I. i^t^ Ji!^. w <§»■ GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA TIPOGRAFIA DSLLE BELLE ARTI 1840. -♦+'^ <&> GIORNALE D I TOMO LXXXIII. APRILE, MAGGIO E GIUGNO ROMA IIPOGRAFIA DELLB BEJLLIi AKU 1840 SCIENZE Opere compiute cPIppocrate. Prima versione ita- liana di M. G. Levi col latino a fronte di AniLzio Foesio medico di Metz. Venezia iSSy- i838. Volumi due^ di pug. 796-750 (i). s. 'crivcva già il fu peritissimo Acerbi in una nota apologetica a carico del protomedico di Catania, lo Scuderi, che gradito avrebbe veder la dottrina ippo- cratica men trascurata dai medici presenti, ma non tanto poi venerata da tenersi in conto di unica gui- da nell'arte. Sarebbe lo stesso ( egli aggiungeva ) che studiare la chimica colla sola scorta dello Sthal, per- chè fu il primo che la sollevò alla dignità di scien- za. Ma se in conto di unica guida ( direm noi ) non (i) Quest'opera forma ancor parie dell'enciclopedia delle scienze mediche, ove trovasi inserita dalla distribuzione XIX alla XXX. ^ ^ Scienze può ne debbe tenersi, è ben vero che nello svolgere e meditare le ippocratiche produzioni si apprende senza fallo, che (t migliaia di grossi volumi de' me- (( dici posteriori, prodotti in tempi di maggiori lumi « coU'aiuto di nuove scoperte e d' ulteriori notizie, « non contengono tante utili verità, quante ne of- « fre ciascuno de' molti opuscoli d' Ippocrate scritti « nel primo nascere della medicina. Gli epidemici, u gli aforismi, il pronostico e tutti quanti i suoi li- <( bri soprabbondano di viste, di osservazioni, di sen- (( tenze , di massime , di precetti, di dottrina della (( maggior sodezza, giustezza ed utilità: tutti mostra- « no la gran mente ed il bel cuore dell'autore, tutti « respirano sapere, modestia, candore ed amore della « verità .... Quanto è toccante il nobil candore, con Il cui egli stesso racconta e le guarigioni dovute alle « sue premure, e le morti avvenute sotto le sue cu- li re, e i falli da lui commessi !.... Ippocrate sbandi « malattie, sollevò ammalati, fermò la morte, richia- i( mò la salute, e recò sodi vantaggi, e fece vero e « durevole bene all'umanità : ed egli è inoltre l'uni- II co che possa vantare il merito di avere comuni- « cato i benefici suoi influssi, non solo alla sua na- ti zione ed al suo secolo, ma al mondo intiero, ed w a tutti i secoli. Quale è l'angolo della terra, do- li ve non sieno penetrati i suoi ammaestramenti ? « Ebrei, persiani, egiziani, arabi, siri , vicine e re- « mote nazioni delle parti tutte del mondo si sono « procurate nella lor lingua traduzioni delle sue ope- « re ... Ippocrate vive e vivrà sempre nello studio « de'medici: e seguita dalla tomba dopo tanti secoli « a sollevare gl'infermi, ad illustrare i professori, ed « a riscuotere non solo gli elogi e V ammirazione , Opere d' Ippocrate 5 « ma, ciò clie fa il più sincero e sicuro elogio , la n lezione, la meditazione e lo studio di tutti i po- « steri elle vogliono profittar nella medicina (i). » Ijn uomo dunque si grande, un uomo fondato- re di medica dottrina, un uomo che ventidue secoli salutarono col glorioso titolo di padre della medici- na, se in conto non è a tenersi di unica guida nelP arte, consultar per fermo si debbe per apprendervi lo studio della medica osservazione. Giustissimo era quin- di (siccome asseriva Pierer nella sua prefazione) il la- mento generale dei medici e dei chirurghi più esper- ti, del perchè non possedevasi traduzion francese delle opere d'Ippocrate; lamento comune anche fra noi ita- liani, siccome ripiglia il Levi. Fluisce chiaro da ciò di qual vantaggio possa dirsi feconda la tanto bra- mata traduzione di tutte le opere d'Ippocrate nel no- stro italiano idioma, e di quanta riconoscenza vada debitrice al laborioso ed istancabile sig. Levi la italica nazione. In due grossi volumi ha egli riunito le opere anzidette col testo latino a fronte : la sua versio- ne è impresa sul lavoro del Gardeil, in cui v'hanno i due testi francese e latino. Il novello traduttore ha usato ogni cura , perchè il tutto riuscisse a contri- buire insieme ed al maggior lustro del padre di ogni medicina, ed alla soddisfazione dei cultori di questa. Chiarezza nello stile, plausibile esattezza nella corre- zione, lodevole tipografica venustà non mancano. Que- sti titoli, aggiunti al conosciutissimo iramortal pregio (i) Dell'origine, progressi e stato attuale dì ogni letteratura, di Giovanni Andres, toni. VI. Roma 1816. 6 Scienze delle opere ippocratiche, han saputo far meritare al sig. Levi altissimi onori. Umiliato F omaggio di un esemplare di questa traduzione al sommo pontefice felicemente regnante Gregorio XVI, si degnò questi benignamente accoglierlo. L'omaggio di altro esem- plare della medesima a Sua Altezza L e R. il gran- duca di Toscana venne riconosciuto con lettera di particolar gradimento del maggiordomo di corte in nome del suo sovrano, che rimetter gli fece nel tem- po istesso una medaglia di oro. Tanto è vero quel dettato del Monti (i), che « la prima prosperità del- ti le lettere venne sempre dal patrocinio lor conce- « duto dall'illuminata sapienza de'principi; come del- « la vera gloria de'principi fu sempre tutrice e prò- « pagatrice la penna degli scrittori. » TONELLI. (i) Due errala corrige sopra un testo classico Jel buon se- colo della lingua. Milano 1820 dalla società de' classici italiani. — «BO©9BO«B*- Jnstitutiones medicinae practicae quas ad usum iuventatis digessit Petrus Alofsius Falentini, ex collegio med. chir.^ in romana univer sita- te professor, in nosocomiis s. Spiritiis s. Ma- riae dementium s. Ioannis nationis Jlorentinae medicus primarius , et in earum primo phj- siologiae lector^ ac plurium academiarum so- cius. Fol. FII, de cache xiis. Romae 1889, in 8.° di pag. 340. LI .... util codice delle medico-pratiche istituzioni pro- segue ad aver alimento dall'egregio nostro prof. Va- lentini. Delle cachessie favellasi nel volume, di cui è discorso: ed in due ordini è partito V assunto. Il primo di essi abbraccia le cachessie delle parti molli, l'atrofia cioè, la tabe, la tisi, la scrofola, il bronco- cele, lo scorbuto, la sifilide, la fisconia. Gomprendonsi nell'ordine secondo la rachitide, la spina ventosa, 1' osteomalacia, Tesostosi, la necrosi, la carie , l'osteo- sarcosi, l'anchilosi, la periostosi o gomma, la osteo- xirote e la podoloxole, che alle cachessie delle parti dure del corpo umano appartengono. Con queste due ultime voci ognun vede introdursi una novità ed un cambiamento nella nomenclatura nosologica. Ma se amor di parte non ci tradisce, asserir possiamo che giustissima sia 1' introduzione nella scienza di quei due nuovi vocaboli osteoxirote e podoloxote , ove por un momento riflettasi alla etimologia di essi. Che 8 Scienze di vero la prima si è un nome composto , yojsc^vj- pÓTVjg , che dalle voci di cui risulta indica dissecca- zione delle ossa. « Partes durae humani corporisy ut parte s molle s , vita possunt destituì. En quia dum vita expoliantur, ossium lamellae exsiccan- tur: haec ossium affectio mihi visa est osteoxiro- tis appellanda. » Se per energica azione di cause nasca una infiammazione clic il suo esito abbia in cangrena distruggitrice delle parti molli , che ricuo- prono le ossa, rimangono queste denudate e cadono in disseccamento. Se violenta cagion traumatica of- fenda le ossa, non tarda talvolta il pervertimento di nutrizione delle medesime a manifestarsi: denudansi allora le ossa , disseccansi e periscono. Private cosi di vita, aride divengono e bianche a guisa della cal- ce, e l'opera assume la natura della segregazione del- le lamelle o pezzi morti dai sani. Cotesla impresa alla medicatrice natura debbe affidarsi dal curante, a cui spetta evitare l'uso degli stimoli e degl'irritanti. Se bastevoli si ravvisino le forze della natura al com- pimento di quest'opera, inutil toi'na qualsiasi chirur- gica operazione , come la perforazione dell' osso in molti punti della sua superficie , che venne cotanto predicata. Il solo caso possibile, che autorizzi ad aver ricorso a qualche lieve incisione, si è allorquando le parti molli ambienti l'osso denudato sieno di ostaco- lo alla espulsione del pezzo morto. Quella defoi*mità dei piedi, che nel .torcimento di essi consiste, è sembrata giustamente al N. A. ve- nir contrassegnata col nome di podoloxotis , come presso i nosologi intendesi per lossartro la torsione del cubito, della inferior mascella e delle altre arti- colazioni non derivante da lussazione né da spasmo. Medicina pratica 9 Di due voci greche risulta quel nome, nug ch'equi- vale apes^ e Xs^óivjg corrispondente aWobliquitas dei latini. Ripose il N. A. fra le cachessie cotal morbo- sa affezione, non tanto per la deformità dei piedi che la distingue, quanto per la notevole condizione gra- cile della gamba, ed in ispecie della sua media parte. Ove congenita non sia la podoloxote, può da mol- te interne ed esterne cagioni permanare. La serie dei meccanici cambiamenti, che contro la naturai situa- zione si appalesano in tal caso in alcuni ossi dei piedi , in alcuni muscoli o ligamenti, viene ivi con accuratezza descritta, egualmente che la serie dei mec- canici compensi opportuni ad operare dietro gl'inse- gnamenti di Scarpa la riduzione dei piedi contorti , o favoreggiarla almeno. Ma dalle ultime forme morbose del volume in discorso, così brevemente adombrate, passar volendo a discorrer di alcuna delle affezioni nel primo ordine agi- tate, presceglier ne piace la disamina dolio scorbuto, onde apparisca il lodevole metodo clie ha tenuto il N. A. in trattarlo. Scriveva il Roncalli presso che un secolo indietro : « Stomachum movcnt aliqui vul- gares practici , qui illieo ac vident aliquam in gingivis abrasionem vcl laesiunculam^ illieo scor- butuin clamante et consanguineos totamque domum subvertunt. » Non essendo perciò bastevoli a carat- terizzar lo scorbuto il fetente alito della bocca, e qual- che vizio od erosione delle gingive , ben s' impegna l'A. in descrivere il fenomenico apparato eh' è pro- prio a cotal malattia, la quale d'altronde sì frequen- te non è presso di noi , come famigliare riscontr-asi presso i popoli settentrionali , e presso gli abitanti delle insalubri contrade o ristretti in non ben aerea- jo Scienze ti ponolavi. Lo varietà, 1 periodi di'Uo scorbuto so- no ITI lindi egregia mcirl e presi a scrutinio, non che la cagion prossima clic lo induce e fomenta per opera delle predisponenti remole ed occasionali cause in- generata. Pago non è il N. A. sul conto di queste ullimc ascriversi al divisainento di Dai'vvin , die dai cll)i salsi riteneva originarsi lo scorbuto : giacche la privazione dell' acqua pura e la respirazione di un aria pregna di nocivi effluvii intende altresì clic vi concorrano. « JVon ì^itur una causa, sed plures ad excitandum scoj'butum maris conspirant. Sic a multi <^('nìs causis comniovetur scorhutus castro- rum, curccrum, obsessarum urbium, qui sìne cun- ctatìone epidemicus et contagiosus evadit. » L'in- vestigamcnlo delle efficienti cagioni, la contemplazio- ne dei sintomi, delle varietà e dei periodi dell'affe- zione, la maggiore o minore attività spiegata dai ri- medi , non che la condizione dei movimenti della na- tura, somministrano gli clementi opportuni per sta- tuire con fermezza più o racn probabile la diversi- tà della prognosi. Succedono a questa le nozioni dei Irovamenli necrosco})ici risultanti dalle sezioni dei ca- daveri die furon vittima della scorbutica labe; ed al- le medesime conseguita il quadro del terapeutico ti-at- 1 amento da istituirsi diverso a norma della differen- za degli stadi, delle cagioni che la suscitarono e dei sintomi che le fan treno. Inerendo a queste basi, in- .siste in sul primo stadio nella scelta di un ben in- teso regime dietetico , nella somma nettezza , nella quiete dcU'animo e nel cambiamento del cielo; alle quali avvertenze, ove non tornassero proficue, aggiun- ge l'uso dei vegetabili cosi detti antiscorbutici, Tuso del latte o d(d siero o semplice o al succo dei me- Medicina pratica ii desimi associato, non che l'amministrazione della pe- ruviana corteccia, qualora sommo il languor di forze si riscontri. La salubrità dell'aria, la nettezza, il vit- to vegetabile a preferenza, gli acidi vegetabili e mi- nerali , le frutta , il latte o siero e semplice e co' succhi antiscorbutici diluto , il vino , la scorza del Perù, i marziali, le frizioni o secche o con qualche liquore stimolante, convengono nel secondo stadio. Tro- van luogo nel terzo gli acidi minerali, gli antiscor- butici più validi, gli antisettici, i tonici, la ratanhia, la corteccia peruviana, la dulcamara, l'acqua di cal- ce, il latte precipuamente asinino, le frutta. Ferma- te queste prescrizioni, con ben lodevole ordine s'im- pegna negli opportuni suggerimenti, che talvolta ad- dimandano o l'uno o l'altro dei vari sintomi che mo- lesta ferocia risvegliano, o il carattere sintomatico o secondario dello scorbuto, o alcuna delle complican- ze che in connubio entrino della scorbutica affezione: Daremo per ultimo un rapido sguardo al settimo genere di quest'ordine, cioè alla sifUide, prima di chiu- dere questo articolo. Spiega ivi il N. vV. la consueta singolare industria sopra i singoli rapporti che il su« bietto risguardano. Dopo il referto dei pareri dei va- ri scrittori sulla isterica e sulla favolosa provenien- za del venereo morbo , sulla vetusta conoscenza di esso da alcuni tenuta, sulla più recente epoca d'in- gruenza da altri decantata, sulla varietà dei nomi al medesimo assegnati dai popoli a norma dei luoghi dai quali partiva la comunicazione del dono ricevuto ; scende a parlare dei morbosi fenomeni che localmen- te si manifestano sotto varia e moltiplice forma nel- le varie parti infettate dall'applicazione del venereo contagio. Quali presidii a ciascuna di esse forme con- 12 Scienze vengansi non manca il N. A. indicare, commendan- do l'uso dei mercuriali e le debile avvertenze nell' amministrazione o topica apposizione dei medesimi. Conseguila quindi il quadro fenomenico della con- fìrinata sifdide nei suoi tre stadi : « cum primi in ore et in faucibus prodeant contagii insultus ; cum profundiores partes attententur\ cum orga- norum structura suhesertatur. » Il grado, se mite, del morbo: il carattere, se scevro da complicanze; la diligenza, se pronta, nell' assoggettarsi a terapia, i re- quisiti costituiscono dì sanazione della sifilide; e que- sta, ove ribelle sia per alcuna di tali accennate vi- cende, vari effetti nell'organismo ingenera dalle ne- croscopiche investigazioni appalesati, come quelli che l'A. ci descrive di carie di ossa, e specialmente del cranio, di esulcerazioni dell'encefalo, d'intumescenze di glandole, dì scirri nei visceri ed in ispezialtà nel fegato, di tubercoli nei polmoni, di esostosi, di col- lezioni di siero. Necessario è perciò il pronto cura- tivo trattamento per evitare le alterazioni della or- ganica tessitura delle parti. Il farmaco antivenereo per eccellenza non può impugnarsi che sia il mercurio; ma sul modo, con cui questo possente presidio spie- ghi la sua attività, varie ipotesi sì produssero in cam- po che successivamente l'una all'altra cedettero il con- quistato seggio di rinomanza. Ma siccome spiacevoli effetti suol talvolta sviluppare quella sostanza medi- cinale ; così vari regolamenti sì accennano dalla spe- rienza desunti per la tuta dì lei esibizione, giusta la concorde osservazione di autorevoli pratici. Diversi preparati pur se ne composero più o meno famigerati, e varie formole di linimenti pur si prescrissero col mercurio affm d' introdurlo nella macchina per la Medicina pratica i3 via delle unzioni. Quando e con quali regole abbia- no queste a praticarsi , non si omraette dal N. A. dietro le istruzioni di Cirillo e di Clarc; siccome per k scelta delle interne preparazioni e di Swieten e di Moscati e di Hanliemann dichiara più frequen- temente usarsi il calomelano. Non pochi succedanei al mercurio si commendarono, coll'associazione anco- ra di quest'ultimo, come Storck ebbe a praticare nel- Tunirlo all'estratto di aconito. E qui il N. A. ben si loda della efficacia della cicuta nel debellar la sifdi- de. « Nos autem plus semel valde utileni in sjr- phiUdem ciciUam reperimus, Solum dicam^ quod in militari nosocomio militis confirmata syphilide lahorantis^ in quam fere nihil mercurialia potue- rant^ mirabilem sanationem obtinuimus^ super par- tes dolentes aut alio modo affectas recentem ci- ciitam continue apponendo^ ulcera decoctione eius abluejido, et intejnus extractum exhibendo. » De- gli aurifici preparati di Chrestien cotanto magnificati depone egli averne rimarcata nelle altrui mani l'inef- ficacia. Parla da ultimo con buon senno dei profi- cui compensi da chiamarsi a contribuzione nella cu- ra dei sintomi dalla venerea lue ingenerati, come of- talmie, ulceri, pustule, verruche, esostosi, edemi, do- lori osteocopi: facendo in alcuni di tali casi primeg- giare la esibizione del calomelano , le decozioni dei legni sudoriferi più costantemente, le lavande talvol- ta dal calomelano istesso animate. Dopo queste brevi esposizioni di cose potranno i nostri lettori giudicare, se lecito sia il conchiude- re, che l'opera dell'egregio prof. Valentini non si può leggere senza il più vivo interessamento, e senza ren- dere al medesimo un sincero tributo di lode si per i4 Scienze l'ordine con cui tratta egli le materie, sì per Paccu- ratezza con cui sott'ogni rapporto e di diagnosi e di presagio e di terapìa la dilucida, e sì anche per la nin- na sistematica prevenzione, di cui anzi è scevro, sic- come pur dicemmo nel render conto del precedente volume in queste carte al tomo LXXIII. TONELLI. Osservazioni anatomiche patologiche del profes- sor Oiloardo Linoli. Pisa iSSg. Jr enetrato il chiar. N. A. dalla importanza ed uti- lità dello studio dell' anatomia-patologica allo scopo « di convalidare o distruggere le sentenze emesse dal « genio sommo di Rasori nella sua teorica della flo- « gosi: » lesse: « il giorno 12 al dotto congresso « scientifico tenutosi per la prima volta in Pisa nel- « l'ottobre 18 89 » il primo capitolo delle sue Os- servazioni anatomico-patologiche, le quali per intie- ro ha rese quindi di pubblico diritto. Egli asserisce, aver dettato il suo opuscolo « con tutta verità e sen- « za spirito di parte: e se le mie fatiche ( conchiu- « de nel suo avvertimento che premette ) non otter- « ranno quel plauso , di cui mi fu cortese il dotto « consesso, è perchè le scienze tutte, al pari delle « religioni, innanzi di toccare il loro colmo, ebbe- 4t ro a sopportare i loro atei, i loro miscredenti , i Osservazioni anatomiche i5 « loro avversari, e la verità non potè gotìer del trion- « fo, se non quando uscì vittoriosa dalla guerra de- « gli errori. » Il subietto, che il IN. A. in quest'opuscolo assu- me a discutere, si è quel rasoriano concetto « che V infiammazione non ingenera ne distrugge alcuna materia viva. » In coniernia della prima parie di que- sto suo assunto , cui è consacrato il primo capitolo del suo lavoro, incomincia dallo scrutinio dei feno- meni della ossificazione, dal modo di sviluppo di que- sta , rammentando che le ossa nello stato primitivo sono fluide, gelatiniforme cellulose, essendo detto flui- do contenuto in una membranella chiamata cellulo- sa; che il sistema vascolare è abbondante, come ab- bondante deve essere il linfatico, quantunque non vi- sibile ne'primordi, ma riscontrato in seguito mercè di delicate iniezioni ; che questi sistemi spariscono all' occhio a seconda che succede l'ossificazione: che que- sta ossificazione non dipende da altro che da un tra- pelamento di sostanza terrosa, fluida anch'essa in prin- cipio, e che si consolida a mano a mano, in modo da dare quella consistenza all'osso che tutti sanno ; che l'induramento successivo dipende non tanto dall' addizione continua di una più gran porzione di so- stanza terrosa , quanto anche dalla riassorzione del veicolo che le dava la sua fluidità , assorzione che fassi dai vasi linfatici e lo riportano nel torrente del- la circolazione , onde subire nuove elaborazioni per essere atto a nuovi e naturali uffici. Discende da que- sti principii anatomico-fisiologici alla disamina dello stato patologico delle ossa fratturate. La riunione di queste \em\e da alcuni osservata senza impegnarsi a renderne spiegazione; altri l'attribuirono ad una ma- i6 Scienze teria glutinosa e coagulabile; altri derivarono dal san- gue cotesta materia agglutinante ed organizzabile; al- tri sostennero la viera ossea del periostio ; altri le granulazioni carnee. Il solo Larrey osservò e scrisse, che l'apertura fatta dal trapano o da qualunque al- tra perdita di sostanza, avvenuta nelle ossa del cra- nio; non cliiudesi che per l'allungamento ed assotti- gliamento delle fibre o vasi ossei dei margini; osser- vò e scrisse effettuarsi un processo di concentrazio- ne e di ristringimento in tutta la parte ossea corri- spondente; osservò e scrisse concorrere a questa con- centrazione e restringimento la intumescenza che svi- luppasi nella dura madre , e che sparisce dopo la perfetta guarigione. Più innanzi degli altri spinse quindi il Larrey la sua spiegazione, senza però aver afferrato il perchè cotesta intumescenza avvenisse, ed il perchè questa concorresse alla effettuazione della prima. Or qui il N. A. è entrato nella dolce lusinga di aver penetrato un tal perchè, e di aver dilucida- ta la prima cagion motrice del fatto con le sue os- servazioni patologiche e con vari cimenti eseguiti sui bruti. In quattro individui, che per causa traumati- ca riportarono ferita delle parti molli complicata da frattura ed esportazione di porzione dell'osso parie- tale, vide egli il corso dei fenomeni descritti con tan- ta industria dal Larrey. Vide vascolarità , gonfiore , rammollimento dei margini del contorno dell' osso , dotati di una squisita sensibilità in tutti i punti dei margini; vide quindi succedere depressione manifesta di delti margini dell'apertura e diminuzione del vuo- to con contemporanea intumescenza nella dura ma- dre da paragonarla a bottoni vascolari , spalmata di OsSERVAZION, ANATO>1rr.HE I^ una linfa più o laeim dt-iisa e ohe si coagulava e dal ceiilro si spandeva fino ai margini. Vide trapelar san- gue dalla superficie sotto la rude rimozione della lin- fa; vide quindi adagio adagio succedere la chiusura, prima degli angoli, dipoi intiera dell'area: e consla- tò l'ossificazione più o meno completa nell'uno in sei mesi, nell'altro in dieci, e negli ultimi due dopo un anno. Il medesimo andamento di fenomeni osservò il N. A. su i hruti, come cani , gatti , pecore : aven- do preso le cose in disamina in vari periodi di tem- po dopo avervi praticato fratture. Spinse inoltre le sue indagini nelle fratture di ossa umane, rimarcan- do sempre gli stessi speciali avvenimenti; ed in un rachitico giovane, estinto dopo {{o .giorni dalla ripor- tata frattura del terzo medio del femore , e di cui non erasi operata la riunione quantunque riunito si fosse il periostio, rimaicò ha le due superficie entro al periostio medesimo una sostanza siero-gelalini- foi'me, e punto di sostanza terrosa. Sottopose quindi all'analisi chimica porzione d'osso nel punto frattura- to e nunito , e ne ottenne sostanza terrosa in più quantità, gelatina o colla, mentre la porzione d'osso non riunito somministrò appena traccia di sostany.a terrosa e poca gelatina, ahhondandovi mai^gior quan- tità di siero. Portò finalmente il N. A. la sua atten- zione alla tessitura della cicatrizzazione degli altri tessuti e sistemi, e n'ehhe a constatare, che la tessi- tura della medesima teneva della somiglianza del tes- suto a cui apparteneva; cioè la tessitura della cica- trizzazione delle ossa teneva somiglianza alle ossa, quella cutanea alla cute, quelle de'nervi, de' muscoli, de'tendini a ciascuna di queste parti: e convinto da ciò nacque in lui „ // ^ìiriUo di armiiro che nulla G.A.T.LXXXlll. 2 j{{ Scienze (( di nuovo pi'odnci'si per opera JATOMICHE Jrt a più agevole conoscenza dei metlesiini, gioverà ori- ginalmente riferire alcuni concetli da esso lui più fia- te ripetuti nel suo opuscolo di cui favelliamo. Flui- de son le ossa nel primitivo loro sviluppo, e dello fluido è contenuto in un sacchetto di tessuto cellu- lare. In questo tessuto abdonda in un modo maravi- glioso il sistema vascolare: e sebbene non visibile alT occhio, atteso l'esilità, e gli ufficii che gli compete, avvi pure il sistema linfatico, poiché ove sono arteiie e vene, avvi pure linlalici. Delta vascolarilà sparisce al nostr'occhio a seconda che l'osso dallo sialo fluido pas- sa a gradi a gradi alla completa ossificazione: la cau- sa di questa ossificazione è sconosciuta, come è sco- nosciuta quella della formazione organica in genera- le. Le ossa, come tutti gli altri lessali, vanno soggelle alla infiammazione : questa produce vascolarità, gon- fiore, rammollimento, slravcnainento di siero, fibrina e talvolta puro sangue : la fibrina si consolida fuori e dentro le cellule del tessuto cellulare dell' osso nelle due superficie, clie aderendosi ed ossificandosi divengo- no una sola: « come le due pleure si aderiscojio in (( modo da non fare più distinguere se in realtà esi- « stevano due membrane unite insieme per opera d' « infiammazione, così non distingucsi più se erano « due superficie el'osso, oppure una sola: e ciò ha fatto « ialsamente credere rigenerarsi sostanza ossea, men- « tre non è che la sostanza medesima, e le due su- « perfide si sono aderite per quelle leggi stesse dell' « infiammazione che ha fatto aderire la pleure. » Eguali d' altronde sono i concetti che guidano il sig. Linoli ad impugnare la rigenerazione di nuovi vasi sanguigni: al quale clTelto prende egli "ad esaminare il modd, con cui le due pleure invase da infiammazione 20 Scienze p(iS8()iH) Ira loro scarni »lovolmente aderire, per lo slra- venainento cioè della fdjrina. Convinto così (ermamen- te il N. A. di aver dimostrato inconcussa la prima parte del suo assunto sulla ninna rigenerazione di ma- teria viva: chiude il primo capitolo del suo lavoro non senza mostrare gravi ed acerbe doglianze per lo scon- cio di coloro « che data appena una rapida e mal di- ce gerita lettura alla teoria della flogosi, osarono cri- « ticarla a danno della scienza nostra non solo, ma (( ancora di questa nosti^a Italia, che d'avvantaggio è (( lo scherno e la favola di que' d'oltremcmte e d'ol- « tremare, senza che sorgano i propri figli a lace- (1 rarle il seno. » Nel secondo capitolo, che al priijio sussiegue, di- scute il N. A. la seconda parie del propostosi assun- to, che l'inliammazione cioè non distrugge alcuna ma- teria viva. In coulerma della verità dell'asserto ram- menta il sig. Linoli ciocche già allre fiate aveva scritto negli Annali di medicina di Milano; riferisce l'osser- vazione falla in un bambino di circa quattro anni ag- gredito da cerebrite per cagion traumatica : in cui nell'autossia, sepai'ato il tumore dal lobo sinistro del cervello , con cui sembrava immedesimato e ridotto in gas, rinvenne intatte le meningi, intatto sebbene molto com|iresso tutto il lobo sinistro del cervello ; rammenta aver osservalo altri considerevoli ascessi con piena integrità dell' encefalo e sue membrane : rammenta aver rinvenuto intatto il parenchima pol- monale nei casi di empiema da lui pubblicali nei sud- detti Annali, e nei cadaveri che riferisce aver sezio- nati nella sua Storia di wi' epidemia costiiiizioiiale ec. Spinto egli 'così dalla forza di questi fatti e dal valore dei rasoriani principii, non esitò ritrarre iP pie Osservazioni anatomiche 21 dal sentiew ch'egli dice aver precedentemente ])attu- to con errore: e quindi a dimostrare imprese il detta- to del Rasori, che fibra viva non si distrugge dalla in- fiammazione. Da questa bensì, come da prodotti non suoi, conviene escludere i principii sui "■eiieris ed ì principii chimici animali irritanti. Alla norma dei rasoriani principii è pure accomodata la spiegazione dei fatti che offre il sig. Linoli, riandando i pensamen- ti dei vari scrittori anal ornici e fisiologi per ischiu- dersi il varco alla intelligenza dei morl>osi fenomeni nel processo suppurativo evenienti mercè dello strave- namento della fibrina che si consolida. « Gli umori tut- « ti, che si osservano nella macchina animale, vengono « per legge a noi ignota stravenati dalle vene; le ve- « ne stravenano siero, fibrina e pm-o sangue, esisten- « do infiammazione ; per quelle leggi ammesse dal « Rasori formasi il pus e pseudo-membrane ; questo « pus, alla formazione del quale non esiste legge igno- « ta, non producesi colla distruzione dei' visceri, de- « gli organi e dei tessuti, ma bensì per slravenamento « di siero e di fibrina, slravenamento ammesso anco « da Bellini, ma meglio di tutti fattoci intendere da « Rasori, laiche l'infiammazione generica e non as- « sodata ad alcun principio deleteiio non distrugge « fibra viva. 1» Bastevole giudichiamo d breve cenno esposto dell'opuscolo del sig. Linoli; opuscolo interamente co- strutto sui principii della rasoriana dottrina dal N. A. abbracciata e professata. Ma dopo quel tanto che in opposizione alla teoria della flogosi- del preclaro Ra- sori dissero molti e valenti scrittori, come un Pucei- notti, un Fanlonetti, uu Chiollni, un Bonetti , un Zannini,un Barzellolli ed altri; che cosa mai sarà lecltg 22 Scienze Ji opinare sul valore intrinseco di questa ? Non sarà lecito invece, in Ubera confidenza, dichiararsi più pe- netrati dalle vedute e de'raziocini di questi scienziati , die occuparonsi in ispargervi delle critiche sensatissime animadversioni ? E più davvicino parlando della tesi sostenuta dal sig. Linoli nell'opuscolo di cui si è fa- vellato, non sarà lecito confessare, che non ci trovia- mo fin qui disposti a piegarci alle sue assertive e ra- gionamenti, che già furono , per quanto ne sembra , vittoriosamente combattuti con Ogni genere di prove da chi difese la tesi contraria ? Ed in vero che altro mai aggiugner si potrebbe di nuovo , o dirsi di più fermo, senza tener dietro su tal proposito «ai pensa- menti e raziocini dell' egregio fisiologo di Bologna prol. Medici ? Dovrà forse venir questi riposto nel novero di coloro, clie, al dire del sig. Linoli ( nota II, pag. 46): (( insane voci proruppero .... un'ope- <( ra condannando con tanto precipitato giudizio con « quanta prestezza se ne consumò la lettura ? » Giu- dici potranno esserne i nostri lettori. Sparse il eh. sig. Freschi intorno ad alcuni ar- ticoli divulgati dal Medici varie criliche annotazioni; furon queste sottoposte in ragionalo e diligente esa- me dallo stesso prof. Medici nelle sue Lcttcj'e fisio- logiche ec. al medesimo Freschi indlrilte (i). Dimo- strò quivi il Medici [o.) con ragionamenti e con fat- ti la rigenerazione de'tessuli della macchina anima- fi) Per le stampe di Venezia del i858 nel ,, Giornale per scrvne ai progiessi della patologia e della terapeutica „. ' [1] Siccome in queste carte riferimmo nel render conto di esse lettere ul volume de'mesi di gennaio, febbraio e marzo iò4o. Osservazioni anatomiche 23 le, e la tlistruzione di questi mediante l' opera del processo suppurativo contro il divisamento del Fre- schi che alla rasoriana dottrina aderiva con plauso. Tornando ora il sig. Linoli nel presente lavoro a so- stenere la tesi del Rasori ( ch'è quella istessa difesa dal Freschi), impugnando cioè che avvenir possa ripro- duzione di parti, e che fibra viva distruggasi mercè del- la suppurazione; sembrava doversi ragionevolmente at- tendere, che esauriti venissero i generi tutti di prove possibili, onde corroborare l'assunto senza sterilità, ed infirmati ampiamente e combattuti i generi tutti di op- posizione che fulcro davano ben valido al contrario as- serto difeso dal Medici. "Nulla per altro di tutto ciò : ninna menzione nell'opuscolo del Linoli si tiene delle Lettere fisiologiche del Medici nel precedente anno impresse: di iiiun peso quindi gli argomenti ed i razio- cini di questo. Si rivolge unicamente il Linoli contro i teoremi del sig. Corlicelli in alcune note, le quali (i) valevoli non sembrano ad infringere i concelli del Corlicelli medesimo. Reca perciò ammirazione il niun conto in cui il Linoli ha tenuto il lavoro del Medici, e le ragioni da quest'ultimo adoperate. Un tal contegno anzi darel)bc luogo giustamente ad usare il seguente di- lemma: O il sig. Linoli ha letto l'opera del Medici, ed era in tal caso in debito di dimostrare, che gli ar- gomenti del fisiologo di Rologna sono manchevoli: o egli non l'ha letta, ed in questo caso ha luogo il sog- giugncre che legga prima l'opera enunciata, e quindi adoperi ogni mezzo di argomentazioni per risponde- re con fruito e con felice risultanza. (i) Scbbeu soppresse ncyli Annali di medicina di ]MiUnu, al fascicolo di yenuaio 1840, ove fu iJpiodotlo il 6I10 opuscolo. .24 S e I E N Z E III questa disputa per alho, grave ncirun tem- po ed Inlcrossaiile, sarebbe a desiderarsi, che si agitas- se l'argomento senz'acrimonia di frasi e senza la ma- nia di veder preponderata Toplnion propria neirani- mo altiui a sagrificio della verità. Non vorremmo quin- di che la quislione, la quale per noi risoluta sembra in favore del Medici (siccome altrove dicemmo nel partecipare ai nostri leggitori le sue dotte lettere fi- siohiglciic ) , si andasse a perpetuare pei'^ inesattez- za di linguaggio. Ed in vero, per dir qualche cosa, so- stiene il Linoli con Larrey, che la riunione delle ossa Jassi a spese delle ossa stesse. Ciò sarebbe vero, ri- sponder potrebbesi, se le ossa cedessero in tale in- contro qualche cosa del proprio che attualmente pos- sedessero; mentre la faccenda avviene all'incontro per l'applicazione di materiali somlglievoli a quelli, che natura impiegò nella genesi primordiale di esse. So- stiene il Linoli, che nidla di nuovo producesi per rinfiammazione (pag. 8): laddove nell'assunto, che pre- mette, imprende a dimostrare che la infiaìiiniazione non rigenera materia \'i\Hi : espressioni a mia fé che suonano diverso significalo, poiché la riproduzione di ima cosa accenna al rigenerarsi di una cosa vecchia perduta : il che non equivale a formazione di cosa nuova in istretto senso. D'altronde quella « sorla di « corpo estraneo, confittosi tra labbra e labl)ra di una « piaga )) in cui risolvesi il termine supremo della ci- catrice ( son parole del Rasorl usato dal Linoli alla l)ag, 12 ), dir non polreblìcsi un corpo nuovo, qualora piacesse sostenersi che pezzo nuovo si formi ? Non viene il sig. Linoli per tal mod(j e per altre sue mnnio- ro di esprimersi ad asserire (pici che vorrebbe negare, a couceilere (|uel che vorrebbe coJitcndcre ? Ci per- Osservazioni anatomiche 2 5 suaJa dunque il chiar. slg. Linoli con maggior cliia- rezza, ed usi la pazienza di adoperarsi in distruggere gli argomenli ed i raziocini convincentissimi del cele- bre prof. Medici, ed allora divideremo col N. A. l'opi- nione del non rigenerarsi e del non dislruggersi alcu- na materia viva coU'infiammazione, TONELLI. — *ii^?0^^«— ^6 LETTERATURA Atti delV accademia volsca veliterna. Voi. /. Ro- ma,^ tipografia Minardi i834 in 8.° di p. 228. Voi. IL Velletri, tipografia Ercole 1887 in 8.° di p. 3o6, con tre tai>ole a stampa. P^ol. III. Velletri tipografia Mugnoz i83q in 8.° di p^ 384 con tre tavole in rame. .old scrissero della utilità che può derivare dalle accademie letterarie; e ricordo fra gli altri l'Auiaduzzi, che ne pubblicò, una non breve apposita dissertazione. Ed io la ritengo per una verità incontrovertibile: quin- di spero che mi sia permesso lodare il savio divisamcn- lo dell'accademia volsca veliterna; la quale in soli sei anni, dacché incominciò a pubblicare i suoi atti, ci die già tre volumi, ove leggonsi dissertazipnì relativo alle scienze, alle lettere, alle arti. Perchè se alcuni scrissero, potersi l'ormare un criterio del grado di ci- Accademia volsca 27 viltà di una nazione, di una pi-ovincia, di una cillà, dal numero de' giornali scientifici e letterari che in essa si pubblicano; parmi che più giustamente quel criterio possa discernersi dagli atti accademici che si consegnano alle stampe. Forse non in tutte le loro parti meritano questi volumi de'volsci un ugual lo- do: ma non ignoro, che bene spesso le gare e le ge- losie municipali possono per prudenza consigliare un partito, che senza quelle considerazioni sarebbe stato rigettato da chi l'accademia presiede. D'altronde ogni autore deve rispondere de' suoi scritti: e poi, qual è quella raccolta di atti, nella quale tutto sia perfetto? Perfezione non è dote umana; nel più avvicinarsi o discostarsi da essa sta la virtù e la dottrina , il vi- zio e r ignoranza. Da vdtimo ritengo essere ufficio de'giornali rimeritare di memoria e di encomio, non solo quelli che fanno mostra di se nelle città pii^i po- polate e fiorenti, ma quelli ancora (allorché favore- vole se ne presenta l'occasione) che stanno quasi na- scosti agii occhi di tutti negli angoli delle provincic. 11 perchè se fra le raccolte di atti accademici , che vengono a luce ne'pontifici dominii , fuvvi chi lodò in questo ed in altri giornali quelle della pontificia romana di archeologia, e dell'agraria di Pesaro; vuol ragione che similmente si faccia ricordo degli atti dell'accademia veliterna. Due fra i tre volumi, il primo cioè ed il terzo, furono dedicati all'eminenza reverendissima del siir. cardinale Bartolomeo Pacca. E mi sembra cou savio consiglio; perchè a queiranq)lissimo porporato deve racciidemia il suo risorgimento; e perchè ad esso pre- cipuamente la città di Velletri è debitrice della pre- sente sua felicità, e dell'essere stata innalzata al grado 2H Letteratura (li prima legazione dello slato. Il secondo volarne fu dedicato alla magistratura comunale velllerna; e con tutt^ giustizia: perchè da essa Faccademia ottenne lar- ghezza di mezzi onde far fronte alla spesa necessa- ria per la puLhlicazione di questi atti : largizione, che merita lode dai presenti, e meriterà le lieuedi- zioni dei posteri; avendo in iecopo il vantaggio delle lettere, le quali come onorano chi le prolegge, così ne sono a vicenda onorate. Una hreve istoria dell'accademia serve di prefa- zione al primo volume. Si legge in essa carne fosse istituita nel iy65 da Clemente Erminio Borgia e da Domenico ^Antonio Cardinali. I quali, veduta la inu- tilità delle diverse accademie poetiche, di cui in quel tempo abbondava Velletri, anzi tutta Italia, una vol- lei'o crearne che avesse più utile scopo; e se da essa non esclusero la poesia , vollero pure ohe primario obbligo dei soci fosse, nelle bimestrali tornate acca- demiche, quello di trattar in prosa un argomento re- lativo alle scienze, o alle lettere, o alle arti; ed il Cardinali ne stese le leggi con aurea latinità. Quando fu innalzato all'onore della sagra porpora Stefano Bor- gia, che ebbe i natali in Velletri, l'accademia che da lui molto lustro avea ricevuto, lo proclamò a suo pri- mo protettore. Morto quel dotto in Lione, fu a lui nella protettorla sostituito il principe reale di Dani- marca. Poi le vicende politiche tennero per lunglii anni in silenzio l'accademia: ma quando nel i83o al reggimento della chiesa e città di Velletri fu eletto il cai'd. Bartolomeo Pacca, letlei-ato com'egli è, e pro- teggitore di ogni sorta di buoni studi, fò tornare a nuova vita la società volsca; la quale, non per ono- rarlo (che egli è tale che può dare onore più pre- Accademia volsca 29 sto che riceverlo) , ma per tributo eli riconoscenza, lo elesse a suo terzo protettore. Gli atti di queste di- verse elezioni, le pubblicazioni fatte dalla società in diverse circostanze, le opere che ad essa ebbero de- dicate un Amaduzzi, un Cazzerà, un Becclietti, ed Arnoldo Heeren, e Gian Giuseppe Paulovicb Lucidi, e Giorgio Enrico Martini, e Paolino da san Bartolo- meo, sono dettagliatamente riferite in questa prefa- zione storica, che si stende in 26 facce. E per non interrompere in appresso la relazione dei diversi scritti Cicliti in questi volumi, voglio ora notare che in fronte al terzo si legge l'elenco dei soci residenti e corri- spondenti; fra i quali secondi leggonsi con piacere i nomi di molti letterati illustri, non solo della nostra Roma, ma di Napoli ancora, e di Torino, e di Pa- dova, e di Bologna, e di Milano, e di Modena, e di Pavia, e di altre cospicue città. Ogni volume è diviso in due parti. Comprende la prima le dissertazioni accademiche; sono nella se- conda gli elogi de' soci defonti. Fra le dissertazioni risguardano alcune le scienze, altre le lettere, allre le ani. In quest'articolo farò breve ricordo delle pri- me; riserbando a dire delle altre in un secondo. I. E primieramente dirò di alcune dissertazioni, le quali aiutano l'arte salutare. Il dottor Francesco de Rossi, uno dei censori dell'accademia, imprese a ragionare intorno la chinina semplice e combinata colV acido solforico (Voi. II, p. io3-i42). Incomin- ciò il disserente col dolersi che quella sostanza alca- lina esistente nella corteccia delle chine, in ispecic se combinata coll'acido solforico, fosse per alcuni ri- cevuta non senza tema di danno, per altri riguardala con indignazione : trovò la causa di questi giudizi, 3o Letteratura parie nei metllci eli colato intelletto olie Ingiustamente raccusarono, paitc nelle false induzioni desunte da alcuni contrari risultati. E si propose rispondere a questi quattro quesiti: i° Qual'c l'ingiusta accusa dei medici contro l'alcali delle chine? 2." Quali gli av- versi fatti clie presso molti discreditarono specialmente il solfato di china? 3." E stata mai prodotta alcuna giusta accusa contro di esso? ^.° E possibile ai me- dici ovviare agli sconcerti che possono emergere dall' uso del nuovo farmaco? L'ingiusta accusa prodotta al pubblico da un anonimo, che non ebbe rossore di dichiararsi per medico, fu questa: essere la chinina essenzialmente e necessariamente mescolala allo spi- rito di vetriolo, ed alla calce viva; per conseguenza essere una sostanza venefica, e sommamente nociva all'umanità. Ma così scrivendo quell'anonimo, si m,o- strò totalmente ignaro della chimica. Difatti ognun sa che il solfato di chinina e la combinazione della chi- nina coll'acido solforico a perfetta saturazione; e che la calce pura, che insieme con altri reagenti chimici s'imjiiega per ottenere esso solfato, punto non si rin- viene mescolata con quel sale neutro. Poi chi ignora elle quando un acido è a saturazione combinato con una base salslficabilc , perde in tutto o nella massi- ma parte le sue qualità? Quindi l'acido solforico, sa- turato dalla chinina mediante una perfetta combina- zione, perde la qualità caustica o venefica. Non può negarsi però , che talvolta non siano nati sconcerti nf U'uso troppo esteso del solfato: ma prima di accusar- ne il nuovo farmaco, conviene con sana critica analiz- zare tali sconcerti; ed allora si conoscerà che alcuni (e questi nel massimo ninnerò) sono indipendenti as- solutamente dalla natura del nuovo acccssifugo, al- Accademia vot.sca 3i cuni prodoi fi della sua essenza. I primi meiùtano una suddivisione: altri cioè risguardano i medici, altri la qualità del farmaco, altri i temperamenti dei malati. K qui l'A. vien discorrendo, come alcuni medici rì- sguardassero il nuovo prodotto delle chine qual pa- nacea universale; e l'usassero in malattie, nelle quali non era indicato: altri lo prodigassero in dosi ecce- denti i limiti: altri ne protraessero l'uso al dì là del bisogno : sistematici altri, lo ritenessero come valido contros limolante, e lo prescrivessero quando men si doveva. L'inevitabil fato, che attendeva gli infelici ma- lati, die motivo a falsi giudizi: si attribuì al farmaco il danno causato da chi imprudentemente l'avea or- dinato. Poi con molta diligenza e dottrina viene enu- merando le diverse malattie curate con esito inlelice col nuovo alcaloide ; e dimostra le ragioni , per le quali i tristi effetti debbonsi attribuix'e alla pessima applicazione del farmaco: ne lascia di narrare i danni derivanti, sia dall'intempestivo uso della chinina, sia dall' imprudente insistenza nell' ordinarla , sia della intemperanza delle immodiche dosi : danni tutti pro- venienti non dal farmaco, ma da chi non sa ordinar- lo. Scende poi a dire, come la qualità più o meno alterata dell'alcali delle chine contribuisse da prin- cipio a porre in discredito , o almeno a far diffida- re di sì prodigioso antlperiodico; non tace come al- cune maliziose adulterazioni ne guastassero l'inti-in- seca virtìi, e lo rendessero anche nocivo. Ma chi non vede che tale inconveniente deve attribuirsi all'igno- ranza o alla malizia di chi vende o prepara quel sale febl)rifugo? D'altronde oggidì, dopo gli sperimenti e le dottrine del Manni, conosciamo che l'alcool è tale reagente, il quale mentre scioglie perfettamente il pu- 32 Letteratura ro solfato di cìiinina, lascia precipitare le altre ma- terie eterogenee se vi sono mescolate, formanilosi nn sensibile intorbidamento nell'aleoolica soluzione. Per ultimo, alcune eventualità contrarie, rimarcate nell'uso del solfato di chinina, dipendono esclusivamente da cause l'isguardanti gli stessi malati. A cagion d'esem- pio ne' temperamenti astenico-eccitabili al massimo gra- do, potrebbe produrre gastralgie, vertigini, cefalalgie, sussurri de'tendini, tremori universali , affezioni co- matose eie; quindi ne'malati dotati di squisita sensi- bilità, vuol la prudenza e vuole la sicura pratica, clie non si debba ordinar mai il solfato, ma sì la cbinina semplice , clic le cbimiche osservazioni insegnarono essere priva di azione irritativa. E questi sono gli scon- certi indipendenti dalla natura del nuovo febbrifugo. Quelli (non molto importanti però) cbe dall'essenza del solfato di chinina dipendono, il disserente li ri- duce a due: l'uno dipende dalla chinina in istato di sale; l'altro dalla medesima, sìa semplice, sia compo- sta. Quello, combinandosi la chinina all'acido solfo- rico sino a perfetta saturazione da risultarne un sol- lato di chinina neutro, se conserva energica la facoltà antiperiodica, acquista insieme una certa qualità ir- ritativa, la quale si rende ai malati più o meno sen- sibile, giusta le diversità delle organiche reazioni: l'al- tro sta nella disposizione che lascia, sìa semplice, sia composta, alla recidiva. Il primo inconveniente fu os- servato dal eh. Tonelli e da altri, non durare al di là del tempo, in cui dura l'azione del rimedio; quindi se tale accusa è ragionevole, è pure di tenue entità. Rapporto al secondo, esso è comune alle chine le più attive, ed a qualunque altro farmaco aiilipcrioilico: che l'azione de'rimedi sull'organismo vìvente non è Accademia volsca 33 perpetua, ma limilala eulro confini più o meno este- si. Passando il De Rossi a trattar l'ultima parte del ra- gionamento: cioè se possono i medici ovviare agli scon- certi possibili a nascere dall'uso del nuovo farmaco; fatto prima ricordo del metodo endermico, o iatro- lettico; e notati i felici risultamenti che se ne posson trarre in alcuni casi; stringe il discorso col proporre alcune leggi, per ottenere quanto si vuole; e di que- ste leggi dà un sunto. Esse si riferiscono i.° alla in- dicazione del nuovo antifebbrile; 2." al tempo oppor- tuno per propinarlo; 3.° al modo d'introdurlo nell' animale organismo; 4'" al metodo; 5." alla forma; 6." alla dose; e termina con proporre un regolamento, che basato sulle sue proprie e sulle altrui nuraerosis- srnie osservazioni, abbraccia i sei indicati articoli, e con bella chiarezza li dichiara in tutte le sue parti. II. Lo stesso ili. dott. Francesco de Rossi pubblicò la Stona di dice casi combinati di vaiuolo arabo e di vainolo vaccino in un medesimo individuo, con alcuni rilievi sulla vaccinazione ( voi. Ili p. 1-25). Lo sviluppo simultaneo del vaiuolo arabo e del vaccino in un medesimo individuo è \in fatto cli- nico da molti anni per molli medici osservato. Si ri- marcò che in tai casi mutuamente modificavansi, e che tale modificazione era più sensibile ora nell'uno ora neir altro , accadendo fra le due specie di va- inolo quasi una lotta che destava maraviglia: si notò costantemente che lo sviluppo del primo allora sol- tanto aveva luogo, quando il virus vaccino non aveva ancor compiuto nel vaccinatoci 1 processo preservativo dall'attacco dell'arabo esantema. Molte volle accadde al disserente, nel suo lungo e non mai interrotto eser- cizio dell'arte salutare, di osservare e curare la combi- G.A.T.LXXX1I1. K 34 Letteratura nazione dei due vaiuoli nello stesso individuo. Due casi fra gli altri, che potè opportunamente sottoporre a minuto esame nella città di Anagni, formano il su- bietto di questa dissertazione. L'uno accadde nell'ulti- ma figlia dell'autore, l'altro in un fanciullo di circa due anni. Nel i8'2 2 apparve in Anagni al principiar del verno l'arabo vaiuolo, che si estese di poi in feroce epidemia. Il ricordato fanciullo, vaccinato con pus re- centissimo, mostrò nel terzo giorno sul braccio i ru- dimenti del vaiuolo vaccino; nel quinto eran visibili le pustole; al decliuar del quinto fu assalito da feb- bre acuta, che progredì nel vegnente giorno, mostran- do i segni di vaiuolo arabo. Intanto vigoroso proce- deva il vaccino: il dì terzo della febbre, settimo dall' innesto, comparso l'arabo vaiuolo, cominciò a dimi- nuire il vigore dell'altro: nel giorno dopo confluente si mostrava l'esantema, intensa continuava la febbre, più debole si vedeva il vaccino: quando nel quinto apparve un maraviglioso cambiamento nell'arabo, di- venne discreto, scomparve dal viso, cessò la febbre. Fu poi mite il corso de'suoi stadi; lieve la suppura- zione, passò rapidamente alla essiccazione; questa nel decimo era compiula. Durante il corso del vaiuolo umano , languido procedette e quasi stazionario il vaccino; ma nell'essiccazione di quello, questo ria- cquistò energia; rubiconde tomaron le areole; si ri- produsse lieve infiammazione, cui successe l'analoga suppurazione ed essiccazione. Da questo caso l'A. ne deduce, i." che nel simultaneo corso, il cambiamento più rimarchevole fu nel vaccino, che restò quasi so- speso, mentre l'altro fu solo modificato; 2." che tal modificazione non fu diversa da quella che sì osserva nei vaccinati attaccali da epidemico vaiuolo arabo; 3.° Accademia volsca 35 che il vaccinato nell'alterazione non cambiò punto di essenza; 4v che la mutua modificazione delle due specie fu senza dubbio il risultato della combinata azione dei due virus sull'organismo del fanciullo; 5.o che tale modificazione si determinò , quando i due agenti, dallo stato latente passando al libei'o, pote- rono impadronirsi del sistema organico universale; 6." che nel conflitto dei due virus, la forza tlell'arabo su- però, qualunque ne fosse la causa, quella del vac- cino. Il secondo caso fu dall' A. ossei'vato, come dissi, nella propria figlia. Vaccinala di un anno, in perfetto stato di salute, nel terzo dì apparvero i soliti segni, che felicemente pi'ogredirono a tutto il quinto; al ter- minar del quale, assalita da violenta febbre accom- pagnata da vomito e da angoscia, si rimarcò nel se- sto un rilardo nelle pustole vaccine; ed aumentata la febbre, fu accompagnata dai più gravi sintomi del vainolo maligno confluente. Questi sintomi diminuiro- no sensibilmente nel seltinio dall'inneslo: ma compar- vero nella faccia della fanciulla ed in altre parti, molli punti rilevanti alquanto rossi, che moltipHcaronsi im- mensamente. Pareva che il pus vaccino perdesse la sua forza ed illanguidisse; quando maravigliosamente nell' ottavo tutto cambiò: non più puslolctte vaiolose nella faccia e nel petto; nel resto del corpo, tramutato in discreto; non più febbre; rapido avanzamento nel vac- cino. In appresso l'arabo lentamente progredì fino alla suppurazione; il vaccino regolarmente percorse i suoi stadi, conservandosi vigoroso fino al suo termine. E evidente che in questo secondo caso il potere del vac- cino superò l'altro, lo conquise, lo modificò; e se la potenza di lui non fu spenta, fu però notabilmente diminuita. 1 jilievi poi 2, 3, 4? 5, esposti nel primo 3G • Letteratura caso, sono comuni al secondo. Passa quindi l'A. a di- scorrere della comparsa del vaiuolo arabo (variolóide) in individui già prima vaccinali: e tocca la questione sulla temporaria e non permanente virtù preservativa nel pus vaccino; e dice del programma a tale scopo proposto dalla reale accademia francese delle scienze; e termina per istabilire alcune verità, resultanti da replicate ed esatte osservazioni. Esse sono le seguenti; 1.° che la vaccinazione regolarmente eseguita preserva l'uomo dal contagio arabo, e per lo più in tutto il tempo della vita; a."* che alcuni pochi vaccinati, tro- vandosi nel mezzo di una epidemia vaiolosa, possono contrarre il vaiuolo; 3." che questo però è sempre essenzialmente diverso da quello dei non vaccinati, benigno, non mai pericoloso; 4-° che quando coesisto- no i due virus nello slesso indi\ùduo, mutuamente si modificano, ed il vaiuolo umano diviene sempre un mite variolóide. III. Il eh. doti. Giuseppe Tonelli fece inserire negli alti dell'accaderaia veliterna un Rapporto di mostruo- sa trasposizione din visceri addominali in un feto (voi. Il p. 167-184), che serve ad aumentare il già nu- meroso catalogo delle mostruosità rimarcate nei feti umani. L'investigamento della ragion prossima di ciò, pose a tortura il cervello di qualunque volle occu- parvisi. Sembra che la natura, a rendere inutili i co- nati degli uomini in questa specie d'investigazioni, ponga non so che di grande e d'incomprensibil» an- che ne'ouoi errori; seppure errori possono dirsi tali mostruosità. Quella di cui il dotto tutore fa rapj)orlo, appartiene alla classe di quelli d'in-egolare confoi'ma- zlone. Nacque in Pa!i;iTi<) pochi anni la un bambino, clie cam[K) soli due giorni. Ui regolare sviluppa, solo Accademia voi-sca 3 7 una enorme espansione ombelicale occupava quasi in- tera la parte anteriore del tronco , a forma di una oblunga cisti, il cui asse maggiore estendevasi dalla metà dei femori. L'asse minore era di circa sei dila traverse: la sua profondità, calcolata dal centro, di cin- que in sei pollici; nelle due estremità reslringevasi in forma obtusa. Giaceva senza la minima aderenza al tronco; solo era continua all'ombelico, mercè d'un quasi pedunculo dallo 'stesso ombelico protrai to, ed occupante un' area circolare della periferia di nove pollici circa. La cisti nella metà inferiore offriva una membrana color subflavo e pellucida, dimostrante con- tenere un fluido: nel lato desto di essa scorgevasi ade- rente il funicolo ombelicale, la cui eslreinilà libeia era slata legala dalla levai rice: la metà supcriore, vei- gala di varie linee violacee, presentava molle resisten- za e perfetta opacità. Il bambino erasi naturalmente sgravato del meconio, ed anclie delle orine per le vie ordinarie; la mattina in cui morì, aveva per la pri- ma volta poppato. Accaduta la morte, desiderava il Tonelli impossessarsi della cisti; ma un folle pregiu- dizio ne lo impedì: dovette star pago ad una solle- cita e non perfetta sezione del pìccolo cadavere. In- cisa la estremità inferiore della cisti, ne uscirono cir- ca sedici once di siero tenue, inodoro, giallastro. Aper- ta in tutta la sua longitudine, la parte inferiore da cui esci il fluido cistoso era vuota; le pareti interne di tutta la cisti, costruite da produzioni peritoneali, avvolte all'esterno da semplice tunica cellulosa: nella parte superiore giacevano in regolare disposizione tutti i visceri addominali soliti ad essere contenuti nel sacco peritoneale dell'addome; il fegato, la milza, il pancreas, l'intero apparalo gaslro enterico, gli omenti, i mesen- 38 Letterat^ura t(M'i; mancava liilto il sisleina aropoielico. Ma aven- do il bambino poppato, essendosi sgravato delle ori- ne e del meconio, eran queste tali eventualità, che richiedevano doversi cercare il come si comportassero le estremità supei'iore ed inferiore dell' apparecchio gastro-intestinale. Dal ventricolo si andò per il car- dia a rintracciare l'estremità esofagea; ma questa man- cava nella cisti; e si conobbe che essa, flettendosi al- quanto al di sopra del cardia", s'intrometteva nel cor- po per entro il peduncolo sopra descritto. Sbrigliato il tubo intestinale, si vide che porzione inferiore del colon introducevasi pur esso per entro lo stesso pe- duncolo; reciso il quale si peneti'ò nella cavità ad- dominale , ove si rinvenne il diaframma , nella cui parte tendinea si vedeva aver iiìgresso la estremità eso- fagea del ventricolo, secondo l'usato. E se mancavano gli altri visceri descritti, vi si trovarono i reni, col rimanente apparecchio delle vie orinarie; e al di die- tro della vessica l'intestino retto, in che terminava la inferioi'e estremità del colon introdottovi per l'aper- tura ombelicale. E qui, ricordando il Tonelli come altri casi di trasposizioni descritti dal Beraiidi e dall' Hardy siano diversi assai da questo, aggiunge alcune riflessioni, onde cercare come avvenisse quella mo- struosa trasposizione; e se de])ba essa credersi con- genita, o formata in sequela di qualche morbosità. Il Seires, e prima di lui il Wolff, fondarono una nuo- va dottrina anatomica intorno i mosti-i, pensando che derivassero da corrispondenti alterazioni delle arterie: principio anche dal celebre Medici tenuto plausibi- lissimo, tosto che ritengasi per verosimile che la for- mazione e conservazione delle parti del corpo sia lui effetto immediato della secrezione nutritiva operata Accademia voi-sca 3() dallo arteriose estremità. Ma questo principio non ba- sta a render ragione del caso descritto. Ter le spe- rienze del Fodera l'assortimento decade nella super-- ficie di tutti i vasi arteriosi, venosi, linfatici. Fermo su questa dottrina, se le diramazioni artesiose soffro- no qualche alterazione, deve pervertirsi l'ordine delle funzioni, e quello pure dell'assorbimento. A queste premesse si aggiunga, che il fluido uscito dalla cisti^ in niun modo poteva dli-si orinario. Il Tonelli pro- pende a crederlo l'umore detto del peritoneo:, umo- re che esalando continuamente a foggia di vapore dal- la superficie libera del peritoneo, viene tosto riassor- bito nella vita ; ma dopo morte si raccoglie in un fluido, che negli uomini estinti all'improviso giunge appena a due once; e vi son casi, nei quali dopo le 24 ore giunse sino alle cinque in sei libre. Ciò po- sto , opina il N. A. , che nel caso da lui descritto, i pori inalanti della porzione anteriore del peritoneo si fossero resi inoperosi per qualche loro peculiare difetto, relativo all'enunciato principio fisiologico del Serres; che per tale neghittosità dì ufficio in assor- bire, si potesse congregare in forma fluida il vapore, non tosto né pienamente riassorbito; che la porzio- ne del pei'iloneo, resa così innormale, acquistasse poi sulficiente compattezza per resistere alia gravità del fluido congregato. Immagina che fra il secondo e ter^ zo mese di vita, divenuta più voluminosa la piccoia cisti peritoneale, abbiasi dischiuso l'adito pel forame ombelicale, favorita dal soccorso di opportuna posi- zione del feto di facilitarne ivi la prominenza, la di- scesa, e la foriuscila, secondo il tragitto delle stesse arterie e vene ombelicali. Per tal modo ampliatasi, invilo a discendere per la stessa via le parti nel sac- /^O L E T T E R A T U n A CO peritoneale coutemile; e trasse così prima gli in- testini, poi il ventricolo, in seguito gli altri visceri ad esso adiacenti. Così può agevolmente concepirsi, continua, come pervertitosi Fassorbimento dell'umor peritoneale, abbia potuto sotto l'avvenimento e gra- duata forma di ernia aver luogo la mostruosa descritta trasposizione. Che se tale spiegazione volesse esclu- dersi come ipotetica, converrebbe iinmaginare che la trasposizione in proposito fosse congenita, e coeva all' andamento del primitivo sviluppo dell'embrione. Ma come si concilia allora la raccolta del fluido nella parie inferiore della cisti? E se si volesse ricorrere ai ragionamenti di Geoffroy-saint-Hilaire che scrisse, in tutti i mostri da lui osservati aver vedute certe aderenze o briglie fra la placenta ed il corpo del fe- to, che a questo attaccate, ne mutano la conforma- zione; oltre che tal dottrina, per osservazione del pro- fessor Medici, non è abbastanza convalidata dalla spe- rlenza; sempre non può concepiisi l'evenienza dell' osservata raccolta del fluido peritoneale. IV. È lavoro del dottor Paolo De Rossi la Sto- rna di un volvolo, con espulsione di un pezzo d in- testino e mesenterio (Voi. Ili, p. 285-3oi ). Ra- rissimo è il caso qui descritto; e se tal altro simile, che se ne legge, non meritò la piena fiducia di tutti i professori dell'arte salutare; debbesi da ognuno pie- na credenza a questo, di cui havvi un testimone sen- za eccezione, che è il pezzo patologico, il quale con- servasi preparato dal prof. Giovannetti, e sul quale si fecero le più esatte osservazioni dai professori che concorsero allo strano avvenimento. Un giovinetto m età di dieci anni, gracile di costituzione, cagionevole di salute per verminazioni più volte solfcrle, la notte Accademia vor.scA ^i del 3 aprile kS?)^ fu sorpreso da violento dolore ad- dominale, corrispondente alla regione iliaca sinistra, e da vomito bilioso. Aveva emessi dei lombrici; i pol- si erano bassi e frequenti. La malattia, dichiarata per colica intestinale irritativa prodotta dai vermi, fu cu- rata con fomentazioni sull'addome, cristei emollienti ©-lassativi, purganti oleosi antiverminosi , e qualche leggero sedativo per frenar l'impeto del vomito: ma invano; perchè ai sintomi colici si associarono i flo- gistici, apparve il meteorismo, si manifestò la febbre. , Fu salassato, più volte furono applicate le sanguisu- ghe sull'addome ed ai vasi emorroidali, fu di sovente immerso in bagno tepido; ma le cose procedevano in peggio. Chiuso il ventre, coll'opera dc'cristei non si emettevano che le poche materie residuali del colon, non mai comparendo neppur gocciola del molto olio preso per bocca: permanente il vomito, le cui ma- terie dal color giallo passarono al verde, e divennero poi stercoracee: senza risultato si proseguiva la cura emoliente, lassativa, antiflogistica; i dolori continua- rono e per molti giorni. Il De Rossi si decise allora a pronunziare o l'esistenza del volvolo, oppure che un glomero indissolubile di vermi avesse impedito il pas- saggio dagli intestini tenui ai crassi. Così duraron le cose sino ai primi di maggio. Allora i dolóri comin- ciarono a diminuire, il voinito si fè meno frequente, il malato prendeva alcune ore di sonno: per secesso si emisero materie fluide , e lombrici numerosi : la febbre piìi discreta veniva con brividi : ciò che fa^ ceva temere qualche processo suppuratorio addomina- le. Il i8 maggio il malato, obbedendo allo stimolo di evacuare, sentì cadere dall' ano come una palla ; la quale, essendo conservata con le fecce, osservò il De 42 L E T T E K A T U K A Rossi con sorpresa olieera un iiivilii[)])o memlmanoso, cui lece delergeie e conservare in acqua IVetkla: e nel dì seguente si recò sul luogo insieme ai professori fisi- ci Francesco De Rossi, Domenico (iiovannetti e Fi- lippo Tacconi. Tutti riconobbero che quell'inviluppo era un pezzo dell'intestino ileo e corrispondente me- senterio, lungo parigini piedi due, cinque pollici, sp linee ; e fu questo pezzo anatomicamente preparato dal Giovannetti, che tuttoi^a lo conserva, come dissi di sopra. Dopo tale evacuazione cessò il vomito; non si videro più vermi. E chiaro dunque che in forza d' infiammazione cancrenosa si distaccò l' intestino invaginato dalla continuità del tubo: e le due estre- mità intestinali rimase libere dal pezzo distaccato , per forza d' infiammazione adesiva , e col contatto fra loro, si agglutinarono, e formarono adesione scam- bievole e continuità di tessuto. La febbre però pro- grediva lentamente, continuava l'emaciazione, e do- lori vaghi facevansi sentire di quando in quando nel basso ventre. Per circa un mese il giovinetto fu in istato di cronica pericolosa malattia, e faceva teme- re che dovesse perire di tabe intestinale. Ma a po- co a poco i sintomi diminuirono; il malato ai primi di luglio era quasi nella convalescenza ; le funzio- ni assimilatrici eransi ristabilite ; tornavan le forze muscolari; non v' era più febbre. Il De Rossi pre- scriveva alimenti fluidi incrassanti, proibiva le bevande stimolanti, e l'esercizio violento del corpo: e men- tre si cantava vittoria, il ag luglio fu il giovine as- salito da atroce dolore addominale. Disse che erasi inteso scoppiare entro il corpo; l'addome si tumefe- ce; si emisero materie fluide per la bocca e per l'a- no; sopraggiunse il sopore, e dopo 24 ore morì. Se- Accademia voi-sca 4^ zionato il cadavere alla presenza de' signori Giovan- netti e Tacconi , si trovò tutto il mesenterio con tracce di suppurazione; gli alimenti presi il giorno in- nanzi la morte erano sparsi nella cavità dell'addome, e fra questi alcuni semi di lenticchia: l'intestino ileo, a qualche distanza dal cieco, presentava una dilata- zione a guisa di sacco, e sotto di essa un conside- rabile ristringimento del diametro di cinque linee, a forma di anello : il sacco era lacerato in tre punti, dai quali sparse si erano nel cavo addominale le ma- terie alimentarie. Gi^dicossi che dove era il ristrin- giraento fosse seguito il distacco del pezzo espulso dall' ano , e la riunione delle due porzioni rimase , operata da infiammazione adesiva. Anche questo pezzo fu patologicamente preparato dal Giovanne tti, che lo conserva a testimonianza della verità. Chiaro è dun- que che la causa della morte fu la rottura delle mem- brane del tubo intestinale : la massa chimacea che giornalmente scendea sino all'anello, che faceva quasi la funzione di uno sfintere , trovando ostacolo nel passaggio, si accumulò, e distese in quel punto l'inte- stino, da formarne sacco cieco per l'otturamento del- la piccola apertura anulare. Assottigliate le membra- ne del sacco , non poterono sostenere il peso della materia, e si ruppero. L'apertura dell'intestino restò impervia: perchè le materie solide ivi discese, per la loro specifica "gravità, vi rimasero stazionarie, impedi- rono il passaggio ai fluidi soprastanti, e determina- rono la rottura. V. Del socio Luigi Ghirelli leggesi una disserta- zione intitolata II diluvio universale provato con la storia naturale (WcA. I, pag..i 19-154). Per quan- to l' erudito autore asserisca sin dal bel principio , 44 Letteratura che ninno a creder suo trailo simil snhiello per mez- zo delle stesse prove; pure mi sembra , che ([uanlo egli ebhe scritto , leggevasi già in molte opere spe- cialmente di geologia. Ed in fatti, dopo le discussio- ni intorno le diverse teorie della terra di Burnet , Woodward, Buffon ed altri, le quali benché non istret- tamente legate al suLietto, pure sono dalFaccademi- co accennate, sol per notare che ninno potè negare una sommersione generale della terra nelle acque ; in che fonda precipuamente il Ghirelli i suoi argo- menti ? Nel ritrovamento di molte materie marine e produzioni petrificate sulle più elevate parti del glo- bo. Ora qual è quel libro che difetti di tali argo- menti ? Non posso però tacere che questo scritto è ricco di molta erudizione, VI. Il già lodato prof. Francesco De-Rossi pub- plicò i Risultati di alcune esperienze agronomiche (Voi. I, pag. 97-118). Tali esperienze ebbei'o a su- bietto quella malattia del frumento che dlcesi carie. Si deve essa al fungo "palpassi to del genere degli itrerucker. Hist. crit. pliil. IT, 2. (3) Cic. De div. II, -23, 38; Censorin. 4. (4) Varrò ap. Pliilarg. ad Georg. II, 167; Fragni, ex lib. Ve- goiae ap. Rei agrar. auct. iy4- Letteratura beneficio degli uomini, e l'avean pur'eglino esercitata nell'italo terreno , sorriso mai sempre dal cielo. Le proprietà erano inviolabili e sante, perchè dai celesti guarentite e protette. Tagele stesso era maravigliosa- mente uscito al mondo da un solco ne'carapl tarqui- nii, ed avea nelle sue leggi accolti i precetti delle arti agricole (i), i quali, come gli altri suoi tutti, furono venerati siccome dettami della divinità (2). Egli na- cque, secondo pure l'etrusca credenza, col dono della divinazione (3): donde surse la scienza^/^Zg-oraie de- gli etruschi, e Variispicina, famose e potenti dottri- ne avute in tanta estimazione e credenza dal paga- nesimo fino a Giuliano (4), e accortamente inventa- te dai primi reggitori del popolo etrusco, e con solen- nità di religione coltivata a soccorso delle civili in- stituzioni (5). Pretendeasi, mediante queste, di cono- scere gli arcani del cielo, e se ne toglieva giovamen- to, lasciando stare tutt'altro (6), nel moderare le co- se della repubblica (7). (1) Cic. De divin. IT, a3, 38; Serv. I, 2. (2) Arnob. II. (3) Fest. V. Ta^es; Censor. 4; Arnob. It, p. 9"?; Cic. De dlv, loc. cit.; e cantò Ovidio nel XV delle metamorfosi al v. 558 : Indigenae dixere Tagen: qui prìinus etruscani Edocuit geiitem casus aperire futuros. (4) Ammian. Marc. XXIII, 2; Cod. theodos. lib. XVI, Ut. X, De pagan. sacrif. ciim coment. Gothofred. Dal lib. IV, 12 di Procopio, De beli .golh. apparisce che VAruspicina stette in vi- gore e credenza fino al sesto secolo dell' era nostra , presso il poco restante del paganesimo. (5) Cic. De harusp. resp. 25. (6) hiifulgurale e Varuspicina costituivano ancora la ma.'\si- TOa parte della scienza tisica di quell'età. (7) Serv. VIII, 098; Varrò, ex lib. fatalibua etruscorum apud Censorinum; Seneca, Quaest. nal. II, 4*^1 4^- Popoli Etruschi 7 5 L'Italia, considerata nella siluazion sua cosmo- grafica e nella naturai feracità de'suoi terreni, rispon- deva, come risponderà mai sempre, alle speranze e alla mano coltivatrice dell'uomo. L'Italia, considerata nella posizion sua geografica fiancheggiata da due mari , apriva, come aprirà mai sempre, la via al commer- cio coll'estere nazioni. Ecco due inesauste sorgenti, da cui derivò pure la floridezza dell'Etruria; e furon di fatto i suoi popoli agricoltori e commeì'ci cinti. I popoli agricoli sono contemporaneamente po- poli atti alla guerra. Le fatiche e la frugalità della vita campestre preparano 1' uomo e lo accostumano alle penurie e agli stenti dello hallagUe : dond'è che tutte le nazioni lian sempre derivati I più validi e strenui guerrieri da siilatto genere d'uomini, princi- palmente quando la salvezza della patria gli ha tratti sui campi di guerra. Essi , considerata la condizion loro, sono più di cuore uniti al patrio terreno, e sen- ton più vivamente d'ogn' altro la carità del suolo natio. Ciascun'uomo etrusco atto alle armi era milita- re. Sia che la difesa della patria, sia che l'incremento della medesima lo chiamasse alle battaglie, sentiva nel- l'animo voglioso la necessità di ubbidire: di più gliel prescrivea la religione, la quale, poiché indicevasi la guerra, voìea dalle milizie il giuramento delV unione e dello scontrare piuttosto la moi'te che Vanta del- la sconfìtta (i). Non è quindi maraviglia se gli etruschi furono grandi maestri di guerra; inventori di novella manie- ra di schierarsi , di combattere , di nuova specie di (i) Lir. IV, -ìf). 76 I. E T T E R A T U n A armi, ili divise, di belliclie troinlie atte ad accondor gli animi alla pugna , e finalmente di novelle fogge di corone e di nuovi modi di trionfo pei vincitori (i). Le città loro, almeno le principali, eran munite di torri e di mura fortissime composte a sterminati massi che, dopo tanti secoli, sono ancora maraviglia a vedersi; fondate in maniera e luoghi, che ne' casi di guerre doveano altamente tutelare la sicurezza delle città e degli assediati, a cui eran di propugnacolo (2). Lo spirito guerriero, che rendeva gli etruschi pi'o- di per terra, li ficea pur anche potenti per mare: e si che furono altamente in estimazione presso le fa- mose nazioni de'lor tempi, che li risguardarono come audaci signori de'mari (3), Essi per verità fra ì po- poli italici furono i primi che attesero all'arte nau- tica con solerzia e utilità, e ne furono maestri a va- ri popoli stranieri e principalmente ai pelasghi, come ne insegna lo storico d'Alicarnasso (4). Correndo il mediterraneo ferraaronsi in Corsica, e la dominarono, collegati coi cartaginesi loro emuli nella navigazione. Occuparono la Sardegna, e vi fondarono città; e così resero ambedue queste isole a se medesimi tributarie; come tributarie parimenti a se stessi fecero 1' isola (i) Vedi la stupenda opera citala del Micali, piecisamente al I cap. Vili del toin. II; e vedi pure Herder, Idées sur la pliiloso- I phie de l' list, de l'human. T. Ili, chap. I. Trad. par Quiriet. (a) Molli e dotlissiini scrittori hanno diffusamenle parl;ito deirarchilellura militare degli ctrusclii. Gli avanzi delle mura di yolterrn, di Cortona, d! Rnsselle, di Fiesole, di Cassa e di Populonia, per tacer d'altri, ce ne porgon sott'occhio la grandio- sa idea. (3) Diodor. V, i3, 4o; Strab. V; Liv. I, 7; Dionys, III, 4G. (4) Dionys. I, 25. Popoli Etruschi 77 dell'Elba, non che tutte l'altre isolette situate nel mar toscano tra il Tirreno, la Corsica e la Sardegna. E tentarono per fino di spingere una colonia ad un'in- cognita isola del mare Atlante , che sì opina essere una delle isole Canarie (i). Essi furono gl'inventori dell'accora a bidente^ )ion che dello sprone acuto aggiunto ai navigli da guerra; strumento che fu cagione di tante vittorie a chi nell'usarlo fu prode e sagace, e che recò utili ri- forme alla nautica guerresca (2). Passerò qui sotto si- lenzio le immense flottiglie che gli etruschi gittarono in mare, e per se medesimi e per soccorso d'altri: e tacerò pure le innumerevoli vittorie navali riportate, e dirò pure le sconfitte gloriosamente sofferte (3). Le marittime conquiste di una nazione portano per necessaria conseguenza il commercio e coi popoli conquistati e con altre nazioni straniere. L'amore al commercio era grande e straordinario negli etruschi; e non saprebbesi bene come rispondere al quesito, se quest'amore produsse quello delle conquiste o vi- ceversa. Cose poi stupende e maravigliose opraron essi per terra, a fine di francheggiarsi coli' industria fra i popoli soggiogati, e i liberi vicini. Diseccarono im- mense paludi, diedero il corso a canali navigabili e (i) Gosselin, Rech. sur la geograf, sjslem. de» anc. toro. Ij Micali, Op. cit. tom. II, cap. XX. (2) Pliii. VII, 56. (5) Livio ci narra (senza parlar qui d'altri autori e d'altre circostanze ) che al tempo della seconda guerra punica , quando Scipione si avvisò di passare in AiflVica , concorsero con grandi -liuti gli etruschi, XXVIII, 5. tB Letteratura diressero ampie e lunghe vie, con due grandi utili- tà ad un tempo; cioè col migliorare il clima italico, togliendo di mezzo le cagioni di pestiferi miasmi; e coir aprire il giro ai traffici e alle mercature tra i popoli e vicini e disgiunti. La Corsica e la Sardegna, osserva a questo pro- posito il Micali (i), porsero agli etrusclii una stazione media opportunissima alle frequenti loro navigazioni tanto per la Spagna quanto pel lido affricano e per l'Egitto. Erano oggetti di asportazione per parte degli etru- schi le biade ch'essi raccoglievano a dovizia, e le di- verse specie di legname, sia per la costruzione delle navi, sia per altra maniera di lavori (2): \\ ferro di che li forniva largamente colle molto sue cave so- pra tutto l'isola dell'Elba (3), non che il rame che ritraevano dalle miniere di Volterra e del sanese. La pecCy il miele e la cera, che largiva ad essi la Corsica, eran pur cose di traffico e donde traevano vantaggio. Ma sopr' ogni altro oggetto mercavano gli etruschi di lavori di bronzo e di altri metalli i piìi preziosi, a diverse maniere foggiati, e per lo più con- sistenti in idoletti, in vasi di svariate forme, non che in an-edi e in suppellettili domestiche, ed in arnesi spettanti principalmente al lusso muliebre. Le quali cose tutte a gran costo alienavano ai popoli con essi commercianti e di siffatti lavorii e manifatture quanta inesperti, altrettanto bramosi. (i) Op. cit. t. II, cap. 28. (2) Thucyd. VI, 90; Strab. V, p. i54; Plin. XVI, 10 ci alii. (3) Slrab. Vj p. i55; Vano apud S«iv. X, 174- Popoli Etruschi 79 E per verità erano gli etruschi nell'arti di queste cose eccellenti sovr'ogni altro popolo contemporaneo. Maraviglioso poi erano nell' arte che chiamasi for- mare di terra', e sopra tutto nella specie del vasel- lame che ogni di viea'emesso alla luce dall' etrusco terreno, e dì che si abbellano e arricchiscono i no- strali musei e gli stranieri. L'arte di siffatte stoviglie, checche altri ne pen- si , è propriamente di origine etrusca ; e fu di qua che più tardi la trassero i greci, e n'ebbero pur' essi rinomanza. Era grande l'uso che di queste figuline si faceva in Italia; e per la pompa de'sacrifici e de' funerali, per le sacre lustrazioni e libazioni, pel vi- vere domestico, e per la solennità de'ludi religiosi e civili (i). L'uso per altro distinto, e quasi direi pri- mario che se ne faceva , era di ornarne i sepolcri. Quivi si riponevano i vasi che avean servito pe'fu- I nebri conviti dell'estinto, o per le aspersioni de'li- quori sul cadavere o sul rogo: quelli di che l'estinto medesimo era stato premiato nelle atletiche prove, 0 donalo in vita dall'amore o dall'amicizia; e quelli pure che gli eran prediletii negli usi del viver fa- miliare: a cui si aggiungevan gli altri, de'quali spon- taneamente, com'era costumanza, gli venia fatta of- ferta nelle funerarie querimonie dai parenti e dagli amici. Ebbe quest'arte mirabile le sue diverse età , le quali, a mio parere, sì potrebbero distinguere nel mo- do ch'io son per dire: cioè, dai primi secoli dell'era (i) I vincitori de'cerluiiii atletici venivan premiali di uno o più vasi. Dislinguonsi questi prineipaJinente per la epigrafe cUe purUuo ; rù'j A3r)y/)r5> ixOà'jv, e sono addimandali panaleiiaici. So Letteratura elrusca, e precipuamente dall' introduzione in Italia del culto di Bacco, principal divinità degli etruschi. Tino all'iniziarsi del primo secolo di Roma. E a que- sta età si richiamano que'vasi di terra che voglionsi da alcuni indurati al sole, e da altiù cotti con ma- gistero che or non si conosce: i quali serbano una lucentezza e un colore traente al plumbeo, e su cui veggonsi disegnate, a stampa di bassissimo rilievo, sim- boliche rappresentanze, relative alla così della. Dottrina deW Èrebo., ossia alle cose e ai misteri della vita av- venire, a cui Bacco col nome etrusco di Manta pre- siedeva. All'immediata età posteriore, cioè a dire nel volgersi del primo secolo di Roma, e da questo al se- condo, si riferiscono que'vasi di terra cotta dipinti in color rossi gno, su' quali veggonsi effigiate in pittura mostruose forme e varie specie di animali, e che im- propriamente, come osserva il Micali, vengon da alcuni chiamati i^asi egizi. All'età successiva, cioè al terzo e quarto secolo di Roma, e specialmente a quest'ul- timo, in cui l'arte fece stupendi progressi, possono riferirsi gli altri vasi tutti (ne' quali però scorgesi il continuo avanzarsi dell'arte dal mediocre al meglio) di eleganti fogge e di pitture ammirabili, rappresen- tanti storie eroiche e religiose di ellenica dotti'ina. Durò poscia l'uso de'vasi fittili, particolarmente nelle pompe funerali, fino a tutto il sesto secolo di Roma; e col cessarne quest'uso principale (e ciò av- venne singolarmente quando fu vietato il culto de' baccanali (i), e quando sì costumò di abbruciare i (i) I baccanali, per edillo del senato romano, stante le tur- feiie Je più nelatide , di che inlendcvaii nii^craiiicnlc e sacrile- PopoM IvrraiscHT 8i oatlaveri) ne deeadde l'arte, e fu quìudi in poco tem- po obliata del tutto (i). garaente far saggio di religione, e con che sempre più venivano depravati i cosluini, furono aboliti uell' anno 568 ab. U. C. Il culto di Bacco in Etruria era da prima, qual si fu nella sua ori- gine altrove, salutevole all'ordine dell'umana vita; perocché niuna laidezza vi si mesceva, ed era tutto vòlto a persuader l'uomo al vivere onesto per ben meritare della divinità nella vita futura, Eusebio e s. Clemente, il primo in Praeparat. E^>ang. ì. i3; e l'al- tro '\a Admonil.ad geìit , ci fan leggere in greco il discorso che il gerofante, ossia il primo de'personaggi mistici del culto di Bacco, invocando Menes o Museo {c\\e tale pur vuoisi da molti denomi- nato Bacco medesimo) indirizzava nelle misteriose istruzioni a chi rascoltava. Eccolo qu'i tradotto; '* Io mi rivolgo a coloro che „ hanno dritto di ascoltarmi. Chiudete le porte a tutti i profani. jj, "YaifO Menes Museo,asco\tnie le mie parole!- A voi tutti ho da „ dire importanti verità. Ponete mente che le vostre colpe, i vo- „ stri affetti passati non vi faccian perdere la vita felice che de- ,, siderate. Rivolgete i vostri pensieri verso la natura divina , e „ fissatevi in lei, onde regolare il vostro cuore ed il principio de' „ vostri sentimenti. Se volete incamminarvi per la sicura strada, ,, pensate sempre che i vostri passi sono osservati dall' unico rt^ „ del mondo. Egli è il solo essere che sia per sé stesso. Tutti gli „ altri debbono a lui ciò che sono. Egli penetra tutto. Noi vede „ mortale alcuno, e ninno può sottrarsi a'suoi sguardi. „ Livio racconta al lib. XXXIX, che i misteri di Bacco in Ita- lia presero a degenerarsi per opera di un sacerdote greco, e di una sacerdotessa capuana {Pacala Minia ) die v'introdussero li- bidini e maniere licenziose. Nella piincipal hiblioteca di Vienna esìste un' antica tavola di bronzo, sulla quale è inciso il decreto della soppressione de' baccanali. Per questo decreto ce,ssarono le orgie secrete e i tripudi notturni: rimase però il culto di Bacco ne' tempii. La maggior parte de' bassirilievi antichi, rappresentanti le bacchiche costu- manze, sono posterioi-i all'epoca dell'abolizione delle medesime. Da ciò si argomenta, che, quantunque fossero queste abolite , nnlladimeno per la re]igit)ne , che ne vigeva ancora, stavan fisse e forse desiderate nelle menti della corrotta nazione. (i) H eh. sig. Secondiano Campanari, nella sua dotta disser- G.A.T.LXXXni. G Ba Letteratura La plastica in genere, e più parlifolarinenle la scultura statuaria, la agli etrusclii prediletta e vlcsci- ronvi a maraviglia. Roma, finché Claudio Marcello non vi fece trasportare lavori de' greci (lo che fu do- po la presa di Siracusa), era ridondante di opere elru- tazione intorno ai vasi fittili dipinti, rinvenuti nei sepolcri dell' Etraria del dominio pontificio, tien parola dei vasi di terra nera, e lamenta perchè dagli archeologi si sieno troppo trascurati, sic- ché non se ne abbia fatto quel proposilo che si dovea. Esso bre- vemente discorre i pregi di questi vasi, e favella pure deg'i al- tri di co!or rossigno, e chiama questi e quelli veramente nazio- nali etruschi; a differenza degli altri denominati vasi greci , ed a'quali nella presente nostra dissertazione abbiamo assegnata la terza età. Ed è qui da motivare come vogliasi da molli, che i vasi di quest'ultima specie sien venuti sempre dalla Grecia in Italia. Il Campanari, ammettendo la venula in Etruria del corintio Oema- rato noto fa!)briciilor di figuline, mentre fuggiva la tirannide di Cipselo, vuole piuttosto che colui e i suoi compagni formasse- ro in Etruria medesima una scuola particolare di siffatte slovi' glie, e che fosse questa composta, e in allora e nel tratto di tem- po successivo, di greci soltanto e non di nazionali. ìi\ quanto a me escluderci pure quest'opinione, e non limi- terei a'soli greci ([uest'arte in Etruria. E perchè mai gli etni- schi, non certamente muli al bello delle arti , ma tanto eccel- lenti in tutte quante, avrebbero dovuto trascurar quella che tan- ta parte avca in una delle più sacre costumanze loro, cioè in quella aeriti funerariiì Dicesia ricontro ch'essi non amarono, in quanto a loro, di perfezionarsi in quest'arte, perchè vollero in essa mantenere la primitiva semplieilù delle sepolcrali cose. Ma a quale scopo questa semplicità, se poi riempivano i sepolcri di vasi greci, e ben di rado ne aggiungevano pochi degli altri in- feriori detti nazionali ? Potrassi mai supporre che gli etruschi si avvisassero di soddisfare al sentimento loro di religione verso l'antica semplicità, coll'essere stazionari, e non emulare la Gre- cia in un'arte, che si può dire nata fra loro, quando poi nell'uso di quanto rilraevasi della medesima, ei'au essi pieni di fasto e lusso tiiodcrno ? Popoli Etruschi 03 scile e specialmente Ji statue, più che di marmo però, (li cretti^ d'i legno e di bronzo. E noto che nella sola Bolsena, allorché fa espugnata, si rinvennero un ben due mila statue, fra le quali una colossale di pie- di cinquanta d'altezza (i). Nel gittare poi special- mente di bronzo crebbero eglino a tanta eccellenza, che n'ebbero fama d'inventori e di maestri (2). La pittura fu arte a loro carissima al pari della scultura: e le svariate figure che veggonsi nelle pa- reti degl'ipogei di Tarquinia e di Chiusi, e soprattutto quelle de'vasi dipinti, ci dan saggi mirabili di ogni maniera degni di lode (3). Per queste ragioni ed altre ancora che tralascio . e facili a concepirsi da ciascuno, rispettando sempre il parere degli altri , opino, elle , ammessa la scuola di Demarato in Tarquinia e prci- pagatasi nelle vicine città, alla medesima intendessero anche i nazionali, e si facessero valenti pur'essi nelle manifatture al pari de'greci. Opino ancora che contemporaneamente ch'eglino ope- ravano di siffatti vasi, ne lavorassero ancora della specie de' pri- mitivi, sia che lo facessero, o per venerazione al modo naziona- le antico, o per recar varietà nell' uso che ne facevano; o sia pur'anche perchè fossero questi di minor dispendio e si lavo- rassero dagli stessi artefici, o da altri per le persone meno facol- tose. 11 non vedersi poi ne'vasi cosi detti greci che sole epigrafi di carattere e lingua greca, questo può provare Vellenismo in- valso in Etruria, e che fu cagione in gran parte delia sua ruina, come vedesi nel progresso di questo discorso: o si veramente può far supporre che gli stessi etruschi, riguardando tali stoviglie di gusto assoluta/nenie greco, volessero munirle talvolta d'iscrizio- ni greche, anche per acquistar pregio a quelle , essendo la na- zione divenuta vaga di cose elleniche e schiva delle nazionali, (1) Plin. XXXIV, 7. (3) Cassiod. Var. VII, i5. (3) Vedi principalripiente Keslner, Intorno le pitture antiche di Tarquinia scoperte nel 1827. Annali dell'islit. aroh. ili Uonia I, pag. loi e seg. &^ Letteratura « Né già qui ricorderò le arti tutte degli etrnsclii, donde venne ad essi tanta gloria. Tacerò AeìVarchì- tettura militare e civile; tacerò dell'or r/me architet- tonico chiamato appunto toscano perchè nato fra lo- ro : e tacerò pure della poesia e della musica e di quant' altre alle accennate fin qui sì attengono per analogia, e che, a schiera con alcune scienze, forma- rono il bello intellettuale di quella nazione (i). Questa Roma, grande mai sempre e maravigliosa, serba etruschi monumenti d'ogni maniera da render pago ciascun desiderio che se n'abbia. Il museo gre- goriano specialmente contiene mirabili cose, e sì che è dato da esse il comprendere dell'Etruria la sapien- za e la varia fortuna (2). Le arti belle sono il linguaggio de'popoli che le professano. Quivi adunque , nell'etrusco gregoriano museo, vediamo i progressi della civiltà nel progresso delle arti medesime; vediamo la raeschianza del ge- nio straniei'o coll'indìgeno, e ne deduciamo comuni- cazioni e commercio vicendevoli di popolazioni; ve- diamo miti e rappresentanze di costumi sacri e pro- (i) Dagli elruschi trassero i romani i giuochi tutti del circo, cioè (le'pugili, de'cavalH, delle quadrighe, degli atleti, de' gla- diatori ec-, e trassero pure l'arte mimica e la teatrale. Solevano gli etruschi celebrare i loro giuochi e spettacoli pubblici con so- lenni pompe, ed erano sempre a decoro della religione e quasi atti di culto esterno ( Tertul. De spect. 5). (2) Il museo gregoriano etrusco fu descritto dal eh. sig. cav. Pietro Ercole Visconti con due accurati ed eleganti articoli nel- Y Album romano, ì quali vennero i-iprodotti da vari giornali ita- liani, e quindi ristampati in Roma in separato volumetto. E il eh. p. Gio. Battista Hosani, preposito generale delle scuole pie , lolite lo stesso argomento a soggetto di un suo robusto carme la- tino che ha meritato (in qui due edizioni. Popoli Etruschi 85 farli, e ne argomentiamo la religione o stabile o va- ria, e le diverse instituzionl e civili e religiose. E qui ognun vede quanto mare mi si aprirebbe ora da correre; vse non che il breve tempo prescritto al mio cammino mi fa torcer la vela per più solle- citamente afferrare il lido. Ma quant'ora per neces- sità tralascio nel mio subbietto, ho fidanza di aver compiutamente svolto in altro lavoro,' a por termine al quale prego a me stesso da benigna fortuna ozio tranquillo (i). Ma chi da tant'altezza precipitava e prostrava questa nazione, sì che perfino le memorie quasi del tutto ne fosser distrutte? e quali si furono le cagio- ni di tanta mina? Ecco un quesito che si affaccia al filosofo poiché ha letto quanto dell'Etruria ci rimane di storia, e poiché ha della medesima esaminati e am- mirati i superstiti monumenti. Un profondo pensatore italiano, favellando della decadenza de'popoli, asserisce, che quelle cagioni le quali originarono l'ingrandimento di una nazione, rac- chiudono mai sempre i semi de'travagliosi cambiamenti che producono poscia il decadimento della medesima. Alcuni di questi semi sono o possono essere comuni presso che a tutte le nazioni; altri poi più partico- lari di qualcuna. E allorché questi, e per natura lo- ro, o del grembo a cui s'allignano, vengano in azio- /i) // Im'oro, che qui si accenna dalV ^ , è una Istoria ge- nerale deirEtruna ; opera già presso al fine , e che procurerà senza dubbio all' autore medesimo un luogo fra coloro che han- no speso le cure in dichiarare le gesCe di quelT antica nazione, recandole con mol(o sapere a luce fin Quod parvo educlum spalvo, mirabile visu^ Excoluit cunctis ars tua deliciis; Namque hic non desunf flores, non unda^ nec antrtim; HIc iituli, hic aevo diruta tempia iacent; Gralulor hoc tantum, doluJ quantum antea, amato Quura timui trepidans quid graviu» capiti. Veruni est, quod tota acciprmus quae gaudia menta Crudeli heu f nimium lurbet amaritie. Fama refert, cerio ut fìrraes vestigia gressUj Lente incedenfera nitier in bacnlo. At tibi quid baculo est opus^ o venerande raagisttr ? Eia, istum dexlra proiicias bacutum. Me, me, adsum; precor, in me, agcsis, incumbe, 3enectae Haec aetas fulcrumi debuit esse tuae. 120 Varietà' Ipse tuo adfìzus lateri, quocumque lubebit Ire, sacrum numquam defugiam officìum. Ergo meo haud dubites te suffulcire lacerto: Sic, sic, crede, viam tutius ingrederis. Ne propella; ipse, viden, praeeo libi passibus aequis, Optato ÌDtentus dum fruor alloquio. Quid memoro ah! demens ? animi quo me abripil aestus? Ut finxisse sibi somala doctus amor! Tertia iam fruges arvis demessuit aestas. Et iam quarta parat bruma gelu atque nives, Ex quo me iasigais studiorum laude Geneva Detinet, heu! patriis quam procal a laribus. Mens tatiien, alpino dicurreus vertice, Rheai Sistit me saepe ad flumina felsinei ; Et te praesentem statuit mihi saeplus .• o tunc Quam facile falsis ludor imaginibus! Sed quando me istinc arcet vis aspera fati, Nec datur incessu te rcgere in dubio; Arte laboratum quem nunc tibi mitto bacillum. Nostri, habeas, oro, pignus ut obsequii. Fors erit, ut dicas mutans vestigia : Amicus Hunc absens misit, qui memor usque mei. Geaevae. Ipsls idib. aov> ana. mocccxxxviiiL M. Fkkruccios. Cenno storico del moto e saccheggiamento di Lago nel 1796, scritto da Gianfrancesco Ramhelli. Edizione seconda. Bolo- gna iSSg, tipografia di Gio. Bartolotti in 8. di pag. a3. ,, \Ji ontro artiglierie e battaglioni ordinati , vana e stolta è la i> po«sa di moltitudine indisciplinata e inesperta. „ Con quetta \ Varietà' 121 sentenza chiudesi questo brano di storia, li quale è scritta in bello stile italiano e sul lare del Botta, istorìco famoso del no- stro tempo. Questa edizione è dedicata a Luigi Fornaciari luccbese, av- vocato regio, uomo delle italiche e greche lettere benemerito. Fa maraviglia come una piccola terra di Romagna , oggi città di Lugo, si argomentasse nel 1796 far fronte al guerriero , che a lutto il mondo fé' paura, ed alla nazione degna di tal ca- pitano. Forti del loro ardimento, mandarono i lughesi al magi- strato di Bagnacavallo chiedendo alleanza e danari : riebbero in risposta belle parole e non altro. Il giorno appresso l'oste fran- cese fu alle porte di Lugo: e poco mancò che questa terra oggi gloriosa non si rimanesse allora , per infrazione del diritto delle genti, cenere e faville; ma il cuore di un cardinale Chiaramonti, che poi fu Pio VII, ed era allora vescovo d'Imola (nella cui di- zione sta Lugo ) , impetrò perdono a tanta ingiuria. Lo stesso porporato ricoveravasi , come a porto sicuro la quella tempe- sta, in Bagnacavallo presso Don Moni, che fu poi prelato dome- stico di Sua Santità, ed in casa il medesimo trovò asilo e conforto. Non vogliamo lasciare questa occasione di lagrimare le sorti del bel paese, ed encomiare la costanza del sommo pontefice Pio "VII, onore della Romagna ove nacque; e di Roma, ove parve la sua grandezza sul maggior soglio dell' universo. L' oltrapotente violenza di un italiano, che imperava in Francia, lo tolse, anzi strappò dal suo seggio ; ma per sentiero di pace egli tornava a trionfare. Di che sia gloria all'Altissimo , che ha scritto in cifre non cancellabili, che le porle d' averne non potranno prevalere giammai. D. V. »j>X» I 123 Varietà' I. Imperatori et regi Ferdinando I ad coronam ferream tusci- jjiendam augusto conspeclu Mediolanum illustranti, gratula' tio Antoni i Mazzetti a penitioribus eiusdent consiliis et XXI f^ virum iudiciis cognascendis per Longobardiam praesidis» Me di alani i838. a. Tributo di dolora offerto al eonte Giovanni Marchetti nella morte del sua primogenita Ferdinanda ^ Bologna iSSg. V^uesto primo libretto ta l' inlitolazione .• ,, Imperatori et regi Ferdinando I ad coronam ferream suscìpiendam augusto conspe- ctu Mediolanum illustranti gratulatio Antonii Mazzetti a penitio- ribus eiusdera consiliis et XXIV virum iudiciis cognoscendis per Longobardiam praesidis. ,, È un carme latino .... Ma già a tale annunzio faranno un ghigno gli antllatinanti? Qui però non lo coniportisimo: no. Perchè quel carme non è dettato nel comune latino dei rcttoricuzzi, accozzato di musaico, impastalo' in un ba- stardume di voci e di modi dei buoni, dei mezzani^ e dei pessi- mi scrittori. II latino del Ma2;zetti ti ristora Io spiritoy e ti fa sentire la vita clie agitava i romani^ quando Virgilio Java fiato all'epica tromba. Tanto quel carme incede con fina e naturale ele- ganza , e con quella maestà degna del lingitagglo del popolo dominatore dell' universo ! Tanto è il candore , la dolceziza , e la luce delle immagini e dei concetti, clic li pone nella mente il desiderio di rileggere più fiate da capo a fondo il libretto! Né per taluni verrà querela al Mazz;ettiy perchè invece di voltare l'ingegno allo studio del volgare idioma, lo fermi tutto in quell' antico e morto dei latini. Imperciocché qual linguaggio è più degno di essere teneramente conservato, che quello del Lazio dagl'italiani? Dagl'italiani, che per leggitlima successione lo ere- ditarono insieme alle sue virtù, e che soli hanno eccelsa facoltà di renderlo diuturno, e cosi tener vivi due classici idiomi nella loro penisola ? E volgendoci ora ad accennare il secondo libretto, diciamo che questo abbraccia tali scritture e di tali autori, che oggi sono bella gloria d'Italia. Il suo titolo è — Tributo di dolore offerto al conte Giovanni Marchetti nella morte del suo primogenito Varietà' laS Federico. — La prosa, die primamente, a guisa d'introduzione, si offre al leggitore è di Rinaldo Baielti, tutta sceltissimi con- cetti e modi italiani, e piena d'un dolce malinconico affetto: vir- tù tanto rara a trovare nella più parte dello moderne artificia- le scritture. Lidi segue tosto una lettera del più insigne scrittore dei moderni italiani, Pietro Giordani. Il suo nome è un elogio; e chi ne ha gustate le prose può argomentare quanta sapienza dì scrivere ingemmi questa picciola lettera. Alla quale, per ordine, succedono gli sciolti di Dionigi Stfocchi, a cui il gelo della età canuta non agghiaccia il caldo della fantasiaj e non istempera il magistero solenne del suo verseggiare. Poi viene una lettera di M.AngelellI ornata della consueta eleganza della sua peìlna tutta italiana; una elegia latina di Cesare Montalti, una lettera di Mi- chele Medici, gli sciolti di Agostino Gagnoli, un sonetto del mar- chese Antonio Cavalli^ due elegie di dou Gaetano canonico Gol- fieri, e finalmente un sonetto del conte Torricelli. Chi si conosce di lettere, avrà udito suonare illustri questi uomi; ì quali sono degni di starsi in nobile schiera congregati in questa raccolta, e possono essere efficaci confortatori al valentissimo e dolcissimo genitore del defunto garzonelto. Che fu veramente fra la sven- tura di morte fortunato , d'avere si eletti scrittori a laudanti di quelle sue virtù che grandi frutti promettevano, ma che dalla morte furono disVelte in sul primo germoglio. Oh il giovinetto si conforti ilei suo riposo del sepolcro! Perchè la memoria di quel- le, anziché essere col suo corpo rinchiusa, sarà ai posteri racco- mandata, e durerà quanto i nomi di coloro che la celebrarono. Fra i quali ci piace di annoverare il ch.raonsig. C. E. Muz- zarelli. Un sonetto da lui dettato in morte di Federico Marchet- ti, non fu potuto inserire in quella raccolta stampata in Bolo- gna: e pure n'era degnissimo! Onde noi ci rechiamo a debito di riportarlo in questo nostro articolo. Il sonetto è indirizzato al celeb. poeta Gio. Marchetti, addoloratissimo genitore di Federico. 124 Varietà' Fra poco riverrò sul piccìol Rend, E da'tUoi campi rivedrò quel monte Dove il tempio famoso erge la fronte Sacro a lei, che l'Eterno ebbe nel seno- £ vagheggiando un del sempre seieno, Le fiorite convalli, il bosco, il fonte, Ecciterò tue rime elette e pronte. Che il poter d'allegrarmi un giorno avieno. Ma perchè verso il suol chini lo sguardo, E una pietosa lagrima le gote Ti bagna, e gemi in duol profondo assorto? £ tu : La rea, che tutto urta e percuote. Vibrò inatteso l'infallibil dardo, £ la mia speme, il caro figlio, è morto l A. S. A. argomenti alla istoria di Francesca da Rimini esposta in versi italiani da Francesco Caponi lughese. Ai chiaì'issinto sig. professóre DOMENICO VACCOLINI BÀSNiCAVlLLESK xXvvi fra' miei attici chi desiderato avrebbe di leggere in fron- te ad ogni canto della mia Francesca da Rimini, pubblicata non ha guari in Orvieto, l'argomento relativo: tornando questo at maggior diletto de'leggitori, i quali sono bramosi di conoscere partitanHente ciò che hanno a leggere, e facendo rilevare in pan tempo a colpo d'occhio il tessuto del lavoro ; al che non aveva Varietà' laS io pensato dapprima. Mi piact^ue tale lor desiderio, e mi studiai tosto di appagarlo il meglio che seppi nelle cinque ottave, che staqao qui appiedi, e che io ho voluto priora che ad ogni altro presentare a lei, che con tanto amore e tanta bontà accolse quel mio piccolo poema, incuorandomi ad altre simili onorate fatichej al che per certo mi torrebbe l'invidia e la nialignilà degli uomi- ni, se alcuni gentili spiriti nop mi avvalorassero a non temerne )a guerra. Accolga ella quindi benignamente la tenue offerta p^e viene dal cuore dell'affezionatissimo suo DI L^go il i6 marzo iBio. FnANCEsco Capoz^I. CANTO PRIMO Argamenta Di Guido Polentan Francesca nasce Bella così, ch'ogn'uom di se innamora: 3'accende ella di Paolo, e crude ambascQ Amor le arreca, e sua beltà disfiora. Di pianto e di sospir solo si pasce, Però che di sue nozze è giunta l'or^ Col fratello di lui, che via la mena Al loco, ove maggior divieo sua pena. CANTO SECONDO \n Jlimini il connubio ai festeggia Di Giovanni e Francesca in vari modi. Di suoni e canti l'aura intorno echeggia Così che l'armonia da luuge n'odi. 3'apre quindi un torneo, nel qual guerreggi^ XJnitQ il fior degl'italiani prodi : Nel fiero ludo è Paolo vincitore, fi da Frapcesca ha premio il suo yaloro* ia5 Varietà' CANTO TERZO Fra spasimi d'amor langue la bella Donna, mirando ognora il garzoa vago. Che già per lei tutt'arde, e la favella Scioglier vorrebbe a far suo desir pago. La segue ei nel giardin non visto, ov'ella Sola in pianto distcropra il cor, presago Del ver temuto; ivi le parla; e poi Disperato abbandona i lari suoi. CANTO QUARTO In cerca de la morte ogni terreno Scorre di Francia quel deluso amante ; Orgoglioso guerrier fa venir meno Di selva pauiosa infra le piante. Giunge la notte; ed ei spossato appieno A un antico Castel si vede innante; Laddove apprende istoria di dolore, Funesto augurio al suo fatale amore. CANTO QUINTO Al ritorno di Paolo invan s'oppone La Francia, la Navarra e la Castiglla : Desio di patria è a lui si forte sprone. Che vinto l'ha. Di nuovo ei si periglia Con Francesca in amor; voce ne suon? Al marito lontano, il rjual s'appiglia All'orrendo piacer de la vendetta; E piagne poi la sua sposa diletta^ Ì¥^S^ \ IMPRIMATUR i^'^ètt^^Wr. Dom. Buttaoui O. P. S. P. A. Mag. ' " 4rt^ '. .^V IMPRIMATUR A Piatti Patriarcha Antiocb. Vicesgerens. Osservazioni Meteorologiche ){ Collegio Romano )( Aprile 1840. Ore \i mal. £i- iet. mal. SÌ- ser, mal. S'- ser. mei. ser. mal. é'- ser. mal. »cr. mal. 10 » " 9 4 27 7 1 » 6 2 »i 6 0 27 6 7 1» 7 2 i> B I 27 8 6 r 9 3 » 10 2 27 10 5 » 10 3 " 1 •< ?7 10 5 j» ij 0 )) 11 3 27 10 9 Term. esterno 5 9 9 Termometro max. iTiin. •9 Ore Baromet. mal. a8P 0 0 "6 gì- »j 0 4 ser. » 0 9 mal. »i 1 5 si- >> 1 9 ser. >» >> »» mal. »» 1 7 gi- >» 1 0 ter. „ )» »' mal. „ 0 0 si- 27 10 6 ser. »» »> 9 3 mal. a gi- „ M „ )er. H 10 11 a ììiat. 3 ser. 28 :> 0 9 9 muL. „ 3 0 S'- „ a 4 27 29 . Termometro max. min 16^ 1^ o 18 2 '9 7 »7 7 17 o 6° 3 54 6 8 7 9 5 3 5 8 6 5 Vento «4 ^7 ; N m NNO d )> " NNE f NNOm SSE d 3 6 3 6 4 4 Stalo del Cielo nebbioso nuT. sp. sereno sereno coperto nuvoloso sereno nuv. sp. ser. nebbioso coperto nuvoloso n\iv. sp. ser. coperto nuvoloso nu. sp. sereno chiarissimo nuvoloso cliia^issimo sereno chiarissimo chiarissimo niiT. sparse seren,o Sereno chiiarissimo INDICE DELLE MATERIE contenute uef ojot. %4-'j. SCIENZE Ippocrate, Opere tradotte dal Levi. pag. 3 Valeatinij Jnstitutiones mediciuae practi- cae. \oI. VII „ 7 Linoli, Osservazioni anatomiche patologi- che » "4 LETTERATURA Atti dell'accademia volsca velilerna . „ 26 Emiliani^'kRiflessioni storico-politiche sui popoli etruschi ........ 