ragioni furono, non ha guari, ripetute dal Costa nel suo bellissimo trat- tato dell'elocuzione. Io incomincio dal dubitare che la lezione sia errata: e in dubbio mi conduce il vedere, che l'oii- Divina Commedia 215 da di Lete sia chiamala vivanda^ perocché se si dee stare colla dcfini/Jonc, che si ha di questa parola, ella corrisponde ^yWepulae dei latini, e l'acqua di un fiume, qualunque sia, porge poco da vivandare. La crusca poi ci dice, vivanda essere ciò che si mangia, ciho: ne l'acqua si è mai mangiata. Ora non potrebbe essere che in antico fosse scritto bidanda^ bevanda, e che gli amanuensi o gl'interpreti cre- dendo forse che il h ivi stesse in luogo di s^ come nelle parole boto e boce per voto e voce, avessero di capriccio senz'altra considerazione forse scritto e letto vivanda? E come mai si può acquietare l'animo a credere, che Dante abbia preso in iscambio ed il bere ed il mangiare, e l'onda di Lete conver- tita in pane o in focaccia? Se forza di ragiona- mento, o a dir meglio, lume di ragione bastano ad emendar questo passo, perchè non si debbe leg- ger adunque bevanda in luogo di vivanda? La qual vivanda a dispetto del buon senso qui posta, non altrimenti che le carni d'animale immondo agli ebrei, ha portato i cementatori a peccato non lie- ve. La vivanda per associazione ha chiamato die- tro a se l'idea di vivandiere: tal che Io scotto sus- seguente è stato, senza più, inteso per lo pagamen- to che al taverniere si dà per la cena, che ti ha imbandita. E così Beatrice ebbe piantata di botto una taverna, e Dante in questo luogo ha merita- to biasimo di poeta ignobile. Creda chi vuole: io per me non saprei piegarmi a si fatte autorità. I commentatori come le pecorelle si vanno ap- presso l'un l'altro, e quello che l'un dice, l'altro ripete: tanto che chi voglia opporsi, senza molto ardimento non ci basti. Essi non hanno veduto che la parola scotto nel linguaggio de' romagnoli, cui 216 Letteratura Dante ben conosceva, vale scottamento, scottatura^ e noi diciamo questo mi scotta forte\ per signifi- care questo mi duole: di questo mi pento. E cosi d'uomo che va tra mesto e dolente usiamo dire: egli va scotto scotto: quasi scottato, come è in pro- verbio, à?AWiqua calda: onde avrà a guardarsi dal- la fredda. Dante si protestò solennemente di usare la lingua nobile, delibandola da tutti i parlari d' Italia: ora non potrebbe egli credersi che avesse tolta questa dal dialetto nostrale? Questo dubbio mi si fa poi più forte, quando vedo il bello e poe- tico senso che n'esce, lutt'altro del ridicolo che ora si estorce da quel terzetto. Il pentimento si asso- miglia al dolore che da il fuoco scottando la pel- le; e ne vengono di conseguenza due vaghissime idee, quella del dolore, e quella del rossore, che dallo scottamento nascono, le quali qui calzano a maraviglia. E l' espressione dantesca in tal caso suonerebbe: Se Lete si passasse, e tal bevanda fos- se gustata senza alcun dolore e vergogna di pen- timento. Senso nobilissimo e degno di Beatrice. E come può egli essere che Dante abbia voluto di- re. Tale vivanda gustare non sì può senza alcun pagamento, che spanda lagrime? Oh! qm aflfè usci- rei de'gangheri, come dicono! Quale scotto è sì gra- ve a pagare per vivanda qualunque, il quale poi faccia pentire sì forte, d^ doverne piangere? Sfido tutti i retori , senza eccettuare la reverenda bar- ba di monsignor Della Casa, a dirmi ove sta qui il termine della comparazione.... Dubito adunque che tutta la terzina debba intendersi, e leggersi: DlVlNJ!^ GoMIWEDIA 217 L'alto fato di Dio sareLbe rotto Se Lete si passasse, e tal bevanda Fosse gustata senza alcuno scotto (cioè scottamento) Di pentimento, che lagrime spanda. La metafora poi presa dallo scottare fu sì pro- pria de'Iatini, che noi abbiamo i modi seguenti in Cicerone: jicerhissimum alleiti dolorem inurere,, cioè quasi scottarlo col dolore : inurere famam crudelltatis-, e somiglianti. E Virgilio, gran mae- stro di Dante, disse: Dolor exarsit: ardet ossibus* Onde pare che benissimo Dante esprimesse colla parola scotto per scottamento ciò che i latini avreb- bero detto inurere dolorem poenitentiae. (1) (i) Aveva io cosi scritto, quando il nostro amico prof. Sal- vator Betti mi avvisò , che Alessandro Guarini nel suo dialogo intitolato il Farnetico savio ovvero il Tasso (Ferrara 1610), non diversamente fa parlare il gran Torquato, eh' è ivi uno degl'in- terlocutori. Ecco il passo: ,, Il Casa (salva l'autorità di tant' ,, uomo) ebbe torto a riprender Dante in quel luogo. E ciò ,, dico io coU'autorità di grande ingegno, il quale non espone— „ va quella parola nel comun senso di costo, ma à\ scottamento: ,, e dava forza alla sua sposizione col verbo scottare, che in ,, fiorentina favella importa quel medesimo che nella nostra vol- ,, gare, e che essi toscani direbljero più leggiadramente cuoce- ,, re. E notate , che se si pon mente all'effetto , che suo 1 cagio- ,, nare il gustar de' cibi troppo caldi e cocenti, è molto verisi- ,, mile che questo sia il vero sentimento di quella voce: percioc- „ che non ha dubbio, che quando il palato rimane offeso dal ,, soverchio calore delle vivande, lagriman subito gli occhi, co— ,, me se le loro acque volessero temperarlo; e però il traslato ,, yien a riuscir mirabile, quando dice; Senza alcuno scotto Di pentimento che lagrime spanda. „ 218 Letteratura Anzi, se nuovo errore non mi gabba, io sono d'avviso che la parola scotto in tutti i significati che i vocabolari le danno, sia di continuo metafori- camente usata: e il significato proprio sia quello in cui qui Dante l'adopera, cioè di scottatura, scot- tamento. Ma questo, che saria cosa di sottile di- mostrazione, lascio ora a parte: che voi coll'eru- dizione vostra e col vostro sapere potrete senza pili discernere se piìi io colga o no al segno. Quan- to a me, questa censura del Della Casa avrò sem- pre per mal fondata: come malissimo fondate so- no quelle altre fatte all'espressione di Dante lu- cerna del inondo^ anziché dir sole: non ricordan- do che Virgilio avea detto: Sol lustrabat lampade terras'. e Phoebeae lampadis instar: e Cicerone ave- va chiamato lucerne gli occhi. Se monsig. Della Ga- sa credeva che questa maniera potesse offendere i moderni, poteva avvisarlo senza farne fallo a Dan- te: tanto più che conveniva pur rammentare, che la parola lucerna non vuole significar altro che Fin qui il Guarini. Esso prof. Betti mi avvertì pure che la pa- rola scotto non è sempre vile e da tni'ema , come vuole mon- signor Della Casa; né lia solo gli abbietti significati che le dà il vocabolario : ma si trovasi gentilmente adoperata in opera nobilissima e virgiliana del bel trecento , cioè da Fr. Guido da Pisa ne' Fatti di Enea ( cap. 21, ediz. veneta del i835. ). Per- ciocché dice quell' antico , facendo parlare Eurialo ; E se quest' onore , che tu vai cercando , vuoi comperare con la tua vita , quale è la cagione die tu non metta a questo iscotto la miai ,, Veramente (osserva il Betti) qui scolto , usalo in luo- „ go si affettuoso e si nobile , sembra significar piuttosto pe- „ ricalo , ovver quota o cola parte , come il eh. conte Asquini ,, volle appunto che significasse il vocabolo dantcscojdel e. xxx ,, del Purgatorio (v. Giorn. Arcad., voi. di ottobre e di novem- „ brc i833.) .„ Divina Commedia 2f9 cosa che dà luce: e per metafora poi s' impose questo nome a quel candeliere^ che in un vasel- lo racchiude l'olio e il lucignolo. Onde non si do- veva condannare chi usò una parola nobile a' suoi giorni; propria in origine, ed usata dai latini con vaghezza e dignità. Ne manco avrebbe dovuto bia- simare il chiamar S. Domenico drudo della teo- logia; perchè, se avesse bene osservato, drudo non è che sincope di druido, e ognuno sa che i druidi erano sacerdoti, e che la parola stessa fu usata a significare in ^enave filosofo sacerdote. Ora none egli bello il dire che San Domenico fu amoroso sacerdote della teologia? A me pare che tutte le significazioni di questa parola sincopata in drudo non siano che continui trasporti di metafora, dai quali si può sempre pianamente risalii^e al primo reale suo essere. Convengo che a' dì nostri questo modo mal si riceverebbe in tale significazione: ma non è da incolparne Dante, il quale senza spirito di profezia non poteva prevedere qual nuova si- gnificazione prenderebbono le parole, diversa da quella che suonava alle sue orecchie. Che mara- viglia se Dante è oscuro a molti, quando vi sono passi malamente letti, alcuni interpretati alla peg- gio ? E fra i molti passi mal letti è pure da an- noverare quel luogo, eh' è al verso ottantesimo quarto del canto XXI del Paradiso, ove il poeta dice: Non venni prima all'ultima parola, Che del suo mezzo fece il lume centro, Girando se come veloce mola. Poi rispose l'amor, che v'era dentro: Luce divina sovra me s'appunta, Penetrando per questa ond'io rtiinventro. 2*20 Letteratura Io giurarci per la vita tll quanti sono e furono in- terpreti, che Dante non scrisse mai miiiventro. Come mai un' idea sì nobile in una parola si scon- cia, sj inesatta? Il concetto è chiarissimo: ne Dante con tanta potenza dì parola, cjuanta ne possedeva, l'avrebbe sconciato mai, dettandolo quale noi lo leggiamo. Ben gli accademici s\ addierono della stranezza della metafora, e dissero ininventlÈo equi- valere a miìiterno^ derivandolo non da ventre ma da entro; e il Viviani lesse minentro. per toglie- re la sconcezza della prima lezione, che ben egli giudicò falsa. Non si appose però al vero nella so- stituzione, a quel che. me ne pare: ed errò pur egli. Direte voi, mio dotto commen „ 4 .8 29 » J „ SI- j, 0 2.5 26 4 '7 46 „ q. 0 10 „ 4 ser. mal. » 0 _9 6 '9 35 „ m " i >1 27 « f- >f SI- )> „ 0 24 26 5 ib ò 35 » ti 8 5 ser. 27 1 1 6 21 '7 „ m » mal. „ „ 4 i8 » J ,, gì- » 10 7 25 27 lò ò OJ 0 ra 8 „ 6 ser. mal. » >» ò 22 24 2 5 N d nuToIoso 1» 3 6 '9 19 18 7 6 NE „ 0 0 1. t. pi. li 1 4 nuvolosissimo coperto ser. >} 11 0 j6 7 2 25 chiaro 7 mal. » „ „ '7 4 N. q. 0 pio. ab. ser. nuv. sp. gì- „ „ „ 23 25 lò 29 0 0 J2 75 2 6 „ ser. " » 8 16 2 N d coperto 8 mal. gi. 28 0 0 i3 21 5 23 •4 3 i3 0 0 SO m .5 tli. nuv. sp. ser. 37 1 1 8 7 18 5 i6 4 S d NE,, coperto chiarissimo mal. „ a5 5 5 9 Si- 38 0 2 22 28 N ,. 6 5 ser. 3 0 18 26 mal. f •7 " h „ „ 7 14 5 IO g^' ser. 1, 3 2 3 23 .7 5 14 34 1 j 47 i3 0 0 6 5 '■■ mai. 0 7 _... il g'- ser. " „ 7 22 5 20 »4 26 12 ò 55 29 5 SO m „ d. 7 5 ;; mal . ,1 2 0 N q. 0 S d 19. S^- J, >? ,, 24 25 4 0 7 39 r. " ser. )> 1 6 i3 24 7 0 0 „ mal. „ « 4 i5 »4 18 Il »» nuvoloso i3 gi- „ » ò 22 S m 5 ser. mal. gi- „ « » 18 i5 23 2; 5 4 3 23 0 0 chiarissimo i4 » « 0 2 '4 N. d. 0 0 4 ser. vaporoso ser. mal. " " » '9 16 1 ~N~,^ — thiarissinio B i5 „ M 0 1 g'- „ „ i> ■Mi 27 lò 35 SO d 1 r> 5 1 ,'r. 1 ìlSSi StCSM osa wmeà i5 S .1 ! Cappello, Ragionamento intorno all'opera del TofToii sulla rabbia canina . pag. 129 Bonanni^ Elementa iuris criminalis. . ,, 176 LETTE|IATURA Tasso, Trattato della dignità pubblicato dal cav. Gazzera, e manoscritti inedi- ti pubblicali dal conte Alberti . ^y 180 Montanari, Dicbiarazione di alcuni luoghi della Divina Commedia. . . . ,, 206 Monti, Versi inediti tradotti in latino dal Montalti ,, 223 Toriglioni, Epistole ed arte poetica di Ora- zio tradotte „ 233 BELLE ARTI , j. Pungileoni, L' Assunta del Correggio di- pinta nel duomo di Parma . . ,, 240 Varietà. ^1 Tavole meteorologiche. NECROLOGIA 257 V\^J Il Marchese Luigi Biondi u. na perdita gravissima ha fatto il nostro giorna- le, ha fatto Roma, ha fatto l'italiana letteratura. Il marchese Luigi Biondi, nella mattina dei 3 di set- tembre 1839, spirò nella pace de' giusti in mezzo Je lagrime sincerissirae di tutti i buoni. Era egli nato in Roma il dì 21 di settembre 1776 : ed ognun sa come la fama celebravalo da gran tempo per uno de'più dotti ed insieme de'piìi puri e leggiadri nostri scrittori così di prosa come di verso. Imperocché tenerissimo della gloria ita- liana, e sper.ialmente di quell'alta e bella ragione di lettere che per tremil'anni arricchì la Grecia e l'an- tico ed il nuovo Lazio di tanti miracoli di umano in- gegno, ad essa religiosamente si tenne come a gran- dissima scuola: essa raccomandò sempre quaTàncora di salute alle menti de'nostri: e con generoso sdegno si volse a quella nuova plebe di stolti, che spropo- sitando di reftorica e di metafisica, intende oggi ringiovanirla (taf è la sua boria) col non istudiar piii in veruna proprietà ed eleganza la lingua , col porgerci una farragine di metafore tutte strana- mente dedotte, col non serbare più ninna chiarezza d'ordine nelle idee, col prendere più volentieri a G.A.T.LXXX. 17 258 Necrologia parlare di cose orribili e barl)are, e col farsi in- fine interamente straniera dal senno degli avi. Quin- di i classici del volgar nostro, e soprattutto la di- vina commedia, ebbero in lui im sagacissimo illu- stratore: come ne rendono fede i tanti scritti che pul^blicò in questo giornale, di cui nell'anno '/819 fu uno de'fondatori. Né si conobbe meno di anti- chità: sulle quali ci diede pure importantissime dis- sertazioni negli atti dell'accademia romana di archeo- logia. Ebbe inoltre un senso finissimo per le belle arti: e se non le professò, le prolesse però in ogni miglior maniera, e sempre le onorò siccome luce splendidissima di Roma e d'Italia, principalmente nel tempo che per S. M. il re di Sardegna soprintese fra noi agli studi de'pensionari piemontesi: e spes- so ne fece anche oggetto de' suol nobilissimi scrit- ti. Ma le pili insigni opere sue, le quali , finche l'idioma nostro vivrà, rimarranno nel tesoro delle italiane eleganze, sono le traduzioni di Tibullo e della georgica di Virgilio (1). Aggiungansi le can- tiche soavissime per la morte di Giustina Bruni e di Giulio Perticari: e quegli scherzi anacreontici, che si crederebbero non pure inspirali, ma dettati dallo slesso canlordi Teo. Aggiungansi infine \e Di- cerie di Filippo Ceffi fiorentino, testo prezioso di bel parlare, e grave esempio, per non dir unico, che siaci rlmaso dell'eloquenza politica del secolo XIV: testo >oli^ di ago- stino Cappello^ letta alla pontificia accademia da' lincèi nel dì 30 settembre 1839. D Articolo II. uè anni or sono io vi ragionai, o lincei, intor- no a questo argomento, narrando quanta fosse sta- ta la venerazione e quanto il grido, che presso gli antichi romani ebbero le acque albule. Di che era- no chiara prova non meno i preziosi marmi e sta- tue gik da lunga pezza qua e la disseminate, che le lapidarie iscrizioni, e l'istorico racconto de'clas- sici, in ispecie di quei dell'aureo secolo di Augusto che fu il fondatore degnissimo di quel sontuoso sta- bilimento. Ma come le altre vetuste grandezze, così questa delle albule rovinò totalmente per le barba- riche invasioni: che anzi ostruitosi il canale, e di- salveato il loro corso, allagaron esse la tiburtina pia- nura. Laonde non solo andò in oblìo Tigicnico e le- Bagni di Tivoli 261 rapeutlco loro uso, ma orl):iti ancora furono gli abi- tanti della fertilità della terra, convertita in un pa- dule assai esteso, ed alla pubblica sanità infestis- simo. Il cardinale Ippolito D'Este, governatore di Ti- voli, alle altre magni ticenze aggiunse quella gran- dissima di far raccogliere le disperse acque, ed in- canalarle nell'alveo che tuttora ammirasi, con im- menso beneficio della salute e della economia ru- rale dei tiburtini. Venne quindi fatto ad un cele- bre medico (Bacci), che esercitò piìi anni la medi- cina in Tivoli, di eccitare un illustre tiburtino al ristoramento degli obliati bagni di Cesare Augusto. La quale ristorazione da esso accennata nel dotto suo discorso intorno ai medesimi, io per la rarità ed importanza sua non solo vi narrai, ma feci an- cora esso discorso di pubblico diritto. Nel decor- so anno (1838) destinavasi nell'elenco delle dis- sertazioni di quest'accademia la continuazione sul- lo stesso argomento: ma fortuite combinazioni im- pedirono a me e ad un esperto chimico di an- dare in Tivoli per istituire l'analisi di dett'acqua, siccome aveva io annunziato nel primo ragiona- mento. Laonde portatomi nel luglio di detto an- no sulle rive del Tronto^ ed osservando ivi un re- cente avvallamento colla comparsa del tutto nuova di acque solfuree, invece delle albulc vi resi conto di quell'avvenimento, che fu del pari l\itto di^^pub- hlica ragione. Siccome poi l'impulso a quel viaggio era stato il funestissimo cholèra di Roma dell'anno precedente, cosi vi accennai di volo che l'iniquità, l'ingratitudine, e l'orgogliosa presunzione, nel de- ludere l'incessante mia vigilan/.a, erano state le po- sitive cagioni del romano disastro, in onta dei go- 2(32 Scienze nerosi sforzi del governo, che mercè di sapienti leggi sanitarie liberò dai flagello indiano quasi tutte le sue provinole. Immune al certo ne sarebbe andata anche Roma, se cotanta incredibile malignità non si fosse in bassissimi animi annidata; di che m'impo- si obbligo severissimo di trasmetterne alla posterità gli amplissimi documenti, perchè sieno essi di so- lenne ricordo, e di istruttivo e memorando esempio. Per venire all'odierno argomento , estimo di mettervi innanzi, o lincei , i generali divisamenti invalsi appo i moderni sull'uso de'bagni, acciò ser- vano, quando che sia, di norma a chi dovrà diri- gere Il progettato tiburtino ristabilimento. Dopo ciò, mostrerassi il meglio per me possibile l'utilità che racchiudesl nelle acque minerali di Tivoli, che for- mano l'obbietto principale di questo ragionamento. Dicesi generalmente baglio^ quando s'immerge il corpo neir acqua. All' uso di esso diviene indi- spensabile pel medico la cognizione dei diversi gra- di di temperatura, la quale , se osservasi relativa alle individuali sensazioni di caldo o di freddo, pe* bagni tuttavia slatuisconsi 1 gradi della medesima comparati con quei del calore animale che è gene- ralmente di gradi 29 del termometro di Rèaumur. E ben conta la provvida invariabilità del calore ani- male nei piii svariati climi: ond'è che ciascun in- dividuo serba più o meno eguale 11 proprio calo- re. Sopra questa inconcussa base stabilirono i mo- derni chimici la graduazione de' bagni. Appellasi quindi generalmente bagno freddo dal zero, che se- gna il detto termometro, sino all'elevazione sua di 15 g^radi; da questa sino ai 23 distinguesi il ba- gno col nome di fresco, e volgarmente si dice an- che temperato: dal 23 gradi ai 20 si costituisce il Bagni di Tivoli 2G3 Lagno tepido o caldo, e caldissimo chiamasi il ba- gno al di sopra del 29 grado. Ma in cot.este generali vedute, ogni medico spe- rimentato conosce bene die si danno eccezioni re- lative all'idiosincrasia dell'individuo, e alle diverse speciali modificazioni delle proprietà fisiologiche e delle patologiche condizioni, e da ultimo all'azione varia dello stesso fluido che vuoisi adoprare. /Vv- viene, a modo d'esempio, che se sotto l'uso dei ba- gni raramente si osserva l'eguale pulsazione, gene- ralmente per contrario accade, che esercitandosi la potenza del bagno generale sopra tutta la superfi- cie dell'origano dermoide ricco non meno di oi^ni sorta di vasi che di numerosissime nervose papil- le, oltre il generale orgasmo , suscitasi una varia- bilità nei polsi, le cui battute sogliono nei bagni caldissimi aumentarsi e diminuirsi a misura che de- cresce la loro temperatura. Essendo poi l'individuale vitalità diversamente modificata nei diversi organici tessuti, e differen- temente risentendo essi l'azione degli esterni agen- ti, ne deriva che varia del pari priisentasi la ri- sultanza dall'azione dei bagni prodotta : il perchè richiedesi sempre il giusto medico criterio per ap- propriare alle svariate morbose evenienze il conve- nevole riparo. Tuttavia per l'argomento in discorso una pratica giornaliera ci ammaestra, che in gene- rale indebolisce l'usi) del bagno tepido, e corrobo- ra invece il bagno freddo. Dee però riflettersi, che l'azione, come dicono i moderni, controstimolante del bagno tepido avverasi piìi chiaramente in persone dotate di un equabile eccitamento ; perlocliè soffri- rebbero esse molestamente una sensibile diminuzio- ne di calorico. Illusoria e quindi la corroborante 264 Scienze proprietà, quando individui soprabbondando di ec- cesso di forze, coi deprimersi esse per mezzo del bagno tepido, si restituisce lo stato normale, e cor- roborante perciò apparisce l'azione sua. Debilitante dunque essendo l'azione de'bagni tepidi, gli autori pili assennati dell'arte salutare li raccomandano nel- le malattie di esaltato eccitamento, precipuamente del sistema nervoso. Eccezionale però deve dirsi , se talvolta osservasi diversamente cotest'azione: av- venendo, come si disse, per la modificazione vita- le della fibra, capace ancora per la simultanea con- comitanza dea,li altri esterni ed interni aijenti a ri- sentire variamente gli efifotti del calore. Ne cade dubbio che comunemente è praticato il bagno te- pido: rarissimo peraltro, e riuscirebbe generalmen- te nocevole l'uso del bagno caldissimo, di cui fu assegnata la temperatura al di sopra di quella del- l'uomo. Non è raro però l'uso dei bagni a vapore: che anzi utilissimo riesce in diverse morbosità. Ma rari bensì si rincontrano i bagni a vapore nello stato na- turale, onde artificialmente sogliono rendersi le ac- que al vaporoso stato , sciogliendosi in esse anche qualche medicinale sostanza che piìi giovevole all' uopo sia dal medico estimata. Vantaggiosi quindi sperimentansi i bagni a vapore in cronici morbi , intorno i quali reputo per ora superfluo d'intratte- nermi. Quantunquepoi nei paesi del nord, ed in qualche altro luogo sieno liberamente praticati , ciò non ostante quasi dappertutto veggonsi i mede- simi saviamente disposti; di manierachè non solo li- bero fassi l'atto della respirazione coll'aria comu- ne, ma non perviene ancora la loro azione ad of- fendere gli organi della visione, dell'olfatto e dell'u- Bagni di Tivoli 265 dito. Imperocché il meccanismo pei bagni a vapo- re è costruito in modo, che volendosi amministrar- li per esempio in una gamba, vien essa ermetica- mente rinchiusa in un recipiente, ove per mezzo di apposito tubo conducesì l'adattato vapore; siccome io stesso vidi in diversi stabilimenti pubblici d'Ita- lia e di oltremonte. Ne debbe tralasciarsi di parlare delle docce , che non furono dagli antichi praticate , sebbene adoprassero l'embrocazione, l'aspersione, ed anche lo stillicidio, ben diverso però dalla doccia. Consiste essa in un ben inteso recipiente con uno o più tu- bi, ne'quali scorrer deve l'acqua in modo tale, che con grandissima forza percuota la parte che vuol medicarsi. La doccia, che più comunemente si pra- tica, è la obliqua, formando il violento gettito dell* acqua un angolo acuto col suolo. In non poche malat- tie è commendato l'uso delle docce: che se le caldis- sime (di sopra almeno a 30 gradi) sieno le più usi- tate, pure in alcuni cerebrali afflussi, in irrefrena- bili emorragie praticasi utilmente la doccia fredda; mentre la doccia assai calda giova negli ispessiti glandulari conglutinamenti, e soprattutto negli ad- dominali infarcimenti ad ogni altro farmaco ribelli, eccetto se uno o più de'contenuti affetti visceri non fossero disorganizzati. Deve peraltro notarsi, che ta- lora grande calore coU'uso di essa risvegliasi nelT addome, e fa d'uopo in tal caso, terminata la doc- cia, immergersi in un bagno generale tepido. Ne è la sola meccanica forza della doccia che valga a sciogliere siffatti indurimenti, ma l'azione eziandio del calore, cos'i fortemente spinto nell'affetta locali- tà, contri])uisce a riportarla soventi e a gradi a gradi allo .