^ f I GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Voi. aji/ aye, ayS. ROMA TIPOGRAFIA DKLLE BELLE ARTI 1842 là^. <^ 4fr m" y^jf «3 = 7". •••• «R'"-! = 7^"'"''' ove il numero totale delle costanti sarà Ciò posto l'equazioni a differenze finite date possono essere considerate come stabilite fra le variabili yì J^i ì Tz •" Jjì » ^ì ^\ ì ^3 ••• ^n" U, K, , «a ... U„- delle relazioni per mezzo delle quali le differenze di ordine più elevato si esprimeranno per le differenze di ordine inferiore J » Ti } y^ '" jrn'-i , 2 , z, , Za ... r„..., e per ricondurre il sistema dell'equazioni a differen- ze finite ad un sistema di equazioni a differenze del primo ordine, basterà rimpiazzarle per le seguenti 6 Scienze !^^y — 7i = 0» ^xji —J2 =0 ... ^rJn'.i — rn' =0 àxZ — Zi = O, A^Zi — ^2 = 0 ... AxZn"-i — ^n" = ° Ax« — «1=0, A^Ui — «2 = 0 ... àjc"n"'.i — «„'" =0 e prendendo per incognite, o per variabili principali le n differenze finite di un ordine inferiore, cioè r iji > Xz} ••• Jn-1 > z , Zi, z^ ... z„"., u , M, , «2 ... u ™ _ e supponendo, come già abbiamo notato, le differen- ze di un ordine superiore J^/i' » ^n" > "n" » ••• espresse in funzione delle altre, e della indipendente X per mezzo dell'equazioni date a differenze finite; se i secondi membri di queste equazioni svanisco- no, i valori di Xn' > ^n" » "re" si ridurranno a funzioni lineari delle ^j riy /a - Jn'-i y ^> ^n ^2 - V-i u, u„ «2 ... M„-., Calcolo de'residui 7 Ciò posto , per una osservazione fatta alla fine del n." 3 della precedente Memoria sull'in te^razione di un sistema di equazioni del primo ordine, si putrà esc guire il calcolo nel modo che segue. 2.° Si eliminino dall' equazioni a differenze fi- nite date le variabili principali, j^, z, u ... come se A^ fosse una vera quantità: si troverà un'equazione simbolica risultante F(A.)=o della caratteristica A^, del grado n, dalla quale si ri- caverà Vequazione caratteristica (2) F(r)=o Quindi cliiamando 0 la funzione principale^ che ve- rifichi qualunque sia x (3) F(A,.)0=o e per x = x^ (4) 0=0, A,e = o, A^Q^o, ... A^-'e=1 basterà prendere per 0 (5) Q-^[L±ll ^ Dopo di avere espresso le differenze B S e I £ IT K E in funzioni lineari delle incognite, o variabili prin- cipali y ìjii J:t •" Tn'-x » Z » ^i » «a » •" V-I si rimpiazzeranno, per la citata osservazione del n.° 3 della precedente Memoria, le differenze ^^ i ^^i » • • • . à^/n'-i L^z , A^z, , . . . . ^xZrl'.l A^H, A^«i , . . . . A^M„v,_j. per le espressioni fA.j— «F(A,)0, A,r,-«'F(A,)0 , ...A,j„.., -«^'''"V(AO0 (6)jA.z-PF(A.)0,A,^,-P'F(A..)0, ... A.^'-i - /3'"""'V:A,)0 (a,«-vF(AJ0,A,m,-V'F(A,.)0, ...A,«„..,-. y""'"V(A,)0 e poi si risolveranno per rapporto ad y ì Ji ì J2. •'• Jn-x > ■^ > ^i j ^3 ... ^„"_, " > «I > "2 . ••• 'V'_i Calcolo de' residui 9 le nuove equazioni così ottenute, come se A^ rappre- sentasse una vera quantità, per cui all'equazioni (i) dovremo sostituire A^-^, = aF(A,)0 , A^i— j-, = a F(A,.)0 (7) ( A,,2 - z, = PF(A,)0 = 0, A^z, — z,= /3T(A,)0 dalle quali si deduce per il valore delle differenze da sostituirsi jr, = A.^ - «F(A,)0, jr, = A> - («'H-aA,)F(A,) 0 (8)^ j-3 = A^ — («"-t- a'A, H- «A^) 0 jr^ = Aj'jK - («("'-'^ 4- af"'-^'A,H- ... -h aAj'-*)F(A,,)0 e facendo queste sostituzioni, si elimineranno le va- riabili principali y ^ z , u ^ come se A^. fosse una vera quantità, ed i valori che si ottengono saranno gli integrali ricliiesti. Il metodo esposto è del tutto simile a quello che il sig. Cauchj propone per un sistema di equazioni lineari differenziali di un'ordine qualunque, come può vedersi nel primo volume de- gli esercizi d'analisi e di fisica matematica. IO Scienze I medesimi valori delle differenze da sostituirsi nel sistema dell' equazioni a differenze finite posso- no essere presentate sotto alcune altre forme simbo- liche facili ad essere riconosciute. Supponiamo in- fatti che le costanti a , oi , ce j .... a si riducano alle diverse potenze della quantità uni- che a, /3, y, ... cioè n'-i allora avremo evidentemente j-.=A.jK-«°F(A,)0,y3=A>--^ F(A,)0 ^ A., — « 3 (<-«') (9) < ^' ^-^ A, -a ^ "' ( A"— a'O r„, = A"*r ^ ■ F (A^)0 Ora queste stesse formole potranno adoprarsi nel ca- so generale, purché eseguiti gli sviluppi, alle potenze «• , aV , «2 , ... od n'-i Càlcolo dr' residui 1 1 sì sostituiscano le quantità con gli apici, cioè e dedurremo generalmente che per passare dall'equa- zioni a differenze finite agli integrali basterà sosti- tuire alle differenze finite Ani LÌti aTh le nuove espressioni jn ( A"-«"). O-x-rrr^^^''® 00) N A-._''--Ì-4-F(A.)0 A.-/3 (A^-7'") ^ A^ — y L'utilità, che ha la considerazione di una sola equa- zione a differenze finite, ci permetterà di tornare di nuovo in questa memoria alla ricerca della funzione principale che verifica un' equazione caratteristica a differenze finite, e vi aggiungeremo la determinazione delle costanti arbitrarie. 12 Scienze Sulla funzione principale che verifica un" equazione caratteristica a differenze finite ; e sulla determinazione delle costanti arbitrarie racchiuse nella medesima. 3. Supponendo che il sistema delle equazioni a differenze finite di un ordine superiore al primo sia ridotto ad una equazione caratteristica (1) F(A,)r = o ove F (A^) sia una funzione intera del grado n del- la caratteristica A^, basterà per ottenere ìa funzione principale y, che verifichi qualunque sia x la (i), e per x => x^ r = «, ^,y = U , ù^ly^^oC , .... A^V=a("-^J sostituire nella (i) invece delle differenze A^'/» .... le espressioni (Aj-«-) e quindi dedurre la^ come se A^ fosse non vera quan- tità. Qui pure la © è determinata dalla forraola , X-Xq Ora F(Ax) è una funzione intera della caratteristica A* Calcolo de' residl'i i3 dunque dall' equazione (i) a differenze si passerà all'integrale, quando si sostituisca (3) e si operi in seguito come se A^ fosse una vera quan- tità, e per conseguenza F(A^)-F(«) Che se si sostituisca il valore di 0, e si eseguiscano le operazioni indicate, avremo (5) ,,^c^X^)— ^(^^ (I H- r)-r -^ ^ r — « * (F(r)) Tal'è effettivamente l'integrale della (i), e soddisfa alle indicate condizioni, purché nello sviluppo agli esponenti di a si sostituiscano gì' indici. Questo ri- sultato coincide con quanto trovai per altre consi- siderazioni nella memoria del i835. Se il secondo membro della (i) fosse una funzione della :c, allora dalla nuova equazione (6) F (A,)jr=J[a:) si passerà all' integrale per mezzo della trasformata (7) F (AJ^ - p£=^') F(A.) e =/(x) i4 Scienze d'onde (8) r^li^^lnl^,^^ Ora per quanto abbiamo detto alla fine nel n. 7.° del- la precedente memoria X X (9) ^=£^('-*-^)'' 2{i-Hr) %) e quindi X—Xr X X ^ -^ -I — ►— Questo valore soddisfa a tutte le richieste condizioni se Fiategrale abbia luogo a partir da x^=x^. 4. Le n costanti arbitrarie, racchiuse nell'inte- grale delle equazioni (i), o, (6) possono presentarsi sotto forme diverse secondo le condizioni alle quali si assoggetta la j- per valori dati della x. Ed infatti all'equazione (i) si soddisfa completamente, prendendo ^ ' ^ ^ (F(r)) e l'arbitraria funzione (j3(r) contenendo le n costanti, varia al variar delle condizioni per a:, e per j*. Se si supponga che per x=a:^ si verifichi Calcolo de' residui i5 basterà fare come nel n.° precedente e sostituire dopo lo sviluppo gì' indici alle potenze. Supponiamo adesso che per la successiva serie di valori x=x^.i x=Xo •+• h^ oc=x^ -H 2/1, ... x=.Xo -h (» — i) ^ la j* assuma i respettivi valori ce , ex} , «s ... «^ , ... «"""^ avremo generalmente dalla (11) per m <^ n — i od m = n -^ 1 Xo'^mk (,3) «-=£,*-MJi^tz:) ' ' ^ (Fcn) D'altronde mettendo ed" sotto la forma di un residuo, sarà (.4) ■ « » «' si trasforme- rà in quindi per la formola (28) si avrà (38) ^ = ^ ^__3-h-_Jh-„ |L ed eseguendo le indicate operazioni, risulterà in fine ,„ . 5^— 3. 4^ + 3.3^ -i- 5. 2^ (39) j = UT- 2: 0 Questo integrale esprime i termini della serie I, 2, 4, 9, 3o, .... y aventi gli indici 22 Scienze o, I, 2, 3, 4 ^ 6. Pongasi adesso (40) («) (ra-i) . (n-i) Se nelle nuove quantità j^"^ , //^^ ... j^"^ facciamo la successiva sostituzione dedurremo i loro valori sim- bolicamente espressi per ( /'U (1 -H A,) 7 , y^ = (1 4- Ajy , ... ( y"^ = (i-HA..)'y ed indicheranno le diverse funzioni variate corrispon- denti all'ordine della differenza della funzione: vice- versa potremo avere le differenze A.r. K:J'y ^xy> '•' ^IkO" espresse in funzioni lineari delle (») (a) (3) (n) 7 > J » J » •••• jr e si otterrebbe facilmente Calcolo dk' residui 23 (42) { \J= r — 3/ '-+- 3/ '—r A« («) («-^) . (" 0 («-2) _1_ Se questi valori si sostituiscano nel primo memliro deirequazioni (i), e (6), si trasformerà in una fun- zione lineare delle nuove quantità (I) (2; (3) in) j I j > j » r » / o ciò che torna lo stesso , la funzione intera F{A^) della caratteristica A^ » e di grado ri , diviene una funzione intera del medesimo grado della caratteri- stica i_4_^^,. Nell'enunciato di certe questioni, che riguardano il calcolo delle differenze finite, siamo al- cune volte condotti a dovere stabilire dell'equazioni rappresentate immediatamente da funzioni lineari del- le quantità (I) (2) (3) in) f ^ f » / ' J ' / Quindi è che ritenuto per F il simbolo di una fun- zione intera del grado n , ci fermeremo brevemente i. a considerare la. funzione principale che verifica una delle equazioni caratteristiche (43) F,(i-t-A.)^ = o , F(i-hM/-=/M a4 Scienze 7. Così riguardo alla prima di queste equazio- ni, si verificherà quando prendendo (44) I^rf^ 7' sia una radice dell'equazione (45) Feo = o d'onde l'integrale completo sarà come dal calcolo dei residui X (46) -^ = &(F^) Le n costanti arbitrarie si possono determinare dal supporre che per x = Xo si verifichi (47) jr=«", A^=«' , A^=as .... A"-V=«""' In questo caso essendo X (48) A,7 = & ffv5 avremo generalmente (49) ^#)(>;-')"^*_,„„^ (>-■)■ (F(r)) '-'(r-_(i4-a)) Calcolo de' residui aS quindi pei principii del calcolo dei residui , tra- sponendo tutti i termini nel primo membro , potrà la formola ultima trasformarsi in aro > ^(T — T [ y(r) (r — (I + «) ) / — F(r) l ^^^^ ((r_(iH-«))F(r)) =""• Ora per valori di m <^n si osservi che ^ '^ ^ ((r-(i-H«) ) F(r)) = "" ' ^ ((r— (H-a) ) F(r)) "" ^ e perciò chiamando C una quantità indipendente da r, potremo soddisfare alla (5o), prendendo aro (52) y(r) ( r— (i-ha) ) / — F(r) = G La costante C si determina col porre r == i -H «, e riflettendo che per questa sostituzione la ^{r) ritiene un valore finito, per cui (53) C= — F(i-H«) d'onde i^/\ r ^ FCD — F(i-f-a) -^ (54) ©(r) = r "■ r— (iH-«) ed in fine l'integrale (46) X-Xo ^55ì ^F(r) — F(i -f-«) r ^ ^ ^ -^"^ r-(H-«) '(F(r)) a6 Scienze In questa formola la funzione principale y verifica la prima dell'equazioni caratteristiche (43) e sodisfa alle condizioni (47). Quando per x^x^ si voglia che la funzione e le differenze j, A^jr, A^^, A^jr .... A^ j assumano i valori qualunque «, a , a , ce , —. a potrà sussistere la (55), purché dopo lo sviluppo agli esponenti di « si sostituiscano gli indici. In fine po- nendo (56) %^l' X-Xo (FCD) la funzione principale y si esprimerà simbolicamen- te per .57) .==?^-^^^)-Fc'+-)0 ^ " "^ ^ (1 -HA,)— .(i^H-a) 8. Nella risoluzione di alcune questioni, la de- terminazione delle costanti arbitrarie riesce più fa- cile , quando si supponga come al n.° l^° che per la serie dei valori x=-Xg x^=Xq -i- h , x=x^ -+- 2/i, ... x=Xo -f- {11 — 1)^ la y assuma i diversi termini della progressione geo- metrica Calcolo de' residui 27 «" , a' , «* , «^ , .... a""' In questo caso dalla (4^) avremo primieramente ovvero Xo~¥-mh h /5q) c?i!2'' _c '"" dalla quale deduciamo (60) £, — r^ ^ i _ o Qui, come già abbiamo eseguito nel n.° antecedente, si avrà {61) f (D ir — a)''* — F(r) = C, C = — F(«) d'onde (62) (y(r) = ;. z» r — a Con questo valore la y nella formola (46) diverrà aB Scienze X-Xo /^,v ^F(r) — F(«) r ^ Se dopo lo sviluppo agli esponenti di a» sì sostitui- scano gli indici, la. funzione principale soddisfa alla prima delle (43), e per gl'indicati valori della Xf si riduce ad (64) j=u , jr=oe ,j = e< , .... j=a: ' e ritenendo per 0 come dalla formola (56), avremo di più F(i^A...)-F(«) (65) j= -— 0 i-j-Ai — ex. g.° Per la funzione principale che verifica la seconda delle equazioni caratteristiche (43) adopre- remo l'analogia delle potenze con le differenze , ed il calcolo dei residui, e si avrà primieramente (66) ^= /<^> F(i -hA^) Ora per una formola fondamentale del calcolo del residui, e che offre la decomposizione delle funzioni razionali in frazioni semplici, abbiamo (<^7) frT = & F(X) ^iX — Z) (F(2)) quindi (68) Calcolo de' rbsidui 29 F(i 4- A:,) "^ ^(i-H A^ — r) (F(r)) D'altronde come già abbiamo richiamato al n." 3 di questa memoria -r" I ,69) -5^^ = / ^r%, I -i- A^ — r e per conseguenza r^ Ir ^fix) ('»' ^°& et») Onde l'integrale sia completo converrà che al segno sommatorio sia inclusa una funzione arbitraria della r. Se s'indichi per (p(r), e si rappresenti per y(r) il prodotto di \\){r) per r~', dedurremo a: X '^■^^^^C^-^^ (F(r)) Quando l' integrale finito abbia luogo a partir da X = Xo ì e per il medesimo valore si voglia r = a, A_, jr = « , A^ =«,... A^ j- = «^ ' l'arbitraria funzione 9(*r) seguiterà ad esser determi- nata dalla formo la (54). Si chiamino ora u^v i due 3o Scienze termini che compongono il secondo membro dell' e- quazione (71), sarà (72) j = w-Hi', j-^v = ic la funzione 11 verifica qualunque sia x la prima del- le (43), e perciò se per il seguito dei valori x=Xo x=Xo -h h, x=Xo 4- 2/i, ... x =x^ -i- {n — 1) k assoggettiamo la m, o la differenza j" — f ad assu- mere i valori particolari basterà nella (71) prendere per y(r) il valore che porge la (62), d'onde X-Xo X Xo <73) ^ = ^-73^ ^) -^ ^ -(F«)- L'esposte teorie trovano una facile ed utile applica- zione nella dottrina delle serie ricorrenti, e che noi ci dispensiamo di sviluppare per non allungare di troppo la presente memoria: e termineremo con una osservazione, che risguarda gl'integrali di tutte l'equa- zioni lineari a diftereuze finite a coefficienti costanti. Se per V equazione caratteristica (i) si prenda (74) J = e^"^ avremo dalla sostituzione nella medesima (75) e'*^F(e''^-i)=o Calcolo de* REsmui 3 i alla quale sì soddisfa, quando 9 rappresenti una ra- dice qualunque dell'equazione trascendente (76) F(e«^-i) = o e quindi per il calcolo dei residui (77) J = L ,, potrà essere l'integrale completo dell'equazione (i). Ognun vede che la j risulterà di un infinità di ter- mini, i quali provengono da ciascuna radice 9 dell'e- quazione (76), mentre ponendo (78) e®'' — I = r ad ogni radice r dell' equazione algebrica F(r) cor- rispondente per 9 un numero infinito di radici del- l'equazione (79) e'^' _ , - r = o Nel caso die la (i) si riduca semplicemente a (80) A^. j = o allora sarà verificata non solo per ^ = C , ma an- che per la formola (77) da 9 (.0) e**^ (81) y^^J'J^ 32 Scienze sviluppando il secondo membro della (81) si dà luo- go ad un seguito indefinito di esponenziali propor- zionali alle diverse radici dell'equazioni trascendenti (82) e^^ — I = o La somma di tutti questi termini offre una funzio- ne periodica della x, la quale non cangiando valore per la sostituzione di x -{- h invece della x, soddi- sferà alla equazione (80). Risultati simili si otter- rebbero per la prima dell'equazioni caratteristiche (43): ed aggiungeremo, che quando i secondi membri delle due equazioni si riducessero ad una funzione della x, sarebbe sempre facile di calcolarne gì' integrali , fa- cendo dipendere l'estrazione dei residui dalle diverse radici 6 dell'equazione (76). Integrazione delfequazioni lineari a differenze finite e parziali a coefficienti costanti. 10.0 Nelle precedenti Memorie abbiamo veduto l'utilità e facilità che presenta il calcolo dei residui nell'integrazione dell'equazioni lineari a differenze, e nella determinazione delle costanti arbitrarie. Ora questi stessi vantaggi si estendono per l'integrazione dell'equazioni lineari a differenze finite a più varia- bili indipendenti. Questo genere di equazioni serve a risolvere diversi problemi sulla serie doppiamente ricorrenti, ed alcune questioni risguardanli la teoria Calcolo de' residui 33 degli azzardi. Tal'è lo scopo di una bella Memoria di Lagrange inserita negli atti dell'accademia di Ber- lino per l'anno 1775. L'ingegnoso metodo delle fun- zioni generatrici di Laplace, ampliate in seguito ed aumentate da sua eccellenza il sig. ministro Rango- ni, ha servito per integrare alcune di queste equa- zioni. Si possono consultare ancora diverse dotte Me- morie di Paoli inserite nei volumi della società ila- liana, e le ricerche del cav. Brunacci nel primo vo- lume del Corso di matematica sublime, ove ai risul- tati di Lagrange , Laplace e Paoli aggiunge delle proprie riflessioni utili a promuovere l'integrazione di medesime equazioni. Noi tanto più volentieri abbiamo enumerato i più importanti travagli dei geometri su questo oggetto, in quanto che vedremo la facilità e prontezza, con la quale saremo condotti dal calcolo dei residui ad alcuni risultati di già cogniti. In fine ag- giungeremo la determinazione delle funzioni arbitra- rie mediante una formola che si deve a Fourier. Per procedere poi con più semplicità e chiarezza conside- reremo per ora una sola equazione lineare a differen- ze finite e parziali ed a coefficienti costanti fra due variabili indipendenti. Sulla funzione principale che verifica una equazione caratteri- stica lineare, e dell'ordine n, a dijjìsrenze finite, e parziali a coefficienti costanti, fra due variabili indipendenti. II." Denotando 11 la funzione principale y x^y le variabili indipendenti, ed indicando per F il sim- G.A.T.XCL 3 34 Scienze bolo Ji una funzione intera del grado n delle due caratteristiche A,. , A^ , l'espressione (1) F(A, ,Aj)m=o rappresenterà Vequazione caratteristica a differenze finite e parziali : supporremo che il coefficiente della più gran differenza della u riguardo alla x, sia ridotto all'unità. Per soddisfare alla (i) sia « una funzione della a?, e pongasi generalmente (2) it = e^y « Q sarà una quantità assolutamente arbitraria : e rite* niamo che /i, k siano gl'incrementi finiti, e costanti delle Xij\ si avrà dalla sostituzione della u nella (1), e dalla divisione per e-^ , (3) ¥{e'^^\, A,)«=o Tn questa nuova espressione la o vien determinata per una equazione a differenze finite lineare a coef- ficienti costanti: e come abbiamo veduto nella pre- cedente Memoria, si otterrà ^(l:-(eO^— i,r)) L'estrazione dei residui dovrà eseguirsi relativamente alle radici r dell'equazione (5) F(eeA- i, ,-) == 0 Calcolo de' residui 35 quindi per la u dedurremo X Per accertarsi clie la u può rappresentare un inte- grale completo, basterà avvertire che nella generalità le n radici Tj , Tj , rs .... r„ dell'equazione (5) so- no funzioni della indeterminata e^A-, e ad ogni radi- ce corrisponderà nel secondo membro della u, una certa espressione con le variabili x^ y , nella quale in luogo dell'indeterminata e^ potremo sostituire una funzione qualunque , e per conseguenza nella u vi saranno altrettante funzioni arbitrarie, eguali in nu- mero all'ordine dell'equazione. Così supponendo che che le n radici i\ ^ r^. s v^ , , . rn sieno tutte ine- guali, e funzioni lineari di e^^^ e della forma , . e/c eA: OA' (7) ... ''i = «iG —\,ì\=a^e _ I, ... r,. = i?„e — i risulterà dalla (6), eseguila l'estrazione dei residui, F{e — I, r,) \'[e — i, r,) ^ e(rH-^-) A-.ir « e (rH- 1 (e _ i,r„) 36 S Gì E N Z K In questi diversi sistemi di termini sarà lecito in luogo delle indeterminate (9) F(e'^-^i,n)' r(e^^-i.r.) sostituire il simbolo di funzioni diverse della varia- bile j- H- - - , in modo che l'integrale completo sarà "h - kx k kx he, kx io) M--=a, f,(j-H--)-l-aa f2(7-t-r-)H-..-f-«„ *(«) (/"'"ir) Nell'ipotesi di /i = I = ^, si ha se|mplicemente ,(m) e*=a^f,(j-hx) -i-aJf.Cj-l-J:) -H-.-i- ajf^^j (/-H^) 12. Per rendere più sensibile la facilità dell'e- sposto metodo; sia l'equazione del second'ordine (12) (A^-3A., — 5A^A,-i- 7A^H- 6A^ -H 2) w = o Sostituendoci il valore preso dalla formola (2) , e ponendo per brevità {i3) A = e — I avremo per w come dalla (3) Calcolo de' residui 87 (i^4) (A^— 3a^— 5AA^-h7A-H6A.2-|-2) « = o ove riflettendo che (i5) r^-3r-5Ar-H7A-H6A24-2=(/'-(2-|-3A))(r-(i -i-aA)) si avrà integrando (r) (I 4- r)^ ('6 " ^Q^ - (2 4_ 3A)) (r - (I-i- 2A))) Ed eseguendo 1' estrazioni dei residui relativamente alle radici (17) ri = a-h3A=3e — i, r2=i-HaA=2e — i e supponendo come nel n.** antecedente h = 1 = k^ ed insieme «2 = — ■* e supponendo, che oltre /i = i = A:, se x, y sieno un multiplo della lor differenza, ricaveremo dalla (35) Calcolo de' residui ^t (37) » = ^ la quale c'indica evidentemente un numero j d'in- tegrali finiti da eseguirsi sopra la funzione i(x); in modo da essere (38) « = 222 .... f(x) Assoggettando ora la u ad essere una funzione tale delle variabili x^j che per^ = o, si riduca all'uni- tà, qualunque sia il valore della a:, sarà sotto que- sta condizione f(a:) = i, e l'integrale (38) si riduce ad (39) u = 222 ... 1 ove eseguendo un numero j d'integrazioni finite so- pra r unità considerata come differenza della x , avremo X(.X — 1)(X — 2) ... (X—(V — 1) ) (40) « = " ^ -^ : I. 2. 3. .. j* L'equazione (36) ed il suo integrale (4o) danno un termine qualunque della serie doppiamente ricorren- te, che si chiama il triangolo di Pascal, come si può vedere nella Memoria di Lagrange negli atti di Ber- Imo per l'anno lyjS, e nelle opere di Paoli e di Brunacci. i4-° Diversi problemi, che si risolvono coll'inte- 4^ Scienze grazione dell'equazioni a differente finite e parziali, suppongono che la funzione principale u non sussi- sta, elle per valori interi delle x, f^ per cui si ren- de più facile la determinazione delle funzioni arbi- trarie. Così prendendo l'equazione (41) Aj ^'(n.A,)3 f(j:) f(x) ove in generale j (/ — I) (/ — 2) ... (j -- (« — I) ) (44) C/), -= I. 2. 3... £ Calcolo de' residui 4^ D'altronde nel secondo membro della (43) le frazio- ni simboliche i(x) {(X) f(x) indicano le rispettive funzioni Uoc — I), f (j:— 2) , ... f(j: — j) in modo che si trasformerà la ii in (45) u = f(x) 4- (j)i f (X— I) -i- (j)^ f(x— 2) H- ... '*' ^/);c-i f (I) ■+•... "^- f (X— p Tal'è il valore della funzione principale , che veri- fica l'equazione caratteristica (4i); ma per poter far uso più comodamente della (45) per risolvere un problema che riguarda la partizione dei numeri, mo- dificheremo alquanto il primo e secondo membro del- la medesima. Si faccia (46) u =/(x, j) e nel medesimo tempo si ponga J 4- i invece della j nella (42); avremo (47) /C*,J^+., = (.+^)''(,+-J^)f<., e sostituendo /^4 Scienze (48) (ih ^-~ jkx) = kx) -h f(ar— I ) = 9 (^) scriveremo per la (47) (49) Mx-^ ^) = {^'^■^J'^ ^■^^- Questa formola è del tutto simile alla (42), e per- ciò dopo lo sviluppo (5o) fiXf /H-i) = 9(x) -H (f)i (p(x—j) -h (j)2 p(.r__2)-|-.. Per la determinazione della funzione arbitraria sup- poniamo che jr = Of dia /(x, I) = o , fix — I , I) = o , /(x — 2, I) =r o /(— I, I, ) = o 5 /(— 2, I) = o, ...fix-^-jr, I) = o ad eccezione di In questa ipotesi tutte le funzioni del secondo mem- bro della (5o) si annulleranno, a meno di tp (i) che diviene eguale all'unità, e quindi dalla medesima (5.) M,y + .) = e,),.. =^2r ■' '^-'' ■■ ^^-'"-^' ' 2. 3., X Calcolo de' residui ì^5 e sostituendo y — i invece di j , otterremo dal- la (46) la funzione principale ^^ _ (/— I) (/--2) (j-3) ... (j— (^-1) ) I. 2. 3... X — I Ai medesimi risultati si arriva riflettendo, che quan- te volte nella (49) non si abbia che a ritenere il termi- ne della sede x — i, riducendo l'arbitraria funzione all' unità , allora la u conoide col coefficiente di ^ nello sviluppo r (53) y-I o , ciò che torna lo stesso col residuo della stessa funzione corrispondente ad x^ radici nulle, od in al- tri termini (54) »=&^"-*-''^'"' ir'-) d'onde (55) u = —-^ vr\^ H- rr l. 2. 3.. J? — I r ponendo dopo le 'derivazioni r = o, e coinciderà con Ja formola (52), la quale risolve un problema sulla partizione dei numeri, che si può enunciare nel mo- do seguente : 46 Scienze « In quante maniere il prodotto di un nti" mero x di lettere a, b^ e,... m può avere la som- ma degli esponenti di quelle lettere eguali ad y^ supponendo che i detti esponenti sieno interi e positivi (*). i5.° A mostrare sempre più l'utilità delle pre- cedenti formole generali, ed in particolare della (35), proporremo ancora l'integrazione di due equazioni a differenze finite, che s' incontrano nella teoria degli azzardi , e clie sono state già integrate da Lagrange negli atti dell'accademia di Berlino per l'anno 1775. La prima equazione è (56) A^ A,u -h (I-7) A,u ■+■ (1-p) A^ u -H {^-p-g) u = o la quale paragonata con la (3o), porge e sostituendo questi valori nella (36) ricaviamo Qui pure supporremo /i = i = A, ed i numeri x,j interi, e svilupperemo il binomio / I -H A. Y _ f p \ (58) C) Brunacci. Corso di matematica voi. i, pag. ig3. Calcoi^o dr' residui 47 e si dedurrà Facendo la sostituzione nella (5 7), ed eseguendo le operazioni sopra f(x) indicate dalle caratteristiche, si troverà (60) „ =/ Ux)-^pjK^-'i )-h ^J^^^^ f (a:-2) 1. 2. 3 y La funzione arbitraria f(x) è ciò che diviene la u per r = o , e volendo che sussista pe' soli numeri interi, pei quali si verifichi (61) f(^) =:f(a7— 1) = f(x— 2) ... = f(a;— (x~1) ) =f(1) = 1 basterà prendere la somma di quei termini che si estendono fino alla potenza di p del grado ^ — i , cosicché sia I, 2 ■ I. 2. 3 (62) U =q [ i-hjp-f^-^^^^ p^-h^-^~~^ ~'^^' ^p^- jCy^i) (j--hV .... (r-h-X — 2) H 5 p 1. 2. O ... 07 I ' .v-i la quale è identica con quanto trova Lagrange alla 48 Scienze pag. 247 nella più volte citata Memoria dell' acca- demia di Berlino. La funzione w, data da quest'ulti- ma formola, rappresenta il valore della probabilità, che hanno due giuocatori di vincere, quando al pri- mo manchino y eventi favorevoli, ed x al secondo: ed insieme sia a la probabilità dell'evento favorevole per il primo, e y^ la probabilità simile per il secondo. Sia infine l'equazione (63) Ay A^ M -f- A^ u H- ;> Ay M ■= o e per essa avremo tto = 1 a, == 1 a^=.p ^ «3 = 0 d'onde la formola (38) darà per h = \ =k (64) u=p^ ( — J f (X) Per isviluppare in serie il secondo membro, si ponga sotto la forma e riuscirà (65) (.H-VC.-.)r= _^^/('--^_,r(7^-)(^ (14.A/ (14-A,)^ 2(i4-Aj x-y j(j-n) (j-h2) .... (/-t-r -^Cj+i) ) (i—p) 1. 2. 3... X — j (H-A^; Calcolo de' residui 49 sostituendo nella (64), e riducendo con eseguire le operazioni indicate dalla caratteristica i -H Ax so- pra f(x) avremo 66) u=p^ [f(j:~/H-/(i-/?)fCJ^-/-04-'^'^"^ {i-pfi{X'jr-i) r(r^.i) (rH-2)...(:c--i) x-y. \ H-.-H-^-^ \ •CI-/» -^fCo)-»- I. a. d... X— ^ y L'arbitraria funzione è ciò che diviene la ii per^=o, quindi se a partir dallo zero vogliamo che sussista per i soli valori interi, e per x >» j" i(^x—y) == f (X— j — I) = ... = f(o) = I. è evidente che la serie avrà luogo fino al termine di sede X — y — i, per cui -H .. ^. /(/H-o (r-f-2) (r-f-3) ... (x—x) {1—pf'A I. 2. 3.... X f J Questa formola rappresenta la probabilità che ha dì vincere un giuocatore, che scommette di ottenere un dato evento, y volte almeno in un numero x di tiri con la probabilità favorevole p in ciascun tiro, ed è concorde la risoluzione con quella data da Lagrange nella citata Memoria. 16. Alcune delle formole generali stabilite nei G.A.T.XCI 4 5o SciKN2K precedenti numeri possono sotlo date condizioni ri- cevere delle semplificazioni, che sarà utile di esami- nare. Cosi tornando su\Y equazione caratteristica (i), e supponendo che sia omogenea, allora l'equazione (5) sarà della forma (68) r" 4- a, m-i (e""— 1) -4- a^ rn-a (e — 1)» -i- ... 4.a„(/''-.ir = o e le radici di questa sono eguali alle rispettive ra- dici della (69) r" -H a, r"-i -+- a^ r^-a •+• .. -f- o„ = o moltiplicate per e^^ — i, e perciò seguitando a porre (70) F(r) ^zr^-i- ai rn-i -f- a^ r«-2 -H . • -i- a„ l'Integrale espresso dalle formola (6) diverrà (7-) »=&' ^^ La nuova indeterminata ip(r) risulta dall'antecedente quando s'intenda r{e^^ — i) invece della r. Nel se- condo membro della (yi) sostituendo una funzione della j invece delle quantità indeterminate, sarà X , , J^+rArt kr) (7^) « = &— ^^-5— Questa sussiste quante volte s'intenda , che ad ogni Calcolo de' residui 5i radice r della (69) corrisponda una diversa funzione della y\ così se le radici sono tutte disuguali, otter- remo dalla (72) X X (73) u= (l-h/'.Ay f i,{j) -4- (1-t-/-.Ay f Uy) H- . • ^ (1 + r,Aj. f %) (jr) Termineremo questo n." con indicare una formola, la quale soddisfi ad una equazione caratteristica qua- lunque, quando anche la più gran differenza riguar- do alla X sia soggetta ad altre differenze prese rela- tivamente alla variabile j ; di fatti considerando Vequazioiie caratteristica (74) F(A.r,A^)« = o ove il simbolo F indichi una funzione qualunque in- tera delle due caratteristiche Ar » 4x ♦ potremo sod- disfarvi, prendendo (75) jr = l ^:I. ^^ (F(e — I, e — I)) Q indicando una radice qualunque dell'equazione tra- scendente (76) F(e — I, e — i) = o e P una funzione arbitraria della B , od anche una funzione periodica delle variabili .r, y da soddisfare alle condizioni f)2 Scienze (77) A,P = o, AjP = o Ognun vede che il secondo membro della (yS) ri- sulta di un'infinità di termini , che nella generalità sono tutti di forma immaginarla. In tutte le prece- denti ricerche si è supposto nullo il secondo mem- bro dell'equazione caratteristica; nei seguenti numeri verremo a considerare gl'integrali di quelle equazioni, nelle quali il secondo membro si riduca ad una fun- zione data dalle x, y e per cominciare dai casi più semplici, prenderemo un equazione lineare del primo ordine, ed omogenea, per inoltrarci in seguito a casi pili generali. Sulla fnnzione principale che verifica V equazione caratteristica 17.° Riducendosi a zero il secondo membro del- l'equazione caratteristica del primo ordine, allora la nuova equazione ( 1 ) Aji — r Ayu = 0 come già abbiamo dalle formole (ya) o (y3) sarà (2) „=.3(H-M,-/MOO Calcolo de' residui 53 ed ove alla funzione arbitraria della j', si polreblje sostituire ancora una funzione di ambedue le varia- bili j-, X, purché sia periodica riguardo a questa ul- tima. Per avere adesso il valore della funzione prin- cipale che verifichi la nuova ec[uazione (3) A^u-^r Aj-u ==/ {x,j) supporremo che rimanga, della stessa forma che la (2) quante volte alla funzione della y si sostituisca una funzione v di ambedue le variabili jr, j", in modo da essere X (4) u = (i^rAyfu Determinando adesso le differenze A^u y Ay u -, sarà i A^u = (i -H rAy f (d H- rAv ) (.^ -+• ^xV)—i>) (5) j . ( ^^ M = (l H- J'Ay )^ Ay V e quindi per la sostituzione nella (3) X (6) (i^rAy fAA^ -h Ay i>) ^f(x,f) Ora da questa equazione potremo successivamente ri- cavare il valore della incognita v : di fatti per un primo valore simbolico si trova (7) A>+A,.) = -ilflZL_ (i -i-rà, )'' 54 S e 1 E N 8 E nella quale il secondo membro indica l'integrale di oc un'equazione a differenze finite dell'ordine r-- , e ci basterà rappresentarlo simbolicamente per (8) A, [v 4- rLy i') = (I -f- r^y ) ^f(x, f) In questa integrando riguardo alla x^ e supponendo che l'integrale finito abbia luogo a partir da jc == o, deduciamo X (9) (;H-rAr i'=y^JI-4-^'Ar ) V("^. j) Il valore infine della v si esprimerà per (io) f = (i -h rAy )-»^"(i -f- rAy ) '/(x,/) e perciò sostituito nella (4) sarà (II) U = {l^Ay)'' ^Jl-HMj,) V(^'/) Il segno 2 racchiude una funzione arbitraria della ^, od anche una funzione di ambedue le variabili; ma periodica riguardo alla Xy cosicché sia i-i *-i -^ (i2) w=(i-f-rA^ ) ^(j) + (i-i-rAy ) ^[{^-i-f^^y ) f{^ La prima parte di questa formola è d' accordo con la (2), quante volte ad una funzione arbitraria del- Calcolo de' residui 55 la j, si sostituisca la nuova funzione (i-t-rAy )"'f(7)- Riguardo poi alle diverse espressioni che possono ve- rificare la (i), osserveremo che mediante la formo- la (75) del n° 6, si otterrà ... o(^-l-y) (»^) ''-^-^. Vk (e —I—ne — - I)) ed ove l'estrazione dei residui dipende dalle diverse radici 6 dell'equazione trascendente (i4) e — I — r(e — i) = o La (p{9) rimane di valor finito per tutte le radici 9 dell'equazione (i4)» e potrà contenere le jr,j, pur- ché riguardo a queste verifichi (i5) A,^(5)=o, Ay9ÌP) = o Che se nella medesima (i4) poniamo eA: , eA , . {16) e =/>, ed e =i4-r(/7— i) d'onde y (17) e =(i-Hr(/j — I)) ,e =p allora la 11 dopo l'estrazione dei residui si potrà rap- presentare sotto la forma 56 Scienze (i8) u = S^P(i -*.;•(;>— I) f / ] Il segno S indica una somma composta di termini iìniti| od infinitesimi, simili al prodotto X jr (19) l?(i^r(p^j)fp^ p e una quantità reale ed immaginaria , e varia da un termine all' altro , e la P contiene le d , ^ . r se riguardo alle ultime verifichi (20) A^ P == o , Ay P = o Le diverse formole stabilite in questo numero sono d'accordo a quanto trova il sig. Cauchy per altre con- siderazioni nel secondo volume degli Esercizi di mate- matica. Aggiungiamo che le formole (2), (11) e (12) si possono, per mezzo di una formola data da Fou- rier, trasformare in integrali definiti doppi presi fr- i limiti -{- co , — co ; ma ciò si vedrà nei seguenti numeri , ove parleremo generalmente della determi- nazione delle funzioni arbitrarie, che si contengono negli integrali dell'equazioni a differenze. Calcolo de' residui Sulla determinazione delle funzioni arbitrarie contenute negli integrali generali delle equazioni lineari a differenze finite e parziali, ed a coefficienti costanti. 18." Consideriamo la solita equazione caratte- ristica dell'ordine ti (1) F(A,,Aj.)« = o e si tratti di determinare la funzione principale u in modo , che verifichi la (i) qualunque sia jc , e per X = x^ le condizioni (a) w=%), A,w = f,(j), A> = f,C7) , .. A'^-^w=f(„.,^Cj) La risoluzione di questa questione si può far dipen- dere da una formola di Fourier, la quale consiste a rimpiazzare una funzione qualunque di una variabile per un integrale doppio, nel quale la variabile non sia che sotto i segni sen, o coSy e si avrà ove si suppone che la funzione sussista per qualsiasi valore reale della j. Per usare più comodamente di questa formola sarà bene , come ha osservato il sig. Cauchy, di sostituire l'esponente immaginario all' espressione trigonometrica in modo di cangiarla in 58 Scienze (3) f(/)=4/r„/i^"'"''"^"'f"'""5* A soddisfare alla (i), ed alle condizioni (2) porremo I r»CO /-.co S (y-ttìl/'-I ,^ , w è una funzione della jc , da determinarsi conve- nientemente. Sostituendo questo valore nella (i)» ri caveremo con facilità quindi la w sarà evidentemente data dall' equazione a differenze finite dell'ordine n (6) F(/^^"'-.i,A.)m==o e non tralasceremo di notare che la differenza A"_iM, abbia l'unità per coefficiente. Onde la funzione prin- cipale soddisfi alla (i), ed alla (2), converrà integrare la (6) in modo, che per x = Xo si abbia (7) «=fo(/A), A,«:=f.(/x), A>=f,(^), .. A^-^«=f^^.^j(/X) e perciò fatto per brevità (8) F(e^'^^-'-i, r) = 5^(r) Calcolo de' residui Sg troveremo per la forinola (5) del n.° 3. fF(r) — fF(fCW ) (I H-r)~^ (9) " = ^ -"-7-- L'estrazione dei residui dovrà riferirsi alle diverse ra- dici r dell'equazione (io) F(/*^'*— I, r)=o e nello sviluppo , agli esponenti di f(jx) si sostitui- ranno gì' indici , e per conseguenza la formola (4) col fare per brevità 5(r)— J(f(^.)) (Il) ^= —-. porgerà X-Xa Questa formola soddisfa evidentemente alla (i) , ed alle coudizioni (2). Quando l'equazione caratteristica fosse omogenea, allora, come già abbiamo notato al 11." 16, assumendo (13) F(r) = r" -f- a.r''"' 4- «^'"^^ -H -. -t- a^ ed insieme <6o Scienze (14) n=. avremo dalla (la) X'Xo ,,5) „=L^r r i'('-H-(/^'^--.)) ^^^Mt^-^,^^, ^ ' zn^J -co ^ -00 |^F(;,)^ ' '^ Se la funzione (i3) si riduce al primo ordine, l'in- tegrale (i5) diverrà della forma X-Xo (16) u=^ J (i4-r(e "^ —I)) fcfije*^- '^•^ ^/3(/ la quale porge una trasformata dell'integrale dell'equa- zione del primo ordine , e coincide con la formo- la (2) del n.° 17. 19.° Veniamo ora a supporre che il secondo membro della (1) si riduca ad una funzione delle due indipendenti x^ jr^ od in altri termini (17) F( A, , Ay ) w =/(ar, r) e procureremo di soddisfare a questa , ed alle con- dizioni (2), mediante la formola consueta (.8) u^ir r /""^"^^V/srfii. ^ 271»^ -co J -co la quale sostituita nella (16) darà Calcolo de' residui 6i e per la forraola di Fourier si dovrà verificare (20) F(/*^"-i, A.) « =/(ar, fx) Quindi integrando in modo che per x = Xo sussista (2i) «=foQx), A,Q=f,CW, A^.)=f,(^), .. Aj-'w=^„.,^(/;.) avremo per la foFmola (io) del n.° 3, e per la for- mola (9) di questo n.° X'V-h (22) «=^- Fatta la sostituzione nella (18), otterremo mediante la (11) la funzione principale w; vale a dire X-Xa x-V'h 4- — ^/ / — e JprfA 62 Scienze 'J Il trovalo valore di u, socldisfa alla (17) ed alle con- dizioni (2), purché l'integrale finito abbia luogo a par- tir da x = JCo' Quando il primo membro della (17) sìa una funzione omogenea delle caratteristiche ^x, A^ , allora ritenendo le formole (i3), (i4) potremo tras- formare la (23) in X-Xo *^^^^ 27r<-^J -OD ^ -;» rFrr^ì fi -OD ♦' -SO (F(r)) f-p-A azr"^./ -co ./ -co (F(r)) .=0 .o=i:,(-^'«^''^--«"/(..^>,„,^. Nel caso che questa stessa si riducesse al primo or- dine , e r integrale finito avesse luogo a partir da X = Xo = o, non è difficile a vedere che si avrà col porre :a5) /*i^--. = X-Xo I ,00 r'.oo f" J'/-f*)\^-h (26) "=2^7 ^/.^('-•-'^^^ e^'^-^^^-'kiDd^dii. Ott'' -80 «^ -CO •'^i^ o Questa formola è una trasformata della (12) nel n." 17, come già abbiamo notato. Calcolo de' residui 63 20.0 Alcuna volta la determinazione delle fun- zioni arbitrarie potrebbe riuscire più facilmente quan- do pe' i valori particolari (27) x=Xo-+-h, x=XQ'^2h, x=Xo-i-Zh, ... a:=a'o ■+• («— 1)A la funzione principale divenga (28) U=Ìo(fh U'^Uf), W=fa(/) ... M=f(n-i)(/). In questo nuovo stato di cose riprendendo la (1) e la (3) basterebbe integrare la (6), in modo che per gli indicali valori della x, si avesse (29) W=fo(/X), i)=fi(|x), ^=Uii.} ... w=^n-i)(/x) Ora per la formola (22) del n." 4 » ^ per le nota- zioni adottate nel n.° 17 sarà X'Xa 5*lr)— 5(f(a)— i) (H-r)~ (3o) ^^^ — - r_(f(/;o— i) C-^C'')) d'onde sostituito nella {18), e posto per brevità 5tr)5— (f(/x)-i) (Si) ^,= 11 : avremo 64 Scienze Questa formola subisce dei cangiamenti ad altri di già rimarcati negli antecedenti numeri, se l'equazio- ne caratteristica fosse omogenea, o se il secondo mem^ bro si riducesse ad una funzione data delle variabili j?, j\ ma ciò per brevità omettiamo di jviluppare, ed in altra occasione estenderemo queste teorie per un' equazione caratteristica dell'ordine n fra un numero qualunque di variabili indipendenti. Vost scriptum. Dopo la composizione di que- sta Memoria ho osservato, che gì' integrali generali dell'equazioni lineari a differenze finite, e parziali a coefficienti costanti si possono anche ottenei-e imme- diatamente dalla combinazione dell'analogia delle po- tenze e differenze, con la formola generale che porge il calcolo dei residui per la decomposizione delle fra- zioni razionali in frazioni semplici. Questa combi- nazione mi avea somministrato di già nelle Memo- rie del i835 e i836 gì' integrali dell'equazioni a differenze, e differenziali, e più recentemente gli in- tegi'ali di un sistema di equazioni a differenze. Avu- to riguardo alla facilità ed eleganza del metodo, mi tratterrò per un qualche momento ad applicarlo ad una equazione a differenze finite , e parziali fra un numero qualunque di variabili indipendenti. Sia dunque (i) F( A.V , Ar , àz s ... ^t ) =/(>r,/, z ... t) un'equazione lineare a differenze finite, e parziali a coefficienti costanti dell'ordine n fra le variabili indi- Calcolo de' residui 65 pendenti .r, f , z ... t, e la funzione principale u. Sup- porreoio clie il coefficiente delia-più gran differenza della II riguardo a t sia ridotto all'unità ; quindi l'a- nalogia delle potenze con le differenze darà il valo- re simbolico della funzione principale f(x,f,z...t) (a) u = F ( A, , A_y , A, , ... At }. Ciò posto, considerando le caratteristiche A^» Ay , ^z, •• A( come vere quantità, il secondo membro della (2) sarà una frazione razionale di un dato grado riguar- do a A^ , e di numeratore costante: e perciò per la formola più volte citata della decomposizione delle frazioni razionali, e richiamata al n.° 8, darà (3) « = 6 (A^ — r) [¥{A^, Ay , A. .... r}) Ora la frazione simbolica f{x,y,z ... t) Ut — r rappresenta l'integrale di un'equazione lineare a dif- ferenze finite del primo ordine: ed integrando l'iguar- do a i, sarà t t (5) <-_^i =(i-hr) Id-HD fix,x,z..t) At — r ^ ^ d'onde il valore della funzione principale u diviene G.A.T.XCI. 5 66 Scienze t t -^ _i _ __ x^ ^,, . ... h (6) u = o(»+^) ^<^^'+'n V(3^,/,^..o (r(A., A^ , A, .. r)) L' estrazione dei residui deve riferirsi alle radici r dell'equazione (7) F(A,, Ay , A» ...r)=o Queste radici saranno funzioni delle caratteristiche àx f Aj , Az ... e dei coefficienti costanti contenuti nella (i). L'arbitrarie costanti dovute all'integrazione saranno rimpiazzate da altrettante funzioni delle ri- manenti variabili x, ^, z .. in modo che l'integrale completo sarà (8) u = p ^lUÌ—l^L^ZlllZ^ ^ (F(A. , Aj. , A, .. r)) -^l t t (F(A, , Ay , Az .• r)) Per ogni radice r, che indica un'operazione da ese- guirsi sopra le variabili x, j", s.., corrisponderà una funzione arbitraria delle medesime. Così supponendo per brevità V equazione ca- ratteristica (i) ridotta al primo ordine, e della forma (9) {At —aA^ — b Ay — e Af ... ) w=/(x,/, z .. t) Calcolo de' residui 67 sarà (io) r =:aj\^^b ^y ^c a» -^ Se questa somma di simboli si rappresenti per un simbolo unico a' in luogo di r, avremo dalla (8) do- po l'estrazione del residuo t t t] Facendo poi (12) (1 -HA')-' 9( ^, r, =•. ) =-f(^,7,z..) si ricaverà ancora per l'integrale completo della (9) t . t t w=(H-Af f(x, j, s.OH-(i-f.Af 2(H-A0 V^^, j, s ... «) Questa formola sussiste eziandio nel caso che la t non sia un multiplo della differenza h. L'esposto me- todo è applicabile a tutte l'equazioni lineari a coef- ficienti costanti, come mostreremo in altra circostanza. -«»£^^Q^S*ss— 68 Histoire des sciences mathematiques en Italie depuis la renaissance des lettres jusqii'à la fin du XVII siècle^ par M. Guillaume Libri viein- bre de Vinstitut. Voi. /, //, ///. Paris i838-4o, chez les editeurs lules-Renouard et C'« x^pera dì somma utilità ed importanza sarebbe cer- tamente ai dì nostri una storia dei progressi delle scienze matematiche in tutte le nazioni dai tempi antichissimi fino al secolo in cui viviamo. Se non che a lavoro di tal forma richiederebbesi ingegno va- sto e profonda dottrina, doti tro[)po rare a rinvenire: e però coloro, i quali finora si occuparono di tal sog- getto, fecero lavori assai imperfetti ed incompleti (^a). [a] Montucla scrisse una storia generale delle matematiche dall'origine delle medesime fino al principio del secolo XVIII. Chi fosse vago di conoscere i gravissimi errori , in cui cadde questo storico, potrebbe consultare la storia dell' algebra di Cos- sali voi. I, pag. 6, 25, 73, "iSi-y e voi. II, pag. i4o, i65, 362 ; e la dissertazione sulta storia matematica della nazione indiana scritta da Pietro Franchini (Lucca i83o) pag. 36 Cn altro geo- metra francese il sig. Bossut die a luce un saggio sulla [storia delle matematiche ; ed ì molti abbagli eh' egli prese vennero sagacemente osservati dal Franchini nella citata dissertazione pag. 34 e 35. I compilatori francesi dell' Enciclopedia metodica null'altro fecero intorno alla storia delle matematiche se non che compendiar la storia di Montucla; e, se qualche cosa di nuovo ad essa aggiunsero, fu qualche nuova inesattezza- Vedi Cessali, Storia dell'algebra voi. I, pag. 33 e 232 Molti altri er- rori commessi dali'ab. Andres nello scrivere ia storia generale Istoria delle matematiche 69 Il sig. Libri illustre geometra, noto già abbastanza per le sue ciotte ricerche intorno alla teoria de' numeri e ad altri punti di analisi, conoscendo l'ampiezza e la difficoltà di una storia univex'sale delle scienze ch'egli coltiva, volle con savio consiglio limitarsi ad esaminarne gli avanzamenti in una sola nazione, per- correndone un solo periodo , cioè dal risorgimento delle lettere fino a lutto il secolo XVII. Ed era ben dritto che tra tutte le nazioni ei dovesse presceglier I' Italia , sua patria poiché solo in questa contrada vennero gettati i semi di quelle gloriose scoperte , che recarono le scienze a quello stato di perfezione in cui trovansi oggidì. Il sig. Libri ha diviso la sua storia in sei vo- lumi, tre de'quali sono già resi di pubblica ragione; e quantunque egli scriva in Francia ed in lingua francese, pur tuttavia noi crediamo opportuno dar nel nostro giornale qualche cenno della sua opera, rite- nendo che questo libro ,debba interessare direttamen- te e particolarmente l'Italia. Innanzi tratto dobbiamo osservare che al sig. Libri piacque di prendere la vo- ce matematiche nel senso il più ampio : in quel sen- so appunto (i), com'egli medcóimo avverte, che l'isti- tuto di Francia ha voluto dare a tale denominazione, comprendendo in essa non solo le matematiche pu- re, ma altresì le loro applicazioni alla fisica, all'astro- delle matematiche ( Orig- e progr. d'ogni letteratura, tom. IV, edizione di Venezia i832), furono anche dal Cossali notati (Sto- ria dell'algebra, tom. I, pag. 14 e 83, t. II, pag. i4i). Queste poche citazioni basteranno a giustificare la nostra asserzione che coloro, i quali finora scrissero intorno alla storia generale delle matematiche, fecero lavori assai imperfelli ed incompleti. rro Scienze nomia, alla meccanica. E però il sig. Libri non re- putò estranee al suo soggetto alcune ricerche, le quali non sembrereLbe dovere al medesimo appartenere, ove a tal voce si desse l'ordinario significato. Talora an- che le diverse relazioni, che le scienze esatte hanno con altri rami di umane cognizioni, costrinsero l'au- tore ad uscire della sua via; ragionando di cose che a'matematicì direttamente non interessano. Il sig. Li- bri dichiara nella sua prefazione (2) aver creduto di usare nello scrivere la sua storia uno stile che ad ogni maniera di leggitori potesse esser atto: e, a non ingombrare le pagine del testo di numerose citazioni, aver collocato alla fine di ciascun volume in note ed addizioni i documenti, de'cpiali si è giovato come base delle sue ricerche. Queste note formano il me- rito principale dell'opera del sig. Libri; perocché in esse egli pose a nuova vita molti importantissimi ma- noscritti che ninno prima di lui avea pubblicato. E tali sono veramente una traduzione latina dell'alge- bra di Mohamed-ben-Musa Khuarezmlta, uno de'più illustri algebristi arabi, e che Golebroke credè peri- ta (b) : un antico trattato d' algebra scritto da un certo Abrahaam siro, secondo le tradizioni avute dai sapienti dell'India : un calendario arabo composto da Harib figlio di Zeid : un capitolo dell'Abaco del no- stro celebre Fibonacci tratto dalla magliabecchiana di Firenze, nel quale si contiene tutto ciò che in- torno all'algebra ci rimane di quell'illustre italiano: molli brani de'manoscritti di Leonardo da Vinci e di [b] Intorno alle trafliizioni Infine dell'onera di Mobamed- ben-Miisii vedi Cessali, Storia dell'iilf^'chra toni. I, p:ig. 7 e seg. Istoria delle matematiche ^i altri anonimi che l'autore possiede. Egli si duole nella prefazione di non aver potuto inserire nella sua sto- ria che un piccolissimo numero dei molti scritti eh' egli conosce , e che potrelibero servire ad illustrare la storia di queste scienze (3). Noi ci confidiamo che molti seguiranno, e massimamente in Italia, l'e- sempio del sig. Libri : togliendo dall'obblìo tante pro- duzioni che hanno contribuito non poco al progresso della i\igione, e che ora giacciono nella polvere delle biblioteche, minacciate di prossima distruzione. Premette il sig. Libri alla sua storia una lun- ga introduzione, nella quale rapidamente espone lo stalo delle matematiche nelle nazioni dell' antichità: e dà una breve analisi dei lavori dei geometri greci, indiani, ed arabi, affinchè il lettore, considerando le opere de'moderni, possa formarsi una giusta idea di ciò che questi hanno aggiunto alle mirabili scoperte di que' padri delle scienze. Dimostra quanto possa essere utile anche attualmente ai fisici un' attenta lettura della storia naturale di Plinio, delle questio- ni naturali di Seneca , di vari libri di Aristotile : trovandosi in queste opere, di mezzo a gravi errori, molte sane idee e molle importanti osservazioni. Fa notare come fatti della più grave importanza, essere stato Aristotile il primo (e) ad indicare per mezzo (e) Il sig. Libri scrive: ,, L'uso fallo da Aristotile delle let- tere per indicare quantità indeterminate, è un fatto iniportan- tissimo e finora rimasto inosservato ,,. Ij'ultima parte di questa proposizione non è esatta. 11 signor Franchini, nel suo Saggio sulla storia delle matematiche a pag. 3n, avea fatto diciassette anni prima della pubblicazione della storia del sig. Libri la me- desima osservazione. ya Scienze di lettere le quantità indeterminate (4): essersi Pla- tone, Archimede ed i seguaci di Pitagora mollo tem- po innanzi Diofanto occupati della teoria dei nume* ri (5) : ad Archimede doversi i germi del calcolo dei limiti e molti teoremi di geometria piana , i quali anche dopo venti secoli possono essere meditati util- mente (6). Paragona i lavori de' greci a quei degli arahi (y) : mostra che questi ultimi avevano un si- stema algebrico ed aritmetico totalmente indipenden- te da quello de' greci , e sostiene la congettura di Wallls che gli arabi togliessero dagl' indiani siffat- te cognizioni (8). Finahnente esamina con molta sa- gacità l'influenza che gli avvenimenti politici ebbero nell'avanzamento di queste scienze, e le cagioni del totale decadimento in che vennero presso i latini. L'introduzione o discorso preliminare occupa tutto il primo volume ; e col secondo il sig. Libri dà principio alla sua storia. Dimostra qual debito abbiano le altre nazioni verso gì' italiani per aver essi nel secolo XII fìitto risorgere questi nobili studi. Ad essi infatti il maggior numero degli storici e degli eruditi diede il vanto di aver recato in Europa la scienza algebrica dall'oriente, ov' era con gran fervo- re coltivata. E opinione quasi comune del dotti e dal sig. Libri vivamente sostenuta, essere stato il pri- mo a diffondere tra i popoli cristiani le teorie al- gebriche degli arabi Leonardo Fibonacci mercatante pisano nel 1202 (9). Deduce il nostro storico da al- cuni ])rani delle opere di Fibonacci, aver egli pel primo fatto conoscere il nuovo sistema aritmetico da lui profondamente studiato e riconosciuto pel più perfetto di tutti quei che usavansi in aUre contra- de (io): ed i metodi arabi per la risoluzione di al- Istoria delle matematiche ^3 cune equazioni di primo e di secondo grado (ii) e di altre derivative di secondo grado (12). Prende quindi a dimostrare che l'unico merito di Fibonacci non consiste già nell' avere recato a' cristiani le teo- rie degli arabi , ma si nell' avere di molte ricerche originali arricchito la scienza. Parve al sìg. Libri di poter attribuire a Fibonacci una delle più gloriose sco- perte che presenta la storia delle matematiche, scri- vendo che queir illustre scienziato non solo usò , come molti altri prima di lui , le lettere dell' alfa- beto per denotare quantità indeterminate, ma « fece su queste lettere delle operazioni algebriche, come se fossero quantità astratte, in quella guisa appunto che si usa attualmente » (i3). Scrisse anche il nostro Leonardo assai dottamente intorno alla teoria de' nu- meri ; die la formola generale per la formazione de' triangoli aritmetici, la somma de'numeri quadrati, e risolvè altre questioni difficili d'analisi indetermina- ta (i4)- E poicliè nò i libri arabi danno indizio di tali questioni, né l'illustre opera di Diofanto , uni- co monumento rimastoci de' lavori de' greci intor- no all' analisi indeterminata , era ancor discoperto ; abbiamo tutto il fondamento di risguardar Fibonacci come un secondo inventore di questo ramo impor- tantissimo delle matematiche. Il sig. Libri, dopo una rapida analisi dei lavori di quest' illustre scienziato italiano, dà qualche cenno intorno alle traduzioni di opere matematiche eseguite in Italia nel secolo duo- decimo. Cita Guglielmo di Lunis (i5) e Campano di Novara (16). Dimostra che gl'italiani contribui- rono in questo secolo anche al progresso della fisi- ca, rammentando i viaggi da Marco Polo intrapresi nel 1292, che tanto lume recarono ai geografi ed ai ^4 Scienze cosmografi (17): e la scoperta dei besicll eseguita in Toscana da Salvino degli Armati intorno all' anno 1280 (18). Maggioi'e sviluppo ebbero nel nostro pae- se questi studi in tutto il secolo XIV. Fa osservare il sig. Libri die in questo secolo fu scoperta in Ita- lia la sospensione dell'ago magnetico (19): che Bru- netto Latini nel suo Tesoro die alcune giuste osser- vazioni intorno alle maree, alla gravità , alla figura della terra e ad altri punti di geografia fisica (20): che Cecco d' Ascoli studiò attentamente la velocità della luce, la formazione del suono, gli areolili, le stelle filanti ed altri fenomeni meteorologici: conob- be molti fossili e gli ebbe per indizi delle grandi ri- voluzioni primitive del globo (21): die Dante Ali- gbieri, discepolo di Brunetto e di Cecco, coltivò an- ch' egli utilmente siffatti studi (22). Fu in quel tem- po che r uso degli almanacchi e delle osservazioni meteorologiche cominciarono ad introdursi in Ita- lia (2 3), e che i Veneziani si servirono per la pri- ma volta de' decimali nella nautica (24). Ne l'alge- bra e la geometria vennero abbandonate nel secolo XIV dagl'italiani ; che se in questo secolo non fiori tra noi alcun ingegno inventore che queste scienze facesse notabilmente avanzare, molti tuttavia le col- tivarono e contribuirono con numerosi scritti a dif- fonderne sempre più il gusto, ed a preparare le sco- perte di Ferro e di Tartaglia. Molti di questi scritti vengono indicati dal sig. Libri (25) : e merita tra tutti r attenzione particolare de' leggitori quello di Paolo Dagomari , che il sig. Libri ha recentemente rinvenuto : dal quale ricavasi aver queirillusire geo- metra risoluto non pur le equazioni di primo e di secondo grado, ma le cubiche altresì di due termi- Istoria delt.e matematiche ^5 ni, ed ampliato considerabilmente i lavori di Fibo- nacci intoi'no alla teoria dei numeri (26). Molti no- mi illustri nella storia delle scienze esatte presenta l'Italia nel secolo XVI ; ma due tra tutti gli altri eminentemente distinguonsi : quei di Leonardo da Vinci e di Luca Pacioli. La mente vastissima di Leo- nardo abbracciò tutti i rami dell' umano sapere ed in tutti si rese eccellente. Egli può riguardarsi co- me uno dei più illustri geometri di quell'epoca: e le importanti osservazioni da lui fatte intorno a molti fenomeni naturali debbono farlo annoverare tra coloro, i quali banno più contribuito al progredi- mento della fisica. Sventuratamente però gli scritti, nei quali questo grand' uomo avea consegnato le sue ricercbe scientificbe , sono periti : ed a noi non ne rimangono che alcuni frammenti nella biblioteca rea- le di Parigi e nell' ambrosiana di Milano. Essi con- tengono un gran numero di preziose osservazioni : le quali fanno vivamente desiderare a tutti gli ami- ci delle scienze di veder presto riuniti e mandati a stampa questi pochi avanzi di lavori cotanto prege- voli. 11 sig. Libri, mediante un assiduo studio fatto ne' manoscritti di Leonardo, ha riunito i fatti e le teorie piiì interessanti (2y) ; e ne ha dato una bre- ve, ma completa indicazione nel terzo volume della sua storia , accuratamente citando que' brani che al suo estratto servirono di fondamento. Le ricerche di Pacioli ebbero per principale oggetto le matemati- che pure, cioè l'algebra e la geometria- Nella beata quiete del chiostro egli intese alla compilazione di due opere assai vaste ed importanti, che sono a noi pervenute quasi interamente. Di esse l'una ha per titolo : Somma di aritmetica e di geometria; e l'au- 76 Scienze tore in essa si propone di esporre tutte le princlpaU teorie die queste scienze al suo tempo possedevano. E l'altra il Trattato della divina proporzione : che ha per oggetto l'applicazione d'un principio di pro- porzione molto conosciuto dagli antichi , alla solu- zione di diversi problemi. Trovansi in questo trat- tato alcune proposizioni di geometria degne di par- ticolare attenzione , ed un gran numero di curiosi fatti biografici assai interessanti per tutti coloro, i quali si occupano della storia letteraria e scientifi- ca d'Italia. E agevol cosa F intendere che di queste opere è quasi impossibile una completa analisi. Il sig. Li- bri si contenta di dare un' idea generale del piano delle medesime, della loro divisione, e de' fatti più importanti eh' esse contengono (28). Di nuova gloria, egli dice (29), coprissi l'Ita- lia nel secolo XVI. Sembra che veramente in questo secolo una forza straordinaria traesse tutti i più su- blimi ingegni italiani verso le scienze : perocché non solo ti'oviamo che un gran numero di filosofi unica- mente ed esclusivamente le coltivarono : ma sappia- mo altresì che i filologi, gli storici, i poeti medesi- mi non lasciarono d'applicarsi a sì nobili studi. A conferma di tale verità cita il sig. Libri l'esempio di Varchi erudito storico che tradusse Euclide, studiò i fenomeni e la teoria del calore : di Baldi illustre poeta che tradusse Erone, comentò Pappo, e scrisse la cronica de' matematici : del gran Torquato Tasso che sotto Commandino studiò e quindi insegnò geo- metria (3o). Ebbe la fisica un gran numero di spe- rimentatori italiani nel secolo XVI, i quali sebbene mancassero di quella perfezione d'istromenti che ora Istoria delle matematiche yy noi abbiamo , giunsero tuttavia con i-ara sagacilà a fermar le basi di molte belle teorie sviluppate nei nostri tempi. A riconoscer vero un tal fatto baste- rà un' attenta lettura delle speculazioni matematiche e fisiche di Giambattista Benedetti, del trattato in- torno alla sottigliezza di Girolamo Cardano, dell' ot- tica e degli opuscoli matematici di Maurolico , del libro intorno alla ricerca del centro di gravità ne' solidi di Commandino. Chi volesse cessar la fatica di ricercare negli scritti di questi illustri italiani ( la maggior parte de' quali non sono oggidì molto co- muni ) i progressi della fisica nel secolo XVI; po- trà averne un' idea bastantemente estesa dalla storia del sig. Libri. Quest' illustre scienziato chiaramente dimostra, che a Benedetti era nota la gravità e l'e- lasticità dell' aria, e che nelle sue opere trovansi per la prima volte esposte le leggi principali della gra- vità, ed il teorema fondamentale della teoria de'mo- raenti (3i) : che Cardano conosceva l'acido carbo- nico, ed aveva esattamente descritto i fenomeni che producono i raggi luminosi passando per un prisma, e quelli a' quali dà luogo la combinazione di vari specchi (82) : che a Maurolico deesi la descrizione delle caustiche comunemente attribuite a Tschirnau- sen ed un accurata esposizione de' fenomeni diottri- ci e catottrici (33). Le scoperte algebriche di Tar- taglia e di Ferrari son note anche a coloro, i quali di storia scientifica hanno cognizioni al tutto super- ficiali. Le contese , a cui esse diedero luogo , ecci- tando l'attenzione di tutti i dotti d'Europa, contri- buirono non poco all' universale avanzamento dell'a- nalisi matematica, chiamando allo studio della me- desima molti ingegni, che senza questo stimolo sa- •^Q Scienze rebbono forse rimasti inoperosi. Esse pertanto for- mano un punto di storia importantissimo che merita d'esser trattato con qualche estensione : ed a noi sem- bra che il sig. Libri abbia ciò felicemente adempi- to (34) ponendo a veduta de' suoi lettoiù quanto in- torno a quest' oggetto può far pago il desiderio di chiunque ama conoscere esattamente le ricerche de- gl' italiani geometri (d). (d) La pubblicazione dei due primi volumi della storia del- le scienze matematicbe in Italia die luogo ad alcune osservazio- ni critiche del sig. Chasles, illustre geometra francese, esposte dal medesimo in due dotte memorie pubblicate nei Comptes- reudus de l'academie des sciences: l'una delie quali venne inse- rita nel tomo XII (Seance du 5 mai iS^i ) , e l'altra nel tomo XIII ( Seances du 6 e 20 septembre i84i ) di quel giornale. TSella prima Tautore prende a confutare un'asserzione che il sig. Libri ha dato nel tom. II, pag. 34 della sua storia e che noi abbiamo citato ( pag. 73) , cioè che Fibonacci „ fece sulle lettere delle operazioni algebriclie , come se fossero quantità astratte: in quella guisa appunto che si usa attualmente. ,, Nei- l'allra il sig. Chasles combatte l'opinione tenuta dal sig. Libri (v. pag. 72) e da altri storici più antichi di lui, cioè che Fibo- nacci fosse il primo a diffondere tra i cristiani la scienza alge- brica, ed espone molti dubbi contro l'ipotesi di Wallis (v. p. 72) seguita dal sig. Libri, secondo la quale gli arabi avrebbero rice- vuto l'algebra dagl' indiani: difendendo il parere di coloro die credono essere stata agli arabi quella scienza comunicata dai greci. A queste osservazioni del sig. Chasles il sig. Libri giudicò non dover completamente rispondere, se non quando sarà con- dotta a termine l'edizione della sua storia. Baldassarre Boncompagni. 79 CITAZIONI i) Histoire des matheniatiques en Italie voi. I avertisse- , p. XXllI 2) Hist. des math. en Italie voi. I avertiss. p. XXIV, XXV. 3) Hist. des math. en Italie voi. I, avertiss. p. XI. 4j Hist des math. en Italie voi. I, p. gg. 5) Hist. des malli en Italie voi. I, p. Q06, 207. 6) Hist. des math. en Italie voi. I, p. 35, 56. 7) Hist. des math. en Italie voi. I, p. 1 rg. 8) Hist. des math. en Italie voi. I, p. 118 e seg. 9) Hist. des math. en Italie voi. II, p. 27. io) Hist. des math. en Italie voi. II, p. 22. 11) Hist des math. en Italie voi. II, p. 33. 12 Hist. des math. en Italie voi. II, p. 36. i3! Hist. des math. en Italie voi. Il, p. 34- i4) Hist. des math. en Italie voi. II, p. 4', 42- i5l Hist des math. en Italie voi. II, p. 45- 16! Hist. des math. en Italie voi. II, p 48 i^) Hist. des math. en Italie voi. II, p. i43. 18; Hist. des math. en Italie voi- II, p. ^4- ig) Hist des math en Italie voi. II, p. 6g. 20) Hist. des math. en Italie voi. II, p. i54. 21) Hist. des math en Italie voi. II, p. igj, igS, igg. 22) Hist. des math. en Italie voi. II, p. 1^6, 177. 23) Hist. des math. en Italie voi. II, p. 207 e 235. 24) Hist. des math. en Italie voi. II, p. 202. 25) Hist. des math en Italie voi. II, p. 207, 208, 209 26) Hist. des math. en Italie voi II, p. 327. 27) Hist: des math. en Italie voi. III dalla p. ^i alla p. 45. 28; Hist. des malli, en Italie voi. III da p. 137 a p. 146. 2g) Hist. des math. en Italie voi. Ili, p. ig4- 3o) Hist. des math. en Italie voi. Ili, p. igg, 200, 2or. 3i) Hist. des math. en Italie voi. Ili, dalla p. 124 a p.i3o. 32) Hist. des math en Italie voi. Ili, dalla p. 174 a p. 178. 33) Hist. des math. en Italie voi. Ili, p. 117, 118. 34J Hist. des math. en Italie voi. Ili, p. i52 e seg. «"X^S^— 8o Continuazione della rivista di lavori di medico argomento del dottore Giuseppe Tonelli. Michaelis Medici disquisitiones anatomicae et physiologicae de nervo intercostali. Bononiae 1840. Pars V. [Continuazione e fine.) V. astissimo campo imprende in questa quinta ed ultima parte delle sue disquisizioni il dottissimo N. A. a percorrere. Da che assumendo a ragionare delle funzioni del nervo intercostale, comprende pur anco nel suo discorso gli uffizi dei gangli, dei nervi co- municanti, e dei pneumogastrici. E doLtrina ricevu- ta e professata dai piìi recenti fisiologi, che l'inter- costale presieda a tutte le funzioni della vita orga- nica, cagion per cui insignito venne da alcuni del nome di vegetativo. « Nihilominus sciendum adhuc » reslat, an propter illius muneris qualitatem nervus » sit peculiaris naturae, atque aliter agat quam ani- » malis vitae nervi, istorumque auctoritati et imperio » subtrahatur: an vitae licet organicae inserviat, uni- » versalis nervosi systematis negotiis plus minusve » sese immisceat, sensui metuique interdum famule- » tur, tramesque sit, ob quem syrapathiae vel consen- » sus inter vitam animalem organicamque perficiun- » tur : quarum rerum explanatio magni sane quidera » interest medicinae. » Rivista medica 8i Il complesso di queste ricerche conduce a scru- tinare le diverse opinioni che sono state sul propo- sito in vigore ; egli è perciò che torna di nuovo il N. A. a discutere in sulle prime il dlvlsamento di Scarpa. Ma il carattere senziente, accordato dallo scrlttor ticinese all'intercostale, cade con quei mede- simi ingegni anatomici, fisiologici, e patologici, che nelle memorate parti di questo lavoro del Medici esclusero la derivazione del gran simpatico dai nervi spinali posteriori, dal par vago, e dal ramo maggio- re del quinto palo , nervi tutti destinati al senso. Spinse più oltre il Lobstein i suoi dettati con esclu- dere qualunque discrepanza fra il simpatico ed i ner- vi dell'asse cerebro-spinale, e sostenendo anzi la iden- tica struttura e conformazione di quelle e di questi fino a vagheggiarla come testificata dal patemi di ani- mo , e dai mutamenti che percepisconsl per certe inassuete impressioni ; e tanto più perchè le ordina- rie e naturali impressioni si arrestano ai gangli, che (secondo il Lobstein) son tante officine nelle quali si elabora il principio vitale per essere agli organi in- terni trasferito. E per dare una spiegazione del com- mercio fra i nervi della vita organica e dell'animale, ricorre al magnetismo animale, per cui opera la sen- sibilità dello scrobicolo del cuore può ridursi a tale da rappresentare azlon vicaria degli organi sensorii ed anche sormontarla ; donde a Reil piacque di esprit mersi che l'encefalo s'immedesima nel plesso solare. Il principio infatti , qualunque egli siasi, vitale dei nervi elaborato nei gangli , e trasmesso agli organi della vita vegetativa , in alcune insolite e preterna- turali circostanze passa al rami, per mezzo dei quali si congiunge ai nervi spinali e cerebrali, ascende e G.A.T.LXGI. 6 82 Scienze confondesi con quello che nella medesima natura di- scende dal cervello, e per la strada medesima fa quin- di ritorno ai luoghi donde parti, onde compiansi le simpatie ed i consensi fra la vita organica e 1' ani- male. Non convenne il Van-Deen co' divisamen- ti del Lobsteio, salvochè nella possibilità concessa all' intercostale di assumere, oltre quella inerente ai nervi della vita organica, la proprietà ancora dei ner- vi della vita animale. Ma i precipui argomenti, che ammaestrar ci pos- sono sul giudizio da formarsi intorno alla sensibili- tà del simpatico, hanno a trarsi dagli esperimenti fi- siologici e dagli effetti dei morbi. E sul conto delle fisiologiche sperienze non havvi che il solo Flourens, il quale sostenga ingenerarsi dolorose sensazioni al- l'applicarsi dei primi stimoli all'intercostale ; mentre gli esperimenti tutti di tanti sapienti concorrono in provare che manca nel gran simpatico la facoltà di reagire ad artificiali ed insoliti stimoli. Che anzi con- corrono altresì le sperienze non men gravi del Me- dici slesso, delle quali già si tenne discorso nella pri- ma parte delle sue disquisizioni, e che dimostrarono la indifferenza dei bruti cimentati colla irritazione del simpatico. L'unico esperimento, che a parere del Medici potrebbe a prima giunta sembrare di qualche peso fra quelli riferiti da Lobstein, sarebbe quello di prodursi dolori dall'uso dello stimolo galvanico: poi- ché da esso fluirebbe la conseguenza, che le artificia- li irritazioni del simpatico determinano nel cervello mutamenti percepiti dagli animali: esperimento rife- rito da Humboldt, cui venne comunicato da Grapen- giesser medico in Dresda, che volle giovarsene in un conclamato caso morboso : esperimento però di poco Rivista medica 83 p niun valore per l'assunto, avendo potuto lo stimo- lo galvanico irritare le diramazioni del pneumoga- strico. Porta il N, A. egual giudizio sulle dolorose molestie, da cui molte volte vengono corteggiate le infermità degli organi toracici ed addominali ; men- tre profonde ed ampie lesioni negl'interni visceri sve- la la necroscopia , senza che abbia giammai il pa- ziente avvertito in vita indizio alcuno di labe in quei luoghi, e nemmen dolore. Or cotesti fatti conciliar non si possono nel divisaraento di coloro , pe' qua- li passa per sensorio il nervo simpatico. Di somiglie- vole anatomico-patologiche osservazioni sono ricchi gli annali di medicina di tutti i tempi, e le medesi- me fiancheggiano assai bene gli esperimenti del Me- dici. Che anzi, se quando egli scrisse quel caso sin- golare di erosione di cuore, nel render ragione del- I la deficienza de'dolorl studiossi ripetere questo feno- I meno dalla somma lentezza dell'andamento del pro- cesso morboso del cuore, non dubita in oggi confes- 1 sare , che ripor se ne debba la cagion differenziale I nella qualità piuttosto dei nervi, e che le offese non arrecanti dolori o altri sintomi di tal fatta abbiano la sede loro nelle diramazioni e filamenti del simpatico. In più alto rango si pose la sensibilità del sim- patico per l'opera dell'animai magnetismo, cui tribui- ronsi stupendi prodigii da troppo forse incauti fau- tori. Fra questi certamente ascriver non si potrebbe il Lobstein ; ma pur non dubitò esprimersi che il cen- tro nervoso addominale , cioè il plesso solare , resti dalla virtù magnetica arricchito di una squisitissima ed acutissima sensibilità. In tale assai ardua quistio- ne , che tutti affatica gl'ingegni delle dotte accade- mie di Europa e ne scinde i pareri, non intende il 84 Scienze Medici prender parte di avverso giudizio con impu- gnare o porre nella dubitazione i fatti. Vuole anzi concedere per vera la traslocazione de'sensi, come del- la visione, udito, e gusto, alle scrobicole del cuore ; ma chi mai attribuisce tali effetti al plesso solare , senza fatti ed esperienze dimostrative che quel ples- so goda di qualche sensibilità , ed attitudine abbia ad essere commosso dall'azione dell'esterne potenze ? La osservazione anzi dimostra, che il plesso celiaco mostrasi indifferente si all'azione degli stimoli ordina- ri e fisiologici, e si a quella degli straordinari ed ar- tifiziali quantunque aspri e pungenti. Giace in oltre quel plesso nell'imo ventre, cinto ovunque dalla cel- lulare, ricoperto dai visceri, e (come se ciò bastevol non fosse) coperto nuovamente dallo strato dei mu- scoli addominali , cui è sovrimposto il celluioso dei tegumenti. Cosicché, volendosi riflettere senza preven- zione e spirito di parte, neppur sembra credibile al Medici, che poche linee d'impressi caratteri, pochi atomi di polvere sapida, l'espirazione di un lieve ali- to, posseggano sì energica forza da superare tali e tan- ti ostacoli per giungere al plesso celiaco, ed operar- vi così insigni mutamenti. Ma in onta di ciò, nep- pur cotali maraviglie del magnetismo animale atte- sterebbero la proprietà dell' intercostale di trasmet-. tere agli organi cerebrali le impressioni stimolanti dei sensi, potendo probabilmente il fenomeno riferirsi in vece ai nervi cutanei spettanti alla vita animale. Non veggiamo infatti gli apici delle dita elevarsi ad un grado di sì accresciuta sensibilità nei ciechi nati da poter distinguere molti, se non tutti , i colori, le serie delle monete ancora col tatto, ed istruirsi an- cora con loie e profitto nelle lettere, nelle scienze Rivista medica 85 e nfeUe atti? Che se volesse opporsi, essere più sen- sibili i nervi degli apici delle dita di quello sieno gli epigrastici, ripigliar si potrebbe non solo che la differenza sarebbe relativa al grado solo di sensibilità , e sempre più consentaneo sarebbe alla ragione l'au- mentarsi o il cangiarsi comunque una forza che senza dubbio esista, di quello sia l'ingenerarsi, l'estollersi ed il prodursi di maravigliosi effetti da una forza che non abbia giammai esistito, e di cui ne la ragione ne i fatti depongano la esistenza. Fu opinione di Lobstein e di altri moltissimi, che le impressioni recate sull'intercostale tengano una direzione contraria, discendente cioè dai tronchi ai rami, e favoreggian te i movimenti. Palpita quindi il cuore sotto i patemi di animo, angoscioso appare il respiro, e tumulti insorgono negl' interni visceri. Ma qui il N. A., dopo le cose altrove già dette, si limita ad avvertire , che gli anzidetti fenomeni dimostrano soltanto , che le impressioni provocanti il moto di- scendano dall' alto, non già che percorrano il tragit- to del simpatico, ma in vece con tutta probabilità l'andamento dei pneumogaslrici che forniscono gì' in- terni organi di rami e di filamenti. Illusione può aver luogo in virtù di alcuni esperimenti che quasi in- durrebbero a riconoscere nell' intercostale la pro- prietà di trasmettere le impressioni dai tronchi ai ra- mi ; tali esperimenti però non impugnano , e non escludono che sia il pneumogastrico la cagione di quei movimenti. Quindi è che dopo varie riflessioni contro il divisaraento di Lobstein torna il N. A. a soggiugnere, che le osservazioni da lui narrate nelle prime due parti delle sue disquisizioni gli hanno sem- pre dimostrato „ a sympathico variis slimulorum ra- 86 Scienze » lionibus irritato nullum vivis in anìmalibus dolo- » ris sensum oriri, ita clocuerunt me semper, neque » cordis, neque gastro-enterici tubi raotus inimutari.» Volle altresì il Lobstein adoperarsi in provare, che il simpatico, quantunque non soggetto alla vo- lontà, possegga nondimeno un' analogia ed egualian- za co' nervi della vita animale. Ma gli argomenti del Medici escludono dal simpatico le caratteristiche note di nervo sensorio; escludono di poter riporre il simpatico fra i nervi motorii; dunque non havvi fon- damento su cui appoggiare l'analogia e l'identità di esso co' nervi della vita animale. Né men trova ragioni il N. A. onde persuadersi , che la proprietà motrice di un nervo sia così mutabile ed accidenta- le, che lia d'uopo riconoscerla pivi presto dalla qua- lità dello slimolo che dal modo di organizzazione. Alla esecuzione in vero di ciascun atto della vita due condizioni necessarie richieggonsi ; una conve- niente facoltà cioè nel corpo che agisce; e l'oggetto o la cosa che alla facoltà dia impulso ad agire. Ma la facoltà appartiene al corpo agente; né avvi alcun dubbio che i nervi motorii della vita animale sien dotati della proprietà di trasmettere ai muscoli le im- pressioni, ed é perciò possibile che le varie impres- sioni prendano in essi una medesima direzione. Igno- riamo per altro se nel simpatico esista una tal pro- prietà ; stando anzi alle cose dal N. A. dilucidate, dirsi dovrebbe che questa proprietà nel simpatico non esiste. Alcuni luminosi fatti ci ammaestrano, nella gran moltitudine di esseri animali riscontarsi differenze grandissime di conformazione in un qualche organo, sebben possegga egli la stessa forza , la stessa inti- Rivista medica 87 ma organizzazione, ed allo stesso uffizio sempre sì pre- sti. Ma è in pari tempo evidentissimo, che diversi or- gani in uno stesso individuo offrono una successiva e continuata serie di mutamenti, finche compiasi la vegetazione del corpo: quantunque niun mutamento soffra la natura degli organi, la quale anzi più sta- bile e ferma si rende coi prefali mutamenti. Così il cuore, che dopo la fecondazione non era che un punctum saliens, moltissime svariatissime forme as- sume quindi pria di convertirsi in quel carnoso cavo di cavità istrutto, e di peculiari impronte fornito , che negli adulti ammiriamo. Ciò non ostante sempre egli è cuore, sempre è muscolo , sempre irritabile, sempre pulsa, e sempre è soggetto all' impero della volontà. Vuol nondimeno concedere il Medici, che certe azioni volontarie si compiano talvolta senza il concorso della volontà, e che altre organiche o au- tomatiche azioni ricevan dalla volontà cambiamento, e che a simili pervertimenti possano aggiungere ec- citamento gli stiraoli. Il che per altro addiviene , a giudizio del N. A., per virtù di quella legge che im- pone, che gli stimoli insoliti e preternaturali, che im- pulso danno alla volontà, manifestino l'azione loro sui nervi: i quali seguendo l'ordine della natura, tra- smettono le impressioni dai rami maggiori ai minori, e quindi ai muscoli. In favore peraltro del prelodato cambiamento ed alternamento di funzioni fra i nervi della vita orga- nica ed animale si pronunziò talmente persuaso il Van-Deen, che non dubitò far consistere il vero sco- po di congiunzione fra le divisate parti in ciò che i nervi della vita animale somministrino una general sensibilità al simpatico, il quale fornisca i medesimi 88 Scienze della forza organica. Ma qui giova riflettere, che al Medici non è giammai riuscito rimarcar segni di sen- sibilità nel simpatico : che la osservazione di Van- Deen proverebbe in vece, che colla iterata applica- zione degli stimoli può nel simpatico ingenerarsi una facoltà, da pria non posseduta, di comunicare le im- pressioni co' nervi della vita animale. Non sussi- ste dunque che i nervi della vita animale impartano sensibilità al simpatico, siccome non può questo som- ministrare ad essi attività organica. La insussistenza poi della seconda parte di commercio scritta dal Van- Deen, cioè dell'attività organica largita dal simpati- co, sarebbe di già fatta palese dalle riflessioni e ra- gionamenti sviluppati nella terza parte delle presenti disquisizioni di cui trattasi. Ma pur aggiugner con- viene, che per quanto sia certa la esistenza dei nervi animali ed organici, altrettanto incerti sono gli ul- timi loro uffici ed estremità, delle quali havvene mol- tissime sulla natura , di cui profferir non possiamo giudizio in virtù della moltitudine e varietà dei ner- vi che ad un punto stesso confluiscono. E contro l'esempio del trigemino avrebber qui luogo ad esser ripetute le gravi menzionate ricerche del N. A., quan- do ragionevolmente escluse la derivazione cerebrale del simpatico. Poiché il nervoso sistema non è for- malo da centri che diffondono pel corpo le dirama- zioni , ma ivi nascono i nervi dove 1' osservazione gli svela; e nascono, almeno il più delle volte, imbe- vuti di qualità proporzionate agli uffizi degli organi, qualunque sieno i tronchi di adesione. Così , a mo di esempio, la reticella nervosa percorrente le tona- che dei vasi gode necessariamente di natura vegeta- tiva, quantunque manchino bene spesso le congiun- Rivista medica. 89 gioni sue col simpatico. Coti moltissimo buon sen- no scriveva quindi il N. A. nel settimo corollario in- serto nella terza parte sullodata delle sue disquisi- zioni intorno l'organo-genesi : « Cuiusque organi for- n matio cunctorum necessario staminum , sive orga- » nicorum elementorum, ex quibus ipsum organum n conflatur, formationem includit, quia imo una est » eaderaque res. » Subietto di altre ricercbe si presenta ora il pne- uraogastrico : e qui il N. A. s'impegna in investiga- re se meglio per esso si spiegbino i fenomeni di sen- so e di moto, che Lobstein con altri moltissimi volle attribuire al simpatico. Avevano già Meckel e We- ber, che seguiti indi furono da Lobstein e da altri, insegnato che il pneumogastrico, a guisa del simpa- tico, appartenesse alla vita vegetativa: risultando ciò dimostrato dall'anatomia comparata. Sul qual propo- sito richiama il N. A. all' attenzione quel principio anatomico-fisiologico eh' egli statuì nella memorata terza parte di queste sue disquisizioni, che cioè , a misura che discendesi agli animali di ordine inferio- re , il sistema nervoso perde in proporzione la sua composizione o duplicità , finche sugli ultimi gradi della scala non si ravvisa se non che un sistema ner- veo anatomicamente omogeneo e semplice che alle funzioni animali ed organiche provvede; poiché quan- tunque semplice animale , pur come animale ha bi- sogno dell'un genere e dell'altro di funzioni : opinio- ne vari anni dopo abbracciata dal Van-Deen. Ma ciò comprender non si potrebbe senz'ammettere, che i filamenti nervosi , sebbene con una e sola massa nervea comunicanti, posseggano facoltà proporzionate ai diversi organi cui appartengono, organica cioè nei QO Scienze visceri digerenti, ed animale negli alti-i al senso ed al moto inservienti. Iti retrocedendo per altro nella scala fino all'ultimo gradino, ch'è quello dell'umana specie, incomincia ad essere men dubbia quella du- plicazione, fino ad essere nei vertebrati d'ordine su- periore manifestissima. Ne ivi 1' uno di questi due grandi nervi provvede alla diminuzione o deficienza dell'altro: cbè anzi cospicuo l'uno e l'altro si riscon- tra, insigne, e , quasi direbbesi , padrone ed arbitro di sé stesso. Ed infatti, mentre il pneumogastrico ri- sulta e componesi da due lungbi e grossi troncbi, da cui varie e molte diramazioni percorrono pe' visce- ri toracici ed addominali , luminosamente fan mo- stra di se nel simpatico con dovizia di nervosa ma- teria il suo tronco, non die la qualità di una copia ben numerosa di gangli e di plessi. Nel qual ordine scorgesi non abbisognare l'un dell'altro, e che ambi- due compiano i propri loro e diversi offici. Essen- do d'altronde inconcusso, che realmente alle funzioni della vita organica presiede il simpatico , fa perciò slima il N. A. che F officio sia del pneumogastrico quello di trasmettere agli organi cerebrali certe im- pressioni ed ingrate sensazioni ingenerale nei visceri risvegliando movimenti e tumulti. Convalidata viene questa opinione dal Medici con una schiera di ana- tomici fisiologici e patologici argomenti, i quali pon- gono nello stato della pii^i limpida evidenza essere i gangli e tutte le parti del simpatico, non che i rami comunicanti, sprovveduti di sensibilità, non riagendo agli stimoli pili volte ed a più ripetuti intervalli ap- plicali; e godere all'incontro il pneumogastrico di co- statata sensibilità, e sol per esso operarsi i consensi e le simpatìe. Rivista medica 91 Investigate così dal N. A. nel simpatico le im- pressioni diffuse dai visceri agli organi cerebrali, e da questi a quelli , rimane a contemplarsi altro genere d'impressioni die potrebbe dirsi, siccome a taluni pia- cque, raggiato. I gangli dell'intercostale avrebbero per tal modo la rappresentanza di centri , e quella dei raggi sarebbe figurata da quei fili che da quelli di- sperdonsi pei visceri. Ora in que' gangli elaborata viene quella forza o principio assai attuoso, che, do- po reciso il ganglio o resane comunque impervia la comunicazione con qualche organo, si abbia tosto man- chevole la funzione di lui : il che precipuamente del cuore pretendesi. L'ingegnosissimo Brachet istituì sul proposito curiosissimi esperimenti; ma quanto arduo sia l'ottener consonanza di risultati in alcuni generi di cimenti di simil fatta per le vivi-sezioni, e quanto agevol sia lo spinger su di essi la più moderata e giusta censura, ne abbiamo un esempio luminoso nel- l'avvenimento in discorso. Il diligentissimo Medici, mercè della solita sua perspicacia, rinvenne nell'espe- rienze di Brachet una ben grave oscurità, moltissimi dubbi, ed incertezza grandissima: tal che non giugnen- do a persuadersi delle cose, invocò la sapienza di al- cuni suoi colleghi per veder rischiarata la materia, e colla face di altri esperimenti approfondire il vero. In mira non ebbe egli giammai di menomare l'alia ri- ptitazione e solerzia del Brachet: ma non sapeva alle sperienze di questo acquietarsi, sol perchè in fatto d' investigazioni di simil genere l'esito delle ricerche può soffrir mutamenti moltissimi in virtù di non poche cagioni e di svariate circostanze. E tanto men vi si acquietava, perche da quelle esperienze desumevansi gli unici o precipui argomenti per sostener dimostrato, g2 Scienze essere i gangli del simpatico altrettanti centri, dai qua- li ritenevasi che fluisse la necessaria forza per com- piersi le funzioni degl'interni organi. L'esperienze in- tanto del Brachet, che moltissime furono, ebbero per risultamento, che separati affatto i gangli cervicali in- feriori, e recisi i nervi di comunicazione che da essi si diramano { ed in altri animali disgiunto il plesso cardiaco ), l'animale presentò irregolari contrazioni , arresto dei moti del cuore e della circolazione del sangue, e la morte susseguì in più o men breve spa- zio di tempo. Per le sperienze poi dal Medici, ripe- tute in Bologna a raò del Brachet, si rimarcarono do- po l'operazione piìi rari e più deboli i movimenti del cuore all'istante: e l'animale peri anche prima della intera recisione dei gangli senza dolori e senz'ango- sce protratte. Ove poi l'operazione istituivasi in un sol lato, più a lungo resistevano gli animali al taglio del ganglio : cosicché talvolta anche dopo mezz' ora perivano, ma sempre vedevano mancarsi dopo l'ope- razione i movimenti del cuore, ed anche alquanto ir- regolari scorgevansi innanzi la piena recisione del ganglio. Ragion per cui ritenne il Medici, avvenir la morte non pei gangli ancora intatti , ma sibbene per l'ingresso dell'aria nella cavità del torace, e pei tormenti inseparabili dalle cosi dette vivi-sezioni. Neppur convengono in oltre gli esperimenti di Bra- chet con quelli eseguiti da Dupuytren e da Magendie, i quali affine di pronunziar giudizio sull'azione dei gangli nel cuore, dopo avere svelto i gangli cervicali e del torace, videro sì perire gli animali, ma sempre senza diretto cambiamento dei moti del cuore. Nò convengono con gli altri più recenti di Edward s e di Vavasscur, anzi si oppongono direttamente j poiché Rivista medica q3 negli esperimenti loro su'cani e gatti di fresco nati, avendo sradicato gli stessi gangli e tagliato tutti i fili nervei di comunicazione fra i medesimi ed il cuore: <( Cordis pulsationesy tamquam si operationes il- » lae peractae non faissent , more solito perre- » xerunt. » Le investigazioni suli' intercostale abbracciano pur quelle dei gangli , cioè lo scrutinio delle fun- zioni loro, degli usi ; quindi anche di questo sub- ietto imprende il sig. Medici a discorrere. Dopo dei Willis, che ai nodi di una cauna o del tronco di un albero rassomigliò i gangli, venne questo ramo ana- logico-fisiologico coltivato dal Bichat, tlal Gali , dal- lo Spurzheira , dal Carus e da altri. Risguardaronsi i gangli come altrettante fonti od officine di un dato elemento necessario ai visceri, ai quali dispensano i rami ; funzione , che al dir del chiar. Medici , ap- pellar potrebbesi centricità fisiologica , ma a cui corrisponder dovrebbe la centricità anatomica. Non riconosce per altro il N. A. nei gangli una massa omogenea, puntiforme, priva di fibre; ma fibrosa in vece, ed in cui le fibre, quantunque in varie circon- voluzioni avvolgano la sostanza così detta seconda- ria o polposa o globosa ovvero orbiculare, continue sono senza dubbio con le fibre dei nervi prossimi , siccome si espresse nella parte quarta delle presenti disquisizioni. Né a rimuovere il Medici da tal suo pensamento è valevole la contraria opinione di John- ston ; facendosi scudo il N. A. di quanto dimostrò nella parte I e II, che i nervi comunicanti del sim- patico non sono produzioni dei nervi spinali : nel- la parte 111 , che 1' estremità cefaliche dello stesso simpatico non sono progenie cerebrali : nella parte IV, g4 Scienze che i gangli sono provveduti di fibre continue con quelle dei nervi prossimi : che le diramazioni del simpatico offrono più o meno i caratteri anatomi- ci dei nervi della vita organica ( parte li e III ) : che gli argomenti fisiologici ci ammaestrano , che i nervi comunicanti sono insensibili agli stimoli (parte II): mentre altrettanto può dii-si dell'estremità ce- faliche, siccome risultò per gli argomenti anatomici e fisiologici nella parte terza accennati. Potrebbesi, dopo queste dimostrazioni e varie al- tre per brevità ommesse, richiedere qual mai sia l'of- ficio dei gangli : inchiesta altrettanto giusta per quan- to ardua ad essere soddisfatta. L'assume ciò non ostan- te il N. A. a trattare, premettendo quell' asserto di cui egli è convinto, cioè che i gangli non sono mi- ca centri, nei quali elaborato venga il principio ne- cessario alle funzioni degli organi interni, ne le ca- gioni, per le quali dalla vita animale sottraggasi l'or- ganica. Coltivò in tal proposito a' giorni nostri lo Scarpa un' opinione , che venne già pronunciata da Meckel e da Zinn, la quale trovasi pur probabile dal ]S. A. « ... Esse ganglia tot fulcra , quibus nervi » ea ingredientes, istorumque discriminatae fibrae in- » cumbant: cui quidem negotio secundaria substan- » tia fibras ipsas circumdans atque emolliens apte se- » se ingerit ». Automalico, ossia anatomico sarebbe quest' officio; ma un altro vuoisi aggiungerne dall' A., eh' egli appella vitale o fisiologico, che i gangli cioè come porzioni del nervo intercostale godano la fa- coltà di generare la forza nervosa. Qual poi sia il principio cotanto indispensabile alle funzioni orga- niche , fa stima il N. A. che probabilmente sia l'im- ponderabile elettrico, il quale in tutti i punti del sim- Rivista medica gS patico, senza eccettuarne i gangli , svolgasi o mercè del contatto del semplice sangue arterioso con le fi- bre de'nervi, o mercè di alcuni materiali mutamenti dalla organica riproduzione richiesti, siccome in varie sue opere ha pronunziato e specialmente nel cap. 20 della prima parte del suo Manuale di fisiologia. Ma poi, agisca 0 no ( quante volte non volesse da taluno convenirsi ) l'elettricità nel simpatico ( il che lo scopo non forma delle sue ricerche) riman sem- pre di avviso il Medici , che in tutti i punti del simpatico una forza s'ingeneri agi' interni organi ne- cessaria, e che ne dall' asse cefalo-spinale ne dai soli gangli gli viene impartita. Rimane, dicemmo, di avvi- so , che per tal modo le diramazioni cardiache dell' intercostale soccorrano per le medesime i movimenti del cuore; le ramificazioni polmonari la respii^azione; e così le altre per le altre funzioni organiche dei vi sceri. Conseguenza di questi fisiologici principi! flui- sce il modo agevole di comprendersi, perchè offesa una certa porzione del simpatico si rimarchi leso l'or- gano ad essa attenente, intatti rimanendosi gli altri, come i reni sotto l'influenza di una infermità epa- tica, i polmoni e non il cuore, e via discorrendo di altri, sebbene ad essi tutti l'intercostale distribuisca le sue diramazioni. Laddove non saprebbesi rendere ragione ( avuto riguardo alle offese de'nervi, dai quali risulta il simpatico ) se dall' asse cefalo-spinale scen- desse sopra il simpatico la nervosa energia. Corre pe- rò oppositameute la faccenda, allorché per opera di altre cagioni , come p. e. per vizio di un cospicuo ramo arterioso che bagni molti organi col suo san- gue, insorga una malattia. Lo stesso è a dirsi delle infermità medesime di nervi, quando sieno seconda- q6 Scienze rie. Giacche, se per vizio dei nervi di un organo la funzione di lui si perverta, ed alterate quindi restino le funzioni di altri organi ancora, non deesi perciò ritenere che i morbi, quindi ingenerati, sieno un ef- fetto della primitiva lesione dei nervi ; poiché attri- buir in vece si debbono ad altri elementi o condizio- ni , la integrità delle quali è necessaria pel retto compimento delle funzioni. Daremo qui fine a questo prolisso sunto delle di- squisizioni del N. A. sul nervo intercostale, e daremo fine col trascrivere originalmente quei corollari, co' quali il Medici chiude il presente suo lavoro. » I. Intercostalis nerveus est sui generis appa- » ralus , cuius formationi symbolam tradunt rami , f) propter quos nervis cerebralibus adnectitur, ncque » non rami comunicantes, quibus copulas cum ner- » vorura spinalium radicibus init : qui omnes rami » eadem caeterarum partium, quae universo anato- » micorum consensu intercostalem efficiunt, natura » pollent ». » II. Intercostalis ita compositus vitae tantum » organicae, sive internae, sive vegetativae, prospicit n. » III. Intercostalis huiusmodi fungitur munere, )) non quod operandi vis ab axi cephalo-spinali, aut » a gangliis ei suppeditetur, sed quia in quovis eius » puncto, sanguinis arteriosi interventu, vis illa pro- » gignitur ». » IV. Intercostalis ncque animale facultatem ab » axi cephalo-spinali recipit , ncque ullam cum eo » organicam communicat. Prima ei inutilis prorsus » est, ex eo quod soli vitae organicae praeest, illius- » que quantitas, quae consensibus vitam organicam » inter atque animalem perficiendis necessaria est , RlVlSTAr MEDICA 97 » ad pneumo-gastricos perlinet. Secunda ei ipsi in- » est, illamque ab arteriis accipit suis, quarum ner- » vi organica donantur natura, et si plurimis in lo- » cis continuitatem eorum cum intercostali obser- » vatio anatomica non detegat ». » V. Intercostalis voluntati subducitur, non quod » sua ganglia totidem nodi sint , qui impressionum » ab illa animi polentia excitatarura transitura pro- » hlbeant , sed quia in partibus , ob quas cum axi » cepbalo-spinali coniungitur, atque in porlionibus » caeteris, ex quibus conflatur, adeo a natura com- » paratus constitutusque est , ut illa stimuli ratione )) non expergiscatur ». » VI. Intercostalis ganglia a caeteris eiusdem » nervi partibus necessario non differunt, eorumque n officium in eo positura esse videtur, ut circumvi- » cinorura nervorum discriminatas fibras suffulciant » et cìrcuradent , atque vim nerveam internis fun- » ctionibus necessariara et ipsa pariant ». » YII. Quamvis rami communicantes, si eorum )) positionem intueamur, consensuum instruraenta vel » tramites videantur , attamen , iuxta observationes » superius expositas , agunt instar caeterorum ra- » morum et gangliorum intercostalis, quod et de ce- » phalicis eiusdem nervi extremitatlbus dicendum est.» » VIII. Consensus vel sympathiae a pneurno- i> gastricis perficiuntur ». » IX. Pneumo-gastrici, etsi consensuum instru- » menta , vel tramites , a vitae animalis nervis di- » scepant ; a motoriis, quia voluntatis nutibus non » obteraperant : a sensoriis, propterea quod insuetas » solum , et plus mlnusve vebementes impressiones » ad organa transferunt cerebralia : ambaeque facul- G.A.T.XCI. n n8 Scienze » tates, motoria nempe et sensoria, modo dictis li- » mitibus circumscriptae ut sunt, in pneumo-gastri- I) cis collectae videntur , dissimlliter a nervis vitae » aniraalis, in quibus utraque facultas, generatim sal- » tem, in peculiaribus dissitisque nervis residet ». » X. Siculi variae intercostalis partes absque » axis cephalo-splnalis, et gangliorùm auxilio prae- » sidioque sua obeunt munera (V. Consectarium III ), » ita pneumo-gastrici non possunt quin cutn axi » modo diclo coramunionem et affinilates ineant, si- » ve impressiones accipiant, sive illas dispergant ». » XI. Intercostalis sympathici nomine ei primo » a Winslowio indito non amplius dignus videretur, » neque nervus sympathicus, vel organicus, vel ve- » getativus indiscriniiuatim, siculi faciunt permulti, » nuncupandus essai. Nomina tantum nervi organici, » sive vegetativi mererelur, nomen vero sympathici » pneumo-gastrico foret assignandum ». Il tenor delle cose fin qui riferite ci autorizza a pronunziare, che il eh. professor Medici ha tratto per tal modo a così felice esito il suo lavoro , che meritevole il reputiamo di stare lunghissimo tratto innanzi a tutte le altre produzioni dettate sul discor- so subietto. Potrà per avventura qualche severo Ari- starco pretendere di scoprirvi qualche difetto ; ma sovvengasi che l'occhio di Orazio non era offeso da piccole macchie, allorché molta luce scorgeva risplen- dere ne' versi. Moltissima luce anzi veggiamo sparsa suir argomento discusso dall' esimio prof, bolognese, il quale ha posto ogni studio , perchè le sue dotte investigazioni restassero soli' ogni aspetto dilucidate, ora con robuste critiche a vari di quei sommi che lo precedettero nell' arringo, ora con dovizioso drap- Rivista medica o^ pello (li esperimenti inaccessibili alla censura , ora con sensati e convincenti ragionamenti che a ben ferme deduzioni conducono. Tal che facciamo stima, che caduto non sia il Medici in abbaglio od erramen- to di sorta, purché prurito di opposizione in taluno non predomini per veder errori ove non sianvi, o il fascino per altre accarezzate opinioni astringa a non riprovar queste ultime. Della necessità di proscri\fere V insegnamento ec- citabilistico dalle scuole mediche italiane , e di restaurann i principii della clinica ippo- cratica. Discorsi quattro del dottor Benedet- to Monti indiritti al chiarissimo sìg. dottor Francesco Puccinotti professore di clinica me- dica nella università di Pisa. Jncona 1841. Discorso I. Prenozioni generali intorno alVin- dicato assunto. Dal titolo, pel quale si annunzia il presente la- voro del sagacissimo ed egregio sig. Monti, è chiaro il medico suo opinare, e lo scopo che si prefìgge rag- glugnere. Nel discorso, ch'egli rese pubblico intorno alle malattie mentali , espose le sue teoriche della vita, ed adombrò i fondamenli di una patologia co- mune a tutti i morbi. Ma alle idee, che ivi rapida- mente accennava, imprende ora in questi nuovi di- scorsi a dare sviluppo e dilucidazione maggiore, in- dossando nel primo di essi ( di cui ora è parola ) la toga di severo Aristarco. Si scaglia in sulle prime contro il riformatore scozzese, per la cui dottrina , mentre sul finir del passato secolo per opera del- . la filosofia sensista si distruggevano nella uni ver- 100 Scienze salita delle mehti le più ferme ed antiche eonvìn- zioni rispetto ad ogni umana e divina cosa, andavasi pur consumando il sacrificio di ogni buona medici- na. La falsa teorica della vita statuita da Brown ri- spondeva appunto alla erroneità di quel sistema d'i- deologia sensista clie già prevaleva ed informava ogni opinione, e del quale la teorica brovvniana non era die un perfetto riflesso. Giaccbè, siccome i sensisti, dopo aver confuso il senso coli' intelligenza e con la volontà , facevano consistere ogni fatto dello spirito umano tanto nell'ordine intellettuale quanto nel mo- rale in un risultato sforzato delle impressioni sensuali, negando ogui attività, ogni legge ed ogni dementa originario e subiettivo allo stesso spirito umano: co- sì , in quanto all' organismo vivente, la dottrina ec- citabilistica del Brown veniva insegnando la vita es- sere un moto od un eccitamento sforzato, in cui i corpi organizzati sono posti passivamente per l'opera di esteriori potenze. Di guisa che l'intiero comples- so di quelle teoriche rovesciava da' fondamenti tutte le vedute specolative e pratiche procacciate innanzi e consentite da Ippocrate in qua da' più grandi mae- stri della scienza salutare. Della quale asserzione a dimostrarne le prove s'impegna il Monti in presen- tare in epilogo le massime dottrinali degli antichi e l'antitesi della dottrina di questi con la eccitabilisti- ca delle scozzese. Ed affinchè non sembrasse ingiusto od inutile il declamare in oggi contro una dottrina già spenta , soggiugne il Monti, che le dottrine, le quali nacque- ro in Italia dopo l'infausta invasione browniana, la la quale seppellì tutto il ricco patrimonio della sa- pienza medica adunata nei passati secoli , o si ri- Rivista medica lor sf'uardi la pretesa scopcrla del controstimolo , o si ponga mente alla classificazione dei morbi statuita quasi inversamente a quella del Brown , o si con- templi la dottrina della irritazione, o altre tali, per fiuanto sieno pugnanti con alcune massime seconda- rie della browniana , pur tutte procedono egualmen- te , siccome conseguenze , da que' supremi principii scientifici in cui sta essenzialmente la teorica del Brown. Ed infatti nei nuovi pensamenti del Rasori era sempre riguardala la vita come uno stato passi- vo ; ed in ciò era l'errore capitallsslmo, che rovescia- va ogni vero di scienza e di pratica. Ed il Tomma- sini , allorché venne ad erigersi caposcuola nella università bolognese, ove faceva obliare il profondo insegnamento di quel dottissimo Antonio Testa, nel quale si conservavano tutti i principii della sapienza clinica ippocratica, correggeva forse il dinamismo brow- niano colla sua dottrina della flogosi ? Ma intorno a cotal dottrina sparge il N. A. varie ragionate cen- sure, che il guidano a conchiudere per la falsità del concetto primordiale di tutta la scienza ivi statuito, di essere cioè la vita un risultato sforzato delle po- tenze esteriori. Né a cotesto fondamentale errore ri- nunziar sapendo i segui latori dell' insegnamento ra- soriano e tommasiniano in mezzo alla cotidiana os- servazione di fatti che appalesano in vece l' attività assoluta della vita, cercavano dar ragione di questi col mezzo dei più miserabili sofismi. Fra questi ri- fulge precipuamente quella frase pronunciata nelle scuole tommasiniane come un profondo mistero, la reazione organica', espressione onninamente pugnan- te colla dottrina dell' eccitabilismo, giacche accenna chiaramente all' attività subiettiva della vita, e rove- 102 Scienze scia insieme il principio della sua passività. Argo- mento sarà per altro dei suoi seguenti discorsi, dice il Monti, la dimostrazione della vera genesi del so- prallegato fenomeno, e del come esso trovi la sua na- turale spiegazione nel contrario concetto della vita. Si riserva egli di prendere singolarmente in una parte di essi a dire dell' azione delle cose esterne sopra i corpi viventi, le quali anziché tendere alla produzio- ne o alla eccitazione della vita, secondo le vedute de- gli eccitabilisli, tendono per loro stesse assolutamente alla distruzione del vivente individuo. I più cospicui avversari dell' eccilabilismo in Italia avvantaggiarono la causa della buona medici- na colle confutazioni che gli mossero con tra, o coli' idea di rovesciarlo del tutto, ovvero coli' intento di modificarlo. Ma pur essi non andarono esenti da er- ramenti: al qual effetto il sig. Monti imprende in sulle prime a considerare alquanto la dottrina dei mistionisti, per discender quindi all' esame del recente scritto del prof. Medici intitolato Tentativo di un prospetto di medicina organico-dinamica', e com- parando il medesimo co' principii di patologia pre- sentati già nel citato discorso intorno alle malattie mentali, dar compimento alle sue parole con riferire il vero fondamento della dottrina patologica del prof. Puccinotli. Nella quale il principio dell' attività della vita essendo proclamato come punto di partenza di ogni specolazione e di ogni pratica, mal si avvisava il prelodato prof. Medici ( soggi ugne il Monti ) di metterla in concordia colle dottrine tommasiniane contemperate col proprio insegnamento intorno alla riproducibilità. Capo e sostegno della scuola dei mistionisti o Rivista medica io3 parlicolarìsll in Italia si fu il distintissimo discepolo del Testa, cioè il Bufalini, da cui venne vittoriosa- mente battuto tanto il dinamismo browniano quanto il bruno-riformato. Ma il gran numero del seguaci della sua dottrina, ci avverte il Monti, non ha elevato lo sguardo fino al punto precipuo in cui sta 1' errore della scuola che confulavasi, vale a dire al concetto della passività della vita. Venivano infatti i mede- simi predicando, che le due categorie di fenomeni , vale a dire i chimici o di composizione, ed i dina- mici o di movimento, eran tra loro in questo rap- porto, cioè che i primi anteced<)no ed i secondi sus- sieguono. Polche è mestieri che innanzi al movimen- to speciale di una cosa qualunque, quesla esista in sé composta ed atteggiata per guisa da poter entrare in movimento in quella speciale maniera che si sup- pone avvenire ne' corpi viventi. Dal qual fondamen- to poi derivarono essi questa fondamentale impugna- zione contra tutto il duaUsmo dinamico della patolo- gia degli eccitabllisti; cioè che mentre il movimento vitale non può andar soggetto se non che ad altera- zione di grado o di direzione, la composizione può alterarsi in moltiplici maniere. E d'altra parte i me- desimi, mantenendo la causa contenente de' fenomeni morbosi consistere nelle moltiplici alterazioni dell'in- timo componimento organico, ne deducevano questo massimo corollario che rovesciava tutto il sopraddetto dualismo dinamico della così chiamata nuova dottri- na medica italiana. Cioè che le differenze de' mor- bi non possono essere rappresentate dall' eccesso o dal difetto del movimento vitale, né dai due stati o dialesi di stimolo o di controstimolo ; avvegnaché queste dualità delle mutazioni del movimento vitale io4 Scienze e sono secondarie alle alterazioni dell' organica mis- sione , e non ponno rappresentare le moltiplici va- rietà di queste. Ciò non pertanto quei trionfali op- positori non giunsero colle loro oppugnazioni a fe- rire il mentovato error fondamentale delle scuole ce- citabilistiche, ch'è quello della passività della vita; il quale errore egli è chiaro come possa egualmente in- nestarsi e col dinamismo e col chimismo. Poiché o si riguardi la vita, nel suo fondo, qual fenomeno chimico risultante passivamente da poteri esterni chimici , o qual fenomeno dimanico risultante pur passivamente da poteri esterni dinamici, o si faccia consistere nella riunione di questi due fatti giusta l'avviso del Me- dici, sempre stassi nel medesimo falso concetto in- torno alla natura della vita. In oltre fa stima il Monti che questa schiera di medici abbia errato nel con- cedere implicitamente alle dottrine eccitabilistiche il browniano supposto della causazione dei fenomeni dinamici dall' azione degli stiraoli esterni, tutto che abbiano negato a questi la primillarità nel magiste- ro della vita. Non nega il N. A. , che il patologo cesenate chiaramente avvisasse nel cap. XIII della sua patologia analitica al principio dell' attività della vita, e riguardasse lo slato morboso come una lotta costituita tra una condizione morbosa ed un conato medicatore della vita , tendente a distruggerla. Ma » questa dottrina non istà nella patologia del cese- » nate a modo di un supremo principio o nozione, » dal contenuto della quale venga svolgendosi il si- » sterna di tutte le verità della scienza sino a ridi- » scendere ai fatti particolari, dalla totalità dei quali » attraendo e comparando il suddetto principio ri- » sulta M. Rivista medica io5 Ed il Medici ancora, nel tentar di congiungere insieme i mistlonisti ed i dinamici, viene conferman- do il canone della passività della vita , e perciò si pone tanto lungi dal vero, quanto se ne discostano e gli uni e gli altri. Che dalle testuali parole del fisiologo bolognese apertamente è cliiaro, la vita es- sere per lui un risultato passivo, non de' soli stimo- li , siccome opinarono i puri eccitabilisti, ma e de- gli esterni stimoli, e delle esterne potenze riprodu- centi in uno. Donde passando a riguardare la vita nei vari stati di malattia, stabilisce questa per un deviamento del modo di essere e di agire delle parti del corpo dalla naturai norma, esponendo su tali basi la sua dottrina patologica, e rappresentando su tal patologico fondamento la classificazione nosologica della medicina organico-dinamica. Insostenibile si di- chiara dal Monti cotesta dottrina: quantunque con- fessi molta lode doversi alla perspicacia del lodato fisiologo , il quale in mezzo ad una università di esclusivi eccitabilisti dinamici, pur sapeva vedere che il complesso de' fenomeni della vita ridurre non si poteva a sole determinazioni dinamiche siccome quelli predicarono ; e francamente il suo concetto ai disce- poli di quella università andava insegnando. Ma egli ( il Medici ) rilenendo cogli eccitabilisti per stimoli esterni o potenze eccitatrici l'aria, il calorico, la lu- ce, la bevanda ; e per stimoli interni il sangue , il chilo, la linfa, e tutti gli altri umori, ed aggiugnen- dovi l'azione dell' anima sul corpo ; produce un'opi- nione contraria alla ragione ed unicamente appog- giata ad un immaginameuto arbitrario del Brown. Ed a sostegno di questo asserto rileva il Monti, che l'a- ria patendo l'azione della forza interiore de' corpi vi- io6 Scienze vi nella circolazione polmonale in cui la s'introdu- ce , ed anche altrove, viene assimilata nella compo- sizione del corpo organico ; rileva doversi ritenere die avvenga lo stesso riguardo al calorico, luce ed elettricità ; rileva in oltre non potersi ciò impugnare pei cibi. Che anzi rileva di più, che il movimento, il quale destasi nelle individualità organiche per l'azio- ne naturale di tutte le sopraddette sostanze, non è che un movimento contrario alla stessa azione ester- na ; poiché tosto all' effetto, per dir così eterogeneo da quelle azioni indotto nel composto organico, suc- cede un' attuosità reazionaria che il primo cancella. Cosicché se dai dettati del Medici appariva prove- nire la vita ai corpi vivi da una eccitazione ester- na, in modo che sotto questo riguardo egli attribui- va al subietto che vive non già una forza propria e subietlivamente attiva, ma una capacità, un'attitu- dine passiva a vivere per l'azione degli stimoli : ma- nifestamente all'incontro appare che la forza propria all' individuo vivente reagisce univei^salmente contro l'azione delle indicate sostanze, senza escludere pur anco le stesse potenze chiamate nelle scuole stimoli diffusivi. L'azione quindi dei così detti slimoli non può dirsi un coefficiente della vita. La medesima in- sostenibilità vien pur applicata alla dottrina delle potenze riproducenti^ le quali nella sfera del loro officio non agiscono sul corpo vivo, ma patiscono l'a- zione di questo in guisa, che sono elleno passiva- mente tramutate ed infine appropriate od assimilate nella integrazione individuale dell' organismo. Egli è quindi palese che le si debbono considerare come materiali passivi della riproduzione, e non si posso- no chiamare sostanze riproducenti. A tal effetto di- Rivista medica 107 chiara il Monti, che il Medici è caduto in uno scam- bio del formale col materiale. In mezzo alle opposizioni allegale alla dottrina del fisiologo bolognese, proclamata erronea dal Mon- ti, viene questi esponendo le sue contrarie teoriche nel modo in cui passiamo a compendiarle con quel- la brevità che la precisione dei concetti potrà per- mettere. Sostiene egli pertanto, svolgersi in ogni corpo vivente , per V energia delle forze composte in esso lui, per dir così, inradicate, tre perpetui processi di fenomeni: cioè il compositivo, il formativo ed il mo- tivo : i quali stringonsi intra loro in una solidaria unità per modo, che ove sciolgasi questo loro vin- colo essenziale, per cui sono intra loro a vicenda con- dizioni e condizionanti, non trovnsi più la vita. Or in questa compenetrazione degl' indicati tre processi di natura sta appunto l'essenza della vita, cospiran- do sempre i medesimi a mantenere, a sviluppare ed a riprodurre le individualità di quei corpi con atti- rare dal mondo delle cose esteriori convenevoli so-^ stanze, e queste elaborando, trasformando ed assimi- lando, mentre cozzano coU'attività delle cose chimi- che, fisiche e meccaniche a questi corpi esteriori: le quali per loro natura perpetuamente tendono a di- sciogliersi ed a recare i loro elementi costitutivi sot- to forme e combinazioni novelle, e meno composte nel seno della natura. Il menzionato slato di solida- rità dei tre processi, e la cospirazione loro allo sco- po predetto, si effettua per l'opera di un principio in- teriore attuosissimo, assai probabilmente d'indole im- penetrabile , diffuso in tutte le parti della organica individualità , ed il quale di continuo consumasi e jo8 Scienze eli continuo riproducesi, come tutte le altre parli di questi corpi , per 1' esercizio stesso della loro vita. L'individuo organico quindi conservasi in vita per un rapporto di azioni e per un altro di riazioni. Appa- risce così risultar la vita da forze subiettive della individualità vivente; forze composte risultanti da spe- ciali combinazioni delle stesse forze generali della materia; e forze composte, le quali prevalendo sulle forze men composte del mondo esterno , sviluppano e conservano in un dato stato e per un dato tempo il loro subietto , in mezzo a continui mutamenti e rinnovazioni delle sostanze che lo costituiscono , e resistendo e riparandosi dalle azioni esterne operanti inversamente sulla integrità solidaria dei tre processi suddetti. Fermate queste cose, è a dirsi che ogni vivente organismo mantiensi in istato sano fintantoché serba- si integra la sua organica struttura; ne gli mancano nell'esteriore mondo i materiali, di cui esso ha d'uo- po; né gli è scemata la proporzione convenevole de- gl'interiori suoi elementi, e principalmente del prin- cipio di attività che opera l'unità del complesso, im- partendo a questo quella tendenza determinata onde di continuo si ristaura, si conserva e si sviluppa; e fino a tanto che da ultimo la proporzione delle forze eterogenee , sì delle cose esterne e sì delle proprie particelle dissimilate , è controbilanciata dalla forza reattiva dell' organismo stesso che se ne ripara. Al contrario sotto lo stato inverso di tutte queste con- dizioni l'organismo si costituisce in istato morboso. Alle tre indicate condizioni difettive perciò riducen- dosi tutti i possibili stati morbosi, tutte le possibili condizioni che possono realizzarli e mantenerli , in Rivista medica log tre classi ordina il Monti la moltiplicità e diversità possibile dei morbi nella loro maggiore generalità. La prima di esse è quella di malattie di alterata orga- nizzazione, dette strumentali, e dal Medici meccani- che. La seconda abbraccia quelle costituite da difetto delle cose esteriori, necessarie alla conservazione della vita ed alla riparazione organica; o da difetto o per- dita de'materiali interiori e dello stesso principio di attività : classe perciò da potersi suddividere nelle due varietà od ordini, secondo la essenza differenziale del- le due indicate differenze causali. La terza classe in- fine racchiude tutte le malattie prodotte e mantenute da operiosità morbifera di azioni di cose eterogenee o introdotte o prodotte nell'interiore organismo , ov- vero consistenti nelle stesse parti dissimilate e non eliminate da esso; le quali azioni, perchè han pre- valuto sulla forza conservativa o riazionaria dell'or- ganismo istesso, lo affettano ed alterano nei suoi na- turali processi, e tendono a disciogliere la organica composizione. Ripone il Monti, come si disse più sopra, l'es- senza della vita in un risultato complessivo ed uni- tario dei tre processi compositivo, formativo e moti- vo. A dilucidazione della sua ipotesi soggiugne, che quando i fisiologi intendono darci divisamente co- me atti vitali l'assimilazione e l'eccitamento, o l'as- similazione la contrazione e l'espansione, reccitamen- to e la ripi'oduzioue, il plasticismo ed il movimento vitale , essi imprendono a dividere ciò che è per se indivisibile; poiché indarno si cerca , al di là della sudetta unità de'tre processi, la vita, essendoché po- sta questa divisione, ella sparisce; manifesta è quindi, egli dice , la vanità delle questioni dei dinamisti e no Scienze de'materialisti anche nel sistema di patologia. Ineren- do il N. A. a questi principii sostiene, che ogni mor- bo della seconda classe sia costituito in un difetto dei tre suddetti processi integralmente ; poiché per la loro indicata solidarità non può mai avvenire che l'uno si costituisca in condizione morbosa, senza che gli altri cadano nella slessa condizione. Similmente nelle malattie spettanti alla terza classe, e costituite nelle due posizioni contrarie di passione e di reazio- ne, sostiene che questa e quella { cioè la passione e la reazione) constano indivisamente della unità e tri- nità dei tre processi naturali indicati. Lo stabilito principio della essenza della vita e dei suoi relativi concetti patologici pone il IS. A. nella necessità di slontanarsi dall'avviso del Bufalini, del Medici e di altri intorno alle malattie che per essi si fan dipendere da eccesso di processo di ripa- razione, o da eccesso di processo motivo detto ecci- tamento : insomma da eccesso della vita stessa. As- surdità patologica è questa pel Monti , assurdità scaturita dal falso concetto intorno alla genesi passi- va della vita. Le alterazioni dell'atto dinamico inte- grale del processo vitale complessivo, per le quali es- so mostrasi contemporaneamente in una parte ecces- sivo , in un' altra difettivo , ed in un' altra mutato nella sua naturai direzione , non sono pel Monti che svariate espressioni della passione e della riazio- ne: elementi contrari e costitutivi d'ogni morbo spet- tante alla terza classe sudtletta. Rispinge perciò Topi- l! uione del Medici contro l'eccesso di riproduzione or- ganica, in cui egli ripose l'infiammazione, negando la possibilità d'infermarsi per virtù di soverchia nu- trizione. Ritiene invece che le malattie dette dal Me- Rivista medica ih dici di eccesso della riproduzione ( come le infiam- mazioni acute e croniche ), la febbre infiammatoria di altri, la plastaussia e la politrofia del Bufalini, anzi- ché consistere in un eccesso di riparazione organica, rientrano nella menzionata terza classe: nel complesso cioè dei morbi di progresso e regresso essenzialmente consistenti in una lotta tra un principio morbifero dissimilante e la reazione vitale neutralizzante assi- milante o repulsiva. Siccome però la proporzione, in cui trovansl fra loro il conato morbifero ed il conato reazionario o medicatore della vita, può esser varia ; considerando cosi il Monti coleste diversità di proporzioni, in cui possono esser intra loro le indicate forze morbifera e reazionaria, suddivide la terza classe in tre ordini, e chiama dialesi morbosa la proporzion relativa di que' due elementi dello stato morboso. Nell'ordine primo comprende le malattie, nelle quali la forza reaziona- ria dell'organismo è forte e proporzionata all'energia pronta del principio morbifero, additando i caratteri fenomenici generali di quest'ordine di morbi, che ap- pella di diatesi stenica. Racchiude nel secondo ordi- ne quelle malattie, nelle quali vi ha deficienza di rea- zione medlcatrice, nel tempo istesso che il principio morbifero profondamente e rapidamente minaccia di dissoluzione l'organismo: ed accennandone i generali fenomeni, chiama quest'ordine di diatesi astenica, il massimo grado di cui viene rappresentato dall'atassia di Reil, ed il minimo dal sinoco di Cullen. Abbrac- cia nel terz'ordine tutte le malattie , delle quali la diatesi, che distingue col nome d'ipostenica, è costi- tuita in una debole reazione medicatrice ed in una lenta, diuturna e progressiva azione de'principii mor- II a Scienze biferi ; del quale stato i fenomeni più caFatterlstici son quelli che spettano a cronicismo, o cronica co- stituzione. Avverte egli però, che intendasi che i vo* caboll stenico, astenico ed ipostenico non valgono ad esprimere i gradi del movimento dei solidi o dell'ec- citamento vitale, ma sibbene la proporzione, come già si disse, del conato medicatore rispetto al conato mor- bifero: i quali complessivamente constano della com- plessione unitaria dei tre processi naturali, in che ogni atto vitale essenzialmente costituiscesi. Rispetto poi alla sede occupata dal principio mor- bifero nelle varietà delle pronunciate diatesi, la stabi- lisce il Monti esclusivamente sotto la diatesi stenica o infiammatoria nel sistema arterioso, da lui chiamato afferente per l' attributo ch'egli ha di preparare , di conservare e di recare a tutte le parti dell'organismo i materiali più prossimi della riparazione organica. Ripone del principio morbifero la sede o nel sistema linfare-venoso , o nel sistema nervoso , o in due di questi, o in tulli e tre ad un tempo nella diatesi aste- nica o maligna, e nella ipostenica o cronica; appel- lando sistema referente il llnfare-venoso e l'apparec- chio alimentare-chilifero, per raltrlbuto di cui godo- no di riportare al centro arterioso non solo le parti superflue della riparazione organica, ma quelle ezian- dio che dallo esterno continuamente assume ogni in- dividualità vivente. Mentre sistema motore egli chia- ma il nerveo, siccome quello ch'essendo per se lo stru- mento serbatore e conduttore del principio bionico, è insieme l'organo precipuo nell'opera di tutte le fun- zioni naturali, vitali ed animali. Varie altre cose aggiugne quindi il Monti sì per chia- rire la sua sistemazione nosologica in discorso, sì per le Rivista medica ii3 altre suddivisioni di generi ch'egli reca in campo. Ma siccome questi brevi cenni ora esposti formar dovranno il soggetto del suo terzo discorso ; così arrestaremo qui il nostro compendio, riserbandoci di osservare in futuro se abbia egli (questo valente medico) raggiunto realmente lo scopo che si è prefisso, e dimostrato real- mente necessario quel che egli opina risultare dalle cose enunciate : il doversi cioè « proscrivere l'inse- » gnamento eccitabilistico, di qualunque forma esso » si rivesta, da tutte le scuole italiane, siccome dot- » trina contraddetta dalla ragione e pugnante colle » sentenze del più grandi medici di tutte le passate » età; non che di restaurare nelle medesime Fanti- » co insegnamento ippocratico, il quale rappresenta » l'elemento identico di tutta la storia della medici- » na clinica ». Per lo che encomiando 1 lavori del- l'egregio professore pisano, fra'quali l'ultima prolusione in cui raccomanda ai suoi discepoli i principii della clinica ippocratica in teorema scientifico formolati , conchiude il Monti esservi bisogno « di mostrare il » mal fondamento della teorica eccitabilistica, e pro- )) vare ai seguaci di questa dottrina che per essa la » medicina, anziché essere un' arte benefica, è il più )) spesso non altro che un'arte omicida ». TONELLI. G.AT.XCI. 1 lA ^^TTmmM.TVuA Illustrazione di un codice virgiliano della casa- naten.se letta nelV accademia tiberina il dì 2}j febraio 1842 dal P. M, Giacinto De Ferrari prefetto della biblioteca casanatense. «eciierà forse maraviglia, o valorosi coltivatori del- le tiberine muse, che io tolga a soggetto di una ac- cademica tornata la illustrazione di un codice. E tanto sarà maggiore, credo io, (juantochè ormai l'occhio de' moderni leggitori essendo unicamente applicato con diletto a svolgere bellissime edizioni, ornate di ele- ganti vignette, di spaziosi margini, di rotondi carat- teri bodoniani, aldini, vascosani, altre in ottavo, al- tre comode e tascabili, che tanto eccitano appetito e gusto, ora imprenda io a distrarlo, richiamandolo alle gotiche forme di polverosi antichi codici. Io lo co- nosco, il progresso della tipografia ne lusinga e in- canta, e giunge quasi a farci dimenticar la sua ori- gine , e il primitivo commercio letterario: onde la- sciamo nell' oblio e nel sonno profondo degli archi- vi i venerandi depositi de'padri nostri. Né sono io già di sì socratico umore , che m'iucresca la facile cir- Codice virgiliano ii5 colazione dì buoni libri elegantemente impressi , e di aurate legature splendientl su i lucidi tavolini o gelosamente rinchiusi in nobili plutei ; dico sola- mente, che i presenti oggetti non debbono si fatta- mente occuparci, da farci obliare ciò che ci ha pre- ceduto. Imperciocché, secondo la massima ciceronia- na, il dimenticar. ciò, che esisteva prima di te, è lo stesso che rimaner sempre fanciullo. Al contrarlo in- dagare i monumenti dell' antichità è studio così lo- devole , che fa rivivere 1' età passate , e ci fa citta- dini de' secoli. Si emendano con esso i molti erro- ri , da cui si lascia il volgo letterato spesso abba- gliare, credendo nuovo ciò che era soltanto oblialo. E per addurre un modernissimo fatto, mentre si pro- fondevano lodi a straniera nazione, per la strepitosa invenzione delle barche a vapore, un francese ama- tore de' codici scoprì in un manoscritto del nostro Leonardo da Vinci il geometrico tipo e la fisica de- scrizione di sì mirabil macchina, che anche afferma- si , essere stata conosciuta da Archimede ; e di tale ritrovamento parlano gli ultimi giornali di Francia. Perciò non vi sia discaro, che io brevemente v' in- tertenga con paleografico discorso, nel quale vi farò rilevare i pregi di un codice virgiliano della casa- natense , parlandone ordinatamente secondo i punti più importanti dell'arte. Esistono nella casanalense quattordici codici ma- noscritti delle opere dell' epico latino, il quale ono- rò Mantova e Roma: e oltre a settanlanove edizio- ni diverse, colle migliori delle quali ho potuto far con- fronto. Tra i manoscritti altri sono del secolo XIII, altri del XIV, del XV, del XVI: altri postillali, altri semplici. Quello, di cui mi accingo a favellare, è del ii6 Letteratura iSgG , finito ai 12 di luglio del medesimo anno. Quantunque non sìa il più antico, pure ha un pre- gio particolare d'integrità, di correttezza, e di molti commenti interlineari e marginali. Esso è in buona pergamena in foglio, e scritto con nitido ed elegan- te carattere, e ben conservato. Alcune iniziali sono auree, altre miniate ; il carattere è del secolo deci- moquarto, quando cioè i pubblici calligrafi, comin- ciando a scuotere il giogo della gotica barbarie, fa- ceano le lettere alquanto più rotonde ; ma non so- no però scevre le parole da quel gotico, che vuoisi derivato dopo il principio del XIV e per la frequente comunicazione de' francesi specialmente , quando i papi risiedevano in Avignone, e per la infelice coa- dizione di que' tempi , in cui l'Italia afflitta da pe- stilenze crudeli, vennero i tedeschi in servigio degli italiani in qualità di computisti , di pedanti e pre- cettori de' fanciulli, e introdussero un carattere scon- cio, diversissimo dall'antico italiano , il quale ordi- nariamente era più bello e rotondo , come può ve- dersi in molti codici casanatensi dell' Vili, IX, X, XI, XII e XIII secolo : benché non in lutti rimi- risi costantemente la stessa eleganza ed esattezza , poiché erano differenti tra loro le scuole di un me- desimo secolo , come lo sono i tipi delle varie of- ficine e degli stampatori a' nostri giorni. Onde i li- bri carolini , le scritture merovingie , le pergame- ne de' monasteri di Bobbio, di Monte Cassino e di altri , presentano considerevoli diversità nella forma delle lettere e nelle miniature. Impertanto i tede- schi si accinsero particolarmente a copiare i codici, e a ornarli di miniature; ma mossi costoro più dal- l'avidità del lucro che dall' amore dell' arte, scrisse- Codice virgiliano iiy ro sollecitamente e scorrettamente , adoperando ta- lora nessi così arbitrari ed oscuri, che appena si giun- ge a indovinarne gli enimmi. Ma il nostro codice è scritto da un italiano , che pose il suo nome in fine, dicendo: Explicit fé- liciter Eneis 1896, 12 iuUL Scriptus per me Sta- monium de regno. Questo avveduto amanuense sep- pe distinguersi, in mezzo alle tenebre di quel secolo, rapporto alla pubblica calligrafia, la quale però risorge- va da che il sommo pontefice Gregorio XI ritornò in Roma a fissarvi la pontificia sede. Questo incal- colabile beneficio lo deve Roma e Italia alla virili dell' inclita virginella s. Caterina da Siena, la quale portatasi in Avignone disse a Sua Santità parole così eloquenti ed efficaci , che l'indusse a ristabilire sul Tebro la sede pontificia dopo 70 anni , che Cle- mente V 1' ave a trasportala in Francia. Avvenne il fausto ritorno nel iSyy. Allora fu che posto il sole sull' orizzonte, apparve dì novello per Roma, e per tutta l'italica terra; poiché tutte le scienze e le arti ripigliarono movimento e splendore, e tra queste la calligrafia , che all' oscuro goticismo sostituiva una scrittura piìi intelligibile e regolare, preparando già al vicin secolo XV modelli d'imitazione per la ti- pografia: ritrovalo, che sublimò all'apice della gloria l'umano ingegno. Si lasciarono gli esemplari germa- nici, e si studiarono e copiarono gli antichi italia- ni: dimostando così, che per emergere da' suoi tra- viamenti dee lo spirito umano far ritorno al punto, da cui dipartissi. Pochissimi codici segnano l'anno e l'amanuen- se : per cui il paleofilo cammina con penosa incer- tezza nelle ombre de' secoli trascorsi, per rinvenire n8 Letteratura infine poca luce. Ma un solo codice, che manifesti la sua epoca , presenta un forte sostegno all' inda- gator vacillante, e basta esso solo a illustrare quasi un secolo , spargendo coli' analogia e col confronto ampia luce, per determinar il tempo di altri coevi manoscritti ciechi , e sospetti intorno alla loro età. Il codice, di cui favello, porge tre date sicure. Primo, l'anno e il mese preciso in cui fu terminato , cioè a' 12 di luglio i3g6, venti anni circa dopo il ri- stabilimento della Santa Sede in Roma, e 44 P^'if^a della stampa , la quale suole comunemente fissarsi nel. 144^5 3>^te ammiranda, e utilissima per le scien- ze, ma che altrettanto fu fatale alla pubblica calli- grafìa: onde gli amanuensi si ridussero a povertà , come avverrebbe a' nostri giorni de' vetturini , se pertutto s' introducessero le carrozze a vapore. Se- condo, leggiamo pure al fine del libro il nome di Sta- monio, del quale, per quanto abbia cercato , nulla ho potuto rinvenire ; segno che ei'a semplice copista, e che non si elevò ad altra celebrità. Abbiamo fi- nalmente anche la sua patria de regno , senz'indi- zio del luogo topografico. Or chi non vede di quale importanza sia un manoscritto , che ne accerta del tempo e dell' amanuense? Quanti sudori non ispar- sero Sante Pagnini , Montfaucon , Mabillon , Go- tofredo, Baringi, Muratori, Eckardo, Maffei, Trom- belli e altri valorosi scrutatori de' vetusti monumen- ti , per rintracciar le epoche de' codici ? Sopralutto il Wallero, che oltre venti anni consumò nel com- porre il celebratissimo suo dizionario diplomatico : fatica erculea , e necessaria a chi vuol addentrarsi negli studi paleografici. Se ogni amanuense avesse almeno segnato l'anno, si sarebbero risparmiate tante Codice virgiliano rin fatiche , e la storia, la scienza , e l'arte avrebbero conseguito più luce e certezza. La pergamena, in cui è scritto il nostro codice, è soda e compatta, più fina di quella de'libri corali, e non quale adoperossi in seguito cominciando dal i4oo, in cui si vollero introdurre quelle membrane grossis- sime , delle quali i primi tipografi si servirono an- che nelle stampe del quattrocento, di cui molte rin- vengonsi nella collezione delle edizioni principi della casanatense, illustrata con somma dottrina e diligen- za dall' eruditissimo mio antecessore p. maestro Ma- gno. La pergamena del nostro Virgilio è conforme a quella, onde furono scritte le complessioni di Cas- siodoro, l'evangeliario di s. Giulia, e il Rabano del collegio di Spagna, di cui parla il Trombelli. Cessò il costume di adoperar membrane, generalmente par- lando, sul principio del XVI secolo, in cui la carta fu sostituita alla pergamena per maggiore economia, die anch' essa suole immischiarsi nelle arti col pretesto di migliorarle.. E così, tolti i libri corali, i diplomi, le bolle e alcuni libri di lusso , di cui alcuni rag- guardevolissimi esistono nella nostra biblioteca dì mo- derna data, generale divenne la carta nel mondo let- terato. E notabile nel nostro codice la maniera di' nu- merare. Poiché non usa la formola del secolo XVI, in cui per lo più si scriveano i giorni del mese non con cifre arabiche, ma primo^ secundo, tertio; e il mese indicavasi infrante vel exeunte mense ianua- rio, februario , come dottamente osserva il Ducange. L'amanuense notò in numeri arabici l'anno e il gior- no del mese, cioè 12 iulii i3q6. Perciò questo co- dice, essendo chiaramente autentico, ci fa accorti di 120 Letteratura non generalizzar di troppo l'idea del Ducange, e di non credere epoche false quelle, che slmilmente si tro- veranno segnate in que' tempi : « Ex quibus , dice egli , menses integros in duas distinxisse ac di- visisse sectiones non itcdos modo, sed et gallos no- stros colligimus , sumpto primae mensium partis initio a primo mensis die, alterius vero a decimo- sexto (i). » Del qual canone dobbiamo dunque ser- virci con moderazione. E vorrei che per criterio pa- leografico si addottasse un principio più sicuro, quale è quello di non ammetterne alcuno assolutamente uni- versale: altrimenti saranno più l'eccezzioni, che i casi contemplati dalla regola. Così in fatto di arti e di costumi, chi pretende avanzar proposizioni generali , spesso dovrà inciampare, qualora vi attaccasse un sen- so metafisico. Il nostro amanuense non si è fatto scrupolo del precetto di Ovidio, che dice : Nec titulus minto, nec cedro carta notetur: nelle quali parole non dee intendersi ne una legge, né un costume di quel tempo, come pretendono al- cuni : giacche nel Terenzio e nel Virgilio della va- ticana si trovano tuttavia gli antichi ornamenti. Egli ha tinto di rosso tutte le iniziali de'versi: e fra le ini- ziali de'libri, molte manifestano un sufficiente dise- gno, e un oro molto lucido e abbondante. Il colo- rilo è vivo, i rabeschi, i fogliami, le figurine, i fre- gi sono più belli di quello sembra dovesse prodursi (i) Gloss. lued. et inf. latin., verbo mensis. Codice virgiliano 121 in quell'età. Poiché quest'arte si perfezionò ne'susse- guenti secoli XV e XVI, nel quale fiorì il celebre Clo- vio, che è riputato il migliore miniatore che abbia fio- rito, come lo dimostrano i libri della biblioteca del duca di Urbino , che poi arricchirono la vaticana , quelli del re di Napoli, e alcuni della casanalense, tra i quali particolarmente è mirabile un messale, le cui bellissime miniature recano stupore anche ai più valorosi artisti. L'ortografia del nostro codice è molto esalta, ri- guardo agl'intervalli fra parola e parola : adopera per punti ortografici il punto, la virgola e l'interrogati- vo. La ortografia cominciò fino dai tempi di Carlo Magno, come *può rilevarsi dalla celebre bibbia de'pp. dell'Oratorio, la quale ha sul fine la data di Alcui- no, creduta perciò l'originale istesso del famoso Al- cuino. In essa scorgesi palese distinzione tra parola e parola. Il che si rese, dopo il millecento, sempr*? più comune ancorché senza punti diacritici. Il carattere adoperato dal nostro amanuense è minuscoletto. La lettera A maiuscola tiene la lineetta di unione fra le due stanghette, come generalmente ve- desi praticato dopo il i3oo. Ma ne'più antichi tempi non adoperavasi, come apparisce dal celebre Virgilio di Firenze, e in molti codici casanatensi, particolarmente in uno del settimo secolo. L'È è l'usuale; l'I alcune volte presenta il puntino nel minuscolo, ma comune- mente ne è privo: e quando vi è sopraposto, ha la for- ma di lineetta inclinata da destra a sinistra, e in ciò convengo pienamente col dotto e laborioso Trombelli, il quale afferma essersi incomincialo tal uso sul finire del secolo XIII. Nessun dittongo vi è adoperato; cosi portava il costume del secolo; giacché dopo il 1200 si 122 Letteratura omisero affatto. Forse perchè gii scolastici, dettando con troppa celerità dalla cattedra, obbligavano i co- pisti a non terminar le parole; aggiungesi, clie i dit- tonghi non erano nella pronuncia conlradistinti, co- me in origine lo furono presso gli antichi latini. Quin- di per due secoli ordinariamente si trascurarono, cioè per tutto il XIII e XIV. Le altre lettere del nostro codice nulla hanno di notabile; e le abbreviature e i nessi non si discostano punto dalla comune calligra- fia del secolo. In questo Virgilio trovò anche più for- te argomento, per l'opinione trombelliana, che questi nessi durassero fino presso al 1400, come è il nostro codice ; ma anche ne' secoli posteriori si ritrovano , meno però complicati, e di più facile intelligenza. Re- lativamente ai nessi sappiamo, cbe fu antichissimo co, stume adoperato nelle medaglie e monete della Gre- cia, dell'Asia, della Sicilia e di Roma, che ci danno non poca oscurità per l'intelligenza dei monogrammi, che particolarmente ebber luogo nelle lapidi e mo- nete cristiane: e questi monogrammi altro non sono che nessi delle lettere iniziali. Alcuno di questi rin- contrasi nel sì celebrato Virgilio laurenziano. Non debbo omettere , che l'interpunzione non è la medesima, che cominciò adoperarsi nel XV se- colo. Qui si usa il punto talora per la virgola, e pei due punii un punto con una lineetta obliqiia al di sopra. In tal guisa, secondo il Mabillon, Carlo Ma- gno coU'aiuto de'grandi uom.ini Alenino e Walnefri- do rese ai codici quella luce, senza di cui era pres- soché impossibile leggere e intenderne il senso. Dopo tutte queste considerazioni paleografiche, passiamo a dir brevemente alcunché del merito in- trinseco del nostro codice. Esso contiene tulle le poe- Codice virgiliano 123 sle del principe de'poeti latini, le egloghe, le geor- giche e Teneicle: cliè di tali poetici lavori egli stesso morendo ci assicurò nel celebre distico: Mantua me genuit: calahri rapaere: tenetnanc Partheiiope; cecini pascila, rura^ duces. Questo distico in fondo al codice è scritto con ca- ratteri assai moderni, proLabilmente aggiunti da chi lo possedeva. Vi si trovano pure i versi di Ottavia- no, co\juali proibisce di adempire il severo testamen- to di Virgilio, il quale volea che si abbruciasse l'enel- de, non avendola potuta perfezionare. Ergane supremis potiiit vox improba verbis Tarn dirum mandare nejasl erqo ibit in ignes Magnacjue doctiloqui morietur musa Maronis ' con que'che seguono, tutti scritti dalla medesima na- no di Stamonio. I commenti interlineari servono a meglio con- prendere la frase e la sintassi latina, supplendo die mancanze del verbo o del nome o del pronome, die per licenza poetica si tacciono: le postille marginili riguardano le diverse spiegazioni che debbono dirsi a'versi, colle annotazioni istoriche e filosofiche , che spargono molto lume sul testo. Un moderno professore straniei'o, accingendei a fare una nuova e corretta edizione di Virgilio, Pre- tendeva che fosse sbagliala la voce bis posta veto il fine del primo libro delle georgiche , asserendo che dovea porsi dis sincopato di diis. Per meglio intaider ciò addurrò quei versi, affinchè più chiara apparisca l'utilità di consultare i codici. ia4 ^ KTTERATORA » Ergo ìnler se se parlbus concurrere telis » Romanas acies iterum videre Phllippl? » Nec fuit indignum superis bis sanguine nostro » Emathiam et latos Acmi pinguescere campos ? Diceva pertanto, che seguendo la divisione mi- tologica degli dei superni e inferni doveva leggersi superis dis. Ma allegando il codice, mostrai che la vera lettura era his^ poiché Virgilio ivi non fa distin- zione di dei , ma accenna poeticamente a due fatti istorici. In fatti sappiamo che presso Filippi città del- la Macedonia pugnarono Cassio e Bruto contro Au- gusto ed Antonio, da cui furono vinti: e, incapaci di vera virtù, vilmente si uccisero, come riferisce Ap- piano nel libro 4* Prima di questi successero intor- 10 ai medesimi luoghi le clamorose giornate di Ce- sjre e Pompeo, al dire di Lucio Floro : « Sic prue- cpitantibus fatis praelio sumpta Thessalia est, et piilippicis campis urbis, imperii, generis humani fda commissa sunt. Numquam ullo loco tantum vrium populi romani, tantum dignitatis fortuna. SfiUt. » Vedasi Plinio al libro quarto. Il nostro co- die adunque finì la questione, chiarì il passo oscu- ro, e dimostrò quali sono in ciò le più corrette edzioni. Un'altra oscurità relativamente al senso si ma- nitsta in questi versi della egloga quarta : 7? duce, si qua manent sceleris vestigia nostri ^ Irita perpetua solvent formidine terras. Qud sceleris vestigia nostri il celebre Fabrini lo spie;a in senso teologico dicendo: Del nostro pec^ Codice viRGiLiAifo i25 cato, della malizia e della colpa. Ma ciò non può essere, perchè il senso è politico e poetico; onde il codice nella glossa interlineare sulla parola sceleris pone belli civilis. E tale essere il pensiero di Vir- gilio apparisce dagli antecedenti e conseguenti, in cui si promette una pace generale : Pacatumque reget patriis vìrtiUibus orbem. Così intese anche Servio: Vestigia autem sceleris dicit bella civilia , quae sessit Ausustus cantra Jntoniiim. Alcuni codici antichi, in vece di patriis virtutibus orbem, scrivo- no patris : il nostro mette patriis col commento in- terlineare luli. Il che, secondo Pierio, è assai meglio: Qiiamvis vetustissimi codices aliquot patris legunt; magis tamen acceptum patriis intelligo. Osservisi il sesto libro dell'eneide, ove il poeta manifesta le sue opinioni filosofiche, più che in altri; e che nel nostro codice è tutto postillato , con lu- minose note. Il passo più sublime, e nel tempo stes- so più profondo, raccogliesi ne'seguenti versi, co'quali introducesi Anchise a parlare al suo figlio così : Sitspicit Anchises atque ordine singula pandit. Principio caelum, ac terras camposque liquentes^ Lucentemque globum lunae titaniaque astra ■Spiritus intus alit^ totamque infusa per artus Mens agitai molem, et magno se cor por e miscet: Inde hominum pecudumque genus, vitaeque vo- lantum, Et quae marmoreo fert monstra sub acquare ponlus. Le spiegazioni date a questi versi sono cosi va- rie e lunghe, che appena contener si potrebbero in ia6 Letteratura più volumi. Senza adunque diffondersi in addurre i commenti di Servio, di Donato, di Ascensio, del Fa- brini, nel nostro codice troviamo di che appagarci , sol che si connettano le chiose interlineari e margi- nali; che voltate in italiano cosi dicono: « Ancliise per rispondere alle domande di Enea, prima di tutto di- ce, che Iddio anima e governa i cjuattro elementisi- gnificati nel cielo, njlla terra, nel mare , nel globo lunare , negli astri , ossia nel fuoco, E che questa gran mente alla vasta composizione di tutte le cose si unisce e la informa ; da questo spirito universale hanno origine le anime degli uomini , delle bestie » degli uccelli e de'pesci ». Fin qui sono le parole in- terlineari; e nel margine notasi, che il poeta sembra voler favellar dell'anima , del mondo e del naturale calore; ossia dell'amore che lo spirito infonde in tut- te le cose : Notatur ìiic quod videtiir poeta laqui de anima mundi, et de naturali i'igore, scilicet de amore spiritus queni Deus ìiabet in omnibus re- bus. Da ciò io dico che ne'sopraddetli versi scorgesi quanto abbiamo nel principio della genesi , mescola- to cogli errori degli stoici e de^platonici ; giacché è già dimostrato, che il pentateuco fu sì noto a'piìi ce- lehri fdosofi delTantichità, che il migliore delle loro opere e opinioni fu tolto dai sacri fonti. Nò qui oc- corre ripetere ciò, che fu da altri dottamente prova- to, e particolarmente da Clemente Alessandrino nel libro primo degli strerai parlando di Platone, da cui Virgilio principalmente trasse i suoi sistemi: il quale, dopo aver dimostro come della scrittura sacra si gio- vassero i filosofi, dice: t( yap san TrXaTwy, vj Mooavjj ar- t:/ì?'jov ? Quid est aliud Plato quam Moses attica lingua loquens ? Lo stesso afferma Eusebio nell'ot- Codice virgiliano 127 lavo libro della preparazione evangelica. Trasportan- do i spiegati versi in italiano così dicono (Ambrogi) : Risponde Anchise Ne lascerotti nel tuo dubbio incerto. E per ordin così tutto gli spiega. In pria la terra ^ il cielo , e della luna Il globo lumino so ^ e le titanie Stelle y e il liquido mar per entro avviva Uno spirto divino: e dentro infusa Nelle membra quest'alma.