<5> 5!W i^ GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ^oi. ^77, fijs, 5179. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1842 P^t^ ^Jic^ih . GIORINALE D I TOMO xeni OTTOBRE, NOVEMBRE E DICEMBRE 1842. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1842 SCIliM^^ Memoria sulV applicazione del calcolo dei resi- dui alV integrazione delV equazioni lineari a derivate parziali^ di Barnaba Tortoliniy pro- fessore di calcolo sublime neW archiginnasio della sapienza , e di fisica matematica nel collegio urbano di propaganda fide. «»^0«£^ Applicazione del calcolo dei residui alVintegra- zione dell'equazioni a derivate parziali linea- ri^ ed a coefficienti costanti : il secondo mem- brc potendo essere o zero^ od una funzione qualunque delle variabili indipendenti. M. acendo costantemente uso deiranalogia delle po- tenze con le differenze , e di una forraola generale del calcolo dei residui, per la decomposizione delle frazioni razionali in frazioni semplici , sarà sempre facile di ottenere gli integrali completi di tutte l'e- quazioni lineari a coefficienti costanti. Tal'è lo sco- po che io mi son proposto in diverse memorie re- centemente pubblicate sull'integrazione dell'equazioni a differenze finite, e sull'integrazione dell'equazioni differenziali. In questa nuova memoria si vedrà co- me quelle stesse considerazioni, che ci aveano con- dotto agli integrali generali dell' equazioni differen- 4 Scienze ziali , ed alla determinazione delle costanti arbitra- rie, si estendono mollo vantaggiosamente per giungere non solo agli integrali dell'equazioni a derivale par- ziali , ma pur anche alla determinazione delle fun- zioni arbitrarie. A dir il vero quest'ultima importan- te questione si risolve col profittare di un teorema dovuto a Fourier , col quale una funzione di più variabili indipendenti si trasforma in certi integrali definiti. Contiiltociò se con un artificio, che verre- mo ad indicare, l'integrazione di un'equazione a de- rivate parziali si faccia dipendere dall' integrazione dell'equazioni differenziali, allora la determinazione delie funzioni arbitrarie sì eseguisce col calcolo dei residui in un modo del tutto simile , e di già pra- ticato per la delerminazione delle costanti arbitra- rie contenute negl' integrali dell' equazioni differen- ziali. Solamente l'integrale in questione nella mag- gior parte dei casi si trova simbolicamente espres- so da certe quantità, le quali soddisfano a tutte le condizioni richieste, e che si potranno trasformare in integrali definiti per mezzo del citato teorema di Fourier. L'eleganza e la facilità dei nuovi metodi in- teresserà quei che si danno ad una cultura speciale dell'analisi matematica, e mostrerà quanto opportu- namente l'illustre autore del calcolo dei residui abbia richiamato l'attenzione dei geometri a questo nuovo ramo dell'analisi. Noi nei seguenti paragrafi conside- reremo per ora la funzione principale^ che verifica una sola equazione caratteristica. Applicazione del calcolo kg. 5 Sulla funzione principale che verifica un equazione caratteristica a derivate parziali^ lineare ed a coefficienti costanti: il secondo membro potendo essere o zero od una funzióne qualunque delle variabili indipendenti. i.° Se X, j^ z .... t sieno le variabili indipen- denti, ed u \à funzione principale, ed l^{u, v, w...s) una funzione intera delle w, v^ w ... s, l'equazione a derivate parziali, ed a coefficienti costanti, sarà (i) F (D. , D^ , a , ... a) Il =/(^,/, z .. t) e si dirà equazione caratteristica. Supponendo che la più gran derivata riguardo a t sia dell'ordine n , e che il coefficiente di D/' u sia ridotto all'unità, a- vremo primieramente dall'analogia delle potenze con le differenze f(x,f,z.. t) (2) M — J J F(D. , D^ , D^ ... a) quindi da una formola più volte richiamata nelle pre- cedenti memorie del calcolo dei residui, sarà ,3) u^l, /(^' /•-•')■ '(D,-r)(F(D., D,,D....r)) ove l'estrazione dei residui dovrà eseguirsi riguardo alle diverse radici ;• dell'equazione (4) F(D. , D3. , D, .. ri = o 6 Scienze Ora la funzione simbolica esistente nel secondo mem> hro della (3) rappresenta l'integrale di una equazio- ne differenziale del primo ordine, vale a dire di e perciò la funzione principale e'-'fe~"f{x,f,z..t)dt Le radici r dell'equazione (4) sono funzioni dei coef- ficienti costanti, e delle caratteristiche Dx , Dy , D- ... ed eseguendo l'integrazione riguardo a t nel secon- do membro della (6) , corrisponderanno altrettante funzioni arbitrarie delle rimanenti variabili ^, J", z.. che varieranuo al variare delle radici r; e perciò se l'integrale abbia origine a partir da i = io , avremo per l'integrale completo dell'equazione (i) f e'-^'-'»-) f{x, r, z .. t) dz L'arbitraria funzione delle variabili x, j^^ z . . . va- ria col variare di r, e potremo per conseguenza sup- porre che la contenga in qualche modo. Gli espo- nenziali e" , e'C'jl indicando altrettante operazioni Applicazione del calcolo ec. n (la eseguirsi sopra le variabili oc ^ j ^ z , nelle fun- EÌoni (y)(x, j-, z . . . r), fipc^y^ 2 . . . t); e la varia- bile u verifica la (i) qualunque sia t. Sarà bene qui di notare, che ponendo ( F(D:c , Dy , D. .. r) = ^(r) , (ù[x,r, z .. r) = un (8) il precedente valore di u sì trasforma in ^'^ "^^(^"^^ \5(r)) il quale verifica evidentemente l'equazione differen- ziale (io) 5(D,)w = f(^) 2.° Così, per esempio, data l'equazione lineare del primo ordine (11) [Di — oDx — bDy — cDz ... —m) u=f(x,y, z .. t) si ha per la radice unica (12) r = aD^ 4- òDj, 4- cD^ -I- ... -1- w quindi rappresentando per il simbolo Q una funzio- ne lineare delle caratteristiche D* , Dy , D^ . . . in modo da porre 8 Scienze (i3) D =«Dx-i-Z'D^4-cDj-j-.. si avrà (i4) r = D4-»* d'onde dalla (6) ( i5) w = e"« e'° yè""' e-''^f{x,y, z„ t) dt Mettendo in evidenza l'arbitraria funzione delle ri- manenti variabili a?, j, z .. , e supponendo che l'in- tegrazione abbia origine a partir da i = io, sarà (i6) u~e"' e'° ©(x,/, z ..) ^f e'^M e('-^)°/(^,j, z,.i:)dz Ognun vede che le operazioni indicate dalla caratte- ristica D, non sono altro che l'eguaglianze é'^ 9(a? 4-7, z ..)=z^{x'^at, j^bt, z ^ et , ..) e['-rpf{x,jr, z .. t) ^fix-^-a (t—r) , j ^ b (t — z)....x) Quando il secondo membro della (11) sia nullo, al- lora la funzione principale (17) M==e'"' e'^ 9 ( jr,/, s.. ) verifica qualunque sia i, Vequazione caratteristica (18) (D,— a~w)w = o Applicazionb del calcolo EC. g Supponiamo infine che l'integrale (17) si riduca per t= to ad (19) M = f (j:, j, z ..) sarà evidentemente f {x,y, z.. ) == e'o(--l-lJ) ^ {^oc,y, z.. ) d'onde 9 {x,f, z.. ) == e-'o('"-»-°) f (x, 7, 2.. ) e per conseguenza la funzione principale (20) u = eC-'o) ('«-+-C) f 1^^ ^^ 2.. ) Quest'espressione soddisfa alla (18), ed all'enuncia- ta condizione. 3.° Sia ora nullo il secondo membro della equa- zione (i): è evidente che ])gt la funzione principa- le^ che verifica Vequazione caratteristica (21) F{D., D^, D....D.)w.= o r SI avrà (22) u = 9-fl±t^Zilj::A^ ^(F{D., D,, D„...r)) Quest' integrale riceve diverse trasformazioni più o meno rimarcabili , secondo la natura delle radici r dell'equazione (4). Così supponendo per la caratte- ristica 10 Scienze (23) DU) = a„ D:. ^- b„ D^ -|- c^ D, -H .. e tutte le n radici, disuguali, e della forma r, ^ Di , r^ == Da , rs == D3 , ••• /•„ = n(„) avremo dalla (22) un risultato della forma (24) w-e p(D^^D, ,D, ..r.) F'(Dx , D, , D. ..r.) "«-••• -^ ^ F'(D. , D^ , D. ..r,0 nelle quali se si ponga generalmente ffl(jc, r, z .. rj . . F'(D.,D,,a..rj ^^^"''•^''••^ F'(D;c , Dy , D, .. r,0 risulterà (25) M=e''^»9x (j:^,J', z ..)4-e'°^92("^»J'''=^ -) Applicazione del calcolo ec. ii Le operazioni indicate dalle caratteristiche trasforma- no ciascuna espressione nel teorema di Taylor esteso a più variabili indipendenti. Riducendosi le variabili indipendenti a due x, i, e la equazione a derivate parziali (a6) F {Dx , a) M == o supponendola omogenea, è evidente che le radici del- l'equazione F (Dx , r) = o saranno eguali alle radici della nuova equazione (27) F (i,p) = o moltiplicate per la caratteristica D;t, ossia r =zpDx e perciò il residuo integrale e e"-(p(x. r) ^(F(D. . r)j si trasformerà in per cui posto 12 Scienze SI avrà Tal'è l'integrale in termini finiti di un'equazione o- mogenea fra due variabili, e l'estrazione del residuo si riferirà a tutte le radici p dell'equazione (27). . . Quando le radici della medesima equazione (a 7) fos^ sero tutte disuguali, giungeremo ad un risultato si- mile alla formola (25) e che è in essa inclusa co- me caso particolare, vale a dire (29) u =e^»'^- 9.(0;) 4- /-'''" ^,ix)^ ... 4-e''"'°^ ^(„, (a:) ovvero (30) u =9, {x 4- p, «) H- (p^ (x 4-pa f) -+- .. H- (pin) (■^-Hp,. 0 Pi » P2 i (O3 .. Pa sono le radici della più volte nomi- nata equazione (27). 4." Ripresa l'equazione (i) , sieno tutte eguali le n radici dell'equazione (4), e della forma r == a = aBx H- bBy H- cD^ 4- .. avremo ad integrare la nuova equazione caratteri- stica (3i) (a — D)" u =/(x, j, z.. t) Applicazione del calcolo eg. i3 dove dall'analogia delle potenze con le differenze si ha (32) Dr e-'° u =3 e-'° (Dt — D)" u ovvero (33) D^ e-'^ u = e-'^fix, /, z .. () dalla quale la junzione principale (34) w = e 'O ///... e-'D/(a:, j, z ,.t ) J« Se quest'integrale abbia origine da. t = to si potrà de- comporre in integrale semplice mediante la formola generale ///. . . f (0 dt' = / ''7^'"' f (r) A J ^ -y ^ ' ^ lo i> 2. 3... n - i e perciò (35) M r= r* — ^^~'^^"' — eMO /(jc, r, z .. f) Jt ^ ' -/'o 1.2.3... «-I ^ V 'y / Tal'è la forma più semplice per rappresentare l'inte- grale completo dell' equazione (3i). Per mettere in evidenza le n funzioni arbitrarie delle rimanenti va- riabili or, j", z .. si sviluppi il binomio [t — t)""^ , ed a ciascun' integrale semplice corrisponderà l'arbi- traria funzione, in modo che potremo anche sostir tuire l^ S e I E H Z E (36) u = «"-' e'° 9, {x,/, z..) h- i""" e'D y^ (x, j, s..) Per brevità tralascio di ultimare le operazioni indi- cate dal simbolo □ , cbe conducono al teorema di Taylor. Le ottenute espressioni (35) e (36) ... per rap- presentare l'integrali dell'equazione (3i) possono an- che direttamente dedursi dal calcolo dei residui. In- fatti dalla formola (7) si avrà (37) „^^-'>(-'/'— ) -^L ((r-D)") r e'-i'-t)f{x,j,z .. t) dz ((r — D)") ed eseguendo l'estrazione del residuo, troveremo (38) u = '-—-- D-« . e- 9 (a:, j, z .. r) 4- ^^ D^' re'^('-)/(ar,7, s .. t) dr Nel secondo membro si deve porre r = D dopo le derivazioni, quindi Applicazione del calcolo ec. i5 (So) u = ^ e'° {t -I- D. y-^ ^{x,y, z..r) ^ '" I. 2. D .. W - I J t^ I. 2. D.. n - I Per conoscere la coincidenza di questa formola con la (36) , basterà sviluppare il binomio simbolico ( « -h Dr ) "■' , e porre ' = qj, (x, j, z.. ) I. 2. 3.. n- I (n — 1 ) Dr 9 (x, /, z.- r) I. 2. 3... n - I = 9, (x,/, z.. ) Non è difficile a vedere che le diverse formole otte- nute in questo paragrafo sussisteranno nel caso an- cora che la □ denotasse una funzione qualunque del- le caratteristiche D.r , Dy , D^ , ... 5.° Oltre le pecedenli forme, che prende la fun- zione principale in diversi casi particolari, ne verre- mo ad indicare qualche altra che merita di essere ri- marcata. iSupponlamo adunque che V equazione (i) caratteristica sia della forma l6 SciBHZX (4o) F(aD^ H- bDy -h cD, -H ... , D,) u =/(*,/, z..^ o più brevemente (4i) Fio, D;)u^f{x,:fr,z..t) avremo dalla (7) per l'integrale ^^'^ " = ^ (F(D,r)) ^ (FCD^D) Se F ( D , D^ ) è una funzione omogenea del grado n delle caratteristiche □ , D^ , allora ponendo e ragionando come alla fine del parag. 3.°, il valore di u si trasformerà in <^^^ ''==^ D"(F(i,f)) '5? reMpn/(ar,7,z..t)t/r , D«(F(i,p)) 't/p e ponendo per brevità otterremo ^^^^ " " ^ CF(i,p)) Il primo termine di questa formola comprende evi- dentemente, come caso particolare, l'espressione (28). Sarà bene qui di far conoscere il significato delle nuo- ve funzioni (i/ , e f , date per l'equazioni (43). Si os- servi in generale che, considerata l'espressione e'P° 9 (x,7, z..) come una funzione di t, si ricava dalla derivazione (46) Dre'P° 9 {x,y, z ..) = p'" D'" e'P° ^ (x, j, z.. ) ove se si prenderà m intero e negativo, otteremo un integrale multiplo dell'ordine /w, e relativo a f, vale a dire G.A.T.XCm. 2 t i8 Scienze (47) 'JlJII i = r fff... e'P^

(t) a L'arbitraria funzione della t si determina dall' osser- vare, che mancando la x, Feijuazione (5i) diviene D? ?i = a£ , ed , M = fi! / / tdt^s= . — e perciò l'integrale in proposito sarà M = -g- H h ?. (^ 4- «) + 9z {^ — t) Noi per brevità tralasceremo qui di fare alti-e appli- cazioni; e passeremo piuttosto a far conoscere le di- verse forme che prende la funzione principale, quan- do per un valore particolare di una delle variabili indipendenti i, deve unitamente alle derivate di un dato ordine ridursi a funzioni cognite delle rimanen- ti variabili x, j^ z ... Applicazione del calcolo eg. 21 Determinazione delle funzioni arbitrarie contenute negli integrali generali dell'equazioni lineari a derivate parziali ed a coefficienti costanti. 7.° Consideriamo la solita equazione caratteri- stica (I) F(D. , D^, D, ..D,)m=^o e si tratti di determinare la funzione principale u in modo che verifichi qualunque sia t l'equazione (i), e per t t=z t^ le condizioni w = f„ {x,jr, 2.. ) , D, K = f, {cc,jr, z.. ) (2) ) 1>Ì u c= h ico,j, z.. ) , ... Dr' u = f(,,.,) (a:,7, z.. ). R ipreso l'integrale generico e ponendo, come già abbiamo fatto al principio di questa memoria C4) F(Dx , D^ , D. ,. r) == 5^r),

$(x) )] dr ^ ^ "^ ( pD,,— D. $ cr) ) D: [y\ i,p))'d(, ove togliendo nel numeratore, e denominatore la ca- ratteristica D^ , avremo dalla (q) per il vero valore della funzione principale (p— $(a:))(F(i,p)) Applicazione del calcolo kc. 25 Dopo Io sviluppo alle potenze di $ (x) si dovranno sostituire altrettante funzioni con gli apici : con que- sta avvertenza, l'equazione (17) indica generalmente I .... f(^, (^)=D,"'$(^)(x)... Che se nel secondo membro della (18) si eseguisca- no le operazioni indicate dalla caratteristica Dx , avremo (20) u = c^ ^' ' p) — F (i> ^ Cr -j-pd — to) ) ) Così applicando questa formola all'equazione (i) di già indicata, si troverà immediatamente l'espressione (i 5). 9.° Supponiamo adesso che V equazione cavaU teristlca (i) sia omogenea, e della forma (a:) F(D , DjM = o ove come al paragrafo 5.** □ = aDx -+. èD^ H- cYì^ ^ .. se per brevità faremo i cuo = fo(^,j, 2.. ), «I =^f. (x,r,s.. ) (22} y ./ / ^ .... ». = f^) (X, J, s.. ) potremo alla (9) sostituire 26 Scienze F (D , r) — F (D , w) (23) w = £, e'-('-'°) (r--w)(F(D , d) e quindi fissa l'ipotesi dell'omogeneità della (21), e posto dr r == 0 D , -7- = D dp ed insieme (24) f(^,J, 2.. ) = D -^C-^^j/.Z.. ) è chiaro che il residuo integrale r eK--) F(a. r)-F(D,f(x,j,z..)) (r-f(^,7,s..)) (F(D, r)) diverrà r ^(-0)^° n"[F(i,r)-F(i,$(x,j,g.0)l ^r (Dp — □f(J?,j,2..))a"((F(i,pj) d^ e togliendo la caratteristica n > il valore della u si trasformerà in (25) M = >\ e('-'°iP'-^ ^- — ^ ^ (p_$(x,;r, z-O) (F(i,i5)) Questa formola contiene, come caso particolare, la (18). Dopo lo sviluppo si dovranno sostituire gl'indici agli esponenti di ^ {x, j, z.. ) : sotto questa condizione l'e(|uazioue (24) rappresenta successivamente Applicazione del calcolo eg. 27 (2G ) \ f» (x, jr, s .. ) -= DO, (x, j, s..) cosiccliè in generale l'ichiamando la formula (47) del parag. 5." si trova per le funzioni indicate (27 I diversi valori di u, ottenuti di sopra, si trasforme- ranno in certi integrali definiti multipli, qualora si faccia uso del teorema di Fourier per esprimere una funzione di più variabili indipendenti x,j^, :; ... Sa- rà bene di ripetere, che le ottenute forinole avranno luugo qualunque sia la forma di D considerata co- me funzione delle caratteristiche Dx , D^ , D-. IO." Veniamo ora a mostrare una qualche ap- plicazione a certe equazioni a derivate parziali, dalle quali dipende la risoluzione di diverse questioni della fisica matematica. Sia da integrarsi l'equazione (28) D,ic=a'T)lu avremo dalla formola (9) , , e'i'-'") l {(X) ]» (39) w=^ 28 Scienze nella quale sostituendo l'indice all'esponente o , ed estraendo il residuo, si ottiene (3o) u =.= e'^'^'-'^K Ux) Quest'espressione simbolica soddisfa alla (28) qualun- que sia ty e per t = to alla condizione u = fo((^»/>-)-Hfi(^^/»^)3 '^ (/--DO ove eseguendo l'estrazione del residuo diverrà (4o) w = L-" 4 (-r, j, z) Applicazione del calcolo ec. 3 1 La caratleristjca Dj riguarda le variabili x,j, s. Se si supponga La forinola (4o) assume una forma simile agli inte- grali delle precedenti equazioni, vale a dire (4i) u = cosi{t — i„) D' 3 fo (x,/, 2) 4- r' dt cos l{t — to) D' ] f, (-r, j, z ) «/ to Noi ripeteremo che questo valore soddisfa alla (38) qualunque sia t, e per t = ta alle condizioni u = fo (X, j, 2 ) , D, M == f, (j:,/, 2) Quando il secondo membro della equazione caratte- ristica si riduca ad una funzione data delle variabi- li 3C, j", z ..t y la determinazione delle funzioni ar- bitrarie si eseguisce come si è praticato al parag. y." purché l'integrale, riguardo a t del secondo raembi'o della formola (7) del parag. i.°, abbia origine sempre a partir da t== t.o . ii.° Si riduca ora il secondo membro dell'equa- zione caratteristica ad una funzione a [x^f, 2..) del- le sole variabili x,j*, 2.. senza t, è evidente che per la formola (7) del parag. i.°, e per le (4) e (5) del parag. 7.°, il valore della funzione principale^ che verifica Vequazione caratteristica (42) F(Dv , D, , D, .. a) w = 9 (x,/, 2..) 32 Scienze sarà (43) u = ^e L (5(r)) Così per esempio, nell'equazione a derivate parziali del second' ordine (44) l)t u == a^(pi 4- D^. -h D^) M -t- «2 (// (x, /, z) abbiamo quindi se facciasi (45) D' = l/-—! . (DI -H DJ. 4- D.! )» ricaveremo dalla (43) dopo l'estrazione dei residui , come già si è praticato per l'equazione (38) (46) u = cos t (* — ^o) cijy 3 fo {Xifi z) ^ f dt cos l{t — to) oD' -\ fi (x,fy z) fi — COS [ (^-^o) aD']' ed osservando che (|; (J:,/, 2) Applicazionk del calcolo ec. 33 I — cosA =. isen^ 5 A avremo con facilità (48) u = cosl [t—t^) a\y ] f,, (a:,/, z) H- / di cos [ {t—to) aD'] f, (X, /, z) 4- ^ [f dt^ cos C i (<— «o) «D' ] J (// (j:, 7, z) Questo valore soddisfa alla (44) qualunque sia (, e per t = to alle condizioni M = fo (x,/, 2) , D, u =z fi (.r,/, e) Noi termineremo coll'osservare, che i principii stabili- ti in questa memoria per l'integrazione dell'equazioni a derivate parziali si estendono anche facilmente al caso, in cui il coefficiente di D^' 11 fosse una funzione intera delle altre caratteristiche Dx , D , D^ .... »^«*:— G.AT.XCII!. 3/i SciniiZK Addizione. 12.0 L'oggetto di questa addizione è di genera- lizzare alcuni risultati, ai quali son giunto nell'espo- sta raeraona, e nello stesso tempo d'indicare una fa- cile applicazione a certe importanti questioni della fisica matematica. Sia pertanto w la funzione prin- cipale, la quale verifichi qualunque sia t Vequazio' ne caratteristica (1) F(D., D^, D,..D,)d3 = o e per t z=z t^ le condizioni ( w = fo (x, j, 2 .. ) , D, fii = f, (x, r, 2 .. ) (2) ( D; « _ f, (x,7, 2.. ) , .... Dr ^ = fu-,) (x,7, 2..) se per brevità si prenda (3) F(D., D, , D,.. Dj=5^(a) avremo per la formola (7) del parag. 7." 5(0 — 5(f(x,j,2..)) (4) « = £,e'-('-'o) (r — f(x,/,2.,))(JCr)) ove dopo lo sviluppo dovremo sostituire gl'indici agli esponenti di f (a:, j-, 2 ..). Applicazione del calcolo ec. 35 Sia ora omogenea Vequazione caratteristica , e siano w, t^, w ... altrettante quantità costanti ed h una caratteristica riferita ad una nuova variabile, per la quale si verifichi (5) Dx = uh, Tiy = vh , D^ = wh ... è evidente che facendo (6) r = (^h y i {pc,y, z..) = h^ (a:, j, z..) 1' espressione (4) si trasformerà in Ji:«)_J($(x,j, 2..)) (7) ^ = Ey «^'""'' uh (W— $(:r,J,2..))(5((y)) La nuova caratteristica h dovrà in qualche modo ri- guardare le variabili x^ j", 2 .. , e la seconda delle forraole (6), darà luogo alle eguaglianze simboliche ^o(j:,J, 2..) = fo (x,j, 2 .. ) 1 «T, / \ ^' (X,J, 2.. ) (8) J $x(^,7,2.. ) = ^ ^(a-l) C^»/. 2 .. ) = ^;;::; Il ritrovato valore di w comprende fra le altre come caso particolare la formola (25) del paragrafo 9.°, ed alla medesima giungeremo, quando prendendo aDx •+• bDy H- cD^ -h . = □ = (aii -^bv-^ cw.. )h 36 Scienze si sostituisca nella (7) au -^bv -\- cw 4- Sia inoltre D F (D, , D^ , D. .. r) una funzione omogenea di r, e della somma (9) D^+D^ + D.^H... =k^ In questo caso supponendo che fra le costanti m, v^ w-» sussista (io) u^ -{- v^ -\- w^ ~\ — = 1 avremo dalla (4) col porre (li) r^A-^'w, f(x,j, z) = A-^. ^(x,7,s.) il valore della funzione principale (12) w = ^e (« — $ {x,f, z..)) l^Fci, w) ) Questa formola è del tutto simile alla citata formo- la (aS) del parag. q." La caratteristica ^2 è relativa alle variabili x^y, z.. , e dovendosi dopo lo svilup- po sostituire gl'indici agli esponenti di 0 [x^y^ s..), è chiaro che la seconda delle formole (11) porge in generale Appmga.zione del calcolo eg. $0 (JC,J, S.. ) =fo{a^,7, 2..) f, (x,r,z.. ) (i3) / $,(.r,j, :;..) = Y. $(«-.) (>a^>7. 2- ) = ^.2„-2 i3. Oltre le precedenti trasformazioni della fun- zione principale di , veniamo infine a far conoscere una particolar forma simbolica della medesima q, qua- lunque sia V equazione caratteristica omogenea. Se si sviluppi primieramente il secondo membro della formola (4), e si rappresentino per brevità con f o , f , , fa ... f(„_,) le diverse funzioni delle variabili x^y^z.. si avrà , ,> - o ('-'°)'' ^^^ ^° H- A, f, -h A3 f^ — .. -+- f(„.,) ] (i4) w = ^e — Ao , Aj , Aa .. sono funzioni intere della r, e delle caratteristiche Dx , J3 , D. ... Quando 1' equazione caratteristica sia omogenea, anche le Ao , A, , Aj ,.. .sono funzioni omogenee di grado n — i , n 2 , n — 3 ... della r , e delle Dx , Dy , D^ . . . Quindi ponendo come sopra : Djt = m/i , Dy =. i;/i , D, = wh ) .. r =. uh dedurremo [t-tM C /i"-' B„ fo -H h"-^ B, f, -H..^- ff„_,)] (i5) ù==^e' (F (a, V, TV .. co) ) 33 SCISNIB Bo , B, , Ba sono funzioni omogenee di grado n — i, Il — 2 , n — 3, delle w , e delle costanti u^ p, w ...; «d è importante di osservare che i coefficienti dì co«-i , fio«-2 , (V)«-3 ... nelle funzioni Bo , B, , B^ ... so- no eguali all'unità. Ponendo adunque (i6) Bo == <^o («) , B, = (^t («) , Ba = (^2 (w) , .... ed insieme Q[t-to]u>h f^^j ^^^ J, Z .. ) (>7) 9(n)=8 (F (W, t^, TV .. W) ) il valore della « sì potrà rappresentare sotto la for- ma simbolica (i8) di = ^1,1 -A 9o 4- ^, [j\^'^ ^« ^- "l'2 [jf^'" ^- Dr^Vx) Le caratteristiche Dj^ Dj^ .... Dr indicano altret- tante integrazioni relative a i , e potrà anche aversi (4i) 0) = «p. f M 9o H ^ ?i H- -pi— 952 I Applicazione del calcolo ec. 3q l'espressioni (i8) e (19) verificano qualunque sia t un equazione caratteristica omogenea, e per t ■= t^ le condizioni (2). 14.*' Nelle questioni della fisica matematica le variabili indipendenti si riducono a quattro, che rap- presentano tre coordinate x, f , 2 , ed il tempo t. Non cessando di essere omogenea l'equazione carat- teristica, supponiamo che per t = o, si verifichi ò = o , D, òì=z o , Df w = o .... D" ài = n ( ux -4- i^j ■+• wz ) cioè che il valore iniziale di Dr* w dipenda unica- mente da una funzione lineare delle variabili indi- pendenti jc, j", z; avremo dalla (7), e dalla sostitu- zione dell'ultima delle formole (8) (ai) à^^é ^th n (ux -f- i^j 4- tvz) La caratteristica h"-i scomparirà dal denominatore , eseguendo n i derivazioni riguardo a i, per cui ponendo (22) z =ux -^vj ^wz si otterrà aj«-' euth n (g) (23) Dr d) = ^ (F (m, V, tv, w)) d'onde la funzione principale /^o S e I B N S E w"-' e""'n (g) (24) a, = D/'£, (F(it,P,TV,w)) Le costanti w, i», w rappresentano i coseni degli an- goli che forma con gli assi delle a?,_^, z un piano invariabile, che passa per l'origine delle coordinate, e g denota la distanza di un punto qualunque (x,^, z ) da questo medesimo piano; e perciò avre- mo primieramente ed in seguito dall'espressioni simboliche Dx Z= uh f Dy Z=Vh y D4 = Whi ricaviamo uDx -H vDy -h wD^ = h Con questa sostituzione di h nell'equazione (ai) de- durremo non solo (25) BT' w = ^--^ — - — ^^ n (S -H w^) ma ben anche (26) ^ = d;-" ^-— ^i n{,^ 6 quindi un numero maggiore per forma, clie in poco tempo si venne ad avere una di- screta infermeria, nella quale venivano raccolti dal- la carità que'uieschini ammalati che non potevano, o subitamente essere ricoverati in altri spedali, o in niun modo esservi ritenuti stante le loro istituzio- ni, e che erano per conseguente, a così dire, abban- donati ». « Ad assistere poi quei poverelli , che il zelo ingegnoso e caritatevole del fondatore del nuovo isti- tuto sapeva mantenere provveduti di quanto occor- reva, chiamava egli, trovandole prontissime alla chia- mata, alcune pietose donne appartenenti a famiglie di onesti mercanti , le quali vicendevolmente e di settimana in settimana alternavano le loro solleci- tudini a prò de' ricovratì. Che se occorreva il biso- gno di veglie notturne, non difettavasì di buone zi- telle , e di misericordiose donne maritate e vedove che si proferivano apparecchiate a sì fatti uffizi, per modo che gl'informi trovavano nella nuova casa as- sistenza per ogni verso compiuta. « Per ciò che s' aspetta al governo ed all' an- damento interno della casa, vi erano state prima de- putate due giovani, che vi dimoravano di continuo; ma non andò guari che si venne a riconoscere, che le medesime male potevano reggere a tante fatiche, e che la loro sanità non poteva a meno di non es- serne grandemente alterata. Queste considerazioni fe- cero sì che il fondatore del nascente istituto reputò opportuno di governarsi per questo rispetto come si governò s. Vincenzo de' Paoli , quando trasse dalla campagna alcune suore destinate a servire gl'infermi; Terme d'acqui ec. 5i onde ebbe origine il benefico istituto delle suore di carità, che ì buoni tutti veggono con sincera soddi- sfazione allargarsi di presente negli stati della mae- stà di Carlo Alberto. « Ma in questo fatto la provvidenza dava al santo un'operosa coadiutrice nella persona della ve- dova signora Legras, cbe accoglieva nella propria ca- sa le figlie , a misura cbe giungevano dalla campa- gna, ed alla quale erane confidata la direzione. Eb- bene, con eguale buona ventura favoreggiava Iddio i pietosi disegni del nostro sacerdote. Fatte venire dal- la campagna, e primieramente da Airasca, da Virle e da altre terre vicine, alcune suore, trovò la signo- ra Legras di s. Vincenzo nella persona della vedo- va sig. Marianna Nasi nata PuUino, la quale ed ac- colse nella propria casa le suore e ne fu la prima direttrice. « Marianna Nasi era nata a Torino il 6 lu- glio 1791, e vi moriva il i5 novembre 1882 nella fresca età di /\.i anni, 3 mesi, e cj giorni. Sia con quella della signora Legras in venerazione la memo- ria di quella donna del Signore, e ne rammenti con gratitudine il nome la più tarda posterità!» Nell'anno i83i, essendo gli stati sardi minac- ciali dal cbolera morbus, la savia provvidenza del go- verno, lodatane la pia istituzione e mostrato deside- rio che altrettanto venisse operato nelle altre par- rocchie, ordinò ai canonici del Corpus Domini di chiudere temporariamente la piccola casa di ricove- ro alla inolia rossa ( luogo angusto , sllualo nella parte più popolosa di Torino e poco acconcio anche in tempi ordinari), ovvero trasportarlo fuori di città. « La congregazione dei canonici del Corpus Do- 52 S G I E N Z <* mini non potendo effettuare questo trasporto a be* neficio de' suoi parroccliiani miseri, perchè in tal ca- so sarebl)e us«4ta fuori del territorio parrocchiale , accondiscese alla richiesta che il canonico Cottolen- go in particolare le fece, di cedergli cioè i letti ed ogni altro mobile già esistente nel ritiro, mentre egli si sarebbe accollato di trasportarlo e di prenderne cura. « Ma intanto che si stavano facendo le ricer- che di un nuovo alloggio, non volle il fondatore del- la piccola casa, che le giovani, che erano già raccol- te in casa della signora vedova Nasi, rimanessero ino- perose ed intermettessero le opere di carità; per la qual cosa le destinò a servire nelle loro case 1 po- veri infermi durante il giorno, ed eziandio di not- te tempo, secondo che ne erano richieste dal parro- chi della città.... T^Mii. Intorno all'edizione livornese delVistoria del Ma- lispini. Osservazioni del prof. Salvatore Betti accademico della crusca. AI CH. SIG. MARCHESE BASILIO PUOTI. JLie vostre opere mi recano sempre e ammaestra- mento e diletto, marchese dottissimo: sicché ho per un vero giorno di allegrezza quello, in cui (ed è sì spesso per vostra cortesia ) me ne giunge alcuna. E come ciò non sarebbe, se in esse ci ritraete con arte eccellente la bontà degli scritti di que' secoli bea- tissimi, quando non pure fu gentilezza, ma sapien- za, l'invocare le grazie che fiorissero anche le cose più reverende e severe, e