^talo normale. 266 Scienze Generalmente 1 bagni, le docciature poi sem- pre, debbono adoprarsi a stomaco digiuno: e non maggiore di un'ora, ne meno di un quarto dev'es- sere la loro durata , e continuata dai 20 ai 30 dì. Dei bagni freschi' Diconsì bagni freschi, quando la loro tempera- tura, come si è sopra accennato, elevasi dai 15 ai 24 gradi del termometro di Rèaumur. Sotto questa categoria (nelle stagioni di primavera, estate ed au- tunno) è lo stato naturale delle nostre acque albule: della cui disamina dovendo specialmente occu- parmi, credo io a proposito fermarmi più che ne' precedenti sopra i cornimi divisamenti de' bagni freschi , per dimostrar poscia meglio i vantaggi delle suddette acque. Non può a prima giunta negarsi la confusione di alcuni pratici intorno alle terapeutiche qualità de'bagni freschi: onde avvenne sovente di essere stali usati in malattie di forma totalmente opposta. Che se ciò, comò dirassi, può in diverso senso ac- conciamente avvenire, talora irragionevolmente ac- cadde con manifesto danno dell'infermo. In gran pregio furono i bagni freschi presso gli antichi , e maggiore, secondo Plinio, fu il loro grido dopo la guarigione di Augusto, perlocchè divennero anche di moda. Vidersi difatti giovani e vecchi, grandi e cortigiani, e gli stessi filosofi irrigidire le loro mem- bra nei bagni freddi per far corte al loro signore. La ripristinata salute di Augusto, mercè de'bagni freddi, avrk forse contribuito al magnifico stabili- mento presso Tivoli da esso fondato, siccome si e sopra ricordato^ la qual cosa sembrami essere sta- Bagni di Tivoli 267 ta dimostrata nel primo ragionamento colla iscri- zione lapidaria quivi riportata. Si accresce questa congettura, se riflettasi die Antonio Musa suo me-r dico , cui per suo ordine innalzossi una statua nel tempio di Esculapio, lodasi non poco delle a- cque albuie. In maggior credito ancora si ebbero ap- po i moderni i bagni freschi, e circa due secoli ad- dietro reputavansi quale universale panacèa. L'individuo, che esponesi alla loro azione, pro- va dapprima brividi di freddo e tremiti ancora con un generale orgasmo esterno ed^ interno : irregola- re e frequente fassi la respirazione , e talora si ha ripetuto prurito di orinare. Prolungata poscia l'a- zione del bagno freddo, soffresi stupore ed intor- pidimento nelle membra, in ispecie dalle persone deboli ed avanzate in età. Il perchè il dilungato loro uso conviene solo ai giovani , e a chi sia di valida costituzione dotato. Sotto le quali circostanze quei fenomeni a poco a poco si dissipano: e indi ri- sentesi grata impressione, la quale si aumenta all'e- scire del bagno. Che se per avventura tuttavia con- tinuassero i brividi di freddo, e l'irregolare respiro dopo l'uscita dal medesimo, fa duopo astenersene del tutto: altrimenti verificarebbesi quell'adagio co- mune: « Vassi al Lagno per le doglie. » Malgrado della facoltà corroborante ai bagni freddi tribuita, ogni medico da senno ne avrà e ne potrà trarre soccorsi in doppio modo, usandoli cioè come stimolanti e deprimenti. Osservasi general- mente la facoltà stimolante , quando momentanea esercitasi la loro potenza; e la deprimente, allorché sia lunga la durata nel bagno. Di vero l'accennato orgasmo per la subitanea impressione del freddo suscita cotal rapida vibrazione nella fibra, per la 268 Scienze qtiale eviVlentomente innalzasi l'eccitamento gene- rale: onde a me stesso più fiate avvenne di osser- vare , che dal massimo stato di languore siasi ri- scosso l'infermo, cui sonosl potuti apprestar inter- namente altri mezzi, prima impraticabili, e toglierlo dalle fauci di morte. Per contrario prolungando l'uso del bagno freddo, deprimonsi le forze vitali, ed altri fenomeni manifestansi comprovanti aper- tamente la controstimolante loro potenza. Efficacis- sima quindi vedesi la momentanea loro eccitante possa nelle ostinate nevrosi da debilitanti cagioni derivate (1). Utili non meno esperimentansi nelle (i) Fra i non pochi esempi nel mio clinico esercizio avve- nuti, desidero notare i due seguenti. Nell'settembre del t8i5 Te- resa Fransoni, di anni 2i, orfana educanda in Roma al nionistsro de'ss Quattro, mi venne con altra inferma caldamente racco- mandata dal fu reverendissimo sig. canonico Colonna deputalo di quel monastero, perchè fossero ambe da me in Tivoli assisti- te. Era la giovane Fransoni di abito cachetico , da varii mesi maggiormente accresciuto per clorosi. Fra le mediche prescrizio- ni vi fu una locale sanguigna nelle pudende esterne. Ma fosse ignoranza di levatrice, o fosse più foga di sangue , non era la sanguigna terminata, che costituissi tale cruento profluvio , che durò (ino al 4 di colla massima prostrazione di forze. Io ne fui avvertilo alla fine del 3 giorno. Non eran passate le ore i^, quando fu assalita da nevrosi cotanto violenta , quanto è ine- sprimibile a dirsi. Totale era la perdita de'sensi interni, e nei mostrarsi intensamente esaltata la motrice fibra nervosa , per cui 8 persone appena bastavano per rattenere l'inferma dai vio- lenti moti convulsivi , esausta apprariva 1' esterna sensibililà : giacché quasi nessuna era l' impressione dei più potenti rivel- leuli sulla cute applicati. Durò in questo deplorabile stato cin- que di continui. Cessarono i gagliardi nervosi convellimenti, suc- cedendo per.48 ore di seguito un mortale letargo. Ni un alimento di sorta , né alcun farmaco potè amministrarsi per bocca o per clistere per rinvincihlle Irismo , ed insuperabile striuyimento ■dello sfintere dell'ano- Tentai jugace imuiersiouc di acqua ben Bagni di Tivoli 2G0 gravi emorragìe pel subitaneo stringimento nei lu- mi (lei vasi dermoidi., che a guisii di clettrii a scos- sa difFondesi nelle parti interne del corpo. E parimenti predicato giovevole l'uso general- mente de'j)agni freddi nelle malattie mentali, nella febbre sinoca, e valse talvolta a distruggere lo sta- dio irritativo degli stessi contagi; ed un dottissimo italiano (Giannini) esaltolio proficuo per troncare fresca. Si scosse alla prima: replicata la seconda, apri la bocca, ed io stesso le diedi tre cuccliiaiate di acqua di cerase nere e matricaria con poche gocce di liquore anodino. Dopo la 5 inj- mersione, riacquistò barlume d'intelligenza, ed a poco a poco le altre facoltà; di modocliè dopo lunga cura e convalescenza fu guarita dal male attuale. Nel settembre del 1822, da Roma fui sopracbiamato nella città di Narni per una decina di giorni, affine di determinare il carattere di morbo colà epidemicamente dominante ( Eran in- solite larvate febbri perniciose intermittenti, cagionate da pro- fonda ed assai infesta sinuosità palustre formatasi per lo straordi- nario straripamento del fiume Nera successo nella primavera di quell'anno). Fra moltissimi infermi visitai una gentil dama toscana vicina all'S lustro, maritata ne'Bernardini di quella città. Era essa di delicato e sensibile temperamento, madre di bella e numerosa prole, e sofferente deprimenti patemi d'animo per infortuni di fa- miglia. Alcuno sconcerto nell'organo dermoide aveva dato luogo a dolori addominali , ma senza febbre. Strabocchevoli emissioni sanguigne generali e locali, e non leggiero propinamento de' no- velli eroici farmaci controstimolauti, erano stati i presidii ad essa somministrali. Dopo i quali, da 3o ore e più duravano invincibili convulsioni epilettiche, quando io visitai la prima volta l'infer- ma di cui disperavasi la vita. Dopo aver io indarno praticato quanto polevan suggerirmi i miei pochi lumi nell'arte , tentai la immersione fredda (passate le 1^ ore della prima visita), la quale discretam;inte ad intervalli ripetuta , ricondusse a gradi a gradi 1' inferma a sanità, mercè ancora di altra opportuna terapia: sebbene, coinè quella sventurata signora mi scriveva in Roma , sei mesi durasse la sua convalescenza. 270 Scienze i parosismi delle intermittenti felibri perniciose*. Su di che io vidi contrario cfFctto, quando mi vol- si contemporaneamente due sole volte a praticarli per cercare in cjualclie modo di riparare alla pe- nuria della cliina-china, durante l'incomportevole blocco continentale (1). Nocivo i^eneralmente fu dai veri medici rinvenulo il bagno freddo nella dissen- teria, e soprattutto nelle flogistiche morbosità del- le interne viscere. D'altronde utile fu da me stes- so qualche volta rinvenuta l'applicazione del ghiac- (i) Per cura del signor maire di Tivoli, che presiedeva in queir epoca all' amministrazione dell' ospedale , eraiisi provve- dute molte decine di china tutta polverizzata. L' uso di essa il più generoso non solo non troncava le più seiisplici febbri di ac- cesso, ma le perniciose terminavano sempre colla morte dell'am- malato. L'infortunio slendevasi fra quegli abitanti della città, che compravano la china nella spezieria del suddetto ospedale. Dopo i succedanei alla china china antichi e moderni i più decantati, ia semplici o composti modi uniti anche alla delta china, inutil- mente somministrati, dopo i più insistenti e replicati riclami in- darno praticati , in uno stesso giorno 29 agosto ( 1812) ebbi ri- corso alle immersioni fredde per amministrare dopo le medesime la detta china, ma con altri potenti farmachi , lusingandomi di un favorevole successo. Si sottoposero all'esperimento due gio- vani inferrai l'uno in città, l'altro dentro l'ospedale, ai quali nullo era tornato l'uso di detta china con altri opportuni farmachi. Il primo, attaccato da secondo accesso di perniciosa letargica, peg- giorò sotto il bagno freddo, ed il giorno vegnente in onta di re- plicale dosi di china in discorso passò all' altra vita. Il secon- do sofferente già terzana, nelle ore pomeridiane assalito dal pri- mo accesso di perniciosa emetica con delirio , spirò dopo pochi minuti delle fredde immersioni Messo quindi da banda ogni li- mano riguardo, mi volsi al procuratore imperiale , il quale fatta ^improvvisamente sequestrare la china suddetta , e posta in re- cipiente apposito, e ben suggellato, fu rimesso in Roma , ove dagli esperti fu riconosciuta per la nocevolc china detta della nuoi'n seha , la quale era stata comprata da un droghiere in piazza navona. Bagni di Tivoli 271 ciò suH'addome nella timpafiite, senza, omettere in tal caso i clistei freddi' Vidersi ancora giovevoli tal- volta nella gotta usati localmente, ed appena sene manifestava il parosismo. Ne mancano classici au- tori che affermano averli sperimentati utili neli' i- drope istessa: finalmente raccontansi istorie di gua- rigioni di tetano avvenute mediante i Lagni freddi associati con altri potenti stimoli. De bagni minerali di Tivoli ( acque albule ). Ma se cotanto celebrati sono dai più accorti medici di tutte le età i bagni freddi opportuna- mente apprestati, quanta maggiore sarà T impor- tanza loro , se le fresche acque contengano mine- rali sostanze ? Col nome di acque minerali soglio- no da'chimici distinguersi le acque, che racchiudo- no alcun minerale principio che fruisca di speri- mentate terapeutiche qualità. Tali facoltà appunto godono le nostre acque albule, la cui celebrila appo gli antichi abbiam sopra accennata, e meglio ancora fu dimostrata col discorso del celebre me- dico Andrea Bacci, che oggidì ancora consultarsi debbe non meno per la molta erudizione che per la medica dottrina. Imperocché se alcuna curiosa varietà sotto i miei occhi è quivi avvenuta, le chi- miche e medicinali virtìi sono però identicamente le stesse. Il lago dunque celebrato dagli antichi e dai moderni, onde distinguerlo dagli altri due la- ghetti vicini, de'quali noterò di volo nella pubbli- cazione di questo ragionamento, lo abbiam veduto distinto col nome di lago delle acque albule, chia- mato volgarmente la Solfatara^ e da alcuni scritto- 272 Scienze ri detto ancora lago delle ìsole natanti , le quali da pochi anni sono del tntlo scomparse (1). Que- sta è la varietà che io diceva accaduta a'giorni no- stri. II perchè questo lago, che ai tempi dello sles- so Bacci aveva oltre un miglio di circonferenza , oggi è ridotto nella larghezza a palmi 276, e nella lunghezza a circa 647. Cagione di questo ristrin- gimento sono state precisamente le dette isole na- tanti. Circa l'origine di esse a me sembra , che i semi delle circondanti piante palustri o sulla riva, o trasportati dall'acqua in mezzo allo stesso lago, avviluppavansi nella materia calcare e sulfurea del- le albule, e quindi svolgevansi con rapida vegeta- zione, mercè del gas acido carbonico di cui diras- si , ed agglutinandosi incessantemente colle dette sostanze, formavansi le isolette in discorso, che a seconda dei venti e dell'urto dell'acqua or qua or là galleggianti , eran da ultimo spinte con forza sulla riva , ove le stesse materie servivan di ce- mento per congiungerle solidamente colla terra fer- ma. Difatti se 16 erano le isole natanti nel secolo passato, 12 furono da menci 1814 noverate, quan- do per piacere ad un chiaro prof, di botanica in Koma, che me ne pregava, feci distaccare porzio- ne di dette piante non solo nella riva, ma ancora (i) Gli alili due taglietti distinguonsi l'uno col nome dilago delle colonnelle, ed il secondo con quello di s. Gioi'anni. Il pri- mo è lungo palmi 33o, largo 2o4, e profondo nel centro aSi secondo il Sebastiani. Scaricansi le sue acque sulfuree, meno ca- riche di gas acido carbonico, nel lago delle Acque albiile. Il lago di s. Giovanni sen)bra contenere meno zolfo, e più abbondanza di acido carbonico. Tutti e tre i laghi sono in poca distanza 1' uno dall'altro. Bagni di TiroLi 273 nelle stesse isolette (I). Mentre il celebre Humphry Davy, dopo avere praticata qualche chimica inda- gine sulla faccia del luogo, desiderava conoscere il nome di dette piante , per sottoporle a piìi accu- rata analisi. Se io non m'inganno, l'attuale ristrin- gimento di quel lago per le suddette isole av- venuto , ha raddensato maggior volume di acque, che colla loro forza non danno ora più campo alla formazione di dette isole , trasportandosi via Carissimo Amico (i) Roma g maggio 1814. So no nella circostanza di mettere a profitto la vostra ami- cizia, e mi lusingo che non andrò deluso. Il celebre chimico in- glese Davy, che ora è passato in Napoli, ha fatto una qualche chi- mica analisi delle piante che formano le cosi dette Isole natanti in un certo picciolo lago esistente sotto Tivoli, e che a voi dev' essere ben cognito. Il suddetto chimico brauia il nome delle pian- te, le quali vegetano nelle isole natanti, e di quelle die vegeta- no nell'orlo del lago. A tale oggetto si rivolge a me. Io, che non posso venire per le grandi occupazioni, fido nella vostra amici- zia, acciò portandovi con qualche villano in detto las^o, facciate da 4 punti cardinali svellere mediocre quantità di dette piante di ogni specie. Mediante poi un bastone uncinalo farete tirar a voi un'isola natante, corrispondente ai detti quattro punti, per sveller- ne del pari di ogni specie. -fio portai meco un tal Serra semplici- sta, il quale da tulle le 12 isoletle, salendovi sopra, tolse le piante in discorso e nel giorno stesso con molta diligenza le mandai in Romaj, lasciando un pezzo d'isola natante nella sua integ-rilà per trasmellerinelo colle piante suddette. L'affare mi preme moltissi- mo, e per l'esatta esecuzione e per la più grande sollecitudine, e spero al più luugo riceverle giovedì prossimo. Si farà anche di voi una menzione onorevole nella dissertazione, che Davy diri- gerà alla società reale di Londra. Amico, non mi fate fare catti- va figura , giacché sono in questo forte impegno, da cui non posso prescindere. Vostro Affmo Amico M. A. Dottor Poggioi,. G.A.T.LXXX. 18 274 Scienze i semi o i rudimenti dalla corrente; e varii so- no gli anni da che neppur una vegetante cannuccia vedesi galleggiare nel lago. Il lodato chimico in- glese non ebbe in mira d'istituire una chimica a- nalisi delle albule, ma il suo scopo fu quello di ve- dere d'onde provenisse la rapidissima vegetazione delle piante di quelle isolette (in confronto delle circostanti, benché delle stesse specie). Verificato avendo che l'acqua albula conteneva in soluzione una quantità di gas acido carbonico superiore al suo proprio volume, da questo gas precipuamente derivò la rigogliosa vegetazione, a cui io penso pos- sa avere contribuito il cloruro di calcio , che ve- drassi uno dei principii constituenti le dette a- cque (1). Alcuni altri dotti stranieri fino dalla meta del secolo passato avevano per la celebrità di queste a- cque investigata la chimica loro natura: ma scarsi erano i lumi, che trar si potevano dalla chimica scienza in quel tempo. Ingenuamente però io cre- do che se utilissime sicno le chimiche ricerche , onde conoscere le sostanze che trovansi nelle acque minerali disciolte, non minori, ma pili utili sono i lumi che traggonsi pei soccorsi tratti dalle me- diche esperienze con savia prudenza e dottrina isti- (i) Il Nibby, Analisi storico-topografico-antiquaria della carta dei d'intorni di Roma p. 5, riporta questa notizia. Per quante diligenze avessi io falle, né dal Poggioli, né da alcun altro, né in alcun libro poteva ritrovare il lavoro del Davy accennato dal Nibby: di che iuterrogato da me, mostrommi un' opera sui din- torni di Roma del Geli, pubblicata in Londra in idioma inglese nel i835, dove parlavasi dalle dette chimiclie ricerche sulle al- bule. Bagni di Tivoli 275 tuite. Imperocché non sono lievi gli ostacoli delle analisi delle acque minerali. La tenuità talvolta del- le sostanze che vi si racchiudono, ed i processi de- licati anzichenò per isolarle, mostrano sovente di non riscontrarsi egualmente uniformi le chimiche sperienze analitiche. Vero è bensì che per la buo- na terapia la rigorosa e minuta conoscenza dei lo- ro materiali, che sfuggir possono alle più scrupo- lose investigazioni , non è di assoluta importanza. Tuttavia avendo di molto a' di nostri le naturali scienze progredito, in ispecie la chimica, maggiori lumi porgonsi all' arte salutare per trarre dalle acque minerali utili risultamenti. L'analisi chimica piìi antica che si conosca in- torno alle albule , come sopra accennossi , è del secolo decorso. Dcbbesi essa al celebre abate Nollet nel 1750 , ed altra ne fu praticata nel 1758 dal sig. Mazèas. Con piìi esattezza se ne occuparono nel 1770 i sÌ2fnori Cadet e Fouseroux'. ed è curioso o o che questi chimici portarono una bottiglia di dett' acqua ermeticamente chiusa a Parigi: ivi osservossi che serbava ancora il color cilestre, ed esalava in- tensamente gas epatico. Lasciata fuori evaporare porzione di dett'acqua, depositò zolfo e terra alca- lina, come essi dicono, che fermentava coli' acido acetico, formandosi una terra fogliata a base ter- rosa (acetato di potassa). L'altra porzione entro la bottiglia rimasa, mescolatovi l'olio di tartaro per deliquio (sotto carbonato di potossa fluido ) diede un precipitato di un bruno quasi nero: ed un bru- no pili chiaro raanifestossi coli' aceto di saturno (acetato di piombo liquido ), e nessuna precipita- zione avvenne per la dissoluzione di rame. Ma se- guitano a dire , che con una goccia di alkali vo- 2T6 S e 1 E N X E lati le (ammoniaca) prese una bella tinta bleu , la quale mescolata con acqua pura , dicono , che si scambiasse in rossastra. Dal che il Caclet trasse che le albule non contengono acidi di soverchio , ma sembrano unicamente composte di zolfo volatilis- simo ( gas soifoidrico ) , e di una terra assorl)en- te: donde, ci dice, formasi un solfuro di potassa formato e dallo zolfo stesso e da un alkali o ter- roso, o marino, o volatile. Quest'analitico sunto mostra chiaramente di corrisj)ondere alle chimiche nozioni del tempo. Im- perciocché senza rilevare le indispensabili deficien- ze per le limitate chimiche cognizioni dell'epoca in discorso, basta solo rimarcarvi la totale deficien- za del gas acido carbonico, di cui non si fa paro- la; mentre il Davy e noi stessi abbiam rinvenuto superiore o eguale al volume della stessa acqua al- buia. Laonde prima di venire alle medicinali pro- prietà che essa gode, vogliono riportarsi le tisico* chimiche indagini nel prossimo passato luglio pra- ticate, col fermo proposito di ripeterle ulterior- mente o nel corrente o nel venturo anno 1840. Più fiate e da lunga pezza fu per me costan- temente osservata la temperatura delle acque ai- buie corrispondere più o meno a qTielia dell'atmo- sfera. Nei decorso anno nel dì 5 settembre, circa le tre pomeridiane, di 19 gradi del termometro di Rèaumur era la loro temperatura, mentre l'atmosfe- ra segnava 20-21. Nel dì 6 novembre, sulla stessa ora, 14- gradi segnava la temperatura delle albule, e di 13 gradi era quella dell'atmosfera. Nel dì 30 dello stesso mese la temperatura esterna era di 14 gradi, e quella delle dette ac<|ue di 13. Senonchè, nell'estiva stagione specialmente , le acque albule Bicm fi! Tivoit ' 277 conservano la temporatura dcA i^iorno durante an- che la notte : la qiial cosa gli antichi, come narra il Baccì , reputavano uno straordinario portento; giacche sull'aurora e più presto ancora può dirsi calda rimprfessione delle acque albule nel corpo u- mano, per essere relativamente bassa la tempera- tura atmosferica di quelle ore. Il tempo più propizio per le chimiche anali- tiche indagini delle acque minerali essendo quello dell'estiva secca stagione, a tal effetto io prescelsi il prossimo-passato mese di luglio. La mattina del di 21 di questo mese col l'egregio signor prof. Pe- retti, ed in graziosa ed amichevole compagnia del eh. sig. cav. Trompeo archiatro di S. M. la regina vedova Maria Cristina di Sardegna, ci portammo nel suddetto lago : e giuntivi alle ore sette della mattina, venne tosto immerso nel canale che im- bocca al lago il termometro di Rèaumur, che ripe- tutamente segnò la temperatura di gradi 18, men- tre quella dell'atmosfera era di gradi 19. Bevuta T acqua, che è di un colore opalino, provossi il consue- to acido suo sapore non disgustoso , sebbene non disgiunto da quello del gas soifo-idrico. Dibattuta difatti, svolse immediatamente gas acido carbonico con poca quantità di gas solfo-idrico,- bagnata poi una carta cerulea a reagenti, si tinse subito di co- lor rosso, e diede precipitati bianchi coll'ossalato di ammoniaca. Coli' acetato di barile, coli' acetato di piombo e coli' acetato di argento somministrò precipitati bruni. Furono quindi riempiute diverse bottiglie di dette acque per esser sottoposte dal lo- dato professore al chimico esame. Messone uu vo- lume in un recipiente apposito per determinare le quantità dei gas acido carbonico e solfo-idrico, che rv 278 Scienze vi erano contenuti, vìdesi mediante anche replicata operazione, che il gas acido carbonico era eguale presso a poco al suo volume, misto sempre per al- tro a poca quantità di gas solfo-idrico. Fatte indi evaporare due libre di dett'acqua dentro una capsula di porcellana , il residuo rin- venutovi fu di grani 38 di un precipitato bian- co grigiastro. Esposto il medesimo all' aria, diede segni non equivoci di attrarre l'umiditU : trattato poi coll'alkool bollente, e filtrato il ìluido in que- sto stalo, e quindi evaporato, si ebbero grani due di residuo. Messi questi in capsula di platino al fuoco, si annerirono, sviluppandosi vapori di zolfo accom- pagnati da quelli che somministrano le sostanze vegeto-animali. Il rimanente portato a rosso col ca- lore, venne disciolto nell'acqua distillata : la solu- zione , nel tingere in rosso una carta tinta colla curcuma, somministrò un precipitato bianco a coa- gulo coll'azotato di argento, e bianco del pari