63 BELLE ARTI Rapporto del R. instituto di Francia sull' istoria della pittura del prof Giovan- ni Rosini >»' 94 Varietà. Tavole meteorologiche. <&-••«• w it^ i a GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1840. 4-4-« 55S W(^.^^ W "1^ 1 K<& FA r del violaceo, ed è privo dalla banda opposta dell'a- zione dovuta a tutto il celeste ^ ed al terzo dell'in- daco. Lo spettro comprende quindi, soltanto, il terzo inferiore del violaceo, ed i due terzi superiori dell* indaco; e la tinta più vigorosa si manifesta nel mez- zo, circa, della sua lunghezza totale , e quindi alla parte superiore dell'indaco. Quali sono ora i limiti estremi dell'immagine o spettro chimico ? E chiaro che per isciogliere il quesito convenga ope- rare in modo contrario a quello, con cui si è deter- minata la posizione del massimo; vale a dire, che si dovrà prolungare il tempo, ossei'vare gli accrescimenti di lungliezzaj e fermai'si quando l'aumento cesserà di manifestarsi sotto l'ulteriore esposizione della lamina alla irradiazione dello spettro neutoniano. Effettuando l'esperienza, si trova che venticinque o trenta secondi bastano per ottenere la massima lun- ghezza dello spettro clilraico. Passato questo intervallo di tempo non avvi altro cambiamento che nel colo- re dell'immagine, la quale dopo dodici o quindici se- condi comincia ad offuscarsi visibilmente nelle parti più chiare ; 1' offuscamento progredisce dilatandosi a poco a poco verso le due estremità ; di maniera che in cinque o sei minuti 1' immagine trovasi di una tinta turchiniccia cupa persino nelle ultime sfumatu- re, ed offre quindi uno spettro imbrunito, lungo pre- cisamente quanto lo speltro dei trenta secondi, ove le estremità consei'vavano ancora il loro color cene- rognolo. Questo annerimento delle ultime zone, sen- za cambiamento di dimensioni , mostra ad evidenza che le estremità dello spettro corrispondente a trenta minuti secondi sono i veri limili dell'azion chimica. i36 Scienze la quale non potrebbe sussistere di là senza manife- stare alcune tracce d'imbianchimento, durante il tem- po in cui s' imbruniscono le tinte estreme; e queste tracce , per deboli ch'elle fossero^ risalterebbero im- mancabilmente all' occhio pel contrasto delle vicine tinte scure. Tuttavia, per maggior sicurezza, lasciam- mo la lamina esposta dieci minuti all' azione dello spettro, valendoci a tale scopo dell'epoca vicina al me- riggio, ove il sole mantenendosi per qualche tempo ad un'altezza sensibilmente costante, permetteva alle varie porzioni delle lunghe zone dello spettro di pas- sare successivamente contro l'apertura della scatola^ conservandosi sulle rispettive loro linee orizzontali di separazione. Allo spirare dei dieci minuti, lutto tro- vossi come dopo cinque minuti : ultime sfumature of- fuscate ed immobili ; niun albor decrescente di là. Di- ciam decrescente, perchè in capo ad otto o dieci mi- nuli manifestasi una tinta cenericcia nel prolunga- mento superiore ed inferiore dello spettro; ma questa tinta essendo uniforme, e sparsa ugualmente per tutto lo spazio situato di contro 1' apertura della scatola , non è punto dovuta all'azione chimica dello speltro, ma sì bene alla luce diffusa che s'introduce sempre persino nelle migliori stanze abbuiate, se non altro, mediante il pertugio destinato al passaggio dell'irra- diazione solare. E ciò si prova ad evidenza esponen- do per olio o dieci minuti la lamina preparata a que- sta sola luce diffusa, poiché il vapor di mercurio le comunica quella tinta medesima che serve , per cosi dire, di fondo allo speltro chimico imbrunilo. Le estremità dell'immagine di trenta secondi, o le estremità perfettamente uguali per l'equidistanza de- gli spettri dovuti ad una esposizione più prolungata, Spettro Solare i3j •sono dunque i veri confini delle cliimiehe azioni. Il limite inferiore è situato alla metà circa del turchi- no : il superiore trovasi nello spazio oscuro ad una distanza dall'eslremità violacea quasi eguale a quella del verde turchiniccio, Quest'ultimo limite dell'azion chimica è quello stesso indicato da Berard; il primo scende meno, per noi , verso la parte più luminosa dello spettro. Quanto al massìmoj si è già detto che l'ahhiam trovato sull'indaco estremo. Berard lo vuo- le sul limite del violaceo; WollastoUj nella zona oscu- la che segue immediatamente. D'onde provengono queste differenze ? I dati ci mancano per rispondere convenientemente a codesto quesito ; ma, grazie al pi-ezioso reagente scoperto dal Daghérre^ crediamo poter affermare, che i melodi per noi descritti sono più esatti e precisi di quelli , che furono impiegati dai nostri predecessori. Aggiungasi, che i nostri risultamenti ci sembrano assai più con- sentanei a quanto osservasi negli spettri di luce e di Calore. E veramente, sì lo spettro lucido e si il caloria- fico cominciano fievolissimi all' estremità superiore , s'accrescono con lentezza per tre quarti almeno delle rispettive loro dimensioni, e sceman poscia nello spa^^ zio restante, conservando ad un di presso la medesi- ma intensione per un cerio intervallo, e sfumandosi tapidamente verso l'estremità inferiore: la quale ter- mina pertanto in una maniera che , per servirci di una frase adoperala dai pittori , non si direbbe ne secca, ne digradante^ ma tondeggiante. Ora una sem- plice ispezione delle immagini ottenute sulle lamine dagherriane mostra, che tale éi è appunto l'andamen- to dell'azion chimica nello spettro. La figura annessa 1^8 S e t E N Z E a questo scritto servirà a meglio intendere le relazì*>- ni di progresso, di decadenza e di situazione che esi- stono tra lo spettro lucido , e gli spettri chimico e calorifico, determinati dalle nostre sperienze* Prima di proceder oltre arrestiamoci alcun po>co sui cambiamenti di colore che appariscono successi- vamente nelle lamine iodurate; cambiamenti, che uniti ad alcune semplicissime esperienze, ci sembrano di- mostrare colla massima evidenza la necessità d' in- trodurre un nuovo elemento nella spiegazione data dal Donne, intorno al modo con cui si formano le immagini sulle tavole dagherriane. La tinta cenerognola delle immagini ordinarie non esiste dopo l'azione moderata di una luce diret- ta, o dopo l'azione, parimente limitata, delle irradia-^ zioni rifratte della camera oscura. Essa nasce eviden- temente, come dicemmo altrove, dall'unione dell' ar-* gento col mercurio trasmesso per lo strato d'ioduro aderente alla lamina. Non così la tinta bruna delle nostre sperienze, che sussiste prima dell'esposizione al •Vapor di mercurio, e che arrivata al suo massimo vi- gore, non soffre quasi nessuna alterazione sotto l'in-» fluenza di questo vapore. Le esalazioni del mercurio passano dunque a traverso lo strato imbrunito in quan- tità molto minore che per lo strato giallo d'oro , il quale ha patita 1' azione dei raggi lucidi senza coiv servarne alcuna traccia apparente. E difatto, lavate le due lamine coll'iposolfito di soda e coll'acqua stilla- ta , si trova la prima coperta di una polvere scura che si toglie facilmente, e lascia appena qualche leg- gier vestigio di mercurio ; la seconda invece rima- ne bianchita, e tutta coperta di minutissime gocciole di questo metallo. Ora, stando alla teorica che abbia- Spettro Solare iSg mo esposta nella noslra Pielaziune sul Jaglierrolipo , le cose dovrebbero procedere in un modo precisamen- te opposto, poiché la trasmissione del mercurio sull' argento vi si fa dipendere unicamente dal suo pas- saggio meccanico a traverso i punti più o meno de- composti dello strato d'ioduro; e lo strato imbrunito è indubitatamente più decomposto di quello che con- serva il proprio coloi' giallo. V'ha più : si esponga al vapore^ che emena dal mercurio riscaldato a settanta- cinque gradi centigradi, una lamina ben forbita e li- berata da qualunque combinazione coli' iodio ; non soltanto la deposizione del vapore vi sarà minore che nel caso dello strato giallo, ma l'argento rimarrà in- teramente privo della più leggiera amalgama, e con- serverà intatto il proprio splendore metall.co. Ricapi- toliamo: la combinazione del mercurio coll'argento non succede quando si pone il vapore a contatto del- la lamina scoperta; essa manca del pari se lo strato d'ioduro è troppo decomposto dall'azione dei raggi lucidi: l'effetto si produce soltanto allorché la decom- posizione non offre tracce sensibili sulla lamina. Co- sa dobbiamo arguirne? Evidentemente, che lo strato giallo d'ioduro semidecomposto non é già un osta- colo al passaggio del mercurio, ma una condizione necessaria alla sua riunione coll'argento. Altrimenti la lamina scoperta si amalgamerebbe più della lami- na iodurata; altrimenti, l'amalgama sarebbe più ab- bondante a traverso dello strato bruno, composto di • particelle mobili e sciolte, che a traverso dello strato giallo, le cui particelle stavano tuttora unite e ade- renti. La decomposizione, che Io strato giallo deve sof- frire nella camera oscura onde ottenere le immagini i4o Scienze fotografiche del Daglierre, non cambia le sue appa- renze esteriori: essa costituisce dunque una modifi- cazione di quello stato che i chimici chiamano na- scente ^ per cui gli elementi del compiosto si trova- no bensì separati, o tendenti alla separaziorìe, ma tut- tavia coesistenti a picciolissime distanze. Diciamo, una modificazione: perchè la coesione dello strato,' la sua aderenza colla lamina sottoposta, e la sottigliezzai qua- si infinitesima della stratificazione , che lascia tutte o quasi tutte le sue particelle entro là sfera d'altra-' zion chimica, o d'affinità dell'argento, devono neces- sariamente contribuire a rendere la scomposizióne al-- quanto diversa da quella, che avrebbe luogo nel me- desimo corpo staccato dalla lamina e ridotto in pol- vere. Fatte» sta che la riunione di tali forzo prolun- ga la durata del fenomeno, e rende per così dire pia stabile lo stadio della decomposizione nascente, ri- tenendo per qualche tempo le particelle d'iodio e d'ar- gento inceppate hello strato, senza che apparisca nes- sun indizio esterno della loro tendenza alla separa- zione. E per verità, sappiamo che i disegni del Da- gherre riescono ugualrnente bene quando la lamina iodurata si conserva al buio più di un' ora dopo la éua esposizione nella camera oscura, e si fa quindi passare al vapor di mercurio. Sap|)iamo inolti^e,' per' le nostre sperienze sullo spettro solare, che persino la luce non vale, in sulle pi'ime, a vincere quelle forze, le quali impediscono lo svincolamento dell'io- dio: poiché la decomposizione spiegata riori si ma- nifesta, durante un certo intervallo di tempo, nep- pure sotto la sferza delle irradiaz;ioTii le più efficaci dello speltro. Infatti la posizione del massimo, visi- bilissima dopo un terzo di minuto secondo , non è Spettro Solare i^i più sensibile all'occhio quando Tazione dura otto q dieci secondi, perchè allora il mercurio produce un imbiancliimento uniforme in una data estensione dello spettro chimico. Avvi dunque un certo tempo, in cui la decomposizione progredisce per l'azione delle irra- (Jiazioni circonvicine al raggio più intenso , mentre i puntj dello strato sottoposti a questo raggio riman- gono stazionari. Se ciò non fosse, si vedrebbe la zona 4el massimo pendere al bruno, come succede per l'ap- punto quando si prolunga l'esperienza oltre i dieci secondi, Iliteniam dunque : r.p Che lo strato giallo d'ior I 4uro seinidecomposto senza cangiamento di colore, I è necessario al trasporto del mercurio sulla super- ! ficie lucida dell'argento, ed alla formazione del chia- ' roscuro daghemano: 3.° Che la semidecomposizigiie ! sofferta dal detto strato sotto l'azione delle immagini i della camera oscura, è uno stato di decomposizione nascente: 3.° Che le circostanze particolari, in cui trovasi la stratificazione, rendono tale stato più per- manente che nei casi ordifiarì^ Ciò posto, ecco, secondo ogni probabilità, la suc- cessione dei fenomeni che si producono sulla lami- Ila estratta dalla camera oscura, ed introdotta entro la cassctiina a mercurio. Il vapore metallico viene a contatto dello strato tj'ioduro, e trova alcune parti ^eìnidecomposte , o tendenti alla separazione de'pro- pri elementi per Vazion precedente delle iiTadiazioni Juclde^ Ora la decomposizione non può effettuarsi che in due maniere, le quali danno per effetto, o un gra- do minore i d'iodurazione dell'argento (sotto-ioduro), o|la precipitazione del metallo: nell'uno o nell'altro aso, una porzione d'ioduro tende a svilupparsi; e que-^ i42 Scienze sta notazione basta al nostro scopo. Infatti il mer- curio trovandosi in presenza delFiodio allo stato na- scente, vi si unirà formando un ioduro di mercurio: la combinazione si propagherà in breve, da particella a particella, sino al contatto dell'argento, la cui af- finità vincendo quella deiriodio, scomporrà la nuova sostanza: il mercurio si precipiterà suH'argfnto: l'iodio rimarrà libero, e verrà poscia rimosso dalla lamina insieme al sotto-ioduro, o all'argento in polvere, me- diante le solite immersioni nell'iposolfito di soda e nell'acqua (i). Queste considerazioni si riferiscono soltanto, co- me ognun vede, all'indole ed agli effetti delle forze (i) Tn vece di supporre la decomposizione dell' ioduro di mercurio, si potrebbe anche ainmellere, che questa sostanza rir manesse intatta, ed avesse la facoltà di eccitare l'unione del mer- curio coli' argento. Allora l'amalgama, impossibile a prodursi nella lamina d'argento forbito col vapore emesso dal mercurio riscaldato a 75. « cent.,si eflettuerebbe quando i due metalli sono m presenza dell'ioduro di mercurio. Quest'azione di semplice prese/izn non è tanto improbabile, come sembra a primo aspello; poiché si trovano diversi casi, ove gli effelti chi lici non si pos- sono spiegare altrimenti Ad ogni modo è chiaro che la combi- najiquc deiriodio col mercurio deve precedere l'amalgama d'ar- gento. Non parliamo della pochissima attitudine all'amal^amazìone che possiede la lamina coperta dello strato d'ioduro imbrunilo, perchè la c;igione è mauilesta. In questo caso l'iodio combinato alla superficie dell' argento si trova o volatilizzatola totalità, o parzialmente, il resto essendo allora unito all'argento, e forman- do con esso una combinazione stabile di sotto-ioduro. Si neJl' una e sì nell'altra posizione, il vapore di mercurio non trova libere che alcune tracce d' iodio , e non può pertanto formare J'ioduro di mercurio necessario al suo trasporto sulle parti soli- de della lamina. Spettro Solare t0 molecolari che precedono ed accompagnano la forma» zione del quadro fotografico: la teoria ottica rimane sempre tal quale l'abbiamo posta a carte 20 e 21 della Relazione: vale a dire, che le immagini dagher- riane « risultano dal complesso di alcune porzioni a più o meno imbiancate e granite dal mercurio, sul « fondo piano, pulito e lustro dell'argento «. Ma ripigliamo le nostre considerazioni suU'azion chimica dello spettro solare, e vediamo quali sono, relativamente al dagherrotipo, le conseguenze dei nessi che congiungono gli elfetti di decomposizione agli effetti luminosi. Primieramente tutto quanto si è detto, nella no- stra Relazione, sulla debole attività della luce rossa aranciata e gialla per produrre le immagini dagher- j'iane, trovasi pienamente confermato: anzi bisogna porre nella medesima rubrica la luce verde e la tur- chino-verdognola. Tutti questi colori, purissimi, sono assolutamente inefficaci (i), non solo nelle sperien.- (i) Per noi non rimane il menomo dubbio sulla verità di questa proposizione; che l'ablìiam dedoUa ad evidenza dalla ra- pida sfuinaliira inferiore dello spettro chimico , dalla sua immo- bilità dui'aiite il cainliiamento di colore, e da venti e più imma- gini confrontate collo spettro luminoso. A chi volesse opporne i segni d'azione chimica ottenuti da Berard sino al confine del verde ( Memulres d'Arcuel tora III, p. 3g ), e quelli avuti più recentemente da Hershcell nel verde, nel giallo e neW aranciato ( vedi l'ultima nota d'Arago al suo discorso sul dagherrotipo }; risponderemmo candidamente che gli esperimenti di questi due fisici ci sembrano meno concludenti dei nostri. E veramente ab- biamo dallo stesso Berard, ch'egli introduceva il raggio solare per un foro di sei linee di diametro, e riceveva l'immagine dello spettro sulla carta impregnata di cloruro d'argento a un metro di distanza ( Berard, Mem. sud. pag. 12 e 28). L'apertura della j44 Scienze «e dianzi descritte, ma anche nei quadretti ottenuti col processo di Dagherre; polche, tranne la forza, non avvi niuna dilferenza tra la luce diretta e la luce diffusa che forma le immagini della camera oscura. Per mettere in evidenza questa nullità fotogra- fica dei raggi rossi, aranciati, gialli, e verdi, pensam- mo di far battere il fascetto di luce rifratta sopra una statuetta o figurina di gesso, per guisa che le cosce e le gambt; venissero lliufninate dai colori inferiori dello spettro; il busto e la testa, dai colori superio- ri, e dalla irradiazione chimica scevra di luce. L'im- magine variegata di questa statua, la quale dipinge^ vasi sul fondo vitreo della camera oscura, era clùa- postra stanza buia avea in vece una sola linea di diametro, e Io spettro percuoteva sulla lastra metallica iodurala lontana due metri dal prisma. Ma è noto a tutti che la purezza dei calori prismatici sia in ragione inversa del diamolro del fascetta di lu- ce incidente, e diretta della lontananza della superficie ove si raccolgono i raggi rifralti. Quanto al celebre astronomo inglese, noi ignoriamo la natura del reagente da esso lui adoperato, non che i dati numerici delle sue spericnze; ina,se non siam traili in errore , parrebbe risultare dalle sue propi-ie espressionij che le circostanze in cui egli operava erano anche più sfavorevoli di queltei ora citate, alla purità dei colori prisinalici. Egli dice in- fatti aver adoperalo uno spettro vivacissimo ( Arago nota sud.). Ora per avere una grande energia nello spelea solare è d'uopo impiegare un ampio fascio di luce, e ricevere l,'ln\magine rifrat- ta ad una piccola distanza dal prisma ; condizioni che tendono ambedue, come abbiamo detto, a diminuire la purezza delle lin« te prismatiche. Ammessa l'impurità dei colori , ognun vede che le azioni osservale da Hersl^cell e da Berard, nella parte centrale cil inferiore dello spettro, non conducono ad alcuna conclu^roae decisiva. Chi ci assicura infatti che queste azioni non sono pun- to dovute all'azion chimica dei raggi fotografici turchini, mesco- lati in proporzione più o men grande colle tinte ineflicaci di ce- U.ite, di verde, di giallo e d'aranciato ? Spettro Solare wr^ rissima dalla cintura in giù, il Jousto vedevasi appena segnato, la testa era al tutto invisibile. Per quanto Fir- radiazioue prismatica fosse stata intensa o continuata la figura permanente, segnata sul metallo dopo l'espo' sizione al vapor di mercurio, doveva evidentemente mancare dei membri inferiori, cbe sono i più iUu- mmati; mentre, per l'opposito , la testa, mancante nelhmmag.ne dipinta sul vetro semidiafano, si sareb- be scolpita sulla lamina metallica. Ma le circostan ze in CUI operavamo non ci permisero di lasciare la amma pm di venti minuti sotto l'influenza del debo hssimo lume della figurma di gesso risebiarata dallo" spettro solare; e non s'ottenne nessun segno fotogra- fico. Non sarebbe forse inutile il ripetere questo cu- noso esperimento coll'eliostata ed una combinazione di vari spettri sovrapposti, onde vedere se fosse possi J^Ue trarre qualclie effetto da un' azione più energica e pm prolungata; e bramiamo anzi die alcuno se ne occupi il proposito. Intanto cbe si offra l'occasione di tentare la prò va, CI parve conveniente di confermare il nostro is sunto in altra maniera: e perciò dipingemmo la Sta- tua a vane strisce di colon vivaci, fusi , e perfetta- mente sfumati tra loro , onde imitare lo spettro so- lare e le sue principali zone. Le materie coloranti furono scelte tra le più pure, relativamente alla mu- tua loro refrangibilità: vale a dire cbe i colori supe- non dello spettro avevano la menoma dose possibile Jleglinfenon, e viceversa. A tal fine si esploravano le vane colorazioni tingendone alcune sottilissime stri- sce di carta, le quali erano disposte contro una stof- la di velluto nero , ed osservate a traverso un uri- i46 Scienze Anche qui le tinte fotografiche di violaceo, indaco e turcliino, coprivano la parte superiore della figuri- na; le tinte inefficaci, vale a dire il verde, il giallo, l'arancio, e il rosso, estendevasi dalla cintura in giìi; e pertanto il capo, il petto, il ventre erano foschi, opachi, appena discernibili in distanza dalle drappe- rie nere, verticalmente sospese, presso cui si pose la statua; le anche, e tutta la parte inferiore della fi- nura, spiccavano invece colla massima vivacità sul fondo scuro del panneggiamento. Le medesime rela- zioni d'intensità apparivano quindi nell'immagine della camera oscura; e tanta si era la differenza di chia- rezza tra le due metà della figura, che ad una certa distanza la testa e il torso dileguavansi compiutamente, e restavano visibìli le sole gambe. La statua esposta al sole produsse nel dagherrotipo un immagine senza gambe dopo dieci minuti: la medesima immagine mu- tilata si ottenne in ventìcinque minuti per l'azione della luce diffusa. Prolungando, nell'uno o nell'altro caso, la durata deirazìone, s'incominciava ad avere qualche traccia della metà inferiore, la quale era pe- rò sempre fievolissima, ed evidentemente dovuta a quei pochi raggi fotografici che rimangono anche nelle ir- radiazioni le più pure delle materie verdi, gialle, aran- ciate e rosse. In presenza di questi fatti, ogni ulteriore con- siderazione diverrebbe superllua. L'esperienza parla agli occhi delle persone le più incredule, o le meno as- suefatte allo studio delle cose naturali (i). (i) La proprietà fotografica di alcu;ii raggi kiciiii, l'ineffica- cia degli altri, e scgiialaiiicute la facoltà the possiede l'irradia- Spettro Solare 147 Abliiam detlo, sul principio, die dieci secondi di esposizione ai raggi dii'etti dello spettro produce- vano il massimo imbianchimento della lamina daglier- rlana. Più tardi, abbiamo soggiunto che 1' immagine ottenuta in dieci secondi è meno estesa delle susse- guenti; e che per avere il massimo allungamento, e quindi i limili estremi dell'azion chimica, conveniva prolungare l'esposizione almeno di quindici o venti alti'i minuti secondi. Ora in questo intervallo di tem- po la parte centrale dell'immagine perdeva gradata- mente il color cenerino chiaro, ed acquistava a poco a poco lina tinta turchiniccia , che diveniva infine cupa e decisa in capo a qualche minuto primo. Quan- do le intensità dei raggi fotografici abbracciano una scala troppo estesa, è dunque impossibile il rappi^e- sen tarli tutti insieme sulle lamine del Dagherre con- servando le respettive loro relazioni d'energia : giac- zione oscura situata fuori del limite violaceo di agire come la parte efficace dello spettro visibile, mostrano chiaramente che il \ ocaho\o Jbtogra/la (disegnar colla luce) non definisce l'arte nuo- va col dovuto rigore. E' vero che uella porzione superiore dello spettro, l'azion chimica consiste colla luce ; ma ivi trovasi anche il calore {vedi la figura). Perchè supporre le decomposizioni ef- fettuate piuttosto dai raggi lucidi, che dai calorifici? Quanto poi agli effetti chimici manifestati fuori de'colori prismatici, non si possono evidentemente attribuire né all'uno, uè all'altro agente. Malgrado di queste inesattezze etimologiche, siamo tuttavia d'o- pinione, che la denominazione di fotografia sia la migliore, che si potesse dare all'arte di copiare gli oggetti coli' irradiazione del sole, diretta o diffusa ; i.» perchè nel caso ordinario, in cui s'a- dopera il dagherrotipo, l'azion chimica è proporzionale all' in- tensità della luce: 2." perchè il risultamento finale dell' opera- zione costituisce un effetto ottico, relativo a fenomeni dello stes- so genere maaifcslati dagli oggetti naturali. i4B Scienze elle se il tempo in eui la lamina rimane sotto l'in- fluenza della irradiazione è troppo breve , manche- ranno le impressioni de'raggi meno intensi; se , per lo contrario, si prolunga il tempo, queste deboli ira- pressioni diverranno manifeste, ma le immagini delle irradiazioni più energiche si offuscheranuo, e sorgerà l'ombra là ove dovrebbe regnare il massimo chiarore. Anzi prima che cominci l'offuscamento, si avrà un' altra causa di perturbazione, dovuta essa pure ad un principio di azione troppo prolungata, per cui le più leggere tra le mezze tinte spariranno acquistan- do il vigore dei lumi più intensi. E cotesto risulta pure ad evidenza dallo spettro chimico dei dieci se- condi , ove ci fu impossibile distinguere il massimo d'azione ; stantechè i punti circostanti erano giunti allo stesso limite di decomposizione nascente toc- cato qualche momento prima del raggio più energi- co, il quale non produce immediatamente la tinta bruna risultante dalla decomposizione spiegata , e manliene per qualche tempo la zona d'ioduro sotto- posta alla sua influenza, in quella disposizione atta ad eccitare l'amalgamazione della lamina d'argento (i). (i) La sola pratica aveva probabilmente svelato questi limiti della daghcrrotipia al silo sagacissimo inventore, poiché in vece di dirla; " Arte di ritrarre colla semplice azione della luce e di ,, alcuni chimici reagenti le immagini dei corpi senza colori, ma ,, coli'ESATTA loro gradazione di chiaroscuro; „ egli 1' ha de- finita nei termini seguenti: " Il processo chiamato il dagherroti- ,, pò consiste nella riproduzione spontanea delle immagini della „ natura ricevute nella camera oscura, non gi;i colle loro colo- „ razioni, ma con UNA GRAN DELICATEZZA di gradazione „ di tinte ,,. ( Ce procede consislc diins la re/'ioduclion apoiila- néc das iinugex de la natura recdcs duns la clianibrc noi re , non Spettro Soi.abe i^g Questi due segni di una troppo lunga esposizio- ne alla luce vengono quasi sempre seguiti da un terzo, clie si manifesta chiaramente nei disegni otte- nuti col dagherrotipo. I contorni, i quali erano do- tati di una precisione sorprendente nella prima for- mazione delle immagini, divengono più o meno in- certi: ed una tinta o velatura , come di nehbia , si spande su tutta l'eslensionc del quadro. La ragione di tali apparenze è facile ad assegnarsi : infatti, per quanto la camera oscura sia ben costruita e ben di- sposta , vi regna sempre una certa quantità di luce ditfusa, la quale dopo un dato intervallo di tempo co- mincia ad agire sui punti dello strato d' ioduro che erano rimasti intatti, e rende per tal guisa le ombre più languide e men decisi i contorni. Tutto ciò si conferma coli' esperienza diretta. E basta a tale scopo provvedersi di una figura di car- tone intagliato, e dipingerle il capo bianchissimo, i piedi quasi neri, e tutta la persona colle tinte inter- medie, per modo che si passi dall'una all'altra estre- mità con una gradazione o sfumatura insensibile. Ri- schiarata fortemente questa figura colla luce diffusa per l'atmosfera, o coi raggi diretti dal sole, se ne ri- ceva 1' immagine sulla lamina preparata del dagher- rotipo : prolungando più o meno l'esposizioìie, si ri- produrranno tutte le apparenze dianzi descritte, E veramente con tale disposizione di cose trovammo : i.o Che dopo cinque minuti l'immagine dagherriana avec letirs couleurs, mais avec une grande finesse de degradation de teintes. Descriptioii pratique da procede nommé le daguer- reotype, par Duguerrc ). rSo Scienze formata col vapor di mercurio era composta della sola metà supcriore della figura, colle mezze tinte legge- rissime del collo e del petto : 2.° Che dopo nove minuti si aveva un' immagine estesa sin quasi al gi- nocchio, ma priva di mezze tinte sul collo e sul pet- to, i quali erano giunti allo stesso vigore della testa: 3." Che dopo ventidue minuti le cosce e le gamhe apparivano distinte , mentre i chiari superiori trova- vansi offuscati, i contorni nebbiosi e le ombre velate. Le applicazioni di questi principii dedotti dai fenomeni chimici dello spettro solare, e si apertamen- te confermati dall'esperienza, si presenteranno di per sé stesse a chiunque vorrà ottenere col dagherrotipo una rappresentazione più perfetta che sia possibile degli oggetti naturali. Noi ci lijniteremo ad indicar- ne una sola, e con essa porrem fine alle nostre con- siderazioni sulla nuova e maravigliosa arte, di cui Da- gherre fregiò il secolo presente. I raggi lucidi dipingono sulle lamine dagherria- ne le immagini dei corpi: o piuttosto le irradiazioni luminose preparano, direi quasi, magicamente la ta- vola metallica iodurata a ricevere la copia dell'ogget- to dipinta dal vapor di mercurio. Ora nulla sembra più naturale che il supporre l'azione, tanto più pi-e- cisa ed efficace, quanto maggiore si è la vivacità della luce dominante ; e che ])ertanto 1' irraggiamento di- retto del sole contribuisca assai alla ])erfezione de- gli eifetti ottenuti col dagherrotipo. Codesto si veri- fica di fatto nelle circostanze, ove tutti gli Oggetti da ritrarsi sono situati alla medesima distanza , e com- })os[i di poclie tinte. Ma quando si tratti di copia- re una veduta alquanto estesa e composta di molte gnulazioni di luce e di piani, parmi poter asserire il Spettro Solare iSi contrario, vale a dire che il sole sarà nocivo, e più conveniente alla buona riuscita dei quadi'i fotografi- ci un cielo coperto di nubi : ben inteso quando 1' atmosfera, frapposta tra gli oggetti da ritrarsi e la ca- mera oscura, sia sgombra di nebbie ed altre esalazio- ni capaci d'intercettare le irradiazioni chimiche della luce. Infatti si è veduto, che quando avvi troppa dif- ferenza d'energia tra i raggi estremi, è d' uopo per- dere inevitabilmente l'effetto dei primi o degli ulti- mi : poiché, abbreviando il tempo dell'azione sulla lamina , non si ottengono le impressioni dei raggi meno intensi : e prolungandolo, si cade prima nello sconcio di far dileguare le mezze tinte più delicate, e poscia in quello, anche ^^iù grave, di offuscare le parti vivamente illuminate. Per evitare e l'uno e l'al- tro scoglio converrebbe dunque rendere meno diver- genti le azioni estreme col raddolcire i lumi e le om- bre; e ciò succede appunto quando si toglie la viva luce del sole, che percuote un solo lato degli oggetti lasciando gli altri oscuri, e vi si sostituisce il chia- rore meno intenso, ma più generale, tramandato dal- le nuvole in qualunque direzione (i). Macedonio Melloni. (i) A scanso d'ogni equivoco non sarà forse inutile il ripete- re, cìie qui non s'intende parlare dell'azione relativa al tempo, la quale sarà evidentemente più pronta sotto la sferza de' raggi solari, elle per l'influenza della luce assai meno intensa di uq cielo coperto; ma si allude soltanto alla miglior esecuzione dei disegni folografici. In altri termini , la copia verrà più presto quando l'oggetto da ritrarsi sarà illuminato direttamente dal so- iSa Scienze Nota sopra wi omissione commessa nella rela- zione intorno al dagherrotipo. Una sijigólar combinazione di vocaboli produsse, nella stampa della precedente memoria dell'autore, l'o- missione di un intero periodo dello sci'itto. Due pa- gine cominciavano e finivano colle stesse parole : la prima essendosi smarrita, senza cbe, perciò, la coni- le ; ma non si otterranno tutte lo gradazioni delle tinte dell'ori- ginale con quella delicatezza e perfezione, cui si potrà giugnere mediante la luce diffusa delle nubi. In vece di scegliere un tempo coperto, si potrebbe anche operare a ciel sereno, introducendo nel quadro fotogra Ileo gli og- getti lontani che ricevono la luce diretta dal sole, e copiando le cose prossime dal lato dell'ombra. Così si otterrebbe ugualmente l'intento di scemare la luce troppo viva dei primi piani, e d'ac- crescere quella troppo languida degli ultimi. Da tutto ciò risulta chiaramente, ohe l'arte di ottenere il massimo effetto col processo meccanico del Dagherre esige una certa intelligenza teorica del soggetto. E, in proposito di daghcrrotipia, non possiamo astenerci dal far osservare, che alcuni scrittori non inlesero il vero senso del fatto enuncialo dall'illustre suo inventore relativamente alle di- verse ore del giorno equidistanti dal mezzodì. La differenza Ira le ore del mattino e della sera s'aggira soltanto sul tempo, e non sulla bontà dell'esecuzione. A p.irllà di circostanze, le copie po- mei'idianc esigono , secondo Dagherre, un'azione de' raggi luci- di più prolungata di quelle che si compiono durante le ore an- timeridiane: ma tutte riescono ugualmente bene, qualora si ope- ri colle dovute precauzioni. Concludiamo dunque, che quantunque la luce o irradiazio- ne diurna costituisca il primo ed indispensabile elemento della fotografia, tuttavia la bellezza dei prodotti somministrali dal da- gherrotipo dipende piuttosto dalla buona preparazione delle la- mine, e da una conveniente scelta del tempo in cui esse devono rima.nere esposte entro la caincra oscura , che dalla viva illumi- na/.iune degli oggetti. Spettro Solare i53 spondcnza tra le cliiamalc superiori ed inferiori ve- nisse alterala, si allribul l'errore di una falsa nume- razione delle carte, e si passò immediatamente alla composizione della seconda pagina. L'autore non s'ao corse di questo sconcio che rileggendo ultimamente la memoria stampata per cei'carvi i nessi da staLllir- si tra essa ed il presente suo lavoro. Ecco le parole omesse, che devono inserirsi alla pagina 8, linea 8 della citata relazione intorno al dagherrotipo, e pre- cisamente dopo il periodo che finisce colla frase, a discapito della intensità delle immagini [i). « Ma fortunatamente questa dispersione è de- « hole a segno, da lasciar l'immagine chiara e distinta « tanto che hasti nVlle circostanze d'ampiezza e di « fuoco relative alle lenti che s'impiegano nella co- « struzione della camera oscura. Una cagione assai <( più prepotente di confusione in certi punti della « veduta procede dalla forma della superficie, ov'essa (( dipingesi; perchè gli oggetti lontani essendo lutti « sensihilmente dotati della medesima distanza focale, « e questa dovendo sempre prendersi partendo dal « centro ottico della lente, i punti laterali formano i « rispettivi loro fuochi tanto più presto, relativameule « al piano del quadro, quanto più sono discosti dall' « asse; di maniera che, colle forme ordinarie delle len- it ti, il disegno non potrebbe riescire ben distinto « in ogni sua parte, se non quando la superficie de- « stinata a xìceveYXo io?>s,e cwvvdi^ prossimamente sfe- « rica^ colla concavità rivolta verso la lente. La scon- (i) Questo periodo, nella Relazione inserita nel t LXXXII del nostro tjiornale arcadico, è alla pag. 7, lin. 3. i54 Scienze « centrazione proveniente dalla mancanza di una tal « disposizione, e quella che deriva dalla varia rifra- « zione dei raggi lucidi, sono pertanto le cagioni che « turbano più efficacemente la chiarezza delle im- « magini ». Melloni. Cassa di risparmio in Bologna, JLl regolamento per l'istituzione dì una cassa di ri- sparmio in Bologna fu approvato da Sua Em. il si- gnor cardinale Vincenzo Macchi, legato vigilantissimo della città e provincia, con decreto del i4 luglio 1887. Io fui sollecito a riferire nel nostro giornale voi. 214 pag. no e seg. che la seconda città dello stato ave- va seguito incontanente l'esempio della capitale: esem- plo che poi si ò diffuso con utilità e profitto delle classi minori e dell'universale a Spoleto e Ferrara, a Forlì e Ravenna; desiderandosi anclie altrove do- vunque sono generosi spiriti, che sappiano della ca- rità servirsi come della luce del sole : la quale non solo illumina e scalda le apriche compagne, ma le fe- conda col promoverne la vegetazione e direi quasi la vita. Sì ella è sempre la carità, che porge conforti al povero; più bella se lo anima ancora all'industria, 8e lo toglie all'ozio, alla dissipazione; se lo rende eco- nomo, previdente; se lo conferma in tutto allo spec- chio delTordine: in una parola se lo fa buon padre, buon figlio, buon marito, buon cittadino, buon sud- _..> l^uVa c- D iXi/iXo o«yur E I ^/^A^^- tÀ N cW- c\^Ì .■h' K^- ^i.^' <^^ I ,^A I ,.,>-^ I y,.,/^ I .■„..,^ I ■ ■■>, rt',^/^/' M //^/ yr/r/f' /fr /' rJf fn/f/<' r yyy<:^u/'t*/i'r y^/z^^f Ar^y/r// f/fh'/f/'r ^ ,,-//^/t>r./,/ /^vy 4/ rr/Ar ri/i w/z/if/- \^ r /zz ,f//rfy r/f/^ t/ ^ ///y /// /y//y^^./^/ . //fg^ r^ij/r/^zy^/^t^ aAiéT/iya f/'/y-f/ / z-y^/yz*/ ^^//^y?vv-,- ,///»// rÀl',- rz^Z/jv/zr/^ ,A-/fy^/A r/z// //yy/z//\^{^ ,^^.'/yyuu7^ iion conviene in tutte le malat- tie chirurgiche ; è un mezzo estremo da mettersi in uso solo allorquando non è possibile di guari- re il malato per delle vie meno dolorose. Le opera- zioni non sono clie un punto di cura: e fino a tan- to che dura la malattia , bisogna con una condotta ben'intesa e melodica disporre l'infermo, e prevenire e distruggere gli accidenti che possono turbare ed Malattia della faccia i63 impedire i successi dell'operazione. Prestata poi che abbia il chirurgo l'opera della sua mano, bisogna che, pel concorso di tutti i mezzi saggiamente ammini- strati, arrivi a guarire ed estirpare quel fomite che produsse la malattia , e anclie a togliere i molesti effetti dell'operazione, la quale , indipendentemente dalla causa pericolosa e spesso mortale che la pre- scrive, è molte volte per se stessa una malattia do- lorosissima. I successi delle grandi operazioni sono il trionfo dei chirurgi: ma questo istesso trionfo può essere la vergogna della chirurgia. L' operazione è la prima e 1' unica risorsa d'un preteso chirurgo, il quale non sia che operatore. Tutta la sua gloria e il suo profitto si trovano nelle operazioni che ese- guisce , e perciò cerca sempre di moltiplicarle ; al contrario un vero chirurgo, un uomo saggio e spe- rimentato, pi'ocura di poter contare i suoi successi nell'aver saputo prevenire le operazioni, e nell'aver potuto conservare dei membri «. Se per processo flogistico si formi tumore al men- to indomabile dai mezzi dell'arte , ne consegue un ascesso, il quale aperto, dà non di rado origine ad un seno fistoloso. Ad ogni metodo curativo mostrasi renitente , benché sia diretto dall' allo al basso , e di poco momento la sua estensione. L'anatomia delle parti rende conto delle difficoltà che incontransi nella guarigione. Gli attacchi del muscolo quadrato del men- to , e segnatamente il rilievo esistente nella parte media esterna della mascella inferiore, fa sì che toc- cando le marce il suo lembo superiore , lo alteri. Questa protuberanza, che ha per officio di dare at- tacco al muscolo suddetto, serve maravigliosamente alla maestà delFaspetlo: di modo che tolta questa, la fisonomia umana caugiasi in quella di una scimmia. i64 Scienze Si propaga l'infiammazione talvolta fino al pe- riostio, e l'infermo acutissimi sente i dolori accom- pagnati da veglia, urti convulsivi e delirio. Non è più semplice allora l'ascesso , ma vi si complica la cancrena del periostio , o la scopertura di qualche parte d'osso, ed anche la necrosi. Ognun vede che la guarigione debb'esser più malagevole; quindi inu- tili le iniezioni, i setoni, le spugne preparate ec, ri- manendo ulceri fungose con iscolo di marce. Il rendere la fistola completa dall' esterna all' interna parte del labbro è il metodo che pone in ope- ra l'autore per sanarla. A tal'uopo dispone il con- veniente apparecchio, che consiste in uno specillo bot- tonato, in un blstorino a lama stretta tagliente d'am- bo i lati, in globelti di sfila, piccole compresse, fa- scia a fionda ec. Posto a sedere il malato in luogo luminoso (essendosi fatto ciò che suol precedere le operazioni), e poggiata la sua testa al petto di un ministro, che dee tenerla ferma colle sue mani pre- mendola nei lati , s' introduca lo specillo fino alla sommità del seno fistoloso, che si affida ad un mi- nistro, il quale lo spinge in alto «. Prende l'ope- ratore (pag. 12) il labbro colle dita indice , medio e pollice della mano sinistra, in modo che i polpa- strelli dei primi appoggino sidl'epitellio, e il pollice sulla parte superiore esterna, tirandolo alquanto in alto e in fuori. Con la destra mano, armata di bl- storino, incide trasversalmente il legamento che uni- sce il labbro alle gengive, senza timore in appresso di rovesciamento di esso, e profondamente finche si scuopra lo specillo. Si spinge lungo la direzione di esso il bislorino sino alFapertura esteriore: ed estratto lo specillo, si dilata per poche linee tanto a destra MAfATTIA DELLA FACCIA l65 quanto a sinistra, staccando il labbro, e mettendo così allo scoperto la sede morbosa. Ciò fatto, si riempie la ferita con globetti di filaccia graduati, e si appli- ca una compressa sostenuta dalla fascia a fionda : e l'operazione è compiuta «. Nel terzo giorno si tol- gono i globetti di sfila, e dopo aver ben nettata ed asciugata la parte, si passa sopra ogni lato della fe- rita con un cilindro di nitrato d'argento , onde to- gliere quelle callosità cbe potessero impedire il sal- darsi della medesima. Si rinnovi quindi l'applicazio- ne delle sfila, compresse e fascia, così il giorno ve- gnente, finche rese vive e cruenti le parti, rimargi- nano ben presto. Ed affinchè più sicura sia la gua- rigione e venga impedita la recidiva, si applicano due piumacciuoli graduati in corrispondenza della parte inferiore del seno , sostenuti dalla fascia a fionda stretta in modo da far conveniente pressione. E saggiamente l'autore consiglia la pressione nel- la sola parte inferiore , mantenendo libera la parte superiore, onde così assicurarsi che la cicatrice è so- lida e completa. Tanto piti ragionevole apparisce lai pratica se si pondera: 1.° Che facendo la compressione su tutta la lun- ghezza del seno, evvi il dubbio che non succeda la riunione in ogni punto, considerate la natura delle parti affette, ed i movimenti che si eseguiscono nella masticazione e nella loquela. 2.° Che scoperto l'osso, è più difficile la riunio- ne in quel punto, mentre facile e pronta è sui bordi della ferita. 3.0 Che non può cicatrizzare se non si ,el emi- na la scheggia, qualoi'a l'osso sia necrosato. Saldato il seno nella sua parte inferiore me- i66 Scienze diante la compressione , gradatamente e con solleci- tudine avverrà lo stesso nella parte superiore. Talo- ra però accade che rimanga allo scoperto in qualche punto il sottoposto osso, e non di rado per sanie o per altra causa qualunque va a sfogliarsi. Ma con tutto questo :1 malato dee considerarsi come guarito, perchè libera è l'uscita delle sostanze straniere. Ve- diamo infatti rimanere alle volte ne'vecchi denudata qualche apofisi alveolare, e non soffrire perciò mole- stia alcuna: anzi si lusingano che la natura abbia lo- ro regalati altri denti. Condotta a termine con successo l'operazione, non basta ancora ; bisogna indagare se la causa che produsse tale fistola sia venerea, scorbutica , scrofo- losa ec, onde stabilendo analoga cura, migliorare la condizione della macchina. Veniamo ora ad esporre le osservazioni , colle quali il signor Gattei ha arricchito il suo libro. Osservazione L Eran sette anni che il chiei-ico Pietro Angelini, di anni 19, di Pietrella Guidi, aveva un'ulcera sinuo- sa nel mento, di cui ignoravasi la causa produttrice. Nel settembre del i8i5 si recò alla repubblica di s. Marino, ove il nostro autore era chirurgo condotto. Sottopostosi a varie cure, l'ulcera cicatrizzò, ma si riaprì ben presto. La sua figura era sferica di tre li- nee circa di diametro, i bordi eran callosi, e lo spe- cillo si nascondeva per circa un pollice fra il mu- scolo quadrato del mento, e la parte ossea della man- dibola. Fu operato nel modo che abbiamo di già espo- sto, e guarì perfctlamenle dopo 18 giorni. Venti anni Malattia della faccia 167 dopo il Gattei lo rivide, e fu assicurato che il seno non si era più riaperto. Osservazione II. Nell'autunno del 18 18 a Michelina Cecconi pe- sarese venne resipola al mento, cui susseguì un flem- mone accompagnato dall'odontalgia degl'incisivi della mascella inferiore. Formatosi l'ascesso si apri, e die origine ad un' ulcera sinuosa , che per vario tempo medicata si mostrò ribelle ad ogni maniera di cura, abbenchè si saldasse per qualche tempo. Sottoposta all'accennata operazione dell'autore guarì, e tuttora gode su questo riguardo perfetta salute. Osservazione III. Questa terza osservazione è desunta da una let- tera del dottor Gregorio Franci, nella quale molto malamente si espone la storia di una tal contadina che ricusando di sottoporsi all'operazione dall'autore propostale, trovasi ancora deturpata dalla fistola del mento. Per ben due anni alla medesima si chiuse l'ul- cera, avendo adoperato cerotto cicatrizzante: ma que- sta riaperta, imperversava vieppiù nella gravidanza, terminando nel parto , mai non mostrandosi nell'al- lattamento. Osservazione IV. Un tal Domenico Fattori, religioso laico di s. Do- menico, nel 1834 mostrò al nostro A, un forellino i68 Scienze con bordi rosseggianti e duri esistente a sinistra del legamento che unisce il labbro inferiore alle gengi- ve. Narrò egli che all'età di undici anni ebbe a sof- frire un'eruzione cutanea, che quindi scomparve. Si manifestò allora un tumore sul mento associato a do- loi'i osleocopi ed all'odontalgia degl'incisivi della ma- scella inferiore. Trattato questo con metodo antiflo- gistico , si formò un ascesso che, apertosi spontanea- mente nella parte media inferiore del mento , ge- meva molte marce. Da quest' ascesso ne risxiltò un seno fistoloso, che quindi cicatrizzato si riapri e si richiuse alterativamente, finché si fece strada per la parte interna del labbro. Trovossi allora guarito il pa- ziente, rimanendo solo il sopraddetto forelllno , dal quale non risentiva molestia, benché emettesse talora un fluido salmastro. Pel lasso di sei anni così an- dò la cosa , finché una tisi polmonale gli troncò la vita nel i838 in età di anni 35. La natura in questo caso ha indicato il modo di curare questa schi- fosa malattia. Osservazione V. Nell'arcispedale di s. Spirito in Roma si presentò nel maggio del 1887 Roberto Foscelli di anni 17, vet- turino di Velletri, al quale in seguito di un flemmo- ne al mento , che suppurò spontaneamente , venne un seno fistoloso. Il eh. signor professore France- sco Bucci membro del collegio-chirurgico, e chirurgo primario in s. Spirito, trovati vani molti tentativi, e per sino quello del taglio completo del seno; istrui- to gentilmente dall'autore del suo indicato metodo, l'o- però spingendo un acuto bistorino dal basso in alto Malattia della faccia 169 fin dentro la Locca, risparmiando i tessuti esterni, e producendo una ferita traffossa. Il suUodato profes- sore ora ci accerta che la guarigione è tuttora soli- da (I). Osservazioni VI e VII. Si riportano due casi di fistole al mento , che per trascuranza degl'infermi non furono operate. Osservazione VIII. Il dottor Gaetano Anovi dice di aver veduto un. caso di tal malattia a Milano. Il celebre cav. Pallet- ta, sperunentati inutili i più proficui mezzi dell'arte, si determinò al taglio totale del seno. Se ne igno- ra l'esito ; supponesi però ragionevolmente essere sta- to infelice , come lo fu pel eh. prof. Bucci , prima che ponesse in uso il metodo del Gatte! ( Osserva- zione V ). Ed abbenchè fosse stalo buono, sarebbe an- dato unito all'inconveniente disgustoso della cicatrice apparente della faccia : inconveniente che si evita fa- cendo la contro-apertura proposta. Si dà fine alla memoria coli' esporre alcuni co- rollari dipendenti dalle accennate osservazioni ; esser cioè morbo non frequente, ne descritto dai patologi: esser renitente ai comuni mezzi : ed esser soltanto suscettivo di guarigione, sebbene sia complicala alla distruzione del periostio, ed all'alterazione dell'osso, allorché si rende la fistola completa , praticando la contro-apertura nella parte interna del labbro. (ij V. Elenco sommario delle opera^ioni di alta chirurgia eseguite nell'arcispedale di s. Spirito. Roma pel Puccinelli iS58, In 8.0 pag. 26 e 27. 170 Scienze Il bullettino delle scienze mediche ( Bologna pel Nobili, aprile 1840 pag. 229 al 282 ) parla dell'epe- retta del sig. Gattei, facendone convenienti elogi. Alle richieste però che egli fa, onde sapere se alcuno ab- bia curato col metodo istesso le fistole del mento , dice: « esser già da parecchi anni che il nostro so- cio residente dottor Francesco Rizzoli opera la sud- detta fistola con egual metodo e processo, ottenendo sempre sollecita e perfetta guarigione. » Non abbiamo voluto tacere tal cosa , onde sia chiaro quanti luminari onorino la italiana chirurgia. Il dottor Gattei, allievo della romana scuola e dell'arcispedale di s. Spirito, e che i principali pro- fessori di questa capitale tanto stimano, ha mai sem- pre mostrato grande amore per le scienze; e già nel 1882 (i) ci die il suo litotomo, il quale ha il no- tabile vantaggio della sicurezza del taglio, accadendo non raramente col litotomo semplice anche ai più esperti professori di ferire o l'arteria pudenda, o Fin- testino retto, ovvero di non penetrare in vescica. Fe- lici infatti furono i risultamenti delle undici opera- zioni che eseguì col suo istromento. Porge ora alla chirurgia il metodo per sanare la fistola del mento. Egli è sempre intento alla cura degl'infermi, e mo- strasi egualmente saggio sì nel prevenire e sì nell'ese- guire le grandi operazioni di cliirurgia. Di buon'ani- mo quindi e con tutta candidezza abbiara fatti que- sti elogi , conoscendo quanto siano giusti, abbenchè noi consenta la sua modestia. E. C. B. accademico linceo. (i) Litotomo e processo di litotomia di Francesco Gattei. Pe- saro pel Nobili i832 in 4° con tav. ':y- £ 1 -_\ l> IP •■^/ ^ e 0 (- - k I I '" L.B. M 1^ -; SA. b D >G »7" Teorica dei ponti militari. Meritoria comunicata dalla scuola speciale di artiglieria in Castel s. Angelo. i.°*n ogni tempo i fiumi hanno presentato ostacoli alla marcia dell'armate: sovente piccoli ruscelli han- no arrestato interi corpi , e ne hanno cagionata la perdita. Questo al certo non sarebbe accaduto, se le cognizioni relative airarchltettura militare passaggie- ra fossero state più estese: e se avessero gli ufficiali osservato che i soli tronchi de' comuni alberi , o il legname che si potrebbe ricavare dalla demolizione d'una misera capanna, erano più che sufficienti per costruire una zattera, la quale , fermata nel mezzo d' un fiume con raccomandarla ad una salda pietra mediante una corda, sempre facile a rinvenirsi, offriva loro come passare dall'una all' altra sponda con fa- cilità e sicurezza. Egli è ben difficile che nelle vi- cinanze de'fiumi non si trovino i materiali che abbi- sognano per una spedita e facile costruzione, qual'è quella dei ponti galleggianti; ma dall'altro canto egli è indispensabile conoscere in qual» modo impiegarli convenientemente per non essere arrestati dal più pic- colo corso dell'acque, e per adoperarsi utilmente al movimento generale di un esercito. Dunque una teo- rica riguardante il moto de'ponti galleggianti sembra dover essere di qualche interesse agli ufficiali di qua- lunque arme, ed in ispecie a quelli di artiglieria, e di non poca utilità degli eserciti. 172 Scienze Nozioni generali sulla formazione e corso defiumi. 2.° L'acque versate sulla terra dall'atmosfera, sotto qualunque forma, danno origine ai fiumi e li alimen- tano. Una parte di esse, cadendo stilla terra, va di- rettamente ai fiumi: e l'altra, filtrando a traverso le terre permeabili, s'interna fintanto che giunge ad uno strato impermeabile: e quindi per mezzo delle sinuo- sità ritorna alle superficie del globo o per iscaturire a guisa di sorgente o per alimentare i fiumi. Alcune volte i letti che contengono le acque si dispongono in superficie concava, e formano de' vasti ricettacoli, de'larghi sotterranei, dai quali non ponno uscire che da piccole aperture inferiori, o coll'innalzarsi fintan- to che trovino uno sfogo. Le sorgenti di tal natura sono quasi inesauste , e spesse volte sono talmente abbondanti da rendere i fiumi navigabili poco lungi dalla loro origine. Questo gran movimento delle acque sotterranee può conoscersi dalla variazione di livello che si osserva ne'pozzi foi'mati pei bisogni domestici, e dalle acque che si ritrovano in piìi luoghi a pochi piedi sotto la superficie del globo. 3.° Per dare un maggiore svllluppo alle accennate cagioni sulla origine dei fiumi , osserveremo che la evaporazione dei corpi terrestri , delle acque conti- nentali, e specialmente di quelle del mare, dà ori- gine alle meteore acquose che diconsi piogge, nevi, grandini, rugiada, vapori elastici o vescicolari; e che da queste meteore deve ripetersi la origine delle sor- genti, ed in conseguenza quella dei fiumi: perchè la gran copia d'acqua sotto queste diverse forme caduta ' Ponti militari 178 sulla superficie terrestre, parte ài nuovo si evapora, e parte corre o sulla medesima, o al disotto filtran- do nei terréni per quindi ricomparire sul suolo : e da tutto ciò hanno vita le sorgenti ed i fiumi. Le sorgenti si trovano per lo più alle falde, o al declinare dei monti e dei colli; perchè negli uni e negli altri cade più copiosa la neve, la pioggia e la rugiada; e perchè, massime quando sono poco ele- vati, rimangono essi coperti di alberi e piante, che rattcngono i vapori, ed ombreggiando il suolo, dimi- nuiscono assai la evaporazione delle acque cadutevi. Quante volte poi le sorgenti s'incontrino in qualche pianura, si osservano quasi sempre intorno ad esse terreni elevati che le dominano. Le acque, che precipitano su d'un terreno mo- bile, scorrono fra le terre e le sabbie, finché trovi- no uno strato impermeabile ad esse, il qviale suol es- sere pietroso , o di argilla più o meno pura ; scor- rono su questo riempiendone le cavità, e giunte fi- nalmente fra strato e strato , sin dove la superficie impermeabile s'interseca con quella del suolo, spic- ciano in fonti. Come nell'atmosfera i vapori elastici o vescico- lari si trasformano in gocciole, sia pel freddo, sia pel soverchio loro accumulamento; così nell'interno della terra. L' aria pregna di siffatti vapori s' intromette negli interstizi degli strati, nei crepoli, nelle caver- ne, ed in altre cavità della terra: ivi addensato e raf- freddalo il vapore pel contatto delle fredde pareti e del freddo ambiente, massime in estate , si riduce in acqua e produce le sorgenti. Queste, come ognun vede, potranno anche artificialmente ottenersi, facendo passare una corrente d'aria satura di vapore per una in/^ Scienze via praticata a bella posta sotterra. Possono anche ot- tenersi artificiali sorgenti nei terreni incoerenti ed assorbenti, come quelli di scorie, di pomici e di ce- neri vulcaniche , scavando in essi delle caverne , il piano delle quali sia uno strato impermeabile al- l'acqua. Si è creduto un tempo che 1' acqua del mare, filtrando pei coniculi Sotterranei ed arenosi, si con- ducesse ai monti, e vi producesse le sorgenti; ma la filtrazione avrebbe potuto spogliar l'acqua marina del- le materie in essa sospesa, non mica dei sali in essa sciolti. Valse un tempo anche l'opinione di Cartesio, il quale immaginò che 1' acqua del mare penetrasse nelle profonde viscere della terra , e giunta sotto i monti si evaporasse distillata dal fuoco sotterraneo : e che questi vapori, raffreddati nelle caverne e ridotti liquidi, scaturissero in sorgenti dai monti stessi. Ma in prima questo fuoco sotterraneo è puramente ipo- j\ tetico: in secondo quand'anche fosse vero, i luoghi— pei quali supponesi avvenuta la evaporazione, avreb- bero dovuto finalmente incrostarsi di tanto sale, da impedire l'ulteriore ingresso dell'acqua marina. 4.° Concludiamo adunque, che la evaporazione deve riguardarsi come la origine delle sorgenti ed in con- seguenza dei fiumi, i quali tributando continuamente le loro acque al mare, ne perciò rimanendo esausti, debbono dal mare stesso, vale a dire dalla sua eva- porazione , ricevere continua vita. Potrebbe taluno credere che la evaporazione non sia bastante a for- nire sola tutta l'acqua, che in immensa quantità ne- cessita per alimentare i fiumi, e per soddisfare ai bi- sogni del regno vegetabile ed animale. Mariot però nella sua opera « Traité du mouvement des eaux » Ponti militari ijS analizzò siffatta questione: e paragonando la quanti- tà d'acqua pluviale caduta a Parigi, e ne' suoi din- torni in un anno medio, con quella passata nel me- desimo tempo sotto al ponte reale, dedusse dalle sue osservazioni e dal calcolo, essere l'acqua caduta così eccedente quella che basta al coi'so del fiumi ed al mantenimento dei laghi, da dover supporre che il re- sto venisse per così dire impiegato con eccessiva pro- fusione ai bisogni del regno organico. 5.° Si dà il nome di fiume a quei grandi corsi di acque che si vanno a scaricare al mare. Quelli poi che si scaricano in altri fiumi diconsi confluenti. Quei corsi d'acque, che quasi spontanei si for- mano dopo le grandi piogge, o violenti uragani ne' paesi di montagna, si chiamano torrenti. Quei corsi d'acque formati mediante l'opera del- l'uomo, tanto ad irrigar campagne, quanto a facilita- re la navigazione, hanno il nome di canali. Questi differenti corsi d'acqua, solcando in vari sensi la terra, sono altrettanti ostacoli che si oppon- gono alla marcia degli eserciti e che si devono su- perare. Prima però di presentare uno de'mezzi onde riuscirvi è necessario premettere alcune nozioni ri- guardanti l'elemento, sul quale devesi agire, e che si deve in qualche maniera domare onde valicarlo. 6.° I fiumi traggono la loro origine dalle monta- gne, e qualche volta dalle pianure paludose, come il Dnieper, la Dvina, il Niemen ec. Lo scorrer delle acque è dovuto al pendìo del terreno, e la loro velocità tanto è piìi grande quan- to esso è maggiore. Di fatti dal moto in genere, e così delle acque, sappiamo che la velocità è sempre do- vuta all' altezza. I fiumi generalmente scorrono su 176 Scienze d'un seguito di plani inclinati, il cui angolo d'incli- nazione coU'orizzonte varia, e va sempre diminuendo fino a tanto che alla loro foce o all' imboccar nel mare è prossimamente nullo: e spesso in queste vi- cinanze il moto delle acque non è dovuto al pendio, ma bensì alla velocità acquistata dalla massa delle medesime. Di fatti non pocM fiumi^scorrono su d'un pen- dio quasi insensibile; e l'Amazzone per 200 leghe ma- rine non ha di pendio che metri 3™ , 4'* La Senna tra Valvins e Sévres per 11 00 tese ha di pendio o"* , 82; la Loira tra Pouilly e Briare ha o™ , 32 di pendio per i25o tese, e tra Briane ed Or- léans o'', 32 per 2266 tese. 7.° Se le acque nello scorrere non incontrassero re- sistenze, il corso de'fiumi sarebbe una linea retta con- dotta dal punto più elevato fino al più basso, e per l'effetto della forza di attrazione il loro moto sarebbe uniformemente accelerato, poiché la forza agirebbe ad ogni istante con impulsi uguali: ma non succede così nella natura. Le molteplici variazioni nelle elevazioni del suolo, congiunte alle ineguali resistenze che op- pone il terreno alla forza corrosiva dell'acqua, fanno continuamente deviare le acque dalla loro primitiva direzione, e cosi vengono a formarsi le sinuosità de' fiumi. La velocità delle acque trovasi ancora ritardata dall'attrito che le medesime incontrano nel letto e nel- le sponde, il quale, attesa la distintiva proprietà del fluido, si comunica ad una buona parte delle sue mo- lecole. Anche l'aria col suo peso contribuisce a ral- lentare il corso degli strati superiori. Queste resisten- ze si è osservato che aumentano colla velocità, e cre- scono proporzionalmente al quadrato della medesima. Ponti militari «77 Secondo però i più accurati idraulici la resisten- za si compone di due termini, l'uno proporzionale al quadrato della velocità, e l'altro alla velocità semplice. L'acqua coU'obbcdire alla legge di gravità, col seguire la pendenza del suolo, col circond'are gli osta- coli elle non ha potuto vincere, e col trasportare seco ciò che non ha potuto resistere al suo urto, si riu- nisce nelle parti più Lasse delle valli scavando e for- mando il letto del fiume. 8.° Le ripetute osservazioni unitamente alla teorica hanno dimostrato, die la densità della materia traspor- tata dall'acqua aumenta colla velocità di questa. D: fatti nell'alto de'fiumi, o nella parte superiore del loro corso, ove il pendio, e pei'clò la velocità è la massi- ma, si osserva che il letto è ingombrato di grosse pie- tre e di forma irregolare, mentre che ne'punti, ove es- sa velocità viene a scemare, non si trovano che pietre rotonde sempre più piccole, e finalmente alla sua nn- boccatura non si trova che sabbia e terra. Tutta que- sta materia, mossa nel letto del fiume dalla velocità dell'acqua, è trasportata più o meno lontano seconda la sua massa, e viene ad essere depositata allorché la forza dell'acqua non è più capace di vincere la sua resistenza. Cosi l'esperienze han fatto conoscere che spesso il letto del fiume s' inalza nella pianura, mer.- Ix'e si scava nelle montagne. Dopo ciò egli è chiaro che i banchi di sabbia e le isole, che si ritrovano ne'fiumi, sono formati dalle materie che le acque trasportano seco, e che deposita- no allorché perdono la loro velocità. Dunque possiamo giudicare della velocità dell acque di un fiume ne'suoi differenti punti dalla qua..- G.A.T.LXXX1II- la ,17^ Scienze tità maggiore o minore di materia che ne ingombra il letto. 9.° Il letto una volta formato, poche variazioni su- birebbe se le acque scorressero sempre in una ma- niera uniforme e costante: ma l'escrescenze, alle quali i fiumi vanno soggetti , aumentando la massa delle acque, accrescono la velocità del corso e recano così forti cangiamenti nel loro letto. Spesso accade dopo una escrescenza che le acque si siano formate un nuo- vo letto, che si formino nuovi banchi di sabbia, e ne scompariscano i primi: e generalmente l'escrescenze, anzi che scavare il letto de'fiumi, lo allagarono. Quei fiumi poi, che hanno sorgenti da luoghi bas- si, hanno dell'escrescenze straordinarie ne'tempi delle grandi piogge; quelli che scaturiscono dall'alte mon- tagne sono soggetti ad escrescenze periodiclie, le qua- li ordinariamente accadono nel marzo ed aprile, pel primo distruggersi delle nevi, ed in luglio ed agosto allorché 1' eccessivo caldo fonde i residui delle me- desime. I fiumi, che scorrono in regioni situate sotto la zona del tropico, sono soggetti a debordamenti perio- dici, i quali accadono nel tempo d' inverno per le piogge che hanno luogo sotto queste zone, come av- viene del Nilo e del Gange, Gli improvisi scioglimenti del diaccio dei fiumi, gelati per l'eccessivo freddo, cagionano spesso dell'es- crescenze le quali recano forti variazioni ne'loro letti. Si prevede una escrescenza per il cangiamento di colore prodotto dall'aggiunta dell' acque piovane, le quali collo scorrere sulla superficie della terra tra- sportano seco loro delle materie eterogenee che le co- lorano. Ponti mplitari i 79 I barcaiuoli tengono per un segno certo d'una prossima escrescenza l'aumentarsi della velocitala qua- le sconvolge l'acqua nel fondo del fiume. Allora essi dicono che il fiume muove il fondo. Se nel momento dell'escrescenza spira un forte vento di ponente, questo ritarderà la velocità delle acque, le respingerà indietro e produrrà debordamenti considerevoli: mentre che se spira un vento secondo il corso del fiume , questo faciliterà ed affretterà la sua effusione al mare. Se le sponde d'wn fiume sono piane, ricoperte di sabbie, o paludose, od incolte per una vasta esten- sione , è certo che il fiume va soggetto a deborda- menti. Gli argini inalzati lungo le sponde indicano che il fiume va soggetto alle escrescenze. io.° Dall'esperienza apprendiamo, che tutte le mole- cole dell'acqua, che passano nel medesimo tempo per un piano d'una sezione fatta perpendicolarmente all.i direttrice del fiume, non sono tutte animate della me- desima velocità: che nel fondo essa è minor di quella al mezzo: che questa è minor di quella alla stiper- ficie: che finalmente per la resistenza dell'aria la mas- sima velocità si trova poco al disotto della superficie. La veloci; . con cui scorre l'acqua non è la stessa in tutta la larghezza del fiume , onde in varie cir- costanze egli è indispensabile conoscere ove si trovi la massima. Generalmente questa si trova ove il letto è più profondo, e chiamasi y?Zo«e della coiTente. Si è ancora osservato che la superficie dell'acqua dall'una sponda all'altra nel senso della larghezza non forma un piano orizzontale : ma che presenta una certa convessità, il cui punto più elevalo corrispoT'de alla conente più rapida. Questa curva lauto è niag- '8o Scienze giore, quanto è più grande la differenza della velo- cità dal filone alle sponde. Si può conoscere la direzione del filone dall'an- damento delle sponde. Nelle sponde simmetriche e rettihnee esso trovasi ordinariamente nel mezzo del fiume, e nelle rivolte si avvicina di più alla sponda concava allontanandosi così dalla convessa. Pruna di esporre i metodi per esplorare le ve- locità, conviene dichiarare che cosa indichino le espres- sioni, pìccola corrente^ corrente ordinaria, cor- rente rapida^ corrente rapidissima^ corrente im- petuosa. Piccola corrente indica una ve- locità di o™, 5o per seconda Corrente ordinaria . . . . o, 80 a i, oo Corrente rapida i, 5o a 2, 00 Corrente rapidissima. . . . 2, 00 a 3, OQ Corrente impetuosa , alla quale nulla resiste , è quella che in un secondo percorre oltre tre metri. La navigazione su questa corrente è presso che impossibile. 1 1 .° Premesse queste poche e generali considerazio- ni sui fiumi e sai corso del medesimi, è necessario far parola de' mezzi più semplici per esplorare la loro velocità, la profondità e la larghezza: cognizioni in- dispensabili per la costruzione de'ponti militari. Siccome la velocità di un fiume aumenta all'au- mentare dell'altezza delle sue acque, così egli è in- dispensabile osservare questa atteulamente prima di Ponti militari i8i esplorarne la velocità, e ciò per mezzo degli idrome- tri, Vari sono gì' istrumenti destinati a determinare la velocità delle acque, i quali sono noti sotto il nome di tachinietri, voce derivante dal greco, e che significa misura della velocità. Noi però non faremo parola che del più facile chiamato galleggiante semplice. Consiste questo in un piccolo corpo, il peso del quale sia poco minore di quello di un egual volume dell'acqua, di cui si vuole esplorare la velocità. Gettato questo nel fiu- me, egli è chiaro che rimarrà quasi tutto sommerso, ed acquisterà in hreve tempo la stessa velocllà del fi- lone. Poiché se r avesse minore, verrebbe accelerato dal fluido susseguente, e se maggiore veri^ebbe ritar- dato dalla resistenza del fluido antecedente. Dunque osservata la velocità del galleggiante, allorché ugua- glia quella del filone, veniamo facilmente a conosce- re quella del filone stesso. Poiché dalla dinamica ab- biamo 11 = ^: onde cognito lo spazio che percorre il galleggiante in un certo numero di minuti secondi, abbiamo la sua velocità. Supponiamo che in 3o" sia- no stati percorsi i5 metri; avremo in questo caso s = i5," t = 3o,". Onde fatte le sostituzioni sarà Som i5" Dunque la velocità delia corrente è tale da far per- correre 2 metri per secondo. Nel fare uso del galleg- giante conviene procurare che la corrente abbia un iSa Scienze moto equabile, che il galleggiante sia quasi tutto sot- to acqua, poiché se sporgesse notabilmente fuori non potrebbe acquistare la velocità del filone. Di fatti supponiamo pure che la parte immersa abbia acqui- stata la velocità del filone: egli è certo che la parte esterna verrebbe ritardata dalla resistenza dell' aria : questa è quasi insensibile se l'aria è tranquilla, ma cresce di gran lunga se spivi del vento. Conviene ancora osservare che la pendenza del fiume non sìa tanto sensibile, poiché se è altrimenti, il galleggiante acquista una velocità maggiore di quel- la del filone. Di fatti decomponendo il peso del gal- leggiante in due forze, l'una perpendicolare al filone, r aiira secondo il filone , la prima viene elisa dalla resistenza dell'acqua , e l'altra accelera il moto del galleggiante. i2.° Per valicare un fiume è indispensabile co- noscere la profondità delle sue acque : poiché cosi potremo giudicare se debba passarsi a guado , o su barche, e potremo proporzionare il peso de'corpi che debbono impiegarsi per la costruzione de' ponti vo- lanti. Ciò si effettua trapassando il fiume con una barchetta e fermandosi di distanza in distanza : in cia- scuna stazione si affonda verticalmente o un' asta gra- duata, ovvero un cordone graduato , ad un estremo del quale siavi un peso. In questa operazione si tie- ne conto della natura del fondo , la cui conoscenza è indispensabile in moltissime circostanze. iS.'* Uno degli elementi più necessari pel passaggio di un fiume si è la conoscenza della sua larghezza. Vari sono i mezzi, secondo i quali si può giungere alla determinazione di essa. Quando sia mediocre la larghezza del fiume, in Ponti militaci i83 modo che facilmente possa transitarsi dall'una sponda all'altra per mezzo di una navicella, allora si misu- ra questa larghezza con un cordone, che si tende a traverso il fiume. Quando però sia considerevole la larghezza del fiume, si operi come siegue. i.° Metodo. Si fissi (fig* i.^) un punto A sulla opposta sponda , ed un altro B sulla sponda ove si opera. Si conduca con qualunque mezzo l'indefinita BC in modo che sia perpendicolare ad AB. Si fissi un punto C su di essa, e quindi se ne scelga un al- tro D tale che sia in una medesima direzione co' punti A e C, e si formi cosi il piccolo triangolo CDE, i cui lati, rispettivamente paralleli a quelli del trian- golo grande, li riguardiamo come noti perchè possono misurarsi : finalmente si misuri BG. I due triangoli simili ABC, CED ci porgono AB : BG = CE : ED donde E se nell'operare si prende ED in parti aliquote di BC, il che sempre è possibile, allora anche CE sarà data in parti aliquote della stessa AB; onde suppo- RC nendo ED = — essendo n un numero intero, avremo ^ BC. CE AB = -— - = n. CE BC i84 Scienze 2.0 Metodo^ Si fissino come sopra (fig." 2.") l punti A e B. Si scelga un punto C , e quindi un altro D che sia nella medesima direzione di B e C in modo che si;i :dD = BC Si traguardi poscia al punto A, e sulla DA si pren- da un punto E, quindi si scelga un punto V in mo- do clie i tre punti E, B, F sieno nella medesima di- rezione: e sia EB = BF Finalmente si scelga un punto G tale che sia nella medesima direzione coi punti B, A, e coi punii F, C. Nei due triangoli DBE, BCF essendovi, per co- struzione, un angolo e i due lati coniprendcnii eguali, i triangoli sono coincidenti: dunque Tangolo BC-F è uguale all'angolo BDE: dunque la retta CF è parallela a DE, e perciò anche i loro prolungamenti sono paral- leli. Nei due trian goli ABE, BFG ahhiamo per costru- zione i lati BE, BF eguali, e gli angoli adiacenti egua- li: dunque sono essi coincidenti: dunque BA =: BG; onde tolta da BG la disianza che passa dal punto B alla riva, si lia la vera larghezza del fiume. 3." Metodo. Finalmente facendo uso d'un sem- plice quadrante graduato possiamo giungere a cono- scere, forse più esattamente, la larghezza di un qua- lunque fiume. A tale effetto nell'opposta sponda (fig*. 3.^) si fissi un punto A, e nell'altra i due punti qualunque B e C. Traguardando da questi il punto A, si notino in gra- Ponti militari ,85 di gii angoli (a) e (b), e così nel triangolo ABC co- nosceremo il lato BC, perchè può misurarsi, e i due angoli adiacenti: dunque possono determinarsi gli altri tre elementi, e perciò dalla trigonometria sarà BA : BC = senb : sen {a-i- b) perchè l'angolo in A è il supplemento di a-ì-b-, donde BC. senb BA = sen ( a-f-è )' Qui è bene avvertire che se AB fosse perpendicolare a BC, nel qual caso sarebbe a = 90°, si avrebbe ^j. BC. senb onde prendendone i logaritmi si avrebbe log. BA = log. BC 4- log. tang.b. Supponiamo che il triangolo ABC sia qualunque, si abbassi la perpendicolare Am, la quale ci sarà data dall'equazione Am = BA sena, e ponendo qui il valore di BA, sarà ^^ BC sena senb sen ( a -t- ^ ) ..(i), i86 Scienze e di qui log.Am=Alog.BC-i-log.sena~i4eg.senb — log.sen{a^). Siccome è arbitraria la lunghezza di BC, così sem- pre potrà scegliersi tale che i due angoli sovr'essa in- sistenti sieno eguali. In tale ipotesi la formola (i) ci dà AC sen^a BC Am = = — tangM , sen 2,a 2 e prendendone i logaritmi, avremo finalmente log. km = log. BC -i- log. tang.a — log. 2. 14.° Generalmente si dicono ponti volanti tutti quei corpi che oscillando fra una sponda e l'alti-a d'un fiume, sono attaccati per mezzo di una corda ad un pun- to fisso, preso ordinariamente nel letto stesso del fiu- me, e sono messi in moto dall'azione della corrente che obliquamente urta i loro lati. Prima di entrare in materia egli è necessario pre- mettere quanto siegue. E principio ricevuto dalla mag- gior parte de'più celebri idraulici , che se un piano XY in quiete è urtato normalmente da un fluido, che si muove con velocità qualunque, sopporterà una pres- sione proporzionale alla sua estensione, alla densità del fluido, e al quadrato della velocità di questo. Di fatto sia A la superficie del piano, d la dcnsÌLù del fluido, e i^ la sua velocità. Consideriamo una massa elementare di acqua, la quale vada ad urtare contro il piano. Procuriamo di trovarne la sua azione in tut- Ponti militari 187 to il tempo dty per aver quindi quella del primo istan- te. A tale effetto sia clx lo spazio che percorre cia- scun filo fluido nel tempo dt; egli è chiaro che Adx esprime il volume di essa acqua , ed A.qdx la sua massa. Essendo ora f la velocità di ciascun filo flui- do, quella di tutta la massa sarà kqvdx. Ma questa è la velocità in tutto il tempo dt^ dunque quella del primo istante, con cui tutta la massa d'acqua va ad ., . , Aqvdx incontrare il piano, sarà — '— — . dt Quanta è la pressione, tanta è la resistenza che oppone il piano: e chiamatala R, avremo Aqvdx R = dt dx Dalla dinamica abbiamo che ^ = v dt dunque R = Aqv, che è quanto abbiamo annunciato. E questa l'ipotesi del gran Newton, il quale sup- pose che allorquando una corrente equabile urta un piano, tutte le fila fluide, che si trovano nell'induit- tura del medesimo, vadano successivamente ad incon- trarlo, estinguendosi con quest'urto la velocità nor- male al piano. Egli è certo che a tutlo rigore questa ipotesi non può ammettersi: poiché converrebbe supporre che le prime particelle dopo incontrato il piano scomparis- i88 Scienze sero per dar luogo alle seguenti. Ma qualunque al- tra se ne arameUesse, i risai tatnen ti di poco o nulla differirebbero, come lo addimostrano i fatti allorquan- do piaccia far uso di quelle di Gregorio luan, o di Romme. i5." Ciò premesso, sia ( fig.^ 4-^ ) 2 L la larghezza d'un fiume qualunque da traversarsi. R la lunghezza d'una corda orizzontale, un'estremità della quale è invincibilmente fìssa nel punto O, medio del fiume, e mentre all'altra estremità è at- taccato il ponte nel suo centro di gravità M. Uy a' gli angoli formati ai punti di partenza e di ar- rivo M, M' dalla direzione PQ della corrente col- la faccia MB del ponte. by y gli angoli che ai medesimi punti la corda CM forma colla faccia MB parte di CB. V la velocità della corrente supposta la stessa per tutte quelle molecole di acqua che nel medesi- mo istante urlano il ponte. Oi^a dicasi f la pressione della corrente sulla fac- cia CB ( fig.''' 5.^ ), la quale forma l'angolo a colla direzione della velocità PQ. Urtando questa velocità obliquamente il piano CB , dalla meccanica sappia- mo che non tutta s' impiega a spingere lo stesso pia- no : pertanto, supposto che MD = v ne rappresenti l'intensità, si decomponga in due, Tuna secondo la su- perficie CB, come ME, e l'altra ad essa perpendico- lare, come MG: avremo ME = vcosay MG = vsena. Dalle quali componenti impariamo che quanto più l'angolo a si avvicina al retto, tanto è minore la par- Po TI MILITARI 189 te (Iella velocità che &' perde: onde tanto più sì au- menta la forza perpendicolai-e vsena. Per le nozioni premesse dunque al (§. i4.) la pressione esercitata sulla superficie CB sarà espressa da f= k(h>''sen^a • . • (i) ove A rappresenta la superficie della faccia urtata CB^ Comunemente la faccia CB non è verticale, ma inclinata all'orizzonte con un angolo che diremo i : dunque non tutta la J s'impiega a premere : onde si decomponga la f in due forze ortogonali, l'una secon- do la faccia CB, e l'altra ad essa normale: per que- sta vera pressione, che diremo F, avremo F =fseni = Adv^sema seni ... (2) ove è necessario avvertire che l' angolo i è costante nella durata di un passaggio. Se nella formola (i) supponiamo a = 90°, ab- biamo /= Adv^, e rappresentando questo valore con f\ sarà F =:/' seìi^a seni. i6.° Se la superficie BC del ponte non fosse ri- tenuta dalla corda, la pressione F tutta s'impieghe- rebbe a far muovere questa superficie nel senso di MG. Ma una parie della pressione F è distrutta dalla resistenza che presenta al punto O , e tanta ve se igo Scienze ne impiega quanta è necessaria per tendere la corda; dunque essendo MO la direzione della medesima, con facile attenzione, decomponendo in forze ortogonali, avremo MT = Ysenb = Advsen^asenbseni, MG = Fco^ò = K.dv'^senmcoshseni. Di queste due componenti la seconda è solamente quella utile, e che fa traversare il fiume al ponte vo- lante, cioè che gli fa descrivere un arco di circolo , il cui raggio è MO = R. Questa componente utile agisce secondo la tangente al circolo: di fatti per la decomposizione praticata è sempre perpendicolare al raggio; chiamandola P, avremo P = Kdv^sen^a cosb seniy dalla quale rileviamo che la forza, che fa muovere il ponte volante, è una determinata funzione degli an- goli a, b', mentre l'angolo i è sempre costante. Ri- flettendo di più che aumentando o diminuendo l'an- golo a cresce o diminuisce l'angolo b della medesi- ma quantità e viceversa; dunque uno è funzione del- l'altro ; dunque sciegliendo l'angolo a per variahile principale, potremo determinare per a un adattato va- lore, onde alla partenza e all'arrivo del ponte volan- te, la forza P produca il massimo effetto. Perciò, giu- sta la teorica de'massimi e minimi, ponendo M = Adv^seni avremo JP dò — = 2Msenacoiacosb — Msenascfiì). -- = o , da da Ponti militari iqi e togliendo il fatlor comune Msena, si ottiene db 2Cosacosb == senasenb. -r , da Il rapporto -7=1 poiché gli angoli a, b aumen- da tano e diminuiscono della medesima quantità; dun- que dividendo l'un membro e l'altro per cosacosb^ sarà tang.atang.b = 2. Riflettasi ora che al punto di partenza e d*ar- rivo l'angolo b eguaglia l'angolo a aumentato o di- minuito d'una quantità costante, come facilmente ri- levasi dalla (fig.^ I."), ed avremo 6 = a ri: e, ove il segno superiore avrà luogo pel punto d'arrivo, e l'altro pel punto di partenza. Ponendo questo valore di b nell'equazione su- periore, avremo una espressione data solo per mezzo della variabile principale: onde potremo determinare il suo valore che rende massima la funzione propo- sta. Di fatti avremo tang.atang ( a zt: e ) = 2, ovvero tang.a-±:tang.c tang.a = 2; iz^tang.atangx iga Scienze di qui, riducendo al medesimo denominatore, tangm d= tang.atang.c = 2 q^ atang.atang.c , e finalmente tang^a d= Ztang.a tang.c = 2, donde tang.a=z^~*tang.c±\/ [ ^ towg-^c 4- 2 J ... (3). Ove necessita ricordarsi che il segno — del termi- ne 3y^ tang.c appartiene al caso di Z> = « -+- e, cioè all'arrivo; ed il segno H- al caso di b =^a — e, cioè alla partenza. 17.0 Prima di procedere più oltre sarà bene assicu- rarsi se il valore datoci per tanga dall'equazione (3), rende massima la funzione proposta. A tale effetto si prenda il secondo coefficiente differenziale della fun- zione proposta, od il primo di jp ^ = M { Q.senacosacosb — sen^asenb ) da onde, avvertendo essere --< = i» avremo da . — =M C acos^acosb — [^sciiHicosb-^-l^senacosasenh] da* . . d^V La condizione necessaria pel massimo si è ,— Ponti militari iq3 ovvero acos'^acosb — (3senmcosb ■+■ l^senacosasenb ) <; o. Questa condizione nel caso presente sempre si ve- rifica : difatti di qui ricavasi 2Cos^acosb , e finalmente l^(8R3 -H L'.) 4, 3L sena KC(4 R' - L-) -f. t 3L -H |/^(8R' -^ L )p3 ' Dalla medesima relazione 198 Scienze sema ( 3L 4- i/'(8R2-f-L' cos^a ~ 4 { R^ — L^ deJucesi cosa = ^-[(4 R3 _L^) 4- L 3L 4- i/-(8R.+L') 3^]' Egualmente dall'equazione , --3Lh-1/^(8R»4-L^) «an.a = --^ — _ ■ — ', abbiamo 1/-(8R=*-hL2) _3L sena = C05a = l/-[(4 R^ — L^) -H [[^{Ò'K^ 4- L^)— 3L]33 » 2[/"(R=» — L^) t^[(4 R- -. L^ ) ^Tf i/-(8R=H- L^)-3Lpà" Rappresentando ora con T, T' le tensioni della fu- ne al punto di partenza e al punto d'arrivo, e con P , P' le pressioni sulla faccia del ponte volante , avremo pel teorema antecedente T = M-sen^asenb = M.sen'asena' , T' =^ Mseji^a'senb' = Msen^a'sena , v . . P = M.semacosb = Msen^acos'a^ ' ''' P' =: Mscji'a'cosb' = Msemafcosa. Sostituendo in queste equazioni i valori de' seni Ponti militari ig^ coseni dati in funzione della larghezza del fiume, e lunghezza della corda, avremo per la tensione e pres- sione al punto di partenza T= Mi:i/'(8R''-hL^)-t-3L]' [i/-(8R='H-L')— 3L] P= 2M|[l/X8RM-I^)-J-3L]2j/-(R2_L2) (:4(R=^-L2)-{-|:/'(8R2-hL2)-l-3L]23[l/^(4(R--L2)H-[i^(8R2_j-L=')-3La I valori di T' e P' si deducono da quelli di T e P col solo cangiare -f- L in — L; onde scorgesi che cognito M, il quale è uguale ad Ach^seiii, con facilità somma si determinano le tensioni e le pres- sioni. Qui è necessario avvertire che essendo picco- lissima l' inclinazione della faccia del ponte volante all'orizzonte , 1' angolo i prossimamente uguaglia un retto, onde possiamo supporre seni = i, dunque M = Adv\ ig.° Dal confronto delle pressioni alla partenza ed all'arrivo abbiamo P P' sena'tang.a e dalle tensioni 300 a C I E W Z E T sena T T' - = , ovvero = j ; 1 sena sena sena cioè sono esse in ragione diretta dell'angolo che la direzione della velocità della corrente forma colla fac- cia urtata del ponte volante. Dunque la tensione è maggiore al punto di partenza di quello che al pun- to di arrivo; ed è massima quando la direzione della corrente è perpendicolare alla faccia del ponte. 20.° Se la lunghezza della corda è uguale alla metà della larghezza del fiume, allora L=R, ed 01=^90", a' = o, onde cosa = o , sena = i cosa' = i , sena' = o, introdotte queste modificazioni nelle (7), abbiamo per le tensioni T = o, T' = o. e per le pressioni P = M , F = o, cioè nulle saranno le tensioni tanto al punto di par- tenza quanto d'arrivo, e la pressione è nulla sola quella dell'arrivo. Difatti in questa ipotesi la faccia urtata del ponte volante è parallela alla direzione della velocità della corrente, e alla partenza gli è perpendicolare. A questi medesimi risultamenti saremmo giunti qualora ne fosse piaciuto servirci de' valori delle tensioni e pressioni date, in funzione della larghezza del fiume e Ponti militari 201 lunghezza della corda, purché si fossero prese ;le de- rivate prime de'numeratori e denominatori, poiché si presentano sotto la somma di — . ovvero di —1 allor- o o che si faccia in esse R = L. Supponiamo ora L == o : in tal caso troveremo facilmente T=™=f/l= I ^ K P = P i-M — =ÌM -L; 1^27 3 t/-3' cioè tanto le tensioni quanto Ite pressioni del punto di partenza eguagliano quelle del punto d'arrivo. 21.° Quando sia determinato l'angolo a di par- tenza, con somma facilità può determinarsi quello di arrivo, e ciò per mezzo dell'equazione tang.atang.a =2 ... (8) ; poiché da essa ricaviamo tang.d = Q,cota ovvero cota = ^ tang.a Così, dopo conosciuto l'angolo di partenza per mezzo della (5'') , si ha immediatamente quello dell' arrivo senza bisogno di ricorrere alla (6") , la quale esige "un calcolo abbastanza lungo. Con facile attenzione si comprende, che non tutti gli angoli «, a arbitrariamente dati, possono essere 202 Scienze angoli i più favorevoli al moto di un ponte volante, ma che questi sono compresi tra i limiti de' valori, che acquistano le formole (5'') e (6'), allorché in esse facciasi L = R, ed R = co ; cioè infinitamente gran- de, e per conseguenza maggiore di qualunque quan- tità assegnabile. Che non possa esser mai R <^ L, facilmente si rileva da una qualunque delle suddette formole: di fatti 3L4-|/-(8R--L3) ^3Lh-i/-(8R--L^) -A 21/^R^ — L^ 2 valore immaginario, onde impossibile si rende il mo- to del ponte volante. 22.0 Supponiamo dunque i.° L = R. In tale ipotesi le (5") e (6') diverranno 3L 3L 3L 3L tanga = -i- 1 , tang.a'= — ■ 1 , dunque tang.a = co -j- co = oo per la partenza, tang.a = — co -h co = o per l'arrivo dunque, come sapevasi a = 90° a' = o . Di qui a diritto possiamo conchiudere che un limite dell'angolo di partenza è 90°, o di quello di arrivo è zero. 2.° Sia R = OD . E comunemente ammesso dai geometri che la cur- vatura d'un circolo sia in ragione inversa del suo raggio. Ponti militari 2o3 Dunque quanto più questo aumenta, tanto più quella diminuisce: onde supponendo che R acquisti un va- lore infinitamente grande, chiaro apparisce che il cir- colo si trasformerà in una linea retta. E riflettendo che il circolo descritto dal raggio finito R, ha un ele- mento perpendicolare alla direzione della corrente , facilmente concluderemo che la linea retta, percorsa dal ponte volante nel caso di R infinitamente gran- de , è perpendicolare alla direzione della corrente. Dunque se nelle (5 ') e (6") supponiamo R = co , avremo gli angoli di partenza e di arrivo i più favo- revoli pel viaggio rettilineo. In questo caso le formo- le suddette ponno ricevere la forma seguente: tang,a=i tang^a'= L.a quantità ^ in questa ipotesi è infinitamente picco- la: dunque scomparisce a fronte delle quantità fioi- te, onde avremo tang.a = [^2 tang.a = [/'^ . Duncjue concludiamo che gli angoli di parten- 2o4 Scienze za e di arrivo devono essere eguali e costanti in tutta la durata del passaggio, affinchè la spinta dell'acqua sia la più favorevole, e che le tangenti trigonome- triche degli angoli di partenza e d'arrivo devono esse- re uguali a [//r2. 2 3." Con un calcolo semplicissimo possiamo de- terminare il numero di gradi che in questa ipotesi com- petono alle tangenti trovate. Conviene prima ram- mentarsi , che a e un angolo il cui raggio è l'uni- tà : siccome le tavole logaritmiche trigonometriche so- no calcolate pel raggio to'°, così conviene ridurre l'angolo a ad appartenere a questo raggio, ed indi- candolo con a", avremo donde di qui tang.a: tang.a" = r: io'°, tang.a" = io'", tang.a ; log.tans.a" == io -h log.tangM. Dunque affinchè appartenga 1' angolo a al sud- detto raggio, fa duopo aumentare il logaritmo della sua linea trigonometrica di lO unità. Dunque nel caso nostro avremo log.tang.a"=log. io.^° tana=log. io^°[/'2=io-hlog.V^2f ma log.l/'uss'^log 2 =1 (o, 3oio3ooo) =0, i5o5i5oo, Ponti militari ao5 dunque log.tang.a" = IO, i5o5i5oo. Cercando questo numero nella colonna de' logaritmi delle linee trigonometriche , troviamo che corrispon- de a gradi 54,° 44' dunque a = 54,° 44'» e questo sarà il valore tanto per l'angolo di parten- za, quanto per quello d'arrivo. Di qui concludiamo che i limiti,' entro i quali sono compresi gli angoli pel massimo effetto, sono per la partenza da 900 fino a 54»° 44> e per l'arrivo da 00 fino a 54", 44'* { Sarà continuato. ) — 3>>'«g— ao6 SulV inclinazione delVasse della terra. Lezione del professore Michele Santarelli. Lr . . inclinazione dell'asse della terra sul piano della sua orbita , essendo di gradi 22 e minuti 3o , si domandò se tale inclinazione abbia esistito fin dal principio della creazione del nostro mondo , e se si conserverà in tal modo pe' secoli avvenire. A tale ardita domanda si pretese da alcuni aver data soddi- sfacente risposta, prima che fosse stata da essi rag- giunta la cagione del presente stato del nostro glo- bo. Io non ardirò incamminarmi su quel che sarà, e neppure rivolgerò i miei passi su quel che fu. Per- mettetemi, giovani ornatissimi, di sottoporre alla vo- stra considerazione alcuni rilievi, che a me sembrano mostrare che l'inclinazione, a cui è assoggettato l'asse terrestre, fece parte del piano ideato dall'eterno ar- chitetto , allorché creò e dispose tutti gli esseri che abitano e vivono nel nostro globo. Per l'inclinazione dell'asse il nostro pianeta nella sua superficie presenta tre differenti zone. La tem- perata, la torrida, la glaciale. La maggior parte de' corpi organizzati, che nascono e prosperano nella pri- ma , non possono sussistere nella seconda: e quelli, che in questa allignano, sono rigettati e spenti dalla terza , e così viceversa. Uno sguai-do benché fug- gitivo, che il naturalista getti sulla superficie del no- stro pianeta , gli mostra oggetti così vari ne' suoi tre regni, che il pensiero gli farebbe credere di non Asse della terra 207 ritrovarsi in un mondo, ma bensì in tre mondi di- versi; cosi differenti e di opposta natura sono gli og- getti che vi rinviene. Nel nord le superficie delle terre, dei monti , delle valli sono coperte di pini, di frassini, di tassi, di alni, di ginepri, di ben-zeed, di muschi, di licheni, e di molti altri vegetabili che invano si cercherebbero ne'due prossimi lati della linea equinoziale. In queste ultime regioni lo spettacolo è ben diverso. Quivi fio- riscono cedrati, datteri, ignaml, pistacchi, cinnamo- mi, amnioc, hillat, l'albero del sego, il lee-chee , il cardamomo , il caffè , 1' incenso , il loto , e cen- to e cento altre specie di vegetabili, incapaci alcu- ni di vivere , altri di prosperare in opposto clima , e molto meno nella circolare fascia glaciale. Fra que- ste due zone s' infrappone la nostra , la quale pro- duce viti, olivi , fichi ed altre piante , che a stento potrebbero sussistere nel lembo della zona torrida, e non affatto in quello della superficie glaciale. Lo stesso discorso deve ripetersi pe'vegetabili di questa ultima zona , rigettati e morti ogni qualvolta volessero do- miciliarsi nella prima. E dunque nell'ordinamento dell'interno regno ve- getabile , che più climi esistano amici di molti dei suoi individui, ed avversi a gran numero di altri. Que- gli pertanto che creò la terra, l'inclinò prima, e co- mandò in seguito che molte specie di vegetabili d'in- dole e di natura vari vi nascessero, ed in modo li con- formò che alle rispettive temperature fossero atti. Dal che ne segue, che ogni qualvolta la presente inclina- zione dell'asse terrestre venisse a cangiarsi, sarebbero ancora distrutte molte specie di piante oggi esistenti; e di esse tanto maggior copia, quanto più la nuova 2o8 Scienze inclinazione fosse per allontanarsi dalla presente, sia in pivi, sia in meno. Così ancor ne sorge, che l'at- tuale inclinazione di gradi 22 e minuti 3o doveva essere affidata a potenza stabile ed incapace di varia- bilità, quale è quella che noi abbiamo rinvenuta: l'ec- cesso cioè del peso di uno dei due emisferi rispetto all'opposto; imperocché per questa sola cagione tale inclinazione può conservarsi inconcussa, malgrado del rapido movimento del nostro pianeta, e delle azioni dei corpi celesti che fanno parte del sistema solare (Vedi il giornale arcadico tom. 79). I molliplici animali, che abitano sul nostro glo- bo, furono creati collo stesso disegno. Quelli che pro- sperano e si moltiplicano nella superficie nordica , non potrebbero vivere e conservare le loro specie tra- sportati nei climi del mezzogiorno. E molto meno quelli, che noi rinveniamo sotto la zona torrida, po- trebbero avere ospizio e persistere avvicinandosi al polo. A questa doppia serie di viventi la natura as- segnò convenienti alloggiamenti, dai quali non è per- messo ad essi di dipartirsi. Così al luuo cerviero , all' armellino, alle martore zibelline, al castoro, all'er- van, alla lince, all'alce , ed alle renne fu prescritta stanza nelle glaciali terre settentrionali. A quest'ulti- mo si concesse ne'piedi uno zoccolo che camminando si allarga, affine di premere senza affondare con pas- so sicuro la sottoposta neve. Altrettanto si dica di molte altre specie che io per brevità tralascio. Per lo contrario al leone, alla tigre, alla pan- tera, al rinoceronte, e ad altri animali di simil tem- pra fu vietato sotto pena di distruzione partire dalle ferventi regioni del mezzogiorno, e di venire ad inva- dere il paese ai primi assegnato. Aggiungete ora gli Asse della terra 209 innumerevoli generi dei quadrupedi che popolano la nostra zona temperata, i quali possono, se non tutti almeno molti, penetrare negli attigui climi, ma non inoltrarsi ne'medi spazi senza loro detrimento. E quel che ho detto de'quadrupedi , deve anche affermarsi degli augelli, dei pesci, dei rettili. Nidifica la ptarmica sotto il circolo polare, ma è rispinto il suo volo dall' affricana atmosfera. E lo struzzo e le numerose famiglie dei psitaci neppur si provano di venire a moltiplicarsi nell' Europa. Lo scorpione di mare non si rinviene nei mari delle Indie, e mol- to meno il serpente, il diavolo di mare , ed il kra- ken. Il coccodrillo, che fa tremare il passaggiero lun- go il Nilo, il Nigri, il Senegal, verrehbe morto, ove da quelle spiagge osasse recarsi ne'nostri lidi. Era per- tanto mestieri che animali di opposta indole e tem- peramento fossero confinati in abitazioni differenti ed opportune alla loro conservazione; al che soltanto po- teva provvedere 1' inclinazione dell' asse del nostro globo. E colui, che nei dlvisamenti della natura vuol dirigere il pensiero , si accorgerà ben presto che fu- rono posti in accordo i vegetabili di ciaschedun cli- ma cogli animali che dovevano abitarli. Impercioc- ché questi rinvengono ne'primi 1' opportuno e con- veniente alimento. Né invertendo , questo scopo si conseguirebbe: giacché il psitaco non troverebbe nel frassino e nel tasso il suo cibo ; né la lince po- trebbe pascersi del papiro, del pistacchio etc; e così si vada ragionando degli altri animali, e degli altri vegetabili. Questo argomento è tanto fertile di numerosi esempi, che non posso tacermi del tutto, essendomici G.A.T.LXXXIII. 14 2IO Scienze condotto. Non solo gli animali nel climi ad essi asse- gnati rinvengono vegetabili che in detti soli climi prosperano, ma ancora altri animali , che la natura condannò ad esser loro di esca, i quali ultimi ivi si trovano , ove esistono i primi. Imperciocché i pesci e tutti gli altri animali ancora mutuamente divoransi siano essi terrestri, siano volanti: se pure alcuna ecce- zione potrà rinvenirsi. Se ciò non fosse, la superficie, del globo sarebbe coperta da strati di ossami e di scheletri, che dopo il lungo rivolgere di molti secoli si approprierebbe tutto lo spazio, e luogo non vi re- sterebbe da abitarsi da essi. Non pretendo io con queste considerazioni di rintracciare la cagione dell'inclinazione dell'asse della terra. Che questa cagione sia il maggior peso dell' emisfero boreale sopra l'opposto australe, mi sforzai di provarlo nell'antecedente memoria pubblicata nel tomo LXXIX del gioi-nale arcadico. Il presente mio discorso è diretto a conseguire i due seguenti corol- lari. Primo, che l'inclinazione della terra esisteva nel- la mente dell'autore delle cose nel tempo che creò tutti gli esseri organizzati e viventi, sieno vegetabili, sieno animali. Secondo, che ogni qualvolta tale in- clinazione venisse rimossa, il menzionato ordinamento sarebbe rovesciato. Dal che ne consegue, che questa inclinazione, come di sopra accennammo, non può essere l'effetto di cause variabili e mutabili qualun- que elle siano, o quelle che l'umana immaginazione potrebbe inventare, o quelle che fino ad ora furono da alcuni scrittori in mezzo prodotte. Il diseppellimento di ossa non riducibili a sche- letri appartenenti alle specie de'quadrupcdi ora cono- sciute, gli avori rinvenuti in terre settentrionali, nelle Asse della terra 211 quali oggi gli elefanti non abitano , potrebbero far credere che ne'trascorsi secoli l'inclinazione dell'asse terrestre o fosse men grande , o anche nulla. Non oserò io di rigettare quella serie di osteologiche sco- perte, che tanta gloria procacciò al loro autore. Di- rò per altro che non è impossibile creare fittizie spe- cie di quadrupedi sul solo appoggio delle ossa. Chi non crederebbe lo scheletro di un abitatore della Lap- ponia spettare a specie ben diversa dell'umana, ove si collazioni con quello di un patagono? Ed il cra- nio del negro presenta suture non rinvenibili in quello dell'europeo. I climi imprimono agli individui della stessa specie forme e dimensioni sopra ogni credere variate. Non è dunque difficile non cadere in errore in tal sorta di ricerche. Mi suggerisce questo rilievo la moltiplicità degli scrittori, che han voluto parte- cipare alla fama del naturalista francese. Ma non sa- rebbe miglior partito il pensare che alcune specie di animali furono distrutte da altre più forti, senza ri- correre a causa dalle leggi della meccanica respinta? Passeggiava temuto l'ippopotamo nel fondo dell'alveo del Nilo ai tempi di Augusto; oggi non vi si rinviene più. Altrettanto può affermarsi di altri animali di- strutti dai più potenti. Fia meglio adunque a questa naturale e pieghevole cagione attribuir l'esistenza di molte di quelle ossa, che han preso posto nei gabi- netti di Europa, piuttostochè alzar la mano a disqui- librare le leggi del peso e della materia. Quanto poi agli avori rinvenuti ne' settentrio- nali paesi, forse non sempre appartennero ad elefanti, ma alcune fiate furono ossa di quei giganteschi pe- sci che vivono ne'loro mari. Forse altre cagioni, ora non detei-minabili nella lunghezza de'passati tempi, 212 Scienze condussero colà individui della specie elefantina. For- se, oltre agli elefanti, altri animali ebbero ospìzio in quelle terre, le quali nei tempi più vicini alla ge- nesi delle cose conservavano maggior grado di ca- lore, e quale era conveniente alla natura dei suddet- ti animali. Io avventuro questa ultima ipotesi nella suppo- sizione elle il nostro pianeta possegga un calore suo proprio. D'onde provenne ad esso un tal calore? Al- lorché il Dio della natura creò tutte le cose, esse era- no fuoco, terra, acqua, aria. Separò il primo da que- sto caos, e lo collocò nel centro. La terra agglo- merò ne'pianeli, e questa terra risultava quasi inte- ramente di metalli. Alle acque nelle comete diede pe- culiar posto. E colle arie tutti questi corpi avvolse. Il nostro globo era infuocato allora , e bollente , e quindi inattivo e senza abitanti. Le acque in forma di vapore prima le ricoprivano da ogni parte, poi di- vennero fluide. Raffeddaronsi a poco a poco queste e quelle. Le seconde si raccolsero ne' bacini de' mari, e le sottoposte pi'ominenze, che nella superficie del nostro pianeta eran sorte per l'antecedente incande- scenza, vennero interamente allo scoperto. Eran que- ste monti metallici. Le acque e l'aria col concorso dell* elettrico fluido ossidarono a poco a poco queste metal- liche protuberanze, e l'ossidazione non si ristette alla superficie, ma penetrò molto addentro. Si formò al- lora quella crosta, che noi oggi chiamiamo terra. Tale chimico lavoro non fu breve; ed oggi ancora lenta- mente si va eseguendo nei moltiplici vulcani che ar- dono qua e là nel nostro globo. Per lo che il raf- freddamento essendo stato successivo, han potuto al- cuni animali vivere in latitudini oggi ad essi fredde, per lo addiettrp di temperatura ad essi conveniente. Asse della terra 2i3 Cosi io diceva affine di non inasprire quegli che si dilettano di condurre l'immaginazione al di qua e al di là del presente. Quanto a me, 1' Eterno disse: Sian fatte le cose: e furon fatte le cose, coordina- te e fra loro dipendenti. La mia proposizione però non si trova bisognevole di tali sussidi. Gli esseri, che oggi abitano la superficie del nostro globo, richiedono per la svariata loro natura l'inclinazione dell'asse da- gli astronomi determinata. E la richiedono prodotta da forza costante, e non variabile. Questa invariabi- lità e costanza gli fu impartita dall'ineguaglianza dei pesi dei due emisferi. Affermerò di più che rimossa una tale inclinazione, il sole dovrebbe pendere perpendicolarmente e costan- temente sopra l'equatore. Non discenderebbe regolar- mente ora all'uno, ora all'altro tropico. Per lo che non si succederebbero annua diminuzione ed annuo aumento progressivo ed alterno di temperatura. At- teso un calor permanente, aride si rimarrebbero e de- serte tali regioni. Quindi non si vedrebbero mai ri- tornare ogni anno le lunghe stagioni delle piogge, che a quelle e ad altre vicine terre impartiscono fecondità. Aggiungerò, che se codesta vasta superficie del nostro pianeta si rimarrebbe vota di ogni specie di abitan- ti, eguale anco verrebbe ad essere la condizione dei climi temperati ed anche dei nordici. Un'eterna sic- cità coprirebbe i loro monti, le valli, ed il piano. E la ragion si è, perchè dall'annua ineguaglianza suc- cessiva del calore atmosferico nelle diverse parti del globo, nasce prima l'evaporazione delle acque, poscia il condensamento che la segue , e quindi le piogge e le nevi. Il quale grandioso effetto il solo calore diurno e raffrescamento notturno non sarebbero ca- paci di produrre. 