così le rendessero non me- no grate per bellezza, che utili per santità e per ra- gione ? Onde io stimo che come quegli scritti non temono il danno di alcuna vecchiezza, così non deb- bano temerlo i vostri: dettati essendo col segreto me- desimo d' infonder loro un' eterna vita di gioventù. Felici le lettere italiane, se più fosse il numero di coloro che v'imitassero ! Con quanta efficacia e seo»- Istoria del Mauspim 91 pllcìtà non daremmo vita e forma a'nostri pensieri ! Di quanta ingenuità e leggiadria, e se pur si volesse, di quanta pompa e maestà, la lingua ricchissima non gli ornerebbe ! E certo non rimane per voi che ciò non sia: che celebratissima è nella nazione la scuola di parlar gentile che avete raccolta in Napoli, senza volerne altro guadagno che quello di giovare gl'in- gegni, onorare la patria ed appagare il nobile vostro cuore. Di che, marchese carissimo, non so dirvi quan- to il mio animo vi benedica , sempre che pensi a voi: sperando che fra poco la città fiorentissima, ca- po del regno delle Sicilie, sarà per vostro senno ed amore mostrata in esempio a tante altre del bel pae- se, le quali si bruttamente sopportano d' obliare non pure la nazionale dignità de'pensieri, ma sì le pro- prietà prime ed incomparabili della favella: e voglio- no al tutto mostrare di aver anche nelle lettere, eter- Jia libertà della mente, uno spirito di servaggio. Uno de'vostri studi diletti, come ognun sa , è di mondare dai tanti imbratti, che li deturpano , i testi più preziosi di quello scrivere d'oro che di tutti i secoli fece principe il trecento: e già molti saggi ne avete dati all'Italia bellissimi e degni veramente del vostro magistero. Or questo è anche il mio stu- dio di alquanti anni: specialmente nelle ore che l'a- nimo ha più bisogno di qualche ozio. Ma chi pre- sumerebbe agguagliare quel vostro grave giudizio , quel fino sapore di antichità , e soprattutto quella consumatissima pratica ? Godo nondimeno che i no- stri giudizi siansi riscontrati nell'emendazione di un testo italiano de'più candidi ed eleganti: il quale pub- blicato in Venezia il i83i da Bartolomeo Gamba, mostravaci tali errori ( lasciamo stare 1' essere stato ^2 Lèttehatura creduto inedito ) che veramente me ne vergognai pei? la fama di quel buon vecchio. Parlo del libro de* Fatti di Enea scritto da frate Guido da Pisa car- melitano. Se non che richiede giustizia, che rendasi anche lode alla rara bontà dei Gamba: il quale dal Biondi, dal Tommaseo e da me avvisato di que'tanti falli, non solo non ai sdegnò, ma si volle pubbli- camente accusarsene e farne generosissima ammen- da, sia stampando di nuovo nel i834 il libro colle nostre correzioni, sia dandolo in dono a chi avesse o comprata o per altro modo ricevuta la prima edi- zione. Incomparabile esempio di letteraria modestia, e d'animo non conlaminato da ninna viltà di pro- fitto I Ed esso dalla vostra rettitudine non fu taciu- to , né poteva già esserlo , nella ristampa che dell' operetta faceste in Parma il 1889 pel Fiaccadori : dove cortesemente vi compiaceste anche di ricordare con approvazione e lode i lavori sì del Biondi e del Tommaseo, e sì miei: di che abbiatevi qui , genti- lissimo, mille affettuose grazie. Appunto ne' giorni passati io aveva bisogno di svagarmi un poco lo spirito da lunghissima applica- zione : oltreché desiderava pure di rifiorirmi alquan- to il gusto delle nostre cose; avendo dovuto svolge- re nell'anno tanta rozzezza e barbarie di libri, quan- ta sarebbe bastata a far dimenticare ogni sapore di lingua, non che a me scolare, ma direi quasi a voi maestro. Sicché presi a leggere principalmente quel primo padre della nostra rinnovata istoria Ricordano Malispinl, che de' fatti dell'età sua scriveva al tempo di Brunetto, di Guittone e dei due Guidi : e fu, co- me sapete, uomo di cuore e di lealtà pari alla gen- tilezza della sua famiglia: seguace inoltre delle miglio- Istoria del Mauspini gS ri parti italiane, quando i nostri erano caduti a tale, ehe il nome d'Italia, quasi cosa morta, venne gene- ralmente obliato dai più : e qu e' pochi, che pur so- gnavano fra tante ire e vergogne un'antica dignità di nazione, non arrossivano di aspettarne, chiamandosi ghibellini, il capo e restauratore di là da' monti. Ri- cordano fu guelfo : come il furono il Latini, il Com- pagni , il Villani : tenne cioè la men rea di quelle cittadine fazioni : e piacerai che volesse anch'egli vi- vere liberamente secondo le leggi del suo comune , senza chinare il capo innanzi ad altra maestà che a quella tutelare e italiana del principe della chiesa. Oh perchè non seguitò anche a volerlo Dante Alighieri, ma lasciò vincersi a quel suo sdegno di parte, a quel- le facili speranze d'esule, ed insieme a quelle scola- stiche vanità e follie, che la libera terra d'Italia pre- sumevano sottoporre alla legge di qualsiasi barbaro che di là dall'alpe prendesse il titolo dell'impero : e sti- mò potere con onestà e salva la fortuna di Firen- ze ricuperare la patria per le armi di un Arrigo di Lucemburgo ! Poteva quell' altissima mente cadere in maggior delirio ! Credere che uno straniero, nato di sì piccola e povera signoria, volesse per solo no- stro bene, e non piuttosto per proprio utile, non a- vendo qui niun affetto di famiglia e di patria, rad- drizzare lo stato d' Italia ! Tanto dunque gli fruttò l'esperienza, non certo antichissima, di quella super- ba inopia e tirannide della casa di Hoheustaufen ? Gran fondamento della verità storica dal secolo XI fin verso il termine del XUI è il Malispini : che poi nelle cose dell'antica Roma ed Italia vediamo con tanta povertà di giudizio attestarci i più inetti e su- perstiziosi racconti. Ma non doveva soddisfare m-» ^4 Letteratura ch'egli il suo debito ad alcuna delle tante goffaggi- ni dell'età sua ? Pochi antichi libri e rarissimi erano allora alle mani di quegli studiosi : i più giuravano pe'fatti di Catilina, di Nerone e di Attila sulle pò* vere pergamene d'una badia, non altrimenti che avreb- bero giurato sulle opere di Sallustio, di Tacito e di Giornande : sicché il buon Ricordano stimò gran ven- tura, come dice egli medesimo, d'aver trovato, an- ziché i libri di Cesare e di Livio, i zibaldoni che un vecchio Fiorello Capocci romano gli die come scritti da Marco e da Affrico suoi antenati. Ma ninno vuol oggi col Malispini e con que'cronichisti favoleggiare De^ troiani, dì Fiesole e di Roma : sì tutti chiedia- mo loro le notizie dell'età di mezzo, con esso gli er- rori che quella semplicità d'intelletto aveva per veri- tà : gran lume ugualmente a chi da filosofo cerca le ragioni di tanti fatti, che appena si crederebbero pos- sibili ai nipoti di Pittagora e di Empedocle, di Ci- cerone e di Tacito. Ed in ciò questo autore è cosi prezioso, che senza di lui non avremmo una gran parto dell'istoria di Giovanni Villani, e soprattutto i libri quinto, sesto e settimo: i quali piuttosto che imitati, diremo tolti e spesso copiati alla lettera sì dalla cro- nica di Ricordano, e sì dalla breve continuazione del suo nipote Giaco tto. E chi anche negherà che allo stesso Alighieri non fosse testimonio di alcuni fatti di que'vecchissimi ? Che il grand'esule non ignoras- se gli scritti del Malispini, parmi facilmente provarsi da molti luoghi della divina commedia , i quali a voi, acutissimo in queste cose, non recherò : bastandomi ad esempio questo solo del canto XV del paradiso, là dove sono le sì care parole del vivere riposato che facea lieta Firenze al tempo di Bellincione e di Cac- ciagulda. Istoria del Malispini gS Fiorenza i dentro dalla cerchia antica Ond'ella toglie ancora e terza e nona. Si stava in pace sobria e pudica. Non avea catenella^ non corona^ Non donne contigiate^ non cintura Che fosse a veder pia che la persona. Non faceva nascendo ancor paura La figlia al padre : Che H tempo e la dote Non fuggian quindi e quinci ogni misura^ Bellincion Berti vidHo andar cinto Di cuoio e d^ossOi e venir dallo specchio La donna sua senzaH viso dipinto. E vidi quel de^Nerli e quel del P^ecchio Esser contenti alla pella scoverta^ E le sue donne al fuso ed al pennecchio. Così l'Alighieri. Osservate ora ciò che oltre a venti anni prima aveva scritto Ricordano al cap. 164 del- la cronica : e vedrete che non pure le cose , ma si alcune parole non isdegnò il poeta copiare da quel- le memorie. « E nota ( cosi Ricordano ) che al teai- )) pò del detto popolo, e prima e poi a grande tem- )> pò (i), i cittadini di Firenze vivevano sobri e di » grosse vivande, e con poche spese e con buoni co- n slumi : e di grossi drappi vestivano loro e le loro » donne. E molti portavano le pelli scoperte senza i> panno, e le berrette in capo: e la maggiore parte (i) Il Bene! legge, e prima poi a grande tempo. Ma parmi cerio un abbaglio. 96 Letteratura » cogli usatti in piede. E le donne, senza ornamen- » to, passavansi le maggiori d'una gonnella assai stret- » la e di grosso scarlattino d' Ipro e o di Camo , » cinta d'uno scheggiale all'antica, e d'uno mantello » foderato di vaio col tassello di sopra; e porta vanlo » in capo : e le comuni donne vestivano (i) d' un » grosso verde di Cambragio per lo simile modo. Lib- ») bre cento era comune dote : e libbre dugento o » trecento era tenuta a quel tempo grandissima do- » te, avvegnaché il fiorino d'oro valea soldi ventj. E » le più delle pulcelle aveano anni venti o più, in- » nanzi che andassono a marito. » E ohi dirà che il poeta non prendesse anche dal Malispini l'errore di credere { come fece nel canto XIII dell'inferno ) che non Totila, ma sì Attila, fos- se il malvagio straniero che distrusse Firenze ? E se non fosse che in sul passo (Tjirno Rimane ancor di lui alcuna vista ^ Quei cittadin, che poi la rijondarno Sovra'l cener che d"" Attila rimase^ Avrebber fatto lavorare indarno . Imperocché questo errore fu solo emendato dagli sto- rici fiorentini che vennero poi, e forse prima d'ogni altro da Giovanni Villani : la cui opera non doveva (i) Vestite ha l'edizione cosi del Follini, come del Benci. Ma è maaifesto errore de'copisti, da potersi francamente emendare anche coli' autorità del Villani, che copiando appunto questo passo dpi Malispini dice al cap. 70 del lib. 6: E le donne della comune foggia vestiaiio d'uno grosso verde di c^nibrasio per lo simile rnodo' Istoria del Malispini 97 ancora aver veduta Fazio degli Uberli, quando egli pure, seguendo o il Malispini o l'Alighieri, cantava nel Dittamondo ( lib. Ili cap. VII ) : Grande e degna già fu di tutti onovi^ Quando Attila crudo a tradimento Tutta Varse e disfè dentro e di fuori. Movearai pure non poco la curiosità di vedere le emendazioni che dopo l'illustre Pollini aveva fatto all'opera di Ricordano, nell'edizione livornese del i83o pel Masi , la dottrina e il giudizio del chiarissimo Antonio Benci. Perchè veramente gli antichi codici di questo autore sono sì guasti, e tanta licenza han- no dato all'ignoranza e presunzione de' copisti , che forse non è chi più del Malispini si raccomandi alla ragione de'suoi benevoli. Certo il Pollini fece molto: e ben dobbiamo lodarlo di avere sgombrato per pri- mo così gran parte dell'orribile ginepraio : ma quan- to ancora non rimaneva a farsi ? Ed a questa fatica volle poi sotlentrare pazientissimamente il Benci : il quale perciò porremo per secondo benemerito di si venerando testo di lingua. Ma che tutto siasi com- piuto dal Benci, noi credo : e farò di darvene alquan- ti esempi : sperando che non debba ciò dispiacere al valente e gentile toscano, il quale ho per così gene- roso, come in altro caso narrato addietro fu il Gam- ba. Se potrò togliere anch'io qualche macchia di dos- so all'egregio vecchio , perchè noi farò ? E così lo fa- rete voi, spero , marchese carissimo : ed emendando anche altri falli, che al Pollini, al Benci, ed a me per ultimo saranno sfuggiti , ci presenterete in fine questo Ricordano in tutto il candore della sua veste, G.A.T.XCIII. 7 g8 I(ETTKRATHRA Assai loderò il Benci anche del bellissimo ra^ gionaraento, tutto gravità ed eleganza, che ha posto per proemio al libro: bellissimo , dico , e degno di non andar solo in siffatti lavori. Ma io avrei desi- derato ch'egli nel corso dell'opera, cioè nel dichia- rarne che fa con note i più difficili passi, fosse stato qua e là più cortese, ovvero meno acerbo, verso l'ac- cademia della crusca: soprattutto là dove non pare ch'ella veramente possa tassarsi d'aver errato: come, per esempio, alla voce caldo del cap. i58, la (juale gli accademici non hanno né pur registrata nel loro vocabolario coli' autorità del Malispini; voce qhe il Benci potea poi, se non erro , più rettamente spie- gare coli' altra che ricorre chiarissima al cap. 218. Oh niuno meglio di lui dee sapere le difficoltà di questi studi ! E ninno pur meglio di lui , toscano e sì dotto , ciò che la crusca ha per essi operato in quasi dugento cinquant'anni di vita, sia quan- to alla ricerca, al confronto e alla stampa di tanti testi, parte difficilissimi, parte obliati: sia quanto all' ppera massima del vocabolario s\ acutamente pensata, e con avviso mirabile condotta a tale , che il fatto superi immensamente^ il da farsi. Ora perchè cotanta ^mare^za, anzi più spesso cotanta ira ? Ha forse pre» teso mai l'accademia di non esser peccabile ? Ha for- se rifiutato mai, non dico i consigli, ma le correzio- ni! ragionevoli che le sono state fatte, e noii sempre coll'urbanità ct|i ben dovea meritare un consesso così principale e onorando della nazione ? No certo, non Je ha mai rifiutate: anzi non eccettuando verun paese dal magistero delle eleganze, ha pur chiamato sempre ad essere del suo numero ( benché per troppa gen^ tilezssa siasi svil fatto wio ingannatfi ) una parte de' IsToniA DEL Maltspimi 99 più chiari e buoni scrittori delle altre provincie. Ognu- no poi sa, come sdegnando con pari saviezza e di- gnità le arroganze di alcuni accademici ( delle cui azioni non poteva ella essere ne rea ne mallevadri- ce ) registrò nel suo codice gli esempi della perfet- ta lingua dovunque trovoUi : si che con atto sì me- morabile di rettitudine, postasi nobilmente di mezzo fra tante offese e quistioni , onorò Torquato Tasso d'un'autorità non minore di quella che diede al suo censore Lionardo Salviati, uno de'fondatori stessi del- l'accademia: salutando cosi ella medesima con decreto solenne il cantor di Goffredo come padre insigne del bel parlare, fattolo della schiera di quegli altri ele- gantissimi non toscani Giusto de' Conti, Sanazzaro, Bembo, Ariosto, Castiglione, Caro, Speroni, Guari- ni, Chiabrera, Segneri, per non recare altra celebrità di nomi. Oserei anche dire che il Benci non sempre mi è sembrato d'aver seguila un'assoluta ragione o neces- sità nell'uso delle parentesi ( benché sia certo , che il più delle volte abbia con esse mirabilmente gio^ vato il testo ): e che anzi siasi talora effettivamente ingannato collocandole fuori del proprio luogo. Il che mostrerò, salvo ogni errore anche mio, in alcuni passi delle emendazioni che sarò a proporre. Fuori di ra- gione , o di necessità, reputerei certo queste, a ca- gione di esempio : Cap. 5: Poi dopo la morte del secondo Troio nato di Bardano^ per la bontà e cavalleria ( che in loro era regnata ) sì piacque agli uomini di quella città ^che per suo amore sem^ pre mai quella città dovesse essere appellata TrO' la. Cap. 71: / cittadini vecchi {cK erano in Pisa) pregarono che gli dovessono perdonare. Gap. i85; joo Letteratura ^ Il conte Guido di Monfovte colla cavalleria [che il conte Carlo gli lasciò a guidare ) e colla don- na del detto conte Carlo si partirono di Fran- cia. Cap. 219: Pregandolo che mettesse ad ese- cuzione la sentenza della pace ( data per il papa Gregorio X) tra loro e i guelfi di Firenze. Cap. 289 : E nota che per giusto giudicio di Dio in quello luogo proprio ( dove i pisani annegarono in mare i cherici e i prelati che venivano d^ol- tremanti a Roma al concilio Vanno laSy al tem- po di papa Gregorio ), vi furono eglino sconfitti e morti e gettati in mare i pisani: osservando inol- tre, che qui dee dirsi non già vi furono^ ma sì con certissima emendazione ivi furono, Non so anclie se tutti gli approveranno quell' aver tolto a sì antico scrittore cotanta parte del suo aspetto di antichità: cosa che doppiamente giovava e a farlo venerabile fra' padri primissimi della lingua, e a dargli autorità in tanti idiotismi e speciali modi di esprimersi, che anche troviamo ne'più culti ed il- lustri non solo dell'età sua, ma della seguente. Au- torità certo gravissima: perchè non fu Ricordano uh plebeo, che parlasse la lingua de'barbieri di Calimala: anzi nacque di famiglia nobilissima tra le fiorentine, ed aver dovea sulle labbra, come ebbero l'Alighieri, il Compagni, il Cavalcanti, l'Uberti, il Sacchetti, la favella più gentile della sua patria. Or se tutti fa^r cessero ciò che ha fatto il Benci col 'Malispini , io non so come potrebbe più giudicai'si delle condizioni dell'antica lingua italiana; non so qual sicuro testi* monio avrebbe più 1' istoria della sua origine e del suo incremento. A che dunque mutare contra l'qsQ 4i (quella vecchissima età, e direi quasi CQU aj)ertQ isTORIA DEL MauSPIN! IOI àhaci'onismo, maliscalco in maresciallo ^ epicurii in epicurei^ sestora in sesti,, ortora in orti^ prenze in principe, imprentato in improntato, amenduni in amendue, e fino surse in sorse e ^rò in ^ro- de? A che Soavid in Isvevia, Sansogna in i5'tt5-^ Sonia, Raona in dragona, Rotafio in datari. Lat- tieri in Lotario, Gotti/redi in Goffredo, Artese in Artois, Erminia in Armenia, Ascesi in Assisi, pa- termini in palermitani ? finche TArioslo, il Pulci ed il Berni dissero Berlinghieri in vece di Berengaìnoi e Baldacco per Babilonia non dispiacque alla gen- tilezza del Petrarca in uno de'più celebri suoi sonetti: e sonare a ritratta leggiamo tutto dì nella Gerusa- lemme del Tasso, come finger ritratta nel Saul del- l'Alfieri: e in tutto il cinquecento, e più oltre ancora^ si è sempre scritto, senza tema di sentir di vecchiume, Plnegia per P^enezia, Orliens per Orleans: e princi- palmente dal y[dic\\ìdi\e\\ì franciosi ^ev francesi, co. inghilesi per inglesi dal Davanzati. Ed Ugo Ciap- petta non trovasi in Dante , in Giovanni Villani ed in Fazio degli Uberti ? E non trovasi pure in Dante Brandizio, Cologna, Osterich, Melunese, Matel^ da, Creti, Sibilia , nomi che forse si crederebbero foggiati a capriccio dal divino poeta, chi non sapes* 86 che al suo tempo non si scrivevano e pronuncia* vano in altro modo ? Così Dante, e dopo lui il ViU lani, chiamarono Martino IV dal Torso, anziché da Tursi: e niuno ha osato fin qui mutare quella parola. Ma forse alcuno si troverà che in queste cose voglia o difendere il Benci, o almeno scusarlo. An- zi io stesso lo scuserò, per l'intendimento ch'egli eb- be certo di rendere più chiaro e pulito questo scrit- tore. Dove però noi saprei, né forse altri il saprà, 102 LBTtBRATtTRA si è nel non essersi, ad emendare tanta quantità tU masavi tuttavia di errori manifestissimi , giovato piìi largamente della cronica di Giovanni Villani : nella quale, come dissi, sono sì spesso trascritti parola per parola gl'interi capitoli di quella del Malispini e del suo continuatore. Cliè se egli vi avesse posta una considerazione più attenta ( e sì che in alcuni luo- ghi lo ha fatto ) , quanti altri abbagli non sarebbe-- ro slati da lui infallibilmente corretti senza niun te- stimonio di codici? La qual cosa mi sono proposto principalmente di fare io in questo andar cercando, che ho intrapreso, tutto quel campo di buona istoria e di favole, ma sempre di gentilissima lingua. Di che rendo giudice voi , dottissimo : anzi pur giudice lo stesso illustre e benemerito Antonio Benci. Emendazioni. Cap. I. E nìuna cosa ci scriverò ( nella cro- nica ) se non quello che fu ammendato dà'nostri savi maggiori^ e approvato per ferma verità. Non saprei che voglia qui dire ammendato. Se porrassi in vece ammentato , cioè ricordato, il senso sarà chia- rissimo: ed avremo una voce usata pure due volte e in rima e fuor di rima dall'Alighieri ne' canti XVI 56, e XXV 22 del Purgatorio. Ivi. Nella quale parte , e così confinata, fu un primo signore, il quale ebbe nome Atalante e Giove^ Non è possibile che costui si chiamasse medesima- mente Atalante e Giove: né vorrò accusare il Ma- lispini di questo errore. Qui dunque mancano asso- lutamente due parole : cioè dee dirsi : Il quale eb- be nome Atalante e fu fratello di Giove. La qua- IsTOfilA DBL MALISPmt lo3 le fratellanza benché da'mitologi non si ammetta, tut- tavia ammettevasi da qualche scrittore de' secoli di mezzo, come ci afferma il Villani, che forse ebbe in mente questo passo del suo Ricordano quando scrisse lib. 1 cap. 6: Altri dottori scrissero^ che questo Aitalo fu de^ discendenti di Cam^ il secondo figliuo- lo di Noè, in questo modo: che Cam gener^b Cus^ e Cus generò Nembrot il gigante, onde è fatta menzione : Nembrot generò Cres, che fu il primo re e abitatore deWisola di Creta^ che per suo tio-* me fu così nominata: Cres ingenerò Cielo, e Cielo ingenerò Saturno, e Saturno ingenerò Giove e At^ talo. Cap. III. Questo Atalante sì ebbe da Elettra sua moglie tre figliuoli, de^quali il primo sì ebbe nome Italio ^ del quale per lui è nominata tutta Italia dove conversiamo. Che Ricordano abbia scrit- to cosi ? E non piuttosto: Del quale per ciò è nO" minata tutta Italia: guasto poi il luogo dagl'igno- ranti copisti ? E cosi un guasto de'copisti reputerei nel cap. IV quel dirsi: E di quel Troio, quando fu morto, rimase un figliuolo, il quale ebbe quel medesimo nome: del quale di lui nacque grande generazione di gente. Ed emenderei: Del quale di poi nacque tanta generazione di gente. Cap. V. E in quel tempo in compagnia del buono Ercole tolse e rubò Esione figliuola del fé Laomedonte: e menarono ella con loro. Osservando io che in tutta questa cronica il Malispini non fa mai ella caso obliquo, ma sì caso retto, com'è stato sem- pre l'uso de'prosatori , direi qui pure trovarsi erro- re; e quindi doversi scrivere menaronla, o più all'an- tica menarolla. io4 Letteratura Ccip. VI. E questa vendetta ( Paricte ) si fece d^Esione^ la quale era stata tolta da' greci. Vuoisi scrivere sì. Come pure nel cap. IX dove dicesi: Ma, per tempesta che gli avvennono , si apportarono nel paese della reina Dido di Cartagine: deve seri-' versi sì apportarono, non essendosi questo verbo , quando significa prender porto, usalo mai passivo. Parimente nel cap. XI direi: E poi che Roma fu fatta^ insìno a Giulio Cesare, il quale divenne pri- mo imperatore, sì ebbe nel mondo e nella città di Roma molte novità: anziché si ebbe. E nel cap. XXVI: Quando il detto Uberto fu in età d^anni quindici, sì tornò a Roma. E nel LXIII: E il miglio sì fa mille passi. E nel CXIX: Sì presono il maledetto sdegno, onde la città di Firenze si partì. E nel CXLIII: E quando il detto Manfredi si trovò in stato, sì pensò farsi re di Sicilia e di Puglia. E così alquante altre volte. Ivi. Ma Ettore capitano deUroiani menava sì a morte i greci, e da tale parte, che tutta volta ch^ egli usciva fuori a combattere ( innanzi che tornasse dentro ) uccidea più di mille uomini di quelli de^ greci. Che vuol dire questo e da tale par- te ? Non sarebbe forse uno svarione de'soliti, sicché la vera lezione forse menar sì a morte i greci dalla sua parte (dal canto suo ), ovvero ec? a tal parte ^ cioè ed in tal numero ? Cap- XIII. Ma alfine Catilina con sua gente vi fu sconfitto, e morta tutta sua gente: e simi- gliantemente dalValtra parte. Catilina rimase con undici compagni: e Antonio rimase con venti com- pagni, col campo vinto, e ritornossi a Roma con vittoria, avvegnadiochè ella fosse gran danno de* Istoria del Mauspini ìoS romani. Il vincitore Antonio non rimase col campo vinto, ma si (emenderei) nel campo vinto, cioè in quello de'congiurali che combattevano per Catilina. E già disse il Villani lib. i cap. 82 : E il campo rimase ai romani con dolorosa vittoria. Cap. XIV. E ordinarono che Fiorino compen- satamente di notte tempo si partisse delVoste col" la metà della cavalleria. E si nuovo in tutta la lin- gua questo avverbio compensatamente, ed anche si strano, che il Benci ha dovuto mostrare tutto il suo ingegno per dargli un ragionevole significato. Che sia parimente un errore , e che debba dire impensata- mente, sinonimo chiarissimo ò^inopinatamente^alViìn^ provviso ? Cap. XV. E^acea ( Fiorino in sulla riva d'Ar- no ) armare quant^egli potea il più, di dì e di not- te: e quifacea guardare, e jacea gran danno a^Jie- solani. Dubito assai che non debba anzi dirsi: E''facea armare quant'egli potea il pia : di dì e di notte e'' qui facea guardare : e facea gran danno a'fie^ solani. Cap. XVII. Il detto centurione mai non an- dava al palagio di Catilina : e vedendo che il det- to centurione non venia a lui, mandò per lui più volte. Par certo che dopo Catilina debbasi porre un punto : e quindi seguitare : E* vedendo che il det- to centurione. Ivi. E piangeva insieme con lei tanto Vamava di disordinato amore. E assolutamente un errore di stampa l'aver tralasciato i due punti prima di tanto* Ivi. E facendo ( Belisea ) questo lamento, una matrona ( la quale andava per i palazzi medi- pando le donne e vendendo loro adornamenti da io6 Letteratura donne ) facendo suo mestiere si diede ad ascolta* re, e porre cura alle parole che dicea la reìna Belisea. Il mestiere di questa buona matrona non era di stare ascoltando i discorsi altrui, quasi piacessesi di fare la delatrice: ma sì era di medicare le donne e vender loro gli adornamenti. Sicché è chiaro che la parentesi dee chiudersi ào'^o facendo suo mestiere^ Ivi. E comandò loro che subito menassero cen- turione dinanzi da lui preso. Il che è stato qui posto arbitrariamente dal Benci : non trovandosi in nessun codice. Né di ciò vorrei rimproverarlo, con* trarissimo come sono a quell' idiotismo di costruire i verbi ; il quale vorrei totalmente bandito da ogni moderna scrittura ( tanto esso è in odio alla mia grammatica ) , se non fosse però certo che piacque ad alcuni principali scrittori e del trecento e del cinquecento, e fra essi al Compagni ed al Machia- velli. Anzi piacque al Malispini medesimo in alquan- ti luoglii , che il Benci saviamente non ha creduto dover toccare. E se questo rispetto ha usato in al- quanti luoghi , perchè non usarlo in tutti ? Per e- sempio , egli si è ben guardato di porre il che in tre passi di questo stesso capitolo: avendo lasciato cor- rere : E pregolla caramente la tenesse celata. Sempre sHndovinava di fare tutte le cose mi piaces" sono. Però mi pare gli dobbiate fare ricordo per i servigi fatti a me. Il che ha pur fatto ne'cap, 4* e 164, dove nondimeno un che pareva si necessario alla chiarezza: dicendosi nell'uno: E sì trovate e cer- cate in più croniche e scritture, per lo modo le trovai, ne feci scrittura e memoria. E nell'altro : Fu questione qual cosa fosse, o la nobiltà della natura del leone 0 la fortuna riserbasse la vitQi^ Istoria del MalispinI ìgj del detto fanciullo. E sì che necessarissimo sarebbe stato al capo iii: Onde per rimprovero usarono gli artefici di Firenze^ quando era loro mostrata moneta o altra cosa, diceano ec, e nondimeno egli noi pose dopo rimprovero. Laonde vorrei che , per l'integrità dello scrivere del Malispini, questo che si togliesse in tutti gli altri luoghi (e non sono pochi) dove il Benci ha solo slimato porlo di suo piacere* Ivi. Allora Catilina montò in superbia^ e an-* che vi mandò un milione di cavalieri, e ciascuno milione sHntendeva mille cavalieri: e mandovvi tre- mila pedoni, e quivi dierono aspra batkiglia. Le parole e ciascuno milione s^intendeva mille cava- lieri, essendo chiaramente una chiosa della voce /m- lione, non sarebbero meglio chiuse fra due parentesi? Ivi. Poi { Belisea ) chiamò centurione che a- prisse te porte del palazzo, e dissegli che Cati- lina volea la forza e il palazzo per se. Credo che debba scriversi : Fblea di forza il palazzo per se', ovvero : Volea la forza del palazzo per se : inten- dendo, come dice altrove, il luogo fortissimo, o la fortezza. Che una sola cosa e non due si chiedesse da Belisea, cioè il palazzo e non altro, chiaramente raccogliesi dalla risposta del centurione : Io glie lo darò con patti, chHo voglio potermi partire con tutta mia gente di J^iesote, e andare dove a me piacerà. Ivi. E perocché per la difesa che centuria- ne fece, fu quasi ferito a morte ( penduta la don- iella ), centurione fu fatto guarire dalle sue fe- rite. Won parrai posta bene questa parentesi. Qui vuol dirsi, secondo che ognun vede, che come il cen- turione nel difendere il palazzo era rimaso ferito, così to8 LettèiiatùrA dopo ch'ebbe renduta la donzella, che guardavasi irf esso palazzo, il vincitore fece per generosità guarir-- 10 delle ferite. Toglierei dunque la parentesi, e do- po morte porrei due punti* Ivii E pregò Teverina la sua madre^ che al dettò centurione non fosse fatto male : perocché^ soggiungendo^ mentre fui in suo potere , sempre s'indovinava di fare tutte le cose mi piacessono. 