col- l'ossalato d'ammoniaca. Messo lo stesso fluido coli' idrato d'amido e cloro liquido, non ha dato alcun indizio di contener ioduri. Laonde i due grani esa- minati contengono zolfo, cloruro di calcio, e pro- babilmente un poco di cloruro di magnesia: giac- che si è osservato che il fluido tinse in rosso una carta colorata colla curcuma, essendosi mercè del- l'azione del calore decomposto il cloruro di ma- gnesio. I granì 26 non disciolti dall'alkool furono trat- tati a freddo coli' acqua distillata: ma nel vedere che poco o nulla aveva questa disciolto , fu fatta bollire, e filtrata bollente la soluzione, questa non presentò azione sopra la carta a reagenti. GoU'azo- Bagni di Tivoli 279 tato ttl barite, e coll'ossalato di nmmoniaca diede precipitati abbondanti, coli' azotato d'argento un precipitato bruno, e coll'acetato di piombo un pre- cipitato bianco. Il precipitato bruno ottenuto coli' azotato d'argento sembra dovuto alla presenza della sostanza vegeto-animale ancora inerente al precipi- tato, e non ai solfiir"; mentre anche coll'acetato di piombo sarebbesi dovuto avere precipitato bruno , se il fluido avesse contenuto questo in soluzione: e messo coU'idrato di amido e cloro, non cambiò di colore. Il residuo non disciolto dall'acqua bollente pe- sò grani 20; l'acqua quindi ne ha disciolti grani 6 ( calce solfata ). Trattati questi coU'acido acetico , manifestossi subito una forte effervescenza con {svi- luppo di gas acido carbonico. La soluzione fu pre- cipitata col carbonato d'ammoniaca: e si ottenne un precipitato, che disseccato, pesò grani 20, ì quali erano interamente di carbonato di calce. Il residuo, non attaccato dall'acido acetico, pesò grani 7. Que- sto residuo aveva forma cristallina, che sciolsesi in acqua acidulata d'acido sulfurico calda, essendo ri- maso insoluto un esile precipitato che in gran par- te si disciolse nella potassa idrata, lasciando tracce di perossido di ferro: con che puossi giudicare es- sere questi sette grani per la più gran parte di calce solfata. La soluzione di potassa, saturata coli' acido cloro-idrico, separò fiocchi di silice. L' acqua albula adunque racchiude gas acido carbonico, eguale almeno al suo volume, con poca quantità di gas solfo-idrico, zolfo, cloruro di calcio e magnesio, sostanza vegeto-animale , carbonato di calce, solfato id., e silicato di ferro. Le proporzio- 280 Scienze ni quindi pei sali fissi, contenuti nelle due liKre di grani 38, sono le seguenti : Calce carbonata ....... grani 20 Calce solfata » 'i2 Cloruro di calcio, magnesia e sostanza ve- geto-anìmale , 2 Silicato di ferro. , i Perdita 3 grani 38 Da quest'analitico esame scorgesi apertamente la ricchezza de'principii minerali che contengonsì nelle acque albule, le quali ponno collocarsi nella classe delle acque acidule-epatiche, benché gran- de sia la quantità dei sali in esse disciolti. Quan- tunque poi concedersi generalmente debba , che r arte salutare circoscritta sia entro dati limiti , malgrado de' progressi soperchiameli te esagerati , non|'può tuttavia negarsi che la venerazione e il credito degli antichi verso le albule fossero fonda- mentalmente basati , siccome appare dalle suddette chimiche investigazioni , e dai pochi esperimenti moderni contro alcune morbosità. Indubitati ne sa- ranno sempre i felici risultamenti, quando esse sie- no con medico accorgimento adoperale per bevan- da e bagni. Per altro non cade dubbio, che la prin- cipale ^cagione delia poca fidanza attualmente in es- se riposta non derivi tanto dalla ignoranza, che non è poca, quanto dal luogo che è privo di ogni como- dità: mentre è massima inconcussa, predicata dallo stesso Bacci, che chi disse ha^iio, disse comodo e piacere* Se avrà dunque effetto, come pare, la re- Bagni di Tivoli 281 staurazionc de'bagni tiburtìni, ogni medico di as- sennato clinico discernimento vedrà manifestamen- te quanto sia stato vergognoso per noi, che abbon- dando così da vicino di un ricco fonte minerale sia- mo giti e vassi tuttora in cerca di esso fuori di pa- tria, e talora anche fuori d'italiai sebbene per be- vanda possa usarsi con piccolissimo disagio. Che se la moderna igiene e terapia di quest'a- cque Ipochi a fronte degli antichi rilevar possa i salutari effetti, pure que'pochi a' dì nostri consegui- ti sono tali, che evidentemente dimostrano la noa lieve proficuità tratta dal loro uso in ispecie per al- cuni morbi. Se di gran lunga maggiori derivarne possano salutevoli risultamcnti, allorché sia colà rinnovato se non un sontuoso stabilimento come un tempo, un comodo bensì e piìi adattato ai moderni lumi, ognuno chiaramente lo vede. Ragionando dunque della generale e speciale igiene e terapia delle albuie, certamente io non cre- do ai vetusti superstiziosi portenti delle medesime: che ripetendoli gli antichi dalla Sibilla tiburtina, che credevano che le incantasse, le proclamarono sicure contro ogni morbo. Tengo io per fermo pe- rò di non esser punto esagerato , se reputi e sia anche per mostrare le mediche virtìi delle albuie di un'eflicacia maggiore di quella dal Bacci predi- cata. Tre sopra ogni altra sono le morbosità contro le c[uali per bagno o per bevanda o a vicenda sperimentansi le albuie efficacissime, ed osarci dire con un'azione cpiasi specifica. Sono cilene tutte le malattie dell'organo della pelle, le discrasie umo- rali, in ispecie se derivano da cutanei morbosi con- sensi 0 retrocedimenti , ed in terzo luogo sono i 282 Scienze morbi delle vie orinarie. Per incominciare da que- sti, ogni medico conosce l'azione per bevanda delle acque acidulate mercè del gas acido carbonico; im- perocché , oltre la loro virtù piuttosto tonica e rinfrescante sulle vie digestive , congiunge quella diuretica. Questa sì accresce non poco per le so- stanze saline che vi si racchiudono. Quindi aperta- mente le albule sperimentansi efiicaci contro le re- nelle , e le calcolose affezioni : il che confermasi colla pratica giornaliera per l'utilità che traggesi talvolta col semplice uso di saline preparazioni. La medicinale facoltà contro simili affezioni, ben- ché da me raramente osservata, perchè non mi sì diede largo campo di praticarla, è sanzionata però da numerosissime antiche istorie. Che se a' d\ no- stri predicaronsi da un celebre medico (Brera) al- cune acque minerali capaci eziandio di sciogliere la pietra in vessica, io di tanto non oso proclama- re le albule , mentre una cosi fatta proprietà mi sembra assai difficile, ed avvenendo , sarà per le pietre forse dì friabilissima fattura. Vuoisi però notare che rarissimi sono cotesti morbi fra ì ti- burtini per l'igienica facoltà delle loro acque, men- tre secondo la volgare opinione, piucchè in ogni al- tro luogo, quivi dovrebbonsi le dette affezioni os- servare pel carbonato di calce, di cui sono ricche le acque dell'Aniene, soprattutto le albule. Famose sono le calcaree incrostazioni de' corpi che vi ri- mangono pili o meno immersi. Una decisa espe- rienza per altro, da me ripetutamente osservata , dimostrommi che ì terreni, a cose pari, più capaci alla genesi de'calcoli, sono quei di arenaria m:ia- cante nel tiburtino territorio, eccetto alcun tra- sporto di essa dai superiori monti simbruini : il Bagni di Tivoli 283 che è (Vi poco momento. Ma se sollecite incrostazioni calcaree avvengono nei corpi immersi nel!' acqua dell'Aniene, e pili nelle albiile: agiscono esse per bevanda in ragione tlianietralmenle opposta nel ca- nale digestivo ed orinario: la qual cosa con filo- sofico senno era stata dal Bacci rilevata , quando disse: ce Perchè quest'accjua fa pietra in terra, adim- » que la deve fare anche in corpo, come se gue- » sta mirabile fabbrica del corpo humano fusse qua- » si una chiavica oppi lata , et il calor naturale • et la vita non vi stesse per niente. „ A buon diritto perciò non sono le sole chi- miche proprietà, che valevoli rendano le albule con- tro le suddette affezioni. Ma in virtù della loro to- nica-refrigerante azione, e dì quel pabulum vitae che attribuissi da Un cel. moderno (Hufeland) alle acque minerali, contribuiscono a sedare, e toglier qualche volta le spasmodie , e le morbose irrita- zioni dell'orinario apparecchio. Ne mancano esem- pi di guarigione per interni esulcerarnenti e pia- ghe dello stesso apparato, non meno che di quello del tubo digerente. In che ognuno darà peso gran- dissimo alle altre minerali sostanze, che abbiam sopra veduto esservi disciolte: il solfo cioè, il gas solfo-ìdrico, ed il cloruro di calcio, valgono a con- fermare cotesti medico-chimici risultati. Non dee quindi sorprenderci, se il brillante e trascendente genio di un Galeno le albule soltanto sperimentasse efficaci nell'estesa ed illuminata pratica de'suoi d'i nella capitale del mondo. Molle inoltre sono le morbose istorie che uti- lissime le dimostrano contro le umorali discrasie: ad eccezione , come ognun può immaginare , di -quelle per morbosi meccanici sconcerti, e degli di- 284 S e I E N « e sorganizzati visceri avvenute, per le quali non vige alcuna terapia, eccetto la cura negativa. D'altronde contro le discrasie senza organico difetto propria- mente detto, i principii chimici componenti le no- stre acque paiono sovente atti a restituire allo sta- to normale i fluidi, dì cui sembrava scomposta la chimica proporzione. Che se radicalmente non giun- gano sempre a rimuovere del tutto l'alterata loro crasi, certamente io stesso piìi fiate vidi mitigarsi l'irritante azione de' medesimi , e talora per più anni disparire la nociva loro potenza, da cui eran gli infermi per lo innanzi fortemente tormentati. Ne cade dubbio alcuno sulla specifica qualità de'bagni delle albule per le leggiere cutanee api- rettichc eruzioni, sopramodo per la rogna. Effica- cissime inoltre furono da' moderni e più dagli an- tichi sperimentate nelle impetigini anche le più ostinate. Qualora poi fossero esse ribelli ai detti bagni e a qualunque altro amministrato farmaco, io nutro fondata speranza che verrebbero debel- late mercè dei bagno a vapore, o delle docciature in cui artificialmente ridotte fossero le acque albule. Poiché nessun principio di esse disperderebbesi , per esser appositamente racchiuse, siccome fu so- pra accennato. Collocala quindi che rimanesse la testa all'aria libera, i vapori e le docce a secon- da della morbosa circostanza , attivissime diver- rebbero contro le più sordide impetigini ed inve- terate piaghe, e contro gl'indurimenti i più ostina- ti, inclusive i gonfiamenti delle ossa. Che se co- tanto utili in siffatte o consimili morbosità speri- mentansi i vapori anche semplici, e le docce, di gran lunga maggiore proficue diverranno per le singolari virtù di cui fruiscono le acque minerali. Bagni di Tivou 285 Ne (leve perdersi di vista il premettere qualche purgante o sanguigna prima, ed anche dopo finito l'uso di bevanda, o di bagno di qualunque sor- ta, secondo che la costituzione dell' infermo , e le patologiche sue condizioni richiederanno. Per al- tro io non convengo col Baoci pel riscaldamento delle alhule nel bagno semplice : perchè tutte le gazose sostanze disperderebbonsi afifatto, siccome an- cora avverrebbe quasi lo stesso col trasportarle al- trove. Che se il medico , sempre sulla faccia del luogo , credesse pel detto bagno renderle caldet- te, potrà al piti mescolarvi l'acqua comune riscal- data, mentre lieve in tal caso sarà il volatilizza- niento delle gazose sostanze nelle albule contenu- te. Del pari sulla faccia del luogo per le stesse ra- gioni dovranno usarsi per bevanda a stomaco di- giuno e di buon mattino, da contuiuarsi ed accre- scerne la doso a seconda della tolleranza, e dell'ur- genza per cui vengono dal medico prescritte. Ne sto io a ripetere i minuti precetti per usarle : tro- vandosi essi dal Bacci, tolte poche ecce/ioni , sa- viamente indicati nel suo discorso col suddetto mio primo ragionamento pubblicato. Deve peraltro ec- cettuarsi il pregiudizio degli antichi dal Bacci stes- so predicato suH'astenersi dal bagno e bevanda del- le albule, durante la canicola. Che se i mesi piìi op- portuni per l'uso delle medesime possano talvolta essere cjuelli dal Bacci ricordati, tuttavia io le ho vedute all'opportunità egualmente efficaci sotto il canicolare influsso. Se non che esigonsi cautele, spe- cialmente pel bagno, per la nullità de' comodi, sic- come si disse, che fino a questo d'i fatalmente cola si ravvisa. Vuoisi ancora esser g^uardinghi di non entrar sudati nel bagno, tuffandovi nell'entrare un 286 S e I E M z « momento la testa; ed uscendo dal medesimo, utile diviene mettersi in un letto caldo, qualora persi- stesse il freddo. Oltre le speciali facoltà delle albule qui ac- cennale, non voglion tacersi le generali comuni «i Lagni freschi sopra discorsi, ma più valevoli ezian- dio nel caso nostro pe'minerali principii in esse racchiusi. Imperocché venendo queste acque giudi- ziosamente praticate, .senz'escludere gli altri rimedi- che si reputassero utili dal medico, vedrebbonsi , piucchè colle acque semplici, rinvigorire gl'infer- micci, ravvivare il morboso loro pallore, e ridestare l'affievolita mobilita della fibra , molto pili che fu- ron mai sempre le albule sperimentate convenevoli a qualunque temperamento. Laonde vidersi effFcaci nelle nevrosi, nelle emorragie passive , nelle semi- paralisi , nelle leucoree, e talvolta si dissero pro- ficue alla fecondazione. Da ultimo vuoisi avvertire che issandole per bevanda, non debbe dopo la medesima riposarsi, ma conviene camminare, siccome rammenta lo stesso Bacci. Non discredo però che dopo il bagno non possa dormirsi , mentre in tale circostanza vuoisi rimettere alla prudenza medica, e all'abitudine dell'infermo. Che se talora vi fosse alcuno, cui de- cisamente le medesime non confacessero, in tale ra- rissimo caso debbe rinunciarsi al loro uso. Ecco, o illustri accademici, le cose piìi inte- ressanti intorno alle acque albule oggi da me bre- vemente ragionate. Ulteriori chimiche indagini col- le particolari infermità per esse sanate, o di molto mitigate, e promesse giìi nel 1° ragionamento (1), (i) Pag. 5, e giorn. arcadico tomo LXXI, pag. 5o. Bagni di Tivoli 287 formeranno il trattenimento di un discorso dell'an- no prossimo venturo. A.C. Sulla connessione delle scienze fisiche della signo^ ra di Summerpille. Ragionamento detto nelV a- dunanza del dì \ 6 di settembre 1 839 della pon- ficia accademia de^lincei dal conte Pompilio De- Cuppis s odo ordinario della medesima. È Len noto a tutto il mondo scientifico il dot- tissimo commento che la illustre signora di Som- merville fece al colossale lavoro dell' insigne geo- metra francese La-Place, nel quale tutte sviluppò le leggi che il meccanismo del cielo governano. Ma quella importante opera per altissimo merito si magnifica, come d'ordinario avviene quando uomini di profondo sapere trattan cose di sublimissimo ar- gomento, peccando di soverchia oscurità, avea duo- po di esser resa per ragionati commenti più ac- cessibile alla mente di coloro che da s'i profondo lavoro vorrebbero fruttuoso studio ritrarre. Sic- come la matteria contenuta in quel volume è per sua natura astratta, onde potersi gustare da colo- ro che non sono nelle matematiche cose approfon- diti, così l'autrice vi prepose una disertazione pre- liminare che una veduta generale presentasse del- l' allo soggetto eh' ella si proponeva d' investiga- 288 Scienze re, dando un rapido abbozzo delle scienze fisiche, le quali fanno coll'astronomia più intima alleanza. L'interesse, che quest'opera eccitò nel mondo scientifico, fece sentire fra i suoi lettori meno dot- ti il desiderio di ottenerne una cognizione ancora più popolare e più estesa. Alla c[ual brama soddi- sfare, la sìg. Di Sommerville si die con tutta sa- gacita al nuovo lavoro: rifondendo per conseguen- za questa dissertazione , introducendovi i soggetti della meteorologìa, della elettricità, del galvanismo e de! magnetismo: e prodticendo per tal modo a nuo- \a luce un'opera da soddisfare pienamente al no- bile scopo di popolarizzare la scienza: nel cui tito- lo tutta l'originalità si mostra del suo concepimen- to, e tutta la utilità di sì pregievole lavoro. Il progresso della moderna scienza , special- mente negli ultimi anni, è stato rimarchevole per una sentita tendenza a semplificare le leggi della natura, ed a riunire gli sparsi rami con generali principii. In alcuni casi una identità è stata provata, lad- dove non sembrava esser nulla in comune , co- me nelle influenze elettriche e magnetiche-^ in al- tri, come in quella della luce e dei calore , tali analogie sono state indicate, sino a giustificare eh' esse potrebbero riferirsi allo stesso agente; che in tutte si riconosce esistere un legame tale di unio- ne, che una profonda cognizione dell'una non pò- trassi giammai acquistare senza la cognizione delle altre. Ciò che avrebbe richiesto una assai più este- sa esposizione, e che avrebbe potuto farsi se non avesse condotta l'autrice molto al di là della sfera di un trattato popolare, locchè avrebbe reso infrut- tuoso l'oggetto del principale suo scopo. Connessione delle scienze fisiche 289 Di questo volume inlerressaiite noi or pro- cediamo a tiare un rapido saggio senza entrare in minuti dettagli di fatti, e senza intromettervi spie- gazioni diffuse di fenomeni, o tediose deduzioni di leggi generali. In questo rapido abbozzo si addite- rà, come l'autrice con una profouda conoscenza del suo soggetto ha data una prospettiva profonda e perspicace de'generali principi i, e dei fatti fonda- mentali della moderna fisica , abbracciando quasi tutte le scoperte recenti, le cjuali sin'ora non si tro- vano al certo registrate nelle opere preliminari. Il soggetto dell'astronomia, che forma piìi del- la terza parte del volume , è introdotto colle se- guenti ammirabili osservazioni. « La scienza, ella dice , riguardata siccome la ricerca della verità , non si può arrivare a possedere, se non con una investigazione paziente e spregiudicata; laddove nul- la v'ha di pili grande a trattarsi , e nulla di piìi minuto , che non meriti la piìi profonda atten- zione, ed offra soggetto di sommo interesse e di elevata meditazione. La contemplazione delle ope- re dell'autore di tutte le cose, eleva la mente del- l' uomo all' ammirazione di tutto ciò eh' è di piìi grande e di piìi nobile, mettendo, per cosi dire, il compimento all'oggetto di ogni studio, ed inspiran- do l'amore del vero, della sapienza, del bello e di quella suprema ed eterna mente che contiene ogni verità e sapienza, ogni bellezza e bontà. Dall'amo- re e dalla dilettevole contemplazione e ricerca di trascendentali mire, la mente dell' uomo è innal- zata dagli oggetti bassi e perituri, ed è preparata a quegli alti destini stabiliti per tutti coloro i quali saranno atti a riceverli. « Il cielo presenta il soggetto il piìi sublime di G.A.T.LXXX. . 49 290 Scienze studio che può derivarsi dalla scienza. La gran- dezza e lo splendore degli oggetti, la inconccpihi- le rapidità colla quale essi si muovono, e la enor- me distanza tra loro frapposta, imprime sulTinlel- letto qualche nozione delTenergia che li governa, e mantiene ne' loro moti in una durabilità alla quale noi non possiamo assegnare alcun limite. Egualmen- te cospicua è la bontà del grande primo motore , neir avere dotato l'uomo delle facoltà, per le egua- li egli può non solamente apprezzare la magnifi- cenza delle sue opere, ma rintracciare eziandio con precisione le operazioni delle sue leggi ; di fare uso del globo, ch'egli abita, come di una base per mezzo della quale misurare la grandezza, la distan- za del sole e de'pianeti, e di costituire il diametro dell'orbita della terra in primo gradino di una scala per ascendere allo stellato firmamento. Mentre tali ricerche nobilitano la mente dell'uomo, umiltà nel tempo slesso le inculcano, e le insognano che una barriera esiste cui ninna energia intellettuale o fi- sica potranno giammai abilitarla a sorpassare: che quantunque assai pili profondamente non potess'ella penetrare nella immensità dello spazio, le rimar- ranno ancora dei sistemi innumerevoli , coi quali paragonati quelli che le sembrano si prodigiosi dovranno scemare fino alla più inconcepibile pic- colezza, e fors'anche divenire invisibili; e che non solamente l'uomo, ma eziandio il globo ch'egli abi- ta , anzi r intero solare sistema , di cui la terra jforma una si piccola parte, potrebbe essere anni- chilato, e la sua estinzione non percepita nella im- mensità del creato. « Sebbene bisogna riconoscere che la completa cogjiizione dell'astronomia possa ottenersi solamcn- Connessione delle scienze fisiche 291 te ria coloro , i quali sono heno versati nei supe- riori rami della scienza matematica, e ch'essi uni- camente possano apprezzare l'estrema bellezza dei risultati , non che dei mezzi per cui questi sono ottenuti ; egli è vero, nondimeno, che una sufficien- te destrezza nell'analisi per seguire il contorno ge- nerale, per vedere la mutua dipendenza delle diffe- renti parti del sistema, e per comprendere per quali mezzi si arriva ad alcune delle più straordinarie con- clusioni, è alla portata di molti, i quali si arrestano dall'impresa , spaventati da quelle difficolta , che non sono forse maggiori di quegl' incidenti che si presentano allo studio degli elementi di ogni ramo di cognizioni; ed i quali probabilmente le stimano soverchiamente grandi, non considerando la distin- zione che vi è tra il grado di cognizione richiesta per fare le scoperte, e quello dimandato per inten- dere ciò ch'è stato dagli altri operato. Che Io stu- dio della matematica e la sua applicazione all'a- stronomia sia pieno d' interesse, sarà accordato da tutti coloro che hanno consacrato il loro tempo e la loro attenzione in tali ricerche; ed essi solamen- te potranno apprezzare il diletto di arrivare alla ve- rità ch'essi dispiegano. » Dopo di aver dato ingegnoso ragguaglio delle leggi della gravitazione, e trattato di c|uelle di Ke- plero e di Bode, delle figure de'corpi celesti e delle ineguaglianze dei moti dei pianeti, la signora di Somerwille fa le seguenti interessantissime osserva- zioni sulla stabililìx del nostro sistema. « La stabilita del nostro sistema , ella dice y fu stabilita da La-Grange; e tale sublime lavoro renderà il suo nome per sempre memorabile nel- la scienza, e riverito da tutti coloro i quali si di' 292 Scienze Iettano nella contemplazione di tuttociò eh' e su- blime ed eccellente. Dopo la scoperta di Newton delle leggi meccaniche delle orbite elittiche dei pia- neti, quella di La Grange delle loro ineguaglianze è senza dubbio la piìi nobile verità della fisica astro- nomia; la quale, rispetto alle cause finali, può ri- guardarsi come la più grande di tutte. Nonostan- te la stabilita del nostro sistema , le variazioni se- colari nelle orbite planetarie sarebbero state estre- mamente imbarazzanti agli astronomi, quando di- venne necessario di paragonare le osservazioni se- parate da lunghissimi periodi. La difficolta era in parte ovviata, ed il principio per compierlo sta- bilito da La-Place è stato in appresso sleso da Po- ìnsot. Egli mostra l'esistenza di un piano invaria- bile, il cjuale passa a traverso il centro di gra- vila del nostro sistema , intorno a cui il tutto oscilla per entro limiti assai ristretti : e che que- sto piano rimarrà sempre paralello a se stesso, qua- lunque cambiamento il tempo possa imprimere alle orbite dei pianeti nel piano dell'ecclittica, o anche nella stessa legge della gravita ; premesso sempre che il nostro sistema non venga da c|ualunque al- tra causa sconnesso