^ ella dà moto A tutta la gran mole, e coW immenso Corpo di lei si mesce. Indi il principio Traggon uomini e fere\ indi la vita I volatori augelli, e quanti il mare Sotto il marmoreo pian mostri nasconde. Infine aggiunger possiamo quanto serva il nostro codice per rilevare anclie i sensi allegorici e morali, di cui abbonJa il principe degli epici poeti. Sul principio del sesto libro dice Virgilio ; » At pius Eneas arccs, quibus altus Apollo » Praesidet, horrenJaeque procul secreta sibyllae » Antrum immane petit. Così brevemente spiegasi : Summitates, quia mons altus est ubi est templum Apollinis , et veneran- dae sibillae,cui superest ipse Apollo, quia sibil- lae dlvinam voluntatem hominibus anujiciabant. È preso il sole cosi per la luce intellettuale, da cui di- pende ogni nostro sapere. Della quale invenzione al- legorica giovossi Dante nel primo canto, che così leg- i-aS Letteratura go in un antico celebre codice manoscritto della ea- sanatense : Ma poi ch'io fui a pie d'un colle giunto. Là dove terminava quella valle Che m'avea di paura il cor compunto. Guardai in alto, et vidi le sue spalle Vestite già di raggi di pianeta Che mena dritto altrui per ogni calle. Dal sin qui detto apparisce quali siano i pregi più rimarchevoli del Virgilio casanatense , e quanta utile e vantaggioso sìa lo studio de'codici per la let- teratura, di cui è tanto benemerita questa operosa e illustre tiberina accademia. Studi sopra la storia universale^ di Giuseppe De Lugnani. Trieste iQd^i M. P^eiss: volumi 6 in ottavo, l. Ugnella mente del Vico fu come raggio di sole nelle tenebre della storia: e dietro a lui una mano di filosofi, tra'quali il Bertola , si faceva a studiare gli avvenimenti come è degno alla scienza delle scien- ze per la dignità sua propria , e per la utilità al- l'arte importantissima della vita. Seguendo la via luminosa segnata del Vico, il De Lugnani si fa a cercare la generalità dei caratteri per dedurne le conseguenze dei fatti : vorrebbe collo spi» '[.LAìinitiì cre^re/Tuii (T(uts m«ud cucm VWtlO, Ua)i:un>if. iklbAn»t]|i patces/Mrp alte inem^vn>mc. (/ P Storia universale 129 rito matematico stringere in una formola l'universo per moltiplicarne all' infinito le applicazioni. Cominciando da' primi tempi dell' umanità, ve- de all' isolamento selvaggio degl' individui succedere famiglie con potestà paterna, indi città con ordina- menti civili, indi paesi con leggi provinciali, poi se- gni con istituti sociali , poi mondi con vincoli di umanità. A vero dire quell' isolamento selvaggio è me- glio nella fantasia de' filosofi, che nella realtà. Sen- za l'unione de' due sessi non potè esservi stato, al- meno permanente : ammessa 1' esistenza d' uomini , non si può non ammettere coniugio: onde la prole, e la conservazione di essa, e la successiva propaga- zione. Ciò è nella natura dell' uomo, e nella storia del genere umano. Stabilisce l'autore la verità del diluvio univer- sale, e si fa a dimostrare gli ebrei conservatori della rivelazione : all' incontro le altre nazioni smarrite die- tro l'idolatria, private delle tradizioni e perciò igna- re dell' origine comune, né più gli uomini conoscersi discendenti da una stirpe medesima. L'umanità di tutte le nazioni non potè non co- minciare colla religione, compiendosi colle scienze , colle arti e le discipline. Nel che l'autore segue pur sempre il Vico, facendosi però singolare per due sen- tenze : l'una che generalizza ne' gentili la opinione de' due principii del bene e del male, e l'altra pure che generalizza per tutto l'oriente , anzi pel mondo intero, l'idea della necessità della redenzione. E predilige nelle cose civili la legge così detta di continuità, che meglio pare nelle cose fisiche. E per dar ragione delle anomalie ricorre a circostanze G.A.T.XCI. Q i3o Letteratura proJucitrici dì resistenza alle leggi generali. Così egli nota nella storia il corso di due vite o generazioni dell'umanità. La prima in Asia e in Egitto nacque sot- to le tende di patriarchi pastori, crebbe adolescente in Fenicia , giovane lampeggiò nella Grecia , Roma ne vide la virilità, poi la vecchiezza. Cadde il co- losso del romano impero in occidente, ed ecco il ter- mine della prima generazione sociale. La seconda perdesi nella oscurità delle origini asiatiche, setten- trionali, di tribù, e di barbari invasori. Le altre età sono da que' popoli in comune rappresentate : ado- lescenti scendono a conquiste, giovani le eseguiscono, e tengonle uomini maturi, cristiani inciviliscono in Europa, e si trapiantano poscia in America. Lungo sarebbe seguire ne' suoi passi F autore : basti accennare il suo opinare sull' indole del cri- stianesimo e del maomettismo , sul passaggio della società dalla cura del necessario a ciò che è di pia- cere e di lusso, dagli esercizj del corpo al perfezio- namento dello spirito, e dalle tendenze della vita so- linga o isolata al costume di nazioni belligeranti , commercianti ec. E qui non si tace la teoria delle lingue, l'etimologia e la storia delle parole : si pas- sa alla scrittura ed ai monumenti, alle arti belle ed alle industriali. Poi viene a dirsi di terre, e di pro- gressi di lavoro e di civiltà, di cereali e metalli, di lumi statistici e di economia sino alle macchine del vapore , ed alle sue applicazioni. Tutti i progressi della società, secondo l'autore, sono compresi tra il primo scoppiare del fuoco tratto dalle selci , e le ultime applicazioni del vapore alle arti. Passa l'autore a notare, i. le grandi divisioni della specie umana; 2. le religioni attuali, ed il con- Storia universale i3i senso universale, onde le prove del cristianesimo; 3. le nazioni di Europa secondo le rispettive lingue; 4. la divisione della storia , antica e moderna : quella ne'terapi, oscuro, favoloso ( od eroico ), storico ( od umano ) ; questa ne' tempi, corrotti o romani , fieri o barbari, civili di Europa e di America sino a que- sti giorni. Venendo al particolare, comincia l'autore dalla storia sacra, percorre l'oriente antico e l'Egitto, no- tandone arti, scienze, costumi : così de' fenici e car- taginesi, della Sicilia, e della Grecia singolarmente. Venendo all' Italia, ne osserva lo stato geografico', e l'indole de' primi abitatori : e qui la storia di Roma antica, il parallelo de'greci e de'romani, e la lettera- tura di ambe le nazioni. Largo campo gli offre poi il medio evo, dove, i, le invasioni del nord o ger- mano-slave, popoli dati al cristianesimo: 2. le inva- sioni del sud o arabo-turche, col maomettismo. Indi novelli stati e loro vicende sino agli ultimi tempi. IL Allargandosi a misura, che più innanzi pro- cede, l'autore segue il corso storico della civiltà, no- tando lo sviluppo morale de' popoli, i governi, la legislazione, l'arte della guerra, l'economia, le vicen- de del commercio, le arti, l'eloquenza, la filosofia ne' suoi rami e nelle sue applicazioni. E trova di che lodare il pentateuco, il vangelo , e la religione di G. C. Quindi dell' eloquenza sacra e dell' impe- ro di lei, giudicando gli oratori come il Grisostomo, e gli Ambrogi e i Basili , e Bossuet e Segneri: non ommessi e Maury e Barbieri. Indi nota le forme e l'indole della filosofia mo- derna , e tocca l'idea dell' ordine ; per cui l'uomo, con lo slancio del cuore, al disopra delV univer- i32 Letteratura so trova Dio. Segue della letteratura antica e mo- derna, fissandosi particolarmente sopra gli autori, lo- dati per originalità d'invenzione, ricchezza di fanta- sia, e felice imitazione. III. Segue notando le principali invenzioni, i. della polvere da cannone, 2. della bussola, 3. delle cambiali, ^. della stampa, 5. delle poste, 6. delle as- sicurazioni, 7. e delle grandi compagnie di commercio, e va dal i3oo al 1 838. E così va notando i principali avvenimenti: i. eserciti stabili, 2. caduta dell' impe- ro d'oriente, 3. unione de'regni di Castiglia e di Ara- gona, 4- scoperta dell'America, 5. del capo di Buona Speranza e passaggio alle indie orientali, 6. unione degli stati ereditari austriaci in Massimiliano impe- ratore, e suo matrimonio colla erede de'Paesi Bassi, y. innovazioni di Lutero. Era dal i445 a'nostri gior- ni. E divide la storia in 5 epoche, i. rivoluzioni re- ligiose, 2. urti di regni, 3. rivoluzioni sociali, 4- ri^ staurazione monarchica, 5. costituzioni: e va dal i5oo al i838. IV. Continua con occhio filosofico il degno au- tore , e nota fatti e conseguenze , e le ragioni lo- ro : nel che consiste la filosofia della storia : di cui diede esempio quanto alla storia antica il Bertela , come accennammo, onore che fu di Romagna e del- l'Italia. Sono a vedere le sue Lezioni di storia ad uso della reale accademia di marina ^ tom. i. Na- poli 1782 in 8., e più particolarmente i Tre libri della filosofia della storia^ Pavia 1787 in 8, ripro- dotti in Milano 181 7 in 16. nella biblioteca scel- ta di opere italiane donata al publico dal Silve- stri. Dettò il Bertela le sue lezioni di storia nella luce dell'università di Padova, e nella sua Filosofia Storia universale i33 dopo una sensata introduzione presentò tre analisi: I. delle cagioni, 2. dei mezzi, 3. degli effetti quanto alle cose dell' antichità. Con più larghezza è il De Lugnani venuto estendendo le sue vedute anche alla storia moderna. Bello è il vedere , come gli eventi s'incatenino, e come il mondo d'oggi è poco mutato dal mondo d'una volta : sempre le stesse virtù , gli stessi vizi ne' governi, ne' popoli : sempre la guerra de' meno potenti contro i potenti : sempre w Superbia, invidia, ed avarizia sono » Le tue faville, eh' hanno il mondo acceso. Chi può spegnere questo fuoco terreno ? la carità col suo fuoco divino ! Ecco il vero fuoco conservatore, il fuoco che i romani dissero di Vesta, smorta imma- gine e di quel fuoco veramente divino , che anima tutti i cuori, empie tutti i luoghi , scalda ad opere di virtù popoli e regnanti : tra' quali slrigner secon- do natura un vincolo sano, un vincolo eterno, tutto d'amore : onde ne sorge concordia di forze, di volon- tà ad asseguire senza meno la comune desiderata fe- licità. Dessa fu un segno agli antichi creduli a dei falsi e bugiardi: per noi è una dolce realtà, che po- niamo fede nel vero Iddio, creatore , riparatore, con- servatore ! Prof. D, VAccouNr. i34 Interpretazione del verso di Dante : » Perch'io te sopra te corono e mitrio. » Purg. 27, v> tilt. k^e malagevole cosa ed a gravi errori soggetta è l'interpretazione degli autori antichi nel valore par- ziale di alcuni vocaboli propri di quella età, e dalle susseguenti abbandonati; ben più malagevole ed a più gravi errori soggetta è l'interprelazione di certe loro sentenze , che in se racchiudono quasi lo spirito di tutta la dottrina della scuola cui l'autore appartene- va. Conciossiacchè se per raggiungere il preciso si- gnilìcato di quelle voci non basta l'attenta lettura del- l'autore e dei contemporanei, si può riuscire a sco- prirne almeno quasi tra mezzo le ombre quel signifi- cato che più si avvicina al pieno concetto dall'auto- re voluto insegnare. Ma non così nelle sentenze ! i vocaboli stessi in altro luogo usati dallo scrittore medesimo o da' suoi contemporanei hanno un signi- ficato ben più ristretto, e tutto diverso da quello che assumono nella esaminata sentenza; quindi, non che rischiarare la intelligenza , arrecano anzi confusione ed oscurità alla mente che prende a farne confronto. Isolati hanno un significato letterale e piano a tutti noto; ordinati in sentenza ne contengono altro che nulla ha di comune col primo. Tale , per figura di esempio, è quel corono e mitrio di Dante, che (ono- randomi di vostra benigna attenzione, gentilissimi si- Interpretazione di Dante i35 gnori ) formerà il soggetto del presente mio ragiona- re, considerandolo come parte dell' ultimo verso del 27 del purgatorio : « Perch'io te sopra te corono e mitrio. » Corona e mitra sono ornamenti regali e vescovili; simbolo di temporale e spirituale autorità. Onde che parve a primo aspetto a tutti i commen- tatori del sacro poema, che Virgilio non solo coronas- se il suo discepolo e lo facesse re; ma e sì lo con- secrasse vescovo di se medesimo. E però, secondo es- si, Virgilio poeta e filosofo gentile , rilegato eterna- mente nel limbo per non aver conosciuto né prati- cato le tre virtù teologali, s'innalzerebbe a costitui- re la prima dignità di una religione rivelata. Vedasi errore gravissimo, ove ( a parer loro ) sarebbesi pre- cipitato l'Alighieri denominato per alta dottrina il teo- logo ! Adunque a conoscere ed afferrare il vero di quella frase non basta, anzi poco o nulla giova, il va- lore dei vocaboli per se , ove non venga confortato dall'attenta disamina della dottrina che forma lo sco- po principale della scuola cui appartenne l'autore. È d'uopo trascorrere con occhio indagatore i trattati fi- losofici di Dante; conoscere quali, secondo lui, sono i preziosi effetti della filosofia e della teologia; e da questi conchiudere il sublime e fecondissimo concet- to chiuso nelle supreme parole del maestro in ragion naturale. Da questi si parerà indubbiamente, che il corono e mitrio non escono dai confini dell' etica ; ma quasi fiumi reali, scorrendo tutto il campo della scienza, raccolgono per via quanti rivi per ogni ver- so lo solcano, sino ad unirsi in un solo che tutti li comprende. Dallo studio della filosofia di Dante con- chiuderassi, che col corono e mitrio non balza in- coerente a sé medesimo dalla naturale alla scienza i36 Letteratura rivelata, ma tiensi dottamente fermo alla prima, che forma il filosofico ammaestramento delle prime due cantiche della commedia. La dignità imperiale e la pontificale sono, per la scuola di Dante, due uffici di essenziale necessità al ben essere dell'umano consorzio; il primo per ren- derli felici su questa terra, il secondo per avviarli alla beatitudine celeste. Sono questi gli emblemi che ma- nifestano il maestro nelle due ragioni rivelata e na- turale; senza dei quali, generalmente parlando, l'uo- mo non potrebbe giungere alla meta beata, cui da na- tura e da Dio è fatto accline. Imperciocché nel li- bro 3.° della monarchia verso il fine, distinguendo tra le due felicità temporale ed eterna cui tendono gli uomini, e figurata l'una nel paradiso terrestre , e l'altra nel paradiso celeste, avverte che alla seconda, trascendente l'umana ragione e virtù, non si può a- scendere se non per insegnamenti spirituali , adope- rando secondo le tre virtù dette teologali, fede, spe- ranza e carità : alla prima poi si perviene per vir- tù propria col mezzo d'insegnamenti filosoficij osser- vandoli praticamente secondo le virtù morali ed in- tellettuali. Ma quantunque cotesti mezzi e verità ci furono già tutti insegnati dalla ragione e dai filosofi; e quelli dallo Spirito Santo e dai profeti : pure, cau- sa l' umana cupidigia , tali mezzi e verità sarebbero trascurali e sconosciuti, se gli uomini quasi destrieri vaganti per la propria bestialità non fossero tenuti in via e spinti dal freno e dallo sprone. Però fu neces- sario un doppio direttivo, secondo il doppio fine : il sommo pontefice che, secondo gl'insegnamenti rivelati da Dio e racchiusi nei due patti, diriga il genere u- mano alla felicità eterna; e l'imperatore che, secon- Interpretazione d[ Dante iSy do gii ammaestramenti filosofici compresi nella ragion naturale, lo diriga alla felicità eli questa vita. Ora, stando ai principli del nostro autore , nel trecento l'Italia era priva dell'uno e dell'altro diret- tivo. L'ultimo imperatore italiano fu Federico secon- do, morto nel i25o : di cui così scrive nel Convi- to li) : « Federigo di Soave, ultimo imperatore dei romani : ultimo dico per rispetto al tempo presente; non ostante che Ridolfo e Adolfo e Alberto poi elet- ti sieno appresso la sua morte ... » E colla rinuncia di papa Celestino nel cospetto del figliuolo di Dio rimase vacante la sedia di s. Pietro (2). Ecco per- tanto il bel paese privo delle due scorte sagge, po- tenti e necessarie. Però niuno più tende sulla dirit- ta via alla felicità sociale, niuno più leva il capo al cielo : tutti giacciono imbestialiti nella erronea selva della vita, immersi in una oscurissima notte, essendo estinti i due luminari che Dio diede alla società per rischiararla (3). Sono ciechi della mente, schiavi dei vizi ; sono contenti di cibare erba e ghiande come le bestie. Dante medesimo era uno dell'ignominioso drappello; ma grazie al buon ingegno sortito da Dio, e grazie al buon influsso del cielo ed alle sante in- spirazioni che dall'empireo gli mandava Beatrice, tan- to si diede alla lettura dei filosofi Cicerone, Seneca, Boezio ec, che giovandosi dei loro scritti quasi lu- cerne splendenti, ha potuto così illustrarsi la mente col lume della filosofia da riconoscere l'ignominiosa (1) Trat. 4, cap. 3. (2) Farad. 27, 23. (3j Purg. 16, io5. - Conv. tr. 4- - Monarch, lib. 3. i38 Letteratura e spaventevole posizione di tutta la società, e spin- gersi fuori dell'oscura valle: finché giunse a pie del monte deserto della perfezione, il quale nella pratica delle virtù morali avvia alla felicità di questa vita in- dicata dai raggi della filosofia nell'alta sua vetta. Fin qui, correndo quasi al piano, giunse col pro- prio ingegno e studio. Non occorsero vie né erte, ne arte: e la tenebra era, come che debolmente, dirada- ta dalla luce degli autori che prese a studiare. Ma chi vuole andare più su nella pratica delle virtù mo- rali, conviene ascendere; le strade agevoli non sono da tutti conosciute; niuna guida saggia si presenta , e la costa del monte non è praticabile senza giovarsi con improba fatica del piede e della mano. Una sag- gia guida ed un potente aiuto a supplire l' impera- tore son necessari, sia per trovar la strada verace che men faticosa conduce alla vetta, sia per cessare i pe- ricoli che possono occorrere (i). Questa viene da Vir- gilio offerta in se medesimo : egli poeta, egli filosofo, egli cantore di quell'Enea che fu padre del popolo romano, del popolo dominatore per consiglio divino; però colla scien/a, vestita di quel parlare ornato Che onora lui e quei che udito V hanno ^ agevolerà così per la sua via il discente , che saragli un piacere a spingersi al sommo della montagna (2) : di quivi poi anima più degna di Virgilio, Beatrice stessa in figu- ra della teologia, assumendo l'ufficio del direttivo spi- rituale, lo eleverà di cielo in cielo fino alla beatifica tisione dell'aspetto divino. (t) Inf. e. I, e. 2. (2) Inf. c> 2. Interpretazione di Dante i3g A questo passo ciascun vede esser Virgilio mae- stro e guida di Dante in filosofia morale; Beatrice in scienza rivelata. Virgilio trascorrerà tutto il campo della scienza razionale; sarà cura di Beatrice elevare il suo amico da questa, e farlo percorrere tutto quel- lo della sacra teologia. Virgilio dovrà col suo magi- stero metterlo al sicuro possesso della felicità di que- sta vita ( figurata nel paradiso terrestre ) senz'altro bi- sogno del direttivo temporale: o, come lo dice Dante, dovrà condurlo per tutta la scienza naturale, sino a vedere la porta di s. Pietro^ ossia il limitare della teologia (i). Ma Beatrice, quivi medesimo incontra- tolo j si farà a condurlo su per le scale del palazzo di s. Pietro ( per tutta la teologia ) sino a Dio: met- tendolo cosi al possesso della vita eterna , figurata nel paradiso celeste, senz'altro bisogno della direzio- ne spirituale che gl'insegni la strada, dichiarandogli le verità rivelate. A simili tratti voi già ben comprendete, nobi- lissimi signori, il perchè Virgilio, fedele alla sua mis- sione ed alla propria scuola, ristringesse il suo ma- gistero alla scienza naturale; ed il perchè a certe in- terrogazioni troppo elevate dello scolare rispondesse: . . . Quanto ragion qui vede, Dirti poss'io; da indi in là t'aspetta Pur a Beatrice: ch'è opra di fede (2). Ed interrogato come ascendesse pel sacro monte, ri- spose : (1) Inf. I, 154. (a) Purg. 18, 47. i/o Letteratura ... Io fui tratto fuor dell'ampia gola D'Inferno per mostrargli, e mostrerogll Oltre quanto il potrà menar mia scuola (i). Cile se il discente mal cauto ed avido d'imparare mo- veva per anche quistioni che mettessero alla teologia, quel verace maestro da capo lo ammoniva di serbarle nella memoria, per esporle poi quando sarà dinanzi a colei , Che lume fia tra 'Z vero e V intelletto (2). Con questa precauzione, senza mai entrare nel cam- po della teologia, condusse il discepolo sino al ter- mine della sua istruzione, figurata nel viaggio attra- verso l'inferno sino a toccare la sommità del purga- torio; ivi fissa gli occhi sul viso a Dante, e cosi lo accomiata : Quel dolce pome, che per tanti rami Va cercando la cura dei mortali, Oggi porrà in pace le tue fami .... , . . Il temporal fuoco e l'eterno ^ Veduto hai, figlio: e se'venuto in parte, Ov'io per me più oltre non discerno. Tratto t'ho qui con ingegno e con arte. Lo tuo piacere omai prendi per duce; Fuor se'dell'erte vie, fuor se'dell'arte .... Non aspettar mio dir più, ne mio cenno; Libero, dritto, sano è tuo arbitrio, E fallo fora non fare a suo senno : Perch'io te sopra te corono e mi trio. (i) Puig. -il, 3i. (2) Puig. 6, 45. Interpretazione di Dante 141 Vedasi qui verificato quanto nel suo Convito Dante dice scrivesse il santo Agostino : « Se questa equità gli uomini la conoscessero, e conosciuta osservasse- ro, la ragione scritta non sarebbe mestieri (i): » e seguentemente non sarebbe necessario neppure chi la mostrasse e facesse osservare. Ecco pertanto il nostro poeta per opera della filosofia disposato ( per usare le sue parole ) alla verità , la quale è quel signore a cui disposata l'anima è donna, fuori di ogni servitù (2): ecco a che mirava quel suo fuggire dalla notte della selva : quel rispondere che tratto tratto faceva a chi lo interrogava del suo andare : Vo su per non esser più cieco (3): Vo cercando libertà (/j.) : Torno a ca per questo calle (5) : e via via. Cercava lume di scienza, libertà e sanità di arbitrio ; cercava il pos- sesso della felicità di questa vita nella pratica delle virtù, senza bisogno dell'imperatore che lo scorgesse per la strada. Eccolo pertanto alla meta felice, così bramata La notte che passò con tanta pietà (6). Il suo piacere sarà in appresso il suo duce, poiché es- sendo liberOy dritto^ sano il suo arbitrio ^ fallo fo- ra non fare a suo senno, E imperatore a se slesso, in compenso di quello che manca agli altri uomini ancora schiavi e ciechi nella selva fonda : egli è fe- lice^ essendo Ìsl felicità, secondo Aristotile, opera- ci) Coav. trat. 4> e. 9. (2) Conv. trat. 4> e. 2. (3) Turg. 26, 58. (4)Purg. 1,71. (5) Inf. 25, 141. (6) Inf. I, 21. i42 Letteratura zione secondo virtù in vita perfetta (i). Ed ecco pure quanto giustamente e con qual significato Vir- gilio chiudesse la propria istruzione dicendo : Io te sopra te corono e initrio : ora die il tuo arbitrio è libero, diritto e sano, io ti dichiaro imperatore di te medesimo: segui pure il tuo piacere, e sarai felice. Se non che vogliono gl'interpreti e commenta- tori quanti sono, che quel initrio sia cosa differente dal corono}, vogliono che sia un ti faccio vescovo di te medesimo. A questa difficoltà, fondata unica- mente sull'arbitrio di chi non sa dare un convenien- te significato a quel vocabolo, basti il rispondere colla dottrina di Dante : le due beatitudini sono figurate e distinte nei due paradisi, terrestre e celeste : al pri- mo si perviene per virtù propria con filosofici inse- gnamenti uniti nella ragione scritta, dichiarata e fat- ta osservare dall'impei'atore : al secondo non si ar- riva per virtij propria, ma è necessaria la teologia o scienza rivelata contenuta nei due testamenti , inse- gnata dal sommo pontefice. E se Dante messo dal maestro in filosofia al possesso della temporale feli- cità, e dalla filosofia illuminato e scorto, non abbiso- gna più dell'imperatore che gli additi la retta via (2), e quindi è egli stesso imperatore di se medesimo; per elevarsi alla felicità celeste non ha forza e lume suf- ficiente, se non viene un maestro in rivelazione che a tale altezza gl'impenni le ale dello intelletto (3). E se il direttivo spirituale manca e la sedia di Pie- (i) Conv. Irat. 4j c. 17; e trat. 3, e. ult. (2) Conv. trat. 4> e 6. (3) Farad, e. i5, 81. Interpretazione di Dante i43 tro vaca nel cospetto del figliuol di DiOy non sarà Virgilio filosofo gentile, che facendogli scuola in sa- cra teologia, tenga le veci del pontefice; ma sarà Bea- trice che, in figura della scienza rivelala, lo condur- rà insensibilmente alla scuola dei sacri dottori ed apo, stoli, fino a ricevere da s. Pietro la triplice corona in teologia , ossia il triregno pontificale ( i ) : e sarà per tal guisa dichiarato pontefice di se medesimo ; e quindi lo avvierà alla fruizione dell'aspetto divino co- stituente la beatitudine della vita eterna; appunto co- me Virgilio, coronatolo imperatore, lo avviò al pos- sesso della temporale felicità. Pertanto e chi non ve- de, che se Virgilio col mitrio avesse inteso fare il di- scente vescovo di se stesso^ non l'avrebbe solamente guidato sino alla porta ^ ma lo avrebbe messo al pos- sesso di tutto il palazzo di s. Pietro? Né giova meglio il dire, come altri fa, che ogni uomo onesto è in certo senso principe e sacerdo- te (2) : perchè ben è vero che l'uomo onesto può se- guire da se la equità, ed osservare la legge naturale e civile; e l'Alighieri mostra di saperlo nel suo Con- vito, laddove così scrive : u II vecchio dev'essere giu- sto e non seguitatore di legge, se non in quanto il suo diritto giudizio e la legge è quasi tutt' una ; e quasi senza legge alcuna dee sua giusta mente segui- tare (3). » Ma rispetto alle cose rivelate, rispetto al conseguimento della vita eterna beata, la propria vir- tù non basta : tutti, non eccettuato né meno l' uo- (i) Farad. 24, i5i; e 25, io. (2) Tommaseo, Purg. e. 27 in nota. (5) Conv. tiat. 4< e. 26. 1^4 Letteratura mo onesto, hanno bisogno del direttivo spirituale, del papa. Questi santi della religion naturale, canoniz- zali dai moderni filosofi, non son conosciuti dalla sa- na teologia; è Dante che lo dice a chiare note nella sua Monarchia (i). E nella commedia lo ricanta an- cora in questo modo : Siate, cristiani, a movervi più gravi Avete il vecchio e '1 nuovo testamento, E'I pastor della chiesa che vi guida: Questo vi basti a vostro salvamento. Se mala cupidigia altro vi grida. Uomini siate e non pecore matte, Si che '1 giudeo tra voi di voi non rida. Non fate come agnel che lascia '1 latte Della sua madre, e semplice e lascivo Seco medesimo a suo piacer combatte (2). E Virgilio con tutti quegli antichi onesti del genti- lesimo, e '1 sacratissimo petto di Catone, il pia de- gno di significar Dio (3), solo perchè non ebbero chi li dirigesse al cielo nella ragion rivelata, giacciono, quelli nel limbo, e questi dalle infime falde del pur- gatorio non si avanza mai alla scaletta dei tre gra- di breve, su cui il vicario di Pietro tiene le piante (4). Certo è dunque per le esposte ragioni, tutte som- ministrateci dallo stesso Alighieri, che Virgilio nel co- (1) Mon. llb. 3. (2) Farad. 5, ']Z. (^) Conv. trat. 4, e. 28. (4) Purg. 21, 48. Interpretazione di Dante i45 rono e mitrio non poteva ne voleva altro Intendere fuorché : Io dichiaro te imperatore di te stesso, ossia direttore della tua ragione nella pratica delle virtù morali ed intellettuali : a te non fa più bisogno di alcun cavalcatore della tua volontà, che col freno e col morso ti tenga e ti avvii sulla diritta strada (i). Ma e come mai nel corono e mitrio si raccliiude senza pleonasmo la idea della sola corona imperiale ? Ecco i miei pensieri. Due nella scuola dell'Alighieri sono gli ulìiciali necessari alla perfezione temporale dell'umano consorzio: i re che comandano ad alcune città come vicari dell'imperatore, e la maestà impe- riale che comanda a tutti i re (2). La maestà reale ha per conveniente contrassi^gno la corona d'argento consistente in un cerchio argenteo gigliato senza più, o chiuso da una foggia molto bassa; ma la imperiale ha questa medesima corona sormontata da una foggia elevata e convessa, quasi avente due corone che in- dichino l'imperatore il re dei re : onde la corona im- periale somiglia molto, nella sua parte superiore, al- I l'antico galero che copriva il capo alle milizie. Per- ' tanto non parrà forte cosa il dire, che Virgilio col li j corono e mitrio volle dire: Ti metto la corona mi- 1 Irata degl'imperatori. In fatto con questo non avreb- be Dante fatto altro che seguire il vezzo di Virgilio, il quale ad indicare la tazza di oro disse : impigar hausit Spumanlem pateram et pieno se proluit auro (3); (i) Conv. Irat. 4. e. 9; e Piirg. e. 6, gì, (2) Conv. trai. 4> e 4; «^ Monarcli, lib. I. (3) Aeaeidas lib. i,']lyo-i. G.A.T.LXCI. ,0 i46 Letteratura come altrove lo fece elicendo dei fiorea,tini fiesolani, che tengono ancor del monte e del macigno (i); o come là nel paradiso disse, che Dio dispensa vice ed ufficio, quasi dicesse ufficio vicainale o vicariato', intendendo l'autorità dei supremi ufficiali vicari, co- me sono il papa, l'imperatore ed i motori celesti (2). Veramente sarà forse chi dubiti ancora se quel- la foggia convessa, onde è sormontata la corona im- periale, possa con sana mente denominarsi mitra. Ma ogni dubbio svanirà ove altri si richiami alla mente, che presso gli autori latini di tutti i tempi venivan per tal nome indicati non pure gli ornamenti che coprivano il capo degli uomini di diversi popoli , e dei soldati, ma e quelli anche i quali acconciavano il capo muliebre : cosicché presso tali scrittori la mi- tra è una sorla di berretta , di turbante , e anche di galero. Però avevano mitra gli arabi , i frigi , i lidi, i siri ed i greci; portavano mitra i soldati e le matrone romane : Ercole effemrainato e Paride ador- navano il capo di mitra, e Bacco stesso, come il più dilicato degli dei, tal fiata mettevasi in capo la mi- tra. La mitra portavano i cori danzanti: e mitra era pur detta quella, colla quale le vecchie coprivano la canizie del loro capo, corrispondente ad alcune cuf- fie di questi ultimi tempi, cui i latini denominavano pure copa (3). (i) Inf. i5, 65. (2) La provvidenza, che quivi comparte p^ice e ufficio, nel bento coro Silenzio posto avea da ogni parte. Farad, e. 27, 16. (3) Carolus Paschalis, Coronae. Marcus Antonina Mazzaro- nus. De tribus coronis, Forcell, Lexicon vide mitra- Interpretazione di Dante i^j Maggiormente poi cresce la ragione in mio fa- vore ove si avverta che a testimonianza di Suida e di Esichìo la mitra designava pure il diadema rea- le, come la corona o regno fiaiente in figura coni- ca, secondo il Platina , significava la mitra pontifi- cia (i) : come la tiara significava ad un tempo e la miti'a vescovile e la corona imperiale. Di qui è che si legge nella opera Coronae di Carlo Paschal, che Marcantonio a dichiarare che i figli avuti da Cleopa- tra erano non solo re, ma re dei re, a quello che no- mavasi Alessandro sovrappose la tiara o cidari eret- ta, che equivale ad una corona imperiale (2). E poi curioso e degno di sapere al nostro pro- posito il rito che tenevasi anticamente nella incoro- nazione dell'imperatore. Presentavasi questi alla con- fessione di s. Pietro , ove inginocchiato , il papa gli poneva in capo la mitra, e sulla mitra la corona im- periale: e recitate le preci ed orazioni nella sacra ce- rimonia prescritte, l'imperatore adorno di vesti impe- riali così mitrato e coronato andava processional- mente a fianco del papa. Questa cerimonia, descritta noiVOrdo romanus, il Cronicon ceccanense ne av- verte essersi praticata l'anno 1209 nell'incoronazione dell'imperatore Ottone, il quale mitratus et coj^ona- tus ( così ivi si legge ) ivit cum domino papa (3). Ma il gusto raffinatosi costrusse una nuova fog- gia di corona imperiale, che in un solo corpo uni la (i) Garolus Paschalis, Coronae, lib. a, e. 7. (2) Coronae lib. 9, caput 17. (3j Mabil., Mus. ital. tom. 2, fol. 4oi. Et cronicon ecc. ad ann. 1209 de Ollone inip. i48 Letteratura mitra e la corona : e seguentemente il cerimoniale romano descrive questa come diversa dalle altre co- rone, avente sotto di se una tiara a guisa della mi- tra vescovile, ma più bassa, più aperta e meno acu- ta, coll'apertura nella parte superiore , non dai lati, ma verso la fronte (i). Ecco pertanto la corona mi- trlata, di cui parla Dante per bocca di Virgilio (a). Ma Dante, denominando corona mitrata la im- periale, non fece gètto di parole , ma significò nella allegoria un concetto ampio e profondissimo. Per ve- ro, egli che lavorava un poema jooZ/^enóO, accennò con questo all'uno e all'altro ufficio di chi porta corona imperiale. L'imperatore deve in ogni tempo unire in se la maestà monarchica che governa in pace , colla vigilanza, forza e coraggio del guerriero che valoro- samente difende in guerra. Però è che in capo a lui rlsplende colla maestosa ricchezza della corona la po- tenza guerriera del marziale galero, onde e 1' uno e l'altro si presi Ino mutuo soccorso a prò dei cittadini. Per la qual cosa presso i latini del medio evo la co- rona imperiale fu dotta diadema galeatum o galea diademata (3) : e Marziano Cappella , scrittore del secolo quinto, a descrivere dalla pompa che la ador- (i) Ceremon. rom. lib. i, scct. 5. (2) Era pure una corona mitrata quella che formavano i due lumi sulla testa di Giustiniano imperatore nel canto settimo del paradiso v. 4.' di cui cosi scrive: Cosi, volgendosi alla ruota sua, Fu viso a me cantare essa sustanza, Sopra la qual doppio lume s'indua. L'uno cingeva le tempie quasi diadema, e Vallro lume si elevava quasi tiara. (3) Carol- Paschal. Corona© lib. 9, cap. 17. Interpretazione di Dante i/q nava, il reggere i cuori , ed il vincere coinbatlendo gli avversari che fa la eloquenza, se la figura appar- sa in sembianza di donna insigne cinta le tempie di corona, ed il capo coperto di galero : « Foemlna in~\ sigìiis ingreclitur .... cui galeatus vertex , ac re- gali caput maiestate sertatum (i). Chi non vede qui la corona mitrata ? E chi ( mettendola in capo a quella matrona insigne ) volesse accennare a parole l'atto che fa, quali altri vocaboli più chiari, concisi e propri potrebbe usare che quelli di Dante : Io te co- rono e mitrio ? A questo punto , per non abusare più a lungo della nobile udienza, che sì gentilmente mi fa coro- na, darò fine all'umile mio ragionamento , conchiu- dendo che dalle addotte ragioni chiaro sorge e certo il vero significato del ti corono e mitrio da me pre- so ad esame, ciò sia: Io adorno il tuo capo di coro- na, perchè quasi imperatore reggi te stesso in pace, e ti sovrappongo il galero onde combatti valoroso nel fortunevole assalto delle passioni : t'impongo unite la sapienza reale e la difesa guerriera, perchè cavalcan- do la tua volontà, e combattendo e frenando le tue passioni, ti mantenghi sicuro al possesso della tempo- rale felicità. P. D. Marco Giovanni Ponta procuratore generale de'ch. reg. soinaschi e rettore del collegio clementino. (I) Man. Gap. De nuptiis philologiae et Mercurii lib-S. i5o Elogio storico di monsignor Giuseppe Maria Lui' ni vescovo di Pesaro , recitato da Giuseppe Ignazio Montanari nella solennità de' premi distribuiti nel iSSg. WlÌxx volte ho meco stesso pensato, o signori, di te- nervi ragionamento d'un insigne ed eloquente pre- lato, pastore benemerito di questa città, e noto per tutta Italia: argomento ben degno della celebrità di questo giorno, in cui si dà premio alla diligenza de' giovani , e si rinnovellano e rinvigoriscono le spe- ranze della patria ; e più volte ancora e l'altezza del- la tema, e l'insufficenza mia , e molte altre cagioni me ne hanno distolto. Ma la presenza di questo no- vello degnissimo pastore , monsignor Francesco de' marchesi Canali, al cospetto del quale oggi per la pri- ma volta ho l'onore di favellare: l'aspetto di questo fiore di giovanetti, i quali pur da me si attendono udire parole di esempio e di conforto agli studi loro: il desiderio che nutro di trattar cosa, dalla quale ne venga lode anche a questa nobilissima città , che quasi mia patria onoro: e il vedere, che sebbene da lutti siano conosciuti i pregi di quel grand' eloquen- te , pochi ne hanno scritto e trattato qual si dove- va , mi hanno alla fine indotto a vincere ogni dif- ficoltà di prima, e a ragionarvi di mousig. Giuseppe Maria Luini, cui non so se le infule pastorali o la lode di sommo oratore diano vanto maggiore. E seb- bene poche e digiune notizie io m'abbia raccolto del- Elogio di monsig. Luini i5i l'essere suo e della sua vita, nondimeno confido dal- le opere, che di lui sono uscite a luce, avere ritratto quanto basti a parlarne con giusto e vero giudizio. Che se a questo avvien che io riesca, doppiamente avrò di che ringraziare alla fortuna, che mi al)bia in- sieme offerto due grandi vantaggi : quello di parlare di un pastore, da cui Pesaro ebbe tanto lustro: e di ragionarne al cospetto di un suo illustre successore, da cui nuovo ornamento e nuova gloria la città no- stra si aspetta. In Lugano , città cui la natura fece italiana , la politica rese straniera all' Italia per aggiungerla con altre terre pur nostre alla Svizzera, nel giorno 27 marzo dell'anno lyaS da Giuseppe Luini e Maria Conturbi di Locamo ( onestissime e ben agia- te famiglie) nacque un fanciuUetto, al quale furono posti X nomi di Teodoro Giacomo Filippo : il primo de' quali nomi suonando dono del signore, ben mi pare che sovra gli altri gli cadesse acconcio, e fosse presagio della vita che egli quaggiù condurrebbe. Fanciullo dotato di ingegno maraviglioso , e di cuore veramente nobilissimo , passata che ebbe ne' consueti studi la prima età, e date singolarissime pro- ve di robusto intelletto e di sincera bontà , risolse di riparare alla pace de' chiostri , ed ivi servire alla chiesa del Signore. Offerivansi allo sguardo di lui santi del pari che famosi instituti; egli tutti gli ebbe innanzi, e trascel- se il più penitente. Enti'ato quindi all' ordine de' minori capuccini nella provincia di Milano, vestiva le sacre lane del poverello di Assisi , e prendeva i norrfi di Giuseppe Maria. Ho da fidale memorie, che nel giorno 8 luglio 1742 , e precisamente nel con- iSa Letteratura vento di s. Rocco del borgo dì Merate, faceva solen- ne professione in qualità di chierico. Di là Irasferì- vasi al convento della immacolata Concezione in Mi- lano, e quivi compiva la scolastica carriera. Uscito di novizio, e posta a frutto anche la si- lenziosa solitudine del noviziato , studiando e con- ficcandosi in capo la bibbia ( che altro libro in quel tempo non è permesso avere alle mani ) cominciava a mostrarsi quale riuscirebbe fra i sacri oratori. Con- ciossiachè comandato predicare e sermonare ora ad un luogo or all'altro ; e i suoi superiori e il pub- blico conobbero essere egli nato fatto oratore. Quin- di è che fu eletto a predicatore : e a questo officio egli satisfece per forma che distendendosi la fama di lui per Milano , e per le provinole tutte lom- barde, era desiderato e chiamato con istanza sui pri- mi pergami. Non istarò io qui a noverare ad una le città che ebbero in sorte udirlo predicare o ne* giorni dell' aspettazione del parto divino, o in quelli della quadragesimale penitenza , perchè troppo lun- go e soverchio sarebbe. Ma non tacerò che Luga- no sua patria, Torino, Trento , Como , Milano , e Genova l'udirono più volte , e con plauso di com- punzione. Infatti quando tutta la Lombardia era vol- ta ad implorare da Dio benedizione alle armi , con che Maria Teresa d'Austria volgevasi contro Federi- co di Prussia, terzo di questo nome , e la piissima città di Como celebrava solenne triduo nel tempio reso famoso per 1' immagine di Cristo crocifisso , fu chiamato il padre Giuseppe Maria da Lugano a re- citare tre sacri ragionamenti, i quali a dir vei'o so- no pieni di robusta e non fucata eloquenza. Egli ripartisce ne' tre giorni il suo argomento , e dime- Elogio di monsjg. Luini i53 stra, I. che è debito di buoni sudiliti far voti per lo felice successo delle armi imperiali; 2. dichia- ra come si possa adempiere tale debito; 3. inji- ne espone le speranze che si ritrarranno dal fe- dele e sollecito adempimento. Mirabile è nel pri- mo discorso il luogo , in cui dipinge lo stato della guerra, per indi far vedere giusta cagione che l'im- peratrice ha di guerreggiarla: nò meno vivace nel se- condo è il paragone che egli fa tra Giuditta in Be- tulia e Maria Teresa in Vienna ; e il quasi profe- tico slancio con che predice vittoria alio armi impe- riali nel terzo. Ben converrò che non sono questi ragionamenti ne sì profondi, ne sì corretti nella parte dello stile, come le prediche che egli appresso com- pose , e il quaresimale che da tanto tempo invano si aspetta alla luce : ma ognuno tuttavia dovrà con- venirsi meco che sono maschi veramente, e pieni di viva eloquenza. E perchè questi ragionamenti furono pubblicati nella sesta decade della collezione di panegirici ed orazioni varie di sacri oratori dell' ordine de' minori capuccini nel 1774 in Venezia, ognuno potrà di per se conoscere, solo che se li rechi a mano , se portandone io tale giudizio vada o no lungi dal vero. Ben mi duole che egualmente non sia fatta di pubblica ragione la magnifica orazion che egli tenne in Geiaova , quando predicava l'avvento alle Vigne: nella quale rammemorava come per la protezione di Maria quel valoroso popolo era uscito di sotto il giogo straniero. Imperocché i genovesi, dopo avere nel 1747 rivendicata alla patria la nativa libertà , ope- rando tali maravigliose prove di valore e di amor patrio che forse non hanno esempio nella storia , o i54 Letteratura né hanno pochissimi, avendo conosciuto che il favo- re della Vergine madre, cui invocarono fin da prima nelle fervide voci del popolo, gli aveva scorti alla vit- toria , vollero che ogni anno il io di dicembre si rendessero solenni grazie alla divina proteggilrice nel- la chiesa di Oreglna de' frati minori osservanti. In questo giorno adunque, che tante e sì dolci memorie richiamava ai genovesi, saliva in pergamo il Luini: e mostrando che sì grande valore appena crederebbero i presenti, non vorranno credere i futuri, si fé con forti tinte a pennellegglare dall' una parte la ferocia ed il numero dell' armi straniere , e lo stato della città oppressa; dall' altra l'amor della patria che dalla oppressione stessa prende forze e rinvigorisce , e il bollore degli spiriti, e le armi cittadine , santificate nel nome di Maria, e agguerrite nella memoria della natia libertà. Mostrava quindi la moltitudine armata e vincitrice, quindi il trionfo e la gloria de' genove- si: e lo mostrava con tanta verità, che gli ascoltanti, quasi fosse tornato quel giorno e quel pericolo del- la patria, prima si misero in un cupo silenzio, che non si può descrivere; poi all' udire del trionfo, rup- pero in tale fremito e sì forte e sì universale di gio- ia, che all'oratore fu giuoco forza soffermarsi e ta- cere finche quella dolce illusione fosse svanita, quel soave tremito de' cuori fosse cessato. Io ben mi cre- do che se ci si desse leggere quell' orazione , noi avremmo a dirla una delle più belle fra le molte del Luini: e la più bella, o almeno una delle più splen- dide, che aljbia in tal genere il pergamo italiano. Non è quindi maraviglia, se la fama del sacro oratore si diffuse per tutto, e se avendosi a proporre chi pre- dicasse al palazzo apostolico dal capuccino p. Do- Elogio di monsig. Luini i55 mcnlco Fernandez, al quale era sialo confeiilo l'ar- civescovado di Barcellona, fu proposto il Luini: con- ciossiaccbè sia dirilto del predicatore apostolico pro- porre , o direi meglio designarsi un successore. Ma qui nacque caso veramente strano, ed al lutto ono- revole al Luini. Perocché appena era egli stato no- minato a queir apostolico incarico ; il duca di Par- ma pose offici presso Clemente XIV, pontefice glo- riosissimo che allora reggeva la chiesa, acciocché gli piacesse nominare a quella carica il famoso Adeo- dato Turchi , oratore di molto e meritato grido , il quale aveva fin allora con plauso di tutta Italia pre- dicato pei principali pergami, e specialmente alla cor- te di Parma. Quel gran papa, che era il Ganganelli, soffermossi al nome di tant' uomo che gli veniva pro- posto: e più che la stessa raccomandazione, la dot- trina e il sapere di lui considerando, fé di tutto per- chè s'invalidasse la prima nomina, e si venisse alla seconda. Ma perchè il buon diritto era pel Luini , ne quel papa voleva negar ragione a persona, anche potendolo per buoni riguardi, acconsentì eh' egli da Arezzo, ov'era stato fermato nel suo viaggio più che sei mesi, si recasse a Roma: e si scusò col duca di Parma. Veniva adunque il Luini ; veniva a malin- cuore del pontefice e di molti : e, quel che più è , gli faceva mestieri mostrare che egli non era da me- no del Turchi ; cose tutte che gli stringevano l'ani- mo, e lo faceano tremare. E tanto più, che chiesta l'udienza del pontefice, se l'era vista più volte o ne- gata, o attraversata ; e solo poco prima d'incomin- ciare la sua predicazione gli era stata concessa, ma concessa in modo da scemargli non crescergli co- raggio. Conciossiachè il papa molto sostenutamente lo i56 Letteratura accolse, e appena lasciale a lui fare poche parole l'ac- commialò con dirgli: V^i sentiremo. Il Luini per que- sto non si abbandonò dell' animo: e fidando in co- lui che avviva la parola sul labbro de' suoi ministri, si diede innanzi al pontefice ed al sacro collegio; e sì bene fé sentire la forza della sua eloquenza, che il papa a prima giunta conosciutone il merito gli si rese benevolo ; e quando finita la predica andò a prendere, secondo l'usato, la benedizione, con suo- no di sincera compiacenza gli disse: Bravo : segui- tate sempre così, che noi ce ne compiaciamo. Né tacerò cosa maravigliosa a dire: ed è, che la predi- ca era durata più là che un'ora, quarido per con- sueto la predica apostolica non dee valicare oltre mezz' ora. E il Luini n'era stato avvertito: e, come egli poi diceva, aveva in pensiero abbreviarla, quan- do vedesse di essere poco benevolmente ascoltato : ma avvistosi che la sua parola signoreggiava le men- ti ed i cuori di tutti, lasciò avanzarsi fin là, e pia- cque, e riebbe plauso. Ora, poiché mi accadde dover toccare del Tur- chi, mi si permetta chiamare fortunatissima l'età pas- sata che abbondava siffattamente di tali banditori evangelici , e far qui rilevare i pregi principali di questi due grandi oratori. Né pensi alcuno che io al modo usato dal cardinale Maury, che con tanto sa- pere die in tante stranezze giudicando de' sacri ora- tori italiani { solo perché volle tutti porli a confronto de' francesi, senza ricordare che ogni nazione , ogni lingua, ha una maniera particolare e sua propria ), voglia io mettere l'uno a paragone dell' altro : men- tre non vò che delineare i pregi che 1' uno e l' al- tro distinguono. Il Turchi, comecché si fosse dappri- Elogio di monsig. Luini iSy ma formato sul Casini sino a riportarne de'brani en- tro de' suoi scritti, parve non volere seguire la ma- niera di alcuno, e mostrò trarre dal suo proprio fon- do l'eloquenza e la forma del suo ragionare. Sembra nondimeno ch'egli sovente si proponesse fra gli oratori francesi singolarmente il Massillon; e se il francese cardinale Maury avesse potuto essere giu- sto cogl' italiani , avrebbe dovuto convenire che se talora noi raggiunse, spesso lo emulò, qualche volta anche lo superò. Il Luini si propose apertamente i padri greci, nei quali si pare aver egli fatto mirabile studio ; cercò di rendere sua propria l'eloquenza lo- ro, e vi giunse: e parve oinginale non meno che il Turchi. Il vescovo di Parma amò gli argomenti del suo tempo, li trattò con novità e con forza, e si fe- ce ammirare dalla sua e dalle straniere nazioni. Il vescovo di Pesaro non volle che gli argomenti trat- tati dai padri della chiesa ; in quelli cercò ed otten- ne novità e sublimità che lo rese raaraviglioso. Il primo si porge fervido battagliere, è il secondo con- sigliere autorevole ; piace al primo la favella de' fi- losofi , al secondo quella de' teologi. Ama quegli di sovente battere ed inveire contro la falsa politica : ama questi di tirar l'anime colla soavità del vangelo alle dolcezze della religione. Nel Luini tutto è lusin- ga d'amore : e se talora egli alza il flagello e minac- cia, il colpo non scende giammai, e resta in aria so- speso dalla forza de' sospiri e delle lacrime. Nel Tur- : chi tutto è rapidità ed impeto : egli batte, atterra, ; ferisce , e gode trionfare de' vinti. Aggrada all' uno lo stretto ragionare dialettico, ed il breve periodo dei I disputanti: aggrada all' altro il ragionamento e il pe- riodo degli oratori. Immagini grandiose nell'uno e nel- i58 Letteratura l'altro, potenza di favella in amendue, in amendue vero zelo della causa di Dio, in amendue la libera voce del vero ; ma il Turchi più è potente sull'in- telletto , più potente è il Luini sul cuore. Quegli , come egli stesso a luogo a luogo confessa, parla ora da uomo, ora da cittadino, ora da pastore: questi non parla che il linguaggio di consolatore, di padre. Una cosa sola credo io fu eguale in amendue , la bellezza del porgere: poiché e l'uno e l'altro era do- tato da natura di que'doni, perchè l'eloquenza dagli atti e dal movere della persona e della voce si ab- bella e rinvigorisce. E l'uno e l'altro aveva aspetto dignitoso e piacente, suono di voce soave , robusta e conoscitrice delle vie del cuore : occhi amendue penetrantissimi, vivacissimi. Balenava in essi il lam- po dell' ingegno. Un gesto, sempre grave e sempre ef- ficace in amendue, or preveniva, ora accompagnava le parole: un facile accendersi, un facile calmarsi, naturale il pianto, vera la gioia, cosicché perfetti in questa parte si abbiano a dichiarare amendue. E se pur dei diffetti è da rendere ragione, non me ne pas- serò io: e apertamente dirò, il Turchi rendersi alle volte monotono nelle spasseggiate invettive contro il filosofismo, ed avere a grave danno dell'apostolato of- ferto in se troppo nobile esempio di cosa non al tutto lodevole, qual' è quella di convertire la cattedra del vangelo in cattedra di filosofia e di politica ; difetto a lui condonabile, fatta ragione dei tempi: non con- donabile e riprovevolissimo in quelli, che vollero in appresso senza l'ingegno e la prudenza sua imitarlo. Anche non è a commendare nel Turchi quel sover- chio andare talvolta passo passo sull' orme de' gran- di oratori stranieri ; dico non è a lodare, e non di- Elogio di monsig. Luini iSg rei col Maury, che egli con ciò mostra Vìnimensa distanza che era fra lui e il vescovo di Cler- monti perchè rendendo il suo diritto a ciascuno, non ne viene tale sinistra conseguenza. Ma i francesi, quando giudicano degli italiani, rado o non mai sono giusti. E così pure al Luini si potrebbe imputare a colpa e quella soverchia uniformità di partizioni ora- torie, e quegli esordi ad una eguale e quasi confor- me guisa condotti, e talora que'periodi quasi ad un torno solo raggirati , e quello svolgere senza varietà ad un modo stesso i testi biblici, e quel sovente ve- nire a paragoni anche senza bisogno. Tali mende pe- rò non offuscono la gloria di questi due grandi, de- gni d'aver gareggiato, degni d'essere insieme proposti ad esemplo agli oratoiù moderni. E bastimi questo : che tempo è che io mi renda al Luini, il quale do- po avere esercitato quel sacro apostolato per ben quat- tordici anni, recitando que'magnifici discorsi che oggi in parte veggiamo a stampa, ed avere avuta l'appro- vazione e la benevolenza di due pontefici, in mercè delle sue fatiche dall'ultimo di questi, che fu il glo- rioso Pio VI grande non meno per virtù che per di- savventure, fu nominato vescovo di Pesaro. Spezialissima è in vero la benignità che a lui mostrò quel beatissimo pastore della chiesa : poiché avendo per molti anni avuto caro, anzi voluto a' suoi fianchi il Luini, quando seppe vota la sedia episco- pale di Pesaro si recò egli di persona alla stanza del povero capucclno, e volgendosi a lui con salutevole cenno : « Buona novella gli disse. » A cui il Luini : « Che grazia è questa che il santo padre mi degni di sua presenza con tanta bontà! » E Pio VI sedendosi sulla sponda del disagiato letticello, e comandando al Luini i6o Letteratura gli stesse seduto al fianco, pose la sua mano a quella di lui, e gli disse: « Yoi siete vescovo di Pesaro. » E certo è che se al Luini fosse durata la vita, a Pio e alla cliiesa la tranquillità e la pace, noi avremmo veduto il Luini onorato della porpora , illusti'are il collegio de'cardinali. Ma non piacque a Dio, che vo- leva punire le colpe nostre. Venne adunque il Luini alla sua sede il primo di maggio del i^BS: e appe- na giuntovi salì sul pergamo, e vi tenne un omelia degna invero del Crisostomo, dalle parole del quale aveva prese le mosse. E qui metterebbe assai bene il tenei'e il novei'o delle opere fatte da monsignor Luini a prò del suo gregge, qui ad una toccare delle splen- dide e gravi omelie, con che egli usava evangelizza- re il diletto suo popolo; ed io volentieri mi tratter- rei a lungo in tali ragionari , se breve non fosse il tempo a me concesso, se non temessi abusare della vostra pazienza. Me ne passerò adunque , e vi pre- gherò a recarvi a mano il volume delle omelie di lui, che furono stampate prima in Milano , poi in più copia in Roma : e in quelle vedrete non solo l'uomo eloquente, ma sì bene il zelante pastore. E per amore di brevità mi tacerò pure del mirabile suo zelo per le cose di Dio, zelo santo e mosso da ca- rità, non avventato, non furioso. Irreprensibile egli in ogni sua azione, cercava avere irreprensibile il suo gregge; la prudenza guidava i suol passi, e non po- tendo togliere il male , almeno cercava infrenarlo e cessai-e lo scandalo. E sebbene in que'tempi germo- gliassero per tutto i principii di quella politica, che doveva trabalzare troni, insanguinarli, conlaminarli, tuttavia non mai volle il Luini perseguitare gli uo- mini, ma solo a lutto potere ])rese a combattere quel- Elogio di monsig. Luini i6i le massime pericolose; ne con altre armi volle vin- cere che colle armi della carità. Conosceva che gli uomini per soverchio rigore s'irritano , per dolcezza si ammansano; da violenza nascere violenza , amore da amore ; e quindi con amore soltanto si studiava di reggere e procurare la mistica sua greggia. Quale sollecitudine si prendesse poi degli studi, e di quel- la gioventù che deve servire alla chiesa , abbastan- za il dimostrano i fatti senza uopo delle mie pa- role. La fabbrica del seminario era ruinosa, cadente, e non poteva più bastare al bisogno. Monsignor Bar- santi suo antecessore aveva conosciuto che si conve- niva riparare, e vi aveva cominciato a porre l'animo: ma la morte interruppe il suo buon volere. Il Luini vide le savie mire del suo antecessore : e sebbene mancasse di mezzi opportuni all' opera , egli senza smarrire l'intraprese, e fé dalle fondamenta innalzare quel comodo grandioso edificio che ora veggiamo, va- lendosi molto in ciò del consiglio e del sapere di quel sommo che fu il canonico Lazzarini, architetto e pittore tra' primi del suo tempo, non meno che gentile poeta. Né pago di questo, in breve fece sì che prendesse grido di buon convitto; e chiamando d'ogni parte, anche con grave dispendio, professori acconci all'istruzione de'giovani, ottenne che di tutte le pro- vinole dello stato accorressero giovani per essere am- messi o al convitto o almeno alle scuole. Della qual cosa egli molto compiacevasi, e sovente ivi si recava, e in luogo di amici si aveva i benemeriti professori, in luogo di figliuoli que'dabben giovinetti (i). Che non è a dire quanto il Luini si compiacesse della gioventù costumata e studiosa, e quanto gli fosse ca- ro avere sempre intorno a sé alcuno de'più distinti CA.T.XCL ,1 iGa Letteratura ingegni. Io ne chiamo in testimonio non pochi che pur vivono, e che furono da lui careggiati, confortati, istruiti: e voi principalmente chiamo, illustrìssimo e reverendissimo signor deputato (2), che qui della pre- senza vostra mi onorate, e tanto innanzi foste nella grazia di lui , e che quasi aveste da lui il primo latte della vera eloquenza; di quella eloquenza che vi rese ammirabile, e quando la moltitudine conci- tata chiamavate a tranquillità e a concordia civile ; e quando in nome della religione cessavate, ministro del Dio di pace, i cittadini tumulti; e quando chia- mavate il popolo a ringraziare al santo nostro pro- teggitore dell' avere tutelata questa città dal furore delle armi straniere. Anzi chiamo in testimonio quelli che voi ed il Luini udirono; e so bene che tutti ad una voce diranno voi vero erede dell'eloquenza ro- busta di quell'eloqueutissimo. Che se alcuno lamen- terà, che voi non abbiate voluto far copia alle let- tere di quelle vostre vigorose orazioni, io sorgerò a vostra difesa , si che almeno non sopra di voi , ma sulla fortuna che a' buoni studi è sempre molesta , tutta la colpa ricada. Certamente se il Luini non fosse stalo , molti ingegni o si sarebbero perduti , o non avrebbero spiegato tant'alto le penne. Conciossiacchè non è a dire quanto valga il cuor di un pastore amo- roso, che vuole incoraggiati e sollevati gli studi; in- cuora e premia la gioventù; tal che non dubiterei af- fermare , la gloria di che va chiara questa città , la quale si fece quasi proprio il nome di Atene ^ esse- re a gran parte derivata dalle cure di monsignor Lui- ni. Il quale, se gli fosse bastala la vita , ben altre cose e degne di lui e del suo grande animo avreb- be fatto. Ben è certo, che se solo di pochi anni aves- Elogio di monsig. Luini i63 se sorvivuto, noi ora vedremmo sorgere più maestoso il maggior tempio, e in bella architettura mostrarsi, e richiamare lo sguardo e l'ammirazione di tutti. A- veva pur anche in mente di accrescere il numero delle pari-occhie, e ad ognuna dar chiese capaci della popolazione, recare utili riforme , e per cjuanto era da lui felicitare la sua greggia , ed onorare la no- stra città : e dir soleva talvolta a quelli che gli era- no intorno, e voi vel sapete, signor canonico Coli: « Pregate Iddio che mi lasci la vita, ed io la spen- derò tutta a vostro bene. » Ma colei che interrom- pe ogni laudata opera , e lascia vivere chi non sa usar della vita, e ferisce chi a bene degli uomini se ne vale, assaliva il Luini: il quale, non ancora giun- to a molta vecchiezza, chiudeva gli occhi nella pace del Signore in Gradara, dov'egli si era recato alla sa- cra visita. Egli moriva nel convento de'suoi fralelli cappuccini: e quivi più tranquillamente, perchè nella santa povertà a cui giovinetto si era dedicato , finiva la sua carriera, non lunga, se miri agli anni che non andavano sopra i sessantacinque, lunghissima se guar- di alle opere. Io so che egli passava di questo mon- do nella soavità del bacio di Dio: e so pure che egli a quando a quando volgeva gli occhi, e più che gli occhi il cuore, alla sua diletta Pesaro: e pregava Id- dio , perchè piovesse sopra di lei ogni benedizione , salvasse il suo popolo, e lo crescesse in ogni prospe- rità. E credo, e forse nel creder mio non erro, che egli nelle ultime voci avrebbe detto : « Miei pesa- resi, ne'clnque soli anni, che fui vostro pastore, ebbi sempre a lodarmi di voi: mantenetevi in questa vo- stra bontà, venerate e tenete viva la religione de'vo- stri padri , serbate memoria di me, e fatemi pietosa i64 Letteratura la misericordia di Dio colle vostre preghiere. Ne di- menticate che io vi amai; e voi pure seguite ad amar- mi ; che io dal mondo di là ve ne darò ricambio. E ben mi amerete, se le opere da me poste, cresce- rete in onore; animerete quegli studi, a cui ebbi tutto Fanimo; acquisterete grido maggiore al mio diletto se- minario. Forse verrà dopo me pastore più degno, for- se ...» E qui rompevagli la parola Testremo sospiro. Il giorno, in cui egli passò di questa vita, fu il terzo di settembre del 1 790. Il suo cadavere fu por- tato in Pesaro, ov'ebbe universale compianto ed ono- re di esequie nella chiesa cattedrale: e poscia fu tra- sportato di notte nella chiesa dei padri cappuccini, secondo che egli aveva ordinato (3), ed ivi sepolto. Avventurata Pesaro, che puoi vantarti di avere avuto tale pontefice! Avventuratissima, se questo no- vello tuo pastore, all' esempio di lui componendosi, cercherà di compiere le opere incominciate dal Luini, e di adeguarne la bontà e la gloria (4) 5 ANNOTAZIONI (i) Nella sala del venerabile seminario fu fatta porre a pe- renne memoria l'immagine di lui in un dipinto somigliantissimo al vero: e sotto Timmagiae fu fatta scolpire in marmo la seguen- te epigrafe: lOSEPHO. MARIAE. LVVINtO. LVGANENSI EX. ORDINE. CAPVCCIIiORVM. EPISCOPO. PISAVRENSI QVOD. CLERI. SEMINARIVM FATISCENTIBVS. MVRIS. PENE. INHOSPITVM ET. ANGVSTIAE. SITVS. INCOMMODVM AVCTA. AREA. MAGNIFICENTISSIME. SOLO. RESTITVERIT DATIS. LEGIBVS. MENSAM. ET. SCHOLAS. AMPLIAVERIT SACERDOTIVM. ASCENTERIVM. INSTRVXERIT CVRATORES. A. S. CIoIoCCXC ^ Elogio di monsig. Lumi i65 (2) L'illustrissimo e reverendissimo sig. canonico don Anto- nio Coli. (3) Sulla pietra sepolcrale, posta nel pavimento in mezzo della chiesa dei cappuccini, si legge questa epigrafe in marmo di Carrara. A ^ Q lOSEPHO. MARUE. LVVINIO. LVGANENSl SODALI. CAPVCCINO VERBI. DEI. PRAKeONI APVD. CLEMENTEM. XIV. ET. PIVM. VI. PP. MM. EPISCOPO . PISAVRENSI PIETATE. DOCTRINA. ET. ELOQVENTIA. SINGVLARI PATRI. EGENO RVM VIXIT. A. LXV. M. V. D. VII SEDIT. IN. PONFIF. CATHEDRA. A. V. M. V. D. XIX MORITVR. IN. LVSTRANDA. DIOEGESI. GRADARIAK APVD. SVOS. SODALES. III. NON. 8EPT. CIoIdGCXG KAROLVS. FRANCISGVS. ET. ANTON. MARIA FRATRI. AMANTISSIMO. HIC. IN. PACE. QVIESCENTI CVM. LACRIMIS. P. C (4) Mi confesso debitore di molte delle notizie, che qui ho raccolte , alla gentilezza del sig. canonico Coli e di altri egregi ecclesiastici pesaresi, che ben conobbero monsignor Luini. Delle più recondite poi ho debito sommo alla benignità del reveren- dissimo padre Eugenio da Rumelly generale de'cappuccini. i66 ■Tstssn^KmasSBnBB Il sepolcro dei J^olunni scoperto in Perugia nel febbraio del 1840, e<^ altri monumenti inediti etruschi e romani da far seguito alle iscri-' zioni perugine pubblicate nella seconda edi- zione negli anni 1 833-1 834, esposti da Gio. Battista y^ermisrlioli cavaliere delV ordine di o Cristo ec. ec. 4- Perugia^ tipografia BartelU. ( Un voi. di pag, 60 con IX tavole in rame.) M.\ sepolcro de'Volunnl, scoperto in Perugia il 9 feb- braio 1840, è un altro monumento da aggiungersi a' fasti della storia etrusca. Ha esso meritato l'attenzio- ne de'dotti e degli artisti di tutta Italia : degli uni richiamandone gli studi , la perizia delle lingue , la conoscenza della storia, afflnchè lo pubblicassero e lo assegnassero a quella classe di monumenti che più onorano questa terra italiana : degli altri l'osservanza più accurata per vederne la mirabile distribuzione delle parti, la proporzione e l'armonia che risulta nel tutto, il genio, l'espressione, il disegno. Allorquando tu scendi entro questa abitazione de'morti, in mezzo al silenzio ed al riposo generale ti senti quasi pieno d'una qualche cosa di sacro, di santo : ti si risveglia un sentimento solenne religio- so ; imperocché d'ogni parie ti si annunzia la santi- tà del luogo, la pace degli estinti: d'ogni parte ti si infonde la religione de'sepolcri. Come all'entrare ne* templi cristiani del medio evo, tutto ti svolge pietà e divozione, tutto ti rivela che quello è l'albergo di Sepolcro dei Volunni 167 Dio. Tanto era in quegli antichi l'arte e la scienza neir esprimere l' idea del luogo, la sublime filosofia della religione ! Per il che bea era degno che fosse conosciuto queslo monumento: ed il chiarissimo sig. cav. Gio. Battista Vermiglioli, oltre al beneficio d'averne pub- blicati i disegni di tutte le parti, ne ha anche data esatta descrizione con una interpretazione de'simboli e delle epigrafi. Noi leggemmo avidamente il suo scritto, sapendo quanto vaglia il sig. cav. in fatto di cose etrusche; ne ammirammo la vasta ed immensa copia d'erudizione, la sagacità de'pensamenti, la saviezza de'giudizi : e sen- za rigettare in conto alcuno quanto egli opinava: sen- za parere di volerci opporre ad uomo di tanto me- rito (imperocché qui, se non le formali parole, il sen- so e il modo di svolgerlo riferiamo , di quanto in Roma per lettera particolare ne scrivevamo al coltis- simo signor marchese Baldovino Barnabò nel marzo del 1840): e senza in fine pretendere di aver dato nel segno, noi proponiamo qualche nostra osservazio- ne sulla epigrafe della porta d'ingresso al sepolcro , come la più lunga e la più interessante a motivo di una voce , che fin qui non si vede ripetuta in altro luogo : e lasciando le altre annesse a' sarcofa- ghi , le quali basta leggere per comprenderle, giac- che esprimono il nome e le attenenze del defunto. Ecco intanto per intero l'epigrafe : i68 Letteratura La prima voce è senza dublo un prenome: né fa d'uopo addurne qui degli esempi, trovandosene a dovizia nelle raccolte. Qualche difficoltà ci può muo- vere la seconda, la quale pare che generalmente fos- se usata parimenti come prenome; e noi non saprem- mo asserire se debba prendersi assolutamente per un nome: al che la necessità forse potrebbe farci incli- nare, e Perugia non manca di simili lapidi: come in ^au'iaq . li . fììAmqvo . \a:> . va E i titoli funebri, riferiti nel Lanzi con doppio pre- nome , possono farci credere che il secondo servisse talora di nome. Il cognome della nobile famiglia, a cui apparte- neva l'intero ipogeo, lo leggiamo nella ultima della prima linea. Esso è scritto FELIMINA^ , mutata la e in o, come in K10/143II per Folaterrae^ ed in delor , helus, hemo, ec. che Festo e Nonio citano invece di dolor j holus, homo; e la I in U perchè « jy, i et u certis in locis eumdem sonum habent. » ( Prisc. lib. I, e. 2 ): e data l'ausiliare ?, togliendo l'apocope della s finale, si riduce a VOLUMNIA; le- zione che altri monumenti ci confermano, e che esi- ge l'altra bilingue d'un'urnetta trovata nell'istesso se- polcro, e che amiamo qui riferire : Miimnj.vai mmui^.nvn P . VOLVMNIVS . A . F . VIOLENS CAFATIA . NATVS E la prima scolpita nella parte superiore dell'umetta Sepolcro dei Voltjnni 169 marmorea, che guarda il cielo ; l'altra nell'architra- ve del prospetto principale di essa. Qui non vogliamo tralasciare di dire, esser questo un altro monumento bilingue, che esattamente si corrisponde: a meno della voce yìolens , cognome che non sapremmo asserire se possa appartenergli come aggiunto della moglie , mancandone altri esempi almeno chiari e distinta. Tra'greci si usò talora, ed uno ne abbiamo in Grutero ( pag. 1042 ); e Perugia ci fornisce esempi di tal vo- ce esistenti in lapide. L'etrusco poi pare che si pos- sa rendere ; PFBLiyS FOLFMNIVS AVLl {fll.) CAFATlA NATVS. Da un'Aronia, ovvero da un Arunte, nacque egli; perchè è terminata in al la prima parte dell'altra li- nea, indizio sì di matrimonio e si di patronimico. Saltando ora a pie pari all'ultimo verso, trovia- mo in esso la solenne formola di dedica e di salute. SVTHIA>«IL, voce del lutto sepolcrale, si trova in altri monumenti con poca diversità : noi la potrem- mo dividere in suthi^ acil', ma non rendendo forse niun significato la voce acil, se pure non se ne vo- lesse trarre uno in qualche modo analogo in yjhxtcx. ( aevitas ) lolla 1' epentesi nella Z come in jnSli", e che potrebbe convenire al contesto delFiscrizione; Tincurla sovente dell'artefice , appartenente a classe di uomini non sempre i più istruiti, ci muove a leg- gere JO/I» scambiato il digamma colico in >». Facendoci noi a rintracciare la radicale di que- sta voce, potremmo trovarla in «jqv, onde gli eoli fe- cero a«Fcov, i Ialini aevum, gli etruschi aivis o sìmil vocabolo; ovvero in ùìàccg ( aeternus ) tolta la t/, di tyo Letteratura cui mancavano questi popoli, e che dalla volgare pro- nuncia potè sì facilmente esser convertita in V. E per avvicinarci anche di più a noi, ne pare di scorgere in quella la radicale di vita, vitalità, vivere ; e nelle dodici tavole ( ap. Geli. lib. XX, e. i ) troviamo ai- vitatis in luogo di aetatis o di aevitatis', voci tutte che applicate, per esempio, all'epigrafe d'un'urna di pietra del museo Guarnacci : AXT , Jiq . jH/q ... j: Vltaq? . Z possono darne un significato consimile, volgendola Sex. J^ettius Lart.Jil. j4evitatis ( o vitae ) an. LXV. Dietro di che probabilmente quella voce si può ridurre ad AIVIL, ovvero AlVILI, formola colla quale portiamo opinione che si abbia voluto esprimere la durazione della salute stessa, come quella che proveni- va da lunga tradizione religiosa e convalidata dalle massime della religione medesima. Linguaggio tale non fu ignoto agli antichi , e Grutero e Muratori hanno Feliciti aeternae : Securitati aeternae. E per dir qualche cosa sulla voce Suthi, che il dotto Lanzi con somma perizia di lingua faceva derivare dal gre- co 2roTvj/5ja> Saliis, e che si legge perfino nell'iscri- zione palmirena : vnÈp aoìv/joioc^ avrov etc, e ne'mo- numenti etruschi talvolta scritta SUTHI, SVTHVR, lasciata in tronco siccome platur e thucer, e SVT- HIL con maggior vicinanza della voce tolta ad esa- minare, di cui sembra un contratto; essa ci racchiu- de ed esprime il fine, per cui si costruivano i sepol- cri. Tanto ci ricorda la religione e l'usanza degli an- tichi. Infatti Virgilio, uno de'più scrupolosi ed esatti raccoglitori delle vecchie religioni italiche, allorquan- Sepolcro dei Volunni 17 1 tìo si fa a descrivere la morte di Palinuro caduto nel mare, ci narra che Enea, prima di varcare la palu- de slieia, scoree di mezzo alla folta turha delle om- bre spingersi innanzi quella di Palinuro, raccontar- gli piangendo il mesto caso, e pregarlo che in qual- che modo il seppellisse*, così concludendo la sua pre- ghiera : Quod te per caeli ìucundum lumen et auraSy Per genitorem oro, per spem surgentis lidi: Eripe me his, invicte, malis: aut tu mihi terram- Iniice, namque potes; portusque require velinos. Sedibus ut sàltem placidis in morte quiescam. Il qual passo è così commentato dal p. Carlo Rueo: Terram iniice : genus erat sepulturae , iniectio glebae, eum qitis in cadcwer incidisset : idque in^ sepidtum relinquere nefas habebatur, quod por' cae sacrijicio erat expiandum. Idem iniiciendi mos etiam graecis fuit. Poiché gl'insepolti non po- tevano altrimenti essere ammessi al varco del fiume, e quindi locati negli elisi: Nec ripas datur horrendas, nec rauca Jluenta Transportare prius, quam sedibus ossa quierunt. Centum errant annos volitantque haec littora circum. E bene Palinuro il sapeva, da che Virgilio fa parlare la religione stessa per bocca della sibilla : la quale sentendo ch'egli s'affidava di poter traglietlare il fiume 172 Letteratura con l'aiuto e la protezione dell'eroe, glie ne esclu- de ogni altro mezzo, facendo vedere nell'istesso tem- po la necessità della religione de'sepolcri, e con ac- centi di maraviglia si fa ad esclamare : Unde haec, o Palinurey tihi tam dira cupido ? Tu stygias inhumatus aquas amnemque severum Eumenidum aspicies ? Il dotto Lanzi, facendosi ad interpretare la voce TE- CE della statua di Metello, con sommo magistero e verità vi discopriva 1' £$>j/s de'greci, che potè facil- mente convertirsi in lece togliendo la e in princi- pio, come fu proprio anche del dialetto ionico ; ed a noi pare poterne scorgere la radicale nel dicare de' latini , scambiando nell' affine t \a. d mancante nell'etrusco, e 1' i in e. Imperocché : Propter co- gnitionem 1 et E non dubitarunt antiqui et heri et here dicere , mane et mani , ve spere et v esperi ( Donat. in Ter. Phorm. act. I, se. i ); e in Festo me e mi invece di m//ij:?ne'versi saliari Eano e la- no', e scrivendosi anche mius, mircurius ^ commir- cium, ec. ( Lanzi tom. I, p. 96 ). Il perfetto del di- care si scorge esser tece, come il fere della istatua todina equivalente a fecit scoperto con somma saga, cita e criterio del eh. sig. avvocato De-Minicis. Le urne della famiglia Antharia , che hanno la doppia TH (CD) nelle epigrafi, ci possono far credere che ta- lora s' usasse quella lettera invece del semplice T; giacche CD e 0 avevano lo stesso valore: e troviamo ancora tanto flO/1 ». ^^^nto fi'Yfl. Se non c'ingannammo con le nostre congettu- re, dal fin (jui detto ne pare poter raccogliere, che Sepolcro dei Voltjnni 178 in quell' epigrafe venga espresso il nome di Arunte Volunnio, la formola solenne di dedica e la ragione dell'erezione Ma di clie ? Forse del monu- mento, del sepolcro ? Ma non era egli superfluo no- minar ciò, che di per se faceva mostra , esposto alla pubblica veduta ? Non era ciò andar contro lo stile lapidario ? Vediamo prima d'ogni altra cosa qual significato possa ragionevolmente darsi alla parola THVSIVR: dopo di che ci occuperemo delle proposteci difficol- tà. E per procedere con un qualche ordine comin- ceremo dal dividere quella voce in TV ( ov. thu ) SIVR, avendo già prima veduto che il T si mutò ta- lora in TH. Il dotto Lanzi nota qualche traccia di antico articolo su questa lingua « specialmente in vo- ci, che cominciano da i' o da 0 ( Lanzi tom. I, §. a3o ) : tali lettere, che sono talora epitettiche, pos- sono altre volte considerarsi come residui di articolo ». Lo vide già egli nel Mercurio coperto di petaso e te- nente il caduceo, in patera del museo kircheriano ; che ha ^Jl^'vl Vt» che sciolse in to' "E/o^avj? ; e simil- mente le voci Thana, Tunur, Turan, Tular ne ag- giungono delle prove. Venendo al SIVR osserviamo che, dovendo stare alla pronuncia, la i posta innanzi all'w ne modifica il suono in guisa da uscire in u largo equivalente in qualche modo all'o stretto: ed allora si ridurreb- be a SOR. Ma considerando che 1' I può essere ri- dondante nel mezzo delle voci etrusche , come in 3I^/13I^j1141, cresce la probabilità del nostro asser- to osservando con Prisciano che: « O aliqiiot Italiae civìtates, teste Plinio, non habebant: sed loco eius ponebant V^ et maxime umbri et thusci. » 1-74 Letteratura Ora 2op6gi secondo che avverte Suida, saria Zo- cuSy cioè la nicchia scavata nel sasso per collocarvi le urnette e i sarcofaghi , che perciò si chiamano èvaópix ( vedi Lanzi, Sag. ec. tom. II, p. 890 e seg. alla voce liipu ). Né potrehhe far grande ostacolo la parola lasciata così tronca nel fine in una lingua in- costante e non soggetta a regole grammaticali : seb- bene, come ottimamente avverte il citato autore (tom. I, pag. 281, n. 3) alla voce TVLAR : « Oliar in tali lapidi è locus ubi ollae stani; siccome Bo&tar^ locus uhi boves stant ( Glos, Isid. ); così da lupa (Awajva) e da columba formarono i latini lupanar et columbar; e come questo dicesi ancora colum- barium^ così potè dirsi oliar e ollarium. » Ai quali esempi del dottissimo autore ardiremo aggiungere tu~ siur e tusiurium. Che se noi vogliamo tirare anche più innanzi le nostre indagini, troviamo che la S equivale talora ad aspirazione come in nI^ V^AIS ( ;)(;<5a?g ) 13H<3~ 3 141^ V HI {Hormitiana ), aBffccHcoy , e così anche TVHIVR. Gli etruschi non ebbero la G: e pare che talora per la gutturale aspra, come in mihi^ nihil^ usassero l'H, 33/1tQV, .^^1MtQ3^, ee V9I38; e per un suono piìi dolce probabilmente l'S, lette- ra che anche : Obscuratur et tantum aliqua inter duas vocales nota est, ne ipsae cocant ( Quintil. lib. IX, cap. 4 ) ! e gli etruschi potettero pronun- ziarla forse tuhiur o tufiur. Veda ora altri se, ter- minata quella voce secondo que'vecchi dialetti, vi po- tesse scorgere l'italico tugurio: voce che può equi- valere quasi a caverna o spelonca scavata con qual- che disegno e artificio, e che ci richiama l'idea d'uà luogo solitario, ove solo hanno stanza le tenebre, il silenzio e la pace. Sepolcro dei Volunni lyS Checche si possa dire in contrario a ciò, egli è certo che ora non sappiamo cui propriamente ed e- sclusivaraente possa questa voce appartenere, e gene- ralmente l'adoperiamo a nominare una cella qualun- que, ove quelle principali caratteristiche si verifichino. Che se taluno poi volesse scorgere nella stessa pa- rola tiLgwio una stanza costruita a guisa di capan- na, della forma esteriore simile ad un triangolo so- vrapposto ad un rettangolo , e il cui coperto eleva- to nel mezzo e inclinato ai lati è retto da piccoli travi o assicelle ; tale appunto , vogliamo allora ag- giungere, esser la forma interna del nostro sepolcro, nel quale si vollero eziandio disegnare e intagliare nel tufo a tutto rilievo i travi che fan mostra di so- stenerne il lacunare. Cresce inoltre la probabilità del nostro asserto , se ci facciamo ad osservare, che non ogni città ebbe il sepolcreto scavato sotterra a foggia di camere ; e che tale usanza in seguito venne affatto meno da per tutto, perdendosi il vero ed unico significato della parola, la quale forse dovette essere generica, sicco- me speciale fu quella di oliarlo, columbario, cine- rario. Maniere tutte diverse e piìi comuni di sep- pellire i morti, a noi perciò meglio ricordate che i tuguri. Rimane ora a vedere se ne'monumenti, special- mente sepolcrali, s'usava talora porre la voce che gli esprimevano. Ma chi non sa, che questo era comune presso gli antichi, e che di es&mpi consimili a do- vizia ce ne possono fornire le raccolte d'iscrizioni ? In Cori ( tom. Ili, p. i34 ) abbiamo Ossuarium. Cn, u4cceii. Cn. L. Felicis. In un vaso di creta nella bibliot. vaticana è scritto OLRES, oliar e:^ in urna iy5 Letteratura di Chiusi letta dal Lanzi si ha Lartis Velcioli V^i- bennia N. Cinerarium. Ed a convalidar maggiormen- te il nostro asserto osserva il citato autore ( tom. II, p. 38B, §. XV ) che in molte grandi pietre, ch'un di furono usci di sepolcri, è ripetuta la voce TVLA.R. Simile usanza pare che fosse anche di rito: ed in una delle goriane abhiamo : Superposito. Titillo. Super. Ostium.Y, poco dissomlgliante dalla nostra iscri- zione è quella riportata dal Fabretti : a Haec. Ae- difìcia. Propria. Comparata. Facta. Dicataque. Sunt. Monumenti. Sive. Sepulcrum. Est. Et. Olla- rum. Quae. In. His. Aedifìciis. Insunt. Et. Con- secratae. Sunt. ReUgionisque. Earum. Causa. A. C. Cominio. Syniphoro etc. » Ne è fuori di pro- posito il notare qui, che anche presso noi per uso co- stante si scrisse templum^ coemeterium, sepulcrum sopra le porte loro d' ingresso. Non sembra dunque contrario allo stile epigrafico il nominare tal volta il monumento medesimo. E poi notabile nella iscrizione, di cui ci occu- piamo, il vederla scolpita non già in fronte, ma nella spalla interna della porta: di modo che chiudendone una pietra l'uscio, diveniva essa affatto invisibile. E sembrerebbe forse necessità che esteriormente, se ne fosse espresso segno, onde il viandante, conosciuto es- ser quello un sepolcro, fosse per augurar pace e ri- poso eterno ai trapassati. Come spesso rilevasi essere stati a bella posta e a tale unico scopo monumenti sepolcrali lungo le vie edificati; e come di frequente ritrovansi con formole che il pio invitavano a ripete- re : « J^ale, - Set tihi terra levis. » Ma nel nostro monumento, scavato al sud del colle, non si rendciva* osservabile che un piccolo foro o Sepolcro dei Volunni 177 cavo verticale fatto sulla costa di esso, ed una gran pietra collocata sull'uscio che ne impediva l'ingresso e la vista. Di quanto non dovrebbe tutto questo richiama- re la nostra attenzione ? Di quante ricerche non ci farebbe ragione ? Ma noi nella povertà delle nostre cognizioni non abbiamo che rispondere a queste dif- ficoltà: se pure non ne volessimo forse trovare una soluzione col porci ad osservare, che il luogo ove fu discoperto è distante dalla pubblica via una buona metà d'un miglio: e porzione della plaga di quel col- le veniva destinata a conservare le ceneri de'morti, ad essere il sepolcreto o necropoli perugina ; però che allora non dee far maraviglia se non vi ha altra nota più distinta d'ipogei, giacche ognuno a bell'agio poteva andare a pregare per le anime de'suoi nel co- mune cimiterio e al proprio sepolcro, che facilmen- te dovea dagli altri distinguere : cimiterio o sepol- creto, di cui fan fede le scoperte fatte in altri tempi nell'istesso colle di molte urne e camere rovinate e guaste. E se non istabillronsi in vicinanza alla pubblio ca via , fu forse a comodità e a decenza maggiore del luogo, per non esporre la santità di esso alla ir- riverenza e sovente alla pubblica ingiuria; e d'altron- de il pio, richiamato colà dalla religione non meno, che dalla celebrità di esso, vi ci si poteva facilmente condurre ad ammirarne l'ordine, il numero, la son- tuosità, e insieme pregar pace e salute per le anime di quei sepolti. Ed a meglio comprovare che Perugia ebbe fa- moso sepolcreto, fa mirabilmente al caso nostro un passo di Properzio. Di quel Properzio che, sebbene G.A.T.XCI. 12 178 Letteratura abbia con linguaggio tutto poetico indicata la patria sua , ha nel parlare dei sepolcri perugini fatta direi pompa d'esattezza storica. Dissi linguaggio poetico, e non enigmatico, come a taluni è parso: giacché ci sem- bra che con quei famosi versi : Scandentes si quis cernei de vallibus arces, Jngenio muros aestimet ille meo', abbia ben precisato che sopra il colle che divide le due valli e dove, come fu ben da altri congetturato, sorgeva un dì antica città, traesse i natali. Tanto più che altrove dice : Umbria te notis antiqua penatibus edit Scandentisque axis consurgit vertice mariiSy Murus ab ingenio notior ille tuo. Checché però sia della patria del latino Callima- co, e del modo con cui egli volle indicarla , ecco com'egli si esprime in proposito dei perugini sepolcri: QualiSi et unde genus, qui sint mihi^ Tulle, parentes Quaeris prò nostra semper amicitia. Si perusina tibi patriae sunt nota sepulcra Italiae duris funera temporibus, Cum romana suos egit discordia civesj Proxima supposìto contingens Umbria campo. Me genuit, terris fertilis uberibus. Sepolcro dei Volunni 1179 La celebrità di tali sepolcri dispensava per av- ventura quello di Volumnlo da ogni esterna dimo- strazione, bastando per esso l'esser posto nel luogo già dedicato ai trapassati , e di far parte del pubbli- co cimiterio. Raccogliendo quanto sopra dicemmo, a noi pare cbe nella epigrafe, di cui ci occupavamo, possa scor- gersi un senso equivalente a questo : ARVNS • LARS • TOLVMNIVS ARVNTIS • ov: ARONIAE • F • HOC • SEPVLCRVM PRO • SALVIE • IN • AEVVM • ov: aeterna DICAVIT Noi procurammo seguire sull'interpretazione del- l'epìgrafe le vie già segnate dai maestri di questa dif- ficile arte; chiamando in sussidio il greco, e con più di propensione e di avidità quel cbe ne rimane del- l'antico latino 0 dell'italico : lingue le quali ci pos- sono conservare, a preferenza delle altre, le voci di queste vecchie epigrafi, che potrebbero per avventura scoprirsi radicali di quelle de'dialetti parlati, ove i mo- numenti si rinvennero : bene avvertiti del rimprovero che ci fanno gli stranieri, e che noi vogliamo nota- re, onde non ci si abbia a far carico di novità : rim- provero che resta formolato in quelle parole che in un passo delle tavole eugubine scrisse il celebre Cham- pollion: « Lanzi non ebbe ricorso che ad una sola pa- rola greca, ma di rado è così sobrio di questi soc- corsi ( ved. il suo compendio d'archeologia alla pag. iSy. » Si veda anche il Mazzoldi (Delle origini ita- liche pag. ii5, 261 e seg. ed altrove). i8o Letteratura Con tulio ciò noi non intendiamo aver fatto die un semplice tentativo: sul valore del quale ri- mettiamo il giudizio a coloro che delle cose etruscha più di noi s'occuparono e sanno. Bernabdino Bartolo ni Bocci di Foligno. I. Ragionamento di Antonio F'esi intorno ai veri confini di Romagna. Faenza^ per Montanari e Marabini 1841» in 8, di pag. 35. II. Di una strana opinione del signor Sisniondo- Sismondi nella sua storia delle repubbliche italiane intorno al popolo di Romagna. Apo- logia composta da Antonio f^esi cesenate. Ivi idem di pag. 84. I.^Lr uando gli etrusci varcarono Tapennino per dila- tare il dominio e la civiltà, tutto il paese dallo Scul- tenna al Rubicone fu detto Felsina. E questo il pri~ mo nome che trovasi dato alla nostra regione , po- sta Tra 7 Po e 7 monte e la marina e 'Z Reno, per dirlo con Dante: e la sua lunghezza si fu : .^ Bo~ nonia usque post Ariminum: per dirlo con Annio viterbese ne'suoi comenti a Sempronio. I vecchi do- minatori furono cacciati dai nuovi, cioè dai galli boi: onde fu la Gallia cispadana disgiunta dalla transpa- dana pel fiume Scultenna e pel Po sino al Rubico- ne. Ai galli successero i romani , dai quali avendo gli abitanti preso costume e favella, e la toga altresì, Opuscoli del Vesi i8i Gallta togata sì disse questa nostra regione : e dalle strade poscia, secondo Paolo Diacono, una parte fu detta Flaminia , un' altra Emilia. Quest'ultima fin oltre lo Scultenna estendevasl. Posciachè Costantin Vaquila volse, Contra il corso del sol .... ministri greci dalla sede dell' impero d' occidente vennero a reggere col nome di esarclii il paese, che di Roma- gna ebbe nome in memoria dell'antica denominazio- ne, quando l'altra parte d' Italia , che ubbidiva alla nuova de'longobardi, fu delta Lombardia, Ma può cader dubbio se dell'esarcato facessero parte Bologna e Ferrara. Lo afferma il Vesi, mentre i confini del dominio longobardico erano fissi tra Mo- dena e Bologna col fiume Scultenna , come afferma il Muratori e que' che scrissero de' longobardi. Così sembra certo all'autore, che tragge innanzi l'autorità di Agnello, il quale al secolo IX scrisse degli arci- vescovi di Ravenna; quella di papa Adriano vissuto a'iempi di Carlomagno ; e quella del Sigonio. Indi seguendo le condizioni e vicende della le- ga lombarda^ dove ebbero parte Bologna e Ferrara come città di Romagna^ viene l'autore fino alla pa- ce di Costanza, nella quale fu riconosciuta la indi- pendenza e federazione dalle repubbliche italiane : e l'imperatore Federigo ripose nella sua grazia le città di Lombardia, della Marca ^ di Venezia e di Roma- gna. Bologna e Ferrara comprese furono per conse- guenza nella denominazione di Romagna. Seguita no- tando il congresso di Piacenza, dove fé rmavasi la so- cietà di Romagna, coraechè si presentassero allora i rettori soltanto di Bologna e di Faenza. Al tempo del secondo Federigo rinnovossi la le- ga lombarda^ cui aderirono Bologna e Ferrara colla denominazione di Romagna» i82 Letteratura A convalidare il suo assunto di comprendersi costantemente Bologna e Ferrara nella Romagna^ ag- giunge il Vesi altre prove tratte da un diploma di Federigo I a'milanesi, da un altro di Arrigo VI, da un editto di perdono di Federigo li alle città della lega, da altri documenti che il Ghirardacci ed il Ros- si ( storico il primo di Bologna, l'altro di Ravenna ) producono; e dai ravennati monumenti raccolti dal Fantuzzi. Aggiunge conformità di usi e costumi, di agricol- tura, e di dialetti molto più : aggiunge le opinioni di Enea Silvio Piccolomini, di Flavio Biondo, di Pri- sciano, di Gaspare Sardi, del Torsani, del Carrari , del Ripa, del Tonducci, e degli storici bolognesi Ghi- rardacci ed Albenti: e del sommo Alighieri nel XIV del purgatorio (i). Lo stesso Sismondi proclamò Bo- logna per la più ragguardevole città della provin- cia d'Emilia: e l'Amati ( Basilio ) ed il Fabbri ten- nero i larghi confini di Romagna abbracciare Bolo- gna e Ferrara. Vero è che per la divisione territo- riale altra è la provincia di Bologna, altra quella di Ferrara, altra di Ravenna, ed altra di Forlì: e prima del 1796 tre erano le legazioni, di Bologna, di Fer- (i) La Guida geografica di Lodovico Passerone [Bologna 1674 ps'" GiO' Recaldini )a pag. i56 e seg. comprende nell'^wtj- lia anche i ducati di Parma e Modena, poi la Romagna ( Gallia togata): alla quale dà confini il mare adriatico , 1' apennino , la marca d'Ancona, il ducato di Modena e il Po ; e nomina in essa Bologna, Ferrara, Ravenna, Imola, Faenza, Forlì, Cervia, Cese- na, Rimino e s. Marino. Vedasi concorde il Macchesi nel libro intitolato: Monumenta virorum ilhistriunt Galliae togatae , olim occidenlalis iniperii sedes : a pag. 2 e segg. Opuscoli del Vesi i83 rara e tli Ravenna : e da quel tempo, infino a que- sta età in cui ci viviamo, mutare si dovettero i ter- mini del civile reggimento , che ora è fisso e tran- quillo nelle quattro legazioni anzidette* Ma ciò non toglie alle ragioni del Vesi : se già non si volesse che basti a levare nome d'Italia al bel paese tra l' Alpi e '1 mare, perchè in vari stati diviso, e perchè toc- cogli vedere ne'grandi travolgimenti, che ben ricor- diamo, il Tebro e l'Arno soggetti alla francese do- minazione perdere, non che altro , il più bel pre- gio, quello della lingua : la quale bandita dalla cu- ria era costretta pe'trivi e per le piazze andar men- dicando quasi schiava in terra straniera, e mostrarsi spogliata degli ornamenti delle arti e della libertà. Ma tutti dicono Italia all'Italia , come dicono venire in Romagna coloro che partendo di Roma si volgono al paese, che giace Tra 7 Po e 'Z monte e la marina e H Reno (i). Ma checché sia dell' opinione dell' autore , che gli eruditi giudicheranno, a noi dee bastare di aver- k (i) Dante, Purg. XIV , pone largii! confini alla Romagna comprendendovi anclie Bologna. Vero è che nel trattalo De vul- gari eloquio al cap. XIV parla De idiomate romandiolorum, e nel seguente Fac'it magnani discussionem de idiomate bononieii- si; ma quest'ultimo capo non è che in continuazione del prece- dente, e dicesi che dagl'imolesl e ferraresi e da'circostanti mode- nesi tolgano qualcosa, e l'aggiungono al proprio loro dialetto. La divisione fa Dante per dialetti, non per provincie: e benché dica di Forlì, essere quasi nel mezzo della provincia (medilulium esse videtur ) parla egli della Romagna inferiore ( Eomandiola) , che va distinta dalla superiore, la quale più si estende. Se Roma- gna è quasi Roma magna, come parve a lalano, Romaniola o Ro- fnandiola , Romagnuola diminutivo , non può non essere parte dell'intera Romagna. iMa ciò meglio sei vegga l'autore. i84 Letteratura la annunciata col meritato favore: con quello che dar non vogliamo che al santo vero. II. E passeremo all'altro opuscolo del Vesi, che sopra accennammo. Desso è contro l'opinione del Si- smondi, che dice perfido e crudele il popolo di Ro- magna laddove narra delle repubbliche italiane. Lun* go sarebbe seguire l'apologista, che mostrasi ben co- noscente delle istorie miserande di que' tempi : nei quali non era luogo d'Italia, dove peifidie e crudeltà non si commettessero. Colpe de'tempi furono quelle, né si avrebbe ragione a dii'le colpe di una nazione. Ora perchè il Sismondi le vuole proprie sì di Roma- gna , che altre città e luoghi d' Italia vituperati da Dante ne siano esenti ? Con quella ragione appunto con cui accusa di viltà Italia tutta, e danna talvol- ta ciò che dannar non si vuole, e loda ciò che non è da lodare, chi porre si voglia allo specchio del ve- ro senza studio di parte e senza passioni. Ma quan- to all'opera di lui sulle repubbliche italiane altri prò* nunciò giudizio: e noi allo storico famoso non vor- remo dar biasimo dove meriti lode , né lode dove meriti biasimo. Quanto alla presente Romagna , se- minata com'è di colte e ricche e popolose città, vi- va Dio non merita il marchio d'infamia, che quello storico le appone ingiustamente : se già alla Grecia, quando fu in fiore di lettere , di arti e di costumi, non si credesse dovuto il titolo di barbara e di sel- vaggia. Quanti vengono a visitare questo beato paese, quanti vi fermano stanza, ponno dire quali siano gli usi, i costumi, le lettere, le arti della Romagna : la quale non sarebbe, qual è, nido di civiltà fiorente a tutti aperto, se vera fosse la strana opinione del Si- Iscrizione di Tufico i8S smonJi, che la dice quasi covile di fiere. Sarebbe co- me un deserto: ed è invece un giardino di o^ni de- lizia, che molti invidiano : e basta ! Prof. D. Vaccouni. Intorno ad un'iscrizione dì Tufico, AL SIGNOR DOTTORE ENRICO C4STRECA BRUNETTI Di Fabriano i8 del i842» XT-li ha goduto sommamente l'animo, che abbiate trovato interessante il decreto già da me pubblicato nel Tiberino ( num. 44 del 1841 (i), e rinvenuto fra le rovine dell'antico Tufico presso questa nostra comu- ne patria Fabriano: ma non vi attendete dalle povere mie annotazioncelle, che vado approntando per pub- blicarle come ho promesso nei successivi numeri di quel giornale, quanto sarebbe disiderabile per illustrar- lo. A voi intanto, che le patrie cose amate quanto altri mai, voglio comunicare una militare iscrizione inedita, trovata pure in quel distrutto municipio nel secolo XVIII, ed ora non più esistente per quante ri- cerche io mi abbia fatte , ma serbata soltanto dai i86 Letteratura monoscritti dei patrii cronisti. Eccovela, come credo potersi leggere ; DM Q. SVBRIVS. T. F. CLVSI ... TRIARIVS XIIII. LEG. ITAL. G. IVL. CAES. IMP. EX. GERM. REDVCTA. IN. DELE CTV. MILIT PICEN. HIC. FATO. CESSIT VEDIA. MR F. B. M. P. C. IDIB. APRIL Dissi, come credo potersi leggere: dacché i cronisti indicati , che sono tre, quantunque concordino per- fettamente nella più parte, presentano tuttavia in due luoghi una varia lezione: avendo il conte Gio. Vec- chio De-Vecchi ( annali fabriane si pag. q4' ) Clussi triarius i don Francesco Carlo Graziosi {^Memorie storiche pag. 60 ) Clus triariiis\ e Guerrieri ( Sto^i ria di Fabriano) Clusatriarius. Ora trovando costan- te la voce triarius, e sapendo noi per molte testimo- nianze, specialmente di Polibio e Varrone, che triarii erano chiamati quei soldati veterani di sperimentato valore, i quali venivano terzi a combattere nell'estremo rischio, ci parve di poter leggere Clusii o Cliisio tria- rius^ cioè che Quinto Subr io figlio di Ji£o, fosse uno di questi valenti, la cui patria era Clusium^ oggi Chiu- si nella provincia di Siena verso i confini del perugino, già tanto celebre nella romana storia, e nelle cui vici- nanze Siila battè gli avanzi dell'esercito di Catone. E tanto più ciò ne parve, in quanto che di rado nelle iscrizioni militari suol mancare la patria, la quale ab- biamo lasciata indeterminata tra la I e la 0, perchè Iscrizione di Tufico 187 in sesto caso non solo, ma ben anche in secondo, seb- bene più raramente ponevasi. Ne questo monumento sepolcrale, come ci prova la sigla Dis manibus^ figlio del materno amore, pare a me che inutile non torni per la storia picena nell'epoca memoranda della civil guerra tra Cesare e Pompeo: giacché ne'famosi com- mentari del primo trovo ricordanza ( De bello civili lib. I, cap. 5, 6, 7, 8 ) di Pesaro, Fano, Ancona, Osimo, Cingoli, Gubbio, Ascoli^ ma non del nostro Tufico: trovo ricordanza della legione XIII che fede- le a quel sommo capitano si avanzò seco lui verso Ri- mini, della XII che si uni ad esso quando recavasi ad Ascoli, ma non già della XIV che dicesi qui richiama- ta dalla Germania per la leva coattiva [in delectu) dei soldati piceni, leva che praticavasi nelle estreme bisogne soltanto della repubblica. Ne può ritenersi che Varo, il quale allora da Osimo pel pompeiano par- tito delectum loto Piceno, circum missis senatori- bus, habebat ( Ivi cap. 7 ), avesse a tal uopo manda- ta a Tufico una qualche coorte della XIV legione; ma sibbene che questo fosse tra quelle, le quali (te- sare, giunto a Rimini, ex hibernis evocai, et subse- qui iubet ( Ivi cap. 6 ); e che siccome in quella cit- tà delectum habere instituit, così Q. Subrio colla sua coorte venisse a Tufico onde proteggervi la leva coattiva per Cesare. Tanto infatti ci assicurano e le parole C. IVL. CAES. IMP., e la conoscenza che Varo abbandonò con Osimo la cura della leva: che la vicina Cingoli inviando legati a Cesare mandò subito soldati alle di lui inchieste : che Cesare Omnem agnini picemrm percurrit: e che Cunctae earum re- gionum prefecturae, dal parteggiare concorde delle quali è inverosimile dissentisse Tufico , libentissimis j3B LetteratuIrà animis eum recipiunt, exercitumque eius omnibus rebus iuvant. YEDIA MATER, così leggo con De- Vecchi , benché Graziosi e Guerrieri scrivano : VE DIAMR FILIO BENEMERENTI PONENDVM CV^ RAVIT, pose agl'idi di aprile questo monumento: pel quale è fermo, che nel Piceno recossi a quell'epoca la XIV legione italica, e che parte di essa presidiò Tu- fico con Q. Subrio, il quale vi morì {hi e fato cessit) mentre proteggeva in questo municipio colle armi la coattiva leva pel suo Cesare. Ma sia fine a questa filatera. Voi fate di star sano ec. Prof. Camillo Ramelli. — a>€aOOq833>ii»i ISCRIZIORE DI TUFICO 189 NOTA (i) Riportiamo in nota questo decreto, stimando far cosa grata ai leggitori .• TH0ENI0SEVER0MPEDVCAE0PR1SCIN0.C...0S VIK DEC DECRIT.DECVR QVODCCAESIVSSILVESTER.PP.V.F.AETRIVM FEROCEMCENTVRLEGIITRAIAN.FORTISPERINCREME...N TAGRADVSMILITIAESVAETAMSINGVLISQVAMREIPN QVOTIENSNECESSEFVITMULTVMPRAESTITISSE PROXIMEQVOQVEPETITIONINOSTRAEABOPTIMO MAXIMQQVEPRINCIPEANTONINOAVG.PIO VECTIGALVIAESILICI.STRATAE.ITAIN STITISSEVTMATVREIMPETRARETVR.ET IMPENDISVRBICISRESPBENEFICIOEIVS RELEVARETVRETOPTIMVS.MP.N.EX CORNICULARIOPRAEFVIGVLVM PRIMO ElOMNIVmORDINEMALEXANDRlAE PEDERITBEBEREPOSITAQ.El.STATVAM PEDESTREM SECVSMERITAEIVS DECERNERE.Q.F.P.D.E.R.REFERENTE l..VARIOFIRMOini.VIR.CENSENTE,G CLVVIOSABINO ITA CENS, PLACEREVNIVERSISCONSENSVPLEBIS AETRIOFEROCI 7 SECVSMERITA EIVSSTATVAMVBIIPSEDESIDERAVE RIT.QVAMPRIMVMPONI CENS igo Risposta agli argomenti opposti dal signor prof. Francesco Orioli alV autenticità del nome di Castel d'Asso, ed alla identità di questo luo- go del viterbese coWAxia di Cicerone.. leggeva, è già un anno passato, nel voi. V degli Annali dell' istituto di corrispondenza archeologica (Parigi i833) un erudito articolo del sig. prof. Orioli, De'' sepolcri etruschi di Norchia e Castellacelo nel territorio di Viterbo, scoperti, vi si dice, dal suddet- to sig. professore: ciò che viene troppo dirittamente ne- galo (i). Maravigliai di trovarvi cangiata l'appellazione dal secondo de'due castelli da quella che pur dovreb- be essere la vera ( che fu tenuta negli opuscoli an-^ teriori dal sig. Orioli, e che è la comune a Viterbo ) in quella di alcun contadino o pastore, gente usa del resto a guastare nomi più moderni ed agevoli, che non è quello. Mi corse tosto alla mente, che forse tutti i nostri monumenti , e quasi tutte le memorie no- stre, sono in voce di fàvole, d'imposture; a tanto che innanzi alla repubblica letteraria si corse sinora, e chi sa se ancor non si corra, pericolo di toccare sen- tenza di fanatico, e peggio, chi ne parlò, o ne volesse (i) GII furono indicali dall'esimio ab. don Pio Semeria , e dal sig. Luigi Anselnii possessore del tenimento ove trovasi il Castel d'Asso, ed indefesso compagno del Semeria nelle escur- sioni geologiche ed arclieologiche pel nostro territorio. QuesU inoltre guidò il sig Orioli a vederli. Risposta al prof. Orioli 191 parlare ! E parve altresì buon consiglio ad alcuni an- tichi e moderni, nostrali e stranieri, il passarsene in silenzio^ ed accorto mezzo e sicuro ad acquistare e conservare, o crescere il concetto presso al pubblico^ l'accordarsi coll'ignoranza e col pregiudizio gridando all'impostura. Or sia che vuole per me. Nondimeno la critica sembra oggi posta in istato di giudicare con più giu- stizia certe quistioni : ne alcuno vorrà negarlene il diritto, fino a che ella non abbandonerà per sazietà e leggerezza l'infinità de'fatti, che formano pure tutta ed unica la sua suppellettile e ragione, per mettersi nel- la sfera delle fantasie, e di misteri e di sogni, dotti sì ed ingegnosi, ma sempre sogni vani ed incerti non meno di quelli onde ella schernisce e condanna i se- coli scorsi. Però io non vò cercando se coscienza e prudenza di filosofo e di scrittore possa e debba vol- gere altri ad appellare Castellacelo quello che sino ad oggi da chi seppe e sa pronunziare, e la cui pro- nunzia si debba attendere, si chiamò CastelVAsso o Castel d'Asso. Solo io mi confido di provare senza sforzo, e senza che nulla mi si conceda gratuitamente, che i monumenti, di che è proposito in quell'articolo, sono veramente , ne possono non essere, di Castel d'Asso. E bello a vedere come questo si ottenga per lutti appunto quegli argomenti, onde il sig. Orioli viene scartando questa denominazione, a cui propagare si vergogna di avere contribuito non poco egli stesso. Oggi egli dice di trovarla falsa o sospetta ; alternativa che ne sembra inammissibile: né egli stesso pare con- tentarsene : la tiene falsa e non meno. Perchè noi di- manderemmo : Come vi è solo sospetta la denomina- iga Letteratura zione Castel d'Asso^ mentre, senza aspettare di tro- varne il vero, la voltate in Castellacelo ? Un sospet- to individuale non ha diritto cLe basti a distruggere il possesso che ha quella nomenclatura nell'opinione e nell'uso dell'universale. Palesate anzi all' universale i vostri sospetti: che li apprezzi il più che si meritino, e prenda la cura, quando gli piaccia, di esaminare la cosa : ma lasciate intatta la presunzione del fatto che è tutta per l'antica, e piuttosto originaria e generale usanza di appellare Castel d'Asso. Non è dunque un sospetto; è una certezza nel sig. Orioli, che quel Ca~ stel d'Asso sia falso, arbitrario. Pure di questa certezza egli non assegna altra ra- gione che il sospetto: Fu già ordinaria consuetudi- ne di quel celebre Annio il trasformare i nomi delle contrade del suo paese in altri più antichi e simili di suono. E qui ne arreca gli esempi, non so se tutti con troppo buona fede arrecati. Preso per" tanto una volta quest'abito, non è maraviglia se trovando da una parte una diruta rocca detta dal popolo il Castellaccio (i); e avendo daW altra in Cicerone ( prò A. Caecina ) incontrato un Castel- lum Axia , non esitò un istante , secondo il suo metodo, ad identificare questo con quello. Vedi lo- gica ! Chi negherebbe clie il sig. Orioli si fosse tro- vato presente alla macchinazione del buon religioso, e ne avesse diviso la conversazione e i segreti ? o (i) Buoa ripiego (\\xe\ popolo \ ad indicare gl'idioti, e com- prendervi per avventura la classe più o meno istruita, educata. Niuno troverà strano che il contadino e il pastore guasti CasttU' Aóso in Castellazzo o Custellaccio. Risposta al prof. Orioli ig3 che almeno abbia trovate le confessioni di Annio? sco- perta ben poco interessante, e certo meno probabile che quella di Beroso, di Catone, di Fabio pittore. Egli tiene così fondato il sospetto, avere Annio iden- tificato questo con quello^ che con gran franchezza non teme affermare, che è solamente al suo tempo I di Annio ) che siffatto nome scientifico incomin- ciò a sonare nelle bocche de^miei viterbesi,, ma di quelli che ostentavano dottrina ! Imperocché non posso ( e nota delicatezza ) chiamare monumento anteriore il famoso decreto di Desiderio che pur dice : - lubemus reparari Assium\ - posto ch^esso ancora è grandemente sospetto di essere anniana merce (i); ne sufficientemente liberato da quest^ ac- cusa per la difesa del frate Faune. E più agevole { perdonatemi, slg. Orioli ) l'affermare che il provare; e più il maledire che il confutare : Mwfxvjcsraafg [j.a.'k- \ov •••• Non dubitereste voi che ancora prima dell'An- nio il nome di Asso abbia sonato nelle bocche de' no- stri viterbesi ? Ancora di que' che non ostentavano dottrina ? E che se ne possa un dì o l'altro rinvenire ai'gomento ? Per quanto io m^ abbia frugato^ egli dice, tra le carte e le pergamene de' no stri archi- vi^ mai non mi venne fatto d^ incontrarmi nel pre- teso antico nome di questo castello : dal quale il pili vecchio ricordo che si conosca è una dipintu- ra del soffitto nella maggior sala del palazzo co- munitativo, non più antica di poco oltre a due se- (2) Il decreto di Desiderio, tale quale fu pubblicato da An- nio, raffrontato col marmo in cui è scolpito, presenta in più luo- ghi diverse lezioni. Ed Aiiuio lo inventava e incideva!.'! G.A.T.XCI. i3 194 Letteratura coli^ dove il paese è figurato^ aggiuntovi sopra il nome anniano. Ecco una certezza che non è più d'un sospetto : un sospetto a cui si vuol dare l'aria di cer- tezza. Ma vediamo se riesce al sig. prof. Orioli di darci una dimostrazione del suo sospetto; e come debba re- starsi convinti che Annio c'impose. Annio non era abbastanza infamato; volevasi con nuova giunta riba- dire l'antica derrata. Cicerone (loc. cit.) ricorda il ca- stello Axia^ e ne assegna la distanza da Roma in 53 miglia scarse. Questa, vogliasi o no, è appunto la di- stanza del preteso Castellaccio da Roma : né il sig. Orioli vi si oppone : Per un lato la distanza delle cinquantatrè miglia scarse da Roma potrebbe con- venirgli. Gran mercè ! Né finora si può sospettare d' impostura, né d'Annii. Nondimeno Cicerone insegna che Axia è un castello nel tarquiniese. Ed ecco l'A- chille : ecco Annio, ecco impostura. DalV altro lato non gli conviene la dipendenza della troppo lon- tana Tarquinia i che tanto lungi non sembra aver dovuto spingere il suo dominio, a manifesto danno della potente repubblica vulsiniense. Peccato che veramente non sia troppo lontana Tarquinia , come ella è veramente più vicina al Castellaccio che non f^ulsinio (i) ! Sì, ella è ben più vicina. Ma diasi an- cora un istante , che più Vulsinio di quello che I Tarquinia sia vicino al castello; chi sarebbe che per ciò solo corresse a registrarlo nel vulsiniense ? Né par ciò solo io lo vorrei nel tarquiniense, perchè gli è più (i) Vedi la bella carta degli stati pontifìcii meridionali. Mi- lano, 1820. J Risposta al prof. Orioli igS presso a Tarquinia. Ma via! Anche il sig. professore pa- re voler convenire, che i territorii non si dividono co- me le circonferenze col diametro : che i confini d'una provincia dipendono anzi dalle condizioni politiche, non dalle operazioni geometriche, ne sempre dalle combinazioni topografiche delle medesime. Or bene : disperato che si possa ad Annio appiccare l'igrioranza della maggiore o minore distanza di Castellaccio da Tarquinia e Vulsinio, si prova a corivincerlo ignaro de'confini storici di quelle repubbliche. L' impostura ha da esserci; e se ci è, ella è di Annio, condannato a sentirsi rinfacciare ogni errore, ogni sistema un pò ardito che tocchi per poco le cose nostre, Al sig. Orioli noii sembra che la troppo lonta- na Tarquinia tanto lungi (sino al Castellaccio) ab- bia dovuto spingere il suo dominio^ a manifesto danno della potente repubblica vulsiniense ... Co- me dunque ? Per qn non sembra tutto vostra, {so- pra un'idea che vi formate della potenza di quella re- pubblica, sopra un danno manifesto a voi solo, voi decidete che il Castellacelo è anzi nel vulsiniense che nel tarqviiniense ? Yi sentireste per così poco au- torizzato ed acconcio a delinearci la topografia 4i Tar- quinia e Yulsinio ? Difatto il sig. Orioli , così per non essere tenuto da meno, non ha esitalo di darci più sopra ( Art. cit, pag. 28 ) i confini dell'unisca lu- fumonia bolsenese. Ma quali ? oh! quali! Tutto c'in- vita a credere^ che fossero verameiite i suoi natura- li cori/ini .,.. che la natura stessa pare le avesse prescritto. Davvero, sig. Orioli ? Sembra ? ... Tutto c'invita a credere ? Pare ... non so se il Salpina- te^ il Falisco ed il Tevere ? Bel trovato ! per con- vincere Annio d'errore, e smascherarne l'impostura, iq6 Letteratura se fosse l;i sua. Questo è errare assai più grossolana- mente che A.nnio non soglia : e lo spacciare si ardita- mente quello, di che pur mostrate di duhitare, non è da pari vostro. Bel trovato è questo altresì per cacciare Castellacelo e Norclila nel bolsenese ! Perchè non vi dispiacerebbe di avere scoperta col monumenti di Nor- cliia la patria di Seiano (i). Non so che debbano pensare gli eruditi di quella topografia dell'agro vulsiniense , che tra l'ardito e il sospettoso ci porge il sig. prof. Orioli. Certo non si ri- corda di aver letto, che il territorio di Tarquinia toc- cava il lago di Bolsena per testimonianza di Plinio (XXXVI, 22) (2), rafforzata da un passo di Vitruvio (li, 7) (3); tanto che il primo appella il lago ora vul- siniense, ora tarquiniense (4)' Come doveva adunque l'agro vulsiniense giuiigere al Castellacelo, e, peggio, a Norchia, la quale si tutto invita a credere che fos- (i) Norchia odiernamente: in tuUi i monumenti del medio evo Orda: il territorio Orclnnum: la colonia Vicus Orclanus. Qual ragione di volerla appellata Norchia, come oggi, a tempi più antichi ? Per identificarla all'anniana con Nortia deità ado- rala in Nyrtia , al dire dello scoliaste di Giovenale: la quale Nyrtia o 1' odierna Norchia sarebbe la patria di Seiano, quod eral demonstrandum. Mu Sciano era pulsiniensis , al riferire di Tacito : dunque si concluda che l'agro vulsiniense si stendeva niente meno che sino a Norchia! Oh quelle di Annio furono più giudiziose, più fondate, e più dotte, se voi volete ! (2) Albi siUces in tarquiniensi anicianis lapidicinis circa la- cum vulsiniensem. (3; Sunt itera lapidicinae coraplures in fìnibus tarquinien- sium, quae dicuntur auicianae, quaruni officinae maximae sunt circa lacum vulsiniensem, item praefectura statoniensi. - Dal che apparisce ingannarsi il sig L. Urlicbs ( Bullettino di corrispon- denza archeologica num. VI, a. giugno iSSg). (4) In tarquiniensi lacu magno Italiae. HlSPOSTA AL PROF. OrIOLI jg-J se nel tarquiniense ? Perchè egli è vero volersi co- munemente die quest'agro fosse al di là del fiume Marta, sulla sua riva destra : ma non si vorrebbe ne- gare, credo, che non ne fosse altra buona parte sulla sinistra. Tarquinia è pure sulla sinistra : doveva ella avere tulio il suo territorio alla destra ? Anzi altri le dà tutto quel tratto sulla sinistra che è compreso tra il Marta, la via elodia dal Marta a Norchia, quindi la via annia, il Mlgnone ed il mare (i). Che se voles- se dirsi: Assegnati questi confini al tarquiniense, esso non giungerà al lago che sulla dritta del Marta; e ciò posto, l'agro vulsiniense potevji forse allargarsi verso i cimini, ed occuparne le sottdposte pianure sulla si- nistra del fiume sino al suindicato agro tarquiniense, abbracciando il Castellaccio, e chi sa se non forse an- cora Norchia posta preeisamenle sull' annia : se ciò si dicesse, lo negheremmo : e lo neghiamo sull'autori- tà di Livio, il quale quando altri testi e ragioni man- cassero, che anzi ne sono parecchie, c'indicherebbe qui l'esistenza d'un altro territorio diverso dal vul- siniese e da quel di Tarquinia , attiguo appunto al tarquiniese. Ducere ( exercitum ) i?i agriim tar- quiniensem : ibi oppida etruscorum Cort-Nossa, et Cort-Enebra vi capta et diruta ( Lib. VI, 3 ). Ora Cort-Nossa e Cort-Enebra (2) erano poste alla (i)La selva detta tuttora La turchina (appellazione eviden- lissimainente etnisca, in cui non si ha che la prima vocale in u, ed il eh espressione del vl^ ) non è un monumento dell'agro tar- quiniense sulla sinistra ? (2) La sopraccitata carta degli stati meridionali pontificii po- ne Cort-Nossa sulla destra del Marta nella linea N. S. tra Pian- aano e Toscauellaj ma Corl-JNossa è sulla dritta, come abbiamo 198 Letteratura sinistra del Marta non troppo lungi dalla sorgente : erano oppida etruscorurriy non viilsiniensium^ noil tarqiùniensium. Eccovi, ne pare, un altro agro fra il lago e il cimino ; fra i vulsiniesi e i tarquinie- si; l'agro etrusco; quello che Giulio Ossequente ac- cennò e distinse da quegli altri due quando scrisse (i)t C. Mario cos. in vuhiniensi Jlamma a terra or- ta in tarquiniensi lactis rivi .... in tuscis la- pidibus plueraU La potente repubblica vulsiniese non dilatava però il suo territorio sino a Castelìac- cio, he a Norchia. Un'altra obiezione io non debbo dissimularmi, per quanto ne vegga non facile la so- luzione. « Secondo i confini dati di sopra all' agro tarquiniense , Castell'Àsso ne resta fuori : e conces- so l'agro etrusco^ il castello è in tuscis^ noù già in tarquiniensi « come vuol Cicerone. » Confesso che non mi pare di poter rispondere in modo da soddi- sfare a tutti, ed a tutto. Potrei anche lasciare di ri- spondere, e sarebbe il meglio; ne ciò guasterebbe pet nulla il problema del vero nome del castello , co- me si vedrà più sotto. Nondimeno Se si volesse che io pur dicessi; direi, che trattandosi di luogo toón si lontano dai confini almeno probàbili del tarqùiilié* se sulla riva sinistra del Marta e dell'etrusco , non è oggi sì facile il decidere a quale de'dùe abbia ap- partenuto il Castellacelo a' tempi di Cicerone : che dall'istromento di vendita fatta n questa comune , ove si dice che il Castello era già innanzi in pertìnentlis Viterbii : ciò che esclude la riva destra. Egli era inoltre sul lago, come rilevasi dai diritti di pesca nel lago e nel fiume, e dal porto che dicesi avervi. (i) Edizione di Lione iB^'ì, pag. 4^2. Risposta al prof. Orioli igg repubbliche guerriere e gelose, come le etrusche, po- tevano sovente avere quistioni di confine; ed arric- chirsi, e venire perdendo a vicenda or questo or quel- lo de'luoghi pivi esposti alla usurpazione de' vicini : che all'epoca di A. Cecina appunto il castello fosse su quel di Tarquinia per la detta cagione : che l'o- ratore non intendesse di assegnarne la precisa loca- lità : ma solo di accennare un luogo presso al tar- quiniese , così senza presumere di fabbricare topo- grafie; ciò che fé Livio ancora, il quale sembra vo- ler porre nel tarquiniese le cittadelle Cort-Nossa e Cort-Enebra : In agrum tarquiniensem : ibi Cort- Nossa et Cort-Eìiebra .... Ed intanto queste sono etriiscorum oppida, le quali non potevano però es- sere nel tarquiniese. Se tutto ciò non garbasse al sig. Orioli , né ad altri, pazienza ! Si quid novisti rectius istis , candidus imperti : ho detto innanzi, che io non aveva di che meglio acconciarli. A ogni modo Tarquinia non è troppo lontana dal Castel- laccio : più lo è Vulsinio; e considerato tutto, è più ragionevole che il castello fosse nel tarquiniense che nel vulsiniense. Noi vedremo finalmente non isconvenire affatto il Castello Asso al preteso Castellacelo : identijicarsi questo con quello^ senza l'opera di Annio. Sarebbe per avventura chi volesse ostinarsi a pensare, che co- stui, favoleggiando secondo il suo metodo^ fosse il primo a spacciare il preteso nome scientifico, ed a caso indovinasse oltre la sua intenzione ? Che allo- ra incominciasse a pi'opagarsi la classica nomencla- tura di Castel d'Asso tra i nostri viterbesi, come giu- dica sinceramente il dotto impugnatore ? Certo egli, per quanto abbia frugato tra le carte e le per- 200 Letteratura gamene de'nostri archivi non eljbe il destro giara- mai d'incontrarsi nel preteso antico nome di que- sto castello .... nel nome anniano , salvo il famo- so decreto di Desiderio grandemente sospetto di essere anniana merce. Resta pertanto che ci ras- segniamo a riguardare come ignoto il suo vero e vecchio nome , finché o lapidi per caso uscite dalle sue ruine^ o carte antiche dissepolte da chi lo può e meglio esaminate, non ce lo rivelino. In- nanzi che escano per caso iscrizioni dalle ruine; in- nanzi che si disseppelliscano antiche carte, e meglio si esaminino da chi lo può, è più giusto non viola- re quella denominazione, attribuita da antichi tempi al castello ancora da stranieri ed anteriori all'Annio, come Stefano Bizantino, scrittore che Annio non co- nobbe. Egli la chiamò città di Tirrenia; K^iocj ixohv Tvp'pyì'Jtx^ : quella denominazione, attribuitale e con- servatasi da assai prima dell' Annio , come vedremo , per aver sonato a colui tempi non dessi avere per ciò solo sospetta. Ecco un curioso documento, con- temporaneo alla gioventìi di Annio , favoritomi da un diligente raccoglitore delle nostre memorie. E un articolo di rendiconto, diremmo , di un carnei Ungo della collegiata di s. Angelo inserto in uno istromen- to per gli atti di Giacomo Tuzi Lenni i435 (Ar- chivio pub. ): Ivimus ad castrum yéssi ( il capitolo de' canonici ) die dieta (6 madii i46i ) deambu- lando'^ et in retrocessione prò cena solvi in car- nihus et cum una gallina bononenos X, et unum bononenum de baccellis^ et caseo bononenum u- num ... Memoriale factum per me praesbyterum, Johannem Leonardi canonicum et camerarium ecclesiae s. Angeli de Spaia. Eccone un altro an- Risposta al prof. Orioli 201 tenore ancora. Lo statuto dell'arte de' pastori e bi- folchi, il quale rimonta al i45o, nell'assegnare i pra- ti e le così dette bandite pel pascolo delle greggi e de'buoi, non può più chiaramente, ne più spesso, ne più precisamente esprimersi che così : Item , lo prato d'Assi con il piano de Assiliano, come irate la fontana della pigna d^Assì, et lo Caldano , et le cose di Giovanni di frate Rosso , et le cose di Rainieri di Paolo Banco, et la fontana da ca- po alla fontana d^ Assi. Ed immediatamente : La bannita d'' Assi. - Item^ la bandita d''Assi vada per la via del Gavone dal ye spaio fino al guado di Preta bianca^ come per altri tempi soleva anda- re', et similmente secondo li confini che app areno pur nell'ultima facciata di questo per Vanno pur di questa bannita ec. E più sotto : Item, le pra- ta de s. Maria de Risieri : confina da piedi la ferriera', da capo le cose di Antonio della Goz- zetta, dalValtri lati le vie pubbliche , come la via d'Assi, et le prete fitte ec. Questi, come dissi, so- no docunieiiti contemporanei alla gioventù : ed alla fanciullezza d'Annio quest' ultimo» Egli non poteva aver co'suoi scritti ancora acquistato 1' autorità che scrivendo si conciliò : non poteva avere già rimosso e imbarazzato quanto era di erudizione e di eruditi al suo tempo : e finalmente quando si pensa che a stabilire una denominazione sì che diventi comune, usuale, ordinarla, non bastano i secoli, si vede chia- ro che queste memorie non andarono per nulla sog- gette all' annlana influenza. E questo Castello di Asso o Assi, Gastrum Assi, Gastjmm Assis , chi può dire quante volte è ripetuto ne'libri delle rifor- me ? Così doveva seguitare ad appellarsi, sig. Orioli, 202 Letteratura fino a che si facesse la grande scoperta del suo ve- ro e vecchio nome: scoperta necessaria , indispensa- bile a cessare la vostra sentenza sì poco gentile , e molto meno ragionevole. Ma qual filologo, come il sig. professore, quale, che per poco intenda i desti- ni e le vicende della pronunziazione , anteporrebbe frattanto coU'appellazione Castellacelo i nomi e la pronunzia del volgo all'uso ed alla autorità degli atti pubblici, degli eruditi, de' filoioghi o pari o non di molto inferiori al sig. Orioli ? Quale o quanto fondata speranza di venire al vero una volta è poi quella, che si vuole riposta nel fortuito ritrovamento di antiche lapidi ? Non è que- sto uno scherno, un abuso ? E quanto a carte o per- gamene dell' archivio comunitativo , non ci è tolta ogni fiducia di cavarne nulla al proposito, quando al- tri ci dice che non vi è da sperarne, principalmente dopo tante indagini adoperate ? Potremmo dunque aspettare che ci venisse alcuna luce per avventura dagli archivi di s. Angelo e di s. Sisto , che ci si dicono oltremodo numerosi dal sig. Orioli , e che egli confessa non aver potuto esaminare quanto era d'uopo. Aspettiamo ; e chi sa quanta costanza ci bisognerà, tra perchè incertissimo è il caso, e perchè quantunque non numerosi oltremodo ^ pure e la nin- na misura tenuta in alcuni de' nostri archivi sino a questi ultimi tempi, in alcuni altri non tenuta affat- to, nemmeno al presente, per saperne il contenuto, o rinvenirlo; e l'ignoranza e il vandalismo, gli hanno deserti in gran parte: e il sig. Orioli sa bene lo sta- to della cosa, che ella fu: e Dio non voglia che deb- ba essere sempre così, se non peggio ! Lo straniero che pure sa la nostra ricchezza , perchè ne vede le Risposta al prof. Orioli 2o3 sparse reliquie per le città d'Italia e d' oltremonte, visita 1' archivio del comune : cerca di questo o di quel documento, e non ha chi gliel porga, perchè non è chi il sappia o il conosca ! Nondimeno aspettiamo; e se nulla di nuovo apparisse per caso a'nostri gior- ni, io m'incarico di notificarlo al sig. professore. Attendendo che la fortuna ci aiuti meglio nel- l'avvenire, io dirò al sig. Orioli una parola sul pas- sato. Né io conosco l'archivio di s. Angelo, ne quel- lo di s. Stefano ( oggi in s. Lorenzo ) : solo un po- co quella di s. Sisto, e l'altro a'servi ; un poco più quello del comune : sono ciò non ostante ben lun- gi dall'averlo tutto frugato. Alla prima visita che vi feci mi venne dato ad un povero volume di perga- mena in foglio, sdrucito, dilavato in più luoghi, in più altri obliterato; che già fu legato fra due tavole, le quali, sciolta oggimai l'antica compage, lo seguo- no incerte con poca fiducia di accompagnarlo sino alla distruzione quasi imminente. Notate che egli è un volume , non una carta volante di quelle molte gettate colà confusamente : egli è un volume in fo- glio, sebbene di non troppo rilievo alla vista. Pure non poteva sfuggire all'occhio un volume tra pochi altri, come può sfuggire una carta a un osservatore ancora dilìgente ... In somma ... esso vi è sfuggito : o non lo avete visto, o non lo avete letto, né pure alla prima pagina , anzi alla prima linea ; che non vorrei farvi il torto di non averlo apprezzato come si merita, solo alle due parole che formano il primo verso (i). Io non so se questa omissione escluda o (i) Sututum Viterbii. 