11 perocché e il soggiungendo sono stati aggiunti dal Benci : e parmi con ragione. Ma perchè non dire anzi soggiungeva ? Gap. XIX. Gran confusione è in un periodo di questo capitolo: la quale dal FoUini si è voluta pos- sibilmente togliere , aggiungendovi la traduzione di un passo di non so qual cronica latina, che trovasi manoscritta nelle librerie di Firenze, col fine, dice il Benci, di supplire a ciò che sembra mancare. Or ecco il periodo intero del Malispini, come dal Fol- lini fu emendato coli' approvazione del Benci. Av- verto che le parole scritte in carattere tondo sono le aggiunte dal Follini « Onde Vuno consigliò: concio- fossecosaché il senatore Fiorino era stato il pri- mo uomo ch'uvea fatto edificio dove la città era posta, essendo pur (i) fori nel campo del detto luogo', e conciofossecosaché in fatti d'arme egli fosse il fiore de^cavalieri a ciò che ad arme s^ap- partenea: e che ciò sia vero che la città di Fie- sole fosse distrutta dal timore delle armi, e la spada è corona di tutte le armi, e fatta come fiore di gi- glio: e però che questa città nuova fosse a simili- (i) Questo pur è stato aggiunto dal Benci : né credo eoa gran ragione. Istoria dkl Malispixi 109 tudine di fiori di gigli' e per il detto senatore, il quale ebbe nome di Fiorino, ed eravi stato nior^ to, e fu il primo abitatore di quella città', e per- chè ella era abitata da tutto il fiore de^romani^ sì fu stanziato per i consoli che quella città aves- se nome, e dovesse essere chiamata Fiorenza Ma- gna. » Io non mi tratterrò a far dispute su questa emendazione: immaginando bene ciò che può avere costalo di fatica al benemerito fiorentino. Ma dirò solo se, tralasciando gran parie del supplimento, non. fosse per avventura più semplice 1' emendare così : « Onde Vuno consigliò: Conciofossecosaché il sena- tore Fiorino era stato il primo uomo cK'avea fatto edificio dove la città era posta, essendo fiori nel campo del detto luogo: conciojossecosachè infatti d'arme egli fosse il fiore de'' cavalieri a ciò che ad arme s^appartenea: e con ciò sia vero che que- sta città nuova fosse a similitudine di fiori di gi-^ gli', perciò, perchè il detto senatore, il quale ebbe nome di Fiorino , ed eravi stato morto 1 e fu il primo abitatore di quella città; e perchè ella era abitata da tutto il fiore de^romani', sì fosse staji- ziato per i consoli, che quella città avesse nome e dovesse essere chiamata Fiorenza Magna,» Cap. XX. Quando i fiesolani furono acconci QO^romani, fu mestiere ohe Catilina uscisse fuori con tutti i suoi seguaci di notte tempo della città d'i Fiesole, co''cavalli ferrati a ritroso, perchè pa- ressono al sentire pia gente: e andaronsene colà dove oggi si chiama Pistoia. Saviamente il Benci ha qui avvertilo che la lezione non corre bene: non apparendo il perchè, coll'essersi da Calilina ferrali i pavfiUi a ritroso, cioè a rovescio, la sna gente pot^s^ 1X0 Letteratura «e mai farsi sentir maggiore. Egli quindi propone di emendare così : Perchè paressono venire pia che gente uscire. Se avesse però letto il Villani lib. I cap. 32, vi avrebbe trovato scritto: E fece ferrare i suoi cavalli a ritroso ^ acciocché, partendosi^ le ferrature de''cavalli mostrassero, che gente fosse entrata a Fiesole , e non uscita. Sicché mi pare che avrebbe potuto con maggior probabilità, se noa sicurezza, emendare: Perchè paressono al sentiero gente che fosse entrata e non uscita, Cap. XXIII. E Vuno e Valtro luogo, cioè il luogo era chiamato Sene, perciocché gli uomini erano ivi rimasi per senitade, cioè per vecchiez" za. Giurerei quasi che la ripetizione luogo è di più : e che dee dirsi : E Vuno e Valtro luogo era chiamato Sene. Infatti il Villani dice lib. i, cap. 56: E Vuno abitacolo e Valtro era chiamato Sena» Ivi. Poi si raccomunicò Vun luogo e Valtro insieme : e perciò si declina secondo grammatica in plurale i et pluraliter nominativo hae Senae. Il verbo raccomunicare ha nel vocabolario un solo &■ gempio di fra Giordano. Oltre all'essera perciò assai dubbio, non è forse ivi nel preciso significato che ha in questo luogo. Certo è che il Villani, il quale co- piò qui il Malispini, dice raccomunò, leggendosi co- sì nel lib. I cap. 56 : Poi crescendo li abitanti, si raccomunò Vuno luogo e Valtro, e però secondo grammatica si declina et pluraliter nominativo hae Senae. Cap. XXIV. E sì dovete sapere che la città di Fiesole è nel migliore e più sano luogo di tut-^ ta Europa, perocché nel mezzo delle due parti è tra due mari. Che debba dire cos), e non piuttosto, Istoria del Malispiw hi perocch'è nel mezzo delle sue parti e tra due ma- ri ? Il Villani ha nel lib. I cap. 7 : Imperocché la è quasi nel mezzo ( d'Europa ) intra due mari che accerchiano Italia. Cap. XXVI. E poi ( il circuito delle mura del- l'antica Firenze ) mettea dentro alla piazza alla pa-^ glia. Se non erro, dee dirsi dentro la piazza alla, paglia. Cap. XXVII. Chi bene considererà il primo pa- ragrafo di questo capitolo, vedrà ch'esso dee formare un capitolo a parte da porsi alquanto più addietro : dicendosi qui di voler parlare innanzi di Attila, di cui parlò appunto ne'cap. XX e XXI. Io lo alloghe- rei subito dopo il XIX : e muterei in cap. XXVIII il secondo paragrafo del XXVII. Ivi. E ressesi Firenze sotto V impero de^ ro- mani : e teneano la legge pagana. E ancora si resse sotto Vimpero deVomani intorno d^anni 35o, Qui certo i copisti hanno fatto guasto. Dice il Vil- lani lib. I cap. 59 : Troviamo che la nostra città di Firenze si resse sotto la guardia degVimpera- dori di Roma intorno di trecento cinquant^ anni, poi eh'' ella fu fondata, tenendo la legge pagana e col- tivando gVidoli. Mi parrebbe dunque di potere quasi con certezza emendare, restringendo il tutto così: E ressesi Firenze sotto Vimpero de''romani (eHeneana la legge pagana ) intorno d'anni 35o. Cap. XXXI. Il primo compagno (d'Uberto) ^k Elisone, suo cognato ( siccome a dietro è detto ) della prima donna del detto Uberto : e questi fu Vuno cKandò con lui in Sassonia. La parentesi , pome ognun vede, è mal chiusa ; non potendo il Ma- Jispini avere scritto, suo cognato della prima doìh 112 Letteratura na del detto Uberto. Chiudasi dunque dopo Uber^ to : intendendosi : Come a dietro si è detto par- lando della prima donna di detto Uberto. Infatti Ricordano al cap. XXVIII aveva narrato come Eliso- ne erasi fatto cognato Uberto, dandogli una sua so- rella in isposa. Cap. XXXIII. Restaci a dire Je' Bisdomini , che per innanzi furono così chiamati, e sono una medesima cosa quelli della Tosa, che poi per m- nanzi così si chiamarono. Emenderei senza più : E sono una medesima cosa con quelli della Tosa. Infatti nel cap. 52 ripete il Mallspini : Erano an- cora nel detto quartiere gli Arrigucci e què'deU la Tosa, che furono uno lignaggio co"* Bisdomini. Cap. XXXIV. Ancora furono in questo primo cerchio della detta città ( della famiglia de^ quali andarono col buono Uberto in Sassonia ) di quelli che oggi si chiamano i Filippi^ e di quelli che oggi si chiamano Alberighi, e degli Arrigucci, E di questi Arrigucci furono , per loro dignità e grandigiat per innanzi padroni e difenditori del vescovato di Fiesole. Non so perchè non debba dir- si piuttosto : Quelli che oggi si chiamano i Filip-^ pi, e quelli che oggi si chiamano gli Alberighi e gli Arrigucci, E questi Arrigucci furono ec. Ivi. Ed è a sapere che trentotto Jamiglie, le quali erano nel detto primo cerchio in quel tem»» pò e che avevano nome, ne furono morti la mag~ giore parte per Attila e per sua gente. Forse dee dire : Che di trentotto famiglie, E poi scriverei mor'- te e non morti. Cap. XXXVII. E il modo come le trovò Ri- cordano { di cui faremo menzione innanzi ) chQ Istoria del Malispini ii3 trovò scritto in questo modo in croniche romane. Qui cerio è gran confusione. Di grazia si legga l'in- tero capitolo , e veggasi se per avventura potesse e- mendarsi cosi : E del modo., come lo trovò Ricor- dano^ faremo menzione innanzi: che trovò scritto in questo modo in croniche romane. Questo modo si narra appunto nel seguente capitolo 38, come il Malispini medesimo ci conferma sul principio del cap. 40' Gap. XXXVIII. E siccome dalVuna parte di Ixoma è la chiesa di s. Giovanni Laterano , così la maggior chiesa di Firenze è san Giovanni Ba- tista. In questo capitolo il Malispini è tutto nel vo- ler dimostrare, che l'antica Firenze fu da'roraani ri- fabbricata alla maniera di Roma: e perciò dice (forse il Follini ed il Benci hanno fatto troppi supplimenti al testo ) che come in Roma la chiesa di s. Pietro è da un lato, e quella di s. Stefano è da un altro, e quasi nel mezzo è il tempio di s. Andrea , cosi appunto è in Firenze. Or seguita il paragone anche delle due chiese di s. Giovanni: il qual paragone già non sarebbe, se non si facesse necessariamente que- sta emendazione: E siccome dalVuna parte di Ro- ma è la chiesa di s. Giovanni Laterano , così è della maggiore chiesa di Firenze s. Giovanni Ba- tista. Ghè se invece di parte si volesse dir porta^ avremmo per questo cambiamento l'autorità del Vil- lani , che facendo il paragone medesimo cosi scrive nel lib. 3 cap. 2: E fuori di quella porta fu edi- ficata la chiesa di s. Lorenzo , al modo eh"" è a Roma san Lorenzo fuori delle mura: e dentro a quella porta sì è san Giovanni^ come a Roma san Giovanni Laterano. Anzi avremmo pure l'autorità di G.A.T.XCm. 8 il A Letteratura esso Malispini, che prima del Villani ayea detto sj cap, ^f^ : E di fuori di quella porta fu edificata la chiesa di san Lorenzo^ e dentro a quella porta ^ san GiQvam}i. Cap, XLII. E dico : che nel tempo di Carlo magno di Francia e di Lodovico suo figliuolo, i quali furono imperatori de^romani, ebbe prinpipio Iq nostra città di Firerpze, cioè che fu rifatta {cK'è quasi liberata Roma e Toscana e Italia da' goti e vandali e longobardi e greci e saracini), la qua- le città era stata distrutta circa, gli anni 41 Cri- sto 4^0 per lo male stato di Roma e di suo im- pero. }\ cioè dopo Firenze è stato posto arbitraria- mente dal Benci : ed è stata posta pur la parentesi. Se iion erro, il Iqogo ya emendato così : Ebbe prin- cipio la nostra città di Firerpze , che fu rifatta cioè quasi Uberatq. Roma e Toscana e Italia da' goti e vandali e longobardi e grec^ e saracini: Ice. quale città era stata disfatta pc, |vi. Quelli cotanti abitanti (iel borgo e del jnercatOt colf aiuto 4^ cefti 7}obili fl?eZ qantado {che anticamente erano discesi e stratti 4(1^ fiorentini , prima cittadini ) e di quelli de'' villaggi d'attorno^ vollono ec. Farmi phe debba einendarsi dafiorenti- ni primi citta4ini ; dicendo di que' vecchi nobili il M?ilisplni pel cap. 43; De' quali si dice che furo- jio principali i Figiovanni e i Fighineldi e i Fi- ridolfi e i Fif ariti', discesi dagli antichi nobili cit- ladini di Firenze. E poi : Ed è vero che assaiS' simi furono con esso loro^ in dare fa^'ore e aiu- to, de^ nobili stratti degli antichi uomini di Fi^en^ gè e del contado. Cap. XLIV. E da quella porta seguivano le Istoria del Mauspini ii5 mura verso il duomo y come tiene oggi la ruga a san Giovanni insino al vescovato. Il Villani , che nel cap. p del Ub, 3 ha copiato tutto questo passo, dopo ruga pone un che va : e vel porremo anche noi. Parimente alcuue righe più sotto, dove il Ma- lispini dice : E conseguendo da quella parte è san- ta Maria maggiore^ e insino alla terza porta di san Pancrazio : senza dubbio d'errare porremo, col- l'autorità medesima del Villani: E poi seguirono le mura insino alla terza porta di san Pancrazio. Cosi anche invece di scrivere : E poi dalla detta porta di s. Pancrazio conseguendo dov^è oggi la chiesa di s. Trinità ^ ch'era fuori delle mura, ivi conseguendo , ovvero presso , ebbe una posteria chiamata Porta Rossa : scriveremo per avventura meglÌQ ; E poi dalla detta porta di s. Pancrazio conseguendo dov^è oggi la chiesa di s. Trinità , ch'era fuori delle mura^ ivi ( conseguendo, ovve- ro presso) ebbe una posteria chiamata Porta Rossa. Ivi. E dalla porta di s. Maria seguivano le mura al castello Altafronte, ch'era in sul corno della città sopra il fiume d''Arno, Dice il Villani lib. 3 cap. 2 : E poi della porta di s. Maria se- guivano le mura infino al castello Altafronte, di' era in sul torno { cioè in sul giro, circuito ) della città in su la riva del fumé d'Amo. Sicché por- rei qui torno : voce che tanto sta bene in questo luogo della cronica del Malispini, quanto malissima- mente starebbe nel canto IV v. 9 dell'Inferno di Dan- te, là dove invece di tuono vorrebbe porla il buon Viviani coU'autorilà del suo codice bartoliniano , il quale ivi legge: Che torno accoglie d''infiniti guai. Cosa veramente bellissima una valle che raccoglie un giro^ un circuito, d'' infinite lamentevoli stridal ij6 Letteratura Cap. XLV. Già era riedificata la città di Fi^ renze : e sono di quelli che vogliono dire, ch'eli la fu di minore cerchio che la prima. Ma a ri- contenere la propria verità , egli è il contrario. Anche l'egregio Benci ha veduto che qui il testo è guasto : sicché ha stimato dovere dir forse ricontare la propria verità. E sì che ad ogni modo era a to- gliersi quel brutto ricontenere. Ivi. Ma egli è vero che per la nobile gente romana, che vi abbondò in quel tempo che Fie- sole fu assediata, sì vi si fece certi edifici, in sullo partire , perchè vi rimasono molti cittadini e di Homa e di Fiesole e d' altri ec. Che è quell' in sullo partire ? Se non erro, i copisti dovevano scri- vere in suoi quartieri : essendo Firenze divisa al- lora in quartieri , come il Malispini ci avverte nel capitolo precedente. Ivi. E alla seconda volta, che la detta città di Firenze fu edificata per Carlo Magno impera-^ tore e per i romani, e per interdotto de''nobili, di cui facemmo menzione a dietro, sì fecero punga di farla maggiore e più bella e più forte che di prima, acciocché potessona contrastare a Fieso-^ le. !Non piace, e giustamente, al Benci il vocabolo interdotto, e vorrebbe che in vece sua si ponesse in- tromissione. Ma la vera lezione è introdotto, paro- la bellissima e in questo significato usatissima dai più antichi scrittori della nostra lingua. Anche sulla vo- ce punga dubita egli che non sia storpiatura di pu-^ gna, volendo che venga piuttosto da « pungere in quel suo significato d'infervorarsi a fare. » Ed egli ha ragione : ed è parola legittima, e non già storpiatura, e lion metatesi; e più propriamente ha significazione Istoria del Mauspinì iiy dì sforzo e contrasto: così in tutti gli esempi recati dal vocabolario della crusca, come nel famoso verso n del canto IX dell'Inferno: Pure a noi converrà vin- cer la punga. Ivi. Per la quale cosa ( Firenze ) non quasi prospej^ava, e stette in questa angoscia circa an- ni 200. Direi non guari prosperava. La quale e- mendazione farei pure al cap. 49, dove si ha : E tut- to V esercito de' fiorentini a cavallo e a pie anda- rono e entrarono nella città di Fiesole^ e corson- la tutta, senza uccidere quasi, o fare danno, sal- vo a chi si contrapponesse. Come senza quasi uc- cidere ? Uccidevano o non uccidevano ? Il Villani lib. 4 cap. 5 dice assolutamente di no : E entraro nella città di Fiesole, e corsonla tutta senza uc- cisione di gente, o fare altro danno a persona , se non a chi contendesse. O dunque tolgasi quel ridicolo quasi, o si muti in guari. Cap. XLV. E i normanni {ciò furono nover- chi di Norvea ) per mare passarono in Gallia. Sto col Benci che debba leggersi navarchi : o fors'anche naverchi ( norvechi di Norvea ha il Villani lib. 2 cap. i8 ) : ma non che abbia a mutarsi Norvea in nord. Perciocché questo vocabolo nord, di cui si fa oggi tanto consumo in vece dell'italianissimo setten- trione, non parmi che siasi usato mai da'nostri scrit- tori antichi. Norvea sarà certo Norvegia^ patria ve- ra de'normanni : i quali da Ricordano in questo stes- so capitolo sono reputati diversi dai popoli della Dani- marca , dicendo : Jl tempo di costui { di Carlo il grosso ) i normanni e quei di Danimarca disirus-* sono gran parte di Francia e della Magna. E poi: Questo Arnolfo combattè in Magonza^con danesi e normanni^ e vinsegli e cacciogli. ii8 Letteratura Ivi. E così appare che sette fossero gVtnipe- ratori francesi , che sei furono del lignaggio di Pipino. Il Villani, che quasi copiò questo periodo lib. 2 cap. 20, dice che gVimpeiadofi di sangue francese furono otto^ e non sette. E così è : e tutti sono pur nominati dal Malispini nel corso del presente capi- tolo : cioè Carlo magno, Lodovico I, Lotario, Lodo- vico II, Carlo il calvo, Lodovico III il balbo, Carlo il grosso, ed Arnolfo. Sette di essi furono della stir- pe di Pipino, ed uno noi fu, cioè Arnolfo barone di Francia. Sicché vuoisi emendare : E così appa- re che otto furono gV imperatori francesi, e che sette furono del lignaggio di Pipino. Ivi. Dopo il detto Corrado sassone fu fatto imperatore Enrico suo figliuolo. Come il detto Cor- rado, se questa è la prima voltai che si parla di lui? Manca dunque un periodo : e lo ha bene il Villani lib. 3 cap. 4- e dee porsi dopo l'antededente, dove dicesi che Berengario non fu chiamato augusto^ ne coronato. Il periodo dev'esser questo, secondo Fautorilà di esso Villani : E at suo tempo fu il primo impe- ratore di Roma d^ Alamagna appresso la signorìa de francesi, che ebbe nome Corrado di Sansogna : sì che Vuno regnava in Italia, V altro in Alama^ gna. Seguita indi l'altro periodo : E in questo tem- po passarono i saracini in Italia ec. Cap. XLVI. E dappoi il detto Berengario ri- tornò nella grazia del detto Ottone : e rendegli la signorìa di Lombardia ec, e ritornò nella Magna. Se crederemo, secondo che a me pare, il dappoi star qui per dappoiché ^ come non di rado leggiamo in quegli antichi padri della favella, scriveremo forse con più chiarezza : E dappoi il detto Berengario ritor- nò nella grazia del detto OttOy e^ rendegli la signo*- Istoria del Mauspinì ii^ ria di Lombardia. La parola Ottone fu aggiunta dal fienci : ed ottiniairierite : ma considerar doveva che il Malìspini ha però scritto sempre Otto. Ivi. Alberto si fuggì d'Italia per paura d'Ot- to: e il suo papà Gio\>anni sito figliiLolo fu deposto. Stimerei un' aggiùnta de'copisti quel suo papa Gio- vanni , invéce di papa Giovanni. 11 Villani lib. 3 cap. 5 copia qui pure il Malìspini, e dice: Alberto si fuggì d'Italia per paura d'Otto^ e7 suo figliuolo papa Giovanni fu deposto. ivi. Onde la nostra città di Fii^etize^ ch^ era Una co^ romani e colf impero^ non potea respirare ne prosperare : e sì perchè ifiesolani, suoi nemi- ci e vicini^ sempre teneano co gV imperatori e si-' gnòri é tiranni., e guerreggiavano e faceano gUer- veggiare la città di Firenze acciocché non potes- se prospererei 11 sì perchè non ha cofrispondenza àlciincl di altro sì perchè : e perciò cr'edo chd non possa stare. Il Villani, che nel lib. 3 cap. 5 trascris- se parimente questo luogo del Malispini, tralascia il sì^ e pone però che. Forse la negligenza de'copisti ha posposto quella particella, la quale avevasi dopo impero : talché il testo diceva : Onde la nostra cit- tà di Firenze y ch'era una có'romani e colVimpe-^ rOi sì non potea respirare ne prosperare i perchè i fiesotani ec. Cap. XLVII. E veggendo il papa e il cheri- caio che la chiesa non si potea difendere né ave- re sua libertà ( per la malvagità de^ romani e de- gV italiani che la occupavano ) senza V aiuto e for- za degli alemanni^ e conoscendo la bontà e il vo- lere del detto Otto re, per degnissimo fu eletto imperatore. Non volere , ma valore ha il Villani 120 LlTTERATUnA lib. 4 cap. I : e così dee slare : che allora aTea ]jÌì- sogno la chiesa d'un principe e buono e valoroso che la difendesse. Ivi. Egli il fece ( Guido ) conte palatino , e diegli il contado di Modigliana in Romagna^ in- sino che furono cacciati da Ravenna per i loro oltraggi. Anche il Benci ha conosciuto che dopo Ro- magna manca qualche parola : ed ha ragionevolmen- te supplito, che conservarono i Guidi insino ec. Se avesse nondimeno osservato il Villani, sarebhegli per avventura avvenuto di trovare il vero passo che man- ca : dicendo esso Villani lib. 4 cap. i : E intra li altri fu il cominciamento de^ conti Guidi ^ il quale ( forse de'^quali ) Il primo ebbe nome Guido : chè''l fece conte palatino^ e diegli il contado di Modi- gliana in Romagna : e poi i suoi discendenti fu- ro quasi signori di tutta Romagna, infino che fu- ro cacciati di Ravenna, e tutti morti dal popolo di Ravenna per loro oltraggi. Ivi. Ancora troviamo che il detto Otto pri- mo spesso soggiornava in Firenze, quando anda- va e da Roma tornava. Forse meglio, o da Roma tornava; come ha il Villani lib. 4 cap. i. Gap. XLVIII. E a costui ( al marchese Ugo ) piacque la stanza di Toscana , e massimamente nella città di Firenze. Della città di Firenze di- ce il Villani lib. 4 cap. a : e più rettamente. Ivi. / quali per lo suo amore portarono e ri- tennono la sua insegna addogata bianca e rossa con diverse intrasegne. Mi si permetta qui una os- servazione : ed è che alcuni credono un bel fatto quello di aver trovato nelle antiche edizioni di Dan- Istoria del Mauspini 121 te, coi conienti del Landino, mutato doga in toga al V. 7 5 del cap. XXXI deirinferno : E vedi luì cheH gran petto ti doga. Ma che dogare sia in significazione di listare anti- chissimo e propriissimo verbo, n'è prova questo ad- diettivo addogato : il quale vorrei perciò veder regi- strato nel vocabolario della crusca con più antica au- torità, che non è quella di Giovanni Villani. E se non bastasse il presente esempio, eccone pure un al- tro di Ricordano medesimo al cap. i38: Quella (in- segna ) di Borgo addogata per lungo bianca e az- zurra. Ivi. E fecesi decreto che degli alemanni [per cagione aveano tutta V elezione delV impero ) non potesse esser papa cardinale , per levare le dis- sensioni del papato : ma non si attenne. Dee emen- darsi assolutamente, come ha opinato il Benci con- tro il Follini, non potesse esser papa o cardinale : di che, oltre alla ragione dell'istoria , si ha la con- ferma nel Villani lib. 4 cap. 2, che dice quasi colle parole medesime : E fecesi decreto che de li ala- manni, che avevano totale elezione dello imperio d' Alamagna ( forse in Alamagna ), non potesse es- sere papa o cardinale, per levare le discensioni del papato : ma non si attenne. Ivi. Imperciocché, dappoi che Velezione del- l'impero venne al tutto agli alemanni, seguitere- mo alValtro imperatore , e poi al papa , e dirò quanto apparterrà a nostra materia. <( Questi /m- per ciocche, dappoiché, dice il Benci, imbrogliano molto, invece di coUegare il discorso. « Se egli però Ì22 Lettisratiira si fosse compiaciuto di osservare a questo luogo il Villani, avrebbe trovato che imperciocché è qui ve- ramente errore , e che dee dirsi imperò , sinonimo àHmperciò *. colla quale emendaiiórié tutto procede chiatissìmàdlenté. Perchè dice il Villani lib. 4 cdp. 2: E imperò, poi che lo imperio venne al tutto alli alamanni, sì segUÌr*emo omai cCimperadofé in im-- peradore, e simile de^papi. Ed emenderei pure nel Malispini queir alV attico imperatore , ponendo in- vece all'imperatore. Ivi. E molti cavalieri e altri nobili cittadini gli tennero compagnia in Firenze e in pia altri luoghi ì tfa^quali ec. due degli Vberti , uno eb- be nome iriesser Ciupo , V altro messer Fioretto. Avendo posto il Malispini l'articolo zWaltrOi dove- ' va porlo anche dXVuno. E cosi fece infatti due vol- te, che la cosa medesima gli convenne dire, in que- sto stesso capitolo : cioè : Anche tre de^Figiovan- ni, Vano ebbe nome messer Ubaldo, V altro mes- ser Terzo, Valtro^esser (Giovanni. ^ poi i Anche fu un nobile cittadino gentiluomo de^Lamberti, ch^ ebbe nome Lustro di messer Lamberto Lamberti^ con due suoi compagni gentiluomini : Vuno ebbe nome Alderiga di ntesser Luigi Fifanti, e Valtro ebbe nome Turno di messer Magnino degV InfaU' \ gati. Ivi. E i Jiesolani essendo sicurati dayiorenti- , nii non prendendo guardia ec. Dee dire de^ fioren- tini, cioè essendo sicuri de'fìòreritini. Il Villani dice ' lib. 4 cap. 5 : Essendo assicurati defiopentinì. j Ivi. Ma presa là città e V altre fortezze di quella, il popolo s^arrende a patti di non essere offesi né rubati , disfacendo la terra eccetto la i Istoria del Malispinì ià3 chiesa del vescovato. E altre cose che v^ erano ^ e ogni altra cosa si disfece e cacciossi per terra. Dice il Villani lib. 4 cap. 5 : I fiorentini la fece- ro tutta abbattere e disfare ^ salvo il vescovato e altre chiese. Ripete il Malispini nel cap. 5o : Es- sendo distrutta la città di Fiesole^ salvo la roc- ca e le chiese. E perciò chiaro che il passo dee emendarsi così : Disfacendo la terra j eccetto la chiesa del vescovato e altre chiese che p' erario. E ogni aitila cosa si disfece e cacciossi per ter- ra. E ^emendazione medesima dee farsi in un allro passo j che Segue indi a poco, cioè : E vuota la cit- tà, i Jioi^entini la fecero abbattere e disfare tut- ta^ salvo la chiesa e la rocca^ la quale si teneat dovendosi dire, salvo le chiese. Cap. LII. E anche vi venne gli Scolari, che furono loro consorti di ceppo ab antico. Ed era in parte le case de^ Giudi. Avendo il Malispini u- sato sempre il plurale delle terze persone del per- fetto e dell'imperfetto de'verbi ad indicare in questo capitolo tutte le piìi antiche famiglie grandi di Firen- ze, credo adunque che questi venne ed era sieno qui errori del copista plebeo : e che perciò debba scri- versi : Ed anche vi vennero gli Scolari ^ che furo- no loro consorti di ceppo ab antico. Ed erano in parte ( forse in quella parte ) le case de^ Giudi. ivi. / Soldanieri gentilissimi uomini ^ e que^ che si chiamavano al dì d'oggi gli Erri, furono consorti dei detti Pigli. Possibile che dicasi qui be- ne, si chiamavano al dì d'oggi ! Possibile che anzi non debba dirsi, si chiamano al dì doggi ! Ivi. ancora v^erano venuti di quei tempi gli i24 Lettera-tura Adimiri. E certo errore di sinmpa invece di Aduna" ri) come ha il Villani lib. 4 cap. io. Ivi. E dicesi ( ma io non lo avvogo) che fu- rono ( i Gherardini ) ab antico consorti cogli Ami- dei. Il Benci ha ben sospettato che avvogo sia un error di copista : quantunque il FoUlni creda , che provenga da un ignoto verbo avvogare, a cui dà il aignificato di difendere , sostenere. Quanto a me , direi che debba leggersi arrogo, dal verbo arrogare conosciutissimo e registrato nel vocabolario, dov'è spie- gato per adottare. Gap. LUI. Il primo cavaliere che ( Garlo ma- gno ) fece in Firenze , fu il buono messer Otto de* Figiovanni ^ e messer Corrado Figiovanni, e mes- ser Anselmo de^Fighineldi ec. Se il primo cavalle- ' re fu messer Otto de'Figiovanni, gli altri dovevano essere stali eletti da Carlo dopo di lui. Quindi par- lili doversi emendare : E poi messer Corrado de* Figiovanni e messer Anselmo de^ Fighineldi ec. ec. Gap. LIV. E assai gentiluomini ( siccome ven- gono i casi ) che talora guerreggiavano insieme^ ne disfeciono Vuno alValtro. Non sarei contrario di credere che debba dirsi ( siccome vennero i casi che talora guerreggiavano insieme ). Gap. LVIl. E anche vi fece cavalieri nella detta città di Firenze. Direi sì fece cavalieri. Gap. LVIIl. Dopo la morte del primo Corra- do fu eletto imperatore Arrigo secondo, chi dis- se fu figliuolo, ma efu genero del detto Corra- do imperadore. Scriverei : Dopo la morte del pri- mo Arrigo fu eletto imperatore Arrigo secondo. Chi disse, fu figliuolo : ma efu genero ec. Gap. LIX. E dopo lui fu fatto papa nella cit- [i Istoria del Malispini i2o tà di Firenze per i cardinali Stefano nato di Lo- teringia in Brabante : e civette papa circa otto mesi, e morì nella città di Firenze. La parola pa- pa dopo vivette è slata posta dal Beaci , ma senza necessità : non potendosi credere che Stefano IX fi- nisse di vivere in età di circa otto mesi. Il Villani, che nel lib. 4 cap. i5 copiò questo passo di Ricor- i dano, non ebbe tanto scrupolo, e tralasciò papa : co^ ' me nel lib. 4 cap. 21 tralasciò pure nel papato (aggiun- to parimente dal Benci ) copiando queste altre paro- le del nostro autore, che sono nel cap. 62: F fu fatto papa Vittorio ■, e vivette nel papato circa a I undici mesi. Ivi. E racchetaronsi le riotte e s^li scismi eh* 1 j erano nella chiesa. L'articolo gli è stato a scismi I aggiunto dal Benci. Io non so però se in tutta la lingua antica abbiasi mai scisma di genere ma-^ scolino. Certo è che il Villani copiò, come tanti al- tri, ancor questo passo del Malispini, e disse lib. 4 cap. i5 : E qiietarsi le riotte e scisme di' erano nella chiesa. Cap. LXI. JYel tempo del detto irrigo terzo imperadore, essendo la città di Firenze moltipli-. caia d'' avere e di persone; e anche per molte guer- re ch'erano in Toscana e a Roma ( Vimperatore contro alla chiesa ) , negli anni di Cristo 1078 cominciarono i fiorentini le mura nuove della cit- tà. L' e anche è aggiunta del Benci : ma senza ne- cessità, se il periodo si scriverà invece nel modo se- guente, mutando quell' erralissimo Vimperatore nel manifestissimo dell'imperatore : Nel tempo del det-, to Arrigo terzo imperatore ( essendo la città di Firenze moltiplicata d'avere e di persone ) , per f26 Letteratura le molte guerre ch'erano in Toscana e a Roma dell'imperatore contro alla chiesa^ negli anni di Cristo 1078 cominciarono i fiorentini le mura nuo- ve della città. Ivi. L'altro borgo era quello di s. Felicita : detto piazza : avea una porta dov'è oggi la piaz~ za di s. Felice. Prima di avea dee porsi certamen- te un che : sì perchè ve lo pone il Villani, che co- pia questo passo pel lib. /^ cap. 7; sì perchè il Mali- spini lo pone nel periodo, che segue subito appresso cosi ; E l'altro borgo si chiamava di santo laco- pOi ch'avea una porta dove sono oggi le case de* Frescobaldi. Ivi. Siccome il sesto di porta di san Panerà^ zio che ha per insegna una branca di leone ver- miglia nel bianco ( presesi la detta insegna per il nome del sesto ^ il quale volgarmente era cor- rottOi dicendo san Brancazio , conciossiacosaché il suo nome dice dirittamente Pancrazio ]. Qui non ha senso, parrai, se non tolgasi affatto la parentesi, e non dicasi; Siccome il sesto di porta di s. Pancrazio., che ha per insegna una branca di leone vermi" gli nel bianconi prese sì la detta insegna ec. Cap. LXII. Per la quale cosa il detto papa Gregorio settimo .