2l4 S e I E N Z « Ora, progredendo da una ad altra congettura, ar- rìschierò un' ultima riflessione. Il fluido elettro-ma- gnetico, che penetra e circonda il nostro globo , è attratto dalle grandi masse specialmente metalliche. Per esse devia dalla naturai sua direzione. Allorché Cristoforo Colombo, partendo dalle spiagge della Spa- gna , ebbe oltrepassato per 200 leghe le coste delle Azzore, vide l'ago della sua bussola, che per lo in- nanzi declinava all'est, rivolgersi all'ovest, atteso l'av- vicinamento delle terre del nuovo mondo. L'inclina- zione dell'ago magnetico verso il polo è ragionevole ripetere dalla maggior vicinanza della superficie po- lare verso il centro della terra, paragonata alle di- stanze maggiori, in cui si trovano tutte le altre su- perficiali parti del globo. Tali cose ammesse, non è ragionevole il sospetto che la declinazione dell' ago magnetico, o diciamo la diversità del meridiano ter- restre rispetto al meridiano magnetico, indichi che il centro della sfera del nostro globo non coincida col centro di gravità del medesimo? Lo confesso, que- sta è una congettura. I dotti ed il tempo sveleranno la verità: e la mia ombra gioirà di aver risvegliata l'industria dei fisici, allorché, raggiunta da'posteri, me ne annunzieranno il ritrovamento. :2i5 Dichiarazione delVavv. Luigi Cecconi sulle sue lettere forensi. Jr ubbllcai nel i832 (in ottavo pe' tipi dell' Oli- vieri) certe mie letterucce dirette ad un giovane che avesse determinato scegliere la professione legale, onde preventivamente conoscesse gl'infortuni, clie egli forse avrebbe incontrati. E sebbene fossi cauto nella pre- fazione di protestare: De vitiis cluni loquar, necesse mihi erit vitiosos fingere ; quos fateor nunquani reperisse in hoc giurisprudentum foro', conchiu- dendo: Ceteruni si aliqueni mea verba momorde- rint, ab illius iracundia concludam de se fortuito me loquutum fuisse\ ciò non ostante fui da qual- cuno reputato detrattore dell'onore de'nostri forensi. Questa colpa data mi venne tanto ingiustamente, quan- to che da ogni mia lettera risulta aver io soltanto parlato de'forensi vizi ipotetici, e giammai di perso- ne direttamente. E chi non sa che gli antichi tribunali ebbero fiori di dottrina e di virtù morali in Demostene, in Callistrato, in Iperide, in Eschine, in Dinarco ? Chi non sa che gli ebbero egualmente ne' primi tempi i romani in Rutilio, in Galba, in Scauro, ed in tanti altri delle età seguenti, fra' quali, il dh'ò con Amia- no Marcellino , excellentissimus omnium Cicero orationis imperiosaefiuminibus sope depressos ali- quos iudiciorum eripiens flammis? Chi non cono- sce la serie dei dotti ed integerrimi giurisprudenti 2i6 Scienze del foro romano in fino a noi, sicché ancora è viva la memoria de'Riganti, de'Bartolucci, de'Tavecchi e di land altri ? Siccome per altro restò pure questa serie di virtuosi giurisprudenti , al dir dello storico suddetto, alcun tempo interrotta, quando si vedevano: Violenta et rapacissima genera hominum per fora omnium volitantium, et subsidentium divites do- mus, ut spartanos canes^ aut cretas^ vestigia sa- gacius colligendo ad ipsa cubilia pervenire caus- sarum : quando , abusando della troppa buona fede od imperizia de'giudici, erasi dimenticato che Tullio aveva detto: Nefas est religionem decipi iudicantis; cosi pensai di far conoscere a chi nel foro la prima volta inoltravasi, che se mai tornasse alcuno a depra- varsi , avrebbe di necessità dovuto soffrirne i tristi effetti: sicché, conoscendoli, schivar doveva l'esempio deViziosi. Per la qual cosa diceva nella mia prima lettera: Optimum mihi visum est ante oculos ponere quae in foro se interponent ut lites perdas. Al che do- vesse il giovane prepararsi , affinchè ciò avvenendo, meno gli recasse rancore, appresso il principio che vetus sit iacula praevisa minus ferire. Gli diceva nella seconda essere un vero infor- tunio del difensore la mancanza in lui della religio- ne: poiché: ludices faciìius cum pietate egregio^ (juam parco Dei cultore sermonem habent . . . po- tius illius^ quam huius , amant clientes patroci- nium. E se fin l'ateniese disciplina, ordinando che il recinto del foro e di tutto l'areopago, come luo- go sacro che reputavasi, fosse asperso d'acqua lustrale, non permetteva che ivi entrasse un difensore che non fosse di onestà sonuna e di religione fornito: se pre- Lettere forensi 217 cisamente in seguito fu dagli imperatori romani Leo- ne ed Antemio dichiarato, che non potesse nelle cose del foro occuparsi chi non fosse cattolico ; non mi sembra aver male avvertito, a chi volesse divenir foren- se, i cattivi effetti che i curiali romani sperimentereb- bero assai tristi, quando fossero irreligiosi: conchiu- dendo Religionis oblivio est primum caussarum actoris infortunlum. Nella terza, sesta e settima io diceva, che seb- bene tutti dovrebbero astenersi dal difendere una causa conosciuta ingiusta , pure se un virtuoso le- gale se ne astenesse, altri forse in sua vece prenden- dola ad avvocare con lucro, ne lo avrebbe deriso. At Ubi substitutiiin patronuin caussam ipsam con- tra sensum dicere .^ ac vincere audieris, qui post multos ex caussa confectos nummos te albis de- ridebit dentibus. E ciò perchè sono assai rari nel mondo i Papiniani cui nulla movano ne le derisio- ni, ne la perdita del lucro, né la morte istessa, ad abbracciar la difesa del fratricidio commesso da un Caracalla. Che se alcune volte, ad onta di ogni cura, per- desse egli la causa, io disponevalo nella quarta ad essere anche dal cliente ingiuriato: dicendogli; Ca- ussam denique amittendo clientis gravia probra perpeti conaberis. E di ciò lo ammoniva, perchè a me già Tullio avea detto: Non defendi homines sine vituperatione fortasse posse , negligenter defendi sine scelere non posse. Nella quinta lo avvertiva che sarebbe alcune volte richiesto di difendere ambi i litiganti, egualmente suoi amici: sicché comunque si diportasse , ne andrebbe la perdita dell'amicizia: Unum ex iis^ sive alterum defendaSi sive neutrumi amicitiam exuere debebis. 2i8 Scienze Che spesso i difensori hanno la disgrazia d'in- correre nella odiosità del cliente, obbligati a sborsar loro gravi spese : laonde nella ottava dicevagli : Hi- rudini assimilaberìs, perindc ac si Illa sanguinem, tu pecunias exuas. E nella nona, che infine diverràgli assolutamen- te nemico; poiché: Ille numerata iamqiie odiitm in te incipit concitari: si adversis forensibus tricis lis remoratur, titi vitio non dubitai vertere^ sique caussa cades , tunc fides tibi et auctoritas dero- sabitur. Nella decima avvertivalo pure, che perditore del- la causa dovrà spesso esclamare: Habent sua sidera lites ! Perchè experimentis deprehendas illomet temporis curriculo^ quo tua caussa fuisset clienti adiudicatura,sive testem sive iudicem mori, et in illius locum suffectum, quam fa<^orabileni spera- bas, adversani pronunciare sententiam. Gli diceva nell'undecima, che doveva prepararsi a difendere avanti giudice bensì onestissimo, ma che non sappia conoscere il piccolo fosso, come suol dirsi, per saltarlo invece del piccolo; giudice di quelli che sono atra scelus caligantes in sole^quaerentesque nodum in scyrpo. Che spesse volte avrebbe non poco sofferto ve- dendo prevalere alla sua ingenuità la calunnia , e giudicarsi del merito del difensore dal nudo evento; per cui dicevagli nella duodecima che stesse in guar- dia: Ne mendaciis innumeris ab homine perfrictae frontis compositis putibundus deprimaris , et de te caussa cadente male , de autem iudicio vin- cente optime sentiant. Io avvertivalo nella decimaterza, che possono in- Lettere forensi 219 contrarsi giudici, che sentendo compassione per l'av- versario, non sanno ridursi a giudicare fino a che il cliente giunto alla disperazione non sorbisca la tazza amara di una dannosa transazione , dicendosi allora essere ciò accaduto come efletto di pietà: Sto- machaheris vero audiens iudicevi pietate ac re- ligione inagnum fuisse, qiiod, sententiae retardan- do pronunciationem^ diviteni clientem tuum ad cum paupere adverso transigendum coegerit: perinde ac si commiserato ex propria critmena largam ille erogaverit stipem. Gli faceva nella decimaquarta conoscere , che avrebb'egli assai sofferto irahattendosi in contrari di- fensori che coltivano la causa come un albero dira- mabile in altri molti: Caussae defensione suscepta qua arbiisculum seduto colunt, ut magni fiat in- crementi^ inque plurimos dividatur ramos, quarum uni ab scisso, alii suppleant illieo. Che qualche astuto difensore può insinuarsi nel- la grazia del giudice d'altronde onestissimo; e guai, dicevagli nella decimaquinta e nella vigesimaottava , guai se tal difensore avesse egli contrario ! Tane iu- dex quin praesentiat, sed hallucinatus illum in te dicentem credet ipsum veritatis oraculum. Che potrebbe da certuni vincersi la causa con oscurarsi la verità. li, dicendo nella decìmasesta, muU tis simulationum involucris, et quasi velis obsten- dunt \>eritatem. E nella decimasettima, che per aver cause mol- te bisognerebbe farne il cacciatore: mal ciò convenen- do però all'onesto difensore: essendo d'altronde vero: JSec rem tuam bene facies, ni bene scias ubi caus- sis retia tendas. 220 Scienze Lo preparava nella decimottava a perdere una causa che similissima fu vinta : Stupesces audiens ipsissimo in casu^ ipsissimisque rerum adiunctis^ diversa iudicia emanare. Gli diceva nella decimanona , che gli è neces- sario conoscere non per adoperarle , ma per difen- dersene , le tante vergognose triche forensi ; e che tuttavia avrehbe alcune volte a restarne soverchiato: Devitabis f or san si, Deo f avente, callido adverso caussae actore index esset astutior: si autem vir esset bonus et simplex, calliditati praebenda omni- no tibi est vidima. Nella \igesima e nella vigesimaquinta , essere per un defensore infortunio l'imbattersi in giudice scrupoloso; ed allora: Sic longe inutiliter loqueris, ut ad sanguinis excreationem perveneris. Nella vigesimaprima, che si disponesse alla som- ma pazienza con cliente pussillanime, e perciò in- sistentissimo ; mentre: Circumquaque meticulosum ad te videbis cum facie cadaverosa ac voce sub- missa suae litis expetere notitias, tantaque ìno- lestia afficere, ut tufebri, qua corpus extabescity laboraveris. Potere imbattersi, dicevagli nella vigesimasecon- da, in giudici così teneri di cuore, che non s'indu- cano a rendere ninno dei litiganti malcontento: /w- dicium retardant severitatis obliti, ac ne uni di- spliceant, displicent ambobus. Rinvenirsi difensori che san farsi valere le loro inezie al confronto d'istruito ed onesto, ma giovine forense; per cui nella vigesimaterza conchiudeva: Tan- dem experieris nostro in instituto ingenuos a sy- cophantis opprimi. Lettere forensi 221 Che si guardasse, dicevagli nella vigesimaquar- ta, dall'accettar cause di cliente di cattiva fede: poi- ché : Caussam dices sicam mendaciis ab eo com- positis: dunque veritas nunquam lateat longe, iu- dex veruni a falso distinguens de te pudore affé- cto, caussaque cadente^ pessimam imbibet animo opinionem. Che attendasi il nome di maldicente, dicevagli nella vigesimasesta , quando gli fosse necessario per la difesa manifestare precedenti usurpazioni del con- trario cliente, simili a quella contro la quale egli si oppone: lunge hinc tot tantisque caussarum pa- troni infortuniis, illius iniquani obtrectationem. Nella vigesimasettima, ammonivalo che sarebbe pure una disgrazia se la sua causa fosse decisa col sen- timento dell'aiutante di studio, non ancor perfetto giù- risprudente: perchè: lurisprudentes qua fungi nunc ex repentina pluvie nati apparent quotidie: ii prae- sumptione pieni se iudicibus opitulari offerunt. Essere anche una disgrazia quando il giudice assume un perito curiale: e perciò diceva nella de- cimanona: Forensibus omnibus tricis superatisi pe- ritus crebro per menses anno sq uè victoriae fru- ctus egeno clienti retardabit, inedia iam vita fini- turo. Che sempre male avverràgll, quando l'arbitro o sia tardo d'ingegno, e di volontà somma per appi'en- dere; o sia dotato di somma perspicacia congiunta però a somma pigrizia: Deest illi perspicuitas, et in quaestiones noctu diuque inutiliter incumbens nun- quam animo consequetur\ studium deest huic, qui ingenio tantum confidens suo, caussam nimis levi- ter attinget: diceva nella trigesima. 222 Scienze Usarsi sovente, dopo le tante forensi triche, la restituzione in intiero, francamente considerando: Hoc sanctissimum laesl iuris remecUum^ iniuriam piiti^ dam aeternamque faciendi modus quam saepissi- me fit efficacissimus . Ed in fine lo ammoniva nella trigesimaseconda e nella trigesimaterza, eh' è l'ultima, essere la pro- fessione dell' onesto legale incapace a rendere ricchi coloro che la professano : Quod innumeros indica- re possem, honestis solummodo parvis instituti lu- cris innixos^ egenos interitos: ed esserne corta la vita: Qiiuni caussarum patronus in accuratis scri- bundis ovationibus vitam sedentariam necessario ducas, quumque ideo spiritus valde patiatur in diesy exiguiim tibi vitae curriculum natura cir- cumscripsit. Ora questa pura analisi dimostra che le mie lettere raggiransi tutte sulla mera possibilità de' fo- rensi disastri ; molti de'quali da possibili viziose persone potrebbero derivare, mentre ninna trovasi di- retta a chicchesia. Oso quindi sperare che vorrà ri- credersi chiunque, forse senza leggerle, seguì le al- trui mal fondate opinioni. Avv. Luigi Cecconi Giudice capitolino di appello. 223 LETTERATURA Epigramma greco cristiano da' primi secoli^ tro- vato non ha guari presso V antica Augusto- duno, oggi Autun in Francia^ supplito, dove era dhiopo, e commentato dal p. Giampietro Secchi della compagnia di Gesù, socio ordina- rio e censore della pontijicia accademia roma- na di antichità (i). ^^uantunque la dottrina cattolica , eminentissimi principi e onorandi colleghi, oltre il possesso perpe- tuo della prescrizione e 1' infallibile magistero della cattedra di Pietro, abbia insieme a sua difesa Fauto- rltà de' concili universali , la tradizione di legittimi testimoni nelle opere de' santi padri varie di tempo € di lingue, la pratica de'dogmi in atto continuo en- tro le sacre liturgie della chiesa nell'occidente usate e neiroriente ; il consenso di mille altri eretici per un solo che contraddisse, nella svariatissima turba di costoro usciti ad epoche diverse; essendo essi più di- (i) Questa dissertazione è stata recitata nell'adunanza acca- demica del giorno ii giugno di quest'anno i84o, ed appartiene agli alti dell'accademia medesima. 224 Letteratura scordi fra se, che non è ciascuno di loro da tutti noi; e per restringere molto in poco tutta intiera quella infinita generazione di codici e di stampe, che si po- trebbe chiamare la biblioteca ecumenica della chiesa: vi ha pure per lei, la Dio mercè, altro tesoro nasco- sto d'invitti argomenti, ch'io non dirò negletto da' no- stri maggiori; ma che, hrse per troppa ricchezza non curato, ci resta ancora sotterra quasi più che per me- tà, ed è ciò che raccolto formerebbe il venerando mu- seo del cristianesimo (i). Quali siano le nazioni d' Europa, a cui più che ad altre, la bella impresa di radunar ciascuna la sua parte d' antichità cristiane tornerebh :• sommamente giovevole e gloriosa ; quali al contrario quelle a cui non cale, nò dee calere (2), perchè tacito e perpetuo rimprovero di fede cambia- ta: ha meno bisogno d'essere indovinato, che noi d' aiuti e stimoli a promoverne lo zelo e lo studio nel- la nostra accademia. E dovremo noi dunque, colleghi onorandi, e propriamente in Roma, non esserne cal- di e magnanimi coltivatori? Eppure noi sappiamo assai bene, che invincibile è la forza de'pubblici monumen- (i) Ci arride una dolce e fondata speranza, che dopo i mu- sei etrusco ed egizio, opere immortali del regnante sommo pon- tefice Gregorio XVI, sorgerà degno di Roma il museo delle cri- strane antichità nel palazzo lateranese, e sarà certamente la de- lizia più cara di lui e de'suoi successori. (2) So da buona fonte, che un dotto archeologo protestante della Germania, vista non è gran tempo in Roma un' antichissi- ma iscrizione cristiana trovata ad Ostia, dalla quale apparia ma- nifesto il culto de'santi nella chiesa ad epoca remota, disse che per sé non importava, ma che molto importava per noi; quasi che la verità non importi per tutti, o che si possa dissimulare a danno proprio e d'altrui, singolarmente in materia di religione. Epigramma greco cristiano aaS ti per conoscere le comuni e pubbliclie opinioni de- gli anliclii popoli. E qual v'ha genere di prove che meglio dimostri il consenso della chiesa in una stes- sa fede penetrato da' suoi capi mitrati alle membra del corpo, quanto il tesoro immenso delle antichità cristiane ? Al paragone di questi documenti sarà sem- pre sforzo inutile di sofisma una qualunque biblica interpretazione, che, tacendo il resto, venga smenti- ta ai protestanti, e solennemente sgarata dalle paro- le de'bronzi e de'marmi antichi. Già non fu per l'ad- dietro, e né anco al presente è rarissimo il caso fra noi, che mentre gli eterodossi impugnavano fieri una cattolica verità, venisse fuori a difenderla un qualche sasso. Sono argomenti, egli è vero, di cui non fa d'uo- po ; perchè nessuna di queste è quella pietra, sulla quale è fondata la chiesa di Gesù Cristo. Ma pure mette a bene che gridino anche le pietre contro le ostinate menzogne de'pro testanti. E osservate provvi- denza ! Nel tempo stesso, in cui l'edificante ed apo- stolico clero di Francia si dolca fortemente che molti della biblica società fra gli stessi ultimi aneliti dell' eresia cercassero di propagar per la Francia i loro privati errori; e mentre pure nella vicina Inghilterra, che comincia seriamente a ricredersi del passato , com- battono il dogma cattolico dell'eucaristia, e appuntel- lano quanto più possono la vacillante macchina di Calvino : ecco nella Francia medesima un antico marmo greco , die confuta egli solo gran parte di quelle accuse, per cui gli orgoliosi del secolo deci- mosesto abbandonarono il seno della chiesa romana. Come sia stato scoperto e pubblicato; qual ne sia la vei'a lezione nella sua greca paleografia non ordinaria; quali i supplimenti più probabili di sue lacune; quale CA.T.LXXXIII. i5 226 Letteratu ra lo scopo, 1' arcano simbolico e l'epoca cronologica ; quanti per ultimo i dogmi e i riti antichi della chie- sa confermati dall'epigramma* sarà questa in capi di- stinti la molteplice e grave materia del mio ragionare. CAPO I. Scoperta e pubblicazione del marmo. Questo epigramma venne a luce in luglio dell' anno scorso presso la città capitale degli edui, chia- mata anticamente Bibracte in lingua celtica (i), e poi per divozione ad Augusto yiiigiistoclunum (2), col soprannome in seguito di urbs Flavia aggiuntole dai Flavii suoi protettori Claudio Gotico , Costanzo Cloro e Costantino (3). La distinta menzione del luo- go è molto opportuna; perchè risponde a due qui- stioni d'inevitabile maraviglia, e sono: Onde mai un epigramma greco in mezzo ai celti, e un epigramma cristiano di straordinaria eleganza e antichità? Impe- rocché Augustoduno fioria d'ottimi studi fino dai tera- (i) Cesare de b g. lib. Ili, e. qS dice: Bibracte oppiduin ae- duoru/n longe niaxiintini; e cosi lib. VII, C. 55, 63. Tacito Annal. lib. Ili, e 4^- Auguslodiinum caput gentis, parlando degli edui. (a) Alcuni geografi distinguono Bibracte da Augustodunum, e uè fanno due città; ma converrebbe allora ammettere due di- verse città capitali degli edui; e spiegare pcrcbè gli antichi geo- grafi anteriori ad Augusto, noverando le città degli edui, taccio- no Augustoduno, e i posteriori da Pomponio Mela in poi nomi- nano Augustoduno e tacciono Bibracte. (3; Veggasi Eumenio nella orazione prò gratiaruin actione a Costantino. Più bello di lutti è il nome che ottenne in seguito ir», i cristiani delle Gallie Jledua Christi civitas. Epigramma greco cristiano 227 pi di Tacito (i); ed anche dopo la rovina di quella città le sue famose scuole meniane risursero nuova- mente per opera di Costanzo Cloro, ch^ vi chiamava il retore greco Eumenio, del quale conservasi ancora il celebre panegirico colà recitato in lode di Costan- tino (2). Che il cristianesimo parimenti vi mettesse presto radici, senza salir troppo alto alle notizie del grande avvenimento probabilmente sparse nelle gallie dagli esuli Ponzio Pilato, Erode Antipa ed Erodiade rilegati a Vienna e a Lione, ce ne ha bastevole prova nella storia di quella cliiesa. Poiché, quando Potino ed Ireneo compagni e discepoli di Policarpo, lasciato il loro maestro nella nostra Roma, furono spediti dal pontefice A.niceto nelle gallie a j)redicarvi la fede (3): il che forse successe a richiesta de' galli medesimi: vi andarono in compagnia de'santi Andeolo , Andoco , Benigno e Tirso , nomi a mio giudizio più gallici che greci; e inoltre sappiamo che Benigno apostolo di Augustoduno vi trovò già cristiani una famiglia se- natoria e un ricco mercante (4). Queste cose acca- (i) Annal. lib. Ili , e. 43: Nobilissimani GaUiarum sobolem liberalibus sludiis ibi operatam. Vi si aggiunga S trabone lib. IV, c I. (2) Eumenio nell' orazione prò restaurandis scholis cita la lettera di Costanzo Cloro diretta a sé, dove si dice che la gio- ventù delle Gallie in augustodunensiuni oppido ingenids artibus erudititi': ed è poi Eumenio stesso che chiama scuole meuiane le scuole d'Augustoduno e. 9; Maenianae illae scholae quondam pulcherriino opere et studiorum frequentia celebres. (3) Gregorio Turonese Hist. Frane, lib. I, e. 29; e De Glor. Martyr. lib. I, e. 5 Beda, Martjrol. IV kal. jun. Ugone Floriac. in C /ironie, pag. nò. (4) Gallia Clirist. IV, p-'g- 3 19. 228 Letteratura (levano dopo la metà del secondo secolo; e se la se- mente evangelica inaffiata dal padre celeste non isten- tava gran fatto a germogliare, e perfino il sangue de' martiri era seme di novelli cristiani, non è a stupire che Augustoduno avesse innanzi all'epoca di Costan- zo Cloro una fervida cristianità gi'eca, forse accresciu- ta dall'esule cristianità di Lione (i), ricoveratasi den- tro la sua necropoli (2). Dissi prima di Costanzo Cloi'o; perchè la chiesa greca nelle gallie verso la metà del terzo secolo era ridotta a somma desolazione (3), e singolarmente la chiesa augustodunese nella per- secuzione diAureliano fu quasi estinta (4). Rivisse e rifiorì senza duhbio alquanto dopo sotto il governo pacifico di Costanzo, il quale ristaurò e ripopolò la deserta città, accogliendovi anche buon numero di cristiani; ma tuttavia ci sembra che quella chiesa cri- stiana, risorta allora, risorgesse piuttosto latina che chiesa greca. Dovrà pertanto cessare ogni maraviglia che questo epigramma sia greco e molto antico: im- perciocché si trovò precisamense nel cimiterio di san (i) Sono famose per gli atti sinceri dei martiri di Lione tan- to la prima quanto la seconda persecuzione, in cui perirono Po- tino, e poi Ireneo, delle quali parla insieme Sulpicio Severo nel libro secondo della Storia sacra: Sub Aurelio Antonini filio per- secutio quinta agitata. Ac tum primuin intra Gallias ìuartyria visa ■ . . Sexta deinde. Severo imperante, christianorum vexatio fuit, nella quale Ireneo mori martire colla maggior parte de'suoi allievi. {1) Veggasi l'egregio articolo pubblicato negli annali di fi- losofìa cristiana num. 3 marzo 1840 pag. 171, ^']i. (3) Veggasi l'editore maurino di s. Ireneo nella seconda dis- sertazione previa pag. LXXXII, e seguenti. (4) Usuardo Martyrol. i iunii,e Ausonio Parcntal. e. lY, V. •I Epigramma greco cristiano ^aq Pietro de strata (i) , dove la chiesa augustodunese e con lei le gallie veneravano, per testimonianza di Sulpicio Severo (2) e di Gregorio Turonese (3), il più vetusto santuario di quella cristianità. Pare altresì che vicino a quel cimiterio siano stati prima sepol- cri di pagani, essendosi in altri tempi scoperta in quel luogo la tomha d'un seviro augustale con al- tre iscrizioni gentilesche conservate ora nel museo della città, r^ò già questo si oppone alla santità e all'anti- chità del cimiterio (4); poiché vi sorgevano una volta tre chiese, e il sepolcro privo d'epigrafe ed ornamenti, presso cui giaceva il marmo a quattro pie di profon- dità sotterra, e propriamente sotto un vecchio muro m mezzo ad altri ruderi di fabriche, mostrava d'essere coetaneo agli altri avanzi d'anticaglie romane colà rin- venuti. Anche lo stesso marmo cristiano è reliquia d'an- tiche rulne: imperocché fu trovato diviso in otto fram- menti, due de'quali mancano, ed altri due portano fi) Annali di filosofia cWstJnna n»m. m, settembre i83qy e >1 g.ornale d. Autua intitolato VEduen, .2 settembre i83q (2] la vita s. Martini e. i3. .(3) De gloria confessorum , e. LXXIII-LXXVII, dove pur s. ricorda la basilica di santo Stefano ^ (4) Il cimiterio di Autun non si dee confondere colle no- stre catacombe d. Roma, che innanzi erano cave arenarie, come ognuno sa; e non sulla pubblica via. Egli é probabile che i pH- I-r: ; '/"«""^'°^"- ^'-« ^^^^-^ sepoUi col^, dove poi'f^ ed caia fin dai ter.o secolo la chiesa dedicata al martire' santo Melano Veggans. , lodati annali di filosofia cristiana num. 3 «arzo x84o, pag. ,80. E se nel consolato di Valente e Valenti- n.ano per la seconda volta, VALENTE • ET • VALENTINIANO 1^ LONSS- come presenta altra iscrizione cristiana di quel er:::;:' l "^■^^^'•^ ''"«""^ ^--^^ "- ---ne greca 'dee certamente sabre a più remota età. aSo Letteratura l'impronta dei raffi di ferro che lo attaccavano al mo- numento sepolcrale. Questa in breve è la storia della scoperta del marmo colle circostanze notabili che Faccorapagnano, da lettere private raccolta e da pubblici fogli. L'epi- gramma poi, prima che fosse publicato negli annali di filosofia cristiana stampati in Parigi, per cura del signor A. Bonetty membi^o della società asiatica , fu a me presentato nell'ottobre dell'anno scorso dal signor ab. La Croix clero nazionale di Francia a san Luigi e vicario di Versailles , offerendosi anco- ra con animo generoso a procurarmene un esempla- re , che sembra esattissimo , ed è quello che avete solt'occhio (i). Convinto che questa iscrizione era cosa di molta importanza, e che non era ne' suoi difetti la più difficile a supplirsi e ad emendarsi, posi ma- no al lavoro: ed oggi lo comunico all'accademia, per- chè il sig. abate Devoucoux che col venerando prelato di Augustoduno fu il primo scuopritore del marmo, e ce ne mandò copia, ultimamente ospite fra noi, ap- provò le correzioni e i supplimenti da me introdotti. Confesso che non eguale è la certezza di tutte le nuove lezioni che propongo ; e se un occhio esperto potrà vedere e studiare con agio la lapida: il che a me non è dato in tanta distanza: saprà forse dissi- pare quella pochissima nebbia che a me rimane. Sic- come però con questa nuova pubblicazione io non voglio scemato il merito del primo editore, che com- prese, in generale tutto il senso dell' epigramma , e altronde fu modestissimo ; così nutro speranza che (i) Veggasi la tavola litografica in fine. Epigramma greco cristiano 23 i nessuno, qualora sia mosso da nobile emulazione, vor- rà rimproverare a me cosa che solo dipenda dalla vi- sta del monumento. Il mio più vivo desiderio è, che questo scritto ecciti almeno un qualche famoso elle- nista della Francia ad illustrare una iscrizione di tan- ta utilità; e se uomo tale correggerà qualche fallo da me commesso , purché più felice di me, più fedel- mente si attenga alla scrittura del marmo , io sarò lieto del frutto che ne avrò ricavato. CAPO IL Paleografia e lezioni varianti del marmo , suoi supplimenti e loro ragioni^ versione latina delV epigramma in versi eguali. Tanto la copia che noi ne possediamo , quan- to l' esemplare litografico che se ne ha negli annali di filosofia cristiana (i), sono d'accordo nel rappresen- tarci la paleografia di questo marmo. E chi avrà l'oc- chio avvezzo a distinguere la paleografia de' monu- menti dalla paleografia de'codici manoscritti conver- rà con esso noi nel credere, che lo scarpellino scris- se in questo marmo come se fosse una carta perga- mena. Tale per certo è 1' idea che ingenerano que* compendi di scrittura diminuita nelle voci CEMN , BPOTEOI<= , AAMBAJVE AECn^TA , $00, OANONT«N, IIEKTOPirO, nell'ultima delle quali, oltre alla curio- o sa correzione dell'TO per 010 in YO, si ha pure la novità della linea sovrascrltta al nome IlEKTOPI 010, (i) Numero iii. Settembre iSSg, p. 197. 2.32 Letteratura elle tanto spesso si vede ne' manoscritti per indizio de' nomi propri ; mentre poi non ne conosco altro esempio ne'marmi , tranne forse un caso simile nel- la lapida di Patrone, illustrata da me l'anno scorso nell' accademia , non posteriore ai tempi di Vespa- siano, che pur ci presenta in grande la solita Coro- nide dei codici manoscritti. Lo stesso concetto ci vie- ne eziandio suggerito dalla magra e smilza sottigliez- za de'caratteri, la quale è tanta, che sehbene siano essi ottimamente formati e chiari, tuttavia ci nocque assai: poiché, senza lamentare i pezzi dell'iscrizione per rottura dispersi, nelle parti del marmo più sog- gette a detrimento appena sì scorgono le tracce delle lettere. Da queste premesse per giusta ragione con- segue, che il nostro marmo fu certamente scritto da dotta mano, ma molto più pratica dc'codici che de' marmi ; e se per giunta osserveremo che i caratteri tendono a rotondità di figure, singolarmente i carat- teri E, C, (a), e di più la doppia forma della M nel- le linee I , II , V , e nelle linee VI , VII I, IX , e la forma delle lettere A, A? A somigliantissima, che sono proprietà carattei-istiche d'asiana paleografia, non andremo lungi dal vero affermando che questa iscri- zione cristiana o appartiene alla prima epoca del cri- stianesimo nelle gallie propagatovi dai discepoli di Policarpo, cristiani quasi tutti di Smirne e d'Asia, o per lo meno all'epoca susseguente, in cui cessate le persecuzioni sofferte nella città di Lione , la chiesa cominciò a rifiorire nella vicina Augustoduno, e do- ve probabilmente ricoverò gran parte di que'fedeli sal- vatasi dai carnefici. Altre ragioni anclie più forti re- cheremo tantosto per questa ultima sentenza : ma nep- pur questa dovevasi trascurare, perchè discende spon- tanea dalla paleografia del marmo. Epigramma greco cristiano 233 Ciò posto, passiamo a riconoscere qual sia la sua vera lezione, e quali i suppliraenti più probabili dell' epigramma, che dove è d'uopo si possono introdurre. Per evitare adunque il rimprovero di mal consigliata e leggiera temerità, noi avvertiamo che i nostri prin- cipali fondamenti sono: i. la scrittura del marmo of- fertaci da copia migliore, senza dispregiare ne man- co il pi'imo esemplare: 2. il metro e la quantità ne- cessaria delle sillabe nella greca poesia : 3. il conte- sto dell'epigramma e i sodi prìncipii della greca epi- grafia lapidaria. E prima di tutto notiamo, che la secon- da voce del primo esametro nel nostro esemplare ha salva più che metà della iniziale 0; sicché l'addietli- vo OYPANlOYj che riempie opportunamente colla sil- laba 6E della parola prossima tutto lo spazio lascia- to dalla rottura, a noi sembra supplimento verissimo e senza replica; leggiamo però 0EIOJN FENOC, e non d?5y col primo editore, perchè questo addiettivo de- rivato da Zsjj Giove non sarebbe mai stato scritto a que'tempi da penna cristiana, massimamente nel caso nostro, in cui si accenna la divinità di Gesù Cristo. Anche nel pentametro seguente siamo costretti ad abbandonare il 5aXoo!jar/J.sv5V del primo editore , che pecca contro il dialetto e il metro dell'epigramma : mentre per noi è indubitabile la lezione fino a AAAQ; e giacché il contesto e il metro richieggono che que- sto sia il participio X^X^jy , esso trae necessariamente seco in costruzione la parola ^ONHjxj" , di cui ci re- sta nel marmo la N finale, e che sola basta né più né meno allo spazio vacuo, e non lascia senza su- stantivo l'epiteto AMBPOTON. Il supplimento pertan- to è più che probabile , e 1' accordo del participio AAAQN con TENOG IX0TOG è per sintassi y.ccrù rò 234 Letteratura voov[xvjov wna figura che accresce grazia e forza allo siile poetico. Tutto adunque il primo distico si vor- rà, leggere piuttosto e spiegare come segue: "I;^Sucg ovpcjV:ìo sarebbe contrario al contesto e alla quantità del metro; BAHTE, BAYON, BAETEO si allontanerebbero troppo dalla scrittura; ©A AIIEO, che altri volle, aggiugne un A gratuitamente, e non sal- va il metro e darebbe un concetto ridicolo da secen- tista. Non resta dunque a scegliere altro che ©A^ON, ovvero ©AIITE, ed io prescelgo quest' ultima voce ; perchè non ammette né più, né meno di quante let- tere leggonsi nel marmo: e d'altronde ella non offen- de la misura dell'esametro, egregiamente risponde al contesto dell'epigramma, e, ciò che più monta, prov- vede ancora al reggimento de' casi ©ECIIECIQN TA- Epigramma greco cristiano aSS ATQN— TAACIN AENAOIG sottintesavi la preposi- zione vTiQ , la quale espressa con questo verbo nell' Odissea (i), è poi taciuta egualmente nella tragedia d' Eschilo / sette a Tebe (2). In fine dell' esame- tro va ietto ^rXHN, e in principio del pentametro non può leggersi Y^uai 'jolz vdocg in tre parole col primo editore, ma dee leggersi unicamente TAACIN AEÌN"A0IG , che non è frase insolita per esprime- re il battesimo , e noi ne abbiamo una simile nel AOYTPOIC AENAOIG d'altra antichissima iscrizione cristiana, anch'essa metrica, trovata nella chiesa roma- na di san Clemente (3). Conchiudiamo pertanto che il secondo distico , in cui parlasi del battesimo , si dee restituire così : Rite sacris anima sepelitor^ amice, sub iindis: Dives ab aeternis mente redibis aquis. Procedendo al terzo distico, incontriamo subito nel principio dell'esametro un intoppo; poiché le voci CQTHPOG AFIQN danno per secondo piede un tribra- co, invece d'un dattilo, che turba non poco la giusta misura del verso. Altri scuserà questo sconcio coll'arsi metrica e colla forza dello spii'ito aspro; ma queste a mio giudizio son vere gherminelle, che ammesse una (i) A, 52. (•i) V. ioo8. (3) Iscrizioni del Marini pubblicate nella collezione vatica- na dall'erainentissimo cardinale Angelo Mai, pag. 180, nura, 4- 236 Letteratura volta rovescìerebbero i canoni della greca prosodia. Fondato adunque nella sola d.v.okcv'òiot. della sintassi, io mi slimava lecito e necessario introdurre la particella 5i congiuntiva fi'a le due voci; ma essendomi poscia accorto che il calco del marmo ci offre realmente uno sgorbio slmile ad uà A scritto in mezzo a carattere più minuto, come si suole dal nostro quadratario, non esito punto a crederla supplimento certo. Con questo però non è sanato ancora l'intiero esametro: imper- ciocché l'ultima voce, che dee formare uno spondeo, non può essere RsotJi lettavi dal primo editore, che sommistra un giambo: ma deve essere /jpooaov cibwn, di cui nel nostro esemplare è bastevolmente leggibile la prima sillaba, e sola soddisfa al metro ed al con- testo. Siamo al sesto verso, cioè al pentametro del terzo distico , che per la dottrina cattolica dell' eu- caristia è di straordinaria importanza; e la Dio mercè quantunque i caratteri siano alquanto sbiaditi, non v'ha grecista mediocre che non sappia leggerli. Una sola voce richiede attenzione, ed è la terza del pen- tametro che il primo editore ha letta AION"- Dovca riflettere che in questo luogo il metro esigo un giam- bo e non già un trocheo, qual è dato da quella pa- rola; e noi salveremo prosodia , metro , contesto e scrittura del marmo, se leggeremo AYOIN, accordan- dolo con riAAAMAlG. E dunque redintegrato anche il terzo distico , il quale riesce a questa bellissima sentenza : 2^sìTr,ooq S' «yrjy ueXjvjSsa Xcìix^ocjz /3py^.5V Sume cibunif sanctis quem dat Servator alendis: Mande, bibe, amplectens IX0YÌN' utraque manu. Epigramma greco cristiano 287 Tra le molte singolarità di questo epigramma ereco non è viltima quella , onde il poeta cristiano lo volle distinto in due diverse parti. La prima com- prende gli oracoli divini del Salvatore intorno ai sa- cramenti del battesimo e delFeucaristia da noi finora commentati , ed ha per metro suo proprio il metro elegìaco colla giunta dell'acrosticliidc in principio di ciascun verso , che compone la celebre e simbolica voce IX6TC, secondo lo stile degli acrostici sibillini attestato da Varrone, da M. Tullio e da Dionigi ali- carnassese. Finita la parte elegiaca, cessa affatto l'acro- stichide; e succede in cinque esametri eroici la secon- da parte, che contiene due preghiere, l'una diretta dal poeta al Salvatore per la defunta sua madre, l'altra al padre suo di nome proprio, scongiurandolo colle lagri- me a ricordarsi di lui insieme colla madre. La scena è veramente tenera e abbonda di pietà cristiana ; ma la restituzione de'versi, spezialmente in fine, è la mag- gior prova, a cui possa soggiacere un povero ellenista. In principio del settimo verso il primo editoi'e ha letto "I/ooiGi yj.voi ^od(x. hXoctco, e con questo sforzo ha mo- strato quanto sia difficile la genuina lezione di que- sto passo. Confesso l'ignoranza mia: per me queste parole terra fundat ichorem^ o/jto, altro non han- no che un senso assurdo. Inoltre ìyw/3 è di genere maschile e non può dare l'accusativo f/'-'^p, che tutto al più sai'ebbe \yjit secondo Omero (i). Al contrario il confronto de' due esemplari, l'uno in carta lucida, e l'altro in litografia che ho sott'occhio, non mi lascia- no dubbio per la prima parola 1X0TI dell' esame- (I) II. E, 416. 238 Letteratura tro , e per la terza FAAIAAIQ che concortla colla prima parola e ne deLermina il caso. Solamente la se- conda voce intermedia è alquanto incerta; ma fra tre lezioni per me sole possibili, quella che conserva il X iniziale e l'A finale abbastanza chiaro, e meglio ri- sponde agli altri fuggevoli caratteri e al contesto del marmo, è la voce XHPEIA \}idua. Di fatto il figliuo- lo Pettorio in questo e nel seguente esametro prega per sua madre , alla quale il marito era premorto : ne mi pare che la sintassi poetica della voce XHPEIA» forse presa da /pvj e /.P'^joBui^ si possa opporre a que- sta lezione sì prossima alla scrittura, che d'altron- de ci presenta un cristiano sotto il simbolico nome di pesce galileo, secondo 1' antico parlare de' nostri maggiori. L' esametro poi che succede, e compie il senso della prima preghiera, mi persuade a leggere in questo AECnOTA COTEP, come richiede la lingua , benché si possa difendere anche il vocativo CQTHP, se la H è veramente nel marmo. Leggo adunque in seguito ETEIAEIN infinitivo assai visibile nel calco, e quindi AITAZE ME e non AITAZQGE, tra perchè tale è la genuina scrittura del marmo, voluta ezian- dio dal metro , e perchè AITAZE sostiene tutta la costruzione , la quale fuori del verso sarebbe /xvjrvjp ilcTu^i y.z evzi^ih ai, u/2 v.i[_-/y.'\piGixi'jz Su/xw 1w jLT.CvjTiOj yXuzsp'^, CTuys v.a.ì ^oc/.pyJotat)) iixo'ìci'J 'I^Xacr^stg vlov aio] [xvÓ'jZo Tltv.xorjioio IX0YG, patrc Deo Deus., immortalia sancto Mortales inter corde locutus ait: Rite sacris anima sepelitor^ amice, sub undis; Dives ab aeternis mente redibis aquis : Sume cibum, sanctis quem dat Servator alendis', jl Munde,bibe,aììiplectens IXQYN utraque manu. ■ Orba viro mater galilaeo pisce, Redeiuptor, Cernere te prece me petiit, lux luce carentdni. Epigramma greco cristiano 243 Aschandee pater .^ vita mi Ili cariar ipsa^ Tu Clini maire mea, nato lacrjmante, piatiis Pectoriì, pater i ipse tui niemor esto precantis. CAPO III. Argomento^ arcano simbolico^ ed epoca delV epigramma . Dal luogo, in clie fu trovato, cioè presso un se- polcro, con indizi manifesti che vi fosse anticamen- te congiunto per epitaffio; e in un poliandro prima comune a'gcntili, e in parte anclie a'cristiani d'Au- gustoduno in età remota, con (jael riserbo però che tal sentenza richiede per un santuario famoso nelle Gallie (i); e in fine, ciò che più monta, da tutto il contesto medesimo dell'epigramma egli è chiaro che questo marmo è lapida sepolcrale; e sembra che l'e- pigrafe fosse composta da Pettorio pel sepolcro della madre, perchè lei sola raccomanda al Salvatore ; ma (i) Si possono leggere nell'articolo AeWEduen sopra citato le iscrizioni pagane trovale in questo luogo: ma bisogna avver- tire che sono tulle latine, ed anteriori lilla conversione d'Augu- stoduno. Le sole cristiane sono parte latine e parte greche, come altra colla semplice voce TAZO'l'TAAKION raccolta fra le rovine d'antico edifizio. Nella chiesa di san Pietro de strafa era fra gli altri il sepolcro di san Reticio vescovo d'Augustcduno , di cui s. Agostino cita l'autorità contro Giuliano lib. I n.o 7, allegando un'opera di lui intorno al battesimo, e che da san Girolamo de script. eccl. cap. 82, e nella epistola 3^ a Marcella, dicesi sub Con- stantìno ccleberrìinae fnmae hi Gnlliis: citando egli pure altre due opere di questo santo padre della chiesa latina, che dal concilio romano sotto il pontefice 3Ielchiade i'u scelto giudice nella causa de' donatisti. 244 Letteratura quand'anche sia stato per un sepolcro bisomo o tri- sorao, che è quanto dire anche pel padre e per sé; poco importa a conoscerne lo scopo : imperocché sa- rà sempre un'epigrafe sepolcrale e di genere eucolo- gico , come sono quasi tutte le sepolcrali iscrizioni de'primi cristiani. Fissata intanto questa idea , non solo è palese il perchè questo epigramma sia doppio, cioè parte elegiaco e parte eroico; elegiaco nel rife- rire gli oracoli del Salvatore, eroico negli elogi della madre e del padre defunto : ma rendesi anco giusta ragione dell'altro oscuro, perchè questo poeta cristia- no a])ljia ricordato due soli sacramenti. Egli prega per sua madre, e prega il padre a pregare per lui; e que- ste prcgliiere erano inutili , se i genitori non erano ambedue cristiani; ma ne'tempi antichi, in che dopo il battesimo si amministrava subito l'eucaristia, dive- nir cristiano era lo stesso che ricevere questi due sa- cramenti ; e inoltre senza il primo non ci ha salute, e in virtù del secondo è a noi promessa la risurre- zione futin^a e 1' immortalità. Ottima dunque fu la scella del poeta, e sarebbe ignoranza degli antichis- simi riti della chiesa argomentar da questo epigram- ma l'esistenza di due soli sacramenti nella chiesa me- desima. Cresce ancora la ragionevolezza di questa esclusiva menzione, se per poco si attenda ad altro antico costume delle Gallio , e singolarmente della chiesa d'Augustoduno; cioè di seppellire i defunti nel battisterio : vecchio abuso che per testimonianza di Gregorio Turonese (i) durò colà fino all' epoca del sesto secolo ; imperocché qual maraviglia che un an- (i) In vitis l'atrum cap. VII, a. Epigramma greco cristiano 245 lieo cristiano di quella città, sopita il marmo sepol- crale (le'suoi genitori collocato appunto nel batliste- rio di santo Stefano (i), ricordi i due sacramenti, onde forse in quel luogo essi furono rigenerati ? Lo scopo adunque della lapida , e il contesto dell' epi- gi'amma allusivo a'riti antichissimi della chiesa , che meglio ancora in seguito conosceremo , accresce pre- gio a ciò che dice, e non lo scema a ciò che tace. Ma poco è questo per dimostrare l'antichità dell' epigramma , se voglia confrontarsi coli' uso e collo studio dell'arcano simbolico palesemente affettato in tutta l'epigrafe. Non la sola voce IX0YG e l'acrosti- chide sua, ma quasi ogni verso era un enigma per chi non era cristiano : e lo stile poetico non basta per difendere una tale stranezza di concetti. Di fatto quale idea poteano trarre i gentili, non consa- pevoli de'simboli cristiani, dal significato ordinario del primo distico ? Piscis caelestis dwinum genus pe- ctore '.'enerando fudit oracula^ vocem edens im- mortalem Inter mortales. Quale altra dal secondo ? Sacratis aqids tuam , amice , sepelito cinimam , aquis perennìbus locupletis sapientiae. Quale dal terzo? Accipe autem cibiun sa?ictorum,uti mei dul- cem, Salvatoris donum. Manduca^bibe, ambabus pi- scem tenens pahnis. Quale in fine dai cinque versi che seguono ? Pisce indicata galilaeo. Domine sal- vator, me precabatur mater, ut te posset intueri, o lux mortuorum. Aschandee pater, meo caris- sime animo. Tu saltem cum maire lacrfmis pia- (i) Gregorio Turonese, De gloria confcss. e. 73. Basilica s. Stcjìliani, (/une huic couiungilur cocrneterio. 246 Letteratura tus meis , memento Jilii tui Pectorii. Basta met- tersi almen col pensiero in persona d'uomo pagano per conoscere quanta esser dovea la difficoltà di pe- netrare il senso nascosto dal poeta sotto il velame delli versi strani. E chi mai potea credere che un pesce fosse nato di Dio, e cascato di cielo, e clie ta- le individuo del muto gregge non solo parlasse, ma desse oracoli dal suo petto come da sacra cortina, e questi con voce che fosse pur cosa immortale fra noi mortali ? Chi avrebbe mai capito, ignorando il sacra- mento del battesimo coi dogmi annessi, l'assurdo pre- cetto di seppellir l'anima nelle acque per ricuperare la vita, e attingere da queste quasi da fonti tesoro di sapienza ? Chi poteva indovinare che il cibo de' santi fosse un pesce, e perchè, invitandosi gli amici a mangiar questo pesce, vi si aggiugnesse ancora che pur si beva ? Un pesce si può ben mangiare in qua- lunque tempo, ed anche a lauta mensa; ma bere mai no. E poi: che significava per un pagano quell'altro pesce galileo, di cui ci dice che vedova era sua ma- dre ? In somma chi non avea la cliiave degli enigmi, dovea leggere questi versi come se fossero stati ora- coli d'una sfinge. Qual fu pertanto la causa di così studiata e molteplice oscurità, accresciuta in questo epigramma della continua antitesi de'concetti, se non fu la necessità di sottrarsi alle accuse e alle furie degl'idolatri ? I persecutori allora tre gravi delitti ap- ponevano ai cristiani : r^(c< intff^ixC^ovafj vjjuTv iyy.Xrr lJ.ux(X, come dicono Atenagora (i), Giustino (2) e Ter- (i) Legatìone prò ckristianis pag. 282, u. 3, ed. maur. (a) la apologia minore u. 12. Epigramma, greco cristiano 247 tulliano (i); eJ erano delilto d'ateismo à^sc'rvj;, per- chè adoravano un solo Dio; cene liestee ^uzotcCX Qs?- TTVZ 5 perchè si cihavano del corpo e del sangue di Gesù Cristo; cjojrrsosjsyg [xt^ttg ^ perchè chiamandosi tra loro e fratelli e sorelle, tuttavia si ammogliavano e maritavano fra loro come pur fanno i cattolici al presente: idìaig àdù.'poccg aviJjjAyvvrj^cci , così Teofdo antiocheno (2). Ora fra queste infami calunnie, apposte una volta anche agli stessi cristiani delle Gallie (3), la cena tiestea non era l'ultima ; e noi qui trovando velato sotto l'arcano simholico del pesce il sacramen- to adorabile dell'eucaristia, teniamo per cosa eviden- tissima, che l'epigramma fu scritto quando l'ira degl' idolatri condannava perciò la fede in delitto capitale, e cercava a morte i seguaci dell'evangelio. Sarebbe poi sfarzo vanissimo d'erudizione, ono- randi colleghi, numerar fra voi le testimonianze au- torevoli degli antichi padri che ci spiegarono il sim- bolo del pesce. Non v'iia scrittore di cristiane anti- chità, che per la moltitudine de' monumenti o del solo pesce fregiati, o della voce IX0TG, non abhia col- to il destro di ripeterle (4) : io dunque vi cesserò questa noia, e osserverò solamente, che quanti scris- sero innanzi a Costantino accennarono e insegnaro- no il simbolo ai cristiani, ma non mai l' interpreta- rono. Clemente alessandrino esortava a portarlo scol- (i) Lib. I ad nat. cap. 7. (a) Ad Autolycum lib. Ili, n. 4- (5) Veggasi la lettera delle chiese di Vienna e di Lione pres- so Eiiseliio Jlist. eccl. lib. V, e. i. i4) Vcgg:isi per tutti la lunga dissertazione del Costadoni nella raccolta calogcriaua lom. XLI, pag. -i^-j. 248 Letteratura pito negli anelli (i), e noi lo troviamo nelle gemme degli antichi cristiani {2) ; anzi lo cliiaraava marga- rita (3) fra molte margarite, forse alludendo al pre- cetto del Salvatore: NoUte dare sanctum canibus^ ncque inittatis margaritas vestras ante porcos [l^)\ ma niente aggiugne che ne sveli l'arcano simholico. Origene parlando di quel pesce, dalla cui hocca tras- se san Pietro il ricliiesto didracma del censo, in lui riconobbe il simbolico nostro pesce (5) ; ma tacque il perchè. Tertulliano dicea: Nos piscicali secundum IX9T1Y nostrum Icsuin Christum in aqua nasci- mur (6), e forse disse più che non dovea. All'oppo- sto Ottato milevitano (7) insegnava: Piscis nomen^ secundum appellationem graecam^ in uno nomine per singulas literas turbavi sanctorum nominum continet. IX0YG enim latine est Jesus Chris tus Dei Jllius Salvator; e più chiaramente ancora santo Ago- stmo (8): Graecorum quinque verborum^ quae snnt lTn;9iov Tlò; 2coT>jp, quod est latine Jesus Cliristus Deifdius Salvator^ si primas literas iun- (i) Paedag. lib. Ili, e. 1. {1) Veggasi la nota del Vallarsi all'epistola VII di san Giro- lamo, dove si ha: Bonosus quasi /ìliiis "l^5tjo;, idest piscis aquo- sa petit ; e la corniola pubblicata dal Miiigarelli in iVonle al suo libro yeterufn testimonia de Didyino Alexandrino casco. (3j Paedag. Lib. II, e. i^; e Stromat Lib. 1, àynoWoti; Toìg (/■upyapi roti toìi; i/,ixpoti ò Si'g, hSs ttoAX:? t»j twv l'ySt/wv aypcc 6 KaX- (4) Malth. VII, 6. (5) la Mattli. tom. XIII, n. io. Iv J ^v 6 Tpom-AÙi; Xsyo/jtEvoj IX9T2 in quo is erat qui tropica PISCIS appellatur. (6j Lib. II, De baptismo cap. l, u. 2. (7) Advera. Pana. lib. III. (8J De civ. Dei, lib. XVIII, e. 20. Epigramma greco cristiano 249 gas, erit IX0YG, ìdest piscis, in quo nomine my- stice intellì gitili' Christus. Ora io dimando, perchè tanto enigma ne'primi, e tanta cliiarezza di senso ne' secondi interpreti ? Perchè finito il pericolo, finì l'ar- cano. Il nostro epigramma adunque, in cui l'arcano simholico dell' IX8TG per indicar Gesù Cristo figliuo- lo di Dio, Salvator nostro, è tre volte ripetuto, e do- ve pure in armonia con Tertulliano un uom battez- zato simbolicamente è pesce galileo, deve appartene- re ad un'epoca della chiesa ancor soggetta alle leggi persecutrici. Sono trascorso senza avvedermi dall'arcano sim- bolico all'epoca dell'epigrafe. Avrei voluto e dovuto, accademici, rimproverar giustamente di somma teme- rità certi moderni , e perfino cattolici interpreti de' simboli cristiani, i quali seguendo, forse incautamen- te , le pedate di Creuzer , di Strauss e di qualche altro incredulo sofista della Germania boreale, e per una inesplicabile cecità degradando con essi il cri- stianesimo alla classe delle mitologie, tra non poche altre assurdità hanno confuso i pesci de'sepolcri pa- gani, usati nei riti esecrabili di Pluto , con questo innocentissimo simbolo de'piùmi fedeli. Non vale che i padri, fin da Clemente alessandrino che lo appella espressamente KaXXj>;3uc, quasi tutti ad una voce, de- ducendo gli altri simboli dalle figure profetiche ed evangeliche , deducano anche questo dal callionimo j^escc di Tobia come profetico tipo del Salvatore, che certo sgombra da' corpi il demonio e illumina i cie- chi. Non basta neppure che, oltre il tipo del solo pe- sce, molti fra loro spieghino ancora 1' uso frequente della sola voce IX0YG tratta, come ci attestano, da un acrostichide di versi sibillini applicati dai primi aSo Letteratura cristiani a Gesù Cristo; il favolo confronto di pesci adoperati in misteri abominevoli dimostra per loro, che il pesce cristiano è il pesce consecrato a Pluto. Quat- tro secoli adunque di martiri cristiani, clie meglio di noi senza dubbio conobbero, e con tutte le potenze dell'anima abborrivano i riti ncfondi della crudele ed impura idolatria, non impedirono nel secolo dc'lumi che le tenelne di Plutone si confondessero colla can- dida luce del cielo ? Ma tiriamo un velo, almen di rossore, sopra queste vergogne della scienza archeo- logica: e seguitiamo pure a circoscrivere 1' epoca di questo monumento (i). 11 nostro epigramma è prezioso per la quistione famosa de'versi sibillini : imperocché scoperto fra una cristianità discepola di santo Ireneo, è molto probabile che coll'acrostichide de'primi suoi cinque versi accenni alla vera acroslichide sibillina. Premetto in questa materia diffìcile alcuni punti di critica indubitabili, e sono : i. E una storica verità di fatto che vari oracoli, veri o falsi che fossero, esi- stevano sotto nome d'oracoli sibillini innanzi alla ve- nuta di Gesù Cristo (2): 2. E un'altra storica verità, (i) Gli archeologi, che non lianno il necessario corredo delle scienze ecclesiastiche, e non ne conoscono la mutua connessione, abbiano almen la modestia di non mischiare le sacre colle pro- fane cose. L'argomento de' simboli cristiani non è per tutte le penne; e se la nostra Italia lo vorrà vedere trattato colla erudi- zione e colla dignità che gli conviene, aspetti l'opera del signor abate Luigi Polidori a Milano, e saranno paghi i nostri voti. (2) Veggasi M. Tullio in Ferrem lib. IV, 49; e in Cat. Ili, 4. Tito Livio lib. XXXVIII, 45. Pausania lib. X, 9. Plutarco in vita Demosth. ed. Reisk. voi. IV, pag. 723. Plinio Hist. nat. XIII, i3. E per lutti Birg. Torlacii libri sibfllistarum veteris ecclesiae crisi, quatenus monumenta chrisliana sunt,subiecti. Hafniae i8i5. Epigramma greco cristiano aSi se dobbiamo credere a Varrone (i) , a Marco Tul- lio (2) e a Dionigi d'Alicarnasso (3), che i versi d'al- cuni almeno fra questi oracoli erano acrostici, e per tal modo acrostici clic dalle lettere di ciascuna voce compresa nel primo verso incominciavano per ordine i versi susseguenti: 3. E parimenti un'altra verità di fatto, elle di questi antichi oracoli sibillini alcuni era- no applicabili al Salvatore; poiché senza contare le applicazioni che ne fecero san Clemente romano, san Giustino martire (4), Eusebio ed altri padri (5), l'eglo- (i) Presso Lattanzio De vera sapientia lib. I, cap. 6; IV, cap. i5. (2) De divinatione llb. II, n. 54- Non esse autem illud Car- men far enlis, q unni ipsum poema declarat .... twn vero ea qiiae ccxpocrri^ig dici tur, qiiwn deinceps ex primis versuum lileris ali- quid connectitur^ ut in quibusdam ennianis .... Atque in sibrllinis e.x primis versus cuiusque literis illius sententiae Carmen omne praete.xitur. f3) Antiq. Rem. lib. IV, G^, egli afferma sull'autorità di Var- rone, che i genuini si distinguevano dagli spurii per mezzo dell' acrosticllide : kXsyyovrot,i Ss ra,i<; xaXoi/jtJiEvaij ÙKpacruyi'ai. Xiyu Si « TsfsvTioi Oùappwv «'cTopvjZEv s-jT-n ^EoKoytìi-ò wpayjxaTsi'a. | (4) Apolog. I, n. 20. Gohort. ad grncc. n. 16,37,38; e Re- spons. ad ortliodox. LXXIV, dove cita in prova la lettera di san Clemente romano ai cristiani di Corinto; ed è a notarsi che an- che Erma teneva in gran conto la Sibilla llb. I, e. 2. Ora il poe- ta cristiano interpolatore degli antichi, e nuovo autore d'oracoli sibillini, deve esser vissuto sotto M. Aurelio; dunque falsi, o ve- ri che fossero quelli che furono citati da san Clemente Romano, e ai quali alludeva Erma, erano gli antichi oracoli, e pur dove- vano essere applicabili al cristianesimo. La calunnia d' alcuni protestanti, che lo stesso san Clemente romano gii abbia inven- tati, è veramente degna dello Schoell e de'suol pari, cioè mani- festamente contraddittoria in cronologia. (5) Veggansi Atenagora Leg. prò christ. n. .5o. Teofilo ad Autolycum lib. II, n. 36 Clemente alessandrino Stromat. llb. I, 5 e VI, pag. 636, con Lattanzio ed altri antichi apologisti della a52 Letteratura ga di Virgilio Sicelides musae, dove sta scritto Ul- tima ciimaei venit iam carininis aetas col resto, fu applicata dall' impei-ator Costantino alla nativitcà di Gesù Cristo (i), ed è tuttora applicabile a quel mi- stero: 4- Sembra per ultimo un fatto sicuro e con- fermato da buone autorità (2), die i primi cristiani, se non trassero dagli antichi oracoli silnllini il simbolo del pesce, derivarono per lo meno il grand'uso della voce IX0TG da cinque di que'versi applicabili al Sal- vatore, che contenevano in acrostico la stessa voce. Siano pur dunque interpolati e falsi la maggior parte di quegli oracoli sibillini che ci pervennero; anzi sia pur vero che qualche poeta cristiano del secondo se- cristiana religione. Origene, rispondendo a Celso che chiamava sibillisti i cristiani ( Contra Celsum Lib. V, n. 64 ), confessa clie tali erano alcuni eretici^ i quali eguagliavano le Sibille ai profeti; ma nega che non esistessero esemplari de'veri antichi oracoli si- billini {Cantra Celsum lib. VII, n. 56), e lo provoca a mostra- re in essi le interpolazioni de'cristiani. Certo è che anche i pre- senti oracoli sibillini contengono i versi citati da Giuseppe Ebreo, e da Alessandro Polistore ; e perciò non possono dirsi in tutto e per tutto falsificati da un qualche cristiano poeta emulator de' pagani in falsificare oracoli. Qualunque poi fosse la loro genui- nità, gli apologisti argomentavano ad hominem, e non erano ob- bligati a provarla. (1) Or. ad sanct. coet. cap. ig, presso Eusebio. (2) Nell'orazione di Costantino sopracitata cap, 18, in s. A- gostino De civ. Dei lib. 18, e. 23, e presso altri scrittori, come nell' opera De promissionibus et praedictionibus attribuita a san Pro- spero, si afferma concordemente che la voce IX0T2 fu tratta da- gli acrostici sibillini; ma poi si cita l'acrostichide de' falsi, che ripugna affatto all'acrostichide de'veri. L'iscrizione latina ripor- tata dal Buonarroti, dal Fabretti, e da molti altri colla voce IXTOG ripetuta in linea orizontale e verticale congiunte ad an- golo, benché non si possa chiamare acrostico , è peraltro anch' essa una conferma della vera acrostichide. Epigramma greco cristiano 2.53 colo abbia voluto anch'esso al paro de'pagani e de'giu- (lei tiare un saggio di bello ingegno in questa specie di profetiche poesie ; ed abbiano anco errato infin dal terzo secolo molti scrittori, che non distinsero i fal- si dai veri antichi oracoli sibillini; essendo perfetta la conformità degli acrostici sibillini antichi, coi cinque versi aci'ostici del nostro epigramma, dove anch'esso ci rappresenta in acrostico la voce IX0YG , converrà di- re che il nostro epigramma è per lo meno anteriore al quarto secolo, e clie e l'unico monumento cono- sciuto, il quale con fedele imitazione ci dia l'antica acrostichide sibillina. Oltre l'arcano simbolico e l'acrostichide , indizi bastevoli per fissar l'epoca dell'epigramma al secondo o al terzo secolo, aggiugiieremo in prova altre due ra- gioni prese anch'esse dal contesto. Finche durarono le persecuzioni, la religione cristiana era da'suoi chia- mata filosofìa, e come tale difesa alla presenza degl'im- peratori, e alla tribuna medesima del senato romano. Filosofi erano allora gli apologisti suoi, e per filosofi passavano i cristiani, indossandone anche il pallio : benché poi la tolleranza dell'imperio, pieghevole verso qualunque filosofia, si negasse a questa sola che sovra tutte ed unica la meritava. Cessate per opera di Co- stantino le sanguinose battaglie dell'idolatria, la chie- sa vincitrice non si volea più confondere coi filosofi, ma invece soli restavano a debellarsi: e non fu breve la guerra che ne sostenne. Fate ora mente, o colleghi, al concetto del secondo pentametro: egli è cosa strana al presente per noi, che si chiamino acque dalrici di ricca sapienza le battesimali acque; ma se questo epi- gramma è del secondo o del terzo secolo, in cui si convertivano e battezzavano uomini adulti, e la reli- 254 Letteratura gione cris liana appellavasl ed era divina fdosofia, il concetto è veramente raggio di bello ingegno, ne me- glio il poeta cristiano potea compendiare in meno le grazie del battesimo. L'altro argomento è quel clie se- gue. Posta la verità della lezione IX0TI TAAIAAIO, secondo cui Pet torio per dire clie suo padre era cri stiano, l'avrebbe cbiamato pesce galileo, è assurdo il credere die ciò sia stato scritto in un'epoca, nella quale tal nome di galilei era un'ingiuria atroce con- tro i cristiani. E noto che Giuliano apostata non ver- gognò d' onorar questa ingiuria col suono della sua bocca imperiale, e ne'suoi discorsi privati, e ne'publi- ci editti, e che la prescrisse con legge beffarda agi' idolatri. Così ci attestano Socrate (i), Teodoreto (2), e singolarmente san Gregorio Nazianzeno (3); e die fosse obbedito, è cliiaro da s. Giovanni Crisostomo (4). Egli è dunque cosa non dubbia, die il nostro epi- gramma è anteriore all'imperio di Giuliano. Imperoc- cliè quantunque i cristiani per questa ingiuria non sì avvilissero, come neppur s'avvilivano, quando era- no chiamati x^-riaxi^/Moi (5) e ^io'^ócJolxo'. (G) ; tuttavia (i) H'ist. eccl. lib. Ili, cap. 12. (2) Hist. eccl. Ilb. Ili, cap. 4 e 16. (3) Orat. Ili, pag. 81, ed. Bill. (4) Homil. LXIII, toni. V, p. 409. (5) Giustino, Apolog. I, n. 4- ^pyìidete. Voglia dunque Iddio che con qualche goccia del ce- lebre sangue freddo, o almen con sincera e studiosa docilità, dai pronipoti de'primi riformatori si esamini in questo ed altri monumenti suoi la sempre verde vecchiezza della chiesa cattolica: e si conosca e si de- testi l'orgoglio di que'capi superbi che li strapparono dal seno dell'antica lor madre ! Tornando lieti alle sue braccia, essi ammireranno in lei 1' immutabilità de'suoi dogmi contro l'urto de'secoli e le tempeste delle passioni; e confesseranno ancora, se sono in- genui, che tal prodigiosa e divina immutabilità fra le continue vicende delle cose umane esser non può se non invitta virtìi di colui, che, secondo l'immen- so pensiero di san Paolo apostolo, è Dio eternamente immutabile per natura: Christus herl et hodie ipse et in sedila. ■«axei^-g- 263 Orazione funebre detta nella chiesa delV archi- ginnasio dal cavaliere Pietro Ercole V^isconti commissario delle antichità, e segretario per- petuo della pontificia accademia romana di ar- cheologia, in occasione delle solenni esequie fatte dalV accademia medesima al marchese commendatore Luigi Biondi , già socio ordi- nario e presidente. egli è vero, non vi essere cosa alcuna tanto pro- pria di alto animo e gentile, quanto il conservare me- moria de'ricevuti beneficii: e colà volersi dimostrare più aperti i segni della gratitudine, dove le cagioni della benemerenza state sono maggiori; certo nessuno è così conveniente ufficio, nessuno così lodevole, co- me questo, che abbiamo pure adesso compiuto, pre- gando pace alla grande anima di Luigi Biondi (i): uomo glorioso a Roma: glorioso alle italiane lettere: all'accademia nostra gloriosissimo. E di Roma, e del- le italiane lettere, e dell'accademia per modo bene- merito, elle senza nota d'ingi-atitudine mancare da noi non se gli poteva di questo pietoso ufficio ed estre- mo. Al quale, per onor suo e nostro conforto, deve ora dar compimento il presentare con parole d'en- comio una immagine fedele delle sue chiare virtù. Se non che al grande arringo delle lodi d'uom tale, ben altro ingegno avrebbe mestieri, che non è questo mio così povero ed umile. Oh ahneno noii 264 Letteratura fosse trepldanle tarilo e commosso! Ma dove rade vol- te o non mai mi avviene, o signori, di favellare al cospetto vostro, senza certo interior mio turbamento (tanta è la sapienza e dignità del vostro consesso), oggi poi, più che mai non fosse, mi veggo a quell' affetto esser vìnto, oggi che di mille guise si accre- scono le cagioni a farlo piìi poderoso e maggiore. E di vero, sento nel più intimo del petto pe- netrare misto a religiosa reverenza un giusto timore, solo che io ponga mente alla santità di questo tem- pio, nel quale la debile mia voce succede alle voci venerande ed auguste dei sacerdoti; e a quel timore una nuova tristezza si accompagna, se miro a questo apparato lugubre, a queste funebri insegne. Oh! non è egli l'estremo del cordoglio l'incontrar con lo sguar- do quel feretro doloroso, memoria viva ed acerba di quanto è a noi cagione di amarissimo lutto, di quan- to abbiamo , e per sempre , in sulla terra perduto? Dico dell'uomo, già luce e letizia dell'accademia, de- siderio adesso e compianto! Infra disconforli sì gra- vi mi soccorra, signori, l'usata benignità del cortese vostro animo: sicché, riacquistato alquanto di lena, ritrar possa d'uomo tanto eccellente una parte al- meno di quel moltissimo che ad onorarlo debitamente si converrebbe. A Lanno Biondi, giureconsulto di onoratissimo grido, e alla Girolama de'conti Squarti, donna di an- tica virtù, splendeva memorabile e lieto il giorno 21 di settembre 1776 pel nascimento che in esso av- venne del nostro Luigi. E lieto e memorabile si fece poscia quel giorno a Roma ancor essa, che vanta in lui un raro ed utile ingegno, non da lei accolto e cresciuto quasi nutrice amorosa, com'è di moltissi- mi, ma propriamente natole in grembo. FxoGio DEL Biondi 265 Taccio qui le memorie illustri degli avi, che i Biondi serbavano, parte forse la migliore del loro re- taggio. Non già che io mi viva in quella opinione, tanto invidiosamente sostenuta a questi tempi più che mai in altri non tosse: non essere cioè lode veruna la nobiltà della stirpe; ma perchè è bel privilegio de' sommi uomini il volger l'ordine di tal lode. E di ve- ro, sia pur nobile e grande il casato onde nascono: maggiore è sempre la chiarezza che ad esso arreca- no, che non l'altra che ne ricevono. E se il nostro Biondi scendeva di quelli che in Mon tallo del Mar- chigiano furono nobili e anliclii, e, fra gh* altri ono- ri, ebbero un Domenico senatore in Roma (2) decli- nando il secolo XVI; in lui per l'appunto quanto pur or divisammo si avvera. Quegli ornamenti de' suoi maggiori furono come un lampo, che si estinse con loro ; questi della gloria letteraria , portati dal Biondi nella sua famiglia, vi dureranno continui, e a volger d'anni si faranno piìi belli. La felice natura del Biondi si manifestava fin dagli anni suoi primi, ne'quali oltre al comun uso apparve fregiato di un'indole tutta docile e benigna, e inclinata alla pietà ed alle lettere. Di che i geni- tori, benedicendo al cielo, posero amorosa cura per- chè nell'una e nelle altre facesse profitto. Quando dalle domestiche discipline passò alle scuole dell'università gregoriana, vi ebbe maestri di nobil fama: in lettere umane il Petrucci : in retto- rica e in elementi di lingua greca, il Marotti ed il Cunich. E qui nella logica e nella metafisica fu am- maestrato da monsignor Rubbi; nelle matematiche dal (jalandrelli; nella fisica dal Guidi. Dove dimostrò tan- ta la felicità dell'ingegno, e tanta la diligenza, che 266 Letteratura ne'suoi diciannove anni (del ijgS) fu dottore eme- rito. Due anni dopo il troviamo, già accademico dei rinnovati lincei (3), favellare in un'adunanza a Sul moto accelerato de' gravi: » e in un'altra tenere ra- gionamento « Per ispiegare il successivo innalzarsi dell'acqua nella tromba aspirante (4) ». Imperciocché in que'prineipii de'suoi studi gli avevano rapito l'ani- mo con l'altezza e nobiltà loro le matemaliche, che sono così grande istrumento ed assottigliarci e com- porci 1' ingegno. F_! ben di tal fonte si vuol cono- scere derivata quella sua facilità di giudicare le cose e di esporle, e l'ordine sempre lucido di quanto egli disputò favellando o scrivendo. In un ricordo di questi anni, che fatto di sua mano ho io potuto vedere, trovai grande tristezza es- sergli siala l'abbandono delle matematiche, quando (lo dico con le parole sue stesse) pia per altrui che per propria volontà passò alle scienze legali. Se non che quello che a lui riuscì allora co- me un impero acerbo, era in verità un'amorosa sol- lecitudine: conoscendosi tuttodì quanto agevole stra- da a dignità e ricchezza aperta sia ai giureconsulti. Donde i suoi si promettevano ragionevolmente, che nella legge applicando, potesse poi venirgli facile il levare se stesso ad alcuna altezza di fortuna. E così avvenne: e dalla sua scienza in legge ne furono i principii. In quegli anni però altri erano i pensieri del Biondi: e non gli parendo di poiTC tatto l'animo in quelle discipline inamene, studiò romane antichità, mostrandogliene il padre don Rodesindo Andosilla, abate della congregazione di Vallombrosa; e nel di-^ Elogio del Biondi 267 letto che gli recarono questi studi (così lo narra egli stesso) trovò alleviamento alla tj'istezza cKera in lui nata dalV abbandono delle matematiche. Ne fla malagevole il crederlo: non dico, acca- demici, a voi, ch'essendovi eletto di coltivare la scien- za delle cose antiche, ne siete tanto illustri maestri; ma sì pure a chiunque si faccia a considerarne la utilità, la gravità, la bellezza. Luce de'secoli, vita della memoria, testimonian- za de'tempi trascorsi, l'archeologia incede sovranamen- te per entro i vasti spazi delle età che furono: e ve- de migrazioni di popoli, ordinamenti di religioni e di civiltà; sorgere e decadere di arti, e di glorie vere e di false, e permutarsi d'imperi Di gente in gente e d'uno in altro sangue. Essa tutto medita, tutto abbraccia, di tutto for- ma tesoro; e giovandosi con bella vicenda degli scrit- tori e dei monumenti, s'innalza dalle più piane cose ed agevoli alle più ardue e riposte: sino a dichiarare i più arcani segui con verità: a supplire al silenzio delle istorie con sicurezza: a vendicare alla notizia e alla luce quanto, senza lei, si giacerebbe in quel- la notte dove tace il passato. Or qual maraviglia se quel poco principio, che al Biondi venne gustato allora di scienza sì eccelsa, bastò a porgergliela tanto alto nell'animo, che poi sempre ne vivesse sì vago; e all'ultimo, in que'suoi anni tutti gravità e sapienza, volesse farsene specia- le cultore? Ma a quella severità degli studi di legge un al- tro alleviamento a lui graditissimo trovava il Biondi 263 Letteratura nella dolcezza della poesia: a''a quale lo rapivano, p!ù che non lo spingevano, un ingegno potente e un cuore pieno di affetti. Di che cominciò il suo no- me a risplendere fra'plausi delle accademie, non solo per le rime pensate, ma ancora per la felicità di tro- varne all'improvviso, che narrano in lui essere stata mirabile. Ma .non cedevano a quella lusinga le cure degli studi più solenni e più gravi. E quantunque la poe- sia fosse un amore costante e felice di tutta la vita del Biondi, invidiosa sarebbe la parola di chi in lui volesse lodare meglio il solo poeta, che il vero e grande sapiente. E fu sapienza il dannar, come fece , tutti all'obblio que'suoi versi coronati già di tanto applau- so, e il desiderare che ne perisse in fin la memoria, poscia che conobbe la vanità e il danno di quel poe- tare rigonfio (lo dicevano ossianesco) e di quelle vote cantilene che allora si avevano in delizia. Non così però che qui e colà per Italia, e da molti in Roma, non si levasse la voce contro la nuova licenza e le invecchiale ciance canore. Era'quali Pietro Pasqua- Ioni, nutrito alle greche fonti, conosciuto il Biondi di grande ingegno e di maggiori speranze, mentre lo studio della lingua nostra era dispregiato non che ne- gletto, a lui diede consiglio di avere a maestri, non il Bettinelli e il Roberti, ma il Passavanti , il Vil- lani, e gli altri purissimi del trecento: non il Fru- goni e il Minzoni, ma Dante, il Peti-arca e l'Ariosto. Il seguitare però tanto sapiente avviso esser doveva l'opera de'maturi suoi anni, perchè si avesse in lui il raro e memorabile esempio di un uomo, che già salito a molta altezza, volontariamente ne discenda, per avviarsi a nuova erta e più faticosa, accusandosi del sentiero sbaglialo. Elogio del Biondi ' 269 Richiede l'ordine della iiai'razione che io ricor- di, come a questi tempi venuto a mancargli il geni- tore trovasse aiuto e conforto nelle cure generose di monsignor Alessandro Tassoni, prelato egregio di que- sta corte romana. Il quale prese ad amarlo e favorirlo grandemente per l'eccellente dottrina, e le gravi ed ac- corte maniere che in lui conobbe. E il Biondi, fatto dottore di ambe leggi, non solo gii prestò ottima opera, prima come segreto (5), poi come aiutante nello stu- dio del tribunale della rota, dove il Tassoni sedeva uditoi'e per la città di Ferrara; ma spesso rallegrava la severità di quelle cure con versi di vivo e leggia- dro concetto: di che il prelato e gli amici suoi pren- devano maraviglioso piacere. Sopravvenne intanto quella mutazione delle sorti romane, che, tolto Pio VII di sede, tutta la ponti- ficia dizione diede in foi'za alle armi slraniei'e. Il Biondi fu allora chiamato a pubhlici incari- chi; prima giudice di appello in quella nuova corte imperiale: poi (incominciando l'anno i8i4che fu l'e- stremo di quel governo) nominato professor supplente in diritto in questa medesima università; ufficio che si tenne dall'esercitare. E in quell'interregno brevis- simo , che seguitò il levarsi in armi di Gioacchino Murat, e il suo occupare lo stato del pontefice, per- severò nel consiglio della corte di appello, unitovi nel febbraio del 18 14 il carico d'ispettore delle biblio- teche di Roma, e quindi nel marzo di tutte ancora quelle municipali, quante erano nel dipartimento del Tevere. Fu allora che in mezzo a mille ostacoli gli venne salvato il famoso registro farfense, codice di tanto utili notizie di que'tenebrosi tempi dal sette- centosette al millecentoundici : e cosi, postolo nelle 2yo Letteratura fidate mani di ini nostro chiaro accademico (il conte Angiolo Battagllni), operò che nella biblioteca vati- cana, della quale era questi secondo custode, fosse serbato. E qui si vuole considerare a qual vantaggio rie- sca il mescolarsi de'buoni ne'pubblici reggimenti in quelle gravi e deplorando calamità de'nuovi e fore- stieri governi. Certo io assegno il più alto grado di onoranza e di lode a quell'assoluta lealtà, che pone innanzi a tutto il inmaner nella fede del signor suo, generosa a patire gli esilii, la povertà, ogni abbassa- mento di fortuna. Ma un grado secondo parmi non si poter ricusare a coloro, che puri dell'animo, ve- dendo pericolare ogni cosa alle mani d'inesperti, o audaci, o malvagi, si recano innanzi a fare di se im- pedimento, che il tutto non si disperda o mini; in- tenti a riparare il male, ove non si consenta di ope- rare il bene. Or se il Biondi non fu co'primi, cer- to fra'secondi si vendica onoratissimo luogo. Né giudizio diverso ne portarono allora que'me- deslml, che stati partecipi delle sciagure del pontefice tornarono con lui al governo delle pubbliche cose. Perchè riprese il Biondi appresso a monsignor Tas- soni quell'ufficio medesimo che già aveva nella rota: e gli assistè speciale uditore, quando al gravissino incarico di uditore del papa Pio VII venne egli in- nalzato. E ben si sarebbe detto (tanto era addentro nell'animo di quel prelato per merito della sua fede e sapienza), che quindi sarebbe stata ogni nuova sua dignità ed esaltazione. Ma il Tassoni, vicinissimo al sommo premio della porpora romana, mancò in anni immaturi ancora: e al Biondi si apriva altronde gran- de adito a maggiore fortuna. Il quale se a lui fosse Elogio del Biondi ayi mancato, mal si sarebbe provveduto di quelle prime speranze, che pur sembravano così ferme. Fu dunque un vero fondamento al suo prospe- ro e sicuro stato il favore della duchessa dello Scia- blese, principessa altamente ornata delle più rai'e doti della mente e del cuore: che ridottasi in Roma per le calamità de'tempi, vi dimostrò di mille guise il regio animo, e vi lasciò di se un desiderio che an- cor non è spento (6). La quale avutolo prima a con- siglio per cose spettanti a leggi , tanto si piacque a'suoì avvisi, alla soavità de'modi, alla lealtà dell' animo, che il volle stabilmente nella sua corte, dan- dogli in essa onoratissimo luogo, e sempre studiando ad innalzarlo e farlo maggiore. Per così fatta ventui-a venuto il Biondi inaspet- tatamente agli onori, agli agi, alle cure di una corte, non intermise per questo (e si poteva temere) pen- siero alcuno delle lettere. Che anzi egli è di questo tempo , che fattosi severo e sapiente giudice di se stesso, sebbene già maturo degli anni e già illustre per lode d'ingegno, osò una grande intrapresa: quella della riforma de'suoi studi. Al quale arduo e generoso consiglio se alcuno vorrà credere che fosse egli spin- to dall'amore della propria sua fama, non pertanto io mi persuaderò che non ve lo infiammasse meno un altro amore assai più magnanimo : dico l'amore della patria. E bene amor di patria era allora, vendicare all' Italia afflitta le classiche sue lettere vilipese: vendicar- le questo soave ed alto idioma nella cara e nativa sua purità: torle dal seno ogni straniera bruttezza del pensai'e e del dire; vestigic infelici ed acerbe dell' immeritata sua servitù ! Al che essendosi levati con 272 Letteratura una indignazione tutta alta e gentile, e poco dissi- mile dalla misericordia, alcuni nobili spiriti, il Bion- di fu presto con essi. Perchè voltosi con la gagliar- dìa migliore delFanimo a studiare continuo in que' padri del nostro volgare, che lo fondarono nelFaureo trecento, e, sovi-'essi lutti, nell'altissimo Dante, s'in- formò a quegli esempi di puro scrivere e di ordinato pensare. E così, rieducato se medesimo alle lettere migliori, intese a meditare ancora le dotte carte di que'maestri amorosi di nostra lingua, che, ne'ponti- ficati memorabili di Giulio e di Leone, lei difesero o regolarono; o la illustrarono ed arricchirono. Negli instaurati suoi studi trovava il Biondi una guida, una compagnia, un conforto nel conte Giulio Perticar!, uomo da lodarsi fra'prlmi che abbiano onorato il pre- sente secolo. Donde poi si originò fra loro una gara gentile, che l'uno voleva all'altro chiamarsi discepolo; l'uno professava riconoscere nell'altro il proprio mae- stro. E se ne strinse tale un nodo di vera e perfetta amicizia in fra loro, che la morte medesima fu im- potente a disciorlo (7). Intanto da queste lodevoli cure e dalle nobili fatiche del Biondi Roma si go- deva già di^questo vantaggio, che si adoperasse an- cor essa in quella italiana opera della riforma del linguaggio italiano. Cosa non pur conveniente a lei, siccome a maestra ch'è sempre stata del grande e del vero; ma da dover propriamente aver capo in quella città, la quale avendo con la sua lingua dominati'icc fatte romane le lingue di tutta Italia, tutta Italia di- spose a questa unità del gentile nostro ed alto idioma. Alla quale considerazione si lasciò governare quel- la eletta schiera, che, a divulgare per Italia e fuori ^ le romane dottrine, e a dar mano a riporre in seg- Elogio del Biondi ayS gio quell'alta e bella ragione Ji lettere, che lece le scritture dei greci e dei latini nostri esser classiche fondò qui in Roma il giornale arcadico. Schiera che col Perticari e col Biondi accolse altri benemeriti e dotti uomini, che si assisero o seggono ancora in fra voi: e che da venti anni persevera nel suo generoso proposito, avendo a capo quell'egregio signore ed il- lustre, che, affezionatissimo al Biondi, non ha guari eleggeste a succedergli come capo dell'accademia (8). INe'volumi che uscirono di quella società, e ne- gli altri che il Biondi mandava di tempo in tempo nelle mani del pubblico, si fece manifesto di che va- rietà di sapere, di che purità ed eleganza d'idioma ornato avesse la mente. E ne appariva com'egli va- luto avesse a riunire in se le varie e diftìcili lodi di autoi'e giudizioso e dotto nelle cose deirarcheologia e delle arti; e di scrittore terso e leggiadro così di prose come di versi. Donde le opere sue, quante ne produsse, quasi di per se in due ragioni veggonsi partite. Delle quali dirò assai brevemente: anzi trascorrerò piuttosto co- me di volo, quella che si appartiene alla poesia ed alle lettere: per aggiungere più presto all'altra, dove sono le cose dell'archeologia e di quelle arti imita- trici, che vanno con essa tanto strettamente congiunte. Quindi è che non entrerò ad esporvi quanto prer gevol lesto di bel parlate donasse egli alla nazion no- stra, pubblicando da un codice vaticano le inedite dicerie di Filippo Ceffi fiorentino, grave esempio del- la politica eloquenza del secolo XIV (9). Ne dirò di que'suoi dodici ragionamenti, co'quali illustrò i più ardui luoghi della commedia dell'Alighieri (io); di che venne lodato da Vincenzo Monti, dal suo Per- G.A.T.LWMII. 18 ST^ Letteratura ticari e da Paolo Costa, il quale tutte le nuove spie- gazioni dal Biondi proposte approvò, e tutte a'ioro luoghi produsse nella edizion sua del poema sacì'o Al quale han posto mano e cielo e terrea. E Antonio Cesari, che nelle cose della lingua e di Dante fece partilo da se, con esempio da non ta- cersi, stampando già i suoi tre volumi delle bellezze di Dante^ aggiunse carte al terzo, per dar contezza di una interpretazione del Biondi: con affermare, sua es- sere stata la gloria dell'illustrare un luogo non di- chiarato per cinque secoli! Così rammenterò, senz'altro, le due cantiche che il dolore gli pose in sul labbro, deplorando la morte del Giustina Bruni nipote sua (ii): del Perticari suo amico e compagno (12): e medesimamente il Dante in Bavenna (i3),ele odi anacreontiche, dettate con una difficile facilità (i4)' Ma se queste cose solamente accenno, se molte altre ne trapasso in silenzio (i5), due più insigni suoi poetici lavori dimandano un piìi particolare ri- cordo. Sono essi i volgarizzamenti della georgica di Vir- gilio e delle elegie di Tibullo. Spesse volte sono andato considerando meco stes- so la lode, che i volgarizzatori ricercano , dell'altra degli autori d' originali opere essere , se non mag- giore, certo più malagevole. Scrivono i primi come detta un affetto che li commove: e basta loro il tro- var modo a bene esprimere quel tanto che sentono nell'animo. Ha il volgarizzatore a far proprio un con- cetto che suo non è; e poi quello per modo portare nel nuovo linguaggio, che come suo ci riesca. Ne Elogio del Biondi ayS può soverchiare col troppo, né deve mancare cui po- co: egli è mestieri di avere in fra mille legami an- damento e passo di libero. Dalle quali difficoltà e dall' inganno dei mediocri ingegni, clic a questa maniera di opere si volsero stimandola agevol cosa , quando è in verità malagevolissima, si derivò che tante sieno di numero le traduzioni, e così rare poi quelle di una perfetta bontà. Laonde si fa chiaro a ciascuno quanta abbia ad essere la gloria del Biondi, il quale due tali volga- rizzamenti diede all'Italia, che se ne accresce il te- soro dell'italiana letteratura e l'onore di nostra lin- gua (i6). Ma di queste sue lodi e benemerenze nella poe- sia e nelle lettere amene non punto sono minori le altre, che si acquistò per le gravi sue scritture di ar- cheologia e di arti. Le quali, a chi dirittamente vo- glia considerarle, dimostrano congiunto ad una dot- trina varia e profonda uno squisito sentire e un giu- dizio retto e sicuro. Quell'amore alla scienza delle cose antiche, che in lui vedemmo manifestarsi in sin dagli anni più giovani, siccom'era seme caduto in fertile campo, cosi non si rimase dal germogliare ed allignarvi. E dob- biamo credere, che già in questi studi godesse di al- cuna rinomanza, quando lo troviamo de'soci ordinari dell'accademia nostra fin dal primo ristaurarsi di essa. Si pubblicò col volume primo degli atti ciò che vi lesse, mentre l'accademia aveva ancor sede in sul campidoglio, per dicliiarare un'ara votiva alla profana deità di Giove, ritrovata in Sabina sull'aspra vetta di Pietra demone. Il eh. cavaliere Giovanni Labus I. R. epigrafista, che io qui nomino a cagione di ono- 276 Letteratura re, nel suo libro sulla certezza della scienza anti- quaria loda questa interpretazione e ne fa argomento al suo assunto, cli'è di provare, che sono nell'anti- quaria alcune cose evidentemente dimostrale : dopo di che superfluo sarebbe qualsi tosse altro encomio. Fu nella nostra adunanza che descrisse ed espose l'an- tica dipintura celebre sotto il nome di nozze aldo- brandìne, che per un diligente rinettamento opera- tovi aveva dato miglior notizia di se; e quel lavoro dell'archeologo valse non poco a volger l'animo di Pio VII, allora regnante, ad accrescere di tal pre- zioso monumento le dovizie del vaticano (17). Forse di questo primo lavoro si derivò l'altro da lui posto in luce sui colori degli antichi (18); come dalle ricerche, allora con grande ardore promosse in- torno ai primitivi monumenti dell'architettura, de- nominati mura ciclopee^ ebbe origine il discorso sul- le belle arti al tempo dei re di Roma, che rimane inedito ancora. Pubblicava intanto illustrate le iscrizioni nomen- tane (19): dicliiarava un'epigrafe latina, trovata nelle maremme sanesi (20): le scultui'e, i musaici, i mar- mi scritti in Tor Sapienza discoperti metteva in lu- ce (21). Né pago a far palese con l'opera dell'inge- gno quanto avesse a cuore il profitto dell'archeolo- gia, si volse a confortare la donna eccelsa, che lo aveva primo ne'suoi consigli: Tentasse questo classi- co suolo: di che a lei verrebbe un diletto degno di regio animo, e al patrimonio dell'antico sapere al- cuna nuova utilità. La quale circostanza ci riconduce a narrare le cose della sua vita, che per seguire di preferenza il racconto degli sludi suoi si lasciarono Interrotte. Co- me dilnque fu il Biondi dalla duchessa dello Scia- Elooio dei. Bior^'Di z'j'] blese fatto curatore del suo patrimonio, insieme aà una somma integrità dimostrò una tanta cognizione delle cose o degli uomini, che la sua signora, paga piìi sempre di aver fatto eletta d'uom tale, a lui lasciò quìnd'innanzi comporre quanto le sopravvenisse di delicato e di arduo. Così viaggiò a Napoli, a Firenze» a Genova, a Torino: e potè studiare indoli di po- poli, usare nelle corti, conoscere illustri uomini, es- sere da loro conosciuto. Donde nasceva pratica e scien- za in luì, negli altri stima ed affetto. Due cose, che, per l'esperienza di sua virtù, sì accrebbero tanto nella duchessa, da porle in petto un forte desiderio di sem- pre più innalzarlo ad onore e ricchezza. E sì il volle suo maggiordomo: e col re Vittorio Emanuele operò che il fregiasse delle insegne di cavaliere de'santi Mauri- zio e Lazzaro; e ultimamente, trattolo seco a porre stanza in Torino, lo dotò di una seconda patria in una delle più gloriose e felici parti d'Italia; stringen- dolo ognora maggiormente alla px^otezione della ma- gnanima casa di Savoia. Nel che non meno l'aiutava il favore di tanto amorevole signora, che la crescen- te fama della sua sapienza, lo squisito fiore di urba- nità, e il naturai garbo delle maniere, ch'erano in lui. E ben si mostrava in ogni atto degno di quella lode che il pontefice Innocenzo X diceva del cavaliere Ber- nino: » Essere, cioè, nato per trattare co'personaggi grandi. « E veramente potè la sua proteggitrìce farlo penetrare nelle aule dei grandi; ma il penetrar tanto addentro, come fece, negli animi, lo dovè il Biondi a se stesso. E se mi si richiedesse quali fossero gli ami- ci che in Torino si aveva acquistati, ne direi più che i nomi, accennando- tanti essere stati, quanti vi aveva colà grandi uomini al suo tempo. Né ad una estima- 2t8 Letteratura zione così universale e fondata in merito così vero, recava mutamento il variar dei regnanti, che si succes- sero nel trono di quella monarchia ; che anzi l'un l'altro si parvero ad emulazione concorrere per in- nalzarlo. Perchè il re Carlo Felice gli diede titolo di conte: e il regnante Carlo Alberto, così magnani- mo fautore degli studi e di ogni arte gentile, lo pro- mosse al grado di commendatore nell'ordine mauri- ziano, E, poscia che siamo in sul proposito degli ono- ri cumulati nel Biondi, diremo, per ricordarne solo i maggiori, che Leone XII il nominò marchese, dando a lui per eccellenza di lettere quel titolo medesimo, che Pio VII dato aveva ad Antonio Canova per eccel- lenza di arti. E fu dal magistrato della nostra città scritto fra' romani patrizi: chiamato dal governo consi- gliere nella commissione generale per le antichità e per le arti presso il camerlingato della santa Chiesa romana: eletto membro del collegio filologico in questa uni- versità: dalle accademie di scienze, di arti, di lettere, a gara fra' loro soci desiderato (22). E tanto sapientemente si governò in ogni cosa, che venendo quasi alla giornata in nuova dovizia e grandezza, col temperato costume e con la cortesia dei modi dimostrava ogni onore sopravvenirgli non tanto per proprio desiderio, quanto per merito della sua virtù. E di questa dava, modestamente è vei'o, ma pure aperti segni, con la gelosa e costante pratica dì ogni cosa che alla religion nostra santissima si appar- tenesse, senza la quale vano è ch'uom pensi di potersi innalzare ad alcuna vera bontà. E ben a quel saldo fondamento della religione ridurre si vogliono, come a principio, la lealtà e dolcezza del suo animo, la sua FxoGio DEL Biondi 279 beneficenza, la sua modestia, e quelle due altre bellis- sime virtù onde apparve mirabilmente fregiato: la gra- titudine e l'amicizia. E della gratitudine non solo diede in ogni voce e in ogni atto manifesti segni, ma fu in lui di tanta costanza, clie più vivamente si manifestava dopo quel passo, che ogni umana spe- ranza interrompe. E sì il vedemmo levar mestissimo canto, mancati il Perticari e la Bruni: del suo Tas- soni dettò con grande affetto la vita (28); e al re Car- lo Felice defunto volle intitolato il volume del volga- rizzamento della Georgica, con espressioni del più vi- vace e tenero sentimento di riconoscenza (24). E l'a- micizia, cli'è una cosa col cuore gentile, quanto non allignò nel petto del gentilissimo Biondi? Non dico del Tassoni, del Monti, del Costa, del Boucheron, del Perticari, dell'Amati , già estinti ; non di tanti lontani, o qui vivi e presenti che ne potrebbero ren- der teslimonianza (25); e di te sovra tutti, egregio Salvator Betti, che la conformità degli studi, dell' animo , delle virtù , avevano a lui stretto di nodi così saldi d'affetto, che fu la vostra un'amicizia de- gna di andar del paro con quante meritarono esser ricordate in esempio degli avvenire. Ma, per ridurre l'orazione onde mosse, la sco- perta di un'antica villa adorna di musaici, di pitture e di monumenti scolpiti, che per l'escavazioni ordi- nate dalla duchessa dello Sciablese, signora del luo- go, si fece nel tenimento di Tor Marancio, gli fu oc- casione a comporre un'opera a piena illustrazione di quel predio e delle cose che vi si trovarono; e in ven- tidue adunanze la lesse nell'accademia (26). Similmente gli scavi tusculani, che sotto lui si eseguirono alla Rufìnella, prima per la lodata duchea- 280 Letteratura. sa, poi pel re Carlo Felice, e più recentemente per la maestà di Maria Cristina regina vedova di Sardegna (la quale fra'molti virtuosi atti e magnanimi, che ren- deran memorabile la sua romana dimora, si piacque an- che in questo far mostra del reale suo animo), lo mos- sero ad investigare le antichità tusculane, che in cin- que letture espose alla reale accademia di Toi-ino, in quattro alla nostra (27). E in quella prima accade- mia trattò pure in due adunanze delle monete al tem- po dei re di Roma. E fu pure in Torino, che alla rea- le accademia delle belle arti tenne ragionamento sulle arti stesse. Tutte queste cose, e più assai che non dico, pubblicava il Biondi o scriveva in mezzo allo splen- dore della corte, ai viaggi, agli uffici, alla giocondità del vivere. Ch'è un nuovo documento dell'abberrar di coloro, che vanno a sazietà ripetendo: A venire in alcuna eccellenza nelle cose dell'ingegno esser mestie- ri d'allontanarsi da ogni legge del viver civile; e per poco non dicono dell'umano. I quali di si fatta guisa mi sembra che accusino piuttosto la povertà della loro mente, se di tanti argomenti è lor d'uopo a renderla feconda. Ma che dico feconda? Oh non vediamo noi tutto giorno, come colesti selvatichi per lo più sen passino senza dare di se frutto nessuno! Ond'è poi che ogni memoria ne perisce con loro, e si rimangono ignoti alla posterità. Alla quale per fermo così riesce inutile quella loro sapienza, come se d'ogni lettera vissuti fossero digiuni! Ad uomo adunque, quale era il Biondi, così cal- do ai vantaggi dell'archeologia, ornato l'animo di tan- te lettere, la persona di tanta dignità, fiorente di fa- ma per tal modo universale, confidaste, o signori, il Elogio del Biondi 281 reggimento deiraccarl ernia , vacalo per la morte del prelato Niccola Maria Nicolai: e dopo quella prima elezione due volte in quel supremo ufficio lo voleste confei-mato: e fu con tanto consenso, che aveste a de- cidere, lui mancato, non aver avuto ne pure un solo, che nel pensier vostro stato a lui fosse remotamente prossimo, non che vicino. E posciachè « Necessità mi fa esser veloce » aiuti voi la memoria vostra, o colleghi, nel ritrarvi al pensiero quale egli allora si dimostrasse. Per me, al solo nome del Biondi ridestare mi sento nella mente la immagine di quella sua cara bontcà, la quale tutti gli animi avvinse e compose: di quella voce, con la quale n'era sì spesso insegnatore di alti dettati : di quell'affetto, che gli faceva amar Roma, come speciale oggetto agli studi dell'accademia nelle sacre e nelle profane memorie, ond'ella è si grande; e l'accademia, come decoro insigne di Roma. Di che gli piacque ri- destare quell'usanza dell'antica e della rinnovata ci- viltà romana, traendoci a celebrare il giorno natale di nostra patria (28): e fu autore che le due pontificie ac- cademie delle antichità e delle arti fraternamente si unissero in solenne raunanza; e bramò che il nome dell'archeologìa con illustri frutti della sua sapienza si raccomandasse alle genti più lontane, e che per ogni dove se ne propagasse la utilità, proposto un premio alla soluzione di ardue quistioni della scien- za antiquaria. Per le quali cose tutte, se vizio sa- rebbe d'ingrato animo il non confessare altamente essei'gli stata larga di aluti la munificenza del re- gnante Gregorio XVI, ottimo e massimo fautore dei nostri studi, sarebbe pure mancare al vero il non riconoscere che fu lode del Biondi, che i'accadeuiia 2B2 Letteratura corrispondesse con tanta alacrità al sovrano favore, da meritare la soddisfazione e la lode del pontefice sapientissimo. E non dobbiamo a quest'uomo tanti illustri soci acquistali al nostro seno: le offerte di opere così va- rie e cosi vaste: e quel saluto die in aureo numisma ci venne dalla maestà di Carlo Alberto, re di Sar- degna, acclamato per merito di tante munificenze a vantaggio degli studi delle italiane anticliità fra'no- stri soci dì onore, dicente l'accademia nostra sapien- tissima interprete dei secoli (29)? Considerate poi quali fossero di questo tempo le sue azioni come presidente, quali le scritture da lui fatte per le nostre adunanze: e vedrete quanto degnamente sostenesse l'onore dell'essere capo dell' accademia. Opera di lieve fatica ella è, e di nessun vantaggio, il trasportare nei propri ragionamenti cose già scritte negli altrui, e farne ampia derrata. Ma il Biondi trattò sempre nuove cose in proposito di nuovi argomenti, dilucidando col lume della critica fatti oscuri e mal noti, o, ciò che peggio è, involti di falsità e d'errore. Di che non mi lascia mentire, per non dire degli altri, quel suo commentario sopra due nuovi frammenti dei fasti, dove con la più vera e più ri- posta sapienza penetra nell'intimo delle istorie, e si fa maestro a ristabilire la verità di fatti e di persone bruttamente stravolti e confuse (3o). Questo, poi mi sembra un proprio e particolare carattere di ogni sua opera, che mai non uscisse dalle sue mani se non perfetta: che tutto vi si trovi compiuto nella sostan- za, elaborato nella forma ; niente di mancante , di spi'ezzato, di negletto. Pregi tutti da dovere ossero; Elogio del Biondi 2 83 ìmilati. Poiché sebbene le cose dell'arcìieologia non dimandano ornamento, non è però che la perspicuità dell'ordine, la proprietà e l'eleganza del dire, non si veggano in essa con diletto e con utilità. E que- sto pure è di grande momento a manifestare le gra- vità degli studi suoi: che avendo posto mano a di- chiarare quasi ogni maniera di antichità, e rao-ionato dì forse tutte le diverse parti in che si spazia l'ar- cheologia; mai ne'suoi lavori non s'incontri difetto, anzi sempre si vegga l'uomo, a cui non isfugge parte alcuna del suo argomento, a cui le qulstioni più ar- due tornano agevoli; per tutto guidato da profonda e grande sapienza. E nelle opere dell'arte, chi meglio vide di quello ei vedesse? Chi seppe più vivamente descriverne, o direi meglio rappresentarne con parole le immagini, fossero esse scolpite e dipinte (3i)! Di che gravi ed alti concetti non si adorna l'orazione che dettò sul restauramento del palazzo lateranense (Sa)? Oh se miseranda tanto stata non fosse la fine d'uom tale! Oh! se quell'alto suo ingegno, ottenebrato e in- terrotto, non lo ci avesse mostrato vinto all'acerbità d'indomabile malattia, prolungare anzi la morte che la vita, insino a quel luttuoso giorno dei 3 del set- tembre di questo anno! Con che calde ed affettuose ed efficaci parole crederemo che raccomandato avreb- be l'accademia, che del cuor suo era il più soave af- fetto, e al beatissimo Ghegorio XVI, che già di tan- to la favorì: e a voi, eminentissimo Giacomo Giusti-, niani camerlingo della santa romana chiesa, che ne siete protettore tanto amorevole e vigilante (33): e a quell'altro ornamento del collegio santo, il caidi- 284 Letteratura naie Antonio Tosti pro-tesoriere della camera apo- stolica, che statogli per costante amicizia fin presso al letto mortale, fu per l'amicizia stessa, non meno che per generoso impulso dell'alto suo animo, volto sempre ai nostri vantaggi (34); e a voi pur anco, o signori. Si a voi raccomandato avrebbe: Serbaste gli usi gentili da lui posti nell'accademia, che tutti sce- sero da alti concetti e da virtuosi pensieri: duraste nello zelo per le venerande antichità, nell'amore pel glorioso nostro istituto: duraste in questa nobile ga- ra, di recar piii sempre sublime il nome della ro- mana sapienza. Le quali cose, se continue ci saran- no nell'animo, ei mi sembra, che sarà questo un vero serbarvi la memoria del nostro Biondi; della virtij, delle azioni, degli studi del quale mi conviene nuo- vamente scusarmi, se assai piìi scarsamente ho detto, che non era il suo merito, il mio desiderio, la vo- stra espettazione. 285 sr (© 3! a (i) Avendo l'accademia ponlificia di archeologia, per dimo- strare gratitudine al già suo presidente marchese Luigi Biondi , seguito prima il feretro, trasportandosi la spoglia mortale di lui, e assistito quindi alla messa detta in s. Maria in Aqulro nei suoi funerali, volle inoltre onorarne con solenni esequie la memoria. Questo pietoso omaggio di riconoscenza e di affetto venne pre- stato il giorno 5 di dicembre dell'anno 1809. Nel quale i soci di ogni classe si riunirono nella chiesa dell'archiginnasio romano presieduti da sua eccellenza il signor principe don Pietro Ode- scalchi. Fuori della porta della chiesa stessa si leggeva l'iscrizio- ne seguente, dettata dallo scrittore medesimo del presente fune- bri" elogio, segretario perpetuo dell'accademia ; ALOISIO . BIONDIO PATRICIO . ROMANO COMITI . MARCHIONI MILITIAE . MAVRICIANAE . EQVITI . TORQVATO LITERARVM . LAVDE . CLARISSIMO SODALES COLLEGII . ANTIQVITATIBVS , EXPLICANDIS PONTIFICIA . AVGTORITATE IN . VRBE . INSTITVTI PRAEFECTO . OPTIME , MERITO IVSTA . FVNEBRIA Nell'interno della chiesa, ornnto a nere gramiglie, «i elevava un maestoso tumulo: e stavano erette sui pilastri ai lati dell' al- tare l'impresa dell'accademia, e le armi gentilizie del chiaro de- funto. La solenne messa di requie fu celebrata dal socio ordinario monsig. Antonio Boncierici, prelato domestico di Sua Santità, protonotario apostolico e ponente di consulta. Postosi fine alla a86 Letteratura medesima, fu detto il presente discorso: compiuto il quale segui l'assoluzione accompagnata dal canto della cappella papale. Gli eminentissimi signori cardinali Giacomo Giustiniani, ca- merlingo della santa romana chiesa e protettore dell'accademia; e Lodovico Gazzoli, prefetto di acque e strade socio di onore, as- sisterono alla sacra cerimonia da una tribuna stata appositamen- te innalzata nella chiesa. (■j) Si vegga il Vendettini, Serie cronologica dei senatori di Roma a e. 118. (3) L'accademia de'nuovi lincei cominciò a rifiorire, sotto il nome di fisico — matematica, nel palazzo Caetani rt//e botteghe oscure, favorita da don Francesco Caetani duca di Sermonela; ed ebbe fin dal principio ristauratore e segretario perpetuo il eh. abate cavalier professore don Feliciano Scarpellini, che ha poi sempre continuato a rendersene sommamente benemerito. Chi vago fosse di conoscere l'isliluto e le costumanze di tale adunanza, potrà trovarlo neiroperetta di monsìg. Niccola Maria Nicolai, che ha per titolo: « Ragioni di un progetto di nuove • leggi per l'accademia dei liucei. Roma pel fi;izz;irini 1808. » (4) Queste due scritture giovanili del Biondi non sono pub- blicate. (5) Segreti, chiamano con nome derivato dal segreto che ad essi incombe, i giovani giureconsulti (che due o tre sono presso i prelati uditori della rota J addetti allo studio delle cause che si giudicano in quel tribunale. (6) Di qual modo e per quali circostanze venisse il Biondi primamente al cospetto delia principessa, é narrato da lui mede- simo con queste parole: « L'altezza reale della duchessa dello Sciablese, principessa di alti spirili, di sottile ingegno e di cuore benefico, erasi per la calamità dei tempi ridotta in Roma fin dall'anno 180Q : e qui fis-.ata la sua dimora, vi aveva acquistato buon numero di beni stabili. Soleva ella andare ogni giorno a diporto dal luogo di sua abitazione sino al ponte railvio, e sole- va eziandio il Biondi passeggiar quella via tutto solo- La prin- cipessa, siccome accade, aveva dimandato chi egli fosse, e le era stato riferito dell'ingegno di lui, e dell'ufficio che teneva di giu- dice « 11 perchè, essendo stata promulgata in 1810 la legge in- torno alle iscrizioni ipotecarie, e volendo porre in sicuro stato i suoi averi, si pensò che a lui, come a persona esperta di quella nuova legislazione, avrebbe potuto darne l'incarico: e lo mandò chiamando e aTuorcvolmentc lo accolse. Di quel giorno in poi »ndò sempre più acquistando la fiducia e la benevolenza della Elogio del Biondi afly principessa. La quale nel ristabilimento delie cose pubbliche volle averlo suo l'amiliare ». Cosi nel ricordato manoscritto della propria vita, lasciato dal Biondi, ma non perCelto. (7} Documento bellissimo ne offre la Cantica in morte di Giulio Perticari { Genova pel P.igano, Roma pel Salviucci ) in- serita ancora nell'edizione bolognese delle opere di esso Pertica- ri. Dettò ancora il Biondi la necrologia dell'estinto suo amico, che si legge nel tomo XIV del giornale arcadico a e. i, an. 1822. (8) bua eccellenza il sig. principe don Pietro Odescalclii , vero fiore di gentilezza e di sapienza. fg) Le dicerie di ser Filippo CelTi, con ragionamento preli- minare ed annotazioni. Torino per Chirio e Mina iS-jS, un voi. in 8.0 Ne parla con lode il cb. Gamba nella serie dei testi di lingua. (io) Tutti questi ragionamenti sono nei volumi del giurn;ile arcadico. Tornerebbe di grande utile allo studio e alla illustra-- zlone di Dante, se veiiisseso nuovamente pubblicali. (11) Cantica in morte della fanciulla Giustina Bruni , con ritratto in rame. Roma pel De Romanis 1819 in 8. Fu ristampa- ta dal Salviucci in Roma, e in Genova dal Pagano. (12) Veggasi la nota 7. (i3) Dante in Ravenna, dramma. Torino, per Chirio e Mina 1857, un voi in 8. mass E questo intitolalo dal Biondi alla mae-'cadi numismatiche. Elogio del Biondi 289 (22) Fu il Biondi accadetnico della crusca , socio ordinario della reale accademia delle scienze di Torino; onorario della in- signe e pontificia accademia di san Luca, della pontificia della belle arti in Bologna e della reale delle belle arti di Torino; cor- rispondente della reale borbonica ercolanese, della reale pelori- tana, della reale lucchese, della pontaniana. Appartenne all' ar- cadia, all'accademia latina, alla tiberina, della quale nel 1818 fu presidente; e cosi all'I R. di Pistoia, alla colombaria di Firen- ze, all'ariostea di Ferrara ec. (23) Questa vita è posta in fronte alle opere dell' egregio prelato. (24) La lettera di dedicazione, della quale qui si accenna , dipinge cosi fattamente la nobile anima del Biondi, che mi è sembrato utile compimento, anzi piuttosto compenso a queste rozze mie iodi, il qui riferirla per intero: ed è tale: „ All'eccelsa anima di Carlo Felice re di Sardegna. Luigi Biondi ,, Questo volgarizzamento, che, nella sperata solennità decen- nale del vostro regno, io doveva lieto offerire a voi, non perai\- co divisa dalla vostra spoglia mortale, ora vi consagro, addolo- ratissimo per la dipartenza, che tra '1 comune compianto avete fatta da noi. Nò il partir vostro poteva distogliermi dal preso proponimento. Imperocché non era io mosso ad intitolarvi que- sta opera, né per desiderio di procacciarmi benevolenza appo voi : che già sapeva per prova come avevate in ciò ereditato il benigno animo dell'amorevole sorella vostra , la duchessa dello Sciablese, mia lagrimata signora e proteggitrice: né per bassa speranza di premio: che pienamente contento io mi vivo della mia sorte. Ma l'unico mio divisamente era questo; che, per quan- to fosse nelle mie forze, io dessi pubblicamente a conoscere sì a voi, e si ad altrui, come il cuor mio era grato ai benefizi vostri; fra'quali vuoisi annoverare pur quello dell' avermi conceduto ozio e dimora nel vostro deliziosissimo Tusculano, ove campalo, per bontà di quell'aere, da gravissima infermità, mi diedi nella convalescenza a condurre quest'opera, la quale perciò poteva quasi aver nome di cosa vostra. Ora al ridetto divisamento per nulla s'oppone la dipartenza vostra dal mondo: anzi i sensi della gratitudine mia saranno ora tenuti meglio sinceri e leali, che per avventura non sarebbero stali per lo passalo; quando altri pò- G.A.T.LXXXIII. 