2o4 Letteratura no quel vostro : Per quanto io m'abbia frugato tra le carte e le pergamene de''7iostri archivi : e l'archivio del comune, che solo avete frugato , non è oltremodo numeroso di documenti, almeno in per- gamena : non so quanto sia giusto quel conseguen- te : Mai non mi venne fatto d'incontrarmi nel pre- teso antico nome di questo castello, del quale il più vecchio ricordo che si conosca è una dipintu- ra .... con sopra il nome anniano. Ma anziché at- tribuire a vostro difetto la ignoranza di questo do- cumento, io son tentato di accagionarne la maligna influenza del suo pianeta : perchè parmi che di quan- ti hanno conosciute e scritte le cose nostre niuno ne parli, non altrimenti che di un codice da niuno veduto ne letto giammai (i). Felice Annio, se gli fos- se capitato alle mani ! Ma il Bussi, che tanti cita e trascrive di que'monumenti da potersi dire veramen- te che abbia frugato tutto l'archivio ? Ne tace: è an- zi in contraddizione col mio codice favorito allora che siamo all' epoca slorica del medesimo : il Bussi dice bianco, il codice canta nero, E sì che ad una storia viterbese del secolo XIII è indispensabile la cognizione di quel documento; ed è il principale a cui bisogni ricorrere ! Esso sta monumento solenne di un'epoca, chi sa se non forse più appariscente delle successive , almeno da qualche lato ! Io non vorrei troppo ardire: che non ho gran mano, ne ozio a co- siffatti studi : pure a me sembra che d' alcun lume se ne vantaggerebbe eziandio la storia italiana. (i) Lo veggo solo citalo nell'ultirio statuto viterbese del se- colo XYII, così senza riportarue il testo, e citato a sproposito. Risposta al prof. Orioli " 2o5 Insomma è uno statuto da aggiungersi al novero di quelli che fanno bello ed interessante il periodo delle repubbliche italiane del medio evo. La data pre- cisa del codice, che io ho tutto letto e trascritto, e se avessi quiete e coraggio pubblicherei, è del mese di novembre ( il giorno in bianco ) anno laSi, in- dizione 9, al tempo d'Innocenzo IIII, vacante l' im- pero. Sembra esser valso questo statuto sino all'an- no 1459, quando ne fu compilato un altro, o piut- tosto, se non m'inganna un immaturo giudizio , fu interpretato e modificato il primo, cresciutevi le nuo- ve disposizioni ordinate dalle attuali circostanze. Ma di ciò più compiutamente ad altro tempo e luogo. Fra le notizie, che io ricavai da questo codice, l'una fu quella appunto che voi, sig. professore, in- vocate sul vero nome del preteso vostro Castellaccio, contraddicendo alle prime assolute premesse. Credo che dovrà essere troppo a persuadervi, che Annio non identificasse questo con quello ^ il sapere oggi che tra i castelli del distretto di Viterbo, che al riferire di Nicola della Tuccia furono bene i5o, uno ce n' ebbe col nome di Castello Asso. Che questo sia sta- lo il Castellaccio da voi scoperto, e quello che Ci- cerone ricorda (1), non sarà a mio giudizio chi vo- lesse negarlo , quando e la distanza da Roma con- venga con quella da colui assegnala, e convenga il trovarsi probabilmente noli' agro tarquiniese , se voi (i) Gli scopritori de'monumenti dei Castel d' Asso trovano un'altra prova d'identità coWAxia di Cicerone in un tenimento presso il castello al nord, ove riconoseonsi le vestigie d' antico piantato d'ulivi, che è forse l'oliveto di Aulo Cecina. Il luogo è chiamalo ancora dal vulsro Pian-Ciciano. ào6 Letteratura lo volete; e il documento che ce ne apre finalmen- te il vero , antico ed originario nome , o quale al- meno doveva esser fatto ne'bassi tempi, sia anteriore di due secoli ad Annio, a quel nostro celebre domeni- cano.y in cui grazia unicameale io credo che abbia-» te tanto adoperato. Eccovi il testo dello statuto; Quod nitllum castrum^ vel dominus castri de districtu. p^iterbii teneat aliquem ascaraiium,. Item statuimus quod nullum castrum, vel dO'. minus castri de districtu Viterbii, scilicet, Aitati^ MontecQcozone^ ASSI^ Roccaltia , Sculcula , et quodlibet aliud castrum quod sit de districtu T^i- terbiiy non teneat aliquem ascaranum vel latronem qui ojjenderit aliquem nostrum civem, vel aliquem alium qui non sit diffidatus a Viterbio : et qui- cumque eum vel eos receptaverit, vel ( illum qui ) robariam vel maltolectum aliquod fecerit , infra spatium T^II dierum dominus illiiis castri tenea- tur facere emendari^ et emendet comunitas illius castri. Et si hoc non fecerit, teneatur potestas do- mino castri aujerre nomine pene L libras^ et abla- ta emendet. Ceterum potestas constringat dominos ipsorum castrorum per sacramentum etjìdeiusso-^ res, quod supradicta observabunt. più altri argomenti potrei addurre a voi e ad al- tri a confutazione di precipitate sentenze sulle nostre antichità, tratti da que' monumenti e documenti, di cui non siete sialo troppo esatto ricercatore : ma io non m'era proposto altro tema che questo. Voi, signor professore, non conoscete me ( che Vocabolario romagnolo 207 non ne valgo la pena ), ne io voi. So che mi siete concittadino, e che mi è forza ammirare i moltiplici vostri talenti. Ma niun riserbo io doveva al concitta- dino : ad uomo discreto e filosofo, qual voi siete, non dovrà dispiacere che io abbia detto quello che mi par- ve la verità, e che pure sono pronto a disdire quan- to altri provi che mi sono ingannato. Luca Ceccotti. Vocabolario romagnolo^italiano dì Antonio Mor- ri. Faenza^ dai tipi di Pietra Conti^ alV Apollo 184.0 in 4- ( Ne sono usciti fascicoli 8, che vanno sino alla pag. 4^8 in due colonne^ e giungono alla lettera LA. Il prezzo di ciascun fascicolo è di bai. 29 ). ( Art. II. ) Al .11 orche annunziavo il Dizionario enciclopedico compilato da Antonio Bazzarini di P'enezia ( Gior. are. tom. 46)» e le Osservazioni di Giovanni A~ domi di Parma intorno un discorso del sig. C. Canta sopra i vocabolari della lingua italiana ( tom. 68 ) , proposi che tra le parole ( segni delle idee ) si eleggessero le normali, e come le radici di tutte l'altre : e ben fermate quelle, si facessero deri- varne le altre come rivi da'fonti. Così parevami, che 1 vocabolari acquisterebbero minor mole e più utili- tà; porgendo come l'analisi delle parole, e la sintesi rispettivamente. E in verità siccome tra le menti si 2o8 Letteratura distingue quella che lia le idee meglio associate ed ordinate; cosi fra'vocabolari quello sareLlse più pre- giato, che rendesse non pure l'espressione delle idee; ma dell'ordine loro, quale uopo è si trovi in eletto giudizio. Colali compilazioni richiederebbero bensì più cura e fatica ; ma sarebbero meglio ricevute dal- l'universale, che accoglie più volentieri le cose che so- no in ordine, di quello che le altre che sieno o pa- iono in disordine. E quell'ordine, che i vocabolaristi tengono ( seguendo la serie alfabetica ), è accidentale: non tocca al midollo , ma alla pura scorza delle pa role. Intendo di quell'ordine, che lega intimamente i vocaboli, come sono legate tra loro le ben dispo- ste idee : e di quest'ordine dico, dovrebbe essere spec- chio un vocabolario della lingua o comune o muni- cipale, a volere trovar grazia nell'universale. Per que- sta mancanza ancora sembrar potrebbe ragionevole lo sprezzo, in cui vengono tenuti dai più i vocabo- lari : di che toccò, se non erro, il eh. sig. avvocato Angelo Astolfi parlando con eletto giudizio de' J^o- cabolari di patrio dialetto (Gior. are. tom. 78 ). A quel discorso ricorra chi volesse notati i vantaggi di siffatti vocabolari : e tanto più che ivi sino d'allora aununziavasi il Vocabolario romagnolo-italiano del Morri. Al quale vocabolario io stesso consecral ultimamente un arlicolo, cbe può vedersi (ivi tom. 83 ) : poco innanzi era giunta allora la pubblicazio- ne de'fascicoli, che ora è già alla lettera La. In que- sto mezzo raccomandavo al Morri diligentissimo le Poesie roinagnuole di Pietro Santoni (Ivi tom. 84 p. 322 ); tanto più che trattandosi di convenire sulla ortograGa delle voci nostrali, l'esempio di un vecchio poeta di Romagna, che fu compagno ed amico dol- \0CAB0T.ARI0 ROMAGNOLO 20^ cissimo al poeta d'Italia, J^incenzo Monti , tale esem- pio, dico, poteva giovare al Morri medesimo, che una difficoltà ebbe a vincere tra le altre; quella di scri- vere le voci e frasi romagnuole in modo , che non solo noi uomini di Romagna , ma i lontani ancora, potessero rilevarle felicemente. Sopra di che io pro- poneva di usare i dittonghi e gli altri modi , che i francesi usano nella lingua loro. La quale proposta, speculativamente buona , non saprei io stesso se ia pratica riuscirebbe ; benché però l'essere così comu- ne la lingua francese, che è altresì lingua diploma- tica, renderebbe facile il saperne le maggiori difficol- tà : cioè di costringere i lettori a studiare i ditton- ghi e le altre particolarità di una lingua municipale, che in un modo si scrivesse, in altro poi si legges- se, Comechè sia, non vorrei ripetere il già detto nei citati articoli : solo mi piace rinnovare lodi al com- pilatore faentino per la molta diligenza, che pone in dare quel suo elaborato vocabolario. Di che noi ro- magnuoli dobbiamo sapergli grado, e debbonlo quanti sono gli amici di Dante , che leggono nella divina commedia cà per casa^ co per capo, e tali altri vo- caboli, e sino dei modi roinagnuoli, che il poeta eb- be famigliari, come ne prova il giudizio sui dialetti, che diede nell'opera del Folgare eloquio : giudizio finissimo tanto, che tocca fino della più o meno dol- ce , della più o meno aspra pronuncia di un paese o di un altro della Romagna , suo caro ospizio fin- ché visse, e suo onorato riposo appo la morte. Ed agli amici di messer Lodovico tornar dee grata altre- sì la fatica del Morri : il quale notò giustamente al- cune etimologie di voci e modi usati neW Orlando furioso essere ed avere ragione nel dialetto di Ro- G.A.T.XCL 14 210 Letteratura magna : come, ad esempio, cingere colla spada per cinghiare^ percuotere^ che noi diciamo zinger (can- to ig, st. 85 ). E così andare in salto per venire in amore^ in caldo, animali ^cant. i, st. 62). E non sia alcuno di così poca levatura, che si argomenti porre in deriso le voci nostrali: perchè, vo- lendoci porre a studio di etimologie, potremmo trar- ne fino ilal greco per onore de'nostri vocaboli di Ro- magna : e basti fra gli altri l'esempio accennato dal nostro prof. Valeriani Molinari nel Saggio di ero- temi di pubblica economia ( volume I, del iSay a pag. 65, in nota) a proposito della parola baiocco. Egli dice così : « V^alon e bolen nel dialetto roma- » gnuolo, forse dalla greca parola obolos, che nell' » accusativo dà obolon. » E ne parla piìi partico- larmente nelle Dissertazioni sulle monete di conto', cui potranno consultare i filologi dihgenlissimi. Intanto a lode del Morri è da dire, che primo in ardua palestra ha avuto innanzi i più copiosi vo- cabolari e dizionari della lingua nobile italiana , ed i particolari alle arti e mestieri, e quelli de' dialetti delle principali provincie d'Italia. E, quanto a questi ultimi, li ha superati per abbondanza di vocaboli cor- rispondenti a voci e frasi nostrali , notando vari si- nonimi ( se ponno darsi veri sinonimi ) e notando al- } tresì le differenze loro dove parvegli conveniente. Non ha omesso voci e frasi attinenti ad erudizione scien- tifica e letteraria : ed a cagione di esempio, uccelli, pesci minerali, oltre al proprio nome italiano distin- se col sistematico: e, dove cadeva in acconcio, pose ap- po il vocabolo della scienza il nome deH'inventoi'e, e il luogo e l'anno delle scoperte od invenzioni. Ma con più amore ha trattato arti e mestieri , dando i' Vocabolario romagnolo 211 corrispondente italiano non pure al nome degli stru- menti, ma e delle operazioni loro. Ed ha fatto buon viso a nomi di città e castelli, ed a proverbi; senza lasciare di marcare talvolta le differenze tra' vocaboli faentini e que'corrispondenti delle altre parti non pic- cole né dispregevoli della Romagna, Intorno a che non ha potuto sfuggire il biasimo di taluni trop- po amanti delle proprie e domestiche voci e manie- re, i quali dicono lui avere dato alla fine meglio un vocabolario faentino di quello che romagnuolo. E co- munque, per le osservazioni fatte da Dante nel vol- gare eloquio, io creda non doversi nò il molle di al- cun paese, né l'aspro di qualche altro seguire esclu- sivamente tra i limiti di Romagna ; pure mi avviso doversi difendere il Morri per la difficoltà , che ha ciascuno di spogliarsi dell'amore più grande alle cose native e domestiche per meglio apprezzare le lontane. Il quale amore se io volessi ascoltare, avrei di clie fargli rimprovero , perchè omise alla voce glo- ria in senso morale la frase aspettare in gloria ^ che noi bagnacavallesi diciamo aspter in gloria : e mol- to piti perchè, confondendo il senso morale col to- pografico Glorie ( luogo del territorio di Bagnacaval- lo), ha tratto quasi a dispregio due modi al tutto ra- ri e introdotti a studio nel vocabolario , quali sono Aspettare le glorie di Bagnacauallo, per aspettar cosa che mai non viene; e Perdersi nelle glorie di Bagnacavallo, per perdersi in cosa vana , com' egli afferma gratuitamente ; quando doveva dire , che es- sendo le Glorie distanti assai da Faenza, per chi vie- ne a Bagnacavallo e volge al confine di Ravenna , aspettar queste Glorie^ e lungo e tardo: e perchè quel confine era una strada non sempre retta né si- 218 Letteratura cura in antico , così facilmente altri si perdeva ; on- de quel Perdersi nelle Glorie di Bagnacavallo, per ismarrirsi. Io non mi vanterò della patria ; ma non posso rinunziare al debito di sostenere il decoro di lei e della verità ! Di che i savi ed esso il Morri mi scu- seranno non solo, ma mi loderanno, siccome spero. P. VacC OLIMI. Biografia di Antonietta Tommasini. scritta da Angelo Astolfi, T ante furono le prove d'amore che Antonietta Tom- masini, mentre visse , diede a Bologna da lei affet- tuosatóente chiamata sua seconda patria, che il rima- nere del tutto silenziosi nell' universale compianto della sua morte, ci sembrerebbe atto di brutta, anzi ingiusta sconoscenza verso la memoria di quell'ani- ma benedetta. Onde io che grandemente mi tengo onorato dell'amicizia di quel dottissimo che le fu ma- rito, e che ebbi con questa illustre donna alcun car- teggio su cose di amene lettere, leverò, siccome me- glio potrò, la debole mia voce per toccare le parti- colarità della sua vita, e spezialmente quelle che si rapportano alla bontà del suo cuore ed alla sveglia- tezza del suo ingegno. Nacque Antonietta Ferroni nell'anno 1780 , e Biografia della Tommasini 2i3 parve proprio che Iddio volesse far saggio, avvegna- ché nella fanciullezza , delle belle doti del suo spi- rito. Perchè orbata del padre, s'offerse a dividere colla genitrice le cure della famiglia; nel che dimoslrossi cosi sollecita e pronta, come se fosse stata donna di matura età, e da gran tempo avvezza alle domestiche faccende. E costumando in casa Ferroni persone d'illibata vita, e riputatissime per coltura di mente, Antoniet- ta, che sortì perspicace intelletto, sin d'allora conob- be, essere le lettere mezzo quasi dalla provvidenza trascelto, onde coloro che nacquero in poco benigna fortuna potessero andare dagli uomini riveriti, vieppiìi che i venuti da famose prosapie, o riforniti di smo- date ricchezze. Perciò il tempo, che le sopravanzava, il dava volenterosa agli utili ed ameni studi : sicché appena trilustre questa giovinetta era da' suoi concit- tadini ammirata non saprei dire se più per le case- recce vlrtìi, o per le ferme speranze che porgeva il suo ben disposto ingegno. E se il destino non fu largo in concedere alla famiglia Ferroni abbondevoli averi, si mostrò al cer- to propizio ad Antonietta; la quale, oltre vivezza di mente, si ebbe tale leggiadria di corpo da essere ri- guardata siccome una delle più vezzose femmine della età sua. Per questi pregi fra i molti che la richiede- vano le fu dato di scegliere Giacomo Tommasini par- mense, uomo che pel vasto suo sapere giunse poscia a tale eccellenza di meriti da spandere la fama del suo nome nell'uno e nell'altro emisfero. Ma in questa terra di pianto non può essere né lunga né compiuta felicità ! Celebrate le nozze nel 1798, per pochi dì Antonietta potè godere le novel- 2i4 Letteratura lizie matrimoniali. Che non guari dopo ecco l'infau- sta notizia della morte di un fratello rimaso estinto sotto le mura della campeggiata Mantova. Indi l'al- tra di una minor sorella e di parecchi suoi congiun- ti. Le pai'ole del marito furonle gran conforto: fino a che caduta inferma Adelaide, comune figliuola, ven- ne meno al pericolo di perdere la ben amata tàn- ciulla la fermezza dello stesso confortatore. L' arte trionfò al fine la mortale infermità , e fu serbato il frutto di SI tenero amoi"e alle speranze de'genitori. A queste dimestiche sciagure altre ne successe- ro: ma Antonietta non si scorò del tutto, e credet- te di potere trarne ristoro coll'appagare la brama del suo cuore in sovvenire i miseri, e coll'applicare più intensamente l'animo agli studi: ne'quali le fu scor- ta un Iacopo Sozzi , uomo di pronto ingegno e di assai estesa dottrina. Istruita del modo d'indagare il vero al dettato di quella filosofia che ha per iscorta la ragione e la virtù, il Sozzi mostrò aperto alla sua allieva, non bastare avere la mente diritta al ben ra- gionare , quando non si giugne ancora a manifesta- re pjulitamente agli altri i propri pensamenti. Onde cotanto invaghì Antonietta dello studio de' classici scrittori, che in pochi anni riuscì all'intento di espri- mere con indicibile chiarezza ed eleganza i suoi con- cetti. Pel mutamento delle cose che avvenne al cadere del l'egno italiano, essendo stato Pio VII di S. M. riposto nell' apostolico suo seggio, fra le molle cure del principato non dimenticò quella di dar norma ai metodi disciplinari, chiamando alle cattedre delle due principali università dello stato ( Roma e Bologna ) uomini di alto grido. Sopra ogni altra era bisogno BrOGRAFlA DELLA TOMMASINI 21 5 rifornire quella di clinicxi teorico-pralica di Bologna di un insigne soggetto sì per le alte materie da dar intendere agli scolari, e si per la circostanza di do- vere scegliere un successore al defunto Giuseppe An- tonio Testa ( i8i4 ) professore di perenne e chiara memoria, non meno per le opere seienllficlie da lui lasciate, clie pel candore e per 1' inarrivabile bontà dell'animo suo. Un tanto onore fu proferto a Gia- como Tommasini, il quale aveva già sin d'allora ren- duto glorioso il proprio nome co'suoi scritti, e spe- zialmente con quello intorno alla febbre gialla di Li- vorno. Alcun tempo dopo Antonietta raggiunse l'amato consorte, ed ella pure prese stabile dimora in Bolo- gna. 1 modi gentili e la sua cortesia ben tosto le procacciarono la stima e la benevolenza di quanti la conobbero: d'onde ne venne un comune desiderio di seco intertenersi: di guisachè la casa di Antonietta divenne il ritiro, per così dire, della maggior parte degli scienziati di questa città. Il suo ingegno me- ditativo, lo spesso conversare con ogni maniera di sa- pienti , 1' applicazione continua allo studio, cotanto avevano arricchita la sua mente di gravi pensieri, che, .come fonte di troppo larga vena, ella stessa conosce- va il bisogno di lasciarli uscir fuori e pubblicarli. E l'occasione se le presentò assai propizia, al- lorché il professore Giacomo Tommasini, essendo sta- to dalla maestà di Maria Luigia chiamato in patria ( 1O2C) ), Antonietta si vide nel momento di abban- donare Bologna. Non guari dopo la sua dipartenza, ella dava a luce una operetta sotto il titolo di Pen- sieri di argomento morale e letterario , che offe- riva in dono alle sue amiche bolognesi. Di fatto co- 2i6 Le tteratura si l'an Ilice imprendeva a parlare in quella dedica : « Io non sarei venula giammai nella determinazione » di pubblicare questi miei pensieri, qualunque sia- )) no, se non fosse stato per offerirveli in dono , e 1) dare così a voi, come alla città, un solenne testi- » monio della mia riconoscenza. Lungi dal mio pae- » se e dalla mìa adorata figlia, voi sapeste alleviare » le mìe pene, e farmi contenta di questa seconda » patria, la quale volle onorare tanto quell' uomo , » che il cielo mi destinò a consorte, ed ove io stes- » sa sì da voi, che da molte altre signore amabilis- » sìme, aveva continue e non dubbie prove di beni- » volenza. E bene io le ricordo tutte non senza com- » mozione in questa circostanza, nella quale debbo » divìdermi da voi. Wè sarà mai che io le dimenti- » chi per volgere d'anni, né che lasci senza lode la » gentilezza, la bontà e l'ospitalità de'bolognesi. » Questo aureo libretto riguarda cose di vario ar- gomento, ed è da Antonietta indìritto a'suoi figliuoli, col desiderio, dice, di lasciare a' medesimi quasi un ritratto dell'animo suo. Dopo di avere l'autrice esa- minato, siccome fatto per loro importantissimo, i due trattati di educazione di madama Staél e di Kant , i suoi pensieri vagano sopra quegli oggetti , che ca- sualmente sì presentano alle sue considerazioni: ma in tutto questo non vi è niente d'inutile, anzi pare ch'ella si compiaccia di mostrare quanto ferace fos- se la sua mente in saper trarre filosofici propositi da tutto che la circondava. Leggi ciò che dice a rispet- to la P^ecchìezza, la Calunnia ^ la Fìsita del cam- po santo, e ne rimarrai grandemente ammirato. Le ultime sue considerazioni sono In morte della ma- dre. Ti basti questa prova per giudicare quale fosse Biografia della Tommasini 217 l'alio senlire di questa illustre donna, quale la sua facondia, la elevatezza ed il nervo del suo stile, ove avesse discorso argomento che ciò richiedesse. Questo libretto fu graditissimo ad ogni manie- ra di persone: e sì avidamente cercato, da non basta- re ne la seconda né la terza edizione già impressa in Milano fino nell'anno 1 834- E parimenti in Mi- lano nel successivo ili35 Antonietta pubblicò un al- tro opuscolo intorno alla domestica educazione, che intitolava a'suoi figliuoli; e volle, per serbare mode- stia, far credere che a caso il dettasse , studiando 1»- opere di Giovanni Lock e di alcuni altri rinomati scrittori che trattarono siffatta materia. L'importanza di bene educare i figliuoli a noi pare che l'autrice facesse tutta comprendere in que- ste brevi parole o sentenze : « Dalle fasce si prepa- » ra la sorte avvenire dei figli. La cattiva coltura e » le male erbe rendono pestifero un terreno ottimo. » La buona coltura e le elette sementi ne fanno ot- » timo uno infecondo. L'educazione pubblica comin- » eia nelle case private, ed alle madri è commesso » il principio della felicità domestica e della prospe- )) rità delle nazioni. » Dopo di avere la signora Tom- masini nel suo trattato Intorno alla educazione do- mestica dati quegli utili insegnamenti che tendono a rendere gagliardo e di robusta tempera il corpo de' fanciulli, suggerisce come si abbia a condurre, senza attediarli, l'animo loro a seguire le pratiche delle ci- vili e sociali virtù. L'autrice punto non parla della guisa d' indirigere gli studi de' giovinetti, allorché, fatti alquanto adulti, saranno in grado d'intendervi. Essendosi proposto per fine nel suo libro il dire di quella prima educazione, che è spezialmente corames- 2i8 Letteratura sa alle buone madri di famìglia, lascia reggere il go- verno de'loro studi a quegli scienziati, a cui la provvi- denza ha dato ingegno, bastevole dottrina , e retto cuore per farlo. L'ultimo capitolo richiama in particolar modo l'attenzione de'leggitori : tocca Della educazione de- gli americani. Lo scopo primissimo delle umane azio- ni si è il conoscimento del vero : per cui fa bisogno applicare la mente ad una filosofia che non si disgiun- ga dalla esperienza, o sia dall'esame dei fatti, i qua- li ci sono la norma più sicura per raggiugnere un tale scopo. Questo modo di studio , oltre al rendersi di facile discernimento, si può dire, a tutti i giovinet- ti , serve cotanto a persuadere l'intelletto, da poter agevolmente resistere all' impeto delle più gagliarde passioni, che tentano di signoreggiare il nostro cuo- re. L'etica, che fa parte di que' molti trattati filoso- fici che si mettono fra mano a'giovani, mira a que- sto fine ; a pochi per altro è conceduto di nascere in condizione tale da poter intendere alle severe disci- pline. D'altronde gli scolari dati agli studi filosofici apprendono bensì teoricamente quelle morali senten- ze, che poste a pratica fanno il cittadino probo e dab- bene: ma non mostrandosi tosto la concordanza del- le insegnate massime coi fatti che accadono, vengono esse per lo più guardate come mere astrattezze , e quindi di leggieri poste in non cale ed obliate , quando l'applicazione degli appresi principi! diverreb- be indispensabile nell'uso cotidiano del vivere nostro. Non vi è banditox'e di buona morale, che non deplori le triste conseguenze che derivano dal vizio del giuoco. Ma se dopo di avere un padre di fami- glia, o un tutore, ricordati al figliuolo od al suo pu- Biografia della Tommasini 219 "pillo i pessimi effetti di questa sfrenata passione, con- ducesse il giovinetto alla casa di un giuocatore dalle avite ricchezze passato alla più estrema fortuna, e gli dicesse : « Vedi questa infelice donna e questi fan- ciulli in tanta nndità e miseria. Dessa è la moglie, e questi sono i figliuoli di tale, clie ( sono già corsi appena due lustri ) si ebbe in retaggio e palagi e pos- sessioni ed ogni guisa di ricchezza ; ed oggi al so- pravvenire della notte è costretto di aggirarsi lacero e consunto da fame per le vie della città, imploran- do da'viandanti un soldo per fornire d'alcun alimento questi sciagurati ! » Se dopo avere indicati i danni che derivano alla sanità del corpo dal libertinag- gio e dalla ghiottoneria, si guidasse il giovinetto alle stanze di uno spedale , e gli si mostrassero a dito tanti uomini non ha guari nella maggior gagliardia di forze e nella più perfetta sanila, ora sparuii e con- traffatti giacersi compresi da sì fiero malore, da trarti dagli occhi lagrime di compassione e di dolore : se dopo lodato quel reggimento di famiglia, che sta nel- la più temperata e profittevole parsimonia , condu- ceste il figliuol vostro alle carceri, e gli accennaste quel giovine oiiginato da probi genitori, educato a' buoni studi, ed avuto poco prima in riverenza dalle più riputate persone della città, ora condannato per pubblico solenne giudicamento a lunghi anni di pri- gionia siccome reo di peccato o di doloso fallimento : se,, abbiamo detto, dopo di avere con parole fatto co- noscere a'giovanetti le male conseguenze, le quali de- rivano dai vizi del giuoco, della crapula, della lussu- ria, del lusso ec, si presentassero alla lor vista, quasi a compimento di prova, queste vive parlanti dipintu- re, non vi sarebbe a sperare che se ne ingenerasse 220 Letteratura nella loro tenera mente tale abborrimento da tenerli lontani da siffatti mancamenti per tutto il corso del- la vita ? Ecco pertanto ragione, onde la signora Tom- masini , dopo di aver dati i più utili insegnamenti per la privata educazione, ricorda agli educatori su quali basi abbia a regolarsi la pubblica: vale a dire colla scorta di una filosofia, che connetta i principii al fatto, sottoponendo ai sensi ^ per usare le parole dell'autrice, i fatti stessi. Queste due operette della Tommasini vennero da' più chiari uomini di lettere lodati, ed avidamente per ogni dove ricercate: talché l'autrice si procacciò luogo fra le illustri donne italiane , dì cui ha fatto bel ri- cordo il Vedova. Ne qui voleva Antonietta por fine a'suoi studi. Oltre all'avere lasciate annotazioni sulle particolarità di un viaggio fatto a Roma, si era accinta a tessere un romanzo storico, di cui non possiamo tener proposito per non avere progredito il lavoro che di poche pagine. Troppe furono le domestiche sciagu- re che dipoi l'afflissero : l'ambasce del cuore tolsero lena allo spirito, ed abbisognò intralasciare qualsiasi altra applicazione della mente. Adelaide, diletta sua figliuola, e già fatta sposa all'avvocato Ferdinando Maestri ( uno de'più celebri giureconsulti del foro parmense), cadde in sì grave in- fermità da trovarsi entro pochi dì in pericolo di mor- te. Questa giovine, specchio di ogni civile virtù, co- tanto amava la genitrice, e n'era da lei riamata, da sembrare la vita dell'una essere, per così dire, ricon- giunta a quella dell'altra. Immagini chi ha cuore in petto l'acerbo cordoglio di Antonietta, posta al duro partito di perdere ad ogni istante la cara figliuola ! Immagini le sollecitudini, le cure di questa buona ma- Biografia della Tommasini 22T dre, la quale volle da se vegliare a guardia della ben amata inferma! Niuno ardiva dirle, che ogni argomen- to per salvarla tornava inutile, non rimanendo sperare che in Dio. Ciò che persona non osava manifestarle, fu da lei medesima compreso; ed Antonietta genufles- sa supplichevole alzava le mani al cielo, e caldemente il dimandava di questa speziai grazia. La sua voce, fatta penetrativa dalla vivissima sua fede in chi tut- to può, fu ascoltata; onde quasi con aperto miraco- lo Adelaide cominciò a dar segno di vita, ed a ria- versi. Se copiose lagrime Antonietta sparse, quando si trovò vicina al momento di perdere la figliuola , certo che grande fu pure l' allegrezza in vederla ri- sanata. Ma la tanta gioia non bastò a togliere il dan- no, che la salute di questa ottima madre sofferse. Il troppo intenso affanno aveva sì affranto il suo cor- po, che i rimedi dell'arte sembravano disacconci a ri- ritornarla in salute. Alla fine apparì germe di uno scirro canceroso alla destra mammella. Quanto ella si attristava alla vista degli allrui mali, altrettanto di- spregiava i propri. Con maschio coraggio si sottopose al ferro, e la mano felice di un rinomato operatore per allora la fé salva. Assistita da' suoi due figliuoli Adelaide ed Emilio, ristorata dai conforti del mari- to, Antonietta ricuperò le smarrite forze, e potè ri- darsi alle cure di famiglia, ed a'consueti atti di be- neficenza verso i poveri. E sembrava psr vero che dovesse rendere sta- bile e ferma la sua salule coU'aere sereno della cam- pagna, e col vedersi attorniata da' suoi ; quando di nuovo sopraggiunse caso che grandemente l'afflisse. Ce- cilia figliuola di Adelaide, fanciulla d'indole dolcis» 222 Letteratura sima, fa assalita da fiero morbo, e condotta misera- meli le in pochi dì al sepolcro. Cotanto si riscosse l'a- nimo oltre modo sensibile d' Antonietta a quella im- provvisa disavventura, che il suo volto die subito in- dizio di nuova malsania. Onde non trascorse guari, che rigermogliando lo scirro in altra parte del suo corpo, fu entro breve tempo tratta agli ultimi termi- ni della vita. Per non rincrudire a'suoi congiunti la ferita , forse un pò rimarginata , taceremo di quegli ultimi istanti che accompagnarono la morte di An- tonietta seguita nel 29 gennaio i83g. Grande fu il cordoglio del marito e de'figlluoli, grande la fiducia in Dio con cui la moriente sostenne l' estremo suo fato. Il dì, che Antonietta chiuse per sempre gli oc- chi alla terra, fu di pianto a molti, di mestìzia a tut- ta la città. Nella chiesa di s. Antonio ebbe la Tora- masìni pompa d' esequie , a cui accorse moltitudine di popolo da rendere incapace il luogo al comune desiderio. Il calebratissimo Pietro Giordani dettò alquante iscrizioni, che vennero poste attorno al feretro, e so- no le seguenti : SULLA PORTA. Dio riceva nella sua pace il lungo patire e la continua beneficenza di Antonietta Tonimasini» NEL CATAFALCO. Alla testa. Pietosissima agli altrui mal'^ pazii-ntissima de^suoi. i I TRE TEMPII 223 Alla diritta. Non vanità i ma utile comune, cercò nrgli studi. Ai piedi. Le fu massimo piacere e primaria virtù la beneficenza. I tre tempii. Cantica sopra V antico ed il nuovo testamento. Libro I. Il tempio di Salomone^ Modena , tipografia ì^incenzi e Rossi, 1842. Fblume uno in ottavo grande. JUn tempi non molto lontani dai nostri si costuma- va, all'occasione di matrimoni , dare in luce una o più raccolte di rime scritte a bella posta: le quali quasi sempre cantavano le medesime cose , ed eran piene impinzate d'adulazioncelle ridicole, e di frasche- rie poetiche da muover nausea in chiunque si fosse arrischiato a leggerle. Di presente, la Dio mercè, que- sta fanciullesca ed insulsa usanza è dimessa. Oggi , quando pur si voglia festeggiar le nozze di due gio- vani, in ispecie se distinti per virtù e per nascita , suol mettersi a stampa alcuno scritto inedito o ra- ro di qualche sommo antico, o pubblicarsi un'opera novella di moderno autore : con ciò si provvede più nobilmeule all'onore di coloro, alla cui unione si ha 224 LeTTERATUHA in mira di applaudire, e si arreca non piccolo gio- vamento all'intera nazione. Ad un sì fatto lodevol costume dobbiamo il li- bro, del quale intendiamo qui ragionare con brevi e schiette parole. Celebrandosi nella primavera di qua- si' anno 1842 il matrimonio tra S. A. R. France- sco Ferdinando , figliuolo di Francesco IV duca di Modena, colla principessa Aldegonda A,ugusta di Ba- viera , l' avvocato Giulio Franciosi di Carpi volle prender parte alla comune esultanza dando a stam- pa il I libro d'una sua cantica sull'antico e sul nuo- vo testamento intitolata, / tre tempii ed offerendo- lo in omaggio all'augusto padre dello sposo. In que- sto primo libro, che si può l'iguardare come un sag- gio dell'intero poema, descrivesi poeticamente il tem- pio di Salomone. Finge l'autore di avere nel sonno una visione portentosa, durante la quale, guidato da un angelo , gli è concesso osservare le maraviglie tutte del tem- pio di Gerosoliraa, d'intendere le mistiche rappresen- tanze delle sue parti, e di osservarvi per entro i trion- fi e le virtù dei patriarchi, dei giudici, dei re, dei pro- feti, dei pontefici, dei guerrieri e delle magnanime donne d'Israello. Nel primo canto egli narra la ve- duta del tempio sul Moria, il volo sul monte, la di- scesa da esso e il colloquio avuto coli' angelo che gli è guida. Descrive nel secondo il giro attorno al muro esteriore del tempio, i quattro lati e le quat- tro porte col loro simbolo. Entra poi il poeta colla sua scorta nel tempio; vede il portico delle genti e degl'israeliti, intende la dedicazione del tempio, ode le salmodie e un concerto di musicali strumenti : tutto ciò nel terzo canto. Visita nel quarto il portico I TRE TEMPII 2 25 cle'sacerdotì, l'altare degli olocausti, il mare e i dieci vasi di bronzo; osserva i sacrifi/ii; ammira le due co- lonne del vestibolo. Passa quindi ad esaminare i te- sori e le are; vola nella superior parte del tempio : così il quinto canto si compie. Descrive nel sesto la purezza del luogo; ode un coro di vergini e il can- tico di Daniele ; il suo duce gli parla degli angeli confermati in grazia, e fa un confronto coli' umano stalo di verginità. Trova nel settimo canto le vergini intente ai lavori; racconta delle vesti e degli orna- menti sacerdotali da lui veduti; si alza a dire di Ma- ria vergine nel ritiro del tempio. Entra nel santo ; ne descrive le pareti, l'ara de'pani di proposizione , l'ara del timiama, il candeliere d'oro e le offerte del sacerdote sommo : queste sublimi materie informano l'ottavo canto. Nel nono il poeta ha la mirabil vi- sione de' profeti; ode le loro predizioni sull'avvento, sulla nascita, vita e morte del Messia. In seguito gli appariscon le ombre de'patriarchi e de'liberatori del popolo ebreo : gli viene poi fatto motto del vero Sal- vatore : cosi finisce il decimo canto. Segue 1' unde- cimo in cui, continuando le apparizioni, gli si mostra- no le liberatrici del popolo ebreo; gode della vedu- ta della novella liberatrice ; gli passano innanzi i di- struttori e riparatori del tempio; l'angelo gli accen- na d'un nuovo ed eterno tempio. Veduti che ha il poeta nel canto duodecimo i rnarliri ebrei , la sua guida gli discorre del martirio di Gesù Cristo. Non cessa la visione nel canto tredicesimo: e però si of- frono agli sguardi del poeta Giob e i Tobia, imma- gini del Redentore ; quindi Ruth e Susanna, figure di Maria. Nel canto quartodecimo ed ultimo ha l'ap- parizione de'somrai pontefici; osserva l'arca del tcsta- G.A.T.XCI. i5 226 Letteratura mento ; levato in ispirilo, intravede il sacerdozio di Gesù Cristo. Gli accennati fin qui sono gli argomenti trattali dal signor Giulio Franciosi di Carpi nel primo libro della sua cantica, / tre tempii. Essi furono svolti con bell'ordine e con una poesia facile e piana, la quale, quanto al sapore, risente non poco degli stu- di fatti dall'autore su Dante. I versi riescono armo- niosi: ed essendo con savio accorgimento variati nel- le accentature, non generano monotonia di sorta; le rime poi seguono spontanee 1' impulso del pensiero. Lo stile dell' intero poema è nitido , piano, e non iscompagnalo da eleganza; la lingua, se ne cavi po- chissime voci, è purgala, ma senza studiati artifizi. Al- cuni, a caso, potrebbero desiderare nei canti una mag- gior copia di fantasia e di gagliarde immagini : forse costoro non hanno assoluto torto. Vuoisi confessare peraltro che il nostro poeta, avuto riguardo al sog- getto da lui preso a trattare , e che in cerio modo pende alquanto al didascalico, stimò non convenisse- ro alla sua cantica i voli sublimissimi : e si tenne contento di alzarsi colla immaginativa quando e quan- to credette fosse necessario alla dignità del poema. A ogni modo, in certe cose è più da desiderare il mo- derato che il soverchio. Porremo fine a queste nostre parole recando un passo del canto XIV, non come il migliore, ma co- me il più acconcio a provare la verità di quanto su- periormente si è detto. Il poeta, dopo essersi prostrato a Dio e averlo pregato a perdonarlo, se troppo innanzi si fosse fatto nel tempio, ode l'angelo che così gli parla : I TRE TEMPII -22' Solleva i rai, Che tua candida prece il nume accolse, E li dà di veder ciò che vedrai. Alzami suso, come l'angel volse : E fatto della destra al suol puntello, Da terra il corpo al mezzo suo si tolse. E volti gli occhi intorno al sacro ostello. Mirai serahianze dignitose e sante. Gloria e fior del levitico di-appello. l'vidi il sommo Aron, che all'arca innante Scoteva orando l'incensier, che spense Un dì sul popol reo la fiamma errante. Tenea ver l'arca le pupille intense; Poi levando le braccia in atto pio, Di ciel parlava colle gote accense. Di contro lui Melchisedèch vid'io Colla corona in capo, e vino e pane In mano avea, quasi al credente olfrio. Sacra figura delle membra umane, E del sangue di lui, che benché divo, Pure com'uom morrà per genti insane. Prostrata, e di zel piena ardente e vivo, Di molti orava sacerdoti schiera. Come ammirai ne'templi il dì festivo. Dopo i due primi Eleazàr pur v'era, Di calcar degno quella terra, cui Non concesse ad Aron sentenza austera^ Te pur vegg'io, che tanta gloria frui, Zelante Fines ! Sculti in ciel già furo La nobil gesta e gli alti affetti lui. Qui l'innocente Achimelèc con puro Ed infiammato cor, fiso alla nube. Mostra il fin che l'uccise ingiusto e duro. 228 Letteratura In mezzo al suon delle ribelli tube Quello è Satlòc, che in Assalon compiange Figlio che al padre infame guerra iube. Poi Salomon per Adonia pur tange; Lui grida successor del gi'an monarca, E coll'ostie di pace ogn'ira frange. Ecco x\zarìa, che dall'asil dell'arca Respinge Ozia : sulla scoperta legge Elcìa le luci venerande inarca. Gesù di losedèc l'onta corregge Dell'empietà dei tempi, e ai sacerdoti, Speglio alle genti, impone ordine e legge. lolada asconde entro sacrari ignoti Il regio germe, e sofferente e muto La sua speme matura, e colma i voti. Indi sorretto da celeste aiuto Lui proclama regnante; il popol corre E dell'empia Alalia segna il rifiuto. Onia di contro Eliodoro è torre: E quando il folle con armata gente Tenta su que'tesor l'artiglio porre, Su candido destrier rapidamente Scende un eroe, ed altri due con esso, E il suon rimbomba del flagel potente. Eliachlm sul popolo rubello Alza la voce, e di cilicio cinto Sparge cener dolente in Israello. L'altro è colui, che a divin'opre accinto Sovra tutto Sion vibrò tal luce, Che da quel lume ogni chiaror fu vinto. Ebbe di giusto il nome, e fu tal duce, Che qual'iri di pace apparve in terra, O luna in ciel che in sua pienezza luce. Opuscoli dij'l Bruti 22( Alfin tre rimirai fulmin di guerra, L'invitto Giuda, Gionata e Simone, Che il gran sepolcro sollevò da terra. Oh stirpe Maccabèa, qual può sermone Celebrar la tua fama e la tua gloria, Che sovra tutti i vincitor ti pone ? La tua sia benedetta alta memoria, Che Gorgia e Nicanòr mordono il campo:'- E ovunque è' un Maccabeo, ivi è vittoria. Filippo Gerard?. Nuovi opuscoli del sig. marchese Filippo Bruti- Liberati , pubblicati in Ripatransone co^ tipi del laffei dal 184^ al 1842. JnLl tomo LXXXV a carte 3o6 e seg. di questo gior- nale abbiamo parlato di alcuni utilissimi opuscoli posti in vario tempo alla luce dal eh. sig. marchese Filippo Bruti Liberati, ricchi di belle e peregrine no- tizie , le quali riguardavano specialmente Ripatran- sone, di cui è nobile cittadino, ed altre città o luo- ghi cospicui della marca picena. Avendo il suddetto sig. marchese proseguito a mettere a stampa in oc- casione o di nozze, o di messe novelle, o di fausto e memorando avvenimento, somiglievoli opuscoli, ne daremo succintamente contezza , e ci studieremc di far rilevare quello, che di più importante in essi ab- biamo trovato. \ 23o Letteratura I. Sulla relazione fra J scoli e Bìpatransone. Lettera prima. Lo scopo deirautore si è di far co- noscere 1' antica relazione tra i due comuni e le principali famiglie di ambedue le città, addimostran- dolo colle cariche scambievolmente esercitale dai cit- tadini , e co' matrimoni cb' ebbero spessissimo luogo tra le pili distinte famiglie di Ripatransone e di A- scoli. Parlando degli ascolani, i quali lianno tenute le podesterie in Ripatransone, accenna le attribuzio- ni, la dignità, la nomina, gli obbliglii , la durata e le onorificenze di sì ragguardevole carica dal secolo XIII al XVI. Nel ricordare le controversie tra gli asco- lani e que'di Offida, gli è venuto in acconcio di scio- gliere un dubbio nato al eh. conte Monaldo Leo- pardi nella sua Serie de''rettori piceni, dubbio nep- pur deciferato dal eh. conte Francesco Pergoli-Cam- panelli nelle sue giunte alla opera suddetta. Verteva questo sull'epoca della morte del cardinale Giovanni la Balve legato della Marca , avvenuta in Ripa- transone nel settembre , o al più tardi ai primi di ottobre del i/fQi • ^'^'^ che supponevasi ritardata di ! qualche anno per avere il Colucci al tomo 18 delle antichità picene riportala una lettera del cardinale in data de'26 agosto 1492. H Bruii, dopo aver con- sultato tale lettera conservata nell'archivio ripano, di- mostra che vi è sbaglio nell'anno, ricavandolo da vari argomenti, e specialmente da questo, cioè che la la- pide posta in Roma al cardinale la Balve nella chiesa i di santa Prassede, e riferita dal Davanzali nelle no- tizie di quella basilica, ne accenna la morte sotto il pontificato d' Innocenzo Vili , che finì il 24 luglio 1492; e però nell'agosto di quest'anno regnava Ales- sandro VI eletto ai primi di tal mese. Empiendo poi Opuscoli del Bruti aSi la lacuna dopo la morte del card, la Balve, lia rilevato che Girolamo vescovo di Fossombrone era luogote- nente nel 149I3 che nel marzo, aprile e maggio del seguente anno s'intitolava governatore; e che nel- l'agosto dello stesso anno 1492 Giovanni Al. de INi- grls protonotarlo n'era governatore e vicario generale. Noi desideriamo che l'autore ci attenga presto la pro- messa, ohe ci dà in questa lettera, di fare cioè un'ag- giunta alla serie de'rettori della Marca, e siam per- suasi che nulla sfuggirà alle sue diligenti ricerche. II. Sullo stesso soggetto. Lettera seconda. Ri- ferisce in questa molti fatti e nomi in aggiunta alla prima lettera; mostrando specialmente quanto si ado- perasse la città di Ascoli a togliere le intestine se- dizioni de'ripani mandando ad essi non solo i pro- pri regolamenti, ma eziandio nel 17 ottobre i5i7 due ambasciatori Deifobe Novi ed Asloldo Videroc- clii. Il tutto vien confermato con documenti utilissi- mi, ed in parte nuovi, tratti dagli archivi della Mar- ca, e dalle riformanze de'consigli. III. Alcuni cenni sul suo concittadino Fran- cesco Lunerti, e sul genero di lui Cesare Torti. Il Lunerti, uomo di molta dottrina e prudenza ed assai stimato da Eugenio IV , che per qualche tempo il volle presso di se, nacque in Ripatransone ne' primi anni del secolo XV , come con buoni congetturali argomenti dimostra il Bruti: e vi morì, com'egli opi- na, un anno o poco più avanti il i di luglio i492- Imperocché ne'libri del consiglio, tra i nomi degli an- ziani poco prima eletti, a quello del Lunerti era ag- giunta la parola defunctus : e ne'suddetti libri par- landosi 17 luglio 1491 di Nicolosa, che voleva, giu- sta la frase di allora, scastellare, è delta olim uxor aSa Letteratura Francìsci Lunerti. Passa quiriLli il N. A- a far men- zione di Cesare Torti, genero di lui, valente medico, e assai lodato dal Gantalamessa nelle memorie de'let- terati ed artisti ascolani , anche perchè fu il prinìo a dare alla luce in Firenze nel 1490» ^ quindi in Venezia nel i5o8, una raccolta di poesie italiane. Ne manca di confutare il dubbio eccitato dal Gantala- messa, che il Torti cioè fosse nativo di Ascoli in Pu- glia: provando il marchese Bruti ch'era nato in Mon- te Gallo vicino ad Ascoli nel Piceno, e che morì me- dico in Ripatransone. E poiché il Torti qual medi- co assisteva la casa Acquaviva , così coltone il de- stro ci somministra alcune notizie intorno a questa nobilissima famiglia, che per qualche tempo essendo dimorata in Ripatransone fu larga di privilegi a quei cittadini. IV. Sulle pitture di Ripatransone. Lettera. Si enumerano in essa vari belli affreschi , specialmente del secolo XV, i quali trovansi ne' palazzi pubblici, nella chiesa di san Giacomo, e nell'altra di san Fran- cesco. Per essere poi quest'ultima da vai'i anni sco- perta, deplora l'imminente rovina di tanti egregi di- pinti, se a tempo dai superiori, com'è a sperarsi, non vi si prenda opportuno riparo. Tacendo delle pitture che sono nelle case , ricorda vari quadri di mollo pregio esistenti nelle chiese : e pubblica per la pri- ma volta questa importante notizia ricavata da un estratto di libri di uscita dell'ospedale, cioè che per quel luogo pio e specialmente per la chiesa della Pe- trella nel iSGy dipingesse Ascanio Condivi, discepo- lo, amico e scrittore della vita di Michelangelo. V. Sopra Monte Santo. Quarta lettera. In questa lettera, che serve di continuazione alle tre pre- i Opuscoli del Bruti 233 cedenti, l'autore esamina i motivi, che principalmente hanno contribuito a far sì cìie tanti uomini illustri uscissero ivi alla luce. Lo attribuisce egli a tre cau- se; I. alla sua situazione sulla strada di passaggio; 2. all' incoraggiamento dato agli studi ; 3. alla sua posizione vicino a Macerata. Sviluppando la prima causa, deduce da documenti e scrittori degni di fe- de l'esistenza di antica strada molto frequentata, ri- cordando l'epoche, nelle quali furono fatti alcuni pon- ti sopra i fiumi o torrenti Potenza e Chianti. In prova della seconda riferisce, che il cap. V del libro primo dello statuto ordinava un' annua sovvenzione a que'giovani, che studiavano con impegno le scien- ze o civili, o canoniche, o ippocratiche sia nella Mar- ca, sia fuori di quella provincia; ed inoltre ci porge contezza di un premio annualmente dato nella vi- gilia di Natale a coloro, che tornassero in patria do- po avere applicato alla giurisprudenza , coli' obbligo però di essere consultati dal comune. Sapientissimo provvedimento, che in pari tempo giovava a chi chie- deva consiglio, ed animava a profondamente studiare per saper bene e con avvedutezza rispondere. Nel pro- vare la terza causa fa conoscere l'impegno de'mace- ratesi fino ab antico di avere nella loro università professori eccellenti , e n' enumera alcuni rinomati nel secolo XVI , fra' quali ricorderò 1' immortai Si- sto V , eletto professore il 9 ottobre i55o , e Fi- lippo Sega e Gregorio Petrocchini ambedue di Ri- patransone e pe'loro meriti elevati alla sagra porpora. VI. Notizie di alcuni militari ripani dal se- colo XII al XVI. Si annoverano in questa lettera molti prodi capitani, ch'ebbero la luce in Ripatran- sone: ed il sig. marchese Bruti Liberati, coli' esami- 23/i Letteratura nare le risoluzioni de' consigli, ha potuto apportare grandissimo lume sulla storia non solo patria ma ita- liana di que'tempi, indicandoci con molta esattezza l'epoche di alcuni avvenimenti, de'quali non si tro- va pienissima concordia tra gli scrittori. E per dichia- rarlo noi con un sol fatto che tanto onora il valo- re de' ripani , il N. A. racconta che nel i532, te- mendosi di nuovo l'arrivo degli spagnuoli, fu risoluto dal consiglio' il 24 ottobre di mettere in piedi otto compagnie di fanti , e furono scelti per capitanarle altrettanti concittadini, tra' quali Francesco Ceccone, Annibale Castelli ed Ascanio Condivi padre del ce- lebre Ascanio. Non pago però il sig. marchese Bruii Liberati di queste notizie, le quali di tratto in tratto ci ha dato , e che ripeto essere utilissime a chiunque fa- tassi a scriver l'istoria di quella provincia, ha preso egli a pubblicare un manoscritto composto sono ornai yo anni da Filippo Rotigni arcidiacono di quella cat- tedrale, e del quale non esiste forse in oggi se non una sola copia. Questo dotto ecclesiastico erasi spe- cialmente dilettato di raccogliere quanto più d' im- portante vi era sullo stato antico e moderno delle chiese, de'conventi, de'luoghi pii, e di tutt'allro che riguardava la sua patria, della quale era amantissimo e studiosissimo. Ora il N. A. non solo ha intrapreso a darlo alla luce dividendolo in opuscoli ; ma gli ha forniti di copiose ed erudite note , che sovente sor- passano in lunghezza anco il testo : e sono esse o a conferma del medesimo , o necessarie per le vi- cende e pe'mutamenti avvenuti dall'epoca in cui fu dettato il manoscritto. Finora ne ha messi a stampa cinque, ed anche di questi daremo brevemente ragione. Opuscoli dkl Bruti 235 VII. Sulle chiese T'urlali. Troviamo notizie di venlinove chiese, delle quali alcune dirute, altre tut- tora esistenti in quel territorio, e che appartenevano a parecchi castelli in oggi distrutti. A.lla nota 6 par- lando di quella di san Michele , che si pretendeva da qnatiro secoli indietro fuori del territorio , di- lucida alcuni punti risguardanti Ripatransone, con- tenuti nelle notizie storiche della città di Fermo ri- dotte in compendio dal eh. avv. sig. Giuseppe Fra- cassetti: e nella seguente nota y, apposta alla chiesa di s. Giacomo in Paterno, il Bruti seguendo V opi- nione del conte Porli ci fa sapere, che eravi un an- tico castello fortissimo per natura , perchè situato sopra di un erto monte che guarda il mare, acces- sihile solo per la parte di dietro, ov'è unito ad una catena di monti; né dobbiamo noi tacere, che que- sta chiesa diruta da circa 80 anni, perchè non se ne perdesse memoria, è stata dal detto sig. marchese, pro- prietario del fondo, riiabbricala in luogo più accon- cio, aggiungendo a quello di san Giacomo anche il titolo di s. Francesco di Paola, i Vili. Sulle chiese dirute nelV interno della I città. Si parla di dodici chiese che più non esisto- ; no: se ne indaga l'origine, la denominazione, il luo— ,; go: e nelle annotazioni si rettificano alcune epoche, ! dandosi all'uopo notizie assai importanti. IX. Alcuni cenni sulla cattedrale ripana. La erezione del vescovato nel i5yi ; l' antico circuito I della diocesi; la cattedrale vecchia e la nuova , che '1 cominciò ad uffìziarsi nel 1628, ma che ora soltanto I è stata nell'interno compiuta, porgono materia a que- 1' sto libretto pubblicato quando non ha guari veniva J consecrato in vescovo di Ripatransone monsig. Mar- 236 Letteratura tino Caliendi. Nelle annotazioni il sig. marchese Bruti mostra come fin dal i485 si dimandasse dai ripani di avere il proprio vescovo, e come entro gli attuali li- mili della diocesi esistesse in tempi assai anliclii la sede vescovile in Truento, e secondo il Porti ( Ta- vole sinottiche di Fermo ) anche in Cupra maritti- ma : né tralascia di descriverci i molti e sorprendenti intagli in legno, che fatti n^el secolo XVII adornano la nuova cattedrale di bella architettura. X. Sulle comunità de* religiosi. Sono queste oggidì ridotte a due solamente: cioè ai padri dell'ora- torio e ai cappuccini, quando fino al 1810 vi erano anche stati i conventuali, i domenicani , gli agosti- niani, ed i minori riformati. Qualche secolo prima si erano partiti i carmelitani , i silvestrini e i monaci di sant'Antonio di Vienna. Nel descrivere la nuova chiesa di san Filippo, disegnata da Lucio o Luzio Bo- nomi di Bipatransone, l'editore in una lunga nota ci dà la biografia di questo valente architetto vissuto alla fine del secolo XVII, e nel principio del XVIII. Costui, siccome saggiamente riflette il march. Amico Ricci nella sua dotta opera sulle belle arti e sugli artisti piceni, mantenne il buon gusto del secolo XVI; ed il Bruti non tralascia di ricordarci le poche ma belle opere che si hanno del Luzio, il quale assai gio- vane ritirossi in patria per attendere alla famiglia e al maneggio del vasto suo patrimonio. In ullimo ci ri- ferisce i buoni dipinti, che nelle suddette due chiese si conservano. XI. Le attuali parrocchie. San Pio V nell'eri- gere il vescovato ridusse a quattro le quattordici par- rocchie: e dal Rotigni se ne descrivono le chiese colle loro denominazioni, indagandone le antiche origini. Opdscoli del Bruti aSy Due di esse erano a due navate , cosa singolare in architettura, e che potrebbe a se rivolgere la consi- derazione degli aitisi! , non essendo solito il costruir- le così. Si ricordano dall' editore in quella di san Benigno due quadri di Carlo Crivelli , ed uno di Vincenzo Pagani nell'altra di sant'Angelo, fornita pu- re di pitture di valenti maestri. Noi speriamo che il colto signor Bruti prosegua a pubblicare l'intero manoscritto dell'arcidiacono Ro- tigni: e cosi non avverrà di questo ciò ch'è di tanti altri utilissimi scritti avvenuto, vale a dire che va- dano col tempo disgraziatamente smarriti, e si venga- no cosi a poco a poco a perdere tante utilissime noti- zie, che pur bello e forse necessario era il sapere. E di fatti quante memorie non si sono perdute o negl'in- cendi, o ne'saccheggi, o in altre pubbliche e private di- sgrazie, anche con gravissimo danno della patria isto- ria? Il secolo presente, che tanto a ragione è portato per la istoria, ha disseppellito importantissime memorie, e ci ha fornito di documenti tali da potersi in più luo- ghi correggere abbagli gravissimi, in cui per mancanza di documenti erano caduti scrittori anche più degni di fede. Questa luce che si va a spandere sulla storia, anziché estinguersi, devesi a tutto costo propagare: ed ogni caldo amatore delle glorie italiane, o per dire più rettamente della verità, deve contribuire acciò si metta fuori tutto che giova o a stabilir meglio l'epoche, o a più particolarizzare i fatti, o a narrar cose di cui si era presso i posteri perduta la memoria, perchè non pub- blicate colle stampe. Se cosi faranno tutti i munici- pii, sceverandosi poi l'oro dalla mondiglia, si avrà un corredo bellissimo di documenti, e si vedrà chiaro fin 238 Letteratura dalla prima origine quale sia l'istoria dell'Italia depura- ta da tutto ciò che ha di favoloso , d'incerto e di spi- rito di parte. F. Fabi Montani. Elogio di Apollinare Olivieri^ recitato a dì 29 settembre 1840 da Gianjrancesco Rambelli nel- la sala comunale di Persicelo ^ in occasione di premi distribuiti. V-iorre nel mondo per approvata una sentenza, che la vita di coloro che in questo pelago non sostennero violenti procelle, non si segnalarono con grandi e ro- morose geste, poca materia somministri agli scrittori e assai meno si presti alla imitazione altrui: quasiché tutta a ridurre si abbia alle sole nude indicazioni di nascita e di morte, e all'elenco delle opere, magro e sterile ove queste non siano conte all'universale, o la fortuna, la corta vita, o la mala salute abbiano tolto al defunto levarsi a più alti voli, lasciando scritti di provata utilità e di peso maggiore. E nondimeno ben diversa sentenza si avrebbe a tenere: essendo la nar- razione della vita altrui specchio fidato, in cui guar- dando gli uomini, e i giovanetti precipuamente, hanno a studiare di conformarsi all'esempio delle virtù nar- rate : ove tali virtù siano eminenti, maravigliose, sin- golari, oltrecchè ponno mettere negli animi disperazio- ne di raggiuguere tanta altezza , non si offrono sì I II Elogio dell' Olivieri 23q agevolmente ad ognuno gl'incontri di tentare quelle impreso, di trovarsi in que'cimenti, in que'pericoli di vincere e trionfare quegli straordinari opponiraenti. Ma delle facili e soavi virtù domestiche e cittadine con- tinuo è r uso che far sì può ; cresce e si mantiene per loro la civile comunanza : sorge da esse quella mutua benevolenza che dovrebbe essere in ogni pet- to umano. Gioverà quindi all' infinito il considerare, come nascano nel cuore, come se ne venga disvilup- pando il germe, e fruttifichi poi nelle buone opere e nelle utili scritture. Certo male argomenta clù avvisa facile T eser- cizio di queste dolci e schiette virtù, perchè vengo- no agevolmente praticate da chi le ebbe accumulate in se; ma non si scende nel cuore per conoscere co- me sudato e faticoso ne sia stato T acquisto , come aspra la lotta che lo mantiene, come sanguinosa la vittoria che gli cinse la palma. Accade di ciò come delle gemme più rare, che non sono apprezzate là do- ve nascono perchè comuni : ma perchè comuni non perdono né splendore ne pregio. Il torrente, che gon- fio e spumoso scende dall'alto e trae seco greggi ca- panne e pastori, mena maggior romore che non le limpide acque d'un ruscello che lenemente scorrendo per gli ameni campi, Pubertà, la freschezza, la vita vi arreca. Ma quale di questi torna meglio all'uma- na famiglia ? Se adunque tanto vale la narrazione, delle pure e domestiche virtù , e se in ogni tempo mette bene l' innamorarne gli animi giovanili, spero non vi graverà, signori, che io vi tenga brevi paro- le della sapienza e delle virtù di Apollinare Olivieri, che voi tutti aveste compagno, amico e conoscente. Malagevole cammino intraprendo: che ove falsas- 2^0 Letteratura si la verità, tutti me ne accusereste: ov6 la tacessi, di negligente o maligno animo mi potreste notare. Pur nondimeno affiderò a queste acque la fragile barchet- ta, sperando non mi fian perigliose, ove dalla corte- sia de' vostri animi io venga confortato di benigno compatimento. Ciò che in terra rende l'uomo più prossimo alla celeste sua origine è fuor di dubbio la sapienza. Face chiarissima è questa, data a diradai'e le tenebre in- dotte da'vizi e dalla ignoranza : luce divina a singo- lare grazia in questa creta mortale spirata , maestra dell'umana famiglia, reggitrice della pubblica felicità, de'malnati errori disperditrice; che ordinando e tem- perando la mente ed il cuore , lo indirige all'acqui- sto ed alla investigazione del vero. Di queste sfolgo- rantissime doti della sapienza preso l'Olivieri fin da' più teneri anni (i): e avendo sempre innanzi che la possessione dell'uomo è il tempo : che esso è il campo che l'uomo ara; studiò accesamente di non lasciare incolta alcuna parte del suo campicello ; e ben se- minando e piantando , e impedendo lo allignarvi e metter le barbe a piante maligne, riesci a segnalarsi nel- le lettere. Prima nel seminario di Bologna guidato da Giulio Piana imolese, oratore e poeta di qualche grido : poscia esercitandosi nello insegnamento e in Medicina sua patria, e in Bologna, in Nonantola, e qui, e in s. Agata, venne ad addentrarsi cotanto ne' classici latini da farsi della loro favella spertissimo e profondissimo conoscitore. Al che avendo collegato (i) Era egli nato ia Medicina, terra del boluguese , il 22 di lugliu 1769. El,ogio dell'Olivieri 241 studio (li ecclesiastiche scienze e di sacre e profane istorie, che gli furono pascolo in tutta la vita, si eb- be adorno l'animo di quella sapienza che cupidamen- te a conseguire mirava. Che se le italiche lettere non gli arrisero al pari delle latine , fu colpa più dei tempi, che sua. Mercechè poco a que'dì insegnavasi il volgar nostro : in poco o niun pregio si aveano i padri dell'italica favella. Dominavano nelle scuole e porgevansi in esempio autori di mediocre levata: quin- di chi sovra di essi formava lo stile, non potea pro- cacciarsi quell'aurea e nobile elocuzione che scevera i buoni dagl'inetti scrittori. Belli e sicuri esemplari di poesia si gridavano il Frugoni , il Bettinelli , il Cesarotti, il Salandri, il Bondi e somiglianti: ne me- glio si curavano le prose. Non si cercava in esse pu- rità e proprietà di favella, non precisione, non elegan- za. Modelli SI offerivano o gonfi, o fioriti e poetici di troppo , o pieni d' ogni maniera di voci o nuove o derivate da lingue straniere, e ad arbitrio nella no- stra introdotte. Sarebbe orbo al tutto chi negasse bei meriti al Pellegrini, al TornielU, al Roberti, ad E- vasio Leone; ma sbaglierebbe la retta via chi a' gio- vani li proponesse come esemplari di lingua e di sti- le. E non ostante queste pecche, più de'tempi che sue, erasi l' Olivieri abituato in modo al verseggiare ita- liano, che giunse anco a farlo estemporaneamente, e talvolta con plauso di tutta l'Italia, come fu di quel sonetto : « Considerando che la guerra è un gioco. » Ma perchè in tai versi non ben chiari gli venivan sempre scolpiti i concetti, miglior fama ottenne dai G.A.T.XCI. i6 24a Letteratura latini ch'eì dettava fluidi, spontanei, arguti: e, ciò che è più, improvvisi. Nobile e raro vanto dell'Italia si è 1' avere avuto in ogni tempo poeti estemporanei : indarno altre nazioni si sforzarono di farselo proprio : nostro ei rimane ancora a prova dell' alta potenza dell'italiano intelletto, e ad argomento dell'indicibile abbondanza e facilità del più soave degl'idiomi. Igno- to non m'è che molti dispregiarono e dispregiano la poesia estemporanea, impudente giuoco chiamandola: ignoto non m'è che l'opera del momento esser non può pensata, abbellita, compiuta, siccome quella che non ebbe la necessaria preparazione , e su cui non passò di forza la pomice e la lima : ma non m'è i- gnolo altresì quanto di ammirazione, di sorpresa, di entusiasmo si desta in chi ascolta l'uomo che improv- visa. Quella foga, quella vena, quella spontanea flui- dità, per cui il verso, il concetto, la rima vengono si pronti, si naturali, sì piani : que'lampl di fantasia; quella vivezza d'immagini e figure, che si spandono a torrenti; gittano maraviglia immensa negli animi, li traggono a se , e a loro voglia ne alterano i movi- menti. Anzi giungono talvolta ad illuderli così, da re- putare di essere eglino stessi da tanto; sebbene nulla di più difficile. Conciossiacosaché quel subito e spon- taneo poetare, oltre ad essere dote straordinaria di pri- vilegiato intelletto che sortì altitudine al verso e ad un caldo e subito eloquio, è frutto di continuati stu- di, di pratica indefessa , di abitudine fattasi natura: è sforzo altissimo di corpo e di mente. E difatti non vedesi esso dagli occhi accesi e scintillanti, dal volto infiammato dell'improvisante , dal gonllartìi e vene e muscoli, dalla tempesta d' affetti, che gli si addensa nell'animo, e tutta gli accende e commove la perso- Elogio dell'Olivieri 243 na? No, che bugiardo non fu il detto del sulmonese; « P'st Deus in nobis, agitante calescimus ilio: » Sedibus aetereis splrilus ille venit. Che se è tanto malagevole cantar versi stans pcde in uno nella lingua comune, lo è certamente viep- più nella latina : poiché ogni cantore estemporaneo, oltreché proposto appena 1' argomento ne ha a mi- surare all'istante l'estensione, a disvilupparne le pro- ve, ornar lo debbe d'una locuzione subita e poetica; se abbia ad aggiungere il metro latino, trovasi ristret- to da ceppi più gravi, a sciogliersi da' quali non si ricerca meglio d' un ingegno singolarissimo. Poiché formandosi i versi latini per misure di piedi e silla- be poste in ordine, e dipendendo la quantità di que- ste or da regole generali , or da eccezioni infinite , e talvolta da solo un esempio di classici ; ciò terrà la mente occupata in un certo esame o giudizio, in- nanzichè si determini con sicurezza a comporre il verso. Aggiungi che il non parlar noi comunemente il linguaggio latino, e il non pensare in esso, astrin- gerà il poeta a tradurre i sentimenti che gli si pre- sentano alla mente: il che gli recherà cagione d'in- dugio , come gliene recherà il trovarsi sovente for- zato ad esprimere per via di perifrasi, d'analogia, od approssimazione cose inventate modernamente, di cui gli antichi non ebbero la menoma idea. Vero è che l'abitudine varrà a dare molta agevolezza alla cosa : ma che non basti a compiutamente formarla, e vi si richiegga un particolare dono della natura, il prova il picciol novero di que'che vi riescirono a bene. Fra' quali non ultimo si fu l'Olivieri. Ed oh fosse stato 244 Letteratura meglio curante de' suoi improvvisi, che a prova de' miei detti larga messe recare ve ne potrei! Pur non lascerò d'addurne alcuno de'pochi, che udendoli tal- volta mi rimasero in mente. Parlando di chi non po- lca sperare seconda la fortuna, in un luogo ebbe a dire : Nil equidem, fateor, licei hic sperare quietisi Urget pauperies indiga semper opis. Toccando i mali che gravavano la sua vecchiezza, can- tava : Fondere ego aetatis^ morborum pendere vexor: Robore vix fessos saepe regente pedes. JVunc mihi reuma caputa brachia modo possidet ambo: Nunc et utrasque manus, nunc et utrosque pedes. Quanto bene non ponea in bocca alla snaturata ma- dre ebrea queste parole ! Carnificis bene functa vices, mea membra peremi. Uno quae horrebam nomine carnificis. Carnificis male functa vices, lacero, oscular illum^ Blandior hcu misero . . . divido^ rampo, neco. Ma queste cose sono sì vere, si conosciute, sì testi- moniate da tutti voi, che non ho d' uopo di spen- dervi vdteriori parole. Ed io stesso il vidi sovente tra- durre alla sprovveduta in verso Ialino i componimen- ti che gli veniano a mano, saggiandosi anche a farlo in più metri: infinite volte poi scrivere Garrenti ca- Elogio dell'Olivieri 245 lamo fino a sessanta e settanta distici di seguito so- vra temi proposti da me o da altri : onde non era luogo a sospicare di fiode o di antecedente prepara- zione. Posso adunque dirvi dirittamente con Tullio ( Pro Archia num. 8 ): « Quoties ego hunc vidi, ciim n literam scripsisset nullum, magnuni numerum ì) optimorum versuum de iis rebus, qiiae tum age- » rentur, dicere ex temporel Quoties revocatum » eandem rem dicere , commutatis verbis atque )) sententiis ! » Un uomo adunque di sì sorprendente facilità nel numero latino; adorno della piuttosto singolare che rara prerogativa d'Improvvisare in esso, non do- vrà aversi in pregio ed amore finché lo sarà la no- bilissima lingua di Tullio e di Fiacco ? E tanto pivi ne sarà degno, quanto che questa sapienza coronò delle più belle virtù: di cui princlpalisslma fu la religione. Santa e pura fiammella che tutto ebbegli inceso Tani- mo, e che il fé camminare perfettamente innanzi a Dio. Sacratosi agli altari giovinetto ancora, del santo suo ministero fu osservatore scrupoloso. Del candor della fede e del costume fu tenero siffattamente, che mai non appressò la mano agli insidiosi e attossicati volumi che i falsi filosofanti d'ollremonte in immen- sa illuvie mandavano a noi sulla metà dello scorso secolo: e tanto in ciò fu riservato e contegnoso, che ne anche volle avere ne legger mai poeti erotici e romanzeschi. Egli conslgllero di bene, spregiatore di mondane vanità, rimettitore prontissimo delle offese, studiava di avviare alla vera pietà i garzoncelli a lui commessi più colla efficace potenza del esemplo che coll'eccitamento delle parole. Appresso alla religione gli dierono lume ed ornamento Tumiltà e la mode- 246 Letteratura stia. Grandi e belle virivi son queste, care a' dome- stici, accette agli estrani, e di cui in ogni tempo è lieto e gradito l'aspetto. Sotto l'ombra di esse sfol- gora maggiormente il merito: il che non incontra con la presunzione , la quale il soffoca con vani e falsi adornamenti. Rende similitudine di tali virtù l'albero fronzunto che vela colle foglie i propri frutti. E l'Oli- vieri più inteso a meritare la lode , che a ricorla , mai non fu udito parlare alto di se; non mai con acerbo spregio tentare di farsi scabello degli altri ad altezza maggiore : che anzi i suoi pregi soleva ri- coprire, e menomarne il valore e mostrarli ad altri comuni. Collegossi a queste virtù la costanza. Ben veggo che voi maravigliate a co tal nome: che la co- stanza non si reputa comunalmente virtù da poeta, né propria di tal uomo, qual sì fu l'Olivieri, che sì spesso vedevamo cambiare di consiglio. Ma oltreché fu cantato : » Che nel mondo mutabile e leggiero » Costanza è spesso il variar pensiero ; di tutt' altre specie è la costanza cui accenno: ch'ei l'ebbe salda e fermissima nel retto operare, nella re- ligione e nella debita veneranza a' pontefici e al lo- ro governo : conciosiacosa succhiate queste col latte, radicaronsi in guisa nell'animo di lui, che forza uma- na non le potè divellere giammai. Avvenutosi in tem- pi grossi e burrascosi, quando inopinati avvenimenti sconvolgevano il mondo, e precipuamente l'Italia, ei disfogava in facili versi l'indignazione che gli bolliva nell'animo allo scorger perdente quella causa che bra- mava trionfante. Possenti avversari il denunziavano^ Elogio dell'Olivieri 247 ammonito a tacersi, ei più e più aguzzava le punte alle saette: e narrar soleva di aver composti tanti so- netti anti-repubblicani in una notte, da trovarsene la dimane uno appiccato ad ogni colonna de' portici che tutta traversano Medicina. Catturato allora e fra duri stenti e a pericolo della vita trascinato a Mi- lano, otto mesi penava in carcere, sotto stretta cu- stodia : ma, fermo nel suo proposito, anco di là en- tro levava la voce : affermava anzi d'essere stato una volta sorpreso da' suoi giudici mentre scrivea uno di tali componimenti. Eccesso d' imprudenza, cui dovè la salute e la liberlà. Costanza ebbe pure nell' esser mite e parco ne' desiderii, nell'amare l'aurea medio- crità ; e molto solca lodarsi dell'eminentissimo Op- pizzoni, clie lo elesse canonico prevosto di questo ca- pitolo. Ei, di tal grado ben rimeritato tenendosi, lie- to e contento se ne mostrò sempre mai , quello re- putando come la mela cui anelava , il termine del- le durate fatiche , 1' asilo e il porto della sua vec- chiezza. Di pari passo alla costanza camminò in lui la pietà, ma grande, ma vera, ma effusa. In questa, che al dir dell'apostolo avanza ogni altra virtù e più ci assomiglia all'Eterno, fu eminente l'Olivieri : signo- reggiò egli di vero , e non fu servo al denaro. Ben sapeva che la grandissima delle povertà è l'avarizia: quindi non solo piangeva al pianto del poverello , dell'orfano, della vedova; ma largo soccorreva a' loro bisogni , e forse prodigo ancora. Quante volte non ebbe egli a stentare per aver sovvenuto altrui più che il parco censo non concedeva ! Quante volte il tri- sto non l'ebbe con false apparenze ingannato ! Così fatte virtù ei temperava poi di tale una piacevolez- za e affabilità di modi, che non potrebbono ritrarsi 248 Letteratura a parole. Arguto era ne' concetti, lepido e scherzo- so ne'tratti: e, quando ridevagli prospera la salute, di amenissima consuetudine. Saporiti racconti, leggiadre storie, bei motti , salsi epigrammi gli fluivano dalle labbra, giocondi sempre, ma onesti: che illibalissimo fu di costume e di monda esemplarissima vita. Ma nel corpo, disfatto dagli studi, dall'età, dalle traversie, covava un germe di mala salute, die sotto le appa- renze di lìorente e rubicondo aspetto insidiavagli la vita: ed ei lagnarsene continuo, starne tristo e me- lanconico l'intere giornate, presagire prossimo il suo fine , indicare subitanea la sua morte. E tale vera- mente si fu: che di fiera appoplesia mancava in po- che ore la mattina dei i3 ottobre i838. Ed ahi venia rapito quando erasi dato a scegliere e raccorre in uno i suoi componimenti, quando la fresca e vi- gorosa mente gli prometfea ancora lunga e giocon- da vecchiezza! Che se a testimoniare la sua sapien- za rimane alcun verso volgare e latino e belle iscri- zioni , perdute sono le metamorfosi ovidiane da lui in tanti distici compendiate: perdute le principali par- ti d'una grammatica e prosodia sposte in facil verso elegiaco : perdute le migliori poesie nella gioventù composte, o per la malvagità de' tempi o per la pro- pria incuranza: ma perduta non è, e non andrà la memoria dell'ingegno, delle esercitate virtù, della va- lentia nelle latine lettere : che pregiata passerà a' nipoti, perpetuando il suo nome nella laudevole fama. Salve adunque, vecchio felice, che la tumultan- te e romorosa valle del mondo varcasti, senzachè la pestilenza del vizio t'abbia tocco, ne guasto» La tua stanza quaggiuso fu un ordine non interrotto di san- ie e belle opere. Fu specchio di religiosa e sapien- Elogio dell'Olivieri 249 re vita, padre e sostegno de' miseri, utile e commen- dato cittadino. Mai non avesti beneficio, che il po- nessi in oblìo; ne mai il facesti, che memoria te ne durasse. Salve; e dal seggio di gloria, che confidia- mo averti meritato le tue belle virtù, scendi a que- sti giovanetti oggi che i vigilantissimi magistrati dan loro la palma de'durati sudori: e tacitamente loro stam- pa nel cuore , che dall'alto viene la fonte di ogni sapere, e dall'alto ripeterla dobbiamo : che bene cal- cando la via degli studi e della virtù, quella eccel- lenza si raggiunge, per cui le persone, le famiglie , le patrie vengono altamente nobilitate. E quando , spenta la vita, tacciono le malnate invidie, cessa l'in- giusta guerra de' perversi, allora sorge il vero giudi- zio degl'ingegni, perisce la memoria » Di que' sciaurati, che mai non fur vivi: quella degli utili e sapienti cittadini dura e si rin- fresca » Finché il sol porti, e ovunque porti il giorno.» aSo Bibliografia ricciana^ ossia catalogo bibliogra- fico critico delle opere di Bartolomeo Bicci di Lugo. Ferrara i B4 1 » tipi Negri alla Pace^ in 8, di fac. 54- xml signor marchese Glo. Battista Costabili è inti- tolata questa stampa dal nipote sig. cav, Carlo Aven- ti in occasione delle nozze illustri della signora mar- chesina Vittoria Costabili col signor Luigi Trentini di Ferrara : e vai bene quella congerie di versi , che non passano la polvere delle soglie nuziali, e nati ap- pena tosto si muoiono miseramente. Dico general- mente ; perocché vi ha da fare eccezione appunto per queste nozze Trentini - Costabili , le quali furono onorate di un giudizioso poemetto di monsignore Ago- stino Peruzzi, intitolato / riti nuziali de^ cattolici, in versi sciolti ( tip. Negri alla Pace in 8, di pag. 21 ). Qualche altra eccezione vi sarebbe da fare; ma po- che eccezioni non tolgono , che i versi per matri- moni non siano troppi: e perchè troppi, la più par- te voce , voce senz'anima. Ninno si offenda di que- sto vero : e sappia che io slesso, comunque stretto dalle istanze degli amici a schiccherare di siffatte poe- sie, più volentieri me ne asterrei, se non temessi tac- cia di scortese ; ma ingenuamente pongo le mie in un fascio colle altre , salvando appena i quattordici versi che dettai in queste nozze Trentini e Costa- bili, pregato da nna gentilissima , alla quale nulla posso niegare : ed eccitato ancora dal desiderio di BlBIJOGRAFlA RTCCIANA 25 I renclerrai in qualche modo, ed il più che per me si possa, grato e riconoscente al lodato signor marchese Gio. Battista Costabili per avermi già con tanta gen- tilezza permesso di pubblicare l'autografo della vita del pittore Ramenghi, detto il Bagnacavallo, come det- tavalo il Bar affaldi, ed il Baro Iti lo postillava; ser- vendomi così nelle Memorie sul Rameìighi [Lago i835 ) del tesoro della biblioteca coslabiliana (i). Ecco i versi dettati dal cuore in giusto encomio al- tresì della città di Ferrara. Se la donna del Po di studi e d'armi Fra le italiche ancor splende pregiata, Grazia è dell'arti e de'sublimi carmi. Che a cima di virtù l'ebber levata. Cadranno archi e colonne e sculti marmi, Cadrà qual è mortai cosa più amata; Ma no, ripete amor, ciò che destarmi Può da vii sonno a nuova opra onorata. Spirlo vivace sol di gloria amico. Che del secondo Omero empiè la tromba, K fe'già il mondo di viltà nemico: Quello spirto apprendevi, alma donzella, Dal Nestore, che te quasi colomba Move oggi al volo, onde verrai più bella. Ma fine a'versi: onde altri non dica , che ve- dendo la paglia nell'occhio altrui, non sento il tra- ve nel mio. (i) Sul Ramenghi vedi il cenno biografico in questo gior- nale voi. 193 a pag. 552, e ciò che ne disse il eh. Belli, volume igS a pag. 3i2. 252 Letteratura Lode sia dunque a chi beile e buone prose vie- ne stampando per nozze , e per esempio a chi die- de appunto per queste l'opuscolo di Plutarco per ec- cellenza tradotto da monsignor Peruzzi ( tip. Poma- telli in 8, di pag. i6 ) : lode all'Aventi, che ne of- ferse la bibliografia del Ricci. Questa è diligente fa- tica del vice bibliotecario signor don Giuseppe An- tonelli, del quale è chiaro il nome in Italia e fuori, singolarmente per le Ricerche bibliografiche delle edizioni ferraresi del secolo XV [ Ferrara, pres- so Bresciani i83o, m 4 ) ; ^ ne parla fra gli al- tri il Tommaseo nel Dizionario estetico , lodando pure l'utilità degli studi bibliografici. Il Muratori , il Tiraboschi ed il Gamba , per tacere di più altri eletti spiriti, hanno mostrato all'Italia e al mondo , come da queste cure bibliografiche , le quali ai po- veri di mente ponno parere frivole e vane, si possa giovarne la istoria e le lettere singolarmente. Io non aggiungerò quindi parola: se già non fosse per con- fortare il degno Antonelli a seguitare la sua via, sen- za guardare ai botoli , che contro a chi li teme si fanno arditi, e fuggono chi non li cura. Ed anche dopo ciò, che del Ricci scrisse in questo nostro gior- nale il cav. Luigi Grisostomo Ferrucci ( voi. 87 , pag. 224 ), dopo la biografia del Ricci data dal prof. G. F. Rambelli ( Album, an. V, num. 87, a pag. 289 del 17 novembre i838 ), dopo il cenno dato nella biografia del Gessi dal prof. Domenico Ghinassi [Album, an. VI, num. ^i, a p. 32i del l/^. dicem- bre 1889), dopo ciò che egli cita degli storici muni- cipali e di tutta Italia a proposito del Ricci : io di- rò che la nostra Romagna e le lettere in generale deono sapere grado e grazia a quell'acume dell' An- Bibliografia ricciana 253 tonelli, che ha saputo portare il suo occhio di lin- ce su tante stampe e manoscritti per darne più com- pleta che mai la bibliografia di uno scrittore , che nel beato secolo XVI meritò ed ebbe nome di Ci- cerone novello per la pulitezza e copia dello scri- vere latino ; talché parve per questo almeno come lino di quelli che vissero con Augusto felicemente. jE tanto più vuoisi commendare l'Antonelli, in quan- to che, oltre le opere stampate, ha notato del Ricci anche le inedite , che non sono poche ; per essere delle carie di lui perite alcune nel fuoco appiccatosi al palazzo de'Cornari, in tempo che il Ricci vi abi- tava : altre dopo, come è da credere, per le umane vicende, a cui non poteva sfuggire un letterato , di cui se la fama fu bella come scrittore, non fu in- colpabile sempre, ne lieta quindi la vita. Appo la morte poi chi non sa quale sia la fortuna delle car- te, che da pochi si conoscono, dai più si disprezza- no, da alcuni si usurpano, dall'universale s'ignora- no ? Carità pur sarebbe, che in ogni comune fosse una biblioteca, dove raccogliere i manoscritti de'con- cittadini più illustri , mancati ai viventi , senza of- fendere la proprietà letteraria, che spettar possa agli eredi per la legge provvidentissiraa dagli stati d'Italia ora adottata : così tante gemme si salverebbero, che vanno a perdersi nel fango miseramente. Quelle che non fossero da pubblicarsi sarebbero almeno dome- stica ricchezza, non mai superflua né vana; potendo invitare i forestieri ad ammirarla, ed i concittadini ad osservarla per eccitarsi vieppiù a crescere e con- servare la gloria decloro maggiori eziandio nelle let- tere. E siccome le librerie sogliono affidarsi ai più eruditi, incontrerebbe facilmente un qualche occhio 254 Letterati) uà di lince, come quello dell' Antonelli , che saprebbe tvar fuori quasi ne'dì di festa le preziosità de' teso- retti cosi bene conservati. Ma io non posso fare, che dei voti : e questo pure non mancherà di essermi attribuito a superbia; quasi io presuma di potere un giorno meritare, che' de' miei scartabelli alcuno amorevole si faccia a cer- care per depositarli nella patria biblioteca. Io pro- testo, che nulla chieggo per me, sapendo di non ave- re posto fra coloro, che negli studi vanno alle stel- le : io striscio sul suolo, e guardo al lume che ta- lora mi abbaglia. Oscuro passerò nella tomba: e sarò contento se alcun pietoso mi darà non più che una lagrima ! Tornando al Ricci , chi consulterà con amore questa bibliografia regalataci dall' Antonelli, e gli al- tri che ne parlano; e sono citati da lui: troverà che quello scrittore merita un luogo più degno dell'asse- gnatogli nella Storia della letteratura italiana del Maffei (i) , quando al cap. XIII del lib. Ili dice così : « Bartolomeo Ricci occupa un luogo distinto )) non solo fra i retori, ma anco fra i grammatici , )) o, per meglio dire, fra i lessicografi ; giacche egli j) scrisse un'opera intitolata Apparatus latinae lo- » cutionis , che non è altro che un lessico latino » diviso in due parti, nella prima delle quali tratta )) ampiamente e con ordine alfabetico di tutti i ver- » bì, nella seconda assai più compendiosamente de* » nomi, accennando i verbi con cui essi si congiun- )) gono : il qual ordine fu forse la cagione del po- (i) Milano dalla tipografia de'classici ilaliaiii, voi II, p. 253. Lettere d'uomini illustri 255 » co esito dell' opera. » L'accennata opera però, ol- tre la prima edizione di Venezia del i533, ebbe l'al- tra del Grifo [Lugduni i834) ^ l'altra di Colonia i535, e di più nello stesso anno quella notata {^Ar- gentorati apud Matthiam Apiar iuin ). Ma basti oggimai; che non è da abusare la pazienza de' cor- tesi leggitori ! D. Vaccolini. Lettere d^ uomini illustri al P. abate don An- selmo Costadoni monaco camandolese , tratte da^ codici del monastero di s. Gregorio al mon- te celio dal P. don Gregorio Nardinocchi del- V ordine medesimo (*). 11^.11^ lettere di COSTANTINO RUGGERI. L m lì è stato grato oltre modo in sentire che ci sia- no altre dieci copie della mia dissertazione; e perciò (*) L'egregio P. Nardinocchi ascolano, giovane pieno di bel- le lettere e di virtù, e grande speranza dell'ordine suo nobilissi- mo, di cui era vice-procurator generale, è mancato a' vivi in quest'anno medesimo, in mezzo 11 compianto de' suoi conlVatelU ed amici, il dì i4 di febbraio. [Nola ds' Compilatori. ) aSG Letteratura la supplico a consegnarle al nostro dilettissimo Ga- ratoni , acciò le conservi appresso di se fino al no- stro ritorno. Ma quando haec evunt ? dirà il P. don Anselmo. Non lo so nò man io. E tanta grande la farragine di queste carte, che ci vuol del buono ad uscirne (i). Ella intanto mi favorirà di ringraziare il p. Ca- logerà dell' elogio che si è degnato pubblicare di me (2) senza alcun mio merito, perchè mi conosco il più ignorante fra tutti ; non che uomo di erudi- zione molto estesa. Gli potrà frattanto scrivere, che questa storia sarà ricchissima quant' altra mai di no- bilissimi documenti, che tutto giorno vado scopi-en- do; e quando gli avrò messi tutti all'ordine, glie ne voglio trasmettere un catalogo , il quale certamente non gli riuscirà discaro. Quanto alla scorrezione del mio opuscolo (3), non mi lamento di altro, fuor che del mio pessimo (i) Egli studiava allora nell'archivio di Moutecchio, che ora chiamano con antico nome Treìa .avendo ricevuto l'incarico di tessere la storia di quella terra. Scrisse poi cose intorno la no- hiltà di essa, innalzata ora meritevolmente al grado di città, le quali però restarono inedite. E le moltissime memorie per quel- la storia, che aveva raccolte si in quello, e si iu altri molti ar- chivi del Piceno, furono consegnate dopo la sua morte ai ca- pi di quel comune. Ciò attesta Gian Cristoforo Amaduzzi nel- l'opuscolo intitolato ; Coinmentarius in vitam V. CI. Constantini Ruggerii: che sta inserito nel tom. XX della Nuova raccolta. (2) Si riferisce a quanto scrisse di lui il Calogerà nella pre- fazione al tom. XX della Raccolta. (3) È quello inserito nel detto tom. XX col titolo: Disquisì-' tio de Arnaldo de Fangeriis , Petro Comesi de Barosso , Ber- trando de Deucio epp. Sabin. S. R. E. cardd. qui synodicas con' stitutiones ex cod. otloboniano depromplas edideruiU. Lettere d'uomini illustri 287 destino; e se ha piacere di sentirne un saggio, si fac- cia raccontare dal nostro Garatoni due casi ultima- menle successi : e da questi arguirà quanto sto in grazia dalla buona fortuna. Il titolo dell'indice come più è semplice, tanto è più bello; ma la mia disposizione dell'archivio mi pare più metodica e facile per i-invenire le materie. Il far poi l'indice de'soli nomi , questo si può fare, secondo il mio debol sentimento, quando il p. don Anselmo si volesse risparmiare la fatica di fare un in- dice alfabetico universale , ed in vece di esso porre in fine dell'inventario, disposto secondo l'ordine dei mazzi, il piccol indice de' nomi , che richiamasse il numero delle carte dell' inventario. Allora andrebbe benissimo tutto; ma in altra forma non ci so vede- re quella chiarezza che si ricerca in indice ben fatto. Mi rallegro con lei che abbia avuto questa sor- te di poter stare vicino ad un uomo di tanto me- rito (i). Vorrei però che secondasse sempre la sua vocazione, e non la frastornasse con studi eterogenei: ricordandosi di quando in quando, che il Baronie , Pietro de Marca, il Baluzio e cent'altri, benché non fossero matematici, nientedimeno sono stati i primi uomini de'loro tempi, e per tali ancora li veneriamo. Ella intanto mi voglia bene, e si ricordi di me ne'suoi santi sacrificii, acciò il Signore per sua mi- sericordia mi liberi affatto da quella parte d' ipo- condria. Montecchio 2,0 dicembre ijSg. (i) Il p. abate Grandi, dal quale era slato invitalo il "Co- stadoni a Pisa per comunicargli le memorie, che aveva rac- colle concernenti la storia della congregazione camaldolese.- G.A.T.XCI. 17 a58 Lktteratura li. Che fate voi, P. don Anselmo mio gentilissimo ? Avete voltato le spalle alla gran Roma , senza che io abbia potuto avere la sorte di rivedervi ! Ma sic erat in fatisi la mia lunga dimora nelle terre mar- chiane mi ha involato questa fortuna. In somma que- ste benedette anticaglie ci fanno far pure delle gran cose ! Voi siete tutto immerso in cose letterarie, ed appena giunto costì avete scoperto Indie e terre in- cognite. Bon prò vi faccia: non ve n'ho punto d'in- vidia ; anche io in sei mesi del mio pellegrinaggio non sono stato già colle mani alla cintola. Vero è che le vostre sono cose più antiche e speciose, e le mie cominciano dal u6o: ma continuavano fino al iSay senza punto d'interrompimento. Che ne dite, padre mio, mi posso contentare ? Sappiate però che a nuova stagione si devono fare altre scoperte: e chi sa che anch'io non ritrovi qualche cosa molto pel- legrina ! Basta ; il Signore sia quello che feliciti i nostri studi , e ci dia coraggio e salute per con- tinuarli. Quanto ai vostri bisanzi, basta che consultiate il Ducange nel suo spaventoso lessico : che ivi ve- drete descritto il loro valore. Questi erano di due sorte, cioè d'argento e d'oro, e si spendevano nelle terre di ragione dell'impero d'oriente, ed in que' luo- ghi i quali per ragione della mercatura avevano con- tinuo commercio con Costantinopoli, come appunto sarebbero Pisa e Venezia. Nell'Ughelli vi sono alcuni documenti di questo stesso tempo, in cui sono nomi- nati; ma adesso non mi sovviene il luogo. ì^tìV Italia Lettere d'uomini illustri aSq meda aevi del sig. Muratori sono mentovati parec- chie volte: ed egli forse ne parlerà allor quando trat- terà delle monete che correvano in Italia in questi secoli. Circa poi alla data di quel vostro diploma, bi- sogna vedere gli storici di que'tempi, che stanno nel- la famosa raccolta degli scrittori delle cose di Germa- nia: ed anche vedere in questa raccolta di diplomi, se per caso ve ne fosse uno simile. Ma chi sa se costì avrete comodo di vedere questa razza di li- bri! Lasciate fare a me, che vi servirò io: ma datemi un pò di tempo, che mi rimetta ben bene in salu- te, che ne ho troppo di bisogno ; e perciò vi prego a ricordarvi di me ne' santi sacrificii con tutto lo spirito. Roma 7 maggio 1740» m. Vi ringrazio delle notizie de'Montecchio, le qua- li mi sono slate carissime, e serviranno per impin- guare la prefazione della mia storia, nella quale ho fatto pensiero di tessere un catalogo di tutti i Mon- tecchi che sono in Italia , i quali certamente non saranno pochi. Mi rallegro con voi della bella scoperta , che avete fatto, sì della donazione di Traversaria, come anche della carta di professione di Eugenio III (i); (i) Non citano gli annalisti camaldolesi, uno de'quali, com'è noto, fu il Gostadoni , una tal carta, benché riportino un passo aGo Letteratura la prima delle quali vi somministrerà materia mol^ lo opportuna di far nuove scoperte con vostro ono- re , e vantaggio delle buone lettere. Se li avesse il padre abate Zi ii anni , se ne potrebbe pregiare , e con ragione. La seconda daddovero mi ha fatto non poco maravigliare: e, per sciogliere questo enira- ma. bisogna pescare il fondo nella storia monastica. Mi dispiace , che costì non avrete tutto il comodo di farlo per mancanza de'libri: ma, se Dio mi darà vita e salute , non mancherò d'aiutarvi di qua. Che poi per villa debba intendersi un palaz- zo di campagna, non è cosi facile il giudicarlo: per- chè i nostri italiani ne'bassi tempi con lai vocabo- lo denotarono i fondi, e que'ridotti di case rurali , che anche in oggi chiamiamo ville. In Francia tal- volta i palazzi de'medesimi re furono domandati vil- le, come avrete osservato nel secondo libro della di- plomatica del padre Mabillone , in cui trattasi De aiitiquis regum francoruni palatiìs. Circa la notizia delle guerre della Marca, che mi richiedete, vi servirò quanto prima, mentre ades- so cosi all'improviso non saprei dove dar di mano per causa di questo mio stordimento di capo , che mi travaglia non poco. Attendete pure a raccoglie- re quanti documenti mai potete: perchè circa il meto- do, con cui dovrete pubblicarli, la discorreremo quan- tratto dall'opera AeWOrlendi intitolala : Orbis sacer et propha- nus: in cui dassi come esistente nell' archivio di s. Michele di Pisa, ove allora studiava il Costadoni stesso. Ma sulla opinione che Eugenio III prima di recarsi a Chiaravalle fosse stato ca- maldolese ed abate del monastero di s. Zenone di Pisa , vedi gli annali suddetti alla pag. ^45 del tom. 3. Lettere d'uomini illustri a6i do avrete la massa insieme ben digerita, e disposta con ordine cronologico. Qui si sentono grandi rumori per un viglietto scritto dal cardinale Aldovrandi al p. maestro RavaU li circa la sua esaltazione , il quale è slata l'unica causa della sua strepitosa caduta. Roma 9 luglio 1740* IV. Tre ordinari sono ricevei alla posta del papa una vostra compitissima, la quale mi fu molto gra- ta, avendo avuto molto piacere di saper nuove di voi. Mi dispiace che siate alquanto indisposto: e questo sarà effetto di esservi sforzato nello studiare. Io vi compatisco, perchè queste mazzate carte vecchie so- no la nostra rovina per il troppo piacere che ci ar- recano nel rivoltarle. La mia dissertazione sarebbe sfata fuori a que- st'ora, se avessi avuto danari: ma dopo di averne ti- rato otto fogli, m'è convenuto fermarmi per mancan- za di quattrini. Sperasi in Dio benedetto di aver presto il comodo di proseguir la stampa (i), la quale m'è riuscita assai magnifica , sì per la carta , come (i) Parla senza dubbio il Ruggieri della disseriazione inli- tulata ; De portuensi sancii HippoUti episcopi et martyris sede. Sulla quale andarono miseramente fallite le sue speranze; poiché non solo non ebbe agio di terminarne l'impressione, ma furono dispersi anche gli otto fogli stampati, noe rimanendone che po- chissimi esemplari. Cosi l'Amaduzzi nel commentario sulla vita dell'autore, citato di sopra- aGa Letteratura anche per 11 carattere; essendo il nostro Salvioni un uomo di molto gusto nello slampare. Io sto travagliando la mia storia di Montecchio, ed ho radunato una stupenda raccolta di monumenti molto singolari, i quali piaceranno infinitamente alle genti di lettere : e se mai nello spoglio che avete fatto degli archivi di Toscana vi foste incontrato in qualche diploma di Guido , di Lamberto, di Beren- gario e di Roberto re di Borgogna, mi fareste piace- re comunicarmi gli anni del principio e le date; co- me anehe, se vi fossero stati mai per testimoni al- cuno di que'Guarnieri, Gottoboldi, Corradi, Gualtie- ri, marchesi della Marca, intorno a'quali mi son ve- nuti alle mani cose assai pellegrine ed incognite. Quanto agli opuscoli del p. Calogerà, io ne avrei uno sopra un monumento d'Anubi stampato dal Bois- sardo, ed interpretato assai debolmente dal P. Laffitau gesuita; ed in esso si parla delle forme dello scettro , e dì un certo globo che tiene in mano quello scioc- co nume. Io vi feci uno studio bestialissimo; e ve lo manderei subito, se non mi abbisognasse levar alcune espressioni troppo piccanti, e mutargli anche la de- dicatoria; ma adesso ho tanto da fare, che mi sa dif- ficile porvi le mani. Sappiate però che se avrò scanso, lo voglio ripulire un poco : e son sicuro che vi pia- cerà forse più di quell'altro, del quale, se mai si do- vesse far ristampare, tengo in pronto alcune coserellq da aggiungervi assai pellegrine. Roma 20 gennaio 1742. i Lettire d'uo.'mini ILLUSTI^I 263 V. Ho inteso che un libraio costì voglia ristam- pare la raccolta del Muratori degli scrittori delle co- se d'Italia. Io mi suppongo che costui sia matto nel mezzo del cervello; e come mai si vuol mettere ad una tanta impresa, quando Milano è ancor pieno di quest'opera ? E poi ditemi di grazia , che farà quel bonus vir, che in materie simili vorrà fidarsi di un' edizione di Venezia ? Ci sono pure tanti e poi tanti ottimi libri, che sono rarissimi e degni d'essere ristam- pati per pubblico benefizio, senz'impicciarsi in que- ste opere di tanta impresa, nelle quali poi riescono con molta mala grazia. Mi suppongo che avrete visto il libro di raonsig. Fontanini : e credo che costi ne sia successo lo stesso che qui : cioè che i suoi nemici obmutuerunt. Se chi ha tanta cacoete di stampar libri si specchiasse m questo esemplare, oh quanti pochi libri si vedreb- bero alle stampe ! La mia dissertazione dormit , perchè sacculus plenus est aranearum ; mi ci vogliono ancora da cinquanta e più scudi, e questi non si vedono. Monsig. Giorgi stampa una vita di Nicolò V. Non dubito della sua buona riuscita, perchè ci ha faticato molto, e la storia letteraria del XV secolo re- sterà illustrata a maraviglia. Quest'inverno poi si raet- terà sotto a stampare la sua famosa opera De litur- gia romani pontificis: opus, secondo me, consuma- tissimum. Sarà arricchita di moltissimi monumenti li- turgici di veneranda antichità cavati la maggior parte dai codici della regina. Abbiamo qui un fraticello di aG/f. Letteratura nazione greco, di patria sciotlo, domenicano, per no- me Mamacchio; il quale è un giovane di molto ta- lento; possiede a maraviglia ambedue le lingue, e ha dato vari saggi di se medesimo con molto suo vantag- gio. Stampò una orazione in lode di Leone X, scritta in latino eccellentemente; e, quello che è più mira- Lile, succi piena. Adesso sta travagliando sopra l'e- dizione delle opere di s. Antonino, che si stampano a Firenze : e spero in Dio che avrà molto applauso , avendovi usato un'immensa fatica, sì per la correzione del testo, e sì per il riscontro dagli autori allegati dal santo; cosa molto difficile : come anco per alcune note bellissime che vi ha fatte. Va ancora lavorando per Tedizione dell'opera di fra Moneta cremonese contro de'cattari e patereni, che si stampa qui in Roma: e riu- scirà cosa molto curiosa, non solo per l'autore, ma eziandio per una nobilissima appendice di monumenti storici, concernenti questa stessa materia, cavati da un rarissimo manoscritto valicano. Si stamperanno ancor quanto prima alcune orazioni del p. Politi dedicate al papa. Verha verha praetereaque nihil. Egli si lamenta dello stampatore che si prese l' assunto di stampare il suo Eustazio : e forse voi ne saprete più di me per essere stato a Pisa. Oltre di questi si sono ancora stampati altri li- bercoli e libracci, de'quali non occorre parlare. Questa mia lettera servirà per tutte quelle, che io vi avessi dovuto e potuto scrivere in tutto quel tempo, che siamo stati in silenzio. Guardatevi di non leggerla a qualcuno di codesti librai, oppure a qual- che loro aderente; acciocché venendo io una volta a Venezia non mi aveste a mettere in un dispendioso impegno di portar meco una trentina di brevi per Lettere d'uomini illustri 265 difendermi dalle sassate, che infallanleraenle mi da- rebbero costoro, se sentissero questa sanguinosa, ma per altro veridica conclone. P. S. Oltre i nrùei spropositi avrà la bontà di soffrire in pace ancor quelli del segretario, il quale la riverisce distintamente. Ella ci dia altrettante nuo- ve , se pure le basterà l'animo di metterle insieme. Il p. Calogerà ha scritto a monsig. Giorgi per aver qualche opuscoletto di Valesio. Per adesso sarà cosa difficile, perchè tutti i scartafacci di quel grand'uomo sono in mano di Nostro Signore, il quale se li va go- dendo il giorno dopo pranzo. Ho visto l'ultimo to- mo degli opuscoli, e fra essi vi sono delle cose mol- to utili. Se avessi tempo saprei ben io dove metter le mani, e cavar fuori cose di spavento, massime in materia di opuscoletti bellissimi usciti nel secolo XVI, i quali sono ugualmente rari che i manoscritti. Ma mi converrebbe ingolfarmi in una farragine grandis- sima di questi libercoli, e sceglierne i migliori: cosa che ricerca troppo tempo, ed impossibile da eseguirsi nelle presenti contingenze in cui mi trovo. L'amico Fabio lavora a furia il codice diploma- tico, e il vostro buon vescovo ci è caduto a piedi pari. Oh quante belle cose si hanno da sentire ! Ma se il diavolo l'accecasse a toccar certi tasti, se ne vor- rebbe accoi'ger egli; non sarebbe mica la storia del rnonistero ec. Roma 28 luglio 1742. VL Domenica scorsa il sig. avvocato Garatoni mi 266 Letteratura raantlò una vostra compitissima dei 29 scaduto, nella quale mi davate parte dell'onore che mi avevate pro- curato di servire il sig. cavalier Foscarini per le no- tizie letterarie, che poi in quest'ordinario ho ricevu- to con una gentilissima di S. E. mandatami dal si- gnor Ruggla. Io vi ringrazio infinilamente della me- moria che avete di me e del vantaggio che mi avete fatto di poter acquistare la padronanza di un cava- liere così distinto. In questa sera rispondo a S. E. così alla buona e senza complimenti , anzi per dir meglio a rotta di collo: onde temo di avere schicche- rato più spropositi alla peggio, attesoché tutta que- sta settimana ho avuto da fare fino agli occhi. Per- ciò vi prego a far le mie scuse con S. E., pregandola a scusare le mie debolezze cagionate da una bestia- lissima fretta con cui ho scritto. In questa settima- na e nella ventura facilmente non potrò servire S. E., perchè oggi il papa mi ha appettato un altro caroto, il quale bisogna sia fatto per mercoledì mat- tina : e dubito che questo stesso ne possa partorire un altro. Basta: faccia Dio. Ad hoc nati sumus, non già per essere impiccati, come diceva ...., ma bensì per faticare. Voi mi direte: Di che ti duoli ? Tu ser- vi un papa, e che vuoi di vantaggio ? Padre mio, è tutto vero: la fortuna sorpassa i miei meriti: ma so- no cinque anni che dura questa musica , e non ho avvito un soldo di provvista. E che ne dite, padrou mio ? Basta, videbimus. Roma 12 novembre 1746* Lettere d'uomini illustri 367 VII. Godo, arcigodo, che voi stiate bene, e che siate allegramente e in mezzo a persone che vedono di buon occhio i poveri libri. Io ho avuto sempre tutto il concetto de'fattacci vostri: ma adesso mi cresce di più, sentendo che abbiate in casa un ateneo. Beato voi che l'avete intesa pel suo verso! E se tutti i clau- strali facessero così, potremmo dar fuoco alle nostre segreterie de'vescovi e regolari e del concilio, le qua- li si tengono aperte per voi altii unicamente. Ho pia- cere che pensiate alla ristampa delle lettere del Del- fino: e giacché vi siete posto a quest'impresa, vorrei che la faceste bene e magnifica, e scriveste note do- ve ci vanno, e non caricaste la dose all'uso moder- no. Del vostro s. Parisio più di quello che mi avete scritto io non so, e credo che non si possa sapere: perchè in tante centinaia di monumenti non m'è ca- pitata cosa alcuna di questo beato o santo che sia. Voi avete preso l'appallo di far indici d'archivi, on- de diventerete il maggior archiviaio del mondo. Vi piace questo termine, padricello mio? Non so se sia cruscaio, ma poco impox'ta; adesso non state a Pisa, ma a Venezia. Oh ! avete ragione che mi duole il capo fieramente questa sera: perchè ho un maledet- tissimo ciamurro che mi turba la fantasia, e non mi lascia scrivere a modo mio. Sua eccellenza mi ha risposto compitissimamen- te in quest'ordinario; onde io resto più confuso che obbligato , vedendo tanta gentilezza in questo cava- liere. Padre mio, vi sono obbligato infinitamente del vantaggio che mi avete procurato. 268 Letteratura Qui è morto il p. Agnani autore della Zeopa- lea; ed in sua vece è stato eletto il nostro p. Ma- macchio degnissimo, arcidegnissimo soggetto per quel- l'onorevole impiego. Il cardinale Acquaviva sta con- trastando colla morte. Roma 26 novembre 1746. Vili. Il sig. avvocato Garatoni ha riscosso dal p. let- tor Sandoni il pacchetto delle vite inviate qui da voi: ed io ne ho presa una, secondo mi scriveste nell'ul- tima vostra. Egli si è presa la cura di procurarvi il cambio con altro libro; ma se non dite cosa vi ag- grada, sarà impossibile il servirvi con vostra soddisfa- zione. Ne ho letto alcuni paragrafi in principio, ed ho visto che voi avete una vocazione particolare in iscrivere queste cose; essendo questa, se non sbaglio, la terza che avete pubblicato. Voi scrivete pulitamen- te e con giudizio: e questo è tutto quello che si ri- cerca in tali materie, nelle quali è facilissimo il da- re in bagattelle spirituali, come si costuma presente- mente, e come si è anche fatto per l'addietro. Ani- mo dunque, padricello mio; optime\ optime. In quest'ordinario dovevo aver risposta dal sig. Marco: ma non ho visto niente. Io gli mandai un estratto di un codice vaticano da lui indicatomi , e sto ansiosissimo di sapere se gli sia piaciuto. Già ne tengo pronto un altro: e glie lo avrei spedito in que- sto spaccio, se avessi avuto riscontro del primo spe- ditogli la vigilia di natale. Martedì ritorno alla va- ticana, e vedrò di farne qualche altro; ma, padre mio, LeTTERB D^UOMINl ILLUSTRI 269 voi ben sapete che s. Pietro è lontano, e la stagio- ne è stata pessima, perchè o pioggia o freddo gran- dissimo: ed in questa stessa settimana abbiamo avuto la neve, dopo la quale si sono svegliate tramontane che soffiano orribilmente. Gran guai abbiamo da Napoli contro il povero cardinal Spinelli: il quale volendo invigilare alla pu- rità della fede, ha incontrato grandissimi travagli. In poche parole, que'cannaroni mal educati , ed imbec- cati di massime molto cattive, vogliono libertà di co- scienza: e credetemi che di già l'hanno ottenuta: e se il negozio va avanti. Dio ci aiuti ! Qui non abbiamo cosa alcuna di nuovo, se non che il p. Concina ha di già pubblicato il suo libro dell'usura del contratto trino: ed è un tomo in quar- to di sessantaquattro fogli. Non so di qual partito siate voi altri reverendi camaldolesi: perchè sento che codesta dominante è divisa anch' ella in due partiti su di tal controversia. Si è cominciato a stampare il catalogo della libreria del maschese Capponi lasciata alla vaticana; e monsig. Giorgi è quello che l'ha fatto eccellenlemente sullo stesso metodo dell' eloquenza italiana di monsig. Fontanini. Voi intanto amatemi, e state sano. Roma i3 gennaio ly^y- IX. Avrei sempre creduto che sua eccellenza avesse favorito d'accusarmi il plico speditogli col primo e- stratto ; e sappiate che se voi non mi dicevate che ella l'aveva ricevuto e gradito, io già mi ero risoluto ayO LETTBRAtURA di non farne altro. Questi signori sono belli e buoni» ma alle volte hanno certi pregiudizi in capo, che noi altri in Roma non curiamo molto; tanto pivi che non siamo nati sudditi di s. Marco, ma di s. Pietro. Nella posta ventura gli spedirò altri tre estratti già preparati, e glie li avrei mandati questa sera istessa; ma ho voluto differire, perchè mi è nato un certo dubbio; e, per sin- cerarmene, mi conviene tornare alla vaticana. Roma 27 gennaio 1747- X. Garatoni mi lesse una vostra lettera, in cui ri- chiedevate il parer mio circa l'antichità della lettera C presa per 2 noli' alfabeto greco. Vi dirò breve- mente che tal lettera si legge nelle antiche iscrizioni de'buoni tempi: e ne'codici 1' uso della medesima è più frequente dell'altra, ed è durata fino al XVI se- colo, perchè l'ho vista ne' codici scritti di mano di Nicolò Calliergio famosissimo amanuense o sia cal- lìgrafo de'tempi suoi, il quale fu amicissimo d'Aldo Manuzio il vecchio e del cardinal Aleandro. Vero è che la formazione della medesima è alquanto di- versa dall'antico C delle iscrizioni e de'codici anti- chissimi , essendo più lunga , come avrete osservato nella paleografia. Circa r altro dubbio che mi scrivete dell' anti- chità dell'agios, vi risponderò sensatamente un' altra volta , perchè voglio scartebellar qualche libro. Voi intanto amatemi. Roma II febbraio 1747' Lettere d'uomini illustri 371 XI. Mi stupisco che sua eccellenza non ahpìa rice- vuto un ben lungo estratto che le spedii la vigilia di natale , in cui le feci una distintissima analisi del- le antichità salonitane.Per l'amor di Dio fatemi il pia- cere di risaperne il netto , perchè non vorrei com- parire un bondolo appresso di questo cavaliere. Se mai fosse andato in sinistro, gli spedirò il duplicato, giacché ho le minute appresso di me. Quanto prima gliene spedirò altri tre, cioè quello di Pier Qulrini, del Manolini e del Cadamosli. Quest'ultimo piacerà molto a sua eccellenza, perchè v'ho ripescato alcune coserelle che le debbano esser gratissime. Quanto alla vostra dissertazione, se la mande- rete, io le farò tutte quelle carezze che potrò ; ma mi persuado che ella avrà poco bisogno de'fatti miei. Giorni sono dalle stampe del Zempel uscì la se- guente dissertazione : De vetustate et forma mono- gramniatis sanctissimi nominis lesu^dissertatio an- tiquis emblematibus non antea vidgatis ex museo sfictorio re/erta. Voi già saprete chi è l'autore : e credetemi che è molto esatta, e vi sono delle noti- zie molto pellegrine in quest'argomento. Il p. Orsi è un pezzo avanti col secondo tomo della storia ec- clesiastica : ed il p. Concina predica con un con- corso mirabile nella Minerva. Nel politico poi abbiamo un fenomeno che ha fatto stupire tutta Roma; e questo è che il sig. car- dinale camerlengo mercoledì giorno rinunciò con pubblico strumento rogato dal Paolotti la gran cari- ca del camerlengato : ed il papa giovedì mattina la 272 '7' Letteratura conferi al cardinal Valenti segretario di stato, il qua- le ottenne ieri il breve del possesso. Quali sieno stati i molivi che abbiano spinto il cardinal Annibale a fare uu passo così sti-aordinario, non mi fiderei di scri- verveli con sicurezza : perchè se ne dicono tanti e poi tanti, che non saprei scegliere il più probabile. Roma aS febbraio 1747* XII. Voi in verità siete un padricello di garbo; e chi dicesse il contrario, sarebbe un bricconaccio di pri- ma bussola. Conosco che mi volete bene; e ne pro- vo gli effetti. Sappiate però per vostra regola, e per comune noslra riputazione, che sua eccellenza per di- mostrarmi il suo gradimento mi vorrà usare qualche cortesia. L'accetterò più che volentieri; ma vorrei che vi conteneste in maniera, che la cosa riuscisse natu- rale, e non dimostraste che fossi io che ve ne avessi scritto: perchè non mi curo di passare per uomo ve- nale in questa congiuntura, non essendolo mai stato in tempo di vita mia, ne lo sarò mai per l'avveni- re. E credetemi che se avessi voluto esserlo, non mi sarebbero mancate le occasioni. Basta, voi mi cono- scete da un pezzo, e non occorre che amplifichi la materia. Godo che sua eccellenza abbia avuto la beni- gnità di compatii-e il mio primo estratto ; e vorrei essere affatto libero per poterlo servire con tutta la sollecitudine. Ma io sto a padrone , e dipendo dai cenni di altri: onde bisogna die abbia pazienza, che io m'approfitti di quelle mattinale che posso rubac- Lettere d'uomini illustri 2y3 chiare alle mie incombenze. Sappiate che in queste ultime due settimane sono stato occupatissimo, e que- sta stessa sera Sua Santità mi ha messo fra le mani una bibbia, che chi sa quanto durerà ! E sono cose che mi scottano: non già perchè mi pesi la fatica , ma perchè mi sviano dal punto principale che è la storia de' vescovi di Bologna , che vorrei finire una volta. Ciò non ostante voglio far l' impossibile per servire sua eccellenza di quegli estratti che più le premono: e vorrei spedirglieli sabato venturo. Il pas- sato fu alquanto lungo; ma la lunghezza era neces- saria per decifrare i tre punti propostimi dall'eccel- lenza sua nel catalogo inviatomi, cioè chi fosse l'au- tore dell'opuscolo, chi quel Domenico a cui era de- dicato, e finalmente in che tempo era scritto. Io ri- sposi a tutto: e per far questo bisognò far tutta quel- la diceria. Questa settimana è stata memorabile per la crea- zione di undici cardinali, e per gli avanzamenti di ventisei prelati che si sono mossi dai loro posti pri- mieri per le risulte dei quattro cardinali italiani , Mellini , Albani , Simonetti e Mesmero. Pagliarini quanto prima comincerà la ristampa delle opere del papa in quarto ; sicché 1' edizione di Padova patirà dell'incagliamento. Roma I aprile i747« XIII. Quanto al vostro quesito per lo scavo del cor- po santo, aspettate che ritorni il papa da Civitavec- chia: perchè questa cosa servirà per dargli materia di G.A.T.XCI. iB 3^4 Letteratura ragionare in una delle mie udienze: essendo questa materia propria di Sua Santità. L'Arringhi si vende comunemente nove o dieci scudi : ma si può avere anche per sei , secondo le congiunture. L'opera di Bottari, se non sbaglio, cre- do che costi venticinque paoli il tomo: e di già ne sono fuori due. Qui si sono pubblicali i primi due tomi dell'o- pera del cardinal Tommasi, e credetemi che è riuscita una bellissima cosa. Il p. Vezzosi v'ha posta in fron- te un' ottima prefazione , e le note sue sono brevi e sugose. Il cavalier Vettori ha pubblicato un altro opuscoletto a foggia di lettera diretta al p. Paciaudi: De emblemate musei victorii^ et de nonnullis nii- mismatibus Alexandri Severi : ed è pieno di molle notizie assai curiose. Roma 29 aprile 1747- XIV. Oggi avendo interrogato il papa circa il quesito propostomi da voi per le nuove ricerche che disegna- te di fare del corpo del beato Pietro Gambacurti , egli mi ha risposto che è necessario che monsig. pa- triarca gli scriva, dando parte a Sua Santità della pre- mura che viene costi fatta per ottenere questa licen- za , ed esponendo i motivi , pe' quali egli giudica ragionevole quest'istanza, con indicare anche le no- tizie che avete più che probabili del vero luogo del sepolcro di questo beato. Fatto questo, il papa rispon- derà al patriarca^ e gli trasmetterà l'istruzione neces- saria per fare la cosa con dignità, e senza pregiudi- Lettere d'uomini illustri 275 zio della causa. Compiacetevi dunque di procacciare questa lettera patriarcale: e se volete fare questo trat- tato con strepito e dignità, ne potrete appoggiare il carico al sig. ambasciatore ; se poi la volete fare in forma Llrborume , mandatela a me , che vi servirò subito birbescamente senza cerimonie. Scegliete dun- que quali delle due strade vi piacciano più: e assi- curatevi pure, che qualunque ne prendiate sarà ot- tima, perchè il papa è dispostissimo a favorirvi. Ne volete di più, padre reverendissimo ? Vi dirò di pili: che se la manderete a me, facilmente sarete servito più presto. Ma guai a voi se poi, non ostante tutti questi apparecchi , e queste notizie così precise che millantate, non ritrovaste niente ! Sua eccellenza non mi ha dato riscontro alcuno dell'ultimo plico inviatole, il quale fu da me conse- gnato colle mie sante mani alla posta. Caro voi, fa- temi il servizio di mantenerlo contento : perchè mi dispiace infinitamente di non poterlo servire presto come vorrei , perchè sempre ho avuto , ed ho cose straordinarie da fare, e presentemente ne ho una che mi travaglia non poco. Dentro questa settimana vo- glio vedere di ritornare alla vaticana , e per sabato di spedirgli l'etratto della cronica di s. Salvatore che Jio mezzo compito. Roma i3 maggio 1747' XV. Finalmente il nostro santissimo padre se ne è andato oggi felicemente a Castello, e vi si tratterrà fino all'aulivigilia di s. Pietro: onde adesso sono in a^G Letteratura piena libertà di servire sua eccellenza pel rimanen- te degli estratti , i quali spero che nella ventura settimana saranno tutti all' ordine. Ne tengo pronti cinque, cioè quello della cronaca del Cadamosti, del Mussato, d'una cronaca in dialetto veneto, e quello di Vespasiano fiorentino. Io glie li avrei spediti que- sta sera: ma non ho avuto tempo di farvi due paro- le in principio, secondo il solito, per dargli qualche poco d'ordine. Tre ordinari sono mi scrisse il signor Forcellini, che sta appresso di sua eccellenza, accu- sandomi la ricevuta degli ultimi estratti , e coman- dandomi di usar diligenza per un codice della bar- berina. L'ordinario scorso ne ricevei una dello stesso cavaliere, nella quale con somma garbatezza si è de- gnato gradire le mie debolezze. Io non ho risposto ne all'una ne all'altra per non replicare incomodi a cotesti signori senza profitto; così mi riservo di fare i miei complimenti sabato venturo, quando gli man- derò gli estratti. Ma intanto V. P. reverendissima mi faccia l'onore di fare le mie scuse con cotesti signori, acciocché non si credessero che io mancassi in ga- lateo. Se vi risolverete di far la richìeòta al papa per il vostro santo, more hirborum per mezzo mio , io vi servirò a vista: se poi volete fare la cosa mista , potrete addossarla al sig. ambasciatore, scrivendogli che la mia nobilissima persona farà da sollecitatore pri- vato appresso di Sua Santità. Fate dunque come vi piace: che io son pronto a servirvi. Rispetto al cronico di s. Salvatore, dubito che la spesa ascenda a dodici o quattordici scudi, perche il volume è di parecchi fogli, ed è scritto in bel ca- rattere cancelleresco, ma molto secco. Cosi V, P. re- Lettere d'uomini illustri 277 verendissima ne renda pur in leso il p. abate : che se sì sente di buttar via questi baiocchi, troveremo maniera di farlo servire. Qui non abbiamo cosa alcuna di nuovo, ne in letteraria, ne in politico. Sabato scorso il p. Idelfon- so delle scuole pie presentò a Nostro Signore la ver- sione fatta da lui delle notificazioni ecclesiastiche di S. S. stampata magnificamente in foglio in propagan- da. Ella intanto mi voglia bene, e si ricordi che so- no e sarò sempre. Roma 3 giugno 1747- XVI. Questa sera spedisco a S. E. una lunga bibbia d'estratti dei codici vaticani. Voi, quando vi s'appre- sterà l'occasione, sentirete originalmente la sentenza: cioè a dire, se sono stati graditi. Godo che cotesto cavaliere nudrisca buon animo per me ; ma non so cosa possa giovarmi qui in Roma il suo patroci- nio pe' miei vantaggi. Il papa mi conosce , e non mi dà niente. Se avesse buona, ma buona corrispon- denza col sig. cardinal segretario di stato, questa sa- rebbe ottima cosa, potendo molto sua eminenza nei tempi correnti. Ma se 1' amicizia fra questi due si- gnori è di pura cerimonia, e cosa leggiera, non ser- ve impegnarsi. Quanto al regalo, io vi parlo chiaro; se è cosa piccola, non me ne curo; piuttosto voglio contare sopra la padronanza di sua eccellenza per far de' servigi agli amici. Se poi passa le dieci doppie , tanto lo piglio: ma meno, no. Io vi scrivo chiaro, ed in confidenza : onde fate uso di queste notizie con giudizio. 2y8 Letteratura Rispetto alla scritttua per la noia ricerca tlel corpo del beato Pietro, non occorre che la mandiate: basta persuadere il patriarca, e strappargli di mano la lettera, perchè il papa subito vi darà la licenza. Roma g giugno iy^y* XVII. Sono tre ordinari che io non vedo vostre let-* tere ne di sua eccellenza: onde non vorrei che qual- cuno di voi altri stesse poco bene, giacche in que- st'anno si sentono tante malattie. Noi qui in Roma abbiamo fatto una perdita irreparabile nella morte di monsig. Giorgi, il quale passò a miglior vita giovedì notte dopo le quattr'ore. Povero galantuomo! E stato compianto da tutta Roma, e con ragione: perchè voi ben sapete quanto mai fosse grande il suo merito. Vedete poi che fatalità! Monsig. Rocco, che per vir- tìi del testamento del cardinale Imperiali occupava il posto di bibliotecario di questa gran libreria, essen- do stato fatto vescovo di Ripatransone , aveva dato luogo alla successione nel medesimo a questo galan- tuomo, che l'occupò con tanta lode mentre visse quel cardinale. Lo stesso giorno che è partito per il suo vescovato monsignor suddetto, lo stesso giorno è mor- to questo pover uomo! Di più: giovedì mattina il si- gnor Cardelll, nipote ed erede del marchese Capponi, presentò a Nostro Signore il catalogo della libreria capponiana fatto dal povero Giorgi; ed il giovedì muo- re questi dopo le quattro. La malattia del medesimo è stata lunghissima e penosissima, perchè è finita in una tabe universale, che l'ha fatto andare in risolu- Lettere d'uomini illustri 279 zione per sudore e per secesso. Fortuna che in tante disgrazie ha avuto un'assistenza tale, che se fosse sta- to in casa propria non la poteva aver migliore né più accurata: mentre 1' abate Trambaglia , amico suo di tant'anni, non l'ha mai abbandonato , ed il medico Marcangeli, di lui amicissimo, gli ha usato una carità ed attenzione incredibile. Il papa stesso ne ha pro- vato un grandissimo dispiacere : e sul principio del male gli mandò in dono settantacinque zecchini effet- tivi, e poi lo ha fatto visitare più volte dal suo me- dico monsig. Laurent!. Nel testamento si è avuta tut- ta r attenzione ai suoi parenti , i quali sento sieno poveri galantuomini: ed in questa parie mi posso da- re il vanto d' aver contribuito molto al loro bene. Egli è bensì vero, che gli esecutori testamentari no- minati da lui sono stali ottimi , e faranno le parti degli eredi con tutta carità ed amore. Questi sono monsig. Antonelli e 1' ab. Trambaglia poc' anzi no- minato. Essendo poi vacata per morte di questo grand' uomo la biblioteca imperiali , Sua Santità si è de- gnata di raccomandar me al sig. principe di Franca- villa erede del cardinal Imperiali: e succedendo il ca- so in favor mio , verrò a profittare di dicci scudi il mese, con la casa: ed alleila S. E. mi potrà favorire appresso la sig. principessa Borghese , la figlia della quale è maritata al sig. principe. La malattia e la morte del povero Giorgi mi ha funestato tanto la fantasia, che niente più. Credetemi che sono più di due settimane che non ho avuto co- raggio di por mano a cosa alcuna, ne in servigio del papa, né di sua eccellenza. Ma grazie a Dio si farà tutto. aSo Letteratura Il catalogo capponiano si vende uno scudo, ed è un tonrxo in quarto di sessanta fogli. Il p. maestro Orsi stampa l'indice del secondo tomo della sua sto- ria: sicché l'avremo fuori quanto prima. Roma 22 luglio I747. XVIII. Agli amici buoni e leali si comunicano le buo- ne e le cattive nuove senza mistero. Così, essendo voi uno de'miei arcicarissimi, non posso dispensarmi dal non parteciparvi una nuova, la quale stimo che voi gradirete moltissimo. Sappiate dunque che io so- no riuscito nell'impegno, di cui vi scrissi l'ultima volta , e la lettera strepitosa di Nostro Signore ha mosso il principe di Francavilla a sciegliermi per bi- bliotecario di questa libreria imperiali : quantunque esso, a richiesta del sig. cardinale Spinelli, avesse già destinato e promesso il posto ad un certo ab. Mo- linari napoletano , che è bibliotecario di s. Angelo a Nido in Napoli, e che presentemente sta in Roma. Ieri Sua Santità mi mandò fino a casa la lettera del principe a me diretta con la lieta novella della mia destinazione. Così dunque V. P. reverendissima gau- m det et ìaetetuì'' et exultet in corde suo. Adesso potrete farmi il favore di supplicare sua eccellenza a favorirmi appresso la sig. principessa Borghese, la qua- le è madre dalla principessa di Francavilla. Ma avrei genio che mi facesse il piacere di farlo in una let- tera confidenziale diretta a questa dama, colla quale jmi suppongo che egli abbia carteggio molto frequente. ■ Ho incevuto in quest'ordinario la casseltina con Lettere d'uomini illustri 281 le vostre carte. Quanto prima manderò al p. lettor Sandoni le vostre giunte agli scrittori camaldolesi, e con un poco di tempo leggerò le vostre dissertazio- ni. Dico con un poco di tempo, perchè adesso sto impicciatissimo nell'assislere all'inventario delle car- te del povero Giorgi, le quali sono quasi infinite, e tutte in disordine, 11 poveretto ha faticato tanto in vita sua, e poi è morto quasi miserabile. Vi ringrazio di cuore dell'attenzione che avete ufala per quella ricognizione: circa la quale, quan- do vi avrò mandati tutti gli estratti, vi dirò il mio sentimento. Non so se gli ultimi che spedii a sua eccellenza le sieno piaciuti, giacché voi non me ne dite niente, ne egli me n'ha dato alcun cenno. P. S. Il p. Orsi ha pubblicato il secondo tomo della sua storia ecclesiastica: onde quanto prima a- vrete il piacere di leggerlo. Roma 2Q luglio 1747* XIX. Non avevo dubbio alcuno che voi non vi ral- legraste meco ben di cuore di questo poco di bene che mi ha dato la divina provvidenza secondo il mio genio, o la mia poca abilità. Mi consolo che adesso potrò servire voi e gli altri amici in materie di let- tere con qualche maggior comodo che non facevo prima, avendo al mio comando una suppellettile li- braria così ampia e doviziosa. Pare che vi sia cascato il mondo addosso in sentire che io era occupato in fare il catalogo dei manoscritti del povero Giorgi , quasi che questa faccenda mi facesse scordare affatto 282 Letteratura le vostre dissertazioni. Padiicello mio, perdonatemi , voi siete molto sospettoso, ed avete poca carità verso di me supponendomi un infingardo. Abbiate un pò di pazienza, che ancor voi sarete servito bene e con diligenza. Vi potevate risparmiare gli auguri! di pre- latura, perchè questi non sono per me; anzi, se v'ho da dire il vero, dubito di morire all'ospedale, non es- sendovi in oggi mestiere più fallito di quello delle lettere. Mi professo molto tenuto alla gentilezza somma dell'E. S. nel pigliar tanta parte ne' miei vantaggi , cosa a me molto onorevole e proficua: e perciò rin- graziate ben di cuore da parte mia il cavaliere , e quando avrà avuto risposta dalla principessa sappia- temi avvisare qualche cosa. Quanto agli estratti, io avevo genio di sapere se gli erano piaciuti gli ultimi mandatigli scritti di mia mano, perchè questi mi era- no costati qualche fatica di più. Rispetto poi al re- galo, fatemi grazia d'informarvi quanto costa il brac- cio lo scarlatto di Venezia paonazzo della qualità più nobile che si ritrovi costì: perchè avendo bisogno di un tabarro da campagna, penso, se i conti andran- no bene, di cambiare il regalo in questa mercanzia a me troppo necessaria. Ma non dite niente di que- sto a sua eccellenza. Roma 12 agosto 1747- XX. Padricello mio , io non voglio briga con cote- sto vostro monsig. patriarca. Se egli vi vuol fare il servizio di darne avviso al papa, bene cjuidem: se no, I Lettere d'uomini illustri 283 io non saprei che farmi. Se io facessi questo passo senza che ne fosse inteso egli , metteremmo la cosa in impegno, e sarebbe capacissimo d'impegnarvi l'au- torità pubblica per mezzo dell'ambasciatore: ed io ri- marrei un bel minchione appresso il papa. Mi ma- raviglio bensì che monslg. pati-iarca non sia persuaso che essendo la causa in congregazione, egli non può far cosa alcuna inconsulto il papa. Di questa verità ne potreste far istanza appi'esso qualcuno che lo di- riga, e procurare per via di offizi d' indurlo a farvi questo piacere. La cosa non mi pare tanto astrusa; tanto più che mi scrivete essersi impegnali dei gen- tiluomini , i quali costì contano assai più che non fanno ih Roma i cardinali. Se non vi piace questo partilo, appigliatevi a quest'altro: ed è che procuria- te di farvi entrare l'ambasciatore, e far sì che egli sia quello che ne faccia la prima richiesta al papa, ed io poi farò il resto. Quando la cosa non vada in que- sti termini, vi dico chiaramente che io non mi ci vo- glio mischiare. Quanto al fare una esatta relazione al papa del- le ragioni che addurrete nella vostra scrittura, lo fa- rò più che volentieri, e vi scriverò una lettera esat- tissima di tutto ciò che S. S. mi risponderà. Met- terò giù la cosa in maniera che il patriarca capisca non aver egli diritto alcuno, in virtù della potestà or- dinaria, di mischiarsi in questa faccenda senza l'ora- colo preventivo del santo padre. Se questo gioverà, bene quiclem: se no, farà di mestieri che v'ingegnia- te per una delle due strade che v' ho accennato di sopra. Qui non abbiamo altro di nuovo , se non che il papa ha dato al p. Mamacchio l'incombenza di prò- 284 Letteratura seguire redlzlone delle lettere di papa Innocenzo III appoggiata tempo fa a monsig. Giorgi. Io non me ne sono curato, perchè voglio tirare innanzi i miei ve- scovi di Bologna, se Dio benedetto mi dà vita (i). Il p. Orsi già continua il terzo tomo della sua sto- ria, e ne ha tirati alcuni fogli. Roma 27 agosto 1747* i XXI La vostra compitissima non mi ha ritrovato al- trimenti in villa, ma in città, ed in libreria, nel men- tre che stavo leggendo la vostra dottissima disserta- zione sopra la famosa reliquia della santissima cro- ce, che possedete in codesta vostra chiesa. Io mi ral- legro con voi, e mi rallegro ben di cuore, che ab- biate rammassato tante belle e pellegrine notizie, e le abbiate disposte con un ordine e metodo mirabile: onde stampandola ne ricaverete onore ed applauso da tutti i galantuomini che la leggeranno. Evviva il no- stro don Anselmo! Finalmente vi siete impiegato in un argomento, che è più interessante delle altre co- sette date fuori da voi negli anni scorsi. Vi assicu- ro che l'ho letta con un piacere indicibile, e vi con- fi) ,, Scilicet (scrìve l'Amaduzzi nel citato commentario) Si- ,, gonii commentarios de episcopis bononiensibus a saeculo XI ,, usque ad XIV emendandos , atque locupletandos curaverit ,, Ruggerius: quod quidem opus sic ab eo suppletum, post ip- ,, sius inleritum,prelio soluto, in bononiensem bibliolhecam in- ,, latum est. ,, E precedentemente assicura, che il Ruggieri ave- va ricevuto dal .pontefice Benedetto XIV l'ardua incombenza di tessere la storia della chiesa bolognese. ÀI Lettere d'uomini illustri 285 fesso ingenuamente, che nel leggerla ho Imparate mol- te belle cose che non sapevo. E perchè so.no cer- tissimo che voi non vi contenterete di questo mio giudizio universale, vi dirò di più qualche altra co- serella , la quale servirà per testimonianza d' averla Ietta. Al 5- i> num. I, in cui rammentate alcuni re- liquari lavorati sul gusto del vostro, che si conser- vano in vari monasteri e chiese occidentali, potete ag- giungere il famosissimo di Cortona, che portò da Co- stantinopoli frate tllia discepolo ed immediato suc- cessore di s. Francesco, il quale è descritto dal Wa- dingo nel tomo XI degli annali dei minori p. 120 della nuova edizione. Questi, secondo il parer mio , è uno dei più belli che ci sieno, per essere stato pri- ma dell'imperatore Niceforo, e poi donato alla chie- sa di s. Sofia da Stefano scevofilace , ossia custode delle cose sacre. In questo vedrete quattro esempi doiVagios scritto in cifra coll'alfa dentro dell'omlcron. Se fossi in voi non darei tanta dote a questo fatto, essendo cosa non tanto recondita, che Vagios si scri- vesse compendiosamente con questa cifra; ma porte- rei la cosa con franchezza, adducendone quei molti esempi che avete radunati. Nel §. ottavo voi trattate del globo e dello scet- tro: ma tutto ciò che scrivete è preso dalla famosa dissertazione del Du-Cange De inferioris aevi nu- ììiismatibus J- XVIII : e perciò sarebbe necessario che voi lo citaste in maniera più significante, per non incorrere la taccia di plagiario. Nel §. decimo, dove ragionate della qualità del le- gno della santissima croce, potreste citare il libro di Iacopo Bosio, che ne scrisse prima di tutti con somma 286 Letteratura erudizione nel suo Trattato della croce trionfante e gloriosa^ stampata in Roma nobilmente nell'anno 1610 in foglio nella stamperia del sig. Alfonso Ciac- coni. Se ne parla quivi nel libro primo cap. VI, che ha il seguente argomento : In quale specie e forma di croce il Salvator nostro fosse crocifisso^ e di qual legno fosse fabbricata la croce sua santis- sima. Nella sessione V dello stesso paragrafo, parlan- do della croce di tre branchi, voi dite, che Augusti- nus Fivizzanus huiusmodi crucis sjntagma elu- cubratiti ediditque anno 1592 Romae tjpis vati- canis', quod tamen nusquam hic nancisci valui. Io non so d'onde abbiate ripescato questa notizia, la qua- le è falsa di pianta: mentre il Fivizzani non si so- gnò mai d'introdurre la croce triplice, come voi sup- ponete. Questi nell'anno i5t)2 stampò un libro in quarto nella stamperia apostolica vaticana, che ha per titolo : De ritu sanctissimae crucis romano ponti- fici praeferendae commentarius etc. ad SS. D. N. Clementem Vili poni. max. Nel frontespizio del me- desimo vedesi un bel rametto rappresentante il papa a cavallo preceduto dal crocifero , il quale porta la croce semplice, e non triplice. Indi nel libro II cap. XIV tratta il dubbio : Quare patriarcharum crux duplici^ archiepiscoporum et stimmi pontifìcis sim- plici linea in transversum ducta constet. Ed in que- sto proposito egli parla della croce di Caravacca: e poi dice, che avendo egli osservato, che ne i papi, né i legati, né gli arcivescovi hanno mai avuto l'uso di una tal croce, e neppure nessun patriarca dell'oriente, perciò si era risoluto di non voler trattare questa que- stione : JSisi oculatorum testium relatione certio- Lettere d'uomini illustri 287 res factì fuìssemus i esse in Europa insìgnis tnetrO' politanae ecclesiae archiepiscopum, patriarcali ti- tillo decoratimi, cui crux praeire soleat, qualis super patriarcharum insignibus statuitur. Indi as- segna la ragione di questo fatto, e dice che questa di- versità di croci ci dà a divedere, che nella chiesa di Dio vi sono varie sedi h onore et ditione dispares. Ed in questo proposito riferisce un passo di Giovanni Molano nel libro IV cap. XXIX della sua storia delle sacre immagini e delle pitture, in cui dice : Supre- mo patriarchae , sive romano pontifici , quidam dant pedum cimi triplici cruce, ad redarguendam la cieca baldanza di coloro , i quali uguagliavano al papa il patriarca di Costantinopoli. Il Fivizzani poi aggiunge alcune ragioni per render probabile quest' opinione, ed afferma esservi qualche esempio d'imma- gini dei pontefici, i quali hanno nelle mani croci: Cuius stipes duplici ac triplici linea est decussa- tus: ma poi conchiude : Sed si haec solutio quae- stionis alieni non probatur, sicut nobis etiam vix persuadere potest, ut credamus maiores nostros alioqui sacrarum caeremoniarum tenacissimos ab ilio ritu [si apud illos unquam viguit) aliquando recessisse, accipiat hanc alter am etc. Ed infatti nel- l'antichità liturgica non si ha testimonianza alcuna, che i papi abbiano mai usato di portare avanti di se croci di questa tal figura. Leggete il capo XI del li- bro primo De liturgia romani pontificis della eh. mem. di monsig. Giorgi, ed ivi vedrete che le croci, che si portavano avanti al papa, erano simplici linea decussatae etc. Perciò torno a dirvi, che è falsissimo ciò che avete scritto del Fivizzani , cioè che egli huiiismodi crucis sintagma elucubravit. 288 Letteratura Questo è quanto, p. don Anselmo mio, ho stima- to bene di dirvi intorno alla vostra disseriazione (i). Onde voi pigliate in bene tutto ciò che vi ho detto, né vi persuadete mai, che queste cose ve l'abbia scrit- te per solo fine di criticarvi. Noi siamo amici vecchi; e però questi sospetti non debbono aver luogo alcu- no. Quando avrò letta l'altra vostra dissertazione, fa- rò lo stesso. Qui è uscita di fresco una dissertazione di un monaco basiliano per nome Gregorio Piacentini , in cui si difende il ritiro monastico in Grotta Ferrata di Benedetto IX, e s'illustra il sepolcro di lui sco- perto anni sono. Oggi ho veduto il primo tomo del- le op«re del papa stampate da Pagliarini in foglio piccolo, ossia quarto grande. E cosa magnifica, e, se dicono il vero, la stampa è correttissima. Roma 21 ottobre 1747' XXII. Garatoni nostro mi ha letto ìa vostra compitis- sima, in cui mi fate molta premura per l'affare del bealo Pietro da Pisa. Già voi sapete l'accidente della tardanza del noto plico, mercè della vostra filosofia di dirigerlo a lui, e non a me : onde chi ha colpa del (i) Pubblicò tal dissertazione il Costadoni nel tora. XXXIX della raccolta col titolo di Osservazioni sopra wC antica tavola greca, in cui è racchiuso un insigne pezzo della croce ... Le die- de quindi un nuovo aspetto e l'accrebbe: e tradottala in latino, la comunicò al Gori che la impresse nel tomo i delle simbole. Lettere d'uomini illustri 389 suo male pianga se stesso, padricello mio gentilissimo. Ricevuto il plico, non mi è stato possibile di legger- lo subito, ma vi è voluto qualche tempo, attese sei o sette diavolerie che mi sono uscite di fianco. Ora vi dico che V ho letto e riletto attentamente : e vi dico altresì che mi sembra una bellissima e stu- pendissima bazzoffia senza capo e senza coda. Ciò non ostante ho capito benissimo che il beato fu sepolto in cotesto monastero; ma il secondo punto della iden- tità del luogo è molto debolmente asserito, e non vi è altro che delle sante tradizioni di coteste buone monache, le quali Dio sa come pensano! Si avanza la proposizione, che il santo, o beato che sia, fu se- polto in loco quatiior portarum\ ma chi ci assicu- ra di questo ? L'autore della dissertazione non ne por- ta nemmeno una mezza prova cìie abbia un pò di grazia. Ma questo non sarebbe niente: perchè tanto mi dà Tanimo, che il papa ne resti persuaso. Il bu- sillis si è che io non so come avviare questa faccen- da. Se ne parlo al papa , il papa mi risponderà es- sere necessario che il patriarca gliene scriva, per co- municargli la facoltà. Voi altri al contrario mi dite che il patriarca non ne vuol saper niente. Dunque come si ha da fare ? Questo è il più ])eir impiccio dell'altro mondo. Dovendone parlare io al papa, sa- rebbe necessario che lo gli dicessi che intanto si co- municano preventivamente queste notizie alla Santi- tà Sua, in quanto che monsignor patriarca stesso ha mostrato questo genio, per non esporre nella sua let- tera cosa che non fosse degna di essere apprezzata dalla Santità Sua. Io non ci vedo altra strada; ma se faccio questo, siamo sicuri che il patriarca non ci burli, e non ne voglia saper niente ? Nel qual caso G.A.T.XCL 19 ago Letteratura come resto io appresso il papa ? Padricello inio, io non voglio la patente ne di minchione , ne di fra- butto, in onore del beato Pietro da Pisa. E però a lettere di scatola vi dico e vi protesto, che io ne par- lerò più che volentieri al papa nei termini che vi ho detto poc'anzi. Ma que'signori, che hanno interesse in questa santa faccenda, mi devono promettere in parola da cavaliere, che poi il patriarca scriverà per ottenere queste facoltà. E voglio che egli stessi per mezzo vostro mi scrivano in questi stessi termini ; perchè se mai il patriarca si mutasse, e non ne vo- lesse saper più altro, io voglio avere il mio scudo per difendermi. Ma che diamine ha cotest'uomo del pa- li'iarca. che non vuole scrivere al papa per una mate- ria tanto indifferente, che non ha comunione alcu- na né col politico , ne col civile di codesta repub- blica serenissima, ed è cosa pura e mera spirituale ? Basta, comunque sia, voi già avete intesa la mia in- tenzione; e più di così non posso fare; e spero che cotesti cavalieri resteranno persuasissimi del mio ope- rare netto e sincero. Mi rallegro poi con voi della bella scoperta che col mezzo vostro ha fatto don Mau- ro Sarti in proposito di Cupra Montana. Quella bol- la, da voi copiata nell'archivio di s. Romualdo (i), è la decisiva di questo negozio, e senza di quella non se ne faceva niente. Roma 9 dicembre i747' (i) Ciò si riferisce alla bolla d'Innocenzo III, in cui leggesi, Castrum Podii Cuprac: dal che cava il Sarti argomento in con- ferma delia sua opinione nella Epistola de antiqua picentum ci- vitate Cupra Montana, deque Massalio inserita nel tomo XXXIX della Raccolta. i Lkttere d'uomini illustri agi XXIII. Garaloni mi ha Ietta la vostra compitissima; e rispetto alle osservazioni sopra la vostra seconda dis- sertazione, sono brevi, brevissime; e vi dirò solo che voi sbagliate nel punto principale, perchè quell' avo- rio non è altrimenti un dittico , ma una coperta di qualche evangeliario o sacramentario , a somiglianza del vaticano: e que'buchi che sono rimasti ne fanno la spia , perchè in essi erano i chiodi per fermarlo sopra il cartone del libro. Voi poi mi gonfiate trop- po nella dedicatoria, e non voglio tante lodi. Quel- Va studiis cassatelo onninamente, e mettete bibliote- cai'io. Delle cose mie voglio che parliate con mo- destia, e non esaltarle tanto, perchè non lo merita- no, essendo io un picciolissirao uomo in paragone di tanti altri che vivono e stampano. In somma, padron mio, laiLs vera honorat, laits fida onerai. Se foste ancora in tempo, all'altra dissertazione della croce potreste aggiungere altri due reliquiari si- mili coll'A dentro dell'O, che si conservano nella cat- tedrale di Lascar in Bearne. E questi si rammentano dal Bordenare nel suo voluminoso commentario al si- nodo di quella diocesi. Adesso non mi sovviene la pagina; ma se si trovasse costi in Venezia ( lo che sti- mo difficile ) la potrete riscontrare. Voi intanto ama- temi e state sano. Addio. Roma 1 6 dicembre 1747' Q()i2 Letteratura XXIV. Yoi avele una reltorica cosi efficace die cave- reste dal cbioslro una monaca, è fareste pigliar mo- glie ad un cappuccino. Nel leggere le vostre caris- sime ini pare di avervi innanzi gli occhi con quelle vostre manierine, modestine si, ma insinuanti. Cosi è, padricello mio ? Tanto avete detto, che mi avete con- dotto ad un impegno, che nemmeno un cardinale me l'avrebbe potuto far prendere. Sì signore, vi ho ser- vito: ho parlato oggi al papa col rischio poi di busca- re una patente, caso mai si avverasse la mia profezia. Guai a voi, padricello mio, se costi non farete bene il vostro dovere ! Io vi voglio far scomunicare in bulla coenue, poi voglio interdire il commercio con voi sen- za speranza di riaprirlo mai, e poi mai. Voglio tenere per mio capitale nemico chiunque avesse l'ardire di parlarmi di voi. In somma quel don Anselmo, che mi è tanto caro quanto la pupilla degli occhi, ha da di- ventare l'oggetto del mio sdegno e del mio furore. O che belle espressioni ! Siamo vicini a carnevale, ed in Roma si aprono lutti i teatri: perciò non vi stu- pite se vi parlo magnificamente, e con termini altito- nanti. Ma lasciamo le burle. Io vi ho servito oggi con tutti i fiocchi, ed ho rappresentato a S. S. la fac- cenda con un colore, che di qua si voglia a cautela una minuta di lettera, per non fare uno sbaglio, e le ho detto che confidentemente han consultato me per questa faccenda; e perchè di queste cose non me ne intendo niente, cosi per ben servire que'cavalieri, che hanno premura di questo negozio, non ho sapulo ri- trovare altro partilo migliore che di consultarne la Lettere d' uomini illustri agS' Sanlità Sua, la quale è il gran maestro di color che sanno. Le ho poi mostrato la scrittura mandatami con que'disegni, e di più le ho svelato r;"5rcano che mi avete confidato, sapendo benissimo che questa era una circostanza la piià significante per far breccia nell'ani-^ mo di nostro signore. Ed infatti la cosa è andata tan- to bene, che non poteva andar meglio. Sua Santità mi ha risposto: « Benissimo. Voi fate intanto una mi- nuta di lettera a modo vostro, nella quale esperimen- terete, che essendo la causa ancora pendente nella sagra congregazione, secondo la legge della quale i ve- scovi non possono auctoritate ordinaria mischiarsi in queste cose, perciò il patriarca scrive a noi, e dà parte della istanza di coleste monache, e ci chiede il permesso di poter far questo scavo. Noi poi, avuta che avremo la lettera, manderemo in risposta al patriarca la lettera facoltativa, e l'accompagneremo con la istru- zione necessaria, acciocché la cosa si faccia canonica- mente e con decenza. Quando avrete fatta la minuta, portatela a noi, che la rivedremo, acciocché le cose eieno fatte a dovere: e noi avremo piacere di leggere questa dissertazione che ci avete presentato.» Volete di più, padricello mio ? Eccomi segretario del patriarca senza che egli ne sappia niente: e pure lo sono per so- vrano comando pontificio ! Già mi pare di vedere don Anselmo andare in estasi e gonfiarsi per l'allegrezza, come i gallinacci de' pollaiuoli il martedì grasso; ed io, che prevedo questa faccenda, né ho un gusto pazzo. E questa mia vi potrà fare tutta la testimonianza se io sono veramente in allegria. Or bene, fatevi onore con cotesti cavaliei'i vostri amici, e leggete loro pure queste mie celie: che ve ne do il permesso. Mi basta solo che si ricordino del passo già fatto da me, al quale non vi 294 Letteratura è più rimedio: e bisogna che o per forza o per amore facciano sottoscrivere la lettera al patriarca, altrimenti mi potrebbe succedere qualche malanno, oppure, an- dando bene, avere qualche mortificazione con tutti i fiocchi. Così mi raccomando a voi ed a loro. La mi- nuta la farò per sabato, e la mostrerò a S. S. , e la stessa sera ve la spedirò. Rispetto alle notizie del Bordenave, bisogna che abbiate pazienza fino a sabato , perchè questa sera non c'è stato verso che io abbia potuto ritrovare il luogo dove ne parla. E un libro con un. indice mise- rabilissimo; e la mia pigrizia volle che non segnassi il luogo, quando lo lessi la prima volta. Quanto alla vostra seconda dissertazione, credevo che il Mabillone e il Montfaucon parlassero della bel' la coperta di avorio del codice vaticano; ma non ne dicono parola. Io so che Bottari la fece disegnare; ma non so il perchè, né so se l'abbia posta nel secondo tomo della sua Roma sotterranea, perchè non l'ho ancora ve- duto. Che gli antichi usassero di ornar le coperte de' libri sacri con questa magnificenza, ne abbiamo più esempi: ed io ve ne comunicherò alcuni cavati da un cronico farfense stampato dal Muratori. Marangoni ha pubblicato una bella storia del Sancta Sanctorum dedicata al papa, in quarto, ed è piena di bellissime notizie. Roma 3 o dicembre 1747* XXV. Voi volevate una forma di lettera da scriversi da cotesto monsig. patriarca al papa, la quale fosse Lettere d'uomini illustri agS concepita nei termini prescritti dalla sagra congre- gazione dei riti : ed io per ben servirvi ne ho con- sultalo il papa stesso, e colla sua direzione si è fat- ta la ingiunta , la quale è la stessa in anima e in corpo che ha letto oggi nostro signore. Ne volete di più, padricello mio ? Quella vostra santa e pia secca- tura sarà finalmente contenta ? Padre sì. Oh ringra- ziato sia Iddio, che poi alla fin fine mi è riuscito di contentarvi ! Ma voi, padricello mio, siete una di quelle e te. non missura cutem nisi piena criioris^ come si legge in certi prefazi della libreria di cam- po vaccino, là vicino alla via sagfa dove passeggian- do Orazio a' tempi dei nostri romani s' incontrò in quell'uomo di garbo, che gli diede tanto piacere. Cap- pari ! non ve la pigliate con me, perchè io sono un uomo di garbo, ed ho la zucca piena di belli esem- pi, assai più convincenti di quelli del prato fiorito. Ma mettendoci in serio, io vi dico che per l'in- giunta lettera ho faticato due sere continue, e ne ho fatte tre formole, per caparne una che avesse un pò di grazia da mostrarsi al papa , il quale in queste materie è da dovero il gran maestro ; e però glie 1' ho mostrata con un poco di timore, sul dubbio di sentirne qualche definizione ex cathedra: ma grazie a Dio la cosa è andata tanto bene, che ha meritato Voptime, e mi ha detto che mi vuol fare segretario del patriarca : ed io ho risposto, che non ne voglio saper niente; perchè io non voglio andare in paesi, dove si spende per camminare colla carrozza di san Francesco. A. me piace di stare a Roma , dove si può camminare dieci miglia senza spendere un quat- trino. In questa lettera io ho toccato tutti i punti 296 Letteratura \ necessari tanto circa il fatto isterico , quanto circa la direzione ; e Sua Santità , la quale ne ha tutto il piacere, mi lia promesso di mandarvi la risposta a vista. Cosi auopratevi ben bene con monsignor pa- triarca perchè la ("accia copiare e la sottoscriva con la maggiore sollecitudine possibile, acciocché possia- te contentare coteste vostre sante religiose, le quali poi, in rimerito di tante seccature che avete dato a me, vi riempiranno la cella di cose dolci: e così que- sta non sarà più eremitica, ma aromatica. 11 papa mi ha restituito un' altra volta la vo- stra scrittura, e mi ha detto che glie la riporti in- sieme colla risposta di monsignor patriarca quando sarà venula, perchè se ne vuole servire per formar- ne la istruzione che trasmetterà costi. Anzi mi ha raccontato , che queste stesse istruzioni furono date da Alessandro VII e da Clemente XI per gli altri due scavi fatti costì, e che un' altra ne fu mandata in tempo d' Innocenzo XI per il B, Lorenzo Giu- stiniani quando la signoria di Venezia fece istanza per mutare le sue ossa da una cassa all' altra. Di questi esempi ve ne potrete servire col patriarca stes- so , per fargli comprendere che questa non è novità; ma è legge universale della chiesa. INelhi minuta della lettera ho toccato apposta alcuni punti per metterlo in suggezione: e credetemi che l'ho fatta con tutto rartificio per pigliare due piccioni ad una fava, cioè per invogliare il papa , e per persuadere colle dot- trine innegabili il patriarca. In Francia si fa lo stes- so , quando si tratta di beati non ancora canonizza- ti : e scrivono a Roma per la licenza e per la istru- zione. Il vantaggio in questo negozio si è che il pa- triarca tratta a dirittura col papa, e non ha da di- Lettere d'uomini illustri 297 pendere dalla congregazione dei riti, la quale ha le sue etichette , e queste forse potrehhero dargli nel naso ; caso mai fosse un uomo tagliato per questo verso. Vi suggerisco tutto questo acciò ne possiate far uso. Ho stimato bene di farvi un' altra lettera ostensibile anche allo stesso patriarca per autenticare la minuta che si trasmette. Il male si è che spen- derete un paio di lire in questo plico: ma o le mo- nache, o cotesti signori vi dovrebbero ricompensare. Io so che siete pover uomo ; ma in questa congiun- tura ci vuol flemma. Vi raccomando quanto so e posso la mia estimazione presso il papa, il quale si è affezionato un pò troppo a questa scoperta : e quando gì' intimai all'orecchio il segreto svelatomi, si accese terribilmente: e vedrete che se si potrà pro- vare l' identità, scoperto che sia, scriverà lettere da mettersi nei cristalli. Oggi mi ha mostrato due casse di libri , l'una venutagli da Parigi , e 1' altra da costì. Quella di Parigi conteneva il supplemento dei tomi dell' indi- ce della biblioteca regia e della raccolta degli scrit- tori delle cose di pVancia , ed una bellissima fatica del p. Carpentier, monaco maurino, intitolata Alpha- betuni Tjronicum-, cioè un commentario alle note o sieno cifre credute comunemente di Tiroue. E stampato mirabrlmente, e mi sa mill' anni di avere un poco di ozio per farmelo prestare da leggerlo con gusto. Da Venezia è venuta quella bibbia coi commentatori, che si sta stampando attualmente: e per Venezia è cosa piuttosto pulita ed esatta rispetto alla stampa. Sua San- tità ha pubblicato una pastorale sopra i baccanali , nella quale toglie molti abusi scandalosi ; nello stesso tempo è uscito un bando conlenente una specie di 298 Letteratura privativa dell' olio, la qual cosa non finisce di pia* cere a Roma ; e me ne dispiace per più capi. Sappiatemi dire cosa costa il museo Arrigoni, perchè un briccone di un libraio l'ha calcolato alla libreria nostra uno sproposito. Roma 6 del 174^. XXVI. Ho ricevuto in quest' ordinario la vostra com- pitissima con entro la lettera di monsignor patriar- ca , ed il memoriale di Maroslica. Quanto alla pri- ma , oggi appunto 1' ho presentata a Nostro Signo- re, il quale l'ha ricevuta con tutta la clemenza , e mi ha promesso di spicciar subito l'affare. Sicché sa- bato venturo vi saprò dare un distinto ragguaglio del risultato ; e può essere che v'includa la rispo- sta ; se pure non la spedisce a dirittura egli stesso al patriarca. Mi sono raccomandato alla Sua San- tità per il risparmio delle spese a tenore della pri- ma istruzione che mi deste ; e mi ha risposto che dandosene la commissione al solo patriarca, la fac- cenda andrà con tutta l'economia. Oggi ho parlato con monsignor Ciampedi, e con lui siamo rimasti d' accordo di presentare al papa quattro copie della vita di s. Parisio , un' altra a lui che sono cinque, la sesta a monsignor maestro di camera, che gli va de iure, la settima a monsignor Livizzani , e 1' ottava al sig. cardinale segretario di stato. Se vi era la nona si poteva dare a Passionei. I tempi umidi non hanno permesso che si asciut- Lettere d'uomini illustri 299 tino le legature ; così quest' altra settimana saranno dispensate le grazie monacali. Roma 24 febraio i749« XXVII. L'altro schiribizzo equinoziale di V. R. si è che ella crede che io voglia levare la mano dritta al P. Lombardi per l'affare di s. Barbara. Non signore. Io non conosco né P. Lombardi , né P. dell' Olmo , né 1' altro gesuita che ella mi nomina. Il papa da se stesso mi ha comandato questa faccenda ; ed io l'ho fatta con tutti i fiocchi, senza sapere né l'olmo, né la vite. Sapevo che il P. Lombardi ne aveva par- lato al papa , perché Sua Santità me lo disse; ed io so chi è Lombardo ; so che ha fatto l'indice alla scelta libreria dell' Emo Valenti ; so che é venuto col cardinal Delfino ; so che se n' è ritornato costì in santa pace; so che é di Verona ; ne vuol di più ? Ma V. R. mi farebbe zompar le creste. Ella è di- ventata più seccante di un fiorentino ; e però a suo marcio dispetto le lezioni si faranno, e si dirà che il corpo di s. Barbara riposa in Torcello nella chiesa delle monache. Così ella non avrà più che piatire su di questo negozio; e perché resti confusa, forse vedrà una strepitosa lettera di Sua Santità alle monache; e se non vedrà questa, vedrà la mia dissertazione. Così bisogna operare con lei. Anzi, per farle un di- spetto più significante, oggi ho presentato al Papa la sua dissertazione sopra la croce ; e Sua Santità l'ha ricevuta con ottima maniera ; e per darle un buon passaporto, ho detto che V. R. cita le opere di S. B. con sommo onore. 