> in concilio di cento dieci vesco- vìi il detto irrigo imperatore scomunicò, perchè volle rompere la vita di santa chiesa. E sì strano questo rompere la vita di santa chiesa, che io lo credo assolutamente un errore in vece di dire , rompere V unità. Ed infatti il Villani dice , lib. 4 1 cap. 2 1 , rompere l'unione di santa chiesa : ne l'ira- ; peradore Arrigo, col mettere scisma e divisione nella I chiesa ( come più addietro dice il Malispini), face- j ya. altro che rompere l'unità. Istoria del Malispini 127 f Cap. LXIV. E andovvi innumerahile popolo a fiavallo e a piè^ dugento mila uomini di Francia e dalla Magna e Spagna, di Lombardia, di To- scana ec, E chiaro che 4ee dire o della Magna ^ o d^ Alamagìia, Ivi. Baldovino e Eustachio fratello del detto Goffredo di Buglione, he^^o fratelli^ anche coU'avi- torit^ del Villani lib. 4 cap. 28. Ivi. E il detto Goffredo fu fatto re di Geru- salemme : ma per sua umiltt), perchè Cristo v'eh' he corone di spine, non volle in suo capo coro- na d^oro. Dirò corona di spine , secondo il vange- lo, ed anche secondo il Villani lib. 4 cap. ?23» Ivi. E chi pienamente questa storia vuole tro- vare, legga il libro del detto passaggio, ove or- dinat(i.mente è scritto. Forse è scritta, Cap, LXV. f^olendo i fiorentini loro contado distendere^ ordinarono, che qualunque castello o fortezza non ubbidisce, di fargli guerra. Potrebbe essere che il Malispini avesse scritto: Ordinarono , qualunque castello o fortezza non ubbidisse , M fargli guerra, Cap. LXVII, E per accordo (/e' detti cardi- nali fu fatto papa Callisto secondo, e scomunicò il detto imperatore', e tornando a Roma da tutti fu ricevuto per degno papa. Forse: E per accor- do de^detti cardinali fu fatto papa Calisto secoi}-. do, £' scomunicò il detto imperatore ec. Cap. LXIX. Negli anni di Cristo j 1 1 3 i fio- rentini feciono guerra a Monte CasoU, che Vavea ribellato messer Roberto tedesco vicario deWim- peratore Arrigo. Dee scriversi che , cioè perchè Vavea ribellato. In questa negligenza di tralasciare 128 Letteratura l'accento sul che, quando sta in luogo di perchè o perciocché^ sono caduti assai spesso il Pollini ed il Bencl: della qnal cosa non farò altra memoria, ba- standomi di averlo avvertito. Gap. LXX. E intra V altre cose erano epicu- rei , e di vizio di lussuria e di gola. Il Villani lib. 4 cap. 2g dice, e forse bene, epicurei per vi- zio di lussuria e di gola. Sicché direi qui: Epicu- rei di vizio di lussuria e di gola. Gap. LXXI. E ritrarsi dalV impresa non pa- rca loro V onore al grande spendio e apparecchia- mento eh' ave ano fatto. Dice il Villani lib. 4- cap. 3o: non parca loro onore. Cap. LXXIII. E negli anni di Cristo ii4^ , avendo i fiorentini guerra co''conti Guidi, imperoc- ché le castella loro erano presso alla città, Mon- te di Croce si tenea per loro e face a pur guer- ra. Per la qual cosa i fiorentini v^andarono a oste costoro soldati. Per l'emendazione di questo luogo ha il Benci avuto 1' occhio a ciò che dice il Villani liei cap. 4 cap. 36: ben dimostrandolo l'essersi ag- giunto da lui al testo del Malispinl le precise pa- role ch'esso Villani pone dopo Monte di Croce, cioè si tenea per loro. Ma non credo ch'egli abbia emen- dato al tutto perfettamente: e parmi che assai meglio dica il Villani: Nelli anni di Cristo 1146 avendo i fiorentini guerra coeletti conti Guidi (imperoc- ché le loro castella erano troppo presso alla città di Firenze, e Monte di Croce si tenea per loro e guerreggiava ), per la qual cosa (come a dire, per ciò ) alquanti cittadini di Firenze n'andaro- no a oste con certi soldati di'l comune di Firenze. Che per la qual cosa^ o anche della qual co- IsTprJA DEL MalISPINI I2() sa, valga in questo luogo perciò^ n'abbiamo conferma nel cap. 126, ove Ricordano dice : In questi mede- simi tempi Arrigo sciancato^ primogenito del det- to Federigo ec.^veggendo V imperatore suo padre facea ciò che poteva contro alla chiesa^ della qiial cosa prese coscienza^ e pia volte riprese il padre di tanto male. Cap. LXXV. Perocché i fiorentini erano di- ventati molto superbi ( per le vittorie avute sopra i loro nemici ) e tra loro molto ingrati , e con molti disonesti peccati. Lasciando stare che la pa- rentesi mi sembra alquanto inutile, avvertirò che for- se non male il Villani lib. 5 cap. 7 dice : E tra lo- ro molto ingrati a Dio. Ivi. Ma tanto venne poi in su quello gittare tra^ cittadini, che Vun dì combatteano, e V altro man- giavano e heveano insieme. Ha ben veduto il Ben- ci l'error gravissimo di quel poi in su: e col Villa- ni lib. 5 cap. 9 ha proposto di emendarlo, dicendo invece poi in uso. Egli però non dovea solo propor- re l'emendazione, ma si farla , togliendo affatto dal testo quel brutto scorso di penna. E colla medesima autorità del Villani, anzi colla ragione grammaticale, avrei pure, senza sentirne un dubbio al mondo, tolto si facevate posto si facevano, in quest'altro luogo che dice : Novellando delle virtù e prodezze Vuno delValtro, che si faceva a quelle battaglie. Cap. LXXVI. E correa in Firenze una mo- neta d'argento, ch'oggi varrebbe al presente Vun danaio tre. Dice il Villani lib. 5 cap. io : Impe- rocché allora correa una moneta d' argento in Firenze, che si chiamavano fiorini di danari do- dici VunOt che oggi varrebbe^ alla presente pic- G.A.T.XCIII. 9 j3o Letteratura cola moneta, per lega e per peso Vimo danari tre. Se non vuol dirsi che il Malispini abbia precisamene te scritto così, dicasi almeno che non al presente^ ma sì debba porsi alla presente : cioè, fatto il rag- guaglio colla presente moneta. Gap. LXXVII. E simile fece ( Federico I ) a tutte Valtre città di Toscana, che aveano la par- te della chiesa, quando ebbe la guerra col papa Alessandro. Avremmo appena bisogno dell' autorità del Villani lib. 5 cap, j2 per credere che qui dee dirsi , che aveano tenuta la parte della chiesa. Ivi. Sicché ( Federico ) contuttoché fosse pa- cificato colla chiesa , e venuto alla misericordia del detto papa, non lasciò di partorire il suo mal volere contro a coloro ch\iveano ubbidito alla chie- sa. Federico I, che partorisce il suo mal volere, è ben cosa strana ! Emendisi partorire in portare, come ha correttamente il Villani lib. 5 cap. 12. Gap. LXXIX. E die gli ( l'imperatore Emanue- le al re di Gerusalemme e di Cipro) intra gli al- tri doni e gioie in sua dote le reliquie di s, Fi- lippo apostolo. Poco dopo dice Ricordano : Awen- ne che il detto patriarca ammalò a morte, e com- mise a un messer Ranieri di Firenze ( priore del sepolcro ) e al suo cappellano, che il detto brac- cio di san Filippo mandasse in Firenze. Ora ia jjiun luogo del presente capitolo erasi mai detto an- tecedentemente, che la reliquia fosse il braccio di s. Filippo. Scrivasi adunque, come scrisse pure il Vil- lani lib. 5 cap. i/^: E die gli intra gli altri doni e gioie, in sua dote, la reliquia del braccio di s. Fi- lippo apostolo. Gap. LXXXI. Arrigo di Svevia [figliuolo che Istoria del Malispini j3t fa di Federigo primOj il quale vivendo il padre il fece eleggere re de^roniaiii ) tornato d^ oltre ma- re, rifermato in Lamagna, sì passò in Italia, e ven- ne a Roma a richiesti di papa Clemente. Dice il nostro autore nel capitolo seguente : Poi il detto Ar- rigo fece venire nuova gente dalla Magna : e ri- formato suo stato, ritornò nel regno. E il Villani lib. 5 cap. i6 : Onde tornando il detto Arrigo d^ oltremai'e, e riformata in Alamagna la sua signo- ria, passò in Italia ec. Siccliè parmi cosa certa, che debba dirsi riformato in la Magna. Ivi. Avendo discordia la chiesa con Tancre- di re di Sicilia e di Puglia ec. perchè non ri- spondea il censo alla chiesa. Dice bene il Benci che il verbo rispondere vorrebbe qui il secondo ca- so, secondo tutti gli esempi che ce ne danno gli scrit- tori della buona favella. E perchè dunque non por- re qui francamente non rispondea del censo ? Cosi ha il Villani lib. 5 cap. it) : e così in altro luogo, cioè nel cap. 83, ha il Malispini medesimo, che dice: Che più prelati fece morire nel detto suo regno, occupando le chiese, mettendovi cui a lui parca, e non rispondendo del censo alla chiesa. Cap. XCII. E così fu fatto: avvegnaché nella detta torre, combattendola, fu morto deHerrazza- ni il detto traditore. Ho per errore di stampa il leg- ger qui de' terrazzani invece da' terrazzani. V. il Villani lib. 5 cap. 3o, Cap. XCIV. Ma cresciuta la città in gente e ''in vizi ( e faceansi più maleficii ) s' accordarono per meglio della città e ( acciocché i cittadini non avessero sì fatto carico di punire i malcficii , e che per pregili o per temere o per nimistà o per i33 Letteratura qualunque cagione ?ion mancasse giustizia ) ordi- narono di chiaìnare un gentiluomo forestiero^ che fosse loro potestà un anno. Coli' autorità del Vil- lani lib. 5 cap. 32 scriverei più semplicemente, mu- tando cioè faceansi in facendosi, com'egli fa, e to- gliendo poi ambedue le inutili parentesi : Ma cre- sciuta la città, in gente e in vizi, e facendosi più, malefica, s\iccordano per meglio della città: e ac- ciocché i cittadini non avessero sì fatto carico ec, ordinarono di chiamare un gentiluomo forestie- ro ec. Cap. XCVII. Otto quarto di Sassonia fu elet- to re de^romani, quando fu eletto Filippo di Sve- via, il quale Filippo fu morto. Ma questo Otto a petizione di papa Innocenzo terzo fu confermato re de^romani. Farmi doversi scrivere : Otto quarto di Sassonia fu eletto re de^romani quando fu e- letto Filippo di Svevia. Il quale Filippo fu mor- to ( cioè fu ucciso ) : ma questo Otto, a petizione di papa Innocenzo terzo, fu confermato re dé'ro- viani. Ivi. E fu preso il conte di Barcellona per i jr ance si , e tagliata la testa. Direi tagliatagli la testa, come ha il Villani che quasi parola per paro- la ha copiato nel lib. 5 cap. 35 lutto il racconto che fa il Malispini delle battaglie combattute fra i tede- schi e i francesi nell'impero di Ottone IV e nel re- gno di Filippo Augusto. Cap. XCIX. Il detto messer Bondelmonte fu morto da quelli degli liberti e dal Mosca Lam- berti. Più innanzi chiamò costui il Mosca de^ Lam- berti : e così pure lo chiama qui il Villani lib. 5 cap. 38. IsTOllTA DEL MaUSPINI ,33 Ivi. Avvegnaché di prima assai erano le par- ti e sette tra nobili cittadini^ e le dette parti era- no per cagione delle brighe e questioni della chie- sa alV impero. Il secondo erano è sfato qui posto dal Benci contra l'autorità del Villani lib. 5 cap. 38: uè saprei approvarglielo : volendo qui dire il Mali- spini , che prima erano non pur le parti e le sette nella nobiltà di Firenze, ma sì le parti, già dette in- nanzi, per cagione delle brighe del sacerdozio coll'im- pero. Toglierei dunque quell'aggiunta , che forse si oppone a ciò che precisamente ha inteso dire l'auto- re : ed invece scriverei coU'autorità medesima del Vil- lani, e più con quella della ragione, non alVimpero, ma sì colVimpero. Gap. C. E gV lacopi detti Bossi , Tion però gentiluomini, né ancora di grande progenie né d' antica, ma già cominciava a venire. É indubitato che dopo veniì-e deesi porre possente, come appun- to ha il Villani lib. 5 cap. Sp : e come poche h"nee appresso ripete il Malispini medesimo : I Frescobal- di e Bardi e Mozzi, ma di piccolissimo principio, e già cominciavano a venire possenti. Ivi. E ghibellini del detto sesto , i nobili , i Conti di Gangalandi, gli Obriachi. Credo che deb. ba dire de'nobili, come dice il Villani lib. 5 e, 3q, e come ripete il Malispini in questo capitolo , di- cendo : Nel sesto di porta san Piero furono guel- fi, de'nobili, Brisdomdni, Jdimari, Donati ec. Cre- do anche che dopo Obriachi manchi e i Manelli, co- me ha pure il Villani. Gap. CI. E quelli della città nostra di Firen- ze che usavano le sopradette cose { cioè le armi e la mercatonzia ), per ragione sono dotati ( cssen- i34 Lettekatura do nati sotto i pianeti d'Ariele e di Marte ) m /^m^- ste due cose essere valenti. Ognun vede che inve- ce di usavano dee dir usano. Gap. CU. Negli anni di Cristo 1 2 1 8 , esseri^ do potestà Otto di Mandella da Milano in Firen- ze^ i fiorentini fecero giurare a tutti gli uomini del suo contado fedeltà alla signoria del comune di Firenze. La parola fedeltà è stata aggiunta dal Benci, il quale ha reso cosi più chiaro il senso agi' indotti col sagrificio di una bella frase della nostra lingua. Giovanni Villani non ha certo cotal parola, e dice lib. 5 cap. l^i : 1 fiorentini fecero giuraì'e tutto il contado alla signoria del comune. Bella frase, ripeto, usata poi anche da Matteo Villani lib. 4 cap. 5i, dicendo: E così^ ferma la vittoria fra loro, andarono insieme alV imperadore , il quale avea già cassi i soldati borgognoni e italiani del comune di Pisa., e in loro luoghi condotti de' suoi tedeschi., e fattili giurare a se. D'onde certo pro- venne pur r altra non meno bella di spergiurarsi a. uno, invece di mancargli di fede : come si ha in s. Agostino, Città di Dio lib. 3 cap. 2 : f^eggiamo che non sia maggior male credere questi cotall essere idii, che di spergiurarsi a cotali iddii. Il passo di Matteo Villani fu ben considerato dal Pe- derzinl nelle giunte al vocabolario della crusca. Ora questi di Ricordano e di Giovanni , come più anti- chi, verranno a confortare quell'unico esempio. Rimet- tasi dunque il testo del Malispini, com'era original- mente : emendando solo, se pur non erro, Afecero giurare a tutti gli uomini^ in fecero giurare tutti gli uomini. Ivi. Che in prima la maggiore parte (gli uo- Istoria dei. Mauspini i35 mini del contado ) si teneano alla signoria de^con- ti Guidi, e de'coiiti da Mangana e da Capraia e da Certaldo , e di pia altri gentiluomini che sì aveano occupato per privilegi , e tali per forza d''imperadori. Il Villani lib. 5 cap. 4i dice, Varca- no occupato: e parrai con miglior lezione. Cap. CHI. Perocché i Figliuoli Petri vi ven- nono assai poi per spazio di tempo. Forse assai poi spazio di tempo ? Ivi. Che qual uomo andasse alla giustizia o avesse meritato morte , essendo sotto ( alla volta dei Lisei, o della misericordia ), era franco da ogni persona. Credo che debba dire, franco della per- sona: ov\ evo, franco da ogni pena della persona, Cap. evi. E in questo anno fu disfatto il pa- lagio eh'' aveano i Bonaguisi a Caligarza, che fu venduto per un bastardo di loro al comune di Fi- renze : e il detto comune il mendò però piena- mente e bene. Assai cose dice il Benci per ispiegare il verbo mendare. Ma, se io non erro, è qui pure a notarsi un error de' copisti : che scrissero mendò invece di mondò, o sia nettò. Cap. CVII. E quasi vita epicurea tenne non facendo che mai fosse altra vita. Ottimamente av- verte qui il Benci: « Il V^illani dice: Noìi facendo conto che mai fosse altra vita. E questa è la vera lezione. » Ivi. E questa fu principale cagione perchè divenne nemico dei cherici di santa chiesa. Il Vil- lani lib. 6 cap. 1 dice: venne nemico di santa e hi e- sa e de'' cherici: e qui dovrà dirsi: nemico de''che- rici e di santa chiesa. Ivi. Ei fece ( l' imperatore Federico secondo ) i36 Letteratura in tutte le terre e città di Sicilia per una un for- te castello. Il Benci ha trovato giustamente super- fluo questo per una. Anzi l'ho per un errore in vece di scrivere e di Puglia : come chiaro lo indica il Villani lib. 6 cap. i dicendo: Che in tutte le ca- porali città di Cicilia e di Puglia fece fare uno forte e ricco castello. Ivi. E d'' altre donne ebbe Federico figliuoli: onde sono coloro che si chiamano il lignaggio di Antiochia^ il re Enzo e il re Manfredi. Non errerò forse nel credere che qui debba dirsi : E d^al- tre donne ebbe figliuoli^ Federico onde sono co- loro che si chiamano il lignaggio di Antiochia , il re Enzo e il re Manfredi. L'emendazione è iste- rica : e può vedersi confermata nel cap. 1 1 8. Cap. CVIII. I fiorentini per fare restituire a loro mercatanti, più ambascerie mandarono a Pi- sa , che per amore delV amistà antica dovessero rendere la detta mercatanzia. Dee dire, per fare restituire aUoro mercatanti la mercatanzia', altri- menti come avrebbe detto poi, rendere la detta mer- catanzia ? Anche qui dee valere l'autorità del Vil- lani lib. 6 cap. 2. Ivi. E il comune di Firenze restituirebbe di suoi danari i suoi cittadini. È così strana, chi ben considera, la frase restituir uno di suoi danari^ che non la credo cosa del Malispini. Osservando però che il Villani lib. 6 cap. 2 dice : E il comune di Fi- renze restituirebbe a^suoi mercatanti de^suoi da~ nari : penso che questa sia la frase legittima : sicché emenderei senza quasi niun dubbio ; E il comune di Firenze restituirebbe de^suoi danari a'' suoi cit- tadini. Istoria del Malispini 137 Ivi. E così avvenne che i fiorentini non pos- sendo sostenere Vonta e il danno che ricevcano^ cominciarono loro guerra. Scrivasi : E così av- venne : che i fiorentini , non possendo sostenere Vonta e il danno che riceveano^ cominciarono lo- ro guerra. Gap. CXII. Imperocché faceano guerra in Val- damo nel contado di Firenze colla forza degli aretini ( e sì erano discesi di Fiesole , e del di- stretto di Firenze ) : e presonlo e disfccionlo. jNon è dubbio che qui non sia errore, come ha pure no- tato il Benci : e dee emendarsi , coli' aulorilà del Villani lib. 6 cap. 'j: E sì era della diocesi di Fie- sole. Pei'ciocchè i fiorentini non si mossero ad oppu- gnare Caposelvole , se non perchè questo castello , colla forza dogli aretini, facea guerra in Valdarno in luoghi ch'erano della diocesi di Fiesole e del dislrel- to di Firenze. Cap. CXIII. Per la quale cosa il dì appres- so ( il prete ) prendendo il detto calice, trovò den- tro sangue vivo appreso incarnato. E chiaro che dee scriversi : Sangue vivo, appreso., incarnato. Il Villani dice infatti lib. 6 cap. 8 : Vi trovoe den- tro sangue vivo, appreso e incarnato. Cap. CXIX. E mostrando ( il re Giovanni di Gerusalemme ) al detto papa il grande bisogno che la terra santa avea d^ aiuto e di soccorso^ e ve- dendo come Federico era quegli che pia vi po- tea adoperare di bene per la sua forza e potere c/i' egli avea in mare e in terra , sì cercò pace tra la chiesa e V imperatore. Il vedendo è sfato posto di suo giudizio dal Benci: e non pur senza ne- cessità, ma sì, come parmi , contra ciò che intende l38 Lettetìatura dire il Malispini. Ne il Villani lo ha al cap. i5 (lei lib. 6. Ivi. Per la qual cosa il re Giovanni cruccia^ to dolendosi alV imperatore e ancora minacciando-' lo, V imperatore battè la moglie e misela in pri- gione e mai poi non stette con lei , secondo che si disse , e tosto la face morire. Se Federico II avea fatto uccider tosto la moglie, è ridicolo il no- tare come alcuni dicessero ch'egli non istette più con lei. Qui pure dee ricorrersi al Villani, e con lui e- rnendare : E, secondo che si disse , tosto la fece morire. Ivi. E il re Giovanni^ il qnale era in Puglia tutto governatore della chiesa e per Vimperatore. E certo un errore questo in Puglia tutto governa- tore, e dee dire in Puglia tutta governatore, co- me dice appunto il Villani lib. 6 cap. i5. Oltreché col Villani medesimo emenderei il della chiesa, po- nendo in luogo suo per la chiesa. Cap. CXX. In questo tempo papa Gregorio con grande sollecitudine finì il tempo del passag- gio d'oltrrmare. Che è questo dire, che il papa fini il tempo del passaggio ? Non il tempo, ma Vappa- recchiamento dee scriversi, come appunto ha il Vil- lani lib. 6 cap. i6, copiando al solito il Malispini. Ivi. E come lo stuolo fu alquanto infra ma- re e messo a piene vele , Vimperatore Federigo fece segretamente volgere sua galea. Non messo a piene vele, ma mosso a piene vele, dice bene il j Villani. Ivi. Le quali sopradette cagioni, Vuna e VaU tra poteva essere e non essere il vero per le co- se che avvennono appresso. Il contrario appunto di IstontA DEL Malispini i3^ ciò clie vuol dire il Malispini , e di ciò che ripete il Villani , che ottimamente scrive : he quali dette cagioni Vilna e Valtra poteano essere il vero^ per le cose che avvénnono appresso. Imperocché potè essere vero il timore che Federico II ebbe di vedersi nella sua lontananza ribellare il regno di Sicilia e di Puglia da'suoi nemici : e fu vero ( come il Mali- spini afferma nel cap. seguente) ch'egli inlendevasì col soldauo. Cap. CXXI. E ciò fatto, V imperatore mandò in Acri e volle disfare il campo d\Àci'i atempie- ri, e fece torre loro castella. Dice il Villani lib. 6 capi 17, che Federico volle disfare, non il campo ( e qual campo ? ), ma sì il tempio d' Acri aHem- pieri. E così assolutamente dee dirsi : essendo famo- so nell'istoria delle crociate il tempio, che a que'ca- valieri era in Acri e chiesa e fortezza : il quale nella presa della città fu dai valorosi difeso contro a'sara- cini lino all'estremità : e in ultimo servi loro di se- polcro , tutti essendosi fatti seppellire insieme cogli assalitori sotto le sue mine. Ivi. E mandò suo ambasciatore a papa Gre- gorio, che gli piacesse di ricomunicarlo , peroc- ché avea fatto sua potenza, e osservato il sacra- mento. Bene ha considerato il Benci, che non poten- za, ma deesi qui scrivere penitenza, come ha pure il Villani. E perchè dunque non ha tolto francamente sì fatto errore dal testo ? Ivi. Della qual cosa il papa e tutta la chie- sa ne furono crucciati , conoscendo che ciò era falsa pace e con inganno, al piacere del soldano: ■acciocché i pellegrini^ che erano andati al pas- 'Saggio, noi potessero guerreggiare. Dee qui pure -l4o Letteratura seguirsi il Villani, die dice : Con inganno e piacer ve del soldano. Dell'inganno del soklano ha parla- to il Malispini più addietro : delle cagioni del piace- re parla in questo luogo medesimo : Acciocché i pel- legrini, cK' erano andati al passaggio, noi potesse- ro guerreggiare. Gap. CXXII. E incontanente che Federigo ebbe la novella oltremare, lasciò un suo marescial- lo, il quale non contese ad altro che a guerreg- giare i baroni di Soria per occupare loro città e. signorie. In vece di contese ha intendesse il Vil- lani lib. 6 Gap. i8 : ed è, parmi, la vera lezione. Ivi. E il papa quasi assediarono a Roma: e con dispendio di moneta , fatta per Federigo a certi maligni nobili romani , avrebbono preso il detto papa a Roma. Sarà certo un error di stampa il leggersi fatta in vece di fatto. Ivi. ]\Ja egli ( papa Gregorio IX ) accorgendosi di ciò { cioè di trovarsi quasi assediato in Roma e d'es- sergli tese insidie ) trasse di s. Giovanni di Lute- rano le teste de' beatissimi apostoli Pietro e Pao- lo : e con esse in mano , con tutti i cardinali e vescovi e altri prelati ch^erano in corte, e col che- ricato di Roma ( con solenni digiuni e orazioni ) andò per tutte le provincie e chiese di Roma a processione. Se non fosse la riverenza dell'augusto pontefice, e il lutto che qui si narra della chiesa e di tutta Roma, avrei quasi voglia di ridere dell'erro- re veramente grossissimo che in questo passo è oc- corso: cioè di mandare in sì grandi strettezze il papa a processione co'cardinali, co'vescovi, co'prelati e con tutto il clero, non solo per Roma, ma per le provin- •ie. Deh Dio emendisi subilo ! O ciò sia colla ragion Istoria del Malispim i^i naturale, o ciò sia coll'autorità del Villani, che otlima- mente dice : Andò per tutte le principali chiese di Roma a processione. Ivi. Per la quale divozione e miracoli di det- ti santissimi apostoli il popolo di Roma fu tutto rivolto alla difensione del papa e della chiesa : e quasi tutti si crucciarono contro a Federigo , dando il detto papa indulgenza di colpa e di pe- na. Non si crucciarono y ma si crociarono dee di- re : avendo allora il pontefice , come ognun sa, ban- dita la crociata contro di Federico, i Si crociarono infatti dice il Villani. Gap. CXXIII. Fu Vuno ( de'cardinali legati in Francia ) messer Jacopo vescovo di Palestrina , l altro messer Oddo vescovo di Porto detto il car- dinale Bianco. Avverto qui che questo secondo car- dinale, che fu della casa de'marchesi di Monferrato, non chiamossi Oddo, ma Otto ; e ciò colla certezza di un breve di Gregorio IX ai vescovi d'Inghilterra, di Galles e d'Irlanda, riferito dal Ciacconio nella vi- ta del cardinale medesimo. Quanto a Iacopo, egli fu, chi desiderasse saperlo, della piacentina faraigUa di Pe^ coraria. Ivi. / quali ( pisani ) armarono sessanta galee di valorosa gente, onde fu ammiraglio messer U- golino Guazzacherini da Pisa, Sarebbe pur bene che alcun toscano prendesse di miglior proposito a fermai-e la certa lezione di tanti nomi, non pur di fa- miglie, ma e di ville e di castella della Toscana, intor- no a'quali è gran confusione ne'codici, e spesso un notabil divario fra il Malispini e il Villani. E ciò che dico di questi due antichi, intendo dir anche degli altri cronichisli più riputati , e fra essi del sommo i42 Letteratura Dino Compagni. Il che non crederò cosa forse diffi- cile in queste tante ricerche, anzi in questi studi che presentemente si fanno d'ogni maniera di carte del medio evo. Qui è certo però che il nome di Guaz- zacherini vuol emendarsi in Buzzecherini , nome di una famiglia assai nota di Pisa. Buzzecherini in- fatti leggesi nel Villani lib. 6 cap. 19. Ivi. Onde furono presi i detti cardinali e le- gati e prelati. I cardinali erano due, cioè Iacopo di Pecoraria e Otto de'marchesi di Monferrato : ed am- bedue, pur erano ugualmente legali. Sicché dicasi, co- me anche dice il Villani, i detti cardinali legati e prelati, Cap. CXXIV. Per la qual cosa stette poco tempo il detto papa, che per malinconia ne morì a Roma nel 1241. Il che è stato posto dal Benci. Quando debba credersi necessario, io il porrei anzi dopo tempo, e direi : Per la qual cosa stette po- co tempo , che il detto papa per malinconìa ne morì a Roma nel 1241. Ivi. Perocché i cardinali erano tornati a pic^ colo numero per le tribolazioni che avea avute la chiesa col detto Federigo. Il Villani 1. 