o perturbato. La posizione del piano è determinata da questa proprietà ; che se ciascheduna particella nel sistema sia moltiplicata dall'area descritta in questo piano in un dato tem- po, dalla proiezione del suo raggio vettore intor- no al centro comune di gravità dell'intero, la som- ma di tutti questi prodotti sarà il maximam. La- place trovò che il detto piano è inclinato all' ec- clittica per un angolo di 1,° 35', 31", e che nel pas- sare a traverso il sole, ed in mezzo le orbite di Gio- ve e di Saturno , egli può essere riguardato come Connessione delle scienze fisiche 203 r equatore di tulio il sistema solare , divìdendolo in due parti, le quali si bilanciano luna e Taitra in tutti i loro moti. Questo piano della maggiore iner- zia non è in alcun particolar modo astretto al so- lo sistema solare, ma eziandio esistente in ogni si- stema di corpi sottomessi alle loro mutue attrazio- ni; mantenendo sempre una fissa posizione, donde le oscillazioni di un dato sistema possono valutarsi per un tempo illimitato. I futuri astronomi cono- sceranno dalla sua immutabilità , o variazione , se il sole ed i suoi satelliti siano o no connessi cogli altri sistemi dell'universo. Se vi fosse alcun legame fra loro, potrebbe dedursi dalla rotazione del sole. Che se questo centro di gravita del sistema situato per entro della sua massa descrive una linea retta in questo piano invariabile, o grande equatore del solare sistema, immune dai cambiamenti del tempo, manterrà la sua slabilità per secoli senza fine. Ma se le stelle fisse, le comete, o qualunque corpo non conosciuto, o non veduto, ha un'influenza sopra il nostro sole ed i nostri pianeti , i nodi di questo piano si ritiraranno lentamente sul piano di questa immensa orbita, che il sole può descrivere intorno a qualche lontanissimo centro, in un periodo che su- pera il potere dell'umano intelletto per operarne la determinazione. „ Vi è però ogni ragione a credere che il caso sia cos'i: ed a me pare più che probabile, che a noi remote, siccome sono, le stelle fisse, esse in cjualche modo influiscano sopra il nostro sistema, e che anche la invariabilità di questo piano sia re- lativa : soltanto sembrando fisse a noi esseri inca- paci di valutarne i loro minuti e lenti cambiamen- ti nella piccola durala di tempo della nostra vita, e breve estensione di spazio, in cui il genere urna- 294 Scienze no dimora. Lo sviluppo di tali cambiamenti , m' è duopo osservare, ch'è somigliante ad una curva enov' me, di cui noi non vediamo se non che un piccolissi- mo arco che immaginiamo essere una retta. Se noi poi innalziamo i nostri sguardi alla intera estensio- ne dell' universo, e consideriamo le stelle, insieme col sole quai corpi erranti rivolgentisi intorno ad un centro comune della creazione , noi riconoscer possiamo nel piano equatoriale, che passa a traver- so il centro di gravita dell'universo, il solo esempio di assoluto e di eterno riposo. I lavori di Herschcl padre sul moto di traslazione del sole con tutto il sistema verso la costellazione di Ercole , susseguiti da quelli dì Herschel figlio e del prof. Struve, apro- no un'ampia via agli uomini di genio che vori'anno dedicare le loro cure a si alte specolazioni. Se que- ste ricerche ci hanno fatto conoscere, che il sole eser- cita un moto di traslazione trascinandosi per gli spa- zi celesti tutti i pianeti soggetti al potere della sua attrazione; se da tali asservazioni si è potuto in qual- che modo concepire, ch'esso circoli con altra stella attorno un centro comune (ciocche costituirebbe di essi un sistema binario ) , pare a me dover sog- giungere, che le osservazioni istituite in fino ad ora per ottenere simili risultati abbiano diffettato di un elemento della maggiore importanza; il moto com- plesso del sole. L' esame di questo è che io pro- pongo in principale oggetto di scrupolose ricerche, mentre le osservazioni in fino ad ora operate non hanno avuto altro scopo, se non che quello di ri- conoscere imperfettamente dal moto apparente del- le sue macchie in che senso ed in quanto tempo effettui la rotazione intorno il proprio suo asse; qua- le sia il piano del suo equatore; quale l'inclinazio- CoNPfESSlONE DELLE SCIENZE FISICHE 295 zione dell'asse sul l'orbita : ed in fine dallo studio delle sue niacchic determinare plausibile ipotesi per ispiegare qual possa essere la incomprensibile co- stituzione fisica di esso. Ma al moto complesso del- la nostra stella nessuno ha infino ad ora pensato; ed essendo esso della piii alta importanza, io pen- so , siccome consiglio tutti gli astronomi, d' in- struire una serie di costanti e scrupolose osserva- zioni, onde potere da questo importante elemento, un'esatta conoscenza ritrarre dei moti, non tutti ancor conosciuti, del nostro gran luminare. La si- gnora di Somerwille, che ha con tanta sagacita com- pilate tutte le cognizioni che in oggi la moderna scienza possiede, non perdendo di mira questa sua utilissima operetta, speriamo che riproducendola in appresso potrà aggiungere a questo articolo i risultati che dalle nuove solari specolazioni saran- no conseguitati. Nella rimanente sezione dell'astronomia, la si- gnora di Somerwille tratta successivamente delle perturbazioni nascenti dalle mutue azioni dei pri- mari e secondari pianeti, della figura della terra, dei fenomeni della precessione , della nutazione e della librazione, della teoria delle maree e della stabilità dell'oceano; e questi principii, così in- vestigati , sono poi applicati alla determinazione della figura della terra, all'acquisto di im modello per le misure e pei pesi, ed alla rettificazione delle epoche cronologiche. Tutti questi rami sono trat- tati con molta sagacita e precisione. La concisione del pensiero e del linguaggio, con che sono espo- ste simili materie, può alcune volte produrre del- l'ambiguitìi nella mente di un comune lettore; ma quando ciò accade, non è mai per colpa dell'au- 296 Scienze trice, ma per inevitabile conseguenza della ristret- tezza dell'opera. Il prossimo ramo della scienza fisica, che la signora di Somerwillp passa in rivista, è V acusti- ca; la quale è introdotta con dotto ragguaglio del- la costituzione fisico-chimica dell' atmosfera. La teo- ria ed i fenomeni del suono sono per brevi modi chiaramente spiegati. So bene che alcuni non si tro- van bastantemente contenti della ristrettezza con cui viene dall'autrice dilucidata questa materia , e specialmente in quella parte che sulla vibrazione de'corpi solidi si volge; ma se rifletteranno che leg- gi di brevità governavano la sua penna in tratta- re il vasto soggetto delle scienze fisiche, dovranno riconscere che la sua descrizione è piena di viva- cità e molto bene aggirata. I manuali servono solo ad erudire gli uomini, non già a farli dotti: e non mancando a tal'uopo profondissime opere, hanno grave torto coloro , i quali appongono all'autrice di tanto pregevole libro una colpa sì lieve. Dopo di ciò ella procede allo sviluppo dell'ot- tica fisica : trattando , nello spazio di molte pa- gine, dei soggetti della refrazione, della composi- zione e decomposizione della luce^ della teoria on- dulatoria, e della polarizzazione ; i quali soggetti tutti ella discute non già di passaggio, ma facendo mostra della piìi profonda cognizione, dando una dotta esposizione di tutto ciò che la moderna fisica conosce su questo rapporto, e producendone tutti i processi di esperienza. Dopo di avere discusso con molta abilità il sog- getto del calore, ed esposte le dottrine generali del- la meteorologia , V autrice tratta successivamente delle scienze popolari dell'elettricità, del galvanis- Connessione delle scienze fisiche 297 mo, e del magnetismo, e delle nuove branche del- la magneto-elettricita, e termo-eletricita , le quali hanno avuta origine in questi ultimi tempi. Queste sezioni senza dubbio saranno lette con grande interesse da leggitori di tutte classi. Esse contengono una esatta notizia delle splendide sco- perte del D. Faraday: e tanto bella esposizione ec- cita il desiderio di ricercare nei grandi trattati mag- giori ragguagli di queste vaste addizioni alla mo- derna fisica. Di ciò che queste sezioni contengono m'è duopo notare di passaggio un breve tratto sul soggetto delle cristallizzazioni, il quale mi sembra degnissimo di attenzione. • E stato osservato , che quando le soluzioni metalliche sono sottoposte all'azione galvanica, una decomposizione di metallo, in forma di minuti cri- stalli , generalmente ha luogo sul polo negativo. ColTeslendere questo principio, ed impiegando un' assai debole azione voltaica, il sig. Becquerel è per- venuto a formare da sostanze metalliche cristalli in una grande proporzione, precisamente simili a quel- li formati dalla natura. Lo stato elettrico delle ve- ne metalliche rende possibile, che molti cristalli naturali possono aver presa la loro forma dall'azio- ne dell'elettricità, portando le loro particelle, quan- do sono in istato di soluzione, per entro alla sfera dell'attrazione molecolare , gik conosciuta come il grande agente nella formazione de'solidi. La luce e il moto favoriscono la cristallizzazione. I cristalli, ì quali si formano in diversi liquidi, sono gene- ralmente pili abbondanti nella parte del vaso espo- sta alla luce ; ed è un fatto ben conosciuto, che l'a- cqua tranquilla raffreddata al di sotto di 32.*^ passa in cristalli di ghiaccio nell'istante ch^ agitata. La 298 Scienze luce ed il moto sono intimamente connessi coll'elet- tricita, la quale può avere, per conseguente, quaicbe influenza attiva sulle leggi dell'aggregazione, 1 cri- stalli formati rapidamente sono generalmente im- perfetti: e il sig. Becquerel trovò, che una lunga se- rie di anni di azione voltaica costante sarebbe ne- cessaria per la cristallizzazione di alcune sostanze dure ». Se questa legge è generale , quanti secoli dovrebbero essere domandati per la formazione di un diamante ! Senza chiamare su questo argomento l'attenzione de'leggittori a profondi ragionamenti , sperando che ognuno per se stesso si avviserà quali sarebbero le riflessioni che io a tal'uopo apporrei, passerò ad esporre come la signora di Somerwìlle conclude la sua opera, ricapitolando alcune interes- santi notizie sui soggetti delle stelle fisse dei sistemi binari, dei gruppi di stelle delle nebulose, delle co- mete e delle pietre meteoriche. E sull' idlimo di questi soggetti, che è il piìi curioso ed il piìi mi- sterioso della moderna fisica, ella facendone un'inge- gnosa esposizione, si appiglia alla opinione che qui appresso esponiamo. « Talmente numerosi, ella dice, sono gli og- getti che incontrano la nostra vista nel cielo, che non possiamo immaginare niuna parte dello spazio ove qualche lucente oggetto non colpisca il nostr* occhio; innumerevoli stelle, migliaia di doppie e moltiplicati sistemi, aggruppamenti folgoreggianti d'incalcolabile numero di esse, e le nebolose mara- vigliandoci colla stranezza delle loro forme e della inconcepibile loro natura, finche per la imperfezio- ne de' nostri sensi questi sottili ed aerei fantasmi svaniscono nella immensa distanza^ che fra noi si frappone. Se lai corpi da noi si remoti risplendcs- Connessione delle scienze fisiche 299 sere di luce riflessa, non potrcssimo essere consape- voli della loro esistenza. Ogni stella deve per conse- guenza splendere di luce propria ed essere un sole, come il nostro, destinato a dar vita e moto ad un sistema dì pianeti, satelliti e comete. E quantunque le leggi dell'analogia ci conducano a questo ragio- namento, noi dobbiamo però confessare che tanto della loro natura, quanto dell'uso a che il Creatore gli ha destinati neireconomia dell'universo, noi non possiamo formarcene la benché menoma idea. • Ricapitolate queste sue idee sullo stellato fir- mamento, ella finisce il suo argomento col dare, siccome ho detto, un lodevole ragguaglio delle pietre meteoriche, o aeroliti: e mostrate tutte le opinioni che sono state pronunciate sopx'a tale proposito, el- la si decide per cjuella che li riguarda quai corpi cosmici derivanti dalla medesima origine degli al- tri pianeti, e posti in moto dalla medesima causai quindi perturbati per l'azione della terra o d'altra causa qualunque, la loro forza d'impulsione non fa- cendo più equilibrio colla loi'O attrazione, vadano ad aggregarsi alla superfìcie di esso. Non istarò io qui a fare ragionamenti per investigare qual sa- rebbe la pili saggia opinione a proporsi su questo soggetto: tanto più che tempo addietro pubblicai qualche cosa, che l'autrice lesse con piacere e mi esternò le più obbliganti espressioni. Ma io non po- trei esser per niun modo buon giudice per decidere se l'opinione proposta dalla signora dì S. sia quella che debba essere a tutt'altre preferita. Devo aggiun- re poi che non ispirito di critica mi mosse a ragio- nare sulla graziosa ed importante sua opera, ma solo desiderio di dare in questa rapida esposizione l'abbozzo di un lavoro per la novità del suo argo- 3Ó0 Scienze mento si Interessante , e si utile alla istruzione di tutte persone gentili , le quali, per ottenere una compiuta educazione, è mestieri che siano istruite dei fatti e delle leggi generali che la natura gover- nano. Ed essendo debitori di quest'opera ad un in- dividuo di un sesso che forma la parte piìx bella della umana società, e che in tutte età, in lettere ed in scienze ci dette mai sempre altissime prove, mi sono cos'i giovato di raccomandarla a'miei illustri connazionali (1). (i) Sono noti i lavori della signora Chatelet, della signora Lefrancais de Lalande j la sorella del grand' Herscliel lavorava indefessamente con esso lui, aiutandolo nelle sue ricerche; a lei si deve la scoperta di quattro comete. La signora Delambre era di sollievo a suo marito negl'iramensi calcoli da lui intrapresi ; molte tavole le sono dovute. L'astronomia deve dunque molto ad un sesso, che si dovrebbe incoraggiare in questi studi, in luo' go di allontanarlo coU'arma del ridicolo. 30t Necrologia del professore Filippo Leonardi. A, llorquando maggiormente infieriva 1' asiatico morbo nella capitale dello stato pontificio ( ove sembra aver avuto tomba in Europa sì micidiale malattia ) una delle vittime che più ebbe a de- plorarsi fra i cultori dell'arte salutare si fu il pro- fessore Filippo Leonardi, spento in breve spazio di tempo, non pervenuto peranche a vecchiezza. Nato di onesti e civili genitori, fin dall'apri- le degli anni suoi intraprese la carriera chirurgi- ca nella illustre scuola romana, sotto la scorta dei rinomati professori Asdrubali, Geloni, Flaiani, Si- sco ed altri molti di cui sempre ha fiorito e fio- risce questa insigne università. Il nostro giovane alunno con eccellente indole e solerte applicazio- ne profittò assaissimo negli studi intrapresi: per cui raggiunse non solo, ma sorpassò fin' anche alcuni de' suoi condiscepoli, da far presagire vantaggiosa- mente di lui. Infatti dopo aver percorso i gradì scolastici , matricolato ad honorem in chirurgica, fu in molto fresca età assuto al posto di chirur- go primario dell'ospedale di s. Giovanni, ove, ol- tre la cura degl'infermi , era ancor quella dell' i- struzione ai giovani apprendisti in detto stabilimen- to. Egli allora ben comprese che le istruzioni ele- mentari ne'pubblici insegnamenti sono i fondamen- ti, per mezzo de'quali sviluppasi l'ingegno degli stu- diosi, e dona quel!' ordine e chiarezza alla mente onde possa trar profitto,c più prontamente nell'ap- 302 Scienze prendere qualsiasi cognizione. Da ciò nacque la sua Instituta chirurgica scritta pe' suoi discepoli, af- finchè avessero una scorta slabile e regolare di pub- blico insegnamento. Questa venne alla luccjin tre volumi col titolo di Elementi di chirurgia negli an- ni ■181''» , 15 , e 17, fregiati col nome immortale del pontefice Pio VII. Il primo e secondo tratta- no della chirurgia medica, e l'ultimo della chirur- gia operatoria. In tutta l'opera si vide riunito con molto ordine ed esattezza quanto di meglio in quel tempo era cognito in quest'interessantissimo ramo di arte sanatrice. Assunto al pontificato Leone XII, al cui grand' animo furono molto a cuore nuovi regolamenti in ogni ramo di pubblica utilità, anche il collegio me- dico dell'università romana fu soggetto a riforme; ed ai dodici medici professori , che la compone- vano, vennero aggiunti altri sei soggetti presi dal- la classe chirurgica: per cui al numero di 18 per- venuto, il nome assunse di collegio medico-chirur- gico. Fra gl'individui a cjuesto nuovo impianto pre- .scelti si fu appunto il nostro Leonardi, ed in ta- le onorevol modo divenne membro di questo me- dico magistero. Poco prima che ciò accadesse volle egli pubblicare un opuscolo sull'animazione del feto umano : argomento per cui anche il più svegliato ingegno è d'uopo che entri nel vasto campo delle congetture, per quindi lasciare la questione nello stato in cui prima trovavasi. Ne fece poi una ri- stampa con aggiunte nel 1829, nelle quali co- nobbesi quanta predilezione egli avesse a siffatto problema , e come esso delude sempre la buona volontà di chi ne imprende la soluzione. Aveva già oltrepassato i 9 lustri dell' età sua , quando Necrologia del Liì;onardi 303 nel f825 amò di essere ornato delia laurea medi- ca , e poscia del previicgio della libera pratica : le quali cose non difficilmente conseguite, gli ap- portarono in un punto l' autorizzazione in ambe le facoltà, che di poi onoratamente esercitò. La romana università in allora avea per suo lettore di clinica chirurgica il celebratissimo pro- fessor Sisco : ma carico omai di anni e di gloria avea duopo nel 1828 di un successore, a fine di supplire a qualunque eventuale bisogno ; ed an- che a questo grado di chirurgica preminenza fu no- minato il Leonardi col titolo di sopranumerario. Non andò guari però che per la morte dell'illustre professore romano Asdrubali essendosi resa vacante la cattedra di ostetricia nell' archiginnasio romano, al nostro sopranumero piacque piuttosto di di- venir professore proprietario ed istantaneo, di quel- lo che attendere la futura successione della clinica. Perciò colla rinunzia di questa ottenne di essere eletto prefessore di ostetricia : la cjual facoltà fu da lui disimpegnata con dignità e lodevole soddisfa- zione. Egli era da vari anni socio corrispondente del- l'accademia medica-chirurgica di Ferrara: quando alcuni professori romani di ambe le facollh aggra- dirono alla società medico-chirurgica di Bologna appartenere, nel tempo appunto che un membro residente nella capitale n'era il presidente : e fra quelli che con comune soddisfazione vennero am- messi fu il nostro prof. Leonardi, il cjuale a tutte le obbligazioni verso il corpo accademico onorevol- mente corrispose. I meriti però in lui dello inge- gno e del sapere furono di gran lunga superati dall'eccellenza dell'animo suo, e dalla bontà del suo 304 Scienze cuore; mentre in eminente grado quegli altissimi sentimenti di religione possedendo che soli possono stabilire un carattere di vera probità, e donare al- l'umana natura virtù solide e generose, fece sì die la sua vita divenisse un esercizio continuato di esem- plare condotta da servir di modello a quelli non solo che l'arte sua professavano, ma ad ogni ceto altresì di persone che a civili e sociali incomben- ze veggonsi in tanti modi impegnate. Egli era pro- fondamente persuaso della dignità della sua pro- fessione, e la esercitava non solo con quella carità che suole la religione ispirare, ma con quel decoro e contegno che tanto pregio accresce a quest' arte benefica, e tanto rispetto imprime al pubblico ver- so coloro , che in si nobil modo la coltivano. Ne qui limitavansi questi saggi riguardi : avvegnaché con sagace discernimento largamente praticavali nel conversare coi suoi colleghi, dei quali o plauden- do i migliori, o stimando il maggior numero, o ta- cendo di alcuni pochi , sempre la convenienza di tutti conservava: ben discernendo che una scienza sì vasta , sì difficile, sì perigliosa, non potrà mai ispirar fiducia, qualora coloro che la esercitano non mostrino di apprezzarla, e quindi non sappiano al tempo stesso onorare e rispettar se medesimi. Ne curava quei vilissimi ed abituali maldicenti , che con maligno spirito, bassi modi e turpissimi mezzi, detraggono ad altri quella fama che non seppero mai acquistare : conoscendo che esseri sì abbietti danno non recano se non a se stessi, col riportare in fine la pubblica esecrazione. Fin dalla sua fresca età condusse moglie, colla quale in mezzo a numerosa prole ebbe a godere i piaceri della vita domestica : previiegio esclusivo Necrologia del Leonardi 305 che la provvidenza riserva alle virtù private degli uomini dabbene. Due anni innanzi alla sua morie fu attaccato da una fiera oftalmia che minacciò ridurlo a ce- cità, e quantunque il male andasse in gran parte a dileguarsi, nulladimeno non potè ricuperare af- fatto la primiera sua vista. Ma ciò che lo condusse rapidamente al sepolcro si fu quella eroica fer- mezza, colla quale un professore convinto da'sacri doveri del proprio officio si slancia in mezzo alla pestilenza per soccorrere tante vittime luride ed agonizzanti, il cui solo aspetto tenterebbe respin- gere ed atterrire talvolta T animo anche più ci-, mentoso ed ardito. E benché non gli fosse a sor-^ te assegnato ospedale alcuno cholerico per la medi- ca direzione, tuttavia fu sufficiente la cura di al- cuni suoi clienti per contrarre la malattia, e ve- derla rapidamente sviluppata e condotta a quei ter- mini, nei quali l'arte salutare si riconosce il più delle volte impotente. Egli vide appressarsi la mor- te senza spavento : ma non mostrò neppure quel- la inverisimile indifferenza che presume taluno af- fettare, e che viene poi suo malgrado ad ismentire. Un padre che era il sostegno di numerosa figlio- lanza, che poteva ancor vivere parecchi anni a prò di essa, onde vederla educata e stabilita, come non dovea non sentirne la desolante idea, e dissimula- re il cordoglio ? Un animo però si conformato alla vera pietà trovò i suoi conforti nella religione : conoscendo ben'egli che in quell'istante non poteva attenderli se non da lei, mentre l'ambascia di un SI terribile morbo non ammetteva ne spazio , ne calma per occuparsi di altro che di un eterno av- venire. Quindi spirando il dì 3 settembre non la- G.A.T.LXXX. 20 306 Scienze: sciò alla lacrimante famiglia , che la sua benedi- zione ed il proprio esempio, ai colleglli il decoro della sua professione, agli amici la candidezza di un puro affetto, al pubblico la norma di ogni so- ciale virtù. I luttuosi tempi, in cui ebbe fine la vita di un SI distinto professore, non permise alcuna onorevo- le dimostrazione nel condursi alla tomba: avvegna- ché fin anco i grandi per potere e dignità furono tra il cupo silenzio della notte inonoratamente se- polti. Rimarra però a tutti sempre cara la sua memoria, e tutti i buoni faranno voti al cielo, af- finchè ci doni pili spesso uomini di tal merito che all' esercizio di un' arte si necessaria sappiano si- multaneamente accompagnare le piìi belle morali e religiose virtìi, senza le quali anche l'ingegno più grande ed il piìi esteso sapere sceman di pregio non solo, ma possono essere di nocumento piutto- sto, che divenir utili ed esemplari al genere umano. DOTT. Francesco Valori 307 LETTERATURA Osservazioni del cav. P. E. Risconti ^ commissa- rio delle antichità romane , intorno alla noti- zia bibliografica posta dal chiarissimo don Ce- lestino Cavedani nelle memorie ec. di Modena^ sulVàes grave del museo kircheriano, illustrato dai PP. G. Marchi e P, Tessieri della compa- gnia di Gesù. -i-I eh. prof, don Celestino Cavedoni, custode delle medaglie dell'altezza imperiale e reale delTarcidu- ca d'Austria, duca di Modena, sotto il titolo di No- tizia bibliografica lia teste pubblicato nelle Memorie di religione morale e letteratura (1), che si stampa- no in Modena, un suo sunto, ch'è insieme un critico giudizio, intorno all' aes grave del museo kirche- riano, opera dei pp. Giuseppe Marchi e Pietro Tes- sieri della compagnia di Gesù, della quale nel pe- nultimo fascicolo di questo giornale, fu per noi data contezza; e lo fu con quella giusta lode che la no- bile fatica dei dotti pp. ci sembrò meritare. Do- (i) Tom. Vili a e, ii8 e seg. 308 Letteratura ve pur non mancammo, quando ne parve opportu- no, di contrapporre alcuna nostra osservazione alle oppinioni degli AA. E se il eh. don Celestino Ga- vedoni si fosse limitato a fare ìj medesimo, ora non saremmo ad assumere la difesa di un libro dopo lunghe cure pubblicato in Roma ad illustrazione di monumenti che tanto alle romane istorie si le- gano, e che fra noi è stato veduto con ammirazio- ne ed applauso. Ma poscia che quella notizia bi- bliografica tende a nulla meno che a crollare e smuovere le fondamenta, sulle quali tutte s'innalza- no le dottrine di quel libro , a cui ho dato così pubblica e solenne testimonianza di approvarlo e seguirlo, mosso io dall'onore degli studi nostri, e forse non meno dalla stima, che grandissima pro- fesso ai dotti valentuomini che affaticarono in re- carli a gloria maggiore, mi è sembrato essere nella necessita di chiamare ad esame le sentenze del eh. scrittore modenese, per porre in istato gli studiosi di cosiffatte ricerche di giudicare poi da quale dei due lati si trovi la ragione migliore. E in questo come da ragioni generose son mosso, così spero di tenermi lontano da ogni ombra di offesa, massima- mente verso di un uomo per tanti titoli commende- vole, e che ha degno seggio fra' chiari archeologi, onde s'illustra la presente età. La notizia bibliografica si può considerare di- visa come in due parti. Nell'una delle quali si vuol dimostrare, che gli autori si allontanarono dal vero nel determinare l'epoca, in che ebbe origine Vaes graw figurato: nell'altra, che non furono più felici ncU'atlribuire ai popoli cistiberini sì le monete co- niate aventi la epigrafe ROMA o ROMANO, e sì le monete di aes gnwe, le quali hanno tipi eguali od Aes Grave del musèo Kirch. 