3oo Letteratura Non le posso poi esprimere la contentezza die ha avuto il papa della lettera patriarcale. L'ha pre- sa, e l'ha letta con sommo gusto ; e mi ha detto che gli è piaciuta infinitamente quest' attenzione del patriarca ; e che però glie ne scriva , e lo animi a far la scoperta. Veda dunque V. R. se io sono una gran testa per dirigere gli affari grandi. Ma ella me ne ha invidia. Pazienza ; ed io frattanto mi appello al Sanazzaro. Mi dica un pò una cosa, clie mi viene adesso in mente. Le monache di Torcello sono così fallite come le vostre di s. Girolamo ? Perchè, se non sono tanto fiaccate, quando verrò a Venezia, voglio che mi regalino una crostata, perchè me la merito. Del i63o era badessa una Cornelia Pesaro, e adesso che siamo del 1748, chi sarà mai ? Quella, per quanto mi suppongo, sarà morta da qualche anno in qua. Non è così, rrao padre ? Questa è un'opinione molto probabile ; così credo che meriterà la sua approvazio- ne piti del libro del povero Concina ; del quale V. R. come arciprobabilista è giurato nemico. Ma, padron mio rmo, non si va mica in paradiso in gondola o in palischelmo I V. R. incoccia, e vuole per forza che quella sua tavola di avorio non sia una coperta di libro, come le ho detto io, e come lo dicono ancora tutti quelli ai quali l'ho mostrata. Ma io la scoccerò , e le farò vedere mirabilia in questo genere per farla restar martino. Di quel vostro pisclculo non saprei cosa farne. Io l'ho dato ad un letterato, acciò lo porti in conversa- zione del marchese Lucatelli ; onde sentiremo cose bellissime; e Dio sa che non diventi qualche cosa di Lettere d'uomini illustri 3oi buono ! Come lece una povera fanciullina del tempi antichi, la quale poco fa è divenuta un levita: ed una testa di caprone divenne Socrate, oppure un s. Pie- tro. Così ella stia pure in grandissima espettazione, perchè il suo pisciculo diventerà alla meno una ba- lena più grande del bucintoro. V. R. fini la sua lettera con darsi una patente d'impiccione: ed io la finirò con darmi quella di buf- fone. Veda un poco quanta è mai grande la mia umil- tà! Dunque si specchi in me V. R. e ne profitti. Io le darei delle nuove; ma non le ne posso dare per cinquantanove motivi, uno dei quali si è che non ve ne sono. Le posso dire solamente, che oggi ho fatto l'avvocato di Ottaviano Augusto appresso di N. S. ed ho perorato per la sua guglia scoperta ultimamente in campo marzo, che è una bestiazza molto più gros- sa del vostro pisciculo. Ma Dio sa se la mia infor- mazione avrà buon esito. Siamo in tempi gotici, o- strogotici, vandalici, unnici, atlantici, taifalici ec. ec. Addio, buona notte. Roma I marzo 1748. XXVIU. Riceverete in questo spaccio, franca di porto, la lettera di Nostro Signore a cotesto monsignor patriar- ca per il consaputo affare del beato Pietro da Pisa. Io l'ho voluta francare alla posta , acciocché la mia compagna indivisibile sfortuna non l'avesse fatta sper- dere, come successe a quel plico spedilo l'anno pas- salo a S. E. Foscarini, Dalla prontezza di questa ri- sposta potrete arguire la mia premura per servirvi; e 3o2 Letteratura dal contesto della lettera di S. B. conoscerete chia- ramente se ho procurato di soddisfare cotesti vostri signori circa il risparmio delle spese. Per vostra con- solazione vi dirò che N. S. ci ha fatto di tanta huo- na grazia il favore, che domenica sera ad un' ora di notte mi spedì il plico per un palafreniere. Adesso sta a voi altri ad operare; giacche il papa ve ne dà il permesso. Mi dispiace bensì che non mi abbiate avvisato in tempo circa il desiderio che avevate d'in- tervenire a questo scavo ; perchè mi sarei adoperato in maniera, che il papa stesso vi avesse mezzo de- stinato nella lettera come censore , arcifanfano ec. , ma adesso non siamo piij in tempo. E bensì vero che S. E. Cornaro vi si potrà ficcar dentro con un poco di maneggio appresso il patriarca; perchè il papa nel- la lettera gli dà amplissima facoltà di poter deputare una o più persone ecclesiastiche che intervengano a questa funzione; una di queste potreste esser voi, mio carissimo e mellifluo don Anselmo. Sopra al tutto poi, per bene comune di quésto sagro interesse, non sa- rebbe malfatto che monsig. patriarca usasse un atto di stima verso di Sua Santità con accusare a posta corrente il plico, ossia lettera di S. B., e con pro- mettere di osservare appuntino tutto ciò che in essa se gli prescrive. Di questa non crederei essere obbli- gato di mandarvi una minuta ; perchè crederei che i segretari patriarcali la sapessero fare. Se la fanno, mandatemela: che io la presenterò con tutte le for- malità. Voi mi avete fatto il mal augurio, perchè sono diventalo l'avvocato dei santi di Venezia, Le mona- che di Torcello hanno chiesto al papa le lezioni pro- prie di s. Barbara. Quest' imbroglio è sbarcato sulle Lettere d'uomini illustri 3o3 mie spalle , ed io vi ho fatto una dissertazione ma- gnifica ec.; e conchiudo che coleste sante religiose , benché non le conosca , hanno tutta la ragione di chiederle; perchè se in questo mondo vi è corpo au- tentico di s. Barbara, è quello che possiedono esse. Cosi parlano i libri della mia libreria ; se voi poi n'avete degli altri che parlassero diversamente, e che fossero favorevoli ai RR. PP. gesuiti dei crociferi, av- visatemene, che mi disdirò, ma a ragion veduta. Nel plico pontificio troverete una stampa dell'e- ditto per la dispensa della quadragesima. Direte voi, padricello mio dolcissimo: Che diamine è mai cote- sto ? Ella per altro si cavi il berrettino e s' inginoc- chi, perchè in quel plico non si contengono se non che cose santissime. Ha inteso, padron mio ? E però veda di eseguire puntualissimamente quanto le co- manderò. Queir editto va al p. Concina , e glie lo manda Nostro Signore. Ha inteso ? Adesso s'alzi in piedi, e senta quello che le dico io. Ella deve su- bito mettersi le ali e portarglielo, o piova o diluvi, o tuoni o saetti; perchè così si vuole. Saluterà il mio carissimo Concina da parte mia, e gli dirà che il pa- pa ha mostrato grandissimo genio oggi , che se gli mandi questo editto, e che io mi sono incaricato di farglielo capitare. Però lo legga; e, se gli piace, scri- va una lettera ostensibile a me, che sarà letta fran- camente; o pure ne scriva a dirittura a S. B. ralle- grandosi ec, che io glie la presenterò. A buon in- tenditore poche parole; ella sa cosa è Roma, e que- sto basti. Si assicuri però che tutti i suoi amici gli vogliono bene da vero; e si piglia la spada in ma- no per lui cantra qiioscumque. Perciò V. R. abbia la benignità di obbedire a quanto le comando, al- 3o4 Letteratura trimenli saranno guai; ed avverta sopra tutto di non mandare il bando per tutta Venezia di quanto le scri- vo su questo proposito, perche saprò vendicarmene. Ha inteso ? Or bene : ella eseguisca puntualmente, ce ne dia riscontro, e non badi ad altro. Dica ai sig. Walchi che finalmente monsig. Fal- cone ha stampato il primo tomo di Dione in quarto dedicato al papa. Sua Santità oggi me l'ha mostrato; ma non contiene altro che lo stampato, con dei sup- plementi posti in fondo ad nso di note, cavati da Zo- nara, Cedrano, Tzetze ec. Vedi'emo cosa sarà l'ine- dito. Vi ha proposto alcuni prolegomeni in difesa di se stesso, e per dar un' idea dell'opera ; ma io non ho avuto tempo di vedere il luogo topico; cioè qua- le sìa quel beatissimo codice, d'onde ha tratto i libri inediti. Roma 3 marzo 1748. XXIX. Oggi ho presentalo al papa la mia stupenda dis- sertazione sopra s. Barbara, la quale ha incontrato il pieno gradimento di S. B., e mi ha detto che gUe la riporti alla metà di quaresima; perchè la vuol legge- re con comodo, e vuole scrivere una lettera magni- licentlssima alle monache di Torcello. Io vi avviso , perchè se succede questo, non è mal fatto avvertir- ne le monache; acciocché si preparino per la stampa di questa lettera, la quale farà un onore singolaris- simo alle maternità loro. Il papa ha grandissimo pia- cere quando scrive lettere somiglianti, che sieno stam- pate da chi le riceve; onde coteste santo monache le Lettere d'uomini illustri 3o5 devono fare, caso che il papa scriva dogmaticamente. La dissertazione mi è costata una fatica indicibile. Questa è divisa in quattro capi. Il primo contiene sedici paragrafi, e tratta degli atti greci, latini e si- riaci di s. Barbara. Il secondo, di undici paragrafi , del culto della santa appresso varie nazioni. Il terzo, di sei paragrafi, del luogo ove riposa il suo corpo; e qui si dà ragione alle RR. madri. Nel quarto si fa un esame critico degli atti , il quale versa circa la patria, il luogo ed il tempo del martirio di s. Bar^ bara, e contiene quattordici paragrafi. In fondo poi sono trascritti due esemplari degli atti latini copiati dagli antichi codici lodati dal Baronie. Questa zizola si è fatta in quindici giorni; e mi è cresciuta nelle mani come le sponghe baguate; perchè sono più di trenta fogli di carta grande scritti a colonnetta. Vedete un poco, reverendissimo padre, cosa mi frutta l'avvocatura dei santi veneti ! Io sono stracco morto; cosi non vi posso seri-!- vere più a lungo. Già vi sarete accorto che non ne posso più, perchè l'ho scritta a rompicollo. Roma 9 marzo 1748. Non vel diss' io che il vostro pisciculo doveva mutare stato, e diventare qualche gran cosa? Così appunto è accaduto; mentre è diventato una gran co- saccia, un gran personaggio di tale e tanta dignità, che io temo che voi, ed i vostri santissimi monaci, e tutto il monastero non andiate falliti per fargli le spese, e mantenerlo nel suo arcicospicuo grado no- G.A.T.XCI. 20 3o6 Letteratura vellameiite acquistalo. Oh quanto vi avete da pentire tli avedo mandato a me per fargli la genealogia! Quan- ti disturbi avete d'avere per causa di lui! E Dio sa che non troviate qualche gran briga con cotesto se- renissimo dominio! Che diamine sarà ! So che voi di- rete, sentendo questa sonora antifona. E vi parrà pic- cola faccenda il dover mantenere littori, fasci, scu- ri, appari tori ed altre inilnilissime cose per un pisci- culo ! Capperi, oh questa si che è grossa! Ma tant'è. 11 pisciculo è diventato console; e per console lo ha riconosciuto un antiquario non incelebre. Laonde V. R. gli prepari il trattamento dovuto al suo grado così illustre. Mi domanderete la ragione di una cosi stra na metamorfosi; ed io rispondo che è chiarissima; ba- sta che leggete le lettere greclie all'usanza latina; ed il negozio è fatto. V. R., per quanto posso figurarmi, mi pare di vederla alquanto stupefatta; ma tant'è, il pisciculo è diventato console in questa guisa. Veda mo un poco se abbiamo bravi antiquari! Le fanciul- line antiche diventano leviti maschi: le teste di ca- prone si convertono in Socrate e s. Pietro: i pisci- culi diventano consoli. Che vuol di più V. R. ? Non è questo un bell'argomento per iscrivere un nuovo li- bro di metamorfosi , molto più celebri di quello di Ovidio ? Animo dunque, ella lo scriva, e si assicuri pure che avrà uno spaccio mirabile assai più del Buo- vo d'Aulona. Ma lasciamo le celie, le quali per altro sono ve- rissime, e veniamo al sodo. Voi avete ragione che il 2(Ma«J- venga dal verbo 2ci) o 2co|«, che significa sal- vare. Quanto al tempo, un mio amico inlendentissimo li greco crede possa essere presente dell'imperativo, e che voglia dire salva: un altro vorrebbe che fosse Lettere d'uomini illustri Soy perfetlo, salvasti], ma comunque sia, una delle due deve essere; ed ia conseguenza è fuori di dubbio che queslo sia un simbolo di Cristo. L'abate Foggini ha un bellissimo anello con questo simbolo, intorno al quale sono alcune parole greche , delle quali ora non mi sovviene. La ragione, per cui i cristiani po- sero in uso i pisciculi per simbolo di Cristo, ce la insegnò tanti anni sono s. Agostino: e così sarebbe superfluo a fare una cicalata su di questo. Il papa oggi mi ha comandato che sabato ven- turo gli porti la dissertazione di s. Barbara; così quel- le monache torcellensi fra poco saranno consolate. Se il papa si serve della mia dissertazione per for- marne una lettera, non è dovere che io la comuni- chi ad alcuno ; se poi concede le lezioni liscie li- scie, allora ve ne manderò una copia per umiliarla a sua eccellenza Cornaro. Anzi, se avi^ò tempo, vo- glio far trascrivere gli atti greci ancora; per fare una cosa compita. Questa mia cosaccia, compresi gli atti latini, è una bazoffia di sessanta fogli scritti a colon- na da Mogalli. La mia perorazione magnifica per l' obelisco di Augusto ha avuto finalmente l'esito felice; ed il pa- pa si è risoluto di cavarlo , ed oggi me ne ha dato la nuova. Manco male che si salva un monumento così illustre! Io per altro lavoro sempre a ufo. Au- gusto è qualche tempo che è morto, e della eredità di lui nulla è rimasto; così ho pensato di farlo ci- tare personalmente per le spese. Sta a voi, che siete in paese d'acqua, di trovarmi un Caronte che se ne vada a casa del diavolo a portargli la citazione. Ave- te inteso, padricello mio? Bisogna che mi facciate que- sto piccolo servizio. Roma 23 marzo 1748' 3o8 Letteratura XXXI. Eccovi finalmente il placet per istampare la vo- stra lettera a me diretta sopra la nota tavola d'avo- rio, copia della quale mi mandaste tempo fa (r). Le condizioni che vi propongo, acciocché la stampa rie- sca di mio genio, sono così miti e ragionevoli , che io sono pili che persuaso, che voi, come uomo tanto discreto, non potrete fare a meno di non osservarle pienamente. Già sapete che io sono nemicissimo di ogni sorte di bagianeria letteraria; e però detesto ed abbomino tanti dei fanfaroni del secol nostro; i quali vogliono esser lodali per forza dai galantuomini , e vanno cercando lutti i rampini e tutti i trespoli per fare sbrodolare il nome loro nei libri che si stampa- no; ne contenti di questo, si vanno alle volte dilet- tando di farsi le dedicatorie a modo loro, per avere maggior campo di profanare la povera carta con mil- le bugie in vantaggio della loro gran fama ; onde i posteri abbiano grande stima dei fatti loro , quando i viventi non li curano, ne li stimano un fico. Or dunque perchè queste cose io delesto negli al- tri , non voglio che sieno poste in uso in riguardo mio; perciò assolutissimamente richiedo da voi che la lettera a me diretta sia concepita nei termini seguen- ti. Si cassi in primo luogo nel titolo quel Benedi' (i) È dessa la dissertazione epistolare In antiquam sacrani e- burneam tabulam opere anaglypho elaboratam, che il Costadoat pubblicò indirilta al Ruggieri nel tomo XL della Raccolta; e che quindi ampliata di molto o riformata dall'autore fu inserita dal Gori nel tomo 3 del tesoro delle cose eburnee. Lettere d'uomini illustri 809 cti XIIII pont. max. a studiis, e si dica sempli- cemente Bibliothecae Imprrìalis praefecto. In se- condo luogo è necessario ohe V. R. ritocchi alquan- to il primo periodo, acciocché sia più elegante : quel cuiusdam^ così staccato dal sostantivo, a me non pia- ce. Il rimanente va Lenissimo ; uè abbiate ardire di aggiungervi altro. Venendo ora al testo della lettera ; ossia del se- condo paragrafo ; quella vostra dottrina dei dittici, e delle tavole che in vece loro furono poscia sostituite sopra gli altari, è verissima: ma non va a proposito, perchè la vostra tavola non è né 1' una né 1' altra delle cose precedenti ; ma bensì un copertoio di un evangeliario a somiglianza del vaticano ; nel quale parimente si vedono alcune storie sagre incise in avo- rio; e fra le altre 1' adorazione dei tre re magi col lo- ro pileo frigio in capo. Il codice è scritto in lette- re unciali d'oro ; e fu dell' insigne badia di s. Na- zario di Laureslam; poiché in una delle membrane di risguardo abbiamo il nome dell'abate, in tempo di cui fu rilegato il codice. Che anticamente costumassero di coprire d'oro, di gemme e di avorio i codici del sacro testo^ noi ne abbiamo molti riscontri; e, se non sbaglio, mi pare che il Ciamptni ne parli, adducendone vari esempi. Il sig. Muratori ha pubblicato nel tomo VI delle antichità d'Italia dei tempi niedii et infimi un opuscolo di un anonimo De casibus infausiis mo- nasterii farjensis, scritto intorno al MCXIX ; nel quale leggesi a carte 285 che Berardo abate lasciò al monastero vari ornamenti sagri , e fra questi missa- lem maiorem cum tabulis argenteis : missalem do- mini Oddonis, et textum evangelioriun^ quem prac- fata regina ( cioè Agnese ) huic monasterio dedita 3io Lktteratu ba ciun tabulis ebiumeis, et argcìiteis, ac deauratis^ et alluni ciim tabulis eburncis^ et aliuin cuin cru- cifixo argenteo ; e poco dopo, orationalem cum ta^ bulis eburneis. Fra i manoscritti greci della vatica- na ho veduto uii codice di alcuni evangeli per an- num, colle coperte di velluto, sopra una delle quali vedesl incastrato un crocifisso d'argento con s. Gio- vanni evangelista , e con la Beala Vergine ai piedi. ISel tesoro della s. cappella di Parigi conservasi una lastra ben grande d'oro massiccio, la quale servì per coperta di un antico evangeliario: ed in essa è in- castrata la famosa gemma rappresentante 1' apoteosi d'Augusto, scolpila a basso rilievo con artifìcio mi- rabile. Si pretende che questo prezioso monumento sia un qualche dono fatto ai re di Francia dagli im- peratori di Costantinopoli, o da qualche altro prin- cipe cristiano d'oriente. Racconta il Tristano, che fu il primo a pubblicarla nel primo tomo del suo com- mentario storico alle medaglie, che que' buoni omac- cioni del tempo antico credettero che la gemma rap- presentasse il trionfo di Giuseppe in Egitto ; e che perciò la destinassero per coperta di un codice di evangeli, mettendo nei quattro angoli della lamina i quattro evangelisti co' loro nomi scolpiti in lette- re greche. Altri esempi potrete ritrovare da voi stes- so nei libri per dimostrare sempre piij comune que- sl' uso appresso gli antichi cristiani di oi^nare in tal foggia i sacri codici. Il p. Mabillone, nel suo viag- gio d'Italia pag. 212, descrive un codice dell'antifo- nario di s. Gregorio che è nel tesoro di Monza, il quale ha le coperte d' avorio , in una delle quali è scolpita l'immagine del re David, e nell' altra quella di s. Gregorio. Nello stesso tesoro si conservano due Lettere d'uomini illustri Sii coperte d' oro con la croce scolpita in ambedue , e colla iscrizione della regina Teodelinila. Rispetto poi a quelle tavolette di avorio, le quali voi seguendo il Buonarroti credete essere state sosti- tuite ai dittici , io avevo notato un beli' esempio in un monumento riferito dal Muratori nelle antichi- tà ec, ma per sfortuna mi sono perduta la cartuc- cia, nella quale ne avevo registrata la pagina. Con- tiene questo una donazione, fatta da un abate nel X o XI secolo, di varie suppellettili sagre, fi'a le quali vi era ancora una tavola d'avorio scolpita con varie istorie, e questa per uso dell' altare. Mi suppongo che voi avrete costì l'opei'a suddetta; onde, se vi pia- ce, potrete scorrere l'indice cronologico de'monumenti che sta in fondo al sesto tomo ; e facilmente lo tro- verete. Se mi fossi ricordato del monastero, che nn sembra di Toscana , l'avrei ritrovata facilmente; ma me ne sono scordalo affatto, perchè ho una memoria non molto felice. Il cavalier Vettori avanti ieri mi disse di vo- lervi mandare in dono alcune delle sue pose stam- pate ultimamente: e questo, perchè io gli regalai una copia della vostra disseriazione, della quale sono ri- masto senza, per essere troppo generoso. Uno dì questi giorni usciranno le famose let- tere del p. Mammachio contro il p. Mansi di Luc- ca circa l'epoca del concilio sardicensc. Se mai ver- ranno a Venezia, vedrete, leggerete, e stupirete. Il p. Orsi stampa il quarto tomo della storia ecclesiastica, e Catalano il terzo tomo dei commen- tari ai concili. P. S. Prima di chiudere la lettera mi sono ri- cordato del nome del monastero, ed ho ritrovalo su- 3i2 Letteratura blto la carta. Leggete pertanto la pagina 768 del tomo IV del Muratori, la quale contiene una dona- zione , come ho detto , fatta da Teobaldo abate del monastero di s. Liberatore nella diocesi, ossia con- tado di Ghie ti, nell'anno io 19. Fra l'altre cose do- nate si nomina unam iconam eburneam , in qua caelata est imago sanctissimae genitricis Dei et virginis Mariae, et hinc inde imaglnes sanctorum martjrum: la quale con due croci di cristallo fu po- «ta sopra l'altare del santo. Il sig. cavalier Vettori ha mandato in questo punto il regalo per V. R. Queste sono le sue disser- tazioni, I. De monogrammate Christi lesii^ 2. Man- tissa ad praecedentem dissertationem etc, 3. De emhlemate musei victorii , et de nonnullis numi- smatibus Alexandri Severi. V. R. comandi a chi si debbano consegnare, perchè io mi darò il pregio di poterla servire a vista. Roma 6 luglio 1748. XXXII. Voi dite che Mammachio è giovane, e che du- bitate eh' egli abbia petto da difendersi contro di Mansi. E che? Siete voi come i fanciulli, i quali han- no paura del fantoccio barbuto ? Non sapete voi che Mammachio è un giovane che non teme di sei vec- chi come Mansi ? Quando non siate prevenuto da qualche spirito mansiano, il quale si va querelando per tutta 1' Italia che Mammachio gli ha scoperto quegli spropositi maiuscoli circa l'epoca del concilio sardicense , io crederei che doveste credere più a me, Lettere d'uomini illustri o\ò die alle voci, ed agli strilli dei circumcellioni man- siani. Ma perchè restiate convinto , e mortificato di questo vostro petulantissimo modo di scrivere dei miei amici, io vi manderò in dono il libro di Mam- maclìio, acciocché leggiate, e tocchiate con mano la vostra dabenaggine, e me ne domandiate perdono in forma colla corda al collo; e presentandomi in gi- nocchioni una solenne ritrattazione in iscritto, io vi darò poi l'assoluzione, con impervi una penitenza ben adeguala alla vostra arditezza. Roma 2y luglio 174^' XXXIII. Io non vi ho scritto negli ordinari scorsi, per- chè sono stalo occupatissimo ; essendomi convenuto di stendere una censura in materie rilevantissime di cento e piìi fogli in meno di due mesi. Voi non mi avrete più invidia dell' onore di- spensatomi dal papa nel citarmi più volle nelle sue opere ; perchè ancor voi siete diventato quanto me, e niente di meno. Il papa ha citata la vostra disserta- zione (i) nella bellissima lettera proemiale al mar- tirologio : ed io lo ringraziai per questo con dirgli che aveva dato motivo di far insuperbire un mio amico: ed egli mi rispose di averlo fatto con giusti- zia. Così voi siete un uomo gx-ande ex dejinitione sedis apostolicae. Vedete pertanto quanto è mai (i) Benedetto XIV cita la dissertazione del Costadoni Su di una antica tai>ola greca . . . riferita in addietro, ove parla del culto prestato a Costantino il grande. 3i4 Letterato ra grande il voslro merito ; ma non v' insuperbite per questo ; anzi procurate di farvi onore più che mai. Se siete più in tempo , potreste trovare l' occasione di ricitare le opere di S. B. nella dissertazione so- pra la tavola d'avorio: e crederei non vi dovesse riu- scire molto difficile. Fate pulito, e poi lasciate fare a me. Yi ringrazio delle notizie autentiche circa il te- soro delle antichità ebraiche: ond' io sempre più mi confermo nella mia opinione che costì si tii'a a gab- bare il prossimo. Come mai può tornar il conto a pigliare i tomi a Roma con cinque paoli di por- to ? Non vedele che questa è una tiafila per ismaltire i volumi che hanno mandalo in credito costì? A buon conto la Minerva si è dissociata: lo stesso hanno fat- to monsig. Fantuzzi ed il cardinal Monti. Io sono di sentimento di provvederlo quando sarà termina- to ; perchè spero di averlo a migliar mercato de- gli associati. Questo però non toglie che il sig. Ugo- lini non sia un uomo di grande abilità ; ed io lo stimo assaissimo; anzi non è molto che, parlandosi di lui col papa, io gli feci quella giustizia che me- ritava circa la sua dottrina. Qui non abbiamo altro di nuovo , se non che alcune nuove bolle di Sua Beatitudine pubblicatesi di fresco. Il p. Orsi continua alla gagliarda la sua storia. Quanto a s. Barbara , io non so più cosa al- cuna, ne il papa me n' ha parlato più. Ho piacere che il gesuita faccia la dissertazione ; ed il punto eh' egli ha preso ad illustrare, lo potrà diclfrare me- glio di noi che slamo in Roma, perchè avrà avuto in mano l'archivio di quelle monache, dal quale si Lettere d'uomini illustri 3i5 saranno potute ripescare delle notizie molto conclu- denti circa la identità del corpo di s. Barbara ni- cemediense. Quanto poi all' altra paite della patria, degli atti, e del culto diffuso per tutto il mondo cri- stiano, io credo di aver trattata la cosa in maniera, che non so se il gesuita sarà ito tanl' oltre. Se il papa avesse ultimato l'affare, io non avrei avuto al- cuno scrupolo di mandarvi una copia della mia dis- sertazione; ma essendo ancora sospeso , io non vo- glio mancar di rispetto verso di Sua Beatitudine. Voi intanto amatemi; e pregate il signore Iddio per me ades- so che si sta in una congiuntura ottima di buscar- mi un pezzo di pane assai onorevole. Se Iddio non, benedice egli questo trattato, io non ho nessuna con- fidenza negli uomini. Tutta volta mi sono aiutato con mezzi leciti ed onesti. Se no, faciat Deus. Mor- to che sarà il papa, ce ne torneremo a casa nostra a fare il piovano, o qualche altro mestiere: perchè dieci scudi soli al mese non bastano per vivere ad uno che studia. Addio. Roma 3o agosto 1748. XXXIV. Questa notte è passalo a miglior vita uno dei maggiori miei amici: e questi è il p. Giuli gesuita, lettor di canoni nel collegio germanico. Io ho per- duto molto: perchè questo era un galantuomo di 24 carati, amato e stimato moltissimo per la sua gran- de abilità ed onoratezza dal papa e da tutta Roma. Era anche amicissimo del nostro Concilia, il quale quando lo saprà ne avrà un dispiacere infinito. Pre- 3i6 Letteratura gate Dio per lui, perche è persona che se lo merita, e forse voi l'avrete conosciuto. Roma i6 novembre 1748. XXXV. Voi mi fate le scuse se mi avete lodalo po- co. Ma capperi, padre mio : voi pur sapete i vitu- peri e le minacce che vi ho scritto su di questo punto; e guai a voi se non mi aveste ubbidito ! Io non sono della setta bagiana ; ne mi credo d'essere il primo uomo del mondo. Mi basta che la gente creda, che io sappia leggere e scrivere, e che inten- da un pò di latino, e niente più! Omnia vanitasi padre, et fumo pereat qui fumum vendidit. Ho piacere della lettera del papa. Caro voi, fa- temi il piacere di sapermi dire in succinto il si- stema della medesima ; perchè può darsi il caso , che se il papa non ha fatto uso della mia dissertazio- ne, io ve la mandi per istamparla insieme ( quan- do piaccia al sig. Flaminio ) colla lettera del pa- pa. Ma se poi Sua Santità ne ha fatto uso, allora mi ritiro, e non ne parlo più. Quanto alle notizie di Salomone ed ai pi- sciculi, datemi un pò di tempo, che io vi servirò. Bartholus interrogatus de mane^ respondebat de sero. Io in questa settimana sono stato occupatissi- mo , perchè ho assistito al confronto del catalogo della biblioteca ottobonlana, che il papa ha comprato per la biblioteca vaticana, ed ha speso 55oo scudi. Roma 7 dicembre 1748. Lettere d'uomini ILLUSTRI 3 j ^ XXXVI. Quando mi capiterà una congiuntura a propo- sto VI manderò la mia dissertazione sopra s. Barba ra ;^ ma prima la voglio ripulire un poco ; perchè COSI non mi piace. i^cicue La lettera del papa è molto liscia, e si vede ohe poco o nulla si è servito della mia fatica Per CIO se cotesto cavaliere la stampa, fatele la carità di levargli via c^uelV e^nteto del mano scruto al ero- meo del Dandolo il quale è stampato stampatissi- mo. Ma a tempo del buon p. Olmo non lo era. dell. V '^" '•''^^'' Vettori vi saluta, e vi ringrazia della dissertazione regalatagli ; e mi ha promesso di dar. . 1, n legno non è cosa da domandar- glielo perche se ne serve egli per le sue stampe, nel- le quah va ripetendo sovente queste figure Jeri mattina ricevei l'involto dei libri spedite- »ni. Oggi presenterò a nostro signore la vostra dis- sertazione ed 11 libro del sig. Brunacci, facendogli quel- 1 apparato che merita un soggetto così dotto. Roma 4 del 174^, ( Saranno continuate. ) 3i» mM'^IàWt AWLTl Discorso sugli atti del gran concorso Balestra di belle arii^ recitato dal prof. Salvatore Betti in campidoglio il dì 4 di febbraio 184.2. f^( Ioli' aulorilà dell' eminentissimo e reverendissimo principe signor cardinale Giacomo Giustiniani , ca- merlengo della santa romana chiesa, l'insigne e pon- lificia accademia delle belle arti denominata di s. Lu- ca pubblicò addì 6 di ottobre i838 il programma del grande concorso capitolino instituito nel!' accademia medesima dall' onoranda memoria di Carlo Pio Ba- lestra. Furono i temi generalmente proposti agli artisti d'ogni nazione, ohe correr volessero in Roma il no- bilissimo aringo : e le opere, nel tempo debito pre- sentate a me segretario perpetuo dell'accademia, ven- nero secondo gli ordini dello statuto, e dopo l'espe- rimento importantissimo delle prove estemporanee , sottoposte al giudizio del pontificio corpo de'profes- sori. Ma in un tempo che i premi delle arti , una volta sì rari e perciò sì autorevoli e si valoi^osamente con tosi, veggonsi pur troppo profusi con quel poco discernimento che fa tanto gridare i.savi, l'accademia Concorso Balestra 819 di s. Luca ha voluto con salutare consiglio essere ri- gorosa sul decoro di quelli che per suo voto si dan- no nell'aula massima capitolina : sollecita, com' ella è, di non tradir la speranza di clii al suo magistero affidò il frutto de'propri sudori : ed attesa poi a non rendersi indegna della sapienza regnante , la quale con si graziosi favori privilegiolla di rappresentare al- l'Europa la dignità delle arti romane. Non avendo quindi trovato un merito che bastasse al premio nelle classi della pittura e dell'architettura, fu paga alme- no di poter onorare quella della scultura : reputan- do degni della medaglia d' oro della prima classe il signor Cesare Benaglia romano, e dell'altra della se- conda, o sia del bassorilievo, il signor Raffaele Tuc- cimei parimente romano : oltre all' avere con beni- gna lettera incoraggiato il signor Emidio Paci di A.- scoli, concorrente della prima classe. Non è tuttavia che i professori non avvisassero pure alcun pregio qua e là in esse opere di pittura e di architettura. Né intendendo passarsene senza ono- revole considerazione, ordinarono parole e menzioni d'incoraggiamento al concorrente della prima classe della pittura signor conte Paolo Spelia romano: non che agli altri, ugualmente romani, della prima e della seconda classe dell' architettura signori conte Luigi [j Amadei e Paolo Belloni cadetto onorario nel ponti- ficio corpo dell'artiglieria. Desiderando però l'accademia ( per 1' amor suo verso le arti ) invitare a provarsi in nuova palestra, e quasi dirò a rifiorir di forze, il valore de' giovani artisti, chiamò volentieri con temi diversi ad un se- condo concorso le dette due classi della pittura e dell'architettura. Quindi un altro programma fu pub- blicato il di I di marzo 1840. 320 Belle Arti Giudicato esso pure da' professori nell'anno se- guente, trovossi con singoiar dispiacere la prima clas- se della pittura non aver punto migliorata la sua con- dizione : sicché la giusta severità dell'accademia non intese di darle il premio. Confortossi però non poco la comune speranza nelle opere della seconda classe, o sìa del disegno : laonde per uno straordinario atto di favore e di benignità, lietamente approvato da sua eminenza, fu statuilo che non sola una medaglia d'o- ro, secondo il programma, ma si due se le dovessero concedere : e di esse stimaronsi meritevoli, con ugua- glianza di lode, i signori Achille Mazzetti ed Igna- zio Tirinelli romani. Né consolossi meno l' accade- mia nelle opere dell'architettura : ne saprebbe dirsi con quanta conformità di voleri decretò degno della medaglia d'oro della prima classe il signor conte Lui- gi Araadei romano, sotto-tenente del pontificio corpo del genio : e di quella della seconda classe il signor Costantino Forti romano; statuendo altresì una men^ zione onorevole all'altro romano signor Emmanuele Costa. Tal'è slata, o signori, la ragione del giudizio ac- cademico del concorso, di cui oggi si celebra la pre- miazione. Ora, giovani egregi, mi è gratissimo il dirvi, vo- lere la pontificia accademia che in nome suo mi con- gratuli caramente con voi. Anzi il vuol pure questa frequenza splendidissima che qui onorate d'ogni or- dine, dignità e gentilezza. Quanta sia la nostra gioia di vedervi accolti al maggior onore, che sappia mai un giovane artista desiderare nella terra classica delle ai'ti, ritraetelo dall'essersi scello appunto da quest'in- clito porporato protettore uno de'giorni più cari e sa- Concorso Balestra 821 cri al cuore di tutti noi : giorni che ci ricordano l'e- saltazione al principato della Chiesa e di Roma , e la coronazione ad un tempo del santissimo coraun pa- dre e sovrano Gregorio XVI. Continuate deh ! a ben meritare delle arti, non meno che della patria : erborate voi stessi , onorate Roma, onorate l'italiano ingegno : accesi costantemen- te nel desiderio di volere nutrir l'animo del cibo de' valorosi, che è la fatica : e di seguir soprattutto la grande scuola del bello, la scuola magnifica degli avi vostri, che sdegnarono ogni altro emulo, salvo il di- vino magistero de'greci, nell'essere le prime fantasie dell'umana generazione. Sì dico di quegli avi vostri, che fermi la mente in un'alta ragione , e tutti dati a guardarla quasi vergine casta dall'impeto di lascivi amatori, ogni ciancia dell'uso passeggiero spregiarono: ne per niun vanto di setta , o clamore e arroganza di volgo, arrestaronsi del passar oltre su que'sepolcri, che s'aprono tutto di ad una plebe di nomi, ieri in- degnamente famosi, oggi degnamente obliati. Lasciate ad altri il gittarsi incostanti qua e là in traccia di ciò che non hanno. Sdegnate di porgere orecchio alla temerità di certe teoriche ( vezzo del secolo presun- tuoso ), le quali altro fondamento non hanno che la vanità o la stoltezza di alcuni spiriti, che poco ve- dendo , mostrar vogliono di veder molto : ne sanno che appunto le arti allora incominciarono a volgere in basso, quando per le dispute degli oziosi generossi nelle menti la confusione : e volle freddamente per raziocinio, quasi una scienza , dedursi il bello e il sublime : e quel ch'è piìi, immaginarsi fra le pareti della propria stanza , piuttosto che liberamente cer- carsi e vivamente sentirsi, gran luce dell'anima , in G.A.T.XCI. 21 322 Belle Arti mezzo al riso, alla pompa, alla varietà ed alla poten- za della natura. Non fate vincervi anzi tutto alla bo- ria di una parola, che tanto inconsideratamente suo- le oggi in ogni cosa gridarsi, anche a dispetto dell' esperienza di quanto v'ha di passato : a quella cioè di progresso : convinti qual essere ornai dovete, che vero progresso in molte cose è spesso il sapere e il potere tornar indietro : voglio dire agli eterni loro principii, ed alla scuola sempre autorevole di chi ha fatto bene prima di noi. Concittadini voi di Leonar- do, di Raffaello, di Michelangelo , di Bramante , di Palladio e di quella immortale schiera che li prece- dette e li seguitò, avete perfetta, stupenda , ricchis- sima da tanti secoli l'eredità che per alta provviden- za sortiste fra gli altri popoli della terra. Oh l'orgo- glio e la leggerezza de'novelli sofisti di qua e di là dall'alpe non v'inducano a contaminarla giammai, nò per fallaci promesse ad avventurarla : per non dirvi, che cosa empia stimiate ( tolga il cielo cotanta col- pa ) di rifiutarla! Passeranno, sì passeranno anche i giorni di questa nuova superbia, di questa irriveren- za impudentissima verso il senno de'padri in ciò che non solo crearono ed educarono , ma sì crebbero e trassero mirabilmente a tal fiore di virilità che mai non invecchia : e passeranno forse più ratto che non crediate, giunta com'è la sfrenatezza degl'intelletti , sì nelle lettere e sì nelle arti, a quell'ultima cima , oltre alla quale non sembra che sia più luogo a sa- lire. E ben per quelli che, riandando allora le ope- re proprie e le altrui, saranno privilegiati di poter di- re gloriosamente, ciò che pur troppo avvenne a po- chi dopo la vergogna ed il guasto del secolo XVII: « Io non lasciai strascinarmi all'universal frenesia ! »> Concorso Balestra SaS Pensate intanto di veder qui, qui ora, o giovani, fra questi porporati padri, fra questi professori, fra que- sti cortesisslmi d'ogni nazione , trarsi innanzi vene- rabile e maestosa la presenza dell'Italia ( e sì tanto piacesi venir sovente su questa vetta famosa ! ) e dar- vi ella stessa que'premi, e col guardo animarvi, e par- larvi col cuore : ricordandovi ( ne mai sì bel ricordo cadavi della memoria ), ricordandovi che di qua per le arti della leggiadria e della pace sonò la voce , che riscosse due volle l'Europa dall'umiliazione della barbarie. Di una tavola dipinta da Benvenuto da Siena , pittore del secolo XV. Notizie del prof, Giu- seppe Antonio Guattani, G fiuseppe Antonio Guattani, già benemerito segreta- rio perpetuo delle due pontificie accademie romane di s. Luca e di archeologia, dettò questa illustrazione, a dichiarazione ed encomio della tavola di Benvenuto da Siena , alla quale è venuta adesso nuova celebrità dall' averla prodotta il oh. prof. cav. Rosini nella sua classica istoria dell' italiana pittura. Ne giova per- tanto sperare, che sì in grazia della memoria dell' il- lustre Guattani, e sì per l'argomento, ci sapran gra- do gli amatori delle belle arti dell' aver noi dato un luogo nel nostro giornale allo scritto seguente , eh' era inedito presso l'egregio possessore del quadro. Gay. P. e. Visconti. 324 Nella collezione di quadri del sig. avv. Giu- seppe Grazioli avvi una gran tavola di palmi 7 ^ per ogni lato , divisa bensì in tre parti ed insieme unite ad uso di trittico. Nello spazio di mezzo, al- quanto più ampio , è rappresentata la Madre di Dio sedente col divin figlio e due angeli ; nel de- stro lato evvi l'apostolo s. Pietro stante ; e nel si- nistro al modo stesso ritto si vede il vescovo s. Nic- cola di Bari. Tutte le figure sono in proporzione del vero; e il fondo della tavola è in islrato d'oro so- pra strato di gesso, alla più antica maniera della pit- tura risorta. Dopo il più imponente sfoggio in colorito , in costume ed in ogni genere di oruamenlaic ricchezza, rendono oltre modo singolare questa tavola le molte iscrizioni , che vi si leggono , e sopra tutte quella, che nella più bassa linea del quadro ne dichiara l'au- tore, e l'epoca in cui fu dipinto: sic sic OPUS BENVENUTI IOANES DB SENIS A. MCCCCIXXVUH. Tanto le lettere, quanto i numeri romani sono di bella forma, al modo stesso che trovansi nelle ta- vole del Perugino e del Sanzio. Si ricava dunque da questa epigrafe, che il dipintore della tavola fu Gio- vanni Benvenuto da Siena , e che la dipinse nel 1479 : mentre il numero I avanti il X sembra es- sere equivocato con la L, vale a dire col cinquanta. Ma ciò che maggiormente interessa si è, che una tal genuina epigrafe unita a così beli' opera collima a Quadro di Benv. da Siena SaS farci conoscere un valente professor sanese, che man- ca nelle biografie del Vasari , del Baldinucci , e di tutti gli altri che in seguito delle scuole pittoriche d'Italia fecero esatte istorie. Se per altro non si tro- va negli elenchi tutto disteso nome, cognome, e pa- tria di questo autore, lo troviamo benissimo accen- nato, ora col solo cognome di Benvenuto, ed ora con quello battesimale unito colla patria, Giovanni di Siena. Di fatti nel tomo II delle lettere sanesi p. 248 da un libro di ricordi appartenente all'archivio del regio spedale di s. Maria della scala si trova estratta una particola ne'seguenti termini: « INel 1470 mae- » stro Pellegrino di Mariano dipentore, et maestro » Aghustino di maestro Andrea dipentore ricordo co- » me questo dì 28 di giugno salvogono a dlpigniare » et mettere d'oro et finire di tuLto punto tutto il » lavoro che restò a fare Benvenuto dipintore di » IO quadri del palcho della nostra chiesa. » In altra memoria consimile, citata in quelle lettere pag. 254, si legge : « Le arie de'visi sono fatte col fiato, » e vi appare la mano diligente di Benvenuto. .> Finalmente in altro articolo estratto, e riferito IVI : « Si paria di un Cristo in croce in mezzo alla ») Vergine e a s. Giovanni che stanno in piedi, e so- » no sufficientemente disegnati e coloriti con espres- » sione di affetto e di dolore sul fare di Giovanni » da Siena. » Or tutto osservando rimpetto alla stessa nostra tavola ; se i due ricordi succennati del Benvenuto, e l'altro del Giovanni da Siena sono all' epoca stessa del 1474 , come risulta dai documenti allegati alle lettere sanesi ; se quanto si dice e di Benvenuto e di Giovanni rapporto alla diligenza nel- 326 Belle Arti l'arte, alle arie di visi fatte col fiuto , al sufficien- te disegno e colorito., ed alla molta espressione., si trova essere per l' appunto le caratteristiche ed i pregi del nostro dipinto ; se dal i474 Benvenuto la- sciò imperfetti i suoi lavori in s. Maria della scala, e nel i479 f^ce questo quadro in Orvieto, da dove ora proviene: e se finalmente di quell'epoca non fu in Siena ne altro Benvenuto, nò altro Giovanni pittori; sembra una dimostrazione, che il pittor della nostra tavola è quello stesso, che dipinse i io qua- dri in s. Maria della scala , e fece in miniatura il Cristo in croce con la beatissima Vergine e s. Gio- vanni, che vedemmo lodati fin da quel tempo. E ciò senza maraviglia alcuna: perocché è notissimo ( ed il Lanzi lo avverte nella sua storia pittorica tomo I , pag. 287 ): « Che le memorie de'piltori sanesi sono » alquanto confuse nei primi tre secoli per la plu- » ralità de'Guidi, de'Nini, de'Lippi, de'Vanni, nomi n derivati per accorciamento da Giacomino, Filippo ,) e Giovanni; E COSI' D'ALTRI NOIVII PROPRII » ESPRESSI SENZA COGNOME. ., Convien dun- que dire, esser più che verosimile che il nostro Ben- venuto Giovanni del i479 lasciasse Siena , e se ne andasse a dipingere fuor di paese, e forse in Orvieto, come dissi: e qui a scanso d'equivoci, nò essendo più in patria , stimasse bene di mettere tutto intero e sfilato nome, cognome, patria ed anno in cui con- dusse a fine il suo lavoro, siccome introdotto e os- servato da altri già era un tal costume. Intanto dovremo sempre a questa tavola la per- fetta sicurezza di un sanese pittore , valente artista obliato, cred'io, dal Vasari, dal Baldinucci e da al- tri per il motivo che presto si dipartisse dalla patria, Quadro di Benv. da Siena Sa^ senza lasciarvi che i lavori primieri, e di non mol- to conto. Bello per altro e luminoso esemplare cre- diamo essere questa tavola de'più grandi trittici usali dai greci, e, dopo loro , in Italia sino all' epoca del perugino: in cui può dirsi die cominciassero a porsi sotto o intorno alle madonne i santi a conversare , senza separazione, e non ritti e paralleli, ma in va- rie e contrapposte attitudini. Ora scendendo ai dettagli, per chi voglia osser- varla mmutamente , nello spazio medio della tavola alquanto più ampio è rappresentata la Vergine san- tissima sopra ricco origliere in maestoso seggio in- tarsiato a musaico. Sostiene con la destra il divin fi- gliuolo , che le siede su i ginocchi , e a lui porge graziosamente con la sinistra un ramoscello di tre candide rose. Specioso è il vedere che intanto due angeletti, stami su i pilastrini del trono, sono intenti non già a suonare, ma a/1 accordare ( lo che meglio riesce , e serve all' espressione ) l' uno un violino . 1 altro un liuto : per cui sotto vi si legge : sic sic REGINA CELI LETARE ALLELUIA. N. Ne' due gradi che mettono al trono, coperti di un t^appeto verdastro, si legge alternativamente AVE di sopra, e GRA di sotto ; compendio verosimilmen- te di Jve, Maria, gratta piena: come trovasi in al- tre Madonne di pittori sanesi, in ispecie in una an- tichissima di Guido da Siena caposcuola del 1221, riferita dal padre della Valle nelle lettere sanesi, dal oenzi, e da altri. E piena veramente di grazia può dirsi la Ver- 3 28 Belle Arti gine sanlissima ai delineamenti, alla movenza , allo sguardo che volge al divin figliuolo. Toltane cioè certa magrezza di stile ne' contorni e nell' estre- mità, che appena disparve ne' tempi felici di Raffael- lo, praticato si vede in questa tavola quanto leggem- mo nella sopranunciata memoria: Le arie dei visi sono fatte col fiato, e riapparisce la maìio clili^ sdente di maestro Benvenuto. Ricchissimo è il co- o stume di lei, mediante un gran manto turchino fo- derato di altro serico drappo a color di oliva, onde velata si mostra da capo a piedi, solo che bianco li- no le apparisce di sotto a coprirle la fronte. Miste- rioso e simbolico , come tutto il resto della compo- sizione, è il meandro ad oro, clie ricorre intorno al detto paludamento, per essere di linee cosi tratteg- giate, che uno scritto sembra anziché un fregio. La sopravveste è di color di porpora a rabeschi d'oro, e con gallone d' oro termina , stringendo il petto eoa strofio ornato di perle, rubini, e smeraldi ; più sot- to le apparisce la tunica di candido lino. E da no- tarsi come in quella parte del manto, che le copre la spalla destra , rlsplende sull' azzurro celeste una stella d'oro ; forse per alludere al sacro motto j4ve maris stella. Con tale attributo rappresentala già avea nostra Signora il sopra citato Guido da Slena, ed altri appresso di lui, come si rileva dalle suddette lettere sanesi, e altrove. Il santo bambino è nella mossa doppiamente intento a benedire con la destra , e con la sinistra a prendere le rose , che dalla madre santissima gli vengono offerte. Ha indosso una semplice veste, che gli giunge ai ginocchi, di color violaceo, foderata a color ponsò, e circondata di gallone d'oro: e d'oro Quadro di Benv. da Siena Sac) è la sua cintura. Ha di più bel monile al collo; ed armllla, ossia braccialetto, al polso sinistro, secondo l'uso moderno. I due angeli sono anch' essi riccamente in co- slume. L'oro, il broccato, serti di fiori, fda di per- le , diademi, monili, non mancano ad accrescere il grazioso contegno de' volti, e la bella e dolce espres- sione che spirano la Vergine, gli angeli, e il Divin fanciullo. Nulla qui ha dimenticato il nostro Gio- vanni di quell' antico corredo usato dalla grecanica rinascente maniera, cui bella non sembrava la pittura se non era ricca : né per ben conoscere il carattere pittorico di quell' epoca crediamo potersi rinvenire dagli amatori intelligenti un monumento più classi- co e circostanziato. La figura del s. Pietro è al solito costume con tunica allacciata ne' fianchi, veste di color violaceo, e manto giallo fodei-ato hleii. Il consueto nimbo gli adorna il capo, ed ha fascia incrociata al petto con lamina d'oro. Porta una chiave d'ai'gento nella de- stra, e l'ha d'oro nella sinistra. Sotto : SIC SANTUS PETRUS APOSTOLUS. Dall' altro lato s. Nicolò di Bari è colorito nel maggior fasto possibile di un santo vescovo. Sta in atto di leggere un libro, mentre ritto si appoggia ad un magnifico pastorale di avorio, in cui sono incise le 3 palle d' oro, simbolo di quel santo. Sopra bian- co camice trionfa il suo ricco piviale di tocca d'oro, guarnito di perle , e di piccoli ovati con istorie e figure di profeti. In uno di essi , che serve di fer- 33o Belle Arti maglio al paludamento , è nostro Signore in mez- zo a due angeli intenti a seppellirlo, come può in- dursi da qualche accenno di sasso e di monumento. Oltre avere il santo vescovo un guanto e molte anella alle dita, muove a curiosità il vedergli scendere fia quasi ai piedi una borsa di color violaceo raccoman- data con due lacci alla cintura. Sotto vi si legge: SIC SANTUS NICOLAUS DE BARI. Dovette certamente questo quadro brillare , e brillerà tuttora ovunque sia collocato, per la vivacità del colorito , per la vaghezza degli ornamenti , per alcuni suoi bizzarri e misteriosi accessorii , e attesa cert' allegria di pennello propria de' pittori sanesi ; per cui il Lanzi potè cominciare la storia di quella scuola con dire : Lieto popolo ^ lieta pittura. GUATTANI. — ■»^E^&Q^S*=— À 33r // giudizio di Salomone. Quadro ad olio in tela^ largo palmi romani 28, alto 17, eseguito dal professore Francesco cavalier Podestì, d'or- dine di S. M. Carlo Alberto re di Sardegna. Q k^aloraone, figliuolo di David e di Bersabea, asce- se , ancor giovanissimo , il trono d'Isvaello , succe- dendo al padre. Come appena egli ebbe incomincia- to a regnare, si recò in Gabaon ad offerire un so- lenne sacrifizio a Dio: il quale apparsogli nel son- no , promise concedergli quanto avesse domandato. Il giovanetto re chiesegli la sapienza per poter ben reggere i suoi popoli, e dal Signore gli venne con- cessa. Il primo sperimento che Salomone facesse del- l'insigne dono ricevuto fu questo. Gli si apprescn- tarono un giorno due donne. Diceva l'una: Sire, que- sta mia compagna ed io abitiamo la stanza medesi, ma ; io partorii un figliuolo, e da lì a tre giorni ella diedene alla luce un altro. Dormendo ella una not- te, soffocò il proprio parto : e levatasi pianamente , tolsemi da canto il mio bambino vivo, a cui sostituì il suo già morto. Destatami la mattina , e volendo allattare il putto , sì il trovai senza vita ; ma poi guardandolo meglio mi avvidi, non esser quello da me partorito. L'altra donna a riscontro rispondeva ; Costei mentisce, che il suo figliuolo è per l'appunto il morto, e mio è il vivo. Ambedue a lungo dispu- tarono del fatto, senza che l'una bastasse a convin- 332 Belle Arti cer l'altra. Laonde Salomone comamlò, gli sì recasse una spada : e datala ad una delle sue guardie , gli ordinò di tagliare in due il bambino vivente , e di darne mezzo per ciascuna alle donne. Quando la ma- dre del vivo pargoletto ebbe udito il fiero comando, commossa fino nel profondo dell' anima, e quasi fuor di se per l'affanno, esclamò : Signore, signore! dà pu- re a colei il bambino ; meglio è eh' altri l'abbia, pri- ma eh' io debba vedere sbranato il suo corpo sotto gli ocelli miei. Allora Salomone sentenziò ; si desse a lei il fanciullino , imperocché ella erane la vera madre. Da questo slngolar passo della storia sacra trasse il subbietto del suo quadro il professor Podesti , a cui il real committente, con esempio imitabilissimo, avevane lasciata libera la scelta. Ora io mi farò a ragionar dell' opera , ingegnandomi di rendei'ne co- nosciuti, se non tutti, almeno i principali pregi. La scena del dipinto rappresenta l'atrio del pa- lazzo di Salomone, la cui magnifica architettura è di stile arabo-egizio. Quest' atrio da una banda si con- giunge al ripiano, ove hanno origine le scale che mettono alle regie stanze: e qui osservansi nelle pa- reti riportale le tavole della legge, e qualche morale sentenza , scritte in caratteri arabici. Da un canto del ripiano sorge sulla sua base un gran candelabro a cinque braccia , fingendosi che dall' opposta parte siavi il compagno, e che tutti e due servano a conte- ner le lampade che rischiarano il luogo durante la notte. Attraverso delle colonne dell' atrio si scorgo- no in distanza gì' intercolunni del portico che pre- cedeva il tempio santo di Gerusalemme, le torri di Davidde, e a rimpetto il principio de' giardini pensili. Quadro del cav. Podesti 333 Avanti peraltro d'entrare a discorrere delle fi- gure che sono nel quadro, e della parte che ciascu- na piglia alla rappresentanza del fatto, sarà bene spie- gare quale sia il momento prescelto dall' artefice a reggere l'intera composizione. Egli dunque divise il soggetto in tre tempi, cioè in antifatto, in fatto, e in posfatto. Immaginò che nel primo si compren- desse l'ordine dato da Salomone di fendere in due il corpo del bambino ; nel secondo il cenno di so- spendere l'esecuzione ; nel terzo il comando di ren- dere illeso il figliuolo alla vera sua madre. Ciò pre- stabilito , tolse a rappresentar nella tela il secondo de' ricordati tre tempi: avvisandosi saviamente che , avuto riguardo al soggetto, esso soltanto fosse capa- ce di mosti'are ad un' occhiata il principio e la fine dell' azione, conforme appunto viene dalla storia nar- rata. E di vero, quel cenno di sospendere che Sa- lomone fa alla guardia, rende manifesto il comando datogli prima , di partire cioè il corpo del conteso bambino : il cenno stesso palesa quindi che il re , udito eh' una delle donne disputantisi il pargolet- to, all' altro lo cede per non vederlo ucciso , nella sua sapienza ha già compreso, esserne questa la ve- ra madre : e però sospende il colpo per sentenziare che a lei sia reso. Avremo agio di osservare tra poco in qual mo- do, da un momento al tutto nuovo, e con ogni ra- gionevolezza posto come fomlamento dell' intera com- posizione, sì sveglino ne'peisonaggi, che in essa han- no luogo, convenevolissime espressioni di affetti di- versi, le quali, })erchè da un solo ed unico princi- pio derivano, vengono a costituire una mirabile unita di azione. 334 Belt. E Arti Verso la estremità sinistra del cuiaeli'o , e pro- prio sul ripiano menzionato, è posto un trono no- li! lissirao su molli e vaghi tappeti : in esso siede Sa- lomone posando i piedi sopra soffice e bene adorno cuscino. Egli indossa le splendide vestimenta reali , a «;ui è soprapposlo il manto di porpora: gli copre il capo un turbante assiro , sormontalo dal diadema splendente di preziose gemme : ne' piedi ha gentili calzari. Tien Salomone nella sua sinistra lo scettro, e la destra solleva accennando che si sospenda I' e- secuzione del dato comando ; dal volto di lui, pla- cido e sicuro, si palesa la certezza in che è di non ingannarsi nella sentenza che sta per pronunziare , perchè suggeritagli dalla sapienza divina, di cui ave- va piena la mente. Alla dritta del trono sta un pic- colo paggio in candida veste, il quale regge lo scu- do del re, impressovi il simbolo del sapere, sotto fi- gura d'un sole raggiante, attorniato da un motto ara- bo allusivo alla impresa. Vicino al paggio è il som- mo sacerdote vestito degli abiti della sua dignità , quali però si usavano dimorando alla corte : egli in- crocia le mani al petto , e nel viso venerando ap- pare l'impronta di quella dubbiezza gittatagli nell'ani- mo dall' inatteso mutarsi del re. Due de' sapienti del regno, che intra veggonsi dietro il sommo sacerdote, stanno tra incerti e maravigliati , quasi non giun- gessero a capire il fine cui sian per volger le cose. La guardia armata di tutto punto, che da questa parte compie il gruppo, ha un' aria indifferente, come si addice a thi avvezzo ai campi di battaglia ha il cuore poco facile a comraoversi. Dal sinistro lato del tro- no siede su' gradini il custode delle leggi , appog- giandosi colle braccia sulle tavole che i papiri con- Quadro dkl cav. Podesti 335 tengono ove esse sono scritte. Questo grave e seve- ro personaggio volgesi come di slancio a guardare il sovrano, mezzo tra sospeso e indignato, quasi ripu- tasse indegno della maestà reale cambiar pensiero dopo pronunziato un decreto. 1 due cortigiani, che sono in piedi dopo di lui, par che ragionino del nuo- vo caso, cercando colla mente di scoprirne il moti- vo. Presso di loro, propinquo al trono, è un altro paggio che tien la spada del re , simholeggiante la giustizia di lui, nel modo stesso che gli emblemi dello scudo ne indicano la sapienza. Accanto al paggio bru- ciano in vasi d'argento i più soavi profumi, e l'odo- rato vapore salisce leggero leggero nell'aria e ingom- bra gran parte dell'atrio. Alla eslremità della tela ti vien veduto un gruppo formato da due donne, spet- tatrici del giudizio : quella che riman più indietro ri- fugge inorridita e appena ha forza di guardar là do- ve è per eseguirsi il crudo comando del principe : l'altra, posta nell'innanzi, ha in braccio una bambi- niella, e mentre tiene rivolti gli occhi al luogo ove si prova l'amor materno, uscita quasi di se alla vista del tremendo spettacolo, cerca colla mano un'altra fi- gliuola , che pur le sta stretta alla persona in alto naturalissimo di un fanciullo che curiosità spinga in- nanzi, e timore, suo malgrado, ritenga. Dall'altra parte del dipinto si vede prima, verso il mezzo, una delle due madri ricorrenti, la quale sta ginocchioni avendo innanzi a sé il cadavere del sof- focato figliuolo : ella con volto tra vergognoso e sfac- ciato guarda verso Salomone, cui pur vorrebbe per- suadere, non appartenerle l'estinto fanciullo. Ti si of- fre poi agli occhi il soldato, a chi fu ingiunto d'ese- guire il real decreto : costui, a metà nudo , stringe 336 Belle Arti nella destra la spada apparecchiandosi a ferire, e tie- ne colla sinistra per uno de'piedi il pargoletto che giii pende caporovescio. Quest'innocente (e tu il diresti mosso da naturale istinto ) colle tenere mani si af- ferra al braccio della madre, la quale nella piena del- l'affanno, caduta sulle ginocchia, rattien la mano del soldato sì che non possa vibrare il colpo: e sporgen- dosi vivamente innanzi, addita colla destra l'avversa- ria, supplicando al re, che a quella sia dato il bam- bino, anziché, lei veggente, abbia ad esser morto. Sin- golarissimo gruppo è questo e pieno di gagliardi e sva- riati affetti. Imperocché nella desolata femmina tanto la mossa concitata, quanto l'estremo pallor del viso e gli occhi addolorati, ti dicono come stia il cuor di una madre in quel fatalissimo istante. La infantil mo- venza del fanciullo ti mostra fino a qual segno sia po- tente natura, se a lui non conscio del grave rischio che corre, ispira di cercar soccorso da chi gli diede la vita. E queste potenti espressioni degli affetti più forti e sublimi fanno stupendo contrasto colla impas- sibilità del soldato che, sordo alle querele ed ai pian- ti, tien fisi gli sguardi nel signor suo per eseguirne) i cenni, solo studiandosi con un lieve movimento di svincolare il braccio armato da chi gliel rattiene. E contrasto anche maggiore formano colla fredda non- curanza di quella snaturala donna che mentisce sfron- tata , asseverando non le si appartenere il bambino spento e , purché la compagna non possa chiamarsi madre felice, sostiene che un caro bimbo , senza le ne torni vantaggio di sorta, abbia sbranate le tcne- relle membra. Dopo il gruppo testé descritto segue- ne un allro composto dei tre scribi del regno, pre- senti al gran giudizio a line di avvalorarlo con un Quadro del cav. Podesti SSy alto pubblico. Il primo di essi, stando in piedi, ap- poggia le mani alla panca, avanti a cui sedeva co'com- pagni, e sopra la quale sono i papiri da notarvi la memoria del fatto : egli si protende un poco all' in- fuori colla persona a meglio considerare quanto suc- cede, e si mostra ansioso di scoprire a che tenda l'or- dine novello dato dal re. E assiso il secondo appog- giando il capo alla destra, e gira il viso verso Salo- mone in aria maligna e beffarda. Costui pare dica fra se : Oh ! il sapientissimo monarca ! Eccolo ripentito dello strano decreto che scioglieva la difficil quistlo- ne col taglio d'una spada ! Il terzo finalmente mira con atto di sor-presa la falsa madre, quasi non sap- pia capacitarsi del come le regga l'anima all' imm - nente strazio di quelle carni, che pure afferma esser frutto delle sue viscere. La estremità della tela in questo lato viene ad essere occupata da alquanti spet- tatori, che ragionano dell'avvenimento, a cui son pre- senti. Fra questi scorgi un vecchio di maestose sembian- ze, il quale postosi l'indice destro alla fronte, sem- bra si adoperi in accertare gli altri, che la lunga e- sperienza, ch'egli ha delle umaue vicende, gli fa co- noscere, non senza grave cagione aver sospeso il prin- cipe l'eseguimento della prima sua sentenza. Detto alla meglio della composizione del qua- dro e delle molte figure che vi concorrono , vorrei entrare a discorrere della bontà di quest' opera del professore Podesti: ma da ciò mi sconforta la niuna conoscenza che io ho della pittura. Pure mi studie- rò, se non altro, di farne rilevare que'pregi che fa- cilmente possono comprendersi da chiunque abbia animo collo e gentile, ed occhio mezzanamente eser- citato sui lavori de' buoni maosti-i , lasciando che le G.A.T.XCI. 22 338 Bblle Arti più riposte squisitezze dell'arte siano rilevate da co- loro che la professano. In questa magnifica tela riesce sorprendente l'ar- chitettura che ne forma la scena : perchè oltre alla convenienza dello stile, proprio della nazione israe- litica sotto i re, vi si rinviene una squisita prospet- tiva lineare ed aerea : i piani vanno a grado a grado sfuggendo all'indietro con tanta dolcezza, che 1' oc- chio de' risguardanti scorrevi per entro in guisa da rimanerne ingannata la vista, fino a far supporre, po- tersi in que'luoghi passeggiare. Lo stile della pittura in ogni sua parte, si pel buon disegno, sì pel vivace colorito, risente appieno di quegli esimi pregi, di cui meglio s'adorna la vera scuola italiana. I dintorni e il modellar delle figure ritraggono assai dal fare clas- sico dell'immortale urbinate. La eleganza delle foi'me e degli alti va unita alla nobiltà dei caratteri^ con- servata eziandio ne'personaggi di bassa condizione, e si vede Contemperata saviamente a seconda dell'età e dei sessi : da ciò deriva che tu nulla scopra nelle fi- sonomie e nelle movenze, che tenga dello spiacevole o del triviale. Cosa è questa di gran momento nell* arte, e difficilissima a praticarsi: avvegnaché il pitto- re , a voler raggiungere sì alto grado di perfezione , debbe colla sublimità de'propri pensamenti emendare in meglio e ingenlilire quello che la natura gli pre- senta, non in ogni parte perfetto, né addicevole sem- pre al bisogno. Le fogge di vestire de'personaggi, avu- to il necessario riguardo alla dignità di ciascuno, so- no quali per l'appunto le troviamo descritte nelle sto- rie più riputate dei tempo, solo dall'artefice ingenti- lite nelle forme e rese più gaie, conformandosi a quan- to la proprietà della pittura richiede, senza scostarsi Quadro del gay. Podesti SSq dagli esempi de'sommi maestri : oltre di che gli abiti d'ogni maniera sono panneggiati con uno stile fócile e largo come dà il vero. La luce si diffonde grada- tamente su tutte e singole le parti del quadro : que- sta poi è pura luce di sole, non il prodotto di arti- fiziate ombre e di esagerati scuri posti a contrasto co' chiari. Essa sbocca limpidissima da quel lato, ove il portico si unisce al ripiano delle scale: e però con maggior potenza investe e circonda i primi gruppi « che incontra, procedendo più temperata a rischiarar gli altri più lontani; e questi vengono anche illumi- nati da una seconda luce di riflesso, che penetran- do dall'intercolunnio modifica le grandi ombre, e in particolare quelle che sono nel centro della tela. Qai $i vuole osservare che ancor colà, dove in copia mag- giore si versa la luce principale, le tinte bianche ri- splendono del loro vero colore, nulla però sottraen- do alla nitidezza de' colori vicini , e delle carni in ispecie. E perciò appunto nel quadro non iscorgi un nero, ma per tutto vedi signoreggiare una lucentezza mirabile, che in nulla scema l'universale affetto de' colori armoniosi e brillanti; il che 1' artefice poteva ottenere in grazia dell'ottimo magistero adoperato nel disporre le mezze tinte ^ seguendo le invariabili leg- gi dell'ottica. Ecco il poco ch'io seppi scrivere intorno al di- pinto del professor Podesti, con cui di cuore mi ral- legro deli' opera eccellente che ha condotto a fine , augurandogli che altri si accinga a ragionarne coji mag- gior apparato di erudizione che io non feci. Filippo Gerardi. 34o I Biografia delV architetto Giovanni Antonio Antolini^ scritta da se medesimo A MONSIGNOR Carlo Emmanuele Muzzarelu. - Roma. F. o scusa con vostra signoria illustrissima e reve- rendissima, se riscontro tardi il pregiatissimo suo fo- glio del 24 passato aprile direttomi a Bologna, da do- ve mio figlio qui me lo rispinse : perchè poco dopo ricevuta caddi ammalato, e lo sono tuttavia, ma me- no aggravalo, per cui posso adempiere il mio dovere debolmente. Rendo infinite grazie a vostra signoria illustris- sima del pensiero che le è venuto, di mettermi cioè nel novero di quelli, di cui la memoria non debba perdersi, colla compilazione biografica degl'illustri ita- liani viventi che ella si assume. Io non posso, sen- za mostrarmi ingrato, non condiscendere all'onore eli' ella degna di farmi; ma mi permetta di farle nel me- desimo tempo riflettere , che io sono tanto da poco j da non meritarlo : e se mai mi mostrai al pubblico con qualche meschinità dell'arte mia, penso ora che fu piuttosto una temerità , che un sano giudizio di azzardarla : e Dio sa come m'abbia il pubblico giu- dicato ! Per non mostrarmi adunque inurbano, io le man- derò quelle notizie sul conto mio, che vostra signo- 1 Biografia dell' Antolini 341 ria illustrissima desidera, delie quali farà quali' uso che crede. E di questo la soddisferò al primo mo- mento die la mia inferma sanità mei permetta. In- tanto offro a vostra signoria illustrissima la mia po- vera persona , nell' atto che colla più verace stima , considerazione e rispetto ho l'onore dirmi , Di vostra signoria illustrissima e reverendissima, Milano 12 giugno i83o Umo devmo obbmo servitore Gio. Antonio prof. Antolini. AL MEDESIMO. - RoMA. Mi perdoni se prima d'ora non adempii la mia promessa per accomodarla di quanto ella degnò de- siderare da me, colla pregiatissima sua dei 24 scorso aprile. La mia malattia, che le significai, ha portato una lunga convalescenza e spossamento di forze; per cui ho dovuto stare un buon mese in campagna a passeggiare nella quiete , e ne ringrazio l' altissimo Iddio. Eccole dunque, eccellenza reverendissima, la mia vita e miracoli , come suol dirsi , nell'unito scritto. Perchè nulla ignori, sono stato un poco minuzioso, e mi compatirà. Ella nella sua saviezza farà uso del- le notizie, che le mando, in quel modo che stimerà conveniente al suo scopo. Altro non mi resta che caldamente raccoman- darmi alla sua pregiatissima grazia , e di pregarla a 342 Belle Arti credermi che con ogni sorta di ossequio ho l'onore di dirmi, Di vostra eccellenza reverendissima, Bologna i5 agosto i83o Umo devino servitore Gio. Antonio prof. Antolini. =^»«^ GIOVANNI ANTONIO ANTOLINI ARCHITEnO Nascita ed origine degli studi del prof. Jntolini. Giovanni Antonio Antolini nacque nell' anno lySG in Castel bolognese (allora della provincia di Bologna ) da Gioacchino segretario e notaio di quella comunità, e da Francesca Tagliaferri. Studiò la gram- matica nella pubblica scuola del suo paese, e l'arit- metica sotto di un maestro privato. Mortogli il pa- dre, passò in Imola, dove apprese gli elementi di geo- metria dal conte Francesco Codronchi. L' ingegnere Vincenzo Baruzzi poi lo prese sotto di sé per aiuto, l'istradò per l'idraulica, e padre amoroso gli fu, per- chè apprendesse la pratica dei lavori intorno a' fiumi, e l'uso degl'istromenti geodetici. Portatosi a Roma, vi soggiornò venti e più an- ni; vi condusse moglie, la quale gli lasciò vivi un ma- schio e due femmine. Qui, per le premure e l'influen- Biografia dell'Antolini 343 za dal cav. Cosimo Morelli architetto , fu impiegato nei lavori dell' essiccagione delle paludi pontine. Il second' anno del suo soggiorno fu assalito da febbri periodiche , che lo tribolarono sette mesi , di modo tale che risolvè di non ritornare in quell' aria mal- sana, ma di rimanersene in Roma, dove si era già re- cato per curarsi. Sapeva disegnare, e la ragione geo- metrica gli si era fatta famigliare quanto basta per in- tendere le propoi-zioni della buona e sana architet- tura: ed a questa si applicò definitivamente. Giovine vivace di temperamento, ed ambizioso di onori nell'arte, sentendo che molti facevano progetti per la sagrestia di s. Pietro in vaticano, che la san. mem. di Pio VI sommo pontefice voleva far erigere, ebbe la presunzione di farne uno anch'esso. In fatti lo fe- ce , e lo presentò arditamente in persona al santo padre , il quale con somma clemenza lo accolse , e volle averne da lui medesimo la spiegazione. Che pro- getto oh Dio poteva mai essere quello di un giova- nastro prosuntuoso senza consiglio e sapere ! Fortu- na fu ohe andò Confuso nella massa di tanti che fu- rono presentati a Sua Santità, senza che se ne sa- pesse più oltre ! Ma la fortuna fu anche di quella sua audacia, che il magnanimo principe non volle la- sciare senza premio la sua buona intenzione almeno, e l'ardente voglia di studiare, assegnandogli del suo borsiglio 48 scudi annui, onde incoraggiarlo. Ecco i primordii de'suoi studi architettonici, nei quali pro- segui poi sempre instancabilmente, conducendo una vita laboriosissima , mirando alla gloria , e non mai sull'interesse, per trarre da questi quel profitto il me- glio che potesse per onor suo e dell'arte, di cui in- trapresa aveva la carriera. Viste le cose che operò in 344 Belle Arti seguito, se gli sia riuscito spetta, non già agli ami- ci, de'quali sempre sospetto è il giudizio, ma agl'im- parziali, che conoscono le sue produzioni. Esercitazioni di architettura idraulica. Nell'Umbria rettificò il fiume Topino sotto Ca- nara ; fece costruire coi coni cicloidali un molino sotto Spello; e quello di Bettona, divertendo l'acqua con pescaia. Passò a città di Castello sotto il regime di mon- signor Lopez , dove die i disegni per costruire un ponte sul Tevere; un altro di legno di una sola cam- pata sul torrenle Selce; e per l'allargamento del pia- no di un terzo ponte, senz'alterare né rimuovex"e il vecchio piantato dei piloni. In Faenza nell'anno 1779 desunse l'andamento, fece la livellazione, ed espose lo slato di tutto il ca- nale naviglio e suoi edifici idraulici. Nello stesso anno chiamato a Milano, fu nomi- nato e fatto uno dei cinque membri componenti la commissione idraulica. Nel tempo stesso concepì il progetto, e si esibì di eseguirlo, ai sigg. Di Pietro per essiccare e bonificare stabilmente la celebre tenuta dì Campo Salino alla foce del Tevere. Lesse ed insegnò qual professoi^e per dodici an- ni dalla cattedra nell'università di Bologna, qualche tempo dell'anno scolastico, l'arcliitettura idraulica; con- ducendo pur anche i suoi scolari ad ascoltare qual- che lezione sul luogo degli edifici , mostrando loro così col fatto il risultato delle teorie. Necrologia dell'Antolini 34? Esercitazioni di architettura cìi>ile. Pel sig. conte di Weltem di Bruselles fece i di- segni per rinnovare la facciata vecchia del suo pa- lazzo. Pel sig. conte Offemberg, nella Slesia prussia- na, fece egualmente i disegni di un palazzo da co- struirsi. Per S. A. il duca di Curlandia fece i disegni della facciata del palazzo , e della cappella di corte a Mitau, secondo il rito riformato. Pel sig. conte di Rewenlou fece i disegni di una cappella sepolcrale con sotterraneo per la famiglia sua, da erigersi a Copenaghen, il rivestimento interno del- la quale è di marmi : e le due grandi urne furono pur fatte sotto la direzione dell'autore di marmo ne- ro e giallo di Porto-venere eseguite in Roma. Per l'ammiraglio russo Czerniceff fece i disegni per un nobil eremitagio , da costruirsi in un bosco vicino al fiume Neva, coli' obbligo d' impiegarvi 24 grandi colonne di granito rosso , che il proprietario avea. Fu maestro d'architettura in Roma al sig. conte Emerico d'Eltz, che ultimamente andò ambasciatore straordinario di S. M. cesarea al Brasile. Vari altri disegni fece per fabbriche nella Lom- bardia e Romagna; alcune delle quali furono esegui- te colla sua direzione. Nelle delegazioni pontificie di due commissarii, di felice memoria l'eminentissimo Carrara e monsig. Vinci per gli ospedali ed orfanotrofi dell' Uuibiia , fu egli l'architetto per alcune fabbriche e restauri. Negli anni i8oi e 1802 la repubblica cisalpi- 346 Belle Arti na e la consulta governativa invitò a concorso gli ar- chitetti, promettendo premi a chi presentava una mi- gliore idea dì 12 piramidi da ergersi nello spazio am- plissimo del lazzaretto di Milano, per eternare la me- moria dei prodi, e di una colonna per monumento di gloria al generale in capo. Il premio in ambedue i concorsi fu aggiudicalo all'architetto Antollni. Nell'anno 1802 il governo della repubblica vo- lendo ridurre a piazza nobile, non disgiunto dall'u- tile e comodo, lo spazzo del demolito castello di Mi- lano, affidò all'Antolini esclusivamente la commissio- ne di presentargliene un piano. Egli l'assunse, e fu allora che concepì quel vasto singolare progetto, cui die il nome di Foro-Bonaparte, pel quale con legge del corpo legislativo fu decretata l'esecuzione preci- samente sul piano de' suoi disegni , previo 1' esame fatto fare da tre piìi celebri architetti italiani espres- samente chiamati. Il governo assegnò fondi di sei mi- lioni di franchi per le pubbliche fabbriche, donando il suolo per le particolari ; pose colla più grande so- lennità la prima pietra; e fece batter monete in cor- so di trenta soldi, che indicavano l'epoca dell'avve- nimento. Nell'anno i8i5 fu incaricato , e fece i disegni del vasto edifizio della filatura de'cotoni per il gran Cairo d'Egitto, che dovea contenere le numerose mac- chine a tal uopo inventate, fatte costruire e spedite dal celebre meccanico signor cav. Morosi. Impieghi pubblici da lui coperti dall'anno 1776 Jìno al i8i5. Negli anni 1776 e 77 fu impiegato , come si disse, nelle paludi pontine. Biografia dell' AntolTni ^47 Nel 1797 per la repubblica cisalpina desunse l'andamento , e fece di esso la livellazione ed altre operazioni idrometre del canale naviglio di Faenza , facendosi in pari tempo carico di esaminare tutti gli edifici idraulici su di esso costrutti; e ne esibì lo sta- to attuale d'allora, all'oggetto di riparare agi' incon- venienti, che gli avevano quasi fatta perdere la na- vigazione. Nel tempo stesso della predetta operazione , il governo lo creò uno dei cinque membri componenti la commissione idraulica con sostituto, dovendo a< cudire all' esecuzione del foro , per la quale ave' istituita una commissione apposita; e nel medesir tempo lo fece architetto del duomo di Milano. Nell'anno i8o3, essendosi con nuovi ordinar. ..ìHì. riaperta l'università e l'accademia delle belle arti in Bologna in un colle altre del regno italiano, il go- verno lo mandò a coprire la cattedra di architettu- ra; e nell'università, come professore, per dodici e più anni lesse ed insegnò I' architettura civile e militare, l'idraulica, la geometria pratica, e l'uso de- gl'istrumenti geodetici. Contemporaneamente alla sua qualità di profes- sore a dì 3o agosto i8o5 l'intendente generale dei beni della corona, sig. G. B. Containi Coslabili, co- minciò a darlo in servigio della casa reale; l'inviò a Mantova per organizzare e disporre per la corte i pa- lazzi reali di Mantova e del Te : poi con lettera di uffizio d'ordine del viceré venne posto in pianta sta- bile architetto ispettore di quei palazzi. Essendo indi i palazzi Caprara in Bologna divenuti per compra proprietà della corona , l'Antolini pregò ed ottenne di essere traslocato a Bologna nella medesima quali- 348 Belle Arti tà, onde con minor disagio poter adempiere il dop- pio incarico di professore dell' università ed accade- mia, e di arcliitetto ispettore della corona. Opere di architettura pubblicate colle stampe. Tempio di Ercole in Cori, illustrato e correda- to di quattro tavole incise in rame. Roma pei tipi Pagliarini lySS (*). Tempio di Minerva in Assisi, illustrato e con- frontato colle tavole di Andrea Palladio architetto di Vicenza, e corredato di dieci tavole incise in rame. Milano pei tipi De Stefanis i8o3. Idee elementari di architettura civile per le scuo- le del disegno, composta e corredata di 24 tavole in rame. Bologna pei tipi Marsigli 18 13. Le rovine dell'antica città di Veleia , scoperte nell'agro piacentino, voi. 2 in foglio, corredati di 19 grandi tavole in rame e due vignette. Milano pei ti- pi de'classici italiani 18 19-1822. Osservazioni ed aggiunte proposte ai principii di architettura civile di Francesco Milizia. Milano per Antonio e Fortunato Stella libraio 18 17. Disegni del Foro-Bonaparte in 24 gran tavole incise in rame, pubblicati gli anni 1802. Calcografia Antolini; e descrizione dei medesimi pei tipi Bodo- niani. Parma 1806. (•) Intorno a quest'opera può leggersi un articolo inserito nel giornale delle belle arti ec. per l'auuo 1785. In Roma pel Casa- letti e. 186. Biografia dell' Antolini 349 Accademie delle belle arti. L' Antolini è socio straniero della quarta classe del reale istituto di Francia ; della reale accademia di Napoli; dell'accademia italiana di scienze, lettere ed arti; dell'accademia del subasio di Assisi; accade- mico d'onore di quella di belle arti di Parma e so- cio di varie altre d'Italia. Quest'uomo illustre cessò di vivere in Bologna agli II di marzo 1841. Fu inoltre nella stima e nel- l'amore de'prlncìpi : e S. A. I. R. il gran duca di Toscana lo fregiò, sugli ultimi della sua vita, dell'or- dine del merito di s. Giuseppe. 35i V^mtMTA^ jirchivio storico italiano, ossia raccolta di opere e documenti ^. nora inediti o divenuti rarissimi, risguardanti la storia d^ Ita- lia. Tomo, i;^ Firenze, Già. Pietro yieusseux editore i84'i. ( Sono carte LUI e 480 ). V. uolsi sommamente non purlodare, ma incoraggiare quest'ope- ra importantissima, intrapresa per cosi degno oggetto, com'è la maggior dichiarazione di molti fatti dell'istoria italiana, da una società di letterati onore di Firenze e della Toscana. Sono essi il Benclni, il Capponi, il Ciampi, il dei-Furia, il Gelli, l'Inghi- rami, il Niccolini, il Polidori, il Repelti. Certo questo volume è un'alta malleveria della saviezza e sagacità che farà splen- dida tutta l'opera ; essendo veramente nobilissime le prefazioni, le notizie e le note che qui leggiamo dei due compilatori mar- chese Gino Capponi e Filippo Luigi Polidori. Le cose che fino- ra la società ci ha date appartengono alla Toscana .- ma ne' vo- lumi seguenti avremo anche una messe abbondante di scritti ine- diti sulle altre parti della comune patria. Ecco intanto ciò che trovasi nel presente: i. Istoria fiorentina di Iacopo Pitti, ia due libri con alcuni frammenti ; 2. Diario della ribellione di brez- zo (i5o2), scritto da Iacopo Pezzali; 3. Tre narrazioni delsacco 352 Varietà' dato alla terra di Prato dagli spagnuoli nel i5i2, l'una di Ia- copo Modesti , l'altra di Simone Brami, la terza in versi di Ste- fano Guizzalotti; 4- Recitazione del caso di Pietro Paolo Bo- scoli e di Agostino Capponi (i5i3), scritta da Luca della Rob- bia; 5. Provvisioni della repubblica fiorentina per la formazione dell'ordine della milizia dei settanta (i48o); 6.. Lettera di Piero de^ Medici a Dionigi Pucci (i494) 5 7' Capitoli fatti dalla città di Firenze col re Carlo VIU (i494) / 8. Trattato segreto tra papa Leone Xe il re di Spagna, poi imperadore Carlo ^(iSig); q. Provvisione della milizia e ordinanza del popolo fiorentino , del dì 6 novembre iSaS; io Discorsi intorno alla riforma della stalo di Firenze: cioè di Alessandro de'Pazzi, di Francesco Vet- tori, di Ruberto Acciainoli, di Francesco e Luigi Guicciardinìj n. Lettere di Benedetto Buondelnionti : Opere in prosa di Gio. Battista Niccolini. 8. Prato costipi Guasti i84i- (Un voi. di carte 334-) B. ► asti a lodare queste opere il solo nome del grande scrit- tore che oggi onora la Toscana non meno che l'italiana sapien- za. E veramente niuno più del Niccolini mostra ne' suoi scritti qual esser dee un italiano in mezzo a tanto parteggiare di scuo- le, e a tanta boria di vanità metafìsiche. Deh la fortuna della comun patria ci conservi ancora fiorente per lunghi anni que- sto intelletto , nel quale vediamo rivivere tutta la dignità del pensiero, che fece si nobile, si gentile, si elegante la letteratura le'nostri avi ! Le prose del Niccolini, che trovansi in questo volume, sono: Le due orazioni lette all'accademia fiorentina delle belle arti nc'triennali concorsi degli anni i8o6 e 1809: gli elogi di Leon- Balista Alberti, di Andrea Orgagna e di Giovanni degli Alessan- dri : i discorsi sul sublime di Michelangelo , sulla prop •età in Varietà' 35J fallo di lingua, e sulla parie che aver possa il popolo nella for- lìiazioue di una lingua ; il coinentario sulla vita e sulle opere d'Angiolo d'Elei e di Giuseppe Sarchiani : le necrologie di Gio. Batista Bourbon del Monte, di Gaetano Buzzi, d'Antonio Reazi, di Paolo Belli Blanes : le notizie di Nicolò Machiavelli e di Fran- cesco Guicciardini: le considerazioni sui rudimenti di filosofìa morale di IJugald Stewart, e sul Riccio rapito Iradollo in ita- liano da S. Uzielli; flualmeute le Parche di Michelangelo. Orazione di Marco Tullio Cicerone a favore di Marco Marcel- lo. 8. yerona tipografia di G Antonelli 1841. (Sono carte 22). Xibbianio parlato altre volte dell'opera che dà il chiarissimo prof. Giuseppe del Chiappa a volgarizzare cosi le orazioni co- me i vari trattati di Cicerone. Cosa veramente degna di un gen- tile spirilo, ed amoroso della propria nazione: massimamente in una età di tanta depravazione, quanta è questa che si gode d'ac- carezzare ciocché di più turpe e strauo ed irragionevole ci si reca di là dall'alpe. Sicché noi vogliamo non pur confortarlo , ma si pregarlo a continuare nella nobile impresa ; lodandogli intanto il volgarizzamento di questa famosa arringa cosi per la fedeltà all'originale, come per l'eleganza. Orazione letta ne funerali del conte Odoardo MachirelU. 8. Ptf - sarò presso la tipografa di J. Nobili 1842. (Sono carte 22). V^doardo M;ichirelli è stalo uno degli spiriti più cortesi, de' quali siasi onorata in questi anni la corlesissima Pesaro: ed emù- G.A.T.XCI. 23 354. Varietà' lo inoltre per nobiltà d'intelletto i Perticari, i Paoli, i Cassi,! Mamiani, i Baldassini^gli Antaldi, i Petrucci, e quanti altri nomi hanno fatto illustre a'dl nostri nelle scienze e nelle lettere una cit- tà si dotta. Perciò la sua morte (i) è stata a tutti gravissima : chi piangendo in lui spento un lume preclaro del municipio, chi un sapiente, chi un padre de'poveri, chi un amico: ognuno un raro esempio di religione, di probità e di gentilezza. Bene adunque si conveniva che un valentissimo prendesse a celebrare ai pre- senti, ed a far viva ne' posteri, la memoria di tante virtù; e que- sto valentissimo si è trovato nell'amico suo professore Giuseppe Ignazio Montanari. Or noi non diremo ciò che ci sembra dover- si maggiormente lodare in questa orazione: se la dignità e l'af- fetto delle cose, o la gravila e l'eleganza delle parole. Basti a testimonio di quanto può nel Montanari l'eloquenza del cuore, con ogni sua verità e semplicità ( tutto fior classico, senza niu- na goffezza o smanceria romantca), il recar qui la descrizione pie- tosissima della morte di quel pio cavaliere : ,, Ma a che vado io richiamando cose lontane permostraivì „ alla prova de' fatti la sincerità della religione di lui? A più ,, vicini, agli ultimi tempi, al suo letto di morte io vi chiamo .- ,, e s'egli è vero che il fine mostra quale sia stato il principio, „ l'opera qual fosse la mano onde usciva, la morte qual fu la ,, vita ; a questo letto di morte voi troverete la prova solenne ,, delle mie parole. Ed oh ! mi avessi colori si vivi di favella , ,, potenza si robusta di dire, che almeno in parte valessi a ri— ,, Irarvi la rassegnazione, la tranquillità , i celestiali affetti di „ queir anima benedetta. Infermalo di grave malattia, non an • ,, cor disfidato da' medici, egli presentiva il suo fine; e a se stes- ,, so non adulando con vane speranze, come ì più fanno , desi- „ derava i conforti della religione. E perchè la donna sua, con- ,, tessa Teresa Zongo Ondedei ( colla quale concordissimamente „ più che quarantaquattro anni aveva vivuto (2), edera pur essa (i) Il conte Machirelli nacque ai 19 di novembre i773: morì ai ao di febbraio 18.^2. (a) Weir anno 1797 condusse in moglie la contessa Teresa Varietà' 355 „ inferma nella medesima stanza), sarebbesi turbala e forte ad- „ dolorata, egli cercò persuasioni e fece porgerlene acciocché „ dovesse separarsi da lui. Sentiva che era l'estremo addio : ma „ nel cuore premeva l'affetto, e tratteneva le lagrime. Rimasto „ solo con se, chiamato il sacerdote, cui egli quattro mesi in- « nanzi aveva scoperte tutte quante le piaghe dell'anima dal ,, principio della sua vita e date a curarle, a lui si confessò.- ed „ appresso fu confortato di quella divina manna, che è solo ri- „ storo a chi di questo deserto va peregrinando alla terra pro- „ messa. E qui concedete che io mi fermi a considerare la gra- „ zia singolarissima, con che Iddio volle dar segno di predilezio- „ ne a questo buon cavaliere, mettendogli in cuore, quattro „ mesi innanzi la morte, di acconciarsi pienamente nell' anima, „ quasi volesse dirgli.- Tempo è che tu venga a raccorre il pre- „ mio de' giusti: e la prontezza colla quale, pio com'era, udì „ ed accolse l'impulso della grazia che lo chiamava. Alle quali „ cose ripensando egli, so bene che dolci e carissime lagrime „ gii usciron dagli occhi qunndo ebbe nel seno Gesù in sacra- „ mento, e quando poteva dire colla tenerezza del re profe- „ ta .- Mi sono allietato nelle cose che mi furono dette: andremo „ nella casa del Signore! Né gli pesava partirsi dal mondo ia „ età ancora robusta, perchè del volere di Dio egli aveva fatto „ suo volere; e diviso dalla donna del suo cuore, eragià diviso „ dal mondo. Sebbene perchè la moglie dolcissima fosse da lui „ divisa, non cessava però di starle presente al pensiero; anzi, „ pm di lui che di se stesso pensoso, supplicava il Signore, „ provvedessela d'animo a sopportare la sua morte, e la conso-' „ lasse come meglio vedeva ne' suoi divini decreti. Sapeva che ., ella, vissuta sempre in lui e con lui, non avrebbe avuto con- „ solazione nella vita : anzi la vita le sarebbe stata più amara Zongo Ondedei di Pesaro, ultima di tal famiglia. Questa virluo- sa matrona, dopo di avere vivuto concordissimamente con lui per Den 44 anni, e nvergh mostrato in mille guise l'affetto che a lui portava, mori sole i6 ore prima del marito; quasi non patisse di starne più a lungo divisa. 1 . ^.c ui 356 Varietà' ,, che morte : vedovala vedova, deserta, e il non poterle dare ,, aiuto gli trafiggeva il cuore. E però , in quell'affetto che fa ,, forza al cielo, si volgeva ad un'immagine di Maria dei dolori, ,, ch'egli prima sempre sul letto, poi volle posarsi in sul seno , „ ove la tenne fino alla morte; e a lei con accesa brama suppll- ,, cava , di lei poscia all' amoroso fratel suo conte Giuseppe , „ che presso lui struggevasi in pianto ( e piangerà finché gli j, basti la vita, tanto amore gli ebbe mai sempre !), di lei agli ami- „ ci parlava, e pareva non disc, ma di lei solo stare in pensiero. ,, Oh cessa , cessa i devoti sospiri , Odoardo .- la don- „ na tua è consolata ; ella in cielo ti aspetta ! Non odi tu la sua ,, voce che ti chiama? Sono quattordici ore passate ( ella dice ), ,, o mio dolce compagno, da che qui attendo ! Seguimi, non in- j, dugiare ! Insieme entrammo ad un talamo , insieme entriamo „ ad una tomba, insieme al regno dell' eternità. Oh ! benedetto , ,, solleva gli occhi -• vedila che dalle porte del cielo a te fa cen- ,, no colla mano.- confortati un' altra volta col cibo degli ange- ,, li, e la segui? Miei signori, Odoardo Machirelli prega, Odoar- ,, do Machirelli si divide dal mondo, e tiene diclju icdele com- „ pagno alla sua diletta consorte I „ Io qui mi arresto, e voi mei consentile; perchè pensando ,, alla fine sua sì tranquilla, si religiosa, sì santa, non posso più „ innanzi seguitar nelle parole ; e in luogo di lodi all' ottimo „ cittadino, all' amico perduto mi couvien dare un estremo tri „ buto d'inconsolabili lagrime. ,, Rime di Guido Orlandi e di Antonio di Guido, antichi poeti toscani. JTer le nozze del marchese Guiccloli colla marchesa Capranica, avvenute ultimamente in Roma, il signor Ottavio Gigli ha pub- blicato, traendolo dal codice vaticano 32i4, un Rispetto inedito di quell'antico Guido Orlandi fiorentino, che fu sì amico a Gui- do Cavalciinti. Eccolo . Varietà' SSy Ragionando d'amore Mi conviene laudare Vostro gentile inripero. Donna di gran valore, Voi siete la fuor pare DI bene amare intero : Degna d'avere onore, Chi ben vuol contemplare Senza menzogna il vero : Poi d'amoroso core In un sol loco amare Vi fa l'amor sincero. Dunque voi siete quella, In cui l'amor si vesta E 'I fiore in fronda cresce Che buon frutto conserva ; A gioire m'appella Membrando come presta Virlute in voi seguisce (*): Confortami eh' io serva ! Parimente il signor D. Pantaleoni ci lia dato una Law de di maestro Antonio di Guido, che in Firenze cantò rime sa- cre al tempo di Lorenzo il magnifico. Ella è tratta da un mio codicetto, copia d'un altro che fu già de' conti Pighini d'Imola; codicetto prezioso, d'onde io già presi la meditazione poetica e ì due sonetti, che pubblicai, dell' infelice Andrea da Vagliarana faentino nell' apparecchiarsi che fece ad essere decapitalo nel 1469 insieme con Lodovico da Carpi. La laude è la seguente : forse con miglior lezione che non si ha nella stampa del signor Pantaleoni .- (*) Forse seguesce. 358 V A n I K T A^ LAUDE ( Cantasi come Regina del cor mio ) fatta per Giovanni de Medici alle murate da maestro Antonio di Guido^ Donna, in cui venne al sole Dell' Eterno 4 consiglio , Per lo tuo figlio intendi mie parole. Vergine, trono dello Spirto Santo, Musica al divin coro, Ave (1) elle d'Eva ci hai levato il pianto Ed ogni altro martoi-o. Vergìn, tu se' il tesoro In cui la pace è posta ; E clii s'accosta a te mai non si dole. Madre pietosa, a' miei pianti l' inchina ; Per queir angel che venne Col dolce nunzio, onde tu se' regina Fatta del ciel solenne, Fammi trovar le penne Delle tue felici ali, Gh' i' fugga i mali l'avversar mio vole. Vergine, io priego te pel santo parto Fra l'asinelio e 'I bue, (i) 11 sig. Pantaleoni ha stampato Ot/e: ma è fuor di dubbio che dee dir jéue. Varietà' SSg E pel soave canto, e '1 lume sparto Pel ciel ( che mai fu piue ), E pel gaudio che fue Ne' pastor vigilanti , Pon fine a' pianti, e le mie colpe iole. Madre benigna e d'ogni grazia piena, Te prego per la stella Che gli ammirandi magi guida e mens Alla tua capnnnella : Madonna umile e bella, Sempre al tuo figlio unita, Vergin, me aita e chi te ama e cole. Vergin, pel tuo figlici resuscitato Guardami a retta via ; Pel dì eh' ascese in ciel glorificato , Odi la prece mia ; Vergine santa e pia, Solvi i miei nodi vecchi , Fa de' miei stecchi, gigli rose e viole. Madre, pel dì che '1 tuo figlici clemente Mandò l'amor superno Ai discepoli in lingue e foco ardente, Col Padre e Figlio eterno Consolatore interno. Onde ogni gaudio spira , E 'l mio cor tira alle superne scole ; Vergin, pel santo e glorioso die Quando in corporeo velo Assunta sopra l'alle gerarchie 36o Varietà' F^osti felice in cielo , Melli fiamma al mio gelo, Solvi il mio antico laccio, Porgimi il braccio, onor di nostra prole ? Madre, guidami tu : solo in te spero. Vedimi al punto stremo! Senza te non potrò trovare il vero ! Aiutami , che tremo .- Guida e '1 timone e '1 remo : Conduci la mia barca Di colpe scarca alle candide stole ! Salvatore Betti. L'ottica esposta in terza rima dal padre Giuseppe Giacoletti del- le scuole pie, profossore nel collegio nazareno, socio di va- rie accademie, con note dell'autore. 8. Roma, tipografia del- le belle arti i84i. (Un voi. di carte VII e i34. ) iVlolte cose non diremo di questo lavoro poetico dell' esimio padre Giacoletli: sì perchè hn esso data m.ìteria a i\\\e dotti di- scorsi dell' autore, de' quali abbiamo ornato le nostre carte; e sì perchè non pochi saggi dell'opera sono già conosciuti dagl' ita^ liani per la stampa che se n' è fatta in parecchi giornali. Diremo solo eh' è fatica di grandissima lena; nella quale del pari deve aversi ragione e alla gravità delle scienze ed alla eleganza delle lettere; sicché ogni altro di leggieri si sarebbe smarrito fra le spine della matematica e della fisica, quando non avesse avuto, come ha il nostro valente, si piena l'anima dell' ispirazÌLìne e V A R I E T a' 3Gr dell'arte dantesca. Ed in vero senza inspirarsi potentemente nella divina commedia, queste cose non si scrivono.- ne scritte avreb- bele il Giacoletti • il quale solo di là trasse tant'aura poetica, e la vittoria di tante difficoltà. Vita eli sua eccellenza reverendissima monsignore G. B. Lambru- schini, vescovo di Orvieto, scritta da monsignor Carlo Gaza- la referendario deWuna e deWaltra segnatura, prelato dome- stico di Sun Santità, presidente annuale delV accademia tibe- rina di Roma, socio di più altre accademie. 8. Orvieto, ti- pografia Pompei i84i- ( Un voi. di carte X e 124 con due rami. ) iTAonsignor Lambruschini, fratello deireminentissimo cardinale eh' è oggi tanto splendore si della chiesa e si dello stato, non fa solo un pastore piissimo, non fu solo un dottissimo teologo ed oratore, ma sì fu un animo invitto con tra la straniera prepoten- za dell' el.\ sua. Imperocché vuol essere annoverato anch'egli nel- la nobile schiera, che tanto onorò la dignità di vescovo e la qua- lità d'italiano, quando quella furia militare, scesa dall'alpe, prete- se insolentemente colla ragione dei barbari, cioè colle punte del- le spade, costringerci a dimenticare la santità dti giuramenti ed il rispetto che a se deve ogni gentil nazione. Monsignor Lambru- schini ebbe in premio del suo rifiuto l'esilio ed il carcere; che tollerò, trionfo della virtù, colla rassegnazione dell' apostolo in- sieme e del sapiente. Le quali cose sono egregiamente discorse dall'illustre monsignor Gazzola in questo libro, cui leggerà con piacere e con utile non solo chi amerà sapere la vita e la morte di un insigne vescovo, ma anche chi vorrà procacciarsi tante op- portune notizie per l'istoria ecclesiastica del tempo della domina- cione francese! Kacque il Lambruschini in Genova il a8 di oUobre i-'SS. Fu 362 Varietà' prima vescovo eli Azoto in partibus , poi succedette al cardinal Brancadoro nella sede di Orvieto: e volò agli eterni riposi il 24 di novembre 1825. Egloghe di Virgilio, di Calpurnio, di Nemesiano, del Petrarca e del Sanazzaro volgarizzate dal marchese Luigi Biondi ro- mano. 8. Roma tipografia delle belle arti 1841. ( Un voi. di carte Vili e 178 col ritratto del traduttore. ) JL/i questa egregia opera parleremo più a lungo in un articolo particolare, che sarà stampato nei seguenti volumi. Basti intanto a sua lode il nome di Luigi Biondi, scrittore elegantissimo , e troppo presto involato all'ornamento di Roma, all' utile di que- sto giornale, anzi all' onore e al bisogno dell'italiana letteratura. La traduzione delle egloghe di Virgilio, di Calpurnio e di Neme- siano fu da esso lasciata inedita. Precedono il volume le notizie intorno alla vita del volgarizzatore scritte dall' amico suo prof. Salvatore Betti. Esercitazioni deW accademia agraria di Pesaro. Anno Vili, se- mestre II. - 8. Pesaro 1840 pei tipi di Annesio Nobili. (Un voi. di pag. i36 con una litografia, j ì3ono in questo volume le seguenti memorie: i. Del socio e cen- sore conte Giuseppe Mamiani, sulla filanda a vapore in Fossom- brone : 1. Del socio ordinario conte Antonio Giacomini, sopra alcuni difetti dell' agricoltura fanese , particolarmente di quelli derivanti dalla scarsezza e trascuratezza dei concimi e dei forag- gi pel bestiame ; 3. Del socio e censore cav. Pompeo Mancini, Varietà' 3G3 intorno Giovanni Branca della terra di SanC Angelo in Lizzala presso Pesaro; 4- Del prefato conte Mamiani, un triennio {iS'SS, 1839, 1840 ) di osservazioni meteorologiche fatte in Pesaro. Finalmente è una lettera, pure di esso sig. conte Mamiani ( che fa ora le veci di segretario ) , colla quale annunzia ai soci ordinari e corrispondenti l'erezione che l'accademia ha fatta di una scuola teorico-pratica di agricoltura, nominandone profes- sore il sig. Luigi Bolter di IMoriego, provincia di Treviso, già supplente alla cattedra di matematica pura, e poi a quella di agraria e di storia naturale nell' università di Padova. Di che sommamente ci congratuliamo coli' illustre corpo scientifico, il •quale ben si mosti'a animato da una volontà tanto efficace, quan- to degna di qualsiasi grande elogio, di essere veramente utile al- la patria e allo stato. i^rammento del dialogo il Leopardi, scritto da L. Ciampolini. S. Firenze i84'2. ( Sono cai le 12. ) Xi rialzare Italia dalla viltà in cui è caduta per matta maravi- glia d'ogni cosa straniera, e a richiamarla in fine all'antica nazio- nal dignità, chi usa oggi parole di dolce ammonizione esaltando- la nel ricordo della passata sua gloria, e chi di acerbo rimpro- vero mostrandole in molte cose le sue presenti vergogne. Di que- sti ultimi è il cavaliere Luigi Ciampolini, accademico della cru- sca, il quale sembra aver tolta anzi a Tacito che a Livio la pen- sa per descrivere alquante ree condizioni de'nostri tempi. E ve- ramente una gran pagina dell'istorico di Tiberio è questo fram- mento di dialogo: né so chi vorrà leggerlo, e non fremere di tan- ti vizi, e non vergognarsi di tante abbiezioni, e non far ope- ra di tornare virtuosamente là dove un di trovavasi la vera Ita- lia, cioè ai pensieri ed ai costumi venerandi degli avi. Parole e sentenze degne d'esser poste sul labbro di quel severo spirito che 36/, Varietà' fa Giacomo Leopnnli ! Ani\ degne di chi con tanto vigor di men- te e di stile ci ha dato il commentario delle guerre de'sulliotli contro Ali bassa di Janina. Rime e prose del marchese Giuseppe Antinori di Perugia. To~ mo 1. 12. Pisa, tipografia Nistri 184/2. (Sono carte XLVI e 2i4> col ritratto dell'autore. ) Il marchese Antinori fu un gentile poeta dell'età nostra, uomo amabilissimo, modestissimo, ed amico soprattutto del Perticari, del Biondi, e di quel Giovanni Rosini che doveva poi scrivere con tanto affetto italiano le sue memorie e dare si degna opera alla pubblicazione dei suoi versi e delle sue prose. Questo vo- lumetto ci porge una bella scelta de' primi: oltre alle dotte me- morie scritte dall' illustre professore di Pisa, ed oltre alle Parche di Michelangelo illustrate da G. B. Niccolini, che il Rosini rac- comanda si giustamente, come il canone greco, alla meditazione di chi vuole istruirsi. Inni sacri di monsig. C. E. Muzzarelli, estratti dal Tiberino. 12. Roma, tipografìa Salviucci i84i. (Sono carte 4o.) X ra quelli che per cuore e per mente più onorano la nostra Ro- ma è certo il cortesissimo spirito di monsignor Muzzarelli udito- re della sacra rota: il quale non sapremmo dire se più fiorisca per lettere leggiadre, o per soavità di costumi, o per fede di a- micizia. Chi bene il conosce vorrà porlo in tutte e tre queste co- se ad esempio. E ad esempio porrà pure i suoi inni sacri: i quali Varietà' 365 tanto si dividono dall'uso del poetare di certi moderni, quanto l'eleganza e l'armonia si dividono dalla rozzezza e dallo strepi- to, e la ragione classica della stravaganza romantica. Otto sono gì' inni (perchè non più!) che qui si hanno di monsignor Muzzarelii . cioè alla religione, a s. Paolo, a s. Ago- stino, a s. Benedetto, a s. Bernardo, a s. Girolamo IVliani,a s. Car- lo Borromeo, a s. Ailonso Maria dei Liguori. Discorso su' monumenti patrii, dell'architetto Luigi Catalani, già pensionalo iit Ronta. professore onorario di architettura nel real istituto di belle arti. 8. Napoli dallo stabilimento tipo- grafico dell' Aquila 1842. ( Un voi. di carte 78.) ,, \_/ttimo divisHmeuto (dice a gran ragione l'autore) di S. M. ,, Ferdinando II nostro signore, intento sempre al miglioramen- ,, to del proprio regno e a renderlo emulo delle più colte e in- ,, civilite nazioni di Europa, si fu quello di oi'diuare , con de- ,, creto dei 16 settembre iSog, che una commissione di artisti ,, descrivesse tutti i monumenti di arte interessanti che sono nel- „ la capitale e nella provincia di Napoli ; ingiungendo alla me- ,, desima di indicare quali fra questi meritino una particolare ,, conservazione, quali sian bisognevoli di restauro, e quali in fi- ,, ne richiedano di essere trasportati nel real museo borbonico a ,, miglior loro custodia e conservazione : affinchè poi fattane la ,, debita consegna alle autorità, cui sono affidati, non si possa- „ no rimuovere, restaurare o alienare senza superiore licenza. ,, S. E. il sig. cav. Niccola Santangelo , ministro segretario „ di stato degli aiTiri interni, uomo che a vaste dottrine relative ,, al ministero che sostiene, accoppia estese cognizioni numisma- ,, tiche ed artistiche, non che una propensione ardentissima a ,, promuovere le arti, non tardò a secondare il saggio pensiero }, dell' iuclito sovrano, nominando a tanto incarico i signori An- 366 Varietà' „ gelo Solari scultore e Paolo Falviani pittore, amendue pi*ofes.- „ sori ordinari del reale istituto, e me come architetto, affinchè j, queir inventario di monumenti fosse fatto a seconda delle so- „ prammentovale mire del nostro clementissimo sovrano. ., Di ciò che ha fatto la commissione tratta questo discorso del sig. Catalani: discorso pieno di notizie importantissime alle arti, non pure del regno di Napoli, ma dell'intera Italia. Sicché sarà letto con piacere insieme ed istruzione: ammirando ognuno il consiglio si del monarca e si del suo degno ministro, i quali si utilmente hanno provveduto alla conservazione di tanti preziosi monumenti dell'istoria patria, e del magistero degli avi. Iscrizione sepolcrale di Guido Reni ed Elisabetta Sirani , esi- stente in s. Domenico di Bologna, illustrata dal marchese ca-> valiere Amico Ricci. 8. Bologna tipografia Marsigli i^l^i. ( Sono carte 12. ) Ai gran pittore e l'esimia sua imitatrice giacciono ambedue in un sepolcro medesimo ,• quegli scesovi all' età di 67 anni, que- sta di 26. Giovane tanto rara, quanto infelice, sulla cui fine non è chi non versi ancora qualche lagrima di compassione, soprat- tutto leggendo questo dotto e pietoso discorso dell' illustre mav- chese Ricci ì Ecco l'iscrizione che ne copre le onorate ceneri ; 36; Varietà' HIC . IACEAT GTIDO . RENIVS . ET . ELISABETHA . SIRAnA VIKIT . GVIDO . A . 1.XVII . OEIIT . XT . K . SEPT . MUCXLII VIXIT . ELlSABEIifA . A . XXVI . OBllT . T . K . SEPT . A . MUCLXV SIRAnAE . TTMVLVS . CINERES . UIC . CLAVSIT . ELISAE GVIDONIS . RHENI . QVI . QVOQVE . BTSTA . TEGIT SIC • DVO . PICTVRAE . QVAE . NON . MIKACTLA . ITNXIT TlTA . HOC . IN . TTMVEO . ITNGEEE . HORS . POTVIT HANNIBAL . GVIDOTTVS TETVS . EPITAPHIVM . INCIDENDVM . M . CTRAVIT . A . MDCCCXYIII VT . QTORVM . CINERKS MAIORES . EITS . IN . SEPVLCRO . SVO . CONDIDERVNT IPSE . QVOD . RELIQVVM . ERAT . TITVLO . HONESTARET Storia della letteratura in Danimarca e in Svezia di S. Marmier. Traduzione del cav. Filippo de' Bardi. Tomi due. 8. Firen- ze nella stamperia Piatti i84i' N on senza piacere ed utile anche da un italiano si leggerà que- st' opera, specialmente nella diligente traduzione che con un dotto proemio e con alcune note ne ha dato l'egregio signor ca- valiere de' Bardi; il quale assai loderemo, ringraziandolo però del seguente passo (i) in nome della gloria italiana: ,, Spirito ,, patrio, e brama di nulla tacere quanto spetta all' onore italia- (lì Prefazione al tomo secondo, pag. XXV. 368 Varietà' ,, no, m'invitano supporre col Galluzzi che Gustavo Adolfo ap- j, prendesse i veri principii dell'arte della guerra dal sommo ,, Galileo, quando stava in Padova. Ed infatti leggo in una del- ,, le sue lettere : Alcuna cosa su questo proposito mi uscì di ,, bocca, allorquando si degnò sentirmi a Padoi'a il principe ,, Gustavo di Si>eziaf che da giovine, Jacendo l'incognito per l'I- ,, talia, si fermò quiifi colla sua comitiva per molti mesi, ed ebbi la „ sorte di conlrarvi servitii mediante le mie nuove speculazioni e j, curiosi problemi che venivan giornalmente promossi, e da me ,, risoluti : e volle ancora che io gli insegnassi la lingua tasca- „ na (i). Spero cba più fondate indagini daranno al mio suppo- ,, sto una consistenza slorica : ma intanto gode l'animo rifletle- ,, re non esclusa ogni probabilità , perché si ascriva alla scien- „ za italiana la maggior gloria delle armi svezzesi- ,, L'illustre Italia, dialoghi di Salvatore Betti. Parte prima. Edizione seconda, corretta ed accresciuta dall' autore. 8. Roma^ iipogra/ia delle belle arti 1841. (Un voi. di carte i55 )• L' almanacco a vapore. Sestine di Gregorio Gasparoti. Orvieto presso Sperandio Pompei. J-Ja poesia giocosa, genere esclusivo di poesia nazionale, trovò molti proseliti fino da quando il Berni, da cui ebbe nome, la sep- (i) Vedi Memorie e lettere inedite finora o disperse di Ga- lileo Galilei, ordinate ed illustrate con annotazioni dal cav. G. B. Venturi, Modena 1818, a pag. ig. Varietà' 369 pe rendere cosi piacevole e cara agli italiani. Ma la poesia gio- cosa d'alloia si piaceva per lo più di grossolane buffonerie , di scherzi e di equivoci, che si rendono troppo scoperti in sacrifizio del pudore e del delicato sentire. Tutti i letterati d'allora volle- ro apparire herneschi: e non s'accorsero che la lepidezza, lo spi- rito, rars^iitczza dei sali congiunta ad una spontanea e facil ve- na sono doni, che la nainia concede a pochissimi, quos aequus ainavit lupiler. Di qui ne viene che la farragine immensa dei capitoli alla berniesca dei cinquecentisti, letterati e poeti d'al- tronde di chiarissima fama, giacciono ora polverosi nelle biblio- teche senza trovai-e chi possa durare la fatica di leggerne pur due pagine. La poesia giocosa, tralasciando di cantare dei Ghioz- zi, delle Pesche, dei Po/toni, djgli Ot inali ec , si rivolse nel pas- sato secolo a scopo più utile, sferzando e pungendo coli' arme del ridicolo i vizi e le caricature del secolo 11 Cicerone del Passeroni ( poema troppo a torto dimenticato dai moderni, e che meriterebbe pure di essere ristampato, in vece di tante altre letterarie quisquiglie ) offre un beli' esempio di satira urbana condita di facezie e di molti arguti e piacevolissimi, onde si get- ta un sorriso sulle stranezze della vita umana. Molta anima ebbe pure questo genere dal Casti, il quale con si belle doli avute da natura potea rendersi utile agli uomini, se fatalmente non aves- se insozzata la penna in ogni maniera di turpitudine. Il Guadagnali ai nostri giorni, il Ghinassi, il Musini, il Bel- li, ed altri pochi, ciascuno nella sua rispettiva maniera pregevo- lissimo, la resero utile e nello slesso tempo interessante nei loro carissimi versi, che si porgono a tutti argomento di gioconda e piacevole lettura. Ad esempio di questi poeti di stabilita riputa- zione il viterbese sig. Gasparoli pubblicò le suenunciate Se- stine in nome dell' orvietano tipografo, nelle quali è molto indi- zio di bella attitudine a questo difficile genere di poesia. Alcune ve ne ha di facili e spontanee; non mancano frizzi e sali abba- stanza felicemente espressi. Solo lasciano a desiderare un pò pm di esaltezza per parte dello stile. Così, per dire pur qualche co- sa, nelle prime sestine abbiamo un poi ripetuto tre volte in vi- cinanza: il che ci suona assai male. Ma questi son nei, che col- l'uso si tolgono; e le felici disposizioni del sig- Gasparoli mo- G.A.T.XCI. 24 370 Varietà' strano come egli possa scrivendo aggiungersi al numero di quei pochi che ridendo dicono il vero ^ e pungendo la parte ridicola della società sanno mostrarsi utili, senza riuscire noiosi. A. CoNtARINI. Elogi di Francesco Re gli, seconda edizione , coir aggiunta dell* elogio di Defendente Sacchi. Milano , tipografia e libreria di Giuseppe Chiusi, i84i, in 8, di facce 164. A'generosi Giusta di glorie dispensiera è morte. Foscolo- VJon istile pieno di fuoco sono scritti questi elogi di celebri ita- liani; e ben conveniva usarlo, dappoiché furono detti alla pre- senza di uomini illustri, cui era duopo infiammare il petto delle patrie glorie, sendovi pur troppo di tali assai inchinati ad esal- tnre le stranie balordaggini, riguardando come meschine le stesse nostre grandezze. Il primo elogio è alla celebre Diodata Saluzzo Roero (i); vi si ricordano molte glorie del bel sesso, il quale ve- diamo tanto più apprezzato ed onorato , quanto più avanza la vela civiltà. fi) In lode di questa celebre poetessa vennero pubblicati i seguènti opuscoli. - Alla memoria della march. Diodata Saluzzo, componimenti arcadici raccolti dalla contessa Enrica Dionigi Or- fei. Roma, tipografia Salviucci, i84o, in 8.- In morte di Diodata Saluzzo Roero di Revello, serto femminile. Torino, tipografia Ba- ghone e C. i84o, in 8. - Elegia nel giorno anniversario della morte della stessa, del conte Coriolano di Bagnolo. Torino, tipo- grafia Chirio e Mina, i84r, in 12. Nel tomo LXXXIII pag. 328 di questo giornale è una let- tera dalla Saluzzo diretta al gentilissimo e dotto prelato monsig. C. E. Muzzarelli , nella quale gli dà alcune notizie intorno alla sua vita. Seguono quindi alcune cose erudite, riguardanti questa donna insigne. Varietà' 3-i Segue quello di Giovanni Zuccaia di Bergamo profewore dì estetica in Pavia, autore della Fila di Torquato Tasso, dei Pria, cipudi esletica e di altri dotti scritti Quindi quello del padre Eustachio Fiocchi di Corte-Olona, traduttore dottissimo di Omc ro, perchè stupendo ellenista, e può dirsi il primo volgarizzatore di Quinto Calabro, ed autore di alcune prose e leggiadre poesie. Come di personaggio fra noi poco cognito, e perchè mi è dolce il tessere lodi ad un medico, cioè a Mauro Ricotti, dirò de' suoi pregi, che ebbero dal sig. Regli un degno encomio. Il di 5 maggio 1782 egli nacque in Verrua provincia di Voghera. Fin da giovanetto mostrò rare virtù, che il resero caro ad un Borda, ad un Raggi, ad un Mangili, ad un Cairoli (valente clinico) e ad un Moretti (benemerito all'agricola). Fu in Genova medico direttore ed ordinario dello spedale e delle carceri. „ Né solo (pag. 129 ) fra i medici, ma fra gli scrittori eziandio di laudevo- li memorie scientifiche sparse nome di se. La storia di una par- ticolare malattia nervosa si fu la prima operetta che stese, dedi- candola al prof. Borda: operetta, per la verità delle osservazioni in essa registrate molto apprezzabile e giudiziosa. A questa ten- nero dietro alcune lettere dirette al dott. Buffa intorno allo sta- bilimento balneo-sanitario di Oleggio, nelle quali, se ad evidea- za rilevasi quanto il loro autore avesse intelletto del bello , pari- menti si scorge con che ingenuità e candore si facesse egli ad en- comiare la dottrina e la filantropia del proprietario prof. Paga- nini. Né guari andò che esso scrisse una eccellente memoria sul- l'acetato di morfina, mentre gli piacque ripetere 1 fortunati ten- tativi del eh. dott. Quadri, che il primo si fu a scrivere tra noi sui preparati di morfina, ne ampliò l'uso in una estesa e ben de- terminata serie di mali, riportando in nitido stile tutte le utili e- sperienze, per lui sul detto sale operate. Valentissimo nell' os- servare , nel prescrivere esatto, prudente nel proporre teorie si appalesò in questo libro, che gli fruttò plausi, non solo appo noi, ma pur anco fra gli stranieri, non sempre degl'italiani tacili , ammiratori. „ Somministrò ancora vari articoli eruditi ad alcuni giornali d'Italia. Fu marito e padre affettuoso, amante del pove- ro, cui largamente soccorreva, piacevole ed ufficioso con chic- chessia. Quest'uomo egregio moriva il 4 maggio i83o, nella fio- reme età di 48 anni J 872 Varietà' Altro breve, ma degno elogio, tributava il eh. autore a Ce- lestino Massucco, che, ravvolto nella più grande indigenza, mori ottuagenario. Egli andrà sempre chiaro, come valente traduttore e commentatore di Orazio, e come uomo dotto ed integerrimo. Kell'ultimo elogio, aggiunto a quest'edizione , si onora De- fendente Sacchi, che tutti conoscono per un operoso scrittore. Enrico Casxreca Brunetti. Populus Civitatis Regalis diem festum healae Mariae virginis a capile aquae solemniter celebrans, elegia PeCri losephi Ri- naldi. Romae, i84'J, edehat C. Puccinelli, 8. \ JTodiamo che le muse latine trovino nel sig. ab. Rinaldi un e- gregio cultore. Questo giovane, nel mostiare la sua valentia poe- tica, ha dato bella prova di bontà di cuore, coll'intitolare la pre- sente elegia al suo dolcissimo zio, il eh. profess. Francesco Bucci. Lo incuoriamo a calcare con alacrità questa pressoché deserta via, sendo certi che ne corrà non perituri allori. Della istituzione delle scuole di speciale insegnamento pe' com- mercianti, discorso pronunciato in Bari nella solenne tornata della R. società economica del dì 3o maggio 1841, dall' avif. Giovanni Ghiaia presidente. Bari dal nuovo grande stabili- mento poligrafico di T. Pansini, 1841, in 4, di facce 18. JL/opo che l'insegnamento pubblico fu con grande utilità este- so ad ogni maniera di arti e di mestieri, recava maraviglia, come non vi fossero ( compresa l'Inghilterra ) scuole pe' commercianti. L'Italia, maestra di civiltà, non ne mancò. Di fatti Giovanni Vil- lani nella sua storia, favellando della prosperità dell'italiano com- mercio, ci narra che a Fii'enze erano di continuo aperte sei scuc - Varietà' 3^3 le, alle quali traevano oltre due mila giovanetti per appararvi i compiili e i principii della mercatura. Ora il sig. avv. Ghiaia eoa questo suo scritto dà alcune nonne con cui le vorrebbe condotte.,. Cosi io ordinava, egli dice, nella mia mente l'inseguaraento delle speciali scuole di commercio, componendolo della storia naturale e di quella delle manifatture , della geografia e della storia dei viaggi, degli elementari principii della geometria, del calcolo e della meccanica, degli elementi della scienza del commercio e del diritto mercantile, ed in fine della mercatura pratica e delle lin- gue. „ Il quale ordinamento di studi ci sembra in genere cora- inendevolissimo. Tuttavia avremmo desiderato che l'autore stabi- lito avesse per quali classi di mercanti credea necessari tali sludi: poiché dal piccolo rivenditore all'agiato mercante, al banchiere ed all'intraprendente che fa solcare i mari dalle sue navi cariche di peregrine merci, avvi somma disuguaglianza. Laonde stime- remmo necessari per questi ultimi tutti i proposti studi, come più ristretti per un mediocre mercante, sendo bastanti per gl'in- fimi alcune istruzioni semplicissime, che dovrebbero imparare in giorni ed ore in cui non sono occupati. II presente discorso, benché riempito di erudizione poco conveniente allo scopo, ciò nondimeno dall' originalità del sub- bietto e dall'utilità sua è reso pregevolissimo. E. C.B. Orazione detta nella chiesa parrocchiale di s. Maria de'servi il dì 28 aprile iS/p, amiii^ersario delVesequie solenni ai bene- fattori della pia casa di ricovero e d'industria in Padova dal p. Bernardo dottor Ganzati minor conventuale. Padova , coi tipi del seminario, 1842, in 8, di facce 62. Ijode influitaraente l'animo de'buoni nel vedere prosperevole un istituto, in cui la beneficenza, l'educazione, il lavoro vennero saggiamente collegati, sicché le limosine non siano più cagioni di vizi, di scioperaggine, di delitti, bensì aiuto ne'veri bisogni, soc- corrimenlo nelle sventure, scuola di virtù e di arti. Non sarà mai 3'74 Varietà' bastevolmente replicato il dello, che chi non lavora non abbia pane: mentre sono pur troppo assai sciagurati, die intendono campare la vita, non senza alcun'agio, chiedendo limosina, nella via stessa dirigendo i malavventurati e teneri loro figli, che vis- suti nell'ozio e nell'ignavia, facilmente piegansi ad ogni maniera di vizi e di delitti. Il valente oratore sacro p. Bernardo Gonzati celebrava le solenni esequie dei benefattori di quella pia casa colla presente orazione assai tersa e forbita, ove deplorando la perdita fatta nel 1841 di egregi personaggi , e lodandone la liberalità, m' è dolce ricordare due professori di medicina,il celebrato Gianmaria Zec- chinelli ed Antonio Mingoni. Dopo r orazione seguono : i. L'elenco dei benefattori della casa di ricovero, che disposero in morte a suo favore nel 1841. Furono essi 19 , e legarono in danaro per una sola volta lire 8cì58: 99, in benifondi: e in capitali lire 12868:60. 2. L'elenco dei signori che compongono la commissione di pubblica beneficenza amministratrice della casa suddetta; quindi quella dei promotori ed esattori onorari. 3. L'elenco dei testatori che disposero a favore della suddetta casa di ricovero che dal 1821 (epoca di sua fonda- zione ) a tutto il 1841 ammonta in danaro verificato a lire 211097,08, da verificarsi a lir. 15392, 22, in rendita annua verifi- cata lire 34518, 00, da verificarsi 891, 36. 4- Donazioni ed asse- gnazioni di rendita fatta da'benefattori viventi in danari verificati lir. 2i3820, 62, da verificarsi lir. i5392, 22, in rendita annua lir. 43i25, 14 (ora minorata di lire 3o66, 37 per alienazioni fatte nel i836 ad estinzione di debiti di prima istituzione), da verificarsi lir. 977, 06. 5. Il rendimento de' coni! per gli anni 1839, '840, i84l. Si dà compimento con un quadro dimostrante il numero dei poveri, l'importo del loro mantenimentOi ed il costo di cia- scuno di essi per gli anni 1839, 1840 e i84» , e collo stato delle offerte promosse con sottoscrizioni nelle diverse parrocchie di Pa- dova, pel triennio suddetto. Nel iSSg furono esatte lire 8573, 82; nel 1840, 9340, 49; nel i84i lire 9185, 90, restandone esigi- bili altre lire 645, 5o. DOTI. Enrico Castheca Brunetti. Varietà' Z']5 Discorso sopra alcuni stabilimenti e miglioramenti agrari, letto da A. Coppi nell'accademia tiberina il dì i5 noi>embre 184» • Roma, tip. Salviucci 1842, in 8, difac. 32. V^uesto importante discorso contiene il ragguaglio di tutte le cose più utili poste in opera per migliorare l'agricoltura si delle campagne romane, sì dello stato. Sarebbe utile rinnovare i pre- mi assegnati per la piantagione degli ulivi e de'gelsi. La vigna del Nicolai, il podere del generale Zamboni, il feudo di Trivignano del principe Cosimo Conti , e le enfiteusi di Zagarolo fatte dal principe Rospigliosi, sono esempi da pigliarsi a modello. Acca- demie di agricoltura sono a Bologna, a Ferrara, a Pesaro, a Iesi, a Perugia, a Rieti; ed in Roma suole occuparsene la tiberina. Cia- scuna di queste ha recato non pochi vantaggi. E. C B, Cassa di risparmio in Pesaro. JLia città di Pesaro, che racchiude in se tante cose grandi ed uti- li, ha aperto una cassa di risparmio nel luglio dell'anno i84i- Gli eminentissimi signori cardinali Riario-Sforza e Ciacchi, il vesco- vo monsig. Canali, il sig. conte Macchirelli-Giordani gonfalonie- re ed i più illustri e nobili cittadini di quel luogo ne sono gli azionisti. 11 volere encomiare una cosa tanto buona e di per se stessa lodevolissima, sarebbe inutile. Tanta è la prosperità di quella cassa, che nell'ultimo bime- stre ( gennaio e febbraio 1842 ) si sono incassati scudi iSSy: 20. Gli usurai vedranno a malincuore questo tesoro dei poveri. Né vuoisi lasciato in oblio il valente sig. conte Giuseppe Mamìani, che ad istruzione del popolo die alle stampe tre piccoli libretti, nei quali a dialogo si mostrano con bel garbo e chiarez- za le utilità che hanno origine da tali benefiche istituzioni. E. C. B. 276 Varietà' Elenco sommario delle operazioni di alta chirurgia eseguite nel decorso anno iS^i nel ven. apostolico arcispedale di s. Spi- rito in Snssia. Roma, tipografìa di Crispino Puccinelli, 1842, in 4, di facce 46- J.1 numero totale delle operazioni ed osservazioni di chirurgia dell'anno 1841, è di 43' venticinque delle quali furono eseguite dal eh. prof. Francesco Bucci, le altre dal sig. prof. Giuseppe Costantini. Eccone il quiuiro : ^ Operati, Morti Allacciature Ji arterie 21 Amputazioni 4.2 Asportazione di una costa spuria . . i Cataratta 4 Cistotomia -..SS Ernia incarcerata i i Kslirpazione della metà circa della lin- gua per ulcere cancerosa . . . i Eslirpaz-ione di un tumore sarcomatoso. i Fistole all'ano . . : 12 i (*) « del condotto stenoniano . . . i Frattura dell'osso occipitale . . . i Idrocele 5 Labbro leporino i MelUceride i Semi-castrazione , 82 Totale 43 IO Parlerò con brevità delle più interessanti. Trovo un caso di labbro leporiuo che a riunirlo si adoperò soltanto, cruentali i lembi, due punti di sutura nodosa. Uopo 18 giorni l'infermo usci dallo spedale guarito. -Ne segue un altro di tumoretto alla lingua, che da un tal chirurgo trattato con caustico attuale, ne produs- (*) Mori di emottisi. Varietà' Syy se l'ulcerazione ed arrecò punture più frequenti e dolorose. Do- po sei mesi si portò allo spedale, ove, sottoposto per circa 60 giorni ad una cura rinfrescante, gli fu asportata tutta la parte morbosa della lìngua, comprendendovi tre linee di parte sana. Nel 24 di era completamente guarito .- la lingua , benché di- minuita di volume, non ha reso malagevole né la deglutizione, né la loquela. - Si estirpò con molla facilità un tumore sarcoma- toso esistente nella parte posteriore della coscia sinistra, che pe- sava 32 once. Aperto, presentò tubercoli taluni esulcerali, ram- molliti internamente , in qualche punto ammarcili , o d' una compattezza scirrosa. L'infermo fu preso da artritide, ed in quel tempo la piaga rimase in istalo d'inerzia: guarito del qual mor- bo, questa andò gradatamente a cicatrizzarsi. Un tal funaio venne ferito nella parte media della penulti- ma costa spuria. Non essendosi potuto ottenere che si separasse l'osso, che rimanea scoperto per la grandezza della piaga, né po- tendosi procrastinare ulteriormente, dappoiché ivan mancando le forze all'infermo, fu asportata per intero la costa con felice successo.- Ebbe un'ampia e lacerata ferita con iscoperlura e frat- tura dell'osso occipitale tal De Angelis per una caduta. Tutti i sintomi di commozione cerebrale si manifestarono, durando fino al 20 giorno. Senza adoperare il trapano, ma coli' aiuto di una semplice leva e con lo scuotimento dopo molto tempo ,,si otten- ne l'allontanamento dell'osso occipitale fratturato, costituito dalla sua intera metà superiore rimossa dalla sua riunione coi parieta- li,, i denti delle suture rimanendo s.mi,,. Il gonfiore, che esisteva al di sopra del parietale destro, fu seguilo da abbondante suppu- razione, da cui gemeva il pus; si conobbe che il parietale era sco- perto circa la sua parte media. Si trovava questa „ divisa per carie e circoscritta dal rimanente dell'osso sano: si sottopose all' uso di un elevatore, e dopo pochi giorni venne allontanata senza alcun sinistro accidente, presentando in lunghezza circa cinque dita trasverse e tre di larghezza nel punto il più spazioso ,,. Le pulsazioni del cervello erano apparenti: si gusrentirono le parli scoperte mediante due grandi lamine di argento sorrette da finis- sime molle. L'infermo, benché ora esposto alle intemperie in a- perla campagna, gode ollinia salute. 378 V A R I K T a' L'utilità di tale scritto» che fa seguito a quelli di cui si fece onorevole ricordo al tomo LXXXVIII pag. 3o di questo giorna- le, è dimostrata dai preziosi fatti che ivi sono, e dalla severità del profondo giudizio che guidò nell' operare e nello scrivere questi egregi professori del più vasto arcispedale di Roma, E. C, B. Nuove osservazioni intorno alla tendenza agV interessi materiali che è nel secolo presente, in risposta alla lettera del sig. A. P. inserita nel giornale il Solerte, anno IV. num. FUI, IX X. Firenze, tip. di Felice Le Monnier, dicembre i84r,m 8, difac. 61. JXisponde con questo scritto il sig. M. Minghetti all'articolo del Solerte con gravi osservazioni per convalidare sempre più il suo opinamento da noi esposto nel tomo LXXXIX, p. 366 di ques'.o giornale. La urbanità e la gentilezza sono state congiunte alla libertà de' pensamenti m modo veramente nobile. E. C. B. Analisi qualitativa di annacqua marziale, scoperta nel borgo s. Luca presso il ponte di s. Paolo al mezzodì di Ferrara, ese- guita dal dott. Gaetano Negrisoli proj. di chimica generale nella patria università di Ferrara. jJLvviene non di rado che di nuovo si scuoprano delle sorgenti minerali, o sia che per l'innanzi inosservate spicciassero del ter- reno, e quasi odiando la luce tornassero quanto prima a nascon- dersi In esso, o che veramente per qualche sotterranea vicenda escano alla luce quelle acque che prima scorrevano fra le tenebre sotterranee. Cosi pure avviene che alcune di queste cessano a un tutto, e talvolta dopo un tempo più o men lungo tornano a riap- parire. Per arrecarne un esempio, le acque sulfuree dette Mad- dalent, che sgorgavano presso Ferentino lungo la via che guida Varietà' 379 a Frosinone, erano cessate da qualche tempo. In questi giorni so- no tornate ivi a sgorgare cinque sorgenti vicinissime le vine alle altre, delle quali le tre più prossime a Ferentino sono sensibil- mente sulfuree. Nell'anno scorso una scaturigine marziale comparve presso il ponte s. Paolo, al mezzodì di Ferrara, e il suo annunzio menò gran rumore.* ma non molto dopo disparve. Il benemerito signor prof. Negrisoli, autore del Saggio medico-chimico sulle acque po- tabili di Ferrara [V. il toni. LXXXIX di questo giornale p. 363), non trascurò di recarsi sul luogo e di esaminare queste nuove acque. Vide che una porzione di esse, limpidissima tostochè era at- tìnta, dopo qualche ora d'esposizione all'aria, ingialliva notabil- mente, svolgendosi l'eccesso di acido carbonico, che faceva parte de'suoi carbonati. Il sapore era quello delle acque ferruginose. Esaminandole con molli reagenti, si assicurò, che quell'acqua conteneva sciolti i carbonati di ferro, di calce e di magnesia ; i solfati di soda, di calce e di magnesia: i cloruri sodico, calcico e magnesico: la silice, e della materia pseudo-organica o glairina. P. Pontifìcia accademia romana di archeologia. Concorso straordi- nario al premio per la illustrazione di un monumento bor- ghesiano- Xn adempimento della deliberazione presa il giorno ai di aprile 1843, si propone uh premio a chi meglio illustrerà in iscritto: ,, Il grande musaico trovato nel tenimento di Terra Nuova, „ appartenente all'eccellentissima famiglia Borghese, e situato fra ,, le antiche vie labicana e tusculana; musaico rappresentante „ un combattimento di gladiatori fra loro e con le fiere ,,. L'illustrazione dovrà estendersi dal concorrente si all'insie- me e sì alle parti del musaico. Potranno concorrere al premio i letterati di qualunque na- zione, eccettuati i soli soci ordinari ed onorari dell'accademia. Il premio è di una medaglia in oro di zecchini quaranta. 38o Varietà' Le dissertazioni in lingu;» latina, italiana o francese^ dovran- no essere presentale, senza nome di autore, a tutto il i5 del me- se di marzo del futuro anno i843- Dovranno essere scritte in carattere chiaro e ben leggibile. Porteranno esse una epigrafe, ed avranno una scheda sigil- lata con entro il nome e l'indirizzo dell'autore .• e di fuori l'epi- grafe medesima posta alla dissertazione. 11 giudizio sarà pronunziato nel mese di aprile di esso anno. La dissertazione premiata verrà impressa negli atti. Le schede appartenenti a quegli scritti, a'quali non sarà stato aggiudicato il premio, non si apriranno, ma saranno bruciate. Le di^isertazioni dovranno essere dirette per la posta, od al- trimenti, ma chiuse, sigillate e franche di porto, al cav. Pietro Ercole Visconti segretario perpetuo della pontificia accademia romana di archeologia. Quando non vengano per la posta, dovranno essere conse- gnate nelle mani del deito segretario perpetuo dell'accademia , il quale ne darà ricevuta al portatore. Dall'aula del romano archiginnasio questo .di i5 giugno 1842. Il presidente PRINCIPE D. PIETRO ODESCALCHI // socio ordinario segretario perpetuo CAV. PIETRO ERCOLE VISCONTI A maggior comodo dei concorrenti si ai>i>isa, che le stampe colorate del monumento borghesiano, proposto al premio, potran- no vedersi da ognuno : IN PtOMA Presso il cav. Visconti segretario perpetuo deiraccademia. IN ITALIA. Presso l'I. e R. instituto di Milano. la R. accademia delle scienze di Torino. la R. accademia ercolanese di Napoli. la R. accademia delle scienze di iVIodena. la R. accademia delle scienze di Palermo. l'I e R. accademia delle belle arti di Firenze. la pontificia accademia delle belle arti di Bologna. Varietà' 38 i IN FRANCIA Presso il R. istituto di Francia, accademia delle iscrizioni e belle lettere la R. società degli antiquari /<7e//« „ Copa Sy- risca caput graia redimita mitella. „ Virg. Calai. 383 CONTENUTE IVEL TOMO XCI, VOLUMI 271, 27'i, 275 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE. TortoUni , Seconda memoria sulV applica- zione del calcolo dei residui alVinte^^ra- zione delle equazioni lineari a differenze finite .......... pag. 3 Libri, Histoire des sciences mathematiques en Italie ,,, gg Medici, Disquisitiones anathomicae et phy^ siologicae de nervo intercostali {continua- zione e fine) „ 80 Monti, Della necessità di proscrivere V in- segnamento eccitabilistico dalle scuole d'' I^^^'^ , . . . » 99 LETTERATVn^. De-Ferrari, Illustrazione di un codice vir- giliano della casanatense {con litografia). » i iL Lugnani, Studi sopra l'istoria universale.» 128 ,Ponta, Interpretazione del verso di Dante: Perch' io te sopra te corono e initrio . » i34 ÌMontanari, Elogio storico di monsig. Luini ! vescovo di Pesaro » i5o Fermiglioli , Il sepolcro dei Folunni sco- perto in Perugia ,,166 Fesi, Ragionamento intorno ai veri confini 384 della Romagna , e j4pologia contro una strana opinione del sig. Sisinondi ec. » i8o Ramelli, Intorno un'' iscrizione di Tufico. » i85 Ceccotti, Risposta al prof. Orioli sulV au- tenticità del nome di Castel d''Asso . » 190 Morri, Vocabolario romagnolo-italiano. » 207 Astolfi^ Biografia di Antonietta Tommasini.» 212 Franciosi, I tre tempii » 228 Bruti-Liberati, Nuovi opuscoli . . . » 229 Rambelli, Elogio di Apollinare Olivieri. » 2^8 Antonelli, Bibliografia ricciana ...» 25o Buggeri, Lettere inedite al P. ab.Costadoni.» 255 BELLE ARTI Betti, Discorso sugli atti del gran concorso Balestra di belle arti » 3 18 Guattani, Tavola dipinta da Benvenuto da Siena pittore del secolo XV ...» 323 Gerardi , Descrizione del Giudizio di Salo- mone, quadro del prof. cav. Podesti. » 33 1 Antolini, Biografia scrittasi da se medesimo.)) 34o J^arietà — arS^^O^^^ NIHIL OBSTAT Fr. loannes B. Manocu M. C. Gensor Tlieolo^us. liWPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPIUMATUR Joseph Canali Archiep. Coloss. Vicpsg. ^-«h^^Ogg^rSB— ^i^ +< ^ ^w "^^B^ìì m GIORINALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI .VOI. zji. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLZ ARTI 1842 GIORNALE D I T03I0 XCH LUGLIO, AGOSTO E SETTEMBRE IU2. . . ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1842 S £ I ]i li ^ IS Elogio di monsignore Giovanni Battista Scarta- rolOi autore delV opera sulla visita de^ carcerati^ scritto dalV avvocato Oreste Raggi difensore officioso de^rei. agl'illustrissimi ed eccellentissimi SIGNOUl DEPUTATI (i) DELLA VENERÀBILE AKCICONFRiiTERNITA DELLA CARITÀ' DI ROMA IN S. GIROLAMO Jllustrissimi ed eccellentissimi signori Xmllorchè io, visitando i monumenti degli uomini ce- lebri per iscenze, lettere ed arti (2) sepolti nella ba- silica di san Giovanni in Laterano, trovai non più esi- stere la lapide che stava sopra le ceneri del famoso monsignor Giovanni Battista Scanarolo, già apparte- nuto alla vostra venerabile arciconfraternita e prelato deputato sopra alle carceri, bene a ragione divisai ri- volgermi alla carità vostra perchè vi degnaste rimet- 4 Scienze tere quella lapide ad un uomo cotanto benemerito e della stessa arciconfraternita e dei poveri carcerati, ai quali egli consacrò tanti sludi e tante cure. Né mal mi apponeva, illustrissimi ed eccellentissimi signori; che ben presto fu per voi decretata la nuova iscrizio- ne sopra il sepolcro dello Scanarolo (3) , come con eguale cortesia del degno prelato, che al presente è deputato alle carceri (4), ebbi facoltà di far disegnare il ritratto che dello Scanarolo medesimo conservasi in una sala delle innocenziane (5). Oggi adunque vo- lendo io mettere nel pubblico l'elogio di lui, è de- bito mio non ad altri che a voi offerirlo per molte ragioni, e segnatamente per avere rinnovata la lapide del suo sepolcro, di cui senza la carità vostra sareb- be forse andata perduta ogni traccia. Cosi avessi po- tuto io rendere allo Scanarolo quel maggiore onore che si meritava, della sua vita e de'suoi studi scriven- do più a lungo e più degnamente! Ma nulla oltre questo poco mi fu dato di rinvenire o fra i libri di autori suoi contemporanei, o fra le carte del vostro archivio, nel quale altresì avendo avuto dalla gentilez- za vostra facoltà di ricercare, sperava mi fosse venu- to per le mani alcuna cosa che meglio lo risguardas- se, oltre i ricordi delle donazioni da lui fatte alla ve- nerabile arciconfraternita. Più degnamente non mei concedeva la pochezza, pur troppo, del mio ingegno. Ma, qualunque sia per essere questo elogio , io mi terrò ben fortunato, se voi umanamente lo accoglie- rete come testimonio della profonda stima e venera- zione che io sento per una così pia società, la quale, da oltre tre secoli dichiarala dal pontefice Leone X arcioonfraternila sopra le altre, fiorisce tuttavia con tanta lode nelle opere di carità, onde da essa i po-^ Elogio dello ScAnarolo 5^ veri, le vedove, i pupilli, gl'infermi e i miseri carce- I rati raccolgono tanti aiuti e beneficenze. Di voi, illustrissimi ed eccellentissimi signori de- putati, Ai 29 di giugno 1842. Umilissimo devotissimo servitore Oreste Raggi. ELOGIO DI GIOVANNI BATTISTA SCANAROLO Eamus ad career em, requiramus vìn- ctos,humanis miseriis et angoribus condoleamus. In his enim omnibus Ubi occurrit Ckristus, qui cum sit incomprehensibilis secundum Dei- tatis naturam , invenietur tamen. abs te per opera misericordiae. S. Ambrogio, Serra, in don». Vili post peatecostes. f^uanto nei passati secoli giacevano nella maggiore trascuratezza le carceri ed i luoghi di condanna, al. trettanto in questo nostro formano la cura e il pen- siero, direi quasi, universale. Allora erano le carceri abitacoli più di belve che d'uomini : sotterranee ca- verne, mute d'ogni luce, di schifosi insetti e di altre sozzure ripiene, per grande fetore intollerabili; di po- co e cattivo cibo nutriti gli sventurati che vi si te- 6 Scienze nevano; facile l'entrare in esse, che per nonnulla vi si era cacciati; difficilissimo l'uscirne perchè lungo il procedere, segnatamente quando i carcerati, essendo poveri, non avevano come soddisfare alla famelica avi- dità degli scrivani, ai quali da loro medesimi veniva- no allora pagati gli esami dei testimoni e le copie dei decreti per essere rilasciati; e quando rilasciati erano, portavano peggiorato lo spirito, il corpo macilento e guasto, scomposte o rotte le membra pe'lunghi patimen- ti e per le sofferte torture. Chi all'inferno paragonò quei luoghi, mal non si appose per vero. Sì forte stra- zio della povera umanità, troppo spesso dalla igno- ranza e dalla prepotenza bersagliata, doveva pure una volta aver fine: e maraviglio solo che tanti secoli sie- no prima trascorsi, che a questa importante bisogna si provvedesse. Io non ritengo così di leggieri questo nostro tempo sul progredimento di tutte cose, come troppo si va per alcuni ripetendo; ma di molle non posso ne voglio io negarlo per certo. E potrei mai ne- garlo alle legislazioni penali , e quindi alle infijiite cure di molti filosofi, alle quali ben rispondendo quel- le del governanti che si danno intorno alle carceri ed ai luoghi di pena, fanno sì che dobbiamo altamen- te lodare, e per questa parte chiamare avventuratis- sima la età nostra? La voce e gli scritti di quei filo- sofi, percorrendo ogni incivilito paese, giunse fino alle remote terre americane: e per ogni dove immaginan- dosi nuovi sistemi, tutti al meglio rivolti , si fanno prove di questi sistemi, s'innalzano nuove carceri, si osserva, si studia quali tornino meglio alla società , posto che la società abbia, come avrà pur troppo bi- sogno sempre di cotali luoghi. Ora non io verrò esa- minando detti sistemi, gli effetti dei quali non sem- Elogio dello ScanArolo n pre in pratica tornano egualmente bene : alcuni, co- me è quello del perfetto isolamento, rendono pazzi od imbecilli gli uomini ; altri facendo delle case di pena luoghi ameni , e quasi di beata vita , toccano estremi opposti, non meno perniciosi che lo furono quelli degli andati tempi. Convien distinguere le car- ceri per custodia degl'inquisiti da quelle per condan- na de'rei; nelle une sta bene che l'uomo non soffra minimamente; nelle altre il troppo ben vivere lo in- viterebbe al delitto, quando il delitto lo conducesse a migliore stato di vita che nella società non gode- va. Tra tutti 1 sistemi quello maggiormente predicato e messo in uso al presente è il panottico , ossia di sorveglianza, immaginato da Carlo Fontana, che lo pose in opera la prima volta a san Michele in Roma per commissione di Clemente XI. Fu quindi oltre la metà del passato secolo visitato dall'inglese Giovan- ni Howard, il quale, dandone contezza nel suo libro sulle prigioni , diffuse quel sistema dell' italiano ar- chitettore, che oggimai si vede accolto e migliorato in non pochi paesi. Sia dunque estrema lode al Fonta- na inventore; ma di lui non prendo io qui a par- lare. Scrivo l'elogio di altro sommo nostro italiano, il quale fu primo in Europa a levar la voce In fa- vore di quegl'infelici, che la loro mala ventura tiene a languire miseramente in un carcere: dico di Gio- vanni Battista Scanarolo. « Ognuno , scriveva egli , dia prontamente e largamente quanto possiede ai po- veri carcerati; l'uomo prudente somministri loro i con- sigli; l'amico le consolazioni; il potente la grazia e l'autorità; il dotto la difesa; il ricco i danari; il po- vero innalzi almeno per essi preghiere a Dio. lo, sog- giungeva, diedi cinque luoghi di monte all' arcicon- 8 Scienze fraternità Jella carità (6), perchè liberasse ogni anno alcuni carcerati poveri, ed un procuratore pagasse per difenderli; altri seguendo il mio esempio accrescano questo tenue reddito, che io potei dare: e non verrà manco ai miserabili carcerati in Roma una congruen- te cura, un'opportuna difesa, una sollecita liberazio- ne (7). » Ma meglio che questi luoghi di monte la- sciò lo Scanarolo un libro che, come egli stesso si esprime, parto di mente senile, nacque appunto fra i ceppi dei carcerati stessi, e fuggendo la luce della popolar gloria ama le tenebre dei poveri, e vuol lau- de solo da essi; che nella carità verso loro, non nel- la memoria degli uomini, la quale in un col suono perisce, addimanda immortalità. Ma gloria ed immor- talità non siagli negata dall' universale , e si abbia una volta quelle lodi, che per due secoli sopra lui vergognosamente si tacquero (8). Ed io vorrei con de- gne parole poter rendere a nome di tanti infelici que- sto meritato tributo ad un così grande uomo. Ma pri- ma di procedere oltre nel discorso di sua vita, sia qui ricordata, che ben vi cade in acconcio, l'arciconfra- ternita della carità di Roma in san Girolamo. La qua- le sorti origine in questa nostra città da una compa- gnia di ottanta gentili uomini nel mille cinquecento diciannove, aventi a capo il cardinale Giulio de' Me- dici, cugino a Leone X, e poscia pontefice egli me- desimo che fu Clemente VII : il quale dallo stesso Leone ottenuto avea che fosse chiamata arciconfrater- nita sopra tutte le altre. Questa pia congregazione pre- se a ragunarsi dapprima in sant'Andrea in Piscinola, là ove al presente è la sagrestia di santa Maria in Monserrato ; ma essendo troppo angusto il luogo, lo stesso Clemente VII le concedette la vicina chiesa di Elogio dello Scanarolo 9 san Girolamo, che tiene tuttavia e da cui prese il no- me. Le sue cure furono rivolte ai poveri, alle vedove, agli orfani, agl'infermi , e segnatamente ai carcerati. Essa per una costituzi(^e di Paolo IV divenne pa- drona, come lo è ancora, della cancelleria criminale, ebbe le carceri in sua tutela, e fu prima a stabilire in quelle di Torre di Nona {9) un ospitale pe' car- cerati inferrai, i quali erano per lo innanzi provveduti dalla stessa arciconfraternita di medici e di medica- menti, o abilitati a curarsi fuori delle carceri, purché dessero sicurtà, guariti, di ritornarvi. L' esempio di siffatto ospitale venne presto seguitato dall'imperatore Carlo V, cui lo stesso Clemente diede in Bologna del mille cinquecento ventinove facoltà di erigere una confraternita della carità sull'andare di quella di Ro- ma : e il regno di Napoli fu secondo, per opera di quell'imperatore, ad avere ospitali nelle carceri. Fra gl'illustri personaggi, che compongono questa romana arciconfraternita, sono molti prelati, dei quali ciascu- no ha particolari incombenze: e lo Scanarolo avendo- vi quella di esser deputato sopra le carceri, oltreché era avvocato dei poveri carcerati, potè, praticando di continuo fra essi, conoscere quali fossero i loro biso- gni, ciò che giovasse loro, per qual modo si potesse )ttenere il sollecito disbrigo delle cause; e cosi gli fu dato facilmente di dettare quel volume, di cui farò in seguilo più particolare disamina. Frattanto volendo prima discorrere alcuna cosa di sua vita, io dirò come i suoi arcavoli vivessero in otti- mo stato nella città di Verona fino dal mille ducento ventisette, e che un tal Giovanni, sendo valoroso uo- mo, ed avendo ucciso Enrico di Engena potestà della città stessa e nipote del fierissimo Ezzelino, potè per 10 Scienze buona ventura mettersi in salvo riparantlo con tutta la famiglia nella città di Modena. Quivi per quattro secoli vissero onoratamente gli Scanaroli, e quivi del mille cinquecento seltantanove nacque di Nicolò qtiesto Gio- vanni Battista, il quale, cresciuto agli studi dai gesuiti, e mostrando assai d'ingegno, fu con ogni lusinghevole maniera allettato di entrare nella loro compagnia: e per- venuto all'età di circa diciannove anni, si recò a posta nel noviziato di sant'Andrea in Roma. Di poi la sua famiglia da Modena passò in Ferrara (io): ed onora- ta della cittadinanza dalla magistratura di questa cit- tà, fu indi a pochi anni dichiarata nobile da Urba- no Vili. Ma essa famiglia, che dell' ingegno di Gio- vaJini Battista era entrata giustamente in molte spe- ranze, mal comportava che egli si rimanesse per sem- pre chiuso in un chiostro, quando invece vedeva che in mezzo alla società, potendo essere egualmente uti- le altrui, poteva a se ed a lei stessa procacciare ono- ri e rinomanza; onde procurò ed ottenne che ben pre- sto tornasse fuori del noviziato; ed andato Giovanni in Macerata ad apparar leggi, vi ebbe laurea dottora- le (li). Allora accostumato com'era, e pieno di molta dottrina, tornò in Roma: dove dandosi con ogni studio a patrocinare le cause dei poveri e dei carcerati, ac- quistò altissima stima, e di leggieri entrò nell'animo di tutti, e segnatamente di casa Barberini, che lo e- lesse soprintendente generale dei suoi affari. 