19 2f)0 Lftterattjra teva indursi nell'animo , die l'offerta del mio lavoro avesse più la mira ad acquistare, che a render merito ni iienedcii; che le lodi fossero lusinghe; e che ambiziosa vanità vestisse sembianze di limile vener.izlone. Sia coinechè ora non possa io più nulla spe- rare da voi, nò voi nulla possiate darmi , non però di meno la memoria vostra e delle vostre beneficenze sarà sempre viva nell' anima mia e predicata dalla mia bocca, finché io pure non giun- ga a quel termine, ch'è comune ai grandi e gloriosi regnatori , quale voi foste, e ai piccoli ed oscuri uomini quale son io. Anzi vorrei che pur dopo il mio fine rimanesse voce della venerazio- ne, e dirò pure (che or mi è lecito il dirlo, senza che la mia pa- rola sia tenuta superba) del verace amore che vi ho portato. On- de se ini ardissi a sperare, che parer possa a que' che verranno essere stata per me trasfusa nel volgar nostro qualche scintilla del fuoco che ardeva la grande anima di Virgilio , sicché il mio scritto ( non per le proprie e troppo discguali sue forze, ma per quelle del mio autore) non abbia del tutto a venir meno nella memoria degli uomini; io sopra ogni altra cosa mi compia- cerei di questa cara immaginazione, percliè nelle mie carte du- rasse, più ch'io n ni posso durare, la testimonianza del grato ed umile affetto che tutto mi rese vostro, o anima candidissima di re benefìoo, specchi o di rellitiidine e di lealtà, e grande vieppiù per se stesso, che per l:i grandezza caduca e passeggera del trono.,, (•25 Fra' molti lelterali vivc-nti, amicissimi al Biondi, noi prin- cipalmente, oltre al Betti, ricorderemo Pieti'o Odescalchi, Cesare Saluzzo, Giambattisla Niccolini, Piniro Giordani, Amadeo Pcyron, Giancarlo di Negro, Bartolomeo Borghesi, Giovanni Bosini, Giulio Corderò di Sanquititino, Giovanni Miircliclti, Loreto Santucci, Costanzo Gizzera, Francesco Cassi, Federico Sclopis, Carlo Em- manuelc Muzzarclli, (Giuseppe Alborghelti. Tra i defunti, oltre i già ricordati, debbono pur nominarsi Antonio Cesari, Gian-Ghe- rardo de-Bossi, Prospero Balbo, Giuseppe Tamhroni, Faustino Gagliufii, Niccola Maria Nicolai, Clemente Cardinali, Teresa B.uidellini, Luigi Mirini, Urbano l>ampredi, Giuseppe Antinorf, Gio. Francesco Cecilia, Filippo Aurelio ed Alessandro Visconti. (261 Questo accurato lavoro del Biondi in breve vedrà la pubblica luce per le cure dcireminenlissimo e reverendissimo si- gnor cardinale Antonio Tosti, pro-tesoriere della reverenda ca- mera apostolica, che fu de'più insigni amici che egli si avesse. Si vedranno iu esso infra gli altri monnmcnti le sculture e i dipin- ti, che con un generoso consiglio fece il Biondi lasciare in dono dalla duchessa dello Sclablose al museo vaticano, dove .si ammirano come monumculo non meno dell'arte, clic dell'alto animo di lei. Elogio del Biondi agi ('2';) La eccellenza del signor conte Filiberto di Colo])iai)o, "ran maestro e conservatore generale della casa di sua maestà la lodata regina, secondando le generose iateuzioui di lei, ha latto continuare nel Tuscolo i lavori di escavazione, già intrapresi dal jnarchesc Biondi, col quale era avvinto di nobile amicizia. Egli è per le cure di sì nobile personaggio, che il teatro tusculano, tan- to notevole monumento dell'antica architettura, è stato perfetta- mente sgombralo dalle terre, con utile dell'archeologia e delle ar- ti. Dal eh. signor cavaliere Luigi Canina, che diresse le escava— zioui in questo e in altri luoghi dell'antica città, aspetlianio la re- lazione di quanta venne operato e scoperto. La quale non sarà di minor vantaggio alla istoria delle archeologiche scoperte, che sia già stata la descrizione dei vasi rinvenuti ne'sepolcri dell'antica Veio, pubblicata sotto gli auspici del già encomiato signor conte di Colobiano dal eh. signor Secondiano Campanari: col quale ac cedendo già, insieme al marchese Biondi, in sul luogo, prima di cominciarvi le ricerche, si ritrovò in comune il luogo di quell'an- tica necropoli, che, perseverandosi nelle ricerche, darà senza me- no a vedere bella copia di antichi monumeqti, non meno degli altri sepolcreti di etrusche città. Il volume erudito del signor Campanari è nitidamente stam- pato in Roma coi tipi dell'ospizio apostolico iSSg in 4° ^'S' (28) Nella prima di queste riunioni, che fu sul monte aven- tiuo, nel palazzo annesso al monistero di sant'Alessio, decorato con regia magnificenza da Carlo IV monarca delle Spagne, aperto all'accademia per cortesia del reverendissimo padre don Ippolito Monza, abate e superiore generale de'monaci girolamini in sant' Alessio medesimo, affezionatissimo ammiratore del Biondi, tenne esso un ragionamento, che ò a stampa (Roma i85.4). Oue anni dopo, celebrandosi il ritornare di giorno cosi fausto, vi lesse il volgarizzamento dell'elegia V del libro lì di Tibullo, nella qua- le il poeta, elevandosi sopra se, cantò nobilmente le origini, i de- stini, e il giorno del nascimento di Roma, e le feste che in quel giorno si celebravano. (9f)) La medaglia d'oro di massimo modulo, mandata in do- no all'uccadeiuia, offre da un lato il ritratto di sua maestà Carlo Alberto, intorno al quale si legge: CAROLVS . ALBERTVS . REX . SARDINIAE e nel rovescio l'epigrafe : R . ACADEMIAE . ARCHEOLOG. SAPIENTISSIMAE . SAECVbOR . IINTERPRETI MDCCCXXXIX 203 Letteratura (3o) Questo ragionamento, letto dal Biondi in tre successive adunanze, si trova stampato nel volume VI degli atti. Illustran- do i consolati dal 713 al 718 di Roma, e quelli dal 702 al 7/(2, ne prende opportunità a distinguere i due Filippi, l'uno console nel 698, che fu padrigno di Ottaviano: l'altro figlio di esso, che nel 721 trionfò della Spagna; i quali per aver tolte a consorti due sorelle Accie, erano stati confusi insieme per modo , da for- marne un solo personaggio, attribuendo al padre le azioni del figlio, al figlio quelle del padre. E similmente con grande acu- me di critica separa le geste di due fratelli Coccei, un Lucio ed un Marco, che erano state tutte assegnate ad un solo : e rende a Lucio Cocceio, console nel secondo nundino semestrale del nx5, il merito delle due riconciliazioni fra Ottaviano e Marco Antonio; cioè la brundusina e la tarantina. Avendo 11 Biondi donato alla magistratura romana i fram- menti dei fasti da lui tanto dottamente dichiarati, furono questi per mia cura collocati sul Campidoglio nella camera dei fasti, dove ora si veggono far più completo quell' unico quanto pre- zioso monumento delle patrie istorie. (3i) Le descrizioni delle opere di artisti viventi scritte dal Biondi possono vedersi ne'volumi del giornale arcadico, non che neW'jépe italiana. (32) Intorno il restauramento del palazzo pontificio latera- neuse. Orazione alla santità di nostro signore papa Gregorio XVI, presentata dal marchese Luigi Biondi nel giorno dell'ascensione del Redentore. Roma i835 coi tipi della reverenda camera apo- stolica. (33) Stimiamo pregio dell'opera l'adornar queste carte, pub- blicando la lettera che il Biondi scrisse da Torino, com'ebbe no- tizia dall'essere stato il signor cardinale Giacomo Giustiniani eletto camerlengo di santa romana cbiesa, e quindi ancora pro- tettore dell'accademia ; trovandosi in essa un documento ad uà lempo dell'amor sommo del Biondi per 1' accademia stessa , e dell'estimazione sua verso sì eccelso personaggio. Ecco dunque una tal lettera. « Emiaentissimo principe, B Ebbi col corriere ultimo il gradevole annunzio che l'emi- nenza vostra reverendissima era stata eletta a camerlengo della santa romana chiesa. Di che mi congratulo non tanto colla emi- nenza vostra, la quale, ricca com'è di tanti meriti, dà a quell' alla diguilà più ouorc che nou ne licevei quanto colle scienze , Elogio del Biondi 293 colle lettere e colle arti, che otterranno ingrandimento e favore. Ma più che per qualunque altra causa , io debbo esserne lieto per r acquisto che la mia diletta accademia di archeologia ha cosi fatto di un protettore valevolissimo. Né l'adorato nostro sommo pontefice, che tanto ama e protegge ed onora gli studi di antichità considerandoli come decoro di Roma, avrebbe po- tuto scegliere chi più lo imitasse nell' amarli, nel proteggerli e neli'onorarll: né il nostro istituto avrebbe potuto desiderare sor- te migliore che questa, di veder prescelto a proteggerlo un suo socio che fin dalla gioventù si diede a coltivare eoa tanta lode sitfatti studi, e non gli ebbe mai abbandonati. Tralasciando dunque di raccomandare all'eminenza vostra reverendissima l'accademia, che è non solo sua, ma parte del cuor suo, m'inchino al bacio della sagra porpora, e eoa profondo ri- spetto e venerazione mi confermo. „ (34) L'accademia, riconoscente al favore dimostratole in ogni incontro dall'esimio personaggio, gli ha due volte decretato rin- graziamenti solenni. 11 Biondi poi, in una allocuzione tenuta nell' accademia stessa, ebbe a diredilui: ,, Che appresso il sommo pon- tefice è per l'accademia nostra ciò che per gli uomini di lettere fu il cardinale Pietro Bembo appresso Leone X.„ (Atti, voi. VriI a e. XII.) — s-e^50€^s«=^ 394 tatsoMmmmnm'ì Vocabolario romagnolo-italiano di Antonio Mor- ri. Faenza tip. di Pietro Conti 1840, in 4-" Fascicolo i.° di pag. P 1-/^6. (Ab—An) avola rappresentativa del sapere della nazione ben fu detto da un insigne le Iterato della Romagna dover essere il vocabolario della lingua nobile; e l'e- spressione è vera ed evidente. Vera, in quanto che essa lingua non è altro che un sistema di segni ma- nifestanti le idee, i giudizi, i raziocini, i sentimenti di ciascun individuo, e di tutto un popolo: evidente, in quanto che il vocabolario come in un gran qua- dro ti porge innanzi tutto il senno della nazione. Ma codesta tavola non può non essere che a guisa di un gran paese (ben più vasto che non sono i cari e graziosi paesetti del nostro Bassi, onore delle arti gentili e della Romagna): paese, che in una ti porga innanzi di molte e belle vedute, quante ne porge dalle alpi al mare il gran giardino del mondo, quel più caro sorriso della natura, ben salutato dall' amoroso Petrarca^ quando da estrania terra a vagheg- giare tornava il caro nido [Epistol. lib. Ili ad Ita- liani ex Galla s renieans). hran^^mì chi legge il poe- ta sulla cima dell'alpe, parlante così: Salve, diletta al ciel, terra beata, A'superbi tremenda, a'buoni amica: Vocabolario Romagnolo agS Salve, tra quante son tene famose La più degna e feeonda e più gentile, Che di due mar ti cingi e di gran monti, D'armi e di sante ìeniii e delle muse Avventurosa stanza, ornata e bella D'auro e d'eroi: terra, cui die natura, Cui dier l'arti leggiadre ogni sorriso, E al mondo ti levar donna e regina: Salve, terra d'amor: ecco anelante Dopo tanti sospiri a te ritorno: Ne più mi partirò, terra beata. Tu la stanca mia vita ospite accogli: Tu questa spoglia mia alfm ricopri! Da questa cima orrenda ti riveggo, Italia, Italia mia: le nubi a tergo Tutte mi lascio, e '1 tuo spirto soave Sento, e l'aura divina, e riconosco La patria amata, e lieto io la saluto: Madre gentil, gloria del mondo, oli salve! Quella dolce anima del Petrarca (che molto sospirò per la bella avignonese, ma più assai per la patria (i) ) deb mi perdoni, se cinque secoli dopo lui traducen- do ho indebolito i suoi alti concetti, ho agghiacciato i fervidi ad nn tempo e teneri suoi sentimenti ! Chi volesse tutta Italia descrivere in dipintura, altrettanti piccoli quadri dovrebbe a mano a mano fidare alla tela: e questi in fine venire l'uno all'altro accoppiando in guisa da formare de'suoi pregiali ele- (i) Valgono tutte le rime d'amore le due sublimi canzoni: Italia mia, e Spirto i^eiitil: a bene iulendere le quali uopo è tra- sporlaròl a'ieuipi del poeta. 296 Letteratura menti quel tutto insieme, che a chi lo guardasse fa- cesse sclamare: Ecco l'Italia! E chi voglia formare il gran vocabolario della lingua, non di una città e di un municipio, ma della nazione: chiaro è che dovrebbe prima formare i vocabolari particolari di cadauna pro- vincia almeno. Dico almeno di cadauna provincia; im- perciocché, senza partirsi dalla Romagna, altro è il dia- letto de'ravegnani, altro quello de'faentini, altro quello de'forlivesi, e va discorrendo; onde quasi ogni città vorrebbe prima avere il suo a comporre, indi il vo- cabolario della provincia. Senza ciò sembra difficile, se non anzi impossibile, avere buoni e pieni voca- bolari di ciascuna provincia: senza buoni e pieni vo- cabolari di ciascuna provincia impossibile avere il vo- cabolario veramente della nazione; il quale sia fatto al lume di quelle tre fiaccole, autorità, uso, ragione; senza le quali cammineremo pur sempre in una notte non certamente di ogni luce muta; ma nò mai so- migliante a chiaro perenne giorno, come richiedesi alla tavola rappresentativa del sapere della nazione. Abbiamo noi italiani dopo le onorate fatiche de- gli accademici della crusca (troppo ligi all'autorità del trecento): dopo le proposte del Monti e del Per- ticari (rivolti, piìi che all'uso, alla ragione ): dopo i dizionari, che sorgono per ogni angolo della penisola, (promettenti mari e monti): dopo lo stesso Panlessico, (speciosa promessa di lingua universale): abbiamo noi veramente il vocabolario della nazione? Io non ose- rei affermarlo; ma ne vorrei niegarlo con precipita- zione di giudizio, cagione precipua de'nostri errori, non pure in fatto di lingua, ma in ogni altro ar- gomento che sia ancora disputabile. Lascerò ai so- lenni nostri scrittori della Romagna singolarmente (tan- Vocabolario Romagnolo J297 to benemeriti delle risorte lettere al nostro tempo) di decidere la quistione. In quanto a me loderò, che come il proprio vo- cabolario hanno Venezia, Padova, Milano, Brescia, e Bologna, e Ferrara, e Mantova e Piacenza, ed il Piemonte e la Sardegna: così abbialo alfine la Roma- gna, che prima diede esempio di opera enciclopedica nella Piazza universale di tutte le professioni del mondo di Tomaso Garzoni di Bagnacavallo^ ope- ra che usci prima in Venezia del iSSy, e più volte fu ristampata, ed in tedesco tradotta e adorna di ra- mi nel iGSg, e citata neWa. Serie detesti di lingua del Gamba, e ne' più ampi vocabolari che sursero a'nostri gioi-ni encomiala. Egli è il vero, che essendo la Romagna seminata di città colte e splendenti, come un prato è sparso di fiori, come il cielo è smaltato di stelle, o poco meno (cosa particolare di questa bea- ta regione, custode felice delle ceneri e della gloria di Dante): costruire il vocabolario romagnolo è cosa di gran momento, e colla debita proporzione potreb- be dirsi: Che non è impresa da pigliare a gabbo Descriver fondo a tutto l'universo. Dante^ Inf. 82, 8. Ma che? Quanto più l'impresa è difficile; tanto maggiore si fa la gloria di chi si pone a tentarla con animo generoso e con molte forze. Chi non loda Colombo, che tentò primo la scoperta del nuovo mon- do? Chi non ammira l'opera più grande della mec- canica nell'età nostra ; quella che supera le egizie, 2q8 Letteratura le grcclie, e le romane: dico la costruzione di una slrada aotlo il Taiuigi? Per questo assai lode vuoisi concedere al signor Jntonio Morri di Faenza, che accumulale da tutte parti della Romagna voci e frasi in buon dato, viene regalandone un vocabolario ro- magnolo-italiano : di cui mancavamo. IN'è uscito il primo fascicolo, die è come l'aurora di lieto giorno: né io vorrò giudicarlo; ma incuorare piuttosto il de- gno autore a seguitare con prudente giudizio e con costanza e diligenza. Due cose alla prima ebbi ad osservargli, scrivendogli i-allegrandomi della incomin- ciata impresa: l'una, che poteva parere trascuranza coL pevole l'avere mancato di nominare tra gli autori, ai quali attinse come a'fonti, Tommaso Garzoni bagna- cavallese: l'altra, proponendogli un mio vecchio pen- siero, se cioè a dare in iscrittura le pai-ole nostrali fosse da adottare un sistema di segni ortografici, mas- sime di dittonghi al modo de'francesi; tanto più che noi romagnoli non terminiamo per lo più le paro- le, e diverse inflessioni di voci adoperiamo, come for- se in più casi i francesi. Così, a cagione d'esempio, noi di Bagiiacavallo a significare il yj(<;/e diciamo jìÌi^ che potrebbe scriversi francescaiuenteyy<<7?, tialascian- do la pronunzia della consonante n in fuie: a Lugo all'incontro (e non è tre miglia distanle ) dicono in- vece pè, che potrebbe scriversi pam, adottando il dit- tongo francese ai per noi pure. E mi è bello il pen- sare , che quando nelle vacanze del ili 12 io dava opera a perfezionarmi (quanto per me si poteva il più) nello studio della lingua francese sotto l'amorevole di- sciplina di tale maestro, che oggi siede meritamente in eminenza di grado: andava notando molte voci e mo- di nostrali, anche; nella pronunzia, conformi in parte Vocabolario Romagnolo 2oq almeno ai francesi: e mi faceva nella mia mente una bella congettura, clie il soggiorno tle'francesi in antico (più ancora che a'giorni nostri) in questa beata re- gione, che fu sempre desiderata dai più potenti, fosse la causa che alcune dizioni e voci e desinenze il vol- go nostro, e fino i rustici, abbiano comuni alle di- zioni, alle voci e desinenze francesi. L'esercizio della filosofia, che dovetti poi aprire ai giovani del ginna- sio: e le cure poste di continuo nelle cose di bene- ficenza, mi tennero per quasi trent'anni occupato di guisa, che a quella mia congettura e a'giovanili pen- sieri sulla lingua nostrale non potei di proposito ap- plicare più l'animo, quanto si conveniva a trar lu- me da quel barlume. INfè avrei ora mosso parola, se l'opera del Morri diligcntissimo jion mi avesse ri- chiamato alle idee di gioventù, che non lio potuto poi maturare. A guisa di dubbi io le esposi in parte a lui stesso: il quale fu tanto cortese da risponder- mi con questa lettera, che pongo qui sotto a corona di questo articolo: col quale non ho inteso che di accennare il lavoro incominciato felicemente da un buono ingegno, il quale se ascolterà la voce di quel Nestore de'letlerati nostri e suo insigne concittadino, cavaliere Dionigi St rocchi, non potrà che riuscire a lodato fine in questa prima e tanto più difficile prova di un vocabolario romagnolo-italiano. Ma ecco la lettera indirittami da quel savio e gentile : « La somma gentilezza e cortesìa, con cui la « S. V. illma ha degnato di ragguagliarmi alcune « sue brevi osservazioni intorno al saggio da me pub- f( blicato del povero mio vocabolario romagnolo-ita- « liano, mi costringono in prima a ringraziamela vi- « vamente, e poscia a parteciparle io pure alcune ra- 3oo Letteratura « gioni, per cui abbia in tal modo, anzi cìie alfra- « mente operato. E circa gli autori spogliati e citati « nell'opera, io non ho certamente dimenticato Til- « lustre Tommaso Garzoni , dacché subito alla voce « Acquadello ne ho fatto menzione , e faroUa A- « trove quando piii ne vedrò l'utilità ed il bisogno. « Quanto poi all'usare i dittonghi per entro al no- « stro dialetto, ho giudicato, e così pure la pensa- re no molti de'miei amici, che a quest'uopo ho in- (( terpellati del loro parere, che quanto piìi sempli- « Gemente l'avessi scritto, e avvicinato al modo con « cui si parla; tanto pivi facilmente ancora sarebbesi « letto da chichessia; e per questo motivo, e per Te- « sempio datomi dai compilatori degli altri dizionari « vernacoli, io mi sono astenuto dal mettere in atto « quanto ella mi fa osservare, sebbene più volte vi (i abbia pensato, e quasi sia stato ad un pelo di non « esegtiirlo. Ma ora la cosa è fatta; e cosa fatta ca- re pò ha, siccome dice il proverbio. E V. S. illma, « che tanto sente innanzi in ogni genere di lette- le ralura e di scienze (i), credo che mi avrà per com- « patito, se nello stabilire che ho fatto pel primo l'or- « tografia del dialetto della Romagna, non ho sempre « imberciato colà, dove io mirava. Il non avere ti-o- « vato neppure una sola pagina di questo vernacolo « benedetto, ha fatto sì che tutto sopra di me ho « dovuto assumere un tanto peso, forse assai leggero « alle altrui, ma certamente assai grave alle mie spal- le le. Non ho poi termini, che bastino a renderle tut- (i) Dovrei a ragione, e più che a ragione, ripetere qui „Me quoque dicunl vatem pastores; sed non ego credulus illis. (L'au- tore). Vocabolario Romagnolo 3oi « te quelle grazie, ch'io vorrei, pel compatiraenlo, « poiché nulla piìi merita il mio quaderno, cui ella (( tanto gentilmente mi concede per un lavoro, che « certamente erasi ornai renduto troppo necessario pe' « romagnoli; ma dal quale pur troppo non ne potran- « no ritrarre che un mediocre vantaggio; ma facile « est inventis addere, ed altri liempirà le lacune da « me prodotte, e correggerà perdonandomi gli stafal- « cloni cadutimi dalla penna. Se in progresso di tempo (( mi favorirà la S. V. illina di farmi assapere qualche « altra particella de'molti trascorsi, che verrà riscon- <( trando, io l'avrò per un novello tratto d'amorevo- « lezza e d'affabilità verso di me, che pieno di tutta « la stima e rispetto protesto di essere, della S. V. « illma. Di Faenza a dì 1 1 maggio 1840. Umilmo, « devmo, obhligatmo serv. Antonio Morri. » La modestia dello scrittore è segno di vera sapien- za: ne io por voglio la bocca in cielo! Bastami, a schia- rimento di questo cenno da me offerto ai cortesi leg- gitori, richiamar loro ciò che a lode di Tommaso Gar- zoni, mio illustre concittadino, scrissi nell'aprile 1828 [Voi. 112, pag. no e segg.) in questo giornale: e ciò pure che del Dizionario enciclopedico uscito in Venezia scrissi nell'aprile i83o [voi. i36 pag. 120 e seg.), pronto sempre a conformare i miei giudizi, qua, li siano, al parere de'savi, i quali possono di queste cose sentenziare sicuramente! D. Vaccolini. -«*^^G6§^«=- Hcnricl Franchimi neapolitani. Commentarius in edictum voi scorimi in aes inciswn , cuius mo- numenti archetfpum NeapoU in regio museo asservatur. IIEÌXIIICUS FUAIVCHLMUS NEAPOLITANUS PETRO-HERCULI VISCONTI EQUITI PRAEFECTO ROMANARUM ANTIQUITATUM S. D. 'um, vlr ci. Visconti, opusculum meum, cui ti- tulus Commentarius in edictum volscorum in aes incisum, cuius monumenti archetjpum NeapoU in regio museo asservatur, ad te mitlo , tanquam ad moecenatern nostrorum tcmporum; oleum et operam elucubrationis meae liaud perdidisse arbitror. Per- vetustae sane, ex italicis populis, volscorum gentis linguam adeo reconditam et abstrusam altigi, ut apud romanos paroemia incrcbuerit, Qui osce aut volsce fabulantur: nam latine n^sciunt (i): ac si ignotum sermonem indicarent. Ne dicam, cunctos pene eru- dltos eundera latuisse sermonem , et lierculanenses ipsos academjcos, qui cxemplar liuiusce insignis mo- numenti ediderunt. Sed nemo est suarum rerum aptus aeslimator. Dum igilur ad te alacriler eonvertor, ut- pole ad aniiquilatis promumcondura, atque in primis acquum periturnque ccnsorem, quicquid praestilerim, tuo iudicio aequiescere non dubitaLo. Quod si meam illustrationem in lucem edi ccnsueris, te rogo, ut pre, lo tjpograpbico permittas. Et de tua animi magnitu- dine vchcmcnter me demerebis. Vale. DataSalerni,Xin kal. ianuar. A. MDCCCXL. (ij Tilin. apud Festuin in voce Oscum, Edictum Volscorum 3o3 PRAEFATIO Volsci, ex antiquis Italiae popiilis , etsi eorum orlgo minime innotuerit, gens erat poicns et lìelli- cosa. Cum romanis Leila gesserunt , pariterque foe- ilere illis iuncti fuerunt. Volscorum ager contermi- niis erat veteri Latio, Campaniae, et Samnio. Sub romanorum vero regibus ex magna parte in secun- (lo priseo Latio compre! lensus fiiit (i). Suceessu tem- poris sub romanis imperatoribus, aequis , bernicis , ausonibus , atque ipsis volscls in buinorum nomen receplis, reliquns liorum ager novo Latio inelusus fuit, cuius fmes a Tibcii ad montem massicum (eius ho- die extrema pars dicilur Mondi-agone) pertingunt. Alia etiam loca volsci tenuerunt. Eorum lingua, licet latinis litteris uterentur , fuit admodura abstrusa, estque viris doctis minus ex- plorata; quum desiderentur eorum scripta monumenta. CI. V. abbas Lanzius in eius libro, cui titulus Sag- gio di lingua etrusca e di altre antiche d'Italia^ nibil aliud volscorum monumentorum congessit, prae- ter tria numismata, et unam tantummodo aeneam la- minam, in qua panca eorum lingua scripta sunt. Haec explananda susccpit, sed non prorsus absolvit. Sors oblulit fauslae memoriae regi Ferdinando, anno circiter MDCCXCIV, aeneam laniinam scriptu- rae volscac, de qua acadenaici berculanenses ( parte I pag, 38 disserlationis isagogicae ad jjerculan. vo- (i) Strabo (lib. Y p. .t5o cclit. an. 1707. Amslrlacdami) au- ctor est, Latium etiam voiscos coinplexuinj lios tauien non esse lutinos. 3o4 Letteratura luna, explanat.) haec narrant ... « Lamina quanti- « vis pretii, quae quarto abbine anno in Lucaniae (( pago, cui nomen Oppìdum, inventa est, et muni- « ficentisslmus rex noster, buiusmodi mojiumentorum « sagacissiraus aestimator, quadringentis aureis ab in- « ventore redemptam in herculanensi gazophilacio « adservat. » Eam ipsi ediderunt, sed non illustra- runt; quum ibidem baec vei'ba subiunxevint: « Scbe- ma exbibemus, tab. IV et V , ut interpretum inge- nia exerceantur. » Consti tui igitur buius insignis monumenti illu- strationi manum admovere, licet arcbetypum a parte dextera, itemque in principio, et in ima ora, sit ve- tustate obliteratum. Argumentum buius volscorum scripti mox tradam in titulo, quae interpretationi prae- posui. Continuo post interpretationem scholia in quae- que verba subiungam. TAB 2- Henrici Franchimi, interpretatio eJicti cuiusdam .olscorum, eorum lingua in aeneam laminam incisi, partim .etu^ state detritami cuius esemplar extat tabula Fdissertationis isagogicae ad herculanensncm .olu.mmun eocpla- nationrm. Jrgummtum huius monumenti hoc est: Edictum de compascuo agro puhhco cMis Bantme di.i. drudo [SaJtus bantini ab Horatio celebrati, Carmen 1. 3 od. IV, v. i5); de usu canahs; etdeagrorum ex amne irrigatinne ( amnis hic erat bradanus, ad cuius laevam ripam sita erat urhs Bantia. V. Chwer. Ital. AnUq. lil). IV, cap. 12 ). Praeter cives quaedam circa pascua variis magistratibus mdulta fuerunt. 1. Qui. Multam. Exigit 2. Dividat. Maia. Pascua. Seuatus. Susceptor 3. Reus. Cippo. Compascuos. Terminos. Si. Quis. Partiatur 4. Divisi. Canalis. Coinmunis. Per. Dolum. Malura. Si. Reus. Communi 5. Procul. Amne. Tricliilas. Ipsi. Cadis. Ex. Amne. Irrigent C. Maia. Pabula. Pro. Domo. Facit. Ex. Communi. Partem 7. Communis. Habeat. Si. Quis. Poscet. Postliac. Communialia. Adeat. Meddix 8. In Commissas. Facto. Quomodo. Hoc. Divisum. Exactorc. Dicenle. Portionem. Datam 9. Dicium. Quod. Consilium. Summum. Dcderit. Ipsum. Ncque. Fecerit. Quodvis. Datum 10. Diviserit. Dolo. Malo. Si. Quis. Conlra. Id. Fecerit. Ipsi. Communi li. . Eslo. Nummum. co ce. Si. Quem. Reum. Forte. Meddix. Multare. Censet. Comperto 12. Commissis. Mullis. Multare. Liceat. Si. Quis. Promeddix. Limilum. Alterius. Castri. Quoties. Commissas i3. Sicilicum. Dicat. Toties. Communis. Hal)eat. Ne. Deinceps. Propterea. Corruperit. Usus. Canalis. Per. Dolum i4- Maliim. In. Tributo. Sicilico. Hunc. Proliibeat. Corrumpi. Ncque. Amplius. Possit. Privato, Aclu i5. PraL'lerquam. Medicae. Mensuram. Dcderit. In. Numcrum. Modiorum. XX. Privatim. Usus. Ibi. In. Sicilicum 16. Sicilicum. Trigesimum. Communis. Habeat. Si. Quis. Conlra. Ilaec, Fecerit. Reus. Si. Quem 17. Ccnsct. Meddix. Multare. Liceat. Comperto. Facinora. Reis. Commissa. Liceat. Deinceps. Censilor ili. Banllae. Hunc. Censum. Et. Aliquis. Civis. Bantinus. Sit. Censeri. Praetermissus. In. Commissam. Poenam 19. . . Censitor. Censum. Aget. Publice. Aut. Si. Quis. Censet. Partem. Ne. Eveniat. Dolus. Malus 20. Inibì. Exprimi. Praetermissus. Cominus. lUuc. Acceda!. Promeddix. Limilum. Ibi. Praesens. Per. Dolum 21. Malum In. Officio. Praesidis. Scnatus. Aliter. Quam. Illa. Sive. In. lUis. Paginis. Sit. Perscriptura. Uti 22. Ibi. Esto. Provinciae. Suae. Profugus. Quod. Poslliac. Rantiae. Sii. Si. Quis. Propterea 23. Spoute. Decernit. Ipsi. Officium. Promeddix. Pascua. Equorum. Illinc. Depascenda 24. Quae. Ex. Hisce. Legibus. Scriptis. Sed. Nemo. Porro. Habeat. Plus. Sicilicis. Denis. Si. Quis. Centra a5. Edictum. Porro. Habeat. Multa. Ipsi. Esto. Nummum. co . Si. Quem. Reum. Meddix, Multare. Censet. Liceat 26. Comperto. Facinora. Reis. Commissa. Mullis. Multare. Liceat. Provinciae. Censitor. Rantiae 27....NÌSÌ. In. Sua. Provincia. Sit. Ncque. Censitor. Full. Ncque. Suae. Provinciae. Sit. Incoia. Si. Quis. Provinciae.Incola.Suae ^^- ^^- Ip«a°i- Strenuilatem. Sit. Pariter. Postea. Tribunus. Romanae. Plebis. Fuit. SI. Quis ^9- Specialem. Providentiam. Lens. Esto. Specialibus. Magistratibus. Ibi w TAB. !• JNSCRIP MVS, Q. MOLTA! DEIVAST. MAIMAS. CARNEIS. SENATI! NIOCEGMO. COMPARASGVS TER. SVAE. Fi DEIVATYO. SIPVS. COMONEI. PERVM. DOLOM. MAL ^CAS. AMNVD. PANPIEIS. VMBRATEIS. AVTI. CAD} TA NOINVD. MAIMAS. CARNEIS. PERTVMVM. PIEI COMONONI. HIPID . . . PIS. POCAPI. T. POST. B . NEITVAS. FACTVD. POVS. TOVTO. DEIVATVNS. DEICVM. POD. VALAEMOM. TOVTICOM. TADAIT. DEIVAID. DOCVD. MALVD. SVAEPIS. CONTRVD. E^. TO. ESTVD. N. 0 0. IN. SVAEPIS. lONC. FORTIS EITVAS. MOLTAS. MOLTAVM. LICITVD. SVAEPIS. ZICOLOM. DICVST. IZIC. COMONONI. HIPID NE/. PO MALLOM. IN. TRVTVM. ZICO. TOVTO. PEREMVST. Pfl PRVTER. PAM. MEDICAT. INOM. DIDIST. IN. PONDO ZICOLOM. XXX. NESIMVM. COMONOMNI HIPID. SV HEREST. MEDDIS MOLTAVM. LICITVD. AMPERT. à'. BANSAE TAVTAM. CENSAZET. PIS. CEVS. BANTINJ A'SC CENSTVR. CENSAVM. ANGET. VZET AVT. SYil IN. E. IZEIC. VINCTER. ESVF. COMEN. EI. LAMATIR. p|ì/ MALLOM. IN. AMIRICATVD. ALLO. PAMELO. IN. E TOVTICO. ESTVD. PR. SVAE. PRAEFVCVS. POD. lìfi ATRVD. I IC i^D. ACVM. HB:REST. AVTI. PRVMEDIiA PAS. EX. AISCENLIGIS. SCRIFTAS. SET. NE. PHIM. Plb EXDIC.PRVHIPVST. molto. E^ANIO. ESTVD. N. (p. AMPERT, MIN5Ti?EIS. AETEIS. EITVAS. MOLTAS. ID NI. I. SVAE PR. FVST NEP. CENST M . . /EI Q. D. . . IM . NERVM. F . . . . JST \ZICM ONIS APOGRAPHUM ANGIT. V. ... [S. TANCIA. ). PERTEMVST. P. . LOM. SIOM. lOC COMO . S. AMNVD IJ^IM. ID. IC . IX. COMONO. PERTEMEM ST. EXAC. COMONO. HATIEAT MEDDIS. ANCINOM. DEICANS. STOM. DAT. EI. '.VMNEP. EEFACID. POD. PIS. DAT . ELO. PEFACVST AVTI. COMONO. HI lEDDIS. MOLTAVM. HEREST. AMPERT. MIS.... RVMEDDIX VD ALTREI. CASTRO OSAVCI. EITVAS OPTOVTAD.PETIRVPERT.VRVSTSIPVS.PERVM.DOLOM riROPERT NEIP. MAIS.POMTIS.COM.PREIVATVD. ACTVD , MOXX. CON PREIVATVD. VRVST. EISVCEN. ZICVLVD L PIS. CONTRVD. EXEIC. EEFACVST. lONC. SVAE. PIS IsTREIS AETEIS. EITVAS. LICITVD. PON. CENSTVR . . Ifvst. censamvr. esvf. in. eitvam. poizad. Lievi.. t PIS. CENS TOMEN. NEI. CERNVST. DOLVD. MALLVD.. \fMFJ}. DIX VD. TOVTAD. PRAESENTID. PERVM. DOZVM ISIVOM. PAEPEIZEIS. FVST. PAEANCENSTO VST ST. EXAC. BANSAE. FVST. SVAE. PIS. OPEIZOIS. COM lTVD. MANIMAS. EPVM. EIZAZVNC. ECISIAZVM- HIPID. MAIS. ZICOLOIS.X.NESIMOIS.SVAE.PIS.CONTRVD . SVAEPIS. lONC. MEDDIS. MOLTAVM. HEREST. LICITVD OLTAVM. LICITVD. PR. CENSTVR. BANSAE \. FVID. NEP. SVAEPR. FVST. IN SVAEPIS. PR. IN. SVAE ÌT. IZIC. post. ElZVC. T R PL. NI. FVID. SVAEPIS IPRVFID FACVS ESTVD. IDIC. MEDICIM. EIZVC IM. VI. NESIMVM VM POD MEJ)]Cm EdICTUM VoLSCORUIVt 3o5 SCHOLIA In edictum sfolscoruin^ verhis eclicti ordine alphabetico digestis. A Acum (i. e. spante^ a graeco zy/m-, spontaneus, ào- rlce mutata E in A, et more latinorum IN in M ). Aeteis (i. e. T'eìs, a graeco diziog, reus. Glossarium vetus, A'/tjsc, nocens, sons, noxius^ reus ). Allo (i. e. aliter, a graeco akloq, aliter ). Amiricatud ( i. e. officium praesidis senatus |. In. Amiricatud (i. e. in officio praesidis senatus) a graeco A'ix'ooxqi sive A-'^x-riouio^'-, quorum vocabu- lorum prius Joannes Meursius in suo glossario graeco-barbaro docet significare protosymbuluni^ sive praesidem senatus: posterius autem prae- torem. Quocirca verba Constantini De admini- str. imp. affert. Quod vero ad litterani D postre- mara, hanc redundare in fine quarumlibet dictio- num vocali desinenlium, patet non modo ex hoc, verura etiam ex ccteris monumentis antiquae or- thographlae latinae. Videsis S. C. de bacchanal. apud Matlhaeum Aegjptium; et priscas leges ro- manorum). Amnud (i. e. amnìs: V. Ecas. Amnud). Ampert (i. e. comperto, sive aperto. « Aperio (in- « quit Vossius, in TJ^^/rto/o^. ad ipsam vocem), <( ut Prlscianus lib. VITI agnoscit, factum ex ad « et parlo .... A parlo quoque sunt rcperlo <( et comperio. Nam repertum dicitur quasi re- G.A.T.LXXXIII. 20 3o6 Letteratura « partum, et in Incera editum; parque ratio in (( compertum). Anglt (i. e. agii). Moltam. Angit : i. e. multam exigit. Alir (i. e. adeat, acceddt. Littera T prò D ratione antiquae orthograpliiae latinae. Laurenbergius in suo Antiquario , ad liane litteram, ait: « T prò D antiqui posuere » ). B Bansae (i. e. Bantiae^ oppidi positi in confìnio Lu- caniae. Plinius lib. Ili, cap. AT, inter lueanos recenset bantinos. Vid. Cluverii Italiani antiquam, Itb. IV, cap. XII, n. i3). Cevs. Bantins'. i. e. civis bantiuus. C Carneis (V. Maimas. Carneis). Castro (i. e. oppido). Altrei. Castro: i. e. alteri op- pido: vel potius, alterius oppidi. Cebnust (i. e. evcniat). Nei. cebnust. dolud. raallud (i. e. Ne. eveniat. dolus. malus), Littera C in prin- cipio redundat. Hanc addi in pi'incipio dictionum, exemplis docet Vossius, De litter. vermut. B prò V consonante est antiquae ortliographiae latinae. Esempla sunt obvia, quae praeter Crateri inscri- ptiones, invenias apud Vossiura, De litter. per- mut. ad litteram Vau; et apud Laurenbergium, in Antiquario ad liltoram B. In sono autcìu eiu- sdem litterae B, lalct vocalis E secundae syllabae verbi eveniat. Audiatur Lanzius (Saggio di lin- Edictum Volscorum 3o7 glia etrusca e di altre antiche d'Italia , toììi. i. p. 90): « Nell'antica ortografia si tralasciava qual- <( che vocale nel mezzo della parola, ed era quel- te la, qucnn sjllaha nomine suo pxprhnit: v. gr. « B pronunziandosi be\ in vece di lebero (cioè « libero) scrivevano solamente lebi'o, come nel- « l'ara di Pesaro etc.) Censaz (i. e. censuni. Laurenbergius, in Antiqua- rio: « Censa (ait) prò census » ). Cevs (i. e. cisns). Censlur (i. e. censitor). Comen (i. e. cominus). Comen. eilam: i. e. cominus illuc. Comono, comononi ( commune\ hic intelHgitur de agro communi civitatis compascuo. Aggenus Urbi- cus, De contr. agr.: « Relieta sunt (ait) et multa « loca, quae veteranis data non sunt : haec variis « appellationlbus prò regronibus nominantur: in « Etruria communalia vocantur, quibusdam pro- « vinciis prò indii>iso. Haec fere pascua certis 0 personis data sunt depascenda, tunc cum agri « adsignati sunt ... Nunc, ut ad publicas personas « respiciamus, coloniae quoque loca quaedam ha- « bent adsignata in alienis finibus » ). Comparascus (i. e. compascuos). Conpreivatud (i. e.privatim). Contrud (i. e. cantra). D Deicum (i. e. dictum). Deivast (i. e. dividat. Glossarlum Isidori, didatim, divisim. Litteram vero D in vaie umtari aeolice, testatur Vossius, De letterar. permutat.) 3o8 Letteratura Deivatuo (i. e. dimisi). Deivatuns (i. e. dwisum). Deivaid. dolud. malud (i. e. diviserit dolo malo). Didist (i. e. dederit). Dolud. mallud (i. e. dolus maliis). Periim. dolom, mallom (i. e. per. dolum. malum). ECAS (i. e. procul-t a graeco sxàg, procul). EcaSy amnud (i. e. procul. amne). Nam urbs Bantia sita erat ad laevam Bradani amnis ripara. V. Cluver. Ital. antiq. lib. IV, cap. 12, n. i3. Ecmazum (i.e. manducare, a verbo graeco iiaaacùimi, manduco , cum aeolica mutatione terminalionis tliematis (jcd in ^oj, praeposlta praepositione Ix , ex, quae composita auget. Cum vero de equis di- citur, significat pascere, depascere). Egmo (i. e. cippo, sive termino, a graeco ÈyfJ-a, apud Hesychium <;vko^' ^t'j'Xs; autem denotat columnam, et cippum ad discernenJos agrorum terminos), Eisuc, Eizuc (i. e. ibi). Eizazunc ( i. e. illinc ). Ezum ( i. e. ipsum. V. Lanzium, tom. 2, p. 627 et 1712 ad vocem oscam eisur, eiseis ). Eltuas. Moltas (i. e. commissas. niultas, a verbo eo, videlìcet initas multas, quomodo latine dicitur, nexum inire. Liv. lib. Vili ). En ( i. e. in, ut in vetustis romanorum legibus). Epsanio ( i. e. ipsi). Epura ( i- e. equilm, sive equorum ). Estud ( i. e. esto, ut in priscis romanorum legibus). Esuf (i. e. praetermissus ). Censamur. efus. (i. e. Edictum Volscorum 3oq censeri. praeterraissus ) , ex hebraico 3|y (asab) praetermisit, 3 in ^ conversa; quia sunt litterae homogeneae, sive affmes, quae facile inter se per- uiutantur. DTy aulem facit participium praeteritum 3ì|y (asub, praetermissus). Facus (i. e. lens^ a graeco ({>ay.cq, lens). Fust (i. e. sit. V. Lanzium, ad lab. eugub. tom. 2, p. 781 in indice]. H Haltieat (i. e. adeat). Hattieat. meddis (i. e. adeat. meddix). Herest (i. e. censet, decernit], a graeco àpsaxw, unde nomen latinum areston (placìtum, sive sententia magistratus maioris, adversus qua non datur pro- vocalio ). Hipid (i. e. habeat, habeto). P posila est prò B. Vid. Mazochium in Tab. heracl. p. 496. D au- tem prò T. Vid. Vossium, De litter. permut. ad litteram T. Quod vero ad vocalem I prò A, con- suleFestum ad v. JYegibundum; et in eum Sca- ligeri castigationes, qui ait: « Negibundus prò ne- « gabundus : ut artire prò artare, irapetrire prò « impetrare » ). r ID. IC ( hoc modo scriptum, i. e. irrigent). Nara sensus hoc interpretationis requirit. Littera D hic 3io Letteratura valet R iV. Vossium, De littor. permnt. ad lit. R; qui ait: R mutatur in D). Unica vero D si- ve R prò gemina, est antiquae ortliograpliiae (V. Festum ad v. Anus^ et ad v. FoUum\ qui ait: « Antiqui non geminabant consonantes »). Quod ad litleram C , nolum est, apud priscos latinos passim prò G poni. Verlium tamen liic est decur- tatum, non integre scriptum). Idic. medicini (i. e. speciales magistratus'j. Idic^ a graeco sjSizig, specialis. Medicion, a graeco Ms- diov, praefectus. Per compendium autem litterarum scriptum est idic prò idicim). Im. Nerum (i. e. ob. ipsam. strcnuitatein. Glossa- rium vctus: Nero àv^oucg- Gellius llb. XIII, e. 22 inquit: « Id autem, sive Nerio , sive JVerienos « est, sabinum verbura est, coque significatur ^>ir- « tus et jortitudo: itaque ex Claudiis , quos a « sabinis oriundos accepimus, qui erat egregia ac « praestanti fortitudine Nero appellatus est ». Svetonius, in Tiberio, cap. i: « Inter cognomi- « na autem et Neronis assumpsit, quo significa- (( tur lingua sabina fortis ac streniius. « Vedi Laurenbergium ad v. Nerio). Nerum igitur bic denotat virtutem, sive stre- nuitatem. Vox autem ini verti potcst, ob ipsam. Glossarium vctus: Im, c/vzòv, slg cìurcv. Festus (ad V. Im ) : « Im (inquit) ponebant prò eum, a no- ci minativo is. » In. Eizcic (i. e. inibi). Inlm (i. e. in euni. Festus ad v. Im). Cadeis, am- nud. inim, quod xarà nc'^a. verli possit , cadis. in. euin. amnem (subaudi inersis), latine sonat, ex. co. amne: nani subsequitur, ut ex interpreta- lione, irrigent. Edictum Volscorum Sii Inom (i. e. mensuram, ex graeco vocabulo /v> men- surae nomen teste Euslathio ( V. Scapulae lexi- con ad ipsam vocem). loc (i. e. reus, a graeco ho'/p^ì reus). Ione (idem quod ioc). Izic (i. e. pariter, toties, a graeco jaa/tg, pariter^ toties). Izicam (i. e. specialem, a graeco ìSrxcg, specialis^ mutata S in Z. Vid. Vossium, De litterar- per^ mutat). Ligis. scriftas (i. e. leges scriptas). M Maimas. carneis (i. e. niaia pascila. Vox carneis pascuorum significatione a nomine liebraico "13 (carj originera trahit : quod nomen pascuuni si- gnificat). M-aiiimas , idem est ac maimas ( subaudi carneis , i. e. pascua). Mais (i. e. plus, Laurenbergius, in antiquario ad V. Maesius, ait: a Maesius maiorem signifìcat osca « lingua » ). Meddis ( V. Valaemom. Touticom). Medicai (i. e. medicarne quae est berba trium fo- liorum, scmper virens, in equorum pabulis lau- datissiraa. De liac mentionem lacit Isidorus (Orig. 1. XVII, cap. IV, De leguminibus): « Medica (in- « quit), vilia, ervum, pabulorum optima sunt. Me- « dica dieta, quia a medis translata est in Grae- 3i2 Letteratura. « ciam, tempore quo eam Xerxes rex persarum « invasit. Haec semel seritur , et decera annis « permanet, ita ut quater vel sexies possit per an- « num recidi). Medicim (V. Idic. medicim). Mistreis (i. e. facinora^ a graeco ij.v(7 l'I passim occurrit in antiquis inscripdonibus). Pod. (i. e. quod). Pod, pis (i. e. quodvis. Nam V consonans conver- sa est in P. Vid. Vossiura , De litter. permiit. ad lìt. V, ubi docet: Van mutatur in P). Poizad (i. e. pocnani. V. Vossium, De litter. per- inut. ad lit. N, ubi ex dialecto aeolica adstruit, N mutatam esse in S, Haec aulem liltera passim hic permutalur cura Z, ut eisuc modo ita, mo- do eizuc scribitur). Pomtis (i. e. possit: per compendium boc modo scri- ptum; cum iutegrum verbum sit, potis. sit. Vos- sius ad verbum possum (in suo Etymologico) in- quit: « Possum -/.uzcK. ovf/.onriv dicitur potis siim: (I unde potis est crebro legei-e est prò potest , ii eliam cum respicitur nomen neutrum. » Hic vero interseritur liltera M, quam in medio addi solere plurimis docet ex emp iis Vossius, Z?c Zz7ife7'. permut. ad liane litleram). Edictum Volscorum 3iS Pon (1. e. deinceps: prò poni vel pone, quae vox teste Lanzio, to. 2, p. 699, ySS ; adhibetur in tabulis eugubinis prò deinceps^ Pondos (i. e. niunerus. INonius cap. VI, ait: « Pon- « dus prò numero: Varrò, De vita populi ro^ « mani lib. IV, etc. ) » In. Pondos. Mo. XX. (i. e. In. Numerum. Modiorum. XX). Post. Eizuc (ì. e. postea). Post, exac (i. e. postliac). Pous (i, e. (jiiomodo, a graeco T^óag, quomodó), Praefucus (i. e. profugus). Prufid (i. e. providcntiam: per compendium sic scri- ptum. Littcra V posita est prò 0. Digamma ve- ro aeoliciim prò V consonante. (V. Lanzimn, to. /, p, 164? qui ad lltteram F testatur: « Corrispon- « de ad V consonante. » Idem discimus ex Dion. Halle. R. A. l. /, ut in v. Velia). Prublpid (i. e. porro, liabeat : videlicet praeter j sive insuper habeat). Prumeddix (i. e. pro-meddix). Pruter. pam (i. e. praeterquam). Senateis (i. e. senatus). Siora (i. e. si). Sipus (i. e. canalis ad aquam ducendam: a graeco cicpu'j, sipho, sive canalis. V. Festi fragmentum in V. SiJ'us). Sivom (i. e. sive). In. Ei. Sivom ( i. e. sive. in. illis ). Particula praepositiva sive hic postposlta est: et littera S intermedia inservit tum praecc- denti pronomini eis^ tum subsequenti particula» 3i6 Letteratura swe. là passim usuvenit in antiquis inscriptioni- bus. Ceterum IN. II. SIVOM; valet, in eisve). Stom (i. e. portionem, a graeco tc/jivj, portio, prae- posito sibilo, ut etlam apud graecos assolet ; et postrema syllaba resecta ). Suae. pis ( i. e. si quis). Tadait (i. e. dederit. Nam littera T posila est prò D- Laurenbergius ad hanc litteram ait: a T prò « D antiqui posuere. » E autem conversa est in A. Vossius, De litter. permut. ad litteram E no- tat: (( E mntatur in A »). Tanginom (i. e. susceptorem^ sive exactorem^ coa- ctorem, a graeco àw^J^v, vas, in quod recondun- tur pecuniae. Littera enim T in principio redun- dat. V. Vossium, De litter. permut. qui exem- plis ostendit T addi in initio. Idem apud etru- scos oblinuit ( Lanzius , De dialecto etrusca , tom. /, pag. 206). Ter (i. e. terminos). Tomen (i. e. portionem : ex ipso nomine graeco Ts/xvj, portioi sectió). Toutad (i. e. ibi^ a graeeo raùrv;, ibi). Toutico (i. e. ibi^ a graeco -^Hra^^t ibi). Trutum (i. e. tributum, sive impertitum: vox per compendium scripta). In. trutum. zico (i. e. in tributo, sicilicó). U Ud (i. e. limitum graeco ovScJv. Glossarium vetus, Edictum VoLSCOrxUM 3l7 ewScg, Umes. Hic vero per coinpendium deest ul- tima syllaba). Vinctei' ( i. e. exprimi. Nonius cap. IV: P^incere, exprimere). Urust (i. e. usus, mutata S in R, cum T in fine redundante. Ulrunque docet Vossius, De litter. permut. ad litteram S, ubi ait: « S mutatur in « R; » et ad litteram T, ubi ait : a T additur « in fine » ). Ust (i. e, ut : interserta littera S ratione antiquae ortliograpliiae. Festus ad v. Dusmoso inquit: « Du- ce sraoso in loco apud Livium significat dumosum « locum. Antiqui enim interserebant S litteram, « et dicebant cosmittere prò commiltere, et ca- (t smenae prò camenae »). Uzet (i. e. publice, 3l ^raeco ó'jtog, publicus. U prò O posila est ratione antiquae ortbographiae. lose- phus Scaliger, in castigationibus in Festi libros, notat in indice: U prò O: et pcig. t6B inquit: « Scriptura antiqua sanino prò sonino). » Z au- tem prò S positam esse, ex buius edicti scriptu- ra confici potest, in qua idem vocabulum nunc per Z, nunc psi S scriptum apparet. Valaemom. touticom (i. e. consilium). Ziculud, zicolom, zicolois (i. e. sicilicus, sicilicum^ sicilicis. Scicndum est , sicilicum contincre sex scrupula: scrupulum autem erat minima pars iu- geri apud romanos, ut Varrò testatur. Uh. I^c. 12 de R. R.; ila ut in mensuris agrariis respondeat sicilicus c[uadrage5Ìmae octavae parti iugeri. Nam 3i8 Letteratura iugerum dividebatur in ducenta octoginta octo scrupula. Coluraella l. 5, e. i: « Iugerum habet « quadratorum pedum viginti octo millia et octin- « gentos , qui pedes efficiunt scrupula ducenta « octoginta octo. » Euudem modum indicai Var- rò loc. cit.) Consìlìiiin. Summum. Valaemom , a graeco ^«X-zJ, consiliiun. Nani V consonans passim prò B, ra- tione antiquae orthogi'aphlae, adhibetur. V. Vos- sium, De Ut. perinitt. Vocalis vero A dorice prò diphthongo « posita est: et prò vocali vj dipbthon- gus ae ( Vedi Zvingerum, De dialectis ). Quod ad vocem touticom , summi significatione , vide Festum ad vocem MedcUx. Hic summus erat apud oscos magistratus (item apud volscos) qui dice- batur meddix tuticus\ unde ex Ennii versu apud Festum, et ex Livio lib. XXVI ^ liane vocem, sive epitheton tuticus^ summum denotare liquet. Relazione delle av<^>ei'sità e patimenti del glorioso papa Pio VI negli ultimi tre anni del suo pontificato^ composta da monsig. Pietro Bal- dassarre Seconda edizione corretta , aumen- tata e corredata di note. Bologna pei tipi del Nobili e compagni 1839. c, IreJiamo far cosa grata ai seguaci della nostra san- ta catlolica religione, ed agli amatori della isterica ve- rità, tenendo proposito in questo giornale di un'opera elle giudicliiamo importantissima a riempiere un vuoto che rimaneva nella istoria de'nostri tempi, e di cui niun altro meglio del nostro autore monsignor Pietro Baldassarri pò tea conoscere le particolarità e le cir- costanze. Fu egli infatti uno delle persone clie segui- rono ed accompagnarono la gloriosa memoria del santo pontefice Pio VI negli ultimi tre anni del suo esilio e della sua deportazione: testimonio oculare di molti fatti accaduti, che furono o totalmente ignorati o tra- visali da altri istorici : ed infine, per le sue intime relazioni coi principali e più illustri personaggi che accompagnarono il lodato pontefice nella sua emigra- zione, pii^i atto di chicchessia a giudicarne. Ha inol- tre quest'opera il pregio di essere scritta in un lin- guaggio semplice e naturale, con sana critica, e con sagge e giudiziose riflessioni proprie a moderare quello spirito tanto altero ed audace che disgraziatamente domina negli scrittori dei tempi nostri. 320 Letteratura Questa Relazione delle avversità e de'patimenti del gran Pio VI è pure accompagnata da non poche annotazioni apposte dal cliiarissimo signor arciprete D. Pietro Cavedoni, direttore della continuazione del- le memorie di religione morale e letteratura di Mo- dena, le quali (come si legge nella prefazione dell'au- tore) non solamente contribuiscono molto ad illustra- re e confermare le cose contenute nella relazione me- desima, ma ancora giovano assai a far conoscere l'er- ronee esposizioni, e i falsi racconti di alcuni scrittori che hanno trattato ex professo o per incidenza degli ultimi tempi del lodato sommo pontefice. Sono dell' autore quelle annotazioni soltanto che vengono con- trassegnate colla lettera A. La relazione, di cui si tratta, sarà compresa in quattro tomi, ciascun de'quali verrà formato di due fascicoli. Già si è pubblicato il primo tomo, che con- tiene due libri. Nel primo sono narrati gl'Insulti ed aggravi che la repubblica francese fece da principio soffrire a Pio VI, e gli articoli dell'armistizio conchiu- so in Bologna il 28 di giugno 1795. Il libro secon- do fa conoscere come la conchiusione della pace tra il papa e la repubblica francese inconti^ò difficoltà in- superabili, prima in Parigi, poscia in Firenze: e mol- te altre cose avvenute sino alla convenzione di pa- ce sottoscritta in Tolentino il iq di febbraio 1797. Ambedue i libri sono pieni di cose assai importanti, non conosciute da tutti, e da molti non rammenta- te. Se volesse farsene una minuta analisi, non po- trebbe ella racchiudersi entro i prescritti confini di un articolo da inserirsi in un giornale: e d'altra parte una materia assai ampia per copia di fatti occorsi e di annedoti dovrebbe ristringersi in una troppo gran Storia di Pio VI. 3ai brevità. Quindi crediamo opportuno di limitarci a dare soltanto un cenno, se non di tutti, almeno dei prin- cipali articoli quivi trattati. Primieramente diremo , che nel primo libro si espone come il papa previde di esser fatto bersaglio, sebbene senza averne dato motivo, delle prepotenze de' repubblicani francesi, allorché questi nel 1796 s'impadronirono dell'alta Italia: e come si appigliò al prudente temperamento di riparare ogni colpo ostile per mezzo di negoziazioni e di sacrificii: e nel tem- po stesso si fa conoscere la doppiezza e mala fede del supremo comandante delle truppe nemiche così nell' abboccamento cogl'inviati pontificii, come , e molto più, nell'ingiusta e fraudolente occupazione delle le- gazioni di Bologna e di Ferrara, e nell'invasione della terza di Ravenna, dandosi un compendio delle molte ruberie da'nuovi promettitori di civiltà e di libertà turpissimamente fatte, secondo il loro solito, in quelle floride provincie. Si riportano le gravosissime condi- zioni, sotto le quali si accordò una sospensione delle ingiustissime ostilità: e siccome in uno degli articoli di armistizio si tratta di una imputazione, quanto ca- lunniosa altrettanto impudente, contro il governo pon- tificio relativamente al famigerato avvenimento di Bas- ville accaduto nel 1798, così l'autore ha creduto da- ver'esporre il fatto nel suo vero aspetto con tutte le circosJanze, e fondato su documenti autentici. Nel libro 2.° trattasi della lealtà, con cui il go- verno pontificio si accinse a soddisfare gl'impegni ad- dossatigli coi trattato di Bologna: sicché senza ritardo fu spedilo a Parigi un incaricato del papa per la, con- chiusione definitiva di pace con la repubblica fran- cese. Imperciocché appunto per allontanare ogni ves- G.A.T.LXXXHI. ai 322 Letteratura sasione, e assicurare la conservazione e la tranquIL liìà dello slato mcdiajite un trattato di pace, erano Stati accettati gì' imposti gravosissimi sagrifici. Nel primo abboccamento però tenutosi in Parigi coll'in-* viato pontificio cessò ogni trattazione, per la ragio- ne che fu esibito, per esser ammesso e sottoscritto, un articolo con cui il papa si obbligava a rivocare ogni bolla, breve, istruzione emanata fui dal principio della rivoluzione iii oggetti meramentG spirituali. li conte Pieracchi, clic così chlamavasi l'inviato del pa- pa, rappresentava di aver egli pieni poteri per affari temporali, ma per affari spirituali essergli inibito per- fino di entrare in questioni: aggiungendo che impe- gnato il S, P. a procurare la tranquillità della Filan- da, gli aveva spedito un breve diretto a tutti i fé-» deli, che conservassero la comunione colla santa sede, per istruiidi dell'obbligo di esser sottomessi e obbe- dienti alle autorità costituite, giusta la dottrina della chiesa cattolica. I reggitori della repubblica però ac- cettarono e fecero pubblicare il breve: ma indispettiti dal rifiuto di ammettere il loro prediletto articolo so- prindicato, dichiararono al Pieracchi cessata ogni di- plomatica rappresentanza: ed ebbero l'impudenza di scrivere al gen. Buonaparte, che non si era conchiusa la pace col papa, perchè questi aveva inviato un uomo senza poteri. Se ciò apportasse angustia al papa, è facile ad ognuno il comprenderlo. Altre amarezze furono ec- citate nell'animo del santo padre dall'irriverenza del supremo generale dell' esercito d'Italia, italiano an- ch'egli. Sul fine di luglio 179^ la città e legazione di Ferrara fu totalmente abbandonala dai francesi con tale precipitazione, che furono inchiodali i cannoni Storia m Pio VI. 3a3 che non si poterono trasportare dalla rocca, e gittate in acqua le polveri sulfuree che non poteronsi collo- care su'carri. Avvisatane Sua Santità, giudicò ella op- portuno di tornare al possesso di detta provincia, an- che per impedire a qualche altra potenza d'impadro- nirsene : e commise all' antico vice-legato di portarsi in compagnia delV uditore del già legato cardinal Pi> gnatelli in Ferrara. Di questa disposizione sovrana fu dato avviso al card. Alessandro Mattei arcivescovo di essa città, il quale fu incaricato di prendere le con- venienti disposizioni, onde tutto procedesse con quie- te, e senza urto tra i diversi partiti, e senza commozio- ne popolare. Il card. Mattei partecipò la sua commis- sione alla municipalità, che stabilita dal comando fran> cese restava al suo posto: e fu stabilito d'accordo di convocare il consiglio generale. L'unica novità, che venne adottata, si fu di rimettere al suo posto lo stemma pontificio. Nuove vittoi'ie del general Buona, parte sull'esercito austriaco cambiarono in un baleno le circostanze. Dopo poche ore, da che era stato in - nalzato lo stemma del papa, fu riabbassato: fu sospeso il consiglio che era stato convocato: il cardinal Mattei, lungi dall'aver preso alcun'ingerenza di governo, pri^ ma in iscritto, indi in persona solecilò il vice-legato (che era giunto nel territorio della legazione, ma non in Ferrara ) a retrocedere verso Roma , come tosto eseguì; nell'intelligenza che il card. Pignatelli, lungi dall'avvicinarsi verso Ferrara, fin dei primi di agosto erasi portalo in Napoli sua pati'ia. In questo stato di cose Buonaparte , furioso contro i tre nominati personaggi, ordinò imperiosamente al card. Mattei di portarsi subito in Brescia, dove fu accolto con villano. orgoglio da chi cinto d' armi straniere , dimenticava 324 Letteratura e calpestava l'antica patria : e dove fu condannato a restar prigioniero sino a nuovo suo ordine. Volle inol- tre che il vice-legato andasse a Milano : ed obbligò il governo pontificio d' indurre a recarsi alla detta capitale della cisalpina anche il card. Pignatelli. Frattanto il direttorio assegnò la città di Firen- ze per la riunione dei deputati del papa e de' suoi commissari, in apparenza per ripigliarvi la trattazione della pace, ma in verità per tentare di opprimere il S. P. nel doppio suo carattere di capo della chiesa, e di sovrano temporale. Ed in fatti non si die luogo ad alcuna discussione in Firenze: ma i commissari francesi (Garrau e Saliceti) esibirono al prelato Ca- leppi 64 articoli, qualcun de'quali era più imperioso di quanti se n' erano proposti al Pieraechi in Pa- rigi, altri contrari ai doveri del supremo pastore de* fedeli, non pochi ledevano, e qualcuno distruggeva la temporale sovranità pontificia: i quali articoli furono esibiti sotto l'espressa condizione che senza eccezione fossero tutti o accettati , o rifiutati. Il papa si di- chiarò pronto a perder la vita piuttosto che accettare cotanta indegnità ed umiliazione della santa sede : e quindi svani ogni speranza di pace. Sono molte le ragioni che inducono a credere, che il direttorio era intento a spaventare il governo pontificio , per poterlo spogliare impunemente : ma il risultato fu del tutto contrario. Imperciocché dopo segnato l'armistizio, non fu perduto alcun tempo a consegnare oro ed argento per incominciare il pa- gamento de'quindici milioni e mezzo di lire tornes in numerario; e in pochi giorni furono consegnali cin- que milioni. Ma dopo la rottura della pace in Pa- rigi, si andò temporeggiando piudcni emente: quindi iw Storia m Pio VI. SaS termini precisi fu annunziata la sospensione sull'ese- cuzione di ogni articolo dopo l'avvenimento occorso in Firenze , e si fecero anzi tornare in Roma due milioni di lire già spediti per consegnarsi al com- missario francese. Il card. Pignatelli che, avviatosi per Milano, si trovava allora entro i confini dello stato pontificio, fu messo in libertà o di restare ove tro- vavasi, 0 di ritornare a Roma. Furono avvertiti i sud- diti pontificii del pericolo che loro sovrastava di una invasione nemica; e nell'atto che Pio VI dichiarava di voler'essere alieno da ogni ojfesa ^eccìlò tutti, e da pontefice e da sovrano , alla difesa della sacro- santa religione, delle loro vite, delle loro sostanze col resistere all'inimico. Furono richieste sovvenzioni vo- lontarie in uomini per essere assoldati, in danaro, in derrate, secondo che le forze di ciascun suddito com- portassero. Questo invito produsse ottimo effetto: at- tesoché, oltre un numero di soldati pienamente equi- paggiati, molte somme e moltissimi oggetti di produ- zioni territoriali furono messi a disposizione del go- verno. Siccome però era cosa evidente, che senza il concorso di forze estere non era possibile ai sudditi pontificii di far resistenza alla fervida, agguerrita, vit- toriosa oste francese, perciò fu domandato aiuto all' imperadore, come protettore della s. sede, e fu richie- sto per un'alleanza difensiva il re di Napoli, il qua- le per vantaggio del proprio regno doveva avere a cuo» re la conservazione degli slati della chiesa romana. Il general Buonaparte nel vedere allontanata la speranza di estorcere dal governo di Roma le som- me, sulle quali aveva ben calcolato, sembrò avere dimenticato di essere un dipendente dal direttorio, as- sumendo il tono, non dirò di consigliere, ma quasi di precettore del direttorio medesimo, come ri&ulta 326 Letteratura dal carteggio di quel tempo. Egli fu che ridusse il direttorio a concliiudere senza ritardo la pace con Napoli, a solo oggetto di togliere al papa il mezzo di esser soccorso da quella parte: egli fu che otten^ ne le facoltà di esibire la pace al papa, sulla conside- razione soltanto di poter avere le contribuzioni con- venute nel trattato di Bologna. Quindi all'uopo spedì in Roma da Ferrai'a il card. Mattei; inculcò a Cacault di agire colla maggiore energia per indurre le corte di Roma a venire ad una trattazione di pace; profit- tò di tutti i mezzi, non che delle persone credute più idonee, ad ottenere lo scopo de'suoi deslderii, e pro- mettendo condizioni ragionevoli ed eqvic. Il governo pontificio però non giudicò opportuno di attendere a quelle reiterate offerte di pace, non solamente perchè non le credeva sincere, ma sì interessate ; ed anche perchè trovavasi allora impegnato coll'imperadore: non permettendo la buona fede di trattare simultaneamen- te colla corte imperiale e colla repubblica francese : di che il card, segretario di stato non mancò di far- ne verbale comunicazione allo stesso agente diploma- tico Cacault. Nel gennaio 1797 l'esercito francese riportò ta- li vittorie sopra l'austriaco, che ne seguì la resa di Mantova. Il general Buonaparte volle allora vendi- carsi contro il papa: e svaligiando il corriere di Ve- nezia contro il diritto delle genti, per imposessarsi di alcune lettere del card, segretario di stato, delle quali forse era stato informato, si valse di ciò per dichiarar rotto l'armistizio, occupando simultaneamente le Pro- vincie romane, e minacciando fiamme ai paesi, morte ai municipalisti, ove si fosse eccitato il popolo a far resistenza, e pene gravissime a que'luoghi in cui fosse stato ucciso un francese. Storia dì Pio VI. 3^7 Dlsgraziatamenfe il papa non ebbe alcun'aluto miiitare né clall'imperadore, che doveva attendere al- la propria difesa, ne da Napoli, perchè quel mini- stero, senza darne avviso al S* P., aveva conchiuso una pace separata colla republdica : e Pio VI colle proprie forze non poteva resistere ne al numero, né alla tattica francese: e quindi fu nel punto di al)han- donar Roma, ti\Tsportando seco tutti gli oggetti pre« ziosi. Naturalmente dopo la partenza del sovrano si sarebbebero assentati da Roma i cardinali e tutte le persone doviziose; il che non poteva piacere al gene- ralissimo, che non aveva allora ijitenzione di demo- cratizzar Roma, ma soltanto di spogliarla, come sfac- ciatamente ( vedi carità patria di un italiano ! ) di- chiarò al direttorio con impudentissima lettera , ch'è publilicata. Pertanto spedì a Roma il generale de' ca- maldolesi Fumò affuichè persuadesse il papa a restar neHa sua residenza, e a domandar pace, che gli sareb- be accordata. Il voto de'cardinali fu di profittar della circostanza. Si spedirono dunque quattro deputati, i quali in Tolentino sottoscrissero nel dì ig di feb- braio 1797 le gravosissime condizioni di pace, in se- guito delle quali Buonaparte ebbe trenta milioni di lire tornesi, 1600 cavalli, buoi , bufale, e altri pro- dotti del territorio pontificio, oltra gli oggetti insigni di lettere e di arti richiesti nell'armistÌ2iio per arric chlnie , trofeo del tradimento straniero e della civiltà italiana, la Francia. Che questa pace fosse simulata e fittizia , sino all' evidenza deducesi da una serie di dispacci e di annedoti riportati dall'autore, come è a vedersi nella sua relazione, e ciò più palese farassl dalla continua- zione del racconto delle avversità e de'palimenti del grande pontefice Pio VI. 3a8 «ss Biografia di Diodata Saluzzo^ scritta da se medesima. A Monsignor Carlo Emmanuele Muzzarèlli. Mi signor marchese Crosa mi ha spedito una volta alcuni opuscoli, di cui ella ha favorito farmi un do- no; ed in quel tempo non ho mancato di ringraziar- la per la solita via della posta. Ora con questa mia risposta le rinnovo i miei sinceri ringraziamenti, di- spiacendomi soltanto che le giungano cosi tardi. In quanto a ciò che ella mi scrive, è cosa mol- to onorevole per me il vedere scritta quella notizia, di cui ella mi parla: ed il vederla scritta da lei. Però la semplicissima mia vita non offerisce gran campo allo scrittore. Sono nata in Torino da genitori assai nohili nel 1775 a dì 3i di luglio. Mio ottimo padre, generale delle artiglierie del re, ed autore di molte opere militari e dotte, fu il fondatore ed il presidente dell'accade- mia delle scienze di Torino. Egli era nato in Saluz- zo; città che fu un tempo signoreggiata dagli avi. Io l'ho perduto nell'anno 18 io : ed il nostro signor Criuseppe Grassi ne ha scritto un bellissimo elogio. Io sono stata educata in casa, e gran parte de'miei giorni in campagna; la mia nutrice e la mia educa- trice è stata mia madre , che vive tuttora. Il nome Biografia della Saluzzò 3 2^ (li inlò padre era Giuseppe de'marcliesi di Saluzzo; il nome di mia madre Girolama de' conti Caissottì di Casalgrasso. Mi fu dato marito nell' anno 1799; fu questi Massimiliano de' conti Roeri, nobile famiglia astigia- na. Non ebbi figli: e rimasa vedova in età di venlij- oett'annij tornai nella casa paterna, dove sono tuttora. Tra cinque miei fratelli, uno rimase ucciso in guerra; dei quattro che vivono, due sono, siccome io, membri dell'accademia delle scienze. Fui ricevuta in quest'accademia nell'anno 1800, essendo giovanissima. Ebbe gran parte nel dirìgere i miei studi 1' a- bate Tommaso Valperga di Caluso. I letterati amici miei, co' quali ho carteggiato sempre , oltre madama di Stael, Clotilde Tambroni e Teresa Bandettini, fu- rono il Monti, il Bettinelli, il Bondi^ il Parini , il Manzoni. A questi sono debitrice di consigli e di di- rezioni letterarie. La mia sanità è ora in cattivo stato» Manderò a lei , signor mio pregiatissimo , così il mio poema ricorretto , come le mie liriche e le mie novelle. Ella le riceverà dalla mia cara Enrichetta, tosto che siano ristampate , e che mi §i presenti 1' occasione d'inviarle. Sta a lei, e non a me, il portarne giudizio. Da Enrichetta e dal marchese Crosa ella può avere più minute notizie a mio riguardo. Non mi re- sta che rinnovarle le proteste della mia riconoscen- za e dell'ossequiosa stima con cui le soiio Torino il 2 a novembre 1829. Dev- obblig. serva DiODATA Salvzzo Boero, 33o Letteratura N. B. Diodata Saluzzo cessò di vivere in To- rino il dì g gennaio 1840, essendo stata colpita sul- la metà di tal mese da lenta appoplesia. Fin dal lu- glio 1837, reduce da Nizza di mare, ove avea passata la rigida stagione, era stata assalita da una emiplegia che le tolse l'uso della metà della persona. Nella Gazzetta piemontese^ 29 gennaio 1840 n.° 23, se ne legge un articolo necrologico scritto dal conte Coriolano di Bagnolo: nel quale però dice&i nata nel 3i di luglio i774« Nella Ricreazione^ giornale clie si pubblicava in Bologna, anno i, n.» ai de'24 luglio 1834, si legge pure un articolo biografico di lei scritto dal prof. Do- menico Vaccolini, nel quale si ricorda come venisse giudicata dalla marchesa Ginevra Canonici Fachini colle seguenti parole: « Le sue poesie innalzano la « mente e scendono fino al cuore: una maniera ori- ce glnale di scrivere la contraddistingue, e le sue ter- (' zine sulle mine del castello di Saluzzo mirabil- « mente accolgono quante bellezze poetiche si pos- c sono unire insieme ». ìi^tW Antologia romana^ tomo 22, Roma 1796, è un articolo di lode sulla sua canzone per la laurea irs ambe le leggi di Cesare Saluzzo. Nella Rivista lette- raria dei libri che si stamparono in Torino negli an- ni 1827 e 1828 (Torino 1829 a carte 37) è un ar- ticolo intorno il suo poema à^Ipazia, ovvero delle fi- losofie; ed altro articolo sul medesimo argomento può vedersi, segnato coll'iniziali M. A. P. , a earte 565 delle Memorie di religione^ di morale e di lette- ratura, anno sesto t. 12 (Modena 1827). ì:^e\V An- tologia di Firenze (N.'* 114, giugno 1730 a carte 88) è un articolo segnato K. X. Y. intorno le no- Biografia della òaluzzo 33 i velie della Saluzzo. Nelle opere inedite e rare di Vin- cenzo Monti (volume quinto ) sono inserite tre let- tere del celeberrimo poeta alla donna illustre. La contessa Enrichetta Dionigi Orfei nella sua raccolta di i-ime sacre (Orvieto iu33) intitolava il suo bel carme sul campo santo di Bologna alla Diodata, la quale vien pur lodata nelle Iscrizioni italiane di Ferdinando Malvica (Palermo i83o). Nei 1797 fu ascritta per acclamazione all'acca- demia di Possano, ed in tal circostanza si pubblicò una raccolta poetica, preceduta da una prosa del ce- lebre abate Valpei-ga di Caluso. La Saluzzo fu pure socia corrispondente dell' accademia tiberina , ed in arcadia portò il nome di Glaucilla Eurotea; e questa romana accademia il dì 5 di marzo 1840 tenne adu- nanza pubblica in onore di lei, di cui lesse un bel- l'elogio il P. Giuseppe Giacoletti Cb. R. della scuo- le pie. L'album di Roma ne ha dato un breve arti- colo necrologico, scritto dalia donzella Sofia Raggi , preceduto dal riti-atto che inviava ella stessa , è già qualche anno, alla prefata sua nobile amica contessa Dionigi Orfei. M, 332 Saggio cfatcufie voci toscane cfartt^ mestieri e cose domestiche. Dialoghi e discorsi di un lom- bardo. Modena per gli eredi Soliani tipografi reali i839,m 8.° di pag. io5. J[^l nome del p. Antonio Bresciani della compagnia di Gesii suona chiaro in Italia per vani elegantissi- mi e utilissimi lavori dati alle stampe, fra'quali pri- meggiano gli Ammonimenti di Tionide^ che in me- no di tre anni si ebhero quattordici ristampe. Or egli a vantaggiare sempre più gli studi della bellis- sima nostra lingua, in cui è sì profondo, ha pubbli- cati questi suoi discorsi e dialoghi , ove porge un saggio d' alcune voci toscane d'arti , mestieri e cose domestiche. Ha mandato innanzi ad essi un altro dia- logo, in cui di tutta forza s'ingegna di sostenere, che il volgare toscano, come si parla ora da quel po- polo privilegiato, si è puro corri) egli era in an- tico. « E così era necessario ch'ei mostrasse; poiché « presentando agli italiani un saggio di voci da lui « raccolte per le botteghe di Firenze, all'intendimen- « to che sieno degne d'essere accolte da essi onore- «t volmente, e nelle loro scritture debbano aver luo- « go con quella dignità che a quelle s'avviene, que- « sto non protrebbe chieder giammai dagli scrittori, « se non provasse loro che il moderno volgare, on- « d'esse procedono, è tuttavia puro, schietto, elegante, tt ap prò batissimo e laudabilissimo com' era ne' beati Voci italiane di arti ec. 333 H tempi che originarono il secol d'oro ». Ragionano nel primo dialogo l'ab. Zannoni, il co. Baldelli, Sal- vatore Morelli orefice, e l'autore sotto nome d'Anto- niotto lombardo. Il quale a nome de' lombardi vie- ne affermando, che i toscani co' rivolgimenti de'tempi adulterarono la purezza natia di loro gentile favella, o per la umana natura delle cose che tende a peg- giorar sempre, o pel commercio e per la lunga consue- tudine cogli stranieri. A ciò fa risposta il Baldelli dicendo, che se è vero che i popoli escono da un se- colo in qua dalla ruggine delle antiche istituzioni, e spogliando» il ruvido cuoio de'vecchi costumi, ringen- tiliscono e allucidiscono i pensieri, le parole, le arti e le scienze ; ed ogni dì più avanzando nella ful- gentissima luce del presente secolo, il popoletto ne sa più egli oggimai , che non seppero per avventu- ra gli antichi sapienti: egli è da conchiudere, che al- tresì la favella de'moderni toscani dee essere più for- bita , più aggraziata , più ricca, più nobile che non era a quei vecchi tempi dell'Alighieri. « E aggiunge al- te tresj, che se il vetusto parlare dovette essere, com' « è sostanzialmente, la veste che informa i pensieri « della mente; e codesta mente era, al dir de'moder- « ni, sì povera d'ogni luce, sì pargola, sì balbettante, « e però i pensieri sì oscuri, sì corti, sì loschi ed in- « formi, ne torna per conseguente legittimo , che « eziandio la lingua che li vestiva dovett'essere pitoc- « ca, inerte, imbecille, e per giunta agresta, selvaggia « e tanghera quanto mai dir si possa. Vedete dunque « logica (sempre il Baldelli) ! I popoli uscirono dalla «.( ignoranza ed entrarono nella luce della sapienza, e « però accrebbero la dovizia del sapere in ogni scien- a za ed arte e costumanza; ma impoverirono e im- 334 Letteratura « Lastardirono la lingua, che di sì sapientissime cogita- « zioni è il naturale indumento. » E affinchè non gli venga opposto, che combatte con argomenti tolti dall' estrinseco, lasciando intatta la (juistione della tenden- za delle umane cose al peggio intorno al fatto della lingua del popolo, di cui si contende , soggiunge il Baldelli rispondendo cogli antichi savi « che la lingua « essendo eredità inviolabile del popolo, ed esso popò-» « lo gelosissimo d'ogni sua proprietà, egli serba te- « nacemente le voci, i modi, gli usi, i vezzi e gli « idiotismi della patria favella. Ma poiché gli uo- « mini popolani sono a' loro mestieri e negozi oc- « capati a tutte l'ore, ed usano di frequente per via « del commercio colle genti straniere; anzi negli stes- (t si paesi de'forestieri in grazia dì loro mercanzie , « o di loro guerre s' avvolgono , così affidarono sa- « pientemente il s^cro deposito della favella a guar- « dia delle madri. Quindi le donne 1' inalienabile « possedimento de'loro maggiori sollecitamente guar- « dando, lo trasfondono poscia intemerato e invio^. « lato a' loro bamboli, che lo suggono dalle labbra « materne, come il materno latte dal seno. Che se « pure la veloce ruota de'tempi, che molti e svaria- « tissimi accidenti delle cose suol involgere nell'ira-. « peto de' suoi giri , ha possanza di sperdere nelle « lingue de'popoli alcune voci, e suscitarne alcune « altre, ella non ha tuttavolta balla da far loro per « minimissima guisa snaturare l'indole e la forma del « linguaggio. Di sorte che se una gente parla una « lingua pura , nobile ed elegante, per quanto ella « soggiaccia alla potenza del tempo che strugge e (( rinnovella tutto ciò che come lal^ile e terreno fu « sottomesso al suo imperio, la detta gente non pò- Voci italiane di arti ec. 335 .» tra punto sottostare alla dominazione del tempo « ove si tratti della naturai forma di sua favella, <( Conciossiacliè se Iddio e la natura la privilegia « della purezza ingenita del linguaggio, per quanto « ella procedendo nella civiltà accresca di voci e « di sensi al parlar cotidiano, le une e gli altri s'at- « terranno sempre a quella purità, gaiezza e splen- « dorè, elle in sul primo suo nascere avea sortito in « prezioso retaggio. E quantunque soglia avvenire , « come dice Varrone, che multa verba aliud nunc u ostendunt, aliud ante significabant', nulla ostante, « se le parole de'prlschi tempi erano urbane, fiorite, « e leggiadre, non sarà mai die per lo scambiamen- « lo de'sensi applicati da poi tornino scbife e squal- « Jide, o inferme. Queste accidentali avventure delle (( parole si sogliono assomigliare alle impronte de- ci gli imperadori, che effigiano una moneta d'oro: che « se tu struggi cjuell'oro, e con nuovi punzoni nuo- « ve immagini vi stampi, tu nomerai per altro impe- ti radorè quella moneta, ma il carato e il valore del- « l'oro sarà il medesimo eh' era per lo innanzi. E « però ridico, che per volger di tempi, anche lun- (( glassimi , se qualche potente cagione estei^na non « s'aggiunga, secondo il naturale procedimento delle « cose, l'indole, i modi, e le forme della lingua ri- « mangono fra il popolo inalterabilmente radicati e « fermi, d E qui appoggiandosi Antoniotto alle pa- role del Baldelli, se qualche potente cagione ester- na non s'aggiunga^ ne conclude che i toscani coll'an- dar dei tempi oscurarono in gran parte la viva chia- ■ rità del natio linguaggio col forestiero accozzamento di voci, modi e concetti tolti agl'idiomi de'novelli pa- fironi che lungamente usarono fra essi. Il che gli vien 336 Lbtteratora ribattuto assai vittoriosamente dallo Zaimoni, Wcan* do esempi calzantissimi d'antiche e moderne istorie, da cui ricava, malamente essersi apposto il suo co- traddittore. Il quale anziché arrendersi insiste, com* ei non farà niego che le incursioni de'popoli forestie- ri non influissero sulla lingua del 3oo: ma ohe per certo nel secolo che venne appresso lo scrivere fu scadente fuor d'ogni misura, incolto, e da mille bar- barismi imbrattato: di che fanno amplissima prova gli scrittori di quella stagione. E lo Zannoni, allegando gagliarde ragioni, dilegua pure questo apponimento. Allotta il lombardo indica come causa precipua dello scadimento della lingua la signoria de'M edici, e ap- presso de'prinoipi stranieri che dominarono in Firen- ze. Al che il segretario della crusca dà magnifiche e vittoriose risponsioni. In fine poi del dialogo si di- ce che, se anco i toscani ebbero intromesse nel vol- gar loro di molte voci tolte a lingue straniere, si mo- stra che nor^ poteva e&sere altrimenti: sendo queste tutte proprie di qualche arte o manifattura o arnese, che non è nastrale, ma venutoci da forestiero paese. E di queste voci n'ebbe e n'ha ogni lingua per dovi- ziosa che ella sia: dando esse chiaro indizio del do- ve nacquero quelle cotali arti o strumenti o opere O masserizie. Dirittamente quindi e leggiadramente fa notai^e il Bresciani dal Morelli, che seJjbene egli sia vero che molti nomi di strumenti e utensili e mci-^ catanzie ci vengano di là da' monti: « pure il popolo « toscan,o ha una propiietà e grazia di natura di rli>- « gen,tilire sulle sue labbra ogni voce per barbara eh' « ella sia. Onde quando vien, loro per avventura in « bocca una di quelle parolacce rugginose, e' se la « carezzano tanto fra' denti, e la regalano e condi- Voci italiane di arti ec. 33 ^ « cono con tant'amore , ch'egli è una celia a dire, « come quegli finimenti rifioriscono di quella grazia' « di vocali galantine, che mai voi vcdesle le più gen- « tili. ,, ^ ^ _ ^ Nel secondo dialogo si tiene discorso da'mede- snm mterloculori sulle voci riguardanti l'or./FceWa, che Salvatore Morelli cogl'istrumenl. alla mano vie- ne esponendo al lombardo affinchè ne faccia conser- Va._Marav.glioso è che la più parte di tali voci sono le istesse che registrava nelle sue opere il Cellini , che forse di tutte non ebbe d'uopo ragionare, e certo «on potè, degl'ingegni che furono trovati dopo di lui iiagionasi nel terzo dialogo della calzolerìa fra Antomotto lombardo , e Astorre calzolaio. Bellissi- nic e vere pitture d'usi de'tempi moderni, argute pun- ture date a tempo, sentenze gravissime condite d'una gaiezza e d'un brio indicibile, rompono la monoto- nia del divisare le voci d'arte, e allettano a leggere con quell artificio che è il sommo dell'arte e pare na- tura. ^ Pregi somigliami ha il q„a,-to dialogo che versa ™ia /PartJcce,./,,, ragionandovi Nanni, Pippo, e Gigi pasfccere. Bellissimo e purissimo è il de.talo del Brl ^a.nn, che mal si assomiglierehhe allo siile di questo e quel elass^co ritraendo egli da lutti e non seguen- d nvoltura, che tnvoglia a leggere il libro dalla prima ali ultima pagtna, senza stancarsi mai; chi ci narra « aeconetamente, descrive con tanta maestria ed elo- quenza maneggia con sì destro e bel modo le iro- n«^. 1 inzz, e i sarcasmi, che oserei dire sieno per p.aeere anco a quelli che ne sentiranno le trafittu're. 338 Letteratura arti al eh. Bresciani con questo suo lavoro, il quale ne è dolce sentire essere il saggio di opera piìi lar- ga sull'argomento medesimo: poiché la parte della lin- gua in che manchiamo, e che ignorano i dotti me- desimi, è quella appunto delle voci d'arti e domesti- che: e quindi tutta Italia gli dehbe saper grado gran- dissimo, come gli sa di tant' altre operette forbitis- sime e d'ottime massime morali e politiche, di che la rese e va rendendo ricca e pregiala. G. F. Rambelli, -«»:^^Q^^«=-~ SJg BELLE ARTI Sugli avori del conte Possenti, prodromo di Ca- millo Ramelli. Fabriano pel Crocetti i^l^o, in 8." di pag. i5. È questo un cenno brevissimo intorno il museo di avori, che il signor conte Girolamo Possenti ha rac- colto in Fabriano sua patria nelle marche. Fu det- tato per gli sponsali del suo nipote, conte Giambat- tista Pettoni-Possenti, da quel coltissimo professore di filosofia Camillo Ramelli , che alla chiarezza de' natali unisce dottrina e cortesia impareggiabile , e che a buon dritto forma il più bell'ornamento di quel- la città. La raccolta, di che si tien parola, contiene più di mille e quattrocento oggetti lavorati allo scarpello, al bulino, al tornio, ed a tarsia. I denti (difese) dell' elefante, dei l'ippopotamo e della morsa {tricheclius rosniarus, Lin.), quella maniera di dente, o di cor- no come altri vogliono, del narwal (inonodon mono- ceros, Lin.), le corna del rinoceronte, del cervo, e varie sostanze eburnee di altre specie di animali, co- stituiscono la materia, in cui furono modellali gli oggetti componenti il museo. 34o Belle Arti Il tempo disperse tutto ciò cli'ebber di avorio gli egizi, gli ebrei , i persiani , i fenici , i troiani , i greci, e gli anticlii romani. Dei soli etrusci e dei volsci isi hanno, della seconda epoca delle loro scuole, due di quei ritrattini che soleansi chiudere nc'sepol- cri, delle tibie o trombe, dei cucchiai da sacrificio, e varie immagini di magistrati: cose tutte pervenute da chiusino scavo. Le sei tessere teatrali con simboli relativi ai diversi spettacoli, le quali ornano questo museo, pi dissotterrarono a Canino. La serie eburnea però ha incominciamento col secolo IV dell'era volgare, e giunge fino a' dì nostri. I più antichi monumenti consistono in piccole arche o forzieri, in cui si serbarono le sacre reliquie, in dittici e trittici d'ogni maniera, in ostiari destinati a contenere il pane eucaristico, in oratorii, ove scol- pite sono immagini sacre, innanzi le quali solcasi ora- re, in custodie di libri sacri, di codici ec. Questa grande collezione di avori, unica per quan- to mi f^appia in Europa, ci presenta delle subalterne particolari collezioni. Così quella àc^saci'i arredi é ricca di un ciborio, di una cassetta per olio santo, di pettini coi quali in antichi tempi acconciavansi le barbe i sacerdoti prima di celebrare, di osculatorii per dar la pace nel divin sacrificio , di un repositorio , di verghe pastorali, di un vaso per battezzare, di ca- lici, pissidi, navicelle per incenso, di candelabri, re- liquiari, corone, acquasantiere ec. (Tedi, Arredi sa- cri nel museo Possenti descritti da Camillo Ramelli. Fabriano pel Crocetti i836 in 8.°). Degli arredi sacri unitamente agli altri avori menzionali, ed a vari oggetti che qui non rammen- tiamo, potria formarsi un magnifico museo cristiano Avori del conte Possenti 34t ehurneo^ avente una qualche somiglianza con quello, che fondato da Benedetto XIV, aumentato in gran parte ed in miglior modo disposto dal regnante Gre- gorio XVI, adorna il vaticano^ consistente iil pitture, musaici, statue, ÌDronzi ed. Singolare è ancora la raccolta degli utensili. Fra questi ammirasi un letto appartenuto ai duchi di Ca- merino, un tavolino colla data del 1 60 3 della fami- glia Conti, e diverse seggiole. Magnifiche sono le tre selle per cavalcare, lavoro del secolo XV, che furon già dì principi italiani. Belle son le posate, il servi- zio da caffè, il bicchiere, le molte scatole da tabac- co, le scrivanie, ed i vasi di forma ed epoche diverse; così la lucerna, le custodie degl'imperiali sigilli ec. Vi si rinviene ancora la bussola, lo squadro agrimen- sorio ed alcuni canocchiali: l'orologio da tasca con l'intero meccanismo eburneo, il cappello per cuopri- re il girifalco nell'esercizio della falconeria, pipe, e per fino il clistere. Inoltre varie impugnature di ar- mi, incassature di pistole, custodie per la polvere, sproni ec. Fra gli stromenti musicali sonovene a cor- da e da fiato : e tra i diversi giuochi v'è la dama, gli scacchi ec. Cosi finalmente ventagli, pettini, vasel- lini da toletta, specchi ec. Tutto ciò potrebbe formare un museo civile e domestico, dal quale la storia de'bassi tempi in ispe- cial modo trarrebbe importanti lami. Bellissimo ed originale ci sembra inoltre il pen- siero di una icono^re/JIa eburnea lavorata a scar- pello ed a bulino. Già ti presenta i dodici Cesari, Benedetto XIII, Filippo II re di Spagna, Clemente XIV, il cardinale Sebastiano Pisani, Antonio Canova» e tanti altri che lunga cosa sarebbe il ridire. 34a Belle Arti Altre speciali collezioni potriano pur cavarsi da tanto grande quantità di avori. Vi trovi infatti così fatta varietà e di alti e bassirilievi, e di statue, che forse le scuole tutte ed ogni epoca loro ti mosh'ano. Vari sono i finitissimi ed oltre modo delicati lavori cinesi: maravigliose di fatti appaiono quelle sfe- re concentriche formate tutte sino al numero di 17 nel medesimo pezzo: vagliissime sono alcune casset- tine e vasetti : singolari poi le bacchette usate per le loro mense, un bastone, un astuccio ec. Finalmente molto graziose ed interessanti ci sem- brano essere varie figurine, e cossrelle minutissime, che dir si possono emule di quelle dei greci Calli- crate e Mirmecide. Termineremo col ripetere il voto dello storico della scultura Leopoldo Cicognara: a II benemerito raccoglitore , che in Fabriano ha riunito una scel- tissima serie di avori, potrebbe più che ogni alti'o presentare al pubblico un'idea di quanto in varie epo- che fu fatto dagli uomini in questo genere: raccolta copiosissima e preziosissima . . . Illustrar degnamen- te questo museo potrebbe esser gratissima cosa agli amatori delle antichità, tanto più che comprende ogni modo di scultura. » (Storia della scultura, tom. a, pag. 44^* Venezia 1816). E. C. B. 3i^l p^ersi e prose pet le nozze di Luisa marche- sa Costabili con Antonio avvocato Mazza ^ av- venute in Ferrara il ^febbraio iSSq. kO'aranno alcuni di così px'ecìpitato giudizio, i quali al leggere anche solo il titolo di nozze ritireranno sdegnosi gli occhi da queste carte. Lasciamoli colla loro hile: e rivolgiamoci agli spiriti cortesi, che amici dell'ordine sogliono leggere un articolo attentamente prima di giudicarlo; questi o non errano o meno er- rano al certo, se egli è vero una essere (e certamen- te principale) la causa de'nostri errori in logica, come notava Cartesio, la precipitazione de'giudizi. Ma fi- ne ai preamboli. Gloria non ultima del nostro secolo si è, potere annoverare eziandio tra i regnanti uno fra gli altri (sua maestà il re di Baviera , che nominiamo a ca- gione di onore), il quale a sollievo delle gravi cure del governo si viene confortando colla dolce compa- gnia^xlelle muse, degne figlie di Giove, padre della sapienza. La gentilissima signora marchesa Anna Spre- ti non poteva offrire alla benamata sorella più caro dono di quello, clic sono alcune poesie del coronato scrittore, le quali da penna maestra furono degna- mente recate dall'idioma tedesco nel nostro, che fa gentile tutto che tocca. Grazie siano rese all' inclito autore, ed al traduttore elegantissimo per così care poesie d'amore [Ravenna presso Roveri in 8.°). Lungo sarebbe parlare di tutte le cose uscite in 344 Belle Arti istampa per le auspicate nozze, di cui ragioniamo. Ci basterà accennare, come cosa domestica ed onorevole della nobile famiglia Costabili, la Descrizione della quadreria Costabili , continuazione e fine della parte seconda, lavoro di C. Laderchi dedicato a S. E. Giovanni Battista Costabili conte, marchese ec. [Ferrara tip. Negri alla Pace in 8.°) Poi la Vita di Alfonso Lombardi scultore fer- rarese, scritta dall'arciprete Gij^olamo Baruffaldi con annotazioni delVegregio Giuseppe Petrucci {Bologna tip. Nibili e comp. in 8.»). Finalmente la Vita d'Ippolito Scarsella detto Scarsellino, pittore ferrarese, scritta dalV arci- prete Girolamo Baruffaldi, aggiunte alcune note del Petrucci [ivi in 8.°). E perchè interessa accertare ognora più e com- piere la storia delle arti nostre , porremo cpiì sotto una nota del Petrucci, il quale ricorda a proposito quella n. i del sig. Gaetano Giordani alla lettera di Giampietro Cavazzoni Zanotti [Bologna i834 alla Volpe in 8.°). Quanti sono amatori delle arti belle ci sapran- no buon grado di queste notizie; quanto a coloro, che sdegnosi di ogni bello e di ogni ordine fanno a tutti ed a tutto il viso dell'arme, diremo col poeta: « Non ragioniam di lor; ma guarda e passa. » D. Vaccolini. J Versi e Pkose 345 NOTA Varie copie mss. delle V^ite de^pià eccellenti pittori e scultori ferraresi, e di quelli che nello stato di Ferrara eccellentemente fiorirono ., scritte da Girolamo Baruffaldi, si trovano sparse qua e là; e in molti, che amano tutto ciò che può illustra- re la storia delle belle arti, nacque più volte desi- derio di vederle tutte pubblicate. Ma in Ferrara nel- la costabiliana se ne conservano tre diversi esem- plari autografi, e postillati, alcuno tfa Gian-Andrea Barotti, ed alcun altro dal can. Scalabrini: e dall' ultimo in ragione del tempo, in cui fu scritto dall'A., venne presa la presente vita, la quale andrà ad ac- crescere il numero di quelle che in passato e in epo- che diverse furono stampale: e così, almeno in parte, verrà quel voto adempiuto. Ecco ciò che di quest' opera del Baruffaldi fu pubblicato fin ora, per quanto sappiamo. Per cura di monsignor B ettari, stampandosi le V^ite ec. di Giorgio Vasari iln Roma del 1758, al- la vita di Alfonso Lomhar di, scultore ferrarese, si fecero seguire quelle di Galasso Galassi, Lorenzo Costa, Lodovico Mazzolino o Malino, ed Ercole Grandi; come si vede ancora nella etiizione del Va- sari de'classici italiani di Milano, voi. IX da face. 147 a face. 18G. Furono tolte' quelle vite da una copia del ms. Baruffaldi trasmessa a raonsig. Bottari dal can. Scalabrini, che l'aveva avuta dal can. Cre- spi di Bologna, ed è conforme al secondo esemplare (della costabiliana. 346 Belle Arti Del 1829 coi tipi Antonelli in Venezia in 8.*, e per le nozze Grim ani-Manin^ si pubblicò il Di^ scorso, che precede le vite ec. ce. estratto dalla co- pia Farsetti esistente nella marciana. Del i83o, con gli stessi tipi in 8.° e per le nozze Jvogadro-Revedin^ la Vita di Gio. Battista Benvenuti, detto Vortolaiio', tolta dalla stessa copia Farsetti. Del 1834 ivi, coi tipi Merlo in 8.» e per le nozze Manin-Duri, la Vita di Jlntonio Contri pit-- tore e rilevatore di pitture dal muro, levata dallo stesso esemplare. Dello stesso anno, ivi, dalla stamperia AlvisopoH in 8.° e per le nozze Polano-Nini, la Vita di Lui- gi Anichini scultore di gemme', estratla come so- pra. Del i835 in Lugo dai tipi Melandri in 8.", per cura ed aggiunte del chiarissimo sig. Domenico Vac- colini, la Vita di Bartolomeo Ramenghi , detto il Bagnacavallo'y tolta dal secondo esemplare della co stabiliana, INell'aano terzo (i835) da face. g5 a 107 del Tiberino, foglio periodico romano, di che il nostro il- lustre amico e concittadino S. E. R. monsignor Car- lo Emmanuale conte Muzzarelli, uditore della sacra romana rota, fa dono ogni anno, assieme a molte al- tre opere preziose, alla nostra patria biblioteca, se- nesi pubblicate, oltre la Introduzione, le Vite di Camillo Ricci, Giammaria Ghirardoni , France- sco Scala, Giam-Paolo Grazzini, Lorenzo Lana e Domenico Panetti. E nell'anno quarto (i836), da face. 4 ^ f^^^c- 59 dello stesso Tiberino, le Vite di Bartolomeo e Versi e Prose 347 Girolamo Faccini.) Camillo Berlinghi eri, France- sco Naselli e Leonardo Brescia', desunte dalla co- pia die apparteneva alla collezione Cicognara, ed ora alla biblioteca vaticana. Del i836 in Bologna per questi tipi in 8.", e per le nozze Spreti-Co stabili, la J^ita di Cosimo Turra, detto Cosmè, corredata di note dello scri- vente, e tolta dal secondo autografo (finora segnato pel terzo) esistente nella costabiliana. — «»^^G€g^«=— 348 varietà' licrizione latina composta in Francia nell'anno iS^a. X, stanza, le norme addita onde ben regolarle e dirigerle; una ,, scienza che mediante una scala di astrazione c'Innalza a cono- j, scere la stessa Divinità nella sua natura e ne'suoi attributi; „ una scienza che nou solo corregge e perfeziona le altre , ma „ ne semplifica e rettifica i metodi, e ne mostra i rapporti; una ,, scienza che col proprio esempio accresce forza alla mente , e j, infonde vigore al cUore per resistere e trionfare, degli appetiti „ che spesso lo tiranneggiano; una. scienza infine intenta a pre- „ parare il nostro intendimento alla sapienza , e a volgere gli ,, umani affetti alla virtù, proponendosi con questo doppio mez- ,, zo di condurre gli uomini alla sociale felicità: una tale scienza „ io dico .... non può essere riguardata come inutile e di una j, vana curiosità se non da coloro, i quali amano contraddire la ,, stessa evidenza. „ Cosi l'autore; il quale ben sente, che la ve- ra filosofia è come l'anima delle altre scienze, od almeno il lume di esse, col quale vanno di pieno giorno sotto un cielo ora sere- no, ora nuvoloso; senza la quale vanno di notte sotto cielo po- vero di stelle e di nubi sempre ottenebrato. Segua a coltivare questa scienza madre e regina di tutte l'altre naturali, e non la- sci di studiare più che molto nei nostri filosofi italiani da Pita- gora a Rosmini; che troverà in essi più sicure scorte che negli stranieri, dal quali ci piovvero In casa tante pesti, veleno al cuo- re e tenebra alla mente: di che portiamo pur troppo la pena di servitù e d'infamia; anzi di morte ai sentimenti della sana mo- rale e della religione! Rivivano queste amiche dell'ordine nel bel giardino del mondo, e fiori e frutti rinascano felicemente ! PBOF. D. Vaccount. 366 Varietà* Poesie varie del consigliere Francesco dottor Berni vicentino. Venezia tip. Alvisopoli i83g, in 4- difac. 355. XJ.ai qui, dopo II ritratto dell'autore, il proemio dell'editore, due visioni, delle quali Melchior Cesarotti pregiò singolarmen- te quella intitolata La cometaf di 3 canti In terza rima, foggiata all'incudine di Dante, e non indegna del secolo. Poi varie poe- sie saere, e tristi, e amene, e satiriche, e di vario genere. Questa è la I parte. La II parte ha tradotte di Orazio V ode XV e XXTI del li- tro I : la III, XIV, XIX del libro II : la IH e IV del libro III: la II e IV del libro IV ; la II e XVI dell'epodo. Pami che quanto al concetto, Io abbia reso bene; quanto allo stile, che non Io abbia sempre snervato; quanto al metro poi, che abbia fatto bene, e talvolta egregiamente. Se non che, rendendo il me tro saffico, doveva ricordarsi o tutto o niente: doveva, perispie- garmi, sovvenirsi che il verso saffico è come composto di due, che ha un riposo sempre nel mezzo: e questo riposo,^ sempre ad un luogo, non lo trovo nella versione, che vuole esser libera, e si fa licenziosa. Dico quanto al metro; che quanto al costume, non ho che ridire. Del resto altrove ho avvisata la somma difficoltà di vestire le penne del Pindaro latino: questo è il caso, che in magnis et voluisse sat est. Mi è poi di conforto trovare una mente , che vede il ret- to; un cuore, che sente il buono; un occhio, che scorge il bello; una lingua, che serve alla mente, al cuore, all'occhio a maravi- glia. E tanto più mi è di conforto, in quanto che l'anima del poeta vicentino parmi forniata allo specchio deirordine, che è per me il princ>pio della bellezza, come ho dimostrato (od al- meno ho tentato dimostrare) in queste carte del giornale arcadi- co, in cui mi pregio di scrivere fino dagli anni miei giovanili: de' quali dolce m'è la memoria! D. VACCOtlNI. Varietà' 3^^ Società medico-chìrurgica di Bologna. Programma di concorso a' due premi Sgarzi per l'anno i84q. A JTK. norma di quaato venne stabilito nella seduta dei ra dicembre 1839 non avendo avuto luogo la distribuzione del premio Sgarzi dell'anno p. p., questa società ha deliberato di aprire ora il con- corso a due premi di se. zoo l'uno, pari a ital. lir. SS;, i3, inve- ce di un solo come sarebbe stato d'uso. I temi scelti dal consiglio di censura sono i seguenti; T E M A I. Cercare se si possa oggidì rendere maggiormente chiara Te. sistenza delle metastasi umorali, e darne una più adequata spie- gazione. Al qual fine .• I. Si narreranno i principali fatti e antichi e moderni addotti in conforto delle medesime, e s'insisterà specialmeute sopra quel- li, ne'quali si è presupposta l'identità dell'umore scomparso da una parte del corpo animale con quello, che si è presentato in altra, senza che in quest'ultima abbia esistito, o siasi potuto ra^ gionei^olmente presumere un'alterazione capace per se a dare origine all'umore, del quale essa è la sede. 2, Si esporranno le principali spiegazioni date dagli autori a cotesto fenomeno morboso, e si aggiugneranno le dottrine e fi- siologiche e patologiche , le quali conducano meglio ad intende- re, come possa esso accadere. 3. Si dirà per ultimo se diansi le metastasi chiamate da al. cani per diffusione di azione morbosa, o di processo morboso: in che realmente consista la differenza loro dalle umorali: e quali Siena le generali viste terapeutiche, con le quali e le une e le al- tre debbano essere riguardate. TEMA II. Determinare se la neurosi sia uno stato morboso essenzial- mente diverso da quello che è comune alle malattie dinamiche, irritative, e organico-chimiche delle altre parli del corpo. AI qual fine: 368 Varietà' I. Verranno dichiarate le più probabili dottrine fisiologiche intorno i generali atti di vita del sistema nervoso. 1. Si cercherà, se per Vintervento delle cause morbifere na- scono nei nervi injermità di una natura specifica., ovvero se gli speciali fenomeni, che le accompagnano, dipendano da altera'^ zioni di certi particolari modi di essere, e di agire dei nervi. 3. Finalmente si spiegherà se i rimedi cosi detti nervini sieno proficui nelle neurosi in grazia di un modo loro specifico di agire, col quale si oppoiigq.no alla natura parimenti specifica del morbo, oppure lo sieno semplicemente per un azione loro elet- tiva verso il sistema nervoso, operando poi sostanzialmente, sic- come fanno negli altri sistemi. Le condizioni del concorso sono: 1. Il concorso è aperto tanto ai membri della società, quan- to a qualunque altro cultore della scienza medica, italiano o straniero; solo ne sono eccettuali i componenti il consiglio di censura. 2. Le memorie saranno scritte in italiano, latino, o france- se; taceranno il nome dell'autore, ma avranno in fronte un'epi- grafe, che corrisponderà ad altra simile scritta sopra una scheda sigillala che accompagnerà la memoria, eiitro cui sarà notato il nome, cognome, e domicilio deiraulore, il quale avrà cura di non darsi a conoscere in modo alcuno nel contesto del suo la- voro. 3. Le disseriazioni non dovranno essere state antecedenle- menlc stampate, o presentate ad altr'accademia: e di ciò l'autore farà solenne protesta nella scheda indicata. 4- Le memorie o saranno consegnate a mano al segretario, o si faranno pervenire al medesinio per Ja posta, franche da qua- lunque spesa. Nel primo caso il segretario farà al consegnatore una ricevuta, e nel secondo si procurerà diili'ufficio postale una dichiarìjzione che indichi la data dell'arrivo, ed il giorno in cui il pacco fu consegnato. 5. 11 termine stabilito alla consegna delle memorie in rispo- sta ai due suddetti temi, è il giorno 3i marzo 1842. Passata guest'ppoca, le memorie saranno sottoposte all'esame del consi-r glio di censura, il quale colle norme prescritte dallo statuto deh Varietà^ 869 la società pronuncerà il suo giudizio non più tardi della fine dell'anno. 6. Nessuna memoria, per quanto sia di grandissimo merito, potrà ottenere il premio se non avrà interamente adempito alle condizioni tutte del quesito. ^. Nel caso che due memorie sieno giudicate di merito egua- le, il premio verrà diviso. 8. Le memorie, che non conseguiscono il premio, possono pe- rò essere riputate degne di onorevole menzione e di stampa; in lai caso il presidente, colle regole prescritte dallo statuto, inter- pellerà l'autore onde sapere se acconsente alla pubblicazione del- la sua memoria e del suo nome. g. Si apriranno dal consiglio di censura le sole schede, le cui epigrafi corrisponderanno a quelle delle memorie premiate; e tutte le altre, meno quelle relative alle memorie lodate, ver- ranno bruciate. 10. Le memorie spedite alla società, trascorso il tempo sta- bilito dal presente programma, si riterranno fuori di concorso. Tali memorie però verranno lette nei modi ordin:irl dai reviso- ri della società; e quando ne trovassero qualcheduna degna di stampa, se ne domanderà il permesso all'autore nei modi fissati all'art. 8. 11. Le memorie premiale, o lodate, si pubblicheranno nelle memorie della società con in fronte l'estratto del giudizio dato dal consiglio di censura, e se ne tireranno a parte 5o esemplari da regalare all'autore. 12. I concorrenti non potranno farsi restituire i loro lavori, che in originale debbono rimanere negli archivi della società.- e soltanto si permetterà loro, in caso che lo richieggano, di farse- ne fare una copia a proprie spese. Tale copia verrà autcnticiita dalle firme del presidente e del segretario. Bologna 3 febbraio i84o. IL presidente PROF. FRANCESCO MONDINL :^j II segretario Dott. Pàolo Pjisdicri. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag* IMPRIMATUR A. Piatti Patriar. Antiochi* Viccsg. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOOIO LXXXIII, VOtUMI 247, 248, 249 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE Ippocrate, Opere tradotte dal Levi. . Pag. 3 p^alentiìii, Institutiones medicinae practicae. Voi. VII. ,< f Linolit Osservazioni aìiatomiche patologiche ^n i4 Melloni, Esperienze sulVazione chimica dello spettro solare " 129 Vaccolini, Cassa di risparmio di Bologna, ^i i54 Gattei, Cenni su di una malattia della fac- cia « 162 Teorica de'' ponti militari {Prima parte) . (( 1 7 1 Santarelli, Inclinazione delVasse della terra.n 206 Cecconi, Dichiarazione sulle sue lettere fo- rensi « 2l5 LETTERATURA Atti delV accademia volsca veliterna . . « 26 Emiliani, Riflessioni storico-politiche sui po- poli etruschi ...,....« 63 Secchi, Epigramma greco dc'primi cristiani trovato ad Autun « 223 3;^ ^ Visconti, Elogio funebre di Luigi Biondi. « 263 Morri, ìocabolavio romagnuolo-italiano. « 2^4 Franchini^ Commentarius in edictum volsco- rtim. .4 .4 « 3o2 Baldassarrif Relazione delle avversità e de' patimenti di Pio VI " 3ig Biografia di Diodata Saluzzo scritta da se medesima « 32 8 Bresciani^ Saggio di alcune voci toscane di arti, mestieri e cose domestiche . . « 335t BELLE ARTI Rapporto del reale instituto di Francia sulV istoria della pittura del prof Giovanni Rosini "94 Ramelli , Prodromo sugli avori del conte Possenti , (( 33gi Versi e prose per le nozze Costahili-MazzaAi 343 Varietà. Tavole meteorologiche , Osservazioni Meteorologiche ){ Collegio Romano )( Maggio 1840. Osservazioni 3Ieteorologicfie J{ Collegio Romano )( Giugno iS^o. Ore Baromet. mal. aSP^S h-g I 5'- j» )> 5 ser. " 5 1 mal. ■,, ,, 0 éf'- „ 2 7 ner. >, „ 6 mat. 2 •6 j) 5» «'• „ 1> „ ser. mal, ser. mat. ser. mat. i3 ,»4 ser. mat. ser. mat, ser. mat si- ser. mat. mat. §i- ser. mat. Stalo del Cielo chiarissimo sereno ^vap. chiariss. nuToloso sereno vap. ser. nuv. sp. ser. Tap. chiariss. pie. nu. sp. chiarissimo nini. sp. jjeliljioso iivoloso sereno vaporoso 'iqv. sp. pie. nu. sp. or coperto sereno vaporoso orizz. neJ)))ioso sp. sereno vaporoso nuv. sp. nehhioso cliiarissimo nuvoloso sereno cbiarissinio nuv. sp. ne))l)ioso „ coperto ser. nuv. sp. chiarissimo sereno vaporoso pie. nu. sp. ori cliiarissimo pie. nu.sp. oriz. serrano sBAKHaBaBaoBm INDICE DELLE MATERIE coiiUmiU uef «voi . ai 8 , ^ 4 9 . SCIENZE Melloni, Esperienze sul!' azione chimica dello spettro solare ,,129 Vaccolini, Cassa di risparmi'» di Bologna,, i54 Gattei , Cenni su di una malattia della faccia ,, 162 Teorica de'ponti militari. (Prima parte).,, 171 Santarelli , Inclinazione dell' asse della terra „ 206 Cecconi, Dichiarazione sulle sue lettere forensi „ 3i5 LETTERATURA Secchi, Epigramma greco de' primi cri- stiani trovato id Autiin . . . . „ lo"^ Visconti, Elogio funebre di ìjuigi Biondi,, 2G3 Morri, Vocabolario romagnuolo itnlinno „ 2g4 Franchini, Commentarius in edictuiii vol- scorum ,, 3o2 Baldassarri , Relazione delle avversità e de'palimenVi di Pio VI ,, Srg Biografia di DioJata Saluzzo scritta da se medesima ,, 328 Bresciani, Saggio di alcune voci toscane d'arti, mestieri e cose domestiche . „ 332 BELLE ARTI Ramelli, Prodromo sugli avuri del conte Possenti . . . „ 339 Versi e prose per le nozze Costabili-Maz- za „ 343 Varietà. Tavole meteorologiche. *.^t w^^^^^^ ^tm <^ E >-¥