309 afiìnl a coleste medesime monete impresse dal co- nio. «Tutta la parte del ragionamento, cosi il eh. Ca- vedoni, la quale riguarda i confronti e la interpre- tazione dei tipi, e quindi le attribuzioni, segnata- mente delle serie della classe 1'^, parmi ipotetica e congetturale, e non conforme ad altri principii cer- ti della scienza numismatica e della storia delle arti antiche ». Rispetto ai principii certi della scienza numismatica e della storia delle arti antiche, non mi fa maraviglia che gl'illustratori non abbian po- tuto in tutto e per tutto accettarli e seguitarli. Si trattava d'una parte d'antica numismatica non an- cora bastevolmente conosciuta ed illustrata da' nu- mismatici de'passati tempi: si trattava di monumenti dell'arte antica, che comparivano in parte per la prima volta ad allargare in certa guisa la serie sva- riatissima degli altri monumenti , onde vanno su- perbi i moderni musei, e vi venivano co' caratteri del tempo e della patria, in che erano stati ope- rati. E quanto ai principii affermati certi della sto- ria dell'arte antica , non si potevano dagli autori tener per certi, quando questi dalla testimonianza de'monumenti che avevano sott'occhio tanto si allon- tanavano. Ma vediamo quali sieno questi principii certi, che il eh. A. della notizia bibliografica oppone alle »■ )pp( congetture degl' illustratori dell' aes grave. Sono questi nelle carte del Lanzi e dell'Eckhel: carte no- bili in vero e gloriose; non tali però, che siano da tener sempre d'irrefragabile insegnamento, quando veggiamo tornare in luce da tutte parti, e in infini- to numero da queste pontificie terre della Etruria e del Lazio, i monumenti che le smentiscono: quan- do inediti volumi di antichi scrittori nuovamente ■310 Letteratura portati alla luce, stan contro a quelle sentenze. E veramente io mi persuado, che se rjue'due veneran- di maestri, e gli altri della eletta schiera, avessero potuto conoscere tutti i nuovi sussidi somministrati all'archeologia dalle nuove scoperte in questi ultimi anni, avrebbero con infinito lor giubilo ritrattate moltissime delle loro opinioni; e sono poi certo, che ben altro giudizio pronunziato avrebbero su Vaes grave , se fosse loro stalo possibile di vedere con gli occhi o di contemplar con la mente la grande istoria ch'esso ci dispiega innanzi nelle tavole da' nastri autori ordinate. Perciò più che del Lanzi e dell'Eckhel, parmi con verità che nel presente sta- to della scienza dell' archeologia sieno da tenere per proprie e particolari del Gavedoni quelle opi- nioni, nelle quali egli stima di perseverare tuttavia: mentre riesce evidente, se pur non andiamo assai lungi dal vero, che mutate ora si sarebbero da co- loro stessi che primi le recarono innanzi. Ne vogliamo passar oltre senza osservare (sin- golare cosa, e non nuova nelle istorie delle lettere e delle scienze ) che per que'giudizi e per ciucile opinioni il Lanzi e l'Eckhel e gli altri, che in quel- la elìi aiutarono l'avanzamento delle cose antiquarie, furono gridati novatori da uomini eruditi e sinceri, non però abili a seguitare il progresso dell'archeo- logia, come appunto novatori si chiamano adesso i nostri scrittori. La prima proposizione, che prende a sostenere il numismatico modenese, ella è questa: che la ori- gine (leWaes grave debba abbassarsi di molto, per modo che le officine italiche primamente si apris- sero intorno a cjuegli anni, ne'quali i nostri auto- ri suppongono che fossero chiuse. Sentenza che si Aes Grave del museo Kirch. 311 scosta (la quella dcgl' illustratori di meglio che cento e cinquant' anni. Perchè dove questi voglio- no far risalire almeno alla meta del secondo seco- lo di Roma la origine di que'monumentì, il Cave- doni si adopera a dimostrarli nati non prima del secolo quarto. Ben vede esso non si poter esimere dalla testimonianza di Plinio, il quale riconosce in INuma l'istitutore primo della moneta romana. In luogo però di convenire con gli AA. che sia moneta di tal re quella di che il tempo ci ha conservato tante reliquie , e che ofifre la tavola III, A della classe P, vuol piuttosto che i monetieri di quel se- condo re della nostra citta non altro facessero che preparare e dar giusto peso agli obeli o verghette di metallo rude. Ma vaglia il vero, questa sentenza non ha sostegno alcuno nell'autorità degli scrittori o nel- la testimonianza dei monumenti. Perchè quale fra gli scrittori antichi ha fatto parola di colali obeli? Per fermo nessuno. Tutti anzi si accordano in que- sto, che favellando delle origini della moneta, ri- cordano prore di navi e Giani e figure di animali. E non sarebbe simile a prodigio che questi obeli^ che pur si avrebbero a credere numerosissimi, stati in corso dai giorni di Numa sino al regno di Ser- vio, sieno potuti rimanersi celati a tutte le indagini, che da secoli vanno facendo gli archeologi di ogni sorte di monumenti ? Quale è oggi mai, non dirò quella moneta, ma quell'oggetto stato in uso agli antichi, per vetustissimo, per piccolo, per fragile che finger si voglia, che non faccia mostra di se in alcun museo o in alcuna collezione di qualche stu- dioso? E i soli obeli dì Numa si occulterebbero an- cora sotterra a fronte di tante scoperte ? La moneta per questo s'impronta dalla pubblica 312 Letteratura autorità, acciò sìa fatto sicuro ciascuno essere tli una detcrminata bontà e di una determinata cjuantita il metallo che la compone. E ben ne porge la definizio- ne Isidoro, cola dove scrisse : In numismate irla cjitaeraiitnr: metallum^ figura et pondas. Si ex iis aliquid def aeriti numisma non erlt (1). Nulla di tutto questo trovo io nei supposti oheli: anzi un tale artifi- zio mi si presenta, come più. mal sicuro ancora dello stesso aes rude primitivo. 11 cjuale , con la bilancia alla mano, si riceveva almeno con la sicurezza della quantità : dove negli oheli poteva agevolmente il falsario nascondere sotto una buona corteccia qua- luncjue ladroneccio. Dagli oheli di JNuma scende il eh. sig. Cavedoni alla moneta di Servio; però con opinione che non ci sembra gran fatto piìi felice di quella prima. Imperciocché egli scrive: « Farmi da credere, che Servio Tullio istituisse gli assi li- brali, che per molto tempo si rimanessero di for- ma quadrilunga adatta ad ammontarsi o stiparsi nelle camere. » Sebbene grillustratori AeW aes grave non aves- sero unita al loro lavoro nessuna delle monete pri- mitive cjuadrilunghe, avevano però affermalo, che dagfli esami per loro istituiti appariva le monete quadrilunghe non essere assi librali, ma veri quini- pondii ; onde le dissero trovate da' monetieri ci- stiberini ad allargare i confini della serie ordina- ria che dall'asse discende all'oncia. E noi nel già citato nostro sunto fiicemmo ad essi invito a pub- blicare i promessi c[uinipondii cjuadrati , perche senza una tale addizione ci pareva alcuna cosa man- (ì) Oiig lib. X\I, 5. ,7. Aes Grave del museo Kirch. 313 care all«i intiera notizia di questa moneta dcWaes grave. Avendo poi spesso tenuto discorso con gli AA. su tale proposito, facendo loro conoscere al- cune notizie di tipi e di ritrovamenti di cosiffatti numismi, scorgemmo averli specialmente guidati a quella sentenza , che in fatti è la vera , il vede- re lo stile di cotali quinipondli essere in ogni par- te eguale a quello dell' aes grave di forma roton- da. Ne so comprendere perchè meglio si ami di abbandonarsi alle incerte conghietture, che il crede- re a testimoni, che ingenuamente riferiscono i fatti che loro passano per le mani. JVè poi l'osservazio- ne de'pp. Marchi e Tessieri è cosi nuova, che non balenasse allo scrittore della dottrina delle meda- glie; giacche per confessione dello stesso Cavedoni ce la forma quadrilunga non sembra all'Eckhel indi- zio certo di antichità piìi remota ». Con qual prò della scienza vuol egli dunque tener fermo il contra- rio? Se il quinipondio quadrato, che l'Eckhel pub- blicò nella sua prima silloge (1) con la descrizione: Aquila expansis alis fulmen unguibus stringiti lì, ROMANOM., pegasus volaiis: creduto fosse genui- no dall'oppositore, non basterebbe quest'uno a scon- certare tutte le sue idee, sì dal lato del peso, e si da quello della epigrafe e dello stile ? Aggiungerò la testimonianza de'miei propri occhi. Dalle esca- vazioni di Tarquini uscì pochi anni addietro un vaso, entro al quale si trovarono tre grossi fram- menti di quinipondii quadrilunghi, e insiera con essi parecchie altre monete rotonde di quelle se- rie, che io stesso convengo che si abbiano a chia« (i) Pag. go; ma questo bronzo è cliiaramenle falso. 314 Letteratura mare de' latini e de'voisci. Nella primavera del trascorso anno 1838, un pastore s'imbattè in una fresca slamatura di terreno, e per mezzo a quella rovina trovò un qiiinipondio insieme a due assi de'voisci, a un asse e due mezzi assi de'latini. Or se vero fosse, la moneta quadrilunga esser quella del re Servio, e la rotonda quella del secolo quar- to di Roma, come accade che la si ritrovi insieme ne'ripostigli medesimi ? E se il quinipondio di Bo- marzo, eh' è adesso insigne ornamento del museo kircheriano, è appunto di peso eguale alle cinque libre romane; se da tal peso si scosta per sole tre oncie il quinipondio edito dall'Eckhel: come si vor- rà che assi librali da noi si chiamino tali mone- te ? O vorrà piuttosto persuaderne il eh. Cavedo- ni, che la libra romana dell'età di Servio fosse cin- que volte quanto quella del secolo quarto ? Non è facile impresa il solvere questo duplice nodo. Se non che resta agevolmente sciolto, ove la gravis- sima moneta quadrilunga si riguardi per rappre- sentante di valore collettivo, siccome tutto lo mani- festa, e secondo l'analogia che ne offrono il decusse, il tripondio e il dupondio romano. Moneta che poi, come in Roma avvenne, cesse il luogo a più pre- zioso metallo, e fu rappresentata dall'argento. Ma di questo abbastanza. Veniamo già al più arduo della quistione. «Farmi (ripiglia l'oppositore) che per la moneta rotonda basti il risalire non più oltre che al secolo quarto di Roma, e lo stesso ad un dipresso vuol dirsi àtWaes grave degli etruschi e d'altri popoli dell'Italia media ». Favellando spes- so di questa opinione con gli autori della dichia- razione àeWaes grave, in cospetto del medagliere del museo kircheriano ordinato e accresciuto per Aes Grave del museo KirxCH. 315 le loro cure, ho avuto agio a convincermi quanto difficile riesca il poterla accettare,- e fosse pur anche solamente in grado di probabile. E che essa sia mal sicura apparirà manifesto, considerando per poco a quali conseguenze ne addurrebbe. La moneta ro- tonda degli etruschi e degli altri popoli delV Ita- lia media non risale più oltre del quarto secolo di Roma. Dunque ho io ragione di conchiudere, la moneta primitiva di Lucerà nella Daunia è mo- neta del quarto secolo di Roma. Ma Lucerà, oltre la moneta sua primitiva di peso gravissimo, ha man- dato fuori della sua zecca, altre monete d'un peso mezzano; ciò che non può essere accaduto, se non in tempo più tardo da quella prima, come sì vede per lo raffronto delle altre serie, e massimamente della romana, cli'è la certissima di tutte. Oltre di ciò Lu- cerà in una terza epoca ha impressa col conio tutta quella moneta, che ne'precedenti tempi non sapeva segnare se non con la fusione. Si assegni, con la ipo- tesi dell'oppositore, il secolo quarto a quella prima moneta più grave. Forza sarà che quella già dimi- nuita di peso discenda almeno alla seconda metà di tal secolo o alla prima del susseguente: quindi alla origine della moneta lucerese coniata assegnerassi la seconda metà dello stesso secolo quinto. Ne stimo che in questo calcolo mi si possa dar taccia di esorbitan- za; massimamente dall'oppositore, il quale ha asse- gnato un centocinquanta anni agli obeli di Numa; quasi altrettanto alla moneta quadrilunga di Servio; e ciò per principio certo della scienza numismatica e della storia delle arti antiche. Ma contro al prin- cipio affermato per certo dal Cavedoni , e contro la mia ipotesi, sta l'Eckhel, il quale con argomen- ti irrecusabili ne convinse, che le monete di Sicilia 316 Letteratura con l'epigrafe DANKAE non poterono esser segna- te dopo l'anno 276 di Roma. Non dico qui d'altre monete rotonde e segnate col conio nella nostra Italia e nella Sicilia, che lo stesso Eckiiel riconosce per opere del terzo secolo di questa citth. E perchè l'oppositore non possa farmisi contro con quest'al- tra difficolta , che cioè le monete rotonde coniate dell' Italia meridionale non possono essere prova abbastanza certa, per ammettere nella Italia me- dia l'uso medesimo: aggiugnerò, che l'Eckhel non trovava alcuna ripugnanza nell'affermare, che Fa- leri città etrusca, posta quasi sulle porte dì Roma, anteriormente ancora all' anno 361 coniasse mone- ta rotonda; e non in bronzo solamente, ma anco- ra in argento. Altre epoche certe mi sarebbe fa- cile di stabilire per le monete dì altre città ita- liane, nel terzo e quarto secolo di Roma; ma, per cessare soverchie citazioni ed inutili , voglio con- tentarmi di queste due sole. I monumenti dunque e la critica dell' Eckhel ci fanno fede, che tra la metà del terzo, e quella del quarto secolo di Roma, l'arte di figurar le monete col conio, anche nell'argento, si era distesa da Messina per fino a Faleri. Ma, nella sentenza dell'oppositore, fu sola- mente nel secolo quarto della città, che nella Ita- lia media si conobbe la forma rotonda della mo- neta. Dal che ne seguirebbe, che mentre i siculi ed ì falisci usavano già l'arte comoda, economica ed uti- le di segnare i metalli a freddo con figure ed iscri- zioni diverse, gli altri popoli tutti dell'Italia media, e, secondo ch'egli afferma, ancora i campani, prov- vedessero ai loro commerci con l'incomoda, dispen- diosa ed incerta arte del getto. Cosi l'infanzia del- la moneta e la perfezione della medesima si sa- Aes Grave del museo Kircii. 317 rebbero vedute in una medesima età, e presso a po- poli limitrofi. Il conio ed il getto, che ogni ragion dimostra l'uno all'altro succeduto, sarebbero slati insieme. I traffici resi difficili da tanto esorbitante disparità dei segno che in essi si adopera, anzi eh* è trovato per essi: turbata la storia delle arti; anzi dello stesso umano ingegno, che ne' prodotti delle arti si manifesta. No, questo non insegnano i prin- cipii certi della scienza numismatica e della storia delle arti antiche. Solo egli è mestieri spogliare la mente di certi sistemi, che derivando da opinioni preconcette, debbono cedere alla luce del vero. E nel presente caso , questa luce si trova tutta nei monumenti saviamente interpretati, paragonati, e- sposti. Cose in vero cosi saviamente eseguite dagli il- lustratori deìVaes grave , che quanto piìi matura- mente considero il loro volume, tanto più mi è in grado di essere stato il primo ad annunziare, es- sere la loro opera una utilissima e nuova rivela- zione dell'antica gloria e grandezza delle arti e del- l'ingegno italiano. Detto del primo assunto del eh. A. della no- tizia bibliografica, è omai da passare al secondo , ch'è in dimostrare, che gli espositori della nostra moneta hanno errato nell'attribuire ai popoli cisti- berini si le monete coniate con 1* epigrafe ROMA e ROMANO, e sì quelle di aes grave, che mostra- no tipi eguali ed affini a tali prime monete. Ecco di qual modo egli ragiona in proposito: « Ma quan- do pur si volesse, che la provenienza dimostrasse veramente latine quelle monete, e che il peso loro maggiore le facesse risalire a tempi piìi antichi, di quello dell'ae^ grave avente tipi evidentemente ro- mani; nulla divieta l'attribuirle ad officina romana. 318 Letteratura I romani da principio poterono adottare tipi di- versi per Vaes grave, del pari che fecero gl'icuvini; anzi siccome adoperarono poscia i romani stessi ri- guardo ai tipi varianti dei prischi loro denarii che comunemente diconsi consolari ». Qui si stabiliscono due ipotesi, che in verità ne solvono il nodo, ne lo stringono: e noi potevamo aspettare dal dotto numografo argomenti di miglio- re efficacia. L'analogia dei denari d'argento non è as- solutamente vera; perchè i romani mantennero già sovr'essi uno stabile tipo, quello della testa galeata nel ritto, e i dioscuri nel rovescio. E neppure se originaria fosse in tale moneta la diversità de'tipi, indotta più tardi in essa dai tre preposti alla zecca, nulla proverebbe per noi, che qui abbiamo alle ma- ni non l'argento romano, ma il bronzo. Il quale chi è si poco perito nella numismatica, che non sappia aver nelle officine urbane serbato tipo i.ivariabile dall'asse all'oncia, meno le pochissime usurpazioni de' triumviri monetali? (Veggasi la tav. Ili, A.) Ne pili salda si mantiene alla giusta critica la propo- sta analogia della moneta degli icuvini. Gli auto- ri avevano stabilito la loro sentenza della unita di serie in ciascuna officina, sopra l'incontrastabile fatto, che presentano quelle di Todi, di Lucerà, d'Atri, di Rimini e di tante altre. La pluralità de* mezzi assi, de' trienti e dei quadranti degli icuvi- ni, era per loro un indizio di pluralità di officine in quel paese; pluralità sostenuta dal nome colletti- vo della epigrafe >nnv>||' E dopo ciò qual parità si poteva ragionevolmente stabilire fra la moneta degl'icuvini, segnata da una lega di popoli, e desti- nata a rappresentarla, e la moneta de'romani, cioè di popolo unico e dominatore degli altri? Ma per Aes Grave del museo Kirch. 319 qual ragione vuol egli l'opposi lore che sieno ro- mane tutte quelle serie, che dagli illustratori si as- segnano ai popoli cistiberini? Ha egli un bel dire, che nulla divieta V attribuirle ad oleina romana. Se io rispondessi: che lo divieta il bronzo coniato ro- mano: che lo divieta l'analogia delle altre tutte of- ficine italiche: che lo divieta l'occhio di chiunque consideri, non dico Tunica doviziosissima supellet- tile accolta nel medagliere del collegio romano, ma le sole tavole pubblicate dai nostri illustratori; a lui si apparterrebbe il trarmi fuori d'inganno. Quanto a me, parmi tanto lontano dal vero il voler dare alla officina romana qualunque siasi delle se- rie delle officine cistiberine, quanto il parrebbe a ciascuno, se io dessi ad Atri la serie di^Todi, o a Todi quella di Atri. Se non che il chiaro oppositore, fornito come è, e come in altri numismatici lavori lo ha di- mostrato, di un eccellente criterio, viene egli me- desimo a sospettare della bontà di questo suo pri- mo divisamento, e passa a proporne un secondo ^ intorno al quale ci convien pure di spendere al- cune parole. Dice dunque: « È quando questa con- gettura non vogliasi ammettere, dirò ( e questa è la sentenza che io preferisco ) che Vaes grave che è insieme il piìi bello e il più pesante, spetti, non già al Lazio agreste, ma sibbene agli etruschi, ov- vero agli oschi della felice Campania; giacche, non ostante i dubbi promossi dai eh. autori, alla Cam- pania spettano senza dubbio le belle monete aven- ti la scritta ROMANO e ROMA con tipi che in parte confrontano con quelli del controverso aes grave. » Entro volentieri a rispondere a questa op- posizion nuova, per la quale il eh, Cavcduni dalla 320 Letteratura odici na romana, trasporta cosi d'un tratto sì gran parte dell' aes grave alle officine tanto lontane de- gli etruschi e degli oschi di Campania'^ perchè so- no lieto di esporre ciò che io mi pensi dì quelT agreste Lazio, che, se non m'inganno, parve a lui rozzo troppo per andar fregiato di cosi nobil mo- neta. Notissimi, ed allegati più forse che non si dovrebbe, sono que'versi d'Orazio (1): Graecia capta feriim victorem cepit, et artes Jìitulit agresti Latio. Ma per fermo il poeta non parla qui di quel La- zio , nel quale affermano gì' illustratori esser na- te le serie cistiberine. Intende egli con quella de- signazione di appellare la sola Roma , che fu quella che vinse la Grecia ; e che veramente post punica bella, venuta alle lautezze e alle delizie del vivere, si cominciò a recare in casa le lettere e le arti dei greci soggiogati. Prima di quella età, agreste certamente era il vivere, agreste il costu- me de'romani. Ma cotesta loro rozzezza non si po- trà recare giammai come una dimostrazione, che latini, rutuli, volsci ed aurunci, ne*precedenti tem- pi, ne' quali erano stati mirabilmente in fiore di civiltà e di potenza; quando si godevano indipen- denza di dominio, vaste città, ampiezza di traffi- ci, anche marittimi; gloria di guerra e sicurezza di pace; allora agresti fossero e incolti. Si ponga men- te di grazia alla suprema nobiltà di queste terre vetuste; si considerino gli stupendi avanzi della primigenia nobiltà latina, non forse mai superate (i) Episi. lib. lì, I, V. i5(j, ijy. Aes grave del museo KiRcii. 