11 se- nato l'onorò della cittadinanza romana, e l'arcicon- fraternita della carità lo nominò procuratore dei po- veri, e dipoi prelato deputato sopra alle carceri (12). Ne qui si rimasero i favori dei Barberini; che il car- dinale lo elesse suo vicario nella basilica di san Pietro, ed il pontefice Urbano Vili il creò vescovo di Sido- Elogio dello Scanarolo ii Tiìa (i3), consacralo dal cardinale Gaetano nella cap- pella di monte cavallo, e due anni appresso lo stes- so pontefice gli conferì l'onorevole carica di suo suf- fraganeo in tutto il territorio di Roma (i4)« Quando don Taddeo Barberini qui fece una solenne cavalcata per la propria elezione alla prefettura, Urbano YIII fra le altre grazie concesse allo Scanarolo di creare cavalieri ventiquattro giovani nobili che servirono lo stesso don Taddeo, fra i quali venne eletto Camillo fratello dello Scanarolo medesimo, che come paggio aveva seguitato il principe (i5). Ma non fu questa delle cariche, comechè luminosissime , la gloria am- bita dal nostro prelato; né questa gloria sarebbe ba- stata a tramandare fino a noi così caro ed onorato il suo nome. Egli la desiderava e l'ottenne nella pietà verso degl'infelici, e principalmente dei poveri carce- rati; la ottenne nell'opera che latinamente dettava in tre libri intorno alla visita dei carcerati, e che durerà finche sarà commosso l' umano cuore a compassione jper gli sventurati , finche saranno apprezzati coloro che primi levarono la voce in prò di essi. Per la qua- le opera noi apprendiamo il procedere di quei tempi, quali e di che maniera fossero tenute le carceri, co- me amministrata la giustizia. Per vero paragonati quei tempi co'noslri, quei sono a dirsi piuttosto barbari che no; ma posto al confronto colali cose fra Roma e gli altri stati, dobbiamo pur con- fessare a lode di questa nostra città, che in essa erano più miti i giudizi, pili sollecito il disbrigo dei processi che non altrove, e che di qua derivarono, per opera segnatamente dell'arciconfraternita della carità , e di un'altra che s'intitolava della pietà dei carcerali (i6), i primi miglioramenti in Europa intorno alle slesse car- 12 Scienze ceri. Platone ed Aristotile scrissero tre specie di car- cere dover essere in una repubblica. Al dire del pri- mo, l'una presso il foro per custodia comune di tutti; l'allra per correzione, in cui sieno racchiusi gli uo- mini che malamente si conducono, o sono intempe- ranti, e vi rimangano in castigo finché non tornino in sana mente ed al buon sentiero ; la terza final- mente, in cui si restringa il supplizio di quelli, i qua- li per le loro grandi scelleratezze si avrebbero meri- tata sentenza di morte. Onde sappiamo antichissima la distinzione delle carceri di custodia da quelle di pena; ma chi credesse che nei governi anolie più li- beri dell'antichità le carceri non avessero l'orrore ne- fando, che poi ebbero nel medio evo, può a proprio disinganno, dice il mio professor Carmignani, leggere Alessandro di Alessandro (17). Gli ateniesi chiama- rono baratro il loro carcere, che era un'apertura pro- fonda a modo di pozzo con folte tenebre, molle e li- macioso, in cui venivano precipitati i malfattori ; il carcere dei messeni, detto tesoro, era un sotterraneo chiuso d'ogni intorno , e sulla bocca serrato da uà grosso macigno. Chizico, città della Mesia, avea per carcere una profondissima fossa che per la sua altez- za solea chiamarsi mare profondo. I romani eziandio tenevano le loro carceri in sotterranei, che latomie ap- pellavano. Siffatte erano le antiche prigioni: ma io vo- glio pur ritenere che tali non fossero quelle che do- veano servire a custodia degl'inquisiti: quantunque da queste dobbiamo credere che la causa della umanità e della giustizia, come soggiunge lo stesso professor Carmignani, non fosse concepita dagli antichi, perchè non abbiamo nella loro storia cosa che somigli alle generose fatiche dell'Howard, del Buston, di Enrico Elogio dello Scanarolo i3 Grey Benne t e di altri. Ma innanzi a tutti questi stranieri io pongo l'italiano Scanarolo, avuto riguar- do ai tempi in che scrisse. Quando eglino hanno pre- so cotanto generosamente a trattare delle carceri, già lo Scanarolo aveali prevenuti ben piìi di un secolo prima, ed aperta loro la via che poscia essi ampiamen- te percorsero. E quei savi principii, e quei molti mi- glioramenti intorno alla procedura criminale ed alle carceri, che oggimai vediamo universalmente adopera- ti, furono già fin d' allora predicati da quel sommo prelato. A' di nostri si grida saviamente , e si sente ripetere per tutto: Doversi prevenire i delitti per ri- sparmiare alle leggi la crudele necessità di punirli. Consiglio santissimo, ma non inteso ancora abbastan- za ! Al qual fine di prevenire i delitti qual modo può venire più sicuro, che punire le oziosità ed il vaga- bondaggio, il quale Platone ed Aristotile aveano proi- bito nella loro repubblica come mortale pestilenza ? Contro siffatta pestilenza scriveva nel suo libro lo Sca- narolo, che diceva : Nulla essere di lei più pernicioso in una repubblica; l'oziosità insegnare molta malizia. E con isquisita dottrina, di cui è sempre abbondan- tissimo questo libro, percorrendo gli usi delle varie nazioni contro gli oziosi ed i vagabondi, ci ricorda dove essere castigati con pene corporali o con l'esi- lio, dove come uomini infami interdetti dal testimo- niare; in Ispagna come pubblici nemici discacciali ; Carlo V punirli perfino con le forche; e qua coi cep- pi, là con le battiture, altrove con la galera perse- guitarsi. E l'autor nostro, mettendo innanzi ai legi- slatori ed ai tribunali simili esempi, ripete una veri- tà che vorrei non dimenticata un istante. Ripongano i legislatori l'ozio fra'principali delitti, l'autorità ve- i4 Scienze gli vigilantissima su ciast!;un'uomo; lo interroghi e l'ob- blighi a dar contezza di che vive alla giornata: che ninno deve trascorrere un dì solo nell'ozio: e la so- cietà non avrà più a lamentare sì gran numero di de- litti, onde, non ostante l'odierno milantato incivili- mento, va tuttavia vergognosamente macchiata. Che se ad onta di tale provvedimento pure continueranno , benché in minor numero e men forti, i delitti, noa sieno facili i tribunali nell' ordinare la carcerazione di chicchessia, quando bastanti prove non si abbiano della denunciata reità; né se carcerato alcuno, sia il carcere una pena, ma una custodia (i8); e quantunque non una pena; ricordino i tribunali stessi, come anche gl'imperatori Graziano, Valentiniano e Teodosio ripu- tassero di pubblica importanza il disbrigare le cause de- gl'inquisiti (19). Teodosio apartamente diceva: Irei convinti assoggettarsi a sollecita pena; coloro, i quali debbono liberarsi, prontamente lo sieno perchè non marciscano per lunga prigionia. E Costantino dichiarò voler custoditi, ma non maltrattati, i carcerati. Le qua- li sentenze, da gran tempo già dette e tramandale alla memoria degli uomini, non erano volute sentire: e per cose di nessun momento, senza distinzione di perso- na, di fama, di dignità, venivano altrui aperte le car- ceri, ossia quei nefandi sotterranei, ed ivi cacciati si lasciavano per molli mesi e per anni dimenticati nel- le tenebre e nelle miserie: tanto più se quegli infe- lici non avevano in contanti di che redimere la pro- pria libertà. A quando a quando i romani pontefici richiamavano le savie leggi di quegl'imperadori: ed ab- biamo una costituzione di Pio IV, che appellando ad altra di Paolo III inculca ai Iribunali la spedizione dei carcerali. Ma queste erano sempre parole, rara- Elogio dello Scanarolo i5 menle ridotre in pratica dalla insolente inobbedienza di quegli scrivani. Si lodano a cielo gli autori moder- ni che hanno ripetute simili verità: e frattanto, non curando se queste sieno ancora abbastanza messe in uso, non si fa parola, ne si tributano quelle meritate lodi, a cui, come lo Scanarolo, avevale molto prima predicate non solo, ma dato altresì opera perchè al di- sbrigo dei carcerati stessi si provvedesse. E ciò come prelato deputato sopra alle carceri, e come avvocato che era dei poveri , e offrendo eziandio del proprio danaro, ove occorresse, a quegl'infelici che non ave- vano come pagare i mandali per essere rilasciati. Que- sta è vera carità che non si ferma alle sole parole, e tli cui il pietoso prelato altra rimunerazione non voleva dai carcerati, se non che questi pregassero il Signore per lui: siccome si legge anco a'piedi della immagine sua che tuttavia esiste in tela in una sala delle carceri nuove, ossia innocenziane, e che io volli far ritrarre in incisione a maggiore sua gloria e ad or- namento di queste carte. Egli continuando a parlare del procedere nei giu- dizi criminali, conciossiacchè un largo trattato di cotali materie può dirsi veramente questo suo libro della vi- sita dei carcerati, riprende le interrogazioni suggestive: ed a tal uopo fa cenno di una costituzione di Paolo V (20), la quale ordina che i notari debbano scrivere intieramente le interrogazioni; ed avverte quindi che le confessioni estorte per suggestive dimande sieno inva- lide e nulle; che il giudice nelle ricognizioni non lasci correre cose erronee; che l'esame del notaro senza il giudice non abbia fede, e che i giudici stessi non trat- tino con troppa severità le cause degl'inquisiti, né si re- chino sempre innanisi agli occhi le leggi fierissime di i6 Scienze Dracene. Quindi parla altresì della impunità: intorno alla quale io non istarò qui a discutere se convenga o no concederla a'rei; ma egli ammettendola, perchè allora usala da ogni governo, vuole non si conceda al socio che scuopra il socio già indiziato; non al reo principale; non per delitti, dei quali la frequenza tur- Li troppo spesso la pubblica tranquillità. E di queste cose vede ognuno la filosofica ragione. Ecco le prin- cipali sentenze, delle quali è sparso il libro dello Sca- narolo, di cui oggi gl'italiani rammentano il nome a mala pena. Che se a scusare tal vergognosa dimenti- canza taluni mi volessero dire : Essere quel libro un vieto trattato, ove altro non si apprende che i bar- bari costumi delle torture, delle veglie e di cosiffatte crudeltà, degne di essere seppellite eternamente nella più oscura obblivione; io rispondo, che in questi me- desimi passi intorno a quelle tristi materie, le quali, pur troppo in mezzo a sì grande varietà di argomenti s'incontrano, apertamente si appalesa la eccellente cari- tà di lui. Quanto sono gli uomini difficili e tardi nello accogliere una nuova, comecché utilissima istituzione, altrettanto lo sono nell' abbandonare i vecchi usi che per la lunga abitudine divennero in essi più che na- tura. Noi maravigliamo, e più di noi maraviglieranno i posteri, vedendo come per tanti secoli, ed anche in, tempi alcune volte di non dubbia civiltà e di solen- ne avanzamento nelle lettere, nelle arti e nella filo- sofia, siasi conservato costante il barbaro costume delle torture, delle veglie e di altre simili invenzioni, non come pene ( che pure sarebbero abbastanza da ripro- vare ), ma come sperimenti a discoprire la verità nei criminali giudizi. Ogni qual volta io torni col pen- siero su questo, sono in forse di prestarvi fedej e stu- Elogio dello Scanarolo 17 pisco altamente come tanti potentissimi ingegni e prin- cipi umanissimi, che furono nei passati secoli non mi- nori di un Montesquieu, di un Beccaria, di un Ver- ri, di un Filangeri, di un Leopoldo primo e di una Caterina seconda, non levassero la voce e non ope- rassero per bandirle una volta e per sempre dalla fac- cia della terra. Gli uomini si seguitano l'un l'altro a modo di pecore: e ciò che trovano radicato da molli secoli, sia pure tristissimo, non pensano ne anche di smuovere , non che di abbattere : che raramente si danno la briga di riandare quanto nascendo trovaro- no. Così è avvenuto della tortura: sul finire del pas- sato secolo, fatto ormai troppo vecchio il costume, e stanca di quello strazio la miserevole umanità, comin- ciarono taluni di quei filosofi a gridarvi contro: e non ostante la tortura in molti paesi durava tuttavolta, ed io slesso, che giovane ancor sono , ho inteso alcuni lodarla a'dì nostri e desiderarla almeno come pena. E se tanto sconvolgimento di opinioni e di cose non si fosse operato fra lo scorcio del passato secolo ed il cominciare di questo, non istento a credere che non si vedi-ebbe tuttavia comandata nelle odierne legislazio- ni. Qual maraviglia pertanto che nel libro dello Sca- narolo, scritto or sono circa a duecento anni, s'in- contri un capitolo del modo di dar la tortura, quan- do in tutti i trattatisti di allora si trova egualmente, e da tutti i tribunali si adoperava ? Mi rattrista l'a- nimo il solo far parola di questa ingrata materia: ma il debbo pure per mostrare eziandio in essa quanta si meritasse lode lo stesso Scanarolo. Il quale ne fa avver- titi che raramente in Roma, in cui meno che altro- ve potè la barbarie dei tempi di mezzo , si dava la tortura oltre due volle, e che, per racccnnata costi- G.A.T.XCII. 2 'i8 Scienze luzione di Paolo V, oltre un' ora non la si dovesse; ne si potesse ripetere o in più volte dividere. Che se per gravila di nuovi e più forti indizi, senza i quali non si dava mai, avesse la nacessità portato di ripe- terla, la seconda fosse più lieve della prima volta. Co- sì nel tormento della veglia, riferendo egli le parole della detta costituzione di Paolo V, c'insegna, che i giudici non ne dovessero fare uso se non nei delitti atrocissimi, e nei quali ancora doveano precedere in- dizi urgentissimi; ed allora non si dovesse infliggere se non pel voto della congregazione di quel tribuna- le, nel quale si procedeva contro il reo. Né lo stesso reo essere sottoposto a questo tormento della veglia nel giorno medesimo, in cui da altro fosse stato cruc- ciato; e molto meno il reo che patito avesse una o due volte quello della fune; né alcuno posto alla ve- glia fosse tenuto con braccia dislese a modo di tor- tura , perchè oltre la veglia stessa non patisse pure la fune: e che i giudici tanto in questo quanto negli altri tormenti assistessero eglino medesimi di conti*- nuo, ne in vece loro lasciassero il notaro od il sosti- tuto fiscale. Certo che miglior consiglio stato era quel- lo di Gregorio XIII di abolire il tormento della ve- glia, che per la sua atrocità conduceva presso che a morte: ma poiché i tempi non erano ancora venuti di bandirla intieramente e per sempre , e che nella congregazione tenuta intorno alla riforma dei tribu- nali nel pontificato di Paolo V fu pur troppo- richia- mata in uso , venne almeno mitigata la crudeltà di un tormento, che l'animo non mi regge a descrivere jf per le parole di quella costituzione. La quale comen- tando lo Scanarolo, osserva saviamente, che non po- tendosi dare se non per decreto della intiera congre- Elogio dello ScANArolo ig gazione, era ben più difficile che questa s'ingannasse come avrebbe potuto un solo giudice quando inflig- gere si doveva; e che dandosi per delitti atrocissimi, nei quali precedessero urgentissimi e quasi indubitali indizi, non affliggeva innocenti o rei di poca colpa. Imperocché quelli dicevansi delitti atrocissimi, la pena dei quali portava o di essere brucciati vivi, o tagliati a brani, od arrotati, o trascinati a coda di cavallo, che erano i delitti di lesa maestà divina od umana , di parricidio, di assassinio o di omicidio proditorio ed al- tri. Urgentissimi indizi poi erano quelli non remoti, ma prossimi al delitto, con teslimoni di veduta mag- giori di ogni eccezione, e coi quali fossero stati al- tri indizi, come la fuga o la inimicizia concludente- mente provate. Cosicché, appetto alle pene che per ta- li delitti doveano poi soffrire i rei, poca cosa era il tormento della veglia: tanto più che passare non do- vea le dieci ore, e che con molte altre cautele veni- va dato od in moltissimi casi del tutto escluso. Quin- di all'infelice torturato accorreva in soccorso la cari- tà dei carcerati, confortandolo di medicamenti e di buoni ristori, che, semivivo com' era, presto lo rin- vigorivano. Chi mai peraltro negherebbe troppo a- troce questo sperimento di prova contro i rei, atro- cissime e barbare le pene che venivano inflitte dopo una simil prova (21)? Nessuno per certo;e noi rallegria- moci pure che delle une e delle altre egualmente è scompai'so in sulla terra ogni esempio. Con orrore le leggiamo ancora nelle antiche carte: e mal si ab- bia persino chi a'dì nostri osa mettercele innanzi agli occhi, o sulle scene, o in mostruosi romanzi, o in su dipinte tele: che ogni memoria di quelle atrocità vuo- le anzi essere dispersa per sempre da noi. Delle quali 20 Scienze se Iratlò lo Scanarolo, egli non porli biasimo dalle sane menti, ohe colpa è tutta dell'oscurità dei tempi in che visse, e nei quali si discorrevano queste mate- rie, come al presente dagli scrittori della scienza cri- minale la galera, le carceri o altre pene più miti. A me duole aver forse con esse un po' troppo a lun- go contristato, come temo, il gentile animo dei miei leggitori: e volentieri le avrei meglio passate in silen- zio, quante volle non avessi creduto derivarne laudi e gloria allo stesso autore, che non ostante la pre- potente influenza dei tempi stutliava il minor male, a ciò mosso dalla grande carità: e proponeva il modo migliore che l'ingegno gli suggeriva di mitigare quel- le atrocità, che egli almeno travedeva in mezzo alle tenebre, nelle quali il mondo si avvolgeva tuttavia. Torno alla sua vita, di cui egli trovandosi oggi- mai presso al termine, volle chiuderla là donde aveala incominciata. Percorsala intieramente in opere pie e caritatevoli, stato quarant'anni avvocato dei poveri, ai quali prodigò sempre tanti studi e tante cure, e data opera in su gli ultimi al libro della visita de'carce- rati, in che raccolse e mise nelle mani degli uomini quanto a lui era occorso di osservare nella lunga spe- rienza intorno ai criminali giudizi , e segnatamente alle carceri, nuovamente riparò gli estrerai della vita slessa nel noviziato dei gesuiti in Roma : e dopo a non molto vi morì di ottantasei anni ai dieci di set- tembre del mille seicento sessantaquattro , lasciando di essere seppellito nella basilica di san Giovanni in' Laterano, cui vivendo aveva fatto dono di un calice- d'oro, come a quidla di san Pietro di uno incensie- re d'argento. E (juivi lo fu di fatti, là propriamente in quella parie della chiesa che dicesi il portico leu- Elogio dello Sganarolo 21 nino presso la custodia degli olii santi : una l)reve ed umile iscrizione, che vivendo erasi egli preparato da se medesimo, accennava il sito del suo sepolcro; ma volgono ormai oltre tre anni che nel ristorare il pa- vimento stesso ne furono sconvolti i marmi, e la iscri- zione dello Scanarolo, forse già logora dal tempo e per altrui non curanza , andò perduta. Fu allora discoperto e riconosciuto lo scheletro di lui avente tut- tavia gli abiti, la mitra e l'anello vescovile, col qua- le stato era sepolto: e rinterrato fu quivi lasciato gia- cere. Ma posciachè il sapere e la grande carità sua meritava che altri usassero pure carità inverso di quel- le ceneri, delle quali chicchessia avrebbe a malincuo- re sopportato vedere perduta ogni memoria, io in ve- dendo ciò mi feci a supplicare la venerabile arcicon- fraternita della carità in san Girolamo, perchè ad un uomo cotanto insigne e della stessa arciconfraternita gloria ed ornamento grandissimo , volesse riporre la perduta lapide: e di fatti, quale io la riferirò in fine di queste mie parole, fu da essa decretata ai dicias- sette di settembre del passato anno mille ottocento quarantuno. Alla maggior parte degli uomini, di ani- mo debole come sono, è sì terribile il pensiero della morte, che da questo rifriggono sempre: in tanto che si lasciano dalla morte stessa il più delle volte sor- prendere alla impensata. Ma non così sembra avve- nisse allo Scanarolo: il quale anzi rivolgendo spesso la mente alla estrema condizione nostra , aveva più d'una volta pensato di provvedere al luogo di sua se- poltura: e prima in Ferrara, nella chiesa di san Fran- cesco, una fecene costruire nella nave di mezzo ver- so l'altare di santo Antonio, sopra la quale dettò pu- re da se medesimo la epigrafe, provvedendo per essa 32 Scienze primo al tumulo che alla casa dei suoi. Altra sepol- tura divisava formarsi nella chiesa di san Girolamo, come io ricavai dai libri dell'archivio ; e finalmente si lasciò, come abbiamo veduto, in quella di san Gio- vanni, sulla quale vengano a pregar pace all' anima sua benedetta quegl'infelici, che della sua pietà rica- vano tuttavia alcun utile provvedimento; qua venga- no quei giovani studiosi, che dalla sua opera trasse- ro mai un qualche buono insegnamento; qua quegli stranieri , che tratti dall' esempio della stessa opera acquistarono quindi nome e gloria di sapienti e ca- ritatevoli inverso dei carcerati con altre simili ; qua io venni più volte allorché ricercando questo sepolcro dovetti dolermi della neghgenza con cui lo vedeva abbandonato, e più di questo della dimenticanza nel- la quale lui e l'opera sua era stato indegnamente la- sciato dagli stessi italiani ; qua mi sorse il pensiero di rinfrescare, per quanto era dato alla pochezza mia, la memoria di questo illustre prelato, cui se meritava e poteva avere maggiore ingegno chi dicesse sue lau- di , certo non si avrebbe potuto avere chi maggiore slima ed amore sentisse per lui, di quello ch'io mi do vanto sentire. Ora dunque gl'italiani rendano a lui il dovuto omaggio, che per tanti anni gli negarono solo, io credo, per sovrabbondanza che hanno essi di glorie; che se tante lodi e benedizioni si meritarono ai nostri giorni alcuni stranieri, i quali scrissero delle carceri, queste lodi e queste benedizioni sono prima dovute allo Scanarolo, che in mezzo alla oscurità del suo secolo portò non dubbia luce in quella materia col libro intorno alla visita dei carcerati. Elogio dello Scanarolo 23 Epigrafe nella basilica di san Giovanni in Lalerano : D. O. M. IOANNES BAPTISTA SCANAROLVS MVTINENSIS SIDONIORVM EPISGOPVS IN VRBE SVFFRAGANEVS SIRI POSVIT VIVENS ANNO SALVTIS MDCXXXVI AETATIS LVII MONVMENTVM HOC TEMPORIS INIVRIA DEPERDITVM ARCHISODALITAS ROMANA EGENIS SVBLEVANDIS CONLEGAE BENEMERENTI HONORIS ET GRATI ANIMI CAVSA RESTITVENDVM CVRAVIT ANNO MDCCCXLI A DECESSV EIVS CLXXVII A CINERIBVS RECOGNITIS III Epigrafe nella chiesa di san Francesco in Ferrara: IOANNES BAPTISTA SCAnAROLVS SIDONIAE KP19C0PVS MVTINENSIS ORIGINE, PRIVILEGIO FERRARIENSIS MORTALITATIS MEMOR FRATBIBTS, NEPOTIUVS, POSTEKISQVE SVIS NON PRIVS DOMIClin QVAM TVMVLl PROVlSOR CONDITORIVM HVNC tOCVM LIBERALITATE R. P. D. JRANCI8C CONSEQVVTVS ORNAVI! , VT lERRARlA IN QVAM AMORIS OBSEQTIO EXARSi^RAl SVORVM MERITO CINERES CONTINERET, ATQVE SI HONORIBVS AB VRBANO f>. M. SIBI OELATtS DIVOS SVOS DECORAVERAT MARMORIBTS QVOQVE, TITVLIS EORVM VMBRAS ILLVSTRARET, QVOD TT FIERET MONVMENTVM HOC PERBNNB MEMORIAE P. ANNO SALVIIS M.DG.XXXXII. BIB X. FBB. a4 Scienze NOTE (i) Voglio qui appresso nominati a cagione di onore questi signori deputati, i quali, siccome i primi onde si compose la ve- nerabile arciconfraternita, sono il fiore della nobiltà unita al sa- pere : Eminentissimo e reverendissimo principe sig. cardinale Ugo Pietro Spinola protettore assente. Eminentissimo e reverendissimo principe sig. cardinale Paolo Polidori pro protettore. Eminentissiml cardinali e reverendissimi vescovi di residenza, che continuano a partecipare dei privilegi e beni spirituali: Eminentissimi Bussi, Franzoni, Serra-Cassano^ Brignole, Patrizi, Polidori, Falconieri-Mellini, Mastai, Ferretti, Corsi, Mattei, Spada, Ugolini, Massimo; Monsignor Francesco Teloni vescovo di Macerata Illustrissimi e reverendissimi signori À onsignor Giacomo Siuibaldi arcivescovo di Damista. Monsignor Lodovico Tedi arcivescovo di Atene. Monsignor Niccola Maria Ferrarelli arcivescovo di Mira. Monsignor Gio. Carlo Alessi. Monsignor Giacomo Amadori già Piccolomini. Monsignor Francesco La-Grua. Monsignor Pietro De- Silvestri. Monsignor Antonio Maria Cagiano De-Azevedo. Monsignor Sisto Riario. Monsignor Alerame Pallavicino. Monsignor Francesco De-Medici d'Ottaiano. Monsignor Gaspare Grassellini. Monsignor Carlo Luigi Monchini. Monsignor Stefano Scerra vescovo di Orope. Monsignor Gio. Battista Arn;ddi. FXOGIO DELLO Sc^AROLO sS Monsignor Lorenzo Lucidi. Monsignor Andrea Maria Frattìni. Monsignor Salvatore Vitelleschi. Monsignor Giovanni Di Pietro. Monsignor Niccola Paracciani Clarelli. Monsignor Antonio Matteucci. Monsignor Giovanni Corboli Bussi. Monsignor Filippo Baffi. Monsignor Francesco Leggieri. Monsignor Angelo Maria Vannini. Avvocalo concistoriale conte Tommaso Filipponi. Avvocato concistoriale Felice Cicognani. Avvocato concistoriale Pietro conte Leonardi. Signori — Avvocato Vincenzo Landucci. Barone Carlo Ancaiani. Conte brigadiere Parisanì. Principe don Pietro Odescalchi, Conte Sigismondo Malatesta. Conte Antonio Foschi. Conte Filippo Anlamoro. Conte Vincenzo Pianciani. Filippo M. Amici degli Elei; Canonico 0. Luigi Luzi Pietro Ricci Paracciani Marchese Rondinini. Canonico don Alessandro Barnabò. Marchese Girolamo Serlupi. Cavalier Ferdinando De'Cinque Quintili. Avvocato don Luigi lannoni. Avvocato Giuseppe Maria Combi. Principe D. Pompeo Gabrielli. Marchese Filippo Patrizi. Avvocato Filippo Leoncilli. Canonico don Giuseppe Ferrari. Canonico don Giuseppe Bisleti. Canonico don Giulio Castelli. D. Sigismondo Chigi principe di Campagnano. Marchese Girolamo Sacchetti. Conte Carlo Cardelli. Marchese Ermete Cavalletti, D. Carlo de'marchesi Teodoli. Canonico don Alberto Barbolani di Montauto, Principe don Marc'Antonio Borghese. 26 Scienze D. Giovanni Raspoli principe di Cervctrì, ' Cavaliere Enrico Englefield Avvocato cavalier Ansano Landuccì Cavalier D. Carlo de'principi Doria Pampliily. D. Marino Torlonia Duca di Bracciano. (2) Con questa opera, che ha il titolo di Monumenti sepol- crali eretti in Roma agli uomini celebri per scenze, lettere ed ar- ti visitati da Oreste Raggi, disegnati ed incisi da Francesco M. Tosi, e di cui è già pubblicalo il decimo fascicolo , io ho volto il pensiero a rendere onore alle ceneri di quegli uomini che mol- ti sono nelle nostre chiese, e che fin qui erano in gran parte aU trui sconosciuti- (3) Con decreto del diciassette settembre 1841. (4) Sua eccellenza reverendissima monsignor Francesco dei principi Medici di Ottaiano , maestro di camera del regnante pontefice Gregorio XVI. (5) Queste, che diconsi pure carceri nuove, quantunque con- dotte a fine da Alessandro VII, nondimeno tolgono il nome da Innocenzo X che le aveva ideate. Furono nel passato secolo vi- sitate dall'Howard, e lodale per solidità, ampiezza e salubrità di aria. Allora erano forse le migliori in Europa: ma tali non sono più oggi pei nuovi sistemi. E però sempre da rendere onore al loro architetto, che sconosciuto fino a questi giorni , ormai si sa essere stato certo Antonio Del Grande, come ricavasi dal t. 188, pag. 4'5 dell'archivio della stessa arciconfraternita, ove si leg- ge: ,, Illustrissimi signori provveditori della pietà di Roma si ,. compiaceranno dei denari della R. C apostolica posti a mia ,, disposizione per spenderli nella fabbrica delle nuove carceri ,, passarne ad Antonio del Grande architetto di detta fabbrica ,, scudi 100 moneta, quali gli fanno pagare a buon conto della ,, mercede che gli si deve per le stime de case vecchie fatte per ,, detta fabbrica, che con sua ricevuta saranno ben pagati. Que- ,, sto dì 12 giugno i653, scudi 100. ,, (6) Dipoi diede altri di questi luoghi di monte, frai quali ot- to pe'carcerati civili, come si rileva dall'accennato archivio. ("]) De visit. carcerai, lib. I, cap. III. Due sole edizioni furo- rono fatte in Rouia di questa importantissima opera : la prima del MDCLV, coi tipi della R. C. A., l'altra egualmente in foglio e cogli slessi tipi del MDCLXXV. (8) Il chiarissimo monsignor Morlchini, nel quale non saprei che lodar n»eglio, se l'ingegno o lo zelo grandissimo per le opere di carità, siccome dell'uno e dell'altro diede bellissimo saggio col Elogio dello Scanarolo i'j suo libro : Degl'istituti di pubblica carità e d'istruzione printania: e meglio lo darà fra non molto colla ristampa di esso corretto ed ampliato largamente. In una sua erudita dissertazione sopra i romani pontefici, che furono i primi a concepire ed ese- guire il ben inteso miglioramento delle prigioni, letta il i4 dì maggio del i84o all'accademia di religione cattolica, e pubblica- ta quindi negli ninnali di scienze religiose compilati dal eh. mon- signor De-Luca, così parlava dello Scanarolo.-,, I molli beni che ,, vennero dalla visita graziosa sono diffusamente notati nella ,, voluminosa opera di monsignore Giovanni Battista Scanarolo „ modenese arcivescovo di Sidonia, che fu per quarant'anni pro- „ curatore dei carcerati per l'arciconfraternita della carità in „ san Girolamo. Alle carceri nuove in segno di gratitudine ser- „ basi l'immagine del benemerito prelato, il quale sarebbe degno ,, di maggior fama. Ma per solita bizzaria di fortuna il nome del- „ r inglese Howard è su tutte le bocche e in tutti i libri che ,, trattano di tali argomenti: e Titaliano Scanarolo, che lo prece- „ dette di quasi un secolo e mezzo, è appena conosciuto in Ro- „ ma da pochi. I tre libri della visita dei carcerati, che egli stam- ,, pava del t655, son latti con grande amore ai poveri prigioni; ,, e quantunque dettati in cattivo latino, sono pieni di notizie in- ,, teressantissime. La causa di q negl'in felici ebbe nello Scanarolo „ un eloquente e caldo avvocato. Il carcere è per lui luogo sa- „ ero, pia la causa dei carcerati, i quali noveransi fra i poveri, „ e ne godono per religione e per legge tutti i diritti e i privi- „ legi .,. Confesso che per queste calde parole io in'iulesi tanto più animato a scrivere il presente elogio dello Scanarolo. (9) Prima delle nuove erano sei le cai-ceri in Roma: a Torre di Nona, a corte Savella, a Ripa, a castel s. Angelo, a Borgo ed al Campidoglio, ove sono tuttavia pel tribunale criminale senato- rio e pei debitori. (io) Nell'anno 1625. (11) Ai V.6 maggio 1604. (la) Ai 25 gennaio 1637. (i3j Era dapprima stato consacralo prete, come si legge nel- la cronaca dello Spaccini che „ ai 29 di settembre del 1612 l'ar- civescovo Boschetti ha ordinato il dottore Giovanni Battista Sca- narolo, avvocato dei poveri in Roma, buon giovane, savio e pru- dente. „ (i4) Del i632, essendo stato creato vescovo due anni prima. (i5) Con breve dei 27 di setlembre del i63i. (16) L'arciconfraternita della pietà, che quantunque sia di- 28 Scienze distinta da quella della carità, volge pure sue cure verso dei car. cerati, ebbe origine in Roma del 1579 per opera del P. Giovan- ni Tallier, gesuita francese, ed ebbe per primo protettore il car- dinale che fu poi Sisto V. Si radunò da principio nella chiesa de' santi Cosimo e Damiano, di poi in quella di san Giovanni della Pigna. Lo Scanarolo parla a lungo di essa nel lib. I, cap. III. Due altre pie società, la visita graziosa e quella di s. Giovanni decollato, sono occupate intorno ai carcerati. Eugenio IV nel i43i fondava la visita graziosa : i magistrati dell'ordine giudi- ziario e i procuratori dei poveri si recavano due volte il mese al- le prigioni, ascoltavano ciascun detenuto, esaminavano le cause, sminuivano le pene, componevano coi creditori i prigionieri per debiti , e mettevano anche in libertà alcuni rei, tranne quei di più gravi delitti e i recidivi. Quella di san Giovanni decollato, fondata del 1488 sotto Innocenzo Vili, assiste i condannati a morte dal momento che viene loro notificata la sentenza a quel- lo della esecuzione. Deve essere di toscani almeno di origine, perchè tali furono i suoi fondatori. Morichinì, Opera citata. (17) Teoria delle leggi della sicurezza sociale, tomo 3, pag. a38 in nota. (18) L. aut. damnum ff. de poen. (19) L. I, e. de custod. reorum. (20) Cost. LXXI de iud. crini. {21) Chi volesse an saggio del modo di procedere e delle a- trocità delle pene nei tempi di mezzo, potrà leggere il cenno sull'antica storia del foro criminale bolognese, che il signor Ot- tavio Mazzoni Toselli con molto savio divisamento ha pubblica- to. Noi apprendiamo che in quella sola città dal i'ìqS al i353, cioè a dire in 58 anni, 91 furono decapitali, 1 55 appiccati, 09 ab- bruciati vivi, 35 frustati, 91 mutilati e 5 piantati , ch'era una specie di pena, la quale consisteva nell'aprire una fossa e dentro cacciatovi col capo il reo , e quindi la stessa fossa rinterrata , ivi si lasciava morire soffocato. Furono pertanto in così pochi anni 402 l'esecuzioni capitali: e pure con rare e più miti pene sono, la Dio grazia, minori e meno atroci i delitti nei nostri tempi! Trassi le presenti notizie dello Scanarolo dal Tiraboschi, Scrit- tori modanesi ; dalla Ferrara d'oro imbrunito dell'ab. Antonio Libanori, dal Borsetti e dall'opera dello Scanarolo medesimo. 29 miManawawa Continuazione della rivista di lavori di medico argomento i del dottore Giuseppe Tonelli. Tentativo di un prospetto di medicina organico- dinamica scritto da Michele Medici M. D. pub- blico prof, di fisiologia nella pontificia univer- sità dì Bologna ^ membro ec. Bologna^ 1840. A. gV illustri medici italiani Giacomo Tomm asini ^ Maurizio Bufalini e Francesco Puccinotti è inti- tolato questo libricciuolo di poca mole, in cui il eh. Medici risguarJando la medicina, mercè delle opere dei medesimi, arricchita di moltissime ed utilissime cogni- zioni, pur discostarsi intende in alcune parti dagl'in- segnamenti di essi nello scopo che in queste pagine si prefigge. Forte egli credendosi in oggi nel possedi- mento di tale e tanta suppellettile medica da poter comporre wndi medicina organico-dinamica^ intende offrire al pubblico un prospetto di un'opera, cui bra- merebbe s'intitolasse Instituzioni od elementi di me- dicina organico-dinamica , la quale dalla sapienza de'medici italiani avesse compimento. In tre brevi par- ti divide il suo discorso: in parte fisiologica cioè, pa- tologica e terapeutica. Nella prima parte incomincia coll'adoperarsi in sostenere e persuadere, che la fisiologia forma la ba^ se di qualsivoglia medico edificio. La medesima non 3o. Scienze è soltanto dinamica; né il moto vitale può esser cau- sa dei mutamenti materiali propri delle diverse in- fermità. Estende anzi le sue ricerche ad altri della vi- ta sana, di una natura diversa da quella del vital mo« vimento , riposti nel continuo scomponimento e ri- componimento della materia del corpo vivo, e desi- gnati col nome generico di riproduzione organica: la- voro, se non interamente, per la massima parte chi- mico ed essenzialissimo alla vita, essendo esso il com- ponitore e conservatore del solido organico. Né il vi- tal moviménto regola l'organica riparazione, si che non venga esso da questa regolato e comandato ; cosa cer- ta sembrando, che la forza motrice de'tessuti sia insi- ta alla loro organizzazione e da essa dipenda, mentre questa è 1' effetto immediato della riproduzione. Or co testa attenenza come lascia intatta la natura e l'in- dole dell'atto generico riposto nel moto, cosi non nuo- ce alla natura dell'altro similmente generico della vita appellato riproduzione o riparazione organica. E da quell'attenenza medesima nasce che nella vita, tutto- ché composta di due atti diverbi, esista unità, quan- tunque si possa l'un atto esercitare senza l'altro. Così nel sonno gli stami carnei e nervosi degli apparecchi spettanti alla vita animale ottimamente si riproduco- no, non esercitando movimenti : anche i tessuti ossei, cartilaginei, tendinosi, aponevrotici, ligamentosi ec: e nel sonno e nella veglia si nutrono senza concepir moto : diversità evidente e chiarissima dell'eccitamen- to o moto vitale della riproduzione. E chi avventu- rasse il parere, che anche Tatto riproduttivo consista in un movimento delle organiche particelle, urtereb- be nello scoglio di confondere cose naturalmente di- stinte ; poiché è ben diverso il mutamenlo che iuler- Rivista medica 3i viene di continuò per entro i tessuti vivi, non aven- dosi i movimenti co'quali l'alto 4iiii^nico della vita si manifesta. Or nella stessa guisa che dallo studio dell'ecci- tamento o dinamismo naturale e delle sue leggi rica- vansi applicazioni alla patologia ed alla terapeutica, così l'atto vitale chimico-organico, ossia la riproduzio- ne naturale, somministra argomenti alla intelligenza della genesi dei morbi materiali e dell' azione pari- menti dei rimedi. Havvi anzi di più. Il dinamismo normale si limita a spiegare i morbi di; accresciuto p diminuito eccitamento, o ancor gl'irritativi insorti per aberrazioni di moto; ma le leggi della normale ripro- duzione fanno intendere come avvengano le pnalattie organico-chimiche di soverchia e di povera nutrizio- ne, e svelano la genesi dei morbi moltiplici derivanti dalle varie degenerazioni della materia organica , le quali si riferiscono al tipo naturale , al processo ri- produttivo cioè, siccome al loro fonte o principio. La conoscenza poi delle attenenze naturali fra i due ge- nerali atti di vita rende similmente palesi le attenen- ze fra i mutamenti preternaturali dell'eccitamento e della riproduzione, e ci rende in pari tempo ragione del come nascono i morbi composti, cioè organico- chimico-dinamici. lOlfMlil/ Posate queste premesse, emerge dimostrata lane-*, cessila della fisiologia come base di medico edificio. L'alterazione reale in una data infermità vien dal me- dico conosciuta in quanto che gli sono manifeste le diversità della parte sana dall'alterata; diversità, cui è impossibile che discuopra, ove ignori in antecedenza la natura e le azioni proprie della parte medesima. Che anzi senza la precedente fisiologica istruzione l'indo- 32 Scienze le del morbo riesce al medico occulta e misteriosa, e debb'egli contentarsi alle apparenze esteriori od ai sintomi, i quali, quanto sieno ingannevoli, non mon- ta il dirlo. Il corpo vivo e sano è quello stesso che ammala : le cagioni delle malattie non fanno che mu- tare nel più, nel meno, ed in certe qualità gli atti generali della vita sana, durando però sempre in que- sti la fondamentale loro natura. E perciò, se le ge- neralità delle malattie riduconsi all' aiterata ripro- duzione ed all'alterato eccitamento, è chiaro che ri- duconsi ai due alti medesimi, pei quali si ha e regge la vita; e se alcune infermità esistano, qual sarebbe a cagion di esempio la periodicità, da non potersi ri- ferire all'enunciate categorie, ciò vuoisi avere in conto di una eccezione. Ma non è già il raziocinio, è bensì 1' osserva- zione analitica degli alti fondamentali della vita, che dimostra ridursi tutti i medesimi e a movimenti dei tessuti ( eccitamento o dinamismo ), ed ad una pla- sticità, per la quale la materia continuamente scom- posta e perduta continuamente si ricompone e si ri- dona ( riproduzione ). Definisce quindi il Medici la vita: « Lo slato dei corpi, i quali si veggono e dura- no mercè deireccitamento e della riproduzione ». L* ulteriore analisi però ci svela, che ciascuna maniera degli atti suddetti risulta da due condizioni: dovendosi contemplare nei primi e un allitudine insita ai tes- suti, per la quale sono mobili ( forza motrice od ec- citabilità ), ed un agente estrinseco ai tessuti valevo- li ad indurli al moto (stimolo o potenza eccitante). I secondi all'incontro sono un effetto e di un' alti- tudine insita ai tessuti a rifarsi della perduta materia ( forza riproduttiva o plastica ) e di un agente abile Rivista medica 33 ad incorporarsi coi tessuti ed acquistare la loro na- tura ( agente riproduttivo o plastico ). Diverse son le leggi che governano queste due serie di atti vitali ; ed il N. A. qui le riferisce identiche a quelle già per esso pubblicate nelle altre sue opere, come nel com- mentario intorno la vita , nel suo manuale di fisio- logia. Ritengono gli odierni bruno-riformati, che la for- za vitale non può essere una cosa staccata dalla or- ganizzazione , e per se esistente : ed han confessato perciò quella forza risultare dallo stato materiale dei tessuti. Voglion peraltro collocata veramente la forza vitale nella eccitabilità o facoltà motrice dei tessuti medesimi: e la vita altro non è per essi che il sem- plice effetto dell'azione degli stimoli sopra quella for- za. Ma essi, soggiugne il Medici, non hanno data agli atti materiali di vita l'importanza, della quale son de- gni. Stabilisce egli pertanto, che gli atti materiali di Vita, cioè di riproduzione organica, così per loro natu- ra, come per le leggi dalle quali sono diretti, non am- mettono teoremi meccanici o fisici o chimici, coi qua- li suol rendersi ragione dei fenomeni operati dai cor- pi non vivi: ma si attengono sempre a certe speciali jregole, le quali appunto, perchè non si avverano se jnon se ne'corpi viventi, appellansi e appellar si deg- Igiono vitali. L'altra proposizione che stabilisce si è, jche la riproduzione organica è di tanta e sì imme- Idiata importanza e necessità alla vita, che se per po- ichi istanti si arresti , la vita è spenta. ]Nè rileva il dire, che gli atti materiali alla vita presuppongano i dinamici: poiché né manco questi potrebbono senza i materiali sussistere. Onde che senza quistionar di Ipresente intorno la preminenza degli uni piuttosto ' G.A.T.XCII. 3 34 Scienze che degli altri nel ministero della vita, basta ch'en- trambi posseggano vitali qualità e sieno entrambi im- mediatamente necessari alla vita. I medesimi tenen- do sempre la natura lor propria, di essere cioè sem- pre l'uno un atto risguardante alla plasticità della materia organica, l'altro al moto dei tessuti, vengono modificandosi dapprima nei quattro grandi sistemi del corpo, nel nervoso , nel vascolare , nel muscolare e nel celluioso, e poscia nei vari organi che dalla va- ria riunione di quelli hanno nascimento. PARTE PATOLOGICA. Premessa la definizione della malattia, nella sua massima universalità, per un deviamento del modo di essere e di agire delle parti del corpo dalla naturale norma, fa conoscere che per l'azione delle varie cause morbifere può sommamente differenziare cotesto deviamento. Così se restino offese da quelle le qualità fisico-meccaniche delle parti, illesi restan- do gli atti di vita alle medesime appartenenti, si a- vranno i morbi meccanici od instrumentali , locali senza tendenza a farsi universali. Ma se ledansi il processo riproduttivo e l'eccitamento senza che ven- gano alterate l'esterna configurazione, il collocamen- to, la connessione, la continuità ed altrettali condi- zioni di un organo, ne scaturisce la seconda branca di morbi concernenti la vita, e che vengono risguar- dati locali con tendenza a divenire universali, se pu- re alcuni di essi non sono in origine universali. Po- sata questa più alta e general divisione di morbi, s' interliene il Medici in alcune considerazioni dei mor- bi concernenti gli alti vitali, come cosa, la quale for- Rivista medica 35 ma la parte precipua di una patologia organico-dina- mica. Dichiarando qui di continuare ad intendere i vocaboli organico e dinamica nel senso fin qui da esso lui usato, imprende brevemente ad esaminare le idee professate intorno questo punto di patologia e dai dinamisti bruno-riformati, e dai fautori della pa- tologia organica, e da coloro i quali hanno saputo as- sociare insieme alcuni pensamenti degli uni e degli altri: proponendosi di aggiugnere quelle modificazio- ni, delle quali a lui sembra che abbisognino coteste dottrine. Evitar volendo però la ripetizione delle cose per lui scritte nella seconda delle sue Lettere fisio- logiche ec, pianta in sulle prime la proposizione , che la moderna dottrina circa le diatesi sembragli in- sufficiente a dare adequata ragione di una generazio- ne di morbi materiali, come per le migliori dotti'inc e fisiologiche e patologiche si deggiono pure ammette- re. Varie maniere di prove adduce per dimostrare co- testa insufficienza, e la incongruenza pur anco della classificazione. E sul conto di quest'ultimo asserto ta- cer non vogliamo delle due ragioni, con le quali il fisiologo bolognese sostiensi. N'è la prima, che l'or- dine delle malattie diatesiche, come vengono ammesse dai dinamisti, è uno dei tronchi maesiri dell'albero nosologico: il quale non regge. Poiché le malattie dia- tesiche sì per la divisione loro in diatesiche di sti- molo e di controstimolo, e sì per le qualità dei ri- medi co'quali si deggiono curare ( o deprimenti o ec- citanti ) rispetto all'essenza loro, vanno a confondersi colle adiatesiche, sottoposte alla stessa divisione, e cu- rabili coi medesimi medicinali argomenti. L'altra ra- gione si è, che le malattie chimico-plastiche, ridotte ai loro veri principii, anziché occupare gli ultimi luo- 3G Scienze gUi nel quadro nosologico, primeggiar dovrebbono e coulendere di eguaglianza con (juelle cbe consistono nell'alterato moto: e sarebbono anzi elleno le quali a preferenza delle altre meriterebbono il nome di dia- tesiche. Scendendo poi il Medici a scrutinare la pato- logia organica dell'Ili. Bufalini, infra le varie animad- versioni vuol ricordato, che (conceduto In tutte quan- te le malattie esistere un vizio nelForganizzazlone ) eembiagli il medesimo nelle malattie materiali tanto diverso da quello dei morbi di movimento, da dover- sene formare due distinte categorie. Nei morbi di me to infatti il vizio che nasce nella organizzazione sem- bra un semplice mutamento nella positura e nella di- sposizione delle particelle e delle fibrille , ed in al- trettali amminicoli dei solidi organici; può nascere e nasce istantaneamente dalle cose toccanti il solido vi- vo, ossia dall' azione loro stimolante ; né ha durata necessaria, potendo riordinarsi e finire appena nato. Il vizio all'incontro nei morbi materiali è più o men duraturo, ed alle volte non riordinabile; offre aumen- tata, o diminuita, o pervertita plasticità; si genera a poco a poco, e mercè degli agenti che penetrano in- timamente i tessuti e con essi si combinano. Il pri- mo offende sempre il moto : l'altro il processo nutri- tivo o riproduttivo dei tessuti. Data quindi a questo discorso una conveniente dilucidazione, e mostrata la necessità di non doversi escludere i morbi dinamici, tanto più che lo studio pratico della vita sana ed in- ferma conduce ad ammettere il dinamismo, s' impe- gna il Medici in proporre una conghletlura per ten- tar di scoprire la causa da cui il dinamismo deriva, o almeno il modo col quale nasce. iSon v'ha dubbio, Rivista MEorcA 3 7 egli (lice, che ne'iiomponiinenli e negli scomponimen- ti della materia non sogliansi sviluppare gl'imponde- rabili, il calorico , 1' elettricità , la luce e il fluido magnetico, se pure non sono essi modificazioni varie di una cosa sola. In ogni punto del corpo vivo deg- giono svolgersi gì' imponderabili, e specialmente l'elet- tricità: alla quale, tuttoché efficacemente operativa nel -< le materiali permutazioni organiche, negar non poten- dosi un modo di agire polare o dinamico, avranno in- siememente luogo nel corso della vita il processo ri- produttivo e tutte le segrezioni. Così, durante la vi- ta, nello stesso tempo che la materia organica sem- pre si scompone e ricompone, acciocché l'organizza- zione conservi la sua integrità, nel medesimo gl'im- ponderabili, che ne prorompono, mediante l'azione lo- ro polare o dinamica, conciliano agli stami organici stessi la facoltà di concepii'e movimenti. I quali mo- vimenti appunto per essere e nel loro nascere e nel propagarsi e nel cessare istantanei e pronti e sicuri, quantunque gl'ingegni, che li risvegliano , non ab- biano uopo di contatti immediati , sembrano effetti della virtù degl'imponderabili. La commemorazione da ultimo della patologia del eh. Puccinotti viene accompagnata da giuste lodi al suo rispettabile autore: cosicché dopo averne de- scritto il quadro di classificazione, lo appella quadro nosologico seducente, nel quale brillano colori di bel- le verità. Varie mende pur vi coglie il Medici: ed innanzi tutto non sa persuadersi , come le malattie meccanico-organiche e le dinamiche sieno propagini di un medesimo tronco: formino cioè il primo ed il secondo ordine della prima classe dei morbi dal Puc- cinotti appellali etiopaiie^ morbi cioè che sussistono 38 Scienze per la pi'esenza della loro causa. Pensa il Medici , che una patologia etiologica, la quale cioè faccia ar- gomento massimo, se non unico , dello studio della natura e delle differenze essenziali dei morbi le cau- se morbifere, non sia preferibile alle altre. Slimereb- be anzi meglio, che le differenze dei patologi si di- rigessero a scoprire, quanto si può , in che consista lo stato morboso per se medesimo : avvegnaché per aggiungere questo scopo, l'esame delle cause recar pos- sa giovamento. E siccome, anche per confessione del- lo stesso prof. Puccinotli, le malattie meccanico-or- ganiche sono alterazioni di forma, e le dinamiche ir- regolarità e sproporzioni di moti, e perciò ninna a- nalogia aventi fra loi'o ; così vorrebbe il Medici ve- dere distinte di posto le une dalle altre , e rilegate le ultime a piìi giusta distanza, onde porsi in rela- zione con altre. Trova egli del pari incongruo il col- locare le par ae steste, ossia le alterazioni di proces- so sensitivo, fra i morbi chimico-organici comuni; al qual uopo richiamando altre già sparse fisiologiche no- zioni, intende più oltre spingere le indagini affin di ricercare qual indole abbia per se la sensazione, se cioè sia un' opera dinamica, ovvero chimico-organica. E rammentando esser dimostrato, ministrare i nervi nel senso e nel moto muscolare volontario, ed operare si nell'uno e sì nell'altro con sorprendente prontezza e rapidità; ne trova più agevole la spiegazione colla idea di un immediato ed istantaneo movimento insorto nei nervi, il quale velocissimamente si propaghi e corra dall'estremità nervose alle parti superiori del sistema nevveo e da queste a quelle. Ciò equivale al dire che i nervi compiano dinamicamente i due suddetti atti; e se il mezzo ne fosse l'elettrico, aggiugnerebbesi aver Rivista medica 3q luogo un dinamismo clrltrico , tanto più che sotto tanta rapidità non saprebbe idearsi alcun processo cliiraico-organico , il quale, nato all'estremità di un nervo, in un attimo si ripetesse e proseguisse fino agli organi cerebrali: o nato in questi, in men che non si dice, ai piìi distanti luoghi del sistema nervoso si propagasse. Sembra dopo ciò ancor più ragionevole l'opinare, che le varie nevrosi, consistenti in altera- zioni dell'azione sensoria e della motoria dei nervi, possano essere morbi dinamici. Il che viene altresì suggerito non solo dagli studi sopra gli atti fisiologici propri dei nervi , e dall'applicazione loro allo stato patologico; ma eziandio dal modo le tante volte istan- taneo del loro invadere, dalle vicende somme del lo- ro andamento : particolari che assai meglio ai morbi di movimento si addicono, di quello che a malattie costituite in un processo chimico-organico. Ed egualmente sotto aspetto dinamico opina il N. A. potersi ravvisare l'altra azione dei nervi, per cui prendono essi parte alle funzioni degli organi interni: sul quale argomento molta lode seppe procacciarsi nel- le sue Ricerche anatomiche e fisiologiche sopra il nervo intercostale, siccome già vedemmo in queste carte. Sotto aspetto dinamico, ripetiamo: sembrando al signor Medici, che anche in questa or discorsa ma- niera d'innervazione abbia luogo una irradiazione o influenza di un principio tenuissimo ed attivissimo, o elettrico od analogo all'elettrico, esalante dai ner- vi interni e comunicato agli organi esecutori delle fun- zioni organiche. In sequela di queste e di altre fisio- logiche nozioni dilucidate nelle memorate Ricerche^ ed in parte or qui ripetute, è di avviso il N. zV., che anche le nevrosi del simpatico od interne ponno ave- 4o Scienze re dinamica natura: ponno cioè consistere semplice- menle in una o tolta, o diminuila, od esuberante, od in qualsivoglia altro modo turbata irradiazione od in- fluenza elettrica. Ma se ad esse conseguitano morbi organico-chimici ledenti gli organi iaterni, sono essi effetti nuovi e diversi, i quali voglionsi distinguere dall'alterazione che li partorì: potendo benissimo av- venire, che una causa o condizione dinamica contri- buisca ad un chimico effetto. Fa stima perciò il fi- siologo di Bologna , che il sistema nervoso può in- fermare ne'due generali modi, nei quali vengono of- fesi gli altri sistemi del corpo: dinamicamente cioè ed organicamente. Tai riflessioni però, conchiude il IN. A., non sono che dubbi , i quali dalla dottrina e dalVingegno del prelodato professore verranno , siccome nebbia al sole, dileguati. Dato così compimento a tali rispettose censure verso il valente prof. Puccinotti, discende il slg. Me- dici a segnare le linee principali di una classificazio- ne di morbi, lasciando a'più esperti di lui ( siccome modestamente si esprime ) l'impresa di proporre una completa classificazione, che possibilmente quadri coi principii di una medicina organico-dinamica. Ecco il compendio della divisione proposta dal Medici. In due grandi classi divide pi'imieramente i mor- bi, cioè: I.^ Meccanici od instrumentali : 11.^ Altera- zioni degli atti generali della vita. Delle suddivisioni della prima risparmia occuparsi, perchè non formanti il suo scopo, e perchè esattamente registrate nelle pa- tologie del Bufalini e del Puccinotti. In due ordini divide la seconda classe; i.° Malattie organico-chi- miche, essenza delle quali si è un mutamento pre- ternaturale nella composizione chimica dei tessuti e Rivista medica 4t tiegli umori, accompagnalo più o meno da altro pre- ternaturale mutamento più o meno slabile nella for- ma, nella positura e nelle aderenze delle minime par- ticelle integrali del solido vivo : 2.° Malattie dinami- che, alterazioni cioè dell'altro atto generale della vi- ta, vale a dire del moto dei tessuti. Ciascun ordine comprende tre generi: 1.) malattie dipendenti da 50- verchio processo riproduttivo procacciato da sover- chia plasticità del sangue e del solido vivo ( p. e. in- fiammazioni acute e croniche ) : 2. ) diminuito pro- cesso riproduttivo ( stato opposto del precedente; p. e. febbri etiche, labi, marasmi ec): 3.) processo ri- produttivo viziato, o pervertita tempera o crasi e dei solidi e degli umori', genere il più copioso, per- chè rinchiude tutti quei morbi che offrono caratteri diversi di specificità, come per es. i dinamico-chi- mici e i dinamicO'plastici ammessi dal Tommasini; molti ordini dei chimico-organici e le cacotrofie del Bufalini, e le malattie chimico- organiche-specifiche del Pnccinotti. Generi dell'ordine II.''; i.) morbi di eccedente moto vitale ( dinamici adiatesici da ecces- so di stimoli, di Tommasini ); 2. ) di stremato o de- presso moto vitale (dinamici adiatesici da difetto di stimoli, dello stesso ); 3. ) di aberrazioni o irrego- larità nei moti vitali; p. e. gl'irritativi. Propende a far appartenere le nevrosi a tutti i sei or enunciati generi; e soscrivesi all'opinione di Tommasini nel ri- porre fra le dinamiche infermità le intermittenti gè- nuine, i morbi d'' imitazione, e quelli di abitudine, o per io meno quelli infra essi che hanno sede ne- gli organi spettanti alla vita animale. Finalmente mol- te malattie n'esistono e dell'una e dell'altra maniera delle principali alterazioni, le quali perciò meritano il nome di organico-chimico-dinamiche. ^a Scienze PARTE TERAPEUTICA. Ridurremo sommariamente per ragion di brevità questa parte ai principali concetti. L'analogia, il ra- gionamento e l'esperienza permettono di pensare, che i rimedi, universalmente considerati, hanno un dop- pio modo di agire : incorporandosi cioè cogli umori e coi tessuti : inducendo in questi ultimi un movi- mento. Quindi ragion vuole, che quando gli agenti medicinali posseggono le opportune condizioni e di qualità e di quantità, procaccino la guarigione ricom- ponendo l'assimilazione e conseguente riproduzione, e riordinando i movimenti. Risulta dall' esperienze , che molte sostanze medicinali o applicate all'esterna superficie del corpo vivo, o introdotte nello stomaco, o comunque fatte penetrare sotto l'epidermide, ven- gono assorbite, trasportate all'interno e mescolate co- gli umori e coi solidi. Venne ciò assai dottamente di- mostrato dal Rufalini, e recentissimamente da Orlila, con infinito profitto della medicina forense. Gravi dub- bi però nutre il Medici, perchè abbia a porsi come slabile principio il trasporto materiale dei rimedi, ad esclusione della così detta diffusione di azione o d' impressione sopra i nervi. V ha delle potenze do- tate di un azione assai rapida e fuggevole, tostochè applicate sieno al corpo vivente. L'elettricità, il ca- lorico e gli altri imponderabili non abbisognano di vasi assorbenti, onde penetrar le fibre sohde, colle qua- li orditi vengono i tessuti, ed aggirarsi velocissima- mente entro il corpo : similmente operano alcune so- stanze medicamentose, come l'acido idro-cianico con- centrato, l'ammoniaca, gli eteri ec. ; le quali dotate Rivista medica 4^ essendo Ji gramlissiraa forza espansiva, pure agiscono alla foggia degl'imponderabili, o mediante imponde- rabili da esse prorompenti. INè essendo fin qui deciso, se gVimponderabili stessi sieno cose materiali tennis- sime, ovvero efficienze, o vibrazioni, o moti dei cor- pi, lasciano luogo a credere che agir possano per dif- fusione di azione : il che equivale a dire dinamica- mente. Siccome v' ha certi morbi , nei quali l' im- pasto organico non è pervertito, e lo stato preterna- turale consiste solo in un alteramento di moti orga- nici; così l'esperienza insegnando venir risanati que- sti morbi da certe potenze, ne conseguita che a que- ste contrastar non si possa virtù dinamica, mentre pel soccorso di altre si muta la composizione chimica delle parti fluide e delle solide. Fluiscono da ciò due ordini della classe contenente le potenze opportune nei morbi degli atti vitali , cioè potenze medicinali dotate in generale dell'azione organico-chimica e del- l'azione dinamica. Primo genere dell'ordine L°, i ) Potenze, le quali direttamente accrescono la pla- sticità del sangue e del solido vivo ( opportune nei morbi dipendenti da menomata ripai\azione vitale; nu- trienti, ingrassanti^ ec. ); 2.) Potenze, che spiegano un effetto contrario diminuendo direttamente la pla- sticità del sangue e del solido vivo ( indicate in tutte le malattie di soverchiamente rigogliosa riprodu- zione vitale, p. e. nelle infiammazioni, etìme subaci- di, sali o neutri o alcalini ec. ); 3. ) Potenze , che correggono le viziate qualità degli umori e del solido vivo { p. e. antivenerei, antipsorici, antiscor- butici ec. ). Tre pur sarebbero i generi del II." or- dine. Genere i.) Eccitanti o stimolanti { Mao ^ li- q[uori, eteri, aromi ec, ai quali compete la facoltà di 4/|. Scienze rinvigorire i moti vitali illangtiiditi ); 2.) Dehilitanfìt refrigeranti, deprimenti, controstiinolanti ( in op- posizione agli eccitanti ; sali medi; tutti i preparali operanti in virtù dell'acido idro-cianico ; la digitale ec. ); 3. ) Controir ritanti ( che per verità non au- mentano, ne diminuiscono l'universale eccitamento , ma invece lo liberano da certe irregolarità od abuor- malità, dalle quali è conturbato : tali sono tutti gli epispaslici, le frizioni, ec). Aggiugner giova a questo novero, che alcune po- tenze medicamentose dinamiche sieno fornite di un azione particolare ed elettiva, avvegnaché per alcuni scrittori cotesta azione non appartenga se non se ai rimedi operanti in modo organico-chimico. Da ulti- mo, come si danno malattie composte, cosi è che mol- ti rimedi posseggono più di una medica virtù; agisco- no cioè e in modo organico-chimico e dinamicamente. E ben nota l'altissima importanza dell'argomento fìnquì trattato dal valente fisiologo di Bologna : ed è ben nota la sapienza del medesimo per le tante ed interessanti opere da lui date a luce , le quali me» glio di qualsiasi elogio parlano in sua lode. Oltre la dottrina però, nel presente lavoro rifulge forse più clie negli altri la modestia di lui pel modo con cui si esprime nel proporre la discorsa classificazione; e sin- cero tributo di lode egli merita per le cure e per l'im- pegno adoperati nel tentativo delle modificazioni dei divulgati pensamenti altrui, opponendo rispettosi ra- gionamenti alle parziali opinioni che non credette di accarezzare. Ma l'avviso del Medici non parve ad al- cuni opinione da dovervisi acquietare : e sembrò ad al- tri ragionevol cosa il giudicarlo caduto in erramenti. Siccome per altro col suo modesto linguaggio lascia Rivista medica. 4^ egli sponlanpo prudentemente dei dubbi sull'argomen- to; cosi lai circostanza non ci permette ingolfarci in serio esame. Nel tempo istesso però non ci parrebbe lontano dal vero, ne ingiurioso per il sommo N. A. il divider 1' opinione col perspicace ed egregio cav^ De Renzi, il quale poche e gagliarde animadversioni sparse sul proposito nel suo Filiatre per l'aprile 1841. E tanto più ardiremmo confermarci in tal divisamen- to, quanto che dopo le sì distinte osservazioni, belle sperienze e gravi illustrazioni, che il Medici stesso ci ha regalate intorno il gran simpatico, scorgiamo ora elle parte soverchiamente umile verrebbe da lui mede- simo ro'suoi dettati a concedersi all'urdine dei nervi. Mossi d'altronde come siamo dalla sollecitudine del patrio italico decoro ci congratuliamo col chiaro Medici, perchè co'suoi lodevoli sforzi, che ammiria- mo, è concorso per un lato a dar nuovo ornamen- to alla dottrina medica organica, la quale nata e fon- dala in Italia, promossa e coltivata in Italia, si ten- terebbe forse da industre mano estera rapircisi. Tal dottrina infatti, adottata e sostenuta recentemente da Rostan, è quella stessa, che ventisei anni or già sono pubblicava il patologo di Cesena ad istruzione dei me- dici italiani, siccome giustamente rammentava l'eru- ditissimo cav. Speranza in una sua lettera al precla- ro Folchi prof, romano Sulla dottrina organica ec, inserta nel voi. XVI degli annali universali di me- dicina di Milano. Grand'opera allo stabilimento del- la medesima dottrina hanno dato singolarmente in bre- ve giro di anni i Puccinotti, i Medici, i De Renzi (*), (*) Pensieri sulla patologia generale, ec. Napoli, i836 e iSSj. 46 Scienze le patologiche scritture dei quali ampia testimonianza ne rendono. Ed anzi un battaglione di medici potreb- be con buon diritto sostenersi che militi oggi sotto i vessilli della medesima, che ricca ( siccome si espres- se il prelodato prof, parmense ) àeWosservato e del- l' esperimentato diventa degna di fede scientifica e clinica. « Solo che dessa ( egli prosiegue ) non ha la » pretesa di dettare leggi generali ed inconcusse: poi- » che ogni malattia esige speciale osservazione, spe- )) ciale analisi, speciale giudizio, a segno di non po- M ter fondare massime generali ed invariabili, le quali » d'altronde non reggono con veruna dottrina. » E della verità di quest'ultima asserzione emerge lumi- nosa conferma, tosto che riflettasi per poco alle men- de rinvenute da parecchi giornalisti e scrittori nel su contemplato Tentativo del dotto fisiologo di Bo- logna. Chiuderemo queste linee con dire, che men- tre vorremmo esprimere il nostro voto, perchè com- piuto venisse il desiderio esternato dal Medici per la compilazione del suggerito corso iV Istituzioni^ ci pro- testiamo attendere dal medesimo, che colla solita sua docilità nelle grandi contese letterarie voglia, mercè del suo sopraffino ingegno, le concepite difficoltà ed apparenze di contraddizioni dileguare, come nebbia al sole, per usare una frase da lui stesso adottata. TONELLI. 47 Specimen bryologiae romanae auctore Elisabetha Fiorini Mazzanti academiarwn horticult. bru- xellen. reg. scientiar. taurinens. aliarumque socia. Romae tjp. Crispini Puccinelli^ 1841 » in 8, di facce 56. Mn questo giornale ( tomo LI, pag. 3 ) s' inserì il primo saggio di briologia romana. La 2.^ edizione, di che tengo parola, va adorna non solo di aggiunte e di correzioni utilissime, ma si può considerare come una novella filosofica compilazione della medesima. Ed in primo luogo vuoisi lodato il tenerissimo animo del- la signora Fiorini-Mazzanti, che intitolò questo scrit- to a due illustri naturalisti italiani, Giovanni Battista Brocchi ed Ernesto Mauri di cara ed onoranda me- moria. L'autrice non è soltanto amante della botanica, come suole il bel sesso : bensì con operosa attività giova alla scienza col raccorre ed illustrare la sto- ria delle piante indigene , come mostrò nella No- tizia sopra poche piante da aggiungersi al pro- dromo della flora romana ( giornale arcadico tomo XVIII, p. 161 ), collo studiarne i caratteri, come ha dottamente fatto nell'ordinare la briologia romana, ove serbò una savia temperanza linneana, adoperando fra- si chiare e forbite. Le oltramontane scuole, ed in ispecie le germa- niche, con infinite ed inutili sottigliezze si adopera- rono in modo nello studio della briologia, che inve- 48 Scienze ce di descrivere parti che esistono, ne vanno imma- ginando e supponendo; per lo che i loro studi, piut- tosto che utili, dannosi riescono al progredimento del- la scienza. Quindi li vedi, anche per ridicola pom- pa di farsi scopritori di cose che non esistono, crea- re specie novelle ne'loro gabinetti, dividere e suddi- videre, e tanto raelafisicare sopra oggetti i quali cadono sotto i sensi, che diviene una vera tortura lo studio delle scienze naturali di loro indole vaghissime ed amenissime, E questa è la falsa strada che si segue dalla maggior parte de'naturalisti. Valga il buon'esem- pio dell'autrice, in tanto travolgimento, a riporli nel diritto sentiero. La definizione delle famiglie rinchiude concisa- mente tutti gli essenziali caratteri: e intorno agli or- gani della riproduzione l'A. esprime essere più a sup- porsi di quello che ad osservarsi. E la cosa è così, stante la loro invisibilità : ed in ciò si è dipartita in- teramente dall'uso de'briologi, fondandole unicamente sulle ipotesi. Forma della briologia quattro classi, poggiandole sul carattere dell'orificio dell'urna : cioè sull'assenza o presenza, sulla nudità, semplicità o duplicità del- l'ordine de'suoi denti o ciglia; onde cistomi, gjinno- stomi, aploperistomi, diploperistomi. Queste classi vengono poi suddivise in varie tribù stabilite sulle af- finità de'caratteri, che ella ha procui^ato di ravvicina- re. Ad ognuna di loro segue una definizione genera- le: e quindi discendendo ai generi, ne viene altra par- ticolare: e questi, per lo più assai ristretti, ne com- prendono altri degli autori, e quando di lor natura estesi, li divide ancora in sezioni: e lungi dal segui- re l'attuale frenesia (si ripeta ancora) di formare sem- Specimen bryoi.ogiae 40 pre nuovi generi e nuove specie, prendendo a calco- lo le più lievi variazioni accidentali, ella di frequen- te quesle distrugge, riportandole al loro tipo. Né in ciò punto si arresta all'autorità degli autori: ma pro- cedendo colla guida dell' osservazione , ne rende ra- gione in ogni caso. E brevemente accennando ciò che ha operato in esso lavoro dirò, che nella tribù delle Gjmnostoidee vi sono eleganti specie, come il Gymnostoinum cur- visetum^ il G. calcaveam, al quale opina doversi ri- portare il G. gvacillimum^ il G. calcareum ed il G. tenue. Vi ha collocato il genere Tetraphis, riferendo air operculo adnato entro l' oriftcio , i quattro denti triangolari ne'quali è diviso, e non già al peristoma. In quella delle Trichostomoidee riferisce al genere Tortala gli alti-i della Bavbida,Sjntrichia^ Trlcosto- mum, Dldfmodon degli autori, prendendo a norma l'abito esterno e la disposizione spirale del peristomioj e varie specie che ha soppresso, riportandole al loro tipo, come sono la Tortala unguicolata, paludosa, e gracilis alla tortala fall ax\, la T. revoluta horn- schachiana alla T. convolata: la caespitosa alla mU'- ralis; la inermis alla subalata. In questo genere nel- la sezione delle Caespitosae ha annoverato una nuo- va specie, ed è la T. calcarea. Il suo Trichostomuni comprende Vanacaljpta e la welssia degli autori; ed al Tr. trifariam riporta come varietà il Tr. topha- ceum Brid., e il lineare di Smith. Nel ben definito genere Desmatodon sono posti il Didymodon apicu- latam Arn., e la weissia affinis Hook e Tayl. Nella classe Aploperlstomi tra le Grimmioidee è collocato il genere Orthotrichum : e giustamente, avendo con esse la massima affinità. Alla Funaria hjgrometrica G.A.T.XCII. 4 5o S e ne N z E vengono riferite come varietà la F. midcmhergii e la F.fontanesii. Nelle Brioìdee interessanti sono va- rie specie, e principalmente il B. TVaklenbergii^ Bil- iardieri e il latìfolium. Sono compresi nelle ipnoi- dee tutti i muschi serpeggianti, e vi si segue lo stes- so metodo: e nel genere Hypnum si distinguono prin- cipalmente VHypnum rotundifoliam , il velutinum ^ il tenelluìriy lo Schleicheri j3 tenellum, ed in ultimo lo stellatam coll'addizione di una nuova varietà. Al- le frasi specifiche succede sempre una concisa descri- zione con osservazioni molto acconce. Le quali cose mostrano quanto filosofico sia il lavoro dell'A., e come ella ineriti seggio distintissimo tra i cultori della Jiotanica. E questa sia novella prova alle tante solenni, che pur vi sono, di quanto il deli- cato sesso possa giovare le scienze, le lettere e le arti belle. Sì ponga fine una volta a dire tante imbecilli co- se contro il sesso gentile: e sia cura del forte diri- gere pe'nobili sentieri la parte più cara dell'uman ge- mere, e ne avremo risultamenll nobilissimi e tali da giovare sommamente al progresso della vera civiltà. ENaico Castjueca Brunetti, •»«««• 5i i^i^TTmm^TvmA Intorno iena lapide consolare cristiana appar- tenente alla s. martire Fortissima, la quale in- sieme colle sacre sue ossa conservasi nella perinsigne basilica di s. Marco di quest'alma città. Dissertazione letta nella romana accade- mia di archeologia dal socio onorario monsi- gnor Domenico Bartolini cameriere d^onore di Sua Santità e canonico della prefata basilica. F ra i documenti, de' quali abbisogna l'archeologia sì sagra e sì profana per illustrare le persone, i tem- pi, i luoghi, per rintracciare 1' epoche e confermare l' istorie , tengono certamente un nobile e precipuo rango V epigrafi. Questi preziosi sassi, sempre vinci- tori degli anni e della barbarie, hanno servito presso ogni nazione come testimoni perenni dei più rimar- chevoli eventi. Questi posti all'avello di un defonto ne tessono la vita, e ne rimarcano i pregi, gli ono- ri, le imprese : questi collocati su di un trofèo, o al- la base di un obelisco, o ad adornamento di un arce» di trionfo, rammentano ai posteri il valore del con- quistatore, l'obbrobrio de' vinti, le prede della vitto- ria. Su di loro innalzati i simulacri riconducono a memoria le illustri geste di que' magnanimi , a cui 5-2 Letteratura voline quell'onore destinato. Per mezzo loro ì fatti stoiieijche rimanevano dubbi ed oscuri, acquistano una luce vivissima di verità; e l'epoche e le circostanze che sembravano essere fra loro sì disparate, contra- rle, ed oppugnanti, si possono per mezzo loro com- binare, comporre, dlscbiarare. Dubitavano a'nostri dì variamente fra loro gli archeologi su la colonna che ergesi isolata nel foro romano; ed altri la volevano avanzo di antico tempio , altri rudere d' importante edifizio, altri altre cose pensavano; ma l'epigrafe re- centemente scoperta fé vedere che ninno avea colto nel punto , e che quella colonna era un trofeo in- nalzato all'imperatore Foca in memoria delle sue guer- resche conquiste. Vedesi \^^ nella via Appia quel gran- de avanzo di circo; chi il volea edificato ai tempi di Antonino CaracalU, chi nell'in^pero di Valentiniano: si fecero l'escavazioni, comparve l'epigrafe, che in ori- gine fu collocata sull'ingresso del circo, e fé cono^, §cere a tutti, che a Homolo figlio di Massenzio deve ascriversi quel monumento. Ma se dalle epigrafi l'ar- cheologia profana acquistò cognizioni sì importanti ; che diremo delle scoperte interessantissime ohe per mezzo loro ha ottenuto la sacra archeologia ? L'epi- grafi de'martiri Gaudenzio, Alessandro e Mario ci han- no somministrate le anni , onde combattere contro Podwello difensore acerrimo del poco numero de'raar^ tiri, e fargli toccare con mani che sotto l'impero di Vespasiano, di Antonino, di Adriano fu sparso il san- gue dei cristiani; lo che impugnava il protestante av» versarlo, fidato nella mansuetudine q benignità di que- gli imperatori verso i nostri maggiori, i quali pur trop- po aveano saputo rendere odio per grazia, supplicio In luogo di premio ! L' epigraftj singoUu'issima delU Lapide cristiana 53 martire Severa lia t'aito vedere che l'imperatore Clau- tlioj c'Jiiamato il Goto, infierì contro i seguaci del Sal- vatoi-e. L'antico marmo greco trovato sono due anni in Agustoduno di Francia ci svola contro ai prote- stanti l'immutabilità de' dogmi nella chiesa cattolica spezialmente ne'due grandi sagramenti del battesimo e dell'eucaristia, non che l'efficacia de'suffragi per le anime de' trapassati. Così benanche, o col leghi, l'epi- grafe preziosa, che in questo onorevole vostro conses- so oggi mi accingo ad illustrare, ci presenta a prima vista due cose fra loro contrarie: cioè , persecuzione in tempo d'imperatori cristiani, martirio in tempo di pace. Io primieramente farò rilevare la genuità dell' epigrafe , e dirò poche cose sul nome della martire che ne forma il subielto, sulla elocuzione e sui segni dell'epigrafe stessa ; poscia in secondo luogo vi ad- dimostrerò l'epoca a cui rimonta l'iscrizione, e l'oc- casione che die luogo al martirio dell'eroina ivi de- scritta. E così in tal modo verranno a comporsi questi due termini sì disparati e contrari. Incomincio. L'amplissimo e celebratissimo cimiterio di s. Ci- riaca è quello, d'onde fu tratto il corpo dell'inclita martire , la cui epigrafe forma il soggetto della mia illustrazione. Lo dissi amplissimo, perchè ninno è giun- to mai a percorrerlo da per tutto , e a misurare la sua estensione ; lo stesso Bosio eh' ebbe il vanto di rintracciarlo in gran parte, e cui nelle cimiteriali in- vestigazioni niente fuggì dall'occhio senza essere da esso osservato: come tocco con mani io stesso men- tre mi aggiro in quelle grotte , e spessamente sem- brami di averne trovato qualche cosa nuova e da niun veduta, quando svolgendo la sua Roma sotterranea, o pure osservando il suo nome scritto nelle pareti 54 Letteratura ini accorgo che l'Ita veduto il Bosio; questo personag- gio, dico, ci assicura della sua straordinaria grandez- za e magnificenza, cui concorda il Boldetti, il qua- le quasi disperando di tutto perlustrarlo lascia a'suoi posteri r onore di farne più ragguardevoli scoperte. Questo cimiterio è situato un miglio in circa nella via tiburtina, e fu scavato in un ricco podere detta agro verano, che apparteneva all'illustre matrona o martire s. Ciriaca nostra concittadina. Lo dissi cele- bratissimo per lo stuolo innumerevole de'martiri qui- vi sepolti, fra'quali tengono il primo luogo l'incli- to martire s. Lorenzo il levita, e i ss. Giustino pre- te, Ciriaca fondatrice di esso, Ippolito vescovo di Por- to, e r altro Ippolito, che die il suo nome ad una parte di questo arenario col suo glorioso sepolcro , onde sì disse coemiterium s. Ippoliti: come avveni- va in quel tempo, che quella parte di catacombe, ove si seppellisse un martire rinnomato, prendeva il no- me da esso, abbenchè questa non fosse che una se- zione di un intero cimiterio, che aveva la sua pro- pria denominazione. Crebbe di molto il lustro di que- sto cimiterio per la sontuosa basilica, che Costanti- no il gi'ande vi fé sopra costruire in onore del gran martire s. Lorenzo ivi sepolto, e che tuttora vene- riamo come uno de'più santi ed antichi monumenti di Roma cristiana. Ora facendosi in una parte di esso cimiterio da' fossori le consuete annuali escavazioni per rintracciare le tombe de'martiri, che in gi-an nu- mero popolavano quella parte di Roma sotterranea, nel febbraio dell'anno lygS apparve un loculo col Vase di sangue murato all'esterno, e con l'epigrafe, che ne cbiudea l'apertura, e di cui, o colleglli, vi presento un esemplare. Essa è la seguente : Lapide cristiana 55 Deposita in pace Xff kalendas septembres FORTISSIMA considihus Timasio et Promòto viro durissimo. Un tale Luigi Lazzarini, che avea la direzione della stamperia camerale, amantissimo, come egli era, di acquistare reliquie e corpi de'ss. martiri per arricciar- ne il suo domestico oratorio, avuto ch'ebbe notizia dell'invenzione di questa martire, ch^ avea indicato nella sua lapide il giorno e l'anno del martirio, ot- tenne da monsignor Cristiani, sagrista pontificio e suo buono amico, che a lui venisse quel corpo donato. Perocché egli medesimo recossi al cimiterio di Ci- riaca togliendo a compagni vari illustri personaggi e periti nella sagra archeologia , fra' quali è degno di particolare menzione il chiarissimo ed eruditissimo abate Francesco Antonio Zaccaria, il cui solo noine è superiore a qualunque elogio. Alla presenza di co- storo esaminato il vase del sangue, che solamente a quell'avello potea appartenere, e che non potea con- fondersi con altro loculo vincitore per il modo con cui era collocato ; letta l'iscrizione e schiuso il lo- culo, fu veduto lo scheletro della martire Fortissima benissimo conservato, ed interissimo in tutte le sue parti. Poscia dal Lazzarini passò questo sagro corpo nelle mani del cardinale Luigi Ercolani di chiarissi- ma memoria, che ne ornò il suo oratorio ricchissimo di altro tesoro di reliquie. Finalmente venne da esso lasciato con molte altre preziose reliquie alla basilica di s. Marco, che fu suo titolo, e a cui io ho l'ono- re di appartenere; perocché a buon diritto a me con- viensi illustrare un monumento tanto interessante , 56 Letteratura che accresce non poco il lustro a quella antichissi- ma basilica ricca d'altronde di moltissimi pregi (*). Posto così sotto i vostri occhi, o colleghi ono- randi, la sicura provenienza e l'autenticità dell'epi- grafe, dirò, come mi sono proposto, poche cose sul nome della martire. Non reca maraviglia l'osservare la differenza che passa nella nomenclatura delle epì- grafi cristiane da quelle pagane ; in queste si legge una lunga serie di nomi uniti al nome proprio , che forma il soggetto dell'epigrafe, per ricordare l'an- tichità de'maggiori; in quelle poi un solo nome pi'o- prio per lo più leggesi, che forse era quello il qua- le fu imposto nel battesimo; onde avvenne che mol- to amassero i cristiani, in cambio de'fastosi nomi dei loro antenati, prendere un nome proprio o un pro- nome che si componesse coli' umiltà della croce di Cristo o coU'esercizio delle virtìi evangeliche. Quindi spessamente appariscono nelle epigrafi i nomi abiet- tissimi di Stercorio, Tigride, Orso, Tauro, Apro, Leo- pardo ec, come ancora quei provenienti da azioni vir- tuose, come Ingenuo, Clemente, Concordio, Onesto, Largo, Irene, Forte, Agnella, Renato, Felicissimo ec. Questo pio costume crebbe quando cessate le perse- cuzioni la Chiesa respirò la desiata pace, e i fedeli cominciarono a professai^e palesemente la loro religio- ne. Allora avvenne che anco le famiglie nobilissime, deposti gli aviti nomi , si fecero pregio di assumer (*) I pregi e le onorificenze deirillustre basilica di s. Marco vengono accuralaiiienle descritte dal sig. cav. Gaetano JVIoroni, nel suo eruditissimo dizionario, dove ne tesse eziandio una suc- cinta e molto critica istoria. Lapide cristiana ^j. quelli, che erano scevri da qualunque feccia di gen- tilesimo. Perocché ai tempi di s. Girolamo quelle no- bilissime matrone romane, che gli si diedero a disce- pole, ebbero per nome Melania, Asella, Eustochio, che non erano propri di quelle illustri romane famiglie dei Gracchi e degli Scipioni, a cui esse appartene- vano. Ciò posto, non reca ammirazione come la no- stra martire si nomasse Fortissima: nome che a buon diritto potevate competere come quella , che la più perfetta cristiana professione seppe suggellare forte- mente col proprio sangue. Ciò che reca maraviglia si è, che questo nome ( quanto a me pare ) non leggasi nell'epigrafi cristiane fino a quest'epoca rinvenute ne' sagri cimiteri, come giova osservare nella ricchissima collezione vaticana, e in quelle che sono disperse in varie parti di questa città. Io non istarò qui a discutere se costei appartenesse ad illustre famìglia romana, o pure se fosse di minore condizione: avvertirò peraltro che, siccome di sopra accennai, potea benissimo compe- tere a famiglia patrizia quel nome, che dimenticando il nobile fasto e le grandi imprese de' maggiori, solo ram- mentava una virtù che dovea essere propria in modo singolare di un seguace del vangelo. Sembra che l'o- rigine di questo nome J)ossa derivare dal magnifico elogio, che nelle sagre scritture si fa della donna for- te, che sotto il nome e pregio della fortezza avea il complesso di tutte le più sublimi virtù; così la pen- sano parecchi de'ss. padri, frai quali l'esimio dotto- re Agostino, che glossando quel nome dì forte, dipin- ge la donna a cui si compete, come quella che va fornita di una specchiata illibatezza, di una fede con- iugale la più inviolabile, di un amore intenso verso Dio ed il prossimo, e di un animo coraggioso sì nel 58" LETTEnATUR. A tollerare le avverse , e sì nel godere delle prospere cose. Perocché si può dedurre senza dubbiezza, clie un tal nome fosse stato imposto alla nostra martire nel battesimo; tanto più clie, cessate le persecuzioni, cominciarono i fedeli ad usare di tali nomi liberar- mente : il che aveano qualche poco trasandato per lo passato, affinchè dal nome non avessero potuto i gen- tili prendere occasione di conoscerli come cristiani e perseguitarli. Per il quale motivo la chiesa tollerò , che in que'tempi di sangue i fedeli ritenessero i loro nomi gentileschi, come Marte, Mercurio, Ercole ec, il che però non tollerò allorquando, cessato il peri- colo, cessò eziandio la cagione di usare que'profaai nomi. E tanto per verità furono in uso presso i no- stri primi padri in tempo di pace quegli aggettivi di appellazione ingenuus, strenuus,fortis, victor, che anche oggidì la chiesa sapientemente ha prescritto sul- l'antico esempio, che a que'marliri anonimi, i quali nelle annuali escavazioni cimiteriali si l'invengono nelle nostre romane catacombe, miniere sempre ine- sauste di sì grandi tesori, niun altro nome s'impon- ga, fuori di questi appellativi. Potrebbe peraltro qualcuno pensare che que- sto nome non fosse già il proprio di quella martire, ma solamente impostole dai cristiani, che ignorava- no il suo nome, per avere essa dato prove straordi- narie di cristiana forte zza nel confessare la sua fede. Ma quanto per verità sarebbe arbitraria questa opi- nione, e contraria alla pratica tenuta dai cristiani in ogni tempo ? Difatti se essi avessero costumato d'im- porre i nomi appellativi ai martiri analoghi o alla confessione di fede, che aveano fatto d'innanzi ai tri- bunali, 0 alla qualità del sofferto martirio, si trove- Lapide cristiana 5g l'ebbero per lo più i martiri ne'cimilerl col loro no- me segnalo sul marmo o tegole cbe chiudevano il loculo, e raro apparirebbe un anonimo. Ma all'oppo- sto grande è il numero degli anonimi, ed alquanto raro il numero di quei che lo hanno segnato nella epigrafe, come tuttodì si prova coll'esperienza nelle cimiteriali estrazioni. Nò giova recare per prova al- l'obiezione che Adaucto chiamassero i cristiani quel martire che con san Felice riporlo la palma: perchè ignorandone il nome, gli applicarono quest'agg- ^ivo, quasi dire volessero aggiunto o associato al n. ti- rio di s. Felice. Niente del pari prova nel nostro so, che Romano eziandio appellassero quel soklaty battezzato da s. Lorenzo, e poscia martire illustre,^ dandogli cosi il nome della sua patria non conoscen- dosi il suo proprio; perchè pochissimi casi particolari non possono distruggere una pratica costante osser- vata per più di tre secoli: che anzi servono a sempre più confermare la pratica stessa cli'ebbero i cristiani di prendere nomi appellativi , allorché deponevano quello delle loro famiglie. Ma passo a fare qualche osservazione sulla elo- cuzione dell'epigrafe; e px'ima esaminerò le parole e poscia i segni. Principia col Deposita in pace. La frase depositus o deposita è comune sì ai cristia- ni , sì ai gentili , non esprimendosi con essa altra cosa che la tumulazione del defonto. Non è però co- mune agli uni e agli altri la salutazione in pace , perchè questa, checche ne vogliano gli assertori della contraria opinione, dal numero maggiore de'sacri ar- cheologi affermasi esclusivamente propria dei cristiani; e l'esperienza dimostra che in tutte le lapidi, le quali vengono annualmente estratte da'sacri cimiteri, sein- 6t) Letteratura pie si legge la frase in pace, mentre nelle lapidi se- polcrali gentilesche essa non venne mai osservata. Difatti solo ai cristiani si addiceva usare quel saluto al defunto, a cui si sottintendea il verbo quiescit o dormit: poiché loro insegnava il dogma della resur- rezione e dell'eterna vita, che ivi riposando dormiva il sonno di pace, dal quale la tromba del dì estremo lo avea a destare, onde presentarsi all'universale giu- dizio. Sommamente poi si conveniva quella frasc3 ad un martire, il quale vittorioso del sanguinoso certa- me, che avea sostenuto nel confessare la fede di Cri- sto, stanco si era addormentato in seno alla vittoria, e nell'amplesso dell'eterno Dio rimuneratore del suo valore. Quindi segue il XJ^ kalendas septcìibbrcs ; e poscia il consulibus Tinesio et Promoto ; dtlle quali cose terrò discorso nella seconda parte della dis- sertazione. Sul nome della martire ho di già parla- to. Finalmente termina l'epigrafe con le due lettere 1^. C. cioè J^iro ClarìssìmOi titolo onorifico che ve- niva dato ai personaggi, che si erano segnalali per le loro azioni singolarissime: il quale elogio nella no- stra epigrafe viene fatto a Promoto perchè nominato per ultimo, e perchè le due lettere f^. C. significano P^ro clarissimo e non già P^iris clarissimis , nel quale caso vi sarebbe doppio V^ con doppio C. Nò deve credersi, come qualcun la pensa, che quell'elo- gio fosse esclusivamente proprio dei consoli , e che però in qualunque modo venivano segnate quelle due lettere, sempre dovessero appartenere ad ambedue e non ad un solo: perchè vi sono stati altri insigni per- sonaggi, i quali abbenchè non fossero mai fregiati della dignità consolare , pure vennero decorati di quel titolo onorifico. Ciò che spelta ai segni che a- Lapide cristiana 6i Jornava la lapide , primaraenle sulla fronte di essa avvi Valpha e Vomega, prima ed ultima lettera dell* aifitbeto greco, che rammenta l'espressione di Cristo nel vangelo, quando dicea di se stesso : Ego sum al- pha et omega ^ prìncipium etfivis\ cioè il primo prin- cipio e r ultimo fine di ogni cosa , ''" quella prima lettera comincia la serie dell'alfabeto g. _ ~ finisce coir altra. Furono tanto usate dai cristiani quelle due lettere nel loro evangelico significato, che non solo essi le ponevano nelle loro epigrafi, ma ben- sì anche nelle pitture e nei loro djmestici utensili, come nei vetri dipinti e nei cubicoli delle catacombe, dove specialmente stava effigiata l'mmagine del Sal- vatore o della sua adorabile croce: siccome osservasi nel cimiferio di Ponziano nella ^ia portuense, dove nel cubicolo de' ss, martiri Abdcn e Sennen, nella nicchia die sovrasta la fonte perenne, che dovea ser- vire di batlisterio ne'tempi di pa'secuzione, vedesi la croce germogliare di mezzo ad un bel gruppo di fio- ri colle due lettere alpha ed omega pendenti dalle sue braccia per due catenelle. Finalmente ne'musaici, che tuttora veneriamo nelle auguste romane basiliche vincitrici del tempo e delle barbarie, si vede spessis- simo l'immagine adorabile del lostro Salvatore o se- dente o in piedi col libro aperto , dove si leggono le due lettere misteriose, ed il motto prìncipium et Jiuis, 0 pure collocate sopra il suo capo o suol piedi, come osservasi nel musaico della menzionata basilica di s. Marco. Il monogramma di Cristo viene per bea tre volte ripetuto nell'epigrafe; il che non è tanto usi- lato nelle altre cimiteriali iscrizioni. Ai pie della la- pide vedesi delineata la notissima colomba col ramo di olivo nel rostro. Voi, o eruditi collfghi, ben co- 62 Letteratura noscete quanto fosse misterioso pei cristiani quel bel- lissimo segnale. La colomba da per se sola rammen- tava ad essi il candore della vita e la semplicità del- l'animo, secondo l'avviso di Cristo: e raffigurava ad essi lo spirito divino che, comparso qui sulla terra, vol- le nascondersi sotto le sembianze di quell'innocente volatile. La colomba poi col ramo nel rostro ram- mentava a quei poveri afflitti nostri maggiori, che fi- nalmente darebbe Dio la pace alla sua chiesa; e co- me quell'animale col suo ramoscello nel rostro fu do- po il gran diluvio segnale all'avventurosa famiglia di ]Noè, nell'arca racchiusa, della pace da Dio concessa alla terra; così do^ea essere alla chiesa, turbata dalla fiera persecuzione e ricoperta del sangue de'suoi fi- gli , segnale di uni durevole ed interminabile pace. Quindi avveniva chs ì cristiani l'effigiassero nelle lo- ro abitazioni, nei domestici utensili, nelle lapidi se- polcrali , nei cubicoli delle catacombe : dove stando spesse volle ascosi per tenere le sagre adunanze, fra le lagrime e il timoie fuggendo 1' acciaro nemico dei persecutori , guardando quel segno misterioso terge- vano il pianto colla sola rimembranza della sospirata pace. E difatti come segnale di pace data finalmente alla chiesa sta collocato quel mirabile volatile col suo olivo nel mezzo del v;stibolo del famoso tratto ci- miteriale , non ha guari anni scoperto qui in Roma nella vigna Del Grande sulla via labicana, e dal eh. segretario della nostra accademia illustrato. Quivi 1' augusta Elena imperatrice, che nobilitò quel cimite- rio de' ss. Marcellino e Pietro , avendovi aperto un nuovo ingresso sulla via labicana, pose sul primo limi- tare quel segnale di pace, per indicare che ad ognu- no si permetteva di penetrare pubblicamente in quel- Lapide cristiana 63 le sacre caverne, per lo innanzi impenetrabili ad ogni profano, perchè allora la chiesa principiava a godere la sospirata pace. Perciò che poi riguarda la forma- zione dei caratteri e dei punti nell'epigrafe, non è necessario di farne indagine, onde iscoprire l'epoca a cui possa appartenere l'iscrizione: poiché il consolato in essa segnato abbastanza dimostra a quale età deb- ba assegnarsi. Ed eccomi giunto in tal modo senza av- vedermi alla seconda parte della dissertazione. Dopo quasi tre secoli, ne'quali la chiesa ebbe a soffrn-e le piii crudeli persecuzioni comandate dagli editti imperiali; dopo che fu sparso tanto sangue cri- stiano, che ne rimase inzuppato tutto l'orbe allora co- nosciuto; piacque alla divina provvidenza di aprire la porta di salvezza anche ai superbi cesari, ai quali sem- brava che fosse chiusa eternamente: e chiamato alla sequela della sua croce l'augusto Costantino, si com- piacque cosi di tergere il pianto alla sua chiesa con donarle una pace lunghissima. Vide sotto tanto prin- cipe proscritta l'idolatria, atterrati i templi ed infranti i bugiardi simulacri; e sulle loro rovine vide inalbe- rarsi il vessillo salutare della croce, ed innalzarsi quel- le tanto famose basiliche, che tuttora attoniti rimi- riamo campate dal furore de'barbari e dalla voracità del tempo. Sembrava pertanto che il nome di perse- cuzione e di sangue fosse perpetuamente sbandito. Ma ecco nel più bello della pace nuovi editti di morte, nuovi timori, nuove stragi. L'apostata Giuliano, im- padronitosi dell'impero, mosse guerra al Salvatore di- chiarandosi ribelle della sua legge , e perseguitando quei che la professavano. Fu non men fiera delle pas- sate la nuova tempesta , perchè mossa da un uomo pratico nelle cristiane cose, ed ascosa sotto il vela- 64 Letteratura me della ipocrisia e della giustizia. Si sparse molto sangue, innumerevoli furono le vittime sacrificate al suo furore perfino nel celo de' grandi: finché piacque a Dio di atterrare il mostro , e dissipate le tenebre di quella notte torbidissima, fece risplendere la luce dei passati giorni di pace. Da quest'epoca in poi non vi furono persecuzioni universali e prescritte dai co- mandi imperiali : ciò nondimeno di quando in quan- do si sagiificaroHO novelle vittime, ora dagli impera- tori seguaci dell'arianlsmo, ora dagli inumani idola- tri governatori delie provincie, senza intesa dei prìn- cipi, o pure con loro dissimulazione; ora nel furore dei popoli idolatri che insorgevano contm i cristiani, perchè atterravano i loro sacrati templi ; ora infine per la insinuazione de' patrizi , il maggiore numero dei quali era addetto alla superstizione pagana , col fomentare il popolare entusiasmo , e col provocare l'astio dei gentili contro i seguaci del cristianesimo. Ed appunto in uno di questi popolari tumulti per- de la vita l'inclita nostra martire fortissima. Era l'anno di Cristo 889 quando tenea le redini del ro- mano impero l'augusto Teodosio di sempre veneran- da memoria nella chiesa di Cristo, e degno soggetto degli elogi i più magnifici che gli vennero fatti da vari venerabili padri della chiesa. Egli fu chiamato a parte dell'impero da Graziano nell'anno 3yc) di Cri- sto : divenne poscia padrone di tutto l'impero dopo la morte di Valentiniano II, avvenuta l'anno SgS, il quale era succeduto a Graziano dopo l'assassinio del tiranno Massimo. INell' anno adunque 889 dell' era cristiana, ed undecimo dell'impero di Teodosio, furono da esso innalzati alla dignità consolare Flavio Ti- mesio ft Flavio Proìuoto, personaggi distintissimi che Lapide cristiama 65 aveano comanclalo come generali l'esercito di quel po- tente imperatore: ed in ricompensa del loro servigio fedelmente prestato, ottennero quell'eminente dignità, per mezzo della quale nell'impero romano venivano computati gli anni civili , servendo in tal modo di certa data a tutti i memorabili eventi che potevano avvenire nel corso di un anno; ed appunto la nostra epigrafe segna 1' anno di Cristo 889 , datandolo col consolato di Timesio e Promoto. Anno certamente erasi questo di pace per la chiesa, giacche niuna per- secuzione la turbava sì per parte degli eretici, sì per parte de'genlili. Ma non mancò qualche turbolenza, che venne a turbare il bell'impero del gran principe cristiano Teodosio. Non era totalmente spenta in Roma la supersti- zione pagana, poiché la maggior parte de'patrizi era ancor tenace all'avita bugiarda religione , ed ancora non sapea riconoscere la misteriosa stoltezza del Dio crocifisso. E questa sì fu appunto una delle princi- pali cagioni che indussero Costantino a nausearsi del- la Roma antica soperchiamente attaccata a' suoi dei, e a formare la Roma nuova adoratrice del Salvatore. Il senato stesso, essendo composto dai patrizi, era scis- so in due partiti: l'uno che sostenea le parti del cri- stianesimo, l'altro che difendea la causa della mori- tonda idolatria. Fra questi distinguevasi come ante- signano il famoso Simmaco, che proveniva dall'illu- stre famiglia romana degli Aureli, come viene dimo- strato dall'eruditissimo e chiarissimo cardinal Mai nel suo volume sui frammenti delle orazioni di Simmaco. Questi alla nobiltà di sua origine accoppiava una som- ma eloquenza con tutte le grazie di quell'arte insi- nuante. Ardea del pari di uno zelo ardcntissimo per G.A.T.XCII. 5 ^ 66 Letteratura sostenere l'elnicismo; onde venne sommamenle con?^ niendéito dagl'isterici pagani di quel tempo. Per suo jnezzo i senatori pagani aveano da c|nalche tempo in^ nanzi presentata istanza all'imperatore Graziano, m cui si lagnavano con essolui dell'affronto che aveano ricevuto nell'essersi comandata la dislriizione del simu-^ lacro delU Vittoria nel campidoglio. Questo simu- lacro ergeasi nel luogo ove adunavasi il senato, non già per decorazione, o come un antico e curioso mo- numento, ma bensì come un oggetto di superstizio- ne; poiché gli offerivano sagrifìci, gli bruciavano in- censi duranti le loro assemblee e l'onoravano con elitre cerimonie gentilesche. Dolca dall'altro canto as- saissimo ai sene^tori crististni di vedere che l'empietà trionfava con insolenza nel santuario delle leggi. L' imperatore Costanzo l'avea fatto anticamente ^tterra- ye; Giuliano l'aposté^ta lo avea riedificato; Valentinia- no, sempre coerente alla sua indifferenza per la re- ligione, avea lasciato le cose nello stato in cui le avea ritrovate; Graziano, più zelante di suo padre, ordinò jissolularnente la distruzione di quel trofèo dell'ido- latria; e rispose freddamente alle lagnanze di Simma- co e d^'suoi paytigiani , c/j' egli non avea a cavi- hiare nulla di un ordine dato con cognizione di ^a,usa. Il perfido tiranno Massimo, che avea usurpa- to l'impero con l'uccisione del pio Graziano, fu que- gli che accordò ai turbolenti senatori gentili il rista- bilimento del simulacro. E Simmaco non mancò per •una tal grazia d'intessergli un magnifico elogio, che egli recitò nell'asseniblea senatoria. Ma poscia scon- fitto e messo a morte da Teodosio l'usurpatore, si tro- varono di nuovo necessitati gli adoratori della Vitto- ria ad impetrare da Teodosio, allora residente in Mi-. Lapide cristiana 67 jano, la conferma di ciò, che da Massimo era slato a loro riguardo decretalo. Sembrò strana a quel cri- stiano principe una tale istanza: e dando orecchio ai savi avvertimenti del gran dottore Ambrogio, che go- vernava quella chiesa, saldo si rimase nella negativa. Non molto dopo , cioè a dire sulla fine di maggio , fece Teodosio un viaggio alla volta di Roma, dove entrò il i3 giugno di quell'anno, menando trionfo dello sconfitto Massimo , fra le acclamazioni più vive e i trasporli di gioia più espressivi degli abitanti di que- sta città regina , ed in ispecie dei cristiani. Indi a non molto comparve l'imperatore nell'assemblea se- natoria radunata nel campidoglio per trattare degli af- fari dell'impero; e quivi alla sua presenza il sempre turbolento Simmaco, essendo eloquentissimo, recitò im mirabile discorso in lode di quel principe vitto- rioso, e con buone maniere si studiò d'intimargli di nuovo essere venuto il tempo di ristabilire il simu- lacro della Vittoria in mezzo a quell'augusto conses- so, come perenne monumento delia vittoria riportata sopra di Massimo. L'imperatore fremè d'indignazione a si inaspettala proposta: richiamò alla mente la bal- danza di costui dopo le iterate negative, e il suo di- scorso, che tessè in lode di Massimo per il ripristi- nato simulacro; e senza altro lo cacciò in esilio cen- to miglia lungi da Roma. Né credasi ( come dice il Muratori } che tale pena gli venisse decretata come reo di stato per il panegirico di Massimo da esso let- to in campidoglio , ma bensì per infrangere la sua ostinata arroganza nel dimandare la ripristinazione tante volte richiesta , e sempre negata di quel pro- fano simulacro; cui come causa secondaria si aggiun- se l'indicato elogio di Massimo, che insieme alla pri- 6^ Letteratura maria cagione cospirò ad allontanarlo da Roma. Così per verità ci narra s. Prospero vescovo di Aquitania, che visse in quel tempo, e clie però fu testimonio ve- racissimo di quell'avvenimento. ]Non contento Teodo- sio della punizione di Simmaco, per abbattere l'alterigia dei senatori gentili emanò la legge dell' abolizione completa dei simulacri gentileschi. Ed allora avven- ne che gl'inquieti senatori gentili, rimasti delusi della loro inchiesta, vedendo cacciato in esiglio il loro pri- mario antesignano e prescritta la dislruzio-ne comple- ta dei loro venerandi dei, si sollevarono contro i se- natori cristiani ch'erano di minor numero; eccitaro- no a sommosse le turbe de'furenti gentili, che vede- vano gettati a terra gli oggetti delle loro adorazioni; ed infierendo contro i fedeli , ne fecero cadere vari come vittime sagrificate al loro cieco furore : ma pa- re che queste vittime spezialmente appartenessero al numera dei senatori. Né reca maraviglia che avvenis- se questa specie di tumulto, se si rifletta all'astio che sempre nutrivano i gentili contro i cristiani. Quante volte sotto il dominio degl'imperatori pagani, che non furono persecutori manifesti del cristianesimo, o che almeno non promulgarono nuove leggi per la sua di- struzione, quante volte, dico, accadeva che per ope- ra de'pi'incipali ministri dell'impero si facesse strage dei cristiani senza che il principe lo sapesse! E ciò veniva dall'astio che gli avvelenava contro i seguaci del vangelo; astio, che se fu così violento in tempo di persecuzione, quanto dovea essere maggiore, ed ac- cenderai sempre più quando vedeasi schiantare la lo- ro superstizione per opera di coloro che odiavano più della morte ? Giova qui riandare per poco col pen- siero ciò che avvenne ue'pvimi anqi deU'iinp<-H"o di Lapide cristiana Cq Teodosio, quando permise ai cristiani la distruzione' del tempio famoso di Apamèa e di quello di Serapi- de; che in ambedue le circostanze vi furono uccisi non pochi cristiani. Nella demoliiiione del primo, ef- fettuata da s. Marcello vescovo di quella città, che con forte coraggio fu il primo de'vescovi che proce- desse all'osservanza delle leggi di Teodosio; non o- stante che dal prefello di Oriente vi fossero colà spe* dite delle armale truppe per tenere a bada gl'idola- tri; pur nondimeno costoro, furibondi nel vedere at- terrati i loro adorati edifizi, si fecero sopra ai fedeli, de' quali non pochi perirono , e fra questi nuche il s. vescovo Marcello. Riguardo poi al secondo, il pa- triarca di Alessandria, che di già avea demolito altri templi nell'Egitto, si accinse a distruggere ancor que^ sle. L'edifizio era uno dei piti belli e dei più cele- bri del paganesimo ; dovea per conseguenza riuscire assai dolorosa la sua eversione ai seguaci dell'etnici- smo. E di fatti non fu possibile di tenerli a dovere: perchè divenuti frenetici, in un momento tutta la cit- tà fu in armi ed in tumulto, fecero strage de'fedeli, commisero mille barbarie , e poscia si ritirarono in quel tempio servendosene di un forte baluardo con- tro gli attentati del patriarca e dei cristiani; d'onde poscia uscirono allorché videro dalle truppe impe- riali smantellarsi 1' edifizio. La chiesa venera come martire il s. vescovo Marcello, e tutti quei fedeli che perirono in quelle sedizioni. Ora se tanto furore me- narono i gentili nell'oriente nel vedersi rapire dagli odiati cristiani le cose più care e sagre della loro patria superstizione; qual fuoco di frenesia non dovea accendersi in Roma , centro della superstizione e del fanatismo gentilesco, dove il ceto dei patrizi era lai- ^o Letteratura niente attaccato all'antica patria religione, che a co- sto (Iella vita non Tavrebbe mai abbandonata, repu- tandola come vera origine della fortuna di Roma ; e dove il volgo turbolento ciecamente tenea dietro a quelle religiose osservanze, che pernietteano sì bene lo sfogo delle più brutali passioni ? Gli storici eccle- siastici generalmente non fanno rimarcare questo vio- lento trasporto de'pagani per la destruzione dei de- lubri decretata da Teodosio; ma gli scrittori di quel tempo parlano bastantemente dell'accaduto. Pruden- zio, quel dotto e virtuoso poeta cristiano degno di eterna memoria nella chiesa, per averci nelle sue poe- sie lasciato preziosi monumenti della disciplina eccle- siastica di quel tempo e descritti molti avvenimenti* che servono a rischiarare mirabilmente la storia del cristianesimo; Prudenzio, dico, sopraffatto dalla strana richiesta di Simmaco e de'suoi senatori gentili; e mol- to piii dolente del tumulto che per loro opera ven- ne in Roma eccitato; scrisse cinque libri contro Sim-i maco autore di tanto male, ne'quali dopo aver mes- so in ridicolo la superstizione pagana nel venerare i suoi dei, formandosi divinità degli uomini più scel- lerati della terra, ci fa conoscere chiaramente nel prin- cipio di un canto qual fosse l'ori*ore di quel tumul- to. Vi piaccia ascoltare le sue parole: Credebam vitiis aegrani gentilihus urhent lam satis antiqui pepulisse pericula morbi, Nec cjuidquam restare mali, postquam Medicina Principis immodicos sedarat in arce dolores . Sed quoniam renovatA lves turbare salutem Tentai romulidum., patris imploranda medela est. Ne Sinai antiquo Romani squalere veterno ; NeFE TOGAS PROCEJìUM FUMOqVE ET SANGUINE TINGI. Lapide cristiana •jt Sono da ponderarsi attentamente le due espressioni Ines et procerum togas. Abbenchè il significato del- la voce Ines, preso nel suo Vero senso di male con- tagioso e pestilenèialé, di epidenììa ec, abbia qual- che piccìolissima differenza secondo la forza dell'idio- ma latino della voce pestis', pur nondimeno quando la voce lues si usa per esprimere in senso metafori- co macchinazioni empie^ ruina,^ strage^ allora addi- viene perfettamente sinonimo della voce pestis. In tale significato l'hanno usate ambedue inJislintamen- le i nostri classici latini oratori , istorici e poeti , come Tullio, Livio, Plauto e Virgilio. Tralascio di arrecare esempi su tale proposito , perchè devierei dal mio assunto, e farei ingiuria a voi, o uditori, che siete cosi versati nella latina letteratura. Ora Pru- denzio scelse piuttosto la voce lues^ come quella che meglio sì adattava al suono de'suoi versi, e volle con essa indicare macchinazioni nefande^ tumulto ^ strag e ^ orribili effetti dell'attentato di Simmaco ; non altri- menti che quelli della congiura di Catilina contro la romana repubblica. Inoltre dice il poeta che questa lues fu rinnovata, renovata lues, e che conturbò la salvezza de'cittadini romani; dunque se fu rinnovata, convien dire, che di già avesse avuto luogo in altri tempi. Ma ditemi di grazia, qual fu questo male sì grande, che avea conturbato nell'età passata la pace dei romani, e a cui pose efficace rimedio il principe Costantino , come descrive l'autore, che immodicos sedarat in arce dolores , se non fu la sanguinosa persecuzione che per ben tre secoli avea imbrattato Roma colla strage più esacrabile de' suoi cittadini , e che avea lordate le vie, i fori e per fino le acque del biondo Tevere del loro sangue ? Ove se la lues 72 Letteratura rinnovata, come vuole Prudenzio, era quella slessa di prima; chi v'ha che non conosca in quelle parole denotate le azioni sanguinose ch'ebbero luogo nella fazione di Simmaco e de'suoi fautori? Le altre due parole poi procerum togas vogliono significare, che questi funestissimi avvenimenti si aggirarono special- mente fra i magnati rivestiti di toga, sotto il quale nome vengono solamente i senatori. JSon fa menzio- ne Prudenzio di popolare attruppamento , abbenchè questo avesse avuto luogo, ma bensì tutta la turbo- lenza sanguinosa fa egli vedere accaduta fra i patrizi romani come motori principali, i quali aveano comin- ciato di bel nuovo a tingere le toghe col loro san- gue e con quello de'loro concittadini, ed offuscarle col profano odore degl'incensi idolatrici. IN è credasi che la parola sanguine, usata dal poeta cristiano, si- gnifichi il sangue delle vittime svenate avanti il si- mulacro della Vittoria: perchè questa espressione for- ma tutto un contesto col significato di lues, e perchè tutto ciò che avea relazione ai sagrifici e all' obla- zione degl'incensi veniva espresso dall'altra parola _/«- moque. Ma più ancora chiaramente ne parla il gran- de Ambrogio nell'orazione funebre in lode di Teo- dosio, encomiando la sua fede che annientò il genti- lesimo. Sono queste le sue parole: Inmitalus TheO' dosiiis lacoh, qui supplantavit perfidiam ty ranno- rum, qui abscondit simulacra gentiuni: omnes enim cultus idolorum fides eìus abscondit : omnes enim coeremonias obliteravit. Qui sono bene da notarsi quelle parole supplantavit perfidiam tjrannorum ; poiché sotto il nome di tiranno non viene già colui, che avanza al supremo principe una inchiesta strava- gante ed anco ingiusta e temeraria: ma bensì col no- Lapide cristiana ^^ me ài tiranno viene chiamato colui , che fa pompa di barbane e si delizia negli scempi. Ciò posto, bene vi ricorderete, uditori, che il grande Ambrogio ebbe parte, come di sopra enunciai, nella richiesta di Sim- maco e degli altri senatori pagani, coU'opporvisi for- temente e coll'indurre Teodosio a dare la negativa. Perocché quel suo parlare nell'elogio funebre di Teo- dosio riguarda senza alcun dubio i senatori romani. ]Nè giova credere che l'elocuzione di Ambrogio deb- be riferirsi ai tre usurpatori dell'impero Massimo, Eu- genio ed Arbogaste, vinti e soggiogati da Teodosio, ap- pellandoli per tale cagione tiranni ; perchè una tale espressione deve onninamente riferirsi a tutto il con- testo. Ma il rimanente dell'elocuzione, che forma il contesto colle antecedenti, non dice altro, che ahscon- dit simulacra gentium ; che fides eius abscondit omnes cultus idolorum ; che omnes coeremonias obliteravit; dunque il nome di tiranni deve inten- dersi, non già degli usurpatori dell'impero, ma ben- sì di coloro che rinnovavano i simulacri gentileschi, e che ripristinavano il culto e le cerimonie a quelle bugiarde divinità. E bene per verità lo assomigliò a Giacobbe, che seppe rintuzzare la perfidia di Laba- no collo scuotere il suo tirannico giogo , col supe- rare la violenta aggressione di lui nell'inseguirlo, e col furargli e nascondergli i suoi cari ed adorati ido- letli. Ma tali sì erano i senatori del partito pagano, e vengono chiamati da Ambrogio tiranni: dunque ve- ramente costoro esercitarono tirannia e barbarie, e fu- rono autori di scempio e di tumulto, come dicea Pru- denzio, per vendicare l'oltraggio fatto a Simmaco e al simulacro della Vittoria, e per sostenere con ogni sforzo il già cadente gentilesimo. E per verità sì fu- ^74 Letteratura rono veramente tiranni: perchè affidati nella loro po- tenza, volevano tenere tloma ognora avvolta nelle pe- nose tenebre del politeismo: e non paghi del tanto sangue che si era sparso nella loro patria^ bramava- no di rivederla eziandio lorda e bagnata collo scera- pio de'suoi cittadini; Per la qual casa se avvenne in tale circostanza questo tumulto sanguinoso, come ci raccontano Prudenzio ed Ambrogio autori corttempo- raneij e ai quali secondo la buona critica dobbiamo prestare ogni fede, certamente la nostra martire For- tissima fu una delle vittime, che caddero in sì triste frangente; Forse essa apparteneva a qualche senatore cristiano : ed essendo accorsa al campidoglio , dove pare che nascesse la mischia come luogo destinato al- le assemblee^ per sostenere o il padre, o il figlio, o il fratello, o il marito ^ fortemente avrà rampognato la perfida ostinazione de'senatori gentili, e dai loro sa- telliti furibondi sarà stata sull'istante afferrata e mes- sa a morte, cadendo il tal modo da forte nel cimen- to. Ma breve per verità dovrà essere stato il tumul- to; poiché dice Prudenzio, che fu implorato dal pa- dre sovrano il rimedio a tanto male, che vedendolo infierire sotto i suoi occhi, potè apporvi sul momen- to la mano sanatrice. E il medicamento apposto a quella piaga, che mostravasi insanabile, si fu la re- scissione del membro guasto, onde non avesse più a conteminare le membra sane: cioè a dire venne on- ninamente compiuta la destruzione dell'idolatria, che dopo quest' ultimo crollo non avea mai più a risor- gere per dominare nell' impero romano. Le leggi e- raanate in questa circostanza furono severissime : si comandava per mezzo loro la demolizione completa dei templi gentileschi e delle statue degli idoli con Lapide cristiawa 7 3 condizione però, che quelle o di nobile materia for- male, oppure sculte da famoso artefice, fossero rispar- miate dalla comune mina, e venissero collocate nei pubblici luoghi per adornamento della città e delle pubbliche vie , affinchè il popolo si accostumasse à spregiarle vedendole senza culto e senza onore. Si proibiva per mezzo delle stesse leggi, che niuno più ardisse di sagrificaré agi' idoli , nò di frequentare eziandio i templi che fossero campati dalla distruzio- ne, o di prendere le risposte degli auguri, o di ren- dere alcuna sorta di culto ai falsi dei, dichiarandone i trasgressori delle medesime rei di lesa maestà. Sem- bra che non punisse in alcun modo i faziosi sena- tori gentili pei torbidi che aveano eccitato; come non avea punito i furenti gentili di Alessandria e di Apa- mèa, avendo considerato come martiri coloro, che ri- masero ticcisi in difesa del cristiano nome^ E causa principale si fu questa che, ravvedutasi la più parte di que' prepotenti togati, umiliati e vinti dalla bontà di animo del loro sovrano^ si arrolarono ancora essi alla sequela del Vangelo. E allora si videro i nomi più illustri dell'impero, i Paoli, i Gracchi, gli Anici, i Marcelli, gli Olibri, i Probi ec. tenersi onorali del nome di cristiani, e di portare nei loro abiti il segno di salvezza. Simmaco stesso, ravveduto del tanto ma- le che avea tentato , pentissi del fatto, ottenne da Teodosio il perdono, e tanto poscia avvanzò in gra- zia di questo principe, che ne venne colmato di ono- ri e perfino della dignità consolare: e dalla sua stir- pe slessa, che fu una delle più tarde a dare il nome al cristianesimo, ne venne il sommo pontefice s. Sim- maco, che seppe governare per molti anni sì bene la chiesa cattolica in que'tempi turbulenlissirai, ne'quali ^6 Letteratura Roma specialmente gemea sotto la scliiavllù de'bar- loari. Prudenzio ne' suoi cenni contro Simmaco ci racconta elegantemente la conversione dei patrizi ro- mani; e il gran dottore Girolamo nelle sue lettere ci narra lo squallore dell'abattuta idolatria , e le feste che menavano i cristiani sulle ruiuedi essa: Sanai' lei capltolium f uligine, et aranearum telis omnia Romae tempia cooperta stint : mos>etur urbs se- dibus suis^ et in undas populus ante delubra se- mirata currit ad murtyrum, tumulos» Parti quindi da Roma Teodosio ricoperto delle glorie della chiesa di Cristo, e nelle calende di settembre di quell'an- no fece ritorno a Milano luogo di sua ordinaria di- mora» Perocché se egli era venuto in questa città il i3 giugno, e ne partì sui principii di settembre; se l'epigrafe segna la morte di Fortissima ai 18 di ago- sto; chiaro apparisce che tutto l'accaduto di Simma- co e del turbamento eccitato dai senatori deve col- locarsi nello spazio di tempo, che corre dal mese di luglio al termine del mese di agosto: e che appun- to il giorno 18 di quel mese deve far parte de' po- chissimi giorni, in cui avvenne quella commozione fu- nesta» Ridonata così la calma ai diversi ordini della città, e rimasti vincitori i difensori del cristianesimo con dare l'ultimo crollo all'idolatria, Teodosio da Ro- ma si partì. Ma nel partire Teodosio non vide già compite le grandi cose da esso decretate in favore del cristianesimo e in devastazione dell'idolatria da me di sopra accennate : poiché brevissimo fu lo spazio di tempo decorso dalla metà di agosto alle calende di settembre, in cui fé ritorno a Milano; ma poscia colà stanziando vide i salutari effetti del suo rimedio ap- posto contro gli attentali di Simmaco e de' senatori Lapide cristiana 77 gentili, ed esuUò nel vedere appagalo il siio zelo per la nostra augusta religione ; rimedio e zelo che do- narono a Roma la pace, ottennero la conversione de' patrizi, e propagarono maravigliosamente da per tutto il nome di Cristo. Eccovi appianate, o colleghi, le difficoltà che si affacciavano a prima vista nella nostra epigrafe , e composti fra loro i due termini oppugnanti di perse- cuzione sotto il dominio d' imperatore cristiano , di martirio in tempo di pace : eccovi in fine addimostra- ti i singolari vantaggi, che da questi preziosi marmi ricevono la religione, la storia, l'archeologia. Mi per- donerete se la scarsezza del mio ingegno non ha sa- puto tenere saggio discorso su di un argomento tanto importante: ma la vostra sapienza, o colleghi onorandi, e la henignità con cui mi avete onorato, saprà sup- plire a tutto ciò che sia stato difettoso nel mio dirct ■■«lùE^oeg^-g*»- 75 I)i due sepolcri romani del secolo di Augusto, scoperti tra la via la,tina e Vappia presso la tomba degli Scipioni^ dal cav. G. Pietro Cam- pana ec. Roma^ tipografia Monaldi. Opera di gran lusso, in foglio massimo. JJLia magnificenza e la grandiosità delle arti, che si ammira in fronte a'colossali edifizi sepolcrali di Ro- ma ( farò uso delle stesse espressioni del eh. autore) non è minore della squisita eleganza delle arti stes- se, che quasi come a suo tempio particolare era ri- serbata ad uso de'colombai, Ognun sa che 1' esube- rante incremento della romana popolazione costrinse l'ingegno a'nuovi studi, e ne nacque questa partico- lar foggia di sepolcrale edifizio, capace di accogliere nel più economico spazio il maggior numero di ca- daveri; costruzione, che con tecnico vocabolo accon- ciamente nomossi colombaio, desumendo questa ap- pellazione dalla simiglianza che presentano le mol- liplici interne nicchiette, in cui locavansi le ceneri, a'nidi o buchi de'domestici o villereschl colombai. Ma pareva che la stessa graziosa disposizione architetto- nica di quelle tante nicchiette, di quelle piccole edi- cole con bella simmetria disposte, esigesse una stu- diata delicatezza di ornali, un'ingegnosa foggia di leg- giadri abbellimenti: e quindi vi si dedicò 1' amenità de'più ridenti soggetti, e vi s'Impressero a larga ma- no dai dipintori le rose, i gigli, le poma, gli augelli e i gonletti simbolici di mille forme, ed in mille di- Sepolcri Romani ^q versi atteggiamenti, come emblema della Psiche o spi-^ rito che già animava il defunto. Così dai colombai sbandita si volle ogni idea di mestizia e d'orrore in guisa, che il soggiorno della morte trasformalo parca ora in fiorenti giardini, ora in liete e ricche sale, ora^ in vaghi tempietti sacri alla venerata sì, ma gradita rimembranza de'trapassati. Ed ei pare che con que- sti innocenti artifizi volessero gli antichi rendere mea tetra la morte, apponendo allo scainato e minaccevo- le suo teschio una gaia maschera di vita , quasi col sorriso sul labbro. Alla classe appunto de' colombai testé accennati appartengono i due monumenti, che per favore d'amica fortuna, scampati alle ingiurie de' secoli e alle più funeste devastazioni degli uomini, for- niscono il subietto del presente discorso, E qui, premettendo l'autore alcune generali eru^ dizioni su questa sorte di sepolcri, comincia dal da- re in pochi tratti la storia delle escavazioni che prò- dussero la fortunata scoperta della prima di queste tombe. Scendendo poscia a perlustrare il sepolcro, e-^ spone ampiamente il risultamento delle osservazioni da lui istituite sui medesimi monumenti, che disa- minati colla fida scorta dei classici, divengono scuo- la di non fallace dottrina, preferibile alle lunghe leg- gende dei repertorii di antichità, o alle elaborate di' ^inazioni degli eruditi. Passa quindi l'autore a descrivere la forma del colombaio stesso: e dandone diligentemente la pianta e lo spaccato, riporta le iscrizioni, i miti, le figure: facendone poi il confronto con altre iscrizioni e coq altri monumenti, si mostra valentissimo conoscitore ^on meno delle antichità romane , che delle egizie ed elrusche , vestendo ed adornando la sua tesi di V^sta e non comune erudizione. 8o Letteratura Venendo poscia l'autore alla seconda parte della sua dissertazione, si fa a descrivere un'altra stanza se- polcrale scoperta nel 1840, tra le mura di Roma e la via appia, alla sinistra dell'arco di Druso nell'uscire dalla città. E qui, dopo aver ragionato ugualmente con bel ma- gistero sulla parte storica ed archeologica del monu- mento, passa a considerarne la pianta generale, e ne offre il disegno prospettico dell'interno, con tavole che sono annesse all'opera stessa. Descrivendo in fine la forma dell' edifizio e gli ornati e le decorazioni, che concorrono ad abbellire le sue parti, riporta tutte le iscrizioni ivi trovate con quella diligenza che avea fatto nella prima parte, il- lustrandole con gran suppellettile di dottrina, cosa tutta sua propria, e facendo gli opportuni confronti e rilievi, non meno coi passi dei classici, che colle testimonianze de'più famosi archeologi de'noslri giorni. fik meno è da lodarsi il cav. Campana per la vasta impresa , a cui accingesi , di pubblicare colla stampa i monumenti, ond'è dovizioso, di antica plasti- ca, accompagnandoli di sue illustrazioni e dichiara- zioni : alla qual cosa non risparmia ne spesa ne fa- tica, onde non abbia a sperarsi indegna dei voti degli archeologi. Niuno è che non sappia , quanto il prelodato autore, si benemerito delle antichità della sua patria, siasi da molti anni adoperato a raccogliere i più preziosi e rari monumenti in terra cotta, che nelle escavazioni da lui fatte e da altri sono venuti nuo- vamente in luce dopo essere stati sepolti per tanti se- coli. Le sue diligenti e replicate ricerche, gli scavi a tal uopo da multi anni intrapresi in questo suolo Sepolcri romani 8i romano, tesoro inesausto delle arti preziose degli an- tichi, lo posero in grado di venir possessore di una delle più ricche collezioni di tal genere, e nello stesso tempo della più scella e più perfetta di tutte quel- le, che si conoscono al giorno d'oggi : come quella che contiene, oltre gli oggetti già pubblicati dal mu- seo britannico, dal d'Agincourt, dal Millin, dal Win- kelman e da altri autori moderni ( benché non sem- pre colla precisione e verità di disegno che si desi- dera ), contiene, dissi, eziandio una numerosa raccol- ta di ornamenti e di soggetti interi, ancora non mai pubblicati, e il più sovente tratti dalla mitologia, dal- la storia greca e romana, o dai costumi e dalle ce- rimonie religiose e funerarie adottate da questi po- poli non meno che dagli etrusci. Di tutti questi oggetti l'illustre possessore si pro- pone di presentare al pubblico una dichiarazione, sod- disfacendo ai desiderii dei dotti e degli artisti , che l'attendono con ansietà; ne dubitiamo che anche in questa, come nell'opera già pubblicata, farà mostra di quella dottrina, chiarezza e precisione , che sono sì belle doli di tutti i suoi scritti. L'associazione a tale opera è di già aperta. Dal- l' annunzio di essa possono rilevarsene le condizio- ni: e i principali librai sì romani e sì esteri ne ri- cevono le soscrizioni. Tre fascicoli ne sono già pubblicati, bellissimi, importantissimi, e degni della romana magnificenza: imperocché l'esimio autore non è guidato in quest' opera, la Dio mercè, da ninna speculazione libraria, facoltoso com'egli è, e ardenlissimo nell'amore delle arti antiche. Sicché le cento tavole in rame , delle quali verrà adorna, saranno disegnate tulle da'più va- G.A.T.XCII. G 8a Letteratura lenti artisti che ci fioriscono : e vi corrisponclerà (co- me ce ne danno un saggio nobilissimo i detti tre fa- scicoli già usciti alla luce ) la nitidezza della caria e de' tipi per modo, che di niente di meglio potranno intorno a ciò vantarsi le arti di Parigi e di Londra. !Nè vogliamo tacere, come non ultima delle sue lodi, l'estrema gentilezza, colla quale il più volte lo- dato cav. Pietro Campana tra le molte sue gravose occupazioni facile condiscende alle frequenti inchie- ste dei forestieri, che desiderosi di vedere la sua col- lezione, a lui si recano: e con loro ammirazione a- vendola osservata, restano non meno soddisfatti della rarità delle cose da lui possedute, che della cortes'?. (B dottrina del magnifico possessore. Filippo Mercuri, •"^^S'SsbbO^Hs»^'"^ é3 Elogio di Agostino Gobbi pesarese^ scritto dal prof. Giuseppe Ignazio Montanari. s. 'e mai nella solennità di questo giorno io con lieto animo mi feci innanzi da voi a ragionare, egli è certamente in quest'oggi, in cui fa il decim'anuo da che io fui posto a quest' onorevole officio , e in cui posso alla fine chiamarmi vostro concittadinol La qual cosa se mi mette contentezza assai nel cuore, mi punge ancora e mi stimola a cercare modo e via di porgermi sempre più degno di questo beneficio. Che debito stretto è adempiere in ogni luogo le par- ti del proprio ministero ; è strettissimo adempierle iqi patria : perocché all' obbligo , che nasce dall'officio, quello della carità della madre comune si aggiunge. K però volendo io mostrare a questa mia seconda pa- tria quanto profondamente del mio doppio debito io mi senta, non cesserò mai premura alcuna come feci per lo passato; e, se fosse per alcun modo possibile, di nuove ne aggiungerò. E per darvene una tenue prova, volendo in oggi rallegrarmi con questi giova- ni, i quali vittoriosi o co' primi o co' secondi onori uscirono dalla scolastica palestra , ed esortarli a far buon'uso del tempo delle ferie ; anziché andarmene in parole di lunghi documenti, porrò loro innanzi a specchio verace la vita di un giovane, che mettendo a profitto questo tempo, cui alcuni tortamente credo- no d'ozio, seppe acquistarsi onore e nome nella re- pubblica delle lettere, ed una novella fronda di al- 84 LETTERATURA loro alle chiome di questa sua patria venne a rin- tracciare. Io parlo di Agostino Gobbi pesarese, il no- me del quale nella scuola d'eloquenza è noto da gran tempo ; giovane raro di pietà e di senno , e sol di tanto infelice , che troppo immaturamente fu rapito a'suoi studi. La famiglia de'Gobbi era antica di Venezia, e sul fare dell'anno 1678 di là si trapiantò a Pesaro, ove nel i685 ebbe diploma e titolo di cittadinan- za (i). Quale cagione vi fosse di questo tramutare di cielo, non mi è manifesto: sì credo che per ragio- ni di commercio : tanto più che la repubblica vene- ziana ( memoria gloriosa e veneranda della nostra na- zione ), aveva coi signori di Pesaro di assai buone relazioni, sendo che e i Malatesta, e gli Sforza, e i Rovereschi furono sempre molto onorati dal veneto senato, e spesso ebbero il comando delle armi vene- ziane : di che vennero non piccioli privilegi ai no- stri , i quali direi quasi non altrimenti che fratelli erano riguardati dai veneti; perchè come i nostri si- gnori tenevano ambasciatori e consoli a Venezia, cosi i veneziani e ambasciatori e consoli avevano presso noi. Perlochè molte nostre famiglie trasmigravano a Venezia, molte di Venezia venivano a Pesaro; e noi, comechè alquante ne siano andate spente, pur mol- te ancora ne contiamo distinte nell'ordine della no- stra nobiltà. Capo della famiglia Gobbi era Giusep- pe figliuolo di Girolamo, ed aveva in moglie Cate- rina Rossi, la quale lo fé padre di undici Bgliuoli. E fra questi figliuoli undecimo fu Agostino, natogli il dì 23 di agosto 1G84 (2); giovinetto d'indole dol- cissima, e molto piegato fin da'pjrimi anni agli studi, alla pietà, all' obbedienza de' suoi. Crebbe infatti a Elogio di A. Gobbi 8^ molta lode, ed ebbe a precettore di rellorica don Giu- seppe Nucci palermitano (3), che allora con qualche grido sedeva maestro da ciò nelle nostre scuole. Ap- presso compito il corso della filosofia , e fermato di attendere alle scienze ( comechè molto da natura di- sposto ed inchinato fosse alle lettere), si recò in Bo- logna, ed ebbe in sorte entrare al collegio Montal- to (4). Era questo collegio fondato dal pontefice Si- sto V, di memorando esempio, a prò de'giovani clie dalle Marche si recavano a studiare in Bologna, ed ogni città aveva diritto di nominarvi alcuno sino a determinato numero. E siccome e il ducato d'Urbi- no, e la signoria di Pesaro, e Senigallia ritornate alle mani de'pontefici erano considerale una cosa colle cit- tà delle Marche, godevano pur queste di quel privi- legio: il quale poi cessò quando sotto il pontificato di Pio VI fu dimostrato che questi luoghi sono nel- l'Umbria e non nelle Marche, cosa che Plinio in pri- ma, poi altri avevano dichiarata. Il nostro Agostino adunque ebbe di potere entrare in quel collegio , e fu certo grande ventura: perchè non solo con ciò gli si porgeva modo di venire a capo de'suoi studi, ma di udire e conciliarsi l'amore di quel gran lume del- le lettere e delle scienze che fu Eustacliio Manfre- di, il quale allora aveva il reggimento di quel col- legio, e n'era governatore, o protettore come diceva- no, sino dal 17 d'agosto del 1704. E qui mi si per- metta mostrare metodo tenuto da quel sommo scien- ziato. Egli, comechè alle scienze principalmente in- tendesse, era tanto innamorato delle lettere, che in quelle ne'momenti d'ozio si deliziava, e a parte dei suoi diletti chiamava gli alunni di quel suo collegio. Che, credo io, egli avvisava, a formare un perfetto in- 86 LETTERATURA gegno e le mie e le altre avere somma parte : con- ciossiachè le letfere questo hanno dalle scienze , di ricevere esattezza e severità: le scienze hanno in ri- cambio dalle lettere la precisione, la proprietà e la semplicità del linguaggio, cose di grandissimo momen- to, le quali rado assai incontra trovare unite , dac- ché le scienze sdegnosamente mostrano avere fatto di- vorzio dalle lettere. Del che sommo danno, credo io, ne viene ; tanto che noi non abbiamo più ingegni della tempera che furono il Galilei, il Yiviani, il Redi, il Marchetti, il Manfredi, il Mascheroni ed altri molli, cui lungo sarebbe annoverare letterali e scienziati emi- nentissimi. Quindi le scienze, rimase sole con se, han- no sovente un non so che di sparuto , di aspro , e talvolta di strano e di loquace; le lettere, mancando di esattezza e di nervo, mancano esse pure e folleg- giano. Ma quella testa veramente filosofica che fu il Manfredi, avvisando dirittamente a ciò, ordinava che i giovani, nel tempo in cui avevano alcun riposo dal- le severe discipline, si recassero quasi a ricreamento ne'giardini delle muse: ed egli stesso si faceva scorta a' suoi cari alunni, per modo che ( se vogliamo cre^ dere, e lo dobbiamo, a Gian Pietro Zanetti, il qua- le ne diede la vita del Manfredi, e gli fu stretto a- mico e compagno ) (5) egli aveva tolto ad insegnar loro l'arte de'poeti con veri precetti, e per uso de' medesimi aveva scritto un piccolo trattatello della poe- tica; sebbene mi penso che, più delle regole, a que' giovani dovessero valere i buoni esempi del maestro. E tanto la cosa andò innanzi, che il collegio Mon- talto parve divenuto stanza propria delle muse : e spesso vi si vedevano raccolti ad udire o letture di poeti antichi, o versi di moderni, un Ferdinando An- Elogio di A. Gobbi 87 tonio Gliedlnl, un Campeggi, un Mazza cura li, un Or- si, un Fabbri, un Piccioli, un Gini , e con questi Francesco, Gian Pietro ed Frcole Maria Zanotti uo- mini chiarissimi e riputati per ingegno e per opere. E fra questi sommi e famosi Agostino Gobbi pesare- se aveva luogo, ed era in onore sopra gli altri alun- ni, che pur buoni e valenti erano, cosicché il Man- fredi se lo aveva caro e come figliuolo. Né allrimenti poteva andar la bisogna, se egli è vero che ogni si- mile al suo simile appetisce; perocché essendo il Man- fredi tanto dotto, quanto modesto, tanto profondo nel- la filosofia quanto nella pietà, non poteva non porre amore ad Agostino che di tali doti era eminentemen- te fornito. E che egli l'amasse sopra molti, n'è prova l'avere lui scelto ad esecutore de' suoi disegni e aver- gli ceduto parie della sua poetica gloria. Nel comin- ciare del secolo XVIII la poesia sentiva ancora del mal vezzo del secolo antecedente: e l'arcadia, ch'era stata insti tuita a fronteggiare il reo gusto di que'de- pravatori , degenerando pur essa, e perdendosi nelle selve e all'ombra del bosco parraslo, lasciava andare i poeti sbrigliati, e la gioventù senza norma di esem- pli sicuri. Una novella scuola nasceva che sovente cangiando in polifemico il grandioso, in tumidezza il sublime, amica di ampolle e di frondi, sotto esse la buo- na pianta ascondeva e rendevala infruttuosa. Per ap- porre riparo a questi mali, che a guisa di contagio la gioventìi depravavano, il Manfredi, cred'io, pensò di compilare in una le rime de' migliori dal principio della poesia italiana sino a'suoi dì : perchè i giova- netti, innamorando di quelle peregrine bellezze, da- rebbero al lutto le spalle e agli strani concetti de'se- centisti, e alle svenevolezze degji arcadi, e alla tu- 08 LkttkraturAl midezza rigogliosa della scuola del Frugoni, che già saliva in grido. Scuola veramente pericolosa; troppo lodata dai contemporanei e troppo biasimata dai pe- danti; conciossiachè in mezzo a grandi magagne, ab- bia pure di molte cose degne di lodi; la prima delle quali io reputo, se non erro, una certa tinta ed imi- tazion de'latini; nelle opere de'quali è solo quel fdo che può trarre sicuri gli studiosi dal laberinto , la- sciatemi dire, delle novità. Concepitone adunque il disegno, e scelti gli autori (6) cui dovrebbesi attin- gere, e tutto ben disposto, il Manfredi ne fidò l'ese- cuzione ad Agostino Gobbi: il quale vi si mise den- tro, e vi si adoperò a tutt'uopo con satisfazione gran- de del suo maestro, non meno che con suo onore. Infatto il Manfredi volle che il discepolo si avesse tutto l'onore, come n'aveva avuto il più della fatica: e pubblicata quella scelta in tre volumi dal tipogra- fo bolognese Costantino Pìsarri , portò il nome del giovane pesarese alunno di Montalto. Ne vi credia- te, miei giovani, che il vostro concittadino per in- tendere a ciò trasandasse punto nulla gli studi delle scienze, a cui applicavasi: ma sappiatevi che questo faticoso lavoro egli concluse nel tempo delle vacan- ze, come si legge nella prefazione. Tempo prezioso a chi voglia pensare ch'esso non è dato all'ozio, ma al riposo: nel quale se sta bene che la carriera degli studi alquanto si arresti, non istà però che debbano cessarsi al tutto gli esercizi della mente: perchè al- lora sarebbe un voler farle perdere l'acquistato, e to- gliendole prontezza ed attitudine, renderla più tarda e neghittosa in appresso. La sapienza de'padri nostri, reggendo che la continuata fatica degli studi potreb- be rilassare ed infiacchire le forze de'tenerelli inlel- Elogio di A. Gobbi 8g letti, ordinò clie in ogn'anno vi avesse un due mesi e pili di riposo, acciocché gli animi, nella quiete rin- francati, più robusti e più aitanti all'intrapreso cam- min ritornassero. Laonde errano di gran lunga colo- ro, che si pensano questo tempo essere dato soltanto a poltrire: perchè egli è dato a rafforzare l'ingegno: ne questo rafforzare si può, s'egli esca d'ogni eserci- zio, e quasi annegato nel non far niente si disfran- chi. Consento che quelle usate lezioni non debbano procedere più oltre in tale stagione: ma non consen- to che non si debba riandarvi sopra, o per altra via, che colla novità possa dilettare, non si abbiano a ri- tentare dolcemente le forze dell'ingegno. Io so che i viaggiatori si arrestano a quando a quando, e pren- dono di breve stanza ora in questa, ora in quella cit- tà; so che il guerriero riposa dopo la fatica delle bat- taglie e della guerra; ma non so che l'uno e l'altro sulle piume si addorma a lunghissimi sonni. INella stessa stanza del lùposo il viaggiatore si aggira a ve- dere maraviglie d'antiche e di novelle arti , e negli stessi quartieri di pace il guerriero s'esercita, armeg- gia e si fa prode. Così denno fare i giovani nel tem- po feriato, e così faceva il nostro Agostino, e però grande e bella riputazione gliene venne. Perocché l'e- ruditissimo (y) Apostolo Zeno, e il Crescimbeni, e il Quadrio ed altri ebbero quella scelta per la migliore che fin allora si fosse; ed io non dubiterò affermare che altra non conosco da anteporle. Che se parve a Scipione Maffei (8) eh' essa difettasse ( quantunque però egli stesso le dia titolo d'essere la migliore mo- dernamente uscita ), io dirò che se pur vi è colpa, non è del nostro Gobbi, il quale non giunse a fi- nirla. Della quale colpa però bene si purga il Man- 00 Letteratura fredi sfesso in una lettera Jìretla a Pier Iacopo Mar- telli, in che dice ragioni , per cui lavori di tal l'at- ta né ponno o piacere ugualmente al gusto di tutti i lettori, né riuscire a perfezione: che anzi perfetti non si possono pretendere, cosicché per essere giu- dicata buona una scelta di tal forma « basta ( sono « sue parole ) che la maggior parte de' componimenti » sia giudicata buona, e che se ve ne mancano al- » cuni degni d'entrarvi, questi siano in poco nuiue- » ro (g), » Né solo di questa scelta s'impigliò i! no- stro Agostino, ma a lui aneliamo debitori delle lime di molti illustri italiani, che o sparse e disordinate, o scorrette e non curate si giacevano. Infatto per cu- ra del Gobbi, sempre diretto dal suo illustre niaes'ro, avemmo una compita edizione delle rime di quel Bo- naccorso da Montemagno (io), contemporaneo del Pe- trarca, e di poco a lui secondo nell'arte : vedemmo per lui a luce le poesie di quell'Angelo di Costan- zo, i sonetti del quale per certe squisite acutezze epi- grammatiche parvero miracolo sino a que'dì, in cui si ebbe il sonetto per una specie propria di poesia, e non generica come è infatto; e quelle di Giovanni Guidiccione, forse il più robusto, e certo il più pie- no di spiriti italiani , fra quanti poetarono nel se- colo XIV alla maniera del Petrarca. Lasciò anche mo- rendo raccolte ed ordinale per uscire a luce le rime di Agostino Staccoli , poeta tanto men conosciuto , quanto piìi è degno di esserlo, le quali poi furono pubblicate dal Magini pochi giorni appresso la morte dell' amico ; da cui eragli stata tacitamente lascia- ta quella provincia. Ed oh fosse egli vivuto ! Che di molti e più ricchi e più nobili lavori avrebbe o- noralo sé e la patria: perocché egli non solo aveva Elogio di A. Gobbi c)t ingegno, ma sapeva usare del tempo, né a sollazze- voli brigate, né a trastulli, ne a siffatti altri passa- tempi fu visto giammai abbandonarsi. Ma in quella che egli più fioriva nella lode degli studi, nell'amore de'suoi maestri, e nella grazia de' primi e molti no- bili e letterati uomini, onde allora principalmente ab- bondò la dotta Bologna , fu sorpreso da grave ma- lattia di petto, elle lo doveva fra breve condurre al suo fine. Della qual cosa egli non prese spavento ne dolore: perchè vivuto com'era sempre pio, sapeva gli uomini doversi mai sempre accomodare ai voleri del Signore. E però confortato de'santi misteri della re- ligione, in mezzo le lagrime degli amici e di tutto il collegio Montalto, anzi di tutta la città, passò tran- quillo di questa a vita migliore il i6 agosto del 1708, sette giorni prima che avesse compito il vigesimo ter- zo anno dell'età sua, lasciando di se desiderio e bel- lissimo esempio. INè eertamente fu senza il compian- to di tutti i dotti d'Italia la perdita di Agostino Gob- bi: conciossiachè l'accademia degli abbandonati (1 1), che allora novellamente fioriva in Bologna, deplorò la morte del giovane ed onorato socio : e Gian Pietro Zanotti (12) di questa si duole, come di grave dan- no fatto alle lettere: e lo Zeno ed il Quadrio, eru- ditissimi uomini, lo chiamano giovane ragguardevo- le per Vingegno, pe'' costumi^ e molto affezionato ai buoni rimatori antichi e moderni : e dicono , che aveva talento non ordinario , e dava a tutti singolare aspettazione (i3). Le quali autorevolissi- me testimonianze certamente stabiliscono la fama du- revole di Agostino, sebbene egli non abbia avuto spa- zio di lasciare alla posterità monumenti perenni del suo ingegno. Se non che sopra ogni altra cosa reputo 02 Letteratura notaLllissimo il giudizio di Eustachio Manfredi , il quale la scelta incominciata dal Gobbi continuando non dubitò di porre fra le più belle poesie del seco- lo diciottesimo undici sonetti del suo discepolo ed amico. Da questi, se buon giudizio non mi falla, può essere manifesto a chiunque , che il giovane pesa- rese era nato poeta: tanta è in quelli la vena, il brio, la vivezza, l'eleganza dello stile sempre fiorito delle grazie dei classici nostri , e ricco di nobili pensieri e di gravi sentenze. Il primo di questi sonetti è nelle lodi d'un integerrimo magistrato di giustizia, ed è ro- busto non men che aggraziato. Pel secondo si mo- stra il gran bene che è la pace, dall'osservare i danni della guerra. Il terzo pare che tragga argomento da una delle più forti tentazioni di sant'Antonio magno, ed è bello d'immagini e di molta franchezza. Il quar- to e il quinto dichiarano la potenza dell'amore su- gli animi umani: e lo stile ha un non so che di gar- bato, che tiene mezzo fra lo stile de'due grandi are- tini Petrarca e Redi. E cosi pure il sesto, il quale è di argomento erotico, ne'versi e ne'pensieri discor- re facile, elettissimo, delicatissimo. Il settimo e l'ot- tavo prendono argomento dall' annunciazione della vergine madre di Dio : e spezialmente nel secondo è tanta grazia e splendidezza, che niun buon poeta lo sdegnerebbe per suo. Il nono dà lode ai dotti bo- lognesi, che in ogni tempo, ma in quello in cui vive- va il Gobbi principalmente, erano in fiore d'ogni ma- niera di lettere e di scienze: ed è tale che gareggia co'più gravi dell'immortale Torquato. Gli ultimi due sono di pentimento spirituale: e mentre ne mostrano l'anima cristianamente pia del poeta, spirano un non so che, che ben si sente nell'anima al leggerli , ma Elogio di A. Gobbi <)3 noti si può ridire. Forse questi furono dettafi da lui negli ultimi della sua vita: perchè come in ogni tempo aveva usato l'ingegno e lo studio, qual debbe uomo nato e cresciuto nella santa legge di Cristo, cosi anche gli esti'emi momenti della sua età, gli estremi sforzi del moribondo ingegno tenessero il medesimo modo. Quan- ti esempi, miei cari giovani, vi porge la vita e la morte del vostro concittadino ! Seguiteli adunque, e siate, com'egli era, pio, ricordando che la pietà è il primo e saldo fondamento d'ogni umana felicità; attendete, ad immagine di lui, agli studi: usate bene del tem- po, e spezialmente di quello delle ferie: guadagnatevi l'amore de'vostri, la stima di tutti ; e fate che per voi la patria abbia moltiplicato compenso di ciò eh' ella immaturamente perdette in x^gostlno Gobbi. NOTE (i) Ecco la supplica di Giuseppe Gobbi estratta dagli atti municipali di Pesaro. ,, All'eminentissimo e reverendissimo sig. cardinale Francesco Spada legalo d'Urbino e Pesaro. Eminentissimo e reverendissimo signore. ,, Giuseppe Gobbi veneziano, continuo abitatore di Pesaro, servo umilissimo dell'eminenza vostra, riverente le narra aver dimorato in detta città per lo spazio d'anni undici continui ia circa, e desiderando di continuare l'abitazione in essa sino alla di lui morte con sua consorte ed undici figli, nati quasi tutti nella medesima città, bramerebbe perciò d'essere annoverato tra gli altri cittadini di quella, e godere come tale tutti quei privi- legi, prerogative, esenzioni, cbe sogliono godersi da lutti gli al- tri cittadini di essa; onde se ne ricorre alla somma benignità di vostra eminenza, ed umilissimamente supplica volersi degnare g4 Letteratura di graziamelo, per renderlo poi in tal modo capace di godere quanto sopra: il che ricevendo, come spera, lo riconoscerà per grazia siugol.irissima dell'iniuieiisa clemenza dell' eminenza vo- stra. Quam Deus, etc. „ Pisauri vocatis vocandis, et praesertim sindaco communi- talis ac ministris cameralibus,narratorum veritatem diligenter iu- quirat et nobis refarat. F. cardinalis Spada legatus. Loco -f- sigilli. Pisauri i8 iauuarii i(>85. M. Crucimontes. „ Altenlis narratis et relatione concedi mus ut petitur. F. cardinalis Spada legatus. Loco 4- sigilli. Pisauri 21 tebruari i685. F- C De Babuciis. „ Ego Dominicus Boschius cane, registravi, et originale re- stilui. ,, Negli alti del comune di Pesaro, libro 3 dei decreti, pag. J7 a retro. (2) Ecco la fede di battesimo estratta dai libri della chiesa priorale di s. Cassiano. „ A dì venticinque agosto 1684. ,, Agostino Bartolomeo Girolamo figlio del sig. Giuseppe Gobbi veneziano, e della sig. Caterina Rossi sua moglie, fu bat- tezzato da me don Agostino Pasqualini vicario curato di questa chiesa priorale e parrocchiale dess. Cassiano ed Eracliauo della città di Pesaro. Compare fu il sig. Carlo Antonio Papi, e conia- re la sig. Maria Sigoufredi. Nacque li ventitré suddetto alle ore sette. (3) Negli atti municipali di Pesaro. (4j Vedi il tomo VII delle antichità picene dell'ab. Giusep- pe Colucci a pag XCII, III, IV. (5) Zanetti Gian Pietro, Elogio di Eustachio Manfredi. (6)Atque ex hoc opere laudem ipsum nou quaesivisse ex hoc coniici pótest, quod illud nomine Augustini Gobbi , qui alumni locum collegio in piceno obtinebat, vulgavit. Ex Angelo Fabro- nio, decade I, in vita Manfredii. — A questo luogo il Fabroni non parlò certo esattamente, perchè non si valse il Manfredi sol- tanto del nome del Gobbi, ma si dell'ingegno e dell'opera. (t) Agostino Gobbi da Pesaro mori in Bologna di mal di petto ai 16 agosto del 1708 in età di anni qS; giovane ragguar- devole per l'ingegno e pe'costumi, e molto affezionalo ai buoni cimatori anliclii e moderni: avendo egli falla la lamosa scelta degli eccelsi poeti d'ogni secolo, che lu stampala in Bologna in F-f.ocro ni A. Gobbi gS 4 tomi in 8, nel 1708-1709,'oltre all'avere promesse varie ristam- pe di poeti illustri, le cui rime andavano sparse per le raccolte, o erano divenute rarissime, e spezialmente quelle dello Staccoli, del MonlemHguo, del Guidiccione, del Costanzo. Di lui parla a lungo lo Zeno nel giornale dei letterati d'Italia, toin. I, iQo: e il Crescimbeni, Storia della volgar poesia, lib. V, clas. 3, a. 108. Rime d'Angelo di Costanzo, in Bologna 1709 per il Bartiro- Ij, dedicate al M. Gio Giuseppe Orsi, dai due editori Raiaioa- do Antonio Brunamantini e Agostino Gobbi. Tutto il merito nientedimeno dell'edizione delle rime dello Staccoli ne ha Ago- stino Gobbi, lo stesso che ci die l'edizione del Montemagno, e quella del Costanzo, del Guidiccione, e della famosa raccolta dì cui parleremo più sotto. La morte di questo studioso seguì con grande danno delle buone lettere li 16 agosto del 1708 in Bologna, cagionala da luugo e lierissimo mal di petto. Era nato in Pesaro di onesti pa- renti, aveva talento non ordinario e dava a tutti singolare aspet- tazione di se medesimo; ma la morte nel 23 anno dell' età sua immaturamente cel tolse, e troncò nel più bel fiore i suol studi e le comuni speranze. Ved. Quadrio, voi. '2^ P^g- 384. (8) Maffei Scipione, Osservazioni letterarie che possono ser* vire di continuazione al giornale dei letterati d'Italia , tomo 5, pug. 180-81. Articolo XI. Elogio del sig. Eustachio Manfredi, scritto dal sig. Francesco Zanotti segretario dell'accademia delle scienze in Bologna. (g) Lettere dei bolognesi pag. 17, voi. i, a Bologna per Le- lio dalla Volpe 1744- (io) Vedasi lo Zeno, Lettera al cav. Marmi, voi. Q, pag. 25, ^lell'edlzione veneta del 1785. (Il) INel 1617 in Bologna fu restituita l'accademia degli ab- 33andonati, per lungo tempo giaciuta: e per impresa levò tre radiche di corallo galleggianti sopra l'onde del mare, col motto? Non semper neglecta. - Quadrio, Della storia e ragione d' ogni poesia, voi. I, pag. Sg- Bologna 1739. (12J V. Elogio di Eustachio Manfredi. (i3) Vedasi la nota (7). 