6 e. 20 ha dal detto Federigo : e parmi bene. Cap. GXXV. Fece fare (l'imperator Federico) una stampa di cuoio in sua fgura, estimatola in valuta di moneta d^un agostaro d'oro. Con suafi- gura, dice più ragionevolmente il Villani lib. 6 e. 21. Cap. CXXVII. Della quale richiesta V impe- ratore il tenne pia tempo in trattato d''accordo : ma tutto era vano per inganno. Che sia meglio dir col Villani lib. 6 e. 28 : 31u tutto era vano e per inganno ? Istoria del Malispini i43 Ivi. Scomunicando chiunque V ubbidisse o gli desse aiuto o favore^ e più che chiunque il chia- masse imperatore. Avrei voluto che il Benci come s'era qui accorto di guasto, così l'avesse anche emen- dato. Non v'ha dubbio che il che chiunque non sia uno scorso di penna de'copisli : e che non debba dir- si col buon Villani, e pia il chiamasse imperatore- Ivi. E questo processo fu fatto nel detto con- cilio a Lione sopra Rodano negli anni di Cristo a dì i'] di luglio 1245. E chiaro che per negligen- za è stato trasposto il 1245, il quale sicuramente va dopo Cristo : perciocché in tutta quanta la cronica il Malispini non dà mai segno di amare questo mo- do così bastardo di trasposizione. Ivi. E lasciò vacati per forza undici vesco- vati e arcivescovati e badìe nelVimpero e idearne. Il Villani lib. 6 cap. 4^ dice vacanti : e adotterei lvenctosi anche scrivere: E quivi armati durando con ioro forza t feciono trentasei caporali del popolo. Ivi. E feciono dodici anziani di popolo, due per sesto : i quali guidavano il popolo e consi- gliavano il detto capitano i e raccoglievansi nella chiesa della badia ( sopra la porta che va a san- ta Margherita ). Il Villani dice nel e case della ba^ dia : ed ho questa per genuina lezione : ancorché sia vero, che uso de'fiorentini era in quel tempo di adu^ narsi nelle chiese per trattare le cose dello stato, e tenervi i consigli. Di che veggasi il nostro Malispi- eì al cap. 193. Ma in questo luogo, ad assicurare la lezione nelle case^ vale ciò che il nostro autore ripe- te al cap. 219 , là dove parla de' quattordici buoni uomini, che il cardinale Latino degli Orsini ordinò a reggere di concordia il comune di Firenze. Rauna- vansi ( dice ivi Ricordano ) in sulla casa della ba- dia di Firenze sopra la porta che va a santa Mar^ gherita. Ivi. E ordinolli a leghe, acciocché Vuna aiu- tasse Valtre. E forse errore di stampa Valtre^ invece di Valtra, come ha pure il Villani. Ivi. Per questo modo s''ordinò il popolo vec^ chio di Firenze per più fortezza del popolo. E incominciarono a fare il palagio cKè dietro alla badia ec. Il Villani dice : Per questo modo s'' or- dinò il primo popolo vecchio di Firenze : e per più fortezza del popolo ordinarono e cominciaro- no a fare il palagio ec. E veramente non essendo ancora in Fireuze un palazzo del comune, ma stan- do la signoria quando qua e quando là, come affer- mano il MalJspinl e il Villani, non aveva il popolo un luogo certo e forte da raccogliersi intorno a' suoi magistrati in quelle continue sedizioni de'ghibellini. i48 Letteratura Gap, CXXXVllI. Le insegne delVoste del co- mune erano le prinie, bianche e vermiglie dimez- zate : queste avea il potestà. Quelle del potestà delVoste e guardie del carroccio erano due. Dee dir posta delVoste, e non potestà : che dell'insegna del potestà ha parlato innanzi. E posta dicono pu- re le antiche edizioni del Villani lib. 6 cap. 40: voce poi tolta di loco dall'arbitrio degli editori moderni. Posta infatti è termine ottimo e militare, non igno- to al vocabolario che ne reca l'esempio del Serdona- li : Munì la fortezza^ accrebbe le sentinelle^ or- dinò le poste, e resttuirò diìigeììtemente i bastioni e le torri. E potca recare pur quello di Bono Giam- boni nel volgarizzamento di Vegezio lib. 2 cap, 11, ove si ha: Ed ancora v'era il prefetto delVoste, il quale, avvegnacììè più basso per dignitade, non pertanto intendea a cose non mezzolane : ed a lui la posta. delVoste ed affossarla intorno si ap- partenea. Ed è tratto dal latino della bassa età, nel quale avea valore di stazione, come nota il Du-Gan- ge. Avvertasi inoltre che la posta dell'esercito, o sia il pretorio, o come oggi dicesi il quartier generale^ era appunto intorno al carroccio, secondo che raccon- taci il Malispini medesimo, dicendo nel cap. 168 : ^ / popolari il guidavano ( cioè il carroccio ) nelVo- ste : e a ciò erano deputati in guardia i miglio- ri (i) e pia perfetti e più forti e virtuosi popo- lari della città '. e a quello s'ammassava tutta la forza de popolo. (i) De'migliori Ina l'edizione livornese: ma certo dee dire i migliori, come rictiiede la i-agioae graniiualicale , e come scrive pure il Villani lib. 6 cap. 76. IsTOniA DEL MalISPINI 1^9 Ivi. E quella (insegna) de'' guastatori era bian- ca có'vibaldi dipinti in gualdana giocando. Nota qui il Bcnci non senza prima censurare la crusca : » Finché non si può dir con precisione quel che signi- » fica gualdana, non si può nel suddetto passo dichia- » rare il giocando. » Se non che la parola gualdana non è tanto incerta, quanto crede l'egregio toscano. Ella ha la chiarissima definizione, prima nel Bull , poi nel Du-Cange. Il Buti , che fiorì nel trecento , chiosando quel passo del canto XXII dell'inferno di Dante : Corri dor vidi per la terra vostra^ O aretini, e vidi gir gualdane. Ferir torneamenti e correr giostra : dice : Gualdane^ cioè cavalcate , le quali si fanno alcuna volta sul terreno de^ nemici a rubare , a ardere, e pigliare prigioni. Il Du-Cange avverte poi nel glossario : Malim illud eruere a gualdus, silva: ut gualdana priinitus fuerit venatorius excursus in siìvain, saltuni, gualdum : unde postea vox tra- ducta fuerit ad reni niilitarem. E il Du-Cange ha ragione : e perciò la gualdana, come traente la sua origine da selva, non era propria che di que'soldati, che andavano cavalcando a sbarrazzar selve e a romper argini e ponti, per solo fine di sorprendere gl'inimici, e far prede sopra di loro. Laonde leggesi in Rolandino addotto da lui: Praemisit balisterios et gualdanam omnesque vastatores cum illis. E confermasi dal ci- tato volgarizzamento di Vegezio faito per Bono Giam- boni lib. 3 cap. 3 : E spezialmente è da guardare che la semplicità non bene scaltrita non sia in- i5o Lettiratxjra gannata per ingamii e malizia de'nemici e spci'^^ giuri de' provinciali (i) : perchè spesse volte in sulla vivanda^ che al campo si reca, detti ingan- ni di pochi , a coloro che troppo credono , più sono nociuti che Vanne : e le dette gualdane^ che per lo mercato vanno , sempre vadano in loro e ragunati e raccolti : perchè sparti essendo^ da^ ne- mici spesso assaliti , agevolmente sarebbero vinti da loro. Ed indi al cap. 6 anche più chiaramente: E con apparecchiati cavalieri e leggiermente ar- mati andando, con subita paura possiamo spaven- tare e dare danno al nemico, che con gualdana va caendo vivanda. Dove il testo latino dice : Pa- ratisque eqaitibus ac levi armatura amhulantes , eosdem ciani , vel pabula victumque quaerentes , improviso terrore decipere. Sicché giocare in gual- dana io crederei che altro non voglia qui dire, che operare in gualdana : essendo notissimo il signifi- cato del verbo giocare per operarle : onde giocar d^arnii per armeggiare, giocar d^ inganni per in- gannare, giocare a rovescio per operare il con- trario, ed altri simili modi di dire registrali nel voca- bolario. I quali modi reputo esserci venuti dirittamen- te dal latino del medio evo, in cui non lia dubbio (i) Dice il testo latino: Praecìpueque cuveiì-ditm videlur , ne adversariorum dolo atque periuriis decipiatur provincinììuin in- cauta simplicilas. Farmi che qui, come in altri luoghi del vol- garizzamenio, sia chiaro il vizio della lezione: sicché, senxa il soccorso di nuovi errori di codici, possa sicuramente emendarsi : E spezialmente è da guardare, che la semplicità non bene scal- trita de" provinciali non sia ingannata per ing enne a' fiorentini un^improvvisa vittoria. Il Villani ha qua- si copiato questo periodo nel cap. 58 del lib. 6, ed ha ben detto : Con intendimento , come avessono suasto il contado di Firenze, di tornarsene a Fi- renze. Sicché anch'io emenderei qui il Malispini co- si : Co?i intendimento, come avessono dato il gua- sto, di tornarsi a Firenze. Cap. CLV. Per conforto deHucchesi prende- ranno Eipaf ratta. Invece di coi f orto il Villani lib. 6 cap. 59 ha infestamento : sicché ben si vede che questi due vocaboli pe'nostri vecchi scrittori erano si- nonimi. Laonde per con/orto spiegherò pure Vinfe- stamento che leggesi al cap. 180 di questa cronica. // detto papa Urbano, per infestamento di molti I fedeli della chiesa ( i quali per le forze di Man- fredi erano cacciati di loro terre ) , e massima- mente per gli usciti guelfi di Firenze e di To- scana ( che al tutto erano, seguendo la corte, do- lendosi a''piè del papa ) fece un grande concilio'. I e desidererei che gli accademici considerassero se wo- ; lestia sia posta bene nel vocabolario per preciso sino- nimo òì'infestamento.Vevchh io non credo, che ne'due j58 Letteratura j)assi addotti del Malisplni e del Villani possa soltia- tendersi veruna molestia ; ma panni die ivi debbasi anzi intendere slimolo , suggestione, e forse importu- nità : insomma conforto ■> nel senso che questa voce- La nella divina commedia, Inferno XXVIII i34 : Sappi chH^son Bertram dal Bornio^ quelli Che al re giovane diedi i ma^conforti. Gap. CLIX. Perchè (il castello di Poggibonzi) teneano parte ghibellina^ ed era in lega co' senesi che allora non erano amici defiorentini. Avendo, detto il Malispini teneano ( seguendo l'uso di que- gli scrittori ), dovette forse dir erano in lega : cor- me appunto ieggesi nel Villani lib. 6 cap. 64. Ivi. Sì v' andarono subitamente ( i fiorentini a Poggibonzi ) e entrarono presso alla terra per di- sfare mura e fortezze. Che vuol dire entrarono- presso alla terra, sapendosi di certo ( lasciamo sta- re la strana frase ) che i fiorentini v'erano propria entrati, ed anzi già tenevano il castello ? L' errore qui sembrani manifesto , e l'emenderò col Villani » cioè : Entrarono nel castello e presero la terra. Cap. CLX. Negli anni di Cristo i258, essen- do potestà di Firenze messer Iacopo Bernardi di poco, air uscita di luglio quelli della casa degli liberti ec. ordinarono di rompere il popolo di Fi~ renze che parea loro che pendesse in parte guel- fa. L' edizione che ho io del Villani è la milanese del 1834, per Nicolò Bettoni, con un proemio assai dotto di Achille Mauri : ed ivi certamente non leg- go Iacopo Bernardi di Porco, come il Benci di- ce che ha il A^illani in non so quali edizioni. Vi Istoria del Malispini iSq leggo anzi : Nelli annidi Cristo laSS, essendo po- destà di Firenze messer Jacopo Bernardi da Luc- ca, poco innanzi alVuscita del mese di luglio quel- li della casa degli liberti ec. E così dee qui cliia- ramente emendarsi, senz'andare altre sottilità ricer- cando, cioè : Essendo podestà di Firenze messer Iacopo Bernardi, di poco innanzi alVuscita di lu- glio quelli della casa degli liberti ec. Ivi. E quei da Cersina, e parte de'* Razzanti, e parte de^ Giuochi, e pia altre scìiiatte de^ gran- di e di popolari , che troppo sarebbe lungo a raccontarli tutti, che non raccontiamo se non di quelli che aveano pia nome. Parrai che debba scri- versi : E più altre famiglie di grandi (come La il Villani) e di popolari : che troppo sarebbe lungo a raccontarli tutti : che non raccontiamo se non di quelli che ave ano pia nome. Ivi. E chi avea palagi e torri , furono loro disfatte'^ cioè a"" sopraddetti, perocché là dove di- co una parte de^cotali { siccome detto abbiamo ) non furono Valtra parte già consenzienti, ne sa- peano le dette cose. Non posso credere un eiTor ta- le nel Malispini (e certo sarebbe nuovo in tutta la cronica ), ch'egli abbia detto non furono Valtra par- te già consenzienti : talché non dubiterei di emen- dare così : Non furono V altre parti ( cioè delle fa- miglie ) già consenzienti. Ed anche porrei, con piii retta ortografia, il punto e virgola non dopo disfatte, ma dopo sopraddetti. Gap. CLXI. Onde i fiorentini, i quali erano in lega con loro , furono molto crucciosi , e re- caronsi che gli aretini avessero tolto loro la pa- ce. Il Villani lib. 6 cap. 67 dice rotto loro la pa- ce : e crederei con miglior lezione. iGo Letteratura Gap. CLXIII. E poi tornata la detta oste , al castello di Vernia de''conti Jllberti andarono in- contanente a oste, e quello per assedio ebbono : e disfeciono il castello di Mangona, e i fedeli fe- cero giurare alla fedeltà del comune di Firenze e alV ubbidienza , dando ogni anno certo censo al comune per s. Giovanni. Dice il Villani lib. 6 cap. 69 : Incontanente andarono a oste sopra il castel- lo di P ernia in Mugello, cKera de'conti Alberti, e quello per assedio ebbono e disfeciono : e Jecio- no oste al castello di Mangone, ed ebbonlo^ ^ f^- ciono giurare le genti ec. Sicché , secondo questa lezione, il passo del Malispini va indubitatamente e- mendato così : J.I castello di Piemia de^conti Al- berti andarono incontanente a oste, e quello eb- bono e disfeciono : e feciono oste al castello di Mangona, e i fedeli Jeciono giurare : non essen- do possibile che i fiorentini disfacessero Mangona, e nel tempo medesimo chiamassero quegli abitatori non solo a giurare fedeltà, ma sì a dare un censo an- nuo al comune di Firenze. Se non che io dubito che anche il verbo disfeciono , quanto al castello di Ver- nia, sia un' aggiunta fatta arbitrariamente al Vilhuii. Perciocché se il castello di Vernia fu disfatto, come poi esso Villani, e prima di lui il Malispini, ci di- cono che il conte Alessandro degli Alberti, non vo- lendo essere figliuolo d^ ingratitudine , fece poi suo testamento, che se i suoi figliuoli morissero sen- za eredi maschi e legittimi, lasciava i detti due castelli T'^ernia e Mangone alla massa della par- te guelfa di Firenze ? Come il conte lasciò per te- stamento anche il castello di Vernia, se esso era sta- to disfallo ? IsTORf.v DEL Mauspini i6r Ivi. E per il detto modo da' detti Jlorentinl furono riacquistati^ e rinvestironne il conte Ales^ Sandro. Credo che dir debba riacquistate, cioè le castella^ di cui parlasi nel periodo antecedente. Il Villani ha infatti le riacquistò. Gap. CLXIV. E nota che al tempo del detto popolo y e prima poi a grande tempo, i cittadini di Firenze viveano sobri e di grosse vivande. Non è dubbio che la vera lezione non sia, e prima e poi a grande tempo: come ha pure qualche buona edizio- ne del Villani lib. 6 cap. 70. Gap. GLXV. E a'genovesi donò il Paleologo molto tesoro, e diede per loro stanza la terra che si chiamava Pera. Il Villani lib. 6 cap. 7 1 dice assai meglio ( e così credo che dicesse pure il Malispini ), che si chiama Pera. Cap. CLXVII. I detti ambasciatori turbando- si di tale prof erta (del re Manfredi ), e tenendosi di fare loro risposta quasi per rifiutare sì povero aiu- to ec, messer Farinata degli liberti disse. Il Vil- lani scrive lib. 6 cap. yS; E traendosi, per fare j loro risposta , a consiglio. Certo la parola consi- glio mi pare qui necessaria, anche per ciò che poi l'autore aggiunge: E preso il savio consiglio, la pi'o- ferta di Manfredi accettarono. Sicché emenderei : ^ E tenendo sì consiglio di fare loro risposta. Atten- dasi anche a porre l'accento sopra i due che, i quali ! ricorrono in vece di perchè alcune linee dopo : ne- gligenza, come ho avvertito più innanzi, non rara veramente in questa edizione, e da me lasciata più spesso al retto giudizio altrui. Cap. CLXVIII. E tiravalo ( il carroccio ) un gran paio di buoi coperti di panno vermiglio, che G.A.T.XCIII. 1 1 iGa Letteratura solamente erano deputati a ciò, ed erano dello spe- dale de"* preti. Il Villani dice lib. 6 cap. 76, dello spedale di Pinti : ne il Benci lo ha ignorato: anzi si è persuaso della bontà, com'è in vero, della variante. Perchè dunque non l'ha messa nel testo, nel modo stes- so che ha fatto di tante altre da lui saviamente rico- nosciute sicure ? E sì che questa dee aversi per sicu- rissima. Ivi. E posonsi a oste a Siena presso alVanti- porto al monastero di santa Petronella. Dopo an- tiporto^ porrei una virgola. Ivi. E quanti nausei di Siena non ne campò veruno vivo, ma tutti furono morti. Dice il Villani : E quanti tedeschi uscirono di Siena, tutti furono morti nel campo de'Jiorentini. Ed io, per togliere a Ricordano un errore quasi impossibile di grammatica, qui direi : E di quanti n^uscirono di Siena , non ne campò ( in vece di non ne scampò ) veruno vivo. Gap. CLXIX. E accettarono dalla compagnia de'' Salimbeni ( che erano allora mercatanti ) fiori- ni ventimila d'oro, e pò sono pegno la rocca Man- tennana, e più altre terre. Non accettarono, ma accattarono ha con miglior lezione il Villani lib. 6 cap. 77. Cap. CLXX. E passando il tempo, senza fare alcuna cosa si tornavano in Puglia con grande pe- ricolo di loro fatto. Farmi che la virgola debba esser posta dopo cosa, anziché dopo tempo: imperocché ri- manendo così, come sta, sarebbesi dovuto dire senza aver fatta alcuna cosa. Ivi. Gherardo Accia de'Lambertl. Il Villani di- | ce Gherardo Cicca de'' Lamberti. Che debba dirsi ' Gherardaccio ? Questa terminazione di alcuni nomi 1 I Ltorii del Malispim i63 non era già rara tra'fiorentini, né recava alcuna ingiu- ria. Esempi , fra cento allri , ne siano quel nobile Baldinaccio Adimari, di cui più volte parla Dino Com- pagni : e quel grande e virtuoso Tommaso da san Giovanni in Valdarno, che anche i suoi contempora- nei denominarono Masaccio. E non chiamò se stesso ( ne certo per dispregio ) Bindaccio de' Cerchi quel gentiluomo fiorentino, il quale nel secolo XIII scris- se il racconto della battaglia di Monte Aperti pub- blicato dal Lami ? Ivi. E sentendo i cittadini variati di ani- mo e male disposti a fare oste ec. Leggasi tutto questo periodo nell' edizione livornese, e di leggieri vedrassi che non è esso che un membro del prece- dente : non potendo essere regolato necessariamente da altro verbo, che dal non consentivano all'impre- sa. Forse però manca un ancora prima di sentendo, come ha il Villani lib. 6 cap. 78. Gap. CLXXI. E in Firenze avea ottocento ca- valieri cittadini^ e più, di seicento cavalieri sol- dati a cavallo. Non credo che dir possa cavalieri soldati a cavallo : ma sì credo, che il luogo sia cor- rotto, e che possa emendarsi bene con ciò che ha il Villani lib. 6 cap. 79 così : E in Firenze avea più \ di ottocento cavalieri di cnvallate^ e bene cinque- cento soldati. Che siano i cavalieri di cavallate, lo dice una nota appostavi : cioè : Cavalieri di caval- lata erano i cavai leggieri delle bande, o caval- li comandati, come sono oggi le bande de^fanti. Sicché, lasciando stare com' è nel Malispini il nu- mero de'combattenti, opinerei che dovesse scriversi : E in Firenze avea ottocento cavalieri cittadini, e 1 più di seicento cavalieri soldati di cavallate. i64 Letteratura Ivi. Ancora mandarono a Firenze altri frati a trattare con certi grandi popolani ghibellini eh* erano rimasi in Firenze e che doveano venire nel- foste. Questo secondo che è slato aggiunto dal Ben- ci, e parmi inutilmente. Ivi. Avvenne che essendo la detta oste in su* colli di Monte Aperti ( i savi anziani guidatori at- tendeano che per i traditori dentro fosse data lo- ro la porta promessa ) un popolano di san Piero ^ ch'era ghibellino e avea nome Razzante^ avendo alcuna cosa spiato dell'attendere de' fiorentini^ con volontà de' ghibellini del campo gli commisono che entrasse in Siena. A me qui pare la parentesi fuor di proposito ; e direi che chiaramente si dovesse scri- vere così : Avvenne che^ essendo la detta oste in su'colli di Monte Aperti^ i savi anziani guidatori attendevano che per i traditori dentro fosse data loro la porta promessa. Un popolano di san Pie^ ro, ch'era ghibellino e avea nome Razzante, aven- do alcuna cosa spiato dell'attendere de' fiorentini, con volontà de'fiorentini del campo gli fu commes- so ( cosi ha il Villani ) che entrasse in Siena. Nò il fallo di dire un popolano gli fu commesso farà ma- raviglia a chi è pratico non solo degli scritti del Ma- lispini, ma si del Villani e di altri scrittori di quel- la età. Ivi. / detti messer Farinata e messer Ghe^ rardo gli dissono : Tutti uccideresti se tu span- dessi queste novelle per Siena. Il Villani dice : Tu ci uccideresti, E questa mi sembra miglior lezione, aggiungendo poi Ricordano: imperocché, se ora che abbiamo questi tedeschi non si combattesse , noi siamo morti. Istoria del Mauspini tG5 Gap. CLXXII. Queste furono le case guelfe, che uscirono di Firenze^ del sesto d' Oltrarno , Rossi e Nerli ec. Dee dire, come è chiaro per gli altri periodi che seguono : Queste furono le case guelfe che uscirono di Firenze : del sesto d'OU tramo, Rossi e Nerli ec. Non pochi errori credo inoltre essere occorsi nei nomi di queste case, non pure nel Malispini, ma sì nel Villani. Ivi. Quasi tutti di non grande cominci amen- to, ma erano cominciati alcuno ad aver nome. A- vendo il Benci qui aggiunto il ma, e forse a ragio- ne, perchè parimente a ragione non ha mutalo Val- cuno in alcuni ? Ivi. Perocché la città di Firenze era bene murata e con fossi pieni d' acqua , e di poterla difendere e tenerla. Forse da poterla difendere e tenere, come ha meglio il Villani lib. 6 cap. 80. Ivi. E incontanente feciono potestà di Firen- ze, per il re Manfredi, Guido Novello de' conti Guidi dal dì di calende di gennaio vegnendo a due anni. I ghibellini dopo la battaglia di Monte Aperti entrarono in Firenze il 26 di settembre 1260, e subito ne fecero potestà il conte Guido per dui anni , i quali dovevano incominciare a contarsi dal dì primo del venturo gennaio 1261. Sicché vuoisi qui dire ( ne vi si oppone il Villani ) di gennaio ve- gnente. Ivi. Questo Conte Guido fece giurare tutti i cittadini, che rimasono in Firenze, la fedeltà al re Manfredi : e per patti promessi fece disfare cinque castella del contado di Firenze che era^ no alle loro frontiere. Alle frontiere di quale sta- to ? Di quello de'senesi, come l'istoria insegna, e co- i66 Letteratura me conferma il Villani. Dunque dee dirsi sicuramen- te , e per patti promessi ol senesi. Anche non so quanto sia legittimo quel giurare tutti i cittadini^ invece di a tutti i cittadini^ come ha pure il Vil- lani. Ivi. E rimase in Firenze per capitano di guer- ra^ e capitano generale ovvero vicario per il re Manfredi, il detto conte Giordano coHedeschi al soldo de' fiorentini : i quali molto perseguitarono i guelfi in più parti di Toscana ec. Farmi certis- simo che questo i quali si riferisca non ai tedeschi, e molto meno ai fiorentini , ma sì al conte Guido potestà ed al conte Giordano capitano di guerra. E perciò porrei un punto dopo fiorentini. Gap. GLXXIII. Come in corte di Roma ven- ne la novella della detta sconfitta, il papa e i car- dinali n'ebbono grande dolore, sì per i fiorentini, e sì perchè ciò montava lo stato di Manfredi ne- mico di santa chiesa. Emenderò con certezza , di- cendo perchè di ciò montava : e me ne sarà mal- levadore anche il Villani lib. 6 cap. 8i. Ivi. 3fa i cardinali feciono che il papa gli comandò sotto pena dhibbidienza ch'egli il dices- se. Non potendo credere che V ubbidienza fosse in quel tempo punita, direi piuttosto sotto pena di di- subbidienza. Ivi. Per il quale comandamento disse in bre- ve sermone : i vinti vigorosamente vinceranno , e in eterno non saranno vinti. E così interpretò che i guelfi , vinti e cacciati di Firenze , vittoriosa- mente vinceranno. Il dirsi nel secondo periodo vit- toriosamente vinceranno, mostra che nel primo dee pur seguirsi questa lezione, in vece di vigorosamente Istoria del Malispini 167 vinceranno. La predizione è istorica : e con tali pa- role recala appunto il Villani : il quale dice anche : Ciò sHnterpretò. Ma può stare ugualmente bene, E così interpretò: cioè il collegio de'cardinali, di cui Ricordano ha parlato innanzi. Gap. CLXXIV. Nel simile modo M uscirono i guelfi di Firenze^ così fé dono quelli da Prato ^ di Pistoia, di Volterra^ da san Gimignano, e di più altre terre e castella di Toscana. Stimo una negligenza de'copisti l'avere scritto da Prato e da san Gimignano invece di Prato e di san Gimigna- 710 : essendoché tutte le altre città siano qui poste in secondo caso, come altresì le pone ( con toscana eleganza quasi costante negli antichi scrittori ) il Vil- lani lib. 6. cap. 82. Ivi. E per mandato del detto Manfredi fu or- dinato suo vicario e capitano di guardia genera- le in Toscana Guido novello ec. Il conte Guido suc- cedea nel comando delle armi ghibelline della To- scana al conte Giordano, il quale era vicario e capi- tano generale di guerra. E capitano generale di guer- ra , o se vuoisi capitano di gueri'a generale y dee qui dunque dirsi, così perchè tal era il titolo di quel comando, come perchè la dignità di capitano di guar- dia generale è nuova in tutta la storia di quel seco- lo. Il Villani ha vicario generale di guerra. Ivi. Alla quale proposta ( di disfare la città di Firenze ) si levò il savio cavaliere messer Farina- te degli liberti, e la sua diceria propose gli an- tichi due grossi proverbi che dicono : « come asi- no sape, così minuzza rape : e vassi capra zoppa se lupo non la intoppa. » Avvertirò in primo luogo che forse meglio ha il Villani, propose in sua diceria. i68 Letteratuka Poi dirò che dee scriversi, non E vassi capra zop- pai ma E va sì capra zoppa : come il Malispini ri- pete poco dopo così : E questi due proverbi inve- stì in uno , dicendo : « Così asino sape , sì va ca- pra zoppa : così minuzza rape, se il lupo non la in- toppa. » Dove parmi che prima di capra debba porsi r articolo la : perciocché senza esso il verso non a- vrebbe la necessaria quantità delle sillabe : essendo certo che sono quattro settenari : Come asino sape, Sì va la capra zoppa : Così minuzza rape, Se il lupo non la intoppa. Bella dignità, a cui nel medio evo era pervenuta l'e- loquenza politica di Tullio e di Cesare ! E sì con queste goffaggini 1' allo Farinata salvò Firenze , co- me fu presso a distruggerla il Mosca de' Lamberti col suo Cosa fatta capo hai Così in modo non molto dissimile pretese poi il grande Aligliierl persuadere gl'italiani a dimenticare se stessi non che la nazio- nale esperienza, ed a ricevere prostrati la nuova po- vertà ed arroganza straniera di Arrigo di Lucembur- go, scrivendo con tanti giuochi di parole e scolasti- che giuUerie quella veramente curiosa lettera ( la ri- verenza del poeta divino mi vieta di dirla stolta ) ai re d'Italia, al senatore di Roma , ai duchi, ai mar- chesi, ai conti ed a tutti i popoli ! Ivi. J^eggendo ciò il conte Giordano , consi- derando V uomo e la sua autorità ( ch^ era mes- ser Farinata ) e il suo grande seguito, si rima^ sono del detto parlare, e intesono ad altro. Con Istoria, del MALispmr 169 assai saviezza osservò il Benci nel cap. 187 dì que- sta cronica ( a carte 4^3 ), che il copista aveva fat- to di suo capriccio una trasposizione di parole nel testo : e con altrettanta saviezza emendoUa : stando sempre a ciò che aveva scritto in una nota al cap. i36, cioè: « V'ha da essere un gran disordine ne'ma- noscritti di queste storie! » Qui credo essere un al- tro esempio di tali viziose trasposizioni: e, se non erro, panni visibilissimo, ancorché non vi consentisse, come pur vi consente, l'autorità del Villani. Talché scri- verei quasi senza niun dubbio così : Considerando Vuomo all'era messer Farinata^ e la sua autorità e il suo gran seguito. Cap. CLXXVn. La state appresso , il detto vicario co^Jìorentini e pisani e altre amistà di ghi- bellini di Toscana ec. Direi de^ ghibellini^ come dice il Villani. Cap. CLXXVIII. E come i ghibellini vidono morto il loro campione^ si misono in fuga, e fu- rono cacciati di Reggio, e rubati delle prede. Del- le quali gli usciti guelfi arricchirono, e bene guer- niti d^ arme e di cavalli andarono in sussidio di Carlo conte di Angiò e di Prof ews^. Que' ghibel- lini combattevano, secondo l'uso delle città lombar- de, in sulla piazza di Reggio con tra i guelfi loro con- cittadini e gli usciti di Firenze. Essi non avevano ancora potuto fare veruna preda nella loro pàtria, non essendo rimasi mai vincitori , benché vigorosamente .j)er alcun tempo sostenessero la battaglia. Qui dun- que crederei ( né vi discorda il Villani lib. 6 cap. 87 ) che debba dirsi: Furono caudati di Reggio ^ rubati. Delle prede de^ quali gli usciti guelfi ar- ricchirono ec. Così aveva pur detto il nostro auto- ino Letteratura re in questo capitolo stesso , parlando della disfatta che in quell'anno 1268 ebbero anche i ghibellini di Modena : Delle prede de' quali i detti guelfi fio- rentini e di Toscana molto ingrassarono. Gap. CLXXIX. Ed egli (Manfredi) sta\>a quan- do in Sicilia e quando in Puglia seguendo vita mondana epicurea. Mondana e epicurea dice il Villani : e forse bene. Gap. GLXXX. E fuvvi ( al concilio adunalo da Urbano IV ) molti vescovi e preluti. Forse il Ma- lispìni avrà scritto furvi., cioè furonvi. Ivi. E ciò poteva essere , chiamando Carlo conte d''Àngiò e di Provenza fratello del buono re Luigi di Francia, il quale era il pia sufficien- te principe d* arme e d^ ogni virtù che fosse al suo tempo , e di casa possente come quella di Francia : e che fosse campione di santa chiesa e re di Sicilia e di Puglia. Dice il Villani lib. 6 cap. 89 : Chiamandolo campione di santa chiesa e re di Cicilia e di Puglia. Sicché io proporrei di scrivere così: E ciò poteva essere^ chiamando Car- lo conte d^^ngiò e di Provenza, fratello del buo- no re Luigi di Francia ( il quale era il più suf- ficiente principe d'arme e d''ogni virtù che fosse al suo tempo^ e di casa possente, come quella di Francia ), che fosse campione di santa chiesa e re di Sicilia e di Puglia. Ivi. E formata V elezione , gli mandarono il decreto. Direi meglio col Villani, e fermata Vele-' zione. Gap. GLXXXII. E regnò (papa Glemente IV) quat- tro anni , e fu favorevole alla venuta del detto Carlo ; e rimase santa sede in buono stato. Senza Istoria del Mauspini «71 alcun dubbio porrei nel testo rimise in vece di ri- mase^ come ha pure stimalo, ma questa volta trop- po timidamente, il Benci coll'autorità del Villani Uh. 6 cap. 92. Gap, CLXXXIIl. La quale ( arma ) è il cam- po bianco con uìtl aquila, vermiglia sopra un ser- pente verde. Certo è per errore di stampa la virgo- la dopo aquila : come piccolo errore del copista è forse il dire che segue, cioè : la quale portavano e tennono insino a' presenti nostri tempi : invece di portarono e tennono, che leggesi nel Villani. Cap. CLXXXVI. E il dì della epifania negli anni di Cristo 1266 per due cardinali mandati e legati del papa fu ( Carlo d'Angiò) consacrato in Roma e coronato del reame di Sicilia e di Puglia egli e la donna sua. E modo affatto slrano quel car~ dinali mandati e legati del papa. O dee dirsi, co- me pur dice il Villani, cardinali legati, mandati dal papa : ovvero, togliendo l'è, lasciarvi cardinali man- dati legati dal papa. Ivi. jéfjidandosi più a quel riparo, che in al- tro per il forte luogo e sito. Il Villani lib. 7 cap. 5 ha forse meglio, m quel riparo. Cap. CLXXXVII. Ivi fece tre schiere (Man- fredi ). Vuna fece de* tedeschi ec. La seconda era di toscani e lombardi ec. La terza fu di puglie- si con sar acini di Nocera ec. Avendo detto di to- scani e di pugliesi, credo che il Malispini dicesse pure di tedeschi. Ivi. Cioè venne a dire ( Manfredi ) , se avesse vittoria egli sarebbe sempre amico de^ guelfi, veg- gendoli sì fedeli al suo signore e a loro parte. Se diremo al loro signore, diremo secondo ragione, e secondo l'autorità del Villani lib. 7 cap. 8. i'72 Letterati) ra Ivi. Ma poco duròi che già i suoi erano in volta : e furono sconfitti ( e il re Manfredi mora- to in mezzo de"* nemici ) e cacciati da quelli del re Carlo insino nella terra ^ che era già notte ^ e persono la città di Benevento. Qui parmi il perio- do procedere con alquanta confusione. Se non erro, potrebbe esser questo il modo di scriverlo : Ma po- co durò^ che già i suoi erano in volta : e furo- no sconfìtti^ e il re Manfredi morto in mezzo de* nemici : e, cacciati da quelli del re Carlo insino nella terra, che era già notte, e' persono la città di Benevento. Ivi. E poi per un ribaldo di sua gente fu ri- conosciuto ( il cadavere di Manfredi ) per più se- gni di sua persona in mezzo del campo , ove fu alla battaglia, e poserlo a traverso in su un asi- no. Sarà meglio dire ove fu la battaglia, come di- ce appunto il Villani : e cosi anche poselo invece di poserlo. Ivi. // conte Giordano si diede delle mani nel volto piangendo e gridando : oimè signore mio. Onde ne fu molto commendato da' francesi: e da alquanti brettoni fu pregato che gli facesse fare ( a Manfredi ) onore alla sepoltura. Manca certo il nome del re Carlo: e dovrebbe aggiungersi, ancorché non fosse, com' è, favorevole il testimonio del Vil- lani. Scriverei dunque così: // conte Giordano si die- de delle mani nel volto piangendo e gridando: Oi- mè, signore mio ! Onde molto ne fu commendato dafrancesi. E il re Carlo da alquanti bretoni fu preo^ato che gli facesse fare onore alla sepoltura. ° Gap. CLXXXVIII. E fece fare { il re Carlo ) Castel Nuovo al modo francese presso a castello Istoria del Mauspini 17? in s. Pietro dalValtra parte di Napoli. Ecco un' altra trasposizione arbitraria, che attribuirò a' copisti. Dee dirsi presso a s. Piero in Castello^ come dice infatti il Villani lib. y cap. io. Ivi. Don irrigo figliuolo secondo del re di Spagna e cugino del re Carlo ( nato di sirocchia e fratello ). Oh il brutto peccato che si vorrebbe qui apporre a' genitori di Arrigo ! Che fossero fratello e sorella ! Ma ciò, grazie a Dio, non fu vero : e as- solveremo il Malispini di averlo detto, se invece di nato leggeremo in questo passo correttissimamente na- ti^ come legge pure il Villani. Imperocché 1' autore intende dichiarare in esso, come Arrigo di Castiglia e Carlo d'Angiò erano cugini : e li dice nati di sorel- la e di fratello : perchè Ferdinando III re di Casti- glia, padre di Arrigo , era fratello di Bianca madre di Carlo. Ivi. E ( Carlo ) in luogo di lui il fece fare senatore di Roma. E alquanto strano questo di lui in vece di se : tanto più che sarebbe 1' unica volta che trovasi in tutta la nobile cronica del Malispini. 