321 dal romano fasto; e sarà giuoco forza il confessa- re, che bene è questa regione delle più illustri e venerande che vanti l'antica Italia. Or se al Lazio togliere non si possono queste serie dell' aes grave, perchè fosse agreste e inet- to a formarle, meno mi sembra valere a ciò quel- lo che dall'oppositore si aggiunge, che alla Cam- pania (cioè) spettino senza dubbio le belle monete aventi la scritta ROMA.NO e ROMA, con tipi che in parte confrontano con quelli del controverso aes grave. Qui il contraddittore si fa scudo dell'au- torità dell'Eckhel, punto non si curando delle vive ed efficaci ragioni dagli autori recate innanzi a sostenere le serie per cistiberine. Or se mi ver- rà fatto di mostrare che in questo particolare 1' Eckhel (d'altronde acutissimo critico e scrittore di somma autofila) si trova in contraddizione con se medesimo e col Cavedoni , e il Gavedoni con 1' Eckhel; avrò insiememente dimostrato, che in que- sta causa non si può aver giusta fiducia in alcuno dei due- Esaminando Giuseppe Eckhel [*aes grave noto ai suoi tempi, non trova ripugnanza veruna nel seguire la comune degli antiquari del secolo trascorso, i quali insegnavano, l'^ej- graj^e tirreni- co tutto appartenere a Roma, o all'Etruria tran- stiberina, o all'Umbria, senza mai far menzione del- le genti cistiberine; meno ancora degli etruschi e degli o scili della felice Campania. E l'Eckhel me- desimo , chiamando da poi ad esame le belle mo- nete colla epigrafe ROMA e ROMAICO, non sa av- vedersi, che coleste monete di conio erano come altrettante copie di quegli esemplari in aes grave, ch'egli aveva già riconosciuti per romani ed etru- schi , come il Gavedoni slesso confessa. Ghè anzi G.A.T.LXXX. 21 323 Letteratura preso alla bellezza dell' arte, che splende in tali monete, e vedendola eguagliare quella delle zec- che campane, pronuncia contro se medesimo quel- la sentenza, alla quale ora l'oppositore s' attiene, che campane sieno quelle monete. Cosi l'Eckhel a se e al Cavedoni contraddice, affermando romani ed etruschi gli esemplari, campane le copie ; cioè le monete stesse ridotte all' arte del conio. Il Cave- doni poi contraddice all' Eckhel in quanto vuole campani e gli esemplari e le copie. Scusano a' miei occhi, e SI il faranno pure agli altrui, contraddi- zioni per tal modo manifeste, l'avere i due numis- matici scritto così lontano da questa Italia me- dia, che è pur dire da quella luce di osservazioni e di raflfronti locali, che sono le vere scorte fedeli in tante tenebre di antichità. All'autorità dell'Eckhel reca l'auldre della no- tizia bibliografica un nuovo sostegno con quella di un uomo chiarissimo, il cav. F. Avellino, il quale seguitò la opinione del numografo viennese. Non v'ha forse chi piìi di me stimi ed apprezzi la dot- trina, l'ingegno e le scritture del eh. Avellino, che appresi ad aver in sommo pregio dall'ottimo mio genitore, appo il quale era egli in sommo grado di autorità in tali studi. Però spero che vorrà tenermi per iscusato, se qui gii svelo liberamente un mio pensiero , il quale mi porta a credere, esser egli stato indotto ad accettar facilmente l'opinione dell' Eckhel da una cagione generosa, che altissimi in- gegni recò talvolta a ben più grave traviare, che questo stato non è: dico l'amore di patria. E di ve- ro quando l' Eckhel cercando una patria a quelle belle monete, che a ragione si dicevano di officina non romana, le recava alla Campania; il eh. Avelli- Aes Grave del museo Kirch. 3123 no, così egregio fautore della gloria e grandezza di quella sua provincia, come poteva non accoglie- re la oflferta che gli veniva fatta dall'insigne mae- stro d'oltremonte ? Ma il primo non seppe, l'altro forse non curò di premettere a quel giudizio il necessario raffronto di quelle monete coniate con l'altre di aes gra^'e ad esse corrispondenti. Or s' egli è vero, come è verissimo, che le une sono al- le altre anteriori; egli è pure irrecusabile che le co- niate si abbiano a riconoscere per copie delle fu- se. E se le fuse mai non sono state tenute per cam- pane da veruno di que'dotti, che linora hanno po- sto studio suir aes grave dell'Italia media ( se ne eccettui adesso il eh. Cavedoni ), ne discende che neppure le coniate si possono affermare ragionevol- mente per campane. Ne mi par malagevole il ritorcere contro l'in- tento, pel quale si produssero alcune ragioni che so- no dell' Eckhel e de' suoi seguaci. Perchè l'argo- mento che traggono dalla simiglianza dello stile, di- cendo che le monete con la epigrafe ROMA o RO- MANO, riscontrandosi con lo stile di quelle di Tea- no, di Suessa, di Calvi, siano da tener assolutamente di quelle zecche, a me sembrerebbe di alcuna forza, ove gl'illustratori volessero trasportare quelle prime monete in provinci» affatto disgiunta dalla Campa- nia. Ma vaglia il vero, non mi sembra di momento ben grave, quando essi le assegnano ad officine di la- tine citta, alcune delle cjuali sono piU vicine a Tea- no ed a Calvi, di quello lo siano Napoli e Capua. Ma, si continua, la greca epigrafe NEOnOAITON, e l'al- tra similmente greca PiQMxlIOIVi riportate dall'Eck- hel (1), e la terza pubblicata dal eh. cav. G. Micali (i) Docl. Nulli lom. V, pag. 47- 324 Letteratura con leggenda osca (1), e citata dall'Avellino (2), non formano esse una dimostrazione ? Sì veramente la formano; ma, se non m'inganno, egli è appunto nel senso opposto. Imperciocché a me pare questo esse- re buon ragionamento: cfuando i monetieri di Napo- li e delle citta greche vollero dare a divedere, che le monete uscivano delle loro officine , come che im- prontate fossero de'tipl delie zecche latine, e con epigrafi allusive a Roma, v'impressero i propri lor nomi o quelli de'romani, nel loro nativo linguag- gio, ch'era l'osco ed il greco. Dunque le monete che hanno que'medesimi tipi, uniti ad epigrafe non osca ne greca, ma puramente latina, non possono per ra- gion della epigrafe stessa essere assegnate ad offici- ne greche od osche; ma sì a romane o latine. Ma di tutto il discorso fin qui sia il giudizio dei veri dotti, fra' quali speriamo che il eh. Avelli- no ancor esso voglia farci conoscere il suo pensiero in cosa che a lui in più special modo vogliamo sot- toposta. Poche altre cose restano a dirsi riguardo alle generali opposizioni fatte alla illustrazione dell' aes grave del museo kircheriano. Fra queste non dissimulerò di avere veduto con qualche sorpresa, che il eh. Gavedoni, il quale in molti suoi lavori numismatici ha saputo fare buon conto dell'argo- mento della provenienza della moneta, nella presen- te notizia bibliografica lo ponga quasi affatto da la- to, quasi poco confidente nelle molte e genuine te- stimonianze degli illustratori. Io, per l'ufficio che so- stengo di commissario delle romane antichità, do- (•) Italia avanti il dominio de' romani, tav. LIX, n. i4- (2) Opuscoli, tom. II, a carie 32. Aes Grave del museo Kincn. 325 vendo sopravv(xlcre quanto tli antichi monumenti si va scuoprendo alla giornata, potrei qui riferire al- cuni dei moltissimi fatti, clie mi cadono quotidiana- mente sott'occliio, e sono una buona giunta a quelli dagli autori ricordati. Ma per non dilungarmi so- verchio, lo rimando ad altra occasione, quando mi accada di tornare alla difesa di queste romane dot- trine, e di questi a me carissimi studi. I quali, coii- vien pure «ndarne convinti , se moltissimo si ac- crebbero per le illustri fatiche del Lanzi e dell' Eckhel, ambedue della dotta e benemerita compa- gnia, in seno alla quale scrivono gli AA. NN; non però toccarono per essi la lor giusta meta; ne que' sommi ingegni tutte le volte videro o poterono vedere la verith. Le nuove scoperte, i nuovi raf- fronti, le nuove considerazioni van formando, a que- sti ultimi anni massimamente, una nuova archeolo- gia. Non è egli lodevolissima l'industria dei pp. Mar- chi e Tessieri, cjuando si associano con tanta felici- ta ai progressi veri di questa scienza, continuando la gloria che si acquistarono que'primi lodati pa- dri, coi quali han comune l'istituto ! Ma perchè questo qualunque siasi lavoro si ri- marrebbe manchevole, se non vi si trovasse risposta a certe osservazioni particolari, che sono nella noti- zia bibliografica , toccherò qm nella conchiusione alcuna cosa di esse. Il quadrante della terza e quarta serie latina rappresenterà sempre per me una mano e due spole, non due grani d'orzo, finche a dichiara- zione di quel tipo non sarà addotto altro argomen- to, che quello che il Gavedoni trae dal salmo 127: Labores manuuni tuarum quia nianducabis ^beatus es et bene tibi erlt. Ne l'orzo è tanto produzione della industria, che più noi sia delTubertà del suolo; dove r{26 Letteratura quasi esclusivamente dall'opera della mano veniva- no i tessuti, che perciò appunto si dimandano ma- nifatture. Nel quinciince di Atri , citta picena, veggo un legame necessario tra la Medusa ed il Pegaso. L'oppositore, con voler tenersi fermo alla opinione che nella protome riconosce una Venere, è costretto a ricorrere alla universale ragione della fecondità, e a non polere dar conto dell'andamento- disordina- to de'capelli della testa ch'è nel dritto, ne di quella voluta, l'estremith della quale si disgiunge da se medesima, e come vera testa di serpe va a ferire la tempia della Gorgone; e temo che di quella con- chiglia non sarà agevole di ritrovare il modello in veruna delle infinite turbiniti^ che dalla concJii- liologia sono poste innanzi. Coloro, che si trovano in mezzo alle scoperte di antichi monumenti, con- fermeranno verissimo il fatto aJBfermato dagli illu- stratori àf^AVaes grave circa la maggiore rarità de- gli assi, in confronto delle minori parti, nelle qua- li si dividono. Ma non perciò mi sembra cadere il loro avviso, rispetto all'asse tudertino dell' epoca della diminuzione. Questa moneta è dagl'illustratori conosciuta, e ne favellano a carte 80. Il trovarla in cjuesta seconda epoca ora segnata della nota del mezzo asse, ora dei quattro globi del triente, non più mai con la nota dell'asse, li mette in sospet- to, che giù in questa seconda epoca fossero i tuder- tini soggetti ai romani, e da questi avessero proibi- zione di segnare il capo della loro moneta. Con- ghietlura da lodarsi per ingegnosa , quando pure la non si voglia accettare per vera. Che poi il fer- ro di lancia, posto nell'infima parte della moneta di Todi, abbia da dare a Marte su tale città un Aes Grave del museo Kmcii. 327 diritto maggiore, che r;u|uila e il corno di dovizia dell'asse non diano a Giove, lascerò che altri sei vegga. Si accerti poi l'oppositore che fa vana opera, quando ei si stimi di far conoscere agrillustratori deìVaes grave del museo kircheriano, che Icicvio ebbe anclie monete di tre once , e che in Gubbio si fuse l'asse di due once costipi dell'asse romano. Le osservazioni,, da essi istituite con tanta critica e per- severanza, non permettono più di accettare tali mu- nicipali asserzioni; e l'asse di tipo romano trovato in Gubbio, se pur vi fu trovato, altro non si deve tenere che un asse romano cola perduto. In verità poi io non so persuadermi, come abbia il eh. oppo- sitore saputo riconoscere nel rozzissimo lavoro del monetiere icuvino, ch'esso sia stato abile a ritrarci il sole e la luna sotto cielo nebuloso. Viva similmente sicuro il eh. numismatico mo- denese, che la serie àcìVaruspice, o del pontefice etrusco^ non si appartiene certamente a Tarqxiini o a Toscanella. Vicinissime a Roma queste due citta, e ricercate con sommo frutto a questi ultimi anni nel pili intimo delle loro terre, spesso anche sotto la propria mia direzione, non hanno giammai saputo mostrarci pur una sola di tali monete. Esse ci pro- vengono dall'Etruria subapennina, e non d'altron- de : ed è appunto in quella regione, che fa di me- stieri il ricercarne l'officina. Per quello poi che riguarda i tipi della ruo- ta e della bipenne, ch'essi sieno parlari figurati , esprimenti i luoghi ed i popoli che fusero la moneta, sulla quale si veggono, a me pare tanto conforme alla indole e ai modi di que'primi po- poli, che non veggo perchè dispiaccia l'ingegnosa V 328 Letteratura osservazione al chiariss. Cavedoni. Massime che con molta verità ne insegnò egli stesso nel suo Spici- legio^ che Tomi citta del Ponto alluse al proprio nome, ponendo sulle monete la figura di una scure. Or perchè vorrh chiamarsi delirio il dire, che la ruota alluda al nome de'rutuli, quando la si vede su bronzi da'loro usali, e trovati quasi esclusivamente nella loro regione ? E perchè nelle monete con la scure a doppio taglio, che nelle vicinanze di Peru- gia si rinvengono, non potrò io vedere il primitivo nome di quella citta, Ferusia o Ferusa eh' esso sì fosse ? E certo non sono queste allusioni né ricer- cate troppo, né strane, né disformi; e avrebbe a farsi ad esse buon viso , quando di simiglianti son pieni i monumenti lutti dell'antichità; e il linguag- gio simbolico delle antiche genti, ora più che mai reso penetrabile, ne disvela tanta occulta loro dot- trina. Sarebbe qui il fine delle presentì osservazioni, se non mi sembrasse questo utile incontro a pale- sare i miei dubbi intorno una opinione, emessa in proposito delle monete espresse nella lav. Il della 3^ classe da un mio eh. collega ed amico. Il mar- chese G. Melchiorri, che nel bollettino di corri- spondenza archeologica (1) ha posto un pieno ed ac- curato sunto del libro de'pp. Marchi e Tessieri, ha quivi pure fatto conoscere sulla serie di aes grave ^ esibita con la tavola testé allegata, un divisamento da quello degl'illustratori affatto diverso. Imperoc- ché convinti questi di mille modi, la moneta etru- sca non aver lasciato traccia di se al di là del bas- (t) Anno 1839,3 e. n3-i28. Aes Grave del museo Kincn. 329 so Arnò;clopo avere assegnato le loro monete a Cor- tona, Perugia, Arezzo e Chiusi; congetturarono le al- tre della già detta serie potersi convenire a Fiesole od a Siena, città in quella parte d'Etruria non in- feriori alle quattro ricordate. Ma l'autore del sunto, per le figure dei tipi, e per aver posto niente ad un segno ch'è nel campo di quella moneta, simiglian- te a luna che cresca, sì avvisò che la vera officina e la propria sede di esse si avesse a riconoscere, non in Siena od in Fiesole, ma si nella citta di Luni. E illustra la sua sentenza con quel luogo di Lucano: . * . . . quorum qui maximus aevo Aruns incoluit desertae moenìa Lunae: e dell'altro di Marziale: Caseus etruscae signatus imagine Lunae, Ma se 11 coltello, la scure ed il pileo sacerdotale po- tessero valere in favore di Luni , perchè medesi- mamente non varrebbero per Tarquini, Cere, Tu- scana, citta celebri per le religioni loro, e per quel- le memorie che si avevano per sacre ? E quanto al segno della luna, non sarebbe esso insolito po- sto a quel modo per riferire al nome della citta? O non si vuole piuttosto, ciò che a me sembra più vero, riconoscere in esso una lettera, come lo per- suade l'analogia di altre così fatte, che in questo aes grave incontra di vedere ? Il maggiore argomento però e la guida pili cer- ta a definir la quistione si ha nel luogo della ordi- naria provenienza de'monumenti. Laonde io credo, che la ingegnosa opinione del lodato Melchiorri ce- 330 Letteratura der debba a fronte della sicurezza, che le sette mo- nete di quella serie ( ora nel museo kircheriano ) tutte dalla prima all'ultima provengono dall'Etru- ria subapennina e mediterranea; che nessuna se n' è mai veduta tornare all' aprico dal suolo o dai dintorni di Luni, citta piuttosto ligure cb'etrusca. Si rimanga dunque questa bella gloria dell' italiana moneta primitiva, entro a' confini ad essa assegnati con ogni lume di ricerche e di critica dagl'illustratori deWaes grave-^ si rimangano salde e vittoriose le loro dottrine. Solo voijliamo richie- derli con istanza, che proseguano nella magnanima loro impresa, per recarla a quell' alto segno che stabilito si sono nell'animo. Che allora sark mani- festo a ciascuno, ciò che adesso non a tutti appa- risce egualmente: avere la primigenia gloria e gran- dezza dell'italiano ingegno e delle italiane arti ri- trovato in loro, dopo sì lungo volger di secoli, in- terpreti adequati e fedeli. 331 // collegio di Urbino, diretto dai padri delle scuole pie. JL er quello studio ed amor grande, che ho sem- pre posto nelle cose, che alla educazione ed istru- zione de'giovani riguardano, io era da buon tempo in molta brama di visitare il collegio convitto del- la citth d'Urbino, al governo del quale sono posti al presente, sì come in antico, i padri delle scuo- le pie. E mentre io mi stava meco stesso ferman- do il tempo in cui recarmivi, gentilezza somma di que' reverendi padri e del chiarissimo amico mio conte Francesco Maria Torricelli , ch'era in quel collegio a visitare i suoi tre figliuoli maggiori, sì ebbe ai miei desideri! precorso; che fu tosto man- dato per me , ed io tosto fui in Urbino. Era il giorno sacro ai santi apostoli Pietro e Paolo: ed io, accolto ad ospizio con ogni mostra di cortesìa e di amore, era condotto a vedere e la magnificenza di quell'edifizio che Clemente XI fece innalzare a tal uopo nella sua patria, ed ammirava l'ordinato an- damento delle cose, e la compostezza de'giovani che ad ogni camerata mi erano incontro, e mi faceva- no corona. Mi piacque il luogo, e quelle vaste ed ariose sale, le quali girate intorno da tanti picco- li alcovi con entrovi un letticino, una sedia e poco altro, difesi da una cortina e da un cancelletto sul dinanzi, e solo da una graticcila di legno coperti al di sopra, perchè l'aria ivi possa spaziare e ri- 332 Letteratura mutarsi con quella della saia , servono ad uso di dormitorli. Ne meno ammirai le camere da studio, SI ben tenute, e con bella uniformità di arredi , seggiole, scrittoi, piccoli scaffali con pochi ma buo- ni e trascelti libri, a seconda dell' età del giovane al quale appartengono; e quelle ove i convittori a certe ore si ricreano e si trastullano. Tutto spira- va nettezza, semplicità, modestia. Ma più mi vinse l'animo il vedere e l'amore e la cura grande, che quei padri si danno pe' giovani , careggiandoli a tempo, e più col sorriso e colle dolci parole rat- temperando lor tenere menti , che col severo so- pracciglio e con atto di riprensori. E bello pure mi parve ne' giovanetti osservare quell'aria disin- volta ed ingenua che fa leggere il cuore sulla fron- te, e quelle maniere modeste, ma non ad arte co- stumate, ma non ipocrite. Nulla dirò dell'istruzio- ne, che poi il dì appresso e l'altro ebbi campo di osservare e conoscere. Ella mi parve al tutto sag- gia: non ostinata agli antichi metodi, cui l'osserva- zione ha corretti: non avventata ai nuovi, che sono senza il suggello dell'esperienza. I professori va- lenti ed amorosi nell'officio loro assai ritraggono, anzi si compongono all'esempio del santo institu- tore Calasanzio. Le quali cose tutte sono cagione , che ogni dì piìi aumenti il numero de'convittori, e che nasca in tutti desiderio di avere i propri fi- gliuoli allevati e cresciuti a così pie e sicure scuo- le. Ma perchè queste cose danno negli occhi a quan- ti muovono a visitare quel collegio, e a conversar con quei padri, io vò passarmene a dire di altra cosa che mi avvenne, e sciogliermi da parola alla quale io mi feci in que' giorni obbligato. Mentre mi stava fra quei giovani, alcuno di Collegio d* Urbino 333 essi mi porse una stampa, nella quale io lessi una bella epigrafe del conte Francesco Maria Torri- celli. Parlava a lode del padre Giovanni Inghira- mi, il quale pochi dì prima aveva onorato di sua presenza quel luogo. Al nome di tant'uomo chinai il capo, e incominciai a narrare molte cose che io aveva a mano del saper suo, le quali aveva risa- pute non più dai libri che dalla gentilezza del chia- rissimo padre Gatteschi, il quale in Firenze volle accogliermi con ogni bontà , e a lungo parlarmi deiringhirami. Stavano con piacere ad udirmi que' dabben giovinetti: quando fu chi mi chiese, se io conoscessi elogio alcuno stampato o biografia di lui, avrebbero tutti avuto a favor grande leggerla. - Ben vi è, risposi, un cenno biografico di quel grande uomo, e l'immagine sua in una collezione di trenta de' più insigni personaggi viventi stampata a Fi- renze? ma ella è cos\ breve, che sa di troppo; ne, a dir vero, si scorge da quella pienamente di quan- to grand' essere sia quel personaggio. Ma se tanto vi sta a cuore, bennati giovanetti, udire di lui e delle opere sue, io ne raccorrò quanto più potrò notizie, e a non molto andare farò che ve le ab- biate. Fin d'ora le sono vostre, ed a voi le dedi- co: ed ho per buon augurio questa vostra brama di conoscere le lodi de'lodatissimi. - E dopo que- sto, da loro mi tolsi commiato. Ora adunque mi fo a mantenere la promessa, e quel poco che ho co- nosciuto dell'Inghirami, pongo in iscritto. Voglio però in prima che ognuno sappia, aver io dettato queste cose solo per compiacere a'giovanetti , non pei dotti e per gli scienziati ; ne vò che il detto mio sia ad alcuno misura del merito del personag- gio illustre di cui parlo; perchè arroganza sareb- 334 Letteratura be la mia il giudicarne ; mal consiglio avrebbero gli altri, se in tutto alle parole mie fidassero. Io non do che piccoli tratti, i quali hanno bisogno di essere poi meglio delineati. Di una sola cosa però vorrei che ognuno si accertasse, ed è che in tutto ho cercata ed esposta la verità. Sulla cima di elevato monte, non molte leghe lontano di Pisa e Firenze, siede Volterra antica e nobilissima citta di Toscana, alla quale non meno fecero nome le reliquie dell'etrusca grandezza, che i chiari uomini che in ogni tempo ella diede alla luce. Fra i quali ne'secoli andati, per non dire di Aulo Persio e di altri, sono celebrati alcuni della gente nobilissima degl'Inghirami: Tommaso Fedra, insigne bibliotecario che fu della vaticana nel se- colo XV: Curzio buon letterato: e Iacopo, il quale sotto Ferdinando I scorse le galere toscane alla espugnazione di Bona con grande sua gloria nel 1607. A' dì nostri hanno gran voce di sapientissi- mi, ed è ragione che l'abbiano, il cavaliere Fran- cesco e il padre Giovanni, intorno al quale è il mio discorso. Questi dai primi anni piegando l'animo agli studi , oltre quanto l'età comportava, mostrò quale sarebbe indi per riuscire. Fioriva in quella stagione in Volterra un collegio, che pur ora rin- novellato a bella gloria si leva, del quale avevano, siccome al presente, il governo i padri delle scuo- le pie; ed era in voce di buono assai. In questo fu educato il giovanetto Giovanni: e poi ch'ebbe com- piuta con maravigliosa rapidità e profitto la car- riera degli studi, preso all'amore di quel santo isti- tuto desiderò e volle entrarvi; ed in età ancor fre- sca valse all'onore di quel collegio, e v'insegnò la filosofia razionale e le matematiche, rendendo così Collegio d'Urbino 335 di buon'ora il frutto di quella dottrina, che aveva in quel pio luogo raccolta. Dilettavalo molto ogni maniera di studio filosofico, piacevangli le matema- tiche: ma più di forza era tirato alle vaghezze mi- rabili dell'astronomia. Laonde fatto alcun poco piìi maturo degli anni, recossi in Milano, ed in quel teatro vastissimo d'ogni sapere, spezialmente a que' giorni, ebbe campo di esercitarsi come più brama- va, e nell'osservatorio di Brera arricchì la mente d'ogni astronomica dottrina, a segno che al partirne si era meritato grandissima lode e fama. Il gran duca di Toscana volendo mantenere questa scienza in quell'onore, a cui era stata portata dai padri Ca- novai e Del Ricco delle scuole pie , proteggitore com'era di ogni maniera di studi ( e questa fu ed è gloria singolarissima ed immortale de'principi to- scani ), chiamò il padre Giovanni Inghirami, e lo prepose alla direzione dell'osservatorio ximeniano in Firenze , il quale per lui salse in grido fra i primi d'Europa: e fé', che come per Galileo in To- scana era nata e cresciuta quella scienza, per ope- ra di lui in quello stesso