^' GIOR]>ALE D I TOMO LXXXIV LUGLIO, AGOSTO E SETTEMBRE I ROMA TiFeonAriA diìllb shli Ann 1340 SCIENZE bilancio della cassa di risparmio in Roma per Vanno 1889, e scritti fatti per la decima ge- nerale sessione della società tenuta il giorno I di giugno 1840. Rapporto e bilancio della cassa di risparmio per Vanno 1889, presentato dal sig. Gioac- chino Albertazzi ragioniere^ letto ed appro- vato nella sessione del consiglio d'' amministra- zione tenuta il dì 8 di aprile 1840. E, I letto per voler de' soci all'onorevole incarico di ragioniere di questa cassa di risparmio nel secondo tri- ennio di amministrazione della medesima ; trascorso il primo anno della mia gestione, adempio il dovere che mi corre di presentarvi il bilancio dal gennaio a tutto dicembre iSSg. Per non dipartirmi da ciò che per lo innanzi si è usato, unirò a questo alcuni brevi cenni, :onde es- porvi partitamente l'ammontare delle somme versato dai depositanti, non che gli utili e le spese verifica- catesi nel corso del medesimo anno. / Scienze Quìudi vi dimostrerò: primo, che gli utili i quali sembrano a colpo d'occhio minori di quelli del pas- sato anno i838 , pure nalizzandone la provenienza saranno ritrovati maggiori: secondo, che l'aumento del- le spese, detratte quelle indispensabili, era reclamato dalle circostanze, e diretto a far prosperare maggior- mente questo stabilimento secondo i principii della sua istituzione. Dall'annesso prospetto pertanto sì ha, che la som- ma del capitale affidato alla cassa di risparmio ascen- de a TV 592,254. 00,5 costituito come appesso : Resto capitale del i838, come dal- l'anteced. bilancio. . . . -r^ ^99> ^^^ 4^ " Interessi sui medesimi capitalizzati il I di gennaio 1889 . . « 6,478 o3 5 Versamenti del 1889 -7=7 827,820 44 Restituzioni in d. an. » 159,888 14 Resto dei versamenti .... « 167,982 3o » Interessi capitalizzati il i di luglio 1889 « 8, 204 44 » Simili del secondo semestre 1889 da capitalizzarsi .... « io, 086 81 » 7=7 5g2, 524 00 5 Rapporto agli utili, questi depurati dalle spese si sono verificati in -7^ 8,097 ^^' ^^ .■ lese di amministrazione appli- cabili all'esercizio i85q . . Se. 1817 12 )' t6 no „ rovvisioni e grati - tic mon^u 1 t*.*tvft». •■••#? »- - ficaz. agi' impie- '^ gati Se 1084 » )> W^ iservienti ,j 126 » » Vi arta, stampe^ re- \ \ gistri ec „ »9' 29 5 \ tensili diversi . . ,, i'1-ì IO 5 w uoco e lumi . . . ,, 43 72 » \ remi nella ricor- \ renza del s. Nat. \ ai depositanti in \ piccole somme . „ 200 \ Se. 1817 12 » \ oese per la cassa succursale \ nel rione Trastevere applica- ' \ bili all'esercizio iSSg ....,, III 5o » \ V\ rendila consolidata iS5 21 )) \ " Se- 22206 7T3 V, UPERAHO LE ReNDITE : ,, 3097 35 » \ Se. 25334 08 5 ^•^-v i u5534 ^n s ! - 1 j ;■ P nrrif*nf*i» ■■^■k 13 Scienze Rapporto dei soci S. E. sig. principn D. Tommaso Corsini e sig. Angelo Galli eletti sindaci nella decima sessione generale della società tenuta il 27 di aprile 1840. Chiamati dal voto di questa saggia e fdantro- pica società alla revisione dell' ultimo bilancio del 3i dicembre 1889, ci è ben grato e sommamente ci consola lo scorgere il felice progresso di tale isti» tuzione figlia della carità: e come tale, dalla celeste provvidenza cotanto protetta ed incoraggiata. E primieramente nostro preciso dovere di com- mendare per amor del vero , scevro da qualunque prevenzione o parzialità, la saviezza del regolamento di questa cassa di risparmio , stabilito fino dal mo- mento che essa fu ibt:'aila. La esperienza fattane nei decorsi anni, ed i rappoili dei sindaci che ci hanno preceduto in questa onorevole commissione , ampia- mente e senza eccezione dimostrano tale verità. Per corrispondere a quella fiducia, della quale il consiglio generale adunato il giorno 27 aprile decorso ci ha onorati, ci siamo fatti ad esaminare la condotta del- le operazioni amministrative e della scrittura. Esaminando positivamente la condotta della scrit- tura, ci si è dato di osservare , che i conti dei de- positanti sono tenuti in appositi registri in forma di saldaconti (contenenti ciascuno cinquecento conti), i quali complessivamente e periodicamente vengono por- tali in giornale, e quindi trasferiti in libro mastro; che iu giornale parimenti sono riportate, come di re- gola, tutte le altre operazioni amministrative; e che il libro mastro sfogando agli appositi conti e perso- Cassa di risparmio 1 3 nalì e speciali tutti gli articoli del giornale , si ot- tiene la situazione de'medesimi in piena correlazio- ne ed in perietta corrispondenza. Concludiamo per- ciò essere i risultati del bilancio, a noi commessi di sindacare, pienamente regolari. Passati ad esaminare il modo con cui si eserci- tano le operazioni amministrative, abbiamo conosciu- to che un ordine perfetto si osserva nel ricevimento de'depositi, nel loro allibramento, e nella liquidazio- ne degl' interessi. Egualmente regolai-e abbiamo rile- vato essere il modo, con cui il danaro introitato si riestrae, sia a causa delle restituzioni ai depositanti, sia in occasione dei rlnvcstimenti clie ne sieguono, sia pel pagamento delle spese Tutto ciò relativamente alla forma. Veniamo ora alla sostanza. La parte clie costituisce T introito è talmente semplice e certa, cbe quando abbiam detto essere stato esattamente allibrato a credito dei depo- sitanti, ed a debito della cassa, altro non possiamo riferire; se non che aggiungeremo, tutto ciò effettuar- si col pieno contentamento dei depositanti medesimi. La parte dell' esito potrebbe impegnarci a pro- fondo esame, se un consesso così illuminato , come quello di un consiglio di amministrazione, non aves- se prevenuto qualunque osservazione. Ciò non pertanto non isdegnerà il consiglio di sentirne alcun cenno. Di tre specie può dirsi l'esito: 1. Restituzione di depositi che non ammette os- servazione. 2. Rinvestimenti seguiti in diversi modi, su cui sarà dato qualche cenno. 3. Spese di amministrazione , delle quali pure si parlerà. I^ S e I E 7f Z B Ciò che possiamo dire in ordine ai rinvestimen- ti si limita ad osservare , che la somma totale ero- gata nell'anno 1889 è stata di scudi 25 1,346:60; e che questa si osserva così divisa: Consolidato t^ Conti correnti » Crediti fruttiferi, e conti correnti con ipoteca .... » Crediti fruttiferi con garanzia. » ao,34G I t4^ i2632. Che in tutto ammontano a . . N. 25719. I quali depositi, ridotti in numerario, presentano: Nel primo semestre una somma di 7=^ 169608. 93. Nel secondo semestre una di . . » i582ii. 5i. In totalità 7=7 327820. 44* 20 Scienze E volendo pone a raffronto le somme qui so- pra incassate con quelle , che dai depositanti sono state ritirate in tutto il corso dell'anno, se ne avrà il seguente risultamento : Nel primo semestre sono stati restituiti -7=^ yoGSS.SB. Nel secondo semestre » 89252. 76. In tutto l'anno 7^ i59888.i4. E se qui si volesse altresì discendere sempre più al minuto, e vedere i 258i libretti nuovi aperti, clas- sificati in somme annue , e queste ripartite e con- teggiate per le 5i domeniche, nelle quali ha avuto effetto l'incasso , formar si potrebbe lo specchio se- guente : N. 541 libretti fino a 7=7 io a settimana danno y^ 491 337 3o8 40 1 400 io3 sopra 20 3o 5o 19.70. 39.21. 58.82. 98.03. » 100 » I 96.07. » 200 » 3 92. i5. » 100 » 0000.00. N.258i. Or dalle qui sopra esposte notizie si deduce, co- me qui appresso, 1. Che i libretti estinti stanno al total numero co- me uno a sette, e sette centesimi: 2. Che i libretti rimasi al di i di gennaio del corren- te anno sono circa un quarto di più di quelli che si avevano in essere nell'antecedente anno: 3. Che con ciascun libretto, a voler prendere un ter- mine medio, sono stati fatti circa tre depositi: Cassa di RrspARMio ai 4. Che ogni libretto rappresenta un capitale di scu- di 38.76. 3.y;^„. 5. Che ogni deposito può calcolarsi alla somma di scudi 12.74. 62,/;^^, 6. Che le somme estinte stanno a quelle depositale come I a 2. o5. o3. Questa, o signori , è la statistica che vi porge la nostra cassa nel passato anno 1889 ; e se di es- sa volesse instituirsi un i-affronto con quella dell'an- tecedente anno i838 , subito si verrebbe a vedere , che quantunque i nuovi libretti aperti nel cessato anno siano niente meno che di 6o3 al disotto di quelli dell'anno innanzi; pure le somme versate su- perano quelle dell'anno i838 ad un incirca di scu- di 38437. 99: ed i libi^elti estinti, sebbene siano di un 219 minori a quelli del precedente anno, pur le somme restituite nell'anno 1889 sopravvanzano di scu- di 46451. 97 quelle dell' anno i838. Che se però taluno, fermandosi alla sola disparità delle cifre de' libretti aperti fra i due anni tolti per me ad esa- me , volesse da quella trarre un qualche sospetto di minor fidanza che il pubblico riponga nel nostro instiluto, vi confesso che andrebbe assai lungi dal ve- ro. Imperocché una tale minorazione di libretti a nient' altro dee riferirsi se non a que' retti e pru- denziali ordinamenti , che il consiglio amministrati- vo, senza direttamente offendere il regolamento , ha creduto di dover prendere a mantener fermo il prin- cipio e lo scopo di questa instituzione , con buone ragioni negandosi a coloro, i ([uali e per l'eccedente numero di richieste che facevano presentare ad un sol portatore, e per la singolarità ed originalità de' nomi sotto i quali si nascondevano , davano troppo 23 Scienze (! paiesemenle a conoscere , che giovar sì volevano di questa opera benefica e santa per porre al sicuro, e per far fruttificare i profitti delle loro commerciali e dimestiche speculazioni. IN è in un fatto sì dilicato e di così gran momento ha creduto il consiglio di j proceder soltanto appresso il suo avviso; ma ]ia sii- ] mato esser debito della sua circospezione il chieder lu- mi ad altri uguali instituti: e perciò scrisse alla cas- sa di risparmio di Milano e a quella di Firenze, in- vitandole a dire come elle in somigliante caso usa- no regolarsi. Quella di Milano non ha dato fin qui risposta alcuna alla domanda ; la fiorentina peraltro in una lunga , grave ed assai ragionata lettera con- chiude col dire, eh' ella « per riuscire possibilmente » ( vi ripeto le stesse parole ) a tener ferma la mas- » sima di escluder sempre gli speculatori dai bene- » ficii della istituzione della cassa de' risparmi, fon- » data solo pei poveri, ha semplicemente adottati que' » provvedimenti, che di mano in mano le sono sem- » brati opportuni ». Da questa semplice narrazione resterà ognuno persuaso che solo, come io di sopra vi ho accennato, da que' provvedimenti che il nostro consiglio ha fermati , e non mai da scoraggiamento del pubblico, dee ripetersi la minor cifra de' libretti aperti nel 1889. E tanto più ha il consiglio credu- to di dover tener fermi que' metodi e que' provve- dimenti , quanto clie appunto vedeva , che a fronte della minorazione dei libretti eransi nel passato an- no le somme versate notabilmente accresciute. Or così dichiarate le cose che riguardar possono questa parte del credilo che si gode il nostro istituto , è a doversi conchiudere, che come per le somme in- cassale si dimjsira che la fidanza nel pubblico non Cassa di risparmio aS solamente non è venuta meno , ma sì accresce ogni giorno più: cosi per le somme che si sono restituite ci dobbiamo persuadere , che la nostra cassa di ri- sparmio si è posta in quel giusto, regolare e propor- zionato girar di fondi che domanda il maggiore svi- luppo de' sociali bisogni. Ciò poi che deve, o signori, fortemente piacer- vi e racconsolarvi nell' esame della statistica da me sottopostavi, è il vedere come l'instituto caritativo con- fidatoci venga mano mano avanzando nel fine mo- rale che pur si era promesso: e ciò ragguardando o o alla condizione dei depositanti, o alle somme dei depositi, o finalmente alla cassa succursale di bel nuo- vo riaperta nel rione Trastevere. Ed invero, dicendo della condizione dei depo- sitanti, come da un lato vedrete aumentate ed accre- sciute le cifre de' libretti aperti nel caduto anno ad inservienti e ad artigiani , cosi vedrete da un altro lato aggiunti nuovi libretti fatti a nome de' pove- ri rimasi orfani pel cholera: a nome degli alunni del- l'ospizio apostolico di s. Michele, e per fino a no- me de' condannati alle pubbliclie pene. E qui, a mio giudizio, non debbono essere mai poche le lodi che vogllonsi tributare a coloro, che soprastanno a quelle amministrazioni: conciossiachè que' zelanti e prudenti reggitori, oltre all' educare alla religione, ed al si ne- cessario rispetto delle leggi, la gioventù alle paterne loro cure affidata; oltre all' avviarla a quelle arti ed a que' manuali mestieri che più si convengono all' umile sua condizione, ponendo In serbo i primi fruiti delle oneste e laboriose sue fatiche: la informano pu- re alla economia, gran fondamento anch' essa del buon costume; sicché que'disgraziati, che un giorno saran per St^ Scienze uscire da que' luoghi di punizione, troveranno, per le provvide sollecitudini di chi gli ebbe in custodia, di che bastare a' primi loro bisogni , senza vedersi costretti ( così non fosse ! ) di ricorrere a nuovi de- litti per avere nel castigo stesso alcun modo di vi- vere. Ed oh così beli' esempio fosse pur seguitato da tutti quegli specchiatissimi che stanno a capo delle benefiche opere , di che tanto si vanta la città no- stra ! Che forse un giorno vedremmo la nostra ple- be avanzar di fatto in vm vero incivilimento degno non men dell' Italia , che della sede augusta della religione : la vedremmo cioè men rotta alla intem- peranza, e men proclive al ladroneggio ed al sangue: sicché poi più fiorenti per acquistata parsimonia si fa- rebbero a grado a grado le famiglie ancor degli ul- timi del nostro popolo. Nò solamente, a voler dir seguitando , la con- dizione de' depositanti dà certa speranza che il no- stro stabilimento sia bene innanzi verso il suo fine morale; ma ne danno anche non dubbia testimonian- za le somme che pe' nuovi libretti aperti sono state nello stesso anno 1889 in questa casa depositate. Ed invei'o, come si ha dalla statistica, i libretti novel- lamente aperti sono stati in numero di 258 t. Or questi libretti per 2078 ci porgono progressivamente annue somme da sotto agli 7=7 io fino agli t^ 100, e soltanto un 5o3 libretti presentano somme di -7^ 200 o al di sopra di quelle. Dal che si prova che la mag- gior parte dei nuovi libretti aperti stanno in quella proporzione ed a quel saggio che vuoisi dallo spiri- to del nostro insliluto ; perchè apertamente ci dimo- strano esser essi i veri frutti dei risparmi de' poveri. Ne ( se io non erro ) debbono aversi in alcun so- Cassa di risparmio a5 spetto di rappresentarvi un frutto di non lodevole speculazione , o almen contraria a' nostri principli , quegli altri libretti che oltrepassano gli r^ lOo: per- chè possono essere , e molti lo sono infatti , il ri- sparmio ed il sopravvanzo , che da' loro onorari e da' loro negozi hanno ritratto , e parecchi impie- gati , e molti piccioli possidenti , e non pochi mer- catanti, ed altre persone mediocremente agiate ; le quali, e sono in ciò da lodare, per cosiffatto modo avvedutamente proveggono a' futuri bisogni delle fami- glie, al collocamento ed alla educazione de' figliuoli, e ad aver bello e pronto un soccorso nelle sopravvenienti malattie, o in qualunque altro caso del vivere. E ben sarebbe a desiderarsi che molti così facessero! Che non vedremmo le tante volte, morto il capo della famiglia, rimanersi ella non pur deserfa, ma così abbandonata ad ogni miseria, che perfino le manchi ciò che estrema- mente occorre a restituire alla terra le mortali spo- glie di colui, che forse, non addandosi punto dell' av- venire, l'avea soddisfatta in vita o con larghe spese, o co' più ricercati piaceri e dispendiosi sollazzi ! A chiuder da ultimo questa parte del mio ra- gionamento , e a far qualche parola della casa suc- cursale riaperta nel rione di Trastevere, ella , sicco- me voi già sapete, or sono due anni passati, ebbesi si può dir vita e morte quasi ad un tempo stesso : tanto poco rispose alle pietose e sollecite cure dell' amministrazione! Nel caduto anno però, la Dio mer- cè, la cosa non andò così; perciocché essendosi acqui- stato a piccolo annuo fitto un luogo più convenien- te e di facile accesso, perchè posto in mezzo a ne- gozi,, a fondachi, a ridotti in cui sono usati di con- venire quegli abitanti : bene apparecchiate dapprima a6 Scienze le provvidenze da prendersi con que' capi della fab- brica de' tabacchi, e di altri ospizi ( i quali, a lode e ad onore del vero, hanno pure assai giovato il con- siglio, pei'chè la intrapi-esa riuscisse a buon fine ): e meglio ordinato tra' zelanti nostri soci il servigio e 1' assistenza da prestarsi a quell' opera secondaria : aperta appena che fu ne' primi del mese di novem- bre 1889, diede subito bella speranza di se; e non più in là dei cadere di dicembre i libretti aperti am- montavano al numero di 98; de' quali però è a no- tare che un solo, perchè intestato alla società dell''^ fabbrica de' tabacchi, comprende 25o depositi. Laon- de se tutti fossero spartiti in libretti, e ciascuno por- tasse il nome del fabbricante, darebbero non già 98, ma sibbene un complessivo numero di 847 libretti. E perchè per la condizione de' tempi che corrono , a diradicare i cattivi usi e le male abitudini nella società intromesse, è mestieri o forza di richiamar gli uomini alla morale , stimolandoli con premi e con guiderdoni, quasi che niente fosse o non bastasse il profitto ed il vantaggio , che danno per loro mede- sime tante benefiche instituzioni ; perciò a far bene prosperare la nostra, il consiglio amministrativo non ha^'voluto rimanersi dall' adoperare ancor questo spe- diente. Il percliè il primo del passato mese di dicem- bre mandò alle stampe un avviso , con cui annun- ciando eh' esso consiglio avrebbe in ogni anno distri- buiti due premi di 7=7 aS ciascuno per ogni cento depositanti di piccole somme, non mancò pur d'in- dicare le condizioni che avrebbero dato un diritto al premio impromesso. Anzi volle ( per convincere con fatti palesi il basso e minuto popolo che da noi te- nevasi la parola ) volle, dico, mandare ad effetto la Cassa di risparmio 27 premiazione annunciata nelle feste della solennità del natale di quell'anno medesimo. Per questi prudenti partili, e per questi saggi orti inamenti, la succursale di Trastevere ebbe vita, sta ferma, e dà bene a spe- rare di se. Detto fin qui del credito , in cui si sta 1' isti- tuto nostro; dimostratovi colla scorta de' fatti, come assai prosperevolmente proceda innanzi verso il suo fine morale: vuoisi ora dar pure alcun cenno sull' in- terno regolamento per l'amministrazione , di cui vi fu fatta parola nel ragionamento dell' anno scorso, © suir impiego de' fondi che dal pubblico si versano nella nostra cassa. Intorno al primo è a sapere, che l'interno re- golamento fu dato a rivedere ed esaminare ad una special commissione tratta dal seno del consiglio me- desimo, e formata del direttore, del provveditore, del ragioniere, del cassiere, e del segretario, come coloro a' quali, secondo che ognun vede , più direttamente risguardava quell' ordinamento. La commissione in più adunanze attese con iscrupolosa coscienza e maturità a questo esame : e dopo avere in gran parte rifuso e corretto esso regolamento , innestandovi que' mu- tamenti elle la sperienza ed il più spedito ed il più facile servigio dell' amministrazione le consigliava: lo sottopose alla superiore approvazione dell' intero con- siglio. Questo in tre lunghe straordinarie sessioni avendolo letto, considerato e discusso, ha già sanzio- nate le tre prime sue parli : siccliè non resta che a sottoporgli la quarta ( il che sarà quanto prima ) per- chè tutto venga sancito, e dato a legge dell' ammi- nistrazione. Intorno al collocamento de' fondi, voi avete, o 28 Scienze soci prestantissimi , senza che io vi spenda sopra pa- role, nel rapporto de' sindaci e nelle loro onorevoli testimonianze la più chiara dimostrazione della pru- denza, con cui il consiglio ha proceduto in un af- fare di sì gran momento. Per esso rapporto e per quelle testimonianze d' approvazione siete stati non solo rassicurati, ma resi certi, che né meglio di ciò che si è fatto , ne più sicuramente potevano essere allogati ed investiti gli 7^ 600,000 versati nella nostra cassa de' risparmi , riguardando , sia le somme volte in consolidato, sia quelle date a conti correnti con ipoteca o senza, sia in fine le altre poste a crediti fruttiferi: essendoché sieno di piena guarentigia i no- mi di coloro , a' quali sono stati affidati , o i fondi che a sicurtà della cassa hanno per quelle somme compromessi. Con tali principii, con tali leggi, o signori , il consiglio amministrativo si propone di andare innan- zi nella santa opera: e nutre speranza fermissima che non solo sarà per vincere l'ostacolo, che al buon an- damento di essa potrebbe frapporsi nella eccessività stessa del suo credito, ma che ti'a non molto la porrà eziandio a paro delle casse di Londra, di Parigi, di Berlino, di Vienna, di Milano , e di Firenze , colle quali è in perfetta corrispondenza. E come ha vedu- to con vero suo compiacimento dopo questo nostro istituto, e nel solo volgere di tre anni, fondarsi ne' pontificii dominii le casse di risparmio di Spoleto, di Bologna, di Ravenna, di Ferrara, di Forlì e di An- cona, così ne vedrà sorgere altre ancora: per convin- cere ogni giorno più l'universale, che non mai fu- rono le caritative e benefiche instituzioni tanto rice- vute ed onorate , quanto in questo secolo per altri rispetti, forse non a torto, chiamato guasto e corrotto. In morte del signor Poisson matematico di chia- ro nome. Discorso del signor Arago, recitato sulla spoglia di esso il i di maggio 1840 al cimitero del padre Lachaise a Parigi dopo onorevoli esequie e tra il luttuoso corteggio de'' principali scienziati ed allievi. Traduzione. IJc ia. morte, che non perdona anzi è più acerba ai migliori , ha privato le scienze esatte di un chiaro lume, la Francia di un ornamento bellissimo. Ono- revoli esequie con più elogi funebri furono l'espres- sione sincera del pubblico duolo. Ma perchè nella perdita di tali uomini, quale era il signor Poisson, partecipano le nazioni più colte del mondo , quel duolo tocca noi pure trattandosi di rendere un tri- buto al merito segnalato , e d'incuorare i superstiti ed i futuri a cogliere nella via delle scienze i pri- mi allori per ottenere la stima delle nazioni, e fama ne' secoli. Diamo tradotto il discorso detto , dopo quello del signor Cousin ministro dell' istruzione pu- blica in Francia, dal signor Arago', siccome quello che racchiude meglio le notizie biografiche del ma- tematico ora defunto. DISCORSO. Jeri ci avemmo ancora uno de' più splendidi lu- mi dell'accademia, uno di que' rari spiriti, i cui no- mi suonano su tutte le bocche quando le nazioni si 3o Scienze disputano il primato inteileltuale: oggi inanimi spo- glie, oggi una bara già inghiottita dalla fossa e che scomparirà per sempre sotto poche fette di terra! No, miei signori , lungi da noi queste sconfortanti idee, questi tristi confronti: il genio non muore; ma so- pravvive nelle sue opere; le scoverte , di cui ha ar- ricchito la scienza, porteranno il gran nome fino a' nostri più lontani nipoti. Cessi il cielo eh' io pensi di meschiare in que- sto momento al vostro profondo dolore , alle vostre lagrime , una minuta analisi della vita scientifica di Poisson : vita sì breve al numero degli anni; sì va- sta air incontro , sì feconda a chi consideri l'esten- sione e l'importanza de' lavori, ai quali fu sufficien- te. Io citerò senza più qualche data , raccoglierò qual- che memoria: saranno questi i germi alla biografia , che il segretario dell' accademia dedicherà ben presto al suo illustre collega. Poisson nacque a Pithiviers nel 1781 di un pa- dre, il quale più volte da semplice soldato nella guer- ra di Annover avea versato generosamente il suo san- gue per la Francia. Ecco, o signori, una origine no- bile agli occhi della ragione. Nelle nostre abitudini parche, meschine in ma- teria di pubblica istruzione, il regalo che la conven- zione fece a tutti gli amministratori di distretto, di lezioni stenografiche della scuola normale, ci sembra una vera prodigalità. E furono quei quaderni , che suscitarono il genio matematico, di cui piangiamo la perdita: che determinarono la famiglia dì Poisson a mandarlo alla scuola centrale di Fontainebleau, do- ve i suoi progressi eccitarono l'ammirazione de' pro- fessori e degli allievi. A' sedici anni appena, egli si Flogio di Poisson 3i presentò al concorso per la scuola politecnica, e vi fu ricevuto fuori del consueto. I capi di quello sta- bilimento al primo colpo d'occhio ben videro a tra- verso una scorza, un pò rustica ancora, tutto ciò che la scienza doveva attendere dal giovane allievo; giu- stamente pensarono, che le regole non sono fatte per questi casi eccezionabili e rari; essi dispensaronlo da' penosi esercizi grafici, imperiosamente imposti a tutti coloro, che deijbono seguitare la carriera de' pubblici lavoi'i, e diedergii così di dedicarsi tutto ai prediletti suoi studi. Bentosto l'allievo, di gracile complessione, di piccola statura, di maniere puerili, trovò una di- mostrazione semplice, concisa, elegante di un teore- ma importante dì algebra , relativo alla eliminazio- ne, sul quale l'analisi non aveva dato ancora che un volume enorme e quasi illeggibile. Era questo il primo e splendido anello di quella lunga serie di memorie, che dovea porre sì in alto Poisson tra le celebrità del nostro tempo. Laplace volle conoscere un geometra di tali spe- ranze. Qualche minuto di conversazione con lui non fece che accrescere ancora 1' alta idea , che aveagli inspirato la lettura della memoria suU' eliminazione. Quelle speranze l' autore della memoria celeste le caratterizzò tosto di una maniera energica e fami- gliare con quelle parole proverbiali del favolista : Petit Poifcson deviendra grand Pourvu que Dieu lui prète vie (i). (i) Non sono traducibili questi versi, ne' quali lutto il me- glio sta nella parola Poisson , che noi diciamo pesce : e allora non è più il cognome di Poisson luatemalico. ( D. V- ) Sa Scienze Sarei io in inganno, o signori, pensando che un ca- so, il quale mi dà di riunire, di affastellare i nomi di tre illustri francesi, Lafontaine, Laplace, Poisson, possa qui rammentarsi non ostante la sua apparente frivolezza ? Ma veramente Lagrange, Laplace, Monge, Ber- tollet appianarono a gara gli ostacoli che un giova- ne isolato incontra sempre avanti a se al principio di sua carriera. Pochi mesi bastarono a Poisson per pas- sare dalla sedia di allievo alla cattedra di professore. Là egualmente mostrò la sua superiorità. A queir epoca credevasi ancora in Francia, che le intelligenze superiori fossero la forza, la ricchez- za , r onore delle nazioni civili. Dacché elle co- minciavano a nascere, ognuno faceva calca intorno, prodigava loro conforto e voti; le circondava di una tripla barriera di benevolenza, a traveiso la quale la gelosia, dal soffio avvelenato, indarno avrebbe tenta- to farsi un passaggio. Questo ritorno a costumi ed abitudini, così lontane da quelle del nostro tempo , spiega come Poisson si trovasse bentosto per tutte le sale della capitale; come il giovine geometra passasse ad ora ad ora dalle gravi riunioni di Cabanis, di Tra- cy, di Lafayette, al circolo più fatto al gran mondo, più gaio, forse ancora più istruttivo, di cui molti ce- lebri artisti, Gerard, Talma ec. , erano per così dire i perni. Uno spirito ingenuo e fino, unito alla facoltà di presentare le più dibattute quistioni sotto aspetti nuo- vi , di penetrare eziandio nell' essenza delle cose, di non lasciarsi mai abbagliare dal luccicore delle super- ficie, foi*marono di Poisson uno de' primi ornamenti della società parigina. Ma che ? Questi successi effi- Elogio di Poissow 33 meri non l'abbagliarono. È cosa di trentasei anni fa- perdonatemi , signori, una rimembranza personale" che rm è dolce. Nell'ora che togliendosi alle lusin- ghe del gran mondo Poisson rientrava nel silenzioso recinto della scuola politecnica , egli aveva sovente la bontà di battere alla porta della modesta cameret ta dove allato al suo appartamento un assai giovine allievo preparavasi così mediante studi notturni alle cure laboriose del giorno appresso. Non lasciava edi allora di contare per minuto le ore, che la società avea rapite alle sue dotte ricerche. Del resto era cruello a suoi occhi un gran debito, che si studiava di com piere a spese del suo senno medesimo. Ed ecco com'io confidente e testimonio di quelle prime impressioni' di gioventù , non fui punto sorpreso al vedere più tardi il nostro illustre collega ripiegarsi, per così di- re sopra se stesso, isolarsi a poco a poco , ritirarsi da mondo, ristringere le proprie relazioni al cerchio ristrettissimo di-poca famiglia e di alcuni amici: darsi m Ime ad una vita tutto solitaria. M'inganno io, o signori? La comparazione sa- rebbe men giusta ? Famosi solitari erano senza dub- bio esploratori infaticabili di vecchi archivi, di vec- chi documenti di nostra istoria ; ma le opere loro veramente dotte, non escono {per lo pia ) dal no^ vero delle compilazioni (r). A rincontro l'invenzio- ne splende ad ogni tratto negl' immensi lavori di Pois- leuere delie .ie^e J ^Zrn'tZr:^::Tfr ''n G.A.T.LXXXIV. 3 34 S e i E N i E soh sulle questioni più sottili ed alte di matematica pura ; sulle applicazioni del calcolo ai moti de' cor- pi celesti ; sui fenomeni tanto complessi della fisica corpuscolare. Si è detto che l'analisi matematica è un istro- mento. La comparazione può ammettersi, purché si conceda insieme, che quest' istromento come il Proteo delle favole dee incessantemente cangiare di forma. L'arte delle trasformazioni analitiche non fu in al- cun geometra tanto innanzi, quanto in Poisson. Quan- do le sue formole non rovesciano di slancio la dit- ficoltà e in un attacco diretto, l'attoi-nianoj la strin- gano, la provano su tutti i punti: raro è che non pe- netrino egualmente al fondo della queslione in guisa rapida insieme ed impreveduta. Le memorie di Pois- son sono piene di siffatti artifizi analitici : i geome- tri vi trovarono soluzioni helle e pronte ad una folla di problemi che il progresso delle scienze fa nasce'- re tutto giorno. Altronde saranno d'esempio molle so-» luzioni, che il nostro collega ha date egli stesso, svi- luppandole e seguitandole in tutte loro ramificazio- ni. Come potrei qui non citare in primo luogo due mirabili memorie sulla distribuzione dell' elettricità in riposo alla superficie de' corpi ? Ninna scienza ha progredito più ratto della elettricità: nacque verso la metà del secolo decimottavo. Gray in Inghilterra, Du- fay in Francia scopersero i primi fenomeni di qual- che conto : Kleist, Cuneo, Muschenbroek avvisarono i sorprendenti cfielli della boccia di Leyde; Franklin diede una spiegazione plausibile, e inventò i paraful- mini. Coulomb, armato di un nuovo strumento, fece inisure di una estrema precisione, là dove non ten- FXOGIO DI PoiSSON 35 tavasi neppure misura alcuna (i): Poisson in fine le- gò tutti i risultati isolati ad una causa unica ; li strinse a formolo analitiche generali. Egli è a quel punto che una scienza è compita. Non iscorgete voi, o signori , qual posto eminenle il nostro collega si ahbia in quella pleiade d'uomini celebri ? Allorché pel computo delle perlurbazioni pla- netarie nacque il metodo fecondo della variazione delle costanti, il nome di Poisson si trovò gloriosa- mente accoppiato a quelli di Lagrange , di Laplace. Uno de' piia bei pi'oblemi del mondo provò di nuo- vo i tre generosi; vinse allora senza contraddizio- ne Poisson. Tratlavasi allora ( sillatte quislioni con- servano la loro grandezza anche all' orlo di una tom- ba ), trattavasi di sapere se il nostro sistema solare presenti condizioni reali di stabilità, di durata. New- ton credeva necessaria una mano riparatrice, che di tempo in tempo venisse a fermare il disordine, ed a circoscriverlo dentro stretti limiti. Laplace riconobbe il primo, che per la natura stessa delle forze, Tele- mento principale di ogni orbita ( il grand' asse ) è in- variabile; che quindi uè i maggiori, né i minori pia- neti, né Giove colossale, né la terra nostra di cosi modeste dimensioni, non verranno a inabissarsi nella materia infiammata del sole. La stessa conseguenza sbocciò con una evidenza novella dall' analisi pili ele- gante, più completa di Lagrange. Poisson infine pas- (i) Qui è per lo meno un gran salto ! Perdoni di grazia il signor Arago se all' accademia delle scienze di Parigi l'Italia rammenta tra gli altri lumi un Volta, la cui pila vale quanto sa egli il signor Arago e sanno i fisici di lutto il mondo. Ma delle scoperte e delle opere del Volta veggansi gli- articoli del eh. pa- dre Pianciani ( Giorn. Are. Tom. 4i pag. a8. 187. 289. ) 36 Scienze so i limiti dell' approssimazione , oltre i quali que' due illustri, che lo precedettero , ritenuto aveano i calcoli essere ineseguibili. Egli aggiunse altresì mil- lioni d'anni all' immensa durata, che i precedenti la- vori di Laplace e di Lagrange aveano già assegnato al nostro mondo solare (i). Se fosse d'uopo, la splendida memoria di Pois- son proverebbe, che certi uomini privilegiati possono avere un interesse personale a portare i loro sguar- di, i loro pensamenti a secoli cosi rimoti. Mi arresto, o signori , benché io abbia sfiorato appena il campo ricco, brillante, vario, che i lavori di Poissori offriranno a' biografi. Il geometra inglese Cotes non era per anche conosciuto , quando morì giovanissimo, se non per la scoperta di uà solo teo- rema d'analisi. E INewlon esclamò; a Se Cotes fosse vissuto, noi avremmo saputo qualclie cosa. » Ora noi, o signori, cui Poisson ebbe già tanto insegnato, noi testimoni del suo inslancabile ardore nella fatica » della sua incredibile fecondità, saremmo noi impediti di esalare similmente il profondo dolore, che sentia- mo, pensando a venti, a trenta belle memorie, on- de le matematiche sarebbonsi ancora arricchite, se il nostro collega fosse vissuto gli anni, che vivono or- dinariamente gli accademici ? Ahi che uomini la morte ha colpiti così innan- (i) Intorno alla legge di sLabilità nella natura fisica non vo- glio lasciar di notare un discorso letto dal mio benamato mae- stro professore Stefano Longanesi all' università di Bologna nel 1809, o in quel trono, come ho accennato nella vita di lui ; un cenno della quale lio pubblicato Huche iu Roma ( Nutn. 1. dell Album, il 6 marzo 1)^4^ )• Elogio di Poisson 87 zi tempo tra noi ! Oggi Malus, dimani Fresnet, poi in frolla Fourier, Cuvier, Dulong, Ampère, Poisson. Alla luce di nomi così celebri questa funebre memoria de- sta dubbi crudeli. Si chiede se non ostante la sua fecondità la Francia ristorerà tali perdite con quella prontezza, con cui le facemmo ! Se avremmo la ma- la sorte di vedere l'accademia cadere dall' alto posto che tiene ! Se vi ha mezzo di scampare da sì fune- sti presagi ! Se sapremo conservare la preminenza scientifica, che ci verme in deposito ! Poisson ha risposto innanzi a tutto, che in questi dubbi, in queste ricerche rimane in potere degli viomini. Dal fondo del suo sepolcro egli ci dice, come vivendo il diceva colle sue azioni, di porre il nome di acca-^ demico bene al di sopra di quelli, di cui possiamo es- sere degnati dall' aura popolare (i), o pel favore non meno fragile dell' autorità: di non considerare que- sto nome come un onor vano , di non ridestare la vecchia sentenza de' nostri padri ( nohlesse obli gè ): di osservare coscienziosamente, che in un secolo di sforzi, di progressi incessanti, universali, chi si fer-. ma un sol giorno, passò: d'inculcai^e queste massime alla studiosa gioventù colla voce possente dell' esem- pio continuo. Ecco, signori , ciò che ci dice colui, il quale conservò i suoi ultimi istanti, i suoi ultimi sguardi , il suo ultimo respiro all' adempimento de' (i) II mondo è sempre mondo ; e quadrano qui le parole di Orazio ( Od. 2. Ub. HI. ): ,, Virtus repulsae nescia sordidae - In- taminatis fiilget honoribus - Nec sumit aut ponit secures - Ar- bitrio popularis aurae. - Virtus recludens immeritis mori - Cae- lum negata tentat iter via - Coetusque vulgares et udam - Sper- mi liumum fugiente penna, ,, Cbi è savio intende e basta! 38 Scienze doveri accademici. Egli è cosi , solamente così , che nella via delle scienze si acquistano titoli durevoli alla slima, al rispetto, all'ammirazione de' contempo- ranei e de' posteri. Permettetemi di aggiungere il solo pensiero, che possa in questo punto addolcire il vo- stro rammarico: egli è così che si giunge ad illustra- re la propria vita senza guastarla. Addio, mio illustre collega; addio, Poisson, ad- dio (i) ». D. Vaccolini. (i) Questo tenero addio pnrte veramente dal cuore, diman- dano coloro, olle pensano alle posteriori parole del signor Ara- go dette neir accademia delle scienze, e indiritte ( chi '1 crede- rebbe ? ) a negare all' illustre collega, a Poisson, l'onore di sei mesi di lutto dell' accademia ? O queste ultime sarebbero state dettate da quel sentimento, che fece tacere al signor Arago il nome di Volta e de' fisici italiani nel toccare la storia dell' elet- tricità ? Non è da me sciogliere questi dubbi : mi è caro sì aver potuto rendere in volgar nostro il dotto discorso del signor Ara- go, come già resi quello del primo filosofo della Francia signor Cousin {Bologna 1840, nel Solerte foglio di scienze lettere ed ar- ti, ?n(tn. 3, del 21 maggio ). Benché mi duole di non aver po- tuto tradurre tanto bene da non affievolire talvolta od offuscare l'originale ; cosa comune a chi trasporta le belle cose da una lingua ad un'altra; mi basta aver potuto mostrare l'animo mio pieno di stima, siccome alla memoria del signor Poisson , così a quelli dei dotti viventi signori Cousin ed Arago , che onoro ve- ramente ed altamente, pel merito loro scientifico, che a tutto il mondo è chiaro e luminoso. 39 Praelectiones theoìogìcae quas in collegio rO" mano S. I. hahebat Joannes Perrone e soc, Jesu in eodcm collegio theol. prof. Voi. P^I, Romae i838 in collegio urbano de propagan-^ da fide. c, lome accennammo al tomo LXXXI di questo giornale, il presente volume contiene quattro trattati: i primi due, quelli cioè sul battesimo e sulla con- fermazione^ li abbiamo brevemente analizzati: ora col eolito metodo daremo contezza del terzo, cbe parU della santissima eucaristia^ riservandoci in altro ar- ticolo ad esaminare il quarto della penitenza. Premessi i soliti nomi , co' quali chiamasi l'au- gustissimo sagramento dell' eucaristia , datane la de- finizione slessa del concilio tridentino, insegnato col catechismo romano , che la vera ragione del sacra- mento consiste nelle specie del pane e del vino, os- sia In queir unione di cose, che si ha dopo la con- sacrazione : e però non già nella sola consacrazione e percezione insegna il P. Perrone che l'eucaristia dif- ferisce dagli altri sacramenti, per tre ragioni: I. perchè mentre tutti gli altri coli' uso si formano: questo consi* ste nella stessa consecrazlone della materia, ed in con- seguenza tanto dura il sacramento, quanto incorrotte durano le specie sensibili del pane e del vino: II. che negli alti'i sacramenti non mutasi come in questo la sostanza della materia: III. finalmente che ha ciò di proprio, cioè, che non solo sia sacramento, ma ancor 4o Scienze saginficio, e che però , come sacramento , tende per fine primario alla santificazione degli uomini, e come sacrificio si riferisce a Dio in riconoscimento del su- premo suo dominio sovra tutte le cose. Da quest' ultima differenza chiaramente nasce il doversi l'eucaristia considerare , come sacramen- to e come sacrificio , e però far di mestieri il sud- dividere in due parti il trattato. A bene addimostrare la prima parte il dotto pro- fessore, omesse le scolastiche quistioni, incomincia dal piantare la base di tutto il suo trattato, cioè dall' ad- dimostrare la reale presenza di Cristo nell' eucaristia. Imperocché, dimostrata evidentemente siffatta verità, ne viene per conseguenza la transustanzazione ^ e co- me corollari da questi due dommi discendono le al- tre verità, che intorno a questo sacramento insegna la santa chiesa. Pertanto a provare nel capo 1 la presenza reale , dopo avere brevemente tessuta l' i- stoi^ia di quegli eretici che osarono di niegarla , di- vide tutta la sua materia in tre proposizioni. Fa ve- dere nella i, col testimonio della sacra scrittura, che Cristo è veramente e sostanzialmente contenuto nella santissima eucaristia , e non già in segno , o in figura , o i'irtualmente. Prendendo il N. A. ad esaminare la promessa data da Cristo ( Jo. VI. ) e l'adempimento di essa ( Matth. XXVI. 26 ) ( Marc. XIV. 22. ) ( Lue. XXII. 19. e I. Cor. XI. 28. ) sostiene come a vicenda l'una non possa essere se- pai'ata dalle altre. E per farlo con maggior chia- rezza e colla solita sua filosofica precisione, divide in due paragrafi la proposizione: nel primo considera le parole di san Giovanni, ossia la promessa fatta da no- stro Signore di dai'ci a mangiar la sua carne, ed a Teologia del Perrone 4* bere il suo sangue. Comincia egli dallo spiegare il testimonio di san Giovanni, di cui riporta l'intero te- sto ; ed anziché attenersi alla più comune opinio- ne, che quel capo VI debbasi in tre parti dividere, cioè dal V. I al 26, in cui parlasi del miracolo ope- rato da Cristo ; dal 27 al 5o, in cui discorresi della fede in esso lui; dal 5i in poi della promessa della santissima eucaristia; con san Cirillo e Teofdatto opi- na , e crede più verisimile la sentenza di coloro, che riferiscono anche la seconda parte di questo capo all' eucaristia, ossia a Cristo, che commenda la fede in se medesimo, e fa dell' eucaristia promessa solenne. Ed in vero le parole di Cristo v. 2'7: « Operamini non ci- » bum qui perit, quem filius hominis dabit vobis, ìì hunc enim pater signavit Deus: » sembrano chia- ramente indicarlo. In fatti egli , presa 1' occasione del miracolo de' pani moltiplicati, promette loro un cibo assai più eccellente, cioè l'eucaristia; per con- ciliare credenza alla sua promessa dimostra la neces- sità della fede nella sua divinità, potendo solamente Iddio promettere e dare tal cibo. Ciò detto al verso 35 torna di nuovo a quanto erasi nel principio pro- posto, e segue a parlarne fino al compimento del ca- pitolo. Chiaro è dunque che l'oggetto di tutto il di- scorso, se accettuar vogliasi la parte istorica, è il pa- ne eucaristico, al quale si riferisce la fede, necessaria |ì in colui che propose questo pane e che in tutte quasi il le parole allude a questo pane non solo, ma anche alle t| sue proprietà ed effetti. Della quale cosa anche più I facilmente ci persuade l'esatta analisi di tutto il te- l sto. Imperocché I, parla Cristo in tempo futuro v. 27 ;! V. 5i ; II. al v. 82 chiama se stesso vero pane del il cielo dato dal padre ( v. 33 ) che discende dal eie- 4a Scienze lo , ed il paragona colla manna data agli ebrei nel deserto , la quale istessa frase e comparazio- ne adojDra al V. 58 ; III. al v. 35 dice se stesso pane vi^o che discende dal cielo, pronunzia le note parole si quis manducaverit ex hoc pane etc. etc. IV. al V. 19 dice; Patres ve stri mandile ave riint mannain in deserto^ e l'istesso ripete al v. 38. Dal che evi- dentemente apparisce, come ben fa rilevare l'A., che Cristo sempre parlò del medesimo oggetto in ambedue le parti di questo capo, e solo nella seconda svolse e dichiarò più apertamente quello , che aveva nella prima accennato. In tal guisa, come fa il N. A. osservare, cado- no le maggiori difficoltà, che agli espositori cattolici fannosi dai protestanti , e finisce anco tra gli stessi interpreti cattolici ogni discrepanza nell' assegnare il punto preciso, in cui Cristo dalla fede passi a par- lare della manducazione reale del suo corpo. Sviluppato così il testimonio di san Giovanni , dimostra il p. Perrone primieramente, che ivi si trat- ta dell' eucaristia e non della sola fede, come comu- nemente intendono i protestanti: quindi sostiene, che Cristo parlò della vera e reale manducazione del suo corpo e del suo sangue, e non già di una spi- rituale da farsi mediante la fede. Il che parimenti eseguisce coU'esaminare minutamente il riferito testi- monio , arguendolo eziandio dall' intelligenza degli uditori, dal metodo adoperato da Cristo, dagli aggiunti, con cui dopo lo scandalo de' giudei egli conferma la sua dottrina , dal miracolo con cui promette di corroborarla nel senso da' suoi discepoli inteso, dall' indole di esso Cristo, dal modo che hanno gli evan- gelisti di esporre le dottrine di lui, ed in fine dall' Teologia del Perrone 4^ unanime Interpretazione de' padri de'primi secoli. E però conclude che , sia riguardinsi le piti sane re- gole esegetiche, sia gli aggiunti, sia il perpetuo e co- stante senso tradizionale, sia la consuetudine della chiesa, 1' addotto testimonio non può se non inter- pretarsi della reale manducazione del sangue e del corpo di ]N. Signor Gesìi Cristo. Stahilite così le ve- rità fondamentali, assai presto sono dall'autore con- futate le obbiezioni degli avversari. Passando dipoi al secondo paragrafo, prende ad esaminare le parole della istituzione, anche qui addi- mostrando colle testimonianze di san Matteo, di san Marco, di san Luca e di san Paolo, che Gesù Cri- sto adempiè nell'ultima cena a quanto aveva promes- so. Tutta la controversia fra i cattolici e i sagramen- tari, o piuttosto tra la schiera de'più recenti protestan- ti e de'razionalisti, consiste in questo, cioè se le parole di Cristo, come sempre le intese la chiesa, debbansi prendere nella nativa e propria significazione, ovve- ro in senso metafoiico e figurato , come i suddetti pretendono. Abbenchè al p. Perrone bastasse il ri- battere gli argomenti di costoro con intrinseci e sodi argomenti, conferma nondimeno la sua proposizione con ragioni desunte dall'ermeneutica, dalla filologia, dal parallelo tra le parole di Mosè nello stringere l'antica alleanza, e quelle di Cristo nello stabilire la nuova, dagli aggiunti, dalla difficoltà, lasciato il sen- so letterale, di trarre il senso metaforico e figurato, nel quale gli stessi protestanti fra loro medesimi di- sconvengono, dagli assurdi che ne verrebbero: impe- rocché Cristo avrebbe ingannati gli apostoli , e con essi la chiesa gittandola in una turpe idolatria; e final» mente col ribattere minutamente le difficoltà, che con l^l^ Scienze tanto studio dagli avversari si oppongono. Condotta ad un punto matematico la dimostrazione, nella se- conda proposizione conferma la sua dottrina colla co- stante e universale tradizione della chiesa. A ciò fa- re egli ci schiera innanzi una bella ed accurata se- rie di padri: riferendoci nel I secolo la testimonian- za di sant'Ignazio, nel II di s. Giustino e nel III di Tertulliano. Siccome però riusciva soverchiamente lun- go all'A. il riferire tutti i luoghi de'padri, cosi egli come in una tavola sinottica riunisce con molta av- vedutezza tutta la dottrina di essi. La materia è trop- po interessante, e così bene concatenala e sviluppata, che non poti'emmo meglio riferirla, se non quasi col- le stesse parole dell'autore. A dieci capi richiama egli la dottrina de'padri su questo importantissimo argo- mento; I. di coloro ch'espressamente escludono la sola figura ec; 2. di coloro che insegnano, che Cristo in questo sagraraento non solo per fede a noi si con- giunge, ma in realtà, nò per sola concordia, ma per contatto del suo coi'po; 3. di coloro che innalzano la carità di Cristo perchè nò i pastori i loro agnelli, nò le madri i lor figli colle proprie carni alimenta- no ec; 4- di coloro che rendon ragione percliè Cri- sto volle rimaner con noi sotto le specie di pane e di vino, non già nella propria specie, e darci a man- giare e bere il suo corpo e sangue : dicendo esser ciò stato, perchè la nostra fede si provasse, e senza orrore si prendesse la sua carne e il suo sangue; 5. di coloro che affei-mano avvenire un grande mira- I colo, e una grande opera della divina onnipotenza; 6. di coloro che dichiarano formarsi questo sacra- ment-o per una vera conversione di pane in corpo, dicendo o che il pane si fa corpo, o che dal pane si Teologia del Peiirone if^^ forma e si crea il corpo di Cristo: valendosi per me- glio spiegar questa idea degli esempi della creazione e della conversione dell'acqua in vino; 7. di coloro che si afiaticano di persuadere ai cristiani che in tale mi- stero non devesi credere ai sensi, ma alle parole di Cristo, e però propongono quest'articolo come diffi- cilissimo a credersi, ed innalzano l'autorità e l'onni- potenza di Cristo; 8, di coloro che colla verità di questo mistero corroborano gli altri della nostra re- ligione; g. di coloro che discorrono del sacrificio in- cruento della nuova legge, in cui dicono offerirsi in- cruentamente il corpo e sangue di Cristo, ed in con- seguenza farsi partecipi i fedeli di quel medesimo cor- po die di Maria vergine nacque , pad e morì sulla croce; 10. finalmente di coloro i quali si servono di aggiunti, che sarebbero ridicoli e assurdi, se si doves- sero attribuire alla figura, e non già al reale corpo di Cristo: imperocché, parlando di questo mistero, il dicono terribile^ horrendiuriy adorandum , panem vivimi^ inconsumptìbilem cibiim, sanctiun et incor- ruptìbileììi, quem cuin homo sumit, Dominus ad ipsuni ingreditiir etc. Dalle quali autorità deduce, che o conviene rinunziare al senso dei padri, o am- mettere la reale presenza. Ugualmente sviluppati sono gli altri argomenti tratti dalle liturgie pubblicate prima del secolo XVI dalle antichissime sette, che dalla chiesa cattolica se- parandosi pur questo domma non ardiron niegare, dal- le calunnie attribuite ai cristiani dai gentili, i quali accusavanli di conviti tiestei, d'infanticidi, di antro- pofagia: dalla quale fallace imputazione confusamente veniva a trapelarsi, mangiar eglino una vera carne e bere un vero sangue , e finalmente dal validissimo argomento della ecclesiastica rpescrìzione. ^6 S e I E N Z K Non pago di aver portato le cose a colale evi- denza, l'A. in una terza proposizione sostiene non potersi addimostrare, che il domma della reale pre- senza si opponga alla retta ragione. Saggiamente pe- rò fa avvertire; i. che le difficoltà, che ha in se questo domma , sono comuni con quelle degli altri misteri della nostra fede, eccedendo tutti l'intelligenza uma- na* 2. di non esser egli esclusivamente attaccato ad alcuno de'sistemi filosofici circa l'essenza dei corpi, né di rigettare alcuno di quelli immaginati da approvati filosofi e teologi per isciogliere le difficoltà degl' in- creduli o eretici, i quali riguardano questo cattolico domma come impossibile e assurdo, additando il N. A. come i peripatetici, i cartesiani, ed anche quelli cui piacciono gli elementi, ossia i punti semplici di Boscovich) possano rispondere alle difficoltà che pos- sono esser proposte. Stabilita cosi solidamente la base del suo trat- tato, e chiusa ogni via per negare la presenza reale, viene nel II capo a parlare della transustanzazione , ossìa del modo con cui Cristo si fa presente nella eucaristia. I luterani convengono coi cattolici nell' ammettere la reale presenza del corpo e sangue di Cristo nella eucaristia: ma dissentono circa il modo. Unanimemente però rigettano la cattolica dottrina del- la transustanzazione, e sono di vario parere nell'espor- re la maniera, con cui Cristo è presente, e si rima- ne nella eucaristia: altri seguendo la impanazione , altri dicendo essere il corpo di Cristo nel pane, col pane, a sotto il pane, il che chiamano consustan- zazione , cioè unione delle due sostanze per modo, che ognuna delle due sia nell'altra racchiusa. Dall'ave- re il concilio di Trento ( sess. XIII , can. a ) con- 'Teoujgia del Persone ^tj dannata la loro dottrina fa rilevare; I Che l'articolo della transustanzazione è un domina particolare e di- stinto da quello della reale presenza e della cessa- zione di ogni sostanza di pane e di vino, e che però meritamente Pio VI nella costituzione ^uctoremji^ dei condannò la proposizione XXIX del sinodo di Pistoia come perniciósa, derogante all'esposizione della verità cattolica circa il damma della tran- sustanzazione. II. Che nel domma della transustan- zazione , come dice il Bellarmmo, v'è la ragione del- l'esistenza di Cristo , e della cessazione del pane e del vino nell'eucaristia, e però nella censura aposto- lica del citato sinodo meritamente esser notata l'omis- sione: Cjua notitia etc. , ed in conseguenza ingannar- si coloro che pensano non esser di fede il modo , con cui Cristo sia presente ed esista nella eucaristia; III. Che la sola transustanzazione spetta alla fede, non già le varie e moltiplici ragioni addotte dagli scola- stici per ispiegarla , e che molto meno son di fede le maggiori o minori condizioni richieste per que- sta vera e propriamente detta conversione. Piace all' autore a preferenza delle altre l'opinione del Vasques adottata anche dal dotto p. Francesco Veron, il quale dice che la transustanzazione nel suo concetto for- male consiste nella relazione dell'ordine tra la sostan- za che cessa, e quella in cui dicesi cessare in virtù delle parole di Cristo; cosicché la transustanzazione null'altro aggiunga alla reale presenza, che la cessa- zione del pane in ordine alla reale presenza di Cristo'^ IV. Che il domma della transustanzazione è una conseguenza di quello della reale presenza, e pe- rò il N. A. direttamente incalza i luterani, mancan- do il fondamento per combattere i calvinisti e gli al- /8 Scienze tri sagramentari. Ciò premesso, viene alla proposizio- ne, in cui dimostra che tutta la sostanza del pane e del vino nelV eucaristia per mezzo della conse- crazione si converte in sostanza del corpo e san^ sue di Gesù Cristo. Proposte e spianate queste principali verità, pas- sa al cap. Ili, in cui parla di ciò che contiensl sotto qualsivoglia specie del sagramento, e dei co- rollari della dottrina cattolica. Questo capitolo è suddiviso in cinque proposizioni. Nella I sostiene col concilio di Trento ( sess. XIII , can. Ili ), che nel sacramento dell'eucaristia, sotto qualsivoglia specie , e sotto le parli di ciascuna specie , fatta la separa- zione tutto Cristo è contenuto. Ed in vero tale ve- rità non è che un corollario della transustanzazione. Imperocché il pane e il vino per mezzo della conse- crazione si convertono in quel corpo e sangue di Cri- sto ch'è nel cielo, ed in quel suo stesso stato glorio- so : ma quel corpo è inseparabile dal sangue , dall' anima e dalla divinità: ed all'opposto il sangue non può separarsi dal corpo, dall'anima e dalla divinità; dunque sotto qualsivoglia specie è necessario clie tut- to Cristo sia presente. Verità che dall'autore è assai acutamente sviluppata, e che finalmente non pochi de'protestanti stessi sono stati costretti a confessare. Nella II proposizione, sempre coll'istesso concilio (ses. XIII, can. IV), s,o?,\.\QnG., c\\G fatta la consecrazione nel sacramento delV eucaristia vi è il corpo e san- gue di Gesù Cristo , e non solo nelV uso men- tre si prende , ma prima e ancor dopo ; cosic- ché rimane il vero corpo di Cristo nelle ostie os- siano particole consecrate, che si riservano o riman- gono dopo la comunione. Nella III dimostra doversi Teologia del Perrone ^9 Ci'isto riplV eucaristia adorar p con culto di latria. Nella IV, proseguendo sempre colla clol trina del già ricordato concilio, fa vedere, che né il precetto di- vino, né la necessità della salute richiedono, che tutti e singoli i fedeli debbano rice%'ere V eucari- stia sotto Vuna e V altra specie. Se vi fosse pre- cetto, dice il N. A., dato da Cristo, che da tutti si dovesse prendere questo sacramento sotto ambedue le specie, o almeno il richiedesse la necessità della sa- lute eterna, l'avrebbe ben conosciuto quella chiesa , che immediatamente da Cristo e dagli apostoli rice- vette questo sacramento. Essa però non riconobbe giammai tale precetto o necessilà. Infatti il p. Perrone lo ricava da quattro classi di pubblici e lucentisslmi argomenti: cioè dalla comunione degrinfermi, tempo in cui al certo non possono trascurarsi i mezzi con- ducenti alla salute : dalla comunione che in allora usavasi de'fanciulli: dalla comunione domestica de'fe- deli, i quali in tempo di persecuzione portavano in casa il sacramento sotto le specie di pane, e per lo più chiuso in un'arca di legno: in ultimo dalla pub- blica comunione, che solca farsi solto un'unica spe- cie , cioè del pane : pel quale uso i manichei , che astenendosi dal vino non la ricevevano sotto questa specie per lungo tempo , come dice sin Leone Ma- gno , poterono celare la loro e;npia dottrina. Fi- nalmente nella V dice, non errar la chiesa , quan- do indotta da giuste cause e ragioni proibisce ai lai- ci e ai sacerdoti, fuori del sacrificio della messa, di comunicarsi sotto ambedue le specie. Questa propo- sizione è un naturalissimo corollario della preceden- te: poiché se non avvi un precetto divino , se non avvi una necessità di comunicarsi sotto ambedue le G.A.T.LXXXIV. / 5o Scienze specie, ella è una cosa meramente disciplinare, e però nulla ha die fare colla sostanza del sagramento. Nel capo IV si occupa il N. A. della necessi- tà^ delle disposizioni, e degli effetti delV eucari- stia. Esso è suddiviso in due proposizioni. Nella I dimostra , che l'attuale percezione dell' eucaristia a ninno è necessaria di necessità di mezzo, ma ai soli adulti per necessità di precetto; nella II poi, che la re- missione dc'peccati non è il principale ed unico ef- fetto del sagramento dell'eucaristia, e che la sola fe- de non è una sufficiente preparazione per ricevere un tal sagramento. Resterehbegli a parlare della materia, della for- ma e del ministro ; ma si riserva a farlo nella se- conda parte del trattato, bastandogli il fin qui detto intorno all'eucaristia come sagramento. Ora passando all'altra parte, vediamo l'A. dimo- stri essere l'eucaristia un vero e reale sacrificio. Nel dare la definizione del sacrificio egli si at- tiene a quella del p. Vasquez. Questo dottissimo teo- logo generalmente osserva, che la ragione formale del sacrificio è posta nella significazione delV onidpo- tenza di Dio autore della vita e della morte: dal che inferisce che la mutazione della cosa offerta non è di ragion formale del sacrificio, e però secondo tale nozione definisce il sacrificio : Nota existens in re , qua profitemur Deuni auctorem vitae et inortis. Po- sto questo principio, distingue due sacrifici: l'uno as- soluto senza relazione ad un altro, come l'uccisione di una pecora, o la consumazione di qualsiasi cosa: l'altro relativo., ossia commemorativo , e che tale è solamente per la relazione che ha ad un altro, la cui commemorazione o rappresentazione contiene. Di que- Teologia del Perrone 5i sta seconda specie è il sacrificio della messa, che ri- riferiscesi al sacrificio della croce, la cui commemo- razione, anzi rappresentazione, si fa mediante la con- secrazione , ossia la mistica immolazione delle due specie. Nel sacrificio assoluto, segue sempre il Vasquez, richiedesi necessariamente per parte della materia la mutazione della cosa, non già nel sacrificio relativo o commemorativo: imperoccliè alia ragione del com- memorativo sacrificio basta la mutazione che prece- dette nel sacrificio assoluto. Ed in vero la ragione del sacrificio essendo formalmente posta nella signi- ficazione dell' onnipotenza di Dio autore della vita e della morte, se diasi una qualche oblazione, per mez- zo della quale senza la vera e reale mutazione si possa dimostrare ed onorar Dio , come autore della vita e della morte, dovrà questa dirsi un vero e rea- le sacrificio. Così per parlar sempre del sacrificio del- la messa, per la distinta consecrazione dell' una e dell' altra specie Cristo è presente senza reale suo cambiamento, ma come vittima: e per questa presen- za di ostia come immolata, si onora Dio quale au- tore della morte e della vita: nel che consiste la ve- ra ragione del sacrificio , siccome abbiam detto. In- fatti con questa mistica immolazione Cristo offre quel medesùno sacrificio, che colla effusione del suo san- gue consumò nella croce. Avverte inoltre lo stesso Vasquez, che a costituire un sacrificio di vero nome, abbenchè commemorativo, non basta i! semplice segno della cosa offerta, ma di più ricercasi la cosa stessa; avvegna che se vi fosse il segno soltanto , avrebbesi non il sacrificio, ma l'immagine di esso. Quindi nell' ipotesi de' sagramentari Cristo non raostrerebbesi im- 5a Scienze molato, ma avrebbe a noi lasciato una figura della immolazione da lui fatta una volta , e però non si avrebbe un vero sacrificio. Esposta succintamente la dottrina di quel esì- mio e profondo teologo, il N. A. dicliiara di seguirla, non già come l'unica a dimostrare la verità dell' euca- ristico sacrificio, ma come più agevole ad ottenere il fine proposto, sia percbè tronca la difficoltà principa- le con cui una siffatta verità è impugnata, sia per- cliè con essa assai bene conciliansi le sentenze de' padri, sia in ultimo percbè ai protestanti, ammessala una volta , non rimane più scampo per non essere costretti ad accettare questa dottrina della cbiesa cat- tolica. Fa però il N. A. riflettere, cbe tale opinione, per px'ovare la verità del sacrificio della messa, deve necessariamente supporre due cose, cioè la presenza reale di Cristo noli' eucaristia , e la rappresentazio- ne del sacrificio della croce. Stabiliti questi principii, accennata la mohiplice divisione del sacrificio riguar- do al tempo, alla materia, al modo, e al fine , nel capo I. si occupa della verità del sacrificio euca- ristico e della natura di esso. Per trattare con più ordine la cosa, l'ba esso diviso in tre proposizioni. Dimostra nella prima per mezzo della sacra scrittu- ra, che nella messa si offre un vero e reale sa- crificio a Dio. Cristo, die' egli, offri nella cena un vero sacrificio: quello ch'esso fece, ordinò in appres- so di farlo agli apostoli e ai loro successori nel sa- cerdozio: dunque un vero e reale sacrificio nella mes- sa si offre. La difficoltà, che solo alla maggiore di questa proposiziona si potrebbe fare, è interamente confutata: I. dal già detto inlurno alla nozione del sacrificio , mentre per la formale ragione del sacri- Teologia del Perrone 53 ficio commemorativo si richiedono e bastati due Cose, la reale presenza di Cristo nell' eucaristia, e la rap- presentazione della morte di Cristo per significare l'onnipotenza di Dio autore della morte e duella vi- ta. La prima 1' ha già dimostrata contro i sacra- mentari : Faltra non può dagli avversari mettersi in dubbio, indicandolo abbastanza la consecrazione sotto ambe le specie separatamente fatta: e però questa rap- presentazione e relazione all'immolazione, che fu fat- ta nella croce , essendo intrinseca alla stessa con- secrazione, è d'uopo che sia anche in essa intrin- seca la formale ragione del sacrificio veramente e propriamente detto. Prova in seguito la sua tesi dagli aggiunti della istituzione, dagli atti apostolici e dalla dottrina di essi apostoli, facendo anche vedere col vecchio testamento I, l'abrogazione degli antichi sacrifici : II, la sostituzione di uno più eccellente e più santo da offerirsi per mezzo di nuovi sacerdoti presi dai gentili: 111, l'oblazione e la diffusione di que- sto sacrificio pel mondo tutto , siccome più aperta- mente già dimostrò nel suo trattato De incarnatione n. 129. Nella seconda proposizione per mezzo della tradizione, e riferendo molti luoghi degli stessi pro- I testanti, tra i quali di Gio. Ernesto Grablo, che da più d'un secolo non dubitò confessare essersi tale fe- de sparsa dovunque costantemente fin dai primi prin- cipe della chiesa. Nella terza proposizione poi dimo- stra che il sacrificio della messa è anche propiziato- rio pe'vivi e pe'defunti. Prima peraltro di allegar le sue prove, premette varie cose : I. Che il sacrificio della croce e della messa non sono in ugual modo propiziatori : imperocché quello fu meritoi^io della re- denzione, ossia della remissione de'peccati, di tutte le 54 Scienze giMzie che a noi si conferiscono, ed in esso fu con- sumato tutto il merito di Cristo : in questo poi, co- me dice il lodato Vasquez, Cristo volle essere come V istr omento , con cui ci si applicasse il merito del- la sua passione, in quella stessa guisa corae questo merito stesso ci si applica mediante i sagramenti, e gli altri mezzi della nostra salute, secondo il modo lor proprio. IL Che il sacrificio della messa non è propiziatorio se non mediatamente, in quanto cioè ha forza d'' impetrarci V aiuto della grazia, con cui esser giustificati dai peccati mortali e veìiiali, e perchè crescer possa Vuomo nella sua giusti- ficazione: ossia, come dice lo stesso Vasquez, per im- petrazione, e non già immediatamente come nel sa- gramento del battesimo o della penitenza: la qual cosa dicesi anche de'beni temporali che ottengonsi «er /.'7ì- pptrazione in virtù di questo sagramento. III. Che sebbene sia certa dottrina di presso tutti i teologi, che per questo sacrificio prossimamente ed immediatamen- te si rimetta sempre e di certo , secondo le proprie disposizioni, la pena temporale ai viventi ( nel qual senso dicesi propiziatorio pe'vivi e peMefunti), tuttavia non è di fede , che sempre e con certezza questa pena si rimetta, siccome osserva il ridetto Vasquez. IV. Che non è di fede, che i riferiti effetti tanto pe' vivi, quanto pe'defunti, l'operi il sacrificio della messa ex opere operato : anzi esser certo che ai defunti questo sacrificio in niun altro modo può giovare, se non rimettendo la pena temporale: ne questa per de- terminata legge, ma per modo di suffragio, come a Dio piacerà di accettare. Dal che ne segue, non essere l'ef- fetto di questo sacrificio così certo pe'defunti, come pe' vivi. V. Finalmente non esser di fede che il valore Teologia del Perrone 55 di questo sacnficio sia infinito: imperocché non po- clu teologi dicono, che la vlrlìi. ossia l'efficacia di que- sto sacrificio rispetto a noi, non è infinita: ossia, co- me altri si esprimono, che questo saci'ificio in se è di un valore infinito : ma non lo è già quanto alV effetto. Ciò fatto, il IN. A. colla scorta del concilio di Trento ( sess. XXII, cap. II ) stabilisce e prova la sua proposizione. Il capo II tratta didla we^.s'a pA^icafrt, seppur pri- vato può chiamarsi un sacrificio, che offresi in rendi- mento di grazie per un pvibblico beneficio, qual è la morte di Cristo, e che si offre da un pubblico ministro della chiesa, non per se solo ma per tutti i fedeli. Que- sto capo è ripartito in due proposizioni. Si dimostra nella prima che non sono uè illecite , ne da abro- garsi quelle messe, in cui il solo sacerdote si comu- nica, siccome voleano i luterani, ed ultimamente insi- nuò il sinodo di Pistoia. Nella seconda, che ne la rea- le, ne la spirituale partecipazione del popolo alla vit- tima è parte essenziale del sacrificio : che per niun precetto o divino o ecclesiastico sono tenuti i laici alla liturgica comunione , e che però come invalide ed illecite non sono da condannarsi quelle messe, in cui non vi sia niuno, che o spiritualmente, o sagra- mentalmente si comunichi. Qviesta proposizione impu- gna direttamente il ricordato sinodo di Pistoia, e la sentenza di coloro, che non dubitarono su quest'arti- colo di convenire co'lulerani, I per l'affinità che ha la dottrina di costoro coU'errorc nell'antecedente pro- posizione impugnato dall' A., II per l'identità degli argomenti di cui gli avversari si servono, III pel prin- cipio da cui partono, cioè che la comunione del po- polo sia parte essenziale della liturgia. Volentieri ri- 56 Scienze porteremmo tutto il raziocinio del Perrone, ma i li- miti stabiliti al nostro articolo noi permettono: d'aJ- tronde il N. A. è così stretto e vibrato ne'suoi argo- menti, che non sapremmo come farne un compendio. Nel terzo capo si parla della materia, della for- ma, e del ministro del sacrificio eucaristico. Queste tre cose danno luogo a cinque proposizioni: dichia- randosi nella I, che il solo pane triticeOy sia azimo sia fermentato, è materia valida del sacramento e del sacrificio eucaristico: nel qual luogo destramente toc- ca l'A. la celebre quistione critica intorno al giorno, in cui celebrò Cristo l'ultima pasqua: nella II, che dev'essere il solo vino tratto dalla vite: nella III, che nell'offcrirsi il calice deesi mescer l'acqua col vino: nella IV, che il solo sacerdote celebrante è l'immediato, e propriamente detto offerente e ministro del sacrificio eucaristico, e che i fedeli presenti non sono se non i mediati e impropriamente detti offerenti e celebran- ti: finalmente nella V, che può farsi dal sacerdote per alcune persone la speciale applicazione del sacrificio, mediante la quale proviene, salvo sempre il comune, uno speciale fratto per coloro ai quali si applica. Nel IV, ossia nell'ultimo capo, tratta dell'idioma, della voce e de'riti con cui è di mestieri il celebrare la messa. Nella I proposizione sostiene che non solo non è lecito, ma che non è spediente il celebrare la mes- sa in lingua volgare, siccome coi novatori pretesero i giansenisti, e il sinodo di Pistoia: nella II, che tutta la messa non devesi celebrare ad alta voce, adducen- do fra le altre ragioni anche la maggiore venerazione verso le cose divine, che dal silenzio viene nei fede- li eccitala; finalmente nella terza, che nelle cerimo- nie, di cui si serve la chiesa cattolica nel sacrificio Teologia del Perrone 5j della messa, nulla v'ha che non sia santo e pio. Pri- ma però di sviluppare quest'ultima proposizione pre- mette, ch'egli non tratta di tutte le cerimonie prese ad una ad una, non portandolo il suo scopo; ma so- lo di quelle che per comune uso sono ricevute in tutta la chiesa romana, contro le quali tanto insor- sero i novatori. A compiere la materia contenuta in questo vo- lume ci resterebbe a dire del trattato De poemtentia\ ma, come in principio abbiamo accennato, il faremo nel seguente articolo, tanto più che per le viste con cui è dall'autore preso anche questo trattato, non ce ne potremmo spacciare sì di leggieri. Concludendo adunque quanto abbiam detto, il padre Perrone in soli otto capi ha l'acchiuso quanto era d'uopo a sapersi intorno alla eucaristia, sia come sagramento, sia come sacrificio: ha eliminato tutte le dottrine scolastiche: ha sostenute le sue proposizioni appoggiandole sempre alla dottrina del concilio di Trento : le ha insieme concatenate con un ordine veramente maraviglioso: si è dato carico delle princi- pali obiezioni sì antiche e si moderne: ha vittoriosa- mente confutato le massime del sinodo di Pistoia, ne ha lasciato argomento di qualche peso per porre in bella vista le verità, che con tanto zelo, con tanta dottrina e con tanta pietà sostiene. Nelle teologiche disquisizioni, specialmente quan- do trattasi di cose dommaliche, non può nulla dirsi di nuovo : ma può bensì darsi alla materia un nuo- vo ordine, può prendersi sotto un aspetto più filoso- fico, può trattarsi con più sottil raziocinio e con più estese vedute. Questo a comune sentimento fa il pa- dre Perrone: e però non devesi attribuire se non al 58 Sciente merito intrìnseco 1' approvazione ed il rapido rlpro- ducimento di un'opera, che seguiteremo a chiamare una delle migliori tra quelle che in oggi veggon la luce. Francesco Fabi Montani. Teorica dei ponti militari. Memoria comunicata dalla scuola speciale di artiglieria in Castel s. Angelo (Continuazione e fine). 23. \^ra è bene dimostrare che, essendo la tangen- te di 54°? 44' espressa da l/'2 per l'angolo di par- tenza, a deve essere un angolo compreso fra 54*^» 44 e 90", cioè sempre tang.a >. (/"a e per l'angolo di arrivo sempre tang.a' '<,[/' ^. Diffatti si riprendano le (5") e (6") 3L-Hi^(8R2-hL2) tan£r.az= tang.a' = — 3L H- i^{8R- H- L^) Ponti militari Sg aggiungendo e sottraendo sotto il vincolo radicale del numeratore la quantità SL^, avremo 3L-t-t/"(8(Il2_L^)-i-qL^) — 3L 4- i/-(8 (R^' - La) + 9L'-) e facendo per semplicità 3L n = 2l/^(R2 — L') facilmente troveremo tang.a == n -f- l/^fn^ h- 2) , tang.a z=z — w -f- (/"(n*-h a). Dunque dovremo aver sempre tang.a >> l/"2 ovvero n -i- \/'{n^ -h 2) ^ j/^2 , e tang.a' <; |^2 ovvero — n -j- l/^(7^^ -1- 2) < IA2. La prima disuguaglianza è evidente per se stessa, e la seconda lo diviene riflettendo che da essa dedu- cesi quadrando sarà <3o Scienze 7i3 4- 2 <;; 2 4- awj/^2 •+• n* , ovvero l/^(n^ -j_ 2) <; l/'(2 -{-«='•+- 27Zl/^2). Dunque possiamo finalmente concludere, che qualun- que sia la lunghezza della corda, cui si affida il ponte volante, gli angoli di partenza e di arrivo i più favorevoli al suo moto sono compresi, il pri- mo fra 54°, 44' 6 90°; ed il secondo fra 0°, e 54°, 44'. 24°. Sia per maggiore chiarezza di quanto ab- biamo esposto la seguente relazione fra la lunghez- za della corda, e la larghezza del fiume Introdotta questa modificazione nelle (5'') e (6") , avremo facilmente tang.a = 21/^2, tang.a'= — — e prendendone i logaritmi, per la riflessione esposta (§. 22.) avremo log.^ _ log.tang.a = io h = io -H o, 45x54499 log.tang.a = 10 — ^ log.2 =10 — (o, i5o5i5oo), w Ponti militari 6i ossìa log. tang.a = io, 45i545oo log. tang.a' = 9, 859485oo e finalmente a = 70°, 3i', rt' = 35% 53' cioè l'angolo di partenza maggiore di 54", 44» ® ^^^ nore di 90°, e quello d' arrivo maggior di zero , e minore di 54*^, 44' In questa ipotesi può ottenersi ancora l'espres- sione della tensione e pressione al punto di partenza. Di fatti sostituendo nelle forraole che ci danno i valori di T, P, (§. 18), a riduzioni fatte troveremo ed in tale ipotesi ricaviamo T I ^ = -— - , cioè P = Tl/^2 , ovvero P^ = 2T' P /^2' valore facile a costruirsi geometricamente, dal quale rileviamo che cognita la tensione si conosce la pres- sione, e viceversa. Egli è indispensabile l'esatta cono- scenza della tensione, onde potere sceglier canapi atti a ritenere il ponte; ma di ciò parleremo altrove. 25." Ciascuna delle (5") e (6") contiene tre quantità a, L, R. Dunque date due qualunque, si può determinar la terza. Nelle quistioni risolute abbiamo 62 Scienze supposte note L, R, e siamo giunti alla determina- zione degli angoli di partenza e di arrivo. Rimanen- do ancora per poco in questo argomento, supponia- mo che si voglia conoscere il valore prossimo dell' angolo, sotto il quale deve il ponte incontrare la cor- rente allorché ha percorso un quarto della sua lar- ghezza. In questo caso L diviene — > . Dunque ponen- do questo valore nella (5''), troveremo quello ap- prossimato di tang.a. L'angolo a cosi determinato sarà quello di partenza, nel caso che la corda in luogo di essere attaccata al punto medio 0 del fìume, lo fos- se ad un altro punto che dis lasse da quello di parten- za 3^ della larghezza del fiume. In questo caso gli an- go li di partenza e d'arrivo non possono conservar più le relazioni fra essi stabilite. Però questi angoli dipendendo dalla lunghezza della corda, e dalla di- stanza del punto di partenza o d'arrivo al punto ove è attaccata la corda: saranno cogniti tosto che lo sie- no queste distanze. Dunque supponendo L = o, tro- viamo tang.a = p^2 per la tangente dell'angolo che la corrente deve fare col ponte, allorché questo è giunto alla metà del jGume; oppure quando il punto fisso, cui si attacca la corda , ed il ponte sono in linea retta parallela alla direzione della corrente. 26.0 Supponendo che si voglia conoscere in qual parte del fiume il ponte, supposto animato dalla mas- sima velocità della corrente, sia urtato sotto un da- to angolo, egli è chiaro che fa duopo mettere tangA Ponti militari 63 in luogo di tang.a nell'equazione (5") e determinare il corrispondente valore della larghezza L. Per tale effetto vogliasi conoscere la lunghezza che conviene dare alla corda R, volendosi, che al punto di arrivo il ponte sia urtato sotto un angolo di 45°. Ripresa la (6 ') si ponga in essa ed avremo tang.a' = tang 45" = i , _ _ 3L -f- i/-(8R^ -H L^) 2i/'(R^ — L^) di qui 2i/-(R2 _ L=^) -H 3L = i/^(8R2 _ L2), elevando al quadrato, e riducendo troveremo (R^_L2)=3Li/-(R-_R2), ovvero l/^(R» — L^) = 3L, donde quadrando R2 = {3L>-hL^. , Dunque costruendo un triangolo rettangolo, un cateto del quale sia la metà della larghezza del fiume, e l'altro una volta e mezza questa larghezza, l'ipote- nusa, sarà la lunghezza cercata. 64 Scienze Con molta facilità possiamo ora determinare l'an- golo di partenza. Di fatti dall'equazione (5) abbia- mo facilmente tang.a = 2, della quale prendendo i logaritmi, abbiamo log.tanga = io -1- log. 2 ovvero log. tang.a = 10, 3oi3ooo. quindi log. tang.a = log. tang 63°. 26' dunque l'angolo di partenza a = 63% 26' Se per poco si riprendano 1' equazione (7) da esse abbiamo T , T' — = tang.a , -— ; = tang.a Dunque nell'ipotesi che l'angolo di arrivo sia di 45", abbiamo T = P, T' == 2F Po^.i MIUTARI 65 cioè alla partenza la tensione è doppia della pres- sione, ed all' arrivo l'eguaglia. (( V esperienza dimostra , che la lunghezza della corda , onde il passaggio di un fiume sia pia agevole , deve essere una volta e mezza la larghezza del fiume. » 27.° Supponiamo ancora che 1' angolo di par- tenza sia di 60° ; siccome in questo caso co^Go» = sen So» = — 3 cosi avremmo ^e/z6oo = i e tów^6o° = j/"3. Di qui possiamo determinare l'angolo di arrivo : di fatti dall' equazione abbiamo tang. a tang. a' ^^^ 1 a tang. a' = 1^3 e prendendone i logaritmi sarà log. tang. a = io -j- log. 2 = IO H- o, 8010299 — o,23856o = 10,062469 G.A.T.LXXXIV. 5 66 Scienze donde facilmente trovasi a =49% 6'. Fissati gli angoli di partenza e di arrivo , vediamo qual lunghezza di corda R è necessaria per valicare un fiume di data larghezza. A tale effetto siccome abbiamo tajig a -= i/"3 , tang a' = — — si riprenda una qualunque delle (5") , [G'') e vi si ponga in luogo del primo membro il suo valore nu- mericoj avremo per la prima ^ a i^(R^ — La) ' quadrando e riducendo verrà 2R2 — 1 1L2 = 3L i;^(8R^ 4- 1^'). quadrando ancora troveremo R4 — sgR^L^» = 28L^ dì qui B- _ "9 T.-.t^(S4'L'-<- '"!-') a a ovvero R- Ponti militari ^^ p9 ± l/-(953)\ ed essendo prossimamente 1/-953 = 3o,85 avremo R2 = L2(29rt 3o,85): prendendo il segno superiore, poiché l'inferiore co- me facilmente si scorge è impossibile, avremo R = Li/(29,925) = 5,47 Sia ancora 30° 1' angolo di arrivo : la sua tangente eguaglia , come facilmente può verificarsi: dun- que avremo ancora l'angolo di partenza dall' equa- zione tang a tang a' = 3, la quale ci porge in questo caso tang a = 2^/3 = l/'i2. Prendendo i logaritmi sarà lo gè 1 2 log. tang a = IO 4- , gg Scienze di qui 1,0791812 log.tang a = IO H- — • » = 10,53^59 Onde cercando a quale arco corrisponde il logaritmo della tangente, troveremo a = 73%53'. Vediamo ancora in questo caso che lunghezza di cor- da competa. A tale effetto abbiamo I 1/3 — 1j3 -f- y y*J^*- ^^ ^ 2i/^{R^ -H L^ ? quadrando e riducendo I0R2-+- i3L=» = 9V(8R' -t-L donde R4-- ,97r.l. L4; 25 e risolvendola rispetto R, avremo 44 R. = 9^^.L.^^{^,3^L.^t^L.. donde Ponti militari 69 ed essendo prossimamente 1/-7209 = 84,9 avremo, prendendo il segno superiore , R= V(36,38) =6,02 Dai quali risuilaraenti rileviamo che quanto più au- menta 1' angolo di partenza, tanto più deve pure au- mentare la lungezza della corda. 28.0 Quando la lunghezza della corda è finita, l'an- golo di partenza può diventare eguale all' angolo di arrivo nel solo caso di L = o. Difatti supponiamo tanga =. tanga\ ovvero 3L -H t/-(8R3 ^ L^) __ — 3L -f- t^(8R^ h- h sarà 6L==o equazione che non può verificarsi che nel caso di L==o. 29.° Supponiamo che il punto 0 (fig. 6"), cui si ijiy b C I E N Z E atlacca la corda, sia l'origine delle coordinate; facil- mente ammetteremo, la lunghezza L altro non essere che l'ascissa della traiettoria descritta dal ponte. Dun- que se consideriamo L come variahile, essendo tang.a una funzione determinata di L, possiamo proporci la determinazione del valore di L , che rende massima o minima la funzione. A riuscirvi con maggior sem- plicità facciamo uso delle coordinate polari, e perciò chiamiamo u l'angolo che l'ascissa L forma col rag- gio vettore R; avremo iu tal caso L = Vi.COSlL. Sostituito questo valore nella (5"), troveremo tanqa == -^-^ — ^ — » ^ 2i^(R^ — V\.^cos^u donde ZcosiL -h l/"(8 4- cosHt) temerà ^ aseniù Assoggettando questa equazione alla condizione del massimo e del minimo, avremo d.tcmga da 2senu[3d.cosu -H d.l/^[d-{-cosHù ^^'^ , \ : [isenuY = o d.scnuC ^ ' (6c05Zi-i-2l/'(u-l-6'052M) ■ — — e di qui effettuando la differenziazione sar Ponti militari 71 — Gsennt — asenm cosu r , ^,n — bcosHù — Q.cosu\/^[^ -H cosHi] =^ 0 riducendo si ottiene — 3 — cosu I — _- --i-l^id^cosm) 1 = 0, donde facilmente, — 3i/'(8 -f- cosHl) — gcom = 0, e quadrando si avrà 72-4-, i^cosHi = dicosHi^ ; di qui finalmente cosu = i: dunque u = o ed L = R rende tang.a massima o minima. Per giudicar di ciò basterebbe prendere il secondo coefficiente differen- ziale della proposta funzione. Dal primo già ottenuto con facile riflessione si rileva, -che converrebbe diffe- renziare il solo numeratore. Però dal vedere che que- sto valore jd: L = R rende la tangente dell' angolo maggiore di qualunque quantità assegnabile, slam certi che tal valore intro- duce un massimo. T2 OCIENZE So." Ora dobbiamo fare alcune riflessioni riguardo all' angolo di partenza e di arrivo. Supponiamo cbe la superficie CB sia in movimento nel senso del flui- do (fig. 7): allora egli è certo che il fluido l'urterà con forza minore di quella che l'urterebbe se la su- perficie rimanesse in quiete. Difatti la pressione to- tale invece di esser dovuta alla forza i> = MD è do- vuta alla risultante MS di questa forza , e di una nuova forza MK che è la velocità del ponte. II ponte dunque dovrebbe formare colla supposta di- rezione PMS /Iella corrente l'angolo a calcolato se- condo i nuovi /aìori e la direzione MS della velo- cità. Dunque se Jiel valutare la spinta del fluido si ha riguardo al moto della superficie che riceve la spinta, si troverà che gli angoli corrispondenti alla massima pressione saranno alquanto differenti da quel- li che si potrebbero dedurre per una stessa posizione del ponte dalle (5") » (6") stabilite pei soli punti di partenza e di arrivo ove la velocità del ponte è nulla o diviene tale. Si i;o.i per altro, che queste formole stesse var- rebbero a calcolare i nuovi angoli come PMB=a , perchè sono esse indipendenti dall' assoluta velocità del fluido; sia cbe la velocità eguagli M.D , od MS gli angoli a^ ovvero a' cono sempre i più favorevoli al passaggio del ponte : eoa questa sola differenza , che nel primo caso l'angelo devesi contare partendo da m verso M, e nel secondo da P verso M. Da queste riflessioni rilevasi che il ponte volante giunto alla metà del fiame, ovvero assoggettato a per- correre una lìnea retta ]ì,erpendicolare alla direzione della corrente , non deve presentarsi a questa sotto l'angolo costante di S/j.", 44, oi^^e essere spinto dalla massima forza. In tal caso la faccia del ponte deve Ponti militari 7 3 fare un angolo di 54°, 44' colla direzione PM della corrente: la quale direzione varia con la velocità MR. Questa velocità MK si potrebbe calcolare; ma essa ordinariamente è di poco minore di quella della corren- te, e le formole alle quali si giungerebbe sarebbero tanto complicate, che difficilmente si potrebbero applicare. Essendo poi nostro scopo , anzi che fare sfoggio di bella teorica, di presentare invece delle approssima- zioni semplici per quanto più sia possibile, ed utili nella pratica , non ci tratterremo per ora a calco- lare rinlluenza che la velocità del ponte ha sopra gli angoli a, a' : questa velocità poi è considerabilmente diminuita dalla resistenza dell' aria, e dell' acqua spo- stala dalla parte anteriore del ponte opposta al suo moto. Quando anche si conoscessero esattamente tutti i valori degli angoli «, « , non per questo saremmo condotti a maggior certezza: poiché sembra impossibile far variare a ciascun istante d' un dato numero di gradi la inclinazione di una superficie che si muo- ve in un fiume, lìgli è sufficiente avere i limili del- l'inclinazioni le più favorevoli per poter dirigere un ponte in modo che non si perda una gran parte deUa forza della corrente. La cognizione degli angoli di partenza e di arrivo sono i più adatti a questo fine. 3i." Ora è tempo di riflettere che se si fosse- ro calcolali, per una lunghezza di corda eguale al- la metà della larghezza del fiume , i valori tutti degli angoli a , a' che il ponte può fare , onde la spinta della corrente sia la massima, da questi si de- durrebbero senza verun calcolo gli angoli di parten- za e d' arrivo per un' altra larghezza qualunque del fiume , o lunghezza qualunque di corda. In falli ai punii M, N, ( fig."'' 6 ) situati sullo stesso raggio OMN ^4 Scienze del circolo MM' descritto dal ponte volante , l'an- golo e = m MO = Angolo e' = zzNO. Siccome quesl' angolo e è la sola quantità variabile contenuta nell' equazione taW^a :±: tane tana = 2, così il ponte partendo dal punto M , o dal punto N , ed arrivando al punto M' , od N' , deve essere presentato alla corrente sotto i medesimi angoli «, a'. Di qui il seguente metodo pratico per la de- terminazione degli angoli di partenza e d'arrivo per una larghezza qualunque di fiume, e lunghezza qua- lunque di corda, quando questi siano determinati per una largezza e lunghezza nota. Di fatti supponiamo che sia II = L = j , e che siasi formata una specie di tavola dei valori tutti di a , fra i limiti 90° , e 54" , 44 ' "^^ ^^^' 'il^ra egualmente per tutti i valoiù di a compresi fra 0°, e 54"? 44* Dopo ciò sia (fig. 6) <:/M 1' arco che contiene tutti i valori di a: poi si concepisca abbassala la normale OY, ed il punto ove essa taglia l'arco MM' sia l'origine della numerazio- ne, onde gli angoli a si conlino sull' arco intercetto fra questo punto ed M'. Supponiamo ora che sia da- ta la semiharghezza del fiume da trapassai'si, cioè O/i', e sia la lunghezza della corda = ON'. Sulla indefi- nita OX si poj'li la prima , quindi dal suo punto estremo n' si abbassi la normale n'H' , e colla lun- ghezza ON si descriva un arco clie taglierà in IN' la k'N', e condotta la retta ON' , l'angolo ONV sarà l'angolo di arriyo. Nella medesima maniera si dovreb- be operare per l'angolo di partenza. A'ONTI MILITARI ^5 32.0 Senza il soccorso di un semicircolo graduato possiamo in ciascun caso determinare graficamente gli angoli più favorevoli per la partenza ed arrivo, e ciò costruendo i valori di tari g. a, e tang.ci. Supponiamo, come deve essere ne' casi partico- lari in cui si vogliono determinare detti angoli, clic sia data la lungliczza della corda, e la larghezza del iìume da traversarsi. Si concepisca ( fig. 8 ) descritto colla lunghezza R. un circolo EM. Pel suo centro O passino due assi ottagonali OX, ed OY. Si prenda sull' asse delle x la parte Om eguale alla semilar- ghezza del fiume, e condotta l'ordinata 7?7M questa sarà eguale a \/"{?x- — L^). SuU' asse OY pai'tendo dal centro O si porti la lunghezza 2R[,'^2 e si avrà così OA: si congiungano i punti /«A, ed avremo mA = ^(oR^ -ì- L^) Suir asse OX a partire dal punto m si prenda una lunghezza tale viQ che sia eguale alia larghezza del fiume cioè 2L. Facciasi contro nel punto B , e col raggio mh. si descriva il semiclrcolo CFC' il quale taglierà l'asse OX ne' punti C, C : quindi si pren- da OD ^= 2';2]M, e si conducano le rette CD, CD. Gli angoli ODO, C'DO sono il primo quello di par- tenza, il secondo quello di arrivo. Di fatti tanga CO __ 30m 4- mA 3L -^ i/^(CR3 ^ L-) OD nmK "" 2t/^(R^ — U) "" OD 2wA 2i^(R- — 1=^) yG Scienze Supponiamo ora che sia Om ==i OM, cioè L = R. In tale ipotesi abbiamo mA ^= [/"(SR^-i- R^) , ovvero mA. = 3R, ed essendo BO = 3L = 3R, sarà BC = BO; dunque il punto C cade nel centro. Di più essendo DO = 2 wM, poiché nel caso presente niM. == o, per- ciò anche il punto D cade nel centro O; dunque è nullo il triangolo DOC'. Dal che deduciamo che è nullo l'angolo di arrivo, e l'angolo di partenza è rap- presentato dall'angolo retto COY, come sapevasi già dalla teorica. Supponiamo ancora L = o, allora mA = R/-8 = 2Rl/'2, ed essendo Om= o, il punto B cadrà nel centro 0, onde avremo BG = BC. In questo caso si ha pure wM ^ R, onde OD == 2R. Dunque i due triangoli rettangoli CDO, C'DO sono coincidenti; dunque gli angoli di partenza e di ar- rivo sono eguali; ed il loro valore sarà 2R come sapevasi. 33.0 Procuriamo ora di determinare gli angoli j^''i favorevoli alla partenza ed all'arrivo per le diverse Ponti militari yy relazioni che possano istituirsi fra la lunghezza della corda, e la larghezza del fiume. Sia in primo luogo R = 2L. Riprese le (5"), e (6"), avremo tanga = 3Lh-/-(8R2-hL=') 3-i-i/-(32 h- i) lA3-Hi^ii 2p^(R^ — L^) 21^3 2 , _3Lh-i/"(8R^-hL2) - tanga— _^^ ^, — -l/S-Hj/"!! Si prendano i logaritmi di |/"3, e j/"!!, ed avremo logvì= "Jmi^l^ =o,23856o62. i,o4i3q26Q _ „ ^ log\/'\\ = — - — - — ^ =0,5206962. Cercando ora per mezzo delle tavole logaritmiche, a quali numeri corrispondano i logaritmi di j/'3, e l/"i i, troveremo [/"3 = I, 732o5o, ^/^ii =3, 316624 che sommati daranno j/"3 H- yli I =5, 048674 7» Scienze e sottratti 1/-I1 — l/-3=. 1,534574, dunque troveremo tanga = ^^ = ^ ^^ = 2,524387 , 1/-II — 1/-3 1,584574 ^fitnga = ■ — = '— = 0,792287. 2 2 se ne prendano i logaritmi, avremo facilmente log.tan.a ~ io Hrlog. (2,524337) = io,4o2i4io, donde a == 68^ 23', log.tana = io4-Zo^ (0,792287) = 9, 8988757, e perciò a' = 38°, 23;. Supponendo ora R=.3L, sarà tana = Ponti militari 79 3Lh-i/-(8II^+L^) __ 3+1^78 _ 3-h£73 , Zo^.73 1,8633286 Zo^-. 1/^73==-^-^= -^ = 0,9316643 , j/'73 = 8, 54404 5 ^Oft' 1^32 = o, 75287496 Dunque essendo 3 «4- l/^'j3 = 11,544^4 avremo log.tan.a = io -i- log (11, 544^4) — log\/"Ò2 = IO -i- i,o623563 — 0,78257496 = 10,30978134 donde a = 63^ 53C Cognito l'angolo di partenza facilmente, senza la (6"), si determina con maggior semplicità quello di arrivo. Di fatti abbiamo l'equazione tanga cota' = 2 di qui tans:a. logxota' = log. ' — 2__ s= log.tanga — ^05^2 , 2 8o Scienze donde log.cota = IO, 80978134 — o, 30102999, log.cota = IO, 00875135 , dunque a = 44% 25' Supponendo ancora R = 4L si ha 3-Ht^(8.i6-4- i) 3 -t-|/'i29 ° 2^/^15 1/60 ( 2, 11958971 ) _ log. l/'i29 = ^^ -^ ^^ = I, 05529485 , 1/^129 = 11, 358 , ( I, 778l5l25 ) 00 re log. 1/60 = L_!_^ -' = o, 88907562 3 H- i/"i29 == 14» 358. log. tang.a = io -j- log. (3 -M/" 129) — log. i/'Go = IO 4- Zo-. ( 14, 358 ) — o, 88907562 = IO H- I, 1570989 — o, 88907562 = IO, 26801828 , Ponti militari 8i donde a = Gì", 3g. Dall'equazione tang.a tang.a' ■= 2 abbiamo tang.a cota' = , quindi log, cola' =log.tanga — Zo§^.2 = 10,2680 1828 — 0,30102999 log.cota = 9, 96798829 dunque (*' ^ 47% io' 34.° Finalmente necessita osservare, che qualunque valore abbiano le pressioni esercitate su d'un ponte vo- lante ordinario, egli è sempre permesso immaginare, che ove la corda è attaccata al ponte, ivi passi un piano verticale parallelo alla lunghezza del ponte, la cui estensione è determinata dalla condizione che la risultante delle pressioni provate da questo piano uguagli quella dalla supei'ficie urtata del ponte. Sic- come questa superficie non è considerata nelle (5'') e (6"j e non può influire che sulla velocità del pon- te, ne siegue che si possono, senza tema di valuta- bili errori, applicare ad un ponte volante, tale quale realmente deve essere costruito, i risultamenti ottenuti per disporre nel modo il più favorevole la superfi- cie CB. G.A.T.LXXXIV. 6 82 S e I E N 2 E Potrebbe accadere, che gli ottenuti risultaraenti non si trovassero conformi a quelli, che si potrebbe- ro dedurre da esatte sperienze fatte manovrando un ordinario ponte volante. Di fatti molte cause, che in- fluiscono pul moto di un ponte volante, non sono state considerate. Tra queste hanno luogo: la diffe- renza di velocità delle differenti parti della corrente: la pressione del fluido scacciato sulla faccia che guar- da la sponda verso la quale si voga ; le oscillazioni della superficie che riceve l'urto dell'acqua, la qua- le quantunque si supponga piana, pure non è mai verticale: la rigidezza delle corde: l'ineguaglianza del- la loro tensione, e perciò della loro luiighezza: fi- nalmente l'influenza della velocittà acquistata dal pon- te sopra la velocità che va ad acquistare in virtù de' successivi urti. La semplice enumerazione delle cause di errore pei calcoli, clie sono stato lo scopo di que- sto lavoro, basta per far conoscere quanto difficile rie> scircbbe tradurle algebi'icamente. Siccome però i loro effetti si fanno in parte equilibrio, così possiamo ri- guardare gli elementi determinati dalle nostre formo-r le come una specie di limiti utili nella pratica (*). (*) Siccome nella teorica esposta sui ponti volanti suppo- nemmo cognita la determiuazionp del centro di gravità delle lo- ro facce, le quali sono per lo più trapezi simmetrici; così se de- durremo pertanto si fatta determinazione da un ragionamento elementare, e non cognito, per quello che ne sembra, forse non sarà discaro. Il trapezio qualunque ABCD (fig. io) venga diviso simme- tricamente dalla rotta mn: è chiaro che il medesimo sarà in e- quilibrio attorno la retta od asse mn- dunque il suo centro di gravità dovrà trovarsi in uri punto qualunque x di quejt'assg, Ponti militari 83 35.° Nella teorica fin'ora da noi esposta si è immagi- nato, che la velocità della corrente, qualunque si fosse, urtasse la sola lunghezza del ponte volante (§. 34.°), come se desso fosse mancante della larghezza. Ora però Pongasi AB = p , DC = q , mn = a. Si conducano le rette kn, B/i : i triangoli che ne riiulltno AD«, BC« sono equivalenti. Alle metà delle respetlite loro basi si conducano le Ka, BZ», e si prendano Afl „ B3 as = — , bh= — •■ i centri di gravità di essi triangoli si troveranno nei punti g, h. Si rappresenti con G la gravità, con i la densità; il peso G. D«. A3 del triangolo AD« sarà espresso da , quello di BCn 3 G. Cn. kz . G. AB. As da , e quello del triangolo ABrt da . Tut- 2 2 ta la superficie posante è stata cosi ridotta a tre pesi. Dunque il punto d'applicazione della loro risultante è il centro di gra- vità del trapezio. Ma il centro di gravità del triangolo AB« ca- de nel punto /in modo clie mf ^= __ =^ ■—> : Ja risultante dei ^ •" -^3 3 due pesi eguali applicati in g ed h deve pur essa cader sull'asse mn, percliè se cadesse al di fuori, il trapezio non si troverebbe più in equilibrio attorno quest'asse .- dunque condotta la gh, la risultante dovrà cadere in t ; e di qui gt ^^^ th. Essendo poi ka, Bb rette comprese fra parallele e tagliate proporzionalmente ne'punti g, h,ìa gh è parallela alle rette DC, AB. lu fatti sia go la parallela a queste rette , sarà per costru- zione Ag ; ga = B/i : JiB. 84 Scienze crediamo opportuno considerare simultaneamente l'ur> to sulla lunghezza, e larghezza del ponte, e trovare le formole esatte che ci rappresentino la forza della cor-» rente che s'impiega al passaggio, e quella che ten- de la fune. Per ipotest. dunque Ao : oa =^ Bh : hl> , Ag : ga = Ao : oa ma A^ ^ Ao per ipotesi, dunque ga "^ oa , il che è assurdo ; dunque non può esservi alcuna parallela ad AB che partendo dal punto §■ sia diversa da gh. Dunque anche mn è tagliata pro- porzionalmente in modo che si ha tri = ^ , 3 Dopo ciò il valore della risultante applicata in t è G. Az ( Dn -h Cri ) G. Az. p Ridotto cosi tutto il sistema a due pesi applicati in t ed /", sia X il punto d'applicazione della ri*ultante finale, onde avre- mo in esso un peso espresso da G. Az i p -i- , nif = ^ egli è chiaro che sarà pure ft = TTi : dunque avremo 0 Ponti militari Ò5 A tale effetto supponiamo che la base del pon - te sia un rettangolo RSTU (fig.^ 9.*) e la superficie della sua lunghezza sia A, e quella della larghezza A', la quale può supporsi essere un summultiplo della prima. Al solito sia K la lunghezza della corda, 2L la lai'ghezza del fiume , a 1' angolo che la velocità della corrente forma colla lunghezza del ponte, con facile costruzione, come si può immaginare nella ci- G. Az. p G. As { p -\- q ) e di qui 2 2 " ''^ = 3* a p -h q "^~3 • p Dunque possiamo conoscere di quanto il centro di grarilà del trapezio dista dalla base q. Difatti nx = nt •+• tx , onde sostituendo troviamo 3 3 • «7 ~^p O- p-p -H ^v n.r = -r- ( — - — ) . 3 \p ^ q J Nel caso di /) =:= q, oioè del parallelogrammo, avremo' a nx 2 * 86 Scienze tata figura, l'angolo che la velocità della stessa cor- rente forma con la larghezza si trova essere comple- mento di a: finalmenle sia b l'angolo che la corda forma col lato PiS, e e quello che la stessa corda forma colla direzione della corrente. Senza più di- lungarci essendo v le velocità PM, e P M', per le velocità che producono pressione avremo, sulla lun- ghezza MB = vsena. e sulla larghezza M'H = vcosa. Dunque le pressioni, essendo d la densità del fluido, sulla lunghezza e larghezza sono F z=Adv^senm (i) ¥' = A'dv^cos^a. (a) La prima, che agisce nel punto M secondo MA, si decomponga in due ortogonali MB, ed MA', una per- pendicolare alla corda, e l'altra secondo la corda: per la prima avremo MB = Fco^BMA = Fcosb = kdv^'sen^acosb , per la seconda MA' = F^enBMA = Ysenb ~ Adw'sen>asenb. Ponti militari 87 Ora si concepiscano prolungate le direzioni del- la corda, e quella della pressione normale sulla lar- ghezza, le quali s'incontreranno in un punto qualun- quv A'; s'intenda applicata la forza (3) da A' in F, e si decomponga ancora questa in due ortogonali AG, ed AB', essendo l'angolo FA'G = ^, avremo A'G = F'cosb = K'dv^cos'^acosb , A'B' = Y'senb = A'ch'cos^asenb. Le due componenti dirette secondo MA' , ed A'G s'impiegano a tendere la fune, perchè sono su di essa cospii^anti: ed espressa questa tensione con T avremo T = hldv'^sen^asenb -f- X' civico s^acosb (3) , e le due MB, ed A'B' sono opposte , onde la forza che si impiega a muovere il ponte, chiamandola P, sarà P = kdv^sen^acosb — A'dv^cos^aseiib. (4) Tanto la tensione, quanto la pressione, sono funzio- ni determinate delle linee trigonometriche degli an- goli a, b: se però bene riflettiamo, essendo alla par- tenza ed all'arrivo b = a =^c , 88 Scienze ove e è un angolo costante, egli è chiaro che ih qua, sto punto le dette forze sono funzioni del solo an-" golo a, poiché solo esso è variahile. Sostituendo, e considerando il punto di partenza, avremo P = Kdv^sen^acos ( a — e ) — Kdv^cos^asen ( a—^c ). Avendosi tutto in una sola variabile possiamo cer- care qual sia quell'adatto valore di a, che rende mas- sima o minima la funzione P. A tale effetto si prenda la prima derivata di P, o il primo coefficiente differenziale, ed eguagliando a zero avremo da Kdv [ 2senacosacos (a — e) — sen-asen (a — e) ] -t- AV/c» C ncosasenasen (a — e) — cos^acos (a — e) ] = o, ovvero aAsenacosacos ( a — e ) — Ksen^asen ( a — e ) -f- ^A'senacosasen ( a — e ) — Alcos'acos ( a — e) = o , dividendo per senacosacos (a — e ) , e riducendo tutto a tangente, si ottiene aAiang.a-A'-Atang.'^atang.(a — e) — 2A'tang .atang.{a-—c)=Of e siccome dalla trigonometria si ha tang.a — tang.c I >+• fang.atang.c Ponti miutari 89 tang. (a — e) = così sostituendo avremo {skKiang.a — A!)[i-\-tang.atang.c)-Ktang.^a[tang.a'tang.c)- ak'tang.a ( tang.a — tang.c ) = o Di qui effettuando le operazioni, e ordinando secondo le potenze discendenti di faì^g-.a, si troverà la seguen- te equazione di terzo grado , i^ktang.c -f- 2A') tang^a — ■ ^^- tang^a-\- l3A'ta7ig.c-2A) A' _ tang.a-i- ^ = o, (5) e facendo per semplicità di calcolo 3Ate7?o-.c-i-2A' ZMtang.c — 2A A' tang.a=x, =a, ^ ~6, p ==0 A A A avremo x^ — ax^ ^bx ^c = o. Liberando quest'equazione dal secondo termine, otter- remo per mezzo dell'equazione di relazione 90 Scienze •^=7 + 3- , f , a^\ ah 2^3 j^H-l 6— ^ l/H-^ --^4-c = o (6) Una equazione di grado impari (V. Lagrange, Ré- solution des équations nuraériques. Chap. i. Corol. 