11 che non può non indurci in sospetto, che sia uà regalo fattoci da qualche plebeo copista. Il Villani dice: E in suo luogo il fece senatore di Roma: trala- sciando cosi di aggiungervi fare^ tanto piìi necessario dopo^ece, quanto che si sa che Carlo d'Angiò, senato- re egli medesimo per decreto della città, non potea di proprio arbitrio eleggere alcuno a quell'ufficio principa- lissimo, il quale era tutto di potestà romana. Infatti do- po la sciagura di questo Arrigo, essendo stato nuova- mente eletto senatore il re Carlo, durò egli nella di- gnità finché JNicolò III, sdegnato contro di lui, a tutte dose segrete ( dice Ricordano e. 218) gli fu con- J74 Letteratura trarlo y e fecegll rinunziare il senato di Roma e il vicariato delV impero ^ il quale avea dalla chiesa vacante Vimpero. E certo inoltre, chi legge il Vi- tale nell'istoria diplomatica de'senatori di Roma, che non solo Carlo non fece senatore Arrigo, ma che questi né pure fu immediato suo successore: essendo fra Car- lo d'Angiò ed Arrigo di Spagna seduti due altri nel- la dignità , e probabilmente Luca Savelli romano e Beltramo Monaldeschi di Orvieto. Anzi è certo ugual- mente, che Arrigo fu eletto nel 1267 all'ufficio se- natorio , centra la volontà di molli patrizi , per la potenza di un Angelo Capuccia, il quale in una grande sedizione ghibellina ne aveva ottenuto la potestà dal popolo come supremo suo capitano. Cap. CXG. E riducendosi ( i guelfi ) presso alla città ordinavano con certi dentro trattati^ e furono infino dentro alla chiesa de^servi di santa Maria. Il Villani lib. 6 cap. i3 dice ordinarono y e ragionevolmente. Ivi. Onde ( il conte Guido e i reggenti ghibel- lini ) sentendo nella città tale mormorio e temeu' do del popolo, per contentare il popolo ^ elessero due cavalieri. Si è bene avveduto il Benci, che do- po onde^ per la necessaria chiarezza del testo, manca il nominativo che regoli tutto il periodo : e savia- mente ha recato in nota ciò che dice il Villani, cioè: Onde quelli che reggevano la città a parte ghi- bellina, sentendo ec. Non potrebbe però essere che il Malispìni scrivesse : Ond^ e* sentendo ? Ivi. L'uno ebbe nome messer Catelano de^Ma^ lavolti , e V altro messer Lodovico degli jéndalò. Qui Lodovico è un manifesto fallo: ne certo credo che il Malispìni errasse cosi grossamente ia un no- Istoria del Malispini iyS me cotanto celebre nell' istoria di Firenze degli an- ni suoi. Questo frate gaudente chiamavasi comune- mente da'fiorentini Loterìngo, o anche LoderingOy come può vedersene un esemplo in Dante nel canto XXIII dell' Inferno. Ma forse il nostro autore avrà scritto Lotorico , da' copisti mutato poi con facilità in Lodovico. Dico che avrà scritto Lotorico ^ perchè tal era veramente il nome del frate : e irrefragabile testimonio siane lo stesso sigillo di lui , pubblicato dal dottissimo amico mio cav. Luigi Cardinali (i) con questa precisa leggenda : S . Fì'is . Lotorici . or- dini . milicie . bte . M.^ cioè: Signum fratris Loto- rici ordinis miliciae beatae Mariae. Ivi. Ed era il loro abito { de' frati gaudenti ) di sotto bianco ( cioè sotto i panni ) e il mantel- lo bigio. Credo che le parole , alquanto inutili se non vogliano dirsi stolte, le quili si trovano chiuse nella parentesi, siano un'aggiunta legl'ignoranti eopisti. Ivi. E intra gli altri buoni ordini che fecia- ìio fu questo^ che ciascuna ddle sette arti mag^ giori di Firenze avessono corsoli, e ciascuno a- vesse suoi gonfaloni e insegne. Mon ciascuno, ma ciascuna dee ripetersi, come riiete pure il Villani. Ivi. Quella ( l' insegna ) de^ cambiatori fu il campo rossot entrovi seminati fiorini d'oro spar- ti : quella delVarte della lana %n montone bianco nel campo vermiglio. Gioverà qiesto passo ad emen- dare quelle edizioni del Villani, nelle quali di due in- segne se n'è fatta una sola , e coi tal confusione, che (i) Edizione seconda romana della (fiTina commedia coi co- menti del padre Lombardi, 1820 presio il De-Kumaiiis, tomo jprimo a cart. 3i5. i^G Letteratura fino si è dato il montone all'arte de'cambialori. Per- ciocché si legge ivi così : / cambiatori^ il campo vermiglio, ivi entro un montone bianco. Ivi. E quella ( insegna ) de^pellicciari a vari. Dicasi a vai. Gap. CXCI. Onde per pagare le masnade te' desche il detto conte Guido volea si ponesse una libbra di soìdi venti il centinaio. Ciò dice pure il Villani lib. 7 cap. 14." salvo che ha soldi dieci in vece di venti. Ma de è mai il porre una libbra ? Sarebbe forse un'altra ignoranza de'copisti in ambe- due le croniche: siccliè avesse a leggersi, volea si pO' Tiesse un'' allibra, cioè un allibramento, un censo mu- nicipale di venti sold per ogni centinaio di cittadini? Ivi. Il conte aomandava le chiavi delle por- te della città per partirsi di Firenze : e per sua sicurtà si mise in mezzo d'' Uberto de^ Pulci e di Cerchio de^ Cerchi, e di dietro Guidingo Savori- gi, ch'era de^detti trentasei. Il Villani legge era- no : e tal credo che debba essere la vera lezione. Cap. CXCII. £ dimorati ( i ghibellini ) insino a nona, ne per pnghi ne per minacce non pote^ rono entrare dentro ( a Firenze ). Tristi e scher- niti si tornarono a Prato, e come crucciati tor- nando, combatteroio il castello di Capalle, e non Vebbono. Colla guUa del Villani ( lib. 7 cap. i5 ) si può assai meglio scrivere così : E dimorati insi- no a nona , ne per preghi nò per minacce non poterono entrare dentro : e tristi e scherniti si tornarono a Prat). E come crucciati tornando (cioè facendo il Icro cammino crucciati), combat- terono il castello di Capalle e non Vebbono. Im- perocché dice esso Villani : E tornando, per cruc- Istoria del Mauspini lyr ciò dledono battaglia al castello di Capalle, e non Vebbono. Ivi. E per trattato di pace, nel gennaio ve- gnente il popolo rimise in Firenze i ghibellini, e feciono fare tra loro pia matrimoni. Dee forse di- re rimisero, come pur dice il Villani. Ivi. Il quale ( re Carlo ) mandò loro il conte Guido di Monforte con ottocento cavalieri fran- cesi, e giunse in Firenze il dì della pasqua della resurrezione 1267. l'orse dopo francesi dee porsi un punto, e quindi scrivere : E^giunse. Gap. CXCUI. E quello che nel detto consi- glio (detto de'buonuomini ) si deliberava , nel dì seguente le medesime proposte si conveniano con- fermare nel consiglio del potestà^ cKerano ottan- ta uomini grandi e popolani, e con loro le capi- tudini delV arti : e poi il consiglio generale che erano trecento uomini d^ogni condizione. Direi e poi nel consiglio: cioè, le deliberazioni si recavano poi al generale consiglio dei trecento uomini. Gap. GXGIV. Onde i fiorentini guelfi. v\inda~ vano a oste ( al castello di sant'Ellero ) i due se- sti : e andovvi il maresciallo del re Carlo con sua gente francese : e presonne il castello. Il Vil- lani dice lib. 7 cap. 19, ebbono il castello : e qui dee dirsi presono il castello, com'è anche bene in- dicato dall'intero capitolo. Gap. GXGV. Il re Carlo, fatto vicario gene- rale del papa in Toscana mentrechè impero va- casse. Il Villani lib. 7 cap. 21 dice per lo papa : e qui dovrà dire ragionevolmente dal papa. Gap. ex G VII. Ed eranvi dentro ( a Lucca ) il maresciallo del re Carlo con sua gente, e il le- GA,T.XG1II. 12 jyS Letteratura gato del papa co''Jìorenti?iì e altri guelfi di To-^ scana, e altra gente di croce segreti. Dicasi cer- tissimamente di croce segnati, come ha pure il Vii - lani lib. 7 cap. 23. Cap. GXCVIII. Poiché Corradino si partì da Lucca e da Pisa , ei venne a Poggibonzi: i cai abitanti per la venuta di lui in Pisa, s'' erano ribel- lati dal re Carlo e dal comune di Firenze. Dopo Poggibonzi le stampe dicevano i quali, senz'altro ag- giungere. Bene considerò il Benci che ciò non poteva stare : e quindi, togliendo del tutto i quali, pose ra- gionevolmente i cui abitanti. Se avesse nondimeno osservato il Villani lib. 7 cap. 24 , sarebbegli stato chiaro ( per la pretta copia che questi ha fatto del passo), che doveva meglio supplirsi i quali terrazzani. Ivi. I quali (soldati di Corradino), sentendo V andamento del detto maresciallo , erano partiti da Siena per condotta degli liberti e degli altri ghibellini. Non per condotta, ma per condotto ha il Villani. E così stimo che qui debba leggersi : per- ciocché condotto , invece di scorta o di guida , è parola bellissima del dugento e del trecento, ed usa- ta non pure altra volta dal Malispini al cap. i85, ma sì da molti altri scrittori antichi, ed anche dall' Alighieri nel canto IV del purgatorio : Dico con tale snelle e con le piume Del gran disio, diretro a quel condotto Che speranza mi dava e facea lume: come, appresso il Poggiali, ha egregiamente dimostra- lo al suo solito l'amico mio di memoria carissima Luigi Biondi nel volume di marzo 1827 del giorna- le arcadico. IslTORU DEL iVIALISPINI Ing Cap. CXCIX. // re udendo sì saviamento con- sigliare , senza indugio si partì e andò alla vici traversa per le montagne , e accozzossi assai di presso aWoste di Corradino nel piano di san T^a- lentino. Era in mezzo il fiume. « Dubito ( dice il Benci ) die accozzarsi sia error di copisti. Il verbo proprio qui sarebbe accostossi. E se il verbo ha da essere accozzossi, non può significare se non accozzò, o radunò se colla sua genie c[uivi. » Cerio a me pare che accozzossi sia qui parola non men cliiara, che viva: e l'ha pure il Villani: e significa appunto, 5'«- dunò, si raccolse ivi tutte le sue soldatesche. Esso Villani dice anche , e forse meglio : Il re udendosi saviamente consigliare, cioè da quel vecchio conta- dino dell'Aquila, che confortava Carlo di levare ogni dimora e d'andar subito contro al nemico. Ivi. Il re Carlo col fiore della sua gente di quantità di ottocento cavalieri , fece riporre un agguato dopo un colletto in una valletta. La bat- taglia contro di Corradino non fu comandata dal re Carlo d'Angiò, ma sì dal vecchio Ahirdo di San-Va- lery (o di San-Valtri, come ha il Giannone ), a cui esso re, dice Ricordano, commise il reggimento del- foste e della battaglia. Alardo infatti divise e orr dinò le regie schiere con autorità suprema di capi- tano : siccliè dee qui leggersi, come pur legge il Vil- lani , non che il re Carlo fece porre un aggua- to, ma sì che (Alardo) il re fece porre in aggua- to. Ed è ciò tanto certo, che come Alardo vide spar- si alla preda i nemici, i quali facilmente avevano su- perato le tre schiere di Carlo, sì fece muovere (se- gue a dire il nostro autore ) il re colla sua schie- i8o Letteratura ra riposta, e al divitto ne ventiono a Corradino, E quivi fu aspra battaglia. E, per V improvviso assalimento^ Corradino e sua gente furono scon- fitti. Del quale stratagemma fu assai lodato lo scal- tro francese : onde potè poi dire Dante nel XXVIII dell' inferno : E là da Tagìiacozzo, Ove senz'arme vinse il vecchio Alardo. Ivi. In questa stanza, Vuna oste a petto al- l''altra , i baroni del regno ( ribelli del re ) fitti- ziamente ( per fare sbigottire il re e sua gente ) feciono venire nel campo di Corradino falsi am- basciatori molto parati, con chiave in mano, con grandi presenti. Il Villani dice : In questa stanza, Vuna gente a petto delValtra schierati , i baroni del regno ec. Il senso corre così assai meglio , ag- giuntavi quella parola schierati. Sicché o si ponga anch'ella nel detto passo del Malispini, ovvero si scri- va : In questa, stando Vuna oste a petto alV altra, i baroni del regno ec. Ma sarà forse meglio porvi la parola schierati : considerando che il modo di di- re in questa o in quella stanza è usato altra volta non solo da Ricordano al cap. 228, dicendo : E in quella stanza, siccome erano ordinati, vennero a lui con messer Gianni da Procida ambasciatori e sindaci con pieno mandato di tutte le terre di Sicilia:, ma anche dal suo nipote e continuatore Già- colto al cap. 240 così : In questa stanza avea in Sicilia due cardinali legati : che così dee scriversi, e non in questa istanzia, come recano le stampe. Ivi. E in quel luogo { della hattaglia jyf^ce ^oi Istoria del Malispini i8i il re Carlo una ricca badìa per Vanima delia sua gente morta , la quale si chiamava santa Maria della vittoria nel piano di Tagliacozzo. Il Villani dice, la quale si chiama : e tal dee essere la vera lezione. Gap. ce. Essendo in mare sconosciuti ( Cor- radlno, il duca d'Austria e alcuni loro compagni scam- pali dalla sconfitta ) uno dei detti Frangipani veg- gendo ch^erano in gran parte tedeschi e sapendo della sconfitta di Corradino, s'avvisò : e certifica- to che tra loro era Corradino, per vantaggiarsi gli menò prigioni al re Carlo. Nota qui il Benci alla parola avvisò : a II senso qui resta tronco. Il Villani dice : S'avvisò di guadagnare, e i detti si^ gnori prese. » Non è che non possa qui pure ( tan- to i copisti hanno maltrattata questa povera cronica) essere stata tralasciata qualche cosa del testo , e, se così vuoisi, le parole di guadagnare. Ma rimanendo anche solo quel 5' avvisò , a me non pare di veder nulla di tronco nel senso. Quanti significati non ha mai il verbo avvisare ? E sì che non gli manca quel- lo di por mente , di adocchiare , e anche d' imma- ginarsi e indovinare una cosa, come appunto ha Fa- zio degli Uberli nel Diltamondo lib. V cap. i3 : Poi disse : Figliuol mio, se ben ni avviso, La sete tua non pare ancora strutta : Però dimmi se è ver comHo diviso. Laonde in questo luogo, anziché un troncamento di senso, potrebbe alcuno vedere una grazia di lingua : quasi Ricordano dicesse : Pose ben mente, entrò in pensiero, o altra cosa simile. Di che a qual giudice iBa Letteratura migliore potrei appellarmi, che a voi, marcìiese Puoti? Anche è qui da nolare che il testo del Malis[>ini di- ceva , reggendo ck^orano grande parte tedeschi : e che il Benci emendò in gran parte, E veramen- te questo modo non è nuovo nel Malispini : e se ne ha un altro esempio ( nò dal Benci si è slìmato er- rore ) al cap. 2j4» ove dicesi: Difendendosi fran-^ camente grande parte del giorno. Ivi. E fu decollato Corradino e il duca d^ Au- stria ec. in sul mercato di Napoli lungo il ru- scello dell'acqua che corre in Napoli. Se que' gio- vani sveiituiali furono dall'atroce re Carlo fatti de- collare sul mercato di Napoli, che serviva poi dirci che ciò 111 lungo il ruscello, il quale correva in Napoli ? La ripetizione della parola Napoli parrai cosi pueri- le, che io anzi credo tlover leggere col Villani, il qua- le ha copiato qui pure le parole del nostro autore: Lungo il ruscello delVacqua che corre incontro' la chiesa dc'jrati del Cannine, Ivi. E il giudice che condannò Corradino , Roberto figliuolo del conte di Fiandra genero di Carlo., come fu letta la sentenza della condanna- gione^ gli diede dhmo stocco. Direi che la vera le- zione l'osse al giudice ^ come appunto ha il Villani lih. 'j cap. 29. Cap. CCU. E messer Provenzano Sel\>ani , guidatore delVoste de'' sene si , fu preso e tagliato il capo. Qui pure seguirei il Villani, che lih. y cap, 3i àìce^Ju preso e tagliatoli il capo. Ivi. Questo messer E l'ovenzano fu potente uo- mo di Siena al suo tempo dopo la vittoria ch'eb^ bono i senesi a Monte Aperti : e guidava tutta la città. Egregiamente il Benci ha qui emendato la le- Istoria del Mamspini i83 ziane guidata ( manifesto error de' copisti ) in gui- dava. Ma io chiederei, se non fosse meglio di leggec^ così questo passo : Questo messer Provenzano fu potente nomo in Siena al suo tempo. Dopo la vit^ toriay ch'ebbona i senesi a Monte Aperti, e' gui- dava tutta la città. Gap. CCV. E il fiume t?' Jrno uscì fuori di termine sì disordinatamente, che grande parte del- la città di Firenze allagò : e la cagione fu per più legname che il fiume menava attraverso al ponte a santa Trinità, per modo che V acqua del fiume ingorgava sì a dietro, che si spandea per la città. Il Villani lib. 7 cap, 34 lia ringorgava : verbo da lui usato altra volta. Ma stimo che qui la lezione possa lasciarsi com' è : anzi vorrei che come il vocabolario dà un unico esempio A^ ingorgare in questo significato, così recasse anche il presente an- tichissimo della cronica del Malispini. E di più, che si emendasse l'errore dalla crusca commesso nel det- to unico esempio , il quale è di Fazio degli liberti nel lib. V cap. 29 del Diltamondo : che oltre all'es- sere ivi r esempio col nome di Plin. dittam., ed in prosa, anziché in verso, è pure erralo nelle parole. Per- ciocché il vocabolario dice: Tu dì, che questo fiume ingorgava sì diritto, che si spandea per la città: e Fazio al contrario dice in quest'altro modo : Ma qui so ben chhm pensiero ti punge : Tu dV , covi' è che questo fiume ingorga Tanto, che spanda quanto par sì lunge ? Ovvero , che spanda quanto par da lunge, come legge il codice Cappello citato dall'egregio Francesco Zanotto nell'edizione veneta i836 per l'Anlonelli. i84 Letteratura Cap. CCVl. E la mattina quando s'' andarono a giudicare ^ Ncracozzo dom,andò : Messrr Azzo~ lino^ dos^e andiamo noi ? Rispose il cavaliere : A pagare un debito che ci lasciarono i nostri pa- dri. Compassionevole ed insieme terribil risposta di chi, per quel feroce parteggiare cittadinesco, andava col suo parente a porre il capo sotto la scure ! Que- sti due forti animi erano della casa nobilissima de- gli liberti : e trucidavansi in Firenze ( misera Italia ! ) da uno straniero per causa straniera; cioè da un Car- lo d' Angiò per aver essi voluto essere schiavi anzi di uno svevo, che di un francese. Io credo però che me- glio il Villani, lib. 7 cap. 35, abbia scritto cosi que- sto passo : E la mattina, quando s'' andavano a giu- dicare, Nerozzo domandò messere Azzolino r Do- ve andiamo noi ? Rispose il cavaliere ec. Cap. ce Vili. Ma il detto conte Guido ( di Monforte ) , provveduto di compagnia , non sola- mente gli bastò d\iver Jatto il detto omicidio, che ( perchè un cavaliere il domandò quello cK' egli avea fatto, rispose : Ho fatto mia vendetta : e que- gli disse : Vostro padre fu strascinato: ) incontanen- te tornò nella chiesa, e prese Arrigo per i ca- pelli, e così morto il trascinò fuori della chiesa. Avrebbe potuto fare il Benci in questo capitolo una importantissima emendazione : quella cioè di dire che il principe Arrigo, il quale dal Monforte fu alla ma- niera de'barbari e de'vili trucidato a tradimento, non era figliuolo del re d'Inghilterra, ma si di Riccardo duca di Cornovaglia , che dall' Ottimo comentatore di Dante chiamasi il re Riccardo, perchè da alcu- ni principi dell' impero fu eletto re de' romani do- po la morte di Guglielmo di Fiandra. Molto meno Istoria del Malispini i85 era egli il re Arrigo III, secondo che grossamente sba- gliano alcuni altri eomentatori della divina comme- dia, fra'quali il Lombardi e il mio Paolo Costa. Ma non vorremo rimproverare il Benci di non aver fatta questa emendazione: perciocché l'errore è anche d'al- tri istorici di quel tempo, e potè ben esserlo del Ma- lispini medesimo, non altrimenti che il fu del Villani. Al pili sarebbe stato opportuno di avvertirlo in una nota, come d'altri sbagli ha fatto il Benci più volte di- ligentemente in questa edizione : aggiungendo che il principe Odoardo, il quale con Arrigo trovavasi a Vi- terbo, non era già fratello di esso Arrigo, ma si cugi- no, cioè figlio di Arrigo III, e poi suo successore col nome di Odoardo IV. Due emendazioni del Benci vedo però nel pas- so , che qui sopra ho recato. La prima sì è di un che, posto da lui innanzi di aprir la parentesi : ne parmi con buona ragione , potendo ben supplire il difetto un ma, come trovasi nel Villani lib. n cap. Sg. Anche direi inutile la parentesi. La seconda emendazione è d'aver mutato il ver- bo tranò in trascinò. Né so perchè: usandosi qui il verbo medesimo da Giovanni Villani : ed essendo nel- la lingua di conio così antico e sicuro, come dimo- strano gli esempi di Matteo Villani e del volgariz- zamento di Livio recati dal vocabolario della crusca: oltre ad averlo metaforicamente adoperato anche DaU' te nel X del paradiso : Or, se tu V occhio della mente traili Di luce in luce dietro alle mie lode^ Già delVottava con sete rimani. i85 Letteratura Sicché opinerei di scrivere così tutto il periodo : Ma il detto Guido t provveduto di compagnia^ non sO" lamente gli bastò di aver fatto it detto omicidio'^ ma perchè un cavaliere il domandò quello di' egli uvea fatto, rispose : Ho fatto mia vendetta : e que- gli disse : Vostro padre fu strascinato ; incontanen- te tornò nella chiesa , e prese Arrigo per i ca-^ pelli, e così morto il tranò fuori della chiesa. Gap. CCX. E il re Carlo abitò il giardino^ de^ Fre scobaldi , e Vimperatore Baldovino al vesco- vato. Avendo detto al vescovato, Siyvk iovse pur det- to al giardino de^ Frescobaldi, come in fatti ha il Villani lih. 7 cap. 42. Ivi, In fine delV estate si partì il papa e it re Carlo, e andarono sopra Lione sopra Rodano. Non posso credere, che qui dall'autore siasi detto 0- riginalmenle sopra Lione sopra Rodano : che dell' errore fatto da'copisti abhastanza mi rende certo l'a- vere scritto il Malispiai due altre volte in questo me- desimo capitolo a Lione sopra Rodano : e una volta nel capitolo seguente sopra Rodano a Lione, al mo- do che pur si legge nel Dittamondo lib. IV cap. 21: Poi fummo sopra Rodano a Lione, Disse altresì Ricordano , tornando dal concilio di Lione sopra Rodano, al cap. 216: dove il Benci ha non bene, secondo ch'io stimo , e secondo pure l'autorità del Villani lib. 7 cap. 49? adottata la le- zione, dal concilio da Lione sopra Rodano. Cap. CCXI. Promettendo ( l'imperatore e il pa- triarca di Costantinopoli ) di correggere certi er- rori die i greci hanno tenuti, e seguire per in- Istoria del Malispini ^g- nunzi secondo la nostra fede e ordini della santa chiesa romana. Credo che debba dire: e seguire per innanzi, secondo la nostra fede , gli ordini della santa romana chiesa. Ivi. // papa gli promise ( a Rodolfo d'Absbur- go eletto re de'romani), e dispose di danari della chiesa appresso le compagnie di Firenze e di Pi^ stoia {grandi mercatanti) fiorini dugentomila d'oro E nella città di Milano il detto Rodolfo promise] sotto la pena di scomunicazione, d'essere in Milano in Jra certo termine. Qui è grave errore d'interpun- zione. Se Rodolfo era già in Milano, come promise d'essere in quella città infra certo termine ? Il fat- to è die Rodolfo non solo era in Germania, ma in tutta la sua vita non passò mai le alpi. Qui dice dunque il Malispini ( e lo documenta il Villani ), che papa Gregorio X, il quale aveva eletto Rodolfo' ca^ pitano del gran passaggio di oltremare , gli promise dugentomila fiorini d'oro da pagarsegli in Milano ap- pena il nuovo re de'romani vi fosse giunto. Scrivasi dunque : // papa gli promise e dispose de'dauarì della chiesa, appresso le compagnie di Firenze e di Pistoia grandi mercatanti, fiorini dugentomila d' oro nella città di Milano. Il detto Rodolfo prò- mise, sotto la pena di scomunicazione , d' essere in Milano in fra certo termine. Ho posto de'dana^ ri, invece di danari, seguendo la buona lezione del Villani. Ivi. E nel detto concilio il papa ordinò con^ cilio generale d'oltremare a ricuperare la terra santa. Voglio qui credere assolutamente un errore di stampa : parendomi quasi impossibile , che il Benci non siasi avveduto, che in vece di concilio generale iHB Letteratura d'' oltremare dee leggersi passaggio generale d'ol- tremare : tanto più che Ricordano ripete due righe appresso : E in sussidio del detto passaggio dette la croce y e ordinò che si desse per tutta la cri- stianità. Ivi. E vietò V usura ^ e scomunicò chi la fa- cesse pubblica. Il dotto editore milanese del Villa- ni (i) ha credulo che sia un errore de'copisti il dire scomunicò chi la facesse pubblica: ed ha emendato, scomunicò chi la facesse pia. Ma questo errore io non vedo : parendomi che qui il Malispini e il Vil- lani intendano dire, che papa Gregorio X vietò ge- neralmente l' usura , facendola cioè caso di privata colpa dinanzi a Dio : ma scomunicò, cioè rese pub- blicamente e solenneiriente colpevoli, i pubblici usu- rai. Sicché lodo il Benci d'aver lasciato la lezione così come sta. Gap. CCXII. E ciò fu per cagione di sospet- to che la detta parte ( ghibellina ) era molto cre- sciuta in Romagna. E poco innanzi cacciarono la parte guelfa di Faenza. Leggasi bene il capitolo, e facihnenle vedrasdi che dee scriversi in modo da render chiaro, che i guelfi di Faenza furono caccia- ti dai ghibellini della Romagna, i quali già erano cre- sciuti in possanza, e non da quelli di Bologna. Que- sto modo credo che sia così : E ciò fu cagione di sospetto : che la detta parte ghibellina era molto cresciuta in Romagna: e poco innanzi cacciarono la parte guelfa di Faenza. (i) Edizione della Biblioteca enciclopedica, anno i834 pel Bettoni. Istoria dkc Malispini i8g Cap. CCXIV. E combatterono ( i guelfi bologne- si coi ghibellini e confederati romagnuoli ) : e furo- no sconfitti i bolognesi. E chi di dice che i nobili per viltà si fuggirono. E chi disse che il popolo di Bologna trattava male i nobili^ e perciò lo ab" handonarono. Essendosi detto da prima e chi dice^ doveva così dirsi anche dopo, invece di e chi disse : ed il Villani lo avrebbe approvalo lib. 