96 // paradiso perduto di Gios>anni Milton recato dallo sciolto inglese nella nostra ottava rima da Lorenzo Mancini. Tomi 2, in b. Firenze ^ tipografia Piatti^ 1842. LETTERA. DEL CAV. ANGELO MARIA RICCI A L P. GIOVANNI BATTISTA ROSANI GENERALE DELLE SCUOLE PIE Ao sapeva già dal comune amico cavaliere Lorenzo Mancini, che per mezzo vostro doveva giungermi il prezioso dono della versione da lui mandata a fine del Paradiso perduto di Milton^ recalo dallo sciol- to inglese nella nostra ottava rima: che lo ha fatto veramente italiano, come fece di Omero e di Virgi- lio. Ma il cav. Mancini era a buon diritto ( come lo siam noi ) pronipote eletto di que'grandi, e si av- vicinò ad essi per agnazione di gusto e di lingua, tra- vasando il suono della greca e della Ialina tromba nell'ottava rima, dagli italiani consacrata all' epopea, la quale in tutte le nazioni e in tutti i tempi do- vrebbe essere sempre una. Prodigio maggiore certa- Milton tradotto dal Mancini gy mente fu quello di rotondare l'ottava sempre fedele nelle sue pause e senza monotonìa, derivandola, nel- l'onda larga e posata del suo periodo, da una lingua nata, come l'inglese, da una mescolanza così grande di lingue nordiche, e così vigorosa e ricca nelle sue inversioni e nelle sue gradazioni, che non soffre una norma determinata. Milton è da considerarsi assolu- tamente come il più grande nello siile per la eleva- la e seria lingua poetica degli inglesi. Ciò per altro non toglie che per noi italiani, avvezzi alla grandi- loquenza greca e latina, all'onda larga e sonante di Ariosto e di Torquato, egli non semhri talvolta bas- so, pedestre, contratto e contorto. Onde il cav. Man- cini ha dovuto nella sua ottava rialzare talvolta e no- bilitare il testo; talvolta rammollirlo e spianarlo; tal- volta o raddrizzare o schivare ciò che la sterile e ma- gra aridità d'un protestante , qual era Milton , avea introdotto nella poesia. Lo stesso autore originale , combattuto dai prestigi delle riforme dogmatiche, av- vilito dalla sua naturai cecità, non potè abbando- narsi liberamente al genio nella scelta de'pensieri e delle frasi; e queste non poterono passare sotto i suoi occhi negati alla luce. Non dee perciò farsi colpa al traduttore se abbia schiv^JLo ciò, che l' autore origi- nale avrebbe forse rigettato^ specialmente quando non servisse di legamento alla parte integrale del poema. Non v'ha poesia cristiana fuor del cattolicismo. Con- siderato Milton in confronto ai poeti cattolici Dan- te e Tasso, da lui tolti a modello, egli nella sua qua- lità di protestante, e sotto l'impero àe puritani, che fecero la guerra a Shakespeare e che la preparavano a lui, non potè far uso di tutto ciò che ha di piìi connnovenle e patetico, di piìi consolante il catloli- G.A.T.XCII. 7 g8 Letteratura cisino in quei sublimi e teneri raisleri, in cui il Ver- bo si fece carne. Il poema di Milton è soltanto il primo atto della storia cristiana dell'uomo; di cbe Mil- ton s'avvide troppo tardi, e vi supplì freddamente col Paradiso riacquistato. Il valor del Paradiso per- duto non sta certamente nel disegno, ma nelle bel- lezze isolate e nei tratti particolari, come nella de- scrizione dell'innocenza e della bellezza del paradi- so, dove precisamente il cav. Mancini ha gareggiato coll'originale , perchè vi ha trovato idee cattoliche , fonti di patetico, e colori in sostanza italiani. Non polendo il Milton valersi del patetico del cattolici- smo, d'onde esce un suono di soavi lamenti e di ele- gia che fa belli i poemi, si volse alla poesia del Co- rano e del Talmud, ne racconciò alquanto le favole e le allegorie, e ci dipinse il quadro dell' inferno e de'suoi abitatori in forma di quei giganti dell'antica gigantomachia, pei quali non è possibile sentire in- teresse, ma piuttosto un certo ribrezzo, che ad orga- ni italiani non è piacevol sensazione. Quelle imma- gini di colore oscuro, di gigantesca forma, ridotte in italiano poteano prendere tinte e proporzioni mari- nesche, se il traduttore non ne avesse ridotti in pro- porzione ottica i contorni. Volle il Milton accostarsi talvolta all'Ariosto ( poiché pendea dalla parte latina ed italiana più che dalla nordica ) e rallegrare il poe- ma con qualche giocondità : ma ciò dovette egli far quasi di soppiatto; poiché i purilanti, dominanti a'suoi tempi, pretesero che l'arte poetica dovesse essere lo-: talmente diretta allo spirituale. Quindi, per corrispon- dere all'indole del tempo, ei fu costretto a quella se- rietà sempre uniforme che il fa monotono; e se lai-, volta fu tentato d'interrompere quel serio affanuoso Milton tradotto dal Mancini 99 col baleno e col sale domestico dell'epigramma , vi lasciò l'incertezza e la paura del morso puritano. Tan- to è vero, che le opinioni del tempo influiscono sul genio, sul gusto, e sulla riputazione dei poeti ! Quin- di non lieve sforzo fece il cav. Mancini a dilungar nel linguaggio dell'ottava il senso ed il sapore ibrido di quelle quisquilie , che i francesi direbbero sali scipiti^ che non si trasportano da una lingua all'al- tra, e che fuor di patria non dettero mai ne calore, né luce. In fine egli fece il Milton tutto italiano nel- la veste, che forse lo stesso autore originale in altre circostanze meno infelici avrebbe desiderata in aere proprio', ed io conchiudo, che l'Italia dovrà al Man- cini straniera dovizia di quadri originali, che altri for- se, di minor ingegno e di minor pazienza fornito, a- vrebbe soltanto curato di estrarre da quella tela per noi di non felice orditura o composizione pittorica per colpa delle opinioni e del tempo. Sembrerà forse a taluno che il cav. Mancini abbia fatto anche di troppo italiano il Milton , togliendo ad esso la sua nativa fisonomia; onde nulla di nuovo abbia acqui- stato nel commercio letterario il parnaso italiano. An- che l'egregio Giordani desiderava, che nelle versioni si mantenesse nel nostro metallo l'impronta esotica per farne ricchi di straniere bellezze, ove stessero ne' limiti del vero e della natura tanto svariata nei suoi aspetti nell'infinito poligono delle cose create. Ma nella versione del Mancini non lascia d'intravedersi, sotto il vetro colorato dell'italiche rose, anche il grot- tesco, e lo spleen^ e l'andamento delle forme stra- niere; onde sentiamo la diversità del gusto nelle co- se, l'omogeneità e la simpatìa nelle parole. Il poema non piacerà a molti italiani; la versione, o per me- 100 Letteratura gilo (lire la veste, piacerà forse a tutti. Lessi alcuni Ijrani del Paradiso perduto letteralmente tradotti in prosa francese : e mi parvero avviliti a vicenda due grandi, cioè l'originale autore, e il traduttore Cha- teaubriand, che diede all'Europa tante sue belle cose originali. Lessi la versione salviniana del Rolli, e m* addormentai tra sogni affannosi. Lessi la bella versio- ne in sciolti del Papi, e non vi desiderai altro che la rima in mezzo a così preziosa melodia italiana. Ho letta la versione del Mancini; e pieno di dolcezza e di maraviglia ho detto fra me stesso, die con forze ineguali tentai lo stesso arringo : Or che sarà del mio Rodolfo ? Mi conforta la bellezza dell'originale dell'insigne monsig. Pyrker, che è tutto cattolico, e nel suo disegno assai piìi vicino ai grandi nostri ori- ginali, ed in più luoghi sunt lacrimae rerum^ non mai divise colle sventure de'diavoli. Le note apposte dal cav. Mancini alla sua versione sono piene di non comune erudizione e di soda critica comparativa, che indica le differenze tra il gusto inglese e l'italiano, tra il classico ed il romantico; e versi e prosa sono sempre scritti nella lingua viva d'Italia, simplex mun- ditiis. Voi, mio caro amico, mi saprete poi dire, se io dissi il vero; ma dissi almen ciò che sento, ben- ché con organi ottusi e lassi. Rieti 3o giugno i84a. — =»-Sg^0^^p<*— TOI Chiose ed osservazioni sul convito di Dante, tal quale si pubblica in Napoli, lo protesto che non prendo la parola sui passi di questa prosa di Dante, se non quando qualche indi- zio, nella edizione che ho tra le mani (Vedi le opere tutte di Dante Alighieri, Napoli ,839 ) , mi (accia presumere esservisi pensato sopra un qualche poco, e quindi non essere inutili le avvertenze di uno, che fortuitamente s'imhattesse nella vera interpretazione. Prego infanto il lettore di non volere esigere da me la confutazione delle altrui chiose, ne una troppo diffusa venulazione della mia maniera d' intendere , quando la verità delle interpretazioni salta agli occhi* TRATTATO PRIMO. « i.° Lo 'nvidioso poi ( capitolo 2.° ) argomenta » non h.as.mando colui che dice di non sapere dire » ma biasima quello che è materia della sua operai » per torre ( dispregiando l'opera da quella parie ) a » lui, che dice, onore e fama ec. » Costruzione. Lo'nvidioso poi non argomenta biasimando l ac- cusandosi) di non sapere dire (circa il non sapere dire) colui che dice (il dicitore invidiato), ma biasima quel- lo che e materia della sua opera (della di lui opera), per torre onore e fama a lui che dice, dispregiando 1 opera da quella parte, cioè dalla parte di quello che è materia della di lui opera. « 2.° Primamente (capitolo 8.°), perocché la vir- 102 Letteratura » lù dee essere lieta e non trista in alcuna sua ope- » razione: onde se il clono non è lieto nel dare e nel » ricevere, non è in esso perfetta \irtù : non è pronta n questa letizia, non può dare altro che utilità, che » rimane nel datore per lo dare, e che viene nel rl- » cevitore per lo ricevere ec. » Veggasi un poco quanta dovizia di silogismo ne porge su questo passo il Pederzini, aggiungendo un se ei ed un non. Egli scrive quanto segue (V. l'edizio- ne che attualmente si sta pubblicando in Napoli pa- gina 178 nota 12) : « Secondo la promessa di Dante, » nel tratto della parola primamente fino a qui, dob- » biamo avere la prima delle quattro ragioni, perchè » di necessità il dono (acciocché in quello sia pronta » liberalità ) conviene essere utile al ricevitore. Ma » chi guarda attentamente, ivi non è che una conge- » rie di affermazioni , le quali non concludono ne » quello, ne veruna altra cosa. Di che io ho pensalo » di comporre, estendendo e comentando, su gli stessi » avanzi della scrittura l'argomento; e s'egli apparirà » tale e cosi splendente, che Dante non debba averlo » fatto in altra forma, avremo la via sicura alla emen- » dazione. La virtù deve essere lieta e non trista in » ogni parte della sua operazione; il dono è atto di » virtù; dunque debb' esser lieto in ogni sua parte , » cioè nel dare e nel ricevere. Ma il dono non è com- » piutamente lieto: cioè la letizia, che viene da esso, » è difettiva d'una parte, quando l'utilità del dono, » cioè la ragione della letizia, si ferma in una parte » sola, cioè nel donatore. Dunque il donatore deve » fare tal dono, che dalla sua parte rimanga l'utilità » dell'onestate, ed al ricevitore vada l'utilità della cosà » donata; e allora l'uno e l'altro sarà lieto, e per con- Convito di Dante to3 » seguente sarà più pronta liberalità. Scrivnsi ilnnque: 1) Primamente ec virtù : non è pronta questa le- » tizia ^'e' non può dare altro che l'utililà, che rima- » ne nel datore per lo dare, e che non viene nel ri- » cevitore per lo ricevere. Nel datore ec. » - Evviva, sclamo io , evviva 1' illustre comen latore. Ma per- chè il due punti non potrebbe camminar un poco, e spostandosi da \nrtà allogarsi dopo pronta ? Ecco re- stituita la lezione, che per me è la genuina di Dan- te: <( Onde se il dono non è lieto nel dare e nel ri- » cevere, non è in esso perfetta virtù, non è pronta: )» questa letizia non può dare altro che utilità, che » rimane nel datore per lo dare, e che viene nel ri- » cevitore per lo ricevere. » Intendiamo dunque che non è nel dono virtù perfetta, cioè virtù pronta, se il dono non è lieto : e che questa letizia non può darla altro, cioè non può produrla altra cagione, se non che quella tale utilità, la quale rimane nel da- tore per lo dare, e che viene nel ricevitore per lo ri- cevere. E si manifesta una tale lezione, che io sde- gno anche di presentare altri luoghi, ove perfetto e pronto si accoppiano e corrispondono in sì marcata guisa, da comandare la mia lezione: come può ognu- no vedere anche nell'istesso capitolo 8.° » 3.° Ma tuttavia (capitolo i2.°) è a mostrare » che non solamente amore, ma perfettissimo amore, » di quella è in me , e da biasimare ancora i suoi » avversari, ec. » Si supplisca: Ma tuttavia è a mostrare che non solamente amore, ma perfettissimo amore di quella è in me, ed amore da biasimare ancora i suoi avversa- ri: cioè amore tale da far ridondare biasimo agli av- versari del volgare: da essere esso solo un rimprove- ro agli avversari del volgare. io4 Letteratura « 4-° ^- («capitolo i3.°) cli'ella sia stata a me J'es- )) sere, se per me non stesse, brievemente si può mo- )) strare. » Sposizione. Per me sta, è fermo, è cosa certa, che il volgare sia stato a me cagione d'essere; e se per me stesse o non istesse questa cosa, ovvero quanto per me costi certa una tal cosa, si può brevemente dimostrare. « 5.° Non è (capitolo i3.") secondo a una cosa, » essere più cagioni efficienti, avvegnaché una sia mas- » sima delPaltre ec. » Dante vuol provare che egli ha ricevuto l'essere dal volgare italiano, ne ci scandalezziamo della sco- lastica di quei tempi. Or l'essere d'un individuo non dipende da cose accessorie, secondarie o seconde in esso, ma bensì da ciò che non è accessorio , non è secondario, non è secondo relativamente a tale indi- viduo. Dice in conseguenza che non è accessorio, non è di seconda o secondaria esigenza per una cosa, l'e- sistenza di più cause efficienti: benché una sola sia sempre la principale. Cobì alla formazione d'un col- tello non è indifferente il fuoco ne il martello, co- munque l'azione del fabbro sia la causa principale. Nella stessa guisa sebbene i genitori di Dante furo- no la causa massima della di lui esistenza, pure le altre concause o condizioni sine qua non di essa esi- stenza non sono tanto inferiori alla massima da po- tersi dir cose secondarie, ed al cui ordine non ispet- tino quelle primarie, di cui più sopra dice Dante , che per esse, tut te le altre si vogliono: tra le quali concanse, dice Dante, fu il volgare del sì. Il punto interrogativo adunque preferito da'chiosatori sembra- mi falso. Convito di Dante io5 TRATTATO SECONDO. « Ancora è impossibile ( capitolo I."): perocché » in ciascuna cosa naturale e artificiale è impossibile » procedere alla forma, senza prima essere disposto » il suggetto, sopra che la forma dee stare; siccome » impossibile è la forma di loro venire, se la mate- » ria, cioè lo suo suggetto, non è prima disposta ed n apparecchiata , e la forma dell'arca venire , se la » materia, cioè lo legno, non è prima disposto ed ap- » parecchiato. » N.° i.° Dante vuol provare non doversi cerca- re il senso allegorico prima di avere stabilito il senso letterale: perchè il primo è come la forma del secon- do, che è come il suggetto, senza cui non può con- cepirsi la qualità. Quel procedere ai la forma adun- que dee interpi'etarsi nel senso d'intendere, o proce- dere nell'intendere, procedere nel concepire, e non già procedere nel creare. Non vuol dire adunque che bisogna prima creare il suggetto e poscia la forma, che dovesse poggiare su quello: ma bensì che dee pri- ma intendersi o concepirsi il suggello, e poscia fer- marvi sopra il concetto della forma. Del resto, sic- come le cose non esistono fuori di noi o in se tali quali sono presenti al nostro spirito; il procedere nei concepire un soggetto colle sue qualità non è mollo diverso dal crearlo mentalmente, dal formarsene un' idea, conciossiacosaché il dimostrare (dice Dante ) sia un'edificazione di scienza. 2.° L'autore parla di soggetto naturale e sogget- to artificiale. Gli esempi adunque, che vengono dopo il siccome, devono essere l'uno di soggetto naturale e l'altro di soggetto artificiale. Il primo dee contenersi io6 Letteratura nel significalo di quel loro^ che è la parola in qui- stione; il secondo è manifestamente l'arca, cioè una specie di cassa di legno, che è fattura artificiale e non naturale. 3.° Ora in due modi si può discutere quel Zoro. O si fa rimanere questa lezione del testo, e bisogna sforzare la interpretazione, intendendo loro per lau- ro^ come ora da aura , coro da caiiro , moro da mauro ec. O si dee sostituire un'altra parola; ed al- lora incombe il dovere di scegliere la più conforme al contesto; e questa è la parola legno. Osserviamo pertanto, che se l'autore avesse parlato dell' alloro^ avrebbe scritto del loro o lauro, e non di loro o lau- ro; tale essendo la legge grammaticale. Al contrario se ha voluto la parola legno, non poteva scrivere del legno', poiché la forma del legno avrebbe potuto in- tendersi per una forma artificiale data dall'uomo : al legno. Laddove quel di legno cosi assoluto svela, a mio parere, tutta la mente di Dante: il quale ha vo- luto dire , che non può fissarsi la forma di legno , cioè quello che dislingue l'esser legno daU'esser sas- so o metallo ec, prima di fissare il soggetto comu- ne a tutti gli esseri , cioè la sostanza o la materia prima, come la intendevano i peripatetici. Dall'esem- pio poi del soggetto naturale legno, la cui materia è la sostanza, si passa naturalissimamente all'esempio del soggetto artificiale arca, la cui materia meno sem- plice è il legno. Dante insomma vuol dire, che sic- j come non può concepirsi la forma di legno , che è i soggetto naturale, senza concepire la sostanza; ne la ( forma di arca, che è soggetto artificiale, senza la ma- , teria o sostanza; così non si può afferrare il senso al- | legorlco, senza aver presente il senso letterale , che j è come il sostegno o la sostanza del senso allegorico. Convito di Dante 107 « La terza ( capitolo 2.° ) è il quinto ed ulti- )) mo verso, nella quale si vuole l'uomo parlare all' 1) opera medesima, quasi a confortare quella. » Che il verbo volere^ degenerando quasi in verbo neutro, si usi nel significato di essere necessario o conveniente^ non vale la pena di dimostrarlo. Ci vo- leva, ci era necessario, si era necessario lutto il vo- stro ingegno per superare tanti ostacoli : ci vuole, ci è necessaria, si è necessaria un'ora per compiere la tale cosa ec. Io intendo adunque. « Nella quale si è conveniente l'uomo parlare all'opera medesima ec.» Ne il verbo volere perde molto della sua natura nell'as» sumere quell'apparenza di significato neutro; poiché si può ben dire, che vostro ingegno ed ora sieno ne' succitati esempi i nominativi de'verbi voleva e vuole\ usati coll'accusativo ed indelerminato. E di questi ver- bi così usati non sono rarissimi gli esempi. Lo slesso Dante nell'inferno ha adoperato il verbo abbaglia in significato di si produce bagliore^ vi è bagliore ec, ove è virtuale il nominativo e 1' accusativo. Sicché quel si vuole verrebbe ad essere un passivo del ver- bo volere', come se si dicesse: Nella quale si vuole che l'uomo parli all'opera medesima ec. « E avvegnaché (capitolo 3.°) quelle cose, per » l'ispetto della verità, assai poco sapere si possono ec. » Se questa clausola yaer rispetto della verità non avesse prodotto intoppo in qualcuno, io non ne farei motto. Dico dunque che essa è un modo avverbiale equivalente ad a dirla schiettamente^ a parlare sin- ceramente^ a parlar secondo la verità ec. « Lo sito de'quali (capitolo 3.°) è manifesto e » determinato, secondo che per un'arte che si chia- » ma prospettiva, arismetica e geometrica, sensibil- io8 Letteratura )ì mente e ragionevolmenle è veduto, e per altre spe- mrienze sensibili; siccome nello eclissi del sole ap- » pare sensibilmente la luna essere sotto il sole, e » siccome per testimonianza d'Aristotele, che vide co- » gli ocelli, secondochè dice nel secondo di cielo e » mondo, la luna, essendo nuova , entrare sotto a » Marie, ec. » Questo passo per quel secondo siccome presenta una sintassi poco legittima, perchè sospesa e difettiva. Basta per assicurarsene il togliere quel secondo sic- come; e si vedrà l'andamento del discorso riescire più morbido e naturale. Intanto, a non voler togliei-e nul- la, io fo questa osservazione: che non si è potuto vo- lere instituir confronto tra l'essere veduto dall'intel- letto ciò che Dante vuol pruovare, e l'apparire la lu- na sensibilmente essere sotto il sole nell' eclissi di que- sto astro. Quel primo siccome adunque deve inten- dersi siccome è che. Ecco pertanto come io credo di dovere sporre: « Secondochè è sensibilmente e ragio- » nevolmente veduto per un'arte che si chiama pro- » spettiva, arismetica e geometrica; e secondochè è » veduto per altre sperienze sensibili; siccome una è » che nello eclissi del sole appare sensibilmente la » luna essere sotto il sole; e siccome un'altra è per » testimonianza d'Aristotile, che vide cogli occhi la » luna, essendo nuova, entrare sotto a Marte, ec. » « E lo nono (capitolo 4-'') gli ha fermi e fissi e » non mutabili, secondo alcuno rispetto. » Ognun sa che si può tradurre; « E lo nono ha i suoi poli fermi e fissi e che non sono mutabili, se- condo alcuno rispetto. » E chiaramente si comprende, che se ciascun altro cielo ha i suoi poli immutabili so- lamente quanto a se, il nono gli ha immutabili e quan- Convito di Dante ioq to a se e secondo qualunque altro rispetto. Ora io avverto, che quel alcuno ha qui precisamente tutta la forza di nessuno. Gl'italiani, purché separate da un verbo, non isdegnano di usare due negative, senza- chè queste dieno l'affermativa. Per esempio: Qui non vi è nessuno: non voglio nessuno', i quali modi non significano certamente: Qui ninno non vi è: nessuno non voglio ec. Ora un tale uso è da commendarsi; perchè non mutabili secondo alcuno rispetto potreb- be fare intendere, che solamente secondo qualche ri- spetto non fossero mutabili quei poli, ma che secon- do altro rispetto lo fossero. Potrebbe anche intendersi non mutabili secondo qualche rispetto, ma muta» bili sotto tutt'i riguardi. Gl'italiani adunque evitano queste anfibologie ripetendo la negativa, che dando più forza fa intendere nel luogo citato, che i poli del no- no cielo non sono mutabili secondo nessuno o nin- no rispetto. Alcuno adunque non essendo perfetto si- nonimo di nessuno, ove si prenda nel senso definito da'vocabolari, si dee dire che esso assume un nuovo senso, che è appunto il senso proprio del nessuno', e, se non erro, questa osservazione fu anche fatta dal Perticari sopra un passo dell'Inferno. <( E avvegnaché (capitolo 5.°) per ragione uma- » na queste opinioni di sopra Tossono fornite e per » isperienza non lieve, la verità ancora per loro ve- » duta^ non fu, e per difetto di ragione e per difet- » to d'ammaestramento. » I poeti, che ritraggono in parte alcuna lo mo- do de'gentili e ne'sacrifizi e nella loro fede, sono principalmente i poeti anteriori al perfetto stabilimen- to della nostra religione cattolica. Essi non goderono pienamente della promulgazione evangelica e degli no Letteratura ammaeslraraenli di Cristo. Or le testimonianze evan- geliche non contengono de' fatti ? Ed i fatti escono forse molto dal campo delle esperienze ? Avvertasi che Dante dice esperienza non lieve, cioè ragguardevo- le, sacra, imponente. Leggasi dunque il capitolo se- guente: e nell'apparizione dell'angelo Gabriele ed in altre rivelazioni di Cristo si troverà quale esperienza non lieve (V. la nota ly) confermava Dante nella credenza del maggior numero di angeli. » Conciossiacbè (capitolo 5.°) 'l divino'ntelletto » sia cagione di tutto, massimamente dello intellet- » to umano, che l'umano quello non soperchia ec. » Se quel che non fosse accentato, avrei in que- sto passo un esempio frequente ne'testi di lingua, e che conferma un' acutissima osservazione del Tracy nella sua grammatica generale: osservazione stravolta e malamente tradotta (mi sia lecito il dirlo) dall'il- lustre Compagnoni. L'osservazione si riduce a questo, che il che congiunzione, unito ad un pronome o ad un nome già espresso innanzi, costituisce il che pro- nome. Che Vumano adunque vale qui, il quale, cioè il quale intelletto umano. « Sono tre. Uno (capitolo 6.°) secondochè la « stella si muove verso lo suo epiciclo ec. » Verso lo suo epiciclo, cioè intorno lo suo epi- ciclo, lungo lo suo epiciclo, ec. Gli altri due moti poi sono, secondo me, quello che lo epiciclo col suo pianeta ha intorno all'orbita, e che ora si direbbe mo- to annuale di Venere ; e 1' altro che tutte le stelle sembrano avere in conseguenza, attesa la retrograda- zione de'punti equinoziali, o la circolazione in ante- cedenza del polo terrestre intorno al polo dell'ecclit- lica in 25 mila anni , intervallo che si approssima all'm cento anni uno grado di Dante. Convito di Dante hi « Quesli iiiovitori muovono (capitolo 6."), solo » intendendo, la circolazione in quello soggetto pro- » prio che ciascuno muove. )>| Muovere la circolazione, \ àie muovere facen- do o prendendo la circolazione. E questo un mo-, do favorito specialmente de'poeti, e non avvertito per quanto io mi sappia. Così cavare una fossa, vale ca- vare facendo una fossa. Aguzzar dardi ( in Ariosto, se non erro ), vale fare dardi , aguzzare in facendo dardi ec. Questi molitori poi deve intendersi non de'soli movilori del cielo di Venere, ma di tutte le intelligenze motrici de'nove cieli. Quindi si fa chiara la interpretazione di quelle altre parole, la forma no- bilissima del cielo, che ha ec, cioè la forma nobi- lissima peculiare di ciascun cielo, che ha in se il suo proprio e speciale principio di questa natura passiva, gira toccata da virtù motrice che questo intende. « Seguito io ( capitolo 'j.° ) alla preghiera fatta » dell'audienza questa persuasione, cioè abhellimen- n te ee. » Cioè, fo seguitare. E così tornare per far tor- nare, morire per far morire ec. « Non ostante (capitolo j.°) che ella ci sia lon- » tana, qualvolta più ci è presso, cento sessantasette » volte tanto quanto è più al mezzo della terra, che » ci ha di spazio tremila dugento cinquanta miglia ». Intendasi: Non ostante che Venere nella sua mi- nima distanza da noi ci è lontana 167 volte tanto quanto più che da noi è lontana al mezzo, al cen- tro, o dal centro della terra ( cioè 167 volte il rag- gio terrestre ) che ci ( cioè frai quali punti, che sono la superficie e'I centro della terra) ha o sono SaSo miglia, quanto appunto era per Dante il raggio ter- restre. 112 Letteratura « E non dico pur (capitolo 8.°) delle minori » bestie ec. » Cioè non dico solamente delle vere bestie, ma anclie degli uomini bestie, i quali sono appunto quei che hanno apparenza umana, ma spirito di pecora o di altra bestia abbominevole. Avvertasi che l'addiet- tivo altro non modifica sempre tutto il complesso dell'idea contenuto dal nome e da tutt'i suoi aggiun- ti, ma spesso una parte solamente d'un tal comples- so. Qui altra si riferisce solamente a bestia e non ad abbominevole^ giacché la pecora non meriterebbe poi tanto a diritto questo epiteto sì degradante. Salvo se non si volesse accusare la pecora d'essere ecces- sivamente docile. « Suole essere (capitolo 8.°) un pensiero soave )) questo pensiero che se ne già spesse volte, ec. » Non può negarsi che sarebbe più usuale la fra- se, se si leggesse, quel pensiero che se ne già, o il pensiero che se ne già ec. « Onde io pensando (capitolo 8.") spesse volte » come possibile m'era, me n'andava quasi rapito ec. » L'autore ha detto : A dare a intendere ch'io era e sono certo dell'essere Beatrice in cielo, cioè a dare ad intendere, non già ch'io la vedea in cielo, ma che n' era certo per sua graziosa rivelazione. Or questa certezza è non solamente minore del vedere in cielo Beatrice, ma anche dell'essere rapito in cielo; rapi- mento che, essendo una visione, equivarrebbe al ve- der lei. Quel come possibile m^era adunque signi- fica , secondochè m' era possibile , giusta la fralezza delle mie forze. » Cioè ragiona ( capitobi 8.") dinanzi agli oc- » chi del mio intelligibile afiello, per meglio indù- Convito di Dante ii3 )) cermi , imprometlentlomi che la vista degli occhi » suoi è sua salute. » Intendasi : Ragiona del mio intelligibile affetto dinanzi agli occhi miei, cioè per mezzo dc'miei oc- chi rai ragiona del mio intelligibile affetto. E chiauia intelligibile questo affetto, perchè vuol promiscuarh) con la filosofia, come si sa. Precedentemente a que- sto cioè, Dante dice, che il suo nuovo pensiero, os- sia il pensiero del nuovo amore diverso da quello di Beatrice, facea due cose: vale a dire gli Iacea mirare una donna, e gli dicea parole di lusinghe. Soggiun- gendo adunque quel cioè, deve Dante voler chiarifi- care queste due cose. Laonde il ragiona del mio in- telligibile affetto dinanzi agli occhi miei, spiega il mi dice parole di lusinghe. Bisogna leggere adun- que « impromeltendomi che la vista degli occhi suoi ' è mia salute » e non già sua. Questo nuovo pensie- ro insomma, per meglio inducere Dante, gli ragiona- va dinanzi agli occhi, quasi come un geometra si vale della figura disegnata per meglio comunicare all'in- telletto degli altri le sue idee intelligibili o intellet- [ tuali. E questo ragionare consisteva nell'impromette- . re a Dante, che la vista degli occhi di quella don- na sarebbe di lui salute. I « Siccome la natura umana ( capitolo 9.0) tra- » smuta nella forma umana la sua conservazione di » padre in figlio, perchè non può esso padre perpe- I » tualmente col suo effetto conservare; dico effetto, j )) in quanto l'anima col corpo, congiunti, sono ef- 1 » fetto di quella che perpetualmente dura , che è , I » partita, in natura più che umana ec. » j N. 1.° In questo luogo trovasi senza dubbio una lacuna. Potremmo accagionarne lo stesso Dante, poi- G.A.T.XCII. 8 ii4 Letteratura che non è rarissimo che uno scrittore, intento al solo conflato de'suoi pensieri, od anche all'una piuttosto che alle altre delle frasi componenti, può lasciarsene sfuggire qualcuna poco fedele od incompiuta. Stan- do in tale ipotesi, quel suo effetto si prenderebbe nel senso di effetto spettante come proprio al padre, ma spettantegli non come a sua causa , bensì come a suo soggetto di pertinenza; in quella guisa che la rottura d'un vaso di vetro si dicesse effetto proprio di questo vaso, cioè suo effetto, benché la causa ne sarebbe veramente la percossa d'una pietra o altra co- sa simile. L'effetto poi che Dante vorrebbe dire esser proprio del padre o d'un uomo qualunque, cioè in- separabile dall'uomo, comunque questi non ne sia la causa, si riduce alla congiunzione dell'anima col cor- po, che è effetto o cosa inseparabile dall'uomo: ma la causa non ne è l'uomo stesso. Una tale interpre- tazione consuona, egli è vero, con quelle parole: Di- co effetto^ ili quanto Vanima col corpo, congiun- ti, sono effetto di quella che perpetualmente du- ra ec. Ma a considerarla con tutta la buona fede e perspicacia, essa è troppo stiracchiata ; perchè è sti- racchiato il dire, che la congiunzione dell'anima col corpo sia effetto dell'uomo, quando la causa sia tut- t'altro che l'uomo. Si è per evitare queste stiracchia- ture che io, invece d'incolpar Dante, incolpo gli ama- nuensi: ed ecco come. ' 2.° Avverto prima di tutto che quando gli anel- li d'una concatenazione di pensieri hanno per loro na- tura una connessione necessaria, la mancanza d'uno di quelli non è irreprist inabile , anche senza 1' esi- slenza di codici autfntici. Questa necessità di con- nessione è appunto ciò che il iVlonti chiamava codi- Convito di Dante 1,5 ce della critica: strumento delicatissimo, ma cbe usa- to con sagacia e pazienza somma, non falla quasi mai. 3." Pertanto Dante dice, che siccome la natura umana trasmuta di padre in figlio una certa cosa, così le intelligenze del terzo cielo hanno trasmutato da Bea- trice, già morta, in una donna vivente l'obbietto del di lui amore; e dice che questo obbietto o questo a- more è sempre un effetto di quelle intelligenze. Dun- que ,0 concbiudo : la cosa, cui la natura umana tra- smuta o traslata di padre in figlio, è un effetto della natura umana. Ma quale è questo effetto ? Dante ri- sponde, che la natura umana trasmuta la sua conser- vazione nella forma umana. Ora in quale altro mo- do SI può questo intendere, se non che la natura u- mana conserva la forma del corpo umano , trasmu- tandola di padre in figlio? Questa è dunque tutta la conservazione accordata al potere della natura uma- na: cioè la conservazione della forma del corpo uma- no, conservazione che ella consegue per via di tra- smutamento o traslalazione. 4>° Perchè intanto la natura umana è obbligata di fare questa traslalazione o traslocamelo ? Non pò trebbe far rimanere la forma del corpo umano ( la quale è effetto di lei ) , non potrebbe far rimanere questa forma là dove ella sta, senza trapiantarla, di- c.am COSI, di padre in figlio ? Dante risponde : No perche non può conservare esso padre perpetualinenl te col suo effetto. Abbiam veduto un'accettazione pos- Mbiie di queste due parole suo effetto. Vediamone ora due altre anche poco conformi al sano giudizio. ano ejjetto può significare effetto del padre stesso Hie sia la causa. Si verrebbe allora a dire, che la na- tura umana non può conservare il padre una col di ii6 Letteratura lui effcUo , cioè una colla di lui agibilità : conser- varlo in vita insomma, talché egli producesse azioni ed effetti d'uomo. Ma di grazia, come questo, che qui Dante direbbe effetto del padre o di un uomo, è poi spiegato da lui effetto di quella che perpe- tualmente dura ? E come inoltre rcffello di un uo- mo, che ne sia la causa, si trasforma nell'effetto in cui consiste l'atto di congiungersi l'anima col corpo? Ma ecco l'altra cavillazione. Suo effetto potrebbe si- gnificare effetto, non della natura umana comune, per dir così, ma di una natura umana particolare, di quel- la natura umana che perpetualmente dura ec. E pu- re questa sembra essere la interpretazione del Peder- zini. Io per me son certo che sue si riferisce alla na- tura umana, tale quale si è nominata innanzi, e non con altre metamorfosi che potessero venir dopo. In- tendo dunque che la natura umana, quella che sta- bilisce la forma del corpo umano, non può conser- vare perpetualmente il padre in tutta la di lui in- tegrità, come può conservare ( almeno per via di tra- smu lamento ) il suo effetto, che è la forma del cor- po umano. 5." Ed eccoci alla correzione che io pretendo di fare. Invece dunque di leggere: Dico effetto^ in quanto V anima col corpo ^ congiunti.^ sono ec, io leggerei: Dico suo effetto^ in quanto l'anima col corpo^ congiunti^ sono ce. Una ragione potentissi- ma si è, che il pronome quella della frase sono ef- fetto di quella^ che perpetualmente dura ec, non può riferirsi al nome natura^ che sia troppo lungi: ed intanto ad un tal nomo dee riferirsi ; perchè la congiunzione dell'anima col corpo non può dirsi ef- lelto dell'anima, onde il pronome quella non può ri- Convito di Dante i r 7 ferirsi al nome anima. Leggendo adunque: Dico suo effetto ec, è come se si leggesse: Dico effetto della natura umana', dopo le quali parole sono opporlu- nissime le altre: In quanto Vanima col corpoy con- giuntiy sono effetto di quella ec. Si espone in som- ma COSI : Dico effetto della natura umana, in quanto l'anima col corpo congiunti, sono effetto non della nominata natura umana, ma di quella natura che per- petualmente dura, di quella natura umana particola- re, che è a parte o partita in natura più che umana. 6." Dante in somma considerando la forma del corpo umano come effetto della natura umana, e non potendo considerare come effetto di altro, che della natura umana, la congiunzione dell'anima col corpo, si è indotto a fare una partizione d'una natura uma- na, per così dir, comune: la quale stabilisce la for- ma del corpo umano: e d'una natura umana parti- colare, o che è partita in natura piìi che umana, la quale stabilisce la congiunzione dell'anima col corpo. La natura umana comune non può conservare per- petualmente un padre col suo effetto , cioè con la forma del corpo che ella effettuisce : e non lo può, perchè quella natura, la quale è più che natura uma- na, disgiungendo l'anima dal corpo, forza la natura umana comune a trasformare il suo effetto di padre in figlio: cioè a conservare la forma del corpo umano non in altro modo che trasmutandola di padre in figlio. Filippo Betti di Vasto. ii8 Ricordo a mia figlia. Il giorno IO (li ottobre \Z^i tu pertlevi il migliore de'padri: e la tua tenera età non ti lasciava cono- scere appieno l'immensità della sciagura! L'animo tuo, fugace alle impressioni, non s'imprimeva di quella ter- ribile, funesta : né le orme serbava di quelle rare vir- tù, che a modello dovrebbono sorgere di tua esisten- za nel lubrico sentiero della vita. Ma io, madre tua affettuosa e vedova sconsolata, non potrei patirne l'ob- bllo. E se non mi è dato consegnarle alla tua me- moria quali erano, almeno mi sarà dolce il pensiero che le principali toccando ti siano un giorno di spro- ne a nobile emulazione. Fervido ingegno, spiriti pron- ti, e cuore di tenerissima tempra erano i doni che natura compartito gli avea, e ch'ei fino da' primi an- ni intese a coltivare diligentemente ; e quando alla giurisprudenza avvivandosi, in essa sì per tempo avan- zava, che a diciassette anni otteneva la laurea; e pri- ma di compiere il ventiduesimo era rivestito di pub- blica carica ; e fama intanto veniva acquistando di singolare magistrato nel reggimento delie diverse città di provincia per mente , rettitudine e decoro : nel mentre che un animo veramente paterno nel soccor~ rere ai miseri, nel comporre le dissenzioni, nel ri- chiamare i traviati a' loro doveri, gli procacciavano la stima e l'affetto univei'sale de'buoni. Perenne era il desiderio che di se indi lasciava; ed oh se nel corso della vita li avverrà talora abbatterli in alcuno di es- Ricordo a una figlia iiq si, li sarà caro l'udirne la grata ed onorata ricordanza, e i pregi tutti rammemorarne ! Delle lettere aman- tissimo, usava co'dotti; e la severità delle sue occu- pazioni rattemprando , non fu discaro alle muse • e più volte diede in luce eleganti versi, ne' quali tra- spirava la vivacità delle immagini, l'energia del sen- timento, e l'ordine delle idee. All'udire le altrui sven- ture si commoveva alle lagrime, e tutto abbandona- vasi a mitigarle o col peculiare soccorso, o coll'ope- ra : onde affrontava ogni pena, e non acquetavasi se non sortiva il desiderato effetto. E se talvolta nella sua rappresentanza la invidia e la malignità lo as- salivano, e rammariclii gU cagionavano, pronto era a tutto dimenticare; e, se il poteva, alla prima occasio- ne generosamente retribuiva col bene. Nell'amicizia costante e tenero; e ne'suoi affetti di marito e di pa- dre come potrò, mia cara, dipingertelo ! Ei dopo le sue cure alla famiglia rendevasi con trasporto; e in me deponendo ogni amarezza ed ogni gioia, ne con- fortava il suo spirito; e a'tuoi trastulli indi mescen- dosi, diveniva pressoché fanciullo anch'eglì; e quando eri ancor pargoletta, pur di frequente nella notte per quietare il tuo pianto sorgeva, e togliendoti alla nu- trice ti dondolava, e con opportuna cantilena t' in- fondeva il sonno. E così del pari ad altre due sorel- line, che in cielo il precedettero, e alla cui perdita fieramente colpito, per noi sollecito richiamava a se tutta la forza del suo animo. E di tanto onesto e gentile vivere saldo fondamento era la religione san- tissima: di che diede luminose prove, allorché trava- gliato per cinque mesi da gravi e complicati mali, e da dolori spasmodici , mai non si vide per un solo momento impazientire, neppure all'inefficacia di tanti 120 Letteratura e molesti rimedi che bene spesso volgevano al peg- gio. Ed egli, sempre in Dio rassegnato, innalzava taci- to gli occhi al cielo; e in ultimo, benché dagli esper- ti a gtiarigionc lusingato , da se stesso comprese la prossimità del suo fine: e da se richiedendo i con- forti estremi del cristiano, nella tranquillità del giu- sto e nella pace del Signore si componeva ad esala- re lo spirito. Ma le voci ultime volle sciogliere per impetrarti dall'Onnipossente colla mano sul capo la eterna benedizione; ed io in lagrime stemprata im- primeva poscia sulle già gelide labbra il bacio dell' addio ! .... Ed oh ! Qualche minuto dopo ei piò non era .... Deh, mia figlia! Fa che il suo esempio e quel- la ultima benedizione ti fruttifichino sante virtù; af- fincbè dopo il tuo lungo pellegrinaggio in questa ter- ra, nell'amplesso di Dio un giorno riuniti, godiamo di quella non peritura, ma vera e immarcescibile fe- licità. Elisabetta Fiorini-Mazzanti. 121 WM.mi'MTJk' Dissertazioni della pontificia accademia romana di archeologia. Tomo decimo. 4- Roma, dalla tipografìa della R. C. A. 1842. (Uà voi. di carte XXXVIII, XXXV e 5i6. ) Gì riovi qui dare l'elenco delle cose contenute in questo decimo tomo de'lavori importantissimi di un'accademia, che tanto onora la munificenza de' pontefici , e si giustamente ha sparso la fama sua chiarissima oltra il mare e le alpi. Precede la lettera con cui il presidente sig principe don Pie- tro Odescalchi, in nome della pontificia accademia, intitola il to- mo alla Santità di N. S. Gregorio XVI. Seguita il catalogo de's»- ci ordinari, onorari e corrispondenti : dopo di che sono gli alti delle adunanze scritti dal segretario perpetuo sig. cav. Pietro Ercole Visconti commissario delle antichità romane. 1. Orazione funebre nelle solenni esequie celebrate dall'ac- cademia al defunto suo presidente marchese Luigi Biondi. Del segretario perpetuo cav. Pietro Ercole Visconti. - 2. Di un nuo- vo tratto delle catacombe de'ss. Marcellino e Pietro scoperto sul- la via labicana. Del prefato sig. cav. Visconti. Parte prima e se- conda ( con tre tavole in rame ) ; e nel!' appendice, due lettere scritte ad esso sig. cavaliere dal socio corrispondente signor cav. Raoul-Rochelte, e dall'architetto sig. conte Virginio Vespignani 3. Intorno ad un nuovo diploma militare dell'imperadore Traia- no Decio. Del socio corrispondente sig. cav. Bartolomeo Borghe- si. - 4- Intorno ad un sepolcro disotterrato nella villa del conte Luigi fjozano Del socio ordinario sig, cav. Luigi Grifi ( con Ire 122 Varietà' tavole in rame ). - 5 Giove TFAXANOS, e l'oracolo suo nell' an- tro idèo : l'uno e l'allro ricoaosciuti nella leggenda e nel tipo dì alcune monete di Festo, città cretese. Del socio ordinario e cen- sore P. Giampietro Secchi della compagnia di Gesù(co« una ta- vola in rame). - 6. Intorno ad alcune antichità tusculaae recen- temente scoperte Del già presidente marchese Luigi Biondi {con una tavola in rame ). - 7. Sulle trenta colonie albana. Del socio ordinario e censore sig. cav. Luigi Canina (con una tavola in ra- me). - 8. Sul circo edificato da Adriano vicino al suo mausoleo ec. Del detto sig. cav. Canina ( con une tavola in rame). Unisce- si in appendice U relazione della scoperta di esso circo fatta nei prati di Castelsantangelo, e presentata a Clemente XIV dal pa- dre abate D. Diego Revillas dell'ordine di s. Girolamo ( con una tavola in rame 1. - 9. Intorno la moneta gallica di Tatino. Del socio ordinario e censore sig. prof. Salvatore Belli. - io. Elogio del socio ordinario cav. Giuseppe Valadier architetto. Del socio ordinario sig. cav. Clemente Folchi. Edizione delle opere del conte Cassi. Una ben lieta novella agli amatori della classica letteratura. Il conte Francesco Cassi, poeta e prosatore di quella fama che ognun conosce, si è finalmente indotto a far pago il desiderio de' suoi amici, che da lungo tempo il pregavano a riunire insieme in nna edizione le sue prose e poesie. Or questa edizione escirà in Pe- saro dalla tipografia Nobili, colle cure dell' autore medesimo ; e sarà in quattro fascicoli , cioè in due tomi in ottavo, di circa Irentadue fogli in tutto, al prezzo d' associazione di cinque ba- iocchi al foglio. Cosi avremo quanto dal senno e dalla fantasia dell'illustre volgarizzatore di Lucano si è fin qui pubblicato, ol- tre alla sua traduzione : di cui però ci darà in due libri i Para- lipomeni, pe'quali l'epopea del cordovese sarà condotta a perfe- zione. Ognun vede che noi non possiamo che vivamente racco- mandare quest'opera all'amore degl' italiani verso la loro bella letteratura. Varietà' 123 Biografìa di don Gregorio Nnrdinocchi vice- procuratore genera- le della congregazione camaldolese, scritto dal P. Paolo Da- valli domenicano. 8. Roma, tipografìa Puccinelli 1842. (So- no carte i5. ) TT J. u veramente deplorabile fine quella del padre Nardinocchi , che nel più bello della vita e delle speranze ci mancò il di i"2 del passato febbraio in età di poco oltre i trent'anni, perciocché era nato in Ascoli il dì 20 di aprile 18 11. Tutto dato agli studi d'ogni dottrina, piissimo, cortesissimo, era egli l'amore di quanti Io conoscevano : e già incominciato aveva a far noto il suo no- me nella repubblica delle lettere, come avranno veduto i lettori del nostro giornale. Ma il cielo non permise che si gentil fiore desse maturo il suo frutto! Certo gli amici e confratelli suoi leg- geranno con assai piacere questa biografia scritta con grande af- fetto e diligenza dal valente padre Davalli. Orazione in lode delle belle arti, recitata nella solenne distribu- zione de'premi della pontificia accademia di belle arti in Bo- logna dal padre D. Paolo Venturini preposto de' RR. PP. barnabiti, membro del collegio filologico di questa pontifi. eia università, il giorno 2S novembre 18^1.8. Bologna, 1842, tipografìa governativa alla Folpe ( Sono carte 3o. ) Hileganza di stile, gravità di sentenze, varietà dJ erudizione , somma riverenza al magistero degli avi , amore caldissimo della gloria italiana, e, quel ch'è più a'nostri giorni , abbandono d' o- gni presuntuosa teorica o temeraria innovazione, sono i pregi di questa insigne prosa, la quale onora non meno l'eloquenza del padre Venturini, che la dignità della bolognese accademia. 124 Varietà' Relazione dei restauri eseguiti nelle terze logge del pontificio pa- lazzo vaticano sopra quelle dipinte dalla scuola di Raffael- lo, scritta da Filippo Agricola romano ec. - 4- Roma, tipo' grafìa di Crispino Puccinelli iS^"?- ( Sono carie 3o. ) Vipera importantissima alle arti, non dirò di Roma o d'|I(a)ia , ma del mondo civile, è stata quella che nelle terze logge vatica- ne ha ulliraamente ordinato la santità di N. S. Gregorio XVI : ed ella è qui descritta accuratissimamente dal celebre professore che l'ha diretta, cioè dal cav. Filippo Agricola primo cattedra- tico di pittura nell'accademia di s. Luca. Intorno alla pianura ferrarese ed alle sue acque , cenni dell'in- gegnere Carlo Passega. Bologna, i84i, tipi governativi alla Volpe^ di facce 48, in 8. vJhiaro ed istruttivo è lo scritto del sig. Passega sulla pianura ferrarese. Parla egli della l.iguna di Comacchio , dei vari scoli che hanno le acque di tutto il territorio, delle strade, dei fiumi, dei canali navigabili { presentando un suo progetto di grande navigazione ) e dei porti di mare. Distesamente favella quindi dei fiumi Po, Panaro e Reno: e nel dire i vari pericoli, a cui va soggetta Ferrara colle sue campagne, ricorda quanto esageratis- sima sia 1' opinione del Prony , il quale colla solita leggerezza francese disse , le acque del Po sovrastare al tetti della città di F.errara: mentre di fatto il pelo d'acqua della maggiore inonda- zione non giunse a superare la soglia della porta del castello , che poco più di metri o, 49 Finalmente l'autore dice alcun che sulle difese e su'ripari che abbisognano per salvare le campagne dalle inondazioni: chiudendo l'interessante sua memoria, col dar cenno di alcune nuove istituzioni di scienze applicate alle arti (scuole per gl'ingegneri e di agraria), che renderanno sempre più civile la patria di Lodovico Ariosto. E. C. B. Varietà' ia5 SuWanlico corso del fiume Po, memoria di Antonio Lilla. Mila- no, coi tipi di Luigi di Giacomo Pirola, i84i> in 8, di fac- ce 16, con tavola geografica. \.a questa memoria, scrìtta con eleganza e vera erudizioue, si de- signa multo probabilmente il corso che ha tenuto il fiume Po due secoli innanzi la venuta di Cristo. Le prove sono tratte da- gli scrittori antichi, dalla natura ed inclinazione del suolo, e da induzioni eliiuologiche. Fu inserita nel III volume del Politecni- co di Milano. E. C. B. Scuole di educazione a Novara. J.1 di 20 marzo i84t fu approvato dal re di Sardegna il rego- lamento per l'istituzione di un asilo o scuola di fanciulli nella città di Novara. In questo filantropico stabilimento si accolgono i bambini poveri dall' età di due auni e mezzo ai cinque, rite- nendosi (ino ai sei compiuti. Sono questi affidati a due o più maestre che gl'istruiscono nei principii della dottrina cristiana , nel leggere e scrivere, nella numerazione e calcolazione menta- le, nei principii di aritmetica, nella nomenclatura e spiegazione delle cose più usuali, in lavori, ginnastica ec Egregie dame pre- siedono e visitano per turno questo asilo e vi recano la gentilez- za e la civiltà. Si ricevono i bambini a determinate ore del mat- tino, e si rimandano nella sera alle loro abitazioni: hanno una sopravveste di diverso colore, secondo il sesso. Debbono portar con seco una determinala quantità di pane, che loro serve pel mattino e per la sera.- al mezzodì 1' asilo dà loro una minestra. Ci pare questa troppo frugalità, tanto più che non sappiamo se abbian brodo. Il sig. avv Francesco Antonio Bianchini, segretario della di- rezione, in due relazioni lette all'adunanza generale della socie- 126 Varietà' tà, pubblicate poi a Novara nella tip. Merati e corapag ,dà con- to del prosperevole suo andamento , e mostra come questi lene- ri fanciulli, resi docili e rispettosi, insegnino essi stessi con modi precisi ed esatti quei principii, che hanno imparato nell'asilo, a' loro genitori, a'fratelli ed all'intera famiglia. I vantaggi prodotti ne'poveri furono sì evidenti, che le altre classi de'novaresi fece- ro istanza perchè vi fossero accolti eziandio i loro figliuoli , sborsando una tenue somma al mese. Niuna cosa li distingue dai poveri. Nel primo anno ne furano accolti in tutto 60, nel secon- do l/jO. La istituzione dell'asilo se mostrò da un lato la generosità e la filantropia del municipio e de'cittndini di Novara , porse no- vella prova eziandio delle care virtù che rendono più amabile il gentil sesso. Dappoiché assunto il gravoso ed incomodo ufficio di visitalricif giovato coll'opra e col senno l'istituto stesso, volle anche mostrarsi eminentemente benefico, e dar saggio della feli- ce inclinazione per le arti belle, di coltura, d'ingegno e di squi- sita educazione, col donare per una lotteria, a. vantaggio di quel luogo, assai graziosi e pregiati lavori delle loro mani. E chi non sa quanta liberalità e gentilezza non mostrarono le dame romane per le lotterie a beneficio de' poveri orfani pel chcjlera ! La celebre iniprovvisatrice sig. Rosa Taddei , al certo non agiata, die una pubblica accademia, di cui la metà del da- naro generosamente donò agli stessi orfani. Enkico Castreca Brunetti. Intorno le spaccature delle orecchie: pensamenti del cav. Fran- cesco prof. Gatlei. Pesaro pel Nobili, 1842, in 8 , di facce 24, con ta^>- in rame. ÌTer riunire le fenditure del lobulo dell'orecchio si adopera ge- neralmente (come pel labbro leporino ) la sutura , la quale non ha sempre felici risnitamenti , anzi talora reca evidentemente dauuo. Giuseppe Flaiaui nel tomo 111 della sua Collezione d'os- Varietà' 127 seruazioni e rijlassioni generali di chirurgia descrive un metodo per riunire il labbro leporino, analogo a quello che il sig. cav. Gattei adopera nella spaccatura delle orecchie, dopo averlo più fiate nell'uno e nell'altro malore esperimentato utile. - Piglia un cilindro di cera, nel cui centro sia un (ilo metallico flessìbile: e piegatolo ad arco e schiacciato, l'adatta alla base del padiglione dell'orecchio, onde dare comodo appoggio al lobulo. Passa egli due fili di refe sotto la cera che corrisponde al lobulo : i quali, rivolti esternamente e tirati in senso opposto, s'incrocicchiano so- pra la fenditura. Cruentati e riuniti i lembi , discretamente tira le anse de'fili in direzione opposta, e le fissa ad alcune fettucce, una delle quali è diretta \erso il naso, sotto cui scorre immedia- tamente; l'altra verso l'occipite. Incrocia queste al di sopra delle orecchie: ed estese poscia intorno alla testa, le rannoda sulla fron- te. Soprappone una faldella di sfila , una compressa ed una fa- scia a quattro capi; l'operazione è compita. Dopo Ire o quattro giorni toglie tutto, ed osservasi la cicatrice già formata o pros- sima a divenirlo. Per impedire la recidiva propone di collocare nel foro, che dà passaggio agli orecchini, un tubetto d' oro ( che può servire ad evitare la fenditura stessa ), sul quale esercitandosi 1' attrito s'impedisce che il lobulo di nuovo si fenda. Questo ingegnoso metodo e le altre cose operate a vantaggio della chirurgia ( vedi il giornale arcadico tom. 56, p. 2^3; e tom. 83, p. 162) rendono il sig. cav- Gattei assai benemerito della scienza. Enrico Castreca Brunetti. -"^E^^Q^SlS-r NIHIL OBSTAT Fr. Ioan. 6. Marrocu M. C. Censo!' Theol. IMPRIMATUR Fr. Dom. Bultaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR Joseph Canali Archiep. Coloss. Vicesg. ... "■^■W' ^Al \^\^ vemaa f p ■«^ . GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED AKTI 'C^^ ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1842 ì if) 129 § ^ 1 ^ li ^ li Memor'ia sulV applicazione del calcolo dei resi- dui aW integrazione delV equazioni differenziali lineari^ di Barnaba Tortolini , processore di calcolo sublime nelV archiginnasio della sa- pienza, e di fisica matematica nel collegio ur- bano di propaganda fide. Applicazione, del calcolo dei residui alVintegrazìone deW equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti. Mn due memoi'ie da me recentemente pubblicale , ed inserite nei tomi XC e XCI di questo giornale, ho indicato un metodo generale per 1' integrazione dell'equazioni lineari a differenze finite ed a coeffi- cienti costanti , dedotto dalla combinazione di una nota formola del calcolo dei residui con l' analogia delle potenze e differenze. Ora mi propongo di trat- tare con metodo analogo l'integrazione dell'equazioni differenziali lineari , del quale pubblicai un breve saggio nel i836. Mi confido cbe i geometri non ve- dranno senza interesse l'esposizione di queste teorie, G.A.T.XCII. 9 i3o Scienze le quali facilitano mirabilmente lo studio di una par- te si importante del calcolo integrale. A prender prin- cipio dai casi pii^i semplici, considereremo primiera- mente una sola equazione differenziale, e quindi in- tegreremo un sistema di equazioni di ordine qualun- que. Quando si tratti di una sola equazione, questa sì chiamerà equazione caratteristica: e chiameremo funzione principale^ l'integrale completo della me- desima. Sulla funzione principale che verifica uri' equazione caratteristica lineare differenziale: il secondo membro potendo essere o zero od una funzione della variabile indipendente. i." Premetteremo alcune formolo desunte dall'a- nalogia delle potenze colle differenze, e che quan- tunque comunemente cognite, non sarà inutile di ri- chiamare. I Sia j- una funzione qualunque di una variabile indipendente t, e D^ la caratteristica della derivazio- ne, e F(r) una funzione intera della r; avremo sim- bolicamente non solo (i) B^ e'' fit) ^ e'' [r-^Dtffm ma ben anche (2) F(D,) e''p) = e'^'Fir -t- D,)/(0 dove negli sviluppi del secondo membro le potenze simboliche D^ indicheranno ordini di derivazioni so- Applicazione del calcolo ec. \St pva la funzione. Sostituiscasi nella (2) é-f^t f(t.)^ in luogo òìfity, ricaveremo (3) F(D,)/(f)==e^'F(r-HDOé-Vc^) Queste formole sussistono non solo per F(r) intera, ma anche per F(r) frazionaria. Similmente la prima avrà luogo per n intero, positivo e negativo. In que- sto caso indicheranno altrettanti integrali che saran- no sempre facili a calcolarsi, dipendenti dalle diver- se forme della frazione F(r). ' 1° Sia pertanto t la variabile indipendente F(r) una funzione intera della /% edj^ ^a. funzione prin- cipale , la quale debba verificare qualunque sia t , Vequazione caratteristica (4) F(DO/==/(o'' ^ ^ " Dall'analogia delle potenze con le differenze, e dalla forraola (3) dell'antecedente n.» abbiamo l'integrale simbolico '*- • *-••--' ■'■'4 <■"■ ~ i^ ìiii 'ùì ove il denominatore car*dÙerisiico F ( r -t- D,)'dee "ri- guardare semplicemente la funzione e"''^ f(t) . Per giungere direttamente all' integrale completo basterà osservare, che il secondo membro della (5) rappresen- ta evidentemente una frazione razionale di grado n a numeratore costante, qualora si consideri la carat- teristica Dt come una vera quantità. Quindi suppo- nendo che il coefficiente di 7'" nella funzione F(r) i32 Scienze sia ridotto all' unità , potremo decomporre il valore simbolico della y in frazioni semplici. Ora se F(a?) sia una funzione intera della variabile x del grado n e f(x) simile di grado minore, abbiamo dal calcolo dei residui (6) l^=&; '"■' Ftc) ^(.r — r) (F(r)) e pei' conseguenza dalla (5) si ricaverà immediata- mente: La caratteristica D^ riguarda la funzione e~^^f(f)^ e perciò La costante dovuta all'integrazione dipende dalla r; quindi supponendo che l'integrale abbia luogo a par- tir da t = t y avremo per una variabile t compresa fra < e <, il valore della funzione principale Questo integrale sussiste qualunque sia la natura del- le radici r dell'equazione algebrica Applicazione del calcolo ec. i33 (io) F(r)=o Quando il secondo membro della (4) sia zero, allora la. funzione principale^ che verifica Vequazione ca- ratteristica (II) F(D,)j = o sarà qualunque sìa t Riservandoci in seguito di parlare della determina- zione delle costanti arbitrarie racchiuse nella

rf. I. a. 3 ... n- 1 ^ t^ Questa formola somministra una decomposizione del- l'integrale multiplo/// f(Jt) de, in un integra- le definito semplice, per cui t {t-r) n-x ove però si suppone, che i rispettivi termini C„ , C^t, C^t^ , . ^«-I ^ n-i sieno inclusi negli n integrali semplici, che si otter- rebbero dallo sviluppo del secondo membro. Ridu- cendosi a zero la funzione f(jt) , allora la funzione principale, che verifica Vequazione caratteristica (21) Drj=o sarà semplicemente i36 S e I E N Z E '==' ^= tiÌj^J'""-'"' '^'-'-T^.h^^'-^^-^"" '^'•^ ' purché si ponga dopo le derivazioni /• == o. Avverti- remo infine che la formola (20) potrebbe anche de- dursi da una successiva integrazione per parti. vSe tutte le radici r dell'equazione F(r) = o sieno eguali fra loro, avremo in questo caso ad integrare Vequa- zione caratteristica (a3) (D.-.r)«j=/(0 nella quale osservando che (24) d" •e^'^y =■ e-^t (Qt— r)> potremo ridurre la sua integrazione all'integrale del- la nuova equazione (25) D^e-^V = e"7(^) d'onde (26) e-r-tf =f f f... e-^tp) dt"- e decomponendo l'integrale multiplo in integrale sem- plice per la formola (20), sarà ^« {« — TI (27) y = e^t f -^' — ^ e-r^f(x)dx ^ to I. 2. 3...W-I od anche ApPLieAZIONE DEL CALCOLO EC. iS? n-i (28) 7= / e 'f{x)dz Questo integrale dell'equazione (28) è completo, per- chè ad ogni integrazione che si ottiene dallo svilup- po del binomio {t- — t) corrisponde una arbitraria costante. Al medesimo valore saremmo giunti facen- do uso immediatamente dalla formola (q). 4.° Supponiamo adesso per maggior generalità che l'equazione F(r) = o ammetta m radici eguali ad ri , m" eguali ad r ..., ed il totale numero m -t- w" -h m'" -i- ... = ^ quindi F(r) = (r — r,r' (r — r,)"*" (r -, rgr'" . . . e perciò se si faccia per brevità ir — r,)"»' I Fcr) m" m'" (r — 1\) (r — r3) ... ir^rr" = 9x(r) F(r) ni ni" ir — ro (r — r3).... 92(0 i38 Scienze ed insieme la formola (9) dopo l'estrazione dei residui si trasfor- merà in (29) Y:^ ' (Dr'\-"^-^ Supponiamo inoltre Tìiì = n , /»'' c= o , m" = o , ,,; ' saremo ricondotti all'integrale dell'equazione (28) e dalle prime formole di questo n." ricaviamo 9.(r) = I, (i -TH- D.r^9.(r) - (É - tP t//,(r) = ^=- ....sLn-.""'-^'"'^"-' ove si dovrà fare r = 6 dopo le derivazioni; quindi prendendo per (p(r) n n (38) ^(^r) = e-r'o—JL. tutte le condizioni vengono soddisfatte. Infatti sosti- tuendo questo valore, si ha primieramente (39) j = 1 D;-' . e-C-'-ì 1— f- I. 2. 3 .. n- 1 r — a ovvero n .« I . _ n-i r — « nella quale avvertendo che r — a lAa Scienze r — « ed eseguendo tutte le derivazioni indicate dallo svi- luppo del binomio, e posto in fine r = o, risulterà (L\) y = I H a 4- - — — - a^ h- ^ «3 ^^ ' ^ 1 1. 2. I. 2. 3 1 jL «,«-1 [. 2. 3.. ,n- 1 Quest'espressione, la quale soddisfa evidentemente alle richieste condizioni , si può rappresentare piìi com- pendiosamente per //2) r = e(^-^°)«— .^iZi"— ««e^^'-'")* ^^ ' '^ t, 2. 3.. w 6 indicando un numero >>.o , e <;i. Supponendo ge- neralmente che per t= to si verifichi (43) j = a„ , D^j = «, , D,V = «. ... D-> = «„., allora la forraola (4i) diverrà * ' "^ 1 I. 2. 1. 2. 3 «n-i 1. 2. 3.. n-i APPUCAZrONE DEL CALCOLO EG, l43 la quale si ottiene sostituendo nella (42) agli espo- nenti di a gl'indici corrispondenti. Con quest'avver- tenza 1' espressione (44) o (42) verifica qualunque sia t^ Vequazione caratteristica (34) e per t =2 t^ le condizioni (43)- Il metodo clie abbiamo esposto per l' integra- zione di una sola equazione differenziale è egualmen- te applicabile ai sistemi di equazioni date, cbe ver- remo successivamente a considerare a cominciare da quelle del primo ordine. Integrazione di un sistema di equazioni differenziali del •primo ordine lineari ed a coefjicienti costanti : » secondi membri potendo essere 0 zero^ o funzioni qualunque della variabile indipendente. 6.0 Sieno n equazioni differenziali del piùmo or- dine lineari, ed a coefficienti costanti con un egual numero di variabili principali j?, j*, 2, ... considera- te come funzioni di una sola variabile indipendente t. Supporremo quest'equazioni presentate sotto una for- ma tale, che diano respettivamente i valori delle de- rivate. D^ X, Df j, ì)^ z , sicché quando i secondi membri sieno funzioni qua- lunque della indipendente t denotate per X, Y, Z, avremo i44 Scienze Df :c 4- «o X -f- a, j 4- «2 z -1- .... = X Dtjr -i-boX-i- brf+'bsZ -+■ = Y Tìtz -+-Co 2 TV -h .. = o C^U-i-Ci V -i- (Pt -I- C2) TV •+• .. = O e per i = t si ridurranno ad w = X, , v = Y, , TV = Zj ... Quanto ai valori poi di x, f, z ... espressi dalle for- inole (19), non è difficile il vedere che questi pro- vengono dall'eliminazione delle medesime quantità fra le nuove equazioni (Df H- flo) ^t- -f- rtj j -H «2 s -t- .. = «F (D/) 0 [22) ^ èoX4-(D^H-è,)/-t-^;2S H-.. = /3F(DO0 Co j: _f- e, / H- (D^ -h C2) s -H .. = 7F (D^) 6 iSa Scienze considerando la caratteristica D^ come una vera quan- tità. La stessa osservazione sussiste per le formole (20). Le {22) mostrano che per passare dall'equazioni dif- ferenziali {18) ai loro integrali basterà sostituire le differenze D, x_«F(D,) 0, Dtj-fiF iDt) 0 , Dtz- yF(Df) 0,... alle derivate D/ JC , Dtjr , DiZ .... col operare in seguito come se Df fosse una vera quantità. Il medesimo artificio può applicarsi quando i secondi membri dell'equazioni differenziali si ridu- cono a funzioni date della variabile indipendente, e renderà assai facile 1' integrazione di un sistema di equazioni differenziali lineari di ordine qualunque , come vedremo nei seguenti paragrafi. (^Sarà continuato.) Praelectiones theologicae quas in collegio roma- no S. I. habebat Ioannes Perrone e Soc. lesu, in eodem collegio theol. prof. Fol. VII. Ro- mae iSSg in collegio urbano de propaganda fide. 'ette articoli in vario tempo, e di mano in mano che pubblicavansi, abbiamo già fatto intorno a queste acoreditalisairae prelezioni teologiche del padre Per- rone: ed in ciascuno di essi più o meno lungamente abbiamo cercato di raccogliere il fiore de' rispettivi trattati, facendo particolarmente notare quello , per cui esse differivano da tante altre, che giustamente sti- mate vanno per le mani di tutti. Proseguendo nel nostro proposito , dopo avere al tomo LXXXVIII di questo giornale parlato delle indulgenze e delVe- strema unzione^ diremo ora dell'ordine e del ma- trimonio^ con cui si dà fine al volume VII e alla par- te sagramentale. Data secondo le scuole la definizione del sa- gramento dell'ordine, e fatto notare che l'ordine può intendersi o per la sacra ordinazione, o per la eccle- siastica gerarchia, divide il Perrone il suo trattato in soli cinque capi, aggiuntevi all'uopo alcune propo- sizioni. Dopo avere stabilito per principale fondamento JQel primo capitolo, che l'ordine o la sacra ordinazio- ne è un vero e proprio sagramento isliluito da nostro signor Gesù Cristo, ricavandolo non solo dalla sacra i54 Scienze sciitluva, dai pativi e dalla costante tradizione , ma eziandio dalla confessione de'protestanti piìi a noi vi- cini, viene nel secondo capo a parlare del numero e della dignità di essi ordini. Esposta la dottrina del concilio di Trento ( Sess. XXIII cap. II ) fa osservare che il concilio defuil questo solo, cioè che nella chie- sa cattolica oltre il sacerdozio sono altri or- dini maggiori e minori : e che non volle decretare, i.*^ quali e quanti essi sieno, 2° se tutti d'istituzio- ne divina, 3." se a tulli e a ciascuno, ovvero ad al- cuni in particolare, competa il nome di sagramento, A.o se tutti ugualmente imprimano il carattere , e 5." se sieno stali o no sempre i medesimi. Consen- tendo però i cattolici, i.° che come insegna la fede oltre il sacerdozio vi sono altri ordini maggiori e mi- nori, 2.° che l'episcopato, il presbiterato e il diaco- nato sono d'istituzione divina, e finalmente che l'or- dine del presbiterato è sacramento di vero nome; tral- tiensi in pria in quello eh' è di fede , dimostrando nella prima proposizione, che nel nuovo testamento v'è il sacerdozio visibile ed esterno, istituito da Gesù Cristo, non già a tutti comune, ma proprio degli a- postoli, e da propagarsi nella chiesa con un rito ester- no, cui compete il nome di sagramento. Quattro cose egli da tale proposizione ricava ed apertamente di- mostra, cioè i.° che da Gesù Cristo, siccom'è di fe- de, fu istituito nella nuova legge un sacerdozio ester- no e visibile; 2." che questo vero e reale sacerdozio, esterno e visibile, non è già proprio di tutti i cri- stiani, come bestemmiavano Lutero e i seguaci di lui, ma de'soli apostoli, siccome ne fanno testimonianza i molli canoni del tridentino; 3." che questo sacer- dozio si riferisce al sagrificio istituito da Cristo, che Praelectìones theoi.ogicae i55 doveva essere perpetuo sulla terra, alla potestà data da lui di rimettere i peccali, finche saranno nel mon- do, e che in conseguenza dovevasi con un rito ester- no propagare dai successori degli apostoli fino alla consumazione del secolo; 4-° finalmente, che a que- sto rito , siccome insegna anche il lodato concilio , appartiene il nome e la dignità di sagramento. Pro- vate siffatte conseguenze, e ribattute le obbiezioni de- gli avversari, nella seconda proposizione afferma, che oltre il sacerdozio sono nella chiesa altri ordini maggiori e minori, pe'quali come per altrettanti gra- dini si ascende al sacerdozio : facendo avvertire, che il canone del tridentino è dommatico, quantunque siane il diretto ohbietto una cosa stabilita dalla chie- sa; avvegnaché trattasi di un fatto congiunto col di- ritto t e però indirettamente trattasi della potestà a lei conferita da Cristo. Infatti sebbene gli ordini in- feriori al diaconato sieno stati istituiti dalla chiesa , il tridentino a buon diritto potè scomunicare coloro, i quali oltre il sacerdozio negassero esservi nella chie- sa ordini maggiori e minori. Ed invero avendo isti- tuiti questi ordini secondo la potestà datale da Cri- sto, se taluno negasse non essere cotali ordini nella chiesa, verrebbe con altre parole a dire che tal fa- coltà non le fu da Nostro Signore concessa. Dimo- strata la verità di tali principii co' soliti argomenti teologici, e a lume d'istoria stabilisce in tale delica- tissima materia alcuni scoli , i quali hanno per og- getto di determinare, i.° a'quali de'suddetti ordini e come competa la dignità di sagramento, 2." quali ne sieno il numero, l'istituzione e l'officio, 3.° quali ne sieno i gradi, la varietà e le vicissitudini. Non es- sendo queste cose di fede, ma disputabili fra i teo- i56 Scienze logl, riferiremo ciò ch'egli senza studio di parti ne opina. Circa alla controversia , la prima die si offre intorno alla dignità sagramenlale, se l'episcopato cioè debba distinguersi dal presbiterato come ordine e sa- gramento, risponde clie se per nome di ordine inten- dasi il grado, non può nascervi controversia, essendo ciò di fede, come venne defunto dal canone VI della sessione XXIII del concilio di Trento ; se poi in- tendasi il sacramento, dice die l'opinione oggidì pivi comune e da tenersi, quantunque gravissimi teologi sieno anche stati per la contraria, si è essere l'epi- scopato un ordine e un sagramento di specie distin- ta dal presbiterato, ricavandosi questo dalla scrittura, e dalla distinta materia e forma di essi. Dal che ne consegue, che possa l'episcopato definirsi « un supre- » mo ordine e sagramento, con cui dassi al sacerdo- » te la potestà di conferire i sagramenti della con- » fermazione e dell'ordine, e di reggere la chiesa a » lui affidata. » Dalla quale definizione apparisce es- sere il presbiterato il fondamento e il principio del sacerdozio : l'episcopato poi l'apice e il complemento del medesimo, ossia compiersi nella episcopale consecra- zione quello, che nella presbiterale ordinazione erasi cominciato, e che però il presbiterato ha coU'episcopa- to la relazione medesima della sommità colla base in un edifizio. Quanto ai corepiscopi, crede per diritto oi'- dinario non essere stati se non ausiliari, ministri e vicari de'vescovi, in quella stessa guisa che presso di noi sono i vicari foranei. Intorno al diaconato non v'ha quistìone, essendo comune e certa sentenza de' teologi ch'esso sia sagramento. Riguardo al suddiaco- nato e agli altri ordini minori, opina non competer PRAELECTIONES THEOLOGTCAE iS^. loro la dignità di sagramento, per non essere divina- mente istituiti, ma aggiunti dalla chiesa, per essere stati or più or meno secondo il bisogno, e per aver la chiesa ad arbitrio omesso ancora di conferirne qualcuno. Dalla risoluzione di questa quislione fa dipen- der l'altra del numero. Imperocché se la chiesa col- l'andare del tempo instituì ordini inferiori al diaco- nato, non deve far maraviglia , se non fu costante ed universale il numero de'medesimi: come può ri- levarsi dalla storia delle chiese Ialina, greca e siria- ca, abbenchè per verità la latina ne abbia avuti mai sempre sette, che sono dal nostro autore definiti, e spiegati secondo il proprio loro officio : facendo in ultimo notare contro Calvino, essere antichissimo 1' uso della tonsura, ma che varia a seconda de' tempi n'è stata la forma. Quanto al grado, è noto che presso i greci tut- tora il suddiaconato appartiene agli ordini minori , e che tra i latini dal solo XII secolo in poi ha co- minciato ad annoverarsi tra i maggiori. Nel capitolo III il p. Perrone tratta della pre- minenza de' vescovi sopra i preti; ed in una parti- colare proposizione contro gli aériani, i vicleffiti e i valdesi sostiene non solo che i vescovi sono supe- riori ai preti per dignità, per grado e per potestà, aven- do ciò definito il concilio di Trento: ma che lo so- no per diritto divino. Questa seconda parte della proposizione benché non sia di fede ( non avendola voluta espressamente definire il tridentino ) è tut- tavolta certa presso i cattolici , ed il N. A. la ri- cava dai medesimi fonti , dai quali deduce la pre- minenza dei vescovi sopra i sacerdoti. L'argomenta i58 Scienze infatti dalla sacra scrittura , in cui sappiamo aver Gesù Cristo preposto ai discepoli gli apostoli; dalla testimonianza de' padri apostolici e de' seguenti se- coli; dalla costante successione de' vescovi nelle lor sedi ; dagli antichi rituali della chiesa di oriente e di occidente, ne' quali trovasi sempre cotesta distin- zione; dalla comunione di tutte le chiese cristiane; e finalmente dalla prescrizione, non potendosi dagli avversari precisamente indicare il tempo, in cui si co- minciò una tale distinzione, contro cui abbiamo ine- luttabili argomenti. Passando a sciogliere le princi- pali obbiezioni, adotta la opinione del Pelavio, segui- ta poi dal Mamachi e da altri : cioè che ne' primi tempi, i quali per ciò che riguarda la forma e la di- disciplina possono dirsi l'infanzia della chiesa, qua- si tutti i preti, o la maggior parte di essi, fossero in modo ordinati da avere il grado di vescovi e di sa- cerdoti, esigendolo in certo modo i tempi stessi per l'incremento della religione cristiana, né potendo i vescovi soltanto impiegarsi nel conferire la ordina- zione e la confermazione. Quindi in una stessa cit- tà o chiesa per comune consiglio amministravano le cose ecclesiastiche, obbedendo agli apostoli, come a pontefici di maggior grado: finche raffreddandosi quel- l'antica carità, e quell'amore di abbracciare ed imi- tare la modestia di Cristo, a togliere le inimicizie, e a rimedio di scisma, siccome scrive san Girolamo, piacque di elegger taluno dallo stuolo de' preti, per preporlo agli altri. Cessarono allora non solo di es- sere creati uguali per dignità, ma eziandio per ordi- ne e per potestà: fu trasportata in un solo la pre- rogativa di onore e di giurisdizione, ed incominciò la successione de'vescovi. Premessa una tale dottri- PRAELEGTIONES THEOLOGTCAE l5() na, è ben facile al N. A. lo sciogliere le obbiezio- ni tutte degli antichi e moderni autori. Il capo IV si aggira sulla materia , sulla for- ma, sul soggetto, sul ministro della sacra ordinazione, diligentemente distinguendo quelle cose, clie dai teo- logi sono poste in controversia , dalle altre che ri- guardano la dottrina cattolica e la fede. Quanto alla materia e alla forma essenziale degli ordini gerarchi- ci, lasciata la opinione degli scolaslici, i quali volea- no consistesse nella consegnazione degli stromenti e nelle parole che accompagnavano quest'atto, sostiene la sentenza divenuta oggimai più comune, cioè che la materia e la forma essenziale consistano nella so- la imposizione delle mani e nella orazione. Pratica- mente però insegna di unire la imposizion delle ma- ni colla consegnazione degli stromenti, dovendosi, co- me tutti sanno, nell' amministrazione de' sacramenti abbracciare la sentenza tuziore. Venendo al soggetto, che dev'essere di sesso ma- scolino , ricorda le diaconesse, le sacerdotesse, e le vescovesse, e dice non potersi da queste rilevar nul- la in contrario. Imperocché l'inaugurazione delle dia- conesse non aveva alcuna relazione al sacerdozio: le sacerdotesse e le vescovesse non erano se non le mo- gli avute dai preti e dai vescovi innanzi l'ordinazione. Fa poi assai bene osservare , che altra è la ragione del reggimento politico; altra e ben più sublime è quella del governo ecclesiastico istituito da Gesù Cristo, dalla cui volontà solamente esso dipende. Quanto alle ab- badesse dice, che la loro potestà non era di vera giu- risdizione discendente da quella delle chiavi, ma che il loro officio importava una vigilanza ed una certa cura delle cose dimestiche materna ed economica. Che i6o Scienze se i gentili ammettevano alle are anche le donne, non può da ciò argomentarsi doverlo pur fare i cristia- ni, dipendendo i loro riti, come dicevasi, dalla sola volontà di Gesù Cristo. Venendo in ultimo al ministro, secondo le scuo- le, lo divide in ordinario e straordinario o delegato, ed in legittimo ed illegittimo. Sostiene convenirsi ora da tutti , che il sommo pontefice possa delegare un prete a conferire anco gli ordini minori e il suddia- conato; non già il diaconato e il presbiterato, secon- do l'antica sentenza di pochi, al presente da tutti i teologi abbandonata. Riguardo al ministro illegittimo, opina con san Tommaso e con tutta la chiesa uni- versale, esser valide le ordinazioni fatte dagli eretici, scismatici e simoniaci. Che se invalide sono quelle anglicane, è solamente perchè manca ne'vescovi la suc- cessione, e perchè n'è stata essenzialmente viziata la forma. Premesse queste cose, in una separata proposi- zione dimostra, che i vescovi hanno la potestà di or- dinare, la quale non è comune co'preti. Importantissimo è il capo V, con cui chiudesl il trattato. Imperocché in esso si parla dell'ecclesia- stico celibato , ossia della legge di continenza im- posta ai sacri ministri , legge contro cui tanto si è dal secolo XVI in poi declamato. Il nostro teolo- go, per ridurre ad una evidenza filosofica la sua dot- trina, divide la materia in cinque proposizioni, e con- sidera il celibato sotto tutte le relazioni. !Nella P pro- posizione mostra, che il sacro celibato ha un fonda- mento certissimo nell'antica tradizione della chiesa , ricavandolo dall'esempio degli apostoli, dalla consue- tudine universalmente ricevuta fin dai tempi aposto- Praelegtiones theologicae i6t Ilei, e dalle sanzioni degli antichi concili e pontefici: nella 11.^, ch'è convenientissima allo stato clericale, perchè addimostra la santità della vita, e rimuove tutti gli ostacoli ed impedimenti, che difficilmente si potreb- bero unire collo stato ecclesiastico: nella III.'* e IV.**, che non si oppone ne al diritto divino, né al naturale, non essendovi alcuna legge che astringa individual- mente tutti al matrimonio ; non avendola mai né i popoli, nò i legislatori, né i principi riconosciuta co- me tale : e finalmente nella V.* ed ultima propo- sizione , che non solo non é alla società dannosa , ma che anzi in modo particolare ne accresce i van- taggi, provvedendo essa alla perennità delle famiglie, alla propagazione dell'uman genere, all'aumento del- le popolazioni, alla cultura delle arti e delle lettere, e all' accrescimento della beneficenza e della carità. Proposizioni tutte che sono dall' autore con grande profondità di dottrina e di erudizione sviluppate, dan- dosi carico di ribattere gli argomenti che gli avver- sari adducono tratti dal sacro testo, dai padri, dagli autori di pubblica economia e fin dai medici, i qua- li tutti confuta con irrefragabili autorità di altri poli- tici e medici antichi e moderni non solo cattolici, ma eziandio protestanti. Venendo al trattato sul matrimonio^ è dal p. Perrone diviso in quattro capi, riparliti in varie pro- posizioni. Nel capo I." dopo avere ragionato del matrimo- nio considerato in se stesso, come officio di natura, dimostra nella prima pi'oposizione esser questo uno de'sette sagramenti istituiti da N. Signor Gesìi Cri- sto. Parlando della materia, della forma e del mini- stro, dice dipender la materia e la forma dallo scio- G.A.T.XCII. II i62 Scienze glimento della quistione intorno al ministro. Impe- rocché se ministro del sagramento è il sacerdote, ne viene per conseguenza esserne la materia il contrat- to naturale, risultante dal mutuo consenso de' con- traenti: ed esserne la forma la benedizione, o siano le sacre parole proferite dal sacerdote. Che se gli stes- si contraenti dicansi ministri del matrimonio, la ma- teria e la forma saranno il consenso di ambedue i contraenti espresso con segni , benché sotto diverso rispetto : materia cioè , perchè il consenso significa la tradizione àe' cov^v, forma, perchè significa la mu- tua accettazione di essi. L'una e l'altra opinione so- stenendosi da buoni autori, il p. Perrone si appiglia alla seconda , sì perchè la trova corroborata da più validi argomenti, più antica e più universale, sì per- chè assai bene chiude l'adito alla difficoltà in addie- tro non mai udita, cioè che ne'matrimoni de' fedeli si distingua il contratto dal sagramento, quasiché si potesse ciò fare con qualche probabile ragione. Or chi non vede che secondo 1' altra sentenza si avrebbero innumerabili matrimoni o celebrati , o da celebrarsi dal popolo, che avrebbero ragion di contratto, ma non di sagramento, e moltissimi anche vivrebbero in tutto il tempo della lor vita senza questo sagramento, non solo non opponendosi, ma approvandolo anzi la chie- sa ? A ciò si aggiunge, che stabilita una tale opinio- ne, appena potrebbe dimostrarsi che le cause matri- moniali appartengano alla chiesa: essendo assai da os- servarsi, che i nemici della potestà ecclesiastica, i gian- senisti , i loro seguaci, e tutti i regalisti l' hanno abbracciata. Finalmente ci dice che non sarebbe da dispregiarsi la ragione dedotta dalla natura del con- tratto naturale o civile , il quale per se stesso non PRAELKCTIONES THEOLOGICAB j63 richiede un'assoluta fermezza, dipendendo l'Indis- solubilità del matrimonio cristiano dal sagramento , indissolubilità che per tal motivo dopo sant' Agosti* no chiamasi dai teologi res sacramenti^ come dote e proprietà del sagramento E però , secondo 1' al- tra sentenza , lutti i matrimoni fatti senza la bene- dizione sacerdotale, non essendo se non contratti ci- vili, ne seguirebbe che sai'ebbero per se stessi dis- solubili e privi di ogni fermezza: il che è falso e con- trario alla dottrina della chiesa. Nel secondo capo tratta delle proprietà del ma- trimonio, ossìa della sua unità e indissolubilità , ed è dall'autore divìso in sei proposizioni. Sostiene nel- la I.*, che per legge divina è proibito ai cristiani lo avere ad un tempo più mogli; nella 11.^, che il ma- trimonio contratto legittimamente dagl' infedeli può sciogliersi in quanto al vìncolo, se convertitosi uno de'coniugi alla fede, o non voglia pacificamente vi- vere coll'altro, o non consenta di abitarvi senza con- tumelia del creatore : proposizione certa, e da tener- si da ogni buon cattolico , per avere il fondamento nelle sacre scritture, nella comune dottrina de' padri, ne'decreti de'romanì pontefici , nella universale pra- tica della chiesa, e per essere corroborata dal comu- ne suffragio de' teologi e de'canonisli. Nella III.** pro- posizione, che secondo il concilio di Trento ( Sess. XXIV, can. VI ) è di fede, dimostra che il matrimo- nio rato, ma non consumato, si scioglie per la solenne professione religiosa di alcuno de'coniugi: e nella IV.% che o per l'eresia, o per la molesta coabitazione, o per un'affettata assenza del coniuge, non può sciogliersi il vincolo matrimoniale. Di assai più grave importanza è la V.* proposi- i64 Scienze zione ch'egli enuncia colle slesse parole del t ritiene fino, non errare cioè la chiesa quando insegnò ed in- segna, secondo l'evangelica ed apostolica dottrina, che non può sciogliersi il vincolo del matrimonio per l'a- ttulterio di uno de'due coniugi. Supposta la veracità de'testimoni della scrittura e de'padri, con cui provò la quarta proposizione, egli lo dimostra cosi : Se in qualche luogo si trovasse per l'adulterio eccezione alla legge generale della evangelica indissolubilità del matrimonio, sarebbe certamente nelle parole di Cri- sto ( Matth. V V. 3a ) : « Omnis qui dimiserit uxo- » rem suam , excepta fornicationis causa, facit eam )) moechari: et qui dimissam duxerit, adulterai u. E nell'islesso evangelista ( cap. XIX v. 9. ): « Quicum- » que dimiserit uxorem suam, nìsi ob fornicalionem, » et aliam duxerit, moechatur: et qui dimissam du- » xerit, moechatur. » Imperocché dagli avversari non può addursi altro documento tratto dalle sacre scrit- ture. Ma in queste parole non v'ha una tale ecce- zione; imperocché se vi fosse, certamente uè chi la- sciata la moglie ne prende un'altra, ne chi prendesse la lasciata farebbe adulterio : anzi dalle stesse testi- monianze rilevasi che fa adulterio tanto chi dimessa l'adultera ne sposa un'altra, quanto quello che sposa la ripudiata : dunque nelle suddette parole non è eccezione, ma devonsi intendere del ripudio quoad thorutn. Ciò confermasi da tutti gli altri evangelisti, dai quali si omette tale clausola:: e dall'apostolo Paolo che nelle sue lettere ai romani VII, e I ai corinti, e- isponéndo le parole di Gesìi Cristo, parla della sola dimissione quanto al letto e non già quanto al vincolo. Siffatto raziocinio è provato dal N. A. colle testimo- nianze de'padri e colla dottrina della chiesa. IN è manca PrAELECTIONES THEOLOGICAE l65 di fare avvertire che la contraria sentenza aprirebbe la strada agli adulteri e agli scioglimenti de'matrlmoni: imperocché coloro che fossero mal contenti, o si per- metterebbero l'adulterio per isciogliere di poi il vin- colo, o ne prenderebbero occasione dalle più leggiere congetture. Tale inconveniente confessò pure un pro- testante scrittore dell'effemeridi di Edimburgo, il qua- le commenda, e propone agli altri a meditare l'en- ciclica di Pio YIIl su quella parte, in cui il sommo pontefice esorta i vescovi e il clero a stare m guar- dia, acciocché invigilino sulla dottrina della indisso- lubilità del matrimonio. « Il papa ( se ne ascoltino le stesse parole tradotte àd\ Me mortai catholique ianv. i83o. P^uriétès ) esorta i vescovi e il clero ad incul- care al loro gregge la dottrina cattolica sull'indisso- lubilità del nodo coniugale. È questa la più sensata parte ( avvertasi che parla un protestante ) della let- , tera di Sua Santità, e merita che i protestanti e i cattolici profondamente la meditino. Nel nostro paese quando un marito non vuol più la sua moglie, o la moglie più non vuole il suo marito, basta il farsi sor- prendere nell'adulterio per sottrarsi dal giogo coniu- gale, e foripar que'legami, che loro meglio conven- gono., Può esser giusto e lagionevple di liberare la parie oflesa da un legame ch'è stato vietato e diso- norato dall'altra parte contraente: ma è assurdo, anzi più che assurdo, il fare del delitto stesso un mezzo per liberarsene v Prima però di passare a ribattere le obiezioni, fa ritlettere che la sentenza dello scioglimentp del matrimonio, quanto al vincolo a inotivo dell'adulte- rio, non è condannata come eretica. Imperocché il canone del concilio di Trento fu direttamente fat- j66 Scienze to conlro ì luterani ei calvinisti, i quali accusava- no di errore la chiesa latina, e non conlro i greci e gli orientali, i quali anche oggidì tengon per fer- mo potersi pel suddetto motivo sciogliere il matri- monio quoad vinculum^ siccome riferisce il card inai Pallavicino. Nega però, come voleva il Launoi, esser questo canone disciplinare, e però per autorità del- la chiesa mutabile , trattandosi in esso di dottrina evangelica ed apostolica, siccome può dall'istesso ca- none agevolmente dedursi. Circoscritta in tal modo la quistione, è ben facile al N. A. il ribattere le op- posizioni tutte degli avversari , non lasciando loro alcun rifugio, ed interpretando colla più sana criti- ca tutti que' passi, che potrebbero addurre in dife- sa della loro dannata dottrina. Sostiene però nella VI.^ ed ultima proposizione , potersi dar molte cause ai coniugi per separarsi o a tempo o in perpetuo quoad thoriim, e che però la chiesa non erra nell'ammet- terle. Non meno importante è il seguente capitolo III.» in cui parla degl'impedimenti del matrimonio, e del- la facoltà che ha la chiesa di stabilirli. Fatta la sto- ria di questa ecclesiastica dottrina cominciando dai waldesi, e brevemente esponendo le opinioni di Lu- tero, di Calvino, di Marcantonio De Dominis, e del Launoi, ricorda la costituzione di Giuseppe II fat- ta nell'anno 1783, con cui, rinnovellandosi gli er- rori di quest'ultimo, al giudizio dell'imperio civile si commette la cognizione delle cause matrimoniali. Il principio di questa nuova legislazione matrimoniale è fondato sull'essere il matrimonio un contratto ci- vile, e però doversi esso, come tutti gli altri patti e contratti, regolare dal foro civile: polendo il solo Praelectiones theologicae 167 impero civile stabilire gì' impedimenti dirimenti , e dispensare da essi. In forza di tale costituzione per- mettesi solo alla chiesa di stabilire alcuni precetti proibitivi che promuovano la religione e i costumi , per conservare la dignità del sagramento del matri- monio. Da questo editto di Giuseppe II nacquero molle turbolenze, e specialmente quella lotta, per cui da oltre a ^o anni si è in molte cose cangia- to il sistema delle dispensazioni matrimoniali: essen- do ben noto che tali principii austriaci furono con ogni sforzo difesi dai teologi e canonisti gianseni- sti, ed in ultimo adottali e fatti suoi dal sinodo di Pistoia. La legislazione gallicana, fatta dopo la rivolu- zione del 1792, non solamente chiamò tutte le cau- se matrimoniali innanzi alla potestà civile, ma tol- se anche la santità e la indissolubilità del matrimo- nio. E benché il codice dell' imperatore Napoleone in qualche modo la temperasse, nondimeno egli pure nelle cause matrimoniali tolse tutta 1' autorità alla chiesa, e sottopose il matrimonio al magistrato civi- le. Imperocché altro non richiedevasi se non se un unico atto a far legittimo il matrimonio, il consen- so cioè e la dichiarazione avanti al magistrato civi- le: nò vi era bisogno, ne era permesso di osservare la dottrina cattolica, cioè di dare il consenso innanzi al parroco e ai due testimoni voluti dal concilio di Trento. Molti da qualche tempo hanno abbandonata la sentenza che concede ai soli principi la facoltà di stabilire gl'impedimenti dirimenti, ed è invalsa quella che n'attribuisce il potere ex aenuo alla potestà ci- vile ed ecclesiastica, specialmente nello stabilire gì' i68, Scienze impedimenti, che rendano irrito il matrimonio de'cri- stiani. Il p. Perrone, a meglio stringere e ribattere tut- te le obiezioni degli avversari, divide il capitolo in sei proposizioni: e sostiene nella I.^, la quale è di fede, che la chiesa può stabilire gl'impedimenti diri- menti il matrimonio , e che in essi non ha giam- mai errato: nella 11.^ che ne'cauoni IH e IV del con- cilio di Trento sotto il nome di chiesa non si de- signano i l'e e i principi del secolo, ma l'ordine e la gerarchia ecclesiastica: proposizione certa, prossima al- la fede, la cui contraddittoria è falsa o prossima al- l' eresia , siccome proveniente dall' ereticale princi- pio, che la potestà civile ha diritto originario e pro- prio di stabilire gì' impedimenti dirimenti il matri- monio: nella III.% che i suddetti canoni sono domma- tici e costituiscono una regola di fede : proposizione certa come l'antecedente, a cui contradittoria è notata di censura nella LIX del sinodo di Pistoia: nella IV. « che i suddetti canoni non parlano di una potestà avventizia per tacito o espresso consenso de' prin- cipi , ma di una potestà intima , originaria e pro- pria della chiesa: proposizione di fede, come rileva, si dalla costituzione doramatica Autorem Jidei: nel- la V,^, che la chiesa sola per proprio ed originale di^ ritto può stabilire gì' impedimenti che dirimono il matrimonio, ossia che ne sciolgono il vincolo: pro- posizione certa, come rilevasi chiaramente dal sud- detto canone IV del concilio di Trento, e dalla cen- sura della proposizione LIX del piìi volte nomina- to sinodo pistoiese; finalmente nella VI.'^ ossia ultima, che le cause matrimoniali spettano ai giudici eccle- iudisiastici, e che di tutte essi soli sono elladi gei; PnAELECTIONES THEOLOGICAE I 6o quale proposizione la prima parte è di fede , sicco- me consta dal canone XII della sessione XXIV del concilio tridentino ; la seconda poi è certa , co- me in appresso il dimostra per la condotta tenuta da Gesù Cristo, e dall'apostolo Paolo, non che per la continuata pratica della chiesa. Prima però il N. A. premette , che per cause matrimoniali intende quelle che hanno vera relazione al vincolo o sagra- mento del matrimonio, e non quelle che sono al vin- colo estrinseche , le quali ultime possono eziandio spettare alla potestà civile: e che queste non debbo»- si confondere cogl'impedimenti dirimenti, benché ab- biano grandissima affinità tra loro , né le une pos- sano dalle altre separarsi. Imperocché anche coloro, i quali falsamente sostengono appartenere alla pote- stà civile il porre gl'impedimenti dirimenti , dicono che le cause matrimoniali debbano appartenere al fa* ro ecclesiastico. In tal modo l'autore ha ristretto tut- tociò che riguarda una così grave e diffìcile quistio- ne, l'ha posta sotto il vero punto di vista, e l'ha con tali argomenti confermata, da non potervisi in alcun modo rispondere, essendo slato tutto da lui preve- duto, ed avendo preclusa la via a qualsiasi obiezione. Né meno sottile e profondo è il capo IV, ossia ultimo , in cui parla de' matrimoni misti , ossia di quelli che si contraggono tra un cattolico ed un' acattolica, o viceversa. Tali matrimoni, come ognuno sa , sono validi ma illeciti , né possono farsi senza dispensa del romano pontefice. Siccome però essi non li concedono se non con alcune condizioni , piov- vedendo alla spirituale salute della prole , è avve- nuto che non solamente la chiesa non ne abbia ri- cavato alcun danno , ma anzi della utilità ; cono- IJO S 0 l E N I E scendosi dalla esperienza , che nelle provincie del- l'America settentrionale e nell' Inghilterra per la ce- lebrazione di tali matrimoni non piccolo vantaggio ha ritratto la religione cattolica. Questa istessa espe- rienza però ha dimostrato, che gravissimi danni pur ne derivano, se non si attenda alle condizioni dai pon- tefici imposte. Gli acattolici posero in opera tutti i mezzi ad ottenere un tal fine. A principio, per ce- lar meglio le lor frodi, operarono assai cautamente, e di nascosto : in appresso con maligne arti, e con aperte menzogne cercarono di eludere lo zelo de'pa- stori delle anime, e di affliggerli eziandio coll'esilio e con altre pene, cercando in tal modo di costrin- gere i sacerdoti a benedir tali nozze, omesse le due principalissime condizioni: cioè che il coniuge cat- tolico facesse quanto era in se per condurre l'altro alla sua religione , e che tutta la prole si educasse nella religione cattolica; anzi aggiunsero , che non potessero negare la sagramenlale assoluzione alla par- te cattolica, che non si volesse sottoporre a tali con- dizioni volute da' romani pontefici , ed ultimamente da Pio Vili di santa memoria. Avendo il governo prussiano dichiarato che tali leggi si opponevano a quelle della nazione, che non si potevano assoluta- mente osservare, e che ripulavasi civilmente reo chi le avesse praticate , alcuni prelati della Prussia o per debolezza di animo o per inganno obbedirono; ma gli arcivescovi di Colonia e di Posnania con sal- do petto si opposero non senza sperimentare gra- vissime pene ed ingiurie, essendo stato il primo cac- ciato dalla sua diocesi , ed il secondo vessato nella più crudele maniera: sorte ch'ebbero ed hanno tut- tora anche que' parrochi, i quali hanno voluto ebbe- Praelectiones theologicae 171 dire più losto a Dio, che agli uomini. Il N. A. nar- rata brevemente questa controversia, che riguarda spe- cialmente il regno di Prussia: riferisce la lettera di monsig. de Spiegel arcivescovo di Colonia, scritta nel 23 gennaio 1882 ad uno de'suoi colleghi, dalla quale rilevasi, I.° quale fosse il vero stato delle cose di Prus- sia, essendo ancor vivo quel prelato , e quanto fal- samente scrivesse l'autore della giustificazione], IL", che dopo due anni non era ancor noto a quell'arci- vescovo il breve di Pio YIII; III," quali fossero i ve- ri sentimenti di questo arcivescovo prima che fosse dal governo prussiano sedotto. Quindi con tre separate proposizioni sostiene nella prima, che i matrimoni tra i cattolici e gli acattolici sono regolarmente illeciti, perchè gravemente riprovati dal diritto naturale e divino, ed assolutamente interdetti dal diritto eccle- siastico: proposizione certa ed approvata da tutti i dottori. Fa però avvertire di avervi apposto la clauso- la regolarmente, per escludere la sentenza di colo- ro, che rilenendoli per loro natura invalidi ed ille- citi non potrebbero mai sanzionarsi dal romano pon- tefice : aggiunge, essere tali matrimoni riprovati dal diritto naturale, e divino positivo, e non già contrari in modo, che intervenendo una giusta causa non pos- sa farsi un'eccezione alla legge. Nella seconda che per sola dispensa del romano pontefice si possono leci- taraente fare : e che però gravemente peccherebbero que'sacerdoti cattolici, che senza pontificia dispensa, e senza osservare le condizioni pre-scritte, benedices- sero siffatti matrimoni, 0 in qualsiasi altra guisa col- la loro presenza li coonestassero : proposizione certa, e che come legittimo corollario deriva dalla antece- dente. Finalmente nella terza, che gli acattolici senza ledere tulli i dirilli dell'equità non possono costi'ingere lj% S e I E W Z K i sacerdoti cattolici a coonestare colla loro benedizione, o con altro sacro rito le nozze miste, le quali si con- traggono disprezzate le sanzioni canoniche. Prima però di dimostrarla premette, I.» ch'è fermissiaio domma del- la nostra religione, che ninno morendo colpevolmente fuori di essa può avere la salute eterna: II.» che quest' officio fu commesso ai pastori della chiesa, affinchè tutti procurassero di aprire agli altri questa strada ed im- pedire quella della perdizione: IH," che i suddetti pa- stori non possono trascurare un tale officio senz'es- sere rei di grandissimo delitto verso Dio, e traditori di quelle anime , che Gesù Cristo redense col suo sangue: IV. « che a questo doppio fine hanno sempre mirato tutte le leggi canoniche che si sono fatte dai primi secoli intorno ai matrimoni misti : V.° che i romani pontefici, i quali sono i principali custodi e vindici delle canoniche leggi, le tennero sempre sal- de, e riguardarono come illecite e condannarono quel- le nozze che le avessero disprezzate: VI." che quan- tunque Pio Vili accordasse qualche condiscendenza per la malvagità de'tempi, e come parla Gregorio XVI: « Suam eo usque protulerit indulgentiam, ut ipsa ve- )) rissime dici queat illos attigisse limites, quos pi-ae- » tergredi nefas omnino sit : » tuttavia stette sem- pre fermo alle leggi essenziali, cioè che la donna spe- cialmente, la quale si dovesse maritare coU'acattolico, fosse diligentemente istruita dal vescovo o dal parro- co, ed ammonita della colpa, in cui incorrerebbe vio- lando i sacri canoni , e di quanto crudelmente agi- rebbe verso de'figli, se ne lasciasse l'educazione all' arbitrio del marito. Se la donna negasse di ciò fare, dovesse il cattolico pastore riprovare tali nozze , ne sanzionarle con qualsiasi atto, permettendogli solo un' assistenza passiva: dichiarando in ultimo, per togliere PRAELECTIONES THEOLOGICAE 1^3 Ogni adito alle querele, esser valide le nozze miste, che dopo tal breve si celebrassero non conservata la legge del tridentino nelle diocesi di Colonia , Tre- verì, Paterbona e Munster, purché non vi fosse altro impedimento canonico dirimente ; VII." finalmente che il governo prussiano, che aveva ricercato egli stes- so tali lettere al pontefice, o colla sua autorità ave- va indotto i vescovi a richiederle, primieramente le occultò per frode , quindi in una segreta adunanza tentò eluderne la forza , in ultimo cominciò a ves- sare i vescovi e i sacerdoti cattolici, affinchè dispre- giate le cautele volute da Pio Vili, coonestassero i matrimoni contratti secondo le civili leggi di quel rea- me. Premessi questi prìncipii, è facile al Perrone di- mostrare la verità della sua proposizione, e ribattere solidamente tutte le difficoltà che si potrebbero op- porre, non avendo omesso di consultare tutti que'mo- derni autori italiani e stranieri , che pretendono di togliere alla chiesa un diritto così sagrosanto , e di cui ha mai sempre goduto. Da quest'analisi compendiosissìma, ed in cui più tosto si sono accennate, che discorse le cose, ben si comprende la importanza e la filosofica precisione di questi due trattati. Aggiungeremo solo, che quello sul matrimonio, non appena pubblicato, fu ristampato a parte in Lione e in Parigi, e che il capitolo sui ma- trimoni misti fu tradotto in lingua tedesca , e dato immantinente alla luce (*). F. Fabi Montani. (*) Del trattato De locis theologicìs diviso in due parti , e dì cui è imminente la pubblicazione del secondo volume, si parlerà quanto prima. 174 fi). • . ; : , f, f t ul Della vita e degli studi di Ruggero Boschovìch matematico e filosofo di chiaro nome. Discor- so del prof. Domenico Vaccolini letto nelV ac- cademia tiberina il 19 aprile 1841. A, Jlora quando la prima volta me degnaste, acca- demici, dell'alto onore, quale io tengo che sia, ed è veramente, questo di parlare nella luce dell'accade- mia, in tanta corona di eletti spiriti, nel quasi trion- fo delle scienze, delle lettere e delle arti compagne ( alla cui gloria comune voi date opera con tanta fe- licità ): io non seppi non sentirne dentro viva com- piacenza e gratitudine. Perchè chiamato a dire novel- lamente, non so incominciare senza rendervi prima molte azioni di grazie a tanta vostra benignità con- venienti. Questa solenne testimonianza più stretta- mente vi deggio, e caramente vi offro per ciò , che quando io stesso dovevo a voi , ben lo rammento , grazie senza fine per quell' antico benefizio , crescer voleste sopra di me favore a favore fregiandomi di tale onoranza (i) : la quale mi è chiaro argomento, che se non il mio merito ( io so troppo bene quanto sìa tenue ) , certo la buona volontà e la costanza negli ardui studi a voi fu accetta. Per cosiffatti conforti , fatto maggiore di me, torno anelante alla sudata pa- (i) Si allude al premio conferito all'autore due anni innanzi di una medaglia di argento, sendo presidente dell'accademia l'e- gregio sig. cavaliere Giuseppe conte Alborghetti. Vita del Boschovich 17^ lastra : da cui mio malgrailo mi tennero diviso ( ahi ! forse due anni ) non pure l'invidia e la fortuna av- verse ai migliori; ma lunga e grave infermità. Grazie a colui, che i miseri non abbandona : grazie a' miei amorevoli, io vivo e sento ciò che a voi debbo, ciò che debbo agli studi. E se difendendo nel liceo e fuori le ragioni del bello , che sono quelle dell' ordine e della virtù, avverrà mai, se pure avverrà, che qual- che palma io raccolga sopra le antiche : vostra in par- te, o accademici, sarà la gloria : i quali, mentre tutto mi ributtava, me con lodi e con premi riconfortaste: così fa il sole co' fiori dal gelo della notte offesi, e rianima la natura. Intanto siccome al raggio delle scienze esatte posi la mia giovinezza, e lungi da Ve- nere sacrificai a Minerva: penso, voi concedenti, in questo rifiorir della vita di fare subbletto colle mie parole gli studi di tale , che in cosiffatte discipline già tenne il campo : dirò del Boschovich riputalissi- mo : di lui, che in questa Roma levò alto grido di sé, e mostrò al mondo, che nutrice perpetua de'gran- di ingegni è Italia nostra. Alla quale mercè la sa- pienza che regna, splende oggi un'alba foriera di chia- ro giorno, quando la facoltà dell'ingegno non è più in balìa dell'invidia e della fortuna ; ma è sacra co- me agli uomini la casa, il campo , le vesti e quale altro bene sulla terra (r). Questo è un vero trion- fo dello spirito sulla materia, questo è vero progres- so alle lettere, alle arti e alle scienze nel nostro se- colo : il quale non invidia oggimai in tanta luce le età di Pericle, di Augusto e di Leone I (i] Si allude alla legge della proprietà letteraria di recente abbracciata da vari slati d'Italia. 176 Scienze La natura non è matrigna; ella sparge ovunque i suoi germi, anche quelli dell'intelletto: sta all'uo- mo promoverli, trapiantandoli ove sia d'uopo in ter- reno propizio a'buoni ingegni. Vide Ragusa nel se- colo passato e Boschovicli e Stay nati alle scienze , Cunicli e Zamagna nati alle lettere : li diede all'Ita- lia, che loro fu madre di eletti studi, e di una glo- ria li cinse, che tempo mai non può spegnere. A' 18 maggio 1711 nacque Ruggero Giuseppe Boschovich, di cui ho tolto a ragionare. Nicolò e Paola Batarra, onesti genitori, diedero a educare il ben amalo figliuo- lo a'padri gesuiti : innamorato di que'maestri egli sen venne a Roma giovinetto, e fu ricevuto felicemente nella compagnia. Salutò la rettorica, e passò alla fi- losofia sotto il p. Carlo Noceta, del quale cementò i poemetti latini deW Iride e deW Jiir^ora boreale. Ma a chi l'osservò parve, lui esser nato piij che ad altro alla geometria; narrandosi, che trovò da se la dimostrazione della 47-'* di Euclide: e che in un gior- no apprese l'aritmetica, in un giorno i principi! del- l'algebra cartesiana : cose a pena credibili, se il no- stro secolo non avesse veduto in Sicilia e fuori fan- ciulli di acuto intelletto sciogliere all'improvviso pro- blemi di aritmetica, malagevoli a qual più esperto cal- colatore ! Quanto al Boschovich vera cosa è, lui es- sersi fatto subito tanto innanzi in tutta la matema- tica, che il p. Borgondio suo maestro ebbe a dire : Costui comincia ovHo finisco. E comunque l'ordina- mento degli studi obbligasse lui pure ad insegnare grammatica ed umanità ben cinque anni, svegliato spi- rito, dava opera il giorno a cosiffatti insegnamenti , e la notte donava alle cose di matematica. Fu gran ventura, che il quarto anno di teologia condonato gli I Vita del Bosghovich iyy aprisse il campo alle scienze , che colle cifre e col compasso abbracciano l'universo. Succeduto al mae- stro nella cattedra di matematica, egli era in Roma quasi in suo regno : fiorendo nell' amore di tutti i buoni, dettava a conforto dell'animo versi latini. Cosi illustrava l'obelisco di Cesare Augusto , e l'orologio solare scopertosi sul dosso del Tuscolo : porgevasi an- cora a quell'acuto giudizio del cardinale Silvio Va- lenti Gonzaga, che in cose di aaque e strade lo con- sultava : prestavasi alla scuola, agli amici, senza man- care giammai a sé stesso, ne agli altri di conforto o di consiglio. Né solo voleva, ma sapeva; esaminavasi la gran cupola di s. Pietro che minacciava mina : ed il pa- rere di lui dal Vanvitelli e dal Poleni fu conferma- to. Se non che insorse tale sconcordia, siccome ac- cade, che egli punto al vivo fu per andarsene al Bra- sile a levarne la carta di commissione di Giovanni V, potendo intanto misurarvi un grado del meridiano. Non ci voleva meno che la prudenza del cardinale a ritenerlo: e il modo fu di ordinargli in nome del santo padre la misura del grado negli stati della chiesa. Questo lavoro di tanta importanza, che bastava a pro- vare molte menti e molte braccia, al cadere del lySo s'incominciava dal Boschovich, e in due anni e mezzo fu pieno. E fa maraviglia tanto più, che fu d' uopo procacciarsi strumenti da ciò, e vincere le tante dif- ficoltà, che i fiumi, i monti e gli stessi incolti uo- mini sempre opponevano. Perchè venuto egli qual degno spirito in fama di gran matematico, fu chiesto dalla repubblica di Lucca a comporre quistioni di acque e di confini colla Toscana : non riusciva a Fi- renze , ed egli fu a Vienna per questo. E fu gran G.A.T.XCII. 12 Tj^ Letteratura ventura alla scienza delle scienze ; imperciocché potè allora egli stesso consigliare al re di Sardegna ed al- la imperatrice M. Teresa la misura del grado ne'loro dominii. Undici mesi fermossi a Vienna , e vi pub- blicò ciò che sulla natura de' corpi avea speculato. Tra le lodi della repubblica di Lucca è da scrivere, che grata ai servigi ed all'ingegno del Boschovich do- nolio di mille zecchini e del grado di nobiltà. Ma egli non si arrestava; fu a Londra del 1760; in sette mesi di dimora colà conobbe i dotti della società reale, e fu conosciuto da loro: fecerlo del lo- ro numero , ed egli ad argomento di grato animo dedicava alla società il poemetto : De solis et lu^ nae defectibus. Indi a Parigi sei mesi fu lieto di visitare Clairaut, d'Alembert, Fontaine, de la Caille, Monnier, de la Lande , ed altri di quella schiera. Corse a Costantinopli nel 1762 col bailo Pietro Cor- rer, sperando osservare il passaggio di Venere pel So- le; ma soffermatosi alquanto a Venezia non giunse a tempo , e nel viaggio ci rimise la salute e quasi la vita. Ripartito di colà con Giacomo Porter amba- sciatore inglese, toccò la Polonia , e volgevasi alla Russia, quando sì la cagionevole salute, sì l'intempe- rie lo fecero da Varsavia retrocedere a Cracovia: di là per la Slesia e l'Austria tornò a stanza beata in Italia , e in questa Roma fermavasi. Toccò la qui^ stione spesso agitata delle paludi pontine , e scrisse del porto di Terracina. Venuto del 1764 a Pavia professore nell'università, quattro anni appena vi si fermò, non trovando quella stima che tanto deside- rava: quella che donano gli uomini al merito mode- sto , contendono o niegano al superbo. Viaggiò di nuovo per la Francia e per le Fiandre : e fu gran Vita del Boscuovich 179 ventura per lui avere trovato presso Brusselles il Dio delle gambe; così chìamavasi un tale di con- tado, che lo guarì delle sue. Indi professore alle scuo- le palatine in Milano, promosse la fabbrica dell' os- servatorio di Brera, e vi spese o anticipò non poco del suo per corredarlo: col nome poi e colle fati- che e cogli allievi lo illustrava. Fermavasi la stabi- lità della specola con decreto, che prescriveva que- ste cose: Boschovich vi desse ancora l'opera sua e la sua fama : il p. la Grange dirigesse , due padri as- eistessero: e fosservi allievi e soci, esclusi gli esteri. Autore e capo, quale tenevasi il Boschovich, si dol- se vedendo chiusa la porta ad un giovine , eh' egli aveva carissimo. Fece udire i suoi lagni, i suoi de- siderii: né il principe Kaunitz, ne il conte di Fir- mian, né il barone di Sperges, né altri lo condisce- sero : ed egli con intenzione o pretesto di ripatriare lasciava Milano. Venezia ebbelo dieci mesi; da quel- le oneste accoglienze non sapeva dividersi ! In quel- la quasi beatitudine fu colpito come da fulmine dal- la disgrazia, che ferì allora la compagnia; perchè mu- tato consiglio, venne in Toscana, e di là in Fran- cia. Bene accollo a Parigi, come a tal uomo si con- veniva, ebbe dal re due pensioni per ottomila lire, e titolo di direttore di ottica per la marina : delle quali onoranze tanto si piacque, che ricusò gl'inviti del gran duca di Toscana, il quale pregiandolo secon- do il merito, non dubitò fondare per lui una cat- tedra di ottica nell'università dì Pisa. Bensì egli eb- be a tornare in Italia, e fu per onesta cagione; di dare in luce le opere sue pei Remondini a Bassa- 110: cosa che in Francia non gli fu agevole, sia per invidia, sia per disamore dei dotti di quella nazio- »8o Letteratura ne, al quale egli stesso non porgevasi lanto benevo- lo, quanto dee l'uomo all'aUr'uomo, e più allo scien- ziato ogni scienziato. Fece un giro nell' Italia me- i-Idionale per rivedere gli amici, e pensò fermarsi a Milano a dettare i supplimenti alla filosofia di quel- l'acuto giudizio dello Stay. Ma che ? egli, come un astro che cade, già correva al suo fine , e vinto in parte dagli anni, dai viaggi, dalle fatiche,-infermò di animo, dando luogo a nuove fantasie: o che la sua fama fosse scaduta d'assai, o che l'ingegno gli man- casse a fornire que' supplimenti , o che vi andasse del suo onore a cercare dalla corte di Francia di ri- manersi più tempo in Italia : venne fino al delirio non senza lucidi intervalli, che facevano operare di lui. Ma una vomica di petto ( e questo morbo, che covavagli dentro, influì forse molto nel morale ) lo tolse ai vivi il i5 febbraio 1789, di anni yS, me- si 8, e giorni aS, dopo aver corsa nell'esercizio delle più splendide religiose virtù la mortai sua cariera. Lo pianse giustamente la patria , e con elogio del Zamagna e con epigrafe onorevole rimeritò il de- gno concittadino: l'abate Francesco Ricca dettò un elogio storico assai pregiato (i) , 1' abate Francesco Appendini nelle Notizie de^ ragusei (2}, monsignor Fabroni nelle J^ite degli italiani e nelle Memorie della società italiana^ il Morcelli, il Cavalieri, il La-Lande fi'a gli altri onorarono quell'alto spirito : onoraronlo l'Ugoni, il Lombardi , e quanti scrisse- ro con amore le glorie delle nostre lettere, Tra que- (i) Milano pel Marcili 178^. (2) yol. 2. Raglisi 1802, Vita del Boschovich 181 sté lodi non è da tacere alcun biasimo, quando egli felice ingegno non seppe francarsi dalla condizione umana: preso all' amore della gloria, durò la fatica degli studi; ma peccando del troppo, perde talora la pace del cuore , e da ultimo i conforti della ragio- ne. Gran documento a noi uomini di lettere di non invanire, né andare in busca di ombre, ma di real- tà : ecco frutto di vera prudenza , il quale non si conserva , che sotto il velo di modestia non finta ! Quanto al Boschovich, veramente è da dire, che for- te di corpo e più di animo davasi tutto alle cose , che imprendeva: nello studio si fissava e durava co- me Archimede, indi veniva gioviale a'colloquii e con- viti in meizo agli amici: ai quali porgevasi con tan- ta prontezza e ingenuità , che era una maraviglia. Ma che ? ei si adontava degli emuli , fingendo ne- mici ed offese dove non erano: fantasia troppo viva come quella del Tasso, scusavasi ascrivendo ad essa, ciò che pregiava cotanto , se lode di geometra e di poeta avea nel mondo. Fu incolpato di avarizia, ma quella colpa non ebbe ; testimonio il Ricca , che i veri difetti non tacque: tra' quali fu in cima la va- nagloria; troppo tenero di sé, anche dai viaggi non trasse tutto il bene , che avrebbe potuto e dovuto. Così non fu mai quieto in un luogo: meno poi lo fu in Francia, dove il più di favore, che ebbe dal re e da'ministri, fu a scapito di quello che egli aspet- tavasi dai dotti e dall'accademia: colpe erano al Bo- schovich le stesse virtù e le beneficenze del re ! Per questo non fu ascritto all'accademia delle scienze : e per le sue opere lo meritava. Delle quali, o accademici, dopo aver detto del- la vita del valentuomo, uopo è dir tanto che basti i8a Letteratura a mostrare la gran mente, che fu la mente del Bo« schovich. Egli ebbe le lettere a conforto dell' ani- mo, e fu tra gli arcadi Numenio Anigreo: per im- peto di natura ( di che Ovidio già porse l'esempio ed aprì la ragione dicendo: est Deus in nohis^ agi-» tante calescimus ilio ) anche il Boschovich dettò ver- si latini, che piacquero in questa Roma, del giudi- care maestra: piacquero altrove, pieni com'erano non di frasche e di ombre, ma di fronde e di frutti. Se non che poesia è un campo corso e ricorso, e non facile a cogliervi le corone. Perchè, avido qual era di gloria, egli si diede meglio alle scienze: nella più certa di esse, la matematica, si acquistò onore: del- l'ottica e dell'astronomia singolarmente fecesi bene- merito. Dopo il principe de' filosofi Galileo la gravità è argomento prediletto a chi si piace di misurar cie- lo e terra, novello Archita: il Boschovich se ne oc- cupò, e del 1741 diede in luce le osservazioni sul- la Ineguaglianza della gravità. Primieramente dal- le misure de' pendoli isocroni, diverse in diverse la- titudini , deduceva la gravità non essere uguale in tutti i luoghi della terra: per accertarsene propone- va di pesare i corpi mercè d'una lamina elastica. In secondo luogo diceva, dell'ineguale gravità non po- tersi trovar ragione in altro che nel moto della ter- ra, ed in immense caverne all'equatore, ed in una ma- teria assai compatta ai poli: alle quali supposizioni egli veniva, non sapendo arrestarsi a\non plus ul- tra: dopo il quale non è che il mondo delle ipo- tesi e delle congetture. Cosi gli avvenne poi quasi sempre a voler farsi singolare dagli altri. Due anni appresso diede fuori le osservazioni Vita del Boschovich i83 circa il Moto di un corpo attratto ad un centro immobile. Forte nella geometria, dimostrava più teo- remi sulle forze centrali e sulle traiettorie , e non conveniva con Eulero su questo punto: che un cor- po moventesi in una elisse, la quale restringasi per ipotesi ad una linea retta, sarebbe respinto dal fuo- co, e moverebbesi perpetuamente non trapassando il centro del moto. Del 1745 stampò delle Forze vive , e l'anno appresso delle Comete. Non timido amico del vero, discordava da' leibniziani sulla utilità della distinzio- ne delle forze da essi voluta: timido si mostrò esclu- dendo da prima il sistema copernicano, onde ad ispie» gare i fenomeni dovette ammettere il moto annuo e il diurno comune alle molecole della luce. Quan- to poi alla ricerca delle distanze delle comete , la riduceva ad una equazione di sesto grado , in cui l'incognita è la distanza accorciata della cometa dal- la terra: e mostrava concorde alle osservazioni la teo- ria del moto parabolico delle comete medesime. Tre anni appresso stampò della Luce^ dividen- do la trattazione in due: i. delle proprietà della lu- ce: 2 delle cagioni loro. Paragonando la quantità di luce emessa da un punto, la cui densità sia recìproca al quadrato della distanza, con quella che si emet- terebbe nel caso di densità uniforme, rilevò un erro- re di Keill : ed applicava la sua teoria delle forze naturali. Del resto non si scostava molto da Newton; se non che a trovare il colore risultante da altri colori mescolati, divideva la circonferenza del cerchio in parti proporzionali agli spazi occupati da colori primitivi nello spettro solare. Del lySi apri la sua opinione sul Centro di t84 Letteratura gravità. Alle molecole materiali egli sostituiva del punti, proporzionali in numero alla densità dei cor- pi: riduceva la questione alla teoria dei momenti: e senza ricorrere all'analisi sublime, trovava il centro di gravità dell'arco di cercliio : e dimostrava il teo- rema goldiniano , ed un altro newtoniano ; aggiun- gendo varie applicazioni. Ma che ? seguire ad uno ad uno i suoi lavori sarebbe lunga cosa , infinita : basterà accennarli soltanto. Egli pensò potersi dare alla luna un' atmosfe- ra di un fluido omogeneo impercettibile: atmosfera non mai consimile alla nostra; parve anzi piegare in fine a niegare affatto atmosfera al satellite della ter- ra: il quale invano si vorrebbe quindi abitato da es- seri viventi come i terrestri. Ma non è da tacere la sita Teoria della filosofia naturale. Egli è un mi- stero, die; umilia la ragione dell'uomo, la natura de' corpi; da ipotesi in ipotesi quasi farfalla di fiore in fiore corre la fisica , senza giovare di un punto la scienza. Il Boschovicb teneva i primi elementi de' corpi come punti ineslesi e indivisibili dispersi nel vuoto con ispazi frapposti: teneva potersi essi cresce-. re, diminuire, non annullare, senza clie ne segua com- penetrazione: teneva la materia disseminata nel vuo- to, non il vuoto nella materia: ai singoli punti da- va l'inerzia, è nel loro incontro la composizione del moto: due punti materiali a certe distanze sono in sua sentenza determinati ad avvicinarsi o respinger- si da forze attrattive e ripulsive^ variabili a segno da potersi l'una cangiare nell'altra: a minime distan- ze la forza è ripulsiva : al crescere della distanza scema la ripulsione fino ad annullarsi : subentra la iQtZdi attrattiva^ la quale aumenta, diminuisce, si estin- Vita del Boschovich i85 gue, e cangiasi alla sua volta in ripulsiva: a gran- di distanze però regna la forza atlrattiva in ragio- ne inversa duplicata delle distanze. Niuno è di voi tanto digiuno della fisica , che ignori la curva del Boschovich , e quella sua legge di continuità : la quale malamente si regge sopra induzioni , per cui il mondo reale cangiasi nell'ideale , e la fisica non è piìi fisica. Ma non tutti forse notaste l'appendice alla indicata teoria , dove il Boschovich trattò dell' anima umana , e del commercio di lei col corpo : indi l'inglese Priestley tolse a sostenere il materiali- smo. Ma non era già questa la mente del raguseo: il quale per verità non vorrebbesi in colpa , se già non fosse di avere le cose dello spirito accomunale almeno nella trattazione a quelle della materia. Ogni cosa a suo luogo, e basta ! Anche gli Elementi delle matematiche furo- no dati dal Boschovich: ed è a lodare singolarmen- te la Trigonometria^ la quale suol porsi di seguito agli elementi di geometria del Tacquet: ed è a loda- re mollo più la parte sferica , quella che in italia- no fu data dopo gli elementi dell'abate la Calile, e a' nostri giorni fu citala con lode dal Gagnoli giu- diziosissimo. Quanto alle Opere di ottica e di astro- nomia^ uscite in cinque tomi del 1785, basti il dire, che degne parvero della maestà di Luigi XVI , cui vennero intitolale. Io non entrerò ne' particolari di quelle; ma una cosa rilevantissima non posso lascia- re sotto silenzio: e tiensi alla misura del grado fat- ta dal Boschovich in compagnia del p. la Maire. Des- sa, testimonio il Gagnoli, contiene un tesoro di me- todi di astronomia pratica, e di soluzioni di proble^ mi i più astrusi sulla figura della terra sciolti coir i86 Letteratura aiuto non più che della pura geometria: della qua- le il Boscliovlch a ragione fu tenacissimo. Quest'ope- ra pregevolissima, die onora e Roma e il pontefice, fu data fuori nel lySS col titolo: De litterarìa ex- peditione per pontificiam ditionem: e meritò ed eb- be una versione in francese essa e il Giornale di un viaggio da Costantinopoli in Polonia. Raccogliendo in una le cose dette prima sulla vita , poi sulle opere del valentuomo , voi ben ve- dete, o accademici, che il Boschovlch, onore non me- no di Ragusi sua patria che dell'Italia, e di questa Roma singolarmente, ebbe ingegno pronto a inven- tare: ebbe amore alla fatica, alla scienza, al pubblico bene: nelle astrattezze metafisiche non sempre felice, lo fu senza dubbio nell'applicare la geometria a'pro- blemi, derivandone metodi utili alla fisica : delle sue scoperte raccolse in parte il frutto egli stesso ; ma più ne lasciò ai geometri posteriori: la gloria di Ga- lileo e dilNewlon gli fu sprone continuo allo studio; ma volle farsi e dirsi singolare dagli altri: e il trop- po talvolta gli nocque. Ma che ? egli pure fu uomo: e chi è mai senza macchie? anche il sole ha le sue; ma è sempre il sole , e della sua luce empie il creato. E qui sarebbe fine al mio dire; ma perchè non passi qual vento che mormora , e non feconda ed iscalda i bei germi in campo ed in prato , io v'in- vito, accademici, quanto so e posso ad emulare mai sempre l'esempio de' padri nostri , che dalle scienze esatte più che d'altronde tolsero le ali per volare , a guisa di api ingegnose, nei larghi campi dello sci- bile. Virgilio e Dante e Torquato nominerò vvi a gran- de onore tra' poeti: il Galileo ed il Bartoli tra' prò- Vita del Boschovich i8y satori. Ne siavi discaro né vano l'esempio del Bo- schovich, già vostro per lungo domicilio: egli sicco- me voi sacrificava alle muse per ricreamento dell'ani- mo , sacrificava a Minerva per giovare le scienze e tutta l'umana famiglia. Guardatevi in ogni cosa dal troppo: nel qual vizio offese pur tanto quella men- te del Boschovich così pronta ed acuta che era. Po- netevi innanzi lo specchio de' secoli passati: mirate, un'aureola di gloria li circonda ! guardate poscia al nostro secolo erede di quelli , e già tanto innanzi nel bel sentiero. Egli dimanda a voi singolarmente, o accademici, dimanda a Roma, regina del colto mon- do, di essere più e più confortato per sollevarsi alla cima, che tardi e a fatica si tocca; ma toccata non si abbandona sì tosto : cima beata , che del vero e del bello fa chiara mostra allo spirito: e, ciò che è più, mette ne' cuori pace, concordia, felicità ! — «a»^®0^^«— . iMMTTMWLATWmA Ragguaglio dette prose e degli atti delVaccade-^ mia tiberina nell'anno 1841, letto dal cavaliere Francesco Fabi Montani alla medesima acca^- demia nella generale adunanza dè'o,'] dicembre. Ih CHIABISSIMO E BEVERENDISSIMO MONSIGNOR CARLO GAZÒlA segretario della sacra congregazione della disciplina regolare j socio di molte illustri accademie j già presidente della tiberina ec. ec. ec. L'A^UTORE XjLllorquancIo non ha guari pubblicai questo scritto, mi credetti in dovere di farne a lei omaggio : impe- rocché trattava di quanto erasi dall'accademia tiberina nel 1841 operato, sotto la saggia e sempre mai ricor- devole sua presidenza, o chiarissimo e reverendissimo monsignore. Atti dell'Accademia Tiberina 189 Volendolo ora riprodurre con qualche piccolis sima giunta alle note, sì perchè in breve tutte ne an- daron via le copie, sì perchè convenia pur correggerlo da alcuni leggieri tipografici abbagli, dovea esso, come cosa di sua proprietà, tornare a lei, che con tanta bon- tà degnò fin d'allora accoglierlo in dono. Mi prosegua la sua cara benevolenza , e con buon viso accetti questa nuova significazione di ami- cizia e di slima. Roma 2 agosto 1842. ONORANDI E DOTTI COLLEGHI V-4onsu eludine lodevolissima della nostra accademia, benché da non mollo introdotta, io reputo esser quel- la che vengano riepilogati al terminar di ogni dicem- bre tutti i ragionamenti, che si sono letti nell'anno. Imperocché in tal modo si ha esposto in compendio quanto di più importante si è detto e fatto in un anno, ed in pari tempo si fa manifesto a quale in- tendimento mirarono le nostre latterarie fatiche. Che se nel 1889 , quando ebbi l'onore di essere per la prima volta scello segretario , non mi fu dato il farlo per cagioni che a voi sono ben note, in que- st'anno in cui, Gonlra ogni mia aspettazione, mi vi- ligo Letteratura di solo per vostra grande bontà rieletto, non ho vo- luto che costumanza sì bella , e da qualche tempo intralasciata , andasse più lungamente in disuso. E perchè forse men pieno saria il conto, che a voi e al pubblico si renderebbe, se a questo solo raggua- glio si restringesse il mio dire, ho divisato aggiugner- vi per la prima volta alcun che de' nostri atti: indi- cando in ispecie quali illustri soggetti abbiamo per- duto, e con quali novelli acquisti si è confortato ed onorato questo nostro scientifico e letterario istituto, il quale da umili principii, come spesso di tutte co- se umane addiviene, è oggiraai salito in tanta fama da andare del pari co'più rinomati del secolo (i). Stu- dierò a brevità , per quanto comportar può 1' argo^ mento , e curerò più tosto d'indicare che di tratta- re le cose. Che se quel buono che oggi da me udi- rete a voi soli che il diceste, o chiarissimi accademi- ci, appartiene, non lo disgradite, benché da me roz- zamente ripetuto; anzi piacciavi imitare i passionati amatori delle arti belle, i quali di buon grado ama- no vagheggiare la copia di un bei dipinto, quantun- que da mano non valente eseguita. Incominciamo per maggior chiarezza dallo scor- rere ad una ad una le accademiche tornate. Addì 1 1 gennaio. — Diede principio alle nostre ordinarie adunanze monsignor Paolo Durio spargen- do una lagrima ed un fiore sulla tomba di quel- ta Guendalina Talbot, la quale addì 27 del testé passato ottobre rapita nel più verde degli anni, è an- cor pianta, e sarà mai sempre da Roma, che ne am- mirò l'ingegno, la bellezza, le virtù, ed esperimen- tò in modo singolare il frutto di quelle beneficenze, di cui gode tuttora, mercè delle pie istituzioni da es- Atti dell'Accademia Tiberina ic)t sa largamente fatte, e con magnanima generosità con- tinuate dal suo degno consorte principe don Marcan- tonio Borghese, del cui nome si adorna il catalogo de' nostri soci onorari. Addi 25. — Ci cliiamò a nuovo dolore il signor Giuseppe Gioachino Belli, annual vice presidente, tes- sendo funebre orazione al nostro socio residente Francesco Busiri , canonico regolare lateranense , lettore di filosofia e teologia in questo convitto di san Pietro ad vincala, e professor sostituto di storia ec- clesiastica nella romana università. Ne rammentò l'in- gegno straordinario, e promettitore di grandi cose , la memoria veramente prodigiosa, lo zelo indefesso nello istruire la gioventij, la pietà sincera, e la umil- tà singolarissima , che portavalo a sentire sì bassa- mente di sé. Ne descrisse con patetiche parole la morte repentinamente avvenuta nel suo vigesimo quin- to anno il 7 gennaio, mentre risorgeva da infermità, che da più tempo con ispessi ricadimenti lo trava- gliava (2). Addì 2 febbraio. Prima solenne adunanza di te- ma libero. — Monsignor Carlo Gazòla, annual pre- sidente, dopo gentilmente ringraziato gli accademici di averlo eletto lor capo, trattò il Dante illustrato da Ugo Foscolo. Dei commentatori innumerevoli del maggior de'poeti, lodò come primo e simile a niun altro il Foscolo, dando a conoscere, come la ghibellina fierezza di Dante non potesse travasarsi meglio che nell'animo dell'astigiano, o del cantor de' sepolcri : ma dove il primo non traeva che ispirazione pe'suoi scritti, il secondo apri scuola di letteratura italiana facendosi ad illustrar la divina commedia. Cinque era- ao le parli della illustrazione: e per morte sol fu com- 192 Letteratura piuta la prima, pubblicata in due volumi in Lon- dra (3): la quale bastò al prosatore per dimostrare, come bene e ragionevolmente avvisasse il Foscolo di derivare dalla storia ogni pregio e bontà della divi- na poesia di Dante, che se stesso e il secol suo fece soggetto principal del poema, quasi fosse il corretto- re de'tempi, sulle cui labbra suonasse la ispirazione del cielo. Ma perchè Dante era anima iraconda, ge- nerosa, fremente, e di guelfo tramutatosi per vendet- ta in ghibellino , non all' amor patrio descritto da quel gentile spirito del Periicari, ma s'infiammava al fuoco delle partigiane rabbie de' tempi. Insofferente di ogni opposizione e contrasto alle proprie opinioni, da- va ne'suoi canti pena e supplizio a tutti che da lui dissentivano, fossero ghibellini o guelfi, piccoli prepo- tenti o grandi, repubblicani o pontefici. Posti cotali ' storici principii è agevole al Foscolo di spiegare l'ori- gine e l'orditura del poema, e libero e franco abbat- te tutte le vane ipotesi e le frivole disquisizioni di quanti altri presero a commentare il divino dal Boc- caccio al Dionisi e al Monti. Nega che mai Dante desse leggere ai contemporanei gli acerbi suoi canti: nega che ciò mai tentassero i figli, non avendol po- tuto consentire senza gravi pericoli il secol fazioso ed offeso: concede che solo alcune parti ne comuni- casse il poeta a taluni de'suoi più fidi amici. Dalla parte erudita passa il Foscolo alla parte dì critica che riguarda il bello: e, tenace de'posti prin- cipii, con invincibil dialettica e prove d'esempi sostie- ne divenir pili nuove e piìi maravigliose le bellezze del divino poema studialo che sia a lume di storia Io non dirò, che troppo lungo sarebbe, come il nostro prosatore lumeggiasse questa parte del cona- Atti dell' Accademia Tiberina igS mento del Foscolo : mi basterà solo accennare die ri- ferendo il pietoso episodio della Francesca da Rimi- ni ci fe'osservare col Foscolo, che da più cara pietà sia- mo tocchi , e quasi innamoriam del poeta , quando sappiamo dalla storia, che Francesca era figlia a quel Guido Novel da Polenta signor di Ravenna (4), pres- so cui visse rifugiato più anni in fino all'ultimo di l'esule poeta, il quale altro non potendo verso il cor- tese ospite l'avignano , diffondea la consolazione de' più bei versi del mondo sul cuore d'un padre , che lagrimava una figlia incestuosa ed uccisa. Fra tanti pregi del Foscolo non fu dal prosa- tore taciuta una pecca, ond' è contaminato il com- mento: pecca cui disse già essere stata avvertita , e convinta di sogno da Pietro Giordani. Perciocché so- gno vuoisi veramente dire il pretender col Foscolo, che unico fine di Dante nel comporre il poema fosse il informar tutta la disciplina, e parte anche dei riti e dei dogmi della chiesa cattolica : sogno for- matosi poi anche nella mente di Gabriele Rossetti , e nella nostra accademia già confutato dal padre Pian- ciani (5) : sogno che diede campo al prosatore di con- chiudere pregando dal cielo, che affretti l'età fortu- nata, in cui gl'ingegni cultori delle lettere sieno de- voti a religione e pietà. Addi 8. — Il padre Silvio Imperi, chierico re- golare somasco, professore di filosofia nel nobile col- legio dementino, espose quali danni e quali van- taggi si ricavino dal legger libri stranieri. Abbrac- ciando la comune sentenza de'migliori filosofi, che la letteratura cioè e le belle arti necessariamente risen- tonsi dalla influenza del clima per la doppia ragione della fisica testura e di quanto circonda l'uomo, ri- G.A.T.XCII. i3 iq4 Letteratura cordata la bellezza clell'Italia, la copia de'monumen- ti, la civiltà e la purezza della morale cattolica, ne dedusse, clie la italiana letteratura nata dalla greca e dalla latina dovea necessariamente tener di quel hello, onde le greche e le latine lettere salirono in rinomanza. Dannò come nocevole l'usar soverchio co- gli stranieri scrittori, recandone in prova l'imbastar- dir che fecero in diversi tempi le nostre lettere; di- sapprovò l'abuso ( non l'uso ) de'romanzi istorici, e senz'essere iniquo verso gl'ingegni degli oltramontani volle, che sieno meditate e lette le loro opere, ma con saggia cautela, ma con maturità di giudizio : e rammentandoci ognora , che i nostri veri e naturali maestri sono i greci e i latini, conchiuse questa es- sere la scuola degl'italiani, né lecito andare in trac- cia di moderne letterature straniere, se pria non sia- mo stati in quella degli antichi e de'nostri religiosa- mente educati. Addì 8 marzo. — Il conte Tommaso Gnoli, de- cano del collegio degli avvocati concistoriali, nostro annuale censore , ricordò le azioni del socio corri- spondente conte Giuseppe Rangone ferrarese , mori to in Venezia il 24 gennaio del i836 in età di an- ni 72. Narrò la sua valentìa nelle lettere e nella poesia, anche estemporanea. Lo dipinse uomo probo, allorquando tratto dalla carità della patria nel rove- sciamento delle pubbliche cose accettò