2.) ha sempre una radice reale, che la verifica di se- gno contrario all'ultimo termine. Dunque se l'ultimo termine della nostra equazione in j h negativo, la sua radice reale è positiva, ed in conseguenza è po- sitivo ce cioè tang.ay onde ci deve essere per a un valore clie rende massima o minima la funzione P dataci dall'espressione (4). Nel caso dell'ultimo termine negativo, dobbiamo avere ovvero 2a^ >» Zab -4- gc , e ponendo i valori di a, ^, e, sarà 2(27A^teng-^c-f-27.2A'A'te725'.c4-36A'2Aiflno-c4-8A'3)> 3 {kMtang^c-^^KHang.c—^kHang.c^/^kÈi:) H-gAAs ovvero Ponti militari 91 ^l^Hang'^c + 54A2A7«7?g-=c -+■ 36i\.'^Atangc ■+■ 8A'3 > SAA'tang^c •+- 1 ^KHangc -H 9 A'A^ — ^AHangc—l^AÈ^-y ineguaglianza intuitivamente vera. Se qui piaccia fare A' = -- > come di fatti suol costumarsi nella pratica (Vedi Douglas, Ponts mili- taires pag. 149 nota, ) troveremo -, , , , , 25A tang'^c Jitangc 2 5/tAtang^c-^c^Atang^c-. --- > —^ — —•-* 04 J 20 L'angolo e può darsi facilmente in funzione della lunghezza della corda, e larghezza del fiume, poiché esso appartiene ad un triangolo rettangolo, i cui ca- teti sono L opposto ad esso angolo, e l/'(R-» — L^) l'altro adiacente. Dal fin qui esposto chiaro appaiisce la difficoltà di determinare l'adatto valore dell'angolo a, e giudi- car quindi se inti'oduca un massimo od un minimo. Di latti per convincersi di ciò hasta prendere uno de' valori che ahbiamo per x dall'equazione di terzo grado x^ ■+■ px — q = o cioè i^^r-K(f-g-i/i-f/(H; 92 Scienze E qui si dovrebbero porre i valori che si appartengona all'equazione (6), ove notì s'incontrerebbero allre dif- ficoltà che la lunghezza de'calcoli. Prima di porre fine a queste riflessioni, soggiun- geremo che se le formole sono intricatissime per de- terminare il massimo e il minimo , sono però van- tagiose per farci conoscere la tensione della fune (equaz. 3) e la vera forza clie s'impiega a muovere il ponte volante (equaz. 4)- Se in queste equazioni ci piacesse supporre A' = o si ricadrebbe nella ten- sione e pressione di già esaminate, come pure se nell' equazione (5) si facesse la stessa ipotesi si otterrebbe tang'^a — Stango, tanga — 2 = 0 dalla quale Stanerò sfc l/"(q£fi[no-2c-f-8) tanga— ^ eome già vedemmo iVl. AiXARELLI — s.-^^0«S5ahe=— .tH^.Ani^jMu 93 Di Giambattista Da Monte e della medicina ita- liana nel secolo XJ^I: di Giuseppe Cervetto già medico del civico spedale e della pia opera di carità. Verona tip. di Giuseppe Jlntonelli 1898, m 8. di pag. 121 con ritratto e tavola. Ji-ie grandi azioni e scoperte di un uomo solo can- giano talmente lo slato delle cose, che una vita no- vella sembra informar la nazione, presso cui visse, e la scienza che trattò. Lo storico quindi, per maggior- mente far conoscere il progresso che costui stabili , dee porgere al lettore il quadro delle cognizioni pria che ei sorgesse, onde chiaro poi risulti quali e quan- ti vantaggi abbia arrecato. Il signor Cervetto, persua- so di tal verità, ci presentò lo stalo della medicina nel secolo XVI , onde cosi concepir chiaramente si potesse quanto Giambattista Da Monte illustrasse la medica scienza. Di fatti non saremmo noi gran fatto presi dall'utilità e grandezza degli studi di quel som- mo, se a paralello non ci si mostrasse la meschinità delle mediche cognizioni di quei tempi. Lodevole divisamento fu quello d' illustrare la vita di un uomo grande, che giacevasi presso che di- menticato: e ben a ragione ripeteremo qui col Leo- pardi : 0 Italia , a cor ti stia Fare ai passati onor : che d'altrettali Oggi vedove son le tue contrade. 94 Scienze Grandissima lode sia quindi al sig. Cervello, che nella vita del Da Monte rivendicò all' Italia la i^rima isli- luzione della clinica e dell' anatomia patologica. Que- sta produzione, che fa onore all' A. ed all'Italia, ci corre debito di farla nota e di commendarla quanto mai si può , abbenchè qualche menda vi scorgessimo. E quale umana cosa può dirsi perfetta ? Questa bellissima biografia fu letfa in tornate nella conversazione scientifica presso il nobile signor Giovanni Orti Manara podestà di Verona, E quanto di lode non dee meritarsi quest' illustre, che nel se- no di sua casa lungi dall' accogliere inette femminic- ciuole ed uomini scioperati ed imbecilli, ha talmente chiamate ad ospizio le scienze e le lettere, che le cose patrie vi han sede primaria? Quale e quanto sarebbe il L vantaggio da ritrarsi per queste amichevoli conversazio- ni, ognuno di per se il vede. La storia patria, lo studio degli esseri naturali che ci circondano, l'agricoltura ed ogni altra maniera di studi utili, sian essi gravi od ameni, troverebbero vita, incoraggiamento e perfezio- ne In tali adunanze. Sicché la storia civile e la natu- rale, e le scienze tutte e le arti non offrirebbero più lacune, e tolte sarebbero tante inesattezze e falsità. Quindi sbarbicati fin dalle piìi profonde radici que' vili rancoi^i, che perturbano ed agitano pur troppo le misere città d'Italia, per la maggior parte dipendenti dall' oziosità e dall' ignoranza delle persone agiate. Luminosissimo era il seggio ove vivendo aggiun- se G. B. Da Monte: fu caro del pari alle scienze ed alle lettere. Non ostante, per la instabilità delle cose umane, egli era al dì d'oggi presso che dimenticato. SI celebrò giustamente come polca, storico, numisma- tico, medico e filosofo. Medicina italiana 95 « Ma innanzi, dice l'A. [pag. 5 ), che del Da Monte e delle sue cose io dica, è d'uopo che io vi parli del secolo in cui visse, per confrontarlo collo stato del medico sapere di allora , e per conoscer quindi cpjanto valesse: conciossiachè non è a stupirsi che sorgano geni molli e sublimi, qualora il favori- scano le circostanze ed i tempi: così massimo dovrà esser l'onore per colui, il quale simile a nobii gem- ma dal fango tutto brilla di propria luce in temjji diffìcili e bui. « Così fu del nostro concittadino. Visse egli in epoca, nella quale era medico chiunque d'un pò di la- lino e di greco informato valesse a tradurre gli scrit- ti d'Ippocrate, di Galeno, di Rhazez , di Avicenna, dei quali i precetti eran l'unica norma, le parole do- gmi imperscrutabili. Visse egli in un secolo, ^Z^zo al quale , al dire di un' illustre maestro (i) , non si fece che interpretare , dilucidare e commentare antichi testi, in fine assai poco dissimili gli uni dagli altri, e per tale maniera aggiuìigere errori ed addensar tenebre sopra tenebre. « Nullo invei-o era a quei tempi lo studio della natura e sana e morbosa , affatto galeniche e fallaci l'anatomia e la fisiologia, trascuralo e confuso l'uso dei farmachi, sconosciuta la scienza sperimentale, po- ste onninamente in non cale l'osservazione e l'espe- rienza, tanto raccomandate dallo stesso padre dell'ar- te: ogn'istruzione in fine, in aride speculazioni per- duta, deviava dal sentiero delle utili verità. « Tale era lo stato della medicina fino al se- colo XVI: e tale forse avria ancora proceduto per molti anni senza il Leoniceno, il Vesalio , il Mercuriale, ed il Da Monte, i quali al ben' essere dell' umani- 96 Scienze tà ed alla rigenerazione della scienza vissero quasi contemporanei luminari dell' euganea università , la prima allora del mondo civilizzato ». INel i4i3 nasceva nel Monte s. Savino presso Siena, da ricca e ragguardevole famiglia, Mariotfo con- dottiere d'armi della veneta repubblica: il quale, stan- te i servigi segnalati resi alla medesima, fu dichiarato collaterale generale. Lasciò questi in Verona cinque figli carichi di gloria e di onori. Ivi , par la prove- nienza, questa famiglia fu cognominata Da Monte. Dal terzo figlio di Mariotto, per nome Conte, nacque nel 1489 il nostro Giambattista. Capitani di fante- ria e di cavalleria, collaterali e vice-collaterali generali, uomini illustri ed onoratissimi, non che due cardinali ed un papa, che fu Giulio III, onorarono quest' an- tichissima famiglia (3). Ingegno eccellente mostrò Giambattista fin da giovanetto: amantissimo degli studi tranquilli, non cu- re? le armi. Posto termine alle scuole primordiali, ad ogni costo voleasi che studiasse legge. Vani però riu- scirono i consigli ed anco i comandi del padre. Re- catosi in Padova, vi studiò lettere greche e latine da Marco Musuro, giudicato dotto in filosofia da Erasmo, e nella latinità usque ad miraculum: e filosofia dal Pomponazzi. Si die tutt' uomo allo studio della sto- ria naturale e della medicina, ed a tal' uopo si por- tò a Ferrara per udire il Leoniceno. Irritato il pa- dre per la disobbedienza , e sdegnato per gì' intra- presi viaggi che credea fatti solo per bizzarria , gli tolse ogni sussidio. Fra stenti e pene grandissime ot- tenne la laurea medica. « Era il Da Monte ( pag. 9) nato medico, conobbe fin dai primordi la propria at- Medicina italiana r)7 litudine, ed ogni barriera opposlagU non fu che esca air ardentisslma sua passione per l'arte ». Ripatriato , trova il padre inesorabile : si reca perciò a Brescia, e per alcuni anni vi esercita la me- dicina con lode. Passa quindi a Roma, a Napoli, a Pa- lermo , e ad altre città d' Italia onde istruirsi. Que- sti scientifici viaggi lo legarono in amicizia co' più celebri dotti. Fu caro ai Pontano ed al Sanazzaro clie lo volle ascritto nella sua accademia ; sicché poscia fu professore in Napoli stessa interpretando Pindaro. In Sicilia il conte Colessani, presso cui assembravansi le letterarie conversazioni , l'onorò quanto altri mai. In Roma alla presenza del cardinale Ippolito De Me- dici riportava la palma nelle scientifiche gare suU' illustre Matteo Corti (3). Pochissimo si trattenne a Venezia. Pria che compiuto avesse la medica carriera fu degno dell'amicizia del Manardo archiatro di Ladislao re d'Ungheria: il quale, tornato in Italia, volle de- dicare al Da Monte parecchie delle sue mediche epi- stole, che formano il precipuo lavoro di quell' uomo grande : e ciò per addimostrargli la stima in che lo teneva. Eletto professore in Padova, prima di filosofia, quindi di anatomia, passò alla cattedra di medicina pratica, che sostenne con universali applausi fino al j543: e finalmente con aumento di stipendio dettò medicina teorica. Tale entusiasmo destavano nella scolaresca le sue lezioni, da rimanerne deserte le scuo- le di qualche suo rinomato collega. Tanta fama si sparse di questo sommo, che tutte le corti principali d'Europa, desiderose di aver me- dici italiani, Cecero al medesimo generosissime pro- G.A.T.LXXXIV. gS Scienze poste (4): ed i contemporanei più illustri lo commen- darono in guisa da sembrare esagerati ed entusiasti. Panvinio, Fracastoro, Vesalio e Fallopio, non certa- mente lodatori , innalzarono a cielo la sapienza del Da Monte. « Ne poteva addivenire {pag. i5) che il Da Mon- te non eccitasse in tutti grande amore e rispetto, in ispecie siccome professore. Ch'egli con aspetto dolce e imponente, con una statura elevata e maestosa, con uno sguardo vivace e penetrante, alla somma gen- tilezza dei modi accoppiava una veneranda dignità , alla cortesia di costume una castigatezza senza pari, oltre d'' esser leale, religioso, disinteressato, fdantropo. Dolcemente facondo, pronto al rispondere, sagace nel- lo sciorre ì dubbi piìi intricati, fervido d'ingegno e d'indole attivissima, perspicace nell'invenzione, pron- to, chiaro e brillante nello esporre i concetti, ren- deva facili ed ameni alla intelligenza degli scolari i subbietti piìi malagevoli in guisa, che si può dire, che se potè emulare pel sapere i più grandi maestri, non fu minore di loro per eleganza e facondia. ...» Tante eminenti qualità, le ricchezze e gli onori che da ogni dove gli venian tributati, lungi dall'inor- goglirlo, il confortavan viemmeglio nell'amore delle scienze e dell'insegnamento. Cosimo I de Medici in Italia, Francesco I iii Francia, e Carlo V signore di cento milioni di sud- diti, rivaleggiavano con inviti ed ofierte magnifiche on- de avere il Da Monte a curante della propria sa- lute, e ad istruttore della gioventù. Solo egli accon- sentì alle offerte di Ciulio III; e per obbedire il se- nato vcnelo si portò per breve tempo a curare il duca Guidubaldo della Rovere e la sua consorte in Uibino. Medicina italiana (^q Tessier lo dice letterato quanto profondo, al- trettanto modesto, dappoiché egli vivente fu sempre ritroso di pubblicare i suoi scritti che circolavano a penna fra i suoi scolari. Solo alcuni egli stesso ne die alla luce per ovviare a'molti errori commessi nel darsi a stampa da coloro che, per la viva voce dalla cattedra esposti, li trascrivevano. Così egli dice nel prometter clie fa di stampare i commentari sopra Avicenna. « Speramus, egli dice, ea commentaria, si Deo placuerit, nos esse edituros, non quidem gloriae captandae gratia, a qua semper fuimus alieni, sed edi- tionis caussa . . . quod ea quae me legente audito- res trascribvint, ita sunt corrupfa, contaminata et in- feliciter explicata, ut cum mihi quandoque offerun- tur, non amplius ut mea recognoscam. « I consulti con altri celebri medici avuti splen- dono per cortesia e gentilezza, mosti-andosi riservato e prudente nel porre nuove cose , ingenuo quando nulla credea doversi aggiungere. Commentò gli antichi autori, oracoli in quei tem- pi delle scuole, senza però seguirne ciecamente tutte le dottrine: manifestando anzi pubblicamente gli er- rori: di modo che gli fruttò censure di uomini chia- rissimi, cioè del Capotlivacca e del Zacchia; ma ciò a dir vero forma per lui un vero elogio (5). Dotto era nella farmacia e nella botanica. Coo- però in unione al Buonafede ed al Ramnusio alla fon- dazione del famoso orto botanico di Padova, primo m Italia ed in Europa. Del pari egli era conoscitore e cultore della chimica, come provano l'opera De aquis distillatìs per alembiciim, e tanti altri trat- tati sulla distillazione: della quale libri odo, egli dice, de distiUationibus naturalibus iamfere per- 100 Scienze fecti sunt, et odo de artijicialihus ^ ed alcune ana- lisi d'acque minerali e termali d'Italia e fuori (6). L'opera De distillationibus andò perduta o non fu mai stampata. Fin dai verdi anni agli studi ameni si dedicò, ma disgraziatamente non conosciamo tai lavori che per la menzione che ne fanno gli scrittori della sua pa- tria. Animalo dal genio di Apollo espose in versi la storia delle guerre de' suoi tempi: traslatò dal greco in latino TArgonautica attrihuita ad Orfeo, la favola di Museo intitolata Ero e Leandro (7), ed il trattato De mixtione di Alessandro Afrodiseo. In una sola notte dicesi aver dal greco tradotto il lepido poemetto di Luciano la Tragopodra, conservando il metro stesso. Versione che gli meritò i suffragi del Bembo e del Casa. Molti furono gli epigrammi latini da esso com- posti. Valentissimo conoscitore egli era della latina e della greca favella. Nel corso di otto mesi tradusse la grand'opera di Ezio d'Amida (8) ad istanza del cardinale De Me- dici, cui aveva sanato in Roma da gravissimo morbo. Lasciò una ricca e bella collezione di medaglie ne' tre generi di metallo, come ce ne fa conti Fe- derico Ceruti nella prefazione alla raccolta delle poe- sie de'suoi concittadini, pubblicate per la morte di Marcantonio Da Monte figlio del nostro modico. Ricolmato di onori e di ricchezze, ed oppresso dalle occupazioni mediche, cominciò a sentire il peso di sue fatiche. Attaccato da incurabile catarro di ve- scica, si ridusse a Terrazzo sua villa, ove foi-se morì nel 6 di maggio i55i. Quanto fosse compianto non è a ridirsi: grandi onori furon resi alla sua salma. Niccolò Chiocco, detto Medicina italiana ioi il calvo, lessegli 1' orazione funebre nel tempio di s. Maria della scala, la quale andò perduta e solo il Maffei ce la rammenta. Il Pola ne fece l'elogio (9): il celebrarono coi carmi Andrea Chiocco, Giovanni Sambuco, Adolfo Occo di Augusta, Federico Ceruti, Lazaro Bonamici , Giorgio Seidel , e Damiano Ca- taneo. Ecco 1' epitafio col quale 1' onorò il Fraca- storo. Cum medica. Montane, doces ope vincere fata, Et Lachesi invila vincere posse diu, Laethaeo indignas pressit te parca sopore, Et secuit vitae grandia fila tuae. Sic animas, et tu, Asclepi, dum subtrahis orco, Te quoque saevorum perdidit ira deùm. Non consentono molti scrittori sull'età del De Monte: ma sembra verosimile aver di poco oltrepas- sato i 60 anni. « E così finiva (pag. 28) la sua tempestosa e luminosissima carriera quel dotto filosofo, che negli studiosi disagi avea logora la più robusta comples- sione: l'istitutore dell'europea gioventù nelle filoso- fiche, anatomiche e mediche discipline: quel pratico celebratissimo, nel quale tutti scorgevano l'ultima an- cora della propria sanità ». Discorsa così la vita del Da Monte, veniamo alla disamina de'suoi scritti. Se quelli che alla lettera- tura pcrtengono per la maggior parte perdemmo, non così accadde delle produzioni mediche. Sarebbero però ancor queste perdute, se molti fra' suoi discepoli non si fossero data cura di tramandarle alla posterità. E sebbene costoro non ci abbiano lasciato le opere del 103 Scienze Da Monte genuine, come egli stesso spesse fiate se ne lagnò, pure dobbiamo avergli a grado, poiché sen- za ciò avremmo a compiangere la soverchia timidità di questo grand'uomo. Il Luisini, il Riccoboni, il Becchio, l'Eloy e lo Spachio, come bililiografi di scritti medici, han dato l'elenco delle sue opere; in nessuno però si ha esatto. In vari modi e tempi, ed in varialissime edizioni ven- nero queste ripetute in Italia, in Germania, nella Sviz» zera ed. altrove più o meno bi'uttate di errori. Furono il manuale de'medici, e servirono di testo nelle più famose scuole di Europa. Il celeberrimo Vesalio cosi parla del Da Monte: « Galenum ... quem Jo, Bapti- sla Montanus, in ijymnasio patavino medicinae pro- fessor eximius, non sine incredibili artis candidatorum utilitate nuper in u!)s.ìlulissimura ordinem redegit , maximi ac pene divini ingenii vir , ob singularem illam tum medicinae tum caeterarum scientiarum co- gnitionem nulli aetalis nostrae medicorum secundus, et praestantissimis laboribus suis, quos in publicura dedit, ac pertinaci indefessaque in docendo diligentia de studiosis omnibus quam opùme meritus. Cui vero utinam Deus aliquis aures slatim vellicet, eique in animum inducat, ut et alias cogitatrones suas longe pulcherrìmas et iamdudum praematuras in lucem pro- dire patiatur, easque posteris vel non invideat, vel eorum calumnias qui iudices ceteroquin esse solum cupiunt, ipsique nihil unquam praestare queunt, non ita reformidet! » [Anatomia. Basileae i543, lib. II pag. 309. ) Fallopio così parla a' suoi scolari del Da Moute: <( Liliri qui circumferuntur non sunt Monlaiii, sed parlim sui, partim sui disclpuli. Mon- tanus nihil edidil; res ab ilio prodilae ita integrae Medicina italiana io3 erant, ut nihll limatius, nìhil doctius . . . Ideo oro vos (dice a' suoi discepoli), ut non imponatis iili viro quae olent artis ignorantiam, sed quae et elegantiam et ingenium acerrimum et peritiam sapiunt, impo- nite «. Il nostro biografo non ci dà l'esatta enumera- zione di tutte le sue opere con le diverse edizioni, temendo che abbia a riuscir gretta. Non ce ne lascia però digiuni: cliè anzi seguendo la edizione fatta dal Weindrich, che è la meno scorretta, ce ne dà conto. La Metaphrasis siimmaria eoriun quae ad me- die amentovum doctrina attinent comparsa in Pa- dova [Patai>iì, Jacob. Fabrianus excud. i55o in 8.°) per le cure di Luca StengHn di Augusta suo discepolo, fu tratta dalle sue lezioni e dai suoi scrit- ti: così i Problemata phf sica et medica (ViUeinberg iSgo). Vincenzo Casali da Brescia raccolse e di bel- lissimi commentari illustrò l'opera intitolaLa: Expla- natio locorum medicinae^ sine quorum intellis^-nitia eam nemo recte exercere potest (Parigi i554 in I2.°), a cui va unito il seguente trattatello: Expli- catio eorum quae per tinent tum ad quaìitatem sim- plicium medicamentorum, tum ad eorum compo- sitionem. (Fu ristampato a Venezia nel i555 in f].") In vari tempi e luoglii vider luce i consulti me- dici, scritti con molta facilità ed eruditamente, fon- dati sull'osservazione e consolidali dalla più soda espe- rienza. Quest'opera basterebbe di per se sola ad as- sicurare al Da Monte l'immortalità. Dopo che Va- lentino Lublino ne raccolse alcuni (io), il famoso Oratone, archiatro di tre imperatori, ne pubblicò 434 in ripetute edizioni (11). Si stamparono (12) per lo zelo del polacco Lu- io4 Scienze blino i due libri De fecibus et urinis, colla questio- ne Qnomodo ineclicamentum aequaìe i>el inacquale dicaiur. Debbesi parimenti a lui la Idea de aquis distillatisi le Inter pretationes di parte dei morbi popolari, le Lpctiones in Hippocratis aphorismos cxpectatissimap (i3), e gli opuscoli /?<' carrtc^em- mis febrium^ De febre sanguinisi De utevinis af- fectibus (i4)- Il Langio i^Opera om?ii a. Li p si ae ì']o^,\om, I pag. 25) mettendo il Da Monte alla testa di quelli che medendi artem prae aliis illustrarunt^ dice che il Lublino stampò i consulti e le altre opere in sei volumi in 8." nel i55i a Venezia. Abbiamo nel medesimo luogo (iSS^ in ò.") l'opera De causis et accidentibus , palsibus et urinis. Il Oratone (i5) finalmente pubblicò il Methodus therapritticae^ la Idea hippocratica de generatione pituitae, ed il Methodus de umore melancholico. De alimentis et victus ratione. Vi Da Monte, interpretando dalla cattedra le ope- re degli antichi, die causa che i suoi scritti avidamen- te riuniti dagli scolari furon posti al pubblico più o meno scorretta meni e (iG). MarliJio Weindrich in tre volumi pubblicò la maggior parte delle cose del Da Monte. 11 primo vo- lume intitolò al senato della repubblica breslava; il secondo al prefetto di lei Rhedinger; ed il terzo al Oratone figlio del celebre scolare del Da Monte. Nel primo volume si parla dei preliminari della scienza e dei metodi vari per apprenderla. Si tratta della composizione del corpo umano, quindi dell' igiene e della patologia, finalmente si esamina le fa- coltà (lelTiiomo, e si commentano con ispirilo libero molli lilni di Oaleno. Medicina italiana lo5 Contiene il secondo le migliori opinioni medi- che sulle malattie: e tanta finezza adopera nello in- dagar le cause e i fenomeni di queste, che a huon drit- to dee dirsi uno dei migliori trattati di patologia in quei tempi. L'ultimo raggii'asi sulla terapeutica, e vien di- viso in nove capi. I consulti ed il trattato De mor- bo gallico non sono compresi nella edizione del Wein- drich (17). Ahbenchè il tempo, il succedersi dei sistemi, e più ancora il progresso della scienza, abbiaci fatto di- menticar le opere degli antichi, non dovrà però es-< serci meno grata la memoria di quei sommi che, lot- tando colla barbarie, con immense ed erculee fatiche ci sgombrarono un sentiero spinosissimo e buio, che par miracolo come tant'oltre que' grandi s' inoltras- sero. Quanto in vero il Da Monte non tuonò dalla cattedra in Padova contro il giogo dei sistemi, e del galenico in ispecie? Il trattato De morbo gallico, ed i consulti su questa infermità (tutto unito nella collezione luisini- na), sono stati commendati dallo stesso Astruc. Il Da Monte infatti, dandocene la vera storia, annulla la opinione sull'influsso celeste, ammonisce che essendo contagiosissima , fosse comunicabile anche pel solo contatto delle vestimenta. Loda la radice di china, il guaiaco, l'olio di vetriolo, e perfino il linimento di mercurio. Che se in tal medicamento non pone tanta efficacia, sembra doversi pure scusare, e perchè igno- ravansi i metodi di prepararlo, e perchè non si ave- vano sufficienti fatti, onde convincersi della utilità sua. Portai i^Histoire de V anatomie et de la chirur- gie. Paris 1770 tom. i, siede Xl\ pag. 53^) as- io6 Scienze serisce che gli Opusciila varia et praeclara coslitui- scono una raccolta buona a consultarsi ancora a' di nostri pe'dettagll anatomici. P'allopio ci rammenta fra le composizioni ma- gistrali del Da Monte il famoso sciroppo per la lue e pel cancro. Tanti erano i pregi e la dottrina di lui, che a'suoi medesimi tempi unirono il suo nome a quello dei padri della medicina, che formavan l'ido- lo del secolo ('18). Per forza di genio soltanto scoprì ed introdus- se la vera maniera d'insegnar la scienza col metodo analitico per mezzo di sperienze e di ragionamenti i cosicché egli fondò la noi^ma per formarci giovani al- lievi. Egli fu l'istitutore della clinica. Il secolo XVI è una delle epoche più luminose e trillanti d'Italia. Scosso il giogo della barbarie, le scien- ze fisiche in ispeclal modo vennero arricchite di sco- perte, e si gittaron semenze tali che nuove e gran- diose cose produssero. Colombo di Cremona e Ce- salpino di Arezzo diedero i primi lumi della circola- zione; questo medesimo, e il Patrici ed il Fabrizio im- maginarono un metodo di classificazione pe' vegeta- bili , dando rudimenti di fisiologia. Eustachio , Fal- lopio , Acquapendente , Berengario con altri illustri fecero grandi scoperte in anatomia ed in chirurgia. Aldrovandi fondava la zoologia: Cardano e della Por- ta gittavan le fondamenta di una scienza che si am- pliò dopo ti'c secoli, vestendo nuove forme. Il som- mo Gahleo con mille altri, che la gloria più bella d'Italia formavano, fiorirono in quei dì. La medicina del secolo XVI vantò due grandi istituzioni; la clinica cioè e l'anatomia patologica. Medicina italiana 107 Prima di questo secolo lutto il medico insegnamento in Europa avea per i scopo di tra lurre e commentare gli arabi e greci padri della medicina: e questi bruttati de- gli errori della magia e della mistica. Additava il pra- tico dalla cattedra le forme de'morbi giusta le regio- ni del corpo, senza clic poi il corso di queste forme si verificasse al letto del malato, senza calcolare la vai'iazione giornaliera dei sintomi, senza studiar le azioni curative dei farmacbi in rapporto al morbo stes- so, e senza rintracciare ne'cadaveri, in caso di tristo evento, le alterazioni accadute pe'processi morbosi. Ognun vede, bencliè non medico, quanto inetto sia tal metodo per formare de' pratici ossex-vatori e de' valenti medici. Ma come meglio aggiungervi che mediante la pratica al letto degl'infermi? Ivi il giovane vede l'im- portanza e la fallacia delle teorie, distingue fatti da fatti, li classifica a seconda della loro importanza, e formasi il quadro delle diverse malattie, non secondo quel che ne dicono gli scrittori, ma giusta quello che i suoi occhi e la sua riflessione han saputo vedere e conoscere. « La scienza clinica e gli spedali, in cui questa si esercita, sono il grande e solo tempio sa- cro alla scienza ed alla medica istruzione «. (Rasori) La pietà e la religione fondarono i primi ospe- dali: eran questi però indirizzati al sovvenimento de- gl'infermi, non alla istruzione della gioventù medi- ca. Nel secolo VI in oriente per munificenza di pri- vati e di principi furono eretti caritatevoli ospizi, af- fidati alla vigilanza de'monaci. Celebri si resero quelli di Coslaulinopoli, di Alessandria, e di jNisapour. Ad imitazione di questi, moltissimi se ne fondarono in occidente per essere a dismisura aumentati i morbi contagiosi, e segnatamente la lebbra. In Ispagna pri- io8 Scienze meggiavano quelli di Siviglia, di Toledo, e di Cordova: in Francia Thotel-dieu in Parigi, e gl'istituti di Mont- pellier e di s. Antonio nel viennese (sec. XI). In Italia nell'VIII secolo era un oi-fanotrofio a Milano, uno spedale a Lucca. Nel 12 to magnifica casa per gli esposti si fondava in Roma. Padova nel secolo IX possedeva un ospedale di pellegrini, fondando nel i4o8 il grande ospedale di s. Francesco (19). Presso i babilonesi e gli egizi i malati sì espo- nevano nelle pubbliche vie; i romani ed i greci gli allogai'on prima nei templi, e quindi li riunirono in appositi alberglii. Per la prima volta furono accolti nell'ospedale di s. Francesco in Padova pel duplice scopo della religiosa carità e della medica istruzione. Fa invero stupore come per tanti secoli siasi in- segnato medicina dalla cattedra, senza che si unisse a ciò lo studio dei fenomeni morbosi sul malato stesso. Questa felice idea si debbe tutta all'Italia, come al- tresì l'anatomia patologica. Istituzioni che a buon dritto possono fissar l'epoca del vero risorgimento delle scienze fisico-mediche. Se si volesse prestar fede agli storici più ripu- tati della medicina, l'istituzione della clinica si do- vrebbe all'Olanda, e precisamente a Silvio De-La-Boe, che la introdusse in Leyden. Così credettero Haller, Sprengel, Hildebrand, ed il dottore Matlhey di Vi- terbo (20). Kiper di Leyden nel 1 643, pubblicando il suo Methodus discendi et exercendi inedicinam, ci av- verte che il suo connazionale Giuseppe Stratten di- rigeva « allora e da lungo tempo ad Utrecht una fiorentissima clinica. Egli interrogava i malati all' ospedale in presenza degli allievi, e senza abbando- Medicina italiana 109 nare il loro letto esponeva la diagnosi, la prognosi, e le indicazioni: i suoi allievi proponevano le loro difficoltà, ed aprivano tra se, dinanzi a lui, le di- scussioni su ciò che vedevano od intendevano ». Siccome però la scuola italiana è madre di tutte le scuole mediche di Europa; quindi le olandesi e le germaniche non sono che figlie. Premesso ciò che è induhitato, il nostro autore si propone di provare: I." Che il metodo clinico fu introdotto ed eser- citato in Padova nell'ospedale di s. Francesco, per lo meno alla metà del secolo XVI. 2.° Che da questa città fu trasportato in Olanda, dimenticandosi poi la vera origine. Tissot pel primo nel suo Saggio sui mezzi per perfezioiuire gli studi in medicina {Napoli 1785 p. i53) accenna potersi concedere a Padova la isti- tuzione della clinica «. Pare, egli dice, che al prin- cipio del secolo XVI il collegio germanico doman- dollo (l'insegnamento clinico) al senato di Venezia: facendo le istanze affinchè un professore fosse incari- cato di un insegnamento nell'ospedale stesso. Non può presumersi che ciò sia stato ricusato: ma non sono sicuro che sia stato eseguito ». Comparetti {Saggio della scuola clinica nelV ospedale di Padova 1793, pag. 7) sull'autorità e sui documenti riportati dal Tommasini {De gymna- sio patavino lib. IV pag. 420, /(^i) e del Faccio- lati {Fasta gymna sii patavini, rect. art. pag. 2i5), credette poter, desumere cVie « fino dal 157B a ri- chiesta della nazione alemanna, che con gran con- corso formava gran parte dello studio, venneTdecre- tato che i due professori, il signor Albertino Bottoni di medicina pratica straordinaria in primo luogo, ed no Scienze il signor Marco OdJo già medico dell'istesso ospedale, ed insieme professore di medicina prima teorica, poi pratica, pure straordinaria in primo luogo, visitassero gl'infermi nell'ospedale, cioè il primo gli uomini, l'al- tro le donne, e leggessero sui loro mali, ed aprissero all' occasione i cadaveri per dimostrar le sedi delle malattie. « Ecco tracce manifeste di clinica e di anatomia patologica anteiiori a Silvio di 80 anni. Rasori in pria, e quindi Montesanto, hanno però mostrato, il clinico insegnamento doversi al Da Monte, che di 35 anni precedette l'Oddo e il Bottoni. Rinvenne il Rasori in un'opera pubblicala a Parigi dal Casali (21) scolare del Da Monte, che questi insegnava la cli- nica in Padova un secolo prima di Kiper. Si trova- no infatti in quest'opera storie di malattie a quodam phyliatro excerptae dictante J. B. Afordano'. leg- gendosi in fine dì queste: Montanus Pataviì in ospi- tali s. Francisci legit^exercens scholares inpra- etica anno i543 mense aprilis. Il Montesanto [Memorie storico-critiche sulV origine della clinica medica in Padova^ 1827) è di opinione, che non per decreto del senato venisse istituita la clinica, come sospettò Tissot, e credettero Comparetti e Rasori, ma « era, egli dice, tutt'opera dell'utile loro brama (parlando del Da Monte, dell' Oddo e del Bottoni) dì giovare agli studiosi di medici- na, senza che questa loro scuola venisse istituita da ve- run sovrano deci-eto, ne protetta dalla pubblica autori- tà «. Tutto ciò venne provato con documenti, dai qua- li risulta ancora che gli alemanni non chiesero mai de- creti dal senato per l'Istituzione della clinica. Ecco il modo, col quale probibilmente passò dall' Medicina italiana ih Italia in Olanda l'insegnamenlo clinico. Giovanni Heurnio trovavasi in Padova dopo la morte del Da Monte, vivendo l'Oddo e il Bottoni: ivi attendeva a perfezionarsi nelle raedlclic discipline, e ne otteneva laurea dottorale in Pavia, Tornato a Leyden, fu ivi elet- to primario professore di medicina, e quindi rettore dell'università. Il figlio Giovanni Ottone die nel 1609 alla luce le opere del genitore morto giovane, e la sua vita, succedendogli nella cattedra. Kiper dice aver questi ivi introdotto la clinica. Forse fu il padre, 0 dal medesimo ne ebbe le prime idee. È certo elle gli stranieri tutti accorrevano alle scuole d'Italia per appararvi medicina: e Paolo Fre- her nel suo Theatruni vivoriun evuditione clario- rum fa menzione dei due Worstio, dei tre Bartoli- ni, di Hoffmann, dei due Langio, di Cratone, di Schencliio, di Camerario, di Severino, di Foresto, di Heurnio, di Agricola, di Bonzio, di Cordo, di Brunnero, di Rodio e di cento altri, cbe colle co- gnizioni acquistate in Italia fugaron le tenebre dell' ignoranza, che dominava nelle loro patrie. Introdotto questo metodo in Olanda dall'Heur- nio, venne poi abbandonato dopo la sua morte: co- sicché nel i658 con tanta fama Silvio De-La-Boe lo restaurò, da sembrare a molti esserne stato il vero fondatore. Così vediamo le lezioni cliniche aver su- bite le stesse fasi in Olanda ed in Italia. Non sembrando all'A. molto validi gli argomenti del Rasori, si fa ad aggiungerne degli altri più gra- vi , onde viemaggiormente assicurare al Da Monte la gloria di essere stato il primo a dettar lezioni cli- niche. Trae questi dall'opera piìi cognita di quel ce- lebre, cioè dai consulti medici «. Dalla semplice let. 112 Scienze tura infatti, egli dice {pag. 57), di questi consulti potrebbe ognuno agevolmente convincersi che il Da Monte per proprio genio, per puro amore della scien- za e dell'istruzione affidatagli, addottrinasse gli sco- lari nella pratica nella casa stessa degl' infermi , i quali visitava come curante o come consulente ; e più neirospitale di s. Francesco ov'era professore; istruendoli ovunque circa l'anamnesi, l'eziologia, la prognosi, la terapeutica , precisamente siccome oggi si usa nelle cliniche le meglio disciplinate ». Senza riportar qui tutti i casi che farebbero all' uopo, l'A. si limita ad accennare alcuni di quelli, che gli sembrano più confacentl. Il Lublino racconta il caso di un neonato cui curava Frigimelica. Chia- mato il Da Monte come consulente, vi si recò due volte, accompagnato da molti studenti. Altrove prò doctore veneto si addimostra il precettore che istrui- sce i discepoli anche nelle cose più ovvie della me- dicina, neW' introduzione, nell'esame generale del malato, nell'esplorazione delle varie parti del corpo, e nelle indagini sull'eziologia. Egualmente comprovano il nostro assunto i consulti i44 ^ 171. Ciò basti per istabilire, che nell'esercizio pratico privato con- duceva seco numerosa gioventù, colla quale presso gl'infermi ragionando sul caso concreto, esponeva il suo sentimento ragionatamente senza diffondersi m precetti. Indipendentemente dalle lezioni di medicina teo- rica e pratica, dopo anzi averle finite, si recava a visitare i malati che erano nell'ospedale di s. Fran- cesco di Padova: ed ivi realmente esercitava la cli- nica medico-chirurgica, accompagnato da numeroso stuolo di giovani italiani e stranieri. Medicina italiana i i 3 Nel consulto Pro hjdropico ex uscite cum timpanite in ospitali dà principio colla più esatta anamnesi: « Abbiamo un uomo che fu corriere , e cadde prima in un'angina che il vessò per 4o dì ec: « poi parla delle cause e differenze della timpanite, dell'ascite, dell'anasarca, e lo comprova con vari ana- loghi casi da esso stesso osservati, di modo che ren- de la lezione oltremodo istruttiva ed erudita. Accen- na di poi le indicazioni che lo determinano a pren- dere un tal sistema di cura: e così via via scorgi il dotto maestro che parla al letto dei malati per istrui- re i suoi discepoli «. Nel terzo giorno, dice Lublino, partì il Da Monte, e dopo otto dì tornò, ed a titolo di proemio ci ripetè queste cose : « In questo vecchio idropico mi sembra il male aumentato, se bene con- siderate . . . ascoltate la circostanza ... La nostra cura, se bene vi rammentate, era diretta in ciò . . . » Dopo aver ragionato sul metodo curativo prosegue : « Siano dette queste cose questa sera a titolo d'intro- duzione, la quale credo esservi molto utilp . . . Quel- le cose che vi dichiaro son giuste e dell'arte . . . Pri- ma di tutto osservate il malato, e poi udite diligen- temente ciò, se volete approfittare ((. Prescrivcsi quin- di una mistura diuretica: e circa il fine: Ultima maii cursor peius nane liahrt , quam antea ec. Non so se debba esser più chiaro il fatto addimostrante l'esercizio clinico sì per la fenomenologia, sì per le visite della mattina e della sera, e sì per l'esattez/.a delle patologiche disquisizioni. Nel seguente consulto De phtjsico, teorizzando sulla parte eziologica e sintomatica nel primo dì, dice nel 2." Oggi sta peggio di ieri, bisogna duncjue star guardinghi : nel terzo ordina un eletluario : G.A.T.LXXXIV. 8 I r4 Scienze nel seguente dice: Al tisico non daremo Velettuario, perchè ec. In altro giorno: Il tisico oggi riposa^ ina tuttavia si adopc^-ino i suoi fomenti. Ragionando in line sulle specie de'polsi, e mettendo in ridicolo le infinite ammesse dal pergameno, le riduce a sei sole. Pili brillante ne è ancora la prova del consul- to Pj^o hjschiadico. » Cum acceditis ad aegrotura, quod primum debetis agere est istud : primum con- teraplemini vultura, deinde colloquiniini cura isto, postea tangatis pulsum et observabilis omnia quae vo- bis ad morbi cognilionom erunt necessaria «. Nel consulto De febri interpolata dà somiglianti avver- timenti. Nel consulto De duabus tertianis notis, egli dice : « Ieri abbiamo veduto tutti gli accidenti che sono in questo malato e naturali e preternaturali, per collegare quelle cose che insegniamo dalla cattedra con quelle che appariscono al letto degl'infermi: non ci allontaneremo da quello che oggi abbiam detto. Ci siamo avvicinati a questo malato , il quale sup- porremo essere un nobile uouio, non essendone di- verso che per avvi-ntura : Quid faciendum ? Col- legia honorum virorum sunt coiisullationes ad cogno- scendos morbos, ac consideranda prognostica. De even- tu morbi etc In omni ergo collegio ad tres fon- tes dirigatis. Guardate dunque se i muscoli sono dm-i, solidi, vasti ec Dovete puranco interrogar- li sulle consuetudini, sui costumi, qual'arte eserciti- no, se abbiano checche di proprio di loro natura ec. Qualora abbiate scritte queste cose, farete di tutte un catalogo, e poscia procec!erete con ordine. Antepor- rete quelle che appaiono al di fuori , e tessete così una semplice storia M»o tempore , cum eram Medicina italiana ii5 luvenis sequeiis in practicam Montagnanum foroiulien- sem,Matthaeuin Broccardum, Caesarem neapolitaiium, qui tum erant clari, modus proprius in collegiis con- fusus lìabebalur. » Che più è a desiderarsi per provare il nostro as- sunto ? Pare anzi dalle ultime parole del Da Monte non esser del tutto ignota prima di lui medesimo. Solenander ( Consilioruni med/'cinalium spct. V. Hano^nae 1609 ) J»f^^fti «ella prefazione all'edizio- ne seconda de'suoi medici consultila onorata menzio- ne dei suo precettore e della clinica , l'utile costu- manza della quale egli viene a designare siccome già stabilita a que'tempi non solo in Padova, ma nelle altre scuole italiane. Chi, se non l'italiano Tommaso Moro, discepolo del Uà Monte, recò in Inghilterra l'insegnamento cli- nico ( Vedi la Re^>ue medicale i834) ? Erroneamente dunque si credette Silvio il pri- mo istitutore della clinica, e gli si die l'onore di aver unito a questa l'anatomica ispezione de'cadaveri. Dap- poiché, sebbene non sia chiaro doversi al Da Monte questa pratica, è però devoluta agl'italiani. Di fotti non parlando di un Marcello Donato e di un Eu- stachio,^ che indubitatamente esercitarono l'anatomia patologica, siccome dimostrano i loro scritti: tacen- do ancora di ciò che rinviensi nel Fallopio , nell' Acquapendente, nel Cesalpino, nel Botallo e nel Cor- ti: e volendo pur passare sotto silenzio la prima ce- lebrata opera di anatomia patologica del fiorentino Antonio Benivieni, De abditis nonmdlis ne miran- dis morborum et sanationum caussis (22), che di due secoli precedette il lavoro sublime di Morgagni; l'Oddo e il Bottoni « circa fmem octobris, quum coeli ij6 Scienze constitutio aliquanlum frlgidior esset, decreverunt mu- licrum, quae in nosocomio ilio morerentur, cadavera aperire, et auditoribus locos affectos et morborum fo- miles demonstrare ». Ciò viene confermato dal Com- paretli e dagli atti della nazione alemanna, nel pri- mo volume dei quali Icggesi un articolo confacentis- simo all'uopo, riportato per intero dal Montesanto. Siccome la clinica era dal Da Monte, e quindi dall'Oddo e dal Bottoni esercitata indipendentemente dalla cattedra di medicina teorica e pratica , e solo per genio, cosi è naturale che i loro successori per incuria, od anche per mancanza di abilità, non la pro- seguissero. E qui anche noi col signor Cervetto innalzere- mo un grido ai valorosi citladini di Verona, perchè non giaccia piri inonorato il Da Monte , ma gli si erga un monumento grande e nobile, per quanto lo richiede lo splendore e la fama del medesimo e di Verona. Lodevolissimo ci sembra il pensiero di ridurre la conversazione scientifica, clic si riunisce presso il nobilissimo podestà Giovanni Orti Manara, ad acca- demia patria, e di fregiare la sezione medico-chirurgica col titolo di collegio montano. o Quale e quanta lode si debba al eh. Cervetto non solo per questi bellissimi progetti , ma anco- ra per l'amor patrio, di cui mostrasi caldissimo so- stenitore, non è a dirsi, potendolo ogni gentile e ben- nato spirito comprendere di per se, Questa memoria, del cui estratto abbiam fregia- lo il nostro giornale, non è già una nuda biografia, ma bensì una storia ragionala degli studi e dei fatti di questo grand'uomo, cui la medicina italiana dej Medicina italiana i i y Stìcolo XVI (leve tanto. E quando diciamo la medi- cina italiana, possiamo pur dire la europea medici- na, come con profondissima e scelta erudizione egli mostra. Clic direm poi dell'aver egli rivendicato an- cora all'Italia l'uso primiero di sezionare i cadaveri, onde rintracciarvi le cause e gli effetti de'morbi? Che del quadro che egli fa della medicina di quei tem- pi ? Che infine di tante cose peregrine, di cui è ri- pieno il suo libro ? Diremo solo che son pregi di un ottimo scrittore e filosofo. Ci auguriamo quindi che il signor Cervetto vo- glia presto regalar la nazione e la patria di qualche altra produzione, illustrando i fasti medici di Verona, già tanto famosa in ogni maniera di scienze e di arti, E. C. B. 1 D a a (i) Rasori, Sul metodo degli studi medici : prolusione letta aprendosi il corso di clinica medica nell'ospedale militare di Mi- lano il i4 luglio 1808. Fu inserita negli annali delle scienze e lettere toni. IV, pag. 269, e riprodoUa nel II volume degli opu- «coli di medicina clinica. Milano i83o. (2) In fine dell'opera si riporta l'albero genealogico della nobilissima famiglia Da Monte di Verona. Il nostro Giambatti- sta è più noto col cognome di Montano. L'hanno chiamato an- cora G. B. Monti. (3) Nacque in Pavia nel i^'jS: ottenne nel 1^97 in quell'uni- versità una cattedra, ove dettò i8 anni : lesse quindi in Pisa ed ii8 Scienze in Padova. Clemente VII Jo dichiarò suo arcliiatro ( in quest'e- poca lo conobbe il Da Monte), e dopo la morte di quel poutefi- ee fu creato professore di medicina teorica e di poesia in Bolo- gna. Fu medico di Cosimo I (rinunziato avendovi il Da Monte), il quale nel i543 gli die una cattedra a Pisa ove morì 1' anno dopo. Lasciò le soguenti opere, alcune delle quali sono ancora con- sultate. I. Quaestio de pldeboioniia in pleuresi ex Hippocratis et Galeni sententia cantra communeni niedendi modurn.Yenezi-à i534f in 8. — 2. De venne seclione cum in aliis effeciihus, lum vel ma- xime in pleuritide, liber. J^ioue i558 in 8 piccolo, opuscolo so- vente ristampato. - 3. De curandis fehribus ars medica. Venezia i.56i in 8 Quest' operetta era stata già pubblicala nel i55. i con ultra sulla slessa materia di Guido Guidi e di Luigi Mercati. - 4- De prandii ac cenne modo. Roma i562. in 4- luoltre ha egli posti in luce alcuni commentari sull'anatomia del Mondini, ed al- cuni precidili sull'arie di consultare. (4) „ V'\-;\ i iiiolii titoli (/J.85 ì pel quali fia mai sempre me- morando alla poslcrilà il secolo XVI, non è certamente 1' ultimo quello degli onori fatti da tutti i regnanti ai medici italiani. Nel- la lunga coorte del professori onorati a quei di non dispiaccia udirne alcuni, che accettarono offerte le più generose, e splen- didissime cariche, onde cosi fia palese che il Da Monte fu a tutti superiore coll'anteporre la istruzione e la cattedra alle ricchez- ze ed agli onori di corte. Ricorderemo il Calmo archiatro di Filippo II, Alfonso Mariscotti bolognese medico di Ferdinando I di Portogallo, Apollonio Menabeno presso Giovanni re di Sve- zia, oltre i Gazio , i Ferdinandl, i Buccella, i Vincenzo Gallo tutti alla corte dei re di Polonia. E quanto non furono apprez- zati in Francia il padovano Borgarucci, il fiorentino Guidi , il Botali! protomedico di Carlo IX, il pavese Vimercati presso la regina Eleonora, Giauantonio Castiglione senatore e consigliere di Francesco I? Come tacere 1 beneficile gli omaggi resi dag^l'im- peradorl Massimiliano I e II, Carlo V, Ferdinando I e Rodolfo a Marliano e Giammaria Cattaneo, a Giulio Alessandrino, ad Andrea Camuzio, a Giovanni Battista Besozzi, al veronese Gua- rinoni .... ? (Vedi Brambilla ). ,, (5) „ Est ergo [scrive Zacchia Quest. med. legai tom. I,pag, 3i4. Lugduni i66i ) Montani sententia centra Hippocratis do- ctrinam apertissime, et falsum omnino .... ,, Il Capodivacca [Opera omnia. Venetiis i6o6, pag- 566) cosi dice; „Unde patet quod Moutanus vellt deprehendere Galenum: unde cum Montano esse non debemus. ,, Medicina italiana iiq Cosi infatti il Da Monte aveva parlato di Galeno: ,, Gale- mis fuit non dicam simplex, ne putatis me Galenmn deprclu-n- dcre, sed bonus vii", nimio quodam studio voluit se conformare Dioscoridi. ,,{Consultntioncs medicinales I. B. Montani a F'alen- tino Lublino paiono quani accurate correctae. Bononiae iSS.j, cousullo loi). Parlando poi dei polsi nel seguente consulto, co-' sì si esprime; ,, Nugas esse arbitror reliqnas dil'ferentias , qua» certe impossibile est cognoscere; et quod Galenus dividit postea genera pulsuuni usque ad minimum , credo ipsum risisse cum scriberet „. (6) Nella erudita Illustrazione delle terme di Caldiero nel veronese (lygS) dei valenti Bongiovanni e Barbieri, venne omes- so il Da iMonte nel catalogo di quelli che di esse parlarono. Egli di fatti ne fa spesse volte menzione ne'suoi consulti. (j) Il celebre Scipione Maffei conservava questa traduzione; ci ricorda egli il seguente primo distico: Die, dea^furtivos testatum lumen anioris Et iuvenein me dia quondam sub iiocte patentem. Il medesimo aveva pure un grosso manoscritto di lezioni inedite che venne perduto. Pola ci ricorda l' Argonautica, eia Tragopo- dagra : molle opere il Moscardo. (8) Se ne fecero divesse edizioni a Basilea in foglio nel i535, 1542 e 1549 •• ^ Lione nel i549 '" '^g^'o» ^ nel iSGg in quattro volumi in 11. La prima edizione però vide la luce in Venezia nel 1554 in tre tomi, il primo de'quali contiene 1 primi sette li- bri, il secondo i sei del Gornaro, ed il terzo gli ultimi tre tra- dotti egualmente dal Da Monte. (9) Fu inserito per intero alla pag. 44 ^ seg. dell'opera di Andrea Chiocco, De collegii veronensis niedicis et philosophis commentar a. Veronae typ. Angeli Tanti 1620 in 4- É compresa ancora uel Thesaurus antiqui tatum et historiaruni Ilaliae I. Geor- gi Gremii, tom. g,pars octava. (io) Pel primo egli pubblicò in Bologna nel i554 • consulti del Da Monte in numero di 157- (it) Basileae iSS^ in 8. Haller nella sua opera Hermanni Boerhaave viri summi suique praeceptoris niethodus studi i medici emaculata, et accessionibus locupletata ab Alberto Haller. Ve- netiis i553, tom- \\l, pag. 20, erroneamente pone iSo^. - Cosi venne ristampata in Basilea stessa nel i58.3 in foglio, ed in Fran- cfort nel 1087 in foglio. Altra edizione si ebbe a Vienna nel iSS^, il cui proemio di Cratone ha la data del i564 Nel frontespizio evvi un rozzo ritratto del Da Monte , e nel contorno è scritto : /. B. Montani veronensis et medici summi ef/lgies: vixit annosQZ: 120 Scienze obiit anno domini i55t die 6 maii, f^eronne sepultus. La 5 e 6 edizione fu pubblicata dal medesimo in Venezia nel iSSS-Sgpel Valgrisi, con dieci anni di privilegio concessogli dal senato. Rainero Solenander breslavo altra edizione fece a Lione nel i554 presso Gian Francesco De Gabbiani. In Basilea nel i583, essendovi unite le consulte del Belloccato di Padova , furono nuovamente editi. Nel medesimo luogo mercè delle cure di Filip- po Becchio e di Girolamo Donzelliui di Brescia (làSy in 8).L'Hal- ler ascrive le suddette edizioni al Donzelliui soltanto, ma è certo che vi cooperò ancora il Becchio. Lo stesso Donzellini, ristampa- ti questi più correttamente due anni dopo a Norimberga, pub- blicava una Collectio iionnulloriim openim 1. B. Montani cura excussa in duplici coluinine, che comprende vari trattati medici. Questa raccolta pubblicata a Parigi nel i556 in ii fu stampata di poi a Basilea in 8. Ivi per le cure del Donzellini nel i558: e nel i565 si ebbero gli Opuscula i'aria et praeclara,in quibus fere tota medicina mrlìiodica expìicatur in duo voluininn congesta. Vi sono uniti il Melhodus medicinae universalis, il Methodus the- rapeutica di Caio Britanno ed altri opuscoli di patologia e di dietetica. (17) Padova i554 in 4> nel seguente anno a Parigi, e nel consecutivo a Venezia, coll'aggiuata del libro De morbo gallico, nel sesto medesimo. (i3) Libri duo,Venetiis :553 in 8, per Baldassarre Costanti- ni. Altra edizione fu ivi fatta in due volumi iu 8. (i4) Opusculet tria. Venezia i554 e 56 in 8, dallo stesso Co- stantini; ed in Parigi i557 ^^ ^2* (i5) Basileae i554 in iQ, per Ioli. Oporinum. Vi si premet- te una lunga ed iuterressante epistola nuncupatoria. {16) Eccone l'elenco: Methodus universalis in artem parvam Galeni ad Glauconem. Lugduni ap. lofi. Frellonium i556 in 16 (di pagine i343 ). Il re di Polonia Sigismondo non isdegnò ac- coglierlo, sendogli stato presentato dal Lublino. Lecliones in nonum libruni Rhazez ad regem Almazoreni. Venetiis i5S^, e Ba- sileae 1QS1 iu 8. Fen. Avicennae in artem curandi ad Glauco- nem, che furono poste in luce dal Cratone. Lublino fece una se- conda edizione In primam Fen. libri 1 canonis Avicennae, Ve- netiis ap. Baldassarrem Costantinuni i554 in 8; ed In secundum Fen. libri I canonis Avicennae in qua agitar de causis , egritudi- nibus , accidentibus , pulsibus et urinis etc, non che l'altro Iit quartam Fen. primi libri, Venetiis ex officina erasmiana Vin- eenlii Valgrisii , et Baldassarris Costantini i556 iu 8 e iSSj. Cosi il libro Perìocha methodica in Galeni libros de alimentisi Medicina italiana i2I e l'altro De ordine in edendìs legendisqae Galeni libris servan- do, sul quale argomento la cesarea l)iblioteca, a quanto dice il Lambecio (cap. 8, lib- II. Vedi Maffei, Verona illustrala p. 171, lib. IV, noi), possedeva una dotta Iclteia cui il Da Monte diri- geva al celebre tipografo Luca Antonio Giunta in Venezia, pres- so il quale l'Ezio, e la maggior parte delle sue opere vennero pubblicate. Le Tabulae in tres libros artis parvae Galeni si stam- parono in Padova nel i538 in foglio. Questi e molti altri scritti ci vennero conservati per nome dal Bloscardo. Il manoscritto saibanle gSS conteneva l'esposizione dell'ar- te piccola di Galeno, detta barbaratnente ariicella. I) Weindrich nella sua prefazione dice avere il Da Monte scritte delle lettere in difesa del Leouiceno suo maestro, clie andò soggetto a tante vicende. ,, Auctor hic, egli dice, latinae et graecae linguae pe- ritissiinus fuit, ut .... et epistolis prò dejensione Nicolai Leoni- ceni scriptis elucet. „ Nessuno fa menzione di tali lettere. (17) Oltre i summentovali editori, avvi Giammatteo Dura- stante, il quale fece publilicare a Venezia presso il Costantini le seguenti due opere in 8: Io. B. Montani medici veron. de ex- crementis libri 2. Niiin medicanienta aequalia vel inaequalia sint, unus. Nec non de gallico ejfecto, iinus. lano J/alth. Du— rastantio etc. i556. — Io. B. Montani omnium suae olim ae— tatis et medicorum. et philosophoruni praecellentissimi in Avi— cennae primam Fen. profundissima conunenlaria eie. i558. (18; Io. Alphonsi Bertoni methodils curativa generalis et compendiaria ex Ilippocratis, Galeni, Avicennae et JWontani pla- cilis. Lugduni i558. Francfort i58S in 8. Melbodus therapeuti- ca ex Galeni et Montani sentenlia I Craton. Basileae i555 Vi;- netiis i56o in 8. Io. Caii Brùanui de medendi melliodo libri duo ex CI. Galeni pergaraeni, et I. B. Montani verouensis.principuni medicorum sentenlia. Basileae »544 •" 8. Cuiii imperiai, maie- stat. privilegio. — Bastino questi cenni per moltissimi altri. (19) Lanfranco di Pavia, arcivescovo di Canlorbery, nel ri- fabbricar questa città quasi interamente consunta dal fuoco, la ornò d'immense fabbriche, e vi fondò il primo spedale d'Inghil- terra nell'anno 1070. (20) Postiglione è di avviso che la clinica tragga origine dalle scuole di Coo, di Guido, di Alessandria e di Baj^'dad , ove i padri della medicina dettavano le loro lezioni mediche sopra gl'infermi stessi che gli si offrivano (Istituzioni di medicina cli- nica, parte I, pag. Qog. Napoli i8i4).Non conviene però col si- gnificato della parola clinica, allorquando dice ( ivi pag. 2i4) che,, Esculapio fu il vero inventore delia medicina clinica, per- 132 O G I E N Z E che egli il primo incominciò a visitare per le case gli ammalati a letto. ,, (2i) Explanatio eorum quae pertinent tum ad qualitatem simpliciiim medicamentorum, tura ad eorum compositionem. A Vincentio Casali brixiano. Excerpta ex decretis I. B Montani. (22) Benivieni fioriva verso il i495" mori nel iSaS. Le sue opere furono pubblicate a Firenze nel iSoy in 4» a Parigi nel i528 in foglio unitamente al libro di Galeno De plenitudine ^ ed a Basilea nel iSag in 8 colle ricette di Scribonio Largo. Storia ragionata di un'ascite cistica felicemen- te curata : letta nella seduta f/e'i5 di maggio 1840 della società medico-chirurgica di Bo- logna^ dal socio Paolo Predieri dottore in me- dicina e chirurgia, membro corrispondente dei lincei di Roma, e segretario di essa società. Et quia certissiinus sum,nihil aeque ad iudicium hac in re rile formandum conferve atque obsen'ationeni ex- actissìmam phoenomenorum naturaliuni, et morborum et pariter eorum quae in praxi cernuntur a iwantibus et laedentibus derii'ata, post ea sive remedia usurpa- ta, sii>e etiam medendi methodum ìstam quibus mor— hos depellere satagimus. Haec si diligenler inter se callaia f aerini ^ milii ostendunt, et morbi naturam et insuper unde nam curativae indicationes desumendae sint longe melius certiusque, quam si ad speculationem naturae huius aut illius principii corporis concreti tamquam ad Cynosuroruni cursuni dirigam. SvDENAM, DE HyDROPE. F. ra le differenti forme di idropc, che affligger pon- no rumana spescie, l'idrope ascile cistica così detta viene distinta dalle altre pe'i caratteri particolari che presenta, per la maggiore sua gravezza, e per trovarsi il siero rinchiuso in una specie di sacco o produ- AsciTK Cistica 12.3 zione morbosa rassomiglievolc ad una o più cisti. Que- sta spescie di ascite, come ne assicura l'illuslra Gio. Pietro Franch (i), è talvolta facile a confondersi colla vera idrope del peritoneo: per la qual cosa gli autori che intesero allo studio di tale infermità ingegnaronsi di i-intracciare una precisa sintomatologia che l'una dall'altra forma morbosa bene distinguesse. Nuli' os- tante ciò nello stato attuale della scienza non è sem- pre sì facile lo stabilirne una giusta diagnosi: e la semiologia di questa infermità potrà senza dubbio col tempo e colTaltenta osservazione sopra fatti moltipli- ci otteunere qualche perfezionamento. Lungi però dal- la pretensione di poter io provvedere a questo miglio- ramento dell'arte nostra, che conosco di gran lunga superiore alle mie forze, penso di non gettare inutil- mente l'opera mia, registrando le storie di un'ascite cistica che non ha molto mi riusci di guarire. E per- dio presso molti medici v'iia l'opinione che l'esecu- zione della paracenlesi in tale specie d'idi'ope diven- ti talvolta un ostacolo alla guarigione radicale di que- sta infermità, così io tanto più volentieri mi accin- go a riferirvi la minuta narrazione di questa cura e delle varie successioni morbose, che in essa mi av- venne di ossei'vare, in quanto che, come fra poco dirò, essendo slato costretto ad eseguire la paracen- tesi, ciò non impedì che vm congruo trattamento te- rapeutico non fosse da ultimo coronato dal piìi com- pleto successo. La signora V.L., orfanella di anni 17, di tempe- (i) De curandis hominum morbis. Tom. IX, §. De ascite ci- stica. 124 Scienze ramento così detto linfatico,

  • forze vitali che noi diatesi nomi- niamo. G. P. Fvanck, che dopo di lui ebbe tanta parte allo stabilimento della medicina razionale, di- stinta l'idrope in quella che dipende da vizio locale, ed in quella che riconosce per sua cagione una ma- lattia universale , suddivide quest' ultima nell'aste- nica e nell' ipcrstenica, non occultando la propria persuasione, che questa sia senza fallo piìi rara della prima. Però ove diligentemente ne piaccia di segui- re i suoi ragionamenti , di leggieri ognun s'accorge essere bisogno di spingersi ad opposta conclusione. Conciossiachè dopo di aver detto che vma gran parte delle idropi, in quanto alle cause, è adinaraica, sog- giunge che la qualità della debolezza dir non si può affatto la stessa, mentre quella (la diretta) trae la sua origine dal sottratto alimento delle forze, e questa (la indiretta] è a quella di sprone più violento del giu- sto. Né tace che l'abuso delle bevande spiritose e la frequente ubriachezza qui vi appartiene in ispe- cial modo; e che tutt'i mangiatori e grandi bevitori sono assaliti dall'idrope più spesso, che il rimanente degli altri uomini (2). Pare che il celebre Soemmc- (i) lastitutioaes mediciaae praclicae Burserii, voi. 4> e. 182. (1) Opera cil. $. 175. i/,.o Scienze ring non molto si scostasse dai pensamenti del teste lodato archiatro: imperocché avendo egli osservato, che le vene andavano unite sempre ai vasi linfatici, men- tre propendeva a dar colpa delle acquose raccolte a qualche vizio del sistema assorbente, vedeva però la necessità di pensare, che una tale imperfezione fosse subordinata alla ostruzione od all'infiammazione dei visceri linfatici che non compiono le loro funzioni. Tri- plice in vece credeva il Cruiskank che si dovesse con- siderare la cagione dell' idrope, cioè i.° la debolezza universale del corpo, ed il conseguente rilassamento dell'estremità arteriose, non che l'atonia de'vasi assor- benti; 2.° una preceduta infiammazione, la quale abbia aumentata la secrezione sierosa; 3." l'impedito libero corso del sangue nel sistema venoso per effetto di qualche meccanico impedimento: ciò che si risolve ne'pensamenti stessi degli altri due autori poc'anzi rammemorati. Né una dottrina diversa professava il celebre Tommasini, allorché con le sue dottissime lezioni illustrava la nostra scuola: poiché egli teneva che ogni preternaturale raccolta di acqua fosse di- pendente o dalla diatesi iperstenica, ovvero dall'iposte- nica, ed in alcuni casi da condizione organica o stru- mentale. Queste sole fra le tante sentenze degli au- tori ho qui ricordate intorno questo punto di me- diche dottrine, come quelle che tra loro maggiormente si accordano; perché non si oppongono a quella etio- logla che io sono venuto assegnando a questo caso di idrope ed alle complicazioni del medesimo; e per- chè a queste sole fra loro presso che confor"mi par- mi doversi senza dubbio darne la preferenza sovra ogni altra, sì per l'aggiustatezza de'ragionamenti che quelle sostengono, sì per la moltiplicità de'fatti che AsciTE Cistica r4* tutto giorno le vengono confermando. Volendo poi ad- durre da ultimo la miglior prova che desiderare si possa del mio concetto diagnostico, richiamerò qui compendiosamente il metodo di cura che riuscì più profittevole alla nostra inferma, non solo a combat- tere le varie forme che presentò la lunga sua ma- lattia, ma ben anche quella più profonda condizione di uno de'più nobili apparecchi, di cui, a parer mio, quelle non erano che una espressione. Fu infatti dopo la paracentesi, che insorse l'affezione del petto com- plicata di emoptoe, a combattere la quale furono ne- cessari cinque salassi; e fu apunto dopo di questi e di altri presldii controstimolanti, che il ventre comin- ciò a mostrarsi meno gonfio, e che a poco a poco la salute di lei si riordinò al segno da potere usci- re di casa già ridonata a discreta sanità. E fu di nuo- vo in seguito dei salassi, dimandati da quella ricadu- ta ch'ella fece per aver assistito un infermo suo pa- rente, ch'ella si preparò a quella crisi spontanea ed inaspettata, che cancellò affatto ogni apparenza di malattia. Crisi e conclusione. Se v'ha malattia, che per toccare un esito fe- lice abbia bisogno di una crisi nello stretto senso assegnato da Galeno a questa parola, e che l'immor- tale G. B. Testa sulle orme di lui la disse: Repen- tina mutatur (juaedam, et aliquid proprie affecfu digniim ex aegrotantium cor por e prodiens (i): que- (i) De vilalibus periodi* aegrotantium et sanorum, voi. I, pag. IO. i42 Scienze sta è certamente l'idrope, come lo sono del pari tutte le altre malattie che G. P. Frank cognominava coi solo vocabolo di ritenzioni. E comechè si narri es- sere talvolta avvenuto che l'idrope arrivasse a sciogli- mento mercè di larghi e copiosi sudori, ciò non ostan- te non è cosa da moverne dubbio, che la via giu- dicatoria di questo male la più facile e la piii fre- quente è quella delle vie orinarie. Per la qual cosa sembra a me, che quel vomito di materie vardastre, preceduto da dolore ai lombi, da prostrazione di for- ze, da gravezza di stomaco, e da mal essere univer- sale non facile a definii'si, che nel giorno 20 del pros- simo passato novembre venne a chiudere per l'ulti- ma volta i patimenti sofferti dalla suddetta inferma, si abbia a considerare come una vera metastasi cri- tica. Casi consimili di idropi addominali, guarite per interne metastasi e per vomito, trovansi notate dal Ven- turoli negli opuscoli scienlìfici di Bologna V. I, 1817, e dal Cavara raccontate all'istituto delle scienze di Bologna nella seduta de'22 gennaio i835. Narra il primo come una donna di media età, inferma di voluminosissima idrope, e che trovavasi nel- le sale mediche dello spedale maggiore di Bologna , venisse a lui consegnata perchè la operasse della pa- racentesi. Non avendo riconosciuto urgente il bisogno per questa operazione, si limitò invece a prescriverle per alcun tempo polverine di scllla: dietro l'uso del- le quali 1' inferma fu pochi giorni appresso assalita da vomito, pel quale, senza aver bevuto liquido di sorte alcuna, dovette rendere otto in nove libbre di acqua con sensibile diminuzione del ventre. Un tale inaspettato fenomeno lo incoraggi a proseguir oltre: e perciò nel giorno appresso le fu fatta prendere la AsciTE Cistica i43 squilla a dodici grani. Non lax'dò molto a ricompa- rire il vomito deiracqua stessa in maggior copia, e con diminuzione sempre maggiore nel volume del basso ven tre. Nel nono giorno il vomito ricomparve e fu sì abbondante die l'addome rimase affatto libero dal siero , clie per tanto tempo e sì ostinatamente aveva resistito al metodo di cura adoperato. Raccontò il secondo, die una donna ascitica già da sei anni, e nella quale, lentamente progredendo la malattia, erasi raccolta una straboccbevole copia d'acqua nel basso ventre, ne avesse nel breve spazio di sette ore emmesse /^i libbre per vomito, e cbe a questo stra- ordinario fenomeno ne susseguì un totale ed imme- diato votamento delle acque clic erano innanzi rac- colte nell'addome. Molte e diverse furono le teorie che furono immaginate per la spiegazione di queste me- tastasi umorali, la vera esistenza delle quali è pure comprovata da una lunga serie di fatti. Fra le ipo- tesi cbe furono immaginate, quella del Darwin è a pa- rer mio quella che meglio si presta ad una bella e comoda spiegazione. Avendo egli supposto un moto retrogrado ne' vasi linfatici presi da paralisia, o da movimenti morbosi: per il qual moto, in grazia delle loro anastomizzazioni, i liquidi assorbiti dai vasi sud- detti prendono un movimento inverso, e si traspor- tano pei vasi stesi a quelle parli a cui riferiscono altri vasi per lo stesso uffizio dell'assorbimento; ne diede con ciò un più conveniente e comodo mez- zo di spiegazione, di quello cbe facessero gli antichi che ammisero l'assorbimento dei liquidi trasportati nel sistema capplllare venoso. L'ipotesi del Darwin sem- brami ancora più ragionevole di quella del Portai, dell'Hallcr, e del Vansvieten col circolo particolare i44 Scienze per la tela cellulosa e per la grande espansione ed esteso dominio di questa su tutte le parti dell'umana macchina. Imperocché come Tassorbimenlo de'liquidi pel sistema capillare venoso ammesso dagli antichi ven- ne dall'anatomia dimostrato insussistente per la man- canza nel corpo umano di questo essere affatto ipo- tetico, assicurò ancora nuli' altra cosa assorbire le ve- ne in fuori che puro sangue. Le predette altre opi- nioni, che il circolo ammettono nella tela cellulosa, non possonsi ammettere: poiché, oltre all'essere finora ipotesi non dimostrata , come per essa si potrebbe dare spiegazione all'assorbimento dpgli umori raccolti, non già ne' cavi celluiosi, ma effusi nelle diverse ca- vità del corpo umano! Come e per qual forza po- trebbero essere assorbiti, penetrare nelle cellule , e continuare il loro cammino fino al luogo del nuovo deposito? Non così può dirsi della spiegazione che il Darwin dà alla metastasi. L'esistenza dei vasi lin- fatici e delle loro anastomosi è cosa fuor d'ogni que- stione comprovata: ne altro resta a vedersi che questo moto retrogrado , cui tutto induce a ritenere veri- dico. Infatti per questo supposto moto retrogrado, nel caso da me superiormente narrato, può dirsi che il fluido delle cisti addominali sotto l'azione dell'attivo metodo di cura adoperato, essendo stato assorbito dai linfatici, ne avendo potuto continuare il suo cammi- no, forse per la pressione sofferta da qualche tronco, o meglio per un movimento salutare ne' vasi, risve- gliatosi per quelle occulte azioni inerenti al miste- rioso nostro organismo, ma pure riconosciute talvolta esistenti, retrocessero i liquidi assorbiti per altri vasi laterali che mettevano capo nello stomaco: e per il vo- mito si vide sortirne il siero innanzi rinchiuso nelle AsciTE Cistica i45 cisti, rimanendone perciò affatto libera l'inferma. Non negherò io già alle forze della natura quella giusta parte che è loro dovuta nel suo scioglimento straor- dinario di una tale infermità, e per avere trovata una strada impensata per espellere totalmente l'ultima re- liquia della malattia; ma crederò per altro di non osar troppo, né di cader in fallo, se dirò che esse forze da se sole non sarebbero state da tanto, ove non fossero state aiutate dall'arte, ove la cura non fosse stata ra- zionale dal principio fino alla fine, ed ove non fosse stata attiva e coei-ente, non tanto verso le moltifor- mi fisonomie presentate , quanto con la diatesi co- stante di stimolo , e con la condizione patologica già segnalata, che dal principio al fine s'ebbe a fonda- mento di una si lunga infermità. Queste mie poche investigazioni intorno la mi- glior interpretazione del morbo narrato, che però tro- var potrebbero l'appoggio di non pochi altri fatti ed autorità, ho voluto qui presentarvele,colleghi onorandi, come semplici e non del tutto insussistenti congetture, onde ciascuno di voi prendendole in considerazione trar ne possa quegli schiarimenti, che ragionevolmente posso attendere dalla vostra perspicacia ed interessa- mento: poiché se non mi è dato di aver colto nel se- gno, non per questo collo studio di sì oscura benché fortunata soluzione del morbo ne ritrarrete minor van- ! taggio voi stessi e la scienza nostra, che al giorno d'og- gi intorno Tidrope cistica ben poco lascia sperare a quel medico che ne imprende il trattamento. È vaglia il vero quel dì che me onorava di sua assistenza il chiarissimo nostro preside cav. prof. Alessandrini qui presente, e la inferma angustiata e perplessa colla sua j presenza incoraggiava : come io scorgeva la necessità G.A.T.LXXX1V. IO i4^ Scienze di devenire alla paracentesi per prolungare una esi- stenza che ogni giorno più vedevamo estinguersi, era ben lungi dal ritenere una così compiuta se non prossima guarigione. E meco convenivane il sullodato esimio professore, quando conosciuto lo scioglimento totale del morbo, ed osservata la giovine libera af- fatto d'ogni malore, eccitavami per la importanza del caso, e per quel vivo interessamento che porta a' no- stri studi, a farvene non breve narrazione. Il quale suo interessamento quanto egli sia ed onorando e pro- fittevole, ciascuno di voi lo ha di già scorso, perchè io osassi apporre a lui la mia insufficienza in si dif- ficile ed astrusa materia, e non venissi oggi stesso, come per me meglio jìotevasi, a dirvene questo mio qualunque siasi ragionamento. =-«»^^&0€^3H=-- •4? LETTERATURA Intorno la moneta gallica di Tatino. Disserta- zione recitata alia pontificia accademia roma- na di archeologia neW adunanza Je'i6 di mar- zo 1889 dal socio ordinario e censore prof. Salvatore Betti segretario perpetuo delVinsi- gne e pontificia accademia di s. Luca. I. ^^uanclo nel passato anno mi concedeste, emi- nentissimi principi, onorandi colleghi, di parlarvi da questo luogo intorno al flunoso denaro della gente Tizia (i) , appena avrei potuto mai credere , non che sperare, che quella mia congettura dovesse con tanta cortesia e bontà essere ricevuta. Dico bontà e cortesia : perciocché con egual animo considero e le approvazioni benigne che me ne giunsero anche di là dall'alpe, e Je contrarie osservazioni che con rara benevolenza me ne furono fatte da un dottis- fi) Vedi il tomo IX degli atti dell'accademia romana di ar- cheologia. l/^Q Letteratura simo ed amicissimo. Nel render dunque del pari si agli uni e sì all'allro le grazie più affettuose, stimo a quest'ultimo non poter dare una più certa dimo- strazione di amore insieme e di ossequio, che facen- domi oggi alquanto ampiamente a disaminare innan- zi a sì chiari archeologi e letterati quelle sue osser- vazioni medesime, e rimettendone all'autorità vostra il giudizio : dispostissimo, o signori, qual sono stato mai sempre a confessar volentieri di avere errato. II. Le obbiezioni, che il mio illustre amico mi fa, si fondano principalmente sull'antica moneta in rame col nome di Tatino. Ci porge ella dall'una par- te l'immagine medesima alata e barbata, ch'è nel de- naro di Q. Tizio : dal! altra un uomo a cavallo con una ghirlanda in mano. Nell'esergo ha scritto il no- me TATINOS. Pubblicolla forse la prima volta l'Haym nel Tesoro britannico , poi il Pellerin nel Recucii ^ e quindi più correttamente l'Ennery nel Ca- talogo^ e nel Supplimento il Mionnet. Ora doven- do essere probabilmente questo Tatino un vergobre- to, o brenno, o capo de' galli, credette quindi per primo ingegnosamente il celeberrimo nostro collega Bartolomeo Borghesi, che d' al Ira divinità non fosse quella testa alata e barbata , che del Mercurio gal- lico, ovvero Tentate : la quale fu accolta poi, non so perchè, nel proprio denaro da Q. Tizio , cui l'insi- gne numismatico suppose essere stato uno de' que- stori di Cesare nella Gallia (r). Sicché, dice il mio contradditore, trovandosi quella immagine con tanta (i) Osservazioni nurnisiualiche, decade XI, osserv. II. V. il Qiornale Arcadico, volume del mese di dicembre 1824, a cart. 2()5. Moneta di Tatino i^o certezza in una moneta autonoma della GalHa, non può ella essere assolutamente, come tu vuoi, del Mer- curio pelasgo, o greco o latino, divinità del sonno. E tale non essendo, tu vedi come del tutto cada la tua congettura, ch'ella stia cioè nel denaro di Tizio per la ragione che forse la gente Tizia trasse 1' ori- gine e la denominazione da quel rustico Tito , il quale ebbe in Roma il mirabile sogno narratoci da Livio. Confesso, o signori, che questa obbiezione por- gesi a primo aspetto con certa qnal gravità. E come potrebbe non essere, venendo da uomo tale ? Se non che avendola più sottilmente considerata, mi è poi sembrato , o io m' inganno , di poter tuttavia senza nota di arroganza rimaner saldo nel credere , che la moneta del regolo della Gallia, come essenzialmen- te più moderna del denaro di Q. Tizio, niente noccia alla verosimiglianza (così almeno la chiamerò) di quella mia opinione. III. E primieramente nella mia dissertazione già provai, non poter essere il nostro Q. Tizio colui che fu questore di Cesare nella Gallia. Imperocché il te- soro di monete romane disotterrato a Fiesole, ed il- lustrato dal fu mio amico d'insigne memoria cavaliere Zannoni, ci ha chiaramente mostrato, che il denaro di Tizio aveva già corso al tempo della guerra marsica, in cui esso tesoro con certezza isterica fu nascoslo. Con - vien dunque, come ognun vede, assegnare assolutamen- te al fiorire di Q. Tizio una età più alta che non è la cesarea. Ma temo che più alta ponendola, non ci oc- corra un secolo, in cui i galli, come pure i germani e 1 britanni lor confratelli, e generalmente tutti i popo- li di origine celtica o scita, non ebbero immagine al- cuna di divinità con effigie umana. Questa infatti è i5o Letteratura intorno la religione de'galli, in mezzo a tanta oscurità di tempi, l'opinione ch'io sappia più comunemente ri- cevuta da'critici. Ed invero non so chi potrebbe con- traddire sì di leggiei'i all'autorità di scrittore cotanto firave e nelle antiche memorie esercitato, quanto fu Clemente alessandrino: il quale nel primo degli Stra- meti (i), là dove a lungo discorre intorno alla sapien- za de'barbari che precedette la greca, e che coU'ido- latria delle immagini non offese l'adorazione della di- vinità, ricorda ( insieme col nostro Numa ) e i pro- feti degli egizi, e i caldei degli assiri, e i druidi de' galli, e i semanei de'battriani, e i fdosoli de'celti, e i magi de' persiani. Sicché io credo, o colleghi, che solo per quesla severità di culto troppo leggermente interpretata da'noslri, che ad ogni passo avevano in- nanzi la materiale sembianza di una deità, dovette poi Cicerone a suo grand'uopo, intendendo di scemar fe- de alla testimonianza de'galli nella difesa pel suo Fon- teio, chiamare oratoriamente que'popoli ab religione remotos (2). Se pur non voglia imputarsi al gran- dissimo una somma ignoranza isterica, o farlo mani- festamente contraddire a Cesare, che anzi scriveva : Natio gaUorum omnium admodum dedita religio- nibus (3). Per questa severità parimente ebbe forse a dir Celso, non contrastante Origene (4),chei drui- di professavano , non altrimenti che i galatofagi di Omero ed i geti , la parte più pura della religione pagana : somigliando assai il loro culto verso gli dei (i) Gap. XV. (2) Oratio prò Fonteio, cap. VI. (3jBell. galllc. lib. VII, cap. XVI. (4) Adversus Celsum lib. ì, cap. III. Moneta di Tatino i5i a quello che grisraeliti rendevano al vero Dio, Ora io non veggo che assolutamente per altro potesse far- si una tale comparazione fra la religione ebraica e la druidica , salvo per l'ahhorrimenlo eh' ebbero del pari ambedue a dare un sembiante umano alle loro divinità : essendoché sia certissimo che scellerata ed orribile, e forse piii assurda delle altre religioni pa- gane , le quali già nel secolo di Celso andavano di molte verità illuminandosi così per la santità cristia- na , come per la romana sapienza , fu la druidica in alquanti dogmi : almeno per le notizie che con alcuna sicurezza sonoci pervenute intorno a que' tremendi secreti. Fino a credere esser cosa alle ani- me de'propri amici carissima il gittarsi ad ardere sul rogo insieme co'loro cadaveri; anzi fino a credere così spietata e malefica la divinità , che più grata offerta non potesse farsele del sangue degli uomini, come af- ferma Cesare, e come pieno di orrore Tullio ripete. Qids enim ignorai ( così l'oratore ) eos iisque ad hanc diem retinere illam iininanem et harharam consuetudinem hominum immolandorum ? Quamo- brem quali fide ^ quali piotate existimatis esse eos^ qui etiam deos iminortales arbitrentur hominum scelere et sanguine fac illime posse placari (i) ? Laonde ne scrisse poi Lucano que'terribili versi : Et quibus immitis placatur sanguine diro Teutates, horrensque feris altaribus Hesus^ Et Taranis scjthicae non mitior ara Dianae (2). (t) Loc. cit. cap. X- (2) Pharsal. lib. I, v. 444- iSa Letteratura Il che in fine concordemente confermano e Svetonio nella vita di Claudio (i), e Plinio nell'istoria natu- rale (2): là dove di più ci attesta, che hominem oc- cidere religiosissimum erat^ mandi vero etiam sa- luberrimum. Oh certo religione degnissima di usar per coppa de'suoi sagrifici ( mi vergogno dell'uman gene- re ) il cranio de'miseri cui sterminò il .coltello drui- dico ! Vero è che anche altre nazioni vituperarono sovente se stesse con tali atrocità : ma ninna certo ricordasi che in ciò uguagliasse la gallica : se pur non fossero la cartaginese e la messicana, nelle cui religioni, o per dir meglio ahbominazioni della terra e del cielo , tutto era strazio , sangue e spavento. Ne i popoli dell' Italia stessa ne andarono talvolta esenti, siccome quelli che il tristissimo dono proba- bilmente ne ricevettero dalle colonie fenicie. Ma ol- treché le are nostre, eziandio nelle età più lontane, ognora fumarono assai scarsamente di sangue umano: né mai qua sorse una bestiai ferità, siccome altrove, ad accrescere gli orrori del rito e della superstizione: è fuor di dubbio che assai per tempo , e prima de- gli egizi e de' greci, sia per gentilezza d'indole, sia per virtù di educazione o per sapienza di leggi, noi ci to- gliemmo a tanta contaminazione. Sicché già quattro- centottant'anni innanzi l'era volgare quasi tutto il pae- se ch'è di qua e di là dal faro (salvo pochi esempi di popolare insania) aveva così diradicata dall'animo delle sue genti quella straniera barbarie, che il siracusano Gelone, poiché il giorno stesso della battaglia delle (i) Cap. XXY. (a) Lib. XXX. cap. i. Moneta di Tatino i53 Termopili ebbe sconfitti trecento mila cartaginesi ad Imera, impose a'vinti per umanità vera di cuor gen- tile ( non per bassa ragion di commercio, come oggi avviene pur troppo di alcuni falsamente pietosi del traffico de'negri ) di cessare in tutto da que'loro de- testabili sagrifici. Al elle aggiunger volete, o signori, un'altra au- torità non meno, se io non erro, grave e solenne ? Osservate il fatto : essendoché in una regione così vasta e possente , come fu sempre la Calila ( ed il medesimo dirò della Britannia, là dove ebbe origine la dottrina druidica) , ancora non si è trovato al- cun segno o di moneta veramente celtica o di scul- tura, il quale ci rappresenti altre immagini di numi, che non sieno precisamente greche o romane. IV. So che il nostro onorando collega marchese Fortia d'Urban (i), contrastando soprattutto al Du- clos, non si tenne convinto a queste ragioni: e recò principalmente innanzi le parole di Cesare: Deum maxime Mercurinm colunt: hiiius sunt plurima si- mulacra (2). Ma so ancora che può bene rispondersi all'illustre francese, essere assai ampia la significazione del vocabolo simulacro , ne sempre voler darsegli quella d'immagine con volto umano. E simulacri potè Cesare nominare, con assai proprietà di favella, le co- lonne di pietra e i tronchi d'alberi, che secondo la pri- mitiva religione degli orientali, e per sentenza del Bail- ly anche di tutti i settentrionali (per non dire de' greci (1) Tableau liiston'que et geographique du monde. Tom. Ili, pag. 62 seq. (2) Bell, gallic. lib. VI, cap. XVII. i54 Letteratura stessi, innanzi che i pelasgi recassero loro i cabiri, cioè le prime divinità, secondo Erodoto, die in Gre- cia ebbero un nome), ricordavano a'popoli non l'ef- figie de'numi, ma il luogo delle preghiere e de'sa- grifici, e l'inviolabilità degli asili. Così Tacito infatti nominò simulacro la colonna che veneravasi in Pafo come simbolo della divinità di Venere: Simulacruin deae, non effìgie hiimana, continuus orbis latiore initio tenuem in amhitum^ nietae modo, ex sur- gens (i). E così pure Clemente alessandrino tutte le altre colonne sacre nominò generalmente ut^ì^pv ixocrx (2). Vuoisi di più? E cosi ay^lrxocì aggiungerò infine, fu delta da Massimo tirio (3) la quercia, onde appunto i celti fino al suo tempo significavano an- cora la deità di Giove. E come inoltre avranno chia- mato quel tronco che adoravasi in Tespia , se non il simulacro di Giunone citeronia? Come la pietra che da Pessinunte fu trasportata a Roma, se non il simulacro della gran madre idea? Come la colonna ch'era nel tempio di Delfo, se non il simulacro di Apollo delfico? E l'asta, che antichissimamente ebbe ossequio di religione da'nostri avi, si sarà forse chiamata con altro nome ne'templi, che con quello dì simula- cro di Marte? Il fatto è intanto che Livio, favellando appunto del Mercurio Teutate in Ispagna, là dove do- minarono già i celtiberi, popoli per una medesima ori- gine fratelli de'celto-galati, dice che presso a Cartagena era esso rappresentato per un rialto di terra: Quod (i) Histor. lib. I, cap. III. (2) Stromat. lib. I, cap XXIV. (3) Discorso XXXVIII delle edizioni comuni^ ed VHI di quella del Davizio: Se si debbano dedicare statue agli dei. Moneta di TATino i55 ubi versus Scipio in tnmuliim, qupm Mercurium Teutatem appellante advertit multis partibus nu- data defensoribus moenia esse, omnes e castris excitos ire ad oppugnandam urbem etferre scalas iubet (i). V. Molto meno sembra confortare l'opposizione, 0 il dubbio che dir vogliasi, del signor marchese For- tia un passo ch'egli reca di Dlodoro siculo, il quale parlando della gran probità de'galli ci narra, che si- curissime da ogni rapacità popolare in quel paese erano le lastre d'oro che ornavano il pavimento de' templi. Avevano dunque, scrive il signor marchese, avevano i galli, oltre a'simulacri, anche i templi ove adoravano i loro dei. Lasciando stare però che le parole zèfievcg e lìpóg, usate ivi da Diodoro, possono in amplissimo signi- ficato interpretarsi anche generalmente per semplice luogo sacro, per sacro terreno: cosa ben diversa dal vocég, o sia aedes, secondo le ragioni che ultimamente ce ne ha rese l'altro esimio nostro collega cav. Se- bastiano Ciampi (2): e lasciando stare altresì, che Diodoro fioriva nel secolo di Augusto, in un tempo cioè che per la conquista di Cesare la religione de' vincitori era già passata in un colla lingua ad essere anche la religione de'vinti: certo a me non pare, o signori, dover credersi cosa strana che una nazione abbia i suoi templi, come a dire i luoghi sacri là do- ve il popolo adunasi ad adorare e sagrificare, senz' (t) Lib. XXVI, cap. XLIV. (2) Della distinzione di templum e à'xfanum- Nel voi. V del suo insigne volgarizzamento di Pausania, a carte CXXXIX. i56 Letteratura avere perciò veruna immagine di deità. Non ebbero forse un tempio gli ebrei, dove non appariva effigie alcuna dell'Onnipossente che vi si adorava ? Non n' ebbero forse un altro i gaditani, ove Ercole ben ve- neravasì: Sed nulla effigie s simulacrave nota deorum Maiestate locum et sacro implevere timore (i) ? Non n'ebbero forse molti, parimente senza veruna ef- figie, i romani per ben CLXX anni dopo il re Numa, come coU'autorità di Varrone ci affermano Plutarco, Clemente di Alessandria, Tertulliano e s. Agostino? Anzi non istette costantemente, finché in Roma durò il paganesimo, senza veruna immagine il tempio di Vesta? Esse diu stultus Festae simulacra putavi: Mox didici curvo nulla subesse tholo. Ignis inextinctus tempio celatur in ilio: Effigiem nullam Vesta nec ignis habent (2). Se non che, o colleghi, questi templi gallici, prima della romana conquista, parvero pure impossibili, e con gran ragione, ad un altro dotto francese, al mar- chese di Orbessan (3). (1) Sii. Ital. lib. Ili, V. 3o. (1) Ovidius, Fastor. lib VI, v. agS. (3) yUruve contemporain de Cesar , Strabon sous Vempire de Tibére, Hèrodien dans son histoire jusq' à Gordien le jeune , ont remarqué, que les gaulois ne hdtissoient encore leurs mai- sons que de charpente et de terre grasse. le Vaidéjà dil, et e' est Moneta di Tati no iSy VI. Ma se i galli originalmente avevano di tali immagini con volto umano, anziché solo quelle in- formi pietre che diconsi comunemente menhiri e peulvani, ovvero druidiche: e quegli alberi , ne'quali fino a'tempi di Massimo lirio, cioè fino all'impero degK Antonini, amarono riverire le loro divinità: ond'è che appena incominciarono ad aver moneta, uscendo di quella estrema ignoranza di tutte le arti che non fossero di agricoltura e di guerra , come scrive Po- libio; ond'è, dico, che in essa moneta non vollero aver altro che le divinità della Grecia colle loro for- me e con tutti i loro simboli? Ond'è che non ci die- de invece le proprie un popolo così non pur devo- tissimo alla sua religione (i), ma pieno di se, ed or- goglioso, e, secondo l'eterna presunzione dell'igno- ranza, disprezzatore degli stranieri, come ce lo dipin- ge Diodoro (2)? E, parlando più specialmente della divinità di Mercurio, ond'è che ]\inno capo de'se- quani, nella sua moneta autonoma recataci dal Bou- teroue (3), fece anzi rappresentare il Mercurio gre- co che il gallico? Si certo, o signori, il Mercurio greco: essendoché giovane e bello ed imberbe, e colle ali graziosamente al capo, ben dimostra non esser co- sa barbarica. Ed in esso appunto ravvisò l'Avercam- une illusion que. de leiir attribuer quelques vieux éclifices trouvés en France, et quon prélend avoir élé des temples consacrés à leurs diviniles. Ce ti est que depuis les roiiiains, que les temples devinrent coinmuns, quand ils en eurent adopté la religion et les usages. D'Orbessaii, Vaiiéles litleraires, toui. I, pag. 249. (i) Dionigi d'Alicaruasso, Antichità romane, lib. VII, e. LXX. (2) Lih. I, cap. XXXI. (3j Recherchcs curieuses des Tnonoyes de France, pag. 56. uum. 45. i58 Letteratura pio (i) il supremo nume de'galli, cosi ritratto cioè, quando più tardi rilassandosi la nazione da quella sua austerità religiosa, o per dir meglio orridezza di chi reputavasi discender da Dite, ne più vivendo schia- va alla tirannide ed ai misteri dei druidi, potè infi- ne lasciarsi andare più liberamente alla naturai sta vaghezza di cose nuove, e volere quasi generalmente anch'essa, divenuta romana, avere deità figurate alla nostra foggia. Dissi quasi generalmente: perciocché la testimonianza del filosofo di Tiro ben mostra, che anche alla metà del secondo secolo dell'era volgare trovavansi pur molti nella Gallia, che tenevano tut- tavia le antiche pratiche del loro culto. Tanto è ve- ro, che più forti di qualunque divieto od ordine ci- vile sono in tutti i popoli le fondamenta della reli- gione degli avi! Or qual differenza fra l'immagine vi- rile, barbata e diademata del denaro di Q. Tizio e del nummo di Tatino, e quella così leggiadra, e qua- si direi partecipe dei due sessi, secondo le dottrine degli egizi e de greci, la quale osservasi nella mo- neta di Ninno? Né parlo degli altri Mercuri, trova- ti parimente nelle Gallie e pubblicati dal Montfaucon e dal Caylus: Mercuri ugualmente di effigie greca o romana, e tali anch'essi da render certissima la sen- tenza del Carli nelle Lettere americane^ che la mi- tologia non fu che da' greci e da'romani recata a' po- poli settentrionali. VII. Ma io vorrei che il mio dotto amico e con- traddittore mi dicesse in quale precisa età stimi egli coniata la moneta di Tatino, e quando vivesse, e chi (i) Ad Orosium, lib, VI, cap. VII, pag. 388. Moneta di Tatino iSg fosse il gallo che vi ha posto il suo nome. Io, si- gnori, assolutamente non credo dover essere stata co- niata in una età più antica della conquista di Ce- sare: avendo come ho per certissimo, che i galli non incominciarono se non dopo quel tempo ad usare nelle cose pubbliche la lingua latina: greche essendo tutte le loro monete autonome che lo precedettero. E greche infatti dovevano essere: che non avendo i popoli della Gallia, come altresì quelli della Germa- nia e della Brilannia, un carattere loro proprio al- fabetico, ognun sa che in quella somma ignoranza e barbarie adottarono, posciachè tardi ne conobbero il bisogno, l'alfabeto della colonia focose, la quale regnando fra noi il vecchio Tarquinio aveva fondato la città di Marsiglia. Questo grecismo ch'io chiame- rò tutto estrinseco e materiale, perciocché si ristrin- se da prima a'soli elementi delle lettere, ne per so- miglianza di voci si stese a veruno di que'tanti loro e sì vari linguaggi che dal greco furono appieno di- versi, appartenne a tutta generalmente la nazione de' galli, senza farne eccezione alcuna: né pure per la provincia narbonese, i cui sicurissimi monumenti dell' anlichilà che il tempo ci ha serbati, quelli cioè delle monete, sono lutti ugualmente greci, anche dopo la fondazione a Navbona della colonia romana nell'anno varroniano DCXXXVI. Anzi senza farne eccezione per la stessa Gallia di qua dall'alpe. Imperocché se è vero che ad Acilio, città della Venezia, appartenga- no le due monete autonome pubblicate dal Pellerin, sarà pur vero che anche la Gallia togata in un suo tempo non antichissimo usò ne'pubblici atti della na- zione, per conformarsi alla bracata ed alla cornata (co- mechè i dialetti de'paesi circompadani avessero i loro i6o Letteratura alfabeti italici, secondo che provasi chiaramente da pa- recchie iscrizioni euganee), usò, dissi, i caratteri greci: essendo con greca epigrafe ambedue quelle monete. Se non che io venero più volentieri il giudizio dell'Eckhel, il quale non pur dubitò de'nurami di Acilio, ma dimo- etrossi incertissimo se la Gallia cisalpina avesse mai avuta veramente moneta autonoma. Certo è, dic'egli (i), che fin qui non possiamo con fondamento affer- mare d'essercene rimasa alcuna precisa memoria, o al- cun segno od esempio. Al qual giudizio recano oggi novella forza questi due chiarissimi nostri colleghi, i padri Marchi e Tessieri della compagnia di Gesù: che fondandosi in molte gravi ragioni hanno, per quanto a me pare, omai con evidenza mostrato che le cele- bri monete riminesi di getto, con que'loro simboli tirreni od italici, non solo non sono galliche, come alcuno stimò per la rozzezza dell'arte: ne operate al tempo della nostra repubblica dopo la cacciata de' galli nel CCCCLXIII di Roma, come in vece opinò il Lan- zi: ma sono bensì anlichissime umbre, secondo che può vedersi nella insigne loro opera testé pubblicata sxAVaes grave del museo lùrcheriano. Vili. Né sia chi pensi, accademici, che questo no- me di umbro tanto valga appunto nelle nostre anti- chità, quanto quello di gallico, come alcuni hanno fa- voleggiato. Perciocché parmi avere abbastanza rispo- sto loro e il Guarnacci e l'Olivieri ed il Lanzi, ed altri maestri dottissimi delle cose ilaliche : co' quali omai starà volentieri chiimque stranissimamente ri- fiutare non voglia tutte le ragioni della lingua, della (i) De doctrin. nuni. vcter. torri. I, png. 5. Moneta di Tatiko i6i religione, delle costumanze, della cronologia, delle ar- ti : anzi la luce di tutta l'istoria. Certo la gente de- gli umbri ( antiquissima Italìae, come la chiama Pli- nio ) tenne la regione di qua e di là dal Po innan- zi la venuta de'pelasgi : e quindi il loro imperio fiorì molte età prima della guerra di Troia. Il che vai quanto dire, ch'esso fu intorno a que'secoli, ne'quali le terre settentrionali d' Italia , che per le osserva- zioni de' geologi hanno a reputarsi le ultime del bel paese che cessassero di esser palustri, da poche e ra- de popolazioni erano abitate qua e là : popolazioni che da'paesi nostri meridionali in tanto colà passava- no a dimorare, in quanto o per l'opera degli uomi- ni, o pel beneficio della natura quelle terre si face- vano atte ad essere coltivate. Ora appena v'ha dub- bio, che ad antichità sì alta que'galli, i cui discen- denti sono oggi così gran parte della gentilezza e del- la sapienza di Europa, non fossero tuttavia nella peg- glor condizione di una vita orrida, selvaggia e qua- si ferina : d'onde la sola ignoranza , che i greci eb- bero sempre de'fatti degli altri popoli, dice il savio Strabene (i), avrebbe senz'altro esame potuto trarli, perchè fiorentissimi si stendessero per Europa o ad esercitare i loro traffici o a far conquiste o a fonda- re colonie. Non può intanto esser quistione, ch'ove il levarsi in armi e il passare di que'feroci al guasto d' Italia non abbiasi con Diodoro e con Giustino a porre negli anni circa CCC di Roma, non debba al- meno volersi con Livio recar più addietro del CLXIII: com'è pure certezza isterica ( se fra'critici hanno a (1) Lib. V, cap. XXXIII. G.A.T.LXXXIV. i6a Letteratura valer più le testimonianze che ci rimangono di scrittori gravissimi, anziché fingerne altre a capriccio, giuocan- do in tutti i sogni delle congetture ), che solo allo- ra la prima volta da piede umano furono varcale le alpi, che innanzi si stimarono avere a tutti difeso il passo: essendo favola che quegli altissimi gioghi e diru- pi in altri tempi si porgessero facili ad Ercole e alle sue genti. j4lpes quidem (è Livio medesimo che parla) oppositae erant^ cjaas ine x super cibile s visus haud quidem miroj\ nulladum via ( quod equidem con- tinens ulta memoria sit, ni si ab Hercule^ sifabu- lis credere libet ) superatas (i). Sicché vedete, o signori, età modernissima rispetto a quelle de'siculi, degli umbri, de'tirreni, de'pelasgi, degli elrusci ! Ve- dete a che possano mai riescire, chi ben considera, le tante vanità di un'antichissima lingua celtica tra noi, onde non pur la latina, ma fin l'etrusca presu- mesi derivare! No, colleghi: l'Italia primitiva , orien- tale d'origine e di costumi non altrimenti che stata sia tutta quanta la civiltà degli antichi popoli di oc- cidente (e scriva quanti sofismi sa immaginare l'in- gegnoso Bailly (2) ), l'Italia primitiva niente potè in- dubitatamente ricevere dalle genti di là dall'alpe, ti'op- po a que'tempi salvatiche; e molto meno il dono di un idioma con caratteri alfabetici, ch'esse non ebber giammai. Noi si per ben due volte demmo loro la favella de'nostri avi : così quando vincemmo , come quando fummo vìnti da esse: essendoché con gran sen- io Lib. V, cap. XIX. (2) Niuno più viuoriosanieiile dello spaglinolo Giaiifrance- sco Masdcu ha confutato questo francese filosofo. Vedi la sua Istoria critica delle Spagne, tomo I, parte II. Moneta di Tatino i63 no già dicesse il mio sommo Vincenzo Monti: Nel fat- to delle lingue con esser la forza delle armi che de- cide la lite, ma quella degli scritti depositari delV umano sapere (i). La prima volta i galli ebbero di qua dall'alpe da noi la lingua etrusca, allorcbè sce- sero con Belloveso: la seconda ebbero di là dall'alpe la romana, quando noi poscia guidati da Cesare, sog- giogato avendo quella immensa regione, ne facemmo per tanti secoli una italiana provincia. Quest' ultima lingua adoperarono essi nell'usanza comune per ot- tocento e più anni; e tanto loro giovò, com'è noto, insieme colla greca e colla gerraanica a dar forma e colore al nuovo sì gentile e sì bello idioma eh' ora chiamiamo francese. Dell'altra servironsi coli' andar dell'età nell'Italia settentrionale, dopo la discesa e le vittorie del CLXIII: essendoché troppo chiara e so- lenne sia qui pure l'autorità del gran padovano, così intorno all'ampiezza dell'impero etrusco, che su tutta Italia si stese fino alle alpi: Usque ad alpes, exce- pto venetoritm angulo (2): come intorno al linguag- gio dell'antica madre, che a' suoi giorni parlavano tut- tavia gli abitatori delle alpi, sebbene per la fierezza de'luoghi divenuti fieri ancor essi, in molte parti lo corrompessero: Quos loca ipsa efferarunt, ne quid ex antiquo, praeter sonum linguae, nec eum in- corruptum, retinerent (3). Queste cose, o accade- mici, son positive: elle sono anzi le sole, che non pure la lealtà de' nostri, ma sì quella de'letterati fran- (1) Monti, Dialogo X. (2) Livio, loc. cit. (3) Ivi. i64 Letteratura cesi (di alquanti d&'quali mi è carissima l'amicizia) vorrà concedermi esserci tramandate con più sicura testimonianza dall'autorità degl'islorici: e ad impugnar- le dopo tanto volger di secoli, e dopo la perdita ir- reparabile de'più antichi linguaggi italici, e soprattutto dell'etrusco e dell'umbro dominatori, ben altro vuoisi che non so quali sottigliezze o immaginazioni di eti- mologie: merce, come ognun sa, di picciol'opera così a farsi come a disfarsi: e quindi, se altro pregio non le si aggiunga, d'assai poco o niun credito fra'veri dotti. Se non che quando ci darete voi, esimio Giampietro Secchi, ch'io qui veggo ed onoro, quando quella sì desiderata vostra opera, in cui ci aprirete (ed è cosa veramente da voi ) ciò che la vostra grande scienza delle antichità, e delle lingue massimamente orientali, ha con gravità di giudizio saputo ritrarre a dichiarar quello che delle antichissime favelle de' nostri mag- igiori è potuto scampare alla distruzione de'secoli ? IX. Ma tornando al principale subieltto, d'on- de, o colleglli, non senza alcun utile delle dottrine che corrono mi sarò qui dilungato, non prenderò for- se errore nel credere, che tutte le monete galliche, le quali recano scritto in latino il nome di un bren- no, o vergobreto, o magistrato gallo : come, per esem- pio, quelle di Orcitirige, di Docio, di Arivo, di Ta- tiro, di Tatino, di Ninno, e di altri; sieno state co- niate di là dall'alpe nel tempo che corse fra la con- quista di Cesare ed il triunvirato: s'egli è vero, co- me a questi giorni scrivevami un solenne maestro ed amico carissimo (^ il Borghesi teste lodato ) , che solo debbasi atlribuire a'iriunviri l'aver tolto alla Cal- ila il diritto di più battere moneta autonoma. Il che quindi conforterà il dubbio già gravemente messo in- Moneta di Tatino i65 nanzi clall'Oderico intorno alle due monete col nome latino (li Orcitirige: ed a lui darà vinto, ch'esse non possono appartenere a quell'elveto Orgetorige, di cui parlò Cesare come d'uomo ambiziosissimo , il quale morì uno o due anni piuma che si accendesse la guer- ra gallica. X. Ora se Tatino non potè vivere prima dell' età di Q. Tizio, cioè prima della conquista di Ce- sare, ed al tempo della guerra marsica, in cui nin- na provincia della Gallia usava ancora la lingua la- tina : e se non potè egli nella sua moneta rappre- sentare l'immagine di una divinità originalmente gal- lica, perchè la religione dei druidi non aveva simu- lacri con sembianza umana; di grazia vedete voi, ac- cademici, a che in fine risolvasi l'obbiezione del mio amico e collega. Né già per questo vorrò io ostina- tamente persistere nella mia opinione : ma sì chiede- rò con modestia di farvi osservare, che mostrato aven- do come nel denaro di Tizio quella immagine non può essere assolutamente gallica, ma sì è greca o ro- mana : e fatta considerazione al pegaso ch'esso ha nel rovescio, uno de'simboli cognitissimi de' giuochi eque- stri ; niuno forse, s'io mal non mi appongo, ha re- so al pari di me si piana e sì facil ragione di ambe- due le figure : recando cioè l' una e l' altra ad uno slesso fatto celebratissimo nell'istoria della repubbli- ca. Intendo al sogno famoso di quel rustico Tito, che fu probabilmente lo stipite, d'onde discese in Roma la gente Tizia : ed ai giuochi circensi, che per l'au- torità e maraviglia del sogno medesimo furono restau- rati. Fatto dissi celebratissimo, chi legge soprattutto Cicerone, Livio, Dionigi, Plutarco, Valerio Massimo, Lattanzio, Macrobio : e perciò tale, che ben potè con- i66 Letteratura sigliare Traiano a reputare importantissimo alle me- morie romane sì civili e sì religiose il rinnovare, sic- come fece , il conio di un denaro che unico il ri- cordava. Che se indi mi si chiedesse , perchè P im- magine posta in un denaro di Q. Tizio trovisi an- che nella moneta di un regolo o magistrato gallo : risponderei che forse Tatiuo ehbe pure alcun sogno a render famoso: uè trovando nel culto de'suoi mas- o giori un' immagine che ne ritraesse la divinità , usò quella che occorsegli in un insigne denaro, il quale per la conquista romana aveva già corso pubblico nel suo paese. E già tutti sanno qual credenza i galli prestassero a'sogni : la cui interpretazione stimavano soprattutto dotti-ina di quelle lene o druidesse, che dal profondo delle loro boscaglie stendevano un im- pero non meno grande che temuto sull'immaginazio- ne di popoli ancoi-a barbari. E se lieve troppo sem- brasse questa supposizione, risponderei in fine , che ciò avvenne per la ragione medesima , per la quale altre immagini di divinità greche od italiche si tro- vano nelle monete parimente autonome delle Gallio. XI. E qui resterebbe ch'io dicessi puro qualche parola, non della fantasia, che a me pare smisurata- mente sottile, di chi nella testa alata del denaro di Tizio volle ravvisare quella di Bacco psila, cioè di una deità ch'oltre all'essere appena cognita in Gre- cia, né stata mai ricordata da niun latino scrittore, lascerebbe appieno intatta la presente ricerca di sapere perchè ella ivi si trovi, e perchè, come cosa impor- tantissima ai fasti o civili o sacri della repubblica , meritò quella gran sollecitudine di Traiano : ma sì dell' altra opinione che nel passato anno ci fu pur Moneta di Tatino 167 data dal sig. cav. Lenormant (i). Imperocché questo dotto stimò nell'immagine del denaro rappresentarsi quel nume , che i romani chiamarono Mutino Ti- tino o Telino, nominato da Festo, e reputato il Pria- po de'greci. Ma tanto più volentieri me ne asterrò , quanto che sembrami essere già stata con salde ra- gioni contraddetta da un altro illustre francese, dal signor barone d'Ailly. Nulla mi accade dover aggiun- gere alle cose da questo numismatico disputate : se pur non fosse che il soprannome di Mulino non fu per avventura ne Titino, ne Tetino, ne Tutino, vo- caboli che al tutto non sono di buon conio Ialino : ma SI Fiitino.) come in alquanti codici di Lattanzio lessero ed il Vives ed il Le-Brun : come ha l'edizione del 1497 ^i quel grande scrittore ecclesiastico e co- me in fine saviamente avvisò il dottissimo Heumanuo. fi) Nella Rei>ue numisniatique de Blois , volume de'niesi di gennaio e febbraio i858, a carie ii. [68 Osservazioni numismatiche di Bartolomeo Borghesi. D E C A D E XVII. Osservazione I. %^ Il disparere insorto sulla medaglia, che darà sog- getto all'osservazione V, cui è strettamente connessa la questione sui vittoriali, mi è stato di sprone a ri- prendere in mano gli studi fatti nella mia gioventù sopra questa specie di moneta, ed a sciogliere final- mente la promessa già data dal mio amicissimo cav. Labiis, che ne avrei detto il .mio qualsiasi pai'ere. (Pre- fazione alla mia dissertazione sulla gente Ai'ria.) Quat- tro sono le principali testimonianze degli antichi scrit- tori, che ne parlarono: le quali gioverà avere sott' occhio. La prima è di Plinio (1. 