'j cap. 47. Né avrei fatto di un periodo tre periodi: ciò parendomi senza veruna necessità. Cap. CCXVI. E chi disse non poteva fare al- tro perchè il fiume d^ytrno era sì grosso che non si potea guadare^ di necessità gli convenne pas- sare per il ponte Rubaconte. Porrei con certezza due punti prima di perchè il fiume. E nolo che il perìodo antecedente, quando pur la parentesi fosse ivi necessaria , parrebberai doversi scrivere così : E non volendo entrare nella cf^tó(papa Gregorio X), perchè era interdetta e gli uomini di quella scomunicati ( perocché non aveano osservata la pace ch'esso avea fatto tra'' guelfi e i ghibellini ) , e^ per inge- gno fu guidato fuori delle vecchie mura. Ivi. E a dì 12 di luglio fu chiamato papa messer Ottobono cardinale del Fi esco di Genova. Tutti gl'istorici più antichi, e fra essi il Compagni e il Villani, dissero sempre dal Fiesco quella fami- glia nobilissima genovese. Crederei dunque che for- se non altrimenti avessela nominata il Malispini e qui e al cap. 127, dove parla dell'elezione di papa Innocenzo IV. Cap. CCXVIII. E fece fare ( papa Nicolò ITT) I grandi palagi papali da san Pietro. Sarebbe qui un modo di lingua stranissimo, se il Villani lib. 7 e. 53 Tqo Letteratura non ci avvertisse che dee scriversi di san Pietro. Così nel cap. 221, dove narra le imprese di papa Marti- no IV, dice : Questo papa fece fare la rocca e i n-raiidi palagi di Montefiascone : e non, da Mori" trjìascone. Cap. CCXIX. in questi tempi i grandi guelfi di Firenze ( cessate le guerre di fuori ) ingras- sati sopra i beni de^ ghibellini usciti cominciai^o- no a riattare insieme tra loro : onde nacque moU te brighe e mortali nimistà fra i cittadini. Direi con più grammatica nacquero, come dice il Villani lib. 7 cap. 55 : e scriverei così tutto il periodo : In questi tempi i grandi guelfi di Firenze^ cessate le guerve di fuori., ingrassati sopra i beni rife' ghi-* bellini usciti., cominciarono a riattare insieme tra loro : onde nacquero ec. Ivi. E la prima ( pace ) fu tra gli liberti e Biiondelmonti^ e fu la terza pace^ salvo che i fi- gliuoli di messer Ranieri Cingane de'' Buondelmon- ti non Vassentirono. Come questa, che il cardinale Latino degli Oisini trattò fra gli Uberli e i Buon- delmonti , fu la prima e insieme la terza pace ? II Villani, copiando al solilo le parole stesse del nostro autore, non dice, se non che : E la prima fu tra li liberti e Buondel monti, salvo che i figliuoli di mes- ser Binieri Zingane de"" Buondelmonti non V'assenti^ rono. Sicché quella terza pace crederei essere un'ag- giunta de'copisli. Ivi. Ma per loro non si lasciò la pace, che poi ( al febbraio vegnente ) congregato il popolo a parlamento nella piazza vecchia della detta cliie- sa ( di s. Maria novella ), ivi per il detto legato fa sermonato sopra i fatti della pace. Scriverei : Ma ISTORU DSL MaLISPINI iQt per loro non si lasciò la pace : che poi al febbraio vegnente^ congregato il popolo a parlamento nel^ la piazza vecchia della detta chiesa^ ivi por il det- to legato ec. Gap. CCXX. E proffereagU ( Giovanni da Pro» cida all'imperatore Michele Paleologo ) di fare ribeU lare Visola di Sicilia al re Carlo colVaiuto de^si- gnori delV isola ( i quali non amavano il re Car- lo ) e con aiuto del re d'' Aragona. Il Villani lib. y cap. 56 dice con aiuto sì l'una e si l'altra velia: e così pure avrà detto il Malispini. Ivi. Onde il detto papa in segreto e in pa^ lese s''aperse, e adoperò contro al re Carlo. Par- lasi di Nicolò III che, come abbiamo veduto nel cap. 218, era sdegnato col re Carlo d'Angiò, e mostro- glisi sempre avverso. E questo vuol qui ripetere il Malispini : le cui parole, stranamente errate, posso- no egregiamente al solito col Vilkini restituirsi così alla loro vera lezione : Onde ih detto papa e in se- greto e in palese sempre aoperò contro al re Carlo. Cap. CCXXI. E durò la vacazione ( dopo la morte di Nicolò III ) per la detta discordia pia di cinque mesi, essendo i cardinali rinchiusi e stret- ti per i viterbesi. Non potendo avere concordia i viterbesi a petizione del re Carlo tr assono del collegio de^cardinali messer Matteo Rosso e mes- ser Giordano cardinale degli Orsini. Col Villani lib. enz{i conte. Tal è il principio della lettera che rispose il re (Jarlo al re Pietro, Pa- re impossibile, che esso Carlo non abhia qui, posto fra'liloli suoi quello di Conte d\lngiò, che aveva in- nanzi di esser re. Trovaiulosi però un tal titolo nel Vil- lani, che pur riferisce la lettera ( lib. 7 cop. 72 ), con- vien credere che sia stato tralasciato dalla negligenza de'coplsti : e quindi ve lo riporrei così : U' Angiò e di Folcacchieri e di Provenza conte. Ivi. E prese ventinove gtilre grosse cinte. Adot- terei senz'altro la buona lezione del Villani, proposta Istoria dei. Mauspini ì(^j pure dal Benci, cioè : E prese ventinove tra galee grosse e trite. Gap. CCXXIX. Nel detto anno i lucchesi guel- fi guastarono e arsono il castello di Pescia in l^al- dinievole, perchè tenea parte d'' impero e non vo- lea ubbidire sotto la signoria di Lucca. Se ad al- cuno paresse forse alquanto strana la frase ubbidire sotto la signoria, sappia che il Villani lib. y cap. 76 dice : E non volea ubbidire^ ne stare sotto la si- gnoria di Lucca. Ivi. Quando foste tornò a Lucca, a' fiorentini fu data e fatta villania dal popolo di Lucca. Il Villani ci dà, come credo, la vera lezione dicendo : fu detta e fatta villania. Cap. CCXXXI. E questo trovato, si cominciò per i consoli delVarte di Calimala, grandi e popò- lani e mercatanti, e la maggior parte amatori di parte guelfa e di santa chiesa. Il Malispini ha nar- rato nell'antecedente periodo, che nelTanno 1282 , per molte cagioni e massimamente per quella che a' potenti guelfi più non piaceva la consortpria de^ ghihi Uìni, fu annullalo rufficio dc'quuttonlici buoni uomini, che il cardinale Latino degli Orsini aveva de- putato al governo della città di Firenze. Chi fosse- ro gli autori di quest'annullazione, lo dice chiaro il Villani lib. 7 cap. 7H : E questo trovato e movi- mento si trovò per li consoli e consiglio delTarte di Calimala. Sicché nel passo qui sopra recato dèi Malispini la virgola dopo trovato è mal posta. In- fatti non è vero che si desse principio dal fare i tre priori togliendoli dall'arte di Calimala; ma si è cer- to che furono scelti per la prima volta nelle arti in- sieme di Calimala, del cambio e della lana. igB Letteratura Ivi. E a dati anziani fu ordinato sci berrò-- Vieri f sei messi per richiedere i cittadini. E que- sti priori col capitano del popolo aveano a gover- nare le gravi e gran cose del comune. Non so co- me Glacotto Miilispini ( il quale, incominciantlo da questo luogo, continuò la cronaca del suo buon zio Ricordano ) abbia poi dello anziani., mentre poco ap- ,])resso dice priori, com'era infatti il titolo di quella magistratura. Priori, così prima come dopo, ba pure il Villani, elle seguitò a copiare gli scritti di Giacot- lo, non altrimenti che fatto aveva di quelli di Ricor- tlano. Gap. CCXXXII. ^l quale ( Gianni ti' Appia ) Ju data per tradimento e moneta Faenza per Tebal- do de'' Manfredini di quella terra. Questo traditore è troppo nolo sotto il nome di 7'ribaldello, o Tebal- dello, nella divina commedia, perchè possa errarsi il suo casato, che fu de' Manfredi ( come ba pure in due luoghi il Villani ) e non de'Manfredini. Uomo veramente scelleralisslrao, e a gran giustizia dannato dall'Alighieri in quel luogo d'inferno, ove si tormen- tano Buoso di Duera e Gan di Maganza. Oh abbiasi costui una eterna infamia nell' eternità de' versi del maggiore italiano, ad esempio di coloro che agli stra- nieri vendono la pallia! Né Tribaldello potè godere i frutti della sua perfidia : che in quella fazione, andato co'francesi a combattere Forlì, anch'egli cadde, ahi di troppo onorata morte ! in mezzo a tanti valorosi, e forse a'fianchi del poeta provenzale Arnaldo Daniello, «t Ma i forlivesi preso il corpo di Tribaldello, cono- » sciulo da loro, l'appiccarono per li piedi, e dopo » ne fecero quarti, appendendoli ne'luoghi pubblici » per pascer gli occhi del popolo. » Gosì dice Ber- IsTa^niA DKL Mai.ispini rgQ nardino Baldi nella narrazione di quel falto pnhMi- cata in Pesaro il i82C)dal celebre amico mio conte Terenzio Mamiani della Rovere. Ivi. E parte della sua gente lasciò sotto la guercia schierali, coni'era stato Vordine e la posi- tura de^rancesi. Le parole Vorc^ne e la positura mancano nel Malispini: e sono state aggiunte dal Beli- ci, toltele dal Villani lib. y cap. 80. Ed egli fece ot- timamente: salvo ohe avrei scritto postura, come scri- ve il Villani , e come più comunemente scrivevano gli antichi : tanto più che il vocabolo parmi in que- sto luogo significare deliberazione segreta e fraudo- lente, anziché positura. Ivi. E come s''appressò, diede del bastone nel- la lancia che portava in mano, e lettogliela da dos- so : e passando oltre, il prese a braccio e levollo della sella, e di sua man Vuccise. E modo, secon- do che parmi, assai strano nella nostra lingua il dire levar da dosso ad uno la lancia , in vece di levar- gliela dalle mani, o fargliela cadere a terra. Ne qui credo ch'esso sia legittimo del Malispini : osservan- do che tutti i testi della sua cronica hanno levossela di dosso, come ha pure il Villani. E vuoisi intende- re, che mossosi il coraggioso fiorentino Baldo da Mon- tespertoli colla lancia in resta contra Giovanni d'Ap- pia per liberare Romagna da quella francese arrogan- za, questi, vedutolo venire a cavallo e a corsa, col- Velmo in capo e colla lancia abbassata, con un ba- stone che aveva in mano percosse gagliardamente nel- la detta lancia del fiorentino, e così ( userò la frase del Villani ) levollasi di dosso, cioè la sviò dal suo petto. Alla guisa medesima il buon Tancredi, nel can- 200 Lettekatura to XIX st. i4 tlella Gerusalemme, fece di un graa colpo che menogli Argante : Mentre il latin di sottentrar ritenta^ Si'iando il ferro che si vede opporre ; yibra argante la spada, e gli appresenta La punta agli occhi : egli al riparo accorre. Gap. GGXXXITI. E signoreggiavano la Sar- degna e Corsica e V Elba. Forse, e la Corsica. Ivi. E come valenti uomini ( i genovesi ) Jecio- no ordine di non navigare i legni grossi, se non in galee sottili. Seguirei la lezione, che qui parml cer- ta, del Villani lib. j cap. 83, il quale dice in le- gni grossi. Gap. GC XXXIV. E in Firenze fece tre ca- valieri di Bondelmonti. Dicasi pure de^ Bondelmon- ti, come dice ragionevolmente il Villani. Ivi. E per simile modo passarono per Firen- ze a dì 2^ di novembre il conte d^ Alansone fra- tello del re di Francia , il quale il re Francia ìnandava per aiuto al re Carlo. INfon parmi possi- bile questo sì grosso errore, il conte d' jélansone pas- sarono. Né il Malispini Gommiselo, ove osservisi che il Villani, lib. 2 cap. '61^, dice essere stato il conte d'Alansone con molti baroni e cavalieri. Scriverei dunque sicuramente : E per simile modo passaro- no per Firenze a dì 22 di novembre il conte Quando senza spezzar ne aprir la porta » Del bel crislallo, ov'era chiuso intorno, » Volse uscir fuor per fare al mondo giorno » Quel Sol che sempre gli è fidata scorta; tt La Castità, benché si fosse accorta » Che l'era onore, e non vergogna e scorno, » Il suo venir, più timida al ritorno » Le si fé incontro pallidetta e smorta. Qui la Castità, secondo che parmi, è quella che va incontro al mistico Sole ; e perciò crederei che do- vesse dirsi Gli si fé incontro. Tre graziosi intagli adornano il libro : il primo ci dà il ritratto di Vittoria , tolto da un quadro della galleria Colonna, il quale dicesi dipinto pro- babilmente da Girolamo Muciano, che forse in es- so copiò un altro quadro più antico : il secondo ci dà le quattro medaglie coniate in onor di lei men- tre che visse: il terzo la nuova medaglia, che la splen- didezza del principe D. Alessandro Torlonia commi- se al valentissimo incisore Pietro Giroraetti, parimen- te colla famosa immagine, per farne un presente di amore a quel fiore di bontà e gentilezza di D. Te- resa Colonna sua sposa, che , tenerissima di questa gloria immortale di sua famiglia , aveva mostrato sì gran desiderio di vederne pubblicate dal cav. Viscon- ti la vita e le opere , le quali carissimamente gradì che le fossero intitolate con un assai leggiadro poe- metto proemiale. Né ciò solo fece il principe D. Ales- sandro : ma sì a sue spese, e con signorile magnifi- cenza di carta e di caratteri, volle ch'escisse un'ope- ra tanto onorevole a'Colonnesi, non meno che a Ro- ma. Egregia lode della nobiltà del suo animo ! La qua- 2 28 Letteratura le tanto più cortesemente egli riceverà dal mio lab- bro, quanto che io, come ognun sa , non sono uso lodare i magnati ed i doviziosi per ciò solo che so- no doviziosi e magnati. Salvatore Betti. Agli allievi della scivola agraria di Pesaro nel di 24 di novembre 1842, distribuendosi loro il premio annuale di due medaglie dato dal gO' verno di Sua Santità ed implorato dall'acca- demia. Discorso del conte Giuseppe Mamiani della Rovere uno de^censori. GIOVANI EGREGI^ sommi reggitori e moderatori di Atene, allorché statuirono clic di tre ginnasi fosse provveduta la cit- tà: che lino fra quelli si erigesse in liceo : che a tutti dovesse magistralmente presiedere il ginnasiarca dai suffragi dell'intera nazione prescelto; intesero a for- mare uomini valorosi, che in mezzo allo stadio olim- pico si preparassero alle vittorie di Platea e di Ma- ratona, cittadini sapienti ed illuminati che viva ser- bassero la gloria di Solone, e grande e immortale la celebrità dell'Areopago. Né già delusi od ingannati s'andarono que'magni; che senza ridire adesso i tanti allori de'quali adornossi il Pireo, le tante palme di cui fregiossi l'accademia, basterà solo di rammentare Discorso del Mamiani 229 come per quelle savie e dottissime istituzioni si fece abito e costume di tutti il rendersi benemeiiri della città; talché ogni giovane, al diciottesimo anno di sua età pervenuto, giurava nel tempio di Agraula e innan- zi all'ara di lasciare Atene più florida di quello che l'avesse trovata. Tutta Grecia ( al riferir di Plutar- co ) bandiva un giorno di festa allorché i suoi figli ascrivevansi all' ordine de' cittadini, o giunti all'età convenevole davano pubbliche prove de'progressl fatti negli esercizi del ginnasio. Ed oh noi bene avven- turati, se a quegli esempi luminosi informandoci, pos- siamo per la civiltà de'tempi, per le cure de'maglstra^ ti, per la munificenza del governo, in questa parte emulare la più nobil repubblica dell' universo ! A voi, o giovani valorosi, venne aperta la scuola di Pal- lade, per moderatore assegnato un intero corpo acca- demico, a voi la prosperila della patria come quella del proprio suolo caldamente raccomandate ! Ed af- finchè ciascuna cosa somigli al gran modello di Ate- ne, voi siete oggi invitati ad esser gli efebi di questa città; non più nel tempio del Dio ignoto, ma qui d'appresso all'ara santissima del Dio uno e trino, al cospetto di chi regge il vessillo municipale, solenne- mente chiamati a giurare che non lascerete l'intrapre- so cammino, ma suderete piuttosto a prò de'vostri con- cittadini, al vantaggio delle vostre famiglie, al perfe- zionamento di quell'arte primitiva degli uomini, che nata sui campi, e pei campi cresciuta, oggi s'innalza al rango illustre di scienza, e già onora del suo gran nome le scuole, i senati, il trono. Senonchè ad altra e forse più lieta cerimonia ci chiama la luce di questo giorno, la gravità di questi luoghi, la presenza di que- sti magistrali. Che vuol dire quella doppia corona in a'óO LETTERATtJRA prezioso mefallo scolpita ? C.lie significa quel sorriso che io vedo trasparire sui vostri volti, quel dcsltleiio che a stento ritenete in voi slessi, o giovani e:gregi e caldissimi di rinomanza e di lode ? Intesi : qui si tratta di merito e di ricompensa; e giusta cosa ella è, che imitando le feste dei circhi là nella terra dei Milziadi, dei Temistocli, degli Alcibiadi, riconoscente la patria offra ai vostri sudori e premio e lode e rin- graziamento. Ma prima di ricevere con doke compia- cenza quel segno d'onore, ponete mente allt; qualità intrinseche del merito e a quelle della ricompensa. Debbe il primo , per le teoriche del Gioia, riuni- re in se stesso la difficoltà vinta , il fine disinte- ressato , l'utilità prodotta , la convenienza sociale; deve la seconda mirare all' indole d' alcuni servici . allo scopo di alcuni altri , alla qualità delle perso- ne, alla natura e alla parsimonia dei mezzi. La for- za de' segni onorifici aumenta in ragione della di- stanza fra l'onorato e l'onorante; a misura che si di- rige più alla persona che all'ufficio; a mano che cre- scono gli argomenti del merito e della giustizia in distinguerlo. Or ciò premesso, meritaste voi, o gio- vani egregi, della patria ? Per certo che sì; i , per- chè vinceste gli ostacoli dell'ozio, dell'invidia, della pusillanimità: 2. perchè produceste l'utile vostro, e in conseguenza quello de'vostri concittadini : 3. per- chè fuvvi l'intensità dell'opera: 4, perchè sarà per esservi, e lo speriamo, la durata dell'impresa. Il go- verno adunque di Sua Santità e l'accademia agraria vi rimunerano non pur di tanto, ma superano anzi (per- mettete che il dica) generosamente il merlato. In fatto vi donano, i. il distintivo che non accordava la repub- blica di Roma ai cil ladini giammai, sibbene alla città. Discorso del Mamiani 23 t 2. Ve lo accordano nelle sale del pubblico. 3. Per mano del vice-presidente accademico. 4- -^1^^ presenza del vostro direttore e maestro. Che se particolarizzare io volessi a riguardo delle medaglie^ direi che la bra- ma di sopravvivere a se stessi, la scontentezza risul- tante dall' essere la fama attuale inferiore ai nostri desiderii, la diffidenza di una condizione sempre va- riabile , il bisogno di rintuzzare con la sensazione della vista i discorsi dell'invidia, rendono pregiabi- lissìme le medaglie che in tutti i tempi furono co- niate ad onore degli uomini benemeriti sì civili e sì militari. I vantaggi di quel premio sono la durata del segno, l'economia dell'esecuzione, la prontezza della pubblicità, la suscettività dell'essere variato a secon- da dei casi. Le medaglie navarchides de'romani fe- cero insuperbire Tiro, Sidone, Leucade, Siracusa; il duca di Cumberland e il re della Gran Bretagna fu- rono a' nostri giorni premiati di una sola medaglia dalla scientifica società di Londra; e la Grecia, più povera ma più grande, donava ai vincitori dei ludi e a'cittadini operosi le verdi invidiate frondi dell'appio, dell'olivo e dell'alloro. 232 Atene nel 1841. PRIMA MIA IMPRESSIONE. D 'opo un viaggio marittimo di tre giorni fatto so- pra una barca peschereccia, in un con due inglesi e l'amico mio Massimiliano dei marchesi Treccili; do- po avere cento volte invocata la terra, e nel furore dell'onde tremato di mia vita; io toccava finalmente la terra dell'Attica, terra ricca di glorie e di sventu- re, di avvilimenti e di trionfi, di vittorie e di scon- fitte, di virtù e di delitti. Erano le due pomeridiane; ed entrato nel porto del Pireo, quanto mai lo tro- vai diverso da quello che fu nei tempi antichi ! Al- lora uno sterminato numero di navi mercantili e guer- riere, una moltitudine grandissima di cittadini e stra- nieri; allora tempii, archi, teatri e portici, adorni di statue, di hassìrilievi e di quadri , lavorati da som- mi artisti, e che venivano avidamente comperati dal- lo straniero per farne mercato nei paesi culti e civi- li. Ora il Pireo presenta al viaggiatore un'affliggen- te solitudine , vi è scomparsa ogni traccia di antica grandezza : il suo porto non offre che scarso numero di navi, non più un monumento, clie ricordi le pas- sate sue glorie : la stessa tomba di Temistocle invo- Atene 233 cala dal navigante, siccome buon augurio, è coperta dalle onde del mare, che continuamente battendovi sopra hanno consiinialo e colonne e statue e ogni al- tro adornamento. Ma Temistocle vive nella memo- ria dei popoli, vive nelle pagine della storia, e il suo nome non potrà andar mai disgiunto da Salamina , luogo che io dal Pireo contemplava estatico , e dal quale non sapevo dimovere lo sguardo. Dal Pireo m'incamminai ad Alene, lontana an- cora otto stadi : rovine ricordanti vittorie e sconfitte, k tomba modesta del prode Karaisckakl, olivi e blon- deggianti campi fiancheggiano la spaziosa via, frequen- tala un tempo dalla scelta gioventù di Grecia , che gareggiava nella corsa e nella pompa su generosi de- strieri : ora scorsa solamente da poche carrozze e da conladini, traeutisi innanzi, carichi di rurali stromen- ti, prosaici animali. Durante questo breve cammino si ha quasi sempre dinanzi allo sguardo l'Acropoli , e la città non si vede, finché non si giunge ad essa; imperocché l'altura dell' Areopago ne forma impedi- mento. Chi mai al primo vedere Atene potrebbe di- re a sé slesso : Questa è la città descritta da Pau- sania ? Questa la città, che Cornelio Nipote disse la più grande e maravigllosa del mondo ? La città d'on- de ne sono venute le lettere, le scienze, le arti, la civiltà ? Non é più quella; Atene non ha che rimem- branze. Nondimeno i resti d'antichità, che incontransi dovunque, sulle piazze, sulle vie, nei campi, entro le case e gli orli, non che sulle pareti di moltissimi edifici, annunciano ancora ch'essa fu grande. Io am- miro Atene, e l'amo , siccome innamorato garzone : emmi diletto il trovarmi in essa. Quivi ogni passo , che io mova, mi desta una memoria, mi ricorda un 234 LETTERATUnA uomo grande : tutto mi parla al pensiero, tutto m'ì» spira. Or lieto ed ora piacevolmente melanconico > mi arresto là dove sorgeva il Pnice, luogo destinato alle pubbliche adunanze; è da questa tribuna che mi si presentano al pensiero , come se fossi fra essi , e Pericle, e Alcibiade, e Domostene, allora quando fa- cevano tuonare la loro voce dinanzi ad un popolo leggero e turbolento. Qui vennero ingiustamente sen- lenziati e Milziade e Temistocle e Focione e Ari- stide, non che altri magnanimi, ì quali mostrarono essere retaggio degli uomini grandi la sventura. Ora mi arresto nel luogo, dove sorgevano le tombe famo- se dei due Cimoni, di Tucidide e di altri valenti; ora sui ruderi dell'Areopago, in cui tuonò la voce di Pao- lo, predicando agli attoniti ateniesi il Dio a loro sco- nosciuto. Egli è da questa altura, che il mio sguar- do cerca il luogo ove sorgeva il museo, che un tem- po risuonò dei carmi del poeta dello stesso nome can- tati sulla lira; dove i macedoni, Mitridate , Siila e Maometto si soffermarono per assediare la cittadella; di dove Morosini lanciava la bomba, che fece in par- te crollare il Partenone , dalla musulmana barbarie tramutato in una polveriera. Inoltre ammiro il luo- go del torneo , dove la greca gioventù esercitavasi nelle fatiche di Marte; e appresso una spelonca ar- tificiale, dove i vinti correvano a nascondere il loro rossore, e dove presentemente qualche innamorata don- zella nel silenzio della notte corre ad invocare il dio Amore. Le colonne grandiose del tempio di Giove Olim- pico, l'arco di Adriano, i resti del teatro di Bacco, il monumento coragico di Lisicrate, la torre dei venti, gli avanzi del Pecile, in cui Temistocle era tenuto Atene 235 Jeslo dai trofei di Milziade, e il tempio di Teseo, so- no cose tutte, che altamente arrestano la mia atten- zione; ma nessuna piìi che l'Acropoli, dove tutto è grande , tutto imponente. Da quest' altura si ha di- nanzi un grandioso panorama : il mare colle sue ste- rili isole, il triplice porto del Pireo, Salamina, Co- rinto, il monte Imeto, il Penlelico, e seduta al basso, Atene. Oh ! veramente la capitale della Grecia rige- nerala, messa a confronto con quella che fu negli an- tichi tempi, si offre allo sguardo come cadavere; ma cadavere, che, al pari delle ossa vedute nella visione da Ezechiello, si anima sotto il potente soffio della ricuperata indipendenza. Atene non è più recinto di capanne, qual fu fino al cominciare della insurrezio- ne : non è più governata da un Selim, né più risuo- na di lamenti e fuma d'incendi , come avvenne tre lustri sono; né finalmente vive più in mezzo il ter- rore e l'ignoranza : ma è città, che tutto giorno ve- de accresciuti i suoi fabbricati , abbellite le sue vie e le sue piazze; in es»a vivono tranquilli i suoi cit- tadini, governati da un re e da proprie leggi. Atene I oh il grande teatro per il profondo ingegno ! per l'uo- mo di grande dottrina ! Alla vista di tanti monumen- ti l'anima s'infiamma, e i racconti debbono risentire delle profonde sensazioni, che in essa si provano. Gre- cia, Atene, sono due nomi che innamorano : e come altrimenti, se questo è il paese dai verdi monti, dal- le maestose valli, dalle zampillanti fontane, dove mai sempre sorride un vivido cielo ? Se è il paese, dove le madri, le spose, le sorelle, le fidanzate amano più che altrove; se è la terra, in cui il cittadino nutre amor di patria e desiderio di gloria ! E l'amor ch'io ho per la Clrecia, che mi tiene di essa occupalo, e che me 236 Letteratuiia la fa studiare nelle sue glorie e nelle sue sventure. Quindi io nel presente scritto mi vo trattenere di Atene, esaminandola nel passato e nello stato attua- le ; mi vo trattenere della Grecia , considerandone i costumi , la religione, l'indole e il carattere degli abitanti, l'industria, il commercio, la coltura, il pro- gresso nelle lettere e nelle scienze. Tali cose in bre- vi parole vo esponendo , se non mi fallisce il pen- siero, in questo mio qualunque scritto : il quale se non ha alcun merito, quello avrà certamente di aver fatte conoscere all'Italia molte cose di Grecia, che erano assolutamente ignorate o mal conosciute. II. CENNI STORICI D ATENE, Atene deve sua origine ad Ateneo figliuolo di Cranao. Il racconto non è scompagnato dalla favo- la, e come tale lo esponiamo. Volendo Cranao cam- biare il nome a questa città dell'Attica, che chiama- vasi Cecropia , fu visto il mare uscire dal suo lido e nella fortezza spuntare un olivo : della qual cosa consultato l'oracolo, fu data risposta che l'olivo rap- presentava Minerva, il mare figurava Nettuno, e che il re alla città doveva dare uno di questi due nomi. Fu data preferenza a Minerva, che da' greci veniva chiamata A$r]vx» Negli avvenimenti favolosi non gio- J va l'andare in traccia di altra origine, e dimostrare ' se questa sia slata la vera. Per cui io non mi arre- sto a parlare di questa famosa città sotto Teseo e sotto Mnesteo, a'tempi del quale avvenne il grande asse- A T E If E 237 dio di Troia; dirò solamo?nte che Codro fu l'ultimo re di Atene, e che dopo lui gli ateniesi furono go- vernati dagli arconiti , fra cui giova ricordare Dra- gone, il quale promulgò leggi sì severe, che furono dette scritte col sangue. Vennero poscia le leggi di Solone, l'usurpazione di Pisistrato, il quale fu tiran- no di Atene per diciotto anni. Atene non diventò fio- rente se non dopo la battaglia di Maratona, e quella, dieci anni dopo, di Salamina, nelle quali il nome de- gli ateniesi divenne grande in tutto il mondo. Allo- ra uomini insigni nelle lettere, nelle arti, nelle scien- ze e nella spada : allora molte città divennero tribu- tarie ad Atene , la quale era ingrandita per modo , che gli spartani ingelositi suscitarono contro di essa nemici, e scoppiò in siffatta maniera una guerra, a cui prese parte tutta la Grecia, e che durò pel vol- gere di vent' otto anni. In questa circostanza Alene cadde in potere del nemico: e sarebbe stata smantel- lata, se il consiglio degli spartani non avesse trion- fato di quello de'lebani. Vennero quindi i trenta ti- ranni, ma essi indi a poco dovettero cedere luogo al governo popolare : e Atene s'ingrandì ancora, ma per ricadere a' tempi di Alessandro il macedone : morto il quale, tornò alla sospirata libertà, cui dovette nuo- vamente perdere per essersi mostrata ingrata a Deme- tria, che gliel'aveva ridonata. Finalmente dopo mol- te altre vicende venne in potere dei romani, che ca- pitanati da Siila la presero e saccheggiarono. A far risorgere questa città ridotta in rovina ac- corse la sua fama, che godeva come sommamente dot- ta nelle arti e nelle scienze. In quella circostanza fu- rono veduti molti accorrere nell'Attica e far risorge- re la città di Teseo; e mentre le aquile romane pò- 238. Letteratura savano sul Partenone, un gran numero di poeti, di filosofi , storici e artisti erano accorsi sul Tevere e- vi ammaestravano i romani , i quali si diedero con tanto amore allo studio, che intorno al camj)idog,lio. e nel foro di Roma udivasi comune la lingua di Pla- tone e di Demostene. In tal maniera trionfarono del- le menti dei romani, quando questi trionfarono del- le forze dei greci; ma la vittoria di questi è piìi gran- de ed è più ammirabile della vittoria di quelli. E la estimazione per gli aieniesi fu sì grande presso i la- tini, che molti degli imperatori gareggiarono nel ri- colmare di onori e di beneficii la città di Atene; così essa potè risorgere e tornare in splendore. E il prin- cipale suo benefattore fu certamente Adriano, il qua- le ambi di essere chiamato il restauratore della città di Teseo. Ma essa dopo di aver vedute novellamen- te costrutte le sue mura sotto di Valeriano, dopo