bellissimo e privilegiato paese a molta perfezione avanzasse. Egli non rispar- miò studio, cure e fatiche per corrispondere all'a- more e alla stima che in lui il magnanimo principe avea posto, e arricchì quell'osservatorio di strumen- ti elaborati con quanto di finezza ha l'arte, d'esat- tezza la scienza. Die ordine bellissimo a tutto, ne volle che vi mancasse novità od eleganza, bellissi- mo condimento delle utili discipline; e a tale po- litezza dispose ed ordinò le cose, che quanti inten- denti della scienza vi si conducevano a visitarlo , se ne ritornavano pieni di ammirazione e di diletto, non so qual più. Ma quella fortuna nemica d'ogni 336 Letteratura bene che al sommo Galilei, per aver troppo veduto ne'cieli, tolse la virtìi degli occhi, si fé pure a mar- tellare di fieri colpi Tlnghirami, ed in breve a lui pure ebbe negato il vedere. La quale fortuna però l'Italia spera che si volgerà fra breve benigna all' Inghirami: si che tolto il velo che gli adombra la veduta, di nuovo goda il giocondissimo aspetto del cielo, e ne riveli a noi nuove e fin qui ignorate Lellezze. Non farò parola delle virtù e della pietà deiringhirami: perchè essendo queste al sommo, ed egli vivente ancora, o potrei essere non creduto, o giudicato adulatore. Laonde ne lascerò integro il giudizio alla posterità, la quale fuor d'ogni studio di parte facendo ragione del vero merito, porterà di lui quella sentenza stessa, che io nel segreto del mio cuore ( e con me quanti lui conoscono ) ho di già portala. E perchè le opere che egli ha pubbli- cate sono sopra ad ogni colpo d'invidia, e per con- sentimento non solo dell'Italia, ma sì dell'estere na- zioni, vengono reputate di grandissimo peso, di que- ste dirò , e per queste si conoscerà pienamente quanto grande sia il sapere di lui, e l'utilità che da' suoi studi è derivata al comune degli uomini. Non si creda però che per parlare delle opere del- ringhirami , tutte ad una voglia noverarle : che troppo lungo sarebbe e faticoso, e non da me; sì bene io toccherò delle principali, bastandomi delle altre recare il titolo in fine. Per queir amor sommo, che il trasse dappri- ma agli studi dell'astronomia, V Inghirami tutto a quella si diede: e sì de'progressi della medesima fu caldo , che non cessò pensieri e fatiche per giovarla. La vasta sua mente poi, valicando oltre il segno fissato alla mediocrità, si spinse tanto innanzi, Collegio n'UaniNO 337 che potè immaginare ed operare nuove e stupen- de cose, e guadagnarsi in voce dell'Europa intera il titolo d'astronomo valentissimo infaticabile. Uo- mini di grande ingegno e di pari sapere avevano da gran tempo vagheggiata un'impresa ardita anzi che coraggiosa; ma considerate le difficolta somme di che riboccava, era loro caduto l'animo, e non avevano osato tentarla. L'fnghirami conobbe l'uti- lità che ne verrebbe, vide le fatiche e gli ostacoli che incontrerebbe; tuttavia senza impaurire vi si pose, e cominciò a dettare annualmente, e qualche volta per più d'un luogo, una ricca Effemeride di occultazioni delle piccole stelle sotto la luna: e so- lo valse al buon esilo dell'opera. L'Inghilterra ed altre nazioni, ammirate a sì nuova maraviglia, pian- sero all'astronomo italiano, e lo pregarono volesse continuare all'opera sua, ed egli per molti anni lo fece; e cos'i recò grandissimo conforto alla nautica. E siccome non men lodevole del lavoro stesso è il metodo che egli tenne a condurlo, piacemi ac- cennarne alcuna cosa; e mostrare com'era sempli- ce in una ed agevole. Conciossiachè, per mezzo di tavole costruite all'uopo, qualunque persona, che pur abbia gustato a fior di labbra i primi elemen- ti del calcolo numerico, poteva eseguire i più dif- ficili calcoli astronomici, ridotti a semplici somme e sottrazioni. Che se nell'operazione fosse caduto errore, o da se facevasi manifesto, o senza disagio poteva ritrovarsi. Il lavoro poi era composto di par- ti al tutto l'una indipendente dalle altre, a modo che molti potevano ad un tempo porsi a calcolare senza che agli uni occorresse conoscere i risullamen- ti degli altri; e, quel che più monta, in pochissimi giorni si poteva stendere un ca lalogo copiosissimo G.A.T.LXXX. 2^ 338 LfiTTERATUftA delle stelle che nell'anniial corso dovevano occnl- tarsi. Di la ne venne che parve miracolo la pre- stezza con che l'Inghirami dava in luce si ricche cfiemeridi, che fin allora o non erano state tenta- te, o appena con lunghe, malagevoli e disagiale ope- razioni erano state a hrevi passi e mal certi condot- te; talché l'accademia astronomica di Londra, col- 'pita da maraviglia e da desiderio di conoscere co- me per la potenza dell' ingegno italiano sì ratta- mente potesse l'Inghirami compilare quelle eflFeme- ridi, il pregò piìi e pili volte gli piacesse pubbli- care per le stampe il metodo che egli usava; ed a quella preghiera onorevole cedendo la modestia di lui, si fece a pubblicarlo; e fu nel 1826 coi tipi della calasanziana in Firenze. L'accademia di Lon- dra, visto che l'ebbe ed esaminatolo, non dubitò di- chiarare apertamente l'Inghirami uomo d'ingegno maraviglioso, e si tenne onorata di scriverne il no- me fra i suoi soci. Ne minor lode gli venne dall' Effemeride planetaria , opera della quale egli fu primo a porgere compiuto esempio; perocché tor- nando questa a gran prò de'naviganti (poiché vale a rendere piìi agevole in mare la determinazione delle longitudini geografiche, col metodo facile e nolo delle distanze lunari), gli frullò plauso dagli scienziati non meno che dalle principali nazioni mariltime. L'Inghilterra infitti, la Francia, la Dani- . Scrivendo delle costumanze, si oppone il Pre-^ dari al dotto Labus; il quale a proposito della mu- tilazione della mammella destra ebbe ad asserire, che siffatta opinione non aveva a' giorni nostri al- cun seguace. Sia che Ippocrate vi prestasse fede ; e si unisca pure il Predari al parere del Greuzer e del Guigniaud. A me pare che non siano stali per lui sciolti gli argomenti addotti in contrario dal Winckelmann e dal Visconti: e finche non sia- no recate in mezzo prove piìi concludenti, io re-' stero fermo nella sentenza loro, abbracciala dal La- Lus. D'altronde debbo notare che cjuest'opera del sig. Predari è ricca di molla dottrina, e fa mostra di assai vasta erudizione. II [. Descrizione di una casa pompeiana con ca-> pi te Ili figurati alV ingresso , disotterrata negli anni 1831, 1832, e 1833, la terza alle spalle del tempietto della Fortuna augusta; letta ali* accademia ercolanese dal cav. F. M, Jvellino segretario perpetuo. Napoli 1837 in 8." di p- 83, co?i dieci tavole in rame. Suona assai lodato il nome del cav. France- sco Maria Avellino in Italia e fuori; e meritamen- te : perchè la dottrina di lui in ogni ramo della scienza archeologica molto contribuisce a mante- nere la patria comune nel primato di quegli stu- di, ne'quali gl'italiani furono ognora maestri. Una nuova prova ne porge la indicala descrizione, che in ogni sua parte mi sembra perfetta. Fra le di- verse scoperte pompeiane dopo il 1830, una delle pili importanti è senza meno la casa in discorso. Con Vilruvio ed altri antichi alla mano, esposta la RlVIStA ARCIlEOtOniCA. 35T pianta dell'edificio, assegna il eh. A. all'originario loro uso le diverse stanze, delle quali si connpone il pianterreno: passa quindi nella seconda parte ad esaminare e descrivere i diversi oggetti rinvenuti in quello scavannento; incominciando dai capitelli fi- gurati che dierono il nome a quell'edificio. Essi rappresentano soggetti bacchici, composti ognuno di due busti in leggiadro atteggiamento. Ogni parti- colarità di essi viene dalTAveilino diligentemente illustrata, cosi con l'appoggio dei classici, come con l'analogia di altri monumenti antichi. Poi descrive le lamine di bronzo a bassorilievo, pubblicate già nel nono volume del reale museo borbonico : esse formavano l'ornamento di una cassa di legno, che sembra fosse destinata a contenere il domestico te- soro, la custodia del quale era affidata ad un ser- vo che gli antichi dissero arcarius. Anche que'bas- sorilievi sembrano dionisiaci; sì perchè di sileni- che fattezze è un uomo ammantato che sta dinan- zi ad una donna assisa; si perchè un amorino sta occupandosi intorno un tal arnese, che ricorda le ciste mistiche usate nel culto di quel nume; e sì per due centauri , l'uno vecchio e maschio, suo- nante la tira col plettro: giovine l'altra e femmi- na, che da fiato alle doppie tibie. Dotte, al suo so- lito, sono le osservazioni del nobile autore intorno l'antica toreutica , cui spettano tali lavori. Assai leggiadra è una vasca di marmo grechetto, che ador- nava la fonte situata nel mezzo deìì'implui>ium di quell'edificio. Ha forma di una lampada circolare a dieci becchi, e nel mezzo è traversata da un fo- ro; fogliami e maschere bacchiche di diverso ca- rattere vi sono sculte a bassorilievo. In ultimo ven- gon descritti i molti arnesi in bronzo, in vetro, in 358 Letteratura ferro, in terracotta disotterrati nella stessa casa. Di ognuno l'Avellino desume dagli anliclii autori il nome, e l'uso cui eran destinati; ognuno è da lui riavvicinato a'monumenti consimili. Come da que- sti confronti ne scende quella certezza die è sco- po di ogni studio; cos'i i monumenti stessi son d'a- iuto alla vera intelligenza de'classici; e da questi ricevono quella luce, che fa sorgere l'archeologia al grado di scienza. Ad ottenere il quale intento primamente, none anco un secolo, appianò la via l'accademia reale ercolanese; e quella via renJe piìi lucida il nobile autore , che di quella accademia meritamente è segretario perpetuo. IV. Brevi cenni di un momunento scoperto a porta maggiore, del cav. Luigi Grifi, consiglie- re ec. liunia -1838, i?i foglio di pug. Il, con tre tavole litografiche. V. Sopra il sepolcro di M. f^ergilio Eurisace , lettera di Bartolomeo Borghesi. Nel bolletti- no di corrispondenza archeologica 1838, p. 166 e segg. VI. / bas^irilievi e le iscrizioni al monumento di M. f^ergilio Eurisace, spiegati da Ottone lahn. Roma 1839, di p. i8 in 8". con due ta- vole in rame. VII. Descrizione del luogo denominato antica- mente la Speranza vecchia, del monumento del- le acque Claudia ed Aniene nuova, e del se- polcro di M. f^ergilio Eurisace; deW architetto cav. Luigi Canina. Roma pei tipi dell'autore 1839, in 8.0 di pag. 56, con sei tavole in rame. Al n." VII della quinta rivista feci parola del monumento di M. Vergi I io Eurisace, da poco sco- perto presso la porta Maggiore, e delia illustrazio- Rivista archeoi ogica 359 ne che ne pubLIicò il Melchiorri; e dissi che facil- mente sarei tornato a scriverne, se giunte mi fosse- ro alle mani altre opere intorno lo slesso sepolcro. Eccone infatti ben quattro. Io non istarò qui a de- scrivere il monumento, ne il come tornasse a luce ^ potendo esser sufficiente al l)enevolo lettore quan- to altra volta ne ho detto. Brevemente farò cenno delle prime tre opere qui enunciale, meritando quella del cav. Canina piii larghe parole, perchè abbraccia piii monumenti. Opina il Grifi che il monumento, dicendosi Pa- narium nella lapida di Atistia, avesse la forma che in quegli antichi tempi avevano le arche da pane. Opina che l'epuca di esso debba risalire al finir del- la repubblica o al cominciar dell'impero. Opina che nella leggenda di Eurisace debbasi leggere redcm-' ptoris apparltoris. Opina che le tre figure togate, le quali nel bassorilievo assistono al peso del pane , siano i prefetti dell'annona. Opina che la lastra di marmo, che porla sculti a rilievo un uomo togato ed una donna, non ispetti a questo monumento, ina sìa da riferire ad altro incerto de'tempi degli An- tonini. Non dirò come mi paia mancante di ogni fondamento, che le arche da pane fossero in antico formate come il sepolcro di Eurisace; perchè ora convengono tutti che la voce panariutn si abbia a riferire al paniere marmoreo, entro il quale furon riposte le reliquie d'Atislia. Ma il leggere redemptO" ris apparitoris, e ritenere che Eurisace fosse im- presario ed appari tore insieme , non fa nascere ad ognuno il desiderio di sapere: Impresario fornaio di chi ? Anche meno mi garba il dire, che le tre figure siano i prefetti dell'annona; perchè uno so- lo fu ai tempi di Augusto , e perchè durante la 300 Lettsuatura repubblica fu crealo tal magistrato, solo per istra- ordinarie circostanze. Il lahn, quella voce APPA- RET, vuole che si debba ritenere per verbo, nel signitìcato di opera condotta a line; e nel bassori- lievo discaccia cosi i prefetti dell'anuoiia, come i rappresentanti le tre decurie degli apparitori, e vi riconosce l'edile col suo seguito, che recavasi a far la visita al fornaio Eurisace per assicurarsi del giusto peso del pane. Mi sia permessa una sola os- servazione. Come suppore che Eurisace volesse sul suo sepolcro fare scolpire la rappresentanza di un atto di giustizia eseguito nel suo forno, intorno la verifica del pane; atto che suppone una diffidenza di chi regge le pubbliche cose ? Il perchè io col Melchiorri, col Borghesi e col Canina seguiterò a ri- tenere M. Vcrgilio per impresario fornaio degli apparitori; e ne'lre togati del bassorilievo, i rap- presentanti delle tre decurie degli apparitori. Ora poi dell'opera del Canina. La divide egli in tre parti. Dimostra nella pri- ma quanto si riferisce alla topografia del luogo de- nominato anticamente la Speranza vecchia., dove si trovano atlualmente cosi l'acquedotto Claudio, co- me il monumento di Eurisace: descrive nella secon- da quell'acquedotto: fa conoscere nella terza la sin- golare struttura del nuovo sepolcro. Il luogo, dove attualmente esso si vede, era an- ticamente conosciuto col nome di Spes vetus-, per un tempio dedicato a cjuella divinità; detto vetiis per distinguerlo forse dal templwn novum iS)t>ej, che ne'cataloghi de'regionari è notato nella settima re- gione. Diversi testi di Frontino assicurano, che la Speranza vecchia doveva esser vicina al sepolcro di : urisace; perchè ivi soltanto si vede la riunione Rivista archeologica 361 degli acquedotti, che Frontino asserì passare cola; e perchè ivi presso ancor si conosce la separazione degli archi neroniani dall'acquedotto della Claudia ed Aniene nuova. Che se ne'cataloghi manca nella regione IV esquilina la indica/ione di quel tem- pio della Speranza vecchia, ciò deve attribuirsi, o alla picciolezza deiredificio, o all'esser caduto in ruina, o meglio perchè era fuori dei veri limiti di quella regione. E se Livio e Dionigi, descrivendo la battaglia del 277 contro i veienti, la dicono prin- cipiata al tempio della Speranza, e terminala alla porta Collina; per buoni argomenti riconosce il Ca- nina in esso tempio quello della Speranza vecchia. Continua poi per provare, che la presso, verso la porta tiburtina, eran gli orti torquaziani, male da altri situati nella prima regione: e che dalla parte opposta eran gli orti variaui. Pure nel luogo stesso fuvvi un vivaio per custodire le fiere serbate agli spettacoli, e chiaramente lo dice Procopio. Passa quindi a descrivere le antiche vie che traversava- no quella località. Dalla porta esquilina situata all' estremità meridionale dell' aggere di Servio, ossia poco più indietro dell'arco di Gallieno, usciva una via, che presso al monumento di Eurisace divi- devasi in due; labicana cioè e proneslina. Dalla di- sposizione di queste due strade derivò la forma ir- regolare del nuovo monumento, e fé sì che l'arco dell'acquedotto corrispondente alla via prenestina si dovesse operare alquanto per traverso. Quando poi Aureliano stabilì le nuove mura al ridosso de- gli archi dell'acquedotto , si formarono due porte distinte; una corrispondente alla via prenestina, che rimase aperta; l'altra alla labicana, che per la vi- cinanza di quella fu chiusa. Molti acquedotti tra- 363 LfiTTfiRATURA versavano quella località, o in essa si congiungevano; e di ciascuno il Canina, dietro le scorte di Fron- tino e de' monunìenti superstiti, accenna la dire- zione ed il preciso sito. A'iempi di Arcadio e di Onorio, quando furono restaurate le mura, e co- struite le torri quadrate ai lati delle porte, fu il monumento di Eurisace murato in una forre ro- tonda. Questa prima parte topografica viene accom- pagnata da una diligente tavola in rame. Il grandioso monumento delie acque aniene nuova e Claudia ha nelle due fronti le iscrizioni, distinte in tre parti. La prima di Claudio nella par- te superiore, ove corrisponde lo speco dell' acqua aniene nuova; la seconda di Vespasiano nella parte media, in corrispondenza dello speco dell'acqua Clau- dia ; la terza nella parte inferiore accenna il re- stauro fattone da Tito. Frontino descrisse con assai diligenza quell'opera; e se nelle distanze, da cni le due acque furon condotte, v'è una varietà fra quel- le segnate nella iscrizione e quella di Frontino, non perciò deve credersi errato questo o quella; perchè la iscrizione può aver indicato il giro di tutti gli acquedotti, e Frontino la distanza a retta linea; o perchè avendo questi scritto dopo il restauro ope- rato da Tito, può darsi, e ne fa sospettare la terza iscrizione, che esso restauro abbreviasse in parte il giro deir acquedotto. Questo consiglia anche la struttura del monumento: perchè non è supponi- bile che nella prima erezione si dividesse la parte superiore in tre fasce, mentre una sola era l'iscri- zione da scolpirvi; e par quindi da credere, che nei ristauri di Vespasiano e di Tito si ripetesse l'iscri- zione Claudiana, collocandola come più antica per la prima. Per le demolizioni ultimamente prati- Rivista archeologica 363 cale, comparendo ora soltiinto in tutta ia sua gran- dezza e magnificenza questo celebre monumento, il Canina ne da due diligenti tavole in rame; anche perchè per lo avanti era stato imperfettamente pub- blicato. Che il monumento di Eurisace fosse fabbrica- to innanzi l'acquedotto Claudio, lo provarono i si- gnori Grifi e Melchiorri, e vi conviene il Canina: come pur conviene che non potesse venir costruito prima del 583 di Roma, quando primamente fu- rono introdotti i fornai: ma ritiene doversene pre- cisare l'epoca verso i primi tempi imperiali; e ciò per molti argomenti, che desume in ispecie dalla parte architettonica. Parmi poi che molto ingegno- samente abbia rilevato, che le colonne cilindriche del primo piano del monumento siano composte ognuna di tre mortai in travertino pel rimenamen- to della pasta. Fuwi chi le reputò sacca per tener la farina, chi moggi per misurare il frumento; ma non sarebbero stale rappresentanze ragionevoli: si- milmente mortai son quelli disposti nella parte su- periore. Certo Eurisace ne'suoi stabilimenti aveva una gran quantità di que'mortai resi inservibili o lifettosi, e volle porli in opera nel suo sepolcro, ■snelle per dargli un carattere particolare e proprio iella sua cjualilà di fornaio. Dissi che non era ul- teriormente a far parola delle iscrizioni; ma deb- ^jo notare, che in quella di Atistia se il Melchiorri 'ingegnosamente aveva interpretata la \oce panarinm, ora quell' interpretazione è certezza; non si riferi- sce però alla forma della lapida, sì al paniere di tra- vertino, trovato posteriormente fuor d'opera, nel quale si deposero i resti di Atistia. E tale iscrizio- ne , posta sotto il bassorilievo in marmo rappre- 364 Letteratura sentante Eurisace e la consorte, doveva decorare II mezzo della quarta faccia del monumento apposi- tamente demolita quando fu rinchiuso nella torre rotonda a'tempi di Onorio. Le sculture del fregio in travertino conserva- no in molle parti una patina di stucco, in altre un qualche colore. Quello corrispondente al lato lun- go la via lahicana rappresenta la compra e la ma- cinazione del grano. Incomincia, secondo il Borghe- si, da due venditori che hanno esposta sopra una tavola la mostra del frumento; una terza figura, fosse Eurisace, sta contando sulla palma del secon- do negoziante il prezzo di due moggia che ne ha acquisiate; egli è seguito da un servo colla borsa del denaro alle mani. Seguono altri due servi che vagliano il grano; poi due mulini mossi dagli asi- ni, con un servo ciascuno, ocrupnlo il primo a fru- star il grano perchè si faccia la macinazione , il secondo ad estrarre la firina. Vengono poi le tre persone stanti togate, intorno le quali tanto si que- stionò: per me è certo, esser essi i rappresentanti dfelle tre decurie, nelle quali eran divisi gli appa- ritori, che con le loro tabelle, due delle quali già rivedute e posle a pie della tavola, stanno atten- dendo dal ragioniere sedente l'ordine all'appalla- tore della corrispondente somministrazione. Succede indi dopo un'altra figura stante togata con tabella in mano, forse uno dei deputati che sen parte con l' ordine ricevuto; e termina con un servo che cerne .la farina in uno staccio sopra una cassa destinata a riceverla; e gli sta presso forse un sacco per deporvi la crusca. Il sig. lahn credette che la rap- presentanza di questo bassorilievo incominciasse tutto all'opposto^ ma in tal caso egli fa precedere Rivista AncHEoLOGicA 365 alcune operazioni ad altre, che necessariamente debbonsi far prima; per esempio nei due mulini, prima si vedrebbe l'estrazione della farina, poi la molitura del grano. Il secondo bassorilievo, che cor- risponde alla via prenestina, incomincia dal grup- po di un servo che per entro un mortaio rimena la pasta, usando della forza di un cavallo; seguon due gruppi, di cjuattro persone ognuno, che sopra due tavolini lavoran la pasta; nel mezzo di essi è una figura stante che soprassiede il lavoro; e ter- mina con un servo che inforna il pane. Nel ter- zo bassorilievo veggonsi alcuni servi che portano il pane entro le corbe; altri lo pesano, presenti i tre deputati delle tre decurie degli apparitori; altri lo trasportan via dopo pesato. Tre tavole ac- compagnano ciuesta terza parte dell'opera del sig. Canina; ii quale, con quella dottrina che egli è pro- pria, non solo ha pienamente illustrato il nionil- niento di Eurisace, ma ne ha investigate le adia- cenze, ed ha richiamala l'attenzione degli eruditi sopra una delle piìi grandiose ed importanti ope- re dell'antica romana magnificenza; dico il monu- mento delle acque Aniene nuova e Claudia. Vili» In cippum osco-abellanum divinatio Ray- mundi Guarlni. Neapuli ex regia tjpographia 1830, in 8." di p^g- 88 coji una tavola a stampa. Il famoso cippo terminale scritto da due fac- ce in caratteri osci, conosciuto sotto il nome di nolano, perchè nel 1750 colU trasportato da Avel- la, cui ragionevolmente appartiene, aveva richia- mate a se le cure del Passeri, del Remondini, del Lanzi. Ma parmi che questi non sapessero vedere in esso quanto ingegnosamente e con recondita dottrina seppe leggervi il Guarini; il quale narrata 366 Letteratura la storia del marmo, ed accennato il perchè egli alla spiegazione se ne accingesse, espone un suo si- stema; ed è, che nello interpretare i monumenti delle italiche lingue perdute, crede non solo che sia necessario ricorrere alla vetusta latina , ed alla greca dorica ed eolica, ma che anche molto possa giovare la cognizione dei dialetti attualmente par- lati in que'luoghi, ne'quali anticamente quelle lin- gue parlaronsi. Scende quindi a ragionare delle controversie sui confini; fra le quali è quelia di cui il cippo avellano fa parola; controversie tenute sem- pre come gravissime, sicché sin dai tempi diNuma si ebbe per delitto capitale rimuovere i termini, che i confini dei territorii diversi precisavano. Il perchè, terminale essendo il cippo avellano, fa d'uopo per interpretarlo conoscer le antiche leggi agrarie; la disciplina delle quali dagli etrusci appresero,, come altre cose assai, i romani. E di dette leggi dot- tamente discorre il Guarini; e poi si accinge alla traduzione del cippo, sottoponendo ad esr.me accu- rato ogni voce che in esso è sculta- La intera spie- gazione, che ne da, è la seguente. « È questo lo sconvolgimento de'limiti avella- « ni e nolani. » • Il termine medio de'confini è fuori del fiche- « to, dove stannosi i termini finali intorno di esso, « e lungo la via. Ma essi (J. nolani) contando sul de- • creto del senatore Suvessulano Stiaccio, si fecero • lecito di occupare il colle. I nolani da prima l'oc- « cuparono, dacché Vezzio prendendo le misure « pe'nolani insieme al colle, occupò eziandio la via « di Avella. {Altro) sconvolgimento {anche) peg- • gìore; perchè Vezzio, nel prendere le misure per « gli avellani, trasportò i termini dentro il ficheto. Rivista archeologica. 