33, e. i3): Nota argenti fuere bigae atque quadrigae, et inde bi~ gati quadrigatiqiie dicti . . . Qui nunc victoriatus appellatiir, Icge Clodia percussus est. Antea enim hi e Jinmns, ex Illjrico advectiis, merci s loco ha- hebiitn?'. Est autem signatus P^ictoria, et inde no- nien. La seconda è di Volusio Meciano: Siint hi ar- gentei nummi. Denarius., cuius nota X : quina- j'ius, cuius est nota V^: sestertius, cuius nota est HS. T^icioriatus enim nunc tantundem valet, quan- tum quinarius olim: ac peregrinus nummus loco mercis, ut mine tetradrachmum et drachma^ ha- Decadi numismatiche 169 bchatur. Denarius primo asses decem valebat, lin- de et nomen traxit. Quinarins dimidium eius, idest quinque asses, unde et ipse vocatiir. Sestertius diiQS asses et semissem, quasi semis tertius . . . Niinc denarius sedecim, victoriatus et quinarius octo, sestertius quatuor asses valet. Gli altri due passi provengono da Livio. Nel 1. 41 e. i3 ci narra, che nell'anno varroniano 877 il console C. Claudio Pulcro, per le sue vittorie nella Liguria e nell'Istria, Triuniphavit in niagistratu de duabus simul gen- tibus. Tulit in eo triumpho denarium trecenta septem millia, et victoriatum octoginta quinque niillia septingentos duos. Nel libro poi 4^ e. 43 registra l'altro trionfo che dieci anni dopo 0. Anicio condusse dell'Illirico e del re Genzio, nel quale Tran- stulit auri pondo vigiliti et septem, argenti decem et noi>em pondo, denarium tria millia illyrii ar- genti. E chiaro pertanto che il vittoriato non fu di primitiva istituzione romana; cii'egli era originario dell'Illirico; ma che fu poscia adottato anche dal po- polo di Quirino. Nei due passi di Livio l'Eckhel (tom. 5, p. 21) cerca il nodo nel giunco allegando non esser possibile, che a quei tempi si trovasse nella Dalmazia tanta quantità di moneta romana: e che perciò lo storico deve aver parlato abusivamente, nominando i dena- ri invece delle dramme, e l'argento illirico e il vit- toriato invece della mezza dramma. Ma egli non ha avvertilo che nel primo trionfo si recarono le spo- glie tanto degl'istriani, quanto dei liguri: dai quali ultimi anche Q. Minucio nel 567 trasportò crr^ew^i bigati quinquaginta tria millia et ducenti (Liv. l. 33 cap. 23): onde la maggior parte di quei denari deve lyo Letteratura spettare ai liguri. Se Livio pertanto nel primo luogo si è espresso propriamente, si avrà ogni ragione per credere che altrettanto abbia fatto nel secondo: nien- te ostando che fra i tesori del re Genzio siasi potuto trovare la piccola somma di tre mila nummi roma- ni, provenienti, se non altro, dal frutto delle sue pi- raterie nell'Adriatico. Che se il denaro dovesse essere la dramma, e l'illirio argento o il vittoriato la mezza dramma, perchè usare questo doppio computo, e non dire semplicemente sessantatrè mila nel primo caso, o cento ventìsei mila nel secondo? E volendo poi an- che supporre nel patavino una minutezza, che non userebbe un banchiere, chi non resterà sorpreso della strabocchevole sproporzione fra soli tre mila interi, e cento venti mila mezzi, quando in tutte le antiche zecche l'intero suol essere generalmente più copioso dello spezzato, ed anche ai giorni nostri comunissime essendo le dramme illiriche, rare sono al contrario le loro metà ? Conchiudasi adunque, che ancor qui la vo- ce denaro indica il contante di conio romano, Vavgen- tiun illyrium lo stampato nel paese, ma che al pan dell' argentum oscense, e dell' argentuin bigatiun dello stesso scrittore, questa frase significa l'integrila di quella data specie monetale, non una sua frazione. Bensì convengo con tutti i commentatori di Livio, che 1' avgentuni illjriiun e i victoriati di questi due passi sono la stessa sorta di moneta, secondo che hanno raccolto dall'addetta testimonianza di Plinio. Ma se la denominazione di vittoriato non potè esser quella clie aveva in Dalmazia, giacché per osservazio- ne dello slesso antiquario di Vienna non si conoscono in quel tratto medaglie d'argento col tipo della Vit- toria, converrà dire che lo storico nel primo di quei Decadi numismatiche lyi luoghi adoperasse il vocabolo, con cui era domandala sul Tevere. Sarebbe lo stesso che un piemontese scri- vesse ai giorni nostri, che da Parigi gli sono state ri- messe dieci mila lii^e , quando effettivamente avesse ricevuto dieci mila franchi. E da tutto questo intanto ricaverò che i vittoriati erano già introdotti in Roma nel 577. Ma qual moneta eran'essi, quale il loro valore, quale la loro corrispondenza nell'Illiria ? Risponde TEckhel, e giustamente fin qui, clic non furono di sicuro i denari per autorità di Plinio, il quale poco prima ci ha descritto il tipo di questi ultimi: Nota argenti fuere bigae atque quadrigae. Recita poi l'asserzione di Meciano: J^ictoriatus et quinarius odo asses valet: e quindi esclama d'accordo coi pre- cedenti numismatici: Eri victoriatus eiusdcm ponde- ri s ac valori s cum quinario., solo tantum nomine diversus ! Ma se il vittoriato e il quinario furuno sempre la stessa cosa, solo dissimile nel nome, come sta che Plinio, ed anzi lo stesso Meciano, danno al vittoriato un'origine straniera? Il quinario non fu egli d'istituzione tutta romana al pari del denaro? Ugual- mente se il vittoriato aveva già corso in Roma nel 577, e s'egli era signatus T^ictoria^ unde nojncu, da che avviene che non si abbiano nummi colla Vit- toria, i quali per altre ragioni sia lecito di riportare ad una tale età, e che insieme pel loro peso corri- spondano ad un quinario? Queste apparenti contrad- dizioni e queste difficoltà sono insolubili, a meno che non si concilino colla diversità dei tempi. Non per un domestico orgoglio, ma per rendere giustizia al vero, debbo attribuire a mio padre il me- rito di avere additato pel primo qual fosse il primi- 172 Letteratura tivo vittoriato della repubblica in una lunga lettera da lui scritta ai g di gennaio lySy in risposta a dieci quesiti numismatici propostigli dal dottor Targa di Verona ben conosciuto per la sua edizione di Cel- so. Alieno, com'egli era, dal prodursi colle stampe, non pubblicò questa lettera, clie circolò tuttavia fra le mani dei suoi amici: ed è da quel tempo in poi che in Italia si è cominciato a chiamare vittoriati quelle medaglie di argento, di cui si ha un numero infinito, colla testa di Giove Capitolino dall'un lato, e coU'epigrafe ROMA dall'altro, rappresentanti una Vittoria che incorona un trofeo, riportate fra i de- nari incerti dal Vaillant, dal Mordi, e dall'Fckhcl (1. 5, pag. 47)- Egli mostrò che questa sorta di num- mi era in effetto il vittoriato romano, perchè l'unica nei tempi più antichi, che sia costantemente segnata colla Vittoria: escluse coU'iscrizione ROMA, che si credesse il vittoriato illirico: e provò poi ch'era una specie di moneta sostanzialmente diversa dal denaro e dal quinario, appellandosi all'osservazione perenne, che il suo peso discordava egualmente e sensibilmen- te da quello dell'uno e dell'altro. Quest'ultima parte della sua scoperta si conferma dal trovai'si tanto de- nari e quinari, quanto vittoriati coniati contempora- neamente. Nell'osservazione IX della decade IV annun- ziai di possedere, oltre l'asse onciale con altri spezza- ti di rame, tre nummi d'argento tutti collo stesso mo- nogramma MAT nel mezzo del campo, cioè il vittoria- to col solito lipo, corrispondente a grammi 2. 55; e il denaro e il quinario, ambedue col medesimo rovescio dei Dioscuri a cavallo, il primo de'quali pesa gram- mi 3. 60, il secondo gr. i. gG. Peraltro la mia in- genuità m'impone in oggi di confessare, che il qui- Decadi numismatiche iy3 nario è alquanto logoro, specialmente nel luogo oc- cupato dal monogramma: onde non si è ben certi del- la trattina, che gli comuniclierehbe la forza dell'A, tutta chiusa apparendo la parte superiore del secondo angolo del M: il che deve imputarsi allo strofina- mento sofferto. E sono poi in debito di fare una tale dichiarazione, dopo che posteriormente mi è capitato un altro quinario a fior di conio di grammi due in punto, nel quale il monogramma si compone unica- mente dei due elementi M e T, senza alcuno indi- zio dell'A: onde può stare che questi due quinari, quantunque di conio diverso, siano sostanzialmente i medesimi. Non per questo sarà inutile l'averli cita- ti nella presente questione, percliè posseggo egual- mente un altro vittoriato collo stessissimo nesso MT del peso di gram. 2. 83, colla semplice differenza che questo non mostra, come l'altro, il monogramma in mezzo del campo, bensì alla destra del trofeo: laonde resta sempre vero, che si ha prova di un monetario che fece stampare così il vittoriato, come il quina- rio. Aggiungerò di poi che, coU'egual simbolo della punta ferrata dell'asta, io ho pure l'asse di grammi 3i, il vittoriato di gr. 2. 90, e l'asse e il quinario col citato tipo dei Dloscui'i, il primo di gr. i. 92: e che tengo insieme coll'allro simbolo della spiga di frumento l'asse di gr. 39, il denaro di gr. 3. 60, il vittoriato di gr. 3. 04, e il quinario di gr. i. 85. Sicuramente i custodi di musei più ricci del mio tro- veranno da convalidare questa corrispondenza con esempi ulteriori. Del resto, a ben ritlellervi, l'esistenza di un vittoriato più antico diverso nel costo del qui- nario poteva anche ricavarsi dal citato detto di Vo- lusio Mecianu: f^icturiutus iiiiìic tanlumdcm <>'alct 174 Letteratura quantum quinarius olim. Quel nunc non imparta egli la confessione, che dunque il vittoriato in altri tempi aveva avuto un altro valore? A che prò una tale avvertenza, se il vittoriato e il quinario fossero stati sempre la stessa moneta? Altrettanto si dica del Qui nunc victoriatus appellatur di Plinio, il quale anch'esso suppone la preesistenza di un altro nummo colla stessa denominazione. Passoindo poi alla sua primitiva valuta, è indu- bitato ch'ella deve dedursi dal suo intrinseco. Mio padre, avendo osservato che il suo peso scostavasi in egual proporzione dal denaro e dal quinario, nella citata sua lettera stimò che fosse il dodrante o i tre quarti del denaro, e che per conseguenza costasse tre sesterzi, ossia sette assi e un semisse, se si parli in- nanzi l'aumento dato all'argento nel SSy, o pure do- dici assi se si tratti di tempi posteriori. La sua os- servazione si avvera anche al dì d'oggi, in cui pos- siamo portarne più fermo giudizio dopo che il Ca- gnazzi, mettendo a profitto tutte le scoperte pompe- iane ed ercolane.si, ha più esattamente determinato la corrispondenza dell'antica libra romana, ch'egli ha tro- vato equivalere a grammi metrici 325. 8. Non im- porta al nostro proposito, e quindi non è questo il luogo di esaminare, quanto sia vero che il denaro dalla sua istituzione fino all'impero di Nerone non abbia mai variato di peso: o se anzi si abbia da am- mettere che il denaro in origine si componesse di quattro scriptule, o sia che ne andassero sei soltanto per oncia, come sembra potersi dedurre da un passo di Varrone conservatoci da Carisio, e come mostrano d'insinuare quattro di essi esistenti nella mia rac- colta: onde sia vero che da principio corrispondesse Decadi numismatiche lyS meglio alla dramma attica. A noi basta di esser certi, che almeno dall'istituzione dell'asse onciale, cioè dal 537 in poi, il giusto peso del denaro fu quello di ot- tantaquattro per libra, o sette per oncia, come abbiamo da Plinio (1. 33 e. 46) » e da Cornelio Celso (lib. 5 e. 46). Su questo fondamento se il denaro, secondo i calcoli del Cagnazzi, corrisponde a grammi 3. 878, e il quinario a gr. i. gSg, il vittoriato nell'opinione di mio padre dev'essere di gr. 2. 9085. Ma è già slato osservato che gli antichi nella fabbricazione de'tondini non adopravano quell'esattezza, che si usa ai giorni nostri: e che soddisfatti di aver ricavato da una libra quel dato numero di monete, ch'era prescritto, non si davano poi gran cura di mantenere una perfetta egua- glianza fra loro, né badavano se alcune fossero un poco più abbondanti, ed altre per conseguenza un poco più scarse. In fatti non è così comune d'incon- trarsi in due medaglie benché uscite dal medesimo conio, e benché serbino ancora l'asprezza dell'impres- sione, che tuttavia scrupolosamente confrontino sulle bilance. Per lo che i quattro vittoriati, dei quali qui sopra ho indicato il peso, non potendo da se soli ba- stare allo scopo, aggiungo il saggio fattone sopra altri cinquantadue della stessa mia raccolta, notando il grado della rispettiva loro conservazione. SIMBOLO O LETTERE CONSERVAZIONE PESO I senza alcuna nota bellisshno gì'- 3. 52 2 id. bello e giuppi to » 3. 35 ò id. bello » 3. 3o 4 id. l)ello » 3. 27 5 id. bellissimo » 3. 20 176 Leti CERATURA 6 id. bello » 3. i6 7 id. bello » 3. II 8 id. passabile e gruppi lo » 3. IO 9 id. passabile » 3. o5 IO id. bello » 3. 04 1 1 id. bello )) 2. 97 12 id. bello » 2. 95 i3 id. bello )> 2. 92 14 id. bello )) 2. 80 i5 id. passabile )) 2. 86 16 id. bello » 2. 85 '7 id. bello » 2. 82 i8 id. bello » 2. 75 «9 id. bello » 2. 70 20 id. passabile )) 2. 68 21 id. passabile » 2. 67 22 id. bello )) 2. 65 23 id. bello » 2. 62 H id. bello » 2, 58 25 id. passabile » 2. 55 26 id. passabile )) 2. 52 27 id. passabile » 2. 48 28 id. bello » 2. 18 29 Verga ne diritto bello » 2. 85 3o Caue nel rovescio bello » 0^ i5 3 1 Clava bello » 2. H 32 Cornucop ia bellissimo » 3. 07 33 Elmo con cresta l'al- bello )ì 2. 72 cala 34 Fulmine bello » 2. 33 35 Mezza luna bello » 2. 5o 36 Mogg io bello » 2. 38 37 Mosca • mollo logoro » I. 83 Decadi NUMISMATICHE 177 38 Pentagono bello » 2. 64 3y Scrofa bello 1) 2. 60 40 Spada gallica bellissimo » 3. 33 41 F'enabidum fior di conio » 3. 3o 42 L nel diritto bello » 3. 26 43 L nel rovescio bello » 2. 81 44 Q liei l'ovescio bello » 2. 54 45 C nel dr. M nel rov. bellissimo » 3. 16 46 L nel dr. T nel rov. bellissimo » 3. 27 47 TL in nesso nel rov. bellissimo » 2. 47 48 MP in nesso bello » 3. 04 49 TAMP in nessc » passabile » 2. 20 5o ME in nesso bello » 2. 83 5i CROT passabile u 3. o5 52 VIB in esso bellissimo » 3. 21 Ora se in questi cliiquantadue nummi prendasi una media proporzionale Ira il maggior peso di gr. 3. 52, e rinfimo di gr. 2. i5, se ne avrà un risultato di gi\ 2. 835, ossia una insignificante differenza di soli sette cenlesimi di gramma dal peso legitlimo del vit- toriato, statuito di sopra a gr. 2. gotìS. Giusta fu dunque l'osservazione di mio padre. Resta ora di rintracciare la moneta illirica, da cui ebbe origine il vittoriato. Anche l'F.ckbel si mise a questa ricerca: e non essendo riuscito a trovarla in Dalmazia, o nelle vicinanze, ne andò in traccia fino in Macedonia: ove ne pure essendogli capitata, se la prese con Plinio, che tacciò di oscuro e di ne- gligente. Ma per certo ei non poteva rinvenirla, fin- che partiva da due falsi priucipii. Il primo è, ch'ella dovesse l'appresentare la Vittoria, cosa che quell'au- tore non ha detto giammai. Quando egli scrisse: Est .A.T.LXXXIV. 12 lyB Letteratura autem sigìiatus Victoria ^et inde nomen: è chiaro che non intese parlare se non che del vittoriato romano, perchè Victoria è voce tutta latina, che non avreb- be potuto somministrare le denominazione ai nummi di un popolo greco. Non è dunque nella somiglianza del tipo, ma in quella del valore, che si deve cer- care l'affinità fra queste due monete. Ma né meno da questa parte poteva l'Eckhel riconoscerla: perchè tenne che la dramma illirica fosse uguale alla dram^ ma attica (t. i, proleg. p. XXXVII), e giustamente poi disse, che la seconda era più grave del denaro romano nella proporzione di otto a nove (t. 2, p. 20B), avendo stabilito il peso medio del tetradramma della seconda epoca in Atene a grani 3 16 di Parigi, il che ritorna a grammi 4» igS per ogni gramma (t. i, proleg. p. XLVI). Intanto non può dubitarsi, che la moneta contemplata da Plinio sia appunto la dramma di Apollonia e di Durazzo, per una ragione sempli- cissima ed invincibile, la quale è che nell'Illirico non si conosce altra moneta d'argento. E questa infatti ben corrisponde al raziocinio del medesimo Eckhel, che se si teneva in luogo di merce, doveva essere per conseguenza copiosa e comune, confessando poco dopo quel numismatico: Drachmae Àpolloiiiae et Djr- rachii^ iiieredibili, cjuod omnibus vulgo notum^ nu- mero signati. Che se poi si lasciò uscire dalla pen- na, ch'esse sono del taglio della dramma ateniese, con- verrà dire che non gli occorresse mai di sottoporne alcuna all'esperimento della bilancia, perchè le avreb- be trovate più scarse quasi di un terzo. Non posse- dendone io un numero abbastanza cospicuo per fare sufficiente autorità, ed invece avendone osservata una ricca serie a Milano nell'I. R. gabinetto di Brera, pre- Decadi numismatiche lyo gai l'amicizia del suo conservatore sig. cav. Cattaneo a volermi favorire l'indicazione del loro peso: il qua- le con somma cortesia mi trasmise l'elenco, che qui sottopongo. Dramme di j^pollonia NOME DEL MAGISTRATO 1 AriA2 )( EniKAAOT 2 API2TQN )( AYZHN02 3 API3TQN )( AAMHN.... 4 AIKAAniAAA2\'cI)IAnTIQN02 5 KTAinnOS )( MAFEOS 6 AT2ANIA2 )( NIKOTEAEOI 7 NIKANAP02 )( ANAPI2K0Y 8 NIKHN )( AYTOBOTAOT 9 SEN0KAH2 )( XAIPHN02 10 Altra slmile ti nAPMENI2K02 )( nPEYPAAOY 12 2IMIA2 )( AYTOBOYAOY 1 3 IQTEAH2 )( ... $ANTOY 14 TIMHN )( AAM0$0NT02 15 $AAAKP02 )( ZanYPOY 16 Altra simile con un monogramma Dramme di Durazzo 17 AAKAI02)(nAPMENI2K0Y bella ,,3.25 18 Altra slmile bella „ 3. 33 19 AAKAI02 )( NIKOTEAEO:^ bella ,, 3. 22 20 APIITQN XAAMHNOI alquant. frusta „ 2. 85 2 1 EYTYX02 )( MENEKPATEOI bellissima ,,3.43 22 EXEa)PilN )( AlKAAnOY passabile „ 3. 1 7 23 HP0A0T02 )( APIMNA^TOY bella „ 3. 18 24 IIP0A0T02 )( $IAOAAMOY bellissima „ 3.465 CONSERVAZ. PESO bella gr. 2. 87 bella „ 5. 23 bella „ 3. 25 passabile „ 3. 03 bella „ 3. 25 bellissima „ 3. IO fior di conio „ 3. 39 alquanto frusta » 2. 76 passabile „ 2. 98 più frusta » 2. 92 passabile „ 3. 03 bella „ 3. 25 bella „ 3. 38 frusta „ 2. 49 passabile „ 3. 20 più frusta M, 2. 85 i8o Letteratura 25 KAAAlKPATH2)(nAPMENI2K0Y passabile 26 KAEQN )( <^AAAKPIQN02 27 MENI2K02 )( AAESIQNOS 2& MENIIKOI ) APXmnOY 29 MENI2K02 X AIONTIIOY 30 MENIIK02 ); KAAAQN02 31 MENI2K0S i( ... AQN02 32 MENIZKOi; ): A .... OT 33 MENI2K02 )( ATKIIKOY 34 NIKANAP02 j( TOPniNOI 35 N1KA\AP02 )( ... API2K0Y 36 HENQN X AMHN02 37 SENON )( nYPBA 3S SENON X nYPB 39 EENON X nY ... 40 SElVIìN )( $IAAIA retrogrado 4) SENQlV X- ^lA 42 SENQNX MAOAAM 43 EENQN )( XAPOrilNOY 44 nEPirEL\H2 )( AAEÌ OPIOY 4 5 21AAN02 X AP12T1ÌN02 46 2TPATON1K02XIIAPMKNIEKOY passabile bella passabile bella bella alquanto frusta alquanto frusta passabile bella passabile passabile passabile passabile bella fior di conio passabile bella bella bella alquanto frusta bella bella passabile passabile bella passabile bella foderata e pass. 47 $EPENEIKOI )( AAMHN02 48 $IAQN )( MENI2K0Y 49 $IAaTA2 )( ASKAAnOY 50 0IAQTA2 )( NIKHNOE (sic) 51 CMAQTA2 X AAMHN02 52 $IA0TA2 )( NIKYAAOY 53 A$P0AI2I02 X ^lAOAAMOY A pareggiare il confronto aggiungo a Durazzo dalla mìa 54 AAKAI02 X^AHNOZ bella 65 KTHT02 )( KAEITOPIOY bella 56 AESNIAA V )( AY2mN02 bella Ora compensando la più leggiera dì gr. 2. i8 col- la più greve di gr. 3, /|.G5, la media proporzionale di Decadi numismatiche i8i queste cinquantasei dramme sarà di gr. 2. 8225, la quale se si comparerà coi gr. 2. 835, che abbiamo veduto di sopra essere il peso medio di un egual nu- mero di vlttoriati , non si troverà fra loro altra di- versità, se non che di un centesimo di gramma. Po- sto adunque, che il peso legittimo del vittoriato ro- mano fosse di gr. 2. 9086, come si è detto, uguale sarà slato presso a poco anche quello delle dramme di Durazzo e di Apollonia: o anzi di alcun poco mag- giore, come sombra indicare il numero più copioso di quelle che l'oltrepassano; il che sarà ragionevolmen- te, sapendosi come scapiti la moneta estera in ogni paese ove non abbia corso legale. Per lo che, dietro tanta corrispondenza, chi potrà più per questo vilipen- dere Plinio, e dubitare che la dramma illirica e il vii- toriato romano avessero realmente in Italia il me- desimo valore? Osservazione II. Riconosciuto qual sia fra le esistenti medaglie quella che lino dal sesto secolo della repubblica por- tava il nome di vittoriato, e mostratone eziandio il valore, occoi-re in seguito di provare che non viene recato alcun pregiudizio alle cose fin qui stabilite da un' altra razza di monete anch'esse del tempo della libertà, ed egualmente rappresentanti la "Vittoria; ma che anzi da queste le esposte teorie vengono confer- male. Preluderò ad una tale questione col ricordare, che ho chiuso il superiore elenco dei vittoriati citan- done uno portante nel rovescio il monogramma VIB in mezzo del campo, il quale dal Patino, che pel primo lo pubblicò, fu aggiudicalo alla gente Vibia. i8a Letteratura Ho detto che pesa gr. 3. 21, ma ne possiedo insieme due altri abbastanza belli, uno di gr. 3 in punto, l'altro di gr, 2. 61: per cai il peso medio desunto da tutti e tre, ascendente a gr. 2. 94, ben corrisponde al peso legittimo che si è statuito .per questa qua- lità di moneta. Ora mi fa d'uopo di aggiungere, che la mia raccolta ne serba pure altri due uguali fra loro, che non vi sono stati ritenuti, se non perchè l'uno prestasse garanzia del compagno, somigliantis- simo in tutto al sopracitato, colla stessa testa di Gio- ve, colla stessa Vittoria coronante un trofeo, colla stes- sa epigrafe nell'esergo, e collo stesso monogramma VIB nel mezzo dell'area, solo diversi nel modulo più piccolo, e nel peso, che nel primo è di gr. i. 4^; nel secondo di gr. i. 44- Ognuno vede che questi sono la metà dell'altro: ma di più ce ne porge si- curezza un evidentissimo S, il doppio più grande delle lettere, con cui e sci-itto ROMA, che in ambedue apparisce nel rovescio alla destra del trofeo, il quale non può altro significare che Semis. Ecco dunque un'altra specie monetaria non avvertita, la qviale ci mostra che i romani non solo ebbero il vittoriato, ma eziandio la sua metà. Ciò anteposto, veniamo a con- siderare altre medagliucce di argento, comuni anch' esse, non però quanto il vittoriato, che presentano dall'un canto la testa di Apollo laureala, dall'altra lo stesso tipo della Vittoria che incorona un trofeo, col- la medesima leggenda ROMA, arricchite quasi sem- pre o di numero, o di lettera, o di simbolo mone- tario nell'area del rovescio (Morell, incerte tav. 4 n. VII). Sono slate generalmente credute quinari, fra i quali vennero descritte anche dall' Eckhel t. 5, p. 44? i^ quale però saviamente avvertì, che attesa Decadi numismatiche i83 la somiglianza della fabbrica e della rappresentazione dovevano tenersi per coetanee degl'interi, che, come ho detto, furono da lui classificati fra i denari. Ma il peso normale del quinario si è già fissato a gr. I. 939, e fra i quindici del mio museo coi Dioscuri il maggior peso è di gr. 2. 35, il minore di gr. i. 83, mentre queste sono costantemente piìi scarse. Tra ventinove che ne tengo, tutte improntate di dissimili varietà, la piti grave è di gr. i. 82, la più leggiera è di gr. I. 34, da cui ne viene una media di gr. I. 58, la quale eccederebbe di oltre dodici centesi- mi di gramma la proporzione competente al mezzo vittoriato, ch'esser dovrebbe di gr. i. 4-^425* Non ostante questa piccola differenza, io le aveva credute appartenenti all'enunciata specie, che più di ogni al- tra loro si avvicina, mosso per l'una parte dalla sua esistenza assicurata di sopra nella gente Vibia, per l'altra dall'esatta corrispondenza del tipo del vitto- riato: corxùspondenza resa eziandio più manifesta dal novissimo e stranissimo simbolo di quattro candelieri, che in una di queste col capo di Apollo vide il Pa- tino, e che ora anche in quelle colla testa di Gio- ve è stato trovato dal sig. Giudice Riccio p. 197, per cui si avranno da creder battute dallo stesso zec- chiere. Laonde m'immaginava, che al pari del rame si fosse cambiata in questi nummi l'immagine della di- vinità nel diritto, ond'essa senz' altra nota palesasse la diversità del valsente. Ma panni ora che questa opinione siasi elevala al grado di certezza, dopo che il medesimo sig. Riccio tav. LV ne ha pubblicato un' altra con un S dietro la nuca del dio. Né fra le stampate, ne fra quelle che ho, ne fra quante me ne sono passate sott'occhio, essendomi mai incontrato in i84 Letteratura alcuna di loro, che porti la lettera monetale nel di- ritto, ma sempre nel rovescio, tengo per fermo, clie quest'unica lettera solitaria da quella parte non altro significhi se non die il Semis, di cui ahhiamo vedu- to l'esempio anteriore. E dietro ciò non tacerò tam- poco di un mio sospetto, che in esse apparisca pure un'altra nota del loro valore. Fra le mie se ne scor- gono due, entramho colla sillaha IS, seguita nella prima da un punto, nell'altra da quattro tutti da un lato, come in un denaro della gente Memmia. Quella sillaba non può essere il principio del nome di un nionetiere, perchè non si ha esempio che tali punti 8Ì siano mai addossati a caratteri di quella S'gnifica- zione, e perchè mancano di fatti l'unica volta, in che si ricorda il zecchiere, di cui parlerò nell'osserv. V. Ne può dubitarsi che qui pure abbiano lo scopo di distinguere la varietà dei coni: pei-chè in una terza e in una quarta delle mie se ne veggono cinque ac- compagnare la lettera monetale I, due la lettera F, e in una quinta se ne scorgono quattro senza la so- cietà di alcuna lettera. Ma se si avesse da credere, che sulle presenti medaglie olire le lettere si fosse anche usata la sillaba monetale, secondo che fece Giu- lio Bursione , come sarebbe che io , il quale nelle lettere ho quasi completo l'alfabeto, fra le sillabe poi, che offrono tanto maggior numero di combinazioni, non avessi trovato che questa sola, e questa anche ripetuta, senza conoscei-e poi che altra sillaba si con- servi in altro museo? Penso adunque che quell'IS debba avere diverso significato: e se ciò è, non sa- prei immaginare se non quello della valuta. Ognuno sa che US vuol dire duo et senùs. Perche IS non potrà esprimere unum et sejnis, cioè un seslerzo e Decadi numismatiche i85 mezzo, com'era il suo corso reale, se l'intero ne valeva tre, secondo che abbiamo osservato? Ma checché siane di questa mia ultima fantasia, dalle altre cose esposte credo abl)aslanza dimostrato, che tali mone- te fossero effettivamente la metà del vittoriato : e quindi sussisterà ciò clie ho avanzato da prima, che fino da un certo tempo fra i nummi di argento ro- mani non se ne trova alcuno importante colla Vit- toria, il quale corrisponda al quinario. Del resto se la testa di Giove era la caratteristica dell'intero, l'al- tra di Apollo quella della metà, si comprenderà be- ne come fossero indistintamente adoperate quando in età posteriore i tipi del vittoriato furono applicati al nuovo quinario, siccome vedremo, per cui se C. Fun- danio e T. Cloulio prescelsero la prima, C. Egna- tuleìo al contrario predilesse la seconda. Osservazione III, Ma quando il vittoriato cominciò ad imprimersi m Roma? Niun dubbio, che ciò seguisse qualche lasso di tempo dopo il 4^^» i^ f'ui per la prima volta vi fu monetato l'argento, il quale oi'a sappiamo dal nuo- vi frammenti di Dionigi d'Allcarnasso [Mai, Collect. vat. t. 2, p. 526) essersi procacciato colla vendita dell'agro e delle spoglie dei nemici. Imperocché Pli- nio, come abbiamo veduto, esclude dichiaratamente il vittoriato dalle tre specie, che si stamparono da prnicipio. All'opposto egli era già in corso ai giorni ili Catone il censorio, che fu console nel SSg, da cui viene ricordato due volte nel suo libro De re ru- stica cap. i5 e 14 5: il che concorda colla memoria, che nel 577 ne abbiamo trovato superiormente in i86 Letteratura Livio. Anche il confronto delle sue varietà colle al- tre monete persuade, che la sua istituzione debba es- sere di rispettabile antichità. Otto sono finora i vit- toriati giunti a mia notizia, i quali più o meno chia- ramente accennano il nome del zecchiere; non sapen- do quanto conto sia da farsi del SAGA, che il Ra- raus t. 2 p. 212 lesse in uno di essi foderato, ma che probabilmente sarà stato tutt'altra moneta, con- fessandosi ch'era spoglio affatto della lamina argentea, e tacendosi dell'epigrafe ROMA, che in tale suppo- sto non doveva mancare nell'esergo. Fra questi otto, che ho già tutti indicati nell'osserv. I, io non cono- sco che alcuno dei tre col cognome CROTO della Metilia, e coi monogi-ammi TL e VIB, possa vantare analogia con altra medaglia di argento o dì rame, sal- vo ciò che per quest'ultimo si è detto nell'osserv. II. Ma ho già avvertito che il nesso MT ha rincontro in un mio quinario, ed ora aggiungerò che serbo pure il denaro con MP. Sono poi editi i denari correla- tivi al ME della Cecilia (Morell nelle incerte tav. 5 n. IV), al MAT della Matia o dei Malieni (Riccio tav. 3i n. i), e al TAMP della Bebia (idem tav. 8 n. 2), ed in tutti il tipo è sempre quello dei Dio- scuri, che per comune consenso fu il primitivo della moneta argentea romana, e che Plinio deve aver con- fuso coi bagati, poco curando se i due cavalli fossero sciolti o aggiogati. Gli ultimi tre monogrammi si tro- vano eziandio scolpili sugli assi, e nella mia serie il primo con ME pesa grammi 3o. 5o, il secondo con MAT gr. 25. 40, il tergo con TAMP gr. 26. 35. La leggiera loro differenza dall'oncia romana, deter- minata a gr. 27. i5,li dimostra egualmente onciali: e quindi, non ostante l'apparente loro vetustà, tulle Decadi numismatiche 187 queste monete saranno posteriori al noto scemamento subito dall'asse nel 53 7. Uguale corrispondenza scopresi nei vittoriati, che invece di lettere portano i simboli, cui l'Eckhel ha imposto il nome di sigilli solitari: i quali pure me- ritano attenzione, giacché penso che i più antichi zec- chieri più spesso che col nome usassero denotarsi con un emblema. Fra i simboli adunque dei vittoriati, il cornucopia, l'elmo colla cresta lunata, il pentagono, la spada gallica ricurva, il tridente, e il venahulum^ sono quelli che conosco incisi egualmente sopra al- trettanti denari coi Dioscuri, sui quali non so che siasi veduta ancora la mosca, che scorgo invece in ,un altro denaro incerto della mia raccolta con Dia- na in un cocchio a due cavalli: onde il vittoriato con quell'insetto sarebbe l'unico fin qui, che mostrasse l'analogo in un bigato. Di cinque altri poi non solo si ha la ripetizione sui predetti denari, ma anche sul rame: e sono la clava, il cane, la punta dell'asta, la spiga e la mezza luna. L'asse colla clava fu pubbli- cato dal Riccio, che non ce ne ha dato il peso: i quattro rimanenti esistono presso di me. Il primo col cane è di gr. 3o. 5o: il secondo colla punta dell'asta è di gr. 3i. IO : ed anche questi, sorpassando di poco l'oncia, si avranno da credere onciali. Ma nel terzo colla spiga di gr. 38. 60, e nel quarto colla mezza luna di gr. l^o. 80, l'aumento sopra il peso le- gale è troppo forte, massime nell'ultimo, in cui tra- varca la metà di più: onde con miglior ragione si avrà da attribuire alla classe dei sestantari. 11 che essen- do, si avrà un argomento non leggiero per dovere sta- bilire il cominciamenlo del vittoriato innanzi la di- scesa di Annibale in Italia. i83 Letteratura Ora paragonando il risultato di queste osserva- zioni sui nummi colla notizia dataci da Plinio, che i vittoriati provennero in origine dairilllrico, panni che con buona apparenza di verità si possa conget- turare l'occasione, in cui iurono in l\oma istituiti. Dopo soggiogati i salenùnl nel /^'ò^, per cui tutta la spiaggia dell' antica Italia suU' Adriatico e sull'Ionio venne in potere dei figli di Romolo, o almeno dei loro confederali; dopo l'amicizia stretta da essi cogli apolloniati; e dopo specialmente la deduzione della co- lonia di Brindisi nel 5 io, si hanno prove positive del loro commercio marittimo colla stessa Apollonia, con Corfù, e con Durazzo. E del tutto naturale, che i negozianti ritirassero dalla vendita dei loro generila moneta, ch'era in uso in quelle città, e che trasportata questa in Italia, ove non aveva corso legale, loco mer- ci s haberetur. Ma un tale commercio veniva spes- so turbato dalle piraterie dei sudditi di Agrone re del- rillirico: e dopo la sua morte essendo state sprezza- te dalla regina Tenta le querele espostele su di ciò dagli ambasciatori romani, ch'ella fece o uccidere o imprigionare, fini che nel 52 5 le fu intimata la guer- ra. Ma ridotta tra breve a mal partito dai consoli L. Postumio Albino e Cn. Fulvio Centumalo, che ave- vano tragittato il mare, dovè implorare la pace, che le fu concessa nell'anno seguente. All'unico Polibio, da cui nel 1. 2 vengono un poco più minutamente narrati questi fatti, siamo debitox'i di due notizie mol- to importanti pel nostro proposito. L'una è che i ro- mani menarono gran vanto di questa vittoria, perchè fu la prima impresa da essi tentata fuori d'Italia: l'al- tra che da un articolo della pace fu imposto agl'illi- rici un annuo tributo. Ora se questo tributo fu pa- Decadi ndivitsmatigtie 189 gaio, com'è da supporsì, in dramme del paese: e se di queste, come si ricava da Plinio , non era auto- rizzato il corso in Roma; certo è clie i vincitori per ispenderle avranno dovuto riconiarle. Infatti si è ve- duto, elle anclie nel /j85 rifusero il prezzo delle spo- glie nemiche per fal)])ricarne la loro prima moneta di argento. Farmi dunque naturalissimo che in quell'oc- casione si considerasse, che il valore delle dramme da squagliarsi alìhastanza componevasi col sistema mo- netario romano: e giacche il commercio era assuefat- to a riceverle per tre quarti del denaro, si prendes- se il consiglio di adottare questa nuova frazione. Al che fare due ragioni dovettero principalmente contri- buire. L'una, di un grandissimo risparmio nelle ope- razioni della zecca : perchè senza colare le dramme per farne pasta, e tornare poi a dividerle in tondini, Inastava di ammollirle al fuoco, e sottoporle ad una seconda impressione. L'altra poi, della boria di lascia- re un monumento perenne di un fatto, di cui si an- dava fastosi. E infatti se la fabbricazione di questa nuova moneta era alimentata dall'annuo frutto di una vittoria, qual ragione più giusta per iscegliere quella dea a formarne il tipo perpetuo, e per dare a quei nummi il nome di vittoriati ? Stando adunque alla mia congettura, si dovette cominciare a stamparle do- po il trionfo di Fulvio Centumalo dell'Illirico, avve- nuto, secondo le tavole capitoline, ai 28 di giugno 526. Per tal modo l'inlroduzione del vittoriato in Ro- ma precedendo di undici anni la seconda dittatura di Fabio Massimo, starà benissimo che fra gli assi a lui corrispondenti se ne trovi alcuno dei sestantari. Né farà poi maraviglia se della sua istituzione non occor- re memoria in Livio, spettando a tempi, nei quali ci igo Letteratura manca la sua storia: come sarà vano di moverne ri- cerca presso gli altri scrittori Ialini, cbe appena han- no fatto cenno della prima guerra dalmatina. Osservazione IV. Dopo aver indagata Forigine del vittoriato, sarà da cercarsene viceversa la fine, ossia quando egli per- desse il valore del dodrante , che gli ahhiamo asse- gnato. Certo è che una moneta d' argento conservò questo nome fin dopo il principio della decadenza dell'impero, e ch'era in corso anche ai giorni di Ter- tulliano, che scrive : Qaod si unius victoriati^ vel quamcumque eleemosinae operationem sinistra conscia facere prohibemur ( De virg. vel. cap. i3). Ma è certo pure che nei secoli degli augusti cosi dp- mandavasi la metà del denaro; onde sotto Antonino Pio abbiamo sentito da Volusio IMeciano : P^ictoria- tus nunc tantumden valet, quaiitam quinarius olim: e di nuovo: Nunc denarius XVI ^ victoriatus et qui- narius Vili asses valet. A lui corrispondono Scribonio Largo ( Conipos. 26 ), e gli altri scrittori che l'hanno considerato come un peso, e specialmen- te Marcello Empirico sulla fine dell'epistola ai suoi figli : Denarius est argenteus drachma I, quodfa- cit scrupulos III', victoriatus dimidia pars dra- chmae est. Laonde non cade controversia , che in quell'età cosi fosse denominato quel genere di mone- ta, che ora dicesi dai numismatici quinario imperia- le, il quale continuò fino a Gallieno, cioè fino al tem- po in cui si sospese di coniare l'argento , e che ha realmente per tipo ordinario la Vittoria ora stante, ora sedente. Nò può anzi negarsi che il vittoriato anche Decadi numismatiche 19 i prima della caduta della repubblica avesse già acqui- stato questo nuovo valore, che gli viene apertamente attribuito da Varrone nel lib. IX De L. L: Nani quam rationem duo ad unum habent, eamdeni habent vi- ginti ad deceni in numis, in similibus. Sic est ad unum victoriatum dcnarius, sic ad alterum victo- riatum alter denarius. All'opposto nel 687 di Ro- ma panni clie si ricordi tuttavia, secondo l'antico prez- zo, nella celebre sentenza sui confini fra i genuati e i veturii ( Orelli n. 3 121 ). Vi si giudica, che PRO. EO. AGRO. VECTIGAL. LANCENSES. VEITV- RIS. IN. POPLICVM. GENVAM. DENT. IN. ANOS. SINGVLOS. VIC. N. CCCC: ove pel pri- mo l'Odorico ( Medaglia di Carausio p. 22 ) avvertì essere indicati quattrocento vittoriati. Ora in quale scrittore o monumento s' incontra esempio di altro computo fatto per quinari, recedendo dall'usata nu- merazione per sesterzi, o al più per denari? Trovo ben- sì una ragione locale di questa novità, se invece della valuta del quinario si supponga in loro quella del do- drante. Io ho osservato che le dramme illiriche non sono le sole a corrispondere nel peso all'antico vit^ toriato, ma che fanno pure altrettanto le dramme di Marsiglia. È facile d'immaginarsi quanto queste ultime dovessero essere frequenti nella Liguria, ancorché il copiosissimo ripostiglio rinvenutone non ha guari in Lombardia non fosse venuto a farci fede della gran- de circolazione, in cui furono di qua dall'alpi. I vit- toriati adunque dovettero essere nominati in quella sentenza come la moneta romana più conosiuta dai liguri , perchè quella che si uniformava nel costo all'antica usllata nel loro paese. Dietro tali premesse la diminuzione del loro valore dovrebbe essere avve- 1Q2 Letteratura nuta dopo il prefato anno GSy, e innanzi quello, in cui Varrone scriveva la sua opera, il quale sarà stato posteriore di poco al 708, in cui per la prima volta fu veduta in Roma la giraffa, ch'egli nel lib. IV dice Alexandria nupe^' advecta. Plinio ce ne ha dato, ma troppo oscuramente. Tela precisa, quando asserì : Quinunc victoriatos appellatili' ^lege Claudia per- cussus est. Tutti hanno riportato questo passo alla prima introduzione in Roma di una tale moneta, ma per me con solenne equivoco. Chi non vede ch'egli parla del vlltoriato dei suoi tempi, del vittoriato im- periale, onde non è dalla sua antica istituzione, ma della sua i-iduzione al peso e al costo attuale, ch'egli intende d'indicarci il principio? L'Harduino risuscitò la veccliia sentenza, che assegnava questa legge a P. Clodio il nemico di Cicerone: ma tutte le leggi portate da costui nel suo tribunato della plebe, fra le quali non fuvvenc alcuna monetaria, sono cosi co- gnite per ciò che ce ne hanno detto lo stesso Tullio, Dione, Asconio Pediano, ed ora il commentatore ano- nimo del Mai, elle ogni altro Claudio potrà esserne l'autore, fuori di lui. Vi è stato chi l'ha invece at- tribuita a C. Claudio Centone console nel5i4: n^a ne meno questo crederò io per le cose esposte nell' osservazione precedente. Conchiudesi che questa leg- ge non viene ricordata da altri, fuori di Plinio: ond'è vana speranza di avere per parte degli scrittori alcun sentore della sua età. Per dilucidare la presente que- stione non si Ila dunque altra via, se non di ricor- rere nuovamente alle medaglie. Sono comuni altri cinque nummi d'argento fatti stampare da T. Cloulio, da Cn. Leutulo, da C. Egna- tuleio, da C. B'undanio, e da P. Sabino, 1 quali tutti Decadi numismatiche i()3 ripetono esattamente l'impronto del vittoriato, mo- strando dall'un lato la stessa Vittoria presso un tro- feo, e dall'altro la stessa testa di Giove Capitolino, eccettuali soltanto quelli di Egnaluleio, che, come ho già notato, sostituiscono alla testa di Giove quella di Apollo già usata nei mezzi vittoriati. Pel loro mo- dulo e pel loro peso non si può contrastare, che siano effettivamente quinari: ma vi Ita di più, clie ne portano seco le confessione. Imperocché meno quello di Lentulo, gli altri mostrano un Q costante e so- litario o nell'esergo, o nel mezzo dell'area del rove- scio. I precedenti numismatici l'avevano unito al no- me del zecchiere, ed al solito interpretato Qauestor: ma va resa la debita lode all'Eckhel, clie si accorse dovervisi leggere Quinarius. Ampia fede della verità della sua spiegazione ci si fa dalla predetta medaglia d'Egnatuleio, in cui questa sigla vedesi ripetuta così nel dritto come nel rovescio: onde ancorcliè si vo- lesse seguitare a riceverla per Qauestor dal Iato in cui e scritto il nome, non potrebbe certamente dall' altro avere il medesimo significato. Peraltro io con- vengo coll'antiquario viennese, che in ambedue i luo- ghi abbia il senso di quinario: perchè osservo , che nel dritto questa lettera è stata appostatamenle stac- cata dal resto dell'iscrizione, onde con essa non si Gongiunga. Egualmente favorevole all'Eckhel è la ri- flessione, che nei denari ilei citato T. Cloidio man- ca il Q: per cui si e certi che cjueirmiziale non con- tiene ncU'allro numino l'indica/àonc della sua carica. Non può dirsi altrettanto di C. Fundanio, perchè il Q vedesi egualmente nel suo denaro : però nel qui- nario la sua collocazione nel luogo, in cui negli al- tri denota il valore della moneta, manifesta l'inten- G.A.T.LXXXIV. i3 jg^ Letteratura zinne avuta, che servisse egualmente a quello scopo. Ecco or dunque i primi vittoriati, che Plinio ci di^ ce battuti in virtij della legge elodia: i quali man- tennero il nome degli antichi, perchè ne conserva- rono il tipo , ma che non ebbero lo stesso valore , perchè ridotti ad essere la metà del denaro, come ai giorni di quello scrittore. Ed ho detto i primi, per- chè tali gli addimostra la cura che si ebbe di aggiun- gere la nota del valsente, la quale ben presto si ora- luise, tosto che la nuova moneta fu abbastanza cono- sciuta. Qualche ragione però dev'esservi stata, per cui meijtre restavano in uso le aiitiche note X pel de- naro, e JIS pel sesterzo, la sola del quiijario, ch'era un V, fosse in questa occasione cambiata in un Q. Ed io m'immagino che questa ragione altra non fos- se se non quella, che l'V era insieme l'iniziale di J^i- ctoriatus; onde nel bisogno di distinguere il nuovo vittoriato quinario dall'antico vittoriato dodrante, que^ sta sigla non era più chiara abbastanza. Intorno a taU nummi debbo primieramente av- vertire, che nel ripostiglio di Roncofreddo , ricco di circa sei mila medaglie, e l'unico degli esplorati fin qui, in cui si sieno trovati quinari (del quale insieme con altri tratterò ampiamente in altro mio scritto), tutti questi si rinvennero , meno quello della Fun- dania, di cui in compenso eravi il denaro, coU'aggiun- ta di più de'quinari della Porcia e della Tizia. Dai paragoni istituiti deduco , che il suo sotterramento debba fermarsi circa il 680 o il GO2 di Roma, con che l'età di questi cinque vittoriati sarà di alquanto avanzata. Passando poi al [)articolare esame di loro, l'unico di cui possa ragionaisi con pieno fondamen- to è quello di Cu. Lcntulo, perchè del medesimo mo- Decadi numismatiche iq5 netario si ha egualmente un asse semlonciale, che per- ciò dietro le nuove dottrine dev'essere posteriore al- l'anno 665, e COSI pure un denaro col busto di Mar- te retrorso. Il denaro mancò del tutto nel ripostino di Fiesole illustrato dal cav. Zannoni, ch'io credo del 667 o del 668: e viceversa se n' ebbero fino a 3o5 nell'altro di Monie Codruzzo nascosto con molta pro- babilità nel 678. Con tali dati in una famiglia così cospicua non è difficile il determinare precisamente chi ne fosse l'autore. Lasciati da banda i tre o quattro Cu. Lentuli, che incominciarono a fiorire sulla fine di questo se- colo, cioè il figlio del Clodiano, legato nella Gallia nel 694 ( ^d Attìc. lib. I, ep. 19 ) ; il figlio del Marcellino questore di Cesare nel 796 ( Caes. Bel, civ. lib. 3, 62 ) ; il sottoscrittore all' accusa contro P. Clodio nel 698 ( il commentatore del Mai alTora- zione In Clodiuin et Curionem)^ che non so bene se sia il citato figlio di Clodiano, o il Cn. Lentulo Vatia ricordato da Tullio nel 698 { Ad Q. Fr. 1. 2, ep. 3), o vero se si abbia da distinguere da tutti e due, e rimontando alla generazione precedente, non ritro- viamo se non che due di questa casa col prenome di Cneo. Uno è il Cn. Lentulo Marcellino console nel 698, propretore della Siria nel 696, legato di Pom- peo per la guerra piratica nel 687 , e figlio del P. Marcellino, di cui abbiamo le medaglie coirepigrafe IjEÌNT . MAR . F, sul cui avo ritornerà il discoi- so : ma costui nel 683 dicendosi ancora da Cicero- ne clarissUnus adolescens (Act. II in Vcri-em 1. 2, e. 42 ) sarà troppo giovane per riuscire opportuno al nostro proposito. Resta l'altro, cioè Cn. LenLulo Clo- diano adottato dal Cu. Lentulo console nel 657, co- ig6 Letteratura me fu pensiero del De Brosses, che l'u console anch' egli nel G82, e che, se ebbe gli onori al tempo le- gittimo, sarà stato questore nel 670, e quindi sarà re- golarissimo che due o tre anni prima abbia potuto esercitare la magistratura della zecca. Non si hanno altre monete di C. Egnatuleio e di P. Sabino per far- ne confronto , e le loro persone sono interamente ignote alla storia: onde nuU'altro può osservarsi ri- guardo a costoro, se non che dovrebbero essere stati triumviri innanzi Cn. Lentulo, perchè i loro quinari portano la nota del valore, che nel suo, come già inu- tile, fu preterita. Quelli al contrario di T. Cloulio e di C. Fundanio trovano corrispondenza in due de- nari, ninno dei quali mancò al ripostino di Fiesole: con che avremo buon'argomento per ricacciare tutte queste loro monete al di là del 667. Dell'antica e pa- trizia gente Clodia e Cloulia non so che si abbia al- tro sentore dopo P. Cloelio Siculo inaugurato Rex sacrorum nel 874 ( Liv. lib. 40» e. 42 ), e costret- to non molto dopo ad abdicare ( Kal. Max. lib. i, e. I, §. 7 ). Certo che non può aver che fare con quella nobil famiglia il Cloelio, cliente di Pomponio Attico, ascritto fra i senatori da Giulio Cesare ( Cic. ad Alt. lib. IO, ep. 8; lib. i5, ep. i3 ), alla casa del quale ponno bene spettare alcuni liberti col pre- nome di Tito, i titoletti dei quali scoperti in colom- bari romani del secolo di Augusto e di Tiberio sono riferiti dal Muratori. Cicerone ( Pro Sex. Roseto Amerino e. 28 ) ci parla di uua celebre causa agi- tata alquanti anni prima del 674, nella quale furo- no assoluti due ragazzi imputati di aver ucciso il lo- ro padre T. Cloelio, ch'egli dice homo non obscu.- rus, e che Valerio Massimo aggiunge splendido Ter-" Decadi numismatiche 107 racinae loco natus ( LIL. 8, cap. i, ^, 5 ). I tem- pi e il nome egregiamente converrebbero per creder- lo il nostro triumviro, e niente si opporrebbe, che al pari di molti altri in questo secolo avesse egli tra- sportato da Terracina in Roma la sua famiglia , da cui provenisse poscia il senatore di Cesare, e che per la via della zecca avesse incominciata la carriera de- gli onori, la quale non avesse potuto proseguire per- chè gli fu tronca la vita. Ma ciò rimanga entro i li- miti di una semplicissima congettura. A più fondate considerazioni si presta il denaro di C. Fundanio, nel quale viene intitolato questore. Si è detto generalmente che rappresenta Giove in qua- driga collo scettro nella destra, e il fulmine nella si- nistra: ma io non ne sono persuaso. Considero pri- mieramente elle, stando al parere deirp_;ckhel , i ca- valli sono condotti da un cavalcante , il quale tiene nella destra un ramo appoggiato alla spalla: il che è affatto insolito in Giove, il quale negli altri nummi romani o più frequentemente regge da se stesso il coc- chio , o se adopra un cocchiere, è sempre la Vittoria che gli presta quest'ufficio. Molto meglio però mi adagio nella recentissima opinione del Cavedoni [Jn-^ nal. delVinstit. archeolog. t. XI, p. 3i2 ), che quel fantino sia il figlio pretestato di un trionfante , m- sidens fienali equo (Appiano, Panie, e. 66), cui molto meglio si addice di portare nella destra una branca di alloro. È vero che tali denari della Funda- nia sono per l'ordinario incisi grossolanamente, onde non è facile il determinare le loro minute rappresen- tazioni: pure uno conservatissimo della mia raccolta colla lettera monetale R, di un intaglio un poco mi- gliore, mi mostra chiarissimo che il così detto fulmine in8 Letteratura non è altro clie un ramoscello di lauro. Egualmente da più altri rilevo, che lo scettro non è già la lunga asta , elle il padre degli dei suole impugnare nel mez- zo, ma il corto Scipione tenuto invece per la sommità, come fanno cosi sovente gì' imperatori quando sono vestiti in abito consolare, e come per esempio si yQ- de nel Khell ( Suppl. al Vaillant p. 200, 228, 249 ). Non è questa adunque la quadriga di un nume, ma il carro di un console trionfatore. Comunemente si è creduto clie queste monete fossero tutte fabbricate da C. Fundanio suocero del dottissimo Varrone [De B. Pi. lib. I, cap. 2), ricordato da Tullio nel 698 ( Jd Q. Fr. lib. I, ep. 2, §. 3 ), e cbe dalla legge sui termensi maggiori della Pisidia ( Muratori p. 582, n. I ) abbiamo imparato, clic nel 682 era designato tribuno della plebe per 1' anno veniente. Ma dopo che il ripostino di Fiesole ci obbliga a collocare la sua questura avanti il 667, per cui fra questi due uffici sarebbero corsi almeno sedici anni, quando or- dinariamente non solevano passarne che cinque o sei, ma intervallo così esorbitante parmi che non per- metta più di giudicarli la medesima persona. Posto adunque che il suocero di Varrone nella citata ta- vola si dice figlio di Caio, a suo padre attribuirei la presente medaglia, e lo crederei questore forse di Ma- rio : onde, come fece per Siila il suo prò questore L. Manlio, potesse rappresentarvi il trionfo da lui con- dotto dei cimbri sul finire del 653 : nel qual caso il fanciullo sarebbe l'unico di lui crede C. Mario giu- niore, il quale a quel tempo doveva avere una deci- na d'anni, se al dire di Appiano ne contava venti- sette quando fu eletto console nel 672. Decadi numismatiche iggi Da tutto ciò ne ricavo, che l'epoca della dirni- titizione del valore nel villoriato deve presso a poco stabilirsi circa il 65o di Roma. Infatti una tale età ten corrisponde ad altre osservazioni. Non si cono- scono monete di bfonzo di quattro dei zecclùeri, clic fecero stampare questi vittoriati quinari: e ciò sta be- ne in questo secolo, nlentre al contrario dopo che si è con.inciato a prestare maggiore attenzione al bfon- zo consolare, si è ornai convinti che quelli del sesto omisero più volte di coniare l'argento, ma il rame quasi non mai. Sembra del pari non potersi dubita- re, che si sia stati lungo tempo senza improntare qui- tìari: perchè se i primitivi coi Dìoscuri trovano cor- rispondenza nei denari collo stesso tipo, viceversa nei denari, che ponuo giudicarsi l)attuti dopo il 600, non si rinviene la loro metà, innanzi quelli di cui trat- tiamo. Il che essendo, sarà molto agevolata la cono- scenza del Claudio, che portò la legge di Plinio. Se per le cose fin qui ragionate ella deve essere stata promulgata nei trenl'anni fra il 687 e il 667, noli potrà più essere stata proposta da un console. Impe- rocché h-a i tre consolati che la gente Claudia otten- ne nel settimo secolo di lioraa innanzi il triumvira- to monetale di Cu. Lcnlulo Clodiano, quelli dei due fratelli Appio e Ckio Pulci-i nel 611 e nel G24 sa- rebbero troppo aniichi: e l'altro di C. Fulcro, secon- dogenito del primo di essi, nel 662 parmi al rovescio troppo recente da produrre soverchio ingorgo di mo- nete in un tempo ti'oppo ristretto, e da non potersi accordare colle medaglie di C. Fundanio. Dall'altra parte poche furono in questi tempi le leggi consolari, e solo in oggetto di alta importanza. Dato adunque che, come il più delle altre, fosse una legge tribuni- 200 Letteratura zia, non potrà più spettare ad alcuno ilei posteri di Claudio Cieco, percliè a famiglie noloriamcnte palri- zie era disdetta quella magislratura essenzialmente po- polare. Resta perciò, clie ricada al ramo plebeo di :jue- sta gente, cioè a quello dei Marcelli : ma in quella famiglia non si conosce in questi tempi, se non clie un solo personaggio. Egli è M. Marcello figlio del console del 602, di cui ci dice Cicerone nel Bruto e. 36: M. Marcellus Aesernini pater ^ non ille cjiti- dcni in patronis , sed in promptis iamen, et non inexercitatis ad dicenduin Juit^ ut fiìius eius P. Lentulus. Egli lo fa coetaneo di 0. Meleilo Numi- dico e di M. Giunio Silano consoli nel 645, di M. Aurelio Scauro console nel 646 , di C. Memmio e di Sp. Torio tribuni della plebe nel 644 ^ ^^^^ 647- Si sa ch'egli fu accusato ed assoluto, non ostante la deposizione che fece conlro di lui il suo nemico L. Crasso l'oi-alore, morlo nel 663 [Pro Fonteio e. '], Val. Mass. lib. 8, cap. 5, §.3). 11 Pighio ( tom. 3, p. 143 ) lo slalui Iriljuno della plebe nell'anno var- roniano 64<3. Certo ch'egli doveva aver esercitato im- portanti ulfici prima del 652, in cui lo troviamo le- gato di Mario alla ballaglia di Aix contro i teutoni, siccome abbiamo veduto in Plulai'co ( in Mario ) ed in Frontino i^De slrat. lib. 2, e. 4» §• 6 }. Così sa- rà egli il padre non solo del M. Marcello Esernino, e del P. Marcellino adottato fra i Lenluli e ricordati qui sopra da Tullio, ma ben anche di C. Marcello proconsole della Sicilia nel 676 , che Asconio (//i V^errem, Act. 2, Uh. 2, e. 3 ) aveva detto malamen- te pronepos del conquistatolo di Siracusa, censura- to perciò dal Wesselingio (Obs. IL, i) che giustamen- te corresse ahnepos. Decadi numismatiche 201 Epilogando intanto le cose fin qui discorse, con- cbiudo, clie a mio parere la prima idea del vittoria- to provenne dalle dramme di D arazzo e di Apollo- nia portate dal commercio in Italia: e che dopo l'an- nuo tributo imposto agl'illirici da Fulvio Cenluma- lo nel 526 incominciò a battersi in Roma questa mo- neta ad esse corrispondente, la quale ebbe il nome e il tipo della vittoria da cui proveniva, e cui fu at- tribuito il valore di tre quarti del denaro. Per molti anni se ne stampò una quantità prodigiosa: ma non sembra che se ne continuasse la percussione molto dopo l'ingresso del settimo secolo. Imperocché, ad onta di tanta copia, non si conosce fra loro la distinzione dell'alfabeto inonetale, parendomi che altro significato debbano avere le tre o quattro lettere solitarie, che vi si sono finora vedute: tanto piìi che ad essa tal- volta si congiunge un'altra lettera nel diritto, e che di alcune, come del L di forma arcaica, e delle due L T, si ha la rispondenza nel rame. Ed avrò poi oc- casione di osservare in appresso, che non solo non si ha alcun esempio , con cui provare concludente- mente che l'uso di contrassegnare le matrici risalga al di là del 600, ma che non ve ne ha tampoco appa- renza. Bensì per la contraria ragione ammetterò assai volentieri, clic posteriori a quell'epoca , ed anche di due o tre decine di anni, sia la maggior parte dei mezzi vittoriati , cioè tutti quelli che sono distinti colle lettere monetali, o coi numeri , clic sembrano introdotti anche più tardi delle lettere: i quali tutti crederei opera di un solo raonetiere, il quale volesse propagare questa specie di moneta poco frequente da prima. Fu forse per la diminuzione dell'intrinseco, sof- ferta dal vittoriato nella lunga circolazione di oltre un 202 Letteratura secolo, che Claudio Marcello verso il 65o ne ridus- se il costo alla metà del denaro, contondcndolo col quinario, di cui richiamò l'impressione da lungo tem-- pò intermessa. Cosi può spiegarsi come i^imanesse in corso anche dopo: del che porge qualche argomento l'essersi rinvenuto nel ripostino di Roncofreddo an- che alcuno dei vittoriati senza il nome del monetario. Però potrehbe anch'essere che questi, dei quali mio padre, ch'esaminò quel tesoretto, non mi ha indicato il peso, fossero stati del taglio dei quinari, e battuti per conseguenza dopo la legge elodia: giacche anche dopo quel tempo i zecchieri omisero talvolta il loro nome sui nummi, come ci mostrano alcuni di quelli di Giulio Bursione, di Manio Fonteio, dei triumviri Garcilio, Ogulnio, Vergilio ed altri. Ho infatti gran- dissimo sospetto , che quello almeno pubblicato dal Morell ( Incerte, tav. 4, lett. {] ), che io non ho, deb- ba essere di tal natura a motivo del prigioniero av- vinto al trofeo, che non vedesi nei piìi antichi, ma che apparisce al contrario nei quinari della Clodia e della Fundania. Per tal modo il primitivo vittoria- to avendo avuto tanto l'origino quanto la fine in tem- pi, nei quali ci manca la storia, s'intenderà facilmen- te come tanto scarse e tanto imperfette notizie ce' ne siano pervenute. Osservazione V. Il sig. Giudice Riccio nella sua opera (tav. XXV, n. 4 ) ha divulgato per la prima volta un mezzo vit- toriato rappresentante la testa di Apollo laureala sen- za leggenda nel diritto, e nel rovescio la solita Vit- toria che incorona un trofeo colle lettere VNI in Decadi numismatiche 20 3 mezzo del campo. Posseggo io pure questa medagliuc- cia, che pesa gì\immi i. 3^: per cui posso dire che nell'esergo devesi aggiungere la voce ROMA, che fu pretermessa nel disegno, probahilmente perchè il num- mo delineato mancava di metallo da quella parte. L' editore l'attribuì alla gente Ginnia, supponendo l'esi- stenza di un monogramma in quell' V, nella prima gamba del quale si nascondesse 1' I mancante : per cui stimò che vi si avesse a leggere IVNI, come nei denari di C. Giunìo e di M. Giunio. Ma questa opi- nione non ha soddisfatto ad un altro erudito numi- smatico, ancli'egli napoletano: il quale giustamente ob- bietta, che ttna linea obliqua non può acconciamen- te rappresentare una lettera retta, e che un tale com- pendio è ignoto non solo nella stessa casa dei Giu- ni, ed in ogni altra iscrizione della serie delle fami- glie, ma ben anche in tutto il resto della numisma- tica. Urge poi, che l'iniziale s'indicava sempre assai apertamente, cosi richiedendo la chiarezza: mentre nel caso nostro nulla avrebbe destatoci! sospetto che quell'V fosse una lettera composta, in vece di una let- tera semplice. E infatti ancor che si esamini soltan- to la collezione dei monogrammi, che lo stesso sig. Riccio ci ha dato nella tavola fmale, si vedrà che in eguali circostanze per mostrare la presenza dell' I si usò comunemente di alquanto elevare sopra gli altri caratteri l'asta che lo conteneva, come si praticò neW IT della Critonia, e nel IB della Vibia: il che più apertamente fecero le lapidi, tagliando verso la som- mità la detta asta con una piccola traltina transver- sa. Si avrebbe un esempio in contrario nell' IMP. VES della contromarca dal medesimo Riccio riferita al num. 71, in cui le due gambe laterali del M ap- 2o4 Letteratura pariscono della medesima altezza, quantunque nella prima comprendasi 1' I ; ma io posso assicurare che nella Sergia contromarcata che scrl)o , l'attaccatura della linea obliqua comincia un poco più a basso: on- de ivi pure apparisce un indizio dell'altra lettera. Fi- nalmente parrai evidente, che se si fosse voluto scri- vere IVNI, senza ricorrere a quel nesso del TI e del- l' V, di cui ninno poteva accorgersi , ed occupando esattamente il medesimo spazio, sareLbesi invece le- gato l'V col N, come si fece dell' V e dell' A nelle medaglie della Valeria e della Vargunteia, dell' V e del D nella Claudia, dell' V e dell' E nella Veturia^ dell'V e del F nell'Aufidia, dell' V e del L nella Ful^ via, dell'V e del R neli'Aburia e nell'Urbinia : con che sarebbesi avuta chiarissima la lezione desiderata. Sono adunque anch'io pienamente dell'avviso che il nome di questo monetiere cominciasse per V. Il dotto oppositore vorrebbe quindi trasportare il monogramma nel N, affine di leggere VINI, e così at- tribuire il nummo alla Vinicia. Certamente la sua congettura sfugge alquanto delle obbiezioni proposte contro l'altra sentenza, e segnatamente la più forte, che risguarda l'iniziale. E gli concederò eziandio, che se non scorgesi qui una maggiore elevazione nella prima gamba del N, potrebbe addurre in sua difesa l'eccezione, che non vedesi pure nel nesso PHI della medaglia di L. Furio Philo, e ne meno nell'altro TIL della quarta di L. Hostilio coi comizi, supposta sem^ pre la consueta diligenza nel disegno datone dal Mo- rdi: giacche io non ho mai avuto la fortuna di ve- dere questa medaglia. Tuttavolta mi permetta di far- gli osservare, che in ambedue questi nessi si ha al- meno la certezza di un monogramma: onde il letto- Decadi numismatiche 2o5 re è già prevenuto di dovervi cercare qualche cosa: che le voci PHLT e HOSTLl sono così asprc^ed alie- ne dall'indole della lingua latina, da accorgersi tan- tosto che manca alcun altro carattere : e che final- mente r accompagnamento del nome FOVRI e del cognome SASERNA non lasciava alcun duLhio ai contemporanei sulla retta interpretazione. All'opposto le due sillahe VNI sono cosi opportune por servire di principio ad una parola latina , ciie senza una qualche apposita avvertenza ninno avrehbe rifiutato di riceverle per quel tanto che suonano: ed è buon ca- none di critica il non interporre una lettera , ove non ne sia dimostrata la mancanza. Ma non è que- sta la principale ragione che mi trattiene dal con- correre nell'aggiudicazione della nostra medaglia alla gente Vinicia: una maggiore offerendomene le certe notizie che abbiamo di quella casa. Tacito negli annali lib. VI , e. i5 con sobrie, ma gravide parole ci ha dato l'oirigine di lei, parlan- do di M. Vinicio console nel 783 e nel 798, ma- rito di Giulia figlia di Germanico: J^inicio oppìda- nuin genus^ Calihiis ortiis, patre atqiie avo con- sitlarihus, celerà equestri famiìia erat. Il padre fu il P. Vinicio console nel 755; 1' avo il Marco suf- fetto nel 735, che nella tavola coloccina si dice nato da un altro Publio. Questo Publio suo bisnonno, che non usci dal rango di cavaliere, si cita fra i chiari oratori dei suoi tempi da Seneca il padre ( lib. I, Gontr. 2 e 4)? da Seneca il figlio ( F.pisl. 40 ),eda Varrone presso Nonio Mai'cello (e. 2, v. Bubalci- tare ). Vu suo fratello ( Seneca lib. 2 , conlr. i3 ) L. Vinicio buon oratoi-e ancb'egli [Lib. 3, contr. 20 e ai; lib. 5, contr. 53, excerpta contr. lib. 2, deci. 2o6 Letteratura 5 et lib. 7, deci. 5), che nella carriera degli onori prese le mosse dal triumvirato della zecca , in cui fece battere il denaro rappresentante una Vittoria con quattro corone ( Moi'ell, Vinicia n. i ) , le quali si credono alludere alle quattro di Pompeo ripetute in altro nummo da Fausto Siila (Veggasi la mia oss. 8 della decade IX ). In tal caso questo suo ufficio do- vrebbe essere di poco posteriore ai 29 settembre del 693 , in cui fu condotto il trionfo pompeiano dell' oriente : e V età ne sarebbe opportunissima , perchè sappiamo che fu tribuno della plebe nel yoS ( Cic. Ad div. lib, 8, ep, 8 ). Ottenne poi i fasci suffetti nel 721 in compagnia di Q. Laronio, e da lui na« eque il L. VINICIVS. L. F monetario anch'esso nel 788 ( Morell, n. 2 ), di cui fa l'icordo Svetonio (Aug. C. 64)- ^^ ^ tutta l'apparenza che i due oratori sia- no stali i primi della loro casa a venire a Roma per dedicarsi al foro, come Cicerone. Intanto se il primo Lucio fu fratello di Publio, e se gli antenati del se- condo furono semplici cavalieri , saremo certi che niuno di questi ultimi ebbe pubbliche cariche. Del pari se essi erano nativi di Calvi, non avranno avu- to la cittadinanza romana se non cogli altri campa- ni in grazia della legge giulia del GG/j. De civitate cum sociis et latinis coiiimunicanda. Ora se la no- stra medaglia è un mezzo vìttoriato, come il suo ti- po e il suo peso dimostrano , e se la legge elodia che abolì una tale specie di moneta fu portata, come si è detto superiormente, circa il G5o, chi non ve- de che questo nummo dev'essere stato battuto innan- zi che la gente Vinicia divenisse cittadina di Roma ? Per me io penso, che niun'altra lettera si deb- ba interporre in quell'VNI , e che soltanto si abbia Decadi numismatiche 20-7 da cercare un appellativo, che da quelle due sillabe prenda cominciamento. Fra tutti i nomi e cognomi che si conoscono usati in tempo della repubblica non jie trovo che un solo, il quale adempia ad una tale condizione : e questo è YÌ!ilma?ms. Oroslo (lib. 5 , e. 4 js Floro (lib. 2, e. 17 ), e Fautore delle vite degli uomini illustri ( n. yS ), per tacere di un'apo- crifa iscrizione del Rescndes ( Grutero, Spurie p. 14, p. 2 ), ricordano il pretore Claudio Unimano , che nel 606, essendo succeduto a C. Plauzio nel gover-r no della Spagna ulteriore , ricevette una gravissima sconfitta dal lusitano Viriate , nella quale perdette la maggior parte dell'esercito, e, come sembra, anche la vita. 11 Piglilo l'ha creduto questore nel Sgy. Co-, jsì dunque per la corrispondenza del suo cognome , come pel tempo in cui visse, parmi egli un personag- gio adattatissimo al nostro bisogno , a cui nel suo triumvirato monetario di pochi anni prima attribuire il conio di questo mezzo vittoriato. Di lui e della sua casa null'altro può dirsi, non essendo conosciuto che per quella sua sciagura, ed ignorandosi eziandio come si prenominasse: talché manca ogni argomento per congetturare se provenisse da alcuno dei rami della gente Claudia patrizia, o dai Claudii Marcelli plebei, o piuttosto non appartenesse ne agli uni, ne agli altri. Con tale spiegazione intanto avremo in queU'VNI un cognome: e ciò sarà più conforme allo stile delle medaglie consolari, nelle quali le denomi- nazioni scompagnate dal prenome più comunemente pUe una gente sogliono significare una famiglia. 2o8 Letteratura. Osservazione VI. I simboli, o sigilli solitari, che con tanta fre- quenza s' incontrano nella numismatica romana dei tempi della repubblica, saviamente dall'Eckhel ( t. 5, pag. gì) vennero partiti in due classi, nell'una delle quali comprese i sempre costanti sopi-a una stessa me- daglia, rimandando alla seconda i variabili, che l'uno all' altro si succedono. Statuì , che i primi soltanto avessero un significato; sia che appartengano alla rap-, presentanza dei tipo, come la cicogna posta appresso l'immagine della Pietà da Metello Pio e da L. An- tonio, e il pileo presso quella della libertà da Egna- zio Massimo e da Farsuleio Mensore; sia che allu- dano al nome del monetiere, come il piede in Furio Crassipede, e il murice in Furio Purpureone; sia, ag- giungerò io, che ricordino le glorie della sua famiglia, come il lituo nei discendenti di Servilio Augure, il rostro di nave in Fabio Labeone, e il clipeo mace-. donioo in Quinzio Flaminino. Vero è, che di alquanr ti di questi simboli resta ancora ignota o dubbiosa la spiegazione : ma di tal natura più non sono i due, esempi, ch'egli addusse dell'uccello palustre e del sor- cio riconosciuti ora indicare i cognomi di Fabio Bu- teone e di Quinzio Trogo , invece dei quali surro-, gherò il vaso, o piuttosto \a.mulctra, di Sesto Pom-, peo Faustulo, l'ancora di Sesto Giulio Cesare, e il timone di M. Cipio. Giudicò poi che i variabili fos- sero arbitrai^, e che non avessero altro scopo, se non quello delle lettere e dei numeri monetali , cioè di contrassegnare le singule matrici : onde nella molti- plicità delle officine della zecca, che talvolta sorpas- DkCADI numismatiche 20Q sarono il migliaio, gli operai di ciascuna potessero giustificare il prodotto del proprio conio, che cosi re- stava distinto dagli altri, e rendere per tal modo ra- gione della quantità del metallo, che avevano rice- vuto da impi'imere. La strabocchevole abbondanza , che talora s'incontra presso un solo monetiere di tali sigilli variabili, e il vederli ora sostituiti , ora asso- ciati ai nummi ed alle lettere, non lascia dubbio che la spiegazione dell'Eckhel sia giusta per gl'improntati sui denari di Alilo Baia, di C. Annio, dei questori Pisone e Cepione, di L. e di C. Pisoni, di Corne- lio Blasione, di Crepereio Roco, di P. Crepusio, di Giulio Bursione, di Marcio Censorino, di Mario Ca- pitone, di L. Papio, di M. e di L. Pletorli, di Pom- ponio Rufo, di Roselo Fabato, di Titurio Sabino, di Valerio Fiacco, di Vibio Pausa, di M. Volteio, e cosi pure sui quinari di Porcio Catone e di L. Pisone. Intanto dalla testimonianza e dalla comparazione dei ripostini fin qui esaminati risulta , che la massimi parte delle citate medaglie sono o contemporanee o posteriori alla guerra sociale. La più antica di certa data fra loro è quella di Cepione e di Pisone, la que- stura dei quali dal eh. Cavedoni è stata determinata al 654» invocando l'autorità della reltorica ad Eren- nio (I, 12): e tutto al più potrà restare incerto, se le siano anteriori le due soltanto di Alilo Baia e di Cornelio Blasione. Il perchè sembra potersi stabilire, che solo verso la metà del settimo secolo di Roma i simboli solitari fossero chiamati a dividere colle let- tere alfabetiche l'ufficio di contrassegnare la diversità dei conii. Ciò posto, che cosa si avrà da dire di quei simboli, che si scorgono sulle più antiche monete romane sen- G.A.T.LXXXIV. 14 210 Letteratura za il nome del zecchiere, e precisamente nei denari e nei quinari coi Dioscuri, negli altri denari colla bi- ga di Diana, nei vittoriati e negli assi coi rispettivi spezzati così sestantari, come onciali ? In tali meda- glie pure i tipi sono costanti, variabili i sigilli: on- de per questo dovranno anch'essi cadere sotto le re- gole della seconda categoria dell'Eckhel ? L'antiqua- rio di Vienna non ha fatto per loro alcuna eccezio- ne ; ma quanto riconosco che quella sua legge è fon- dala sopra esatte osservazioni ai tempi di Mario e di Pompeo, altrettanto mi sembra insussistente, ove si voglia trasportare venti o trenta lustri più addietro. Ho già accennato altra volta che il costume di diffe- renziare i singoli conii non può farsi risalire in Ro- ma al di là del principio del settimo secolo: ed ora aggiungerò essere mostrato dall'osservazione, che pri- me ad essere adoperale a quest'intendimento furono le lettere. Troppo sarebbe qui lungo l'inquirere sull' età di tutte ìe medaglie che ne sono improntate: ba- sterà restringersi a quelle, che il ripostiglio di Fieso- le ci ha provato essere anteriori al 667, e a quelle anzi tra loro, che l'Eckhel ( tom. 5, pag, iii ) ha giudicato più antiche, perchè hanno conservato i ve- tusti tipi delle bighe e delle quadrighe. Ora tra que- ste i denari di C. Vibio Pausa, di L. Titurio, e di D. Silano dagli assi semionciali fatti coniare dai me- desimi sono dimostrati posteriori alla legge papiria del 665: ed ho già detto, che quelli di T. Cloulio, di C. Fundanio e di AUio Baia debbono essere dei tempi di Mario; alla quale età converrà pure attri- buire lo stampato da C. Fabio Buteone a motivo del- l'EX. Argento FVblico. Gli altri di C. Sentio e di Cloelio Caldo spettano indubitatamente al pretore di Decadi numismatiche 211 Macedonia del 667, e al console del 660, ambedue uomini nuovi: e il L. Giulio Cesare, che si asseri- sce figlio di Lucio, è il console del 664- H tribuno L. Appuleio Saturnino, cui ho attribuito una parte dei nummi che prima si assegnavano alla Sentia, fu ucciso nel 654: ed ammetto che i due fratelli C. e L. Memmii figli di Lucio siano i due oratori di Ci- cerone, il primo de'quali fu tribuno della plebe nel 644- Una adunque delle più antiche medaglie colle note alfabetiche sarà quella con L. MEMML Gi\L, che converrà dare al loro padre : la soverchia diffe- renza della fabbrica non permettendo di supporla im- pressa contemporaneamente a quella dei figli. Sola a far contrasto col nostro detto resterebbe l'ultima di L. Scipione Asiageno, se appartenesse al console del 564, come fu pensiero dell'Eckhel, che la crede im- pressa pel donativo da lui fatto ai soldati nel suo trionfo del re Antioco, Ma in tale supposto è diffici- le il concepire che il tipo non avesse alluso in al- cun modo a quella vittoria, o che almeno [Scipione non vi avesse assunto il titolo d'imperatore: e in ogni caso converrebbe concedere ch'egli avesse fatto batte- re in Asia, e di là portato questi nummi, atteso che tra il suo ritorno a Roma e il suo trionfo non cor- se intervallo come apparisce dalla narrazione di Li- vio, mentre all'opposto il conio è evidentemente ro- mano, e somigliantissimo al superiore di L. Memmio, Rifiutando adunque questa medaglia di prestarsi alla spiegazione eckheliana, io la tengo stampata coll'or- dinaria autorità di un triumviro : e quindi non po- trà nemmeno attribuirsi a suo figlio, perchè il sepol- cro degli Scipioni ci ha dato il suo epitaffio ( Orelli n. 556 ), che memora le altre sue cariche, e tace del- 212 Letteratura la magistratura della zecca. Resta pertanto che spetti o al fratello di Scipione Asiageno Cornato ( idem n. 557 ), figlio anch'esso del precedente, ed avo dell' Asiatico console nel 672, o pure al padre di quest* ultimo, ambedue denominati Lucii: in ognuno de'qua- li casi ricadrà entro i limiti che ho prestabiliti. Ma oltre questa ragione, che prima del 600 non erano ancora in pratica i segni monetari, un'altra ne dedu- co io dalla poca quantità dei simboli, che si conta- no sulle monete, di cui si parla, pel lungo corso di tutto il secolo precedente, e che rimane di molto in- feriore a quella, che uno degli annui triumviri usò in appresso d'impiegare da se solo : quantità, che non è in proporzione coU'operosità della zecca, la quale anche allora dovette essere abbastanza attiva, se dob- biamo giudicarne dalla copia della pecunia di quell' età, che ci è pervenuta. Di più, se questi sigilli an- che a quel tempo avessero distinto le matrici, come si spiegherebbero le piccole differenze , che fra loro comunemente s'incontrano, le quali addimostrano che più conii adoperavano il medesimo simbolo? Per esem- pio, io ho due medaglie dei Dioscuri coll'ancora, nella prima delle quali vedesi l'occhio per passarvi il cana- po, nella seconda no; due altre colla rota, ma in una questa rota è quasi il doppio più grande ; lo stesso dicasi di altrettante colla clava , col caduceo , colla spada gallica, che sono anch'esse chiaramente d'inci- sione diversa. Ma la ragione potissima, che spero mi darà vinta la causa, si è che ai tempi più antichi i nostri simlioli compariscono anche sugli assi e sulle loro frazioni, mentre all'opposto sul bronzo le note monetarie non si costumarono. Infatti le note arit- metiche vi sono del tutto sconosciute, e delle alfa- Decadi numismatiche 2i3 betiche non si ha die un unico esempio negli ultimi tempi, cioè sugli assi sémlonciali dei triumviri Gar- cilio, Ogulnio e Vergillo. Arroge, che questi sigilli si trovano tanto sugli assi onciali, quanto sui sestanta- ri: il che basta per escluJere apertamente, che le mo- nete che ne vanno insignite siano tutte contempo- ranee. Ma se dunque tali simboli sulle primitive mo- nete romane non servirono alla distinzione delle ma- trici , qual altro significato si dovrà loro applicare ? Nella prima osservazione di questa decade ho recato alquanti esempi, dai quali si comprova, che il me- desimo simbolo si trova egualmente sul denaro, sul quinario, sul vittoriato, sull' asse e sulle sue parti , in somma su tutti i generi di moneta che allora s'im- prontavano: il che vuol dire, che si fece di loro ciò che fu praticato col nome dei prefetti della zecca , inciso anch'esso su tutte le varie specie monetarie , che si stamparono nella loro magistratura. Del pari si osserva che costoro a poco per volta, e quasi sot- tomano, presero ad introdurre memoria di se sulla mo- neta: per cui cominciarono dalT indicarsi con mono- grammi, con iniziali, o al più con una semplice sil- laba," non avendosi tra i più antichi altro esemplo in contrario se non quello di M. Titiiiio , che scrisse spiattellatamente tutto intero il suo nome in un asse di due once. Ora fra questi oscuri modi di denotar- si penso io, che uno fosse quello di valersi di em- blemi, sia allusivi al proprio nome, sia commemoran- ti qualche fatto particolare della propria casa: dal che ne verrebbe , che ciascuno di questi simboli accen- nerebbe un triumviro. Ed infatti considero, che con- servarono il medesimo significato anche dopo essersi 2i4 Letteratura assodato il costume , che i zecchieri si dichiarassero apertamente con lettere. Cosi per restringerci ai soli esempi del bronzo, nel quale, come ho detto, non ca- de il pericolo di confusione colle note monetali, noi vi scorgiamo lo scudo macedonico, il buteone, il li- tuo, la cornacchia, la testa della sibilla e l'ucello to- dus per rappresentare i cognomi di Metello Mace- donico, di Fabio Buteone, di Minucio Augurino, di Antestio Gragulo, di Cornelio Siila e della famiglia dei Todi o Todilli, ed ugualmente Ulisse in memo- ria del progenitore dei Mamilii, Cupido e la testa di Venere per celebrare la dea, da cui vantavano di di- scendere i Memmii, i berretti dei Dioscuri per ricor- dare l'origine tusculana di Manio Fonteio, e la tri- queti'a in un asse inedito di Lentulo figlio di Mar- cello del museo d'Ailly per rammentare il patronato della Sicilia goduto dai posteri del conquistatore di Siracusa. Che anzi tra i simboli solitari dei vecchi assi se ne hanno alquanti, che vediamo poi assunti per insegna da alcune particolari famiglie, quantun- que ce ne sia sconosciuta la ragione. Tali sono il del- fino adottato da Spurio Afranio, l'ancora da C. Fon- teio, il timone da M. Cipìo, l'astro da Papirio Car- bone, la Vittoria volante da Terenzio Lucano, e la mezza luna da L. Saufeio, al quale per ciò avrei da- to il cognome di Crescente , se il C. Saufeio Cre- scente ricordato in un'iscrizione del Muratori (p. 5 17, 5 ) non fosse un liberto. Talvolta questi simboli sono doppi, ma così stravaganti nella loro unione da do- versene fare le maraviglie, se non si credessero rap- presentanti una persona. Mi ricordo di aver veduto in Roma un asse, dal quale correggevasi l'infedele di- segno del museo hedervariano ( yE tah. unica n. 2 ), Decadi numismatiche 2i5 in cui un maglio era accoppiato al berretto di un fla- mine, che ha l'analogo in un mio denaro incerto con Castore e Polluce. Non sembra egli manifesto essersi voluto significare, che un Publicio Malleolo , o chi altri sia il zecchiere designato da quel maglio, era nello stesso tempo o pontefice o flamine ? Appunto come fece un legato della Macedonia in un tetra- dramma divulgato dal Sestini (Museo Fontana par. II, tav. II, n. 9 e part. HI, pag. 12, n. i ) , il quale anch'esso nascose il proprio nome sotto il simbolo di una mano che stringe un ramo di albero: se non che la sua carica non essendo suscettiva di essere espres- sa con un'insegna, dovette aggiungere in lettere LE- Gatus. Ma una prova più positiva, che questi emble- mi indicavano realmente il monetario, ci viene som- ministrata dai nummi delle restituzioni. Si conoscono due denari incerti, e li posseggo ancor^io, nell'uno dei quali sotto il ventre dei cavalli dei Dioscuri vedesi una testina femminile, nell'altra un clipeo ed un li- tuo militare. Ora quando questi due denari furono restituiti da Traiano, si aggiunse al primo nel diritto l'epigrafe COCLES ( Morell, /ior«^m n. Ili), al se- condo DEGIVS. MVS { Ramus, t. I, part. Il, pag. 3o n. 18 ). Come sarebbesi indovinato che questi due nummi furono impressi da un Orazio e da un De- cio, se non si fosse arguito da quei simboli, i quali al tempo di Traiano si sarà saputo a chi spettavano, benché non ne sia giunta a noi la notizia ? Però di un altro denaro, parimenti incerto, possiamo giudicare da noi stessi. Prendasi di grazia quello che ha nell' area un cane, e si paragoni col terzo morelliano del- l' Antestia. Si vedrà che il rovescio è in ambedue istessissimo : non vi ha altra differenza, se non che nel 2i6 Letteratura dritto del secondo fu accresciuta l'iscrizione C. ANTE- STI, che manca nel primo. Non vuol egli ciò dire, che il triumviro Anteslio credè di denotarsi abbastan- za anche col solo emblema del cane ? Infine un al- tro esempio anche più patente ce ne viene posto da una medaglia di argento, e da un semisse della gen- te Cecilia ( Morell, tav. i, n. V; tav. 2, n. IV ), ai quali nell'osservazione VI della decade Vili aggiun- si il triente ed il quadrante. In tutti questi il zec- chiere si contentò di palesarsi colla semplice testa di un elefante, che fa l'impresa dei Melelli, perchè ri- cordava, che quegli animali furono per la prima volta condotli a Roma nel trionfo di L. Metello. E affin- chè poi non possa dubitarsi che costui fosse veramen- te di quella casa, abbiamo un altro semisse ( Morell, tav. 2 C ): ed io ne conosco anche il quadrante, in cui alla prefata testa fu unita la leggenda C. ME- TELLVS. Per tali considerazioni io mi persuado realmente, che ognuno di tali emblemi sulle mone- te del sesto secolo di Roma significhi un prefetto del- la zecca : né mi farebbe poi maraviglia , che anche allorquando divennero un segnale delle matrici, in- vece di essere pienamente arbitrari, come si suppo- ne, conservassero in parte l'antico valore: se non che invece d'indicare il triumviro , di cui già scrivevasi apertamente il nome, alludessero dXVofJicinator^ o sia al capo responsabile degli operai addetti al ministero di ciascuno dei conil. Diversamente non saprei com- prendere a quale scopo fossero aggiunti sulle monete, che sono già distinti dalle lettere, e meglio dai nu- meri, ove la loro presenza sarebbe inutilissima. Ma che che sia di ciò , nell' altra mia opinione sarà sce- mala di molto la maraviglia, come cosi pochi riman- Decadi numismatiche 217 gano i monetari del sesto secolo, dopo che il para- gone degli scoperti rlpostini ci obbliga di trasportare al secolo susseguente la maggior parte delle medaglie, che al cinquecento erano state assegnate dai passati numismatici. E questi poi avranno avuto gran torto di aver poco curato per 1' addietro la varietà degli antichi simboli , dei quali non hanno saputo ap- prezzare l'importanza : e quelli specialmente del ra- me, di cui non si è tenuto finora conto veruno. Al- la qual negligenza sarà quasi pienamente riparato, se il eh. signor barone d'Ailly, e i benemeriti padri del collegio romano, possessori delle due più ricche colle- zioni di bronzo consolare che in oggi si conoscano, vorranno pubblicare le loro ricchezze; non dubitan- do che col moltiplicare i modi di confronto, si riu- scirà a scoprire la famiglia di qualche altro di questi misteriosi triumviri, Osservazione VII. Il Patino fu il primo ad accrescere alla serie delle famiglie nella gente Cornelia ( tav. 5, n. 7 ) una medaglia di bronzo del proconsole Sisenna: ma per difetto del nummo da lui veduto tralasciò l'ul- tima riga dell'iscrizione del rovescio. La neglesse il Vaillant, ma la ripetè tal quale il Morell, a cui non avvenne d'incontrarsi in altra più conservata: il qua- le poi ne aggiunse una seconda ( Cornelia tav. 5, B), anch'essa con epigrafe mutila , che al Caronni non riuscì di supplire con quella ch'esisteva nel museo hedervariano ( P. II, pag. 49» n. 1253 ). Non soche questi impronti siano slati riferiti da altri : per cui n'è tuttavia imperfetta la descrizione. Ed anzi tanto 2i8 Letteratura l'Eckhel ( t. IV, p. 23o ), quanto il Mionnet (t. IX, Suppl. p. i54) preterirono Sìsenna nell'elenco- che ci hanno dato dei proconsoli conosciuti dalla numi- smatica. Fortunatamente posso ristaurarle ambedue, esistendo la patiniana presso di me. Onde dirò eh* ella è un assario, il quale offre nel diritto la leggen- da AYGVSTVS ( A e V in monogramma ) in faccia alla testa nuda di questo principe rivolta a destra ; e nel rovescio la seguente iscrizione di quattro linee dentro ima corona di alloro : SISENNA ( N e A in mon. ) PR. COS L. SATI ( A e T in mon. ) P. GOTA. B ( T e A in mon. ) Trovasi poi la seconda, ch'è un dupondio, nel museo Verità di Verona, la quale aveva dall'un lato la me- desima epigrafe AVGVSTVS dirimpetto alla stessa te- sta a dritta, e dall'altro SISENNA (N e A in mon.) PR. COS in due righe, entro una corona d'alloro, con attorno L. STATIVS (T e A in mon.) FLACC. P. COTTA (T e A in mon.) BAL. (A e L in mon.) II. VIR. Un'altra consimile ne fu acquistata dal dott. Nott colla semplice differenza , che la leggenda del rovescio era cosi variata : STATIVS. FLACCVS. COTTA. BAL. II. VIR cogli stessi monogrammi. Il Sestini, che non ne aveva veduta alcuna, inchinava da prima a crederle di Utica : ma dopo avergli mo- strato la mia, considerata la rozzezza del lavoro, con- venne meco nel giudicarle siciliane, e probabilmente di Palermo. Prima di passar oltre noterò, che in quel COTTA abbiamo forse il primo caso che offra la nu- Decadi numismatiche aio mismatlca di un cognome passato a fare le veci di un gentilizio: del che molti esempi tratti dalle lapi- di raccolsi altre volte (Della gente Arria p. 38 ) fra i liberti e i clienti dei grandi personaggi , come C. MAECENAS. C. L. CELER ( Fabretti pag. 226, n. 6o3 ), M. DRVSVS. M. L. PHILODAMVS (Car- dinali, Diplomi n. 43 ), L. PAVLLVS. L. L. AV- CTVS ( Muratori pag. 925, 3 ): per cui si avrà da dire che questo siciliano, o un suo antenato, avendo ri- cevuto la cittadinanza pel patrocinio di un Aurelio Cotta, preferisse di denominarsi piuttosto dalla fami- glia, che dalla gente del suo benefattore. Tuttoché il Morell avesse riferito queste meda- glie nella gente Cornelia, ciò nondimeno l'Avercam- pio seguendo le orme del Patino le attribuì alla Sta- tilia, perchè nella mutila pubblicata da quest'ultimo volle leggere L. STATIlius. SISENNA. PHoCO/ìSmZ, malgrado degl'invincibili ostacoli, che ne opponeva la diversa collocazione della parola SISEINNA. Pl\. COS. L. STATI. Quindi credè che quel magistrato fosse lo Statilio Sisenna memorato da Velleio nel lib. 2, e. 14» ove nota che la casa fabbricata dal celebre M. Dru- so, quondam Ciceronis^ mox Censorini fuit^ nunc Statila Sisennae est. Ma dopo il ristauro che ne ho dato, e dopo il confronto colla compagna, è ora ma- nifesto che quel STATI non doveva supplirsi STA- Tl/mi', ma STATIw^, e che quel nome non ispetla già al proconsole, ma al duumviro L. Stazio Fiacco. Lo Statilio poi di Velleio. è T. Statilio Tauro Sisen- na console ordinario nel 769, che si sarà aggiunto il secondo cognome della famiglia della madre per dif- ferenziarsi da T. Statilio Tauro console anch'egU nel 764, il quale piuttosto clic suo padre io reputo suo 220 Letteratura fratello: appunto come fece l'altro T. Statilio Tauro console nel 798, che si disse Corvino, perchè nato da una della casa dell'oratore Messala Corvino, sic- come ricavasi da una lapiduccia del Grutero (p. Sgy, IO ). Ma egli non può essere opportuno al nostro ca- so: perchè convengo col Rychio (^ad Tucitum, an. 2, e. I ) nel crederlo un nipote del vecchio Tauro con- sole nel 718 e nel 728 , e quindi figlio del Tauro triumviro della zecca con Fulcro e con Regulo : e perchè si hanno altre ragioni per opinare che conse- guisse i fasci di buon'ora, ond'egli fiorì sotto Tiberio piuttosto che sotto Augusto: mentre al contrario la faccia rappresentata sopra questi nummi, priva della laurea , non sembra permettere che si riportino all' estremo del principato di quell'imperatore. Troppo an- tico viceversa mi sembra il Gabinio Sisenna figlio del console del 696, di cui tre anni dopo si fa incordo da Valerio Massimo ( lib. Vili, e. i, §. 3 ), da Dio- ne ( lib. 89, e. 56 ), e da Giuseppe ebreo (Ant. iud. lib. 14, e. 6, §. I ). Per mo non so dipartirmi dal Sisenna triumviro monetario in compagnia di Apro- nio e di Messala, dai quali si fecero improntare al- cune delle medagliucce di nuova forma, delle quali non si è ancora indagato la vera età, ma che mi sem- brano non posteriori di molto alla battaglia di Azzio. E tengo poi, che tanto il triumviro, quanto il pro- console siano il Cornelio Sisenna, di cui ci dice Dio- ne ( lib. 54» e. 27 ), che nel 741 essendo stalo rim- proverato in senato ( era dunque a quel tempo se- natore ) per la sregolata condotta di sua moglie, ri- spose, ch'egli però l'aveva presa a persuasione di Au- gusto: il quale ne restò cosi irritato, che usci dalla curia, e non vi tornò se non dopo essersi rimesso in Decadi kumismatiche 221 calma. L'impeiiineiiza e l'acrimonia di quella rispo- sta persuade ch'egli sia il S^isenna ricordato da Ora- zio nella satira VII del lib. I; al qual passo viene notato da Acrone come maledicus et morda x. Non fa quindi maraviglia, se non ascese al consolato, e se dovette contentarsi del proconsolato della Sicilia, che dopo conseguita la pretura, dipendendo dalla sorte , non potea più essergli tolto. Di lui pure suppongo che si faccia menzione in questo litoletto romano di ottimi tempi, ora del museo reale di Parigi, pertinen- te ad un suo liberto: V . L . CORNFXIVS SISENNAE . LIBERT HILARVS . MIN . SIBI . ET 0 AVGEINI . L . ET C . PAPIRIVS . C . L . HERMO LICTOR Sarà dunque un discendente di L, Cornelio Sisen- na lo storico , pi'etore peregrino nel 676 ( Gi'utero p. 5o3 ), il che non si seppe dal Pighio, legato di Pompeo nella Grecia, nell'Egeo e nell'Ellesponto per la guerra piratica ( Appiano, Mithr. e. gS ), nella qual legazione mori nel 687 (Dione lib. 36, e. 1 ). Osservazione VIII. Dal Tristano ( tom. I, p. 66 ) passò nel Patino ( Cornelia tav. 2. 4 ) una medaglia di bronzo dell' isola di Coo, che mostra una testa virile nuda coli' epigrafe MAPK02. AEIIIAOZ, e nel rovescio un altra testa laureata e barbata, che ora fu detta di Ercole , 222 Letteratura ora di Giove , ma che in oggi si reputa meglio di Esculapio, cui era sacra quell' isola , coli' iscrizione AI0$A]NT02 . KQim. Il Morali, persuaso che il pri- mo ritratto fosse quello di Lepido il triumviro, ne ag- giunse un'altra del tutto consimile , se non che in vece del nome di lui porta scritto NIKIA2 ( Corne- lia tav. II, n. IV e B ). Ma l'Eckhel oppose ( t. 2, p. 601 ), che quell'effigie non poteva appartenere al triumviro , non vedendosi qual ragione avessero gli abitanti di Coo per onorarlo sulle loro monete sce- verato dai suoi compagni, quando egli non ebbe mai alcun dritto sulle provincie di oriente: e infatti non si conoscono altri suoi nummi in quelle regioni. Cre- dè adxmque che sincera fosse la medaglia di Nicia no- minatovi come magistrato della città; che l' immagi- ne fosse di Ottaviano : e che nell' altra, da lui non veduta, un falsario ne avesse adulterata la leggenda , tramutandola in MAPK03 . AEniA02. Il Visconti all'opposto ( Iconogr, greca tom. 2, cap. io, §. 4) non fu persuaso che Nicia stesse su quella moneta come eponimo, rilevandovi dalla stessa epigrafe, che tale era allora Diofanto, di cui si è trovato poi me- moria nell' avanzo di un marmo di Coo ( Corpus inscr. grecar, n. 2809, B ). E veramente in più di un centinaio di medaglie di quella zecca non si ve- de mai ricordato se non che un magistrato solo. Co- me dunque supporre clie Nicia sia stato un collega di Diofanto nel medesimo ufficio, ora massimamente :he si conoscono altri cinque dei suoi impronti, so- migliantissimi del resto al morelliano, se non che a Diofanto sostituiscono Antioco, Carmilo, Eucarpo, Cal- lippide e Polychare ( Mionnet, tom. Ili, pag. 4^9, n. 80 e 82, suppl. t. VII, p. 578, n. ii3, 1 14 e Decadi numismatiche 2 23 ii5 ) , senza mai che aggiungasi a lui alcuna nota della ripetuta magistratura ? Si avvisò per conseguen- za che questo Nicla fosse quello, di cui dice Straho- ne ( lib. XIV, p. 567 ), che ai suoi tempi fu prin- cipe di Coo : Ka5' , i^/xa? Nj/jocg é }iaruzvpwjvr,ciix<; Kwcov: aggiungendo che un musico di nome Teomne- sto fu capo della fazione che gli era contraria. Sli- mò poi che costui fiorisse al tempo della guerra ci- vile con Bruto e Cassio ; negò che Ottaviano fosse qui rappresentato, non potendosi avere medaglie in oriente colla sua testa innanzi la battaglia di Azzio: e conchiuse che questo ritratto doveva essere dello stesso Nicia, il quale si sarà fatto effigiare sulle mo- nete dell'isola da lui occupata, ad esempio di Bruto, di Labieno e di Enobarbo, altri capi di quel partito. Del resto senza aver veduta anch'egli la medaglia di Lepido, convenne coU'Eckhel nel sentenziare, che da un falsario fosse stato aggiunto quel nome ( Iconogr. rom. cap. 2, n. 8 ): nel qual parere l'ha ultimamen- te seguito il cav. Mionnet ( t. VI, supph p. SyB, 6). Non ostante il sinistro giudizio di questi dot- tissimi, la controversa medaglia esiste genuina; ed ol- tre quella del museo Pembrock p. Ili tav. 46 > un'al- tra superiore a qualunque eccezione in ogni sua parte si conserva in Pavia presso il mio amico profess. Al- dini. Fattone confronto con due bellissime di Nicia dell'I. R. museo di Milano , si è verificato, che le due teste sono ben diverse; ond'è escluso non solo il sospetto dell'Eckhel e del Visconti, ma l'altro di più che rappresentino la medesima persona. Il che essendo, io non risusciterò l'antica opinione in fa- vore del triumviro Lepido, avendo per gagliardissima l'obbiezione eckheliana, che colla sola immagine di 224 Letteratura lui non si debbono aver medaglie stampate in orieu te; ma osserverò invece, che se ne conoscono altre di Coo collo stesso rovescio di Esculapio, e col no- me parimenti del magistrato municipale, le quali in luogo della testa di INicia offrono quella di Augusto ora non indicato (Mionnet, suppl. t. VI p. 679 n. 117), ora fatto certo dall'epigrafe 2EBA2TOI (idem n. 117 e 119, t. Ili p- 409 n. 83). E ricorderò poi ciò ch'esposi nell'osserv. VI della decade II, cioè non esser nuovo sulle medaglie asiatiche del principio dell'impero di trovare intorno la testa dei principi il nome di un personaggio romano, che quantunque in caso retto, e senza che annunzi la dignità che oc- cupava, indica non di meno il proconsole che gover- nava in quel tempo la provincia. Ai due esempi, che allora addussi del figlio di Cicerone e di Paulo Fabio Massimo, che sulle monete di Magnesia del Sipilo, e di Gerapoli della Frigia accompagnano l'effigie di Augusto, e al terzo di Asinio Gallo, che in un'altra di Temno dell'Eolide fa altrettanto con quella di Caio figlio di Agrìppa, ne aggiungerò un quarto datoci dal Mionnet (t. VI p. 670 n. 401) di un P- Scipione presso una testa, che io reputo di Augusto o di Ti- berio, perchè credo ch'egli sia il P. Scipione suffetto nel 755, del cui proconsolato asiatico ci fa testimo- nianza un'iscrizione di Smirne del Muratori (pag. 2993). Altrettanto si osserva nei proconsoli dell'xlffrica che talora assumono, ma più spesso ommettono, il loro titolo : onde vediamo iVffricano Fabio Massimo , P. Quintilio Varo, e L. Volusio Saturnino ricordarsi pres- so i ritratti di Augusto o di Agrippa nei nummi, di cui" parlai nell'osser. V e VI della decade VI , non che L. Apronio accanto all'immagine di Druso figlio Decadi numismatiche 22.5 di Tiberio in un altro d'Ippona libera non incognito airEckhel (t. VI p. 147). Con tali scorte sarà ri- mossa ogni dirricoltà dalla nostra medaglia, se si ten- ga che in essa pure la testa rappresenti l'imperatore, e che il nome di Marco Lepido ricbiami un pro- console. Ora nella serie dei rettori di quella provincia abbiamo due Lepidi, ambedue i quali si appo'^'^iano alla testimonianza di Tacito. È il primo Manio Emi- lio Lepido console nel 764, figlio di Quinto console nel 733, e nipote di Manio console nel 688, il qua- le dal canto materno era pronipote di Siila e di Pom- peo, siccome nato da una Cornelia proveniente dal matrimonio di Fausto figlio del dittatore con Pom- pea figlia del Magno (Tacito an. 3, e. 32 e 71): della qual sua dignità si ha indizio anche in una lapide di Pergamo del Muratori (p. 669, 4) corretta in oggi dal Richter (p. ^85, 4), la quale memora un PRAE- Fectus labrum /\i\/. LEPIDI. Ma la diversità del prenome esclude che nel nostro caso si possa pen- sare a costui. Resta l'altro, ch'è Marco Emilio Le- pido console nel 789 , fratello cadetto del L. Paulo console nel 784, progenero di Augusto, fìgho come lux del L. Emilio Lepido Paulo sull'etto nel 720 e della Cornelia celebrata da Properzio nata dal P. Sci- pione suffetto nel 716 e dalla Scribonia poscia mo- ghe del precitato Augusto, nipote di L. Paulo con- sole nel 700 fratello di Lepido il triumviro. Ottenne egli l'Asia nel 779 (Tac. an. 4 e. 50): e se alcuno facesse le maraviglie, come avendo avuto i fasci cin- que anni prima di Manio Lepido, non conseguisse poi la provincia se non dopo di lui, sappia che lo stesso Tacito ce ne adduce la ragione (An. 3 e 35) G.A.T.LXXXIV; ,5 2!26 LBTTKRATUnA Ella fu, che nel medesimo anno 77^5 'ii cui l'Asia fu data a Manio, anche il nostro Marco fu proposto per l'altro proconsolato consolare dell'AlTrica insieme con Giunio Bleso zio di Sciano, ma che la prudenza lo consigliò a cedere spontaneamente quel posto alla potenza del suo compelitore. Ecco dunque l'unico M. Lepido dotato delle qualità richieste per potergli at- tribuu'e la presente medaglia dopo il triumviro; e di- co l'unico, perchè il Marco figlio di quest'ultimo non ebbe ulllci, anzi come capo di una congiura contro Augusto fu condannato a morte da Mecenate nel 724 (Vellcio 1. 2 e. 88: Appiano, Bel. Civ, 1. 4 ^- 5o), avendo poi data appostatamente la geneologia degli alili Lepidi, affinchè si vedesse, che tra loro il con- soie del jSq fu il solo di questo prenome. E né meno può trovarsene altro opportuno posteriormente, giac- ché apparisce che la nobil'ssima casa degli Emilii era già spenta del tutto ai tempi di Claudio, non incon- trandosene più ricordo veruno, e conoscendosi anzi che la posterità del triumviro terminò nel congiurato predetto: che il ramo di L. Paulo progenero di Au- gusto si estinse in Paulo Emilio Regi Ilo, che non ol- trepassò la pretura, e ch'io ho credulo morto al ietn- po di Caligola (Dell'ultima parte della serie censoria p. 112), Come quello del nostro proconsole fini nel suo iìgliu()lo M. Lepido giovane di prima barba, fatto uccidere dal medesimo imperatore (Dione 1. Sq e. 11 e 22). Da tutto ciò ne consegue, che la testa del nostro nummo deve rappresentare Tii)erio: e di fritti consultatine i lineamenti, meglio che ad Augusto si addicono al suo successore. Eissata cosi l'età di questa medaglia al 779 di Roma, se ne avrà un fondamento per meglio ragio- , Decadi KUimeMATicHE aay nare sulla consìmile morelliana di Nicla : intorno !a quale convengo col Visconti, che quel nome non po- tendo essere del magislralo urbano, debba significare di chi sia la faccia l'appresentata. Però se ambedue queste medaglie furono impresse durante 11 reggimen- to di Diofanto, saranno per conseguenza conlempo- ranee: del che anzi non potrà dubitarsi, osservando che anche gli altri eponimi Carmilo (Mionnet t. 3 p, 4^9 n. 82 , e suppl. t. V[ pag. Sjf) n. 117) e Calllppide (Id. t. VI suppl. p. 678 n. 114 e 118) impressero egualmente sulle loro monete ora l'imma- gine di Augusto, ora quella di Nicla. Ma se ciò è, non sarà più vero, che vi fosse effigiato perchè te- nesse attualmente il principato di Coo. Egli non ne godeva più, quando Sirabone già vecchio scriveva la sua opera nel 771: percliè da lui si accenna chiara- mente ad un tempo passato, invece del presente ado- perando l'aoriito 7: /taTup:>;Vvv;(7(X?5 e quindi molto meno ne avrà goduto cito anni dopo, quando nel 779 fu- rono batlute le medaglie di Diofanto. Si ha dunque tutta la ragione per credere, che allora Nicla fosse già morto: con che viene tolta ogni difficoltà, ch'egli possa essere rilrallato sopra le monete di un tempo, in cui por certo quell'isola obbediva pienamente al potere imperlale. Ma sussisterà poi eh' egli sia stato UD partlgunio di Bruto? Io non vedo che siasi pen- sato a queslo espediente, se non per trovare un in- tervallo , in cui uno , di cui Strabene ricordavasi , abbia pv>tuto vivendo usurpare gli onori sovrani, che vengono resi dalla zecca. Ma quell'argomento cade del tutto, quando al pari di quella del 779 si ten- ga, che anche tutte le altre medaglie che lo rappre- sentano siano posteriori alla sua morte. E quel aup- 228 Letteratura posto viene poi apertamente smentito dal fatto, che nel mentre che la potenza di Bruto non giunse a durare due anni, per sei almeno trovasi Nicia ricor- dato sui nummi ; a cui si aggiunge 1' impossibilità , che un fautore dei congiurati fosse pubblicamente ce- lebrato sotto i regni di Augusto e di Tiberio. Che cosa dunque si avrà da pensare della sua tirannide? L'Ecldiel ( tom, II pag. 899 ) cita una medaglia au- tonoma di Coo , in cui ricordasi come esonimo un Nicia, ch'egli credè la stessa persona del tiranno di Strabone, e in quella data dal Mionnet ( t. VI, suppl. p. 568 n. 36 ) leggesi KQto^v U?01 NIKIA2. Igno- rasi come si chiamasse il principale magistrato di quell' isoia: ma il Cavedoni nel suo spicilegio p. 194. ha opinato con molla verosimiglianza, che si appellasse lipoGZUTr];^ fondandosi sugli altri esempi della stessa zecca, nPOTT. ETAAM, nPOYTA. TETAOT, $iriQN. nP02T, cui si avrà da aggiungere anche il KYEQIV. IIP02, ^ Mionnet loc. cit. pag. 867 , n. 29 ). La novità di questo titolo ignoto alla numismatica del- le altre città greche, e la sua significazione che sem- bia importare qualche cosa di più del solito arcon- te , comparale col yicci:cxrupTJ'J-/]7(X? di Strabone, non permetterebbero esse di pensare che le leggi di Coo concedessero al loro prostate durante il suo ufficio una tale ampiezza di potere da equivalere presso a poco ad un principato? Si sa bene che fra gli anti- chi la voce tiranno non ha sempre 1' odioso valore, che se le dà al giorno d'oggi: e in ogni caso non. è egli lecito di sospettare che , a dispetto della fa- zione di Teoranesto, si mantenesse ISicia nel suo po- sto oltre il tempo consueto, onde possa applicarsegll ciò che Cornelio Nipote scrive di Milziade cap. 8 ? Decadi kumismatichk aag Nam Chersonesi, omnes illos quas hahitarat an- nos, perpetuam ohtinuernt dominationem, tjran- nusque fuerat appellatas , sed iustus : lìoii erat enim vi consccutus , sed suorum vohintate, eam- que potestatem honitatc retinuevat. Omnes autem et hahentur et dicuntar tf ranni, qui potestate sunt perpetua in ea civitate , quae Ubertate usa est. E vero clie Coo , al pari delle altre città di quelle regioni , ai tempi imperiali ebbe V arconte ( Corpus inscr. graec. n. 25o4 ^ ) •> "^'^ questa sarà stata una variazione portata da Augusto, quan- do nel 734 diede un sistema uniforme all'Asia, sic- come abbiamo da Dione ( 1. 54, e. y ) : Rebus in Graecia confectis, yiugustus in Samum navigavit^ ibique hjemavit. Vere in jdsiam perrexit M. Ap- puleio P. Silio consulibus, ibique et in Bithynia omnia constituit : poco prima del qual tempo sup- porrei che questo Nicla abbia fiorito. Per me certo in un contemporaneo di Strabone, dunque in un'età in cui Coo faceva parte sicuramente della provincia dell'Asia, non so immaginarmi altra specie di tiran- nide: e il vederlo poi onorato più volte dopo mor- te dai suoi concittadini mi dimostra, die la sua me- moria v' era rimasa in benedizione. Per lo che in ultimo sarà forse meglio il dive, che l'espressione del geografo alluda soltanto al titolo della sua carica , ricordando che anche Cesare il dittatoi'e viene da Dione ripetutamente chiamato npoa-UTQq ni^^c^g ( 1. 44» e. 2 e 48 ) • Osservazione IX, Una parte delle medaglie di P. Carisio alludo alla guerra cantabrlca, nella quale comandando egli 23o Letteratura un corpo di esercito come legato di Augusto, domò gli asturi e conquistò la città di Lancia : dopo di che presiedette alla fondazione della colonia Emerita, che fu poi la capitale deihi Lusilania. Fra queste ve ne hanno due, che ci mostrano le armi del popoli vinti; ma gì' illustratori della serie delle famiglie si sono poco curati d' indagare il loro nome e la ri- spettiva loro qualità , quantunque ciò sarehhe stato utile per riconocerli , quando si trovano soli in al- tre medaglie. Non era però difficile il farlo , valen- dosi specialmente delle notizie , che fra gli altri ci ha lasciate Diodoro Siculo, il quale ampiamente fa- vellò de' costumi dei celti e dcgl' iberi. Nel mezzo del rovescio di una di esse, eh' è la morelliana III della tavola 3 , a riserva del Begero che volle tro- varvi una maschera, tutti gli altri hanno veduto un elmo di fronte, che pitJ propriamente direbbesi una barbuta , essendo della natura di quelli, che calcati sul capo scendono a coprire tutta la faccia. Niuno però ha parlalo di una specie di gran mezza luna , che sopra di esso s' innalza : ma Dlodoro ci avvisa, che i eeltiberi usavano celate di rame adorne di purpuree creste ( lib. V, e. 33 ), e poco prima ci aveva detto { cap. 3o ) che i celti v.oavo §' xa^x^z' mpiTiCepTui. , p.r/aXag ^^oyaz s^ uv-oiv r/opru, y.ocL nap.- ['•ì'ph'O (^ocjTuaiocJ erufipovru ro7g y^poòij.ivoi'^. Di qui adunque potremo vedere la differenza del cimiero celiico dal romano; intenderemo che cosa significhi la eresia falcata dell'elmo, che nell'osserv. I ho cilata al n. 34 ha i simboli dei viìtoriali della mia raccolta, e conosceremo infine che fu per accostarsi ai costu- mi gallici, se alla legione V coscritta in quelle re- gioni Cesare diede un cimiero o pennacchio , che pECADI NUMISMATICHE 23 I dalla somiglianza colle lodole le procurò il sopranno- me di Alauda. Alla sinistra poi dell'elmo si mira nel citalo rovescio una spada corta, puntuta, e di dop- pio filo , che a prima vista si ravvisa pel notissimo gladiiis hispanieiisis : ma di strana strullura è l'al- tro arnese, che gli è collocalo a destra, e che si scor- ge pure nel mucchio d'armi di un altro denaro dello stesso Carisio ( lav. 2, n. 11 ). Si è creduto comu- nemente una hi penne: ma per certo non ne ha la forma, perchè consultando le due medaglie, die ne posseggo, Tuna colla testa di Augusto a destra, l'al- tra a sinistra , veggo che ha la cuspide in mezzo è come un uncino da ciascuno dei lati. Troppo sohria- mente ce ne ha parlato Diodoro e. 84, notando che i lusitani in particolare usavano un saunio , tutto di ferro, adunco alla foggia degli ami. Si sa che il saunio era un giaveloUo lungo circa due cubiti : dal che se ne ricavava abbastanza, che anclie il lu- sitano doveva essere un'arma da punta e non da ta- glio, benché fosse arduo d'immaginarsene l'uso. Ma ne ho poi trovato tutte le notizie , che poteva de- siderare, in Agathla, che lo dice un'arme patria dei franchi , dai quali chiamavasi angonr , e che così largamente ne tavella nel l. 2, cap. 5: Sunt angones hastae quaecLiiit ncque: (ulinoflum par^uir^ ncque admodum niagnae , sed ad iactu fericndum , si- cubi opus fu"rit , et ubi coininus coli afa pede conjlig'uduin est Jmpetusqae facicndus^ acconio- datae. Hac pleraque sui parte ferro sunt obdu- ctae, ita ut perparuìn Ugni a laminis ferrcis nu- dum consp/ciatur, atifue adeo vix tota imae ha- stae cuspis : supra vero ad extremitatem spicu- li adunai quidam niucrones ulrinque prominente a3a Letteratura ex ipso spiculo instar hamulorum rcflexi^ et de- orsum vergentes. In conjlictu itaque francus miles hunc angonem ìacit : quod telam si corpo- ri injlictum f aeriti adigitar qiiidem intro, ut ve- risimile est, caspis: neque is qui ictus est, nc- que aìius quisquam facile telum evellere potest; obstant enim acuminati UH hamuli altius carni inhaerentes, et acerhos cruciatus excitant, adeo ut etianì' si hostcm nequaquam letale vulnus ac- cepisse contingat, ex eo tamen intereat. Si vero sento impactum fuerit, statini ex eo propendete et circuuiagitur, infuna sui pajHe solum verrens et versans. Is vero qui ictus est, neque telum sento evellere valet , haniulis mordicus inhae- rentibus , neque ense amputare , quod nimìrum ad lignum pertingere non possit , ferrcis lami- nìs, quibus id obductum est, obsistentibus. Quod slmulac viderit francus , confestim pede insul- tet, et proculcans imam hastam scutum pondera sui corporis deprimit, ita ut gestantis manu non- nihil laxante et remittente, cap",t et pectus nu- dentur. Tum ille nudam hostcm ncque muìiitum nactus facile trucidai , sive securi frontem fe^ riens, sive alia hasta iugulum traiicicns. Parimenti Ire armi diverse ci si offrono dal se- condo rovescio ( tav. 2, n. v ). Nel piccolo scudo, che campeggia nel mezzo, di forma rotonda, e ripe- tulamenle attribuito alla Spagna nelle medaglie di Galba ( G. Sulpicla tav. 2 ), è stato facile di rav- visare la cyrtia di Diodoro , e la cetra di Livio ( 1. 21, e. II ) , essendosi ugualmente chiamata coli' uno e coll'altro vocabolo per testimonianza di Esi- cliio. Servio ( jéeneid. 1. VII v, 7.82 ) la definì- Decadi numismatiche aSJ sce : Cetra est scutum loreum , quo utuntur afri et hispani: al che da Isidoro (De orig. 1. 18, e. 89) si aggiunge : Scntiun loreum sine Ugno: e Plinio ( 1. XI, e. 93 ) ci dice, ch'erano impenetrabili le costrutte col tergo dell' elefante. Il Lipsio ( ^na- lect. l. 3, dial. 2 de inilit. rom. ) notò che questi scudi solevano anche incidersi o dipingersi, onde la versicolor cetra di Silio Italico ( 1. 3, v. 278 ): e infatti quello della presente medaglia non è privo di simili adornamenti, che nei miei due nummi veg- go cambiati a capriccio dell' incisore. Quella che si è detta un'asta , e che è posta a sinistra dello scu- do, più accuratamente doveva cliiamarsi una lancia, parola di origine ispana a detto di Vari'one presso Gelilo ( 1. i5, e. 3o ) : e di celtica a quello di Diodoro ( e. 3o ) , discordanza eli' è facile di con- ciliare nei celtiberi. La descrizione , clie il secondo ce ne ha lasciata, corrisponde esattamente alla rap- presentazione del tipo. Egli ci narra che la larghez- za del suo ferro era poco meno di otto dita: che la lunghezza ne ascendeva ad un cubito: e che anche maggiore era quella di ciò che gli era aggiunto, vale a dire del manico di legno, non della mezza luna dell' alabarda o partigiana del medio evo, com'era venuto in testa al Cluerio , la quale sarà stata piuttosto una reliquia dell' antico angone. In una delle mie medaglie verso la metà del manico osservo un cer- chietto rilevato all' intorno , il cui uso sarà stato» quello d'impedire che scorresse il cappio della cor- reggia che vi era attaccata per ricuperarla dopo sca- gliata, leggendosi in Isidoro (De orig. 1. 18, e. j)y Lancea est hasta amentum habens in medio. Dl^ screpanza finalmente vi è stata intorno il terzo stru«- 234 Letteratura mento che di egualissima forma scorgo pure nel sim- bolo tli uno dei miei vitloriafi, che ho citato di so- pra al n. 4.0, forse allusivo al cognome di Galìus. IlVaillauL l'Ita detto un acinace, FAvercampio in- vece Vh». creduto un halteo colla fih1)ia: e ciascuna di così opposte sentenze ha trovato seguaci. Ma la fibbia dell' Avercampio non è evidentemente se non che l' impugnatura di un' arme munita tli parama- no: eVacijiacp, o coltello dei persiani, era più coi\ to del gladio ispanico, il quale viceversa :ui nostri nummi cede in lunghezza a quest'altro. Meglio dun- que il Riccio si era contentato di dirlo una spada ricurva. Io vi riconosco la copis ricordata da ])io- nigi d' Alicarnasso nei nuovi frammenti ( Mai^ Col- lect. vatic. t. 2, p. 490 ), ove ci dice ciie i galli nihil haheiit quo laedcmt, jusi lancpcis et gìadios^ copidasque pvaeìongas : la quale ai medesimi si concede anche da Plutarco ( in Camillo ) , e che viene definita da Q. Curzio (Uh. VIIT, e. i4) : Co- pida. X. — Oportere Jabulis , quae traditae sunt, quoniam nihil falsi in eis continetur, /Idem adhibere. (3) llerod. lib. I, C)\, — Aajjo'vrs^ Ss aùruv toh'? hipoug s^tsvxt Ix, T175 ^w'pvjj , xai' itafa'Svjvaf ig I,y.iipvrìv, Xccì fji.vip^avncraa-5 ai nKoìa., È? Taì à<75sjXSV0lig rà wa'vra oda (7, 600; Vili, v. 554- GÀ.T.LXXXIV. 17 258 Letteratura è vero ciò che Dionigi ne afferma , che Tirrenia si chiamasse, lasciati i nomi particolari de'suoi popoli, la Italia tutta occidentale, sarà pur vero che udendo noi nominare cotesti tirreni , o tirreni-pelasgi , già intenderemo hene che essi ci parlano di que' popoli toschi uniti in confedei^azione con quelle grcciie mol- titudini venute qual prima qual poi in questa nostra penisola, le quali compartendo insieme i pi'opri co- slumi, le leggi, i santi riti, divennero infine una gen- te medesima (i): voglio dire quegli aborigeni, lidii e pelasgi, ossia come li chiama Tucidide , c[ae'tirrcni stessi che abitarono un tempo Lemno ed Atene (2); imperciocoliè, secondo che narra EUanico leshio nel suo Foroj\.de, furono i pelasgi chiamati tirreni da che presero dimora in Italia (3): e Ialini, umbri, au- soni , od osci ed altre genti originarie italiche , si chiamarono un tempo tirreni (4). Siccome intende- remo altresì la ragione di quelle tante conqìfiisle fatte da cotesti tirreni innanzi l'imperio romano ne'paesi degli umbri, de'siculi e di altri antichi popoli italici, e di quell' esteso dominio che vantarono poscia su tutta intera la Italia (5). Che parventi sempre cosa (t) Dionys. /, 55. Nello stesso modo gli oenolri, siccome dice Antioco di Siracusa scrittore antichissimo, erano prima divenuti e siculi, e morgiti, ed italiani. Ap, Dionys. /, 4- (q) Ap Dionys. I, i6. ft) Ibid; Cf. Dion. Perieg. v. 349: Au'to'Si vairicravro ( HsXacryot ) crw àvSpdat TvparìVoTcxiv. (4) Dionys. I, 2g. 'Hv yap Svj ^^po'voj òVs xai' Ao.tÌ'voi', xai' Ojx^pi- Y.oì , xa(' AùVovcj, xai' avyyoi àXXoi, Tvpprivot u