di essersi alquanta riposata sulla sua prosperità, improv- visamente si vide assalita da'barbari, i quali portaro- no di poi la rovina anche all'impero romano. L'At- tica sotto Claudio fu invasa dagli sciti, e cinquant'an- ni dopo dai goti condotti da Alarico , il quale nel ScjS impadronissi di Atene, che per non incontrare mali maggiori spontaneamente gli aperse le porte. In quel tempo avveniva la divisione dell'impero roma- no: e sotto i monarchi bizantini vediamo Atene ri- cordata soltanto dalle storie ecclesiastiche. Portato il cristianesimo nell'Attica dall'apostolo Paolo , che vi stabiliva vescovo Dionigio, colui che aveva converti- to predicando nell'Areopago, furono vedute suscitarsi contro di esso terribili persecuzioni ; per cui anche Atene e l'Attica vanno gloriose dei loro martiri. Ne- gli,orti dell'accadctnia leggevansi l'evangelo di s. Mat- A T E N B 23q leo e le epistole di s. Paolo, le quali furono vedu- te tuolHplicarsi per opera dei caligrafi. Ma il cristia- nesimo in Atene progrediva lentamente; eran troppe le statue e gli altari delle bugiarde divinità, e il po- polo le amava e come ammirabili monumenti dell' arie , e come allettatrici delle umane passioni. Per cui se negli altri paesi colla predicazione degli stessi apostoli si videro improvvisamente tramutare i tempii dei falsi numi in cbiese del Dio vivente; nella città di Atene ciò non avveniva die nel quarto secolo. Al- lora Atene diventò metropoli della chiesa cattolica in Grecia, e i beni che possedevano i sacerdoti pagani passarono a servire di sostentamento ai sacerdoti del cristianesimo. Nel secolo decimo terzo si presenta nella storia civile nuovamente Atene , e precisamente al tempo della quinta crociata. Costantinopoli era caduta in potere dei franchi, e nel 1208 vi veniva incoronato imperatore Balduino IX conte della Fiandra, il qua- le, onde ricompensare coloro che si erano distinti in quell'impresa, dava a'veneziani l'isola di Candia, la Tessaglia e la Morea a Bonifacio di Monferrato; A- tene e l'Acaia a Ottone della Roche, il quale ne fu investito col titolo di Megaskir, e dovette sostenere guerra contro Guglielmo di Villardovino, nella quale fu vinto, e in tal maniera dovette giurare fede ed ob- bedienza al principe della Morea. Ottone andato a Parigi, ottenne dal re di Francia il titolo di duca di Alene; e tornato nel suo dominio, mostrò molta pru- denza ed accorgimento nel governo, e colla spada e coi consigli non cessò di giovare alla causa dei fran- chi. Ma fu breve la sua dinastia: imperocché alla ter- za generazione si estinse, e in tal maniera il ducato 24o LSTTERATURA dì A.teue passò nelle mani di Gualtiero di Brrenne, d'illustre famiglia della Borgogna. Questi, omle difen- dere il suo ducato dalle vessazioni e dalla prepoten- za dell'imperatore di Bizanzio e di Arta signore dì Blanquì, ebbe ricorso a' catalani, che stanziavano nel- la Sicilia, avendo seguito la causa di Federico d' \- ragona. Questi soldati erano feroci, avidi di predare; e nei paesi, dove mettevano il piede, tutto sacelieggia- vano. Allorquando furono cliiamati da Gualtiero duca di Atene, essi erano §i;i stati al servigio dell'impero gre- co, dove avevano portato guasti orrendi : ma comun- que fossero, pronti ad ogni cimento, perchè avessero di che mangiare, eglino furono di un grande aluto al duca di Atene, il quale per tal mezzo potè da prin- cipio trionfare de'suoi nemici. Ma di poi fu nella tri- sta condizione di dovere combattere contro gli stessi catalani, onde disfarsi di loro. Questi avevano piati- talo il campo sulle rive del Cefiso, cui avevano for- tificalo con fosse ripiene d'acqua. Datasi poi la bat- taglia, cli'ebbe luogo negli orti dell'accademia, i ca- talani furono vincitori, s'impadronirono dell'Attica e di Atene , dove vennero in possesso della stessa Acro- poli. E in questo fatto d'arme fu sì grande la fero- cia di questa indisciplinata milizia, che nessuno dei nemici fu risparmiato. I catalani dominarono nel- l'Attica pel volgere di un secolo e più : il figliuolo di Gualtiero di Brienne invano domandò l'assistenza dei principi di Europa. Furono diverse volte manda- te truppe onde soccorrerlo e rimetterlo nel ducato di Atene a lui dovuto; ma sempre tornò vana ogni im- presa. Lo stesso pontefice Giovanni XXII ascoltò le preghiere dello sventurato figliuolo ramingo , e col- l'arrai spirituali fulminò i catalani e inlimò contro di Atene 24' essi una crociata; ma anche questi mezzi non giova- rono. Così i catalani tennero l'Attica, finché dopo mol- tissime sventure e molte desolazioni venne in pote- re di una ricchissima famiglia fiorentina, chiamata Ac- ciaiuoli, la quale poi la cedette alla potentissima re- pubblica di Venezia. Ma questa la tenne per pochis- simo tempo: imperocché Antonio Acciainoli figliuolo naturale di Raineri, che l'aveva ceduta a' veneziani, giunse a stabilirvisi e vi lasciava di poi Neri. Cor- reva 1' anno di nostra salute i44^ » ^ Maometto II piantata l'odrisia luna sulle mura di Costantinopoli, la rovina della quale trasse seco quella dell' impero greco, ben tosto impadronissi di Atene , chiamatovi da Franco, onde spogliare la vedova di Neri, la qua- le fu rilegata a Megai'a, ove fu avvelenala. Sotto il fe- roce dominio de'musulmani Atene passò nell'eccesso della sventura: in mezzo alle sue rovine nessuno vi ave- va che la consolasse : se qualche ingegno possedeva ancora , fu visto tosto andarsene ramingo in occi- dente a cercarvi mecenati e ospitalità. Finche nel se- colo decimo settimo Francesco Morosini, prode guer- riero della veneta repubblica, avendo conquistata la Morea, volse il suo pensiero alla conquista di Atene, onde in tal maniera assicurarsi una comoda stazio- ne nel bellissimo porto del Pireo. I primati greci ac- colsero con grandissimo trasporto il veneziano duce, e gli diedero ogni possibile informazione , onde con sicurezza potesse condurre a buon termine la bella impresa. Morosini sbarcava al Pireo con otto mila fan- ti e ottocento settanta cavalli, e dopo cinque giorni incominciò ad assediare l'Acropoli, dove erano i mu- sulmani ritirati. Moltissime bombe si lanciarono con- tro quel grandioso monumento di belle arti: ma una, G.A.T.XCIII. i6 94.2 Letteratura lanciata la sera del 20 settembre, fece saltare in aria una parte del Partenone, che da'turchi era stato cam- biato in una polveriera. Il pachà e suo figliuolo vi rimasero uccisi; per cui i musulmani pensarono a ca- pitolare, ed entro cinque giorni abbandonarono l'Acro- poli; e dando la libertà agli schiavi e a' prigionieri, montarono sopra le navi (diritto che si erano serbato nella capitolazione), e in numero di tremila naviga- rono a Smirne. Le fortificazioni dell'Acropoli furono distrutte dai vincitori, e i diciotto pezzi di cannone ivi trovati furono trasportati al Pireo. Ma questa con- quista de'veneziani fu di nessun giovamento per A- lene: imperocché i cittadini ne furono dispersi a Sa- lamina, a Egina e altrove, ed essa, colla partenza del Morosini, nuovamente cadde in potere dei turchi , i quali la possedettero fino all' ultima e terribile rivo- luzione. Nel 1822 i greci giunsero ad impadronirsi dell'Acropoli e della città, la quale non era poi che un mucchio di capanne, custodite dal feroce gianniz- zero : per quattro anni ne rimasero padroni. Ma Red- scbild-pachà, avendo volto contro di essa poderose forze, bloccò la cittadella, che non ostante una di- sperata resistenza, dovette arrendersi. In questa cir-r costanza i greci ebbero un' orribile disfatta al Capo Colias, dove venne ucciso il prode Karaisckaki, la cui morte mise la costernazione fra i greci. Atene rimase «otto la musulmana dominazione fino al marzo del j833, nel qual tempo vi entrarono le truppe del re. Ora che abbiamo vedute in un rapidissimo cen- no le vicende di Atene, mi affretto a fare una descri- zione 4elle sue rovine, onde il lettore possa argomen- tare quale fu un tempo, e qual è presentemente. Atene a^Z in. DESCRIZIONE DELLE ROVINE DI ATENE. I monumenti in Atene , di cui ancora restano rovine più o meno imponenti, sono il tempio di Te- seo, il Pecile, la torre dei venti, il monumento co- ragico di Lisicrate , l'arco di Adriano , il tempio di Giove Olimpico, il teatro di Bacco, l'Areopago, la porta dell'Agora e l'Acropoli; rovine che non posso- no, che altamente fissare l'attenzione dello straniero che move a visitarle. Non vi ha monumento così bene conservato come il tempio di Teseo, il quale merita attenzione anche per la sua architettonica bellezza. Intorno alla erezione di questo tempio, che sorge in un colle alquanto fuori della moderna Atene, Plu- tarco scrive , che dopo alcuni secoli dalla morte di Teseo gli ateniesi credettero vedere sui campi di Ma- ratona l'ombra di questo eroe , che gli guidava alla vittoria. Onde consultato di poi 1' oracolo si ebbero a risposta, che dovessero trasportare le ceneri del pro- de guerriero dall' isola di Sciro , onde collocarle in un santuario. Ciò venne fatto da Cimone figliuolo di Milziade: e il trasporto di quelle spoglie mortali fu un grandissimo avvenimento per Atcì.^, la quale, on- de eternarne la memoria, instituì pubblici giuochi e grandi feste. Venne quindi innalzato il tempio, che consacrossi al divinizzato eroe: tempio, del quale fu architetto Micene, che in tutta Grecia era conosciu- to nell'arte sua valentissimo. Questo maraviglioso e- dificio è tutto di marmo pentelico: una facciata guar- da all'oriente, sulla quale veggonsi in bassorilievo le a44 Letterat ura fatiche (li Ercole , quasi volenti esprimere la sua a- rnicizia con Teseo, le cui imprese sono rappresenta- te nelle parti laterali. La facciata occidentale non fu mai, a quanto si crede, adornata con bassorilievi. Il peristilio, che attornia questo tempio, contiene sei co- lonne in ciascuna delle due facciate , e tredici ne hanno le parli laterali. La sua forma è uguale a quel- la del Partenone , l'ordine è dorico , e di moderno non ha che il tetto, fatto a volta. I greci, divenuti cristiani, nel 667 lo convertirono in una chiesa; e al- lora fu che, onde costruire un altare, distrussero le due colonne, che conducevano al pronao : fu dedi- cato a s. Giorgio, santo al quale gli ateniesi hanno una particolare venerazione. I turchi, diventati pa- droni della Grecia, nel 1660 avevano volto il pen- siero a tramutare questo tempio in una moschea; ma ' i greci poterono arrestare un tale divisamente pre- sentando un ordine ottenuto da Costantinopoli, che lo vietava. Intanto avevano incominciato a guastare alla base due colonne, presso le quali due altre fu-- rono rovinate dal terremoto dell' anno 1807 ; e la colonna dell'angolo nord-ovest fu spezzala nel 1821 da un fulmine dall'alto al basso. In questo tempio io non cercava le ceneri dell'eroe divinizzato, sibbe- ne contemplava i molti oggetti di arte , che vi ha collocato Atene risorta, quasi cambiandolo in un ele- gante museo. Il Pecile era il luogo dove furono dipinti i tro- fei di Milziade dal fratello di Fidia : trofei che non lasciavano prender sonno a Temistocle, il quale im, provvisamente da scapestrato giovinastro , diseredalo persino dal padre , sentissi tramutarsi in eroe, e di ]k mosse infiammato a frenar l'Asia e a rassicurare Atene ^4^ F/uropa. Di questo famoso portico non restano che sette colonne cVordine corintio, le quali hanno i ca- pitelli dì un pezzo solo: e su questi sorgevano al- trettante colonne , come è facile argomentarlo dai buchi, che vi rimangono. Quattro colonne costituiva- no il vestibolo di questo gran portico, ma ora una soltanto ne rimane. Quivi allato si è ora fabbricata una caserma, e nello scavare le fondamenta si è tro- vata un'altra colonna, forse quella, che nel 1780 fu buttata a terra dai musulmani. Una grande par- te dell'antico muro che guarda settentrione è anco- ra bene conservata , ed è tutta di pietre del Pi- reo. Questo portico aveva 876 piedi di lunghezza , e il marmo per la sua costruzione venne preso dal monte Pentelico. Altro monumento ben conservato si è la torre dei venti o la torre di Andronico, di forma ettago- na ; è tutta in marmo, e costrutta di maniera che quattro dei suoi lati guardano i quattro punti car- dinali. La parte superiore, all'esterno , è adorna di otto conservatissimi e bellissimi bassorilievi, i quali figurano i vari attributi dati ai venti. Il tetto è acu- minato, ma fatto in modo che nella sommità van- no a finire, come nel centro , gli angoli delle otto facce ; e su questa sommità stava una banderuola in forma di Tritone, la quale segnava la direzione dei venti, imperocché andava mai sempre a corrisponde- re ad uno delle otto figure, che li rappresentavano. Due porte formano ingresso a questa torre, ai piedi della quale, essendosi scavato tutt'intorno per una pro- fondità di tredici piedi e una larghezza di tre, si può facilmente conoscere, che il livello dell' antica città era di molto più basso di quello che sia presente- 24& Letteratura mente. Scavando si sono trovate delle cavità, che facil- mente non indicano a qual uso servissero : come an- cora presso la porta nord-ovest un cimitero pieno di ossa umane ridotte in cenere. Il che fa credere, che questa torre, quantunque assai piccola, durante i pri- mi secoli del cristianesimo abbia servito di chiesa ; ma sotto il dominio dei turchi fu convertita in una moschea, ove danzavano e urlavano i dervici, i quali con simili cerimonie onorano il loro dio e Maomet- to il gran profeta. Questa torre fu detta da Varrone l'orologio di Cirreste : e sembra che fosse destinata propriamente a indicare le ore, la direzione dei venti e le varie stagioni; e i canali trovati negli scavi re- centemente fatti hanno fatto supporre ad alcuno es- sere avanzi dell'orologio ad acqua, del quale facevasi uso quando il cielo era nuvoloso, e durante la notte. Questo bel monumento di antichità, che presentemente non serve ad alcun uso, trovasi in fondo alla bella contrada di Eolo, ed è staccato da qualunque altro edificio. Il monumento coragico di Lisicrate viene chia- mato dal popolo, e anche presentemente, la lanterna di Demostene; perocché è volgare pensamento che fosse Costrutto dal principe della greca eloquenza , onde consacrarsi tutto allo studio e alla meditazione. Ma seguendo Stuart si viene a sapere ( la cosa non è ugualmente certa ) che Lisicrate di Cecina , avendo a proprie spese data una teatrale rappresentazione , dove quei della tribù Acamantide, cui egli stesso ap- parteneva, avendo avuto il trionfo su tutti gli altri, egli a compenso ebbe un tripode: cosa cosi richiesta dai tempi d'allora. Ed egli , onde eternare la memo- ria di un tanto avvenimento , fece innalzare que- Atene q47 sto edificio, ove collocò il trepode avuto in dono. I resti di questo monumento mostrano quanto esso do- vette essere ammirabile : le colonne sono scanalate soltanto per metà, il rimanente è liscio e alquanto più sottile. Sul terminare del secolo decimo settimo que- sto monumento fu restaurato da un missionario, il quale vi fabbricò vicino una casa, che di poi fu cam- biata in un convento abitato dai padri francescani. Ma ora di questo sacro asilo non vi ha traccia nes- suna: imperocché nei furori della insurrezione greca venne interamente distrutto. Tuttavia il viaggiatore, che muove sul luogo ove sorgeva, richiama tosto al pensiero lord Byron, che vi trovò riposo per alquan- ti mesi, traendo la vita pììi solitaria e bizzarra, men- tre forse in Francia e in Inghilterra si pensava, eh' egli stesse scrivendo qualche poema. Il soggiorno di esso grande poeta in questo chiostro mi veniva nar- rato dal p. Paolo di Ivrea , cui vidi ottuagenario a Costantinopoli: e l'ho creduto di tale interesse, che mi prendo la libertà l'interrompere la mia descrizione delle rovine di Atene , onde farlo conoscere a chi legge queste mie pagine. Nessuno ignora come il grande poeta britanno, dopo di aver riempiuta tutta Europa del gridò del suo nome, dopo cento e mille vicende, movesse in Grecia, essendovi scoppiata la rivoluzione , come per evocare l'ombra delle generazioni estinte, e gemere sul destino dei miseri figliuoli dell'Eliade. Portatosi egli in Atene , recossi al convento dei francescani, ove stavasi superiore il padre Paolo, il quale per la sua età , il sacro suo ministero e la sua dolcezza , trovò moltissima simpatìa nel cantore del Childe Ha- rold, uomo che alle polenti inspirazioni del genio , 2/^8 Letteratura alla grandezza dei concepimenti, alle magnanime a- zioni, unì gli stravizzi di un vivere licenzioso e biz- zarro, 11 pianto e 11 sogghigno, le inezie della vani- tà, i giuochi del fanciullo e le imprese dell'eroe, gli amori dell'uomo onesto e quelli del vizioso, umiltà e orgoglio, calma e tempesta. Questi più volte aveva visitato, durante il suo soggiorno in questa città, i monumenti di Atene : e la sazietà , che nasceva in lui per tutte cose che fortemente il colpivano, aven- dogli penetrato al cuore, e agitalo inoltre dai pensieri della patria, de'suoi, dell'Italia e della Grecia nel suo avvenire, divenne tosto silenzioso e tristo. E in uno di quei giorni per lui sì melanconici, sul tocco del mezzogiorno, presentossi al convento dei francescani e chiese del superiore. Fu condotto nella di lui stan- za, e la sua vista inspirò al buon frate pietà ad un tempo e timore. Il p. Paolo ricordava ancora le pa- role dell'ultimo colloquio avuto col poeta, nel qua- le questi aveva detto che persisteva a restarsi ateo. Il frate alla vista di Byron si alza, e il poeta corren- do verso di lui: « Padre, gli disse, io vi chieggo di per- mettermi di abitare in una delle vostre celle, di sedere alla vostra mensa, di togliermi alla noia, che mi av- velena i pochi giorni che ancor mi restano del viver mio. » Si dicendo, gli strinse la mano chiamandolo suo padre. Dalle ciocche dei capelli , che gli coprivano la fronte, scorreva il sudore, pallido aveva il volto, tremanti le labbra, lo sguardo penoso sì che pareva volesse dire : Abbiate di mia sorte compassione. Si convenne che avrebbe abitato in quel chiostro. Ma di subito il poeta fu assalito da dolorosa rimembran- za ; per cui il frate, quantunque già lo conoscesse, si fece a chiedergli cagione di quella tanta tristezza. Atene 249 Ah ! padre, disse Byron, tutti i vostri giorni si asso- migliano, ma io non cesserò mai di essere viaggiato- re, E non avete una patria ? soggiunse il padre Pao- lo. Se il pensiero di essere da essa lontano è cagio- ne di tanto dolore, da voi dipende il porvi termine : partite da Atene, le mie pregliiere e i miei voli vi se- guiranno fino nell'Inghilterra. — Noa mi parlate d'Inghilterra: amerei piuttosto condurre la catena dei miei dolori sulle sabhie del- la Lihia, che rivedere i luoghi improntali dalla ma- ledizione del mio sovvenire. L'ingiustizia mi ha fat- to l'Inghilterra odiosa: un oceano dividami da essa. Se è vero che l'essenza della vita, che anima si chia- ma, sopravviva alle sue passioni, io mi fo una anti- cipata contentezza di abitarla, questa mia patria, co- me puro spirilo. Ma questo mistero non è conosciuto che da Dio. — Io non voglio rompere, riprese il francescano, il segreto che vi allontana per sempre dalla vostra patria. Intanto, fermo come vi veggo nel pensiero di non volerla piìi rivedere, createvi abitudini, le quali la vostra mente occupando, senza esaltarla, la condu- cano gradatamente alle cose mortali. Iddio 1' uomo creò pel suo bene, e questo sulla terra dobbiamo cer- care : l'intelletto, di che siamo forniti, è lo stromen- to , cui dobbiamo mettere in pratica onde trovarlo. Non è colpa del Creatore, se gli uomini traviati da false dottrine sprezzano il fine della creazione, i loro pensieri consacrando alla ricerca dei misteri, pel qua- li Iddio predestinato non aveva il loro intelletto. Cre- dete voi che la pace del cuore e la salute del cor- po possano avere coloro, de'quali la vita è perpetua- mente in contraddizione con quella del comune de- aSo Letteratura gli uomini ? E dubitando della inGnita potenza di Dio, unica base del bene in questo mondo, si sna- tura la propria origine; e l'uomo, scritto nella lista degli atei, dev'essere necessariamente infelice. — Ateo ! Ateo ! esclamò Byron : è questo dun- que il fine delle vostre consolazioni ! Così dunque accogliete chi chiamate vostro figlio ! Voi dunque vo- lete convincerlo , che non vi ha più bene per lui ! Ministro di Dio, che legge i segreti del cuore uma- no, imparate a conoscere che è sopra le vostre forze il riconoscere un ateo, anche quando la bocca ve ne fa una ipocrita confessione. No, un ateo, in tutta la estensione del vocabolo, è impossibile a trovarsi: l'am- metterne la esistenza è un oltraggiare il dominatore dell'universo, il quale nella perfezione dell'opere sue più belle non dimenticò scolpire in loro il nome del- l'onnipotente autore. La voce di Dio risuona maesto- sa! iw tutti gli angoli del mondo, e nel cuore di tut- ti gli uomini : le passioni , che stravolgono e tutto l'Dvesciano , possono per un movente condurre alla disperazione di mettere in dubbio la esistenza del creatore t ma quando dal fondo di sua coscienza l'ateo ititcrfoga se stesso sinceramente , la certezza di un Dio confonde la sua incredulità: e il sentimento, che tosto riempie il suo pensiero, gli mette innanzi l'or- remlo delitto dell'ateismo. Voi beato , o padre , che Jiel Vostro dolce riposo di una vita senza tempeste, non mai mormoraste contro l'autore supremo ! Voi avete certezza che tutti i soli di vostra senile età bril- leranno agli occhi vostri , come quelli di oggi e di ieri e degli anni passati ! Ma io, gettato sulla terra, co*a« figliuolo diseredato, come nave in mezzo all'o- ceaaoj creato come tutti gli uomini per la felicità e Atene aSi mai non trovarla, vado errando di paese in paese, meco portando nell'anima il germe della mia sventura. Dac- ché la natura sviluppò in me il sentimento di mie miserie, non ho trovato ancora cosa alcuna che va^ lesse a temprarne il dolore. Nudrito dell'odio degli uomini, tradito da coloro medesimi, de' quali para- gonai la dolcezza a quella degli angeli, colpito da uà male incurabile che uccise i parenti miei,, ditemi voi, o uomo della verità , se lamenti siffatti contro Dio scoppiati in seno della disperazione possono caratte- rizzare un ateo e tirare su di lui tutti i flagelli del- la divina giustizia ! Oh ! sventurato Byron ! Se do- po tante prove mortali ti fosse tolta ancora l'ultima speranza di salvezza! Ebbene ... Ma qui la voce del poeta gli spirò sulle labbra : un'altra idea tosto sot- tentrò a questa, ed era relativa allo stato di sua sa- lute, di cui egli disperava, dacché il suo corpo in- cominciato aveva a svilupparsi. Aveva osservato che tutti quei di sua famiglia, toccata quell'epoca della vita, in cui il corpo umano mostra la sua maggiore forza , morirono di appoplesia : e questo fatale ora- colo, emanato dall'addolorato pensiero del poeta, im- periosamente lo agitava. Lord Byron tenevasi continuamente in esercizio, quasi con una specie di furore : e in ciò non aveva altro di mira , che di evitare un eccesso di troppo buona salute , il cui spettacolo incomodo atterriva la sua immaginazione. L' esercizio del cavalcare , il nuoto , la corsa a'piedi, occupavano sovente la sua giornata ; ma in vano cercava guastarsi la salute. Ve- dendo i suoi sforzi inutili, aveva adottalo l'uso dell'a- ceto, di cui beveva in molta quantità. Il dolente poeta, dopo di avere pronunciato la 252 Letteratura voce ebbene ... si stette silonzioso ben un quarto d'ora; quando tutto ad un tratto levossi da sedere, e pieno di vivacità si fece a girare per la camera, ar- restandosi innanzi alle incisioni o alle stampe che la decoravano. Indi a poco accostossi al padre Paolo, e disse : Vi ricordate, che mi avete promesso, fa ora un mese, di darmi qualche cosa che possedete ? — Io posseggo poco, rispose il frate, e quel poco che ho non può interessarvi per nulla : tuttavia mi tengo felice se posso darvi qualche cosa, che valga ad assicurarmi un posto nella vostra memoria; parlate .... Io ricordo ogni parola della vostra risposta, gridò con alta voce Bjron, e voi non potete rifiutarmelo. E sì dicendo si avanzò verso un angolo della stanza, e stac- cando un bel crocefisso, che il padre francescano ave- va portato seco da Roma , lo mise nelle mani del padre Paolo : Ecco il consolatore degli sventurati, dis- se il buon frate : e l'offri a Byron, il quale lo pre- se con trasporto, lo baciò e bagnò di pianto e sospi- rando disse : Padre , questo che mi fate è un gran dono ; le mie mani non lo profaneranno gran tem- po : mia madre sarà tosto la fedele custode del vo- stro crocefisso. E così lieto alquanto il grande poe- ta lasciò il convento, del quale non si trovano ora neppure le rovine. Il p. Paolo vive ancora a Costan- tinopoli, e lo sventurato cantore del Childe Harold moriva nel 1826 a Missolungi, dove la Grecia rico- noscente gli innalzò un monumento accanto a quello del grande guerriero Marco Botzaris. Onorate le tom- be di due uomini grandi ! Tornando ora a descrivere gli antichi monumen- ti e le rovine di Atene, fuori di città, ai piedi del- l'Acropoli, si trova la porta 0 l'arco di Adriano, chia- A T B N E i253 mato anche di Teseo, monumento ornato di colon- ne d'ordine corintio, e tutto formato di marmo pen- telico. Ignorasi forse quale sia stato veramente Io scopo, per cui fu innalzato quest'arco ricordante il dominio dei romani. Due iscrizioni egli porta, l'una greca e l'altra latina : Questa è la città di Teseo^ si legge dall'una parte: Questa è la città di Adria- no , si legge dall' altra. Ecco un monumento , che ricorda la restaurazione della Grecia sotto di un im- peratore romano, che vi fece tornare in fiore le ar- ti, le lettere e le scienze. Sotto quest'arco, forse ac- compagnato da immenso popolo e da valenti artisti, sarà passato in grandissima pompa il benefico monar- ca, quando moveva a celebrare la inaugurazione del grandioso tempio di Giove Olimpico, da lui con tan- ta munificenza condotto a termine. Questo imponente edificio veniva incoininciato ai tempi di Pisistrato, e ne furono architétti Antistate, e Forino : ma a ca- gione delle grandissime difficoltà incon trate fu arre- stato a mezzo il lavoro, ne venne ripreso se non do- po molti secoli. Ad esso mìsero mano molti princi- pi di Atene, molti re dell'Asia, ma la gloria di com- pirlo era riservata ad Adriano , il quale fu il vero salvatore dei monumenti innalzati in Oriente. Per cui da Pisistrato, che lo incominciava, fino al suo com- pimento quasi passarono otto secoli: e il tempio do- vette seguire le sventure della Grecia, quindi inter- rotto nel lavoro, saccheggiato e guasto, finché il gran- de imperatore dedicollo a Giove Olimpico. Cento ven- tiquattro colonne lo circondavano, e abbracciava una lunghezza di 354 piedi ; mentre 171 era largo. Di tante colonne non ne restano in piedi che sedici; e chi in mezzo trovasi di esse ne rimane altamente ma- 2!>4 Letteratura ravigliato: esse sono imponenti, in mezzo ad un campo tutte biancheggianti e senza architrave hanno un a- spetto di maggiore grandezza. Due soltanto sono in- sieme congiunte e formano ai capitelli una specie di cella, degna del cinico filosofo di Grecia: nella qua- le per molti anni si stette un eremita , a cui dalla pubblica carità veniva col mezzo di una corda porto il necessario alimento. Ecco un edificio distrutto dal- la mano del tempo, un edificio che conserva poche ma imponenti rovine, in mezzo a cui arrestandomi, parca trovarmi fra biancheggianti cipressi senza rami e senza foglie. Quanti pensieri alla vista di queste ro- vine ! quanto però sono ancora lontane dall' egua- gliare quelle del tempio di Minerva 1 Io non mi arresto lungamente sulla porta dell* Agora, formata da quattro colonne di ordine dorico, presso la quale sorge un pilastro, su cui leggesi in- ciso un decreto dell'imperatore Adriano; ne mi arre- sto sul teatro di Bacco, che sorgeva al mezzogiorno dell'Acropoli, e che era uno dei più grandiosi di A- tene; imperocché aveva un diametro di quattrocento ottanta piedi, ed era capace per 3o, ooo spettatori. Aliata di questo teatro veggonsi i resti di un porti- co, costruito da Eumene, e formato da 28 archi, il quale conduce al portico di Erode Attico, monu- mento innalzato da un ricchissimo ateniese in onore della propria sposa Regilla, d'una delle principali fami- glie romane. Di questo edificio di architettura tutta romana, e che sorgeva a testimonio di maritale amo- re, non si hanno che scarsissime rovine, le quali in- dicano appena il luogo dove sorgeva. Esso era tutto coperto di dipinti, e alle porte laterali eranvi sovra- poste delle arcate; in mezzo alla scena vedesi ancora Atene 255 una cameretta, di cui ignoriamo l'uso, e che fu costrut- ta in tempi posteriori. Ma arrestiamoci principalmen- te a contemplare le rovine dell'Acropoli. Quivi tutto è grande, tutto imponente : la ma- no di un Dio sembra aver governato la mano del- l'artista. I