367 « Si riportino innanzi {questi termini). Siano « tre. Ne ardisca di rimuoverli ne l'avellano, ne il « nolano. In altro caso versino nell'erario tre se- « sterzi a testa, a disposizione del curatore, da ri- ti scuotersi senza indugio del pari dalle private ■ persone. Si restituiscano i termini cosi, comesi « è praticato per Acerra. E siano questi i giusti « confini di mezzo, contro la rovina fatta da Stlac- « ciò della via di Avella e di JNola. • Ciò che segue è il rescritto del senato romano. « Sono a noi pubblicamente ricorsi con gran- • di schiamazzi i vostri cittadini, per essersi scon- « volti i confini avellani, per maneggio dei citta- • di ni di Nola, da quella parte dove i galatini, tre f popolazioni sono fra loro confinanti. Si è riparala « la violenza fatta agli avellani. Dal senato sonosi a condannati i nolani, cassala la sentenza del Suves- « sulano ». Vien dopo la intimazione de'maglstrati avella- ni ai loro municipi. « È permesso infine, con la buona ventura, di • riunirci per la celebrazione de' sagri terminali. « Accennar di Stiaccio saria vergogna. Facciansi « modeslamenÈe i sagri, e si ristabiliscano i lermi- « ni, giacche \ eco fini municipali sanzionati si so- « no con decreto del senato. Su dunque allegra- « mente; restino ordinati i sagri: e unitamente ad « essi, a spese del municipio facciansi le sagre lu- « strazioni , ed a'Iegittimi sagri accoppinsi delle « oblazioni di scelte frutta municipali da potagio- « ne; e così si abbiano i nolani i loro antichi con- ti fini ». Io lascio ai dotti negli antichissimi dialetti ita- lici il giudizio di questo lavoro del N. A; solo mi 368 Letteratura permetto dire, che la spiegazione per lui tentata mi sembra di gran lunga migliore di quelle del Passeri, del Remondini, del Lanzi. Ne vò tacere , come il Guarini chiarisce da qual parte i nolani confinavano con que' di Avella e coi calatini ; e che rapporto all'eia del monumento, gli par certo che debba reputarsi posteriore alla legge agraria, pubblicata nel 644 da Marni lio che ne riportò il cognome Li metano, e forse de' tempi delia guerra sociale. Ed a chi gli dimandasse il perchè, oltre la metk del settimo secolo di Roma, fu usato in quel cippo il dialetto osco, non la lingua latina; rispon- de, perchè il cippo doveva collocarsi in tal luogo, dove i pili parlavan osco, Nel nono paragrafo di questo libretto il sig, Guarini pubblica diverse iscrizioni lette le più ne' muri degli cditìcii pompeiani di recente scoperta. Otto sono sentenze morali; come quella MINIMVM MALVM FIT GONTEMlXENDO MAXIMVM. QVOD CREDE m/li nuu conteninendo ERIT MINVS. Tre sono amatorie, come NllMOllST {nemo est) BEL- LVS NISl QVI AMAViT. Cinque sono vinarie; in un' anfora si legge : LenTVLO. M. ASINIO. COS. FVNDAN, cioè il vino fundano riposto nel conso- lato del 778; e quest'altra in sette rigiie: = VRl\A VINARIA PERUT DE TABERNn =- SEI EAM QVIS RETVLERIT = DABVNTVR = HS LXV SEI FVREM = QVI ABDVXERIT = DaBITVR DVPLVM = A VARIO. Cinque sono funebri, e tre lusoric, fra le quali trascrivo la seguente: AMI AN- THVS. EPAPHRA. TERTIVS. LVDANT = CVM. JIEDYSIO. lOGVNDVS. NOLANVS. PETAT = NVMERET. CITVS. ET. STACVS. AMIANTVS =^ cioè i primi quattro eran giuocalori alla palla, Ci- Rivista archeologica 369 to e Staco un per ogni parte segnavano i diversi punti, e Giocondo Nolano aveva il carico di chie- dere al perditore la moneta per consegnarla al vin- citore. Termina questo lavoro il Guarini con altre due lapidi; una del Libano ci dice che Garacalla, ta- gliati i monti vicini al fiume Lieo, dilatò una via; l'altra di Algeri dimostra essere stata colà l'antica Jcosiii,in. IX. Di alcuni studi sul carme che si legge al basxo della tav. XLl degli atti e monumenti de' fratelli arvali di moiisig. Gaetano Marini. Lezione di Giovanni Galvani vice-bibliotecario dell'estense, Modena per gli eredi Soliani 1 839, in 8." di p, 6U. Tutti gli sludi si presentano vicendevole la mano a chi sappia trattarli: della qual verità una prova luminosa ci porge questa lezione del Gal- vani. Studiando il dotto autore sulla poesia ritmica degli antichi latini, doveva necessariamente pren- dere ad esame il famoso carme arvalico, che eser- citò la dottrina dei Lanzi e dei Marini; e recò in esso tal luce, che in questo caso la epigrafia ha ricevuto non piccol vantaggio della filologia. Que' dotti che prima del Galvani avevano studiato nel carme , non vi cercarono i versi , non inlesero a scoprirvi quel ritmo che regge il cantico , e ne numera l'inno. Il Galvani per contrario dalle sue ricerche era necessitato a dividere quel carme in versi parisillabi, e per ottenerne le dovute arsi e tesi, a cercare la conveniente partizione delle pa- role. Prima d'altro ricorda, come le piti antiche re- ligiose supplicazioni e preghiere avessero presso tutti i popoli una tal quale numerosità , che poi divenne poesia: nota come dai religiosi si sccndcs- G.A.T.LXXK. 2'» 370 Letteratura se ai carmi magici, e come se de' primi tentar si può l'interpretazione, sarebbe vanità tentarla de'se- condi: ricorda con gli antichi autori che tali carmi ripeter si dovevano tre volte, ed accompagnare da una saltazione , ossia misurate percosse de' piedi ; donde il ter ferire carmina pede di Calpurnio e di altri, ed il carmeii tripodaverunt che nella slessa tav. XLl precede tjuesto carme arvalico. Poi scen- de a dire, come tali versi saturni i fossero di tre piedi. Tu ì timo de' quali, onde il verso finisse con ]a voluta demissione di voce, crebbe di una sillaba finale; quindi ogni verso fu settenario: e ciò rile- va precipuamente da Terenziano Mauro nel capo De saturnio metro. Il perchè non difficile gli riesce la partizione del carme, la cui prima tripodazione si divide ap[)unto in tre membrelti settenari (ENO- SLASESIVVATE ) ; ciò che non lascia più alcun dubbio sulla partizione successiva. E fin qui del ritmo. Poi in ogni verso cos'i diviso, aiutato dalla misura de'piedi, e con la face della grammatica, va ricercando quelle parole, le quali il piìi pos- sibilmente riscontrino e coli' antica scrittura del carme, e con un senso unico e continuato per tut- ta la supplicazione. In cjuesta parte, che è la più estesa della lezione, dimostra il Galvani tal ric- chezza di dottrina , da aver potuto non solo star a confronto del Lanzi, che fu dotto il Varrone de' tempi suoi, ma da correggerne spesso le opinioni, e secondo me sempre vittoriosamente. Seguirlo pas- so passo non mi è possibile, nella ristrettezza di un sunto. Debbo contentarmi di riportare il car- me, come il Galvani lo divise in versi saturnii, poi coniti lo volse in lingua latina più intelligi- bile, in ultimo come lo verseggiò in settenari voi- Rivista archeologica 371 gari: avvertendo che ogni tripodazione diversa (io la distinguo con le linee = ) ripetesi nel carme e nelle versioni tre volte i e che la prima e le due ultime son composte di un verso, le altre di due '. ENOSLASESIVVATE = NEVELVERVE- MARMAR SINS1NCVRREREINPL0RES = SATVR- FVREREMARES LIMENSALESTABERBER = SE- MVNEiSALTERNIP ADVOGAPITECONGTOS = ENOSMARMORIVVATO = TRIVMPE TRIVMPE TRIVMPE =. Nos lares iuvate = Neve liierem nmaram^ simte incurrere in flores= Satur furere^ Mars^ limen sce- lestoin averte = Semoneis alternisi advocate con- iuncti = Nos Mamuri iuvato = Triwnpe etc> E noi , larr, giovate = Ne sia che amara lue , incoglier possa i fiori = Sazio di furie, o Marte, la sozza peste averti = Alternamente i scmoni, tutti invochiam congiunti = E noi, Mamurio, giova = Trionfo ec. C. G. 372 ipb VARIETÀ' Rime e prose del conte Giovanni Marchetti. Seconda edizione accresciuta. Volumi due. 8 Napoli, da Raffaele de Stefano e sodi i838. ■L'obbiamo questa ristampa alle cure veramente italiane dei si- gnori Liberatore e dei-Re: i quali certo non potevano far cosa più grata a quanti nel bel paese sono amatori del gentile, del soave, dell'elegante, del classico. Noi non entreremo qui nuovamente sielle lodi del conte Mnichetti; contenti solo di raccomandare le opere sue, così di verso come di prosa , principalmente a' giova- ni, che dal mal esempio regnante sono per essere strascinati nel- la scuola straniera della corruzione : in quella cioè che già non si fonda nell'esperienza e nella ragione di tutti i secoli , ma si nel capriccio della moda, che soprattutto in Francia governa e le arti, e le lettere. V A n 1 E T a' 373 L'avvocato e la vedova, commedia imitata dal Goldoni. 8. Pisa prèsso Niccolò Caparro iSSg. (Soao pag. 48) JLN è autore un nostro celebre letterato , sommo e benemerito sostenitore dell'arte de'classici e della scuola italica: 11 prof. Gio- vanni Roslni dì Pisa. „ Che il teatro comico italiano (egli dice) „ sia in una total decadenza, non credo esservi alcuno che pos- ,, sa metterlo in dubbio: prova essendone incontrastabile ,il ve- „ dersi dai nostri autori rappresentare pressoché sempre versio- ' „ ni di commedie francesi: sicché appena su cinque rappresen- „ lanze> lina se ne trovi d'italiana. A ciò si aggiunga, che (meno „ poche eccezioni) quelli che oggi scrivono italiane commedie ,, per Io più si fan pregio d'imitare quelle romanzesche strava- „ ganze, che son applaudite dalla moltitudine , e che servono ,j sempre più a corrompere il gusto, quando non corrompono ,, il cuore. Cosi proseguendo , e senza che alcuno si trovi, il ,, quale tenti di ricondurre l'arte a'suoi principii, è impossibile „ di rompere questa specie di giogo straniero, al quale è sotto- ,, posto il teatro italiano. Che fece in Roma Terenzio per piace- „ re a'suoi cittadini bene educati ? Riprodusse accomodate alla „ scena latina le commedie di Menandro. Poiché le commedie „ di Terenzio sono state pressoché tutte riprodotte: ho creduto „ di ricorrere al Goldoni , e da lui togliere per argomento di ,, questa mia commedia il carattere dell'avvocato. Meno però lo ,, scioglimento , eh' é inevitabile (di far cioè dal protagonista „ sposare la cliente avversaria), per ogni rimanente e caratteri „ e avvenimenti furono da me variali, e composti come ho sa- „ puto meglio, cercando di porli in contrasto fra loro. ,, Noi seguiamo in tutto gli egregi avvisi dell'illustre scrittore sulla necessità di restaurare assolutamente il nostro teatro comi- co, togliendolo alle turpitudini e stravaganze de' novatori gior- nalieri di là da'monti: noi che ci pregiamo italiani, non di matte ciance o vote parole, ma di vero e sacro amor patrio. E ci con- gratuliamo altresì col Rosini di questa goldoniana commedia : la quale vivamente desideriamo di veder presto rappresentata sulle scene di questa Roma, dove pel senno di alcuui generosi, e 374 Varietà' per la naturale dignità del popolo, non pure il teatro, ma ge- neralmente le lettere sono in assai miglior condizione che in aK tre parti d^Italia: come per l'esempio e il magistero gravissimo dell'accademia di s. Luca (ferma come torre contro ad ogni baia d'innovazione e di moda^ il sono le belle arti, ohe non si voglio- no né tedesche, né inglesi, ne francesi, ma in tutto e sempre ita- liane, italiane, italiane. Il bosco parrasio alle falde del Gìanicolo , rifatto su i disegni dell'architetto sig. professore Giovanni Azzurri. 8. Roma tipografia Salviucci i83g. (Sono carte 19.) Al bosco così detto Parrasio è in Roma quel luogo amenissimo sul Gianicolo, dove all'aria aperta si adunano gli arcadi a reci- tare le loro prose e poesie. Edificato per munificenza di Gio- vanni V re di Portogallo nel 1726, lo avevano frequentalo e re- so celebre in Europa molti di que'valentissimi che nel passato secolo onorarono quest' accademia sì benemerita e si famosa, il Fortiguerri cioè, il Zanetti, il Boscovick, il Cordara, lo Stay, il Monti, il Pindemonte, il Buonafede, il Verri, il Cunich, il Lam- befli, il De-Rossi ed altri di chiarissimo nome. Ora le vicende di tante rivoluzioni avendolo fatto al tutto scadere dall'antico decoro, implorava da lungo tempo una mano cortese che ne im- prendesse la reslaurazioiie. E l'ha (iualmente trovata nell' emi— nentissimo cardinal Tosti pro-tesorier generale della Santità di N. S., il quale non poteva poi meglio affidarne il lavoro, che al magistero elegantissimo del sig. professore Giovanni Azzurri ar- chitetto cattedratico di s. Luca. Quanta sia dunque la leggiadria che l'Azzurri ha posto in quest'opera, piuttosto rifatta che restaurata, è ciò che accurata- mente e con grande intelligenza dell'arte ci narra qui l'altro egregio architetto sig. Antonfranccsco Gasparoni degli Amba- sciadori. Varietà* 3?.^ Alquanti cenni intorno alla vita di Michele Colombo. Edizione feria. 8. Parma dalla stamperia Rossetti i838. ( Sono carte 60. ) JLj al). Michele Colombo nato presso Trevigì nel 1747, e morto in Parma nei i838, è stato uno degli uomini più chiari e più benemeriti che nel passato secolo e nel presente abbiano (iurito r italiana letteratura. Sicché quando il nome di tanti e tanti scrittori contemporanei appena più si ricorda, il suo vive illustre sulle bocche di tutti, e può credersi che vivrà sempre venerato e famoso. Perciocché ardendo egli del desiderio de'sapienti, ch'è di ammaestrare altrui nel bene, e di esporre a comune vantag- gio i propri pensieri, la prima cosa che fece innanzi di porsi a scrivere fu appunto d'imparare a scrivere. Quindi non solo esser volle esattissimo in ciò che senza vituperio non può trascurarsi, benché pur troppo trascurisi, intendiamo dire della grammatica: ma studiò di forza in tutte le proprietà e g^entilezze della favel- la, senza cui non v' ha né bellezza , né nobiltà , ne efficacia di scrivere. 11 che reputando egli primissimo ufficio di chi vuol dirsi, non ch'altro, ma solo uomo civile nella propria nazione, il condusse poi a tale che ninno fu veramente più italiano di lui cosi nelle cose, come ne'loro segni. Vedete che cara sempli- cità, che chiarezza, che eleganza ! E come soprattutto quelle sue Lezioni, si piene di gentil pensare , vadano per le mani di ognuno dall'un canto all'altro del bel paese, e si leggano , e .si rileggano da dotti ed indotti non altrimenti che se fosser di un classico! Qual differenza fra l'oro del Colomho e le ciance di certi nostri gonfi ed arrogantissimi imbrattacarte, cosi detti ri- generatori della letteratura, i quali perchè hanno letto il Wal- ther-Scott, il Byron, il Cooper, 1' Hugo , il Dumas , vanno col capo alto come lumi preclarissimi della nazione, sputando idio- tismi, solecismi, barbarismi (perchè oggi la lingua, secondo il lo- ro giudizio, non è più nulla in un popolo), e stanipano, e stam- pano, e stampano inni romanzi e storielle, che i garzoni de'calTè e le cuffiaie (e chi sott'altro aspetto ha il medesimo animo) dopo aver lette appena una volta, non so a qual umile uso consacrano. 376 Varietà' Queste memorie sono scritte, in modo degno di Michele Co" lombo, da un Iclteralo chiarissimo amico suo, dal car. Angelo Pezzana. S. B. Solenne distribuzione do'premi, ed esposizione degli anni j83Ó e 1837, nell'accademia provinciale delle belle arti in Ra- i>enna. Ravenna presso i Roveri con licenza i838. l/n i>o-^ lume di pag. 116 in ottavo. JLj vera consolazione al cuore di chi ha in pregio le lettere e le arti gentili il vedere come sorgono di presente bellissime istitu- zioni, che onorano l'età nostra, e come le già fondate fioriscono prosperamente sotto il beato cielo d'Italia. Aprivasi non ha mol- to in Ravenna un bel campo alla gioventù studiosa delle arti, e quei primordi erano seguili da degni e luminosi progressi. In oggi quell'accadeiiiia merita la puljblica attenzione: cosi che lo annuali opere, che vengonvi esposte, ottengono premi e debite menzioni di lode da principi e giudici sapientissimi, e ne porl;!- no i suffragi altresì delle forestiere genti, che a vederle desiosi accorrono. Gli atti di essa accademia vengono ogni anno alla luce per le stampe^ come dà fede il libro qui sopra annunciato; ove leggesi prima un elogio, che allo storico della pittura iia- liana aliate Luigi Lanzi scrisse e recitò nella pubblica distribu- zione de'premi l'anno i836 il prestantissimo sig. conte Alessan- dro Cappi segretario : nel quale elogio con quella chiarezza e semplicità , che ben si conviene a scritture istoriche, non però disgiunta da forbitezza di locuzione, ce lo addimostra degno di quella venerazione che agli eletti ingegni e ad ogni luminosa pri- mizia sì debbe. Appresso è l'elenco e la descrizione delle prin- cipali opere esposte, oltra le premiate, nell'anno medesimo. Una erudita e sensaliscima prefazione dello stesso Cappi, che jiarla del faentino Giambattista Armenini vissuto nel secolo XVI, e chiaro anche a' dì nostri per l'opera sua de' veri precetti della pittura esposti iu tre libri, veniva nel iSaj e per la stessa oc- Varietà' 377 Casione letta avanti ad un ben ragionato discorso delle lodi di Pietro Bembo cardinale, che il eh. sig. professor Domenico Vac- colini, accademico onorario, facea sentire ed ammirare in quel- l'aula data agli studi, ove nell'anno e giorno stesso avrebbe do- vuto udirsi la voce di un Paolo Costa, se morte non lo avesse rapito poco prima alla terra; e sì l'una e si l'altro qui stanno. la questo discorso il Vaccoliai appare, quale si è in ogni altra ope- ra sua> dotto, purgato ed affettuosissimo scrittore. E ne lodiajno rinleudimento di aver Voluto mostrare , che le arti gentili si danno vicendevolmente la mano fra loro, e che quell'uomo illu- stre alla coltura squisita delle lettere accoppiò degno amore per quelle, quando alla corte splendidissima di Leone X e di Paolo ITI l'Italia vivea i di più felici che sieno stali mai agli stndi, per le opere e pei consigli di tanti famosi. Segue il processo verba- le dell'adunanza tenutasi dal consiglio accademico per esamina- re e giudicare i lavori degli alunni, e per giudicare le opere de- gli artefici, che concorsero ai premi annuali del i83y;e chiude il libro l'elenco e la descrizione de'suddetti lavori : contenti anche noi di chiudere questo annunzio col tributare la meritata lode a chi presiede a una così bella istituzione, e dà opera affinchè viemaggiormente cresca di giorno in giorno a decoro della pa- tria e dell'Italia. -^ Fbancsjco Capozzi // castello di Ferrara, reminiscenze istoriche di Giuseppe Pe- trucci. Bruseìle, società Melini, Caus e compagni: libreria, stamperia e fonderia di caratteri i838 ; di pag. 4o '« 8. grande. V^hi si reca a visitare la colla e gentile Ferrara, molto in essa rinviene di che pascer l'occhio e la menle; ma più di ogni altra cosa vale a ciò il castello, maravigliosa mole, che al vederla mot- te uell'anlnio un certo senso di rispetto e terrore, che tragge a 378 V A n I R T a' serie e melanconiche riflessioni di tempi sanguinosi e superbi. La narrazione, che ne ha dato il sig. Petrucci, non potrebb' es- sere né più animata, né più precisa per la parte istorica e cro- nologica; siche la lettura di questo opuscolo non può riuscir clic gradita. Ha egli divisoli suo lavoro in cinque c;tpi, cui sta in- nanzi una breve e descrittiva introduzione , ove fa conoscere le ragioni che il mossero a scrivere. - Capo primo. I cospiratori ; Tumulto ; Tommaso da Tortona ; Blandimenti seguiti da pene capitali; i362. - Capo secondo. Bartolino Novara; Porta e Torre dei Leoni; Antiche gesta; Sorge il castello; Terrore; Nuove ga- belle; i385. - Capo terzo. Muore Nicolò II; succede Alberto; Vantaggi; Obizzo traditore punito ; Voto del popolo; iSpS.- Ca- po quarto. I cittadini sostengono il loro eletto; Buone qualità del marchese; Suoi difetti; i4oo- i438. - Capo quinto. Gabinetto di Nicolò II; Viaggio a Loreto; Ritorno; Rivelazione; Processo e con- danna - 1425. -Ecco le cose relative a questo edifìzio, delle quali parla il Petrucci assai garbatamente, e con quella imparzialità e buon criterio, chedenno essere prime doti di uno storico. L'ul- timo avvenimento ivi successo, e che sforza alle lagrime, é quel- lo di Parisina, moglie seconda a Nicolò III, con Ugo figlio di lui, i quali vennero decapitati per fatto d'amore il di "21 mag- gio 1425. -Noi attendiamo dalla penna del Petrucci altri simili lavori , come ne fa sperare ; certi di dovergli rinnovare la lode, che per questo a buon diritto gli si conveniva. Fkancesco Capozzi 270 IIN DI CE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO LXXX, VOLUMI 238, 239, 240 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE f^egezzi. Cenni sul correzionale delle prosti~ iute e sull'ospizio celtico in Torino. Pag. 3 P^alori, Effetti delle passioni « 6 7'ortolini, Trasformazioni e valori di alcuni integrali definiti ec « 13 Cappello., Ragionamento intorno alVopera del T off oli sulla rabbia canina . . . . « 129 Bonanni., Elementa iuris ciiminalis • . . « 176 Cappello, Restaurazione de' bagni di Ti'^oli. Jrt. II. « 2G0 De-Cuppis^ Sulla connessione delle scienze fisiche della sig. di SommerwiUe . . * 287 Valori^ Necrologia del prof. Filippo Leonar- di € 301 LETTERATURA Montanini, Philologica disquisitio ... * 31 Re, Lettera a monsig. Muzzarelli ... « 34 Brunati, Ragionamenti istorici .... * /|0 380 Biografìe e necrologìe di P. Paoli^ di C. Bou- cheron^ di G. Muzzarelli-Brusanfini, di P. Schedoni^ di V< Cicognara^ di A. Bel- lenghi, di F. Guzzoni degli Ancnrnni. « 63 Tasso, Trattato della dignità pubblicato dal cav. Gazzera, e manoscritti inediti pub- blicati dal conte Alberti « 1 80 Montanari, Dichiarazione di alcuni luoghi della Divina Commedia « 206 Monti, Versi inediti tradotti in latino dal Montalli « 223 Toriglioni, Epistole ed arte poetica di Ora- zio tradotte. . « 233 Visconti, Osservazioni intorno alla notizia bi- bliografica del Cavedoni sull'opera delV Aes grave « 307 Montanari, Il collegio di Urbino diretto da- gli scolopi « 351 Cardinali, Sesta rivista di alcune recenti ope- re italiane di archeologia « 349 BELLE ARTI Visconti, Continuazione delle lettere pitto- riche « 93 Pungileoni, L'Assunta del Correggio dipinta nel duomo di Parma « 240 Necrologia di Luigi Biondi ■ 357 Varietà. Tavole meteorologiche. NIHIL OBSTAT E Jacopini Censor Theol. Deput. IMPRIMATUR Fr. Doni. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR A- Piatti Patriarcha Antiochenus Vicesg. mJDICE DELLE MATERIE Contenute nel voi. 240. Necrologia di Luigi Biondi . . . pag. 257 SCIENZE Cappello, Restaurazione de' bagni di Ti- voli. Art. II. ........ 260 De-Cuppis, Sulla connessione delle scien- ze fisiche della sig. dì Sommerwille.,, 287 Valori, Necrologia del prof. Filippo Leo- nardi ,, 3oi LETTERATURA Visconti, Osservazioni Intorno alla notizia bibliografica del Cavedoni sull'opera dell'off* grave „ 307 Montanari, Il collegio di Urbino diretto dagli scolopi ,, 35i Cardinali, Sesta rivista di alcune recenti opere italiane di archeologia. . . „ 349 Varietà. Tavole meteorologiche.