    . Vili, 5 ), e Virpo che trovate accovacciato in altre de'tu- dertini [Tav. l,cl. Ili, 2; Tav. Il, ci. Il, 2, 2 ), e quella testa di Pico e di Fauno, che sono ritratte in due monete coniate lo- dine, divinità poscia, prima re degli aborigeni ( vo' dire di qupl misto di varie genti, itala e greca, distinta poscia col nome di prisci o. casci latini [Lii'. I,i), fra' quali i rutuli han posto quanti altri onorato [V. Op. cit ci. II. far. di suppl. i, 3), non vi dicono che rutuli e latini si unirono in confederazione co' tuderti? Che non penseremo noi coH'erudito autore del ITI ar- ticolo suU'flei grave sign. M. G. M. ( V- il Tiberino, giorn. artist. di Roma, ann. VI, n. 11], che coteste monete di Todi sieno più antiche delle latine stesse, ne che i rutuli fossero un popolo co- si meschino da non poter mandar fuori dal loro paese colonie a popolare altri luoghi d'Italia, negando egli che di un tal fatto facesse motto la storia ; imperciocché dalla storia appunto sap- piamo, che sacre colonie spedirono i rutuli ( Cf. Serv. ad Aen. VII, V. '769 ) , e quella stessa mandata in Ispagna a Sagunlo (L/V. XX/, ']. Sii. Ital. I, 2^5, 291, ss.) ti prova quanto le città loro, che non una ne aveano, ricche si fossero e frequenti di po- polo. Lungo sarei, se dovessi qui tener conto di tutte le monete delle altre città italiche, che ne insegnano col ripetere della im- pronta della loro madre patria, come esse si tennero con quella in unione e in alleanza strettissima : perchè rimanderò per ora I miei leggitori a quella opera de'cchh. autori àeWaes grave del museo kircheriano, della quale mi propongo di tenere altra volta, quando che sia, un più lungo discorso. 262 Letteratura che d'Italia patissero ne'nomi confusione grandissima, non punto minore a quella che altrove soffre qualsi- voglia popolazione mista di più nazioni, e che vi aves- se un tempo, quando latini, umbri, osci e molti altri popoli, nominati fossero tirreni da'greci (i). Il che posto, non sarà pure chi vorrà negare a'sardiani quel- l'antica e vantata loro amicizia co'veienti (2), né agli etrusci quella parentela strettissima co'sardìani, di che parla assai chiaramente un decreto d'Etruria rammen- tato da Tacito e in cui gloriavansi costoro di chia- marsi dello stesso sangue de'toschi (3). Ma la prova piìi certa e sicura a dlffìnire una volta siffatta quistione sta ne'costumi e nella lingua stessa degli etrusci e delle altre antiche genti d'Ita- lia. E che la etrusca lingua, la umbra, la osca, la sabina e di quante altre razze furono mai di genti natie e primitive italiche, fossero figlie d'una madre comune, tranne alcuni particolari, in che questa si fece diversa da quella per variar di tempi o di costumi, o per altre circostanze o a noi ignote, 0 facili anche a indovinare, ma che vano sarebbe pel nostro argo- mento di andar rintracciando, dimostrasi dalla somi- glianza grandissima, che serbano le une colle altre, cioè a dire la etrusca colla umbra, e questa colla sa- bina, la prisca latina, la volsca, e questa colla etru- sca, colla osca, colla latina, colla umbra, e questi tutti finalmente cogli altri linguaggi de'popoli adiacenti alla Etruria campana, alla circumpadana, alla Etruria di (1) Lib. I, 19. (2) Plut. Quaest. rom. cap. LUI. (3] Annal. ir,5i. Popoli d'italia 2G3 mezzo, i quali si prestano fra loro si valido aiuto a vicenda e mano sì amica, che tanto far non potreb- bero sei buone sorelle. Chi voglia prendersi la briga di fare un confronto colle tavole di Gubbio delle più antiche iscrizioni de'latini, della sabina trovata presso Amiterno pubblicata dal Lanzi, della picena della fa- mosa statuetta di Apolline dal Lanzi illustrata, e do- po lui dall'Amati, della volsca dichiarata a questi ul- timi dì dal eh. Franchini (i), e dell'altra parimenti volsca trovata in Velletri e pubblicata anch'essa dal Lanzi, della lucana dichiarata dal Guarini, della osca di Abella, della etrusca di s. Manno, e dell'altra ce- leberrima pur di Perugia trovata nel 1822 ( comun- que diverse sieno le cose discorse in quelle epigrafi e in queste ) , troverà una analogia, una relazione di somiglianza che hanno in se tutti questi linguaggi , una siffatta corrispondenza tra loro, clie non potrà un momento dubitare che nati non siano d'un medesimo fonte. Ma sarà poi vero, che in queste lingue primi- tive d'Italia nate qui, e fatte adulte senza il ministe- rio di stranieri maestri, e qui pure cresciute ed in- vecchiate, sia tanto di greco, come i lanziani van pro- clamando, ch'e'faccia mestieri ricorrere a quella lin- gua per dichiararne il più delle volte gli oscuri det- tati ? Io lo credo, e '1 credo sì fermamente, che al- tra non mi penso delle italiche in fuori, quando non ve ne abbia in questi esempi o confronti, essere bastan- te ad aprirvi certi oscuri signilìcari, se non V arcai- ca greca. (i) Giornale arcadico, voi. 248, 249, pag. 3o2, ss. 264 Letteratura Se voi mi concedete, e negarlo affé no'l mi pò- Ireste mai, die aborigeni, pelasgi, arcadi, lidii ed al- tri greci coloni emigrati iù Italia in antichissimi tem- pi, a'quali più tardi altri se ne aggiunsero non po- chi da altre parti di Grecia, abbiano quivi avuto co' paesani comune domicilio : e se vorrete pur conce- dermi quella siffatta amicizia, parentela ed alleanza stretta fra costoro e per lunghissimi anni mantenuta, di che sopra abbiam detto; dovrete pur convenire con me stesso, che que'popoli, originaiùamente stranieri , ma sì legati ed avvinti di questi fortissimi vincoli cogli indigeni, non poterono non arrecare un qualche cam- biamento alle lingue di costoro; essendoché sia certissi- mo, che due popoli, i quali mettono a comune ciò ch'è proprio dell'uno e dell'altro, che difendono ugualmen- te il loro dominio su vaste provincie e ne han comune lo impero, distendino ugualmente e in pari tempo il loro linguaggio, e comunicando gli uni agli altri le ^toprie invenzioni si comunichino a vicenda anche 1 vocaboli. E quel dire che gli arcadi condotti da Evan- dro recassero i primi nella Italia fuso delle lettere greche (i), che Demarato meglio ancora le apparasse poscia agli etrusci (2) (siccome è certo altresì che etru- schi artefici, presi dal bello e nuovo stile de'greci mae- stri, assai si travagliassero intorno a' loro esemplari, che primi i compagni di Demarato datisi qui ad eser- citare loro arte diffusero per la Etruria (3) ) non vi (i) Dionys. I, 1^. (2) Tacit. Jan. XI, 14. (3j Lib. V; Fior. /, 5: Tarquinius postea Priscus, quamuis transmarinae originis, regnum ultra petens accipit ob industriam et elegantiam, quippe qui oriundus Corintho graecum ingenium italicis artibus inseruisset. Popoli d^talia 205 dimostra assai chiaramente l'uso e la conoscenza del greco linguaggio appo i toscani ? E quante città di Etruria, vivente ancora Giustino epitomatore della sto- ria di Trogo Pompeo, serbavano, confessandolo eì sles- so, manifeste vestigie di antiche greche costumanze (i)? Quindi quelle pelasghe e greche origini di Cere,

  • iixt»)V Ss riva Jf dj^ifoìv, >jj eVtiv 19 TrXsluv "Ai'oX/?. Cf. Qutnt. I, 6 Instit. Vocabula latina plurima sunt ex graecis orla, praecipue aeolica ratione, cui est senno noster sirnillimus, declinata. Popoli d'itali a 267 Homa im trattato tli pace segnato fra cartaginesi e ro- mani non intendevasi da' colti uomini, se non dopo seria e lunga meditazione (i). Ne esser poteva altri- menti, se cotesti romani, o primo popolo della novella città, un miscuglio furono di aborigeni, pelasgi, arca- di, lidii o greci antichissimi, e di nuovi greci coloni congiunti ad etrusci, umbri , sabini, prischi klini , avanzo di siculi misti ad ausoni od osci ed aurunci (2). Perchè voi vedete ancora, che a que'tempi ciascun paese era abitato da più razze di genti, ossiano tribù, delle quali una era per fermo di genti greche, siccome di Roma stessa, città semituscanica, ci ha contato Dio- nigi. E, per recarvene in prova altro esempio, vi citerò Mantova, città etrusca, di cui cantò Virgilio, che la ebbe a patria natale (i) Polih. lib. Ili, 22. Rimangono ancora alcune leggi de- cemvirali, ed alcune altre de're raccolte da Giusto Lipsio. Vedi- ne alcuni saggi per far ragione della differenza che v' avea dall' antico idioma latino a quello de'tempi di Polibio. LEGGE DELLE XII TAV. Sei quei endo ioure manom conseront , utreique superslitebos praesentebos vindicias sumunto. ,, (SI qui in iure manum conserunt , utrlque superstitibus prae- sentibus vindicias sumunto ). LEGGE DI NUMA POMP. Sei hominem folminìs occisit, in sopera genua nei tolilo. Sei fùlmine occeisos escit, ei iousta nulla fieri oporleto. ( Si hominem fulmen occiderit, eum supra genua ne tollilo. Si fulmine occisus est, ei insta nulla fieri oportet. ) (a) OiV.rjTwfi£s'Ir«X('«j, Gloss. vet. i>, Aurunci; Cf.Serv. ad Acn. VII, V. 726, 268 Letteratura Mantua dives avis\ sed non genus omnibus unum t Gens illi triplex, populi sub gente quaterni. Ipsa caput popicliSy tusco de sanguine vlres (i). E che una di quelle tribù fosse di gente antichissima greca o pelasgica, mescolata di altri greci venuti a più tardi tempi, lo affermano Dione Periegeta (2), Vir- gilio (3), Solino (4) ed altri, siccome avvertiva saggia- mente non ha guari in una dotta sua opera il eh. Orioli. E ciò è pure quanto avveniva in altri paesi d'Italia, dove parlavansi più linguaggi alla volta e par- lali vi furono per vari secoli. Rammentatevi, monsi- gnore, le iscrizioni in osco e in latino di Pompeia, rammentatevi i bruzi bilìngui di Ennio, che parlavano Tosco ed il greco, il quale linguaggio per certi di- plomi pubblicati di questi giorni dal eh. Minervini, sappiamo che durò in alcune città della Calabria cite- riore a parlarsi fino al i255 della era nostra (5), e rammentatevi pure i canusini bilingui di Orazio (6), che sapevano di greco e di latino, e finalmente que'i/*e cuori di Ennio che visse nel VI secolo di Roma (7), per dirne ch'ei si conosceva della greca lingua, della latina (i) Aen. X, 201; cf. Serv. ad h. l. Quia Mantua tres habuil populi tribus. (2) y. pag. 258; cf. Marc. Heracl. 216, ss. (3) Aen. X, 179; X, 718; cf. Dionjs. /, 20, 26. (4) Cap. VII. (5j In quatuor graeca diplomata nunc prininni edita aditola- tiones lulii Minerifiniì I. C.Neapoli 1840. (6) Sat. I, X, 3o. (7) Cic. Tusc. I, exlr. et Brut. 18. Popoli d'italia 269 e della osca (i)» e voi vedrete quanto questo greco lin- guaggio familiare e dimestico fosse in Italia^ e quanto pur vi durasse, e come debbe avere influito al cam- biamento delle altre antiche lingue del paese. Che se il tempo per se solo può trasmutare la significanza delle voci, siccome disse l'Alighieri, e la lingua nella stessa gente per successione di tempo grandemente si varia, chi non vede quanto maggiormente dee tramu- tarsi un linguaggio per mescolamenti, alleanze e pa- rentele avvenute con stranieri popoli, per novelle co- gnizioni di scienze e di arti acquistate e comunicate da questi stessi stranieri a'nazionali ? Che non è a du- bitare, che gl'itali apparassei'O poscia da'greci quello stile della piìi bella loro epoca, che tanto li fa vicini ed uguali a'ioro stessi maestri, di che fan prova i no- bili grafiti di alcuni specchi metallici, le statue, le urne, i bronzi, le pitture delle loro tombe. Ma che le altre città tutte delle tre Etrurie, e specialmente la più meridionale, abitate fossero di gre- ca gente mista alla indigena, e che l'\iso vi avesse co- mune e la conoscenza della lingua ellenica, e dirò pure promiscuo colla lingua del paese, più che i detti degli autori ne danno buon testimonio i monumenti sì greci e sì etruschi, die in quelle si van ritrovando. E qui intendo di parlarvi in modo particolare di quel- la immensa quantità di greci vasi e con greche let- tere scritti, che noi troviamo entro i toscani sepol- cri, e non pure nell' Etruria più mediterranea , ma nella circumpadana altresì, e nell'Umbria stessa e nel- la bassa ed alta Sabina, e dovunque. Che se scritti (8) Geli. Xf^II, 17. 2J0 Letteratura sono cotesti vasi in greca lingua, se fabbricati, eonie non è oggi più quistione, da' greci stessi in Italia, se degli italiani servirono a tutti gli usi e civili e do- mestici (i): se artisti italiani trattavano anch'essi a quell'epoca greche favole, scolpivano greche divinità, e greci nomi vi scrivevano nel patrio loro linguaggio; chi vorrà negare che promiscue non fossero e comuni appo que'popoli la lingua ellenica e la paesana, se pro- miscue e comuni erano divenute ai due popoli favole, divinità, scienze ed arti ? Ma le stesse etrusche iscri- zioni non sanno esse molto di greco ? Quegli etru- schi verbi TECE o TSECE o TAISECE , TVRCE o TVRVCE, ECVRE, TALCE, PHARCE, XSILAN- CE, CECHASE, CANTHCE, TIIVPITAISECE, CA- LESECE , CARVTEXAN ed altri siffatti non sono essi di greca origine? E chi vorrà negare che quelle voci PVIA, TAPI, LVPV, CANA, CFER; HVI, o THVI , MI, EGA, SVTHI , CEHEN SVTHI, IPA, APHVNAS , THII , THVES , TIIVRAS , AMA , PHLERES, CLVTIFA, APAS ed altrettali, che saria lungo di dire, greche non sian tutte, meno la termi- nazione talvolta che distingue una lingua dall'altra ? E la nomenclatura stessa di siffatte iscrizioni, le infles- sioni, la sintassi, la ortografia per varia clie sìa ed inco- etante, la paleografia, e perfino le figure e le forme del- le lettere, non sono elleno simili alle greche ? Dunque dirò con Lanzi, gli è certo che il' greco s'insinuò in questa lingua. Che se di greco è pur tanto neU'etru- (i) Second. Campanari, Intorno i vasi fittili dipinti rinvenuti ne sepolcri delVElruria compresa nella dizione pontificia. Roma i836, pag. 74 1 •J*- Popoli d'italia 271 SCO, ne troverete ancora nell' urahroe: dite lo stesso dell'osco, del volsco, delFantico latino, e di quante altre lingue e dialetti parlò mai questa Italia, allor- ché scrlvevali ne'suoi monumenti. Nò solo nella lingua e nelle arti convennero sif- fattamente itali e greci, ma nella religione altresì e ne'costumi. E primieramente gli dei venerati in Etru- ria furono ancli'essi gl'iddii della Grecia. Alati ed ar- mati di fulmine, siccome i greci, gli ebbero anche i tirreni. E i giuochi tutti usati in Grecia, sia ad onor loro, sia de'defunti, usati furono ugualmente in Etru- ria, ed i premii destinati a'vincitori gli stessi (i). Co- sì dicasi de'loro sacrlficii, delle libazioni, delle fune- ])rì cerimonie, e di quel barbaro costume eziandio di scannare sul rogo o sulla tomba de'trapassali umane vittime, proprio uguahuente degli etrusci e de'gi-eci. Quindi il modo di seppellire i moi"ti, di riporne en- tro i loro sepolcri le cose ch'ebbero più care e affe- zionate in vita, fu dagli etrusci (e quando parlo di co- storo intendo anche parlare di ogni alito popolo ita- lico), praticato nella stessa guisa che praticavanlo i greci. E che dirò delle loro pompe, de' denari , de' voti? Che della forma del governo , della divisione del popolo per tribù o per curie, che infme delle ar- mi, delle vesti, e di ogni altra greca ed etrusca co- etumanza ? Ma per una lettera fui già lungo abbastanza: e comunque altre cose dovrei aggiugnere alle già dette {^\)Second. Campanari , Pitture delle grotte tarquiniesi,giorn. arcadico toni. LXXyiI; Descriz. dei vasi rinvenuti nei sepolcri dell^ antica F'eio tav. I. Roma iS3g. 272 Letteratura a meglio trattare' e sviluppare così esteso argomento^ non vorrò ora abusarmi più della pazienza e cortesìa vostra, togliendo in vece su me fin d'ora il carico di ripigliarne, quando che sia, altra volta il discorso. Che se di ciò che io qui vi parlai e de'priml popoli ahi-, latori d'Italia, e de'costumi e della lingua loro vi avrò pure un poco persuaso; avrò insieme preso ad accor- dare la storia della nazione tirrenica a'suoi stessi mo- numenti, che a tanti letterati italiani ed esteri pa~ re\>ano dalla storia grandemente discordi. Con che bacio le mani a vostra eccellenza reverendissima , e alla vostra buona grazia mi raccomando. Di Roma a'28 di luglio i84q. Divotiss. obbligatiss. senfitore Secondiano Campanari ^«^^5Q«i^«— 273 Discorsi recitati dal cav. Gio. Battista Spina nella distribuzione dei premi scolastici del gin- nasio di Rimino. Discorso primo letto dal gonfaloniere Giovanni Battista Spina nella distribuzione de^premi se- guita in Rimini nel novembì^e delVanno i832. Di 'i tutti gli uffici, eccellenza reverendissima, illu- strissimi signori, che alla cura sono affidati del capo della riminese magistratura, reputo certamente uno de' più soddisfacenti e onorevoli quello di potere, o gio- vani egregi, premiando la virtù dei più distinti, ri- volgere a voi parole di encomio, di conforto e di af- fettuosa esortazione. E in vero per accelerare si fau- sta circostanza nulla per me si tralasciò; e ridonato alle antiche vostre esercitazioni questo edificio , già sparvero in lui le tracce della prolungata militare di- mora. La qual cosa operando, mi gode l'animo di ave- re altresì soddisfatto un giustissimo desiderio dell'ot- timo pastore, di cui ne fe'dono il supremo gerarca, e che per la prima volta ci concede l'onore di pre- siedere a questa scelta adunanza. Ma perchè durevo- le nella memoria vostra, di noi e della patria sia la presente solennità, permettetemi che quasi di volo io vi tocchi la odierna condizione degli studi, che de- viando dal primitivo inesauribile fonte, d'onde scatu- G.A.T.LXXXIV. lU 2^4 Letteratura risce la sapienza, può forse sembrare a taluno non lie- ve causa di quello spirito d'inquietezza,, che invade,, agita e turba oggimai tutte le menti. E infatti chi non s'avvede, per poco che spinga l'acume del pensiero al moderno insegnamento, che una tendenza pressoché materiale dominando le scien- ze ideologiche, fisiche e mediche non solo, ma le ma- tematiche, economiche e civili eziandio, fa grave, per non dire increscevole, a molti ogni lume di cristiana lede, che dovrebbe essere il condimento d'ogni scien- tifica disciplina? Sì, o signori, non altrimenti il gran barone di Verulamio qualificò la religione , che col nome di arma delle scienze: Religio est arma scien- tiarum ; per lo che lo stesso sapiente era fermo nel credere , che un sapere superficiale , o come dicono alcuni una semi-cultura, potea di leggieri trarre l'u- mano intelletto alla irreligione: ma una soda e pro- fonda dottrina lo facea suddito e riverente alla divi- nità. Buon per voi, o giovinetti, che siffatti prlnci- pii da'voslri precettori ogni giorno vi si ripetono, e vi si raccomandano ! Ma dovendo quind'innanzi molti fra voi compiere la carriera de' maggiori più difficili studi, ponete mente, che trattandosi dei diritti non vi si facciano meno apprezzare i doveri costituenti la morale che forma le leggi, mentre le leggi non for- mano la morale; ponete mente che per dimostrarvi, che la legge dev'essere impassibile, non la si quali- fichi atea, poiché non è legge quella che disconosce la origine della giustizia eterna, da cui discende l'or- dine e ogni bene ; rammentate clie l'eloquente ora- tore d'Arplno, quantunque pagano, convenientemente indicò l'attributo di quella impassibilità dicendo, che la legge è il magistrato miifo , e il magistrato è la Discorsi dello Spina ayS legge parlante. Guardatevi, che nel delinearvi la fisi- ca prodigiosa costituzione dell'uomo, non vi si tra- scini a giudicarlo per quella quasi da necessità con- dotto a operare; né mirando spinti dalla possanza di lievissimo vapore e globi aereostatici, e navi, e vasti ingegnosi opificii, e questi non meno che le contra- de di cospicue città illuminarsi da pura scintillante luce, argomentiate perciò possibile alla materia la pre- rogativa nobilissima del pensiero incompatibile colla natura di lei. E, messo il piede ne' riposti penetrali della geologia e della storia naturale , abbiate cura che non si cerchi di al^hattere l'autorità del più an- tico codice sacro, al quale le stesse recentissime sco- perte del giovane Champollion sulle antichità egizia- ne ( foi'secliè da prima tentate con intendimento di- verso ) diedero la più luminosa conferma, rinvenen- dosi nelle varie serie dei Faraoni precisamense que' nomi, che si leggono nella bibbia , e raffrontandosi con essa per via di esatti computi l'epoca delle ter- ribili piaghe dell'Egitto. Nò vi date a credere, o gio- vanetti, che la nostra credenza stabilita dall'uomo Dio, che c'intimò il candore della colomba e la pruden- za del serpente, e nella parabola de' talenti obbliga ognuno all'utile impegno del concessogli ingegno, sia avversa al progresso delle scienze, come i sofisti mil- lantano, e a quei rimedi che fanno meno travagliosa la sorte di noi miseri mortali. La paziente rassegna- zione comandataci nei mali non deve essere meno profonda e industre nel mitigarne o scansarne i di- sastrosi effetti. Quindi la storia, maestra della vita e luce della verità, ci presenta salvatori magnanimi del- la europea civiltà i pontefici, che perseveranti e co- raggiosi rintuzzarono la per tanti trionfi imbaldanzita 276 Letteratura ollomana barbarie, che somigliante a torrente gonfio per acque e nevi disciolte minacciava sommergere tutta quanta la cristianità. Quindi con alacrità di ani- mo pari al bisogno difesero la vera libertà de'popoli, parlando in loro favore contro i larvati tiranni, che li corrompono prima, poi li spogliano ed incatenano. Quindi nel loro solitario recinto vi fa la storia co- noscere i monaci, quanto gelosi conservatori dei de- positi della greca e latina sapienza a dispetto del più feroce vandalico furore, altrettanto diligenti custodi, e poscia propagatori indifessi delle migliori pratiche delParte agl'aria. Che se 1' avversione più sentita in qualche secolo a ciò che sapeva di novità potè in Sa- lamanca parere meno indulgente con un Colombo, e meno arrendevole in Roma al primo apparire delle dimostrazioni di un Galileo, di che lo strepito suo- nò assai maggiore del vero, non dovete da fatti pas- seggieri e isolati trarre argomento di prova per un sistema di così detto oscurantismo , smentito ed anzi dileguato dalla luce sincera di parecchi secoli, che nel Vaticano più particolarmente riunirono, co- me in ottico specchio, tutti gli sforzi più eccellenti e maravigliosi delle arti e delle scienze. O giovanetti dunque, e voi particolarmente che escite di questo luogo decorati del segno del merito, siate costanti, e diligenti, e affezionati allo studio; e solamente chiudendo l'orecchio alle ingannevoli pro- messe del genio del male , Dii eritis : dirigete la scienza all'adempimento del precetto divino : Estote perfecti. Per siffatto modo operando, verrete in fama di onorati cittadini, di ottimi padri di famiglia, e di Gdati sostegni alla patria e al principe; e bene allo- ra vi sarà chiaro e manifesto, che lo scibile umano, Discorsi dello Spina 277 rivolto unicamente alla materia, non è degno dell'alta . missione dell'uomo sulla terra , la quale abitata da esseri, che di quello solamente facessero professione e in atto e in parole, sarebbe o presto o tardi tea- tro di desolazione e di orrori. Perciocché (scolpitelo pure nelle vostre ancor tenere menti) senza un fine infinito, che può unicamente acquetarne, nluno di noi starebbe contento al posto, dove Dio ci ha collocati nella società; e in lotta perpetua coll'interesse vero di essa, che il nostro labbro invocherebbe mentendo, non penseremmo che al conseguimento di un potere qualunque, vedendolo poi nostro malgrado rapidamen- te passare in mani più ardimentose e fortunate. Da tali princlpli non mai dipartendovi (e qui ri- volgo il discorso a voi, o giovanetti, che nell'ultimo esperimento non otteneste la qualifica della distinzio- ne) abbiatevi senza amarezza verso i compagni lo sli- molo dell'incoraggiamento a tentare negli anni avve- , nire cose maggiori, e a riguardare in questo medesi- \mo ordine statuito una prova , che la clvil società pel benessere di tutti è obbligata ricorrere ai premi, come alle pene ; e che la sola eguaglianza possibile è quella, che tutti ne sommette al benefico coman- do delle leggi divine: comento delle quali e non al- tro esser debbono le umane, tanto a' dì nostri invo- cate e promosse. Discorso secondo letto nella distribuzione de' pre- mi dal medesimo gonfaloniere fatta nel gin- nasio di Rimini il 7 novembre i833. Mi è sommamente cara e onorevole la bella op- portunità, che per la seconda volta come capo della 7' Letteratura riminese magistratura mi concede di favellare a voi più particolarmente, o giovanetti, alla presenza auto- revole di S. E. monsignor vescovo, di molti cospicui colleglli , e di tanti altri illustri e saggi signori. E mentre per una parte fin da principio aino di ral- legrarmi con quegli invitati da questa solennità a spe- rimentare il conforto e lo stimolo del premio dato alla virLÙ, non posso ne debbo d' altra parte tacere la cagione, che fa nascere in me un contento mag- giore, e quasi direi inaspettato. Perciocché io veggo oggi assicurato e presente quell'avvenire, in cui un più ordinato e graduale insegnamento nel patrio gin- nasio aprirà la via allo studio delle scienze presso le università, le quali per le nuove sovrane prescri- zioni sarebbero a molti pressoché inaccessibili. Già dell' arte rettorica non è più da eleggersi il precettore ; e la munificenza di tale, che qui ne presiede, rispet- tato e rispettabile per lo ingegno e per l'inclita di- gnità, diede opera perchè la pai ria nostra, ospite de- siderosa di veri sapienti, abbia chi degli studi filoso- fici faccia commendevole professione. Quindi la logi- ca, la metafisica e l'etica avranno seggio onoralo nel patrio ginnasio, al quale non sarà d'uopo bramare la istruzione elementare dell'algebra e della geometria, poiché l'abile maestro sig. don Gherardo Maltagliati spontaneo si offerse a tale incarico. Alla quale pro- ferta quanto non ha guari io feci plauso pi'esso il ge- nerale consiglio , altrettanto mi è grato ora tenerne proposito a voi, lui presente, e presenti gli altri ono- revoli precettori, che non poco godranno sapendo an- noverarsi fra loro chi volenteroso intraprende cose non obbligate: onde allettati dal nuovo esempio, le intra- prese per debito di ufficio con maggiore alacrità e co- stanza adempiano e promuovono. DiscoT^si DEt.T.o Spina 2^9 Ma percLè la letizia deiravvenire non tolga par- te di quella, che questa scelta adunanza ne inspira e diffonde, e più che a discepoli da encomiare e istrui- re non sembri il mio ragionamento rivolto a maestri per se lodati e diligenti, prenderò, o giovanetti, a trat- tare brevemente un argomento, che è come seguito, o a dir meglio perfezione de'principii stabiliti nel di- scorso dell'anno passato, e alla condizione de' nostri tempi assai confacente. Vi toccai già, se ben vi ricorda, la mala tenden- za degli studi moderni, che più o meno palese volge lo intelletto de'giovani a riguardare nell'uomo la sola parte materiale, posta in non cale la nobilissima del- lo spirito: d'onde consegue in gran parte quella in- definita, ma vera e crescente agitazione delle menti e de'cuori, che non ha riè può aver posa , non ba- stando ciò che è finito alla brama della creatura ani- mata dal soffio dell'Ente infinito. Per lo che posi in guardia quelli fra voi, che la provvidenza avrebbe de- stinato alla carriera de'maggiori più difficili sludi, a non traviare in cosa di tanto momento, che disliug- gendo la fede non fa che avvolgere gì' intelletti nel vuoto del dubbio idolo spaventoso del nulla. E non fummo noi spettatori della portentosa applicazione de' veri e dei falsi principii in due italiani non ha mollo estinti, e veramente straordinari, l'uno nell'ordine del- la natura tipo della forza e prudenza umana, l'altro nell'ordine ancor più della grazia modello di dolcez- za e sapienza celeste ? Su questa comparazione, dai più giovani forse meno avvertita , permettetemi che io v'intertenga alcun poco a conferma sempre di quel nobilissimo scupo, a cui deve tendere 1' uomo nella peregrinazione , che lo conduce alla tomba traendo 280 Letteratura seco ( al dire del gran Bossuet ) la lunga catena dell( speranze deluse. Uscito il primo dalle scuole, dove le scienze ma- tematiche predisponeano già le menti ad accogliere i semi delle nuove dottrine, lo vedi ancor fra la soli- tudine degli studi severi far segno alle proprie me- ditazioni la grandezza degli eroi dì Plutarco, non po- nendo innanzi a se che le attrattive dell'orgoglio uma- no soddisfatto. Quali parole io pronunciai ? Orgoglio soddisfatto. Veggasi quanto e come. Guerriero intelli- gente, magnanimo e fortunato, recasi in breve alle mani la sorte della nuova patria più scomposta che composta a repubblica; riordina, crea, estende, promuove mol- te cose con intendimento di trarle a suo profitto; e m un reame, dove la religione cattolica appariva ab- battuta e schernita, si giunge per lui a vederla risor- ta e onorata. La fronte del magno, circondata da cen- to allori colti e foggiati per mano della vittoria, ri- splende ancor più: e vuol ei che rìsplenda della co- rona impostale dal Vice-Dio. Salutato imperadore dal popolo e dalle sue agguerrite falangi , e calcato sul capo anche il diadema reale del più fiorente e famo- so paese di Europa, aspira al vanto di legislatore; e mentre nei fieri e si frequenti scontri di Marte vola infaticabile e temuto ove più ferve la mischia, posa- to, equo, e fino scrutatore degli uomini si asside fra i sacerdoti più chiari d'Astrea, e detta leggi al mon- do. Un nemico accanito, e formidabile a lui più che non fu Cartagine a Roma, non si rimane dal nuocer- gli in ogni maniera di aperto o di nascosto assalto; ma egli vittorioso presenta il blocco continentale, sten- de la mano alla figlia del più antico monarca di Eu- ropa , divisando così di fissare in perpetuo i destini y Discorsi dello Spina 281 delle suggctte nazioni. Nulla vale ogglmai a stornar- lo (lai vasto concepimento di una monarchia senza esempio: e fattosi come centro del genere umano in luogo di Dio, vuol tutti avvinti al suo carro trion- fale popoli, re , sacerdoti. Mirabilmente dispone , e muove verso il più remoto settentrione, un esercito sif- fattamente poderoso, che la famosa spedizione di Cam- Lise diventa una debole comparazione storica. Ma a che riesce l'impeto di schiere tanto intrepide e nu- merose, capitanate dal genio della guerra ? Si taccia, perchè troppo nota è la fine; si dica solo ch'egli il gran capitano sperimentò rivolta a suo danno l'uni- ca e costante norma delle sue geste, la utilità. Per- ciocché tosto che i nordici ghiacci gli provarono mor- tale la gigantesca sua possa, non fece egli che cono- scere ognora più- il pi'oprio isolamento, e l'abbando- no di quei medesimi che dalla polvere aveva a'primì onori innalzato. Di là la notabile sentenza: « Dal su- blime al ridicolo non v'è che un passo: » di là l'umi- liazione dell'abdicare la corona che la luce fosforica dei cento giorni non valse a illustrare, che per esse- re nuovamente oscurata e deposta; di là l'abbaglio di affidar se stesso al più irreconciliabile nemico, che lo confina sopra . orrido scoglio nel mezzo dei mari, sotto l'ardore micidiale del tropico, a dar lezioni alle genti, dove l'orgoglio umano conduce. All'incontro, o giovinetti, mirate, vi dirò con Dan- te « Mirate il ciel che intorno vi si gira - Mostran- dovi le sue bellezze eterne: » e vedrete l'alunno del cielo avere ben altre intenzioni, vicende e successo. Presso il terzo lustro di sua età veste l'abito di s. Be- nedetto, e nel ritiro della vita monastica si dedica to- talmente alle scienze teologiche, che più volte loda- 282 Letteratura to difende in Roma, e poscia con profitto altrui in- segna per nove anni in Roma. Educato ne'dogmi della divinità, e nell'esercizio dell'abnegazione di se stes- so, e fornito di una incomparabile soavità di carat- tere, si affeziona gl'infimi non che i grandi : si che in breve lo vedi decorato della tiara episcopale e del- lo splendore della porpora. Questo mansueto pastore non è rivestito dall'alto di quello zelo fulmineo, che portò altra volta la desolazione nelle contrade del fe- roce idumeo: ma collo spirito tenero, dolce, pieghe- vole di Eliseo , salva dal fuoco e dal saccheggio la città alle sue cure affidata. Dopo non lungo tempo, e quando meno si credeva possibile, il mondo lo in- china qual supremo gerarca. Da quell'alto trono colla scienza di Dio misura lo stalo della chiesa e dell'Eu- ropa: e secondo le idee di un ordine superiore, per le quali pene'i-a la sostanza delle cose abbandonan- done gli accidenti, si accinge ad innalzare un ponte di misericordia fra Gerusalemme e Samaria, e porge egli stesso la mano a coloro che vogliono rientrarvi. Eccolo, nella capitale di un gran regno, in atto d'impor- re corona al favorito della fortuna; solennità, che la superficiale dottrina potè censurare, ma che fu richie- sta altamente dall' alta ragione di civile non meno che di religiosa utilità , rianimando cosi la sovrani- tà spenta da qualche anno nell' uomo giusto , vitti- ma innocente di espiazione pel pubblico bene. Quel solenne omaggio al gran principio conservatore dell' ordine, fu tosto seguito da altre maggiori conquiste del genio pacifico e religioso di quel sommo ponte- fice; quindi i concordali, le sedi vacanti provvedute di pastori, e tanti altri atti di conciliazione e di amo- re, mercè de'quali appianò la via al dileguo del gran- Discorsi dello Spina 2 83 tle scisma europeo. Ma restavagll a compimento delT alta sua missione la più nobile invitta parte; dovea provare, che tanta mansuetudine e dolcezza non ser- viva a compiacenza. Onde eccitato dal potentissimo conquistatore a suscitare la cattolica Irlanda contro l'Ingliilterra, rispose in tuono di bontà e di pace: « Io sono il padre di tutti i cristiani, e non posso fra loro aver de'nemici. » Da quell'epoca in poi, respingendo ogni federazione offensiva, lasciasi spogliare del prin- cipato, ricolmare di obbrobri, e trascinare prigione in remote contrade. Rivede egli que' luoghi, dove pon- tefice si recò a consacrare il potere: ma li rivede qual vittima del potere consacrato, facendo ammirare do- vunque la sublime fortezza dell'animo suo; a modo che quel grande , al cui cospetto muti e paurosi si curvavano i regnanti, non valse a vincerlo, ed anzi si confessò vinto, ridonandogli ahi ! troppo tardi , e dopo troppo crudeli strette, la libertà. Così tulio ri- tornò al suo posto: l'umiltà sul trono, e l'ambizione nel nulla. Ah ! siate certi, o giovinetti, che meditando sen- za studio di parte la natura, l'origine e il fine de'narra- ti avvenimenti, si ha torto di lamentare, come taluni fanno , che Iddio non si manifesta oggidì alle genti quale soleva o co'miracoli o co'profeti. Perocché è di tutta evidenza che quei due, l'uno sì opposlo all'al- tro, quanto il leone e l'agnello, d'indole, di costumi, di sentimenti, di genio, furono gli strumenti scelli da Dio per mostrare visibilmente la sua possanza e la sua sapienza, che abbaile i troni per rialzarli, e per- cuote il sacerdozio per correggerlo , e avvalorarne e diffonderne la salutare influenza. Ascoltate diffatli co- me tal verità si pronunci chiaramente anche presso 284 Letteratura coloro, che operarono gran parie delle cose narrate, e molte altre dappoi, che non è mio assunto il mento- vare. Leggesi in un opuscolo dei 3 d'ottrobre prossimo passato : « La filosofia scettica del secolo deciraotta- vo non ha veduto nella storia ecclesiastica , che la teocrazia da rovinare, e il fanatismo da vincere : la sua critica non fu per lo più che satira. La filosofia tutta militante del secolo decimottavo ha terminato la sua lotta: è tempo che la scienza incominci le sue fredde e pazienti investigazioni. Questa chiesa edifi- cata con tante pene , questa chiesa sì vasta e tanto solidamente fondata, che potè resistere a forze distrut- tive d'ogni specie, merita bene che si richiamino a se- rio esame gli elementi della sua costruzione ». E al- trove un ingegno sublime, già seguace del volterlano scetticismo, scrisse pur dianzi; a Sì, avverte l'uomo del nobile suo avvenire quella sete di verità, che mai non potranno estinguere tutti i fiumi della filosofia^ Egli cerca quaggiù la verità, come cerca la felicità , come cepca la gloria: ne ad altro giunge che ad im- magini imperfette, ad ombre fugaci. Gloria, felicità, verità, idee eterne, il cui riflesso non perviene a noi che di mezzo a molte e molte nubi. Quanto ingrata fu la filosofia verso la fede ? La fede è il supplemen- to necessario della filosofia, per chi non vuole o non può languire nel dubbio. La fede sola nobilita la fi- losofia, le dà uno scopo e ci porge spiegazione di quel perpetuo aggirarsi de'più sublimi ingegni in un cir- colo di misteri, le cui tenebre non riuscirono a pe- netrare con tutti i loro sforzi ». Chi non crederebbe presso tali non mendicate e nuove, e fors'anco inat- tese confessioni, avviarsi 1' uomo a un risorgimento morale , e ad una intiera instaurazione non di un Discorsi dello Spina 285 principio soltanto, ma della società in se stessa? Con- fermatevi adunque, o giovanetti, nelle sane dottrine, e sopra tutto fuggite la superbia sì comune al sape- re, rispettando il divieto: Non glorietur sapiens in sapientia sua : e se qui oggi vi si tributano lodi e premi, che a buon diritto meritaste , rammentate il trionfo dell'umiltà e la confusione dell'orgoglio, che io amico non timido al vero brevemente vi esposi. Discorso terzo letto nella residenza comunale dal medesimo gonfaloniere , per la distribuzione de^ premi nell'anno i834. Io mi era da prima proposto , eccellenza reve- rendissima e illustrissimi signori, di cedere in quest' anno ad altri l'onore di tenervi ragionamento ; non già perchè io sia meno tenero nell'apprezzarne tutto il valore, ma per dare adito ad alcuno particolarmen- te de'nuovi maestri, onde e la dottrina più profonda e la maggiore esperienza delle cose, ornate di bello ed elegante stile, a tutti si facessero di più in più manifeste e commendevoli. Da tale divisamento però mi ritrassero la bontà, colla quale altre volte degna- ste ascoltarmi , e il desiderio che pur vi fosse pale- se l'uso, che io feci de'discorsi letti al vostro cospet- to ne'precedenti due anni, trattovi non so se più da patria carità, o da sentimento di stretta giustizia. Si divulgarono, se ben vi ricorda, da circa un anno per alcuni giornali replicate sinistre voci di ribelli mac- chinazioni, alle quali pretendeasi centro questa città, Capo della rlminese magistratura, e consapevole con quale unità di consenso furono accolti e dai giovani e dalle colte persone accorsevi i sentimenti espressi 286 Letteratura in quei discorsi propugnatori delle sane dottrine e del rispetto dovuto alla religione e al trono , li umiliai alla santità di N. S. per mezzo del suo primario mi- nistro, sommessamente osservando, se dove principii siffatti pubblicamente si professavano con segni di ac- clamatrice concordia, non dovea riuscire amara quanto incredibile la spacciata novità. Pronta del pari, che onorevole all'autore e a tutti fu la risposta. E loda- tosi il divisamento seguito di rammentare ai giovani nelle circostanze più solenni, e più durevoli nella lo- ro memoria, quelle massime si salutevoli, ne si par- tecipò il sovrano aggradimento a modo di eccitare nel Santo Padre la più viva fiducia, die (sono parole del venerato dispaccio ) cresciuta la riminese gioventù nel- la istruzione non disgiunta dalla religione, e dall'e- sempio avvalorata e dalle parole de'suoi stessi magi- strati, darà frutti di virtù quali la patria ed il sovrano debbono attendere da essa. Ed oh ! volesse Dio, che ne fosse dato godere pienamente di effetti tanto be- nefici e desiderabili. Ne io voglio lasciare sì bella op- portunità per promuoverli ancor meglio e diffonderli, confortando quanti sono qui presenti , e discepoli e maestri e onorevoli personaggi, a ciò che è uno de' primi elementi per assicurarne il conseguimento, vo- glio dire alla pace e concordia fra gii ordini de'cit- tadini. Per lo che non vi sarà discaro, o giovanetti, d'intendere questa volta da me, come fin dove e sem- pre sia mestieri che ciascuno secondo sue forze si adoperi per la benedetta pace, favorevole a tutti e par- ticolarmente agli studi, l'attributo de' (juali ad ogni altro preferibile è di essere pacifici , e come tali la stessa pagana sapienza di Atene e di Roma corona- vali nella tutelare Minerva della fronda di olivo nun- zio dì pace alle genti. Discorsi dello Spina 287 La concordia fra gli ordini de'cit ladini presup- pone di essenza relazioni scambievoli fra essi di do- veri nella varia loro posizione sociale. E da che, per le cose dianzi accennate, si hanno nel principe le mi- gliori speranze sull'efficacia dell'esempio e delle pa- role de'magistrati presso la studiosa gioventù rimine- se, cade in acconcio parlare prima di questi e poi di quella. Così apparirà manifesta almeno la imparzia- lità del dicitore, che nella linea dei doveri partendo dai capi, come dal primo punto di esame, non ha quan- to a se altro rifugio da invocare e a cui riparare , che la somma bontà di coloro che lo elessero, e sin qui lo sopportarono. Espeinenza di studi vari , vita operosa e proba, spirito superiore a vedute e fini di un ordine secondario che abbandona gli accidenti del- le cose per attenersi e andar dirittamente alla sostan- za, animo alieno da studio di parti e di sistemi, sono le principali prerogative che da tutti si amano e si desiderano in qualsisia soggetto, che de'pubblici affa- ri più o meno gravi deve avere sollecita cui'a. La di- vina provvidenza, dispensatrice benefica di quei pre- gevoli beni, dispose in generale che l'uomo, sentendo per l'arduo scopo del pubblico bene la pochezza del- le proprie forze, conosca quanto gli faccia mestieri, e quale abbia valore il concorso dell'altrui consiglio e cooperazione; tanto più che la umana degradata na- tura non può abbastanza guardarsi dagli estremi sem- pre viziosi, perche là termina la virtù dove comincia l'eccesso. In fatti per quanto ognuno si proponga di seguire uno stabile , equo e franco regime, suol ur- tare in Cariddi tentando di evitare Scilla: onde con altrettanta verità che sagacità furono da un sapien- te, insignito di sacra aureola, notate quali io classi di 288 Letteratura maestrali. Gli uni, facili a se stessi e con altrui, si riputarono simlglianti a quei piloti, che lasciano l'af- fidato naviglio in balìa de'venti, o piuttosto agli idoli, ne' quali al dire del profeta: « Occhio, naso ed orec- chi vi son vani : La bocca è forza che serrata am- muli : Immobili ambo i piedi, ambe le mani. » Se questa maniera di reggimento sia desiderabi- le , lo sentenziò Dante senz'altro quando scrisse: « Fama di loro il mondo esser non lassa. » Altri all'opposto, assai difficili e rigidi con se e con altri, furono paragonati al destriero soverchiamente in- frenato , il quale se dall'un lato riceve utile ritegno all'inciampo, ritrae dall'altro lato gravissima difficoltà nello stesso cammino: ne poi siffatta increscevole po- situra lo libera dai precipizi. E in vero si osserva non di rado, che per mirare il troppo bene s'incon- tra il male: onde l'ottimismo fu detto inconseguente, e anche oltraggioso, perchè il piìi delle, volte è ac- compagnato da tale contegno d'irritazione, che sente del duro: ed aspreggiando gli animi degli inferiori, non che degli eguali, rende disamabile la stessa virtù. Sif- fatto risultamento parve di tanto peso a taluno, che stimò preferire e consigliare la indulgenza con altri, e la severità cgin se medesimo; sistema che nella pra- tica applicazione vuole per l'una parte una specie di perfezione, e per l'altra ottiene pur sempre il titolo di escusabile per lo interpretare che si fa benigna- mente i falli de'propri simili; la qual cosa, anziché alienare, mansuefa e captiva gli animi più riirosi. Que- slo fruito però di fratellevole benevolenza non è al- trimenti sperabile viceversa, cioè da coloro che facili Discorsi def.t.o Spina 289 a se stessi sono altrui gravi e severi : perciocché è sì alto il grido che manda il vangelo, die non per- mette replica: « Medici, ponete mente a voi stessi, e levate la trave che è neirocchio vostro, prima di pen- sare a togliere la festuca, ch'è nell'occhio del vostro fratello. » ; Nulladimcno toccate quasi di volo, o signori, que~ ste quattro guise di reggere, mi sia lecito significarvi un voto che mi detta il cuore: e ciò è che qualun- que de'mentovati modei-atori entri animoso nella via, che pili dirittamente conduce alla pace e concordia cittadina ( subbietto di questo breve discorso): la qual via non malagevole è segnata dai due grandi princi- pii di sociabilità e di santa eguaglianza: « Fa agli al- tri ciò che vuoi fatto a te; non fa altrui ciò che non vuoi a te fatto. » Siate certi, o giovanetti, per questa via tracciata dalla stessa incarnata verità, non esser pu- ro diletto dell'animo, che non ne inelirii di sua dolcez- za, particolarmente se venga a soccorso di chi vi s'in- cammina la grazia superna, che per bene generale ne conceda il tanto commendevole disprezzo di noi mede- simi. E di vero non è bello al cospetto degli uomini e di Dio , col mezzo di quella non fallace e inal- terabile bussola indirizzare la pubblica nave combat- tuta da venti contrari e da mostri spaventosi a si- curo e tranquillo porto, dove la memoiia de'superati pericoli vi si fa più cara se fra gli stessi nocchieri ve n'el)])e taluno che nel maggior uopo si rimase in- fingardo e scorato, o nuovi ostacoli aggiunse alla ma- estria deli'iiuperturbato piloto ? Non è bello al co- spetto di Dio e degli uomini colla face sfolgorante di quella universale carità adoperare la dignità in modo, che la propria luce risplenda dinanzi a lutti G.A.T.LXXXIV. 19 ago Letteratura eguali o inferiori; e mentre i nemici usano ogni arte per eclissarla, starsi contento al testimonio non men- titore della propria coscienza, e raddoppiare il be- iielico splendore della verità in tutte le azioni? Che se quel raggio di cielo non basta a vincere le gelose e ribellanti passioni, e si sforzano le sofistiche argo- mentazioni fino alla calunnia per torcere a dimostra- zione di animo incomposto e torbido ciò che pure si operò colle migliori intenzioni di pace, non per- ciò deve il magistrato civico ristarsi o mutare pro- posito: anzi volto a quella causa infinita, che trae il bene dal male , deve studiosamente far partecipe altrui di quella ferma pace, ch'entro di se gode, ri< conciliando parenti o amici disgiunti, riunendo spo- si divisi, spegnendo odii inveterati, troncando liti alle famiglie non di rado egualmente disdìccvoli, die mo- leste e ruinose. Narrasi di un celebre magistrato che, intrapreso l'esercizio del suo ministero, rinvenne nel circondario alle sue cure affidato piia di cento liti , alcune delle quali, risalendo ad epoche rimote, erano contrassegnate dal fiero retaggio di accanita inimici- zia fra i contendenti. Alla morte di lui una sola lite rimanea non composta: onde i suoi funerali furono onorati dal concorso spontaneo dei beneficati, e alle lagrime della vedova e dell'orfano si videro commi- ste quelle ahi! non sì facili a spuntare dell'uomo fa- vorito dalla fortuna. Ma dopo questo si dolce ed invidiabile tributo al pacifico zelo de' magistrati, credete voi, o giovanetti, che oggi la patria onora e premia , credete voi che nei doveri di dipimdenza verso superiori, parenti, e maestri non vi tocchi a far molto pel conseguimento della piena concordia comune? Ah v'ingannate se pen- Discorsi dello Spina 291 saste di non essere un anello, e il più caro e pre- zioso anello, dell'aurea carena sociale ! La pronta e sincera sommissione ai comandi e ai nobili desiderai de'vostri precettori , la diligenza alle scuole, la re- ligiosa compostezza nel tempio, la premura nell'ap- prendere e ritenere le cose imparate, non che la sol- lecitudine di usare la lingua per forma che non di- venga un insidia tesa all'altrui fama seminando falsi o indiscreti rapporti, sono altrettante caparre che voi dal canto vostro date opera, e più la darete un gior- no , alla pace domestica e cittadina. A confermarvi poi nell'uso virtuoso della parola, si necessario alla concordia, valga la bellissima sentenza di Salomone. V'ha sei cose, e gli dice , che odia il Signore, de- testando però la settima: gli occhi alteri , la bocca menzognera, le mani che spargono il sangue inno- cente, i cuori macchinatori di perfidie, i piedi facili a correre al male , il falso testimonio , e colui che dissemina lo scisma frai fratelli. E qui torna opportuno anche l'avvertirvi , che una delle principali cagioni di scandalo e di risse suol essere il giuoco, che io vidi in alcune città da' poco costumati giovanetti praticarsi sulle pul)bliche vie, e fino davanti alle chiese. Lungi da tali pericoli tutta la voslra attitudine si fisica e si intellettuale si sviluppi, si allarghi, si profondi nello studio, primario scopo delle paterne e delle civiche cure. In esso com- battete per vincere, sudate per essere confortati dalla slima generale, e dai premi ritardati qualche volta , ma alla perfine ottenuti dal vero merito: e suggellate nella mente questo ricordo, che v'ha una indigenza molto più funesta di (piella che consiste nelle pri- vazioni esteriori, ed è l'indigenza dell'anùna e dell' 293 Lktteratora inlclletto. Qucsla (aUile indigenza, spogliando l'uomo delle emozioni più nobili e generose , spinge anche i giovanetti più facilmente al delitto e al tumulto. K così non ne ammaestrassero purtroppo alcuni av> venimcnti non remoli presso uxi regno famoso! Ah! per togliere da voi quella indigenza riguardale come angelica la istruzione religiosa, e fate che per lei la emulazione più beila padroneggi tutto lo spirito. La voslra magislralura, anche prima della superiore san- zione del piano ' disciplinare, decretò due premi ai più versati nella dottrina cristiana , che dal nostro zelante pastore eziandio con ogni ardore si cerca dif- fondere e premiare. La stessa magistratura provvide, per farna u zon- zo. Poteva mai l'andare di Orazio, tutto composto al- lo specchio dell'ordine , essere quello che è proprio di zanzare, di vespe, di calabroni, e di somiglianti in- setti, die volano e fanno rombo nell'andare attorno qua e là disordinatamente ? Veggasi il vocabolario e gli esempi del Burchiello (parmi) e del tariffo Calva- neo: io non aggiungo parola. Se non che non posso d'altronde non osservare, che quel forte indica, più che il modo, il fine, l'oggetto dell'andare di Orazio: e noi diciamo a caso , per avs'entwa. E più cal- zante sarebbe, se l'avessimo, andare senza scopo, sen- za disegno; o se, avendo questa frase, fosse poetica. Tradurre d'Orazio S/ji K non loderei quel riuìiinare (proprio (.Ielle Itesi le rimasticanti il cibo } in significato di riandar col pen- siero : ne tutta l'autorità del cavallo potrebbe farmi qui parer bello 1' appropriare alla mente dell' uomo ( e di tal uomo qual era Fiacco ) ciò che è delle be- stie. E sì erano baie che passavano per la fantasia al poeta per la via sacra; ma tali baie, che lui fan- no eterno nel mondo delle lettere, e nella successio- ne de'secoli, e nella gloria d'Italia nostra e di Roma singolarmente. Ma proseguiamo. II. ( Ed ecco « Offrirsi un tal, noto a me sol di nome, « La man mi afferra. Anima mia dolcissima, « Come si va ? Così così, rispondo; « Secondo il tempo. A'tuoi comandi .... Al diilcissime di Orazio pare risponda a capello il nostro carissimo : volendo dire anima mia, bastava: riuscendo allora un dippiù l'aggiunto dolcissima; per- chè quale cosa può essere a ciascuno più dolce dell' anima propria ? Se qui si fosse tradotto Jìor degli amici, o meglio assai cuor del mio cuore, sarebbe forse più poetico, e meno effeminato di queWanitna mia dolcissima. Il (juid agis ( o come altri voglio- no, quid agis rerum ) si traduce bene dicendo, che fai? come stai, o se vuoisi come v'a; quel .vi, frap- posto dal Gargallo, accusa il bisogno di una sillaba a riempire il verso endecasillabo : dalle quali riempitu- re bisogna star lontani sempre mai, e molto più ven- dendo le cose di Orazio, a cui non si può aggiuu- 343 Letteratura gere , non togliere nn ette senza svisarlo. Siiavìter vale benissimo, e chi noi vede ? E tale era allora la condizione di Orazio, ut nunc est, che Mecenate lo amava svisperataraente, poiché scrivevagli « Ni te visceribus meis, Horati, « Plus iam diligo e Augusto stesso, invidiandolo quasi a Mecenate, lo voleva con seco: e ricusandosi Orazio, ciò non ostan- te Augusto gli scriveva : Sume tibi aliquìd iuris apud me, tamquam si convictor mihi j'ueris Né dal contesto può arguirsi, che il poeta passeggiando la via sacra avesse ombra di male: pel fine della satira doveva anzi slai'e benissimo prima; onde per ragion de'contrari stando poi malissimo dopo che ebbelo ab- bordato quel seccatoi'e, facesse più senso quel gar- rulus hunc quando consuniet del verso 33, e l'al- tro: Cum sudar ad imas manaret tulos del verso IO, 11; e lo stesso: Meum iecur urere bilis del 66; ed il Sic me servavit ylpoìlo, con cui si chiude il sermone. Che se a bene intendere un autore vuoisi con- sultarlo ne'passi consimili, trovo il suai'iter al verso 4 dell'epistola Vili del primo libro : e noto che ivi anche il Gargallo traduce il vivej'e nec recte, nec suaviter, cosi : « Nò innocua vita, nò soave io traggo. Il così così, usato nella salirà del Gargallo, è di moda ora, è quasi un vezzo de'galanti e delle smor- fiose. Cerlamenle non durerà: la moda lo raccoman- da ora , ben presto lo bandirà : e Orazio vuol ren- Tradurre d'Orazio 3/^3 dersi con parole e modi che durino più d'un secolo, quali sono quelli clie usano assennati uomini, col di- re in questo caso bene, benone, o se vuoi benissimo. Né parmi buono quell'y^'^Moi comandi, per la formola di augurio d'ogni bene ( più che altro ): Et cupio omnia , quae vis. Penso, clie Orazio libero non avrebbe usato una frase propria di j'c/i/aco, qua- le si è questa A'' tuoi comandi ; avrebbe detto più tosto coir Alighieri ( Inf. 19, v. 87 ): Tanto m'è bel, quanto a te piace; o semplicemente ( iV£ lo,^. 5 ) cornea te piace, o al piacer tuo, come diciamo tra amici. III. « ....... Ei seguami u Pur tuttavia : prevengo allor: Vuoi nulla ? « Che ci conosci, ei dice; ed anche noi « Siam letterati. Io qui : Novello titolo « Fia questo alla mia stima .... Che ci conosca credo abbiasi a leggere per ra- gione di costrutto. Docti sumus, dice il latino; per- chè dunque ed anche ? pazienza l'è o Vancke ! uno dei due bastava; non mai amendue ! Peccato di su- perfluità in Orazio non può patirsi, e meno di tutti da coscienzioso volgarizzatore. Docti dice il latino, e dotti dovea dire il volgare ; che altro è saper di let- tera, altro essere di dottrina fornito. Ne prevengo senza lo, ne io qui, mi vanno a sangue veramente; ma i nei non guastano un bel volto ! Osservo però che l'autore istesso nella edizione di Venezia ha qual- che variante come siegae : 344 Lkttkratura «... Parlo il primler : Vuoi nulla ? « Che ci conosci, ei dice, ed ancor noi « Siam letterati. Io qui: Titolo è questo « Che la mia slima accresce .... IV. « Impaziente « Intanto di scappar, or mi affrettava « Nel camminare, or soffermavami, ora « Bisbigliava al valletto un non so che, « Mentre il sudor grondava in sino al fondo « De le calcagna, e, o cerebro felice « Di Bolan ! brontolava infra me stesso. lìi aurem dicerie nescio quid puero è bisbi- gliare al valletto un non so che; ma alVorecchio : circostanza essenziale a far credere al seccatore, che Orazio avesse affari importanti da trattarsi in segreto senza testimoni. j4d i/nos talos vorrei potesse ren- dersi meglio dal capo alle piante; ma io sarei forse troppo esigente : se non che l'autore ha fatto alcun mutamento, e leggesi in fatti nella edizione di Ve- nezia come siegue : « Mentre '1 sudor iln sotto a le calcagna (( Grondavami, ed, o cerebro felice <( Di Bolan ! brontolava infra me stesso. D'ora innanzi mi avviso dovere attenermi unicamen- te alla edizione appunto di Venezia, siccome quella che ha avuto il beneficio di accogliere le maggiori correzioni del volgarizzatore. Tradurre d'Orazio 345 V. « Ma che ? Ser Gracchia cucitosi a'fianchi, « Garrir garrir, a torto a dritto, e strade « E fabbriche lodar : ed io né verbo « Fargli, ne motto. Allora : Io già da un pezzo, « Dice, tua smania di scapparmi ho visto. <( Ma non fai nulla: m'avrai teco sempre : « Sì', ti seguirò sempre. Ov'è diretto « Il tuo cammin ? È inutile il volerti « Strapazzar tanto. A visitar io vado « Un che tu non conosci. Egli dimora n Lungi da qui in trastevere, di Cesare « Presso agli orti. .,...., Inerbo è parola in generale, motto parola arguta; per cui era a dirsi ( o m'inganno ) « ed io né motto K Fargli, ne verbo ,.«.>. perchè qui vuoisi significare non fare ne una rispo- sta studiata, ne altra qualunque. Se non fosse mo- do basso, qui sarebbe stato meglio quello usato par- mi dal Sacchetti : JVon far ne motto , né totto. Prosequitur è un bel dattilo usato ^ tempo da Ora- zio ad esprimere con evidenza l'ansietà di quel ca- labrone; il Gargallo ha tradotto io modo, che sa di troppa lentezza ( e lo fa spesso ) con discapito per fino dell'armonia: sì ti seguirò sempre. E dopo non è reso il nimc^ che non è senza cagione posto dal venosino. E 1' armonia del verso si duole ancora di 346 Letteratura quelle parole sdrucciole così vicine: in trastevere, dì Cesare: le quali vogliono tutto il fiato per guisa, che tarda la lingua è a pronunziare ciò che segue, e che vorrebbe essere presto detto: presso agli orti. VI- «... Da ver, non ho che fare, « Ne son vigliacco, e seguirotli sempre. « Che far ? come asinel, che a malincuore « Gravar si senta'd'indiscreta soma, « Gli orecchi atterro Poltrone corrisponde qui al piger d'Orazio; quando non si volesse usare la parola più propria pio-ro; ma vigliacco ^ che oltre la tardità include idea di viltà, d'infamia, non mai. Lo stesso Gargallo usato aveva prima l'addiettivo poltrone', ma la lima talvolta gua- sta, anzi che ripulire. Atterrar gli occhi, dice Dan- te a maraviglia; ma atterrar gli orecchi non so lo- dare e nemmeno approvare col mio povero giudizio. VIL (( Ed eccolo da capo : « Se l'amor proprio non m'inganna, eh ! cerio « Tu non mi avrai, trovandomi, men caro «( E di Visco e di Vario. E ov'e chi sappia a Scriver di me più versi in minor tempo ? « Chi balli con più grazia ? Il canto mìo « E tal, che desti invidia anco in Ermogene. Al si bene me novi risponde frase abbastanza Tradurre d'Orazio 347 appropriata; ma ra, per dirlo col Davanzali. Ma la cosa va per le lunghe: ed io non voglio, non deggio farmi molesto ai benevoli, che pongono gli occhi e la mente su queste carte. Perchè sarò con- tento a notare qui o qua nel resto della satira ciò che meno mi garba, senza guardare ogni pelo minu- tamente. Al verso 4o : non parmi però gli dobbiamo esser grati di avere nella edizione di Venezia aggiunta la congettura di Tradurre d'Orazio 35 i coloro, che nel. ciarlone di Orazio hanno-voluto in- tendere Properzio, tanto vicino a Callimaco ed a Fi- leta eoo , quanto forse lo fu il venosino ad Archilo- co ed a Pindaro tebano. Ed è a notare, che terso, molle, giocondo è lo stile di Properzio, e lo stile di uno scrittore è quasi immagine dell'animo: composto a gentilezza esser doveva l'elegiaco poeta , non mai co'vizi dell'importuno calabrone della satira. Ed i ver- si di Properzio erano ben tali da aprirsi l'adito age- volmente a Mecenate non solo, ma allo stesso Augu- sto: che cercavano essi (tanto il ministro quanto l'im- peratore ) i buoni ingegni, non aspettavano si presen- tassero, come sa tutto il mondo. E comunque sia ve- ro , che il vasaio odia il vasaio , e questa pecca sia ancora ne'letterati; que'generosi dell' età di Augusto erano per lo più come fratelli: per la quale concor- dia ( che è vita a tutte cose ) quella età altresì fu beata. Qui pongo fine; se non che a manifestare la mia stima al traduttore ( che io venero anzi siccome deg- gio ) riferirò le parole del cavaliere Dionigi Strocchi, Nestore de'letterati della nostra Romagna , il quale professa eloquenza colà dove riposano le ceneri di quel solenne maestro , che a tutta Italia fu e sarà sempre l'Alighieri: « Orazio Fiacco { così lo Stroc- « chi (i) ), che più di ogni altro si avvicinò alla gre- « ca fantasia nelle odi, all'attica grazia nelle episto- le le e ne'sermoni, di tutti i latini dell'aureo secolo, (i) Vedansl i discorsi accademici del cav. Dionigi Strocchi faentino. Ravenna presso Hoveri i836 in 8; e giornalo arcadico settembre i836, pag. 33o. 3^>2 Lettkratura (1 il meno agevole a lasciarsi intendere contlnuamen- « te, il pili ritroso a vestire ovunque veste italiana, « ebbe tra noi numero di traduttori , che perviene « intorno agli ottanta. Ultima in tempo , prima in « merito, è venuta all'Italia la versione, che di tutte « le opere ne ha fatta il eh. marchese Tommaso Car- te gallo. Sana critica, larga dottrina di antiche e di (I moderne lettere, nobile, ricca favella, spiriti vivaci « poetici fanno mirabile il proemio, che qual vestibo- « lo degno di bello edificio invita alla entrata lo «( spettatore. Clùararaeute spiegati vi sono i sensi più « recondili, le allusioni a cose pubbliche , a dome- u stlche consuetudini tuttavia osservate: nel che gli « giovò avere la nativa regione comunemente con 1' 'i autore, del quale niuno de'noslrali ebbe più inlrin- <( seca famigliarità. Quanti sono lirici metri italiani ola: il Gravina e l'Al- fieri (e chi più brevemente e classicamente di lui?) intorno alla tragedia : e Torquato Tasso intorno aWepica. Aggiungi a que- sti la poetica del Zanotti; le incomparabili note del Metaslasio alla poetica di Aristotele; e gli Elementi di poesia del moderno Gherardini. Nella prosa poi, se si riguarda solo al genere istori- co, ci si offriranno i ragionamenti del Patrizi, del Marcardi, del Bertola e del Nupione. A che dunque la continuata querela di una fantastica e vergognosa carestia ? A che proseguire nelle italiane scuole il magistero dei Decolonia e dei Soari ? E lo di- rò con franco animo: a che dobbiam comportarci la viltà che le menti italiane ricovrano alle dottrine di uno straniero precettista? Egli pose, dentro le lettere la luce filosofica. Sia; ma chi conosce che il gusto ed il giudizio degli oltramontani da loro natura troppo dal nostro sentire si dilungano ; chi conosce quanto da molti lati difettino od offrano gravissime mende le lezioni del Blair; e quale indicio di povertà sia in colui che ignominiosamen- le si gitta ad accattare nelle altrui terre; chi conosce tali cose, dovrà apertamente confessare che 1' inglese avrebbe ad essere esiliato dalle cattedre nostre. Nò mi si opporrà che i sopra no- minali scrittori abbiano operali i loro precetti solamente in alcu- ne parli di lelterutura. Essendorhò anche un n)ezzano ingegno meritamente potrebbe raccogliere il più eletto di tanta materia, e comporne un lavoro da disgradarne gì' incompleti libri del Blair, ed ogni più completa opera straniera. Codesti pensieri io andava cotidiauamente agitando nell'ani- mo, allorché la cortesia voslra , veneratissimo monsignore, mi ha somministrato a leggere un libro recentissimo. Gli elementi delle belle lettere, di cui sappiamo autore il valente big. Salvatore Varietà' 35j Viale della Corsica (i). La stanchezza, onde io ini conduco a leg- gere la più parte dei moderni libri, mi recava con fredda meulc in su questa opera; presagendone la leggerezza dal vuoto universale delle scritture, clic oggi inondano. Ma l'auimo mio in sul primo leggere fu colto da tanto desiderio, ch'elibe mestieri di trascor- rere ad un fiato e attentamente l'intera opera ; tanto essa mi fé sperimento del grande intervallo onde si dipartiva dalla consue- tudine del secolo. Di vero questo scritto non procede al modo grosso e materiale di molti retori, ma con finezza di argomento si addentra nelle più segrete ragioni dell'oratoria e della poetica, e cliiaramente ne significa gli arcani ed eterni principii, che han- no radice nella intelligenza e nel cuore umano. E comechè di breve mole, e forse qua e colà poco lieveinent^e scolpita sia la materia, non si darà che l'operetta del Viale mirabilmente non ponga modo alla indigenza delle scuole; abbracciando precetti che sono fondamento universale delle lettere. Questo'cenno però, ch'egli ha dato del suo ingegno, ne promette e ne fa desiderare che con egual Iena rechi a perfezionamento la magnifica intra- presa; di discendere cioè con ispeciali discorsi a svolgere 1 prin- cipii delle particolari qualità della prosa o della poesia. Io spero, o gentilissimo monsignore, che mercè di questo valente corso rie- scano ad effetto i desideri nostri. Ed ella congratulandosi a lui, inetta stimolo di ciò fare; che niuno meglio e più efficace ente di lei può consigliare e muovere la mente degli scrittori italiani. Trapassando ora al secondo libretto il Tempio di G«/oti , con appen- dice concernente Vallra sua opera De notissimis in iure Ic- gibus, tradotte e compendiate per comodo della studiosa gioi'entìc. Bologna alla libreria Marsigli e Rocchi sotto il portico del Pavaglione i838 in 16, di pag. 460. XJe islhuzlonl canoni'che del Devoti , al sentire del dotto Re- nazzi, per sodezza di dottrina, per copia di erudizione, per giu- stezza di critica ed eleganza di lingua , hanno ottenuto merita- mente il vanto sopra tutti gii antichi e i moderni. Ciò è tanto vero per le scuole, che il testo del Devoti è approvatissimo e lodatis- simo. Se non che incuria dell'età nostra ed inerzia de'giovani in alcune parti dello stato rendono la lingua del testo per poco nuova e difficile, rendono il testo stesso troppo abbondante di cose e di note. A. sopperire a quesli difetti non dell'opera, ma dell'eia e degli apprendisti, ecco un compendio in volgare dello islituzioui canoniche: al quale compendio fa quasi corona la tra- duzione degli argomenti o delle disposizioni principali del gius civile e canonico, secondo lo spirito dell' altra bellissima opera del Devoti intitolata De notissimis in iure legibus. Ad alcuni parrà breve questo epitome, parrà mancante di forza qua e la: tuttavia se vagliasi pensare alla gran difficoltà di restringere ciò che in una gran tavola fu disposto dall'autore, per ridurlo a piccolo desco; onde molte cose bisogna rifiutare, più altre offri- re abbreviate: non si potrà che approvare la fatica delcompen- diatore, lodando l'amore che nutre per la studiosa gioventù. A questa poi si vuol ricordare ciò che Quintiliano, o Tacito che siasi , diceva nel dialogo della perduta eloquenza: «Et eloquen- „ tiara et ceteras artes descivisse ab ista vetere gloria, non iuo- „ pia hominura, sed desidia iuventutis,et negligentia parcntum, „ et oblivione moris antiqui. ,, I giovani singolarmente, che in- tendono farsi riformatori dell'orbe, in un secolo che dicono del progresso, devono vegliare, sudare più che gli antichi; contenti a conservare le dottrine degli avoli, e pure notte e giorno fissi SUI libri, e tutto cuore per la domestica gloria! Imitiamoli al- meno, e per cogliere l'ombra delle strauierc vauità (per non dir Varietà' 363 peggio ) non ci lasciamo inaridire sulla fronte gli allori ereditali dai faticosi maggiori, i quali guardando il monte della virtù scia- mavano, a conforto della inferma natura: j, Chi non suda, non gela, e non si estolle „ Dalle vie del piacer, là non perviene ! D. V. Ad Alessandro Falconieri che fu governatore di Roma , per la ricuperata salute. Carme gratulatorio di Michele Giuseppe Morei pro-custode d'arcadia, anno 1721. Tradotto dalprof- Domenico yaccolini, anno i84o. JLia giustizia che sia, quanto sorvanzi L'altre virtudi in ordine, ed agli uomini Quanto cara e all'Eterno : ognun lo vide, Giustissimo signor, quando in periglio La tua vita pendea. Questa virtude, Accorta del tuo mal, dal ciel t'arrise. Destò la fiamraa^dell'amor comune, Fé' forza agli astri, e de'superniin una Raccolse i voti al comun vo'to amici. Languiva al tuo languir l'eterna Roma, ( Forza d'amore ! ).- il pellegrin mescea Al pianto cittadino anco il suo pianto. Colla plebe il senato egro piaguea, E '1 successor di Piero anch'ei sul mesto Soglio piagnea. A'templi era una folta Di supplicanti: e chi andava e rediva Alle tue soglie a dimandar con molta Cura di te, ch'eri d' ognun l'amoi-c. 364 Varietà' E chi non t'ameria, almo signore, Vedendo qual è Roma in tuo governo? Sicura la cittade e notte e giorno. Sicure ognor de'buon sostanze e vite, E pentirsi i cattivi, e '1 maltalento Cessare: e gir con modo i baccanali, E i spettacoli brevi a noi più cari Tornar de'lunglii, che pendean dal reo Voler di pochi: e la villana turba ^ Non derider chi queto entra al teatro : Tutto, sì tutto a te dobbiamo. Oh salve, Salve, signor, della giustizia scudo. Dei delitti flagello .- ed al cicl grazie, Immense grazie! Alla cittade in pieghi, A noi reso ben fosti: assai tremammo, Vinse alfin tua virtude, ed amor vinse, Vinser della tua Roma i lunghi omei ! Vedila questa Roma; or tanto lieta, Quanto afflitta fu pria, applaude e gode Offrire a te i meritati onori. Segui adunque, se sai, armadi sante Leggi l'alma cittade, e colla forte Destra discaccia ognor, snida le colpe. Cinti di lauro alle tue porte intorno Noi vati canlerera tue lodi, e '1 tuo Nome al cielo alzerem. Di più corone Le tempie ornato Lorenzino in pria Vedrai: diletto delle muse alunno Ebbe il favor delle virtù, del dio Che a Giove canta sulle corde eterne. Che prò ? segno alla dira invidia, i panni Laceri e il sen mostrava: ah l'infelice ! Chi la man gli porgea, chi lo soccorse ? Tu solo, almo signor, tu aita e ospizio Gli davi e pace gloriosa e degna. Ecco egli splende di tua luce, e il santo Amor delle camene e de'poeti Varietà' 365 Ancor t'inspira, ancor delle tue lodi Ei non ultima parte al ciel s'innalia ! (i) Galluppi, Elementi di filosofia, nuova edizione iSS^ sulla terza napoletana accresciuta e migliorata dall'autore , aggiuntevi le note di P. T. I. pub. let. Tre voi. in 8. Bologna presso Iacopo Marsigli. Lettere filosofiche su le vicende della filosofìa , relativamente ai principii delle conoscenze umane, da Cartesio sino a Kant inclusivaniente. Nuova edizione, premessi alcuni cenni sulla storia in genere della filosofia. Un voi. in 8. ( Ivi, idem ). I cenni sono dell'egregio sig. Luigi Feletli. Uarc tutta la vita allo studio della scienza regina di tutte le naturali scienze, a quella che e quasi l'anima di tutte , è cosa detjna di spirito generoso : più degna se fatta con acutezza di niente ed imparzialità di giudizio.- degnissima, se colla voce e co- gli scritti sia posta a profitto dell'umana famiglia, che pregia la vita dell'intelletto. Quanta lode adunque conviene che abbiasi da un polo all'altro del mondo uno spirito cos"i nobile , quale si (i) Vedi Arcadum carmina, pars prior pag. i8i. Que' che hanno letta nell' Arcadico la versione fatta dallo slesso profes. VaccoHni del carme sw\Y Educazione { Voi. 192. Luglio i834-35 a pag. 128 ) vedranno senza dubbio volentieri questa versione ancora di un carme del Morei , scrittore che mostra la fiavilla poetica spiegatamente; quella che fa diro a pochissimi con veri- tà; Est Deus in nohis, agitante caleM-'imus ilio. Altre poesie di arcadi del passato secolo si propone di dare il volgarizzatore, col fine che »i possa all' età nostra indurre più retto giudizio del valore della poesia degli arcadi stessi; che non fu sempre vo- ce senz'anima. 366 Varietà' è il barone Pasquale Galluppi da Tropea, che nella regia uni- versità degli studi di Napoli tiene con plauso la cattedra, che dal Genovesi e da altri italici di acuta mente (i quali non furono mai voce senz'anima) fu tenuta innanzi lodevolmente!? Se in me fosse lingua da tanto, vorrei levare a cielo il merito sovragrande di lui. Ma uopo è che mi basti il buon volere.- né d'altronde bi- sognano elogi, quando ^i nome soltanto del Galluppi vale un elogio! Bella occasione però mi è data di ricordare il chiaro au- tore da questa edizione bolognese de'suoi Elementi di filosofìa e delle sue Lettere Jllosofìche. Lamentiamo tutto giorno dì manca- re alle scuole un libro, che facendo ragione dei sistemi filosofici da Cartesio a Kant colga il meglio, e lo prepari, e Io ponga in- nanzi come in convito ai giovanetti, che si avviano alle scienze, e si apparecchiano alla vita civile. Questo libro , se non in ogni parte squisito, certamente il migliore che sperare si possa fin qui, è trovato; e perchè possa correre tra le mani degli stessi novelli, ai quali maxima debetur reverentia, ecco savi e cortesi spirili vi hanno poste delle note a quando a quando , e cosi può esse- re gustato sicuramente da ogni palato, ancorché nuovo a ci- bi più saporosi , a salse non fatte che per gli stomachi più for- ti e sicuri. Questa idea di convito spirituale non sia dispregia- ta , se già piacque a Piatone ( che ebbe nome di divino), e non dispiacque ad un altro divino, l'Alighieri. Gioverà poi a tutti il cibo eletto, che viene apprestando il Galluppi ; o sia che nella società abbiasi ad esercitare più la mente , o più la mano od il cuore altresì; perchè essendo V uomo un essere ragionevole, e cuore e mano essendo in lui, certo la ragione de'savi regolar dee la mente, il cuore e la mano de'singoli , a volere che ciascuno torni utile a se, a'suoi, alla patria; e compia bene l'ufficio, a cui fu fatto da Dio sapientissimo e beneficentissimo, che vuole sem- pre la felicità de'singoli e dell'universale ! D. V- Varietà' 3G7 Lessico legale notarile, ossia repertorio universale delle teorie legali dedotte dal diritto civile giustinianeo, non che dal di- ritto canonico ec. compilato dal dottor Angiolo dall' Aste Brandolini. Forlì tipografia dì Luigi Bordandini i84o in 8. ( Sono fuori due fascicoli, il i di pag. XXIV, 4o : il 2 suc- cessivamente fino a pag. io4 A. Ado a baj. 20 il fase.) J^opo una prefazione, che sotto legge di brevità dà ragione dell'opera, il conìpilatore entra a dire dell'origine, de' progressi e mutamenti dijlla giurisprudenza romana, sorvolando un'epoca non cancellabile dalla storia, nò da'forensi disquisizioni ( su cui è a vedere l'opera dell'avvocato Onofrio Taglioni di Bagnacaval- lo intitolata il Codice civile ec. col confronto delle leggi romane ad uso delle università e de' licei ec. Milano 1829 tip. Sanzogno); non che dello stesso autore il Comentario al codice civile uni- versale austriaco. {Milano 1816 e segg. per Vlsai e comp.) Pon- no 1 notari aver bisogno di consultare qualche articolo di queste opere pregiate in Italia e fuori, come le consultano lutto di gli avvocati e legali dello statoj tanto che si è diritto farne ultima- mente una ristampa di quella per ogui corte plausibilissima del 1809, siccome quella che mostra la moderna sapienza informarsi del lume dell'antica in un secolo, che pretende francarsi da imi- tazione e vuole essere originale , e lo dice nell'atto che per ne- cessità di legge eterna, onde la naturale si fa allo specchio di an- tica provata prudenza senza saperlo quasi, od almeno senza con- fessarlo abbastanza. Del resto quanto al Taglioni è a vedere il Giornale arcadico (giugno 1824), La biografia degli italiani il- lustri del secolo XriIL (Venezia i834); non che la Biografia d* illustri romagnuoli (Forlì iSSy): e per tacere di altri la Bibliote- ca italiana [num. CLX, a pag. loi ); nò pareva doversi dimen- ticare in un lessico di uso tanto universale lo spoglio del Dizio- nario universale ragionalo di giurisprudenze mercantile del cav. Azuni, nò il famoso di Giurisprudenza marittima e di commercio del Baldasseroni, né pur il famoso di Marina dello Stratico: ed altrettali, che l'Italia può mostrare con dignità alle estere nazio- ni. Ma queste osservazioni nou tolgano al pregio della presente 368 Varietà' fatica del dottor Brandolitiij egli ha ben cominciato arricchendo il suo lessico ( ne'fascicoli sinora usciti) delle forniole de^li atti, e delle avvertenze dedotte dalle sapientissime leggi pontificie vi- genti; mirando alla pratica notarile più che altro; il quale scopo otterrà se non e' inganniamo; onde non è da far caso se ha om- messo di ricorrere a tante fonti, quante sono in pronto nella ric- chezza della scienza e dell'Italia, madre perpetuo di civiltà e di ogni utile disciplina. Non si arresti per via il generoso lessico- grafo, ed avrà lode da' savi per la perseveranza in opera di gra- ve soma; opera che riuscirà tanto più proluievolo, quanto mag- giore sarà la diligenza di lui, che mira ad allo segno con gene- roso animo e non manca di buono ingegno ; siccome pare dalle prime mosse lodevolissime. D. V. Osservazioni sul bello del sig. prof. Domenico Vaccolini. Lago per Vincenzo Melandri i84o. Xl eh. autore espose le sue osservazioni intorno al bello in alcu« ni discorsi pubblicati dal i83i al i836 in questo nostro giornale. 11 Melandri di Lugo nello stesso anno i83ò ne fece una seconda edizione in un volume in 8 di pagine igo, con correzioni e giun- te. Esauritasi interamente questa ristampa, vediamo con piacere, che il medesimo tipografo ne abbia intrapresa una terza edizio- ne. Sarà essa in due volumi, e vi si troveranno L'elogio del car- dinale Pietro Bembo letto nell'accademia delle belle arti di Ra- venna, il Ragionamento sulla necessità di richiamare allo spec- chio dell'ordine la poesia e singolarmente la drammatica recita- to nell'accademia tiberina l'anno 1837, ed altri dotti scritti da lui inseriti in questo giornale. In line vi si aggiungeranno le te- stimoniauze di que' letterati , i quali con esso lui convengono iu Varietà' 369 porre nell'ordine il principio di ogni bellezza. Noi raccomaudia- mo di cuore a tutti gli studiosi questa elegante e bell'opera, che sempre più accrescerà fama al oh. autore veramente istanca- bile nel darci i parti del suo ferace e pronto ingegno. F F. M. Esercizi storico-grammaticali di don Niccola Noccioli , per la classe di grammatica inferiore di lingua latina. Primo e se- condo corso. Seconda edizione, Roma nella tipografia del collegio urbano di propaganda fide ^ voi, 2, i84o. Oi vedeva con dispiacere cbe i maestri delle scuole elementari, per volere ne'loro esercizi affastellare le regole della grammati- ca latina, erano molte fiate astretti o ad usare falsi modi italiani, o per lo meno ad impiegare non poco di tempo per preparar te- mi acconci alla capacità de'giovanetti. Il perchè siamo gratissimi al sig. ab. Noccioli (cosi ancor noi chiameremo cotesto pubblico maestro che si è voluto con tal nome troppo modestamente ce- lare) per averci dati due corsi di grammatica inferiore. Il primo, che contiene la storia romana dalla fondazione di Roma fino al- la censura di Appio Claudio ( ann. 44' )> ^^ '"^ Roma stampato dal Puccinelli nel i836: ed il secondo, che la continua fino alla caduta della repubblica, venne dall'istesso tipografo messo in lu- ce nel iSSg. Tutte le regole della grammatica sono in questi esercizi collocate con molt* ordine , con grande chiarezza, e, ciò ch'è più, in buona lingua italiana; cosa ben ardua per la difficol- tà che incontrasi in far servire il volgare alla regola , e non già questa a quello. L'esperienza, che in prima ne fece l'autore istes- so, i favorevoli giudizi che ne dettero gl'intelligenti ed i giornali, l'utilità che si è ricavata dall'averla in vari collegi ed altri luo- ghi di educazione introdotta, aveano interamente esaurita la pri- G.A.T.LXXX1V. 24 S'/O Varietà' ma edizione. Il perchè se n'è fatta una seconda simllissima alla prima quanto al testo; assai migliore perù nella carta e ne' ca» ratteri. Esterneremo peraltro un nostro desiderio: ed è, che pia- cerebbeci, che quest'egregio maestro stampasse ancora la emen- dazione latina, la quale non istimiarao, specialmente per talu- ni maestri , non meno necessaria della italiana: ed avremmo al- lora un libro, che veramente utile riuscirebbe ad imparare ed a scrivere quella lingua latina, in cui pur troppo da taluni si cade in barbarismi ed in solecismi. F, F. M. Iscriùoni di Antonio VigUoIi con epigrafi e poesie d'autori di- versi in morte di una figliuolina di lui. Casalmaggiore coi tipi de'f rateili Bizzarri iSog. J_/i due partisi compone questo libretto. Contiene la prima 107 epigrafi italiane dal Viglioli dettate in varie occasioni, non senza molta chiarezza, semplicità ed eleganza. Sono divise in due classi , temporanee e permanenti. Eccone per saggio una del se- condo genere (a cart. 75]; TI SOMIGLIASSERO MOLTI ANGIOLA RIZZOLI GALLETTI CHE VISSUTA LXXXV ANNI PARVE MANCASSI TROPPO PRESTO ALLA CHIESA ED A' POVERI CUI ERI LARGA DI TUE RICCHEZZE; O ILLUSTRE DI COSTUMI O CARO ESEMPIO DI VIRTÙ' Varietà' 371 Nella seconda parte leggonsi alcune iscrizioni e versi latini ed italiani in morte della Caterina Viglioli bambinella di due anni e quattro mesi, rapt'ta nell'aprile del i838 all'amore de' ge- nitori. Il dolente padre, ad eternare sulla terra il nome di quest' angloletta, invitò molti cospicui letterati d'Italia ad inghirlanda- re di fiori questa cara bambina. Vi leggiamo infatti i nomi del Giordani, del Cavedoni, dello Schiassi, del Muzzarelli, del Fur- lanetto, del Leoni, del Rosini, del Carrer e di altri, che co'Ioro scritti 0 in prosa 0 in Tersi onorano degnamente le lettere. F. F. M, -^«»!^^0e3^«=»^ 372 Biografia di Luigi Tagliavini. f^ol dolore nell'animo scrivo queste linee nunzle della morte di un buono e dotto ecclesiastico , che fu Luisi Tagliavini, canonico della metropolitana di Bologna, professore emerito di filosofia nella pontifi- cia università, accademico benedettino, del collegio fi- losofico, e deputato a molti nobilissimi offici di chie- sa. Io l'ebbi per alcuni mesi maestro d'introduzione al calcolo sublime, quando nel 1809 il prof. Giam- battista Guglielmini andò a Milano, per consultazioni idrauliche colà chiamato dal governo. A lode del ve- ro deggio dire, che quanto il Guglielmini mostrava acutezza d' ingegno nel valersi della induzione , al- trettanto di sicurezza mostrava il Tagliavini seguen- do le orme del Paoli: e con tanta facilità e chiarez- za esponeva le più diffìcili ed oscure cose della scien- za, che era una maraviglia. Parevami, e cosi pareva a'condlscepoli, di udire nella introduzione ai calco- lo un altro professor Venturoli, il quale ci espone- va la matematica applicata con tanta chiarezza e mae- stria, elle è più facile ammirare che imitare. Mi si p.-rdoni questa dichiarazione, che io fo ancora per ren- derne a' due benemeriti miei institutori questo pubbli- co segno d'indelebile riconoscenza. Biografia del Tagliavini 378 Tornando al Tagliavini ( secondo le notizie, che ne ho attinte in parte dal Giofnalf ecclesiastico , che esce in Bologna con fausti auspici, voi. I, p. 47)) dirò, che fanciuMo per buono ingegno ed isquisita na- tura fece di se presagire quello che fu. L'opera sua e de'genitori e maestri tornò efficace a renderlo uno de'più dotti e virtuosi ecclesiastici in una città nobilis- sima, dove il clero è veramente il sale della terra: ne altro potrebb'essere, conformato qual è all'esempio e alle cure del degnissimo arcivescovo signor cardinale Oppizzoni ( che nomino qui a cagione di meritata lo- de ). Ripetitore al Guglielmini tale mostrossi il Ta- gliavini, quale ho di sopra toccato: ed avendo sem- pre in amore le matematiche, tanto aiutò il buono in- gegno, e lo rese atto ad ogni più astrusa facoltà; che fu degno supplire il Vogli dottissimo nella scuola dì filosolla del seminario, dove appresso professò nobil- mente. Dal seminario fu dato alla università: e così in quello come in questa si distinse pel suo semplice e facile modo d'insegnare; modo che è di pochi, tan- to è difficile e sembra facile ! A forma della bolla Quod divina sapientia , diede fuori un compendio delle Istituzioni di logica, metafisica ed etica già ad uso delle scuole della diocesi di Lione , aggiun- gendo le correzioni opportune; non che la versione italiana a comodo de'giovani, i quali avevano per lo più una stolta avversione alla lingua latina, già pro- scritta dallo straniero: da lui, il quale non contento a spogliarci di sostanze e di libertà, e de'monumenli 374 Biografia del Tagliavini delle arti , mirava a rapirci eziandio la gloria della lingua del Lazio, clie fu ed è dominatrice delle scien- ze e del mondo. Tolta la lingua madre, che più ci rimaneva, che noi potessimo dire ornai nostro ? Ma questa vergogna cessò, ed è a lodarne la provviden- za. Qui notiamo a proposito le cure amorevoli del Tagliavini per tornarla in onore, e con essolei pro- muovere, siccome è degno, la virtù, la verità, la reli-- gione ! Visse esemplare di carità e di dottrina 78 anni: se abbastanza alla sua gloria, poco ai desiderii di tutti i buoni , i quali accompagnarono il suo spirito con que'sospiri, che vengono dal cuore, ed aprono a'be- nemeriti le porte del cielo^ Io aggiungo i miei, e pre- go l'anima soavissima che accetti da me un lieve, ma sincero tributo di stima e di gratitùdine ! pROFi I). VAGCOLINr.. 375 INDICE BELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOafO LXXXIV, VOLUMI 230, 231, 2S2 DEL GIORNALE ARCADICO- SCIENZE Bilancio delta cassa romana di risparmio per tamio 1889 Pag. 3 Arago, Elogio di Poisson tradotto dal Vac- Colini » 2Q Perrone ^Praelectiones theologicae.Vol.VI .n Sg Teorica de^poìiti militari ( continuazione e fine ) » 58 Cervetto, Di Gio. Battista da Monte e del- la medicina italiana nel secolo XVI. » 98 Predieri^ Storia ragionata di uii'ascite ci- stica é ■> » 122 LETTERATURA Betti, Moneta gallica di Tatino ...» 147 Borghesi^ Osservazioni numismatiche. De- cade XFII » 168 Campanari^ De^primi popoli abitatori d'Ita- lia . . * » 24* Spinai Discorsi. ........ najS 376 Vaccolini, Discorso sul richiamare la poe- sia allo specchio dell'ordine ...» 3oa Montanari , P^ersi latini del Montalti ed iscrizione del Ferrucci » 3i5 Santoni^ Poesie italiane e romagnuole . » 322 Mazzetti^ Gratulatio imperatori et regi Fer- dinando I ec » 327 F'accoliniy Del ben tradurre Orazio. Art.I.» 335 Varietà. Necrologia di Luigi Tagliavini . . . « 3y2 Tavole meteorologiche. NIHIL OBSTAT Fr. Hyacinthus De Ferrari O. P. S. T. M. Gensor Theol. Dep. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni Ord. Praed. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR A. Piatti Patr. Antioch. Vicesg. 378 Errori di stampa occorsi nelV artico to del sig. Prodieri PAG* tiis* ERRORI CORREZIONI 122 30 spescie specie 123 2 spescie specie 124 11 cute cute 126 24 riduceva induceva 127 8 che già e già ivi 8 e poscia quando 129 8 risvegliavasi risvegliatasi 131 23 più pure 133 6 angioidici angioìtici ivi 9 le lente la lenta 135 22 k le ivi 23 durezza durezze 136 31 Comarchio Comacchi0 138 26 bassezza lassezza ivi 27 lassiano lasciano 143 26 stesi stessi 145 29 È E 146 11 scorso scorto ivi 12 apporre opporre Nella dissertazione del prof. Betti 150 163 strameti con esser stromati non esser Osservazioni Meteorologiche ){ Collegio Romano )( Luglio 1840. *4 Ore Baromet. Terra. esterno Termo max. raetro min. i5 5 Igrom. 5 27 6 Vento Calma OSO f S d Calma 0 m Calma OSO ÌJ 0 a oso a so £ S d Pioggia Etapor. Staiij;;;aei cielo ser. \ap. neljljioso unu. sp. 1 mal. si- set. „ 3 0 „ 9. 5 0 e 17 5 21 q i8 5 23 3 6 5 2 iìfi'àt. gì- ser. » ,. 3 „ 1 8 „ 0 6 18 0 23 5 18 7 25 5 i5 0 S 22 6 21 6 18 10 6 .6 9 4 6 serc/ )> » » „ 7 » » 9 " » )) » 2 0 " 1 7 » ,i 6 .. >; 7 „ „ 5 „ „ 4 19 5 21 0 17 8 19 5 21 6 18 0 14 5 7 28 10 9 18 8 SOm Calma 6 5 nuv. sp. nuv. sp. oriz, cliiaiissimo 7 mat. si- ser. 23 0 IO 3 i3 8 SSO m Calma SSO f Calma 5 5 r.uv. sp. ehiariasimo 8 mal. Si- ser. mat, si- ser. „ 6 22 i 18 1 20 7 22 7 19 0 23 8 24 5 18 e 5 3 sereno vaporoso chiarissimo sereno vaporoso sen no 9 i5 0 IO 25 7 10 i5 7 SSO 7 Calma 6 9 23 0 mat. si- ser. „ 1 0 » 0 8 „ 1 6 17 5 21 7 17 3 14 4 SSO 'f „ a Cairn a SSO fil Calma 10 6 0 nuv . !-p. nuv, «p. oriz. sereno 22 7 23 5 26 3 ■ 11 mal. 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Term. iS 123 mal. è'- ser. mal. si- ser. mal. si- ser. ìiiat, si- ser. mat. si- ser. mat. si- ser. mat. Si- ser. ma.t. 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I è'«- ser. mal. 2 si- ser. mat. 5 «'• j(er. mal. 4 Si- ser. — mat. 5 §i- ser. mat. 6 8^- ser. mat. 7 S^- ser. mat. 8 §1- ser. mctt. 9 ser. mal. lo 81- ser. mal. 1 81- ser. mal. 2 ser. mal. 3 ser. mat. 4 8^- ser. tS mal. si- ser. Baroraet. tiiP' „ » 2 n 5' 4 " " 0 „ lì „ „ 2 0 » I 6 )> „ 4 » n i " i> » '-7 11 28 5. 1. 9 » 2 „ „ „ 2 >t 1 8 27 10 „ 9 G 9__7_ S 1 8 o 9 Term. esterno i5 5 2- 8 ^7 3 22 2 19 3 i6 11 9 20 0 14 9 12 0 i9 i5 7 9 12 0 21 0 )) 1) 12 o '9 9 iG o i8~T" 2 1 4 18 4 iS'^S i5 6 4 Termometro 24 3 24 5 24 1 24 7 IO 6 33 5 22 4 i3 7 14 3 16 7 14 8 i3 6 11 6 Igrom. I Vento 10 7 10 7 10 5 IO 4 23 6 i4 8 16 5|i4 4 OSO a Lftlma SO "{ Calma ssn so s ss E f SO ra Calma Pie 4 6 2 li 5 pie. pio. 5 o 3 5 6 o 4 8 7 9 A-arra^rtjimft^fpfjg Stato del elo cluarissimo miv. sp. oriz. cliiarissimo seren. neLIjioso cLiarissimo 'aporoso neWj nuvoloso nuv. sp. nuToloso BUV. sp. sereno niu. sp. nuv. s^), coperto nuv. sp. chiarissimo ser, vapor, sereno nuv. sp. nuvoloso clnarissimo nuv. sp. cliiarissimo miv. sp. chiarissimo ''er. nuv. oriz. cliiarissimo nuvoloso '°~--~'"-^'-~rf .^■nuaa;- ,'v.i! »7 18 19 Ore mal. si- ser. mal. Si- ser. »iaf. si- ser. mal. Si- ser. mal. gi- mal. si- mal. gi- mal. gi- ser. mat. si- ser. mal. gi- ser. mal. gi- ser. mtil. 29 gi- I ser. inai. 5o\ei. 1 ser. Raromet. pò. U. e 2j 10 o « 11 6 28 o 3 „ 1 0 " 1 2 " 1 Ù ,, 1 0 »» 0 5 »> » » « 1 2 „ 2 3 28 3 0 „ ,, 6 »» 0 6 )» >> 9 Terai. esterno i5 o 21 2 18 _9 14" 4 16 8 i3 4 17 9 i3 ti »1 3 2 9 »» 7 »> 5 1 5 1 S 1 3 0 8 1 5 it )» » f >l 8 n » 2 1 )> 5 » 8 4 8 " 6 " 3 7 0 i 9 10 3 '7 14 0 1 12 9 23 1 17 9 i5 0 24 8 '7 0 14 9 18 G 16 1 i5 22 5 23 6 sj 8 19 2 19 6 22 8 ìA 2 20 9 •9 4 so 9 21 9 metro mia. Igrom. Vento 3 Calma 11 4 23 0 f 6 Calma 5 il n 10 3 23 SSO d 4 Caluma 4 N (1 M 4 32 SSO £ 10 Calma 10 SSO m li 8 19 SSE f 5 S m 3 S d i3 4 24 OSO m 8 Calma 4 TI !» 9 3 27 OSO m 9 Calma '5"~ NNE d 9 3 8 5 Calma 2 71 >■ IO 9 17 SSE d Calma 23 5 j,i 4 27 SSO ìf 4 Calma 4 N d 14 1 J9 SO m 4 Calma 4 » » 1/, ft 8 Ò d 5 Cslma ^ 6 N >: 12 5 33 0 m 12 Calma 5 N d 9 7 21 0 ra 6 4 ^ Calma ■ N d- 9 0 '7 SO f 5 Calma — 4 NO d IO 0 i5 SO m 5 Calma pi. piog, pie. pi Eva por. 3 3 4 8 6 6 0 9 6 0 5 9 3 4 3 1 5 8 G 8 2 2 3 0 3 0 3 0 2 2