onorevoli in- carichi ; ed il mostrò vero cristiano filosofo, allorché tornato di Francia stabilì nel i8o3 sua dimora in Ve- nezia, ove rinunziando ad ogni sorte d'impieghi ser- bò in tante politiche vicissitudini animo illibato o puro (6). Addì 22, — Il padre maestro Giacinto de Ter- Atti dell'Accademia Tiberimn igS rari, dell'ordine de'predicatori, illustrò un greco ditti- co di avorio conservato nella biblioteca casanatense, della quale è diligentissimo prefetto. Parlò dell' origi-^ ne e dell'uso de'dittici profani e sacri; e descrivendo il suo, composto di tre tavolette di avorio (per cui assai meglio lo volle chiamar trittico ) disse esservi intagliati il Redentore , la sua Madre augustissima , san Giovanni apostolo, ed altri santi fino al numero di ventiquattro, de'quali rilevò il costume, il disegno, la scuola e tutte le relazioni istoriche al secolo Vili, in cui con paleografici argomenti dimostrò essere sta^ to quel lavoro eseguito. Da tal sacro monumento de^ dusse poi conseguenze ed argomenti contra gli aria- ni, gl'iconoclasti, e fin contra coloro, i quali negano il primato del romano pontefice. A commendazione del discorso basterà dire, che venne lodato nel Diario di Roma, nel Cattolico di Francia, e che volto in quella lingua fu con due tavole litografiche stampato negli Jlnnall della filosofìa cristiana (7). Addì 4 aprile. Seconda adunanza solenne tenuta Sulla passione , giusta il costume, nella domenica delle palme. — L'eminentissimo e reverendissimo si- gnor cardinale Anton Francesco Orioli, splendore del- l'ordine serafico, con grande eloquenza e profondità di sapere ragionò il patire del Redentore, addimostran- dolo effetto di un trasporto di amore il più veemente verso dell'uomo. La quale cosa a maraviglia provò con patetiche immagini, e con dotte considerazioni all'uo- po frapposte, mentre dall'orto di Getsemani accom- pagnava il Nazareno sul Golgota, ove con vivi colori all'attonita e commossa udienza mostrollo lacero tutto e spirante, vittima solo di una carità infinita. Addi 9. — Il dottor Domenico Vaccolini, prò- igG Letteratura fessore di filosofia in Bagnacavallo, eruditamenle ci parlò della vita e degli studi di Ruggero Boscho- vich , matematico e filosofo di chiaro nome. Toccò con molto sapere de' vantaggi , che questo celebre gesuita apportò alla scienza, e narrandone i lunghi viaggi, e l'usar di continuo cogli uomini più insigni del secolo, fe'chiaro di quanto le scienze esatte a lui sien debitrici, e come di molte sue scoperte racco- gliesse egli medesimo il frutto, ma più assai ne rac- cogliessero que'geometri che vennero appresso. Addi 2 maggio. Terza solenne adunanza di li" bero argomento. — Il signor Iacopo Ferretti, poeta ben noto, assai piacevolmente c'intrattenne esponenr- doci alcuni suoi pensieri intorno al Berìii, al Tas- $onii al Fagiuoli e ai loro imitatori. Premessa bre- ve istoria della poesia giocosa , osservò che la lepi-. (lezza del Berni nasce da frasi sovente ambigue e di doppio senso, rare volte modeste, coniate sempre con belle ed acconce parole, tutto oro purissimo: non dissimulò esser ben pochi capaci d'imitarlo, ed i più goffamente copiarlo. Rilevò nel Tassoni il segreto di eccitare le risa per una tal quale specie di antitesi improvvisa, per l'inaspettato passaggio dal serio al fa- ceto, e per un'acconcia maniera di porre in carica- tura e in ridicolo personaggi e funzioni con sottili ironie, le quali molto ritraggono del far del Callotta e del Ghezzi. Mostrò che la ovidiana e troppo stem- perata facilità del Fagiuoli ha dato nome ad uno stile slombato, ma non ispoglio di leggiadria; e finalmente nel parlare di scrittori di poesie giocose non ci tac- que, a vanto della nostra accademia, averne essa in oggi due chiarissimi, benché d'indole assai tra lor dif- ferente, il Belli cioè ed il IVIasini, ai quali peraltro Atti dell'Accadèmia Tiberina lo-r voi di buon grado aggiunger vorrete il prosatore me- desimo. Addì 17. — Monsignor Stefano Rossi volle di- scorrere le versioni italiane della sacra bibbia, delle quali sappiamo lui essere raccoglitore studiosissimo. Fecesi in pria a commendar contro gli eterodossi la sapienza della cattolica cliiesa nell' aver posto freno alle vulgari traduzioni, e statuito leggi , che ne di- vietano l'andar libero per le mani de'fedeli, lodando sopra modo il volersi, che debbano essere approvate dal sommo pontefice o dall'ecclesiastica autorità. Quin- di, riservando ad altra tornata il parlar delle prime versioni bibliche del secolo XIII e XIV, cominciò da quella del Malermi, monaco camaldolese veneziano, uscita in luce per la prima volta nell'agosto del 1471 in Venezia, e ristampata poi moltissime volte : passò a quella del Brucioli, esule fiorentino, la quale sapea di riforma ; venne all'altra del Marmochini, domeni- cano fiorentino, che tradusse la bibbia per opporsi al- la sospetta brucioliana; e terminò dichiarando la im- postura di Gregorio Leto, il quale, inventando giusta suo costume, sparse aver Sisto V ordinata e stampata una versione della bibbia in italiano, che poi di su- bito ritirò e al tutto soppresse. In tal modo il eh. accademico accennò tutte le bibbie italiane de' seco- li XV e XVI che conservansi nelle biblioteche più chiare d'Europa. Addi 24. — Favellò il cavaliere dottor Benedetto Trompeo, medico della maestà di Maria Cristina re- gina vtìdova di Sardegna, di quelle casse di previ- denza^ che tanto onorano il nostro secolo, feracissi- mo di siffatte istituzioni. Lodata Roma come abbon- dante mai sempre fin da remotissime epoche di tali ig8 Letteratura pietose opere, addimostrato antichissimo V uso delld associazioni colle università degli artieri e de'mercatan-» ti , disse che ora tali istituzioni non restringonsi alle arti meno liberali, ma ancora alle scienze, e che da pochi anni assai meglio modificate sonosi eziandio rivolte a prevenire delitti, a soccorrer naufraghi , a ristorar danni, ed a favorire perfin le virtù, siccom'è quella notissima della temperanza. Toccò della so- cietà della misericordia istituita in Firenze circa la metà del secolo XIII e diffusa ben presto per Italia tutta : ricordò quelle della propagazione della fede immaginata in Lione nel 1822, la medica fondata ir» Torino nel 1889, ^'^ tipografica eretta in quella sles- sa città e in Milano, le case di rifugio, gli asili in- fantili: istituzioni, le quali tutte col prevenire gl'in- dividuali bisogni mirano al perfezionamento dell' or- dine civile. Da ultimo parlando della società ami-* chevole composta in Inghilterra da persone del me- desimo mestiere per iscambievolmente aiutarsi, fece Voti perchè tra gli artisti di questa città, vera sede e centro delle belle arti, venisse introdotta , essendo questa una giovevolissima cosa, che qui si vede tutto- ra mancare. Addì 7 giugno. — La vita del suo confratello Sernardo Laviosa, motto il 7 agosto del 1810, som- ministrò argomento al padre Antonio Bonfiglio, chie- rico regolare somasco, professore di belle lettere nel nobile collegio dementino. Ragionando de'versi di lui ne fece notar la bellezza, benché non fossero sempre esenti dalle frugonìane ampolle: e recitando due dei ventisei capitoli, che il Laviosa diede alle stampe, mo- strò come, pria ancora che il Monti avesse colla Basvil- liana richiamato in Italia lo studio dell'Alighieri, ne fo»- Atti dell'Accademia Tiberina igg se il padre Bernardo imitatore passionatissimo, tratto dall' esempio del Leonarducci della stessa congrega- zione, autor della cantica intitolata La divina prov" Fidenza (8) : dal che veniva di buon grado a inferi- re, che presso i somaschi lo studio di Dante era sta- to mai sempre in vigore, anche quando la divina com- media era da pochi letta, e da pochissimi ammirata. Addì 21. — Il p. Giuseppe Giacoletti delle scuo- le pie, professore di belle lettere nel collegio naza- reno, consigliere annuale, ci parlò delVamore delV uomo verso il maraviglio so. Diviso il ragionamento in due parti, esaminò nella prima le cagioni di tale amore, e fece rilevare che l'ignoranza può preceder la maraviglia, ma non mai esserne la vera causa: che l'amore di quel mirabile, che riguarda i sensi, nasce dal diletto congiunto col maggiore e più perfetto e- sercizio de'sensi medesimi : che nel mirabile di fan- tasia l' amore deriva insieme dal diletto che provasi nello spirito, e dal desiderio della propria grandezza: che nel mirabile dell'intelletto la maraviglia è in ra- gion della scienza, e che ne'miracoli l'amore verso il maraviglioso nasce da quello di una vita soprannatu- rale e futura. Venendo a dire degli effetti , provò che 1' amore verso il mirabile è una dimostrazione della esistenza de' veri miracoli e della immortalità dell'anima : che gli effetti di quest'amore sono la cu- riosità e lo stimolo ad operar degne e grandi cose : che dalla maraviglia nascono le più forti passioni: e finalmente che il mirabile di alcuni sfrenati roman- tici è falso e stravagante, che quello della mitologia debbesi a' nostri giorni usare assai parcamente, e che il vero mirabile in letteratura deve ritrarsi dall' au- gustissima nostra religione, dai fenomeni e dalle leg- gi della natura visibile (9). aoo Letteratura AdJl 4 1"S^^<'* Terza solenne adunanza di tema libero. — Monsignor Bartolomeo Pacca ci fece co- noscere la potenza delle idee religiose nel medio evo. Accennata la dura condizion dell'Europa, le re- pubbliche di cui essa si componeva , le fazioni che laceravano le città e l'impero, l'ignoranza, non quan- ta si vuole, ma pur grande in que' secoli, dichiarò con argomenti di fatto quanta forza esercitasse la re- ligione, e come a tutte le opere ella presiedesse. Quin- di erigersi magnifici templi, in ispecie dopo il mille, dotarsi monasteri, intraprendersi pellegrinaggi, istituir- si ordini religiosi e cavallereschi , vedersi principi a mensa coi poveri, cantarsi dai trovatori e poeti la san- tità dell'amore, punirsi con acerbi supplizi tutto che sapea di magia e dì bestemmia. Trattò la influenza del romano pontefice e de'vescovi, le cui armi spiri- tuali riveriva l'Europa e l'Asia : dipinse la religione per fin ne' tornei e nelle sceniche rappresentazioni, quantunque insozzate di qualche profanità : non dis- simulò gli abusi delle prove del fuoco, e de'così det- ti giudizi di Dio : e fece particolarmente notare che se tali idee religiose furono alquanto alterate, venne più dalla mente che dal cuore, e loro mercè vide 1' Europa posto un argine a vizi maggiori , e sé cam- pata da più terribil barbarle. Addi 19. — A nuove considerazioni sull'Alighie- ri c'invitò il professore Pietro Venturi, esponendoci alcune sue critiche riflessioni sopra due luoghi del- la vita di quel poeta scritta dal eh. signor conte Cesare Balbo , e sopra alcuni altri della divina commedia. Trovò la vita composta dal Balbo det- tata con molto amore, ma povera forse un po'trop- po di quella critica, la quale specialmente negli ar- Atti dell'Accademia Tiberina 20 t gomenli congetturali ( che quasi di soli questi coin- ponesi la vita di Dante ) diventa per le cose narrate il primo e principal fondamento di essa. A provar la sua tesi confutò solo due opinioni del Balbo , cioè che l'inferno dantesco fosse tutto sotterra, ma a cie- lo scoperto : e che nel primo cerchio si trovasse Ca- ronte, il quale tragittava le anime nel Cume Ache- ronte; aggiungendovi appresso altri abbagli, che nello spiegare sol questo passo aveva preso il biografo to- rinese. Quindi garrendo coloro, che di errori aveano insozzata la divina commedia, e chiosatala senza stu- diare profondamente il poema, propose alcune sue in- terpretazioni suU'espressioney^cce lorde del canto VI V. 3i, che vorrebbe cambiata in fauci lorde', sulla parola seguitando del canto Vili v. i , che mostrò do- versi riferire all'ultima terzina del canto precedente, in cui il poeta aveva interrotta la sua narrazione : sulla parola cherci del canto XVI v. 106 , ch'egli intende per ecclesiastici, e non per valenti in opere bestiali, come pretende il Mazzoni-Toselli : e final- mente sulla lezione esto loco sollo del canto XVI V. 28 dell'inferno, che vorrebbe mutata in esto foco sollo. Adtlì g agosto. Piacque al signor Francesco Spada di considerare come il buon reggimento del- le famiglie torni a prò del pubblico bene. Esposto che il bene e la felicità di un intero corpo sociale trovasi nel complesso di molle felicità e di molti be- ni parziali, chiarì che se ad operare tal bene molto vale la forza del governo, il più senza fallo doveva essere effetto del nostro buon volere. Imperocché il più attivo poter de'governi è sempre infinitamente mi- nore di quello, che risulta della coincidenza delle vo- 202 Letteratura lontà popolari: e la forza delle leggi vale ad eserci- tare efficacia per lo più negativa sopra i più noti ed urgenti bisogni del popolo, potendo anche avvenire, che regni la depravazione de' costumi nel popolo, sen- za incorrere nelle pene minacciate ai colpevoli. Svol- ti cotesti principii, pose il matrimonio a primo fon- damento della società, e la morale influenza delle pri- vate famiglie sul pubblico bene diede per sì evidenti ragioni a divedere, che potè francamente conchiude- re, che ne un pubblicista per saviezza di leggi , ne un architetto, o un dipintore , o uno statuario per eccellenza di monumenti, né in fine un uomo di let- tere per vastità e squisitezza di erudizione, giammai non avranno tutti insieme riuniti apportato tanto prò all'universale degli uomini, quanto 'gliene potrà e do- vrà arrecare l'opera di un costumato capo di famiglia, ed il buon uso che egli faccia delle sue forze e del- le sue ricchezze. Addì 23. — Anche il padre Giovanni Battista Pianciani della compagnia di Gesù, professore di fi- sica nel collegio romano, volle parlare di Dante , e intrattenerci sopra certa nuova opinione messa non ha guari fuori dal eh. ab. Federico Zinelli (io) Intor^ no alVannOi in cui fece V Alighieri quel poetico viaggio. Sostiene il Zinelli esser questo il i3oi, e non già iSoo, siccome erasi dai più creduto, e co- me validissime ragioni il comprovano. Il Pianciani combattè con argomenti desunti dai luoghi della stes- sa divina commedia gli argomenti che apportava il Zi- nelli : vi unì accreditate opinioni di comuientatori : dimostrò l'età in cui a' tempi di Dante credeasi esser morto il Redentore, il tempo in cui nel iSoo inco- minciò il giubileo: e tra le belle cose da lui discor- Atti dell'Accademia Tiberina 2o3 se sembraci particolarmente dover questa notare, cioè ch'egli parlando del plenilunio, dopo averne con a- stronomici calcoli indicato il giorno nel i3oo, sog- gitinse, non sembrare improbabile che il poeta abbia voluto trovarsi perduto nella selva oscura , oppresso dalla mestizia e dalla paura, la notte dopo il giovedì santo, allora appunto che Cristo volle soffrire la in- terna passione del timore e della mestizia : essere for- se stato nella intenzione di Dante, che lo assalisse- ro le tre fiere, simboli de'tre principali vizi dell'uo- mo, il di in cui il Redentore fu vittima dell'avari- zia di Giuda, e delle altre umane passioni: esser l'A- lighieri disceso all'inferno la sera del venerdì santo, solo qualche ora dopo quella della discesa del Reden- tore : aver viaggiato per entro ai luoghi tristi per 48 o più tosto 46 ore, od in quel torno: e finalmente esser salito a rivedere le stelle la domenica della Re- surrezione verso sera, veramente rispetto al nostro e- misfero, ma prima dell'alba nell'emisfero opposto, don- de afferma Dante essere uscito (u). Addì 8 settembre. Quinta adunanza solenne in lode della natività di Maria Vergine , festa tutelare dell'accademia. Monsignor Cleto Maria Renazzi , annual consigliere, dopo aver accennato, che ogni più piccola azione di nostra Donna bastar potrebbe a for- nire argomento di nobilissimo canto , soggiunse che niun soggetto meglio della sua natività poteasi con- venire ad un carme genetliaco. In fatti, diceva egli, se la materia di tale componimento devesi trarre dal- la nobiltà della stirpe, dalle doti personali, e da pro- gnostici, chi più illustre di Maria, in cui passato per tanti re, principi, ed eroine scorreva il sangue di Da- vidde ? Qual altra figlia di Adamo di maggiori 0 di 204 LEttERATUtìA Uguali bellezze al paragon di Maria ? la qnal altfà creatura mai del cielo o della terra si adempirono maggiori e più stupendi prodigi? Di lei cantava be- ne a ragion l'Alighieri ( Farad. Cant. XXXIII ) aver nobilitato l'umana natura, » si che il suo Fattore » Non si sdegnò di farsi sua fattura (12). Queste proposizioni ampiamente sviluppate fornirono al prosatore un assai erudito discorso (i3). Addì i3. — Il cav. architetto Gaspare Servi, se- gretario perpetuo della insigne congregazione de'vir- tuosi al pantheon, derise La moderna enciclopedia di alcuni. La mente umana ha i suoi confini, la en- ciclopedia non ne riconosce alcuno, essendo il ser- batoio di tutte le cognizioni : dunque un uomo en- ciclopedico è mostro tale che non può esistere. Ag- giunse tal pretensione essere sempre e solo entrata in corpo a certi stolidi cerretani dai larghi fianchi atletici, a cui diede natura memoria straordinaria, e merita gli applausi del volgo una voce stentorea. Nar- rò con variate immagini non senza oraziane lepidez- ze le cotestoro industrie per accattar voce d'enciclo- pedici, non essendo che uomini veramente meschini, al più mediocri. Ogni lor sapere ridusse all'aver man- dato a memoria qualche centinaio di versi , di sen- tenze, di frontispizi, di medaglie, di voci tecniche, e simil merce da sciorinarla e spacciare, faccia o no a proposilo , sempre però in occasioni studiatamente create da loro. In fine a così bestiali uomini ambi- ziosi di saper molto e male preferi i modesti amatori del saper poco e bene. Atti dell'Accademia Tiberina 2o5 Addì i5 novembre. — Dopo le vacanze riaprì raccademia l'abate Antonio Coppi, nostro istorlogra- fo perpetuo, con discorso sopra uilcune istituzioni e miglioranze agrarie. Le trovò antichissime in Ro- ma, dando per tali le colonie dei re, dei consoli e de- gli imperatori romani, i villaggi fabbricali dai papi, e i castelli costrutti dai grandi ne' tempi di mezzo. Ricordò la terra di Monte Romano fondata nel seco- lo XVII, e due recentissime agrarie istituzioni, nel- le quali monsignor Vannicelli Casoni, governatore di Roma, in oggi cardinale di santa Chiesa, fece racco- gliere un centinaio di fanciulli poveri ed abbando- nali. Annoverò le accademie agrarie, e tra queste an- co la nostra, che pure intende alla coltura di sì utili studi. Venendo ai miglioramenti, diede lode al cardi- nale Fabrizio Ruffo, che essendo tesoriere nel 17 1^8 promise un premio a chi piantasse un albero di oli- vo, e subito ne sorsero due cento mila : osservò che nel principio di questo secolo nacque in Roma un santo zelo di migliorare l'agricoltura e di applicarvi i fanciulli derelitti. In prova addusse il molo proprio di Pio VII nel 1801 diretto a stabilire fissi coloni nelle campagne romane, ed annumerò i vari progetti all'uopo presentati al governo. Commendò tra i mi- glioramenti de'privati la vigna di monsignor Nicolai, il podere del generale Zamboni, la terra di Zagaro- lo, la campagna romana arricchita di trecento mila olivi, e due cento mila gelsi piantati per conseguire altro premio promesso da Pio VIII nel 182C) con no- tificazione del tesoriere in oggi cardinal Mario Mat- tci. Consigliò da ultimo a rivolgere questo lodalissi-. mo zelo di migliorare alla piantagione e seminagione di diversi vegetabili, che ben riescono in climi caL 2o6 Letteratura di e temperati, come questo nostro, cioè a dire i noc- ciuoli, le mandorle, gli aranci e l'indago, già con fe- lici augurii cominciato a coltivarsi dall'egregio signor Vincenzo Folcari (i4)« Addì 29. — Tema di pubblica economia scelse il marchese Alessandro Muli-Papazurri, già conte Sa- vorelli, quando chiamò i nostri pensieri alle società anonime. Stabilito il principio che l'uomo nasce per la società, e che ciascuno degli individui deve con- correre a formare la pubblica felicità, disse che quan- do i mezzi e le opere di un solo non bastino , la natura insegnò a congiunger le forze di molti, for- mando subalterne particolari società, in cui ogni sO' ciò mettesse opera o industria. Restringendo il discor- so alle sole società economiche e di pecuniario van- taggio, accennate quelle di partecipazione e di acco- mandita, fattane rilevare in alcuni casi la insufficien- za, addimostrò che la più grande utilità aveasi solo dalle società anonime: perchè i soci giungono a met- ter insieme somme, che un monarca il più dovizioso non potrebbe riunire giammai; perchè le azioni spar- se in brevissimo tempo nelle mani di moltissimi fan prosperare l'impresa : e perchè in caso di non otti- mo riuscimento, leggerissimo è il danno degli associa- li. A sicurezza di esse fece osservare, che i manda- tari debbano essere della più specchiala virtù, scelti a tempo: che il governo, prima di approvare la socie- tà n' esamini gli statuti, e che a maggior sicurezza vi debba tenere un commissario. Addi 5 dicembre. Sesta ed ultima adunanza so- lenne di tema libero Il commercio, considerato in generale e quindi in particolare riguardo all'Italia e allo stato pontificio, diede argomento al padre Marco Atti dell'Accademia Tiberina 207 Morelli, ex-generale della congregazione somasca. Ra- gionò in prima del commercio attivo e passivo, e di una terza maniera detta di pura industria per le re- gioni sterili. Quindi fece vedere, che se il commer- cio attivo «jontribuisce alla prosperità degli stati , il passivo torna sempre a lor danno, in ispecie se ecce- dente. Discorrendo dell'Italia, indicò quali produzio- ni sieno di essa più proprie e particolari , e come moltiplicar si dovrebbero. Notò che non sempre i primi prodotti rendono una nazione ricca e fiorente, ma che le industrie e le manifatture crescono assai spesso valore alle produzioni della terra. Lo compro- vò colle sete e colle lane, le quali escono d'Italia , e tornano di Francia o d' Inghilterra ad un prezzo quasi dieci volte maggiore. Nel dare all'Italia, e par- ticolarmente a Roma, il primato sulle belle arti, rile- vò forse il primo in genere di commercio un fondo preziosissimo non comune a tante altre nazioni, que- sto cioè che un acciaro, un marmo, una pietra du- ra, un rame lavorati da mano valente, oltre l'acqui- star fama all'autore divengono oggetti i più rari del mondo. Aggiunse, il commercio essere tutto opera del- l'uomo piccolo re della terra, e ne diede prove am- plissime nell'obbedienza che a lui prestano le belve tutte anche le più feroci: nelle leggi da lui scoverte come regolatrici delle piogge, de'venti, de'cieli: nella direzione di quel terribile fluido che sembra il rac- coglilor delle grandini, l'autore de'turbini, eppur gli cade riverente a'piedi senza offenderlo: nella inven- zione di quella forza magica, la quale guida sull'on- de i navigli, e sulla terra i carri colla velocità del fulmine: nell'applicazione di tante e sì svariate mac- chine a Ubbricare e comporre quanto è necessario ai 2o8 Letteratura comodi e all'abbellimento dell'umana vita : e più al- tre cose disse applicandole sempre con rigor di logi- ca al proposto argomento (i5). i3. detto. — Un tributo al patrio amore rese l'avvocato Giuseppe Petrucci di Ferrara descrivendo la vita e le opere del suo concittadino Dosso Dossi, uscito dalla scuola di Lorenzo Costa pur fer- rarese, discepolo del Francia, e dipintore di bella fa- ma in quel secolo XVI, in cui la gloria di sì no- bile arte può dirsi che giugnesse alla cima. Narrò co- me il Dossi si conducesse in Roma e in Venezia per istudiare sopra i migliori esemplari ; cel mostrò in Ferrara dipingere il palazzo di Belvedere da quel duca di recente innalzato , ritrarre le principesse e i principi, che la estense corte abbellivano, e lavo- rare ne'più famosi palagi di quella città. Lo accom- pagnò in Bologna, in Faenza, in Modena e in Ur- bino, ove a gara voleansi le opere del suo pennello. Parlò delle varie maniere da lui tenute nel dipinge- re, e fece parlicolarmente notare la camera dell au- rora , il soffitto dell' altra contigua, e la sala del consiglio di Ferrara: lodò a cielo i tre baccanali ad olio sulla parete di un camerino presso il giar- dino pensUe del castello, e sostenne esser tutti e tre suo lavoro, quantunque uno di essi vogliasi attribui- to a Tiziano. Non mancò d'osservare, essergli stato poco benevolo il Vasari, quando tra le altre cose as- serì, che la maggior fama del Dossi nascesse non solo dall'averlo celebrato l'immortal Lodovico, ma ezian- dio dalla grazia in cui, per esser uomo di piacevoli e cortesi costumi, venne presso il duca Alfonso. Ag- giunse che se talvolta le opere di Dosso non riusci- ron bene, dovea più che ad altro ascriversi alla in- Atti dell' Accademia Tiberina aog solenza e caparbietà di Giovanni Battista suo fratel- lo, il quale anziché starsi nella sua maniera, del di- pinger cioè il paese e gli ornati, in che era d'assai, meschiavasi per invidia in ciò, che poi far non sapeva. In queste tornate ed in parlicolar modo nelle solenni, onorate dalla presenza di cardinali, di pre- lati, di principi, di dame e di persone ragguardevo- lissime per iscienze, per lettere, anche di oltremonte, tra le quali fu pure l'illustre Lord Brougham, si re- citarono poesie di vario metro e lingua. Vogliamo ri- cordar con lode la rinomata contessa Enrica Dionigi- Orfei, l'Elena Montecchia, la Marianna De-Domini- cis-Cadet e la Rosa Taddei, che nella generale adu- nanza sulla passione ci volle eziandio cantare estem- poranei versi. Udimmo con piacere i monsignori Gros- si, Fatati e Renazzi ; i conti Gnoli , Alborghetti e Mangelli; il Belli, il Geva, il Santucci, il Masini , il Zampi, il Ferretti, il Venturi, 1' Andreuccetti, il Dedominicis-Tosti, il Panzieri, il Masetli, i marchesi Eroli e Cuneo d'Ornano; e venner pure dai chiostri a rallegrarci con elaborati carmi il p. Rosani, preposito generale delle scuole pie, i professori di lui confra- telli Giacoletti, Pitotti e Bonuccelli, i professori Bon- figlio e Borgogno della congregazione somasca, ed il padre Davalli dell'ordine de'predicatori, per tacer di molti altri, che tra noi vivon devoti alle muse. Dato ragguaglio delle letture accademiche, le qua- li, come ben vedeste, furono o sacre, o fdosofiche, o letterarie, o economiche, o artistiche, o biografiche , e che sebbene di vario genere hanno sempre mirato a qualche utile intendimento, secondo che vuole og- gi si faccia da ogni letteratura il secol nostro, venia» G.A.T.XCII. »4 210 Letteratura rno alla seconda parte del ragionamento, in cui mi proponeva di dire alcun che de'nostri atti. Il primo loJevolissirao atto di quest'anno fu lo stabilire, per ordinazione del consiglio commendata poi anche dalla generale adunanza, che accadendo la perdita di alcun dei nostri colleghi, alla prima tor- nata dovesse Fannual segretario darne solennemente notizia all'accademia, E poiché qui cade in acconcio il rimemorare di nuovo i danni patiti in quest'anno, dirò che ci man- carono tra i soci d'onore quattro amplissimi cardi- nali; Gio. Francesco Marco y Catalan , spagnuolo , dottissimo giureconsulto: Anton Domenico Gamberi- ni, segretario per gli affari di stalo interni, anch'es- so conoscitore profondissimo delle leggi, vescovo in pria di Orvieto, quindi di Sabina: Carlo Odescalchi, principe romano che rinunciata la porpora, la prio- ria del sacro ordine gerosolimitano e il vicariato di Roma, ritirossi a vivere umile e povero nella com-. pagnia di Gesù: e quel Giuseppe Della Porta-Rodia- ni, dì cui son calde ancora le ceneri, e che succe- dendo aU'Odescalchi nell'officio di vicario ne conti- nuava lo zelo, e rendevasi a tutti pe'suoi cari pregi accettevolissimo, Si desiderarono tra i residenti il canonico Bu- sirl già in avanti lodato, e Pietro Gorirossi, avvoca- to nella romana curia, assessore un tempo del tribu- nale civile di Rieti, e segretario della nostra accade- mia nel 1821, uomo di età ancor fresca, ed amatore delle buone lettere, Tra i soci corrispondenti si pianse la morte del padre Clemente Brignardelli, ex-generale della con- gregazione somasca, illustre oratore, siccome ne fan Atti dell'Accademia Tiberina aii fede i molti panegirici e i discorsi che ne abbiamo alle stampe: di Carlo Mele, egregio filologo napoli- tano: di Vincenzo Ercole Emiliani per lodate prose e poesie conosciuto, già nostro segretario nel i83o: di Vincenzo Mancini, scrittore di forbiti versi latini messi alla pubblica luce: di monsignor Giuseppe Sie- pi, abbreviatore del parco maggiore e del barone An- tonio Mazzetti, presidente dell'imperiale e regio tri- bunale di appello lombardo, cavaliere della corona di ferro, specchio de'giudici, mecenate degli studiosi, e letterato chiarissimo. Se però queste perdite giustamente ne addolo- rarono, fu la nostra accademia confortata dall'acqui- sto di altri soci illustri per nascimento , per prote- zione alle lettere, e per dottrina. Agli augusti nomi di Carlo Luigi re di Baviera, di Carlo Alberto re di Sardegna, di Leopoldo II gran duca di Toscana, di Carlo Lodovico duca di Lucca proteggltori amplissi- mi delle lettere, e di altri sovrani e principi nobi- lissimi, aggiungnemmo quello della maestà della re* gina Maria Cristina di Spagna , la quale degnò di sua presenza la solenne accademia de' 2 febbraio, e con nuovo esempio in questa stessa sala si assise , plaudendo benigna al nostro letterario esercizio. E come che ciò fosse poco, al ricevere dalle mani del presidente il diploma uscì in parole di particolare amorevolezza e clemenza verso il nostro istituto. Acquistammo tra gli onorari i cardinali Gaspare Bernardo Pianetti vescovo dì Viterbo e Toscanella, Giacomo Filippo Fransoni prefetto della sacra con- gregazione di propaganda, Silvestro Belli , Giovanni Maria Mastai arcivescovo vescovo d'Imola, monsignor Ferdinando Minucci arcivescovo di Firenze e prin- 212 Letteratura clpe del sacro romano impero. Fummo lieti di aggre- garvi pure le altezze reali del principe Federico Gu- glielmo gran duca di Mecklemburgo-Slrelix, di Augu- sta Guglielmina duchessa di Cambridge, e di Augusta Maria sua figlia: il commendator Zea Bermudez, con- te di Colombi, ciambellano della regina Maria Cri- slina di Spagna: il commendatore Augusto Kestner, consigliere di legazione, e ministro residente in Ro- ma della maestà del re di Hannover, erudito archeo- logo; e4 il barone Vincenzo Mistrali, consigliere in- timo, e presidente delle linanze della maestà impc:- riale e reale di Maria Luisa arciduchessa di Austria, e duchessa di Parma e Piacenza, r^on facendo motto àe' re sideriti ^ i quali restano qui fra noi a sostenere il decoro e la dignità delle tornate accademiche, e i cui nomi saranno soventi fiate in queste stesse sale applauditi, ascrivemmo al novero ào' corrispondenti la celebre inglese Maria di Sommerville in tutte fisiche ed astronomiche scienze versatissima, l'fllisabetta Fiorini Mazzanti di Terra-, (cina sì chiara pe'suoi scritti botanici, la contessa A» dele de la Pruparede francese, la Claudia Vesi Bar- zaghi di Bologna, la Laura Beatrice Mancini Oliva, illustre poetessa di Napoli, e la contessa Teresa GuÌCt- cioli-Gamba Ghiselli di Ravenna, cultrice delle itali-- che muse e d' ogni moderna letteratura. A coleste donne, che il sesso e l'età presente onorano, fan scr guito il conte cavaliere Eugenio Garay de Monglave segretario perpetuo dell'islituto islorico di Francia j il dottore Antonio SchùUer membro della facoltà le^ gale di' Vienna : ixionsignor Carlo Baggs rettore in Jftpma del collegio inglese: Ignazio Cantù rnilanese, letterato operoso ^ direttore di giornali utilissirBi; il Arti DEtx'x\cCADEMU TlBERINA ^l3 dottor Giuseppe Porcelli di Brescia, cui dobbiamo il prospetto geografico d'Italia: il cavaliere Giuseppe Vin- cenzo Dentoni di Parma , membro di molte illustri accademie: l'abate Domenico Zanelli, indefesso colla^ boratore dell'Album romano e di molti altri giornali: l'abate D. Isaia Rossi di Salò, egregio oratore ecclesia- stico: l'avvocato Pasquale Stanislao Mancini professore di diritto in Napoli: monsig, Bartolomeo Orsi delegato di Viterbo: il visconte Kerckhove, vice-presidente deU la società reale delle scienze, lettere ed arti di An-^ versa: il dottor Raffaele Feoli di Ancona: il professore Giovanni Francesco Rarabelli , che tante dotte sco- perte rivendicò all'Italia: il dottor Federico Ozanam, professore di lingue straniere nella università della Sor- bona , illustratore della fdosofia di Dante e del suo secolo: Antonio Gallinari, canonico teologo della cat- tedrale di Modena, e professore di storia ecclesiasti-> ca in quella università: il barone Giuseppe di lac^ quemoud, senatore in Chambery e vice-presidente di quella camera reale di agricoltura: il consiglier Pie^ tro Nobile, direttore di architettura nella imperiale e reale accademia di Vienna: Stefano Bouchez, pro- fessore di eloquenza al collegio reale di Tolosa: l'a- bate Mislin, poeta francese: il cavaliere Luigi Cibra- rio, autore della storia dell'economia politica del me- dio evo e di altre dottissime opere: l'avvocato Gio- vanni de'raarchesi Garifi, giudice nel tribunale di Be- nevento: e i padri Antonio Bresciani della compagnia di Gesù, scrittore di lodatissimo stile, Giacinto de'Fer- rari dell'ordine de'predicatori, Filippo Serra de'fate- bene fratelli, Giuseppe Maria da Alessandria, ministro generale de' minori osservanti , Domenico Loiacono procuralo! generale de' chierici regolari, e Pompilio 21 4 Letteratura Tanzinl delle scuole pie, uomini tutti delle scienze, delle lettere e delle arti assai benemeriti. Ricorderò ora alcuni de' molti libri offerti alla nostra accademia. Il socio corrispondente Girolamo Casoretti di Venezia ci dedicò i sonetti biografici so- pra i romani pontefici (i6): il commendatore Ales- sio Francesco Artaud c'inviò la terza edizione della sua vita di Pio VII: il marchese Carlo Rosa di Vil- larosa la biografia de'cavalierl gerosolimitani illustri in lettere: Ignazio Canlù la cronaca , ossia collezio- ne di notizie contemporanee, nelle quali assai spesso ricordò con onore la nostra accademia : Francesco Galvani di Modena il giornale letterario scientifico da lui diretto: il padre Domenico Loiacono il primo to- mo de'suoi sacri discorsi: il cavalier Gaetano Moro- ni la continuazione del dizionario di sacra erudizio- ne, e la descrizione delle cappelle pontificie, cardi- nalizie e prelatizie : il barone d' Hombras-Firmas la raccolta delle memorie e delle osservazioni di fisica, di metereologia, di agricoltura e di scienze naturali: il pittore Cesare Masini l'elogio del cav. Landi e i suoi scherzi poetici : il cav. Benedetto Trompeo la seconda edizione dell'elogio del cav. abate Scarpelli- ni: l'avv. Pasquale Stanislao Mancini il suo giornale intitolato le ore solitarie: monsignor Folicaldi vesco- vo di Faenza l'elogio del cardinale Odescalclii: la im- perlale e reale accademia aretina la relazione isteri- ca degli studi di quell' istituto negli anni i84o-4i scritta da quel segretario Oreste Brizl: il barone la- cquemoud il ristretto delle leggi sulla competenza de'tribunali sardi: il professore Francesco Valori, elet- to nostro presidente pel futuro anno , la sua colle- zione di voti medico-legali: il professore Luigi Cit- Atti dell'Accademia Tiberina 2i5 taJlnì di Arezzo i suoi nuovi processi operatori con sei tavole e più riflessioni istoriche sulla circolazione del sangue: il cavalier Pier Alessandro Paravia, pro- fessore nella regia università di Torino, la sua ora- zione del sentimento domestico nelle sue relazioni con la letteratura: la Virginia Pulli-Filotico di Na- poli il discorso su tre quadri già dipinti per quella città dal barone Vincenzo Camucclni , nostro socio residente: e il cavaliere Innocenzo Liuzzi le sue osser- vazioni sul colera di Roma. Ne passar debbo sotto silenzio le accademie, cui da lungo tempo bella gratitudine e comunanza di scambievoli offici ci unisce. Sono esse la "toenia di Catania e la medico^chirurgica di Bologna (17), le quali ci sono cortesi de'loro atti , e di tutto ciò che vien da esse con grande vantaggio delle scienze pubblicato. A queste va pure aggiunta la imperiale e reale accademia di scienze, lettere ed arti della Valle toscana tiberina in San Sepolcro, che non solo ci ha sempre inviato quanto ha messo in luce, ma per cura di quel segretario perpetuo sig. Francesco Ghe- rardi Dragomanni, nostro socio corrispondente, ha nel suo catalogo ascritto il fior de'nostri accademici: sic- ché questi due istituti, che prendon nome dal Tebro e miran quasi ad un medesimo fine, possono dirsi da saldo vincolo di fratellanza congiunti. Esempio vera- mente lodevole , e che dovrebbesi da tutte le acca- demie imitare, affinchè siffatte istituzioni scientifiche e letterarie, non più rimanendosi isolate, scambievol- mente si partecipassero i frutti de'loro trovali, e tutte mirassero senza studio di parti al bene comune. Ne'comizi adunati la sera de'iS furono propo- sti ed eletti i membri del nuovo consiglio pel 1842» 2i6 Letteratura La sera dei 21, dopo visitato l'archivio, si decretò la distribuzion delle medaglie secondo prescrivono i no- stri statuti. Al regnante pontefice GREGORIO XVI, socio della nostra accademia quando era ancora della sacra porpora rivestito, venne deputato ad offerirla monsignor presidente accompagnato da monsig. Grossi e dal segretario. Ecco in poco, onorandi colleglli , il ragguaglio di quanto la nostra accademia operò sotto la presi- denza di monsignor Gazòla. Se fosse maisempre sta- ta usa di pubblicar per le stampe i suoi atti, potreb- be essa oggi offerire alla repubblica letteraria una scel- ta collezione di volumi contenenti dotte ed impor- tanti dissertazioni. Basti dire che le sole stampate par- ticolarmente dai soci, ascendono ad un buon centi- naio: ed è a lamentare gran fatto, che della più gran parte vada privo il nostro archivio , dove , se mi è lecito esprimere qui un desiderio di molti accade- mici e mio, si dovrebbero conservare o stampate, o manoscritte tutte le prose che qui si leggono. Giovi sperare che ancor questo si veda quanto prima man- dato ad effetto: e la tiberina protetta dal sommo pon- tefice Gregorio XVI, dal suo primo ministro il car- dinale Lambruschini come prefetto della sacra con- gregazione degli studi, e dagli altri eminentissimi prin- cipi tutti , che ci vantiamo di avere a nostri soci , d' anno in anno vantaggiando di uomini e di utili studi cresca onore a se stessa, al secolo e a Roma, sede perenne non che della religione , ma eziandio delle scienze, delle arti e delle lettere. Atti dell'Accademia Tiberina 217 NOTE (i) Memoria sulla fondazione e sullo stato attuale dell'acca- demia tiberina letta da A. Coppi ec Roma tipografia Salviucci 1840. Quest'accademia di scienze, lettere ed arti non ha mai me. no di ventiquattro adunanze annue, sei delle quali sono solen- ni. Le ordinarie tengonsi di lunedì due ore circa innanzi al tra- montare del sole, le altre in dì festivo ad un'ora di notte. (•2) L'elogio recitato dal signor Belli, e stampato nella tipo- grafia Salviucci, fu gentilmente distribuito ai soci e a quanti tro- varonsi presenti all'adunanza. (3j Dante illustrato. La commedia di Dante Alighieri illu- strata da Ugo Foscolo. „ . . Meruit Deus esse viderì ,, Carmine eomplexus, terras, mare, sidera, manes. Londra. Guglielmo Pickering. i825. Lugano dai torchi di Giu- seppe Vanelli e comp. 1727. V'ha chi crede essere tuttavia ine- dita nelle matii dell'inglese editore la illustrazione della prima cantica. Vedasi l'annunzio tipografico al fine. (4) Molti giornali e letterati sonosi contr' ogni mio merito compiaciuti , forse a solo riguardo dell'accademia , di ricordar con onore questa mia dissertazione. Riferirò solo quanto mi fe- ce notare il eh. mio amico sig. prof Filippo Mordani di Raven- na con lettera de'aS aprile del corrente anno. ,, Ho osservato „ nel suo ragguaglio a carte io, che anche il dottissimo monsi- ,, gnor Gazòla ha creduto quel che credettero già uomini eru- ,, diti in ogni maniera di lettere ( il Foscolo, il Biondi ec ) esser ,, cioè stalo padre alla Francesca Polentani quel Guido, che die 5, ricovero in Ravenna al sommo Alighieri. Ma il Boccaccio nel „ suo comento alla divina commedia disse ; essere stata France- ,, sca figliuola di messer Guido vecclno da Polenta: e nella vita ,, di Dante, ricordando il cortese accoglitore di lui, lo appellò ,, Guido Novello: onde si pare che que'due Guidi furono due ^, persone diverse. Infatti il padre di Francesca , o sia Guido ,, vecchio, si fece signore di Ravenna nel IQ75 ; e sebbene gli j, storici non ci abbiano lasciato memoria dell'anno in che man- ,, co di vita, è certissima cosa però che quando venne Dante a ,, Ravenna erano signori della città Guido Novello ed Oslasio II ,, suo fratel cugino, nipoti di Guido vecchio , i quali ebbero la 2i8 Letteratura ,, signoria (lolla patria nel i3i8, poco prima che l'Alighieri ve-" ,, iiisse a Ravenna. Io notai questo errore ( e tengo di essere ,, stato il primo) in un'annotazione che feci alla mia novelletta ,, Paolo e Francesca, che fu ristampata parecchie volte, e ne „ mandai un esemplare al eh. nostro monsignor Muzzarelli. ,, (5) Intorno alle disquisizioni di G. Rossetti sullo spirilo an- tipapale che produsse la riforma, e sulla segreta influenza eh' e- sercitò sulla letteratura d'Europa, e specialmente d'Italia, come risulta da molti suoi classici, massime da Dante, Petrarca e Boc- caccio. Ragionamenti due di G. B. P. Roma, tipografia delle helie arti 1840 Inseriti negli annali religiosi al voi. X , e tirali anche a parte. Il primo di essi ragionamenti, col titolo di Dante figurato in Adamo, paradosso del sig. Gabriele Rosselli esami- nato, fu dal Piancìani letto alla tiberina nell' adunanza de' 22 luglio 1829. (6) Rime e vite del fu eh- conte cav. Giuseppe Rangone fer- rarese, e di Laura ed altri Gnoli ec. Roma, tipografia delle scien- ze 1842. (7) Diario di Roma 8 aprile i84i. Dissertation sur un tripti- que grec d'ivoire conserve a la bihiiothéque casanate de Rome ec. Extrait du numero 19 (3 serie) des annales de philosophie chrctienne. Numero de iuiliet 1841. (8) Il p. Gaspare Leonarducci compose la cantica intitolata la Divina provcidenza per la morte d' Innocenzo XIII avvenuta nel 1724, e ne pubblicò la prima parte di XLV canti in^^ene- zia nel 1739. Fu ristampata in Pioma nel i84o per cura del eh. p. Buonfiglio professore di belle lettere nel nobile collegio dementino, preceduta da una dedicazione. In cui si danno bio- grafiche notizie dell'autore. Anche il eh. p. Tommaso Borgogno, della stessa congregazione, compose un elogio del Leonarducci inserito nell'album. Roma 1839, anno V a carte 4o5 e seg. (9) Tale prosa fu inserita nel giornale arcadico tom. XC, e tirata anche a parte. (io) Intorno allo spirito religioso di Dante Alighieri desunto dalle opere di lai. Discorso dell' abate Federico Maria Zinelli. Venezia 1839. Nella introduzione di carte XXV tra le altre belle cose si parla ancora dell' anno in cui Dante finge aver fatto il suo poetico vi.Tggio. (11) Inserita nel giornale arcadico tom. LXXXIX , e tirata anche a parte. (12) Abbenchè nella nidobeatina sì legga: „ Non disdegnò di farsi sua fattura: Atti dell'Accademia Tiberina sig tiondimeno si è creduto seguire la lezione del Costa e del Bor- ghi, i cui commeuti sono giustamente stimati, siccome il dimo- strano le continuate ristampe. (i5) L'autore ebbe 1' onore di offerirlo manoscritto al re- gnante pontefice nello scorso settembre quando trovavasi in Vi- terbo. Il Sauto Padre degnò riceverlo con parole di molta bene- volenza: poco dopo, cioè nel principio del 1842, fu stampato in Viterbo dalla tipografia Tosoni. (i4) Discorso sopra alcuni stabilimenti e miglioramenti agra- ri. Roma, tipografia Salviucci 1842. (i5) Inserita nel giornale arcadico, tomo XC , e tirata anche a parte. (16) I romani pontefici da san Pietro fino a Sua Santità glo- riosamente regnante Gregorio XVI. Sonetti biografici di Girola- mo Casorettl da Venezia. Venezia, tipografia Andruzzi e comp. 1840. (17) Al eh. signor professore Francesco Valori, membro del collegio medico-chirurgico della romana università, e nostro so- cio residente, il quale per tre volte è stato presidente di quell' accademia, dobbiamo uua tale letteraria relazione. aiù KBaab-imitma Elegìe scolte di Properzio, ed elegie di Tihul-^ lo, volgarizzate dal marchese jéntonio Cavalli di Ravenna, con note. 8. Torino, stabilimento tipografico Fontana 1842. (Un voi. di car. 454-) opo Luigi Biondi ed Antonio Cavalli ci sembra opera veramente inutile che gl'italiani si affatichino più oltre a volgarizzare Tibullo. Imperocché qual al- tro potrebbe darci tanta grazia ed eleganza congiun- ta ad un magistero così solenne di rendere nella no- stra lingua lo spirito dello stile, ed il peso delle pa- role del classico testo ? Tibullo adunque trovasi ornai fra noi nella prospera condizione d'Omero, di Tirteo, di Callimaco, di Q. Calabro fra'greci : di Plauto, di Terenzio, di Lucrezio , di Virgilio , di Lucano , di Stazio, di Persio fra'latini : de'quali la nazione più poetica dell'Europa ha infine avuto, com' era degno di essa, le più poetiche traduzioni che mai possa dare l'arte de'versi. Forse saravvi chi ponendosi di forza al lavoro, potrà riescire a rendere qua e là in quelle membra o più vivo alcun muscolo, o più sentito al- cun nervo , o più leggiadro alcun lineamento : ma nel far bello e splendido e somigliante l'intero cor- po è pur vano il pensare di potersi levar sopra al I3aldi, al Monti, al Pindemonle, al Lamberti, allo Slrocchi : di potersi levar sopra al Caro, al Forti- guerri, al Bentivoglio, al Marchetti: di potersi levar sopra all'Angelio, al Biondi, al Cassi, al Cavalli e forse a qualche altro di nobil fama. Sicché ben di cuore con- Elegie di Properzio ec. 221 slglieremo ì gentili ingegni d'Italia a volgere le loro cure sovr'allri autori, che non sembrano aver tuttavia fra noi una veste al tutto degna dell'italica perfezione: sia che ciò facciasi colla nobiltà difficilissima del verso sciolto , secondo l'esempio di non pochi grandi : sia che facciasi colla dignità ed armonia della rima, come pure hanno insegnato altri grandi, ed oggi vuoisi as- solutamente da un valentissiuio, dal cavalier Lorenzo Mancini. Chi dubiterà infatti che anche dopo l'alto ingegno del Borghi non possa cogliersi ancora qual- che bellissima palma provandosi a tradurre Pindaro per quanto si possa da umana immaginazione ? Del Borghi parliamo, e non d'altri : perchè in poesia vo- gliamo poesia, e non sola erudizione di note, com'è pur troppo avvenuto ne'dotti lavori del Lucchesini e del Mezzanotte, Chi dubiterà che non possa ador- narsi Sofocle con piìi classica maestà, e con maggior ore rotando , comechè sicno così degne di lode in. tante parti le traduzioni de'celebri Angelelli e Bel- letti ? Ed Eschilo ci è veramente stato dato da que, sl'ultimo con quell'antica fierezza di stile , onde si spesso si fa ruvido e gigante, anziché severo ed alto ? Ed Euripide può esser contento nella lingua del s\^ non dic^ del salviniano Carmeli , e di quelle mo- derne svenevolezze del Boaretti, non dissimili dalle profanazioni che de'salmi fece Saverio Mattei e del- l'Iliade il Cesarotti, ma di esso illustre Bellotti , il quale non parve d'altro sollecito ( o noi c'ingannia- mo ) che di cantarci be'versi, sen/a prendersi gran- de cura di farci conoscere in che sieno fra loro di- versi gli stili di esso Euripide e del suo immenso emu- lo Sofocle ? Come chi prendesse in una Ungua a tra- durre X Alfieri non diversaniente dal Mafiei o dal 222 Letteratura Monti. Così dico degl'inni attribuiti ad Omero (pec- cato che di tutti non l'abbiano fatto il Lamberti, il Pindemonte, lo Strocchi !), così di Esiodo, così d'A- pollonio, così dì Teocrito, così di Mosco (tranne al- cune cose dateci dal Roverella), i cui volgarizzamenti non sanno ancora elevarsi a niuna bontà del testo : benché non possa negarsi, che provati non vi si siano uomini letteratissirai. Ma quando in poesia (parliamo solo di alcuni di questi tfaduttori ) manca il magi- stero elegantissimo della lingua, può dirsi che manchi tutto: perchè il rendere comunque siasi in altra favella la parola dell'originale o greco o latino, è cosa d'ogni puro grammatico, anzi d'ogni buono scolare, né fa che senza la poesia della lingua ( la quale tutta sta nella purità e nella grazia) divenga essa tollerabile poesia: e di questo vero conviene persuadersi una volta in Italia, sotto pena di avere, con un sudor da facchino, lavo- rato solo pe'bibliografi e per le tignuole. Aristofane è ancora a tradursi ; ma deh non si avvicini a quella gran vena d'oro chi non conoscasi egregiamente di quante hanno vivezze i nostri im- pareggiabili novellieri del trecento, e i nostri leggia- drissimi comici del cinquecento ! Anacreonte è stato più fortunato di molti altri greci : né fra noi è man- cato chi siavisi adoperato intorno colla soavità del Petrarca, e coli' attica semplicità del Chiabrera. Di Orazio, e soprattutto di Catullo, non parleremo: per- chè sono autori assolutamente impossibili a ben tra- dursi : e me ne appello alla lunga esperienza che n' hanno fatta fin qui, non dico gritaliani, ma tutti i popoli più poetici , come sono i tedeschi , gli spa- gnuoli, gl'inglesi ( lasciamo di nominare i francesi ): e se alcuna delle odi del venosino leggesi con dilet- Elegie di Properzio ec. 2 23 to volgarizzala da Giovanni Paradisi, da Loreto San- tucci, da Giovanni Marchetti, e non so da cìii altro, vuoisi avvertire che questi egregi non sonosi provali che qua e là, quasi ad indizio della gagliardia delle loro forze, in tentativi ed in saggi. Ma que'Iii'ici voli di Orazio non sono cosa da raggiungersi da nessun' ala : ed il sublime poeta non cessa di gridare dall' allo del suo seggio : « Ghi meco vuol conversare , studi di forza nella mia lingua : che io non rispon- derò in verun'altra. » E chiarissima n'è la ragione, chi considera che nella lirica l'artifìcio dello siile è parte principalissima : e che ogni spirilo ed efficacia ivi si perde col solo mutarsi che anche leggermente facciasi alcuna cosa nella collocazione delle parole, e col rendere meno o più audace un' audacia qual siasi di frase, o meno o piij graziosa una grazia. Ra- de volte si sostenne il Gargallo : più spesso cadde , e talor anche precipitò : ne più del suo Orazio for- se si parlerebbe tra'fini intendenti delle gentilezze la- tine e italiane, se non fosse il buon garbo ed il brio ( non però sempre classico ) onde spesso ci ha reso X sali delle epistole e delle salire. Questo nobile ve- terano delle nostre lettere sta ora pubblicando in Na- poli la sua traduzione di Giovenale : la quale noi desideriamo di tal bontà, che meno ci faccia sentire il dispiacei^e della stampa così rilardala di quella , che del satirico d'Aquino sappiamo aver già del tut- to compiuta in terza rima ( vero metro da satira , se non errarono tutti i nostri più grandi ) un mae- stro de'primi nelle cose de' classici , il marchese di Monlrone. E veramente qual più splendido saggio di quello cli'ei ce ne porse, or sono ventiduc anni, slam^ paudo volgarizzala la satira decima ? 224 LfTTERATURA L' Anguillara ci die le metamorfosi di Ovidio : ma è una imitazione, leggiadra sì e piena di ricchez- ze poetiche , sempre però imitazione: ed ella non rendeci che da lungi l'originale , comechè ci faccia nell'autore conoscere la fantasia di un gran poeta , emulo spesso del sulmonese, e minore di poco del fer- rarese. Diremo anzi che anche Ovidio è a tradursi in tutte le opere sue. E sì che per poco non n'avem- mo le epistole nella lingua d'oro di Paolo Costa ! E perchè poi niuno pensa a Silio Italico ? Perchè nin- no a Seneca il tragico, niuno a Claudiano ? Silio non è un sommo poela, è pur vero : ma chi più di lui serbò nel secolo d'argento una certa aura della mae- stà latina del secol d'oro ? Oltreché agl'italiani dev' esser egli carissimo per aver cantato tante onorate nostre sciagure, tante splendide nostre glorie. Il ciel volesse che vi dessi tu degna opera , o Giuseppe Ignazio Montanari ! Nelle tragedie di Seneca sono grandi bellezze in mezzo a non meno grandi difetti : ma ognun sa quan- to i tragici d'ogni nazione siansi approfittati di quel- le maschie, magnifiche, e talor sublimi sentenze. Ab- biasi almeno l'Italia in modo degno dell'alta sua mu- sa la Medea ( tragedia emula della greca di Euripi- do ), V Ippolito già studio del Racine e la Troade ! E Claudiano , fra quelle audacie e spesso gonfiezze dell'ardente sua fantasia, qual massa mai non rive- laci di dovizie poetiche ? E sì che assai meglio sa- rebbe affaticarsi intorno a questi, se non tutti mae- stri di perfetta poesia, tutti però inspirati veracemen- te dalla divinità de'vcrsi in una lingua, sia greca, sia latina, piena sempre di gentilezza, di vigore, di mae- stà; si meglio sarebbe in ciò affaticarsi, e manifestare Elegie di Properzio ec. aaS ai non dotti, che sono i più, tanti tesori quasi na- scosti degl'ingegni di quelle antiche civiltà, madri di tutte le altre : piuttosto che gittare vilmente il tem- po ( ora che grazie al cielo siamo liberi alquanto dal- le sataniche immaginazioni di lord Byron ) a ricoprire delle italiane sete gì' inorpellati cenci di un Lamar- tine, o la nudità mostruosa e selvaggia di un Vittor Ugo, i quali è ornai vergogna che sieno pur nominati in Italia. Tanto più che tornando le menti all'ordine, già la scuola romantica d'ogni parte mina con tut- te le sue temerità contro gli avi, con tutti i suoi or- rori del medio evo, con tutte le sue metafore pazze e ciclopee, con tutte le sue oi'gogliose ignoranze di ciò che non è gotico o longobardo; e che già la Fran- cia stessa rinviene quasi generalmente del suo delirio ( così ella non deliri si spesso ! ) e con rossore con- dannasi di aver potuto per alcun tempo posporre la nobil prosa rimata dei Corneille, dei Racine, dei De- spreaux , dei Voltaire alle presuntuose tumidità e smancerie, anzi al lezzo delle cose e delle parole, ed al ludibrio della lingua e fino della grammatica, di essi due capi del presente brago francese, e dei Du- mas, e dei Balzac, e dei Sand; che il benigno cielo ne scampi ogni civil nazione ! Volete dunque ( dirà qualcuno ) volete dunque, scrittori del giornale arcadico, che torninsi a rican- tare tanti fatti già mille volte cantati, e che in que- gli antichi greci e latini abbiansi ancora a cercare le favole di Giove e di Apollo, le colpe di Micene e di Tebe ! No, noi vogliamo : assolutamente noi vo- gliamo. G.A.T.XCII. i5 226 Letteratura GIÙ d'Ettor non cantò ? Venero anch'io Ilio raso due volle e due risorto, L'erba ov'era Micene, e i sassi ov'Argo. Ma non potrò da men lontani oggetti Trar fuori ancor poetiche scintille ? Schiudi al mio detto il core : antica l'arte^ Onde vibri il tuo strai, ma non antico Sia l'oggetto in cui miri : e al suo poeta, Non a quel di Cassandra, Ilo ed Elettra, Dall'alpi al mare farà plauso Italia: disse egregiamente il Plndemonte al Foscolo, alquanti anni prima che i presenti dottori nell'una e nell'al- tra barbarie sorgessero a venderci , quasi rara filo- sofia, le loro arroganze. E noi volentieri, e qual ve- ro canone di letteratura, seguitiamo la sentenza del celebre veronese: antica cioè vogliamo Varte del dire^ ma non antico il subietto che dee dall'arte adornarsi; appunto come ce ne porsero esempio tanti nostri grandissimi, e soprattutto e l'Alighieri, e il Petrarca, e l'Ariosto^ e il Tasso, e il Filicaia, e il Monti, e il Parini, e il Pindemonte, e il Varano. Ma tornando a Tibullo, da cui carità di patria ci ha fatto alquanto deviare: a quella fantasia non celtica, jion teutonica, non sarmata o scandinava, ma tutta cara e bella delle immagini di questo cielo e di questo guolo, anzi di questo giardino, che certo la Provvi- denza ha voluto agl'italiani concedere, perchè in ogni cosa siano i più sicuri maestri dell' universo , e i primi interpreti della eterna perfezione e armonia : oh quali sincere congratulazioni facciamo al marche- se Cavalli pel suo volgarizzamento ! Il quale è certo una ricchezza di più della poesia del bel paese ; ol- Elegie di Properzio ec. 227 Irechè uno specchio di gentili cose dette con gentili parole. Perciocché il Cavalli è di que'savi, che prima di porsi a scrivere hanno voluto , come ragione ri- chiede, apprenderne l'arte : e l'arte dello scrivere sta principalissimamente nel sapere usar bene la pro- pria lingua in tutte le sue forze, proprietà e leggia- drie. Quindi la sua traduzione vivrà bellissima vi- ta, e con onore starà a lato di quella, che pure ele- gantemente ci diede nel 1887 l'amico suo e nostro dolcissimo Luigi Biondi di sempre veneranda memoria. E che così debba essere, siane il giudizio ai no- stri lettori : a' quali diamo qui, per toglierci alquanto dalie cose d'amore, la celebre elegia V del libro II volgarizzata dal chiarissimo ravignano. A MESSALIINO. Te, Febo, invoco ora che i templi tuoi A novel sacerdote aperti sono : Coi carmi vieni e con la cetra a noi. Or fa sentir de le tue corde il suono : Ora, deh prego ! il canto mio risponda A le geste sublimi, onde ragiono. E tu medesmo, d'onorata fronda Cinto le tempie, ora discendi a l'ara. Che già di offerte a te sacrata abbonda. Ma vieni adorno e bello : ora ti para Con l'ammanto festivo; e al crine eterno Non sia d'unguenti la tua mano avara: Siccome è fama che nel ciel superno La gran vittoria cantasti di Giove, Che a Saturno del ciel tolse il governo. 228 Letteratura Nel futuro tu leggi, e da te piove A l'augure scienza di destino, Quando provido augel suo canto move. Reggi le sorti : e scopri a l'indovino Nelle macchiate viscere i segnali Futuri casi per voler divino. Te duce, xipoUo, unqua i roman fraudati Non fur da la sibilla, che consegna Ai versi di sei piò gli oscuri fati. Che tocchi or slan da Messalin ti degna I profetici libri, e ciò che importi Quel sacro favellar, Febo, gl'insegna. Ad Enea la sibilla aprì le sorti. Poi che, si narra, ebbe portati Enea E il padre e i lari su gli omeri forti ; Né che Roma sarebbe egli credea, Allor che mesto da l'eccelsa prora In fiamme i templi d'Ilion vedea. Gettati non avea Romolo ancora De l'eterna cittate i fondamenti. Ove re col fralel Remo non fora. Pascean l'erboso palatin gli armenti; Su la rocca di Giove erano abbiette Capanne allora d'ignorate genti. Dal legno fatta con agresti accette Ivi Pale ; ed a'piè d'elee fronzuta Pane asperso di latte ivi si stette. E la sacrata a lui sampogna arguta Ivi al ramo d'un albero appesa era la voto da pastor che luogo muta : Io dico la sampogna, onde la schiera De le canne scemando a poco a poco Si aggiunge insieme con la molle cera. Elegie di Properzio ec. 229 E dove adesso del velabro il k)CO Si estende, allor la picciola barchetta Dai remi spinta iva per l'acqua a gioco, Nei dì festi portando fanciuliette Ad un ricco d'agnei giovin pastore, Che lei fra breve chlameria diletta; La qual tornava con villesco onore Di buon cacio donata e bianco agnello, Di agnel che sovra gli altri avea candore. O instancabile Enea, prode fratello D'Amor volante, che pei flutti meni Profughi dei su teucro navicello , Già di Laurento i fertili terreni Giove ti assegna : già una terra amica Ti dice : A me coi numi erranti vieni. E certo allor n'esulterà l'antica Troia dicendo : Quanta gloria e lume, O figli, mi acquistò vostra fatica ! Ivi incensi t'avrai qual patrio nume. Allorché al cielo drizzerai le penne Dal tuo numicio venerando fiume. Ecco già vola su le stanche antenne La Vittoria : e a tue genti afflitte e smorte, Comechè tarda, la superba venne. Già dechina de'rutoli la sorte : Oh quanto incendio a'miei occhi riluce ! Predico a te, barbaro Turno, morte. Di Lavinio le mura in chiara luce Veggio e Laurento ; scorgo manifesta Alba fondata per Ascanio duce. Ilia, te veggio, che sacrata a Vesta, Negletti i fuochi de la casta diva A Marte piacerai ne la foresta : 23o Letteratura E le cadute bende, e la furtiva Tua dilettanza, e l'armi abbandonale Già dal cupido nume in su la riva. L'erba dei sette colli or pascolale Finche vi lice, o lori : in questo suolo La maggior surgerà d'ogni citiate. O Roma, il nome tuo, poggiando a volo, Del mondo reggerà quanto ne appare A la vista di Cerere dal polo; In ogni parte esteso il tuo regnare ; Ove nasce o ove il sol la chioma d'oro Degli ansanti corsier bagna nel mare. Il vero io canto, se del sacro alloro Senza danno io mi pasca, e se di mia Verginitate ognor salvi il tesoro. Così quella inspirala fantasia : Poi resa, o Febo, dal tuo nume insana. Col crin sparso la faccia si coprla. Quanta mai la mermessia e la cumana Sibilla del futuro ebbe dottrina, O grata a Febo la smintèa Diana : O il libro, che per l'onda tiberina. Portato in lembo asciutto, ne disserra Il saver de la vergin tiburtina ; Tutto predisse che saria di guerra Una cometa segno a la cittade, E un tempestar di pietre su la terra. Si narra che fragor di trombe e spade Fu per l'aria : e che il bosco in gridi fieri Disse : Fuggite le natie contrade ! Che l'anno vide minacciosi e neri Nuvoli in cielo, e per sei mesi e sei Dal sol congiunti squallidi i corsieri; FxEGiE DT Properzio te. aZt Clie stillò da l'effigie de gli dei Tepido pianto, e tur giovenche udite In voce umana predir fati rei. Queste cose in passato : ma tu mite Sommergi or, Febo, i miseri portenti Ove suonan del mar l'onde infierite. E il sacro lauro ne le fiamme ardenti Ben crepitando ne dia segni buoni, E porti a l'anno più felici eventi. Viva, viva ! allegratevi, o coloni; Felicissimi segni il lauro diede : Voi da Cerere avrete immensi doni. E il villanel, tinto di mosto il piede, Uve cotante pigierà, che meno Dogli e tini verran quanti possiede. Fi il pastor, cui già Bacco allegra il seno, Le sue palilie festerà cantando : Allor via, lupi, da l'ovile pieno. Egli bevendo, e cumuli abbruciando Di lieve paglia, sopra il sacro foco Solennemente passerà saltando. A le matrone un bambinel fia poco, Che baciato dal padre ne le gote, Con le orecchie paterne prenda gioco. E lieto il nonno al tenero nipote Invigilando gli fia sempre a lato, E vecchio parlerà con balbe note. E reso ai numi il sacrificio usato. Si porterà la famiglinola onesta A un'ombra antica sul dipinto prato; 0 legando con vimini sua vesta. Ombrello si farà ne'raggi estivi, E corona al suo nappo fia contesta. 232 Letteratura E ciascuno imporrà cibi festivi Sovr'alto desco di cespugli eretto, E ciascun sederà sui cespi vivi. A la sua donna un ebbro giovanetto Qui mali impreca : ma fra poco estolle Pentiti voti per contrario affetto. E quel sì fiero, con la guancia molle Or detestando innanzi a lei l'errore, Giura ch'egli era di consigli folle. O Febo, con tua pace, ogni valore D'archi pera e di frecce : e tra'mortali Erri mai sempre disarmato Amore. Quell'arte giova : ma poiché gli strali In mano di Cupidine ahimè ! stanno, A quanti fé quell'arte acerbi mali ! E a me sovr' altri : che già volto è un anno Ch'io giaccio colto, ne sanar mi cale; Tanto son vago del presente affanno. Nemesi canto : ma se al canto l'ale Da lei non tengo, l'alma mia sconvolta Un verso, un motto ritrovar non vale. Oh ! dispietato Amor, l'arco una volta A te vedessi infranto : e la tua face Ne le tenebre più cieche sepolta ! Un miserello tormentar ti piace; Tu mi sforzi ad aprir fidi segreti, E ad imprecarmi ciò che poi mi spiace. Ma tu, fanciulla, al sacro vate lieti Volgi deh ! per tuo ben gli occhi parlanti , ( In tutela a gli dei sono i poeti ) Perchè di Messalino i fatti io canti ; Allor che in premio de le terre dome Ne andran le insegne al suo carro davanti» Elegie di Properzio ec. 233 E Ji lauro i guerrier cinte le cliiome Il lauro porterai! di agreste suolo, Alto gridando del lor duce il nome. E il mio Messala al trionfante stuolo Di paterna pietà spettacol dia , Plaudendo il padre al carro del figliuolo. Consenti, o Febo, a la dimanda mia, Se la tua chioma eternamente bella Sul capo a te risplenda, e se ti sia Casta in eterno l'alma tua sorella. Né le cose die di Properzio ci ha date tradot- te sono men degne di si limpida vena : salvo se qual- che severissimo non desiderasse che alcuna cosa di più ritraessero di quella gravità e pompa, tutta vivacità e spiriti greci, onde il poeta umbro si fece principe fra'latini di una nuova maniera di elegia. Ma chi sen- te, come il Cavalli, con tanta squisitezza la tenera ingenuità e la soave mestizia di Tibullo, qual forza non avrà dovuto fax'e all'ingegno , benché sì bello , per mutar subito animo e stile , e sposare nuovi suoi versi alla lira dell'emulo di Callimaco e di File- ta ! Sicché ci duole che l'esimio ravignano non abbia- ci anche date tutte le elegie di Properzio : che vera-» mente a petto del suo volgarizzamento , ove sempre ravvisi il buon maestro dell' arte , appena sono più a ricordarsi ( parliamo de'moderni ) non pure l'inele- gante e bizzarro Vismara, ma sì Mario Pieri: il quale, dottissimo ed elegantissimo , sembraci tuttavia nella traduzione di Properzio ( e sì tanto amiamo e pre- giamo quel corcirese ! ) alquanto minor di se stesso. Di questo volgarizzamento del marchese Cavalli presenteremo qui per un saggio l'elegia prima del li- bro primo. i234 Letteratura Cinzia fu quella che del suo bel visa Me taplnello primamente accese, Che niun Cupido non avea conquiso. Allor domato il mio fasto si arrese ; Andai con gli occhi bassi, e il dio d'amore Sul mio capo versò ben mille offese : Sinché mi fu malignamente autore Ch'io le caste fanciulle abbia in dispetto, E rallenti le briglie del pudore. E già da tutto un anno entro il mio petto Questa fiamma non tace, ahimè ! sebbene Di avermi i numi avversi io sia costretto. Molte portando faticose pene Alfine, o Tulio, le ripulse altere Di Atalanta crudel vinse Ippomene; Che vagò di se tolto per le nere Spelonche del Partenio, ove atterrava L'atroce rabbia de l'irsute fere. Egli, raggiunto per la dura clava D'Ileo, piangeva, ed all'aflitto pianto Ogni rupe d'Arcadia risonava. E così tolse a la sua donna il vanto Che di celere avea per ogni parte : Preci e merti in amor valgono tanto. Codardo in me si è fatto amor: non arte, Non ingegni mi trova : assai lo invoco , Ma da l'usato stil non si diparte. O voi, che muover da l'eccelso loco L'alma luna vedete, e in cui balla E'il placar l'ombre con magico fuoco, Orsìi, via dunque, de la donna mia Convertite i superbi accoglimenti : Più che me d'amor pallida ella sia. Elegie di Properzio ec. 235 Allora ìe- ben vi crederò possènli A trar gli astri, e a mutar de'fiami il corso Pe'carmi onde Medea fe'suoi portenti. Poi che mi punse de la serpe il morso, Guarda, mi dite ? A l'alma, die delira, Recate, o amici, salutar soccorso. Gilè se il feiTo ed il fuoco ne martira. Sosterremo da forti : voi mi date Gh'io parli come al cor mi detta l'ira. Agli estremi del mondo mi portate, Ma sia pe'flutti il cammin lungo mio ; !Nè fanciulla discorga oi'me segnate. Voi rimanete, che lo dolce iddio Facile guarda, e al vostro ognor sia pari De le femmine amate il bel desio. La mia Venere, ahimè I con aspri amari Nieghi mi volge in doloroso affanno; Ne dai colpi d'Amor trovo ripari. Del mutar loco deh ! fuggite il danno ; Viva ciascuno a la sua cara appresso : E'consueto Amor men rio tiranno. Ghè se qualcuno al mio consiglio espresso Ghiuder le orecchie stoltamente vuole, Ahi ! con quanti sospiri ci fra se stesso Un di rivolgerà le mie parole. Il libro, stampato splendidamente , è intitolato dal traduttore ad uno de'principi, che più onorano a'dì nostri in Europa le scienze e le arti, e più so- no cari all'italiana sapienza: cioè a S. M. Garlo Al- berto re di Sardegna. E. P. 236 Lettere cVuomini illustri al padre abate don Ansel- mo Costadoni camaldolese, tratte da' codici del monastero di s. Gregorio al monte celio dal padre don Gregorio Nardinocchi dell'ordine medesimo. SEGUONO QUELLE DI COSTANTINO RUGGERI. XXXVII. ^I^uanto ai vostri pisciculi, avete fatto benissimo a scriverne al cavalier Vettori, il quale già me gli a- veva promessi fino da questa estate ; ma se io non mando il piltorello a disegnarli, voi non gli avrete mai. Quanto a Brunacci, io vi scriverò una lettera a parte magniloquente al maggior segno. Vi dico bensì in confidenza, che il libro De re monetaria patai'i- norum è lavorato con una gran diligenza; ma non mi piace un zero quel suo stile così tronco e con- ciso. La dedicatoria al sig. cavaliere Foscarini è una cosa molto cattiva: e, per dirvela, essa non ha né ca- po ne coda. La dissertazione sopra le canonichesse io non l'ho letta, ma la leggerò, e ve ne saprò dire il mio sentimento. E veramente disgrazia, che que- sto pover'uomo abbia tante vessazioni da' suoi nemi- Lettere d'uomini illustri 287 ci; ma io non me ne maraviglio, perchè i padovani non fanno gran conto degli studi sodi e profittevoli, ma bensì della pura e mera filologia. Voi vi maravigliate, che le vostre tessere sieno divenute manichi di tazze antiche : ma il sig. cava- liere Vettori non se ne maraviglia punto; anzi fu egli che mi disse essere sicuramente tali, e di averne an- ch'egli nel suo museo colla stessa impronta, e della stessa forma di codeste. Voi date in minchionerie solennissime quando pensate di pubblicare quelle pazzie, che vi scrissi so- pra il pisciculo divenuto console. Queste non sono cose da stamparsi, perchè si scrivono agli amici con tutta la confidenza. Quando andrete da S. E. Farsetti gli umiliere- te i miei rispetti, essendo egli un cavaliere pieno di onore e di probità, e di cui io ho una profonda stima. Che diamine fa Lazzarini costi (i) ? In codeste paludi si è egli forse scordato di Roma ? Eppure Raf- faele non ha dipinto in Venezia, ma nella città regina del mondo; e perciò dovrebbe pensare a ritornarsene. Se egli non fosse un buon figliuolo, io dubiterei che la ricevitrice d'ogni bruttura l'avesse impaniato. Ma absit di pensare sinistramente di un così degno sa- cerdote. Voi intanto vogliatemi bene e ricordatevi , che sono ec. Roma 18 gennaio 1749* (r) Giaa-Andrea Lazijailnl, illustre pillor pesajere e valente letterato e poeta, 238 Letteratura XXXVIII. I seccatori, i quali questa mattina mi hanno rot- to Il capo senza discrezione, sono stati causa che io vi faccia pagare la posta in quest'ordinario. Ma mi lusingo che la pagherete volentieri, perchè nel plico di monsig. nunzio trovei-ete due disegni di pesci fa- voritimi ultroneamente dai pp. gesuiti. Dalla breve iscrizione , che vi è apposta , potrete comprendere che cosa sono; ed io sono testimonio oculare della loro antichità. Se ne farete uso , fate un elogio al p. Contucci custode del museo del collegio roma- no, il quale è un dotto e savio gesuita, ed è que- gli che me gli ha favoriti. Andate dunque dal no- stro garbatissimo arcidiacono, e fateveli dare, e salu- tatelo da parte mia. Spero di mandarvi sabato venturo gli altri del Vettori ; e così sarete una volta sazio di piscicula- rio pasto. Quando voi girate per Venezia da cotesti librai, fatemi grazia di cercare da loro alcune edizioni vec- chie del codice teodosiano. Io ho quella del Sicardo di Basilea dell'anno iSaB: quella di Parigi del i586. Mi manca 1' altra di Parigi in ottavo del Tilio del i554j e la prima del Cuiacio di Parigi del i566, ed un' altra dello stesso anno fatta in Lione dal Rovi- lio. Oltre a queste mi mancano ancora quella di Gi- nevra del iSgS, e l'altra di Lione dello stesso anno. Queste due ultime sono in quarto. Caso mai ne ri- ritrovaste qualcheduna, fatemi grazia di sentirne il prezzo; che se sarà onesto, io le comprerò. Una so- la mi preme sopra d'ogni altra, ed è quella in otta- Lettere d'uomini illustri aSg vo del Tilio ch'è in carattere corsivo, ed è fatta ia Parigi nel i554. Se mai la ritrovaste, fatemi grazia di pigliarla ad ogni costo, e d'impegnarvi anche la vostra tonaca; e poi portarla dal nostro degnissimo padrone S.E. Farsetti, e supplicarlo di trovare un mez- zo di farmela avere più speditamente che sia possi- bile. Dico di più ; se mai la ritrovaste in qualche libreria di frati , rubatela , perchè vi farò assolvere dal papa. Fate dunque egregiamente, perchè ho gran premura di averla; e perchè non posso spicciare una coserella senza di essa. Roma 22 febbraio 1749* XXXIX. Eccovi finalmente i pisciculi vittoriani; onde mi figuro che una volta sarete rimasto contento, ed avre- te più pesci che non sono costì in pescheria. Tocca adesso a voi di farne buon uso, cucinandoli squisita- mente , perchè incontrino il gusto dei signori lette- rati, i quali per lo più si dilettano di avere un pa- lato assai dilicato. II nostro gran Mamachio ha cominciato la slampa della sua opera eccellente delle origini ed antichità cristiane , la quale sarà di dieci tomi in quarto. Ella è composta sull'idea del Bingamo; ma ha questo di più , che è scritta coli' ultima elegan- za, vi sono infinite cose nuove, e sono confutate con sodezza le eresie dell'inglese. Pei torchi di Pagliarini si sono pubblicate due lettere contro il vostro ca- pissimo amico padre Mansi , stimato da voi il Ma- 24o Letteratura bilione dell'Ilalia, nelle quali si spolverizza, sì an- nientisce, si annichila l'ultimo libercolo scritto con- tro Mamachio: e per fargli maggior onore , si è fat- to anche l'estratto del primo tomo dei concili stam- pati da lui: il quale è graziosissimo. Il p. Bianchini ha fatto stampare, sotto il nome di un certo conte Acami, un libro in quarto in di- fesa del preteso sagramentario leoniano , contro le opinioni del sig. Muratori, del p. Orsi e del p. Amort. E una bazoffia la più sgraziata del mondo, senza gu- sto e senza criterio, e vi sono infinite puerilità ! Quanto prima avrò l'onore di trasmettervi una copia di una eccellentissima dissertazione sopra una moneta inedita di Benedetto III, l'originale di cui è in potere del vostro p. Pignatta. Vedrete che cosa ha saputo fare un giovanetto di a/j. anni. A vostro comodo vi prego sapermi dire cosa si vende costì 1' Italia sacra dell'Ughelli in carta grande; perchè avendone trovato un corpo qui in Ro- ma, me ne domandano trenta scudi legato in carta pecora. Mi dispiace della pena che vi slete preso per cercarmi il codice teodosiano dell' edizione del Ti- lio. Veramente è una fatalità ! Tre anni sono me ne capitarono due sui banchetti; e adesso, che ne ho di bisogno, non è possibile rinvenirlo. Mi riesce nuova la ristampa del Pitteri; mi di- spiace che ella sarà molto avanzata; onde non posso essere in tempo di mandargli una spaventosa aggiun- ta cavata dai codici vaticani , la quale andrebbe a maraviglia nell'ultimo. Ma questo poco importa, per- chè la stamperò a parte in un bel tometto in otta- vo. Non so per altro come in terra cattolica si pos- Lettere d'oominì illustri a^i sa ristampare questo libro coi commentari del Go- tofredo e del Ritter, l'uno calvinista e Taltro lute- rano. Mi figuro elle troncheranno via le eresie che vi sono di quando in quando. Addio. Roma 22 marzo 1749* XL. Eccovi, padricello mio, un'altra mandata di pe- sci favoritimi dalla somma compitezza dei PP. del collegio romano. Io mi figuro che questa sarà la più gradita di tutte le altre, perchè la maggior parte de" pesci sono litterati, come l'urna di Plauto; e perciò cominciate a preparare un elogio ed una lisciatura a modo e verso per il P. Contucci, il quale se la sor- birà con gran gusto. Il cavalier Vettori, oltre all'ultima mandata, ha ancora un vaso cristiano di cristallo tutto quanto lavorato a pesca: vi sono reti , barchette , pescatori infiniti e pisciculi innumeri , ed è di figura di un mezzo globo. Ma è difficilissimo di poterlo far dise- gnare a dovere, e molto più d'inciderlo in rame. Né voi avete tanti quattrini da supplire la spesa dell'in- cisione e del disegno. Mi ha detto ancora di avere di più delle gemme, parte originali e parte zolfi, dello stesso gusto di queste che vi mando: e con la solita sua compitezza me le ha esibite generosamente. Ma io non ho ancora pensato di prevalermi delle grazie del medesimo , perchè io mi figuro che voi non vi vogliate mettere sul piede del Saliano , dell' Aldro- vandi e del Conston con iscrivere dei tomi in foglio Sopra i pesci. .0 G.A.T.XCII. 16 242 Letteratura Io vi scrissi la faccenda del codice teodosiano, non perchè avessi voglia di stamparlo costì (i), ma solo perchè mi venne quell' estro di scrivervelo. Se la cosa fosse stata terminata, non avrei avuto alcuno scrupolo di farlo; ma è necessario che io lo ripulis- ca alquanto: e per far questo ci vuole del tempo, ne colesti librai hanno comodo di aspettare tanto ; ed io li compatisco, perchè sono mercanti. Domenica scorsa all'ore cinque passò da questa a miglior vita il povero Francesco lUdolfi per un ma- le crudelissimo non conosciuto da'medici. La morte di esso mi è dispiaciuta all'estremo, perchè era un galantuomo ed io ne avevo ricevuto mille onestà ! Quello poi che mi ha fatto stupire si è, che è morto con tanta rassegnazione e con tanto coraggio , che il maggior uomo del mondo non poteva far di più. Domattina si presenterà al papa il quinto tomo della storia ecclesiastica dal p. Orsi. So che voi al- tri veneziani ne avete cominciata la ristampa: avete (i) Sembra che il codice teodosiano, che aveva fallo pensie- ro di pubblicare il Ruggieri, non fosse una nuova edizione del codice medesimo, ma un supplemento che rese quindi pubbh'co Gian Cristoforo Amaduzzi con questo titolo; ,. Leges novellae ,, quinque auecdotae imper. Theodosii iun. et Valentiniani ter- ,, tii cum caelerarum eliam novellarum editarum titulis^ et va- „ riis Itctionibus ex codice ottoboniano; quibus accedunt ec. „ E ciò rilevasi dal commentario più volte citato dello stesso Ama- duzzi, ove dice che dal Ruggieri gii fu donato quel codice l'an- no stesso di sua morie, quando già vinto dalla malinconia più non poteva attendere allo studio ; e che raceomaudogli d'illu- strarlo e di pubblicarlo. Forse che l' Amaduzzi, oltre il codice, ebbe anche dal Ruggieri gli studi fatti per la pubblicazions di esso. Lettere d'uomini illustri a43 ragione, perchè questi nostri Paglierini sono fallito- ni, ne possono competere con gli stampatori vostri. Il loro giornale comincia ad andar a traverso, perchè ancora non hanno stampato il compimento dell'an- no scorso. Il povero maestro del sacro palazzo sta per quan- to pesa. Il successore dovrebbe essere il p. maestro Orsi; ma Dio sa ! Il p. Lazzari ha pubblicato il suo ragionamento letto nell'accademia del papa sopra la consecrazione del Pantheon. A mio giudizio è una cosa molto debole. Roma 19 aprile X749' XLI. Nel plico di monsignor nunzio troverete una lettera per voi , in cui vi ho incluso una quantità d'impronti in cera di Spagna di gemme cristiane coi pisciculi. Questi mi sono stati favoriti dal nostro sig. cavalier Vettori, il quale da lui stesso me gli ha por- tati in libreria, e di sua mano ha notato dietro al cartoncino la qualità delle gemme, due delle quali contrassegnate colle linee uncinate [ 3 sono di due facce. Questo buon cavaliere è innamorato di voi , e credetemi pure che da esso potrete ottener quanto vorrete; cosa per altro non poco singolare. E fallito finalmente il nostro famoso mercante, banchiere, ed appaltatore universale Lopez Rosa per una piccola somma di quattrocento e più mila scu- di, duecento cinquanta mila dei quali spettano alla camera ed ai banchi pontificii, ed il rimanente a di- versi particolari: e piaccia a Dio che non ci siano 244 Letteratura miscliiati anche di cotesti vostri! Ora se falliscono questi ricconi, penso di fallire anch'io per quindici scudi che vi devo restituire. Che ne dite, padricello mio ? Ma di grazia non facciamo questo, perchè il povero don Anselmo, il quale adesso ha la testa piena di pesci, se succede questo caso, certamente si getta in mare per far loro compagnia ! Il papa ha pubblicato la bolla del giubileo, la quale è un capo d'opera: e ve lo dico senza adula- zione. Questa mattina si è terminata la stampa del quarto tomo delle opere pontificie, e quanto prima avremo una lunga istruzione sopra l'anno santo. E terminata ancora la stampa della dissertazio- ne del conte Garampi, di cui ancora avrete una copia. Roma la maggio 1749' XLII. Povero don AnselnAo, quanto mai lo compatisco! Egli non dorme, non beve, non mangia, piagne, ur- la , strepita e che so io, per il mio fallimento. Ma così è, padricello mio: noi altri romaneschi siamo tutti una massa di furfanti, che vogliamo vivere a spalle degli altri. E che sia il vero, ecco ieri un altro fal- limento del banco Lepri per cinquanta e più mila scudi, e, quello ch'è peggio, si dubita ancora di qual- chedun altro. Se così è, la piazza nostra avrà uno scasso di mezzo milione; onde non è maraviglia se il mio banco fallisca per quindici scudi. Egli è pic- cinino, miserabile, come sono tutti quelli dei profes- sori delle lettere. La signora Lucia Ridolfì, se arriverà sana e sal- va costì in età di soli anni 74» vi porterà l'esempla- Lettere d' uomini illustri a^S re della dissertazione del contino Garampi, il quale è mio amico, ed è un gentiluomo riminese di molto buona famiglia. È un santarello come voi, ed ha tan- ti anni quanti appunto se ne richiedono per ordi- narsi prete, mentre domenica a otto si ordinerà sa- cerdote, e sarà un degno ecclesiastico, come voi siete un degno monaco. Le lettere scolpite nelle gemme consapute sono illeggibili anche agli occhi perspicacissimi del sig. ca- valier Vettori, il quale vi saluta e vi abbraccia arci- cordialmente. Sapete voi la causa di tanto amore per voi ? perchè ogni simile ama il suo simile. Egli è una gnagnera di pi'ima bussola, piccinino, meschino, umilino ec. E voi siete altrettanto in tutti questi predicati. Dopo, la conseguenza viene da se: è ne- cessario che vi amiate per forza. Manco male che vi ho cavata la fame dei pesci, benché stiate in mez- zo al mare! Già me l'ero fitto in capo di saziarvi us- fjue ad nauseami e ci sono riuscito. Evviva ! Roma 24 maggio ij^^g- XLIIL Il sig. cavalìer Vettori ieri mattina mi mandò due esemplari di una dissertazione stampata da lui ultimamente contro Pacciaudi in difesa della sua opi- nione circa le note medaglie di Alessandro Severo. Uno di essi è per me, e l'altro per voi. Onde, se avete voglia di averlo subito, accordatevi per limosina con uno di cotesti vostri corrieri , perchè io glielo consegnerò a vista. Ho avuto un dispiacere grandis- simo di aver perduto quella vostra lettera, in cui mi 246 Letteratura citavate un tomo delle miscellanee llpsiensl , nelle quali si parla di queste stesse cose. Io lo dissi al ca- valiere: ma cerca, ricerca la lettera, non fu possibile di trovarla. Pazienza! Ora mò non siamo più in tempo. Quanto ai libri, dei quali mi richiedete il prez- zo: l'Arringhi, essendo libro vecchio e raro, non ha prezzo fisso. Vi sono di quelli che lo hanno pagato sei scudi, altri otto ed altri nove. Tutto sta in ma- no di chi al ritrova; se è un rabbino, guai! La Ro- ma di Bottarl si vende una doppia il tomo, sicché co- sta scudi sei romani. Le operette del cavalier Vet- tori non so quanto vagliano ; ma si tratta di non molti paoli ; perchè, io che le ho tutte, non fanno più che due tomi anche scarsi in quarto. Il più raro è quello del fiorino di oro, il quale è stampato a Firenze. È uscito il primo tomo della ristampa in 8.° del- la storia del P. M. Orsi: ed è veramente bello. Così il vostro libraio di Venezia farà poco guadagno as" sai, perchè si vende tre paoli romani il tomo. Bianchini ha pubblicato il suo Evangeliarum Quadruplex: sono due toraacci spaventosi; ed ha spor- cato molta carta. Il prezzo ancora è gravoso, perchè ne chiedono la scudi. Verrà facilmente in Venezia il canonico Fran- cesco Meniconi, cavaliere di prima nobiltà di Peru- gia e lettore di canonica nella università della sua patria. Io credo che voi lo conosciate certamente, per- chè è stato meco in Roma quando c'era Foscarini, e mi pare di avervelo portato a s. Romualdo più di una volta. Gli ho scritto che venga da voi, ohe gli farete cortesie e lo introdurrete nelle conoscenze de- gli uomini dotti veneti. Così ve lo raccomando quan- to so e posso, perchè è mio amico grandissimo. Lettere d'uomini illustri 247 Il sig. arcidiacono Giordani è ritornato sano e salvo. Io fui a riverirlo, ed egli mi portò un galeo- ne di saluti per parte vostra. Dal suo discorso ho ca- pito che voi altri in Venezia non istate meglio di noi a medici. Canchero ! attaccare i vessicanti nella coppa per gli effetti ipocondriaci ! è un bel fare ! Mi ma- raviglio che non sia crepato. Roma II luglio 1749' XLIV. Il giudizio che voi date dell'opera del nostro sig. contino Garampi è veramente degno di voi e di un. uomo che abbia gusto nelle buone lettere. Questo mi ha fatto vedere che l'avete letta, e con attenzione, e con prontezza. Una cosa sola non è da par vostro; qua! è quella di maravigliarsi come possa essere stret- ta tanta amicizia fra il contino e me. Ma ditemi di grazia: non siete ancor voi una flemma solennissima ! E pure siamo fra noi amicissimi. È possibile che la grande speculativa del mio don Anselmo non abbia saputo sciogliere questo dubbio ? Da quanto mi scrivete circa la nota questione suscitatasi costì contro la nota carta, mi pare che ab- biate ragione da vendere; e che i vostri avversari sia- no una mandra di pecore. Se io fossi nel senato, vor- rei loro imporre la penitenza di copiar di proprio pu- gno tutte quelle carte, le quali non hanno notato il giorno del mese, e che ciò non ostante sono legit- time e sincere. Credetemi, che questa sarebbe la vera strada di mortificarli; perchè avrebbero da copiare per molto tempo. Quanto a me, ne ho viste centinaia e centinaia, massime del secolo XII. Quando sarà stam- a48 Letteratura palo il ragionamento del p. de Rubeis, ricordatevi di tenerne un esemplare per me, perchè lo voglio as- solutamente, avendo io una slima infinita di cotesto grande uomo. Quanto alle badie, di cui mi scrivete, vedete il libro Censuum S. B. E. di Camerario, che è il più antico che abbiamo , ed istampato nel tom. V Ital. med. aevi del Muratori, ed ivi alla pag. 878, 8^4 ^i nominano varie badie di cotesti vostri paesi. Se que- sto non vi basta , bisognerà consultare i libri delle tasse di cancelleria , i quali però non sono cotanto antichi. Vi mando l'ingiunto diseguo di una gemma ba- silidiana coll'impronta dei pesci. Questa veramente è curiosa: e se non ne avete veduto altre consimili, me- riterebbe che ad ogni costo faceste due parole di giun- ta alla vostra dissertazione. Qui abbiamo avuto un turbine violentissimo, il quale ha rovinato una quantità di casini e di vigne nei contorni di Roma da porta s. Paolo fino passato s. Agnese fuori delle mura. Roma 19 luglio 1749» XLV. Questa mattina ho fatto leggere all'avvocato Ga- ratoni la vostra compitissima , il quale vi ringrazia delle notizie dategli dei suoi antenati posticci. Di Cristoforo vescovo di Corone si parla negli atti del concilio fiorentino , e ne parla anche Ambrosio ca- maldolese in alcune lettere inedite da me vedute. Il p. Lequien porla una serie molto confusa di quei vescovi latini; e se fosse vero ciò che dice il Wad- Lettere d'uomini illustri 249 dingo da lui riferito, questo Francesco sarebbe morto molto prima del i452, come dice il Filelfo; perchè in quest' anno si fa vescovo di Corone un Matteo. Qiddquid sit, io non voglio entrare adesso in questa disputa; basta avervi accennato qualche cosa, per ri- spondervi su di ciò. Il p. Pacciaudi non ha molto da temere della risposta del cavalier Vettori; perchè questi non iscio- glie le difficoltà; e la sentenza del primo è più ve- risimile. Quanto al politico ed al cavalleresco della questione, io di già ne sono informatissimo. Pacciau- di ha ragione da vendere, ed ogni galantuomo l' a- Vrebbe ringraziato di una censura cosi onesta e ci- vile. Ma i beali, come siete voi, camminano con pria- cipii assai diversi da noi altri cattivi mondani; per- chè rapiti essi ed astratti fuori dei sensi nelle con- templazioni celesti e beatifiche, sdegnano tutte le co- se sublunari; e quando pensano qualche cosa benché stortamente in queste materie, vogliono per forza che tutti l'applaudiscano e la sostengano per verità evan- gelica e divina. Chiunque poi li contraddice, anche civilmente, diventa subito loro nemico; e sono im- placabili verso di questi. Io ne conosco molti di que- sto temperamento, e sono tutti simili fra loro. Toc- cherebbe mò a Pacciaudi, il quale è predicatore, di comporre una predica a posta per questa gente, la quale oltre alla inflessibilità, possiede ancora a per- fezione la filauzia, l'avarizia ed il poco amore verso il suo prossimo: camminando essi con una massima, che in questo mondo tutto sia lecito all'infuori del sesto precetto. Voi crederete che queste sieno fando- nie scritte per celia; ma sono verità innegabili. Do- G.A.T.XCII. 16* aSo Letteratura mandatene a Pacciaiuli, il quale so di certo che ne ha tutta l'esperienza. L'argomento del giovane protestante è molto bel- lo. Sarei curioso di sapere che cosa scrive della pietà di Lodovico Pio verso la chiesa romana. La moneta, ch'egli ha stampato, era di già pubblicata dal Leblanc e dal Vignoli in Gregorio III n. i, 2, 3: e perciò dubito o che voi o egli abbia sbagliato scrivendo nel rovescio SPE in vece di GRE, vale a dire Gregorii. La cosa però è scusabile, essendo le lettere delle mo- nete pontificie di que'tempi difficilissime a leggersi. Voi mi date nel genio quando mi lodate la dis- sertazione del contino Garampi. Quella spiegazione della mano è veramente bellissima; ed io glie lo dissi subito , quando mi fece la confidenza del mss. Voi poi dite un pezzo di evangelio, quando date il pri- mato a questa dissertazione sopra tutte l'altre stam- pate in Roma da qualche tempo in qua. Certo è che dopo Fontanini e Giorgi non abbiamo veduta cosa simile; eppure questi nostri virtuosoni ne sanno piià di tutti! La ristampa della storia del p. Orsi è una copia fedelissima delia prima edizione: non vi è niente né di più, né di meno; onde una non pregiudica all'altra. Bianchini ab infantia ha avuto questa disgrazia di farragginare; ed è peccato, perché studia e fatica indefessamente. Noi siamo tutte missioni. Veramente questo p. Leonardo è un sant'uomo sine fuco etfallaciis. Dio voglia che ne abbiano profittato quelli che ne hanno più di bisogno! Voi intanto amatemi e salutatemi Pac- ciaudi^ mentre io di tutto cuore vi abbraccio. Roma 26 luglio 1749» Lettere d'uomini illustri 25 i XLYI. Caro don Anselmo, abbiate pazienza, perchè ades- so non vi posso servire de' dieci scudi; perchè no- stro signore ancora non mi ha dato il solito regalo di feragosto. Mi rallegro dell' acquisto che avete fatto della medaglia di Leone IV, e vi auguro la sorte di acqui- starne delle altre a quell'istesso prezzo. Non vedo qual eretica malizia possa aver avuto il sig. Walchio nello storpiare il rovescio della moneta di Gregorio IIL Può darsi il caso che sia effetto d'ignoranza innocen- te ; perchè è difficile che gli oltramontani abbiano una perfetta notizia di queste cose nostre così par- ticolari. Il Mehus è uomo diligente, ma non tanto quan- to si richiede per la edizione delle epistole del vostro Ambrosio. Oltre di che si richiede molta prudenza nel pubblicarle , per cagione dei tempi in cui egli scrisse , così turbolenti e sconvolti. Se egli lascerà fuori quelle che ho io, più che volentieri ve le darò, acciò ve ne possiate far onore. Queste certamente so- no bellissime, perchè sono molto interessanti, per le eccellenti notizie che abbiamo da esso del concilia- bolo basileense. La mia dissertazione di s. Barbara è in italia- no; ma vi sono in fine gli atti latini inediti copiati da due passionari molto antichi. Se a S. E. Cor- naro serve così, nel mese di ottobre glie la manderò: caso no, se ne starà insieme con l'altra fin tanto che Dio vorrà, perchè non me la sento di tradurla in latino. Subito che il papa mi avrà dato quel poco di aSa Letteratura regaluccio solito, non dubitate che io vi rinfranclie- rò. Vedete se potete trovare qualche associato per l'o- pera di Mamachio nostro , la quale riesce maravi- gliosa: e poi uno scudo il tomo, il quale è in caria grande, e questo primo è vicino a cento fogli, è pie- no di figure di antichità cristiane, ed è distesa con una grazia veramente mirabile! Questo settembre si pubblicherà il primo tomo. Roma i6 agosto 1749- XLVII. Vi ringrazio de' sei esemplai'i della vostra dis- sertazione, la quale ho letta con mio piacere , e vi assicuro che vi slete fatto onore, avendo detto il di- cibile su di quella materia. Voi siete inciampato nel vizio del secolo, qual è quello di estendervi tanto in quelle note, le quali o non si leggono, o sturbano 1' autore dalla lettura del testo. I nostri vecchi, che hanno scritto tanti bei libri, si sono astenuti da que- sto comodo moderno: o se l'hanno fatto, l'hanno fat- to per illustrare i testi degli antichi e non i propri. Ma questa è 1' usanza, e ci vuol flemma : ciascuno faccia a modo suo. La dissertazione del p. Rubeis è bellissima, e si vede subito che è lavoro di un uo- mo di fondo e sensato come è egli. Io ho una stima particolare di cotesto religioso , e qui in Roma gli rendo quella giustizia che merita: e non è molto che ne parlai col p. generale con quella stima che si de- ve, ed ebbi piacere che il p. reverendissimo ne abbia tutto il concetto. Quando lo vedrete , salutatelo da parte mia e ringraziatelo del dono che mi ha fatto. Ho ricevuto anche il libro di S. E. Cornaro, il Lettere d'uomini illustri 253 quale ho scorso alquanto, ed ho veduto che cotesto cavaliere ha fatto fatiche immensa nel raccorre tanti bei monumenti , che possono servire di molto agli eruditi. Volesse Dio che le nostre chiese di Pioma trovassero un tal benefattore ! Oh quante belle cose verrebbero in luce , che non si sanno ! Ringraziate dunque l'È. S. di questo favore segnalatissimo , ed esibitele la mia debole servitù in ogni occorrenza. Dei vostri esemplari ho fatto la distribuzione se- guente. Uno che si darà al papa , un allro a Ga- ratoni , uno a Mamachio , il quale lo vuole citare nel secondo tomo del suo libro, in cui parlerà De sjmholis christianorurn, uno al slg. cavalier Vet- tori tanto buon amico e padrone , uno al p. Con- tucci , uno al p. reverendissimo Chiappini generale dei canonici regolari lateranensì, ed uno per me. Se me ne aveste mandati di più, vi avrei fatto più onore. Sabato venturo presenterò al papa 1' esemplare a nome vostro. Non l'ho fatto oggi perchè mi sono scordato di mettermelo in saccoccia. Roma 6 dicembre 1749* XLVIII. S. E. Cornaro mi fa un doppio onore; l'uno col favorirmi in dono il suo eccellente libro delle chiese di Venezia, e l'altro col richiedermi del mio libercolo del beato Nicolò Albergati, il quale non è cosa degna di comparire sotto gli occhi di un cavaliere così eru- dito. Quanto al cambio de'suoi, io vedrò che la bi- blioteca casanatense pigli due esemplari dell'opera di S. E., o per dir meglio due tomi, per un tomo di 254 Letteratura Mamaclilo : perchè in questa guisa si compensa be- nissimo il prezzo dell'uno e dell'altro. Cinque lire al tomo vagliono questi , ed undici paoli quello di Mamachio; sicché si procede ugualmente. La iscrizione io la leggerei in questa guisa: De- curio sihi et Publio Acilio Manii Filio Patri. Sextiliae Seniae Mairi. Publio Jcilio Publii Fi- lio Fratri. Io ho qualche dubbio circa l'integrità del marmo , perchè il nome di Decurio non so se sia stato adoperato dagli antichi per semplice agnome. Voi però avete veduto il marmo; così ne saprete più di me. Il cognome di Acilio è notissimo, e nell'in- dice gruteriano leggesi L. Acilius. Scap. Decurio. É comunissimo anche l'altro di Sestilia, come potrete vedere negli indici delle iscrizioni. Oggi presenterò al papa la vostra dissertazione torcellense (i) ; io per altro non l'ho ancor letta , perchè non ho avuto tempo. Non dubito del gradi- mento santissimo della medesima. Roma II luglio lySo. XLIX. Il papa gradì infinitamente la vostra dissertazio- ne torcellana, e lo stesso hanno fatto gli amici miei, ai quali l'ho regalata. Il sig. cavaliere, ossia commen- datore Vettori, ne ha detto un mondo di bene; e gli è piaciuta infinitamente quella parte dove illustrate l'antica figura del presbitero; sicché tibi gratulor et mihi gaudeo summopere. Quanto alle antichità Cristiane, io non vi prò- LETtERK d'uomini ILLUSTRI 255 metto cosa alcuna di sicuro, perchè in tanti anni che sono in Roma non mi è capitato mai cosa alcuna, all' infuori delle iscrizioni , le quali pesano troppo. Se da qui innanzi mi capiterà cosa alcuna, siate pur sicuro che sarà vostra. Mamachio già vi ha citato nel primo tomo della sua grand' opera, e vi citerà sempre di mano in mano che gli capiterà l'occasione. S. E. Cornaro potrebbe mandare un corpo dei suoi libri, che io gli farò capitare un corpo di quelli di Mamachio ? Il prezzo di due tomi di S. E. formano 1' equivalente di uno di Mamachio. Questo negozio lo farà la biblioteca casanatense; e già l'abbiamo accordato. E uscito il secondo tomo dell'opera mamachia- na, ed il settimo dell'orsiana. Il padre ab. Besozzi cistcrciense ha pubblicato la storia di s. Croce in Gerusalemme, la quale è molto semplice e liscia. In fondo vi ha stampato tutte le iscri- zioni gentilesche raccolte dal cardinal Bessozzi, men- tre era abate: ed è un tomo in quarto bene stampato. Sarà difficile che io per adesso possa venire a Venezia : fin tanto che non si muta aria per me , sarà impossibile il poter fare spese. Così sarà meglio che veniale voi a Roma, se vi capita la congiuntura di poter venire. Roma i5 agosto lySo. L. Venezia e l'Italia tutta fa una gran perdita colla morte del sig. Apostolo Zeno. Se non muta vento, io temo che si stenterà molto a rimpiazzar uomini 256 Letteratura di sapere e di fondo come sono stati questi ultimi Fontanini, Muratori e Zeno. I nostri signori moder- ni, per quanto vedo, non vogliono arrivare tanto in- nanzi: si contentano di friggere e rifriggere le cose già dette: e perciò hanno empito il mondo di libri e libercoli inutili, dai quali chi ha qualche notizia nulla impara. Tutti vogliono essere autori: basta che sieno nominati o nelle gazzette di Firenze o di Ve- nezia, che subito si mettono in circolo con gli altri. Ed è veramente una felicità ! Se manca il nostro p. de Rubeis, che è un galantuomo di fonJo, la lette- ratura veneta vorrà star male. Noi colla perdita di Giorgi abbiamo fallito, ed abbiamo fallito in maniera che si è perduto anche il buon senso. Il solo Ma- machio è quello che ci manterrà in reputazione: e certamente, senza adulazione, questo è un uomo, il quale se Dio gli dà vita, farà la prima figura in Ita- lia: e con ragione. Lasciate ciarlare cotesti filosofi e cotesti mate- matici a modo loro ; se essi non istlmano i vostri studi , voi non curate i loro , e così sarete pari e patta. Così faccio io con questi di Roma, i quali , benché sieno matematici di poche tavole , nientedi- meno vogliono spacciare la loro mercanzia con di- scapito degli altri. Voi siete religioso e professate stu- di propri al vostro istituto. La chiesa di Dio non ha bisogno di matematici, se non per il calendario: la qual faccenda poi non è la massima che ella abbia. All'Incontro poi gli studi nostri sono piìi utili, per- chè illustrando le cose antiche, sempre cresciamo l'ar- senale delle prove dei nostri dogmi sagrosanti contro la perfidia degli eretici, dimostrando loro ad evidenza, Lettere d'uomini illustri aSy che questi non sono cose nate nei secoli ignoranti, ma ne' tempi più ciliari e luminosi, quali furono quel- li più vicini alla venuta del Redentore. Roma 24 settembre lySo. LI. Quanto al vostro re de' mamalucchi , non sa- prei cosa dirvi. La dissertazione del Gudlingio noi non l'abbiamo in libreria; e sarà difficile che i no- stri librai l'abbiano, perchè non sono così ricchi di corrispondenze in Germania, come i vostri; e se ab- biamo libri di que'paesi, questi vengono immediata- mente dai vostri librai. Del sig. Apostolo Zeno io non mi ricordo di aver veduto cosa alcuna mss. Mi pare che in un to- mo di lettere scritte a Girolamo David, vostro vene- ziano, ve ne fossero alcune del sig. Apostolo: ma non oserei di affermarlo sicuramente. Questo tomo era da Ottoboni , ed in oggi è nella vaticana; ma a ripe- scarlo ci vuole del buono, perchè ancora non sono ordinati que'mss. Le lettere di monsig. Giorgi furo- no mandate in anima e in corpo a quello sciocco di suo fratello a Rovigo ; e fra esse non mi parve di vederne del sig. Apostolo : ve n'erano bensì di Fac- ciolati, del conte Ottolini e di Mehus. Tuttavolta il sig. Forcellini potrà far capo dal conte Silucchi, il quale è amico di quel goffo. Coli' eminentissimo Rezzonico mi sono trovato più volte in conversazione in casa vostra ; ma non mi è capitato mai un taglio giusto per servire il vo- 258 Letteratura stro amico; se mi si presenterà l'occasione, non du- bitate elle vi darò piacere. Quanto al sig. Apostolo, dovreste far capo dal nipote di Fontanini , il quale ha tutto il carteggio di suo zio, ed in esso non può fare a meno che non vi sieno cose nobilissime. Egli sta adesso ne'suoi paesi: onde la cosa sarà più riuscibile. Noi abbiamo avuto una inondazione del Tevere mollo notabile, essendo la maggiore di questo secolo: perchè ha superato un buon palmo quella del 1702 in tempo di Clemente XI. Roma 12 dicembre lySo. 2^9 WMWilMTA^ Cento lettere inedite di LVIl uomini illustri italiani e stranieri defonii nella prima metà del secolo XIX, tratte da più am- pi carteggi, e scritte al cavaliere Gio. Battista p^ermiglioli. 8. Perugia tipografia di Vincenzo BarteUi 1842. ( Un voi, di carte VII e 276. ) VJosa molto importante, soprattutto per l'erudizione e per l'ar- cheologia, è a noi sembrata questa scelta di lettere scritte da tanti uomini chiarissimi dell'età nostra al celebre cav. Vermiglio • li, che le ha pubblicate. Vi si trovano infatti non pur gravi giu- dizi, ma peregrine notizie, e talor anche eleganze: essendone autori i seguenti: S. D. Akerblad, Michele Arditi, Gio. Ballista Baldelli, Luciano Bonaparte, Onofrio Boni, Card. Stefano Bor- gia, Pietro Brandolese, Floriano Caldani, Luigi Canali, France- sco Cancellieri, Clemente Cardinali, Francesco Carelli, Cardinal Francesco Saverio Casliglioni (poi Pio Vili), Michele Catalani, Leopoldo Cicognara, Giuseppe di Costanzo, Francesco Danieli, Melchiorre Delfico , Angelo Fabroni , Carlo Fea, Luigi Fiacchi, Card. Francesco Fontana, Francesco Franchi di Pout> Bartolo- meo Gamba, Giuseppe Antonio Gualtani, Olao Kellermann, Pie- tro de Lama, Luigi Lanzi, Cesare Lucchesini, Gaetano Marini , Pietro Mazzucchelli, Albino Luigi Millln, Iacopo Morelli, Dome- nico Moreni, Gio. Francesco Napione, Francesco Negri, Baldas- sare Odescalchi, Giulio Perticari, Pio VII, Pompilio Pozzetti , Stello Doria Prossalendi, Gio. Gherardo de Rossi, Carlo Ro$mi- 260 Varietà' ni, Andrea Rubbl, Domenico Seslini, Domenico Testa, Bernar- dino Tomilano, Ramiro Tonani, Francesco Torti, Leonardo Tris- sino, Gio. Giacomo Tiivulzio, Alessandro Verri, Guglielmo Uh- den, Giorgio Viani, Gio. Battista Zannoni, Card. Placido Zurla. La lettera del Perticar! risguarda il nostro giornale, e la re- chiamo qui affinchè vada in ischiera colle altre da noi pubblica- te di quel solenne scrittore , e già nostro insigne compilatore. Eccola : „ Scrivo in gran fretta: ma voglio che ella sappia, che mi ,1 sono giunte le bellissime scritture, onde la S. V. fé dono al ,, giornale, le quali saranno pubblicate quanto più presto si po- „ tra. Intanto nel quaderno del giugno il direttore Odescalchi ,, produrrà il sunto della J^ila del Baglioni: in quel di luglio si ,, leggerà l'altro, fatto dal nostro Borghesi: né prima si è potu- ,, to, per la ristrettezza del tempo. Questo voglio che sappia : „ ma molto più che io le sono sincerissimo servitore, ed ammira- ,, tore, ed amico. - Roma 25 giugno i8i4 (i). ,t Atti della distribuzione dei premi fatta da S. A. R- Ferdinando duca di Genova il giorno aS aprile 1842 agli allievi della R. accademia al berlina delle belle arti. 8. Torino, stabilimento tipografico Fontana 1842- ( Sono carte 32 , con un rame rappresentante la] magnifica residenza conceduta da S. M. all'accademia. ) JLl re Carlo Alberto, che con senno uguale al suo cuore dà si splendida opeia a tutto ciò che valga ad accrescere splendore a (i) Questa data è manifestamente errata. Il giornale arcadi- co non incominciò che nel gennaio del 1819: e nel giugno di quell'anno il Perlicari trovavasi appunto in Roma. Dee dir dun- que 18x9. (Nota de" compilatori del giornale.) Varietà' 261 quella parte della nobile Italia che obbedisce al suo scettro, non poteva dimenticare le arti belle: ed egli non le ha dimenticate. Sicché Torino non solo è oggi una delle grandi sedi dell'italia- na sapienza, ma si da alquanti anni procaccia di emular con o- nore le altre maggiori città della classica terra, dove meglio so- no in fiore le arti di Raffaello, di Michelangelo e di Palladio. Lode immortale ad un re , che anche in ciò mostrasi nato del buon sangue italiano! Questi atti sono 1 primi che si pubblicano dalla reale acca- demia albertina: e ci danno notizia della premiazione solenne del passato mese di aprile. Gentil libretto, dove si hanno i nomi e le opere degli alunni premiati, il catalogo de'professori e soci di onore, ed un bel discorso del signor cav- Paravia cattedratico accademico di storia e mitologia. JLa festa notturna ideata pel giorno onomastico dì un antico. Let- tera del cav. Luigi Paletti. 8. Roma , tipografia Menicanti 1842. {Sono carte 8. ) VJi gode l'animo che il celebre architetto, autore dì questa let- tera, cerchi fra le cortesie e le leggiadre immaginazioni sollevar- si dalle gravi cure dell'arte; non ultime delle quali sono la dire- zione della risorgente basilica di s. Paolo e la cattedra di archi- tettura pratica nell'accademia romana di s. Luca. E veramente diremo uua leggiadra immaginazione avergli inspirata questa scrittura, la quale con eleganza, festività e gentilezza si spazia fra tante bellissime fantasie degne non pure di un sommo arlist'j, ma si di un valente scrittore. aSa Varietà' Sonetto inedito attribuito a Dante. N. lei codice valicano 5i33, a carte i3i , è il seguente sonetto col nome dell'autore: Dantes de Florentia. Sarà o non sarà di Dante : ma certo è antica poesia, la quale al grandissimo attri- huivasi fin dalla prima metà del secolo XY , in cui senza niua dubbio fu scritto il codice vaticano. D'altra parte considero che anche i sommi ingegni sono talor discesi, o per capriccio o per passatempo^ a trattare di cose umili : se cosa umile veramente può dirsi il mandare intorno verseggiati , in grazia della sanità umana, alcuni prin»ipali aforismi della scuola allora celebre sa* lernitana. Comunque sia, ecco il sonetto : Chi vuol star sano, osservi questa norma. rfon mangiar senza voglia^ e cena breve : Mastica bene quel che tu riceve, £ sia ben cotto, e di semplice forma. Chi piglia medicina, mal s'informa : Guarti (i) da ira e da ogni cosa greve.* 3u dritto sta, quando da mensa leve.* Da mezzo giorno fa che tu non dorma» Il ber sia poco, temperato e spesso, Né fuor di pasto, né a stomaco voto: ^ non frettare e non tardare al cesso. Se fa'esercizio, sia di leggier moto: Supino il sonno, e col capo dipresso, E molto ben coperto : ciò t'è nota; £'1 corpo in possa, e la mente tien lietst» Fu0gi lussuria, e tieuti a la dieta. Salvators EpTTl. (i) Invece di guardati: accorciamento non ignoto alla lingua, per altri esempi che se ne conoscono nel trecento. Varietà' 263 Manuale di ostetrìcia ad uso delle levatrici e de'giovani studenti in chirurgia^ del doti. Sante Sillani sentinate. Fermo, tipo- grafia de'fratelli Paccasassi, iS^a.m i, di facce 170 con tav. ier compilare elementi di «cienze vuoisi dotto scrittore, il qua- le con brevità esponga tutto ciò che v'ha di vero, di essenziale e di utile, eliminando le questioni e l'erudizioni che pochissimo o nulla interessano le basi della scienza. Che tali opere non sia- no di lieve momento, oltre che è facile il vederlo, ne è chiara prova la scarsità de'buoni libri elementari in mezzo alla grande moltiplicità de'pessimi. 11 jig. doti. Sillani in questi clementi di ostetricia ha dato opera a raggiungere si fatto scopo; e certa- mente ha scritto un libro molto utile. É quindi da raccomandare che sia posto fra le mani delle ostetrici e de' giovani allievi, alla cui istruzione è destinalo. Divide il libro, i. in parte teorica; 2. in parte pratica; 3. in parte ostetrica spettante al chirurgo, po- nendo limiti tra le incombenze che all'ostetrice ed al chirurgo si spettano. Enrico Gastrica Brunetti. ■g»^i&oga3j <■"■■ NIHILOBSTAT "\'^^^t Fr. loan. B. Marrocu M. C. Ceasor Theòl. ' IMPRIMATUR ni^mui _ . jidiil obli Fr. D. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR loseph Canali Arch. Coloss. Vicesg. n M. ^. INDICE DELLE MTERIB coNTENnxE NEL VOI.. ayS. SCIENZE Tortolini, Memoria suU'applìcazione del cal- colo de'residui airinlegrazione delle equa- zioni differenziali lineari ....;,, 129 Perrone,Praelectiones theologicae. Vol.VH.,, i53 Vaccolini, Vita e studi di R. Boschovich. „ 1^4 LETTERATURA Fabi-Montani, Ragguaglio degli atti dell'ac- cademia tiberina nell'auno 1841 • >> Cavalli, Traduzione delle elegie scelte di Properzio, e di quelle di. Tibullo. „ Ruggeri, Lettere inedile al padre abate Co- stadoni ( parte terza ) „ Varietà 188 25t) GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ROMA TIPOGRAFU DELLE BELLE ARTI 1842 S^Z^lf ^^ 'Continuazione della memoria sull'equazioni diffe Integrazione di un sistema di equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti di ordine qualunque: il secondo memoro di ciascun^ equazione potendo essere o zero od una funzione della variabile indipendente. g° jp er completare questa memoria non sarà qui inutile di riportare brevemente i metodi che il sig. Cauchy propone negli esercizi d' analisi e di fisica matematica per l'integrazione dei sistemi di equazio- ni differenziali lineari di ordine qualunque. Come già si è notato per i sistemi di primo ordine, la risolu- zione della questione dipenderà dalla formazione del- V equazione caratteristica , e dal valore della fun- zione principale. La prima si ottiene dall'elimina- zione di un determinato numero d'incognite unite ad altrettante equazioni; e la seconda dal calcolo dei re- sidui. Sia pertanto dato fra un numero qualunque di variabili principali x^ j-, s ... ed una indipendente t , un sistema di equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti ; ed ove l'ordine delle più gran derivate delle x, j*, z ... riguardo a t non supe- ri n per la x , n" per la j" , ed n!" per la z ... I secondi membri di queste equazioni differenziali saranno, nel caso più generale, funzioni della varia- bile indipendente i, ed i primi membri si ridurranno a funzioni lineari a coefficienti costanti delle quantità G.iV.T.XCII. 17 266 Scienze 07, x' =■ D 2 = V.^'=7. 2" -7". ...«<"'-' W"-" «, «', a" . . . indicano altrettante quantità costanti, delle quali il numero non sorpassa Ciò posto, 1' equazioni differenziali date possono es- sere considerate come stabilire fra le variabili X ,x' , X" , ... x^«') , /,/'/"' - y^"^ Z , Z t ... z e • « « (»") Applicazione del calcolo ec. 267 delle relazioni per mezzo delle quali le derivate di ordine più elevato ^(n) , y.n) ^ ^inn^ si esprimeranno per le derivate di ordine inferiore / '/ (n'-i) , '• [n'-i] E per ricondurre il sistema dell' equazioni differen- ziali ad un sistema di equazioni differenziali del pri- mo ordine basterà rimpiazzarle per le seguenti J)tx—x=o, V^tx'—x'^o, ... D^x("'-'^ — x("'^= o (3) ^D^j_j'=:o, D/j— y'==o, ... D^y'*"-')— /(""'= 0 e prendendo per incognite, o per variabili principali, le n funzioni derivate di ordine inferiore, cioè ' (/ {ri — i) / // (n — i) 'y* 'v* 'V» 'v^v / -v* 1/" 'V v^ ' a, , ^ , ^ , ... a. , J 1 J ì J » •" y e supponendo, come già abbiamo notato, le derivate di un ordine superiore ^(«') v(«") z(«"') ii68 Scienze espresse in funzione delle altre, e della indipenden- te t per mezzo delle equazioni differenziali date: se i secondi membri di queste equazioni svaniscono, i valori di M v(~") zKO si ridurranno a funzioni lineari delle X , x' , x" ... :r^"'~'^ , J . y » y" •••/^"•'"'^ Z y Z ^ Z , "• z Ciò posto, per un'osservazione fatta alla fine dell'an- tecedente paragrafo per l'integrazione di un sistema di equazioni del primo ordine si potrà eseguire il calcolo nel modo che segue. io.° Si eliminino dall'equazioni differenziali (3) le variabili principali x^ j^ z . . . come se Df fosse una vera quantità: si ricaverà un'equazione simbo- lica risultante r(D,) = o della caratteristica D/ , e di grado ?ì; dalla quale si ricaverà V equazione caratteristica (4) FCD = o Quindi prendendo la funzione principale r[t-to) (5) 0 = r Applicazione del calcolo ec. 269 la quale verifica qualunque sia t V equazione diffe- renziale (6) F(Df) e = o e per t = t„ (7) 0 = o, D^ 0 = o , D; e == o , ... Dp' 0= I si esprimano le derivale M r("") 2^"'"^ in funzioni lineari delle incognite, o variabili prin- cipali Z m Z f Z ) ... Z ed allora per la citata osservazione del paragrafo 8.*^ le derivate D,j , Btf , ... D/y"'^^ Btz , Df2' , ... Di z^>'^ saranno rimpiazzate dall'espressioni 2^0 Scienze D,7_/3F(D,)0, D,y-/3T(D,)0, ..D,j(""-'L^'«"-)F(D,)e D, s-7F(D,]0, D,3'-yF(D,)0, .. D, 2^""' V"'"^F(D,) 0 , ed in seguito le nuove equazioni così ottenute si risolveranno per rapporto ad / // In'-l] ■ ir In" il z z z'' -("'"— ^) come se D^ fosse una vera quantità; per cui all'e- quazioni (3) dovremo sostituire Dtx - X =: «F(D^)0 , Dtx — x" == «'F(Df)e . . . D,x(«'-^) — x^"'^ =«("'- ^)F(D,)0 (9)^ D^j-/ = /3F(D)0 , Diy-7" = /3'F(D<)e . . . D^y^'-^) — y«"^ = /3^« -^^F(Di)e dalla quale si deduce x'= D^x — «F(D<)0 , x= D,^x-.(«'H-«Df)F(D/) 0 (io) /a:"'^ Dfx — («" 4- «'Df 4- «D^')F(D/) 0 Applicazione del calcolo ec. 27 1 Con queste sostituzioni nell' equazioni differenziali si elimineranno le variabili principali x^ y^ z . . » come se Df fosse una vera quantità, ed i valori che si ottengono saranno i richiesti integrali completi . Tal'è il metodo, come già abbiamo notato, che il sig. Cauchy espone negli esercizi di analisi e dì fisica matematica. I medesimi valori delle derivate da so- stituirsi nell'equazioni differenziali possono esser pre- sentati sotto alcune forme simboliche facili ad essere riconosciute. Supponiamo infatti che le costanti a , a 9 « , ... «^ ' si riducano alle diverse potenze delle quantità «j /S, y, . . . cioè allora avremo evidentemente x'=. Idtoc - aoF(D,)0 , x"=Dj X ^^lIl^\[Dt)Q \Pt — a J 7) L"' = D^._(g^^V(D,)0 r'^^'^-lfer)"*"'»^ 272 Scienze Ora queste stesse formole potranno adoprarsi nel ca- so generale, purché eseguiti gli sviluppi agli esponen- ti di a, /3, y, . . . si sostituiscano gl'indici; e dedur- reremo generalmente, che per passare dall' equazioni differenziali agli integrali basterà sostituire alle de- rivate D>. Df/, D-2, .... le nuove espressioni ,w m ed operare in seguito come se Dt fosse una vera quan- tità, e sostituire dopo lo sviluppo agli esponenti del- le costanti a, /5, y . . gli corrispondenti indici. Que- sti artificii sussisteranno quand'anche i secondi mem- bri dell'equazioni differenziali si riducessero a fun- zioni date della variabile indipendente t: solamente in questo ultimo caso converrà che certi integrali, dai quali dipendono i valori delle variabili principali, ab- biano origine a partir da £ = to. Tutto ciò si scor- gerà più chiaramente da qualche esempio che verre- mo a sviluppare nei nuovi paragrafi. Applicazione del calcolo eg. 273 ii.° Supponiamo primieramente che il sistema dell'equazioni differenziali si riduca ad una sola equa- zione caratteristica (i3) F(D,)j=o dell'ordine n; e nell'ipotesi che il coefficiente di D* sia ridotto all'unità, si tratti determinare idi funzione principale y in modo che soddisfi alla (i 3) qualun- que sia £, e per t = i^, colle condizioni (i4) j=«, D,j=«, D^/=«". .. DJ-'/W"-'^ Da quanto si è premesso nel paragrafo antecedente, la questione si riduce a sostituire invece delle derivate D^^, e risolvere quindi la nuo- va espressione riguardo ad y^ come se Df fosse una vera quantità. Qui pure la 0 è determinata dalla formola (i5) 0=^- Ora F(Df) è una funzione intera della caratteristi- ca D/, dunque dall'equazione differenziale (i3) si passerà al suo integrale, quando si sostituisca (.6) F(D,)j-p(J^5l^']F(D,)0 = o 274 Scienze e si operi in seguito come se D^ rappresentasse una vera quantità; e per conseguenza Sostituendo di nuovo il valore di 0, ed eseguendo le derivazioni indicate, si otterrà Questo valore soddisferà a tutte le enunciale con- dizioni, quante volte dopo lo sviluppo agli esponenti di ex. si sostituiscano gl'indici; infine, paragonandola con la forinola (12) del i.° paragrafo, si trova per l'indeterminata ©C/') , , F(/')— F(«) (19) 9Cr) = c-'^'o Sotto quest'eguaglianza le n costanti arbitrarie con- tenute nell'equazione differenziale restano completa- mente determinate. Se il secondo membro della (i3) fosse una funzione della £, allora dalla nuova equa- zione (20) F(DOj =/(^) si passerà all'integrale per mezzo della trasformata (-) r(D-)/-('^^^>(D<)e=/(o Applicazione del calcolo ec. 276 d'onde F(D,)-Fte) /(O Ora se 1' integrale simbolico j; - abbia origine a partir da i = z;^, avremo per la formola (9) del i.** paragrafo ,F(0-FW e^'"») _^ jl/"-'°'f^^- ("> •''-^ ,._« pvT) ^ tF«j la quale soddisferà a tutte le richieste condizioni. 12.° Se, come fa il sig. Cauchy negli esercizi d'analisi, sia proposto d'integrare le tre equazioni si- multanee del second'ordine D]x = L, jc ^. R,/ H- Q, z (24) \ Djj=.R.x^-M.j + P,z o delle simboliche (L, _ DJ) j: -f- R, j H- Q, z = o (25) < R, X4-(M. ■-DJ)/-hPxZ=:0 Q, x-i-P,/4-(N»~Dj)z = 0 ayG Scienze si troverà dall'eliminazione, la risultante simbolica r(D,) = (DJ -LO (DJ-MJ (DJ-N,) -P^ (DJ_L,) - Q', (DJ - M.) - R^ (DJ - N,) _ aP, Q, R, e quindi sostituito r in vece di D/ F(r) = (r=»-L,) (r=_Mx) (r^—N,) _ PJ (r^— L.) _ q\ (r2_M,)-Rj (r^-]N,) - 2P, Q, R, Facendo pertanto gr(f-/o) (F«) e sostituendo nell'equazioni date alle derivate di se- cond'ordine DJ a:, DJj, Dj2, le differenze DJ a:— (a -f- aD^) F(D/) 0 ^r — (/3' -+- /3D/) F(D,) e D?z — (/ H-vD<)F(D<)0 ed eliminando le jc, ^, z come se D< fosse una vera quantità, si giungerà ai valori delle medesime x^y^ 2, le quali verificano qualunque sia t l'equazioni (24), e per * == ^p Appucazioke del calcolo ec. 277 x=a, D,, C, . . . si trasformeranno in aSo Scienze La sostituzione dei medesimi nei secondi membri del- l'equazioni {a8) somministreranno le variabili prin- cipali X, j, 2 ... le quali soddisfano a tutte le con- dizioni richieste. Infine ponendo secondo il consueto r[t-to) r[t.r) (32) 0 =^— — , V = r; ed avuto riguardo all'ultime formole del parag. i2.», ricaveremo /x=(a,LH-/3,lVH-v,N4-..)0+ r' (X,L4-Y,M4-Z.Nh-..) \di (33) , D> , ed eliminate in seguito le X, ^, 2 . . . come se D^ rappresentasse una vera quantità. Barnaba Tortouni. i 28^ Bilancio della cassa di risparmio in Roma per Vanno i84i> e scritti fatti per la XF^ generale sessione della società tenuta il giorno 1 1 di luglio 1842. I. Rapporto e bilancio della cassa di risparmio per Vanno 1841 presentato dal sig. Gioacchino uil- bertazzi ragioniere. Letto ed approvato nella sessione del consiglio d^ amministrazione tenu- ta il dì 6 di aprile 1842. c > 280 3 se. 2,930.79 La prima di queste partite, che interamente si riferisce alla cassa centrale, vedasi aumentata da quel- la dello scorso anno di se. 180 circa: ma se i de- positi, come superiormente vi dimostrai, si sono ac- cresciuti: se per necessaria conseguenza le operazioni si sono moltiplicate, ed addivenute ancor più labo- riose, come quella principalmente della quotidiana ci- fra da estrarsi degl'interessi tanto attivi quanto passi- vi ; ninna maraviglia vi arrecherà che siansi dovuti assumere nuovi commessi , come di fatto seguì per vostra disposizione, e che inoltre libri e stampe in maggior numero siano occorse: dalle quali cose di- pende in gran parte l'aumento accennatovi. Le spese incontrate per la succursale di Traste- vere le ritroverete presso a poco simili a quelle de- gli scorsi anni. Provengono queste nella più parte da quelle che occorsero al primo impianto della mede- sima, che ripartite furono a rate annuali. I premi retribuiti ai depositanti di piccole som- Cassa di bisparmio a85 me hanno superato la quantità di due dei medesimi in se. 5o posti a confronto con quei del passato an- no 1840. Io credo però, o signori, che vorrete ac- cogliere con interessamento e soddisfazione speciale questo maggior impiego di danaro in un articolo, il quale vi rileva, che si accrescono sempre più i de- positanti di picciole somme: ciò che appagherà i vo- stri dcsiderii ; giacche a questo effetto appunto voi tanto lodevolmente destinaste tali premi d' incorag- gimento. A provare poi viemmaggiormente una tale circo- stanza, vi ho ripetuto quest'anno il medesimo elenco dei settimanali depositi, tanto dai bai. io fino agli se. IO, quanto dagli se. io ai 20, onde cosi a col- po d'occhio possiate cerziorarvene. Provengono infine gli se. 280 da doti distribui- te a povere zitelle. Fu questa una spesa straordina- ria che con saggio consiglio tendea a doppio inten- to: di onorare cioè il felice ritorno del benignisslmo eomun padre e sovrano, del cui speciale e costante patrocinio tutto dì nuove testimonianze riceve questo caritatevole istituto : e di sollevare, nella fausta ri- correnza , la miseria di molte famiglie bisognose di depositanti di picciole somme: conciliando così anche le disposizioni dei regolamenti, che stabiliscono l'ero- gazione dei sopravanzi ad esclusivo vantaggio dei sud- detti. I boni in circolazione non mancano del ben dovuto credito, e si ritengono dai possessori con mag- gior piacere dell'effettivo contante, perchè più como- di all'uso delle esigenze e dei pagamenli. II contante in cassa, al giorno cui è portato il bilancio, presentava la somma di se. i5, 877: ya, ol- 286 Scienze tre se. 4» ^^^ valore dei suddetti boni in circola- zione, e se. 5i3; 89 similmente di certificati di frut- ti: somma che sembrerà tenue a prima vista, in pro- porzione del capitale ritenuto in deposito, il cui am- montare avete osservato superiormente: ma a prima vista dissi, poiché dovete riflettere, che gli interessi dei capitali investili scadevano il giorno dopo, ed al- la domenica veniente confluir dovevano nella stessa cassa nuove somme di depositi. D'altronde poi ogni prudenza consiglia a non am- massare di troppo il danaro inoperoso, ma anzi col- tivare con saggezza qualunque mezzo di renderlo fruttifero : il che voi sempre risguardaste con tanta cura ed attività, che sapeste perfino far sorgere nuo- vi ritrovamenti di vastissimo ingegno atti a produr- re il desiato effetto. Io dopo che mi fu dato di aver l'onore di se- dere con voi nel consiglio amministrativo di questo singolare istituto, che conciliando la economia pri- vata con la pubblica moralità , forma uno dei piìi ulili ritrovati della civiltà europea, affrettai co'voti il termine stabilito alla triennale mia gestione, per consegnarlo splendido di non tenui risultati, dovuti alla vostra saviezza, a quello che saprà meglio di me sostenerne l'onorevole incarico. Cassa di risparmio 287 II. Rapporto dei signori soci conte Tiberio Troni ed Angelo Galli eletti sindaci nella 14 sessio- ne generale della società tenuta il giorno 9 di maggio 1842. Pieni di riconoscenza Terso tutti i nostri rispet- tabilissimi consoci per l'onore compartitoci col chia- marci al sindacato dell'amministrazione della cassa di risparmio per l'anno scorso r34i, ci siamo imman- tinente dedicati all'esame di ogni cosa a ciò relati- Ta, ed ora siamo a rassegnarne il discarico. Incominciando dal lato morale, troviamo moti- vo di estrema compiacenza nel ravvisare l'allettamen- to che prende il popolo in questa saggia istituzio- ne, e la fiducia che sempre più largamente accorda alla sua amministrazione . Imperocché in costante progressivo aumento si scorge il numero dei deposi- tanti e la somma depositata. Grande è in fatti l'in- cremento dei depositanti: dappoiché nell'anno 1840 si fecero 22, 4^4 deposili dai bai. 10 fino agli se. io, e 16,921 da detta somma agli se. 20: cosicché in tutto 39,40^ depositi per la somma di se. 370,892. 57. Mell'anno 1841 ne furono fatti 27,521 dei pri- mi, e 17,853 dei secondi , e cosi in tutto 45,374 per se. 398,052. 72: il che prova quanto accresca l'allettamento nella popolazione. La somma totale, che rimaneva affidala all'amministrazione il 3 1 dicembre dell'anno 1840, era disc. 756,146.41» e quella del 3i dicembre 1841 è di se. 974,295. 96: avendo per tal modo accresciuto di se. 2 18,1 49- 55: e da ciò 208 Scienze emerge quanta fiducia il pubblico accordi meritamente alla sua amministrazione. Ne si opponga che l'ingrandimento suo derivi dell'affluenza di alcuni, che trovano il loro vantag- gio nel collocare in questa cassa precariamente il pro- prio danaro. Imperocché s'opporrebbe in primo luo- go il fatto: scorgendosi che il maggior aumento di nu- mero apparisce nei piccoli depositi, superando quelli del 1841 di oltre cinquemila gli altri del 1840: fat- to provocato dalle sagge misure della erezione del- la succursale nel rione Trastevere, e dalla premiazio- ne annuale a favore dei piccoli depositanti che si ef- fettua nella ricorrenza del santo natale. Ma seppu- re vi concorra la circostanza del vantaggio che tro- vano alcuni di collocare presso la cassa il danaro , dobbiamo in essa ritrovare nuovo motivo di compia- cenza : dimostrandosi per tal modo avere la fiducia eslese le sue radici in suolo men fragile di quello che presenta la classe dei poveri. Ma piìi: l'affluenza del danaro assicura l'esistenza e la prosperità dello stabilimento, senza far onta menomamente al pio sco- po della sua istituzione. In fatti se la concorrenza di danaro somministra il modo, mercè del piccolo di- vario degl'interessi, di cumulare un avanzo, e carat- terizzarlo fondo di riserva o di scorta, che oggi abbia- mo la soddisfazione di veder portato a se. 28,016. 36, con ciò lo stabilimento acquista solidità reale ed in- vincibile: laddove nella ristrettezza del giro vedreb- be il pericolo di non ricavare dal divario enunciato il bisognevole per sostenere le spese di amministra- zione, quantunque tenuissime. Quindi è chiaro il gio- vamento, che dal concorso del danaro risento lo sta- bilimento; e tanto più che in ogni caso si tenne sem- Cassa di risparmio a8g pre fermo il massimo degli se. 20 nei depositi fissato dallo statuto. Passando all' esame della parte amministrativa, osserviamo che gran moto ebbero i rinvestimenti , mercè che unitamente all'ingente ammontare dei de- positi ricevuti, fuvvi forte restituzione di conti cor- »-enti, e vendita rilevante di fondi pubblici. Tutto- ciò fece che l'amministrazione dovesse occuparsi pel collocamento di grandi somme: ed in fatto rileviamo che i rinvestimenti seguiti nell'anno 1841 ammon- tarono insieme a se. 4o7j4^^- 4o» Tali rinvestimenti si distinguono : In acquisto di fondi pubblici . se. 14, 100. In rinvestimenti con ipoteche . » 4^» 000. » » Conti correnti .... » SSg, 100. » » Crediti fruttiferi ...» 14» 3o8. 40 se. 407» 408. 40 Nulla può cadere sotto osservazione in ordine ai rin- vestimenti: perchè se parliamo dei fondi pubblici, si trovano al disotto della tangente stabilita in ragione di un quinto del totale, e tutti gli altri sono inec- cezionabilmente cauti; sia colla solidità delle firme, sia colle ipoteche a seconda dell'indole dei contratti. Occorrerà non pertanto di far parola del rinve- stimento più ingente, che costituisce la massima par- te dei conti correnti: quello cioè di scudi trecento- quindici mila affidati ai dodici acquirenti, per deve- nire all'esecuzione della notissima operazione di acqui- stare la maggior parte delle azioni della banca ro- mana; il qual provvedimento noi non sapremmo se non che commendare, trovando provveduto dal voto 290 Scienze unanime del consiglio di amministrazione, il cui ze- lo sempre intelligente, attivo ed efficace ha trovato il mezzo desiderato da tutti onde impiegare il dana- ro con immancabile sicurezza, con facilità di ritiro, e con compiacenza dell'amor patrio, rendendo roma- no un altro interessantissimo stabilimento. La sicurezza la riconosciamo tanto personale , quanto reale. Sicurezza personale la costituiscono le firme di dodici primari fra i possidenti: avvegnaché ciascuno rispondendo per se. 26,25o, renderebbe inop- portuna qualunque osservazione. Oltre a questa si ag- giunge la sicurezza reale consistente nel deposito del- le azioni presso la cassa sovventrice: di quelle azio- ni che acquistate a modico prezzo, attendono solo, da una buona amministrazione di quell'altro stabi- limento utilissimo garantito da privilegio esclusivo , un aumento di valore. Tanto che, riunita l'una al- l'altra sicurezza, diviene il rinveslimento di una so- lidità ineluttabile. Nò si mancò di apporre in que- sti contratti l'obbligo di riversare la somma, nel ca- so di bisogno della cassa, in quei brevi termini sti- polati dai contratti di conto corrente, e di ottenere la facoltà di alienare le azioni per conto del debi- tore , restando il medesimo responsabile del divario del prezzo. Ci resta sotto questo rapporto di far parola del- la economia delle spese: e questa pure non possia- mo che sommamente lodare. Questo sentimento han- no sempre ed unitamente esternalo tutti quei rispet- tabilissimi soci, che ci hanno preceduto nel sindaca- to: e noi dobbiamo di più ammirare che l'imponen- te aumento delle operazioni ha prodotto il mitissimo aumento di soli se. 180 nelle spese. Cassa di risparmio agi Venendo in ultimo a trattare della tenuta del- la contabilità , possiamo assicurare essere basata so- pra regolari principii, ed in tutte la parti esercita- ta con piena esattezza e precisione, in guisa che so- no degni di ogni lode anche gl'impiegati che la eser- citano. Tutto ciò risentirà ancora miglioramento da alcuni nuovi provvedimenti, che ci han fatto cono- scere di esser disposti ad adottare, per seguire con perfetto andamento 1' ampliazione della cosa ammi- nistrata. III. Discorso di sua eccellenza il principe don Pietro Odescalchi consigliere segretario , letto nel- la i5 sessione generale della società tenuta il dì II di luglio 1842. E già questo, o signori , il terzo anno dacché io pel debito del mio officio ho 1' onore di tenervi ragionamento intorno al nostro istituto : nel quale prendendo d'ordinario a principale argomeuto la sta- tistica dei depositi e dei depositanti ricevuti o pre- sentatisi alla nostra cassa nel correr dell'anno, sole- va considerare se esso sempre più innanzi proceda verso quel fine morale di pubblica utilità, cui cosi fatte opere debbono dirittamente ed unicamente ten- dere e mirare. Mi è forza però dovervi con aperto animo confessare, o signori, che in quest'anno sono stato gran tempo in forse, se dovessi o no passarmi del seguitare nelle mie parole quell'ordine, che ne- gli altri miei discorsi ho strettamente tenuto. Impe- rocché della statistica del caduto anno avendovi da- 2Q2 Scienze to nel loro rapporto un non leggier sunto gli egre- gi nostri sindacatori, là dove essi toccano della mo- rale del nostro stabilimento , tra me pensava , che stando fermo all'usato metodo, sarebbe stato un me- desimo che ridir quasi il già detto: ed esser così a voi col mio ragionare di maggior tedio e fastidio , che forse non vi sono stato ne'due passati anni. Ma perchè d'ordinario le cose più posatamente e più fred- damente esaminate, meglio si ravvisano e si conosco- no; così postasi da me più studiala ponderazione su quel rapporto de' nostri sindaci ( rapporto, di cui il consiglio d'amministrazione ha ben di che chiamarsi onorato, tante sono le graziose e gentili parole con cui da que' due chiarissimi nostri soci è stato det- tato ) ho dovuto convincermi, che non solamente pò- leva io, siccome ho usato fin qui , parlare in ispe- zial modo della statistica; ma doveva anzi a quella unicamente attenermi , se non voleva pretermettere in quest'anno ed in queste nostre scritture una par- te dell'istoria del nostro instituto: istoria con tanta precisione di fatti incominciata dal benemerito mio antecessore, e da me , dietro le sue orme , e come meglio dalla insufficienza mia si poteva, con ogni fe- deltà seguitata. Conciossiachè se gli onorandi sinda- ci parlano nella loro relazione così per somma del- la statistica, non entrano però essi in tutti quei par- ticolari che tanto amano coloro , i quali , più assai che dalle parole e dalle cifre , è dal raffronto del- le une con le altre che si lasciano persuadere tan- to dell'ordine che regna nell'amministrazione, quanto del ben procedere e del meglio avanzare nella pub- blica morale che fa la santissima opera, alla cui in- sti! uzione con ogni buon volere e con ogni più retto Cassa di risparmio aqS intendimento abhiam dato mano, e la cui prosperità ci studiamo con ogni più indefessa cura ed amorevole sollecitudine di mantenere ed accrescere. Il perchè, fatte queste brevi parole, eccovi la statistica dell'an- no 184 1. Nel passato anno adunque sono stati aperti de' nuovi libretti: Nel primo semestre N. i6qi Nel secondo semestre » 1 2qA Che danno una totalità di libretti. . N. 2985 Ai quali aggiunti i libretti rimasi al 3i dì cli^ cernire 1840 in numero di ioo54, si ha la com- plessiva somma de' libretti in N. iSoSg. Di questa massa però di libretti essendo stati estinti: Nel primo semestre per un quantitativo di N. 809 Nel secondo semestre di „ yoQ che presentano una totalità di . . . N. i5i8 viene da ciò per conseguenza, che il numero de'li- bretti rimasi al i di gennaio del corrente anno era dì N. ii52i. A voler poi volgere uno sguardo alla condizio- ne dei possessori dei 2985 libretti, da cui tanta luce può trarsi per conoscere veramente come l'institulo nostro giovi alla pubblica morale, dico che possono essi per cosi fatto ordine ripartirsi: 294 Scienze Inservienti ed artigiani venuti di persona. N. 826 Detti per mezzo d'incaricati . ...» 1 56 Possidenti, negozianti ed impiegati . . » g33 Luoghi pii ed opere pie » 345 Incogniti per mezzo di persone incaricate. » 4^3 Condannati con libretti vincolati , . » 61 Orfani del colèra , ed alunni dell' ospizio apostolico . » 178 Creati alla cassa succursale in Trastevere. » 1 1 B In tutto sommano siccome sopra . . N. 2985 Il numero de'depositi fatti co'sovraddetti libret- ti è stato: Nel primo semestre di .... N. 22,460 Nel secondo semestre di ... . » 22,914 Che in tutto sommano a . . . N. 4^,374 I quali depositi , volti che siano a contanti , danno: Nel primo semestre una somma di se. 2 io,556: 60: ^f^ Nel secondo semestre una di . » 187,496: ii:^/. In totalità se. 898,052: 72: — Che se vogliasi instituire un raffronto tra le som- me qui sopra incassate, e quelle che dai depositan- ti sono state ritirate in tutto il corso dell'a;mo i84i> si vedrà che Cassa di risparmio aqS Nel primo semestre sono stati re- s'i'uiti se. 98,8^2: 47 :./3 Nel secondo semestre . . . se. 1 12,175: 17 : i/. Che in tutto l'anno formano una somma di 80.210,997:65: — E volendo ancor più a minuto ridurre un così fatto esame, classificando i 2985 libretti nuovi aper- ti nel caduto anno 1841, nelle lor somme speciali ripartiti e conteggiati per le cinquantuna domeniche, nelle quali ha avuto effetto l'incasso, avremo il se- guente computistico regolamento, cioè; N. 294 libretti fino a se. 10 a settimana danno se. 3,6;0:59: — che forma ciascuno se. 4:62:29 747 , ^°^ ». 20 '. ,, 14,893:03:— che forma ciascuno se. 18: 43: 19548^8o8 ^^9 » 30 °, 4,543:07:'/, che forma ciascuno se. 26:88:2iy,6q ^35 ,50 „ 13,683:36:'/, che forma ciascuno se. 40: 84: 58^20^325 474 ,,100 „ 36,314:67:— che forma ciascuno se. 76: 61: 32'327,., 244 ,,200 '„ 36,856:43:— che forma ciascuno se. 151: 05: 09104/2^: 161 . sopra li se. 200 .- ... . ,^ 56,168:60:'/, che forma ciascuno se. 348: 87: 32'53/jg^ ^•^>^^^ se. 166,129:76:'/, Delle cose fin qui dette, e con ogni precisione di calcolo dimostrate, si trae a chiarissima conseguenza: I. Che i libretti esistenti stanno al total numero co- me I a 8 ; 58 959/;„,, 296 Scienze 2. Che i libretti rimasi al i di gennaio 1842 so- no circa ^fio di più di quelli che si avevano al i di gennaio ì84i. 3. Ch&- con ciascun libretto, a voler prendere un ter- . . mine medio , sono stati fatti circa tre depositi. .4. Che ciascun libretto rappresenta un capitale di se. 55 : 65 : 48 -"T/.^g 5. Che ogni deposito può calcolarsi alla somma di se. 8 : yy : 27. 6. Che le somme ritirate stanno a quelle depositale come I a i: 88: 65 ^y,,o> tolte su tutta la mas- sa de' iSoSg libretti esistenti al primo di gen- naio 1841. E perchè finalmente nulla sìa a desiderarsi nel- la statistica , che qui sopra vi ho presentata, chiu- derò questa parte del mio ragionare col farvi istrui- ti, che i libretti nuovi aperti nel caduto anno 1841 sorpassano quelli àeW anno 1840 niente meno che di 1579; e le somme per essi libretti versate nella nostra cassa nel passato anno avanzano quelle che lo precede di se. 27,160 : i5. Ne è da maraviglia- re se di se. 20,900 : 64 sono state minori nel pas- sato anno le somme restituite, poste a confronto con quelle del 1840 : perchè ciò niente altro dà a di- vedere , se non che il pubblico ripone tutta la sua più estesa e tranquilla fidanza nel nostro instituto, a cura del quale lascia giacere e fruttificare i suoi cai'i e sudati risparmi. E che infatti il minuto po- polo si venga mano mano addimesticando, dirò così, con questa santa opera, ed incominci grado grado a ben'intendere il suo fine morale, pare a me che ne sia prova non dubbia il vedere come in ogni anno i piccoli depositi fino agli se. io, e gli altri fino agli Cassa di risparmio agy se. ao, che nella più gran parte comprendono le clas- si degli artigiani e degli inservienti , in ogni anno si accrescono perforala, che nel solo cadiito anno 1841 le due sovraccennate categorie, prese ambedue com- plessivamante , hanno di se. 2,966 : 92 sorpassai* quelle del precedente 1840. Ma se qui taluno con animo aperto e franco ci si facesse a domandare: Di grazia sono essi poi i piccoli depositi, sono essi gl'inservienti, gli artigia- ni, i manovali, e tutti coloro infine che formano la classe più comunale e bassa della nostra città, quel- li che realmente nella più gran parte hanno forma- ta la ingente somma di un milione e più migliaia di scudi , quanta ne nota la computisteria ne' suoi registri pe' depositi versati dall' incominciamento del nostro instituto a tutto il passato anno? Se uno, di- co, ci facesse questa domanda , che cosa doviemmo rispondergli ? Sarebbe pur giuoco forza, o signori , con animo egualmente franco ed aperto rispondergli, che no; e salvo di non volere andare contro a fatti troppo chiari e palesi; e di non voler negare, per- mettetemi la espressione , la luce del sole in pien meriggio; necessario sarebbe il confessare , che pur troppo le somme, onde fin qui la nostra cassa è sta- ta più sottilmente e più stentatamente alimentata , sono appunto quelle , delle quali , almeno nel più gran numero , doveva ella accrescersi ed allargarsi , se aggiungner volesse e pervenire a quel line , per cui è stata instituita e fondata! E di questo vero , che è pur bene una volta nudamente svelare, sono stati convinti gli slessi nostri sindacatori, in guisa che nella loro relazione solenneineute ci dicono : La fiducia , ripeto le stesse loro parole , cke nel- G.A.T.XCII. 19 129B Scienze Vinstituto nostro si ripone^ ha estese le sue ra- dici in suolo men fragile di quello che presen- ta la classe de^ poveri. E per questo suolo nini fragile non intendono eglino senza meno la classe di quegli speculatori, i quali, piuttosto che i lor pe- culii tener chiusi ne' domestici loro scrigni, li ven- gono a versare nella nostra cassa ? E certamente la cosa non poteva loro incontrar meglio ; imperocché oltre al ricevere del denaro, che ci affidano, un non iscarso profitto, se si consideri la presente condizio- ne de' tempi; ne ritraggono altresì il grande vantag- gio di aver quelle somme sempre pronte ed apparec- chiate ad ogni loro dimanda per rivolgerle e con- vertirle, quando che siasi , in altre più utili e più larghe operazioni d'industria e di commercio. Non avete però a darvi a credere, o signori, che così fat- to abuso dell'instituzione nostra ( lasciate che così lo nomini ) non sia stato conosciuto e notato dal consiglio, in cui voi avete commessa la somma del- le cose spettarli i all'amministrazione. Esso fin dal bel principio vide ciò che di men retto venivasi mano mano intromettendo, e senza ristare pose ogni stu- dio di accorrere al riparo; ma perchè accade le tan- te volte , che rendesi più facile il prevenire i dan- ni , che il causarli quando siano già sopraggiunti ; così vide esso consiglio che dove mandate si fosse- ro ad effetto quelle provvidenze, che pensava e tra se immaginava , avrebbero elle direttamente violato la integrità degli statuti : ciò che sarebbe stato un medesimo che il far decadere il fiorentissimo nostro insiituto da quella pubblica fede , che ogni condi- zione di persone in esso ripone estesissima. Posto adunque il consiglio in queste strette, fece quel che Cassa di msPAnMio agg ogni prudente e retta amministrazione , che niente altro maggiormente curi che il bene dell'opera a cui soprastà , doveva unicamente fare : e fu di chieder lume sull'oggetto ad alcuna delle principali casse ita- liane. Ma qual fu mai, o signori , la maraviglia di tutti noi nell'essere accertati per tutta risposta, che'^ anche esse come avevano urtato nello stesso scoglio, così niente avevano saputo trovare di buono per evi- tarlo od allontanarlo ? Ed in vero se, posta giìi ogni particolare opinione , si ponderino attentamente sì le leggi che reggono l'instituto, e sì le ricevute con- suetudini, ferme pur esse sovra le stesse leggi, non potrà negarsi da chi si abbia fior di senno , essere assai difficile impresa quella di trovare tali ordina- menti che raggiungner possano il fine per tutti noi desideratissimo. Imperocché se così fatti ordinamen- ti non prendessero di mira che la generalità dei de- posili, essi assai facilmente potrebbero annoverare e reputare siccome interessale speculazioni quelle, che in sostanza niente altro sarebbero che oneste e com- mendevoli provvidenze di molte tra le ben regolate famiglie: le quali saggiamente sollecite dell'avvenire,! ' piuttosto che scialacquare in lussi ed in gozzoviglie il di più de' non doviziosi lor redditi , lo pongono al sicuro, e lo versano in serbo nella nostra cassa. Or se in contrario essi ordinamenti niente altro ri-I sguardassero che individuali o particolari depositi; ec-' co ch'essi andrebbero dirittamente a ferire la estima- zione, o, ciò che più monla, Tinferesse di certuni^ ^ che acquistatasi nell'universale una tal qual nomi- nanza di provvidissimi amministratori , si traggono dietro gran seguito. E con ciò sarebbe molto a te- mersi , che punti che fossero questi una volta in 3oo Scienze quel loro amor proprio , niun'allro buon uso forse fossero per fare del loro credito, che di convertirlo a svolgere la moltitudine dall' avere più oltre quel- la cieca fidanza che già ha avuto fin qui in uno stabilimento, d'onde si fosser veduti a loro dispetto allontanati e, quasi dirò così , sbandeggiati. Sicché il consiglio amministrativo, avendo esposto francamen- te come si passi il fatto, nel promettervi che fa di non tralasciare certamente di aver sempre presente un oggetto di tanta importanza, non potrebbe più pruden- temente operare ch-e a voi rivolgendosi , o signori , affinchè per quella sperienza e per quel molto sape- re che avete in queste instituzioni, le più sante sen- za meno, le più rette, e le più giovevoli tra quelle moltissime che compongono la pubblica economia , vogliate de' vostri consigli cortesemente giovarlo: ed in pari tempo al bene dell'instituto, cui avete dato il nome , con ogni possibile efficacia concorrere e provvedere. A queste parole da me unicamente dette per onore del vero, e pel solo fine di accendere sempre più gli animi vostri a farsi che studiosamente e di- ligentemente intendiate a levar di mezzo quegli abu- si, che pur troppo guastano ed a scopo indiretto ri- volgono e forse menano quest'opera benefica e pia ; poco o nulla aggiugneiò ( per ritornare all'argomen- to che ho alle mani ) intorno al modo d'essere sta te rinvestite ed allogate le somme affidate alla no- stra cassa, che, come dicemmo , ammontano già ad un milione e a più migliaia di scudi. Imperocché abbastanza e con precisione degna del loro zelo ne hanno discorso questi egregi sindacatori. (htIo è pur cosa da mettere non leggiero compiacimento negli Cassa di hispARMio 3o! animi nostri il vedere , che non appena compiutosi un lustro, dacché bambina sorse qui in Roma la cas- sa di risparmio , essa è già sì fattamente cresciuta , che ha tanto da per se di capitale da bastare col solo suo frutto ad una metà delle spese, che occor- rono per l'amministi-azione. Talché se , come è da nutrire ogni buona speranza, il cielo di sua special provvidenza favoreggerà e benedirà le nostre cure , facendo sempre più in meglio prosperare lo stabili- mento, avremo , non più in là di altri cinque an- ni , non solo di che largamente satisfare alle men- sualità di coloro, che indefessamente ne sostengono ii buon andamento amministrativo; ma avremo ezian- dio più facili i mezzi o d' incoraggiare viemaggior- mente i piccoli depositanti, o di aprire novelle suc- cursali, o finalmente di poter dare altrui il danaro a quel saggio stesso che noi retribuiamo a coloto che nelle nostre mani commettono i lor risparmi. Ne , come sonosi alla perfine condotte le cose dell'ammi- nistrazione, avremo quind'innanzi di che dover vi- ver tapini, e solleciti sul modo di dare utile e pro- fittevole esito al danaro: ancorché questo, più assai che non è stato fin qui, si accrescesse e si moltipli- casse. Imperocché l'acquisto delle azioni della ban- ca romana, eseguito co' fondi della nostra cassa , e cosi solidamente e sicuramente guarentite, è stata ta- le operazione da toglier via ogni temenza di veder mancar l'opera nostra per soverchio alimento, e por troppo estesa felicità. Io non mi fo a narrare sì i particolari di questa operazione, e si i suoi vantag- gi, perchè bene li conoscete ; e per la scienza ch'è in voi delle pratiche commerciali non potete non averne subito pregiata fino in fondo la conve- 3o2 Scienze nienza e la utilità, la quale quanto grande e quan- to vera sia vi gioverà, meglio che da me , appren- dere dalla sentenza , che i nostri sindaci con ogni coscienza ed imparzialità ne hanno pronunziata. Io mi ristringo soltanto a dire, che sommissime lodi par- mi doversene riferire da ognuno a chi seppe pensa- re un così fatto provvedimento, e in mezzo a mil- le traversìe felicemente condurlo a fine. E come noi pel bene del nostro inslituto dobbiamo chiamarcene conlenti e soddisfatti, così soddisfatta e conlenta de- ve esserne la nostra Roma, la quale per tal modo ve- de aiutalo e largamente soccorso un altro stabili- mento , da cui tanto profitto ritrae la pubblica in- dustria ed il cittadino commercio. Da ultimo, per- chè niente in questo mio discorso sia preterito di ciò che voi dovete sapere, vi dirò che il consiglio , se- guita che fu all'incominciare del corrente anno la elezione di una parte dei membri che lo compongo- no, ha subilo tolto nuovamente in maturo esame l'in- terno ammlnisttativo regolamento, il quale ho speran- za fermissima che tra non mollo potrà essere a voi sottoposto per le opportune osservazioni, e per es- sere , siccome è debito , dal vostro autorevole voto fermalo e sancito. Ecco, o signori, le cose che ho stimato bene, senza lusinghe e piagenterie, ma con ogni verità di animo e con ogni franchezza di parole, dovervi nar- rare e palesare: persuaso, come sono, in quella sen- tenza di un grande nostro e istorico e filosofo e por- porato: Che indarno sono i discorsi dove Vespe- ricnza è palese (*). Bella e fiorente si avanza Cer- ri, C) Cardinal Pallavicini. Cassa di rispamio 3o3 tamenle l'inslituzione, a cui ci porgiamo ; ma non isplende ancora di quella beltà e chiarezza ch'esser dovrebbe particolare sua proprietà. Ora perchè ciò sia, e a tanto essa giunga, io non ho parole sì ef- ficaci e sì calde che bastino a raccomandarlo a quel nobile e santo zelo, che così generosamente vi spin- se a dare i vostri nomi a tanta opera di carità e di civiltà, anzi di morale e di religione. Deh! pensate, che tanto piìi ella si farà innanzi verso il suo fine, quanto più il minuto popolo vi accorrerà volonte- roso e persuaso; e che tanto più alla patria gioverà, quanto più per essa nella minuta e più rimessa con- dizione de'cittadini crescerà l'onore, la temperanza, l'ossequio alle leggi e la domestica economia. Osservazione di chirurgia. Lettera del dottore ^Scanio Ballanti al eh. sig. prof. Francesco Bucci membro del collegio medico-chirurgico di Bomu, chirurgo primario dell'arcispedale di s. Spirito ec. u, n bambolino appena di tre anni era su di un let- to, tenendo nelle mani un bicchiere di vetro affine di solazzarsi : e siccome non era da alcuno guarda- to , nel dimenarsi che faceva si trovò all'estremità del medesimo e cadde boccone al suolo ; talché ne riportò due larghe ferite contuse e lacerate, l'iina al di sotto della mammella sinistra, muscolare, larga S dita trasverse, l'altra nella regione epigastrica della 3o4 Scienze TTieJesima grandezza, penetrante in cavità con lace- razione dell'omento, uscita del medesimo e coll'usci- ta eziandio dello stomaco. Devo confessare , sig. maestro , che in quel- l'istante mi sarei pentito di esser chirurgo: tanto sen- tii compassione nel vedere quell'innocente bambino in uno stato si lacrimevole! Mi affrettai di render- gli tutti i soccorsi dell' arte nostra , finche ebbi la consolazione di vedere cicatrizzate le ferite nel no- no giorno: laonde nel i8 era perfettamente ristabilito. In questa trista circostanza mi sono sempre più convinto , l'assistenza aver più potere di un' abilità trascurata. Tale adunque fu 1' esito felice , se nella cura fuvvi alcun poco di merito, ne torni maggior gloria e onore sì alla professione , e sì a lei che fu mio precettore carissimo. Questa è la relazione della cura da me opera- ta in chirurgia: ed a lei, che me ne fece dimanda, ho creduto di dover sodisffare, per addimostrarle quell'af- fetto e stima che nutro ec. Roma i5 agosto i84a. 3o5 La ripristinazione dei nasi artificiali è tutta invenzione italiana. Memoj^ia di Baldassare Chimenz dottore in filosofia e in chirurgia , decorato di una gran medaglia d^oro d^onore da S. M. Luigi Filippo I re de^ francesi. JLia restituzione del naso è una operazione chirur- gica che ne' diversi suoi modi fu praticata sul prin- cipio del XV secolo nelle provincie meridionali del regno di Napoli, e di là propagata ad altre parti d' Italia e di Europa. Era ben giusto perciò che volen- dosi stendere a' giorni nostri un trattato sopra que- st'argomento, dovesse essere composto e pubblicalo da un italiano: anzi piìi opportuno sarebbe slato che un napolitano ne fosse slato l'autore. Uno scrittore stra- niero incomincia con una succinta slorica esposizio- ne delle varie maniere poste in uso per la restitu- zione del naso, e le riduce a due metodi principa- li, che in considerazione delle nazioni, a cui se ne attribuisce la scoperta, chiama l'uno m<;//a/^o, l'altro italiano. Il primo, creato nelle indie orieutali, con- siste nello staccare un lembo di pelle dalla fronte per applicarla sugli avanzi del naso mozzo prepara- to a riceverlo, o ad innestarsi con essa mediante op- portune scarificazioni. Questo metodo, annunciato al- l'Italia fin dal 1804 coll'operetta del Baronlo De- gli innesti animali^ è stato, secondo l'autore, cono- sciuto e praticato in Europa negli ultimi tempi per 3o6 Scienze le cure del chirurgo Inglese I. C. Carpne. Nota- bili miglioramenti furono indicati dal Graefe, chirur- go prussiano, per l'esecuzione di questo metodo, al quale ha per altro stimato di preferire l'italiano. Con- siste questo nello staccare la pelle della superficie interna del braccio per innestarla sulle parti residue e scarificate del naso: e chiamasi a buon dritto ita- liano , perchè inventato dal Branca siciliano , indi accreditata dal Tagllacozzi di Bologna , e da altri che lo insegnarono e praticarono posteriormente. Pareva intanto dimenticato , non creduto , e deriso eziandio, quando surse in pensiero al Graefe di ri- chiamarlo dall' oblio, a cui era stato indegnamente condannato: e lo migliorò d'assai. O italiano, o in- diano, o siculo-Calabro che voglia chiamarsi, impor- terebbe alla storia dell'arte a quale dei due Branca se ne debba la prima in venzione. Finora non ne ab- biamo veruna notizia ; né si sa , se al padre o al figlio debbasi l'onore della nuova e miglior manie- ra di ripristinare i nasi mutilati: e molti altri scrit- tori ci lasciano nella medesima incertezza. Sarà pre- gio dell'opera di riunire insieme, e di ponderare gli scarsi documenti che ci rimangono intorno all' ori- gine ed ai progressi di questa operazione. I due Branca nel 144^ risarcivano i nasi, ma non ambe- due nello stesso modo. Sembra che il padre seguis- se l'antico metodo indicato da parecchi scrittori di chirurgia latini, greci, ed arabi: e che il figlio An- tonio altro ne tenesse, che era sconosciuto fino a quel tempo, e che fu da lui immaginato staccando con miglior consiglio da parti remote ( e che si pos- sono coprire, come per es. dal braccio) la pelle da saldarsi sul naso mutilato. Ne siamo accertali da Restituzione dei nasi 807 Bartolomeo P'azio che scrisse la storia degli uomini illustri del tempo, e che parlando della maraviglio- sa abilità dei Branca suoi contemporanei, disliiigue coi seguenti termini la maniera del padre da quella del figlio : Praeterea qaod carnis pater secabat prò sufficiendo naso ex illius ore^ giti mutilatus esset , ipse (filiiis) ex eiusdem lacerto , et in eo vulnero, infixis mutilati nasi reliquiis, iisque ar- ctissime constrictis adeo, ne mutilalo commovendi quopiam capitis potestas esset, post quintumdeci- viamjnterdum vigesimum diem, carnunculam quae naso cohaeserat desectam paulatim, postea cultro circumcisam in nares reformabat tanto artificio, ut vix discerni oculis iunctam pò s set, omni oris de- Jormitate poenitus sublata. Il Tiraboschi ed il Mo- relli, che non erano ne anatomici né chirurgi , les- sero questo passo del Fazio con qualche varietà, pa- rendo loro di non trovarlo abbastanza chiaro : ma sembra questa essere stata la vera e giusta lezione, dalla quale apparisce essere stato Branca il figlio, o Antonio, colui che si scostò dall' antico metodo di risarcire i nasi : parlando di Antonio anche Calen- zio poeta napolitano , contemporaneo ed amico di Sanazzaro e di Fontano , alla cui famosa accademia era ascritto. Invita costui un suo amico per nome Orpiano, che avea perduto il naso, a recarsi a Na- poli , ove il siciliano Branca uomo d' alto ingegno sa, dic'egli, mirabilmente innestare i nasi risarcen- doli con la pelle del braccio del paziente , o con quella di qualche servo. Questo nuovo metodo, in- ventato dal giovine Branca, fu adottato in alcuni paesi della (Calabria, ove furono famiglie che acqui- starono fama per tale operazione esercitandola qua- 3o8 Scienze si per diritto ereditario. La fimiiglia P^ìanTìéo [Bur- rius. De antiq. et sitit Calab. ), e quella di Baia- no in Tropea , come dice Cortesi Misceli, med. dee. Ili pag. 83 , si segnalarono in questa cirrie- ra. Ora se il vecchio Branca, seguendo Tantico me- todo, staccava la pelle dalla faccia, e fors'anche dal- la fronte, ex ore^ per applicarla al naso, si deve giu- dicare che il così detto metodo indiano non deb- basi reputare sconosciuto in Europa prima che fosse accreditato dal chirurgo inglese Carpne. Malgrado dell' oscurità con la quale si esprimono gli scrittori di chirurgia , in ispecie Celso, si rileva che l'ope- razione più comune in quei tempi era di togliere la cute da innestarsi dalle parti più prossime al na- so , ossia dalla stessa faccia , e precisamente dalla fronte. Ma utilissima fu l'innovazione introdotta dal Branca prima del secolo XV : imperocché otteneva l'intento senza produrre nuove e deformanti cicatri- ci sul volto. Quando il Tagliacozzi verso la metà del XVI secolo si spacciò in Bologna per l'invento- re di un nuovo metodo di restituire i nasi, pubbli- cando a ciò un libro con 24 capitoli, a cui aggiun- geva le ribombanti parole di arte finora ignota^ e di invenzione peregrina e maravigliosa , non po- teva con più impudenza mentire. Si degna appena egli di nominare il siciliano Branca , quasi che lo stimi soggetto favoloso : e disprezzando tutti coloro che avevano prima di lui scoperto il novello metodo, come il Vesalio, il Pareo, il Gourmeleno, e lo Seken- kio, conchiude doversi a lui solo il vanto di una così importante operazione di chirurgia, come dice nel suo trattato De cur forum chirurgia lib. I cap. 19, Il goffo emblema di un naso postogli in mano della sta- Restituzione dei nasi Sog tua eretta nel museo anatomico di Bologna non gli conviene come ad inventore, ma come ad un illustra- tore di siffatto metodo: poiché tanto ne scrisse che fu anche troppo, avviluppandosi in molte teorie ed inutili discussioni. Che se egli praticò questa ope- razione, non lo fece con quella frequenza che talu- no potrebbe a prima giunta supporre. CI. B. Cortesi, che fu suo successore in Bologna, candidamente di- chiara che il Tagliacozzi avea soltanto illustrato e qua-^i perfezionato il metodo di rimettere i nasi: e sog- giunge colla stessa ingenuità, che vi riuscì con l'aiu- to dei medici di Tropea della famiglia Boiano. Il Cor- tesi, il quale visse fino alla metà del secolo XVII, continuò a praticare ed insegnare questa operazio- ne (come leggesi nelle sue miscellanee); ed il Mo- linelli afferma di essere slato testimonio oculare di una felicissima operazione di tal fatta eseguita da suo padre sopra un polacco nel i625. Intanto, che che ne sia di tali ricerche isloriche, certo è che Graefe immaginò degli utili cambiamenti, come si può vedere nella sua opera intitolala De rìilnoplastice stampata in Berlino l'anno iUi8 , le tavole della quale sono pubblicate dall'autore. Ado- pera egli una previa misura per la quantità e la for- ma della pelle da slaccarsi dal naso: non indugia sì lungo tempo ad inneslarla sul naso, come il Taglia- cozzi faceva: ha inventalo nuovi slromenti atti a da- re al nuovo naso una forma naturale: ed ha ideato una tal maniera di legare, o fasciare il braccio con la testa, da non permettere affatto che l'una si muo- va senza l'altro, e viceversa. Olire che alle restitu- zioni praticale da quosto professore di Berlino , se- condo il metodo indiano migliorato da lui, una ne 3io Scienze eseguì con quello semplice del Tagliacozzi, ed altre due con le modificazioni da lui introdotte. Fortunatamente i nasi a'giorni nostri sono me- no esposti a ruJna. Non si recidono più , essendo cambiate le leggi e i supplizi. Si mozzavano i na- si , le orecchie , le palpebre ai malfattori in segno di obbrobrio. Il naso forma la venustà e la maestà dell'uomo, e in esso anco appare una certa grandez- za di regnare. Inest praeterea naso nescio quid augustum et regium : an quia forma corporis et animae decoris index sit , an quia peculia- ris quaedam impevandi dexteritas et prudentia in eo eniteat : cosi scrive Gioseffo ebreo: cosi dai persi si venera nel loro re il naso aquilino. Portai ha confuso il naso grosso coll'aquilino, ed alla france- se ha scherzato col prefato storico asserente che cer- te nazioni eleggevano in loro re colui che avea il naso grosso, Quol mah; contagioso, che tanti ne mieicva al suo primo apparire in Europa, si è alquanto più reso mi le, Fuvvi un tempo, in cui col naso mozzo fu ve- duto finanche regnare un greco imperatore, detto per- ciò Rhinotnece: e SI legge negli editti dell'imperato- re Costantino: Hoc quoque anno iisdemque coss. Constantinus imperator ( quod christianuin prin- cipeni decuit) poenani Ulani abolevit , qua mise- roruin honiinum vuìtus inscriberentur, cum ad Eu~ meniuni sic rescvipsit: Si quis in luduni fuerit , vcl in metallum prò criminum deprehensorum qua- litate danmatus, minime in eius facie scribatur^ duni et in manibus et in suris possit poena da- mnationis una sci'iptione comprekendi, quo facies, quae ad similitudinem pulchritudinis coelestis est Restituzione dei nasi 3 1 1 figurata, minime maculrtur , nec foedari debet. Dat. XI Kal. decembris Licinio fjuintum, Constanti- no quartum^ et Crispo Caes. Coss. Ma l'imperatore fu inesorabile contro gli ebrei , condannandoli al- la mutilazione delle orecchie per distinzione obbro- briosa. Nulladimeno potrebbe pur esservi alcuno sven- turatamente privato del naso per violenza esterna: e noi crediamo che a restituirglielo sia da preferirsi agli altri metodi quello italiano perfezionalo dal Grae- fe. Dubitiamo però assai che questo o qualunque altro possa giovare, quando un veleno interno avesse distrutto il naso: poiché le cause, che hanno fatto perdere il primo, v'ha giusta ragione di temere che minaccerebbero rovina anche al nuovo. Non man- carono ancora in Roma chirurgi che si occuparo- no di eseguire questa operazione. Sisco , quell'in- signe operatore di chirurgia, la praticò due volte in due abitanti degli abruzzi. Flaiani figlio la istituì in una donna di Roma, e dimostrò più volte l'opera- zione ai suoi allievi nell' arciospedale di s. Spirito. Finalmente il professore della clinica di chirurgia dot. Titocci, dettando con molto plauso pubbliche lezioni nel teatro della Sapienza, ha dichiarato aver- la eseguita ancor esso in un individuo: ed il cele- bre anatomico Laurenzi ed il Grana l' hanno qual- che anno addietro praticata con ottimo risultato. ^ 3l9 ^m^TMUM^T^UM, Dante. La divine comédief enfer , purgatoir , paradis. - Traduction en vers, avec le teste en regard^ accompagnèe de notes et éclaireis- sementSi par E. Aroux ancien deputò. [Voi. 2 in 8.° piccolo. Paris ^ Blanc-Montanier libraire^ rue de Savoie ecc. 1842.) LEHERA A FILIPPO GERARD! uno de' compilatori del giornale arcadico. Amico mio Da Montefortino ila settembre 1842. ^^uesta mattina appunto ho ricevuto i libri che per me ti furono mandati da Firenze, e debbo rin- graziarti di cuore della premura che ti sei dato per- che gli avessi sollecitamente sin qui. Questi libri so- no giunti davvero in tempo, e m'aiuteranno a cac- ciar da me la noia che da una settimana mi fa guer- ra in grazia del continuo piovere a dirotto , da cui Trad. francese di Dante 3i3 sono inchiodato in casa, senza speranza che qualcu- no degli amici vicini venga a Irovarmi: giacché lutti temono d'annegar per istrada sotto le sterminate piog- ge, o d'esser arsi dai fulmini , o accoppati da certi pezzuolini di grandine somiglianti a pesche , che a scrosci rovinan giù dalle nuvole. Ho dato un'occhiata ai titoli delle opere spedi- temi, e spero che avrò di che divertirmi con profit- to per non pochi giorni. La traduzione di Dante , fatta in versi dal francese signor E. Aroux, sarà la prima cosa ch'io leggerò, poiché tu vuoi averne ad ogni costo il mio giudizio. Siccome però a volerli con- tentare v'è bisogno di tempo, e siccome tu per tue ragioni desideri di aver subito il parer mio, così per appagarti ho risoluto dirti ora alcune coserelle riguar- danti Vinferno, a cui di volo ho dato una letta, fer- mandomi ai passi più noti e famosi. In seguito poi e'a bell'agio mi studierò darti il mio sentimento sul- l'intiera opera: intanto, senza menartela più per le lunghe comincio. Io credetti e credo , sia cosa difficile tradurre poeticamente d'una in altra lingua le poesie d'ogni sorta; e quanto alla Diviiui Commedia dell'Alighieri ho stimato sempre , fosse cosa difficilissima e quasi impossibile voltarla in versi di qualsivoglia linguag- gio. Ed ecco qui il signor E. Aroux, che col fatto suo viene a raffermarmi nella mia opinione per quello spelta alla lingua francese. Egli in una specie di pre- fazione ci fa sapere , che non piacendogli d'imitare coloro fra'suoi concittadini, i quali tradussero Dan- te in prosa, e neppur quelli che lo voliarono in ver- si alessandrini rimali a due a due, conforme dà lo stile epico e tragico francese; e che d'altronde non G.A.T.XCI1. 20 3ij Letteratura sentendosi animo né capacità bastante per imilare la terza rima italiana, si è risoluto tradurre il sommo poema dell'Alighieri in versi alessandrini liberi; cioè rimati così a caso, o dove meglio tornavagli conto, senza assoggettarsi a regola costante. Dice inoltre di essersi appigliato a quest'ultimo partito, per non si trovar costretto, causa l'obbligazione locale della rima, a parafrasare, o a invertere, o torcere il sen- so dell'originale coU'aggiungere nella traduzione gi- ri di parole o epiteti, o cose simili. Veramente io mi sentirei disposto a menar buo- ne al signor E. Aroux tutte le sopraccennate ragio- ni, se in fatto gli avesser davvero servito per giun- gere allo scopo che s'era in mente prefisso, siccome ne assicura; ma; se non m'inganno a partito, parmi che egli, ad onta de' suoi versi alessandrini liberi^ abbia di frequente alterato il vero senso di Dante , e lo abbia quasi di continuo ampliato con epiteti non solo oziosi , ma capacissimi di snervare i forti concetti del divino poeta. Eccone qui appresso tre o quattro brevi esempi ( presi fra mille che a caso potrei citare ): e questi servano a persuaderti che non parlo in aria. Dante incomincia il terzo canto così: Per me si va nella città dolente : Per me si va nell'eterno dolore : Per me si va tra la perduta gente. Il signor E. Aroux traduce questi versi nel se- ^guente modo : lei par moi fon va dans la cité maudite , lei par moi fon va dans Véternel malheiir^ lei par tuoi Von va chez la race proscrite. Trad. francese di Dante 3i5 E più innanzi) pure nel terzo canto, leggiamo: Caron dimonio, con occhi di bragia Loro accennando, tutte le raccoglie : Batte col remo qualunque s'adagia. Ecco in qual modo il traduttore ha voltato in fran- cese questa terzina : Caroriy hideiix dénion, de son regard de feu Dans sa nefleur fait signe en hdte de descendr^e, Et bat de Vaviron qui se fait trop attendre. Il canto settimo incomincia con questi due versi: Pape Satan, pape Salan aleppe , Cominciò Pluto colla voce chioccia : La traduzione canta nobilmente cosi : Pape Satan aleppe^ arrière^ garde à vous ! Cria d'abord Plutus dhnie voix rauque et dure. E qui ti voglio avvertire, che il signor E. Aroux, siccome egli ci dice in una nota, nel tradurre il pri- mo de' due citati versi, intorno alla cui interpreta- zione tanto sudarono i commentatori di Dante , si attenne alla spiegazione che Benvenuto Cellini ne dà nella sua bizzarrissima vita. Ma lutti sanno quanta poca fede si possa aggiustare all'opinione di quello strano cervello, quando si vanta di aver trovalo nello e schietto il vero senso delle oscure parole contenute in quel verso dell'Alighieri. 3i6 Letteratura Intanto io spero, amico mio, che i saggi sopral- legati t'avran fatto scorgere, come il signor E. Aroux co' suoi versi alessandrini liberi non sia riuscito , secondo si prometteva, a render facilmente in poe- sia francese i concetti di Dante, senza giri di paro- le, senza inversioni , senza aggiunte di epiteti. Ma perchè tu su questo proposito non abbi da startene al- le mie parole, e a un bisogno possa dare il tuo giu- dizio in piena coscienza , ecco che qui appresso ti trascrivo un passo ben lungo del canto XXXIiI del- l' inferno , là dove si narra il tormento del conte pigolino. Non ti maravigliare se alla traduzione pon- go innanzi il testo tal quale si trova nel libro che lio Ira'mani. Ciò fo non per altro se non per que- sto , che tu mi dica cioè , se a te pure sembras- se, conforme sembra a me, che il traduttore non sia- si valso della migliore e piij accetta lezione del dan- tesco poema. Anzi circa questo punto mi farai gra- zia somma interrogando i tuoi dotti compagni del- V Arcadico ^ e facendomi saper che cosa ne pensino. E vero che da questo lato il signor Aroux può essere in certo modo scusato, perchè, essendo straniero, po- teva non credersi tenuto a saper quale fosse la più perfetta lezione che noi abbiamo di Dante; pure si avrebbe il diritto a rimproverarlo di trascuraggine se, rneilendosi a un'impresa grande e difficile, qual'è il voltare in poesia francese il solennissimo de' nostri poemi , non si fosse dato cura d' interrogare alcun valente italiano circa il testo meglio corretto di es- so, a cui sicuramente attenersi traducendolo. Il canto XXXIII dell'inferno ha principio colla terzina: TnAD. FRANCESE DI DanTE ZlJ La bocca sollevò dal fiero paslo Quel peccator, forbendola ai capelli Del capo, ch'egli avea diretro guasto. La qual terzina così abbiamo dal nostro traduttore: Da saiwage repas alors le malheureux Eli soulevant sa bouche essiijée aux cheveux De la téte qiCil a derrière mutilée. Lasciando poi da parte un certo numero di ter- zine, per amor di brevità, e ripigliando, ove l'inte- resse si fa maggiore per la patetica e gagliardissima narrazione di Ugolino, leggiamo col testo; Quand'io fui desto innanzi la dimane Pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli, Ch'erano meco e domandar del pane. Ben se' crudel, se tu già non li duoli, Pensando ciò ch'ai mio cor s'annunziava : E se non piangi, di che pianger suoli ? Già eram desti, e l'ora s'appressava Che il cibo ne soleva essere addotto, E per suo sogno ciascun dubitava ; Ed io senti'chiavar l'uscio di sotto All'orribile torre: ond'io guardai Nel viso a' mie' figliuoi senza far motto. Io non piangeva, si dentro impietrai : Piangevan elli ; ed Anselmuccio mio Disse : Tu guardi sì, padre, che hai ? Però non lagrimai, né rispos'io Tutto quel giorno, né la notte appresso , ^ Infin che l'altro sol nel mondo uscio. 3i8 Letteratura Come un poco di raggio si fu messo Nel floloroso carcere, ed io scorsi Per quattro visi il mio aspetto stesso, Ambo le mani per dolor mi morsi ; E quei, pensando ch'io '1 fessi per voglia Di manicar, di subilo levorsi, E dlsser: Padre, assai ci fia men doglia Se tu mangi di noi : tu ne vestisti Queste misere carni, e tu le spoglia. Quetàmi allor per non fargli piìi tristi : Quel di e l'altro stemmo tutti muti. Ahi dura terra, perchè non t'apristi ? Posciachè fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gittò disteso a' piedi , Dicendo: Padre mio, che non m'aiuti ? Quivi mori; e, come tu mi vedi, Vid'io cascar li tre ad uno ad uno Tra 'l quinto di e '1 sesto; ond'io mi diedi Già cieco a brancolar sopra ciascuno, E tre dì gli chiamai poiché fur morti : Poscia, più che '1 dolor, potè'l digiuno. Quand'ebbe detto ciò, con gli occhi torti Riprese '1 teschio misero co'denti Che furo all'osso, come d'un can, forti. Ahi Pisa, vituperio delle genti Del bel paese là, dove'l sì suona ; Poiché i vicini a te punir son lenti, Muovansi la Capraia e la Gorgona, E faccian siepe ad Arno in su la foce. Sì ch'egli anneghi in te ogni persona ! Che se il conte Ugolino aveva voce D'aver tradita te delle castella, Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. TnAD. franct:se di Dante 3 19 Innocenti Iacea l'età novella, Novella Tebe ! Uguccione e '1 Brigala E gli altri duo che 'l canto suso appella. Ecco in qual modo il traduttor francese venne rendendo nella sua poesia il sublimissimo squarcio ri- portato sopra. AVaube quand V oiivris mes jpiix appesantisi J^entendis mes cnfants sous les soiiibres muraìUes Pleurer daìis le sommeil et deinander da poin. A ce qui s\innongait d\mgoisses pour mon srin, Ton coeur est bien criieì sUl ne sent mes alarmesl De qaoi peux-tu pleiwer si ne conlent tes larmes? Toits noiis ne dovmions plus, et Vlieure s\n>ancait Oà fon nous apportait la triste noun'iture. Chacun en fréniissant à son réve pensait\ Quand de Vhorrìble tour fentendis la dature Qu\iu-dessous on clouait. Suns prononcer un mot Je regardai mes fils de qui le front s\dtère^ E je ne pleurai point: glacé je divins pierre. Eux ils pleuraient. J^ouis mon petit Anselmo Me dire: - A regarder ainsi qu\is-tu donc, père7- Jc demeurai Voil sec\ de mes lèvres un son Ne sorlit tout ce jour et de la nuite efitière; Puis un autre soleil vint luire sur la terre. Lorsq''en la douloureuse et funebre prison Il eut fait pénétrer un débil rajon, Je vis mon propre aspect peint sur (juatre visagcs. Et, tordant mes deux poings, me pris à les ranger. Eux crojant que c^était par besoin de manger, Se levèrent soudain disant: - Pere, de gnlce ! Nous en soujfrirons moins si tu ?ììanges de nous; 320 Letteratura Tu nous (loniìus ces chairs misérables a toiis, Reprends-les à celle heure et nous en débaivasse.' Alors je me calmai pour ri'acc/'oitre leur nianx. Ce jour et Vautre encor, devorant nos sanglots, Nous restdmes muets, Lnpitofable terre, Pourquoi ne t'es-tu point ouverte sous nos pas ? Du quatrìème jour se monfrait la lumière, Qaddo raide a mes pieds tomba, s'écriant: - Prre^ O pere ! se peut - il que tu ne fìi'aides pas ! - Il y demeura froid et moui'ut sur la pierre. Puis du cinquième jour au sixième, tous troìs Je le i'is succomber ainsi que tu me uois, Un a un. Je me mis, aveugU de souffrance, A ramper à tàton de Vun à Vautre corps, Les appelant deux jours après qu^ils furent morts. Puis, plus que la douleur, le jeùne eut de puissance. Quand, Voeilfixe et agard, il eut fini ces mots. Se reprirent ses dentes au orane misérable. Come celles d'un chien faisant craquer ses os. Ah ! Pise, ville impie et Vobbrobre durable Des pafs fortunés oà résonne le si. A punir tes forfaits si tes voisins ainsi Montrent tant de lenteur et que le del ne tonile, Puissent donc s'ébranler Capraia, la Gorgone A VArno faire digue, et refoulant ses flots. Sur toi le rejeter, t'engloutir sous les eaux ! Quand du comte Ugolin les tranies criminelles Auraient à Vennemi livré tes cittadelles, Ses fils auraient-ils du partager ses tourments ? Uguccion, Brigata, les deux autres encore, Nouvelle Thèbes, dont la fm te déshonore, Leur jeune dge en faissait des étres innocents. Trad, francese di Dante 32 1 Vieni or tu ponderando questo tremendissimo passo del poema di ])ante , raffrontalo colla tradu- zione, e sopratlui-to poni ben mente alla terzina che principia : Ben se^cricdpl^ se tu già non ti duo- li; all'altra : Io non piangeva, sì dentro impietrai; a quella che incomincia : Ambo le mani per dolor mi' morsi , e alla seguente; considera la più che su- blime esclamazione : Ahi darà terra ^ perchè non t'apristi ? le quatlro terzine che a questo verso len- gon dietro, e tutta intera la terribile apostrofe con- tro Pisa : ciò fatto, sappimi dire , se il mio parere intorno la versione del signor Aroux sia b no giu- sto. A ogni modo però, quando tu creda ch'io m'ab- bia il torto, dammelo pure alla libera: giacché io non sono di quelli che in faccia alla ragione si ostinano, se la ragione stia contro le loro opinioni, e peggio ancora, se contro i loro giudizi letterari. Nel resto poi non ti voglio negare, che il tra- duttore francese non meriti molta lode per la fatica gravissima che ha durato nel voltare in versi francesi la divina commedia: quantunque, colpa la originai sublimità dell'opera, non sia potuto riuscir totalmen- te a bene nell'impresa. Egli al certo mostra di aver conoscenza non poca della nostra lingua e de'classici nostri, e luminosa prova ce ne ha dato colla tradu- zione di che ti ho ragionato, e coll'altra àeW Orlan- do furioso e delle Satire di Ariosto: delle quali cose non mancherò di tenerti discorso subito che il libro siami pervenuto, ed abbialo letto, tanto da po- termi chiarire qual mostra faccian di sé, in abito fran- cese. Le donne, ì cavaliere Tarme, gli amori. 322 Letteratura Tu intanto conservami la tua amicizia, e fa di star sano ed allegro. Luigi M. Estratto della dissertazione sopra una moneta greca in rame inedita di C. Pescennio JSigro: del P. M. -Giacinto De-Ferrari , delV ordine de^ predicatori^ prefetto della biblioteca casa- natense recitata nella pontificia accademia ro- mana di archeologia. a numismatica tra i diversi rami dell'archeologico sapere tiene certamente un posto principale. Come- cliè piccioli di mole siano gli oggetti , cui toglie a scopo di sue occupazioni , hanno non pertanto una grandissima importanza sulla storia, sulle arti, e sulle lingue, come l'hanno le statue, le colonne, le pira- midi. Spesso avviene , che un solo nummo , rinve- nuto nelle tenebre di antico sepolcro, rappresenti in se una compendiosa storia di età passata, e faccia ri- vivere le memorie perdute del suo secolo. Essendo la moneta istrumento universale delle azioni più ne- cessarie e frequenti della società e del commercio , racchiude le relazioni del principe, della religione, della nazione, della lingua, dei fatti, del costume, e di quanto il diritto delle genti e le istituzioni par- ticolari de' popoli hanno nella successione de' tempi introdotto. Questi monumenti sì minuti, e per così di- Medaglie di Pescenmio SaS re tascabili^ che si trasportano senza incomodo, a pre- ferenza di tutti gli altri avanzi deirantichità, devo- no considerarsi come i plìi preziosi ornamenti de'mu- sei , e come le ricchezze e i tesori della archeolo- gia. Perciò i più chiari ingegni del nostro secolo si sono rivolti felicemente alla coltura de' numismatici studi , dai quali quanta luce siasi sparsa nelle ar- tistiche e scientifiche cognizioni , non potrebbe in poco dimostrarsi. Per contribuire ancor noi un non- nulla al ben auspicato studioso movimento de'mo- derni nummofili, publichiamo una moneta greca di Pescennio Nigro inedita di massima importanza, sic- come apparirà da quanto ordinatamente ne andremo di scorrendo. Esiste questo insigne nummo tra gli altri, che possiede la biblioteca casanatense: io dico insigne, non già per la materia aurea, o argentea, essendo di me- tallo ignobile (i), ma per la rarità. Neppure mi tratter- rò a rilevare i pregi del bronzo (che non è di ultima qualità ) sulle tracce di Luigi Savot , che le anti- che medaglie sopra ogni altro su tal riflesso analiz- za e svolge (2), per sapere se possa definirsi metal- lo di Corinto, di cui Enea Vico (3) afferma essersi coniate monete, e di averne vedute, seguendo in ciò la narrazione di Floro, tenuta da altri dopo Plinio come favolosa. Imperciocché, dice Plinio Secondo (4), (i) Onde Marziale le chiama nigras sordesque monetas. L. i. Epigram. ad Calenum avarura LXXIX. Mogunliae 1627. (2) Discours sur les medailles antiques. Par. 2,cap. i et seq. Paris 1627. (3) Discorso sopra le medaglie lib. r, cap. 7. Veuezia i555. (4) Hist. tom. V, §. 5, pag 90. Paris i685. 324 Letteratura l'eccidio di Corinto avvenne nell'anno terzo delPo* limpiade CLVIII, ossia nell'anno 608 di Roma: eppu- re assai prima di tale epoca si coniarono monete di quel metallo: Quapropter ad coarguendum eos po^ nenius artificum aetates. Ma qualunque ne eia il metallo, non ne dobbiamo passar sotto silenzio il pe- so, oggetto altronde di mollo interesse per la numi- smatica , benché soggetto di molte controversie non ancor deffinite, come può vedersi presso Agricola Bu- deo, Hotomanno, Scaligero, Gronovio, Eckhel ed al- tri. Il nostro nummo pesa circa mezz'oncia. L'oncia dal siciliano termine cyyxia è la duodecima parte dell'asse, o libra, le cui parti sono la mezz'oncia, la dramma ec. L'oncia poi pesava sette denari , il de- naro dividevasi in sei parti chiamate sestanti , che corrispondono ai greci oboli (i) che erano la sesta parte della dramma attica. Ma tutto ciò non è che l'accessorio ; il punto principale si è dimostrare la sincerità della moneta; punto difficilissimo, che spaventa anche i più sapienti e consumati in tale arte, dopo che si sono scoperte tante officine false ed illegitime. A non cadere però in un fatale scetticismo numismatico più pericoloso dell'errore medesimo, addurremo gli argomenti, su cui fondasi l'autenticità del nostro Pescennio. Primiera- mente, secondo il canone comunemente addottalo dai numismatici, ricbiedesi che non sia fusa, ma coniata l'antica moneta ; il che ivi apparisce dai tipi nitida- mente impressi nell'una e nell'altra parte. La fusio- ne, per quanto si voglia affinare, non giunge mai a (i) Furlanetto. Verbo Uncia. Patavii i83i. Medaglia di Pescennio 325 quella eleganza di disegno, a quella esaltezza di li- nee , a quel pulimento di superficie , che possono prodursi dalla percussione, o conio. Inoltre le forme argillacee , non potendo avere la mondezza e il di- segno delle metalliche, ne lasciano sempre travedere le vestigie. Ma il nostro nummo presenta la protorae dell'imperatore finita e rilevata anche nelle minime parti, come ne'capelli, negli occhi, e in tutta la fi- sonomia egregiamente impressa ; le stesse foglie di alloro, che ne cingono il capo, i punti che formano il cerchio della moneta, le lettere in entrambe le parti, tutto insomma ci fa vedere l'impronto since- rissimo del conio. E di più , essendo la impressio- ne della parte anteriore più ristretta della superficie del metallo , apparisce visibilmente la violenza del martello. Nella parte posteriore evvi una fosserella centrale rotonda, che suole ritrovarsi nelle monete di rame, prodotta per più tenace adesione alla matrice da un punto sporgente ; segno non equivoco della sincerità de' nummi antichi, per avviso del celebra- tisbimo Eckhel (i), della cui dottrina in ciò ci siamo particolarmente giovati : perchè contro di una sua opinione scriviamo relativamente a tal moneta pescen- niana, come vedrassi in seguito, dopo che ne avre- mo data la spiegazione paleografica. Nel nostro nummo pertanto è impresso con elegante disegno il capo di Pescennio laureato, di ricciuta e lun- ga barba ornato. Nell'occipite il cincischio attico an- noda l'alloro, e pende vagamente ricurvo. Leggesi in giro AT Toyipxrop lÌM, imperium obtineo^ che prendesi in un senso asso- luto, universale e supremo , di cui tanto è avida 1' ambizione dell'uomo; così presso Polibio, Demoste- ne, Tucidide, Erodoto ec. (a) Nelle lingue semitiche ad esprimere l'imperiale autorità si usa più comune- mente "I /Q, dalla quale ebraica sorgente fluiscono i corrispondenti caldaici, siriaci, arabici ec. (3), ma sem- pre con più modesta espressione dell'ellenico orgo- glio. A simiglianza dunque di altri imperatori Pc- scennio amò sì splendido titolo nel suo nummo. le altre parole l^aica.^, Taioq ^ Hecksvvjcg Nr/pag li[ic.) Robert. Constimi Lex. graec. Lugduni 1637. (3) V Marinus Brix ^ Arca Noe. Thesaur- liuguaes inclrie Ioni. I, pag. 385. Il MsDACtTA ni PSSCKNMIO 32() te della questione , giacche quasi tutti i seguaci di Eckhel (i) hanno adottato un dubbio generale rappor- to a' pescennii greci in bronzo. ValUant modestamen- te disse di non averne trovato alcuno sincero (2) col- la suddetta voce lOVCTOC; ma Eckhel (3) giunse a persuadersi, che quell'imperatore non abbia coniato monete, che in oro e argento solamente. Incredibi- le conseguenza di troppo debole argomento negati- vo, e di fallace sistema, che fondasi sulla privazione de' monumenti. Noi però limiteremo quella sentenza di sì rinomato restauratore della numismatica alle mo- nete da se vedute, e trovate tutte o dubbie o false; ma non poteva dedursene, che Pescennio non abbia battuto nummi in rame, quando ciò si voglia consi- derare, che di maggior necessità fosse a un impera- tore coniare in rame, che in oro o argento : ben sa- pendo, come i bisogni de'popoli, dei soldati , e del commercio richiedano tal moneta di pivi comune uso. Il carattere stesso di Pescennio, tenacissimo del- la militare povertà e disciplina, distrugge quella opi- nione. Infatti Sparziano (4) riferisce un suo severo decreto, col quale vietava ai soldati di portar seco al campo nummi aurei o argentei: Ne in zonis mi- liles ad bellum aureos vel argenteos nummos por- tar ent : Dunque poteano almeno averli di più igno- bil metallo: il che rendeasi indispensabile al provve- (i) Scotti, Rarità delle medaglie antiche. Firenze tSog, pag. 276. {1) Num graec. pag. 78, Amsleledami 1700. (3) Doctr. num. vet. p. 2, voi. 7, pag. iSj et seq. Viadob. »797- (4) Loc. cit. G.A.T.XCII. ai 33a LÉtTlERATURA iliirìbtito de' militi. Oltre di che Sigebérto Avemcar-. pio affèriifia eort altfi nilffiitìofili, finvetiit-si Mdnete di questo irnperatoi'e in om'nìi metallo (i); e dtie he il- lustra ih bronzo colla medesima iscrizione hel ti-; jo àhlèj*ióré, iha non della stessa forma. Platino na descrive alcuni della stessa materia, dicendo peròs^e* rieós sliprcf. argenteo s raros esse (2). -Adolfo Oc- cotìé ancòfia ne apporta alcutiO (3); come Uno «e esi-> sté T\e\ njUseo vaticano tenuto universalmente pei* sin-* cefo; ^ forse altri ne esisteranno altrove, o coU'an- dai* del tempo 3Ì ritroveranno, essendo temerario ili fatto di ài-tij di tósiumi , e di mónunienti piantE^re proposizióni siistematicamente Universali. E derto hUU ladiraeno, che di quanti tìe esaminai, nessun nuoi-^ jnó eneo pifenàmente conviene col easanatertSe o tìfella forma ò nel rovesciò, in cui per lo più vèdesi ApoU Jo, Martój una Vittoria, Un trofeo e simili. Giove Se- dente rimirasi in pn latino riportato dà Vaillant colla iscrizione Jovi pfaès, orbis: nel nostro è in piedi col- l'asta, sènza fulmine e senza àquila, Oon qUestè pa- role in giro KAIGAPEIAG rEFÌMANIKHC, Ger^/Wa- fiicin Caesutea Comagénés. Gittà illustre e aniiea detta dà Ammiàno Edf)hr'àtensis,àL cui presiedeva Pe- scennio, é óve si ornò della imperiai porpora, secon- do Martìnìere (4). Onorata da sì chiaro avvenimento, era ben ragione che ne consegnasse ai posteri inde- lebil memoria, come praticarono altre città dell'Orien- (l) Numoph. reg Chiist. tom. 3,pag. i55 et 458. Hagae Cq-. pìitiini i742> (a) Platift. imper. num. pag. 2j3. Argètttitìae i6ft. (3) Itup. rom. pag. 263. Medioiani i683. (4) Geograpli. Tom. ^, pag. l/^l. Roterdam 1732. Medaglia di Pesgkmnio 33 i te, fra le quali si distingue Arisbe di Troade , che parimenti coniò moneta di rame, imprimendovi Mi- nerva Iliaca favorevole a Pescennio, a cui si erano sottoposti i popoli orientali dell'impero. Il nostro nummo adunque , della cui sincerità non può dubitarsi senza rinunziare a ogni criterio numismatico, e senza opporsi all'autorevole opinione de'piìi celebrati intelligenti del nostro secolo, che il videro ed esaminarono attent^imente, scioglie più chia- ramente la questione tenuta finor sospesa, se Pescen- nio abbia coniato in rame: e stabilisce meglio un ca- none non dispregevole, di non condannare per sospetti o falsi i nummi inscritti di voci miste. Il quale ca- none quantunque non sia generalmente nuovo, lo è riguardo alle monete di Pescennio tenute dubbie da Vaillant, da Eckhel e da' loro seguaci per la parola lOVCTOC. Noi sappiamo infatti che il commercio, l'uso famigliare, il mescolamento delle nazioni, l'ar- bitrio, l'adulazione, talvolta la necessità sociale, pro- dussero anche nel linguaggio ?ilterazioni, frasi e pa- role di stranieri caratteri vestite. Il Pellerin (i) mol- tissimi esempi ne cita nella lodatissima sua raccolta di medaglie; lo stesso Eckhel (2) tiene per legittime le bilingui voci AVrOCTOC, ACGAPION, BcoTA, MO- NHTA, AMBPOCIH, riETPE, lOVTOC e simili. Nulla pertanto può rilevarsi in contrario da tali nomi alla autenticità della moneta. Onde diremo brevemente perchè del titolo di giusto tanto si compiacesse Pe- scennio, mentre leggesi quasi in tutti i numnai greci (t) Recueil des medaillcs. Paris 1763. (2) Toni. 7, p. iSy. 332 Letteratu r a e Ialini, sinceri e anche falsi, i quali non sono da to- talmente dispregiarsi, quando servono alla dimostra- zione della verità, su cui fondasi la falsità. I falsari cercarono di nascondere la frode sotto il velo del ve- ro , e per questa parte possono giovare alla ricerca ed esposizione della verità. Ora il titolo di giusto tan- to grato a quell'imperatore, e comunemente attribui- togli, proveniva dalla integrità ed equità, con cui am- ministrava la cosa pubblica; dal grande amore dell'or- dine, dallo studio e zelo della militar disciplina, e dalla causa che trattava, venendo in favore del popo- lo romano a combattere contro il suo emulo Severo. E noto infatti come nei ludi circensi di unanime ap- plauso venisse invocato alla difesa di Roma : Omnes uno consensu Nigrum ad tutelam urbis expetunt. Narra ancora Sparziano quanto egli fosse alieno dal- l'adulazione, laccio fatale, da cui assai difOcilmente si difendono i grandi ; poiché impose silenzio a chi volea encomiarlo, dicendo: Kiventes laudare irrisio est, maxime imperatores, a quìbus speratur, qui timentury qui praestare publice possunt^ qui pos^ sunt necare^ qui proscribere; se autem vivum pia- cere velie y mortuum etiam laudari (i). Per queste virtù Pescennio venne in tale stima, che l'oracolo di Delfo lo chiamò ottimo : Optimus est Fuscus^ bonus Afer, pessimus Albus. Aggiunge Sparziano, che scriveva a tempo di Diocle- ziano, di aver veduto una statua metallica di Pescen- (i) Spart. cap. II. Medaglia di Pescennio 333 nio eretta nel campo di Giove. Questo campo, secon- do Pitisco (i), era probabilmente il campo di Marte detto maggiore per il Pantheon dedicato a Giove Ul- tore, laddove minore appellavasi ove era il colosso di Giove. Ora quella statua era ornata della seguente inscrizione: Terror aegjptiaci Niger adstat militis ingenSt Thebaidos sociusy aurea seda volens. Hunc reges, hunc gentes amante hunc aurea Romay Hic Antoninis carus et imperio. Nigrum nomen habet, Nigrumformavimus ipsi , Ut consentirei forma y metalle^ libi. Da tutto ciò chiaro deducesi, per qual motivo i nummi di Pescennio siano improntati col decoroso nome di giusto. (i) Piiiscus, Lex. antiq. rom. tom. I, pag. SSg. Hagae Co- aiituia 1737. '■■qrsi9eg33J^ 334 Intorno ad alcuni studi sulle rime di Dante. Let- tera del prof. Salvatore Betti al cav. Luigi Ciampolini accademico residente della crusca, ^^uando la cara memoria del marchese Gian-Gia- como Trivulzio pensò di far dono alle lettere d'una ristampa emendatissima delle rime di Dante, egli per la sua molta benevolenza e pe'comuui studi richiese anche me di aiutare, come potessi meglio, tanta di- gnità di opera veramente italiana. E perchè aiutavala pure, anzi n'era caldissimo, Vincenzo Monti (il quale in pari tempa con esso Trivulzio e col Maggi ono- rava la sua vecchiezza mondando da sì turpi brutture il Convito, che l'ignoranza de'copisti e degli stampa- tori aveva quasi mutato in una stalla di Augia ), per- ciò a nome ugualmente di quelFamicissimo fui pregato di non ricusare fatica che si volesse: e il fui con tanta amorevolezza, con quanta il dimostra questo brano di lettera del Trivulzio medesimo (i) : « Intanto a no- me del nostro Monti , che fu il primo a leggere le lettere sue , io avrei a supplicarla di un grandissimo favore. Io non oserei per me stesso darle tanta noia: ma sì è lo stesso Monti che il vuole, e che anzi mi ha insegnato uno scongiuro, al quale ( siccome egli disse ) Betti noti può resistere : e questo è di pre- garla per l'amore ch'ella portava e porla al Pertica» (i) De '22 di dicenihre 1824. Rime di Bant^ 33$ ri. )» Scongiuro veramente potentissimo al mio cuoret fare una cosa in memoria del mio amico e maestro e quasi padre amorosissimo Giulio Perticari ! Ma cer- to in quella occasione non necessario '. perchè poco men grande era l'affetto pieno di venerazione che mi stringeva al sommo Vincenzo; e. grande sì il deside- rio ch'io avea d'esser grato e ad esso e al Trivulzio, il quale mi fu poi sempre de'più eorteai ed 4£fezionati ch'io m'abbia avuti* Quindi un lungo carteggio ineominciai poi mar- chese: avendogli diligentissimamente mandato per più anni tutto ciò che fortuna daVami di trovare ne'co- dici vaticani ( soccorrendomi la benignità del mas- simo Mai ) per l'emendazione cosi delle canzoni che «ono nel Comnto , come delle altre rime che sono nella f^ita Nuova e nel canzoniere : ed anche dirò qualche cosa inedita. Gran danno, che tante cure e fatiche non aieno riuscite che solo a metà in vantag- gio delle opere minori di Dante 1 Perchè di que'la- vori non videro la luce che il Convito e la P^ita nuo- va t ed il canzoniere è rimaso fra'mss. del cavalier mi^ laoese. Veramente gran danno, il ripeto ! Di che spes* so mi dolgo co'miei amici) e già pur tanto si dolsero jUeco quegli amorosissimi d'ogni cosa italiana Luigi Biondi e Bartolomeo Gamba. Infatti il Trivulzio non avea perdonato non solo a veruna sollecitudine, ma jiè a veruna spesa, generosissimo com'egli era, per ave- re alle mani originale o copiato tutto ciò che a'suoi dì conoscevasi di poesie dantesche. E certo io non so che in Italia sia mai stato un uomo più sicuro di lui e quindi più autorevole in questi studi: sicché ho quasi per giudizio certis- simo, che assolutamente non sieno dell'Alighieri, com' 336 Letteratura egli assai ne duHtava (i), le canzoni che gli si at- tribuiscono, e die incominciano : yìrtù che il del movesti a sì bel punto. Una donzella umile e dilettosa. A forza pur convien che alquanto spiri. Mercè ti chiero^ caro signor mio. Io non ho più meco la maggior parte di quelle o emendazioni o varianti che gli mandai in quel cor- so d'anni: tanto poco temeva, che morte ci dovesse rapire sì presto il gran cavaliere ! Ma chi cercherà fra le carte di lui, le troverà certo : ed elle forse po- tranno, insieme colle altre molle de'suoi amici, muo- vere in fine l'amor patrio di qualche dotto e cortese lombardo (perchè non il vostro, o Felice Belletti dot- tissimo e cortesissimo, ch'egli cotanto amava ! ) a con- tinuare quell'opera alle nostre glorie e lettere cosi preziosa. Imperocché del gravissimo senno, che il Tri- vulzio vi aveva usato (specialmente nelle canzoni), basti ciò ch'egli medesimo, non superbo, non milan- tatore, ebbe a dirmi sinceramente in un'altra sua let- tera (2): « Io spero che nulla abbia a rimanere oscu- ro o dubbioso nel senso letterale di quelle maravi- gliose canzoni, ove il divino poeta non è men gran- de che nella commedia. Il più scabroso sta nella par- fi) Lettera dei 2 di maggio 1827. (Qj De'i6 di niaggio JSag. Rime di Dante 337 te allegorica : giacche è una follìa il voler tutto ri- ferire alla filosofia o alla politica, come ha preteso ta- luno, seguendo un sistema falso e stravagante. Molti componimenti, che hanno finora impingualo quel can- zoniere, saranno restituiti a'ioro autori, senza danno ne invidia dell'Alighieri. » Cercando io nondimeno a'giorni passali fra dì- versi miei libri, tornorami per caso alle mani l'edi- zione bresciana ( per Nicolò Bettoni 1810 ) della divina commedia e di tutte le rime di Dante : e nel tomo secondo, ove sono appunto le rime, vidi ne'mar- ginì alquante mie postille, o per dir meglio varianti tratte da tre codici vaticani, e da un quarto del pari antico e autorevole ch'era già del dotto cavaliere Fi- lippo De-Roraanis. Allora mi sovvenne pure ( vedete memoria I ) d'aver dato anch'io un picciol saggio di emendazioni ad esse rime, pubblicando venti anni fa nel giornale arcadico (i) la ballata: Io mi son pargoletta bella e nova : tutta restituita alla sua vera lezione: e poi il sonet- lo (2) : Nelle man vostre ^ o gentil donna mia. Di che mi nacque il pensiero di dare nel giornale me- desimo anche le poche reliquie rimasemi delle altre varianti che, come dissi, debbono trovarsi fra le mie lettere al Trivulzio: pensando subito d'inviarle al giu- (1) Voi. di luglio 1825. (2) Voi. di ottobre i8ai. 338 Letteratura dizio di tale intendentissimo e delle belle lettere e della nostra classica lingua , qual è il mio illustre cavalier Ciampolini. Si , esse principalmente , amico veneralissimo, chieggono il vostro giudizio: perciocché nell'Atene italica siete voi tra' primi dell'elettissimo numero, che piìi conoscendo l'utilità di tornare in- fine al senno venerando degli avi tanto nella gravi- tà delle cose, quanto nella purità e leggiadria delle parole, più si adopera colla voce e coli' esempio ad innamorare di questo bene la nazioual gentilezza. Della qual cosa lasciate, mio caro, che veramente vi dia merito e lode, atìai di cuore vi beuedica, in mez- zo a questo tanto fastidio che non purei i giovani , ma molti d' età matura mostrano aVere di tutto cip ch'è italiano, e ci viene da'que'uostri solenni restau- ratori della presente civiltà del mondo. Oh possiate lunghissimi anni seder giudice del sommo tribunale della favella, a cui con tanta dignità rendete l'ono- re che vi ha fatto accogliendovi nel suo seno ! Il codice valicano 3 798 ha cinque canzoni at- tribuite a Dante : ed eccone i capoversi : Ben aggio. Vamoroso e dolce cor^e. Amori ps^ ^io pia non posfo soffrire^ Za gioven donnay cui appallo amore, A voi, gentile amore y Talent'ho di mostrare Lo dolce disiare, Dov^è lo mio cor mi so. Rime di Dante 889 Poi che ad amore piace E vuol cKVsia gioioso Per lo ben che mi fa ora sentire. Il codice 8214 Ha pure col nome suo il madrigale: tSe, Lìppo amico i sé^tu che mi leggi • e altresì due sonetti che incomìaciano : y^oi che per gli occhi mi passaste^ core: feeder poteste quando vHncontrai : aggiuntavi questa nota : Guido Cavalcanti e Guido Orlandi dicea. Vaxempro : ma elli lo fece Dante Alighieri. Ed infatti a Guido Cavalcanti furono dati ambldue nelTedizione fiorentina del Cicciaporci per l'autorità della raccolta di Cristoforo Zane, Col no- me dì Dante è anche ivi il sonetto : Sonar bracchetti, e cacciator aizzare z e l'altro : J^olgete gli occhi a veder chi mi tira : e questo io medesimo poi pubblicai nell'arcadico (i), parendomi cosa assolutamente degna di quella gran musa : come pubblicai pur l'altro (2), parimente at- (i) Voi. di luglio 1822. (2) Ivi, voi. (li agosto 1842 : e nell' Imparziale di Faenza , anno terzo, distrib. XXIV, mini. g5. 34o Letteratura tribultole dal codice vaticano 5i33 (sulla cui fede non vorrei però giurare ), che incomincia : Chi vuol star satio osservi queste norme. Ne manca in esso codice 32i4 la ballata : Per una ghirlandetta Ch'io vidi^ mi farà Sospirare ogni fiore : . ^ la quale stimasi pure dell'Alighieri, come la stima- rono pubblicandola prima Luigi Fiacchi, poi Ferdi- nando Arrivabene : e come, con maggiore autorità, stimoUa il Trivulzio, che così mi scriveva (i): « Bel- lissima e veramente degna di Dante è la ballata Per una ghirlandetta ec. da lei trascrittami : la quale era già stata pubblicala dall'ab. Fiacchi negli Opu- scoli letterari che uscirono alcuni anni sono in Fi- renze, ma cosi guasta e aconcia, che nulla più. Ora, mercè sua, riducesi ad ottima lezione, e appare in tutto il suo splendore. » Or eccovi finalmente , egregio amico, le va- rianti che di mia mano dopo tanti anni trovo scritte ne' margini delle rime stampate di Dante : senza creder però che tutte sieno di ugual bontà, e tutte da riceversi ciecamente in una nuova edizione che si facesse di quel tesoro dell'antica poesia volgare. In ogni cosa il giudizio è necessario : e più nel fermare le vere lezioni de'vecchi testi sì orribilmente guasti -«■«3 (>) Lettera dei 22 di dicembre 1824. Rime di Dikte 34 t la maggior parte { com'è appunto il caso de'versi di Dante ) dalla presunzione e dall'ignoranza. Canzone : Fresca rosa novella. Ad alcuni non pare poesia di Dante : ed anch'io ne dubito : ma col nome del poeta altissimo è nel cod. vat. 3ai4. Varianti. Slrof. I. V. 3. Per prato e per rlvera. V. 5. Vostro fin pregio mando alla verdura. Strof. 2. V. 1. Lo vostro pregio fino. V. 3. Da grandi e da citelli. V. 5. E cantinen gli augelli. V. 12. Vostra altezza pregiata. Strof. 3. V. I. Angelica sembianza. Strof. 4- V. 2. Vostra fine piagenza. V. 3. Fece Idio per essenza. V. g. E sei vi pare oltraggio. V. IO. Ch'ad amar vi sia dato. Canzone : Così nel mio parlar voglio esser aspro. Varianti del cod. De-Romanis. Strof. I. V. 2. Come è negli atti questa bella petra. Strof. a. V. I. Non trovo schermo ch'ella non mi spezzi. V. g. Oh angosciosa e dispietata lima. V. II. Perchè non ti ritieni. (^ Ed è un'asso- nanza, anzi che una rima: cosa usitata^ come ognun sa, in altre poesìe di quel secolo ). Slrof. 3. V. 5. Ch'io non so della morte, che ogni senso. V. 8. La mia virtù, sicché rallenta l'opra. 342 Letteratura Strof. 4- V. 4' Mi tiene in terra d'ogni giuco stanco. V. 9. AHor mi fere sotto il lato manco. Strof. 5. V. 9. Che tosto griderei : Io ti soccorro. V. 10. E farei volentier, siccome quelli. Strof. 6. V. 2. die fatte son per me scudiscio e sferza. Strof. 7. V. 2. Che m'ha rubalo e morto, e che m'invola. Canzone : Amor , che muovi tua virtù dal cielo. E nel cod. vaticano-urbinate 686, ed in quellp del De-Romauis. Parianti (1), Strofa I. V. 7. Tu cacci la viltade altrui del core. D. R, Strofa 3. V. j. Ferimrai il core sempre la tua luce. D.R. V. 7. In rimirar ciascuna cosa bella. Strofa 3. V. I. Quanto, nell'esser suo bello e gentile V. 2. Negli atti, è amorosa. V. 3. Tanto lo Immaginar ch'entro si posa. D. R, V. 7. Ma dalla tua virtù ha quei ch'egli osa. V. 8. Oltr'al poder che natura ci ha porto. V. 12. In guisa tal ch'è sol segno di foco. D. R. V. i3. La qual non dà altrui, ne to'virtute. D. R. V. 14. Ma fallo in alto loco. D. R. Strofa 4« V. 4* Lieva principio dalla tua altezza. D. R. V. 8. Mi fa sentir nel cor troppa gravezza. V. i5. Né che negli occhi porti la mia pace. Strofa 5.V.4» Là ov'io difender non posso mia vita, D.R, Canzone: Io sento sì d'amor la gran possanza. Trovasi de'sopraddetti codici vaticano-urbinate e De-. Romanis. *— •• : —— *■- (i) Le segnate D. H. sono del codice De-RoQjanis. Rime di Dante 343 Varianti. ?*!?•' Strofa I. V. 4- Però se'l suo voler sì pure avanza. D.R, V. 16. Porta conforto ovunque io sètìlo amore. Strofa 3. V. io. Nel viso in cui ógni biltà s'accoglie D.R, V, 1 1. Io son servente; e (|uando penso a cui. [in ambidiie i codici). Strofa 4- V. 4* parrai esser da mercè oltre pagato, V. 11. Perocché s'io procaccio di Volére, Strofa 6. V. t. Altri ch'amor non mi potria far tale. D.R. Strofa 7. (]Nè nel codice vaticano-urbìnate, né in quel- lo De-Romanis si ha la strofa che comincia: Canzon mia bella^ se tu mi somigli: ma m sua vece è l'altra: Catizone, d'ire men rei di nostra terra. ) V. a. Te n'andrai anzi che tu vada altrove. Canzone: E^m^incresce di me sì malamente. lE nel cod. vaticatìo-urbinate 686. J^arianti, Strofa I. v. 2. Ch'altrettanta di doglia. v. 3. Mi reca la pietà, quanta'l martiro, V. 5. Sento contro a mia voglia. v. 6. Raccoglier l'aer del sezzaio sospiro. V. i3. La morte mia che tanto mi dispiace. Strofa 2. V. 1. Noi darem pace al core, e a voi diletto, V. Ì2. Dìceano agli occhi miei, V. 14. E partir la conviene innamorala. Strofa 4- V. 5. Anzi vie piìi bell'ora. V. 12. Avvenga che mi duole. 344 Lkttkratura Strofa 5. V. g. Per una voce che'l core percosse. Strofa 6. V. I. Quando apparve poi la gran biltate. Strofa 7. V. 5. Vi sian gli detti miei ovunque e'sono. Canzone: Io son venuto al punto della rota. E nel detto codice vaticano-urbinate. Piananti. Strofa I. V. 3. K'parlorisce il geminalo cielo. V. i3. In tener forte immaginar di pietra. Strofa 2. V. 5. Di nebbia tal, che s'altro non la sturba, V. g. Onde l'aer s'attrista e tutta piagne. Strofa 3. V. 9. Per lo freddo che lor spirito ammorza. Strofa 4- V. 6. O in alcun che sua verzura serba. V. 9. Gli quai non puote colorar la brina. Strofa 5. V. 11. Non son però tornato un passo a retro. Strofa 6. v. 5. Amore è solo in me, e non è altrove. Canzone : Amor^ tu vedi ben che questa don- na, E pure nel cod. vaticano-urbinate. J^arianti. Strofa 3.V.8. Mi ghiaccia sopra il sangue d'ogni tempo. V. II. Che n'esce poi per mezzo della luce. Strofa 4« V. 7. Degli occhi suoi mi vien la dolce luce. V. IO. Ver me che cliiamo che notte sia luce. V. 1 1. Di quel pensier che più m'accorcia il tempo. Strofa 6. v. 4« Sicch'io ardisco far per questo freddo. Canzone: Udita speranza che mi reca amore^ Molli r hanno credula di Dante : ma il Pilli ed il RiiiE DI Dante 3/1; CorbinellI l'attribuirono a Gino. E col nome di Ci^ no è infatti nel cod. vaticano 3ai4. V^arianti. Strofa I. V. 2. D'una donna gentil ch'i'ho veduta. V. 4. E falla rallegrar dentr'a lo core. Strofa 2. V. I. E'son tali sospir d'està novella. V. 3. E'ntendo amor, come la donna loda. V. 7. Per ch'ogni nome di gentil vertute. V. 8. Che propriamente lei tutta adornando. v. IO. Ch'ebbono invidia si vanno ascoltando. Strofa 3. V. I. Non può dir né saver quel che simiglia'. V. a. Se non chi è nel ciel, ch'è di lassuso. V. 3. Perch'esser non ne può già core astioso. Strofa 4. V. 3. E per gradirne a Dio in ciò ch'ei vuole. V. 4» Sì la inchina e falle reverenza. V. 5. Or dunque se la cosa che non sente. V. 8. Che tutto ciò ch'è gentil, s'innamora. V. IO. E'I ciel piove dolcezza ove dimora. Strofa 5. v. 2. Di udir lei, sospirando sovente. V. 3. Perocch'io mi riguardo intra la mente. V. .10. Che d'ogni cosa tragge la verace. Strofa 6. v. 7. Che solo per veder tutto suo affetto. Strofa 7. V. I. Canzon mia, tu mi par si bella e nova. V. 4. Dentr'al mio cor, ho sua valenza prova. V. IO. Per quel signor, per cui mandata fui. Canzone: Donne, ch'avete intelletto d'amore. Non so perchè non si abbia nell'edizione bresciana : essendo poesia tanto certa di Dante, quanto è certo ch'è di Dante la Fila Nuova, dov'ella dal poeta me- desimo è comeutata. Sta nel cod. vaticano 3073. G.A-T.XCII. aa ^^ 346 Letteratura F'arianti. Strofa 2. V. I. Angelo clama divino intelletto. V. 9. Che parla Iddio che di mia donna intende. V. 12. Là've alcuno che perder lei s'attende, V. i3. E che dirà nell'inferno : 0 malnati. Strofa 3, V. 6. Sì ch'ogni lor pensiero agghiaccia e pere, v> II. Che gli avvien ciò che gli dona salute. Strofa 4' ^' ^' Com'esser può sì adorna e sì pura ? V. 4- C^^ ^^^ ne'ntenda di far cosa nuova. V. IO. Escono spirti d'amore afflaramati. V. 1 1. E feron gli occhi a qual ch'allor la guati. V. i4' Là've non puote alcun mirarla 6so. Strofa 5. V. 2. Con donne assai, quando t'avrò avanzata. V. 3. Or t'ammonisco, poi ch'i't'ho allevata. V. 5. Che là've giugni, tu dichi pregando. V, g. Non ristar là've sia gente villana. 8. i2. Che ti merranno là per via tostana. Ballata : Madonna^ quel signor che voipor^ tate. Non è nell'edizione bresciana, ma sì negli A- mori e rime di Dante dell'Arrivabene. Trovasi pure »el codice vaticano 32 14. frananti. V. 8. A se come principio ch'ha possanza, V, ult, Merzè di vostra grande cortesia. Sonetto : M esser Brunetto ^ questa pulzellet- ta, È nel cod. vaticano 32x4 con questa nota: Que- sto mandò Dante Alighieri a messer Betto BrU" Rime m Dante 347 nelleschi di Firenze. E il BrunelleschI era infatti contemporaneo di Dante, e vien ricordato spesso fra quelli di parte nera , come potentissimo e de' più fa- ziosi, da Dino Compagni : il quale il pone inoltre dei signori del comune con Corso Donati ( della cui mor- te fu poi principal cagione ) quando nel i3o2 andò in bando da Firenze la parte bianca : e sì pure de- gli ambasciadori che nel i3o4 furono inviati a papa Benedetto XI in Perugia: e poi al cardinale legato Na- poleone Orsini in Arezzo. Fu Betto colui, ch'essendo pur de'signori nel i3i i rispose alteramente a Luigi di Savoia, venuto in Firenze a chiedere che si mandas- sero oratori a prestare obbedienza all'imperadore Ar- rigo di Lucemburgo : Mai per ninno signore i fio- rentini inchinarono le corna. Sciagurato però, che ferito a tradimento, dice il Compagni, da due giovani dei Donali, dopo sette giorni, arrabbiato^ senza pe- nitenza e soddisfazione a Dio e al mondo, e con gran disgrazia di molti cittadini, miseramente mo- rì\ Ne certo l'Alighieri dovette dolersene, avendo l'ira delle fazioni diviso già gli animi loro. Varianti. V. 3. Non intendete pasqua di mangiare. V. II. D'intender ciò ch'è posto loro in mano. Sonetto : Guido, vorrei che tu e Lapo ed io* E nel cod. vaticano 32 14. Varianti, V. 3. E messi in un vasel, eh' ad ogni vento. 348 Letteratura V. 4* ^^^ mare andasse al voler vostro e mio. V. j. Anzi vivendo sempre in un talento. V. 9. E monna Vanna e monna Lagia poi. V. IO. Con quella ch'è sul numer delle trenta, V. 14. Siccome io credo che saremo noi. Sonetto: Deh ragioniamo un poco insieme, dimore. Non è nell'edizione bresciana, ma si in quella dell'Arrivabene. Trovasi pure col nome di Dante nel cod. vaticano 3i?i4' J^ariante. V. 14. Tal è il desìo ch'aspetto d'ascoltare. Sonetto : Perch'io non trovo chi meco ra- gioni. Tralasciato parimente dall'edizione bresciana, e dato dall' Arrivabene. E nel cod. vaticano 32i4« J^ariante, V. 6. Del lungo et innoioso parlar mio. Sonetto : Questa donna ch'andar mi fa peri' soso. E nel cod. vaticano 3ai4, ma col nome di Ci- ao da Pistoia. f^arianti, V. 3. La qual fa disvegliare altrui nel core. V. 4» Lo spirito gentil, sì v'è nascoso. V. 6. Poscia ch'io vidi lo dolce signore. V. 9. E s'avvien ciò ched i'questi occhi miri, y, 14. S'acconcia per voler del cor fuggire. Rime di Dante S^q Sonetto : Chi guarderà giammai senza pau- ra. È nel cod. vaticano 8214. J^arianti. V. 6. Che fu tra l'altre la mia vita eletta. V. 8. In rischio di mirar la sua figura. V. i3. Di trarre a me'l contrario della vita. V. 14. Come virtù di gemma margherita. Sonetto: Lo fin piacer di quello adorno vi- $0. E col nome di Gino nel cod. vaticano Sa 14. P^arìanti. v. 9. Lasso ! Da poi mi pianse ogni pensiero. V. II. Sempre davanti lo suo voler fero. v. 12. Per lo qual se merzede ad Amor chero. Infine aggiungerò quelle di un sonetto di Gui- do Cavalcanti ad esso Alighieri : le quali mi sembra- no migliorare assai la lezione datane in tutte le stam- pe, compresa la fiorentina del Gicciaporci. Incomin- cia il sonetto : Vedesti al mio parere ogni valore; ed è pure nel cod. vaticano 8214. Varianti. v. 8. Che i cor ne porta senza far remore. v. 9. Di te lo core ne portò; veggendo v. 10. Che la tua donna la morte chiedea, V. II. Nudrilla dello cor, di ciò temendo. V. 12. Quando t'apparve, che ne già dogliendo. 35o Letteratura Qui hanno termine le mie postille : e qui pure, cortesissimo amico, lo avrà questa lettera , la quale vuol esservi primieramente raccomandata pel nome di Dante, di Gino e di Guido : poi per quello di chi tanto vi ama e vi onora , e sarà tutto cosa vostra finché vivrà. - Di Roma a 26 di settembre 1842. Opere di Giovanni Rosini. Fblume ottavo. 8. Pi- sa presso Nicolò Capurro 1842. ( Un voi. di carte 107 con quattro rami. ) P uò andar ben lieta la felice Toscana di avere ancor fiorente unMetta schiera di poeti, che immune dalla general corruzione, tiene così gran fede alla di- gnità della patria. Sono di tale schiera principalmen- te il Niccolini, il Rosini, il Borghi, il Mancini, il Bagnoli, il Giampolini: a'quali non è quindi a dire quali congratulazioni facciamo, e quali pure faranno i posteri che di questa sì lorda età delle lettere giudi- cheranno e maraviglieranno. E veramente se in ogni provincia d'Italia hanno giusta e nobil cagione gl'in- gegni di tenersi fermi alla grande scuola: non essendo quasi luogo fra noi, ove non sia nato un famoso: quan- to più non debbono averla i toscani, da'quali proven- nero al bel paese i grandissimi, che con amore e eoa senno incomparabile riandando i portenti greci e lati- ni, furono padri e maestri del migliore stile che mai ad orecchie sonasse dopo la rinnovata civiltà, e con es- so di tutte le grazie e le eleganze? Sicché non sappia- Opere di G. Rosini 35 f mo come in Toscana, e soprattutto in Firenze, si possa esser romantico e parteggiare per tanti mostri stranieri, senza accendersi di vergogna ogni volta che si mirino le immagini dell' Alighieri, del Petrarca, del Boccaccio, del Poliziano: quelle immagini onorande, che sì potentemente inspirarono già le fantasie di co- loro che ci diedero l'Orlando e la Gerusalemme : la Merope, il Temistocle, il Saul: il mattino, la baavilia- na, le poesie campestri e i sepolcri. " ui ouu -e Ed ecco un novello esempio di ciò che' diciamo : il volume ottavo delle opere di Giovanni Rosini : ope- re veramente splendide, se mai altre n' uscirono in questo secolo, per affetto, per sentenze, per elocuzio- ne : degne in somma della fama celebre dell'autore. Contengono esse molte poesie d'ogni genere, ed un affettuoslssimo elogio alla cara e pia memoria dell'ar» ciduchessa Carolina figlia del regnante granduca di Toscana Leopoldo. Oh come in ogni loco è saviezza, cortesia, decoro, e, quel ch'è più, religione ed Italia ! Fiore infatti di religione sono, per esempio, questi due sonetti : l'uno alla regina de'francesi per la mor- te della principessa Maria sua figlia : e dice cosi : Dunque in pace ne va, spirto beato, Nel gran nome di Cristo e di Maria; E fra gli osanna del bel coro alato Giungi al ben che ti aspetta e ti desia ! Forse avverrà che in tal pensier sia dato Quetar la madre gemebonda e pia. Che dirà quando vegga il ciel stellato : Quella era certo al suo salir la via. 352 Letteratura E tu, in l'udendo, vision pietosa Scendi, e vestita dell'antico aspetto, Lieve al suo fianco, come sai, ti posa. Le tue glorie le narra e il tuo diletto ; E impari il mondo, che pensar non l'osa, Come sorga dal duolo un nuovo affetto. L'altro in morte dell'arciduchessa Carolina ricordata qui sopra : ed eccolo : E tu pur non andrai senza il mio verso, Bella angeletta, che di sol vestita, Col guardo a'rai del gran Fattor converso, « Godi il piacer della seconda vita. »> Che se dal pianto de'tuoi cari asperso Fu lo stel della pianta inaridita; Volti alla luce, ov'è il tuo spirto immerso, Temprano il duol della crudel partita. Vaga e gentil, col dolce riso e casto, Del mondo ahi ! troppo alla fallace schiera Facean tuoi sensi e tue virtù contrasto. A ragion dunque, innanzi tempo a sera Giunta, or t'involi; e mostri al secol guasta Che la terra di te degna non era. Ma tutti pieni d'Italia, cioè tutti pieni d'amore ver- so la nostra classica letteratura, e di sdegno verso co- loro che la deturpano, diremo questi due altri. Il pri- mo è in morie di quel gentile spirito del marchese Giuseppe Aatiaori. Opere di G. Rosimi 353 Pari d'età, pari di sensi, e pari Nel desio che vagheggia il raro e il bello, Per entrambi parca che gli anni avari Ad un tempo dischiuso avrian l'avello. Tu cadi ! e lasci fra compianti amari La sposa e i figli entro al sì lieto ostello : Ma le spalle rivolgi anco agl'ignari Geni arroganti del saper novello. Felice te I Non ancor vinta e guasta Plora sul sasso tuo la patria amante; E tu sfuggi al destin ch'a noi sovrasta. Che del bel non vedrai spente le sante Faci, ne druda divenir la casta Donna che nutricò Torquato e Dante. L'altro, scritto due anni appresso, è intitolato alla celebre poetessa Teresa Vordoni Albarelli ; ed è il seguente : Donna, che il ciel facea con senso arcano D'onor, di senno e di beltà modello: Che dell'amico, lagrimato invano (*), Di fior cospargi il sospirato avello: Gli estranei modi e il folleggiare insano Tu dunque or temi dello stil novello ? Temi ? e non sai che dall'eterna mano Nasceano a un tempo la natura e il bello ? «» (*) Versi funebri della Vordoni per un amico. 3S4 Letteratura Segui, o donna, il cammin : franca e sicura Al fonte attingi delle greche scuole L'onda che sgorga numerosa e pura. Per poco attendi, e svaniran le fole : Ch'ogni tempesta, ancor che lunga e oscura, Nasconde sì, ma non estingue il sole. Né senza lode passeremo l'inno al Galilei, l'ode alla cantatrice Caterina Hungher, il cauto a Pietro Me- tastasio per le nozze del duca di Savoia, e l'altro al Petrarca per quelle del duca di Nemours. Solo in questo secondo sarebbeci stato caro, che il poeta aves- se dato desinenza italiana a due nomi propri france- si : non piacendoci veramente quel dir crudo eh' ei fa : Ai boschetti (TAatcuil indi rivolto : e poi: Ne Monthart obliar. Che ciò non comporta la dilica- tezza del nostro orecchio : né il fecero mai non pu- re que'nostri de' be' secoli XIV e XVI ( ne'cui versi sarebbe opera perduta il cercarne un solo esempio), ma ne i migliori de'tempi moderni, i quali a certi no- mi barbari ( e veramente il sono Auteuil e Mont- hart ) si piacquero dare costantemente soavità ed ar- monia italiana. Per nozze è anche un sonetto, che ci sembra non men pieno di gentilezza che di novità : degno specchio a coloro che tante fole non finiscono ancora di ricantarci in quegli aborti ridicoli di Parnaso, che si chiamano raccolte : le quali noi sdegniamo per modo , che quasi ci tornerebbe in grazia il Bettinelli, che fu acerrimo a dileggiarle in un suo poemetto. Il sonetto è pel marchese Torquato Malaspina che spo- sava Vittoria Franceschi. Eccolo. Opere di G. Rosini 355 A DANTE ALIGHIERI. Genio, che un di nella civil tempesta » In fra l'onde agitato e quasi absorto » Alto levando impavido la testa (*), Trovasti in vai di Magra asilo e porlo : S'oltre i silenzi della valle mesta Ogni affetto terren non è ancor morto; E l'amor delle muse in cor ti resta, Che nel mondo ti fu pace e conforto : Per la memoria dell'antico ostello Riprendi l'arpa, che ne'vaghi errori Di Corrado cantava e di Sordello : E spira e infondi co'soavi ardori Di Corrado ai nipoti il raro e il bello; E innalza l'alme, innamorando i cori. Tre belli episodi sonovi poi del poema che il Ro- sini ha composto in ottava rima, e tiene tuttor ma- noscritto, sulla guerra di Russia. Narra l'uno il fatto dell'Hofer, che nella valle dell' Inn commise quella orribile strage de'soldati francesi, quando recarono gli orrori della guerra a'pacifici abitatori di quelle mon- tagne : coraggiosissimo e stupendo fatto di un eroe, e magnificamente cantato dal nostro poeta : salvo il non potergli approvare il titolo ch'egli dà di barbari a que'forli compagni dell'Hofer, i quali non avendo ^m .III . (*) Presso Moruello Malaspina. 356 Letteratbra mai a niuno recato ingiuria in quella loro austerità (li vita, non facevano che difendere se stessi, e i fi- gli, e la religione, e la patria, e il sovrano. Non era a darsi piuttosto un tal titolo a que'ladroni d'Euro- pa, che portarono a'popoli colla spada alla mano, sot- to un mentito nome di civiltà, l'estermino, il servag- gio, il disonore, l'irriverenza al culto de' padri ? La morte della greca Eufrosina è il tema del secondo epi- sodio : Tra quante il sol della sua luce inonda, E le guance n'abbella e ne colora, Più bella di costei d'Argo la sponda O il mar di Citerea non vide ancora. Con favella gentil mente feconda, Vivace immaginar, lingua canora , Man che tocca le corde, e pie che vola, O parli o canti o danzi i cori invola. Felice i giorni a caro sposo allato Traea fra gli agi di solinghe mura, E due sorgean dal talamo beato Leggiadri figli alla materna cura; Allor che forza di tremendo fato Segnò la meta d'ogni sua sventura. Bellezza infausta ! Ma co'suoi favori Spesso il cielo punisce, e par che onori. Sventurata ! Che vittima della seduzione e della bar- barie, fini di morte al suo gentilissimo animo troppo indegna ! Ma lunghi anni vivrà nell'istoria del Pou- Notizie del RoLtr 35^ quevllle e ne'versi di Giovanni Rosini. Il terzo epi- sodio narra il supplizio della principessa Lubomirski condannata dal tribunale rivoluzionario di Francia : caso tristissimo già pur compianto in una incompa- rabile epistola d'Ippolito Pindemonte. E. P. Notizie di Paolo Rolli. X roppo è conosciuto in Italia il nome di Paolo Rol- li, oriundo di Roma, ma nato ed allevato in Todi, oratore e poeta insigne, perchè io non debba trattenermi a lungo de'suoi meriti letterari. Aveva egli sortito dal- la natura una memoria facile a ricercare, e a ritenere e conservare l'acquistato; un raziocinio continuo su tutti gli oggetti che gli si presentavano; una instancabile pa- zienza nel lavoro, una continua diffidenza di se stes- so per trattenere gli stimoli della propria immagina- zione. Cominciò pertanto egli ad educarsi da se me- desimo, persuaso essere la sapienza principio d'ogni bene « Fra le selve così, come sul trono. Al Gravina però fu debitore de'suoi studi; i quali coltivò questo valoroso discepolo con grande amore, attendendo si alla letteratura latina e greca, e sì alla toscana, francese ed inglesej raa segnatamente fu uno 358 Letteratura dei più teneri della poesia. Certo se questa ritrova un sublime ingegno ed un cuore benefico, non è dub- bio che allora non influisca potentemente al bene u- niversale delle nazioni : anzi direi che nessuno possa influire sul bene di esse senza la poesia. L'uomo di lettere tutto intraprende di bello e di grande. Avendo così studiato per modo che fu ascritto alle più insigni accademie di Europa, fra le quali da- poi alla reale società di Londra, non restavagli che per- fezionare i suoi studi; e perciò scelse come miglior mezzo il viaggiare. Trasferitosi quindi a Bologna, en- trò nel consorzio di quegli uomini che allora vi fio- rivano celebratissimi : co'quali essendo dimorato al« cun tempo, ne partì con rammarico : e scorsa l'Ita- lia, passò in Francia, e costeggiando i lidi della Spa- gna, sbarcò finalmente in Inghilterra, ove la cogni- zione degli uomini dotti, la disamina de' costumi e de'cuori umani furono occasione, che per molti anni vi dimorasse, essendo tenuto in grandissima e meri- tata stima. Perciò la città di Todi, ammirando la fama del suo ingegno, lo ascrisse al patriziato : come dal di- ploma, che qui si riferisce : « PRIORES POPVLI INCLITAE (. CIVITATIS TVDERTI. » Praeclarissimi viri D. PAVLI ROLLI romani » civis, et ex materno latere de nostra spectabili gen- » te Arnalda oriundi, in omnibus, quae ad literas » pertinent, nemini secundi, princlpibus regali etiam » maiestate fulgentibus acceptissimi, celebrata ubique » merita debito recolentes, oh id illum ad civitatis » nostrae decus et ornamentum inler patritios nobi- Notizie del Rolli SSg » les primae classis nuncupatos adscriblmus, et prò )) adscripto habere volumus et decreviraus. » In quorum fidera praesentes fieri et sigillo, quo » in similibus utimur, munivi iussimus. Datura Tu- » derti ex nostro palatio priorali sub die 3o iulii ijSS. « B. Fontius secrelarius. Graditasi dal Rolli tale dimostrazione, rispose al municipio nel modo seguente : « AMPLISSIMIS VIRIS « PRIORIBVS POPVLI )) INCLITAE CIVITATIS TVDERTI ,, PAVLVS ROLLIVS S. P. D. » Perpetuo, amplissimi viri, fissa meo manebit ani- M mo humanitas vestra, quod me benigne et libera- » liter tudertino patritiatu donastis, ad meam ab in- » olita Tuderti urbe maternam originem, et dignila- » tem augendam. Quibus verbis gratias agam, non re- » perio. Tanto enim divinctus sum beneficio, ut vel » nemini plus debeam, » Quidquid ad vestram benevolenliam concl- » liandam effici potuerit, consequi summo studio co- » nabor, ut illa erainus eminusque dignum praestem. )) Familiaribus vestrum et publicis incolumitatera et » incremenlum precor. Amplissimi viri, valete. Lug- » duni, kalendis septembris MDCCXXXV. » Se considero pertanto nel Rolli gli studi e i viag- gi, dirò cbe studiò senza vanagloria , e viaggiò sen^ za interesse. La poesia fece abbandonargli ogni oc- cupazionej e la poesia infine gli procacciò per mezzo 36o Letteratura de'suoi viaggi in Italia e fuori un nome celebre ed onorato. Rendendosi o mai insalubre alla salute sua il cli- ma d'Inghilterra, maggiormente perchè già nell'età si andava inoltrando, e la sazietà che accompagna i pia- ceri facevagli desiderare il riposo e il letterario ozio, lasciando lo strepito di una popolosa città e le pom- pe di una splendida corte, fece ritorno in patria fra le acclamazioni e gli applausi de'suoi concittadini. Pareva egli in quell'incontro gloriarsi coli' ora- tore romano, che la città svelta quasi dalla sua sede se gli fosse fatta incontro per abbracciarlo; tale es- sendo egli stato ricevuto da ogni ordine del popolo, e tenuto in onorevolissima stima, e sempre consultato in tutti gli affari. L'essersi ritirato intanto da quella capitale era per lui una dolce solitudine , cui vagheggiava vi- vendo. Nondimeno non è a dirsi, che de'piaceri an- dasse privo del conversare; perchè nel comune usare non mancavano a lui né bei motti, né repliche sa- porite, né ogni modo di gentilezze. Siccome per altro egli preferiva le compagnie pri- vate e ristrette, così anche fu felicità per lui l'esse- re in città privata, a fine di non essere necessitato al peso di mostrarsi fra le grandi feste e i tumulti. Eb- be altresì quella che è la prima sulla terra, d'essere slato dotato d'un corpo ben temperato ed organizza- to; onde potè godere di una sanità fiorente, e di una mente valida e pronta fino all'età sua inoltrata. Professò in ogni tempo una profonda venerazio- ne ed un sincero attaccamento alla cattolica religio- ne; e nulla valsero a far vacillare la sua fede i li- bri e i discorsi dei settari, di che abbondava la me- tropoli pella Gran Bretagna. Notizie del Rolli 36 i Visse in illustre corrispondenza mai sempre, e fu sommamente amato e stimato tla gran numero di letterati, molti de' quali lo celebrarono meritamente ne'loro scritti ; né egli ancora fu avai'o delle sue lodi verso coloro, che per virtù glie ne sembrarono degni; e perciò ebbe amicizia col marchese Scipione Maffei, con Antonio Maria Salvini, col cav. Adami, col Mar- mi , con Gio. Pietro Zanotti , con Girolamo Gigli, con monsig. Ercolani, coli' Algarotti , con Riccardo Mead, col Seguier e con altri uomini chiarissimi. Fu il Rolli di animo assai costante nelle amici- zie : e coloro , che in sì dolce vincolo erano legati seco, antepose soventi volte nell'intitolare le sue poe- sie. Recherò qui una sua lettera scritta al Dragoni, com'è stampata nelVy^ filologia romana (*). « Rispettabile Cornante. « Todi IO ottobre 1749- » Rispondo alla vostra dei 3o settembre, comin- 1) ciando dal rendervi distinte grazie delle cortesi pre- » mure per i miei vantaggi e per l'accrescimento delle » mie onorcvolezze. Adempio questo mio dovere con » parole, ma pur anche non meno con desiderio sin- u cero di occasioni di adempierlo coi fatti, a norma » delle più strette leggi di gratitudine. Benissimo, e da » vostro pari mi rispondeste alla richiesta circa il mio I) drammatico stile, se fosse metastasiano. Avrebbesi M forse voluto me imitativo copiatore, scordando l'an- C) Tomo II, an. 1775, n. XII. e. io5 al log. G.A.T.XCII. 23 362 Letteratura 1) tico Jetto: Imitatores servutn pecus. Altro stile in » qualunque opera d'ingegno e di bell'arte non co- )) nobbi mai, se non quello che sorge dal trattato » soggetto. Quindi è prodotta la maestrevole varietà » de'classici autori in ogni qual siasi loro o lungo o M breve componimento pennellegiato con differenti co- )) Jori, onde risulta la quanto più varia tanto più per- )) fetta armonia delPintero. » In fatto melodrammatico, io son di parere che » il sostener bene spesso la versificazione energica sia » necessario, sì perchè la musica allungatrice delle e- » spressioni non lo snervi, e si perchè la dolcezza di » sì teneri affetti consecutiva alla precedente forza )) sia più commovente : il che i francesi dicono tou- » chant. Ridetur chorda^ qui semper oherrat ea- )) dem. Riflessione precettiva di Orazio Fiacco e di » universale estensione. » Oh quante belle lungagnole allettano il lettore » di un dramma, che riescon noiose allo spettatore ! » Osserverete che di tali opere si giudica più dagli » effetti nel primo, che nel secondo. » Per quello spetta all'anacreontismo nelle ariet- » te, siami lecito dire con modestia, saria particolare » che il traduttore migliore di quel soavissimo greco » fino ad oggi nella nostra, non che in ogni altra cul- » ta lingua, non ne avesse appresa la maniera. Un » buon compositore giudicherà delle ariette in cotesto » mio dramma. Oh quanti anacreontismi, o più vero » diesillisti, affollano i torchi d'Italia! Dovunque ab- » biasi a porre in opera il mio nuovo dramma, non è » già di mio concernimento. Avrei voluto, come a » primo parve, che si accennasse in qualche teatro di » Lombardia. Se fossemi stato asserito, che era per Notizie del Rolli 363 » una corte transalpina, non mi sarei contentalo del- » roffertarai ricompensa, perchè in quelle regioni l'a- » bilità mia per tali componimenti è notissima. ISelIa » sola Italia è ignota ancora: ma so come farla cono- 1) scere, e lo porrò ad effetto dopo il prossimo santi- » ficato anno : poiché quando il buono si dona, lo » spaccio n'è sicuro. Mi consolo, che la persona da » me per vostro mezzo servita sia nobile , e quin- » di incapace di permettere, che io mai venga alla » necessità del virgiliano verso hos ego versiculos. » Mi ha veramente dilettato la vostra disposizione di M onorarmi di una visita. Spero, a Dio piacendo, go- » derne il contento almeno tutto un ottobre. Se, pri- » ma che voi possiate venire, mi accadesse di dovere » ripassare le alpi e uno stretto dell'oceano, prometto- w vi far qualche breve soggiorno presso di voi. Ten- » ni una simil promessa al mio degnissimo amico mar- » chese Scipione Maffei in Verona nel mio ritorno » italiano. Replicovi il rendimento di grazie per l'al- » tra vostra affettuosa intenzione accennatami nella » recente lettera. Io rimetto tali onorevoli eventi a ») quella increata provvidenza, che mi ha per sua sola )) misericordia posto fuori della necessità di farne ri- » cerca, e dentro la prudente rassegnazione di non u rigettarli, perchè suoi doni gratuiti. » In quanto al mio metodo d' insegnar nostra » lingua a quella consapula real famiglia, sappiate che » in breve tempo m'internai nel possesso di quell'i- » solano bellissimo idioma, e per via delle correlazioni » dell'una e dell'altro, tanto nelle voci che nelle sin- » tassi, vennemi falla una manuduzione altrettanto » chiara, che compendiosa, per la quale in certo spa- )) zio di tempo si diveniva abile all'intelligenza della 364 Letti- RATURA » lettura e alla perfezione della pronuncia; talmente » che il discepolo, dilel tato nell'agevole superare l'a- » sprezza dell'imprendimento, proseguia con favorevo- » le compiacenza, e si faceva più lungo uso dell' assi- » stenza mia per evitare solamente l'incomodo di cer- » care il senso delle dizioni ne'vocabolari, e per non » arrestarsi nell'avida lettura de'nostri libri migliori, » o nulla cogniti sino allora in quella regione : il » che faceva non solamente insegnando la nostra lin- » gua, ma insinuando altre letterarie cognizioni. » Mi furono assegnati quattrocento scudi annua- » li : e perchè questi non erano sufficienti in quel » dispendiosissimo emporio, mi fu concesso l'insegna- » re a nobili famiglie. A ciò si aggiunsero le fre- » quenti occasioni di scrivere quelli accennati già » drammatici scheletri, che mi venivano pagati due- » cento scudi ciascuno, oltre la vendita de'libretli a » mio profitto, e che mi produsse bastante lucro ad » assistere altri, che io doveva, ed a stabilirmi questo » agiato ritiro. Se avessi voluto far più lungo soggior- » no in quella corte, sariami continualo l'impiego pres- » so nuova sorgente e numerosa sovrana famiglia : )) ma per la totale ruina delle opere italiane, effetto » dell'insorta guerra, e per le consecutive economie, )) mi risolvei alla partenza nell'autunno del XLVII. » Quegli che mi rivorrebbe al suddetto impie- » go, non è ancora il padrone. Ad insinuala ricer- » ca già fattami per allora ho risposto, che sarei pron- » to, purché si triplicasse il mio onorario, non volen- » do soggiacere ad altre precarie occupazioni. » Eccovi, amico sincerissimo, l'istorielta del vo- » Siro compastore. Per ulteriore informazione nella ») accennatami dianzi vostra cortese idea , sappiate , Notizie del Rolli 3G5 )} che possiedo la lingua inglese e francese, e che nuU » l'altro se non l'esercizio mancami a parlare fran- » camente la spagnuola. Nulla dico delle altre mie co- » gnizioni dell'istoria sacra e profana, antica e rao- )) derna, e delle consimili geografìe tanto a ciò ne- » cessarie. Non sarei forse disutile ad una sovrana » corte in impieghi di segreteria, o prossimi o lon- u tani. » Ma lutto ciò sia sincerissimamente accennato » con quella tranquilla solita indifferenza , cui non » disturban mai uè i desideril ne le speranze umane in u me, che ho sempre in mente il nescitis quid pe- ti tatis dell'eterna verità. n Pregovi di continuarmi , anzi di accrescere » la vostra per me onorevole amicizia: e di credere, » che siccome pregiomi di essere nei cristiani limi- 9 ti una specie di misantropo, così mi diletto di po- « chissimi amici, poiché tali sono i degni di questo » nome. Riamate il vostro amatissimo Eulihio. » Altresì caro fu il Rolli a moltissimi gran perso- naggi ; cioè a Francesco III duca di Modena, che lo dichiarò suo familiare: ad Eugenio principe di Savoia: al cardinal Passionei, e soprattutto all'immortalo pon- tefice Renedetto XIV, che scrivendo al degnissimo ve- scovo di Todi, allora monsignor Girolamo Formaliari, mandò al Rolli, come a suo amico, con insigne be- nevolenza i suoi saluti. Soffrendo il Rolli un male di stomaco, cagio- nato dalla troppa applicazione, incominciò ad affievo- lirglisi per modo la sanità, che peggiorando ogni gior- no, cessò in fine di vivere il 20 di marzo lyòS, del- l'età sua LXVII. Terminerò queste brevi notizie col dire, essersi 366 Lettbràtura riunite nel Rolli tutte quelle morali virtù, e quelle varietà di cognizioni, che si richiedono per formare un vero letterato, e che sono i più belli allori, che possano ornare una nobil fonte. Esse gli assicurano un luogo nel tempio dell'immortalità. L' iscrizione , che copre le sue ossa, fu da lui medesimo inserita nel suo testamento : ella è nella chiesa di s. Fortunato, ove venne tumulato, e dice : PAVLT ROLLI PVLVIS. Alla quale fu poi aggiunto sotto : VIX . ANN . LXVII . MENSIB . IX DiEB . VII . OBIIT . A . D . MDGCLXV Compose egli e mandò alla luce molte opere in versi italiani, specialmente lirici, felicissimi e gradi- tissimi : cioè un libro stampato in 4«° Londra Tan- no 1729, dipoi in Verona ed in Venezia, intitolato: Rime: colla graziosissima traduzione di Anacreonte. Alcuni componimenti poetici^ col suo ritratto, sotto di cui leggesi : Paolo Rolli patrizio tuderti- noj in 4'° Traduzione di un tratto sublime in versi sciol- ti di Elisabetta Doutes, gentildonna , poetessa in- glese. Ivi, in 4'° Il paradiso perduto del Milton^ tradotto dal- l'italiano, in 4'° stampato in Verona. La quale ope- ra, come a tutti è noto, fu censurata dalla s. con- gregazione dell'indice. Notizie del Rolli 367 // Decamerone del Boccaccio colla vita scrit- ta dal P^illani^ colle osservazioni sloriche e critiche in principio e in fine, impresso in Londra in foglio nel 1725. Comentò la tragicomedia del Pastor fido:\e opere di Francesco Berni : la traduzione di Lu- crezio fatta dal Marchetti : pubblicò le Satire e ri- me di Lodovico Ariosto colle sue annotazioni. Intraprese la traduzione degli avanzi dell'antica Roma del pittore Bonaventura Overbeck, cittadino di Amsteidam, e di varie osservazioni riflessive uscite al- le stampe di Londra nel 17*29. La buccolica di f^irgilio in versi italiani, in 4.** L'Atalia e V Ester del Racine, dal francese. Teti e Pelea, melodramma. La versione della cronologia degli antichi re- gni^ d'Isacco Newton, dall'inglese nell'italiano. CAPITANO Ottaviano Ciccolini socio corrispondente dell' instituto archeologico di Ranni' Il veltro allegorico di Dante. \J no de'passi, che più ha fatto fantasticare gl'inter- preti della divina commedia , si è quello del canto primo dell'Inferno : là dove parlasi del veltro allego- rico, che dovea cacciare del mondo la sozza lupa, e dicesi fra le altre cose : E sua nazion sarà tra feltro e feltro. 368 Letteratura ]Noi non istaremo a recar qui tutto ciò che in tanli secoli si è detto a spiegare questo tra feltro e fel- tro. Grande e solenne sognare! Pressoché uguale a quello di alcuni, che nel veltro vollero figurare san Celestino V, non considerando che questi regnò pon- tefice cinque soli mesi del 1294, tempo in cui Dante non erasi ancor dato a scrivere la divina commedia, opera del mezzo del cammino della sua vita : e a quello parimente di altri, che pretesero vedervi chi l'imperadore Arrigo di Lucemburgo, chi Cane della Scala, chi Uguccione della Fcggiola; non consideran- do anch'essi che ninna di quelle virtù eroiche di ^a- pienza e di amore^ ed assai meno il non cibar ter- ra uè peltro, potevasi appropriare ad alcuno dei tre prepotenti capi di parte: ed inoltre (ciò che più monta) dimenticando che l'Alighieri, per l'autorità gravissi- ma del Boccaccio, compose i primi sette canti del- l'inferno innanzi alla cacciala sua di Firenze nel 1802: quando cioè non erano ancora comparsi sulla scena del mondo né Arrigo, ne Cane, né Uguccione. Ma ora tutto questo fantasticare è cessato, mer- cè della incomparabile interpretazione dataci di esso tra feltro e feltro dal conte Francesco Maria Tor- ricelli di Fossombrone. Interpretazione , giova ripe- terlo, incomparabile : oltreché vorremo pur chiamar- la a buon dritto la maggiore scoperta che mai po- tesse farsi nella divina commedia. Questo tra feltro e feltro, dice il Torricelli, non è altro che la traduzio- ne letteralissima che il poeta, con oscurità profetica, fece di alcuni passi del cap. XXXIV di Ezechiele. Leggasi ivi il v. ly, e si troverà: Vos autem gre- ^ps mei , haec dicit Dominus : Ecce ego indico inter pecus et pccns, arietum et hircoriim : cioè, Veltro di Dante SCg come co'sacri espositori del profeta dichiara egregia- mente monsignor Martini: a Dopo la riprensione iat- » ta a'pastori, parla Dio allo stesso gregge , cioè al » popolo: e dice in primo luogo, cli'e'farà giudizio di » tutti, e farà separazione tra pecore e pecore , tra » arieti e montoni , cioè tra buoni e cattivi : ed è » quello che disse Cristo ( Matt. XXV, 33 ): Qaan- » do verrà il Figliuolo delVuomo nella sua mae- )) sta .... egli separerà gli uni dagli altri, come » il pastore separa le pecorelle dà'capretti, e met- ri terà le pecorelle alla sua destra, ed i capretti » alla sinistra. » Segue a dire Ezechiele , v. 18 : Nonne satis vobis erat pascua bona depasci? In- super et reliquias pascuarum vestrarum concul- castis pedibus vestris ; et cum purissimam aquam biberetis, reliquam pedibus vestris turbabatis. — V. 19 : Et oves meae his, quae conculcata pedi- bus vestris fuerant, pascebantur ; et quae pedes vestri turbaverant, haec bibebant. Ed il Martini . « Parla a quelle pecorelle, cioè a que'sudditi inquieti » e cattivi, e particolarmente a que'grandi, i quali » vivendo splendidamente non lasciavano aver bene » a'piccoli, ed amavan piuttosto di mandare a male » e spendere e dissipare il loro superfluo, che lasciar- » lo per sostentamento de'poverclli, e colle lor pre- » potenze turbavano la pace. Nella stessa guisa Cri- « sto nel suo giudizio condannerà il disamore dei » ricchi e dei potenti del secolo. » Anche dice il profeta, v. 20 : Propterea haec dicit Dominus Deus ad vos : Ecce ego ipse iudico inter pecus pingue et macilentum. -Y. 22 : Salvabo gregem meum^ et non erit ultra in rapinam , et iudicabo inter pe- cus et pecus. Syo Letteratura Ecco» ecco il vero e biblico senso di quelle sì misteriose parole del poeta teologo : Ed egli sarà giudice ( volendo lo Stroccbi che leggasi nozione , anziché nazione) tra pecora e pecora, inter pecus et pecus, cioè con ardita mei aiovA fra feltro e feltro^ Che se poi colla comune seguiteremo a legger na« zìone, il senso non sarà pure men bello : E la sua famiglia ( tal è anche il significalo elegantissimo di nazione ) sarà tra feltro e feltro : ovvero , non reputerà egli di avere altra famiglia , che il gregge suo, pecus et pecus. Ed ecco pure che il i>eltro ijon può essere che Gesti Cristo, o sia la sua provvidenza e l'onnipossente suo braccio: che solo in lui sono quelle sovrumane eccellenze, che il poeta indica per rico- noscerlo : di non curare cioè ninna cosa terrena (ne terra, né peltro ), e d'essere per essenza divina tut- to sapienza, tutto amore, tutto virtìi. Et suscitabo ( segue a dire Ezechiele v. 23 ) super eas pastorem unum^ qui pascat eas, servum nieuni David: ipse pascet eas, et ipse erit eis in pastorem. « Impe- » rocche (comenta pui^e il Martini) gli ebrei ed i cri- » stiani sono d'accordo nel riconoscere in quest'uni- » co pastore il Cristo , cui è dato il nome di Da- » vidde, perchè figura e padre di lui fu Davidde ( se- » condo la carne ), e perchè Cristo è insieme buon » pastore e buon re. A queste parole di Ezechiele al- » ludea Cristo, quando disse : lo sono il buon pa^ » store, e conosco le mie pecorelle', e quelle che » sono mie, mi conoscono. Cristo è detto servo di » Dio per ragione della umanità assunta da lui, co- » me altrove si disse. » Volevasi poi dalla ragione allegorica che in quel passo della divina commedia Gesù Cristo fosse anche Veltro di Dante 871 chiamato veltro : perciocché parlandosi ivi allegorica- mente del dar la caccia a una lupa, non sappiamo quale altra belva possa ciò fare, dal veltro in fuori. Siano dunque sincerissirae lodi al conte Torri- celli, che ci ha finalmente recati a sì gran luce di ve- rità : e glie ne siano altrettante pel nobilissimo stu- dio che pone presentemente a dichiarare tutto il sa- cro poema: perciocché promette (ed è cosa da lui) di aprirci il senso principalissimo che vi si dee cercar per entro, cioè il morale. Di che abbiamo avuto già dal chiarissimo fossombronate il saggio dei due pri- mi canti : oltre al prospetto della gran tela di tutta 1' opera col titolo di Magistero della divina com- media : vero capo-lavoro dantesco. Perchè intanto si vegga in qual pregio debbansi tenere dagl'italiani le illustri fatiche del Torricelli , ecco una lettera dell'onorando e celebre nestore della ■ nostra letteratura cav. Dionigi Strocchi : lettera tanto più autorevole, quanto che chi la scrisse ne permise anche la stampa. S. Betti. 0 Mio sìg. osservadiss. e chiariss. » Dovea io ben prima d'ora ringraziare V. S. » chiarissima dell'avermi posto nel numero di .quelli, » a'quali si piacque partecipare una verità, che por- n gè a chi l'ha trovata giustissima cagione di ripe- M tere le parole di Archimede : Eurecha^ eurecha. » E ringrazio la sorte di avermi lasciato vivere tan- » to da entrare, quando che sia, al numero de' più » con in capo un errore di meno. Quando ebbi lei- 3^2 Letteratura » ta la nuova sua interpretazione, non indugiai par* » teciparla a'mlei discepoli. Disdissi l'altrui e il mio » detto. Ne fu una festa, e il nome di V. S. fu accom- » pagnato da meritati applausi. Or che direbbe il » Gozzi, il Venturi, e che direbbero maravigliando cen- » to altri coinentatori ? Che dirà il buon Troya col u suo Ugucclone della Fagglola ? Boccaccio nel vel- n tro avea già riconosciuto Gesù Cristo. Egli, quasi ») contemporaneo, potea e dovea pure mettere gli e- n sposilori in qualche sospetto dell'avviso loro : poi » tra lana e lana interpretò^ra nube e nube. Boc- )) caccio buon prosatore, non poeta, quantunque scrit- » tore di versi, non ebbe tanto acume di veduta da » seguire i tropi arditi della gran mente dell' A.li- » ghieri: e si che il tropo da lana a feltro non era )> ritroso a lasciarsi vedere ! Oh in quante triche, in » quante tenebre, ha indotto il mondo letterario quel » primo menante che mutò un o in un a ! Certo )) che nazione mutò poi due lane in due paesi. Co- » gnoscere^ cogìiitor, cognitio^ sono tutte voci la- » tine, alle quali in italiano rispondono giudicare^ » giudice^ giudizio : e chi non sa che la lingua di » Dante è una viva immagine della latina ? Addio » dunque leone valesio, lupa romana, lonza fioren- » lina. Ecco Dante ! Tutto etico, tutto teologo, lut- » to biblico, sulle quali dottrine ha fondate le sue » pollliche. Per quanto la matematica evidenza può » trovar loco nella interpretazione di poetiche fanta- ). sie, pare a me che si trovi in quella, della quale » dopo cinque e più secoli ella ha fatto dono alla » repubblica letteraria di ogni nazione. Dante non » è soltanto italiano, ma europeo come il secolo in » cui visse e scrisse. SI legga adunque : E sua no- Veltro di Dante 87 3 » zìon sajyì tra feltro e feltro: cioè tra lana e la- » na, tra buono e malo. E quindi si disse ironica- » mente buona lana a tristo uomo. Il popolo La u tolte molte voci dalla bibbia e dalla cbiesa. » Oh fosse pure un premio destinato alle sco- )) perle letterarie, come lo è alle mediche, alle nau- » tiche, alle arti, ai mestieri ! V. S. lo avrebbe a'no- » stri di meritato. » JNon chiuderò questa lettera senza ringraziare » il sig. conte Ferdinando Pasolini , come amico , » dell'avere in qualche modo adempiuto il difetto del » mio silenzio. ISella pigrizia di scriver lettere non » cedo ad Orazio Fiacco : sì che talvolta incorro nel )) rischio di essere chiamato scortese , ancorché tale » poi non sia in mio cuore , col quale non lascio » certamente di ringraziare giammai. E qui pregan- » do eh' ella si degni conservarmi nella sua buona » grazia e favorevole opinione, mi glorio dirmi con » tutta l'osservanza e con tutto l'animo » Faenza li 3 settembre 1842. „ Suo devotiss. ossequiosiss. affezionatiss. servo ed amico Dionigi Strocchi. -«=»"^Ì90^^-»— 374 Lettera a S. E. il sig. principe D. Pietro Ode- scalchi ^ direttore del giornale arcadico^ intor- no ad alcune rettificazioni da farsi ad un ar- ticolo pubblicato nel tomo XC del giornale medesimo^ intitolato : Raffaello d'Urbino a città di Castello. Jil pittore insigne Vincenzo Chialli ultimamente de- fonlo in Cortona, ove era direttore dell'accademia del disegno, ha lasciato un semplice abbozzo di un qua- dro sullo stile fiammingo, nel quale era eccellente, sopra un patrio argomento datogli da un suo con- cittadino e mecenate, coll'idea di rappresentare Raf- faello in Città di Castello intento a dipingere pei padri conventuali la tavola dello sposalizio di M. V., rapita da'fanatici repubblicani dal proprio altare , e recata in dono al cisalpino generale Lecchi, che, da loro chiamato, invase la città nella ferale notte del i3 gennaio 1797, facendo prigioniero il prelato Bu- rini governatore e il presidio pontificio, e sopprimen- do tutti i componenti la magistratura. Surrogò a que- sta una municipalità da lui nominata ; e non es- sendo ancora occupato lo stato papale, istigò la me- Lettera all'Odescalchi SyS (Icslma a deputare due zelanti repubblicani, i quali si portassero a Milano per cbiedere, che Città di Ca- stello associata fosse alla nascente repubblica cisal- pina. Il consiglio fu eseguito: e due mazze d'argen- to , che servivano a decorare il magistrato quando esciva in pompa, furono disfatte, e servirono alle spese del viaggio che importarono scudi circa quattrocento cinquanta, per quanto fu detto. La preziosa tavolet- ta, passata in varie mani, forma oggi l'ornamento più bello della pinacoteca di Brera in Milano. 11 Chialli non era molto istruito nella patria istoria, come que- gli che sempre contrariato dal padre, che lo voleva addetto a mestiero di quotidiano lucro, era costretto di nascosto procurarsi alla meglio gli stili dell'arte, ed in parte il suo sostentamento: né molto potè af- fezionarsi alla patria, da cui stette lontano, per per- fezionarsi allo studio del barone Camuccini in Roma; ed al suo ritorno soffrì de'disgusti, e perfino, lui vi- vente, dovette vedere dar di bianco da inesperto te- merario pennello alle sue pitture fatte nel pubblico teatro. Tuttavia si arrese alle premure di un concit- tadino suo mecenate ; e da lui istruito sul soggetti, che doveva introdurre nel novello ideato quadro, pose mano all'opera, che morte non gli lasciò né terminare, ne colorire. L'autore dell'opuscolo sull'argomento, che ha per titolo : Raffaello cV Urbino a città di Castello ( che si trova inserito nel novantesimo tomo del giornale arcadico, ed in cui prendesi ad illustrare l'abbozzato quadro del Cbialli): avrebbe reso miglior servizio al medesimo, se vi avesse unita una litogra- fica incisione, nella quale si potessero distinguere gì' illustri personaggi e le nobili antiche dame concorse ad ammirare il raffaellesco lavoro; e curioso desiderio 3 76 Belle Arti destato avrebbe in ciascuno il ravvisare quel Rajfael- liiio dal Colle ^ che guidato a mano dal rustico pa- dre, di rozzi panni vestito, si finge venuto a piedi dal Borgo s. Sepolcro per conoscere il divino urbina- te, di cui fra non molto avrebbe emulato la gloria. Sebbene non par verosimile che il genitore, a cui gio- va supporre un' anima gentile e sensibile al bello , esponesse il figlio al penoso viaggio di ben dieci mi- glia, facendolo venire dal Borgo, come vuole 1' au- tore dell'opuscolo, senza neppur l'aiuto di un giu- mento; ma sembra più verosimile, che il Chialli, ade- rendo all'opinione del nostro Titi, autore accredita- to della Guida di Roma e noto a tutti gli amatori delle belle arti, lo faccia venire dalla villa sua na- tia di Colle, che si trova a poche miglia di distanza da Città di Castello per la strada stessa che condu- ce al Borgo. L'opuscolo però sunnominato è corredato di no- te , in cui l'autore sfoga il suo rancore contro un piccolo libretto stampato in Arezzo col titolo : Due giorni in Città di Castello. La nota num. i5 po- ne in beffe, l'essersi voluto alla nostra villa di Col- le attribuire il celebre Raffaellino, dopo che egli in questo giornale arcadico , anno 1887, art, I, ha in- teso di provare concludentemente , che la patria di lui è il Borgo. Falsità cosi manifesta viene sul fat- to smentita da chiunque legga la pag. 24 del libret- to, ove riportasi l'opinione del Titi e quella dell'au- tore dell'opuscolo sulla patria di Raffaellino, lascian- po la libertà a ciascuno di abbracciare quella che più gli piace. Se questo sia un farsi sostenitore, che Raf- faellino non sia dal Borgo, si lascia decidere a qua- lunque sensato leggitore. Lettera all'Odescalcìii 'ò<'f'j Ma vi è (li peggio. Mentre l'autore presume iU luminare i suoi concittadini su quanto vi lia di falso nell'incolpato libretto, prende ad attaccare diretta- mente l'autore su di un equivoco preso, ed al quale ha dato motivo egli stesso. In un libro di lui, intitolato Illustrazione storico-pittorica , si trova descritto , pag. 38, un antico bassorilievo del secolo XIII, che adorna una porta della cattedrale tifernate: e si rap- presenta in esso, fra gli altri oggetti risguardanti la storia della Madonna , il parto del divino infante. Ma siccome la Vergine sta distesa in morbido letto, e due donne tengono il celeste Bambino sospeso so- pra un vaso per lavarlo, l'autore del libretto alla pag. IO si è uniformato al volgare sentimento inval- so , che ivi si prendesse equivoco colla nascita del Battista. Equivoco che poteva togliersi facilmente con aggiungere alla descrizione di tal antico bassorilievo cadente, e cìie appena più si distingue, tutto quello che ora ha scritto nella nota i5. Se sì fatto scrit- tore fosse slato esatto, ed avesse indicato quel bue e quell'a^mcZ/o, che dice s[)unì.3ire àaììà parte supe- riore^ forse del letto, ognuno avrebbe capito, che si trattava della nascita di Gesù Cristo , non già del Battista, la cui storia non può dirsi extra choruni ne' fasti della Madonna. Con perdono però di così chiaro scrittore, ci sia permesso aggiungere, che tali aberrazioni dalla storia evangelica non sembrano co- muni a quasi tutti gli antichi scultori e pittori: mentre in quei soli due monumenti, che allega in detta nota sulle porte della chiesa di Benevento e di s. Paolo, s'incontra dubbioso il Giampini nell'inter- pretare se quegli abozzi di piccole figure, che tengo- no sospeso il divino infante sopra un vaso , siano G.AT.XCII. a4 * 3^8 Belle Arti angeli o donne; e così in quelli espressi sulle por- te di s. Paolo: e sono anche incelati nello scoprirvi l'asino e il bue. Molla lode l'autore dell'opuscolo si sarebbe meritala, se a corredo della sua nota avesse portato l'incisione litografica del bassorilievo , onde ravvisarvi quell'asino e quel bue, che a niuno forse per lontananza, o minutezza di lavoro, è slato con- ceduto di scoprirvi. Ma nel prefato libretto neppure si è nominato l'autore della Storia pittorica tifer- nate: essendosi solo modestamente detto, che ad al- cuno è sembrato erroneamente ravvisare la nascila di G. C. Le quali cose stando in questi termini, come l'È. V. potrà rilevare dai libretti qui compiegati ori- ginalmente, si spera che sarà dell'onore del suo gior- nale il vendicare l'autore dalle ingiuste censure con- tenute nell'inserto opuscolo, dovendo essere un gior- nale il deposito delle cognizioni letterarie, non un mezzo di alterare la verità a carico di chiunque, e di sfogare un personale rancore. Ho l'alto onore di rassegnarmi, Di Vostra Eccellenza, Roma la luglio 1842. Umilissimo devotissimo servitore GAY. Giuseppe Andreocci. ■jigg^e^ag-ca^ 370 WMkWLlMTM,' Dei vantaggi arrecati alle nazioni cristiane dai romani ponte- fici per mezzo delle nunziature apostoliche, dissertazione del canonico Celestino Masetti dottore in ragion civile e in sacri canoni, socia della romana accademia di religione cattolica e di alcuni altri istituti di scienze e lettere , letta nella stessa accademia il giorno i5 luglio i84t. 8. Roma, tipografia delle belle arti 1842. (Sono pag. ^i.) JZjcco un bello scritto, che ognuno leggerà con piacere : per- chè con assai pulitezza di stile e dottrina vi si parla di cose im- portantissime alla storia ecclesiastica, e quindi pure alla digni- tà di Roma e dell'Italia. Quanto bene vi si troverà fatto alla civiltà de'popoli, non meno che alla religione, dalle paterne sol- lecitudini de'sommi pontefici ! Né solo ne'tempi antichi , ma si ne' moderni ; anzi ne'vicinissimi a noi: non tacendosi delle nun- ziature di due viventi lumi della romana porpora, cardinali Bar- tolomeo Pacca e Giacomo Giustiniani; al primo de'quali, nome famoso in Europa, è dal dotto signor canonico Masetti intitola-^ ta appunto questa lodata dissertazione. Saggio di Agostino Gallo sWpittori siciliani vissuti dal 1800 al 1842. — 12. Palermo, tipografìa di Bernardo Virzì 1842. (So- no pag. 27. ) J.1 on essendo mollo note generalmente le cose della Sicilia nel- le altre provlncie d' Italia , piacerà sapere da questo diligente 38o Varietà' scritlo , lavoro d'un uomo conosciuto assai vantaggiosamente. Delle nostre lettere, come la nobile eredità di Terone da Leon- lino, di Antonello da Messina e di Vincenzo Anemolo non è sta- ta trascurata di là dal faro né pure a'di nostri: essendovi fiori- ti, e tntlor fiorendovi, molti valenti pittori che appresa l'arte o in Roma o in Firenze, città massime in queste cose, fanno fede anch'essi del mastistero italiano. Le rime di Vittoria Colonna corrette su i testi a penna e pub- blicate con la vita della medesima dal cavaliere Pietro Erco- le Visconti. Si aggiungono le poesie omesse nelle precedenti edizioni e le inedite. 8. Roma, dalla tipografia Salviucci 1840. (Un voi. di carte CXLVIII e ^-ji, con tre tavole in rame). \J'\ quest'opera eminentemente romana , la quale tanto onora il giudizio, la dottrina e la eleganza del cav. Visconti, non che la splendidezza del principe don Alessandro Torlonia, parleremo in uno de'volumi venturi. Dizionario tibetano. JU accademia imperiale delle scienze di Pietroburgo ha fatto pubblicare a sue spese il dizionario tibetano latino-tedesco com- posto da uno degl'illustri suoi membri, dal dottore Enrico Teo- doro Schmidt, che molti anni ha dimoiato al Tibet. Questo di- zionario contiene circa ventidue mila vocaboli tibetani , ed è il solo che si conosca colle relative spiegazioni nelle lingue euro- pee. Dizionario provenzale. Xl sig. S. I. Honnorat di Digne si propone di riempiere una grande lacuna nella letteratui-a de'popoli meridionali di Europa V A R I « T a' 38 1 pubblicando il suo Dictionaire provencal—francais, ou diction- naire de la langue d'Oc ancienne et moderne. Conterrà essoj se- condo ciò cjhe l'autore promette, più di novanta mila vocaboli- a'quali por^à le corrispondenti spiegazioni in italiano, in ispa- gnuolo, Ui portoghese, in tedesco, insieme colle particolari de- finizioni ed etimologie. Il che certo sarà un gran favore ch'egli renderà anche alla lingua nostra, la quale ha moltissime radici nella provenzale, o sia nell'antico rustico romano che conser- vossi lunghissimo tempo, e tuttor conservasi iu parte, nella Pro- venza. Noi speriamo però che il signor Honnorat, conoscendo i be'lavori del Raynouard e degli altri francesi sa quella lingua, non ignorerà ( com'è l'uso de'suoi nazionali, clie per lo più non sanno che le cose del loro paese) anche quelli dei dotti italia- ni, e soprattutto le recenti opere del chiarissimo modenese cav. Giovanni Galvani. Programma del concorso dementino che ti celebrerà nelV anno MDCCCXLIII dall'insigne e pontijicia accademia romana delle belle arti denominata di san Luca. JLi Insigne e pontificia accademia ha determinato di pubblicare il grande concorso dementino per l'anno i843 co'seguenli temi: PITTURA PRIMA CLASSE N. S. Gesù Cristo, tentato da alcuni seguaci de'principi de' sacerdoti e degli scribi a dir loro se dovesse o no pagarsi il tri- buto a Cesare , fa porgersi una moneta : e chiesto di chi fosse l'immagine, che v' era improntata , ed avutone eh' era essa di Cesare, rispose quelle memorande parole: ,, Rendete dunque a Cesare quel ch'è di Cesare, e a Dio quelch'è di Dio.,, San Lu- ca, Evang. cap, XX.. Quadro ad olio in tela, lungo palmi cinque architettonici ro- mani, cioè metro i, ii5; alto palmi quattro, cioè metro o, 892. 38a V A R I E T A SECONDA CLASSI S. Paolo, guardato a vista in Roma da un soldato nella 03' sa che gli fu conceduta di abitare invece del pubblico carcere , predica la religione di G. C. a molti pagani ch'andavano a visi- tarlo, ed anche ad alquanti della corte di Nerone, eh' indi si convertirono. - Atti degli apostoli e. XXFIII, e Lettera di san Paolo ai filippesi cap. I versetti i5 e i4- Disegno injìgura, in foglio lungo tre palmi romani , o sia metro 0,670; alto due palmi, o sia metro o, 446, non compreso il margine. % SCULTURA PBIMA CLASSE Il figlino! prodigo nell'atto eh' è accolto fra le braccia del suo genitore. - S. Luca, Evang. cap. Xy, v. 20. Gruppo in tutto rilievo, in gesso o in terra cotta, dell'altez- za di tre palmi romani, cioè metro 0,670, non compreso lo zoc- colo. SECONDA CLASSE Santa Maria Maddalena vede presso il monumento sepolcra- le N. S. Gesù Cristo in aspetto di giardiniere. - S. Giovanni , JSvang. e. XX, versetti i^ e i5. Bassorilievo in gesso o in terra cotta, lungo palmi romani cinque, cioè metro i, 11 5; alto palmi tre, cioè metro 0, 670. ARCHITETTURA PRIMA GLASSE Idea di un grandioso e comodo ospedale, atto a dar ricetto e cura a cinquecento uomini infermi, oltre all'abitazione di quan- ti debbono essere addetti al governo , alla cura spirituale e fisi- ca, a\V amministrazione , al servigio , ed al buon ordine dei pio stabilimento. GÌ' inferrai saranno distribuiti in sale separate, ma tutte ad un piano medesimo, ciascuna delle quali dovrà contene- re comodamente cinquanta Ietti. - Queste sale debbono essere opportunamente esposte e ben ventilate: e il concorrente dovrà dar conto, anche con particolare dimostrazione , de' migliori si- V A R I « T a' 383 stemi adottati così per la facile rinnovazione e purificazione del- l'aria , come per riscaldarle economicamente nella stagione in- vernale. - Contigui ad esse sale saranno disposti i luoghi oppor- tuni pel miglior servigio e per la proprietà degl'infermi. Inoltre due altre sale richieggonsi per la clinica medica e per la chirur- gica. - La chiesa, il teatro anatomico coi gabinetti fisici annessi , la spezieria col respettivo elaboratorio, le guardarobe, i magaz- zini, il refettorio , la cucina e tutte le altre necessarie ed utili dipendenze proprie di tale edifìcio, saranno disposte ne' luoghi più opportuni all'uso. Così le abitazioni degli ufficiali e addetti all'ospedale, secondo il loro grado, saranno tanto nel numero, quanto nella posizione, determinate con giusto criterio, e con giudizioso riparto distribuite. -Il vestibolo d'ingresso sarà decen- tissimo : e presso vi si troverà il luogo di registrazione degl' in- fermi ricevuti nell'ospedale, e de'guariti che n'escono : come al- tresì altri sufficienti luoghi per un corpo di guardia e pe' custo- di in attività di servigio. Questa idea sarà dimostrata da due icnografìe, da due or~ togra/ìe, l'una interna e l'altra esterna, oltre ad una tavola di particolari in iscala proporzionata pia grande : usando fogli lunghi palmi 5 9/Ì2 , o sia metro o, 840; larghi palmi 1 'jjii , a sia metro o, SyS. SECONDA CLASSE Una chiesa isolata, con tre altari, da collocarsi nel mezzo di una piazza, e destinata ad una confraternita. Avrà una sagre- stia e le camere annesse per le riunioni de'confralelli. In quattro fogli si disegneranno la pianta , il prospetto , la sezione, non che i particolari in iscala più grande- I fogli avran- no la medesima dimensione di quelli prescritti per la prima classe. ORDINE DEL CONCORSO II giorno della solenne distribuzione de'premi, da farsi nella grande aula capitolina, sarà determinato dall' eminentissimo e reverendissimo signor card, camerlengo della santa romana chie- sa, protettore dell'accademia. Ogni artista, di qualsiasi nazione , potrà fare csperimeuto 3r)4 Varietà' del suo valore in quella classe, nella quale non abbia ottennio mai premio in alcuno de'grandi concorsi capitolini. Le opere •s'aranno consegnnie al professore segretario perpe- tuo dell'accademia il giorno i di luglio i845 nella galleria acca- demica. Ogni opera da presentarsi al concorso avrà scritta una epi- grafe, e sarà accompHgn^ta da una lettera sigillata, che conten- ga il nome dell'autore, la patria e l'abitazione, ed abbia di fuori l'epigr-ife medesima, ond'è notala l'opera Ne'giorni 5 e 6 di esso mese i concorrenti saranno sottopo- sti a prove estemporinee sopra temi cavati a sorte. Queste prove , afflnciiù bastino a far conoscere se V opera preseiilata sia dell'autore che la presenta, consisteranno negli esperimenti che qui seguono: Pt-T la pittura, nella prima classe, si farà un bozzetto d'in- venzione nel primo giorno e nel termine di sei ore, alto un pal- mo e due once , cioè metro o, 268 ; lai'go un palmo e mezzo , cioè metro o, 335 Nel secondo giorno, entro il medesimo spazio di tempo, si dipingerà una mezza figura dal nudo ( nella misura così delta di Sassoferralo) a fine di avere la prova dell' esecu» zione. II medesin\o, relativamente a'modelli, si userà per la prima classe della sculturn. Nella seconda classe poi della pittura si eseguirà un sogget- to in disegno; e nella seconda classe della scullur.) un altro sog- getto in bassorilievo: e ciò nel primo giorno. Nel secondo giorno iì disegnerà da' pittori, e si modellerà dagli scultori, una parte dal vero. Nell'ai'chitettura, quelli che concorreranno alla prima clas- se dovranno nel primo giorno eseguire la pianta, 1' elevazione e lo spaccato di un piccolo edificio, in fogli lunghi (re palmi e un dodicesimo, cioè metro 0,688; larghi due palmi e cinque dodi- cesimi, cioè metro o, SSg. I concorrenti alla seconda classe sa- r9nno sperimentati sopra un soggetto più facile , in fogli lunghi palmi duo e dieci dodicesimi , cioè metro o, 633; larghi palmi duv e un dodicesimo, cioè metro o, 44^- t Varietà' 385 Nel secondo giorno essi concorrenti della prima classe fa- ranno nna descrizione della fabbrica trattata estemporaneamente nel giorno innanzi: indicando il metodo di costruzione, e dando qualche particolare in grande di una parte di essa fabbrica. E cosi faranno in proporzione quelli della seconda classe. Le opere de'concorrenti con le rispettive prove saranno e- sposte al pubblico nelle sale accademiche per otto giorni, prima del giudizio dell'accademia : e per altri otto giorni, dopo esso giudizio. L'accademia giudicherà le opere de' concorrenti inappella- bilmente, ed in tutto secondo le disposizioni del cap. IV de'suoi pontifìcii statuti. Le opere premiate rimarranno in proprietà dell'accademia , perchè aleno collocate nelle sue sale co'nomi degli autori. Il premio per le opere della prima classe della pittura, della scultura e dell'architettura sarà una medaglia d'oro del valore di zecchini quaranta. Il premio per le opere delle seconde classi sarà una meda- glia d'oro del valore di zecchini venti. Dato in Roma dalle stanze accademiche questo dì i di lu- glio 1842. Il conte palatino Professore cavalier presidente dell'accademia CLEMENTE FOLCHI // professore segretario perpetuo SALVATORE BETTI. Programma del concorso Pellegrini aggiunto al dementino, che si celebrerà dall'insigne e pontifìcia accademia romana di san Luca nell'anno i843. Jll benemerito professore accademico Domenico Pellegrini nati- vo di Gallerà nel Bassanese, mancato a' vivi in Roma nel i84o , inslituì per sua disposizione testamentaria un concorso di pittu- ra da aggiungersi in perpetuo a quello, che col titolo di de- mentino fuol celebrarsi in ogni sei anni dall'accademia romana d; san Luca. Volendo perciò l'accademia metter subito a profitto degli ar- 386 Varietà' tisti questa beneficenza ( comcchè ella amministri appena da due anni l'eredità Pellegrini), propone a'concorrenti di ogni nazianc il saguenle tema ; Saulle nell'istante cKè preso da sdegno e da inuidia con^ tro di David , il quale fra cantici e cori di donzelle è accolto dal popolo d'Israele dopo V uccisione del gigante Golia. ~Y. H primo libro dei re, cap. XVIII, versetti 6 e seguenti. Quadro ad olio; alto, per questa volta, palmi sei romani ar- chitettonici, o sia metro I.345,' largo palmi otto romani architet- tonici, o sia metro 1.780. La medaglia d'oro, del valore di cento zecchini, sì consegne- rà nella solita solennità capitolina del coucor»o Clementino ali* autore dell'opera che sarà giudicata degna di premio. Le norme, a cui i concorrenti debbono assoggettarsi, saran- no in tutto le prescritte pel prefato concorso Clementino, anche per la consegna delle opere, e per le prove estemporanee : do- vendo quella farsi al prof, segretario perpetuo dell'accademia nella galleria di 3. Luca in Roma il di i di luglio 184.^; e queste aver luogo nella galleria medesima ne'giorni 5 e 6 di esso mese alle ore che verranno determinate. E siccome il testatore vuole che in parità di merito, e avu- to soprattutto considerazione al colorito, siano preferiti nel pre- mio i sudditi veneziani ed i pensionati della sua patria, che si troveranno in Roma a studiare le belle arti ; così la pontifìcia accademia, coll'autorità dell'eminentissimo e reverendissimo si- gnor cardinale camerlengo della S. R. G. , ordina eh' essi sud- diti veneziani e pensionati di Galiera, i quali fossero per pre- sentare le loro opere al concorso Pellegrini , debbano sotto la solita epigrafe posta nella soprascritta della lettera sigillata (da consegnarsi insieme coll'opera al segretario dell'accademia, con entrovi il nome, il cognome, la patria e l'abitazione del concor- rente ) indicare precisamente la qualifica di suddito venez^iano studente in Roma, ovvero di pensionalo di Gallerà : e ripeter- la anche a pie del proprio dipinto. Questa qualifica verrà ve- rificata (ove debbasi aprir la lettera per conoscere il nome del preiiiiulo) dall.i necessaria testimonianza deireccelleutissima le- gazione austriaca presso la Santa Sede. Varietà' 38; Il giudizio de'professori, secondo i pontificii statuti dell'ac- cademia, è inappellabile. L'opera premiata rimarrà proprietà dell'accademia , come le altre de'grandi concorsi. Dato in Roma dalla residenza accademica questo dì i di luglio 1842. // conte palatino Professore cavalier presidente dell'accademia CLEMENTE FOLCHI // professore segretario perpetua SALVATORE BETTI. Cassa di risparmio in Pesaro. lOi parlò al tomo 91, pag. SjS di questo giornale, intorno alla fondazione ed ai primi albori della cassa di risparmio in Pesaro. Abbiamo ora il piacere di offrire a' nostri lettori i risultamenti del primo anno, cioè dal i luglio 1841 al 3o giugno 1842. Si a- prirono 700 libretti, e se ne estinsero i55. Con 5,58; depositi si ebbero scudi 11,226: 53, de'quali furono ritirali scudi 1,725:80. Da ciò risulta cbe, posta a confronto la popolazione di quella città, che è di 12,247 anime, col numero dei depositi, si ha il rapporto di uno a 21 28y,o„. gg in quest' anno non si aumen- tarono i fondi della cassa , se ne accagioni e la novità sua , e le spese di fondazione, ed altre cose. Grande però fu l'utile ar- recato ai depositanti, ed a coloro cui abbisognava danaro pei loro affari; poiché è legge, doversi somministrare a coloro cui più urge, salva la sicurezza del rimborso e de' frutti. È certo d'altronde che se i pesaresi continueranno l'opera con amore ed alacrità e, quel che più monta, con senno, di che hanno dato prove irrefragabili, la cassa da loro istituita sarà di grande u- tilità a Pesaro; sarà fiorente come la romana; e sarà solida e duratura come quella di Basilea , che ebbe incominciamento nell'anno 1809. Essa avea in deposito nel dicembre del i838 (da 2,902 prestatori) la somma di 668 mila lire di Francia, ed avea accumulato un capitale di riserva di 4S9 mila lire. Piglian- do le quali due somme si ha per ciascun abitante del paese una quota di lire 29, la maggiore forse che fino ad ora si verifichi sulla superficie del globo .• quota che è testimonio di spirito di previdenza e di agiatezza. E. C. B. 38H Varietà' Di un singolare terreno di trasporto nella collina della Tomba di Pesaro, nota [col seguilo) del sig. prof, conte Giuseppe Ma- miani della Rovere. Con (avola. ( Estratta dagli annali delle scienze naturali di Bologna, t, VII e Vili ). Gì iace la collina di Tomba, forse così detta dal castello di tal nome, -dirovesl-ovest-sud di Pesaro, da cui dista circa 8 miglia, un poco al di sotto del monte Luro. Recatosi il eh. A. sui luogo: ,, Ravvisai, egli dice, un terreno di trasporto con sopra grosso strato di terra vegetale, e vidi alternare fra loro tre banchi,- l'uno di argilla-tufacea-siliciosa ,• l'altro di ciottoli primitivi; il 3 di una specie di gres siliceo-micacea , senza avere però la consi- stenza < la durezza pietrosa. Maravigliai per molte considerazio- ni : niii soprattutto per quella delle alternative del parallelismo e regolarità dei banchi; per il grande ammasso dei ciottoli, per la presenza di moltissimi fossili marini, che assieme a loro e con altri ciottoli calcari, e con varie concrezioni brecciose si trovano ivi radunati .... L'ertezza del terreno vegetale è di metri 2^70; di 1,35 quella del primo banco argillo-lufaceo-silicioso; di o,25 il banco di gres; di ' , 45 l'agglomeralo de' ciottoli ; di 0,26 la spessezza del secondo banco di gres; forse una eguale disposi- zione conserverà il terreno al di sotto. La base delia .sezione so- vrasta al piaiici arabile per metri 5,go; onde il vertice di tut- ta la l'orinazione vi s'innalza per metri 11,90. Gli strati o ban- dii hanno una pendenza sull'orizzontale di gradi 24 circa verso il mare; sono paralleli fra loro, ma non in perfetta linea dirit- ta : e il primo specialmente mostra alcune piegature ed altre ne accennano i sottoposti. Ma quelli del gres, a colore cinereo e splendenti assai per le loro parti micacee, sorprendono colla loro ugualissiina e regolarissima giacitura Fra i ciottoli pri- mitivi ( che sono per mole dai 23 centimetri di diametro fino ai 5 ), ecco le rocce che ho potuto raccogliere Sei varietà dì graniti; una di protogini, due di leptiniti, una di sieniti, due di gneis, una di schisti micacei, due di serpentini , una di quarzi , tre di porfidi o porfiroidi, due di calcari primitivi , una di pe- troselce. Erano tutte per entro all'arena siliciosa e calcare, sciol- te o facilmente distaccabili; bellissime nelle sieniti, ue'protogiiii , ne' serpentini ; per colore giallognole e cineree nelle calcari, e queste ultime perforate da vermi litofaghi, brune e perfettamen- te rotondate ne' petroselci, de' quali ho meco un esemplare che racchiude poca quantità di ferro. Circa ai fossili marini, che so- no a que'ciotloii IVamiiiisli, generalmente parlando si trovano in istaio di decomposizione. ,, Sono biancastri, non petrificati , ma Varietà' 889 calcinati e pieni di arene tufacee e silicee- Tra i pettini si vedono quelli della varietà che Brocchi nella sua conchigliologia fossile subapeniiina cita come appartenenti aW'ostrea plebeia: tra i den- tali il de nt al ium fossile : tra le arche, V arca infiala: tra le vo- lute, la i>oluta strialula: tra le nerili , la nerita lieliciiui. Tutte queste conchiglie sono in quantità considerabilissima. — Nel seguito alla nota l'A. con molta erudizione e con apparato di fatti tenta di spiegare il fenomeno col supporre, che la corrente, che ha trasportato que'ciottoli, sia venuta dopo che il mare po- sava tranquillamente e dava stanza alle conchiglie ora fossili. E C. B. Sulla botanica in Italia e sulla necessità di formare un erbario generale a Firenze, discorso di Filippo Parlatore dottore in filosofia e medicina, professore aggiunto e settore di anatomia nella università degli studi di Palermo ec. Parigi, coi torchi della signora De Lacombe, i84i, in 8, di facce ig. V^uesto valente giovane botanico enumera le principali ope- re che illustrano le piante d'Italia, le quali sono; ,, La flora pie- montese dell'Anioni, l'erbario piemontese del Colla , la flora to- rinese del Re, la novarese del Biroli, la pavese del Nocca, le pian- te genovesi del Bertoloni, le decadi di piante italiane del Moret- ti, la briologia milanese del Balsamo-Crivelli e del De Notariis, la flora comense del ComollI, e i muschi di Como del Garova- glio, la flora veronese del Pollini, la pisana ed il botanico to- scano del Savi, la flora delle alpi apuane del Bertoloni, la roma- na del Sebastiani e del Mauri, la briologia romana della Fiorini- Mazzanti, la flora napolitana del Tenore , la sicula del Gusso- ne, le centurie ed i manipoli di piante siciliane del Bivona, il pugillo di piante sicule del Tineo , la flora sarda del Moris , la Capraia del Moris e del De Notariis, e tante altre, .ed i miei fa- scicoli di piante rare siciliane e della flora palermitana ,,. Final- mente la flora italica del celebre Bertoloni. Dice quanto la botanica abbia progredito: e per prove con- vincenti ricorda come l'erbario di Linneo ( che ora è in Londra ) contiene iSj^S^ individui di piante, cioè 12,290 fanerogame e I, 44? criptogame, mentre quello del testé defunto DecaiidoUe ( il più ricco forse di quanti ne esistano ) ascende a 80 migliaia circa. Esorta gl'italiani ascrivere monografie, delle quali v'è scar- sità non piccola, ed a studiare eziandio le piante esotiche, molte delle quali vivono fra noi. Berlino, Vienna, Londra e Parigi liauao erbari celebralissi- Sqo Varietà' mi; l'Italia non ne possiede alcuno, che possa appagare la dot- la curiosità dei botanici. I soli auìalori della scienza serba- no presso di loro raccolte di piante più o meno estese. Questo difetto colpi l'animo del sig. Parlatore , il quale al progetto di fondare a Firenze un erbario generale, uni il bellissimo esempio di donare egli pel primo la sua raccolta che conta ^ in 8 miglia- ia di piante, la maggior parte di Sicilia. Alle sue istanze con ge- nerosità corrisposero alcuni illustri botanici stranieri, e regalaro- no cose pregevoli. A si nobile maniera di proporre cose nuove ed iililì il gran duca Leopoldo II approvò non solo la fondazio- ne dell'crlìario, e gli die onorevole collocamento nel museo, ma volle eziandio che il eh. sig. Parlatore vi fosse occupato. Sappia- mo ora che l'erbario Va ogni dì aumentando perla frequenza dei donativi: e non vogliamo tacere che la nostra valentissima signo- ra Fiorini-Mezzanti ( sola donna, che in ogni tempo e nazione abbia coltivata dottamente la botanica) donò la sua preziosa rac- colta di muschi, che le ha servito a compilare la briologia ro mana (giornale arcadico tom. gì, pag 4? )• Ci è noto altresì che il sig. Parlatore quanto prima darà contezza al pubblico dei pro- gressi dell'erbario generale, e degli egregi donatori che lo arric- chirono. E. C. B. jdlla memoria di monsignore G. Filippo Paroni de' minori con' venluali, vescoi>o di Thloan, orazione recitata il di 3o marzo i84'2 nel convento di Rieti dal cai>. Angelo Maria Ricci- Ro- ma, tipogr. deU'ospiiio apostolico, 1842, in 4» di facce i4- A.\ ministro generale p. Angelo Bigoni , forte oppugnatore del Tracy, è iudiritta da fr. Lorenzo Michelotti questa orazione dei oh. cav. Angelo Maria Ricci. Ad ogni gentil letterato non è al certo ignoto il cav. Ricci, perché debbasi qui dire dei pregi di questa tenera ed elegante orazione. Nacque monsig. Paroni in Roma circa il 1756, e mori in Rieti il ag marzo 1842. Questo dotto ed instancabile vescovo era stato nelle parti degl'infedeli a portare il lume dell'evangelio, e le sue fatiche apostoliche arre- carono mollo bene alla cristianità. Ebbe mai sempre vaghezza di raccorre libri; ed alla sua morte lasciò la sua copiosa bibliote- ca al convento di s. Francesco a Rieti per beneficio eziandio dei cittadini. I chiostri de'inin. conventuali diedero sempre alla chie- sa ed alle scienze uomini grandi: valga solo il rammentare Un Sisto V, un Clemente XIV ! Sgi m I CONTENUTE NEL TOMO XCI, VOLUMI 274, 27o, 276 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE. Raggi, Elogio di Giambattista Scanaroìo .... pag. 3 Tortelli, Rivista di lavori di medico argomento ( continua- zione) • • „ 99 Fiorini — Mazzanti, Specimen bryologiae romanae . . „ /Jt Tortolini, Memoria sull'applicazione del calcolo de^residui all'integrazione delle equazioni differenziali lineari. „ i2g Perrone, Praelectiones theologicae Voi. VII. . . . ,, i53 Vaccolini, Vita e studi di B. Boschovich ,, in^ Tortolini, Continuazione della memoria sulle equazioni dif- ferenziali „ q65 Rapporto e bilancio della cassa romana di risparmio per l'anno i84i ,, a8t Ballanti, Osservazione di chirurgia „ 3o3 Chimez, La ripristinazione de^ nasi artificiali è invenzione italiana ,, 3o5 LETTERATURA. Bartolini, Lapide consolare cristiana delta martire Fortis- sima ( con litografia ) „ 5 1 Campana^ Due sepolcri romani del secolo di Augusto . „ 78 Montanari, Elogio di Agostino Gobbi „ 83 Mancini, Traduzione del Paradiso perduto di Milton . ,, 96 Betti, Chiose ed osservazioni al Convito di Dante . . „ loi Fiorini — Mazzanti, Ricordo a sua figlia ,, 118 Fabi — Montani, Ragguaglio degli atti dell'accademia tibe- rina nell'anno \%^\ ^^ i88 Cavalli, Traduzione delle elegie scelte dì Properzio , e di quelle di Tibullo ,, 220 Ruggeri, Lettere inedite al padre abate Costadoni ( parte terza ) ,,256 392 Dante, Divina commedia tradotta in francese da E-jdroux.,, 3i2 De-Ferrari, Moneta greca inedita di Pescennio [con lito- grafia ) „ 3ai Betti, Alcuni studi sulle rime di Dante ,, 334 Resini, Opere tomo ottavo ,, 35o Ciccolini, Notizie di Paolo Rolli ,, 357 // veltro allegorico di Dante „ 367 BELLE ARTI Andreocci, Lettera al principe Odescalchi sulV articolo Raffaello d'Urbino a città di Castello , Varietà. 374 NIHIL OBSTAT Fr. Ioan. B. Marrocu M. C. Censor Theol. IMPRIMATUR Fr. D. Buttaoni O. P. S. P. A- Mag- IMPRIMATUR Joseph Canali Archiep. Coloss. Vicesg. m INDICE DELLE MATERIE CONTENDTE MEL VOL. 2^6. SCIENZE Tortolini, Continuazione della memoria sul- le equazlqni differenziali ,, a65 Bapporlo e bilancio della cassa romana di risparmio per Tanno i84i ,, 281 Ballami, Osservazione di chirurgia . „ 3o3 ChimenZjLa riprislinazione de'uasi artificia- li è invenzione italiana ,, Zo5 LETTERATURA Dante, Divina commedia tradotta in france- se da E. Aroux 3i2 De-Ferrari, Moneta greca inedita di Pescen- nio ( con litografia ) ....... Sa? Betti, Alcuni studi sulle rime di Dante • „ 334 Rosini, Opere tomo ottavo ...... 35o Ciccolini, Notizie di Paolo Rolli . . . „ 35; Il veltro allegorico di Dante . . . . „ 367 BELLE ARTI Andreoccì , Lettera al principe Odescalchi sull'articolo : Raffaello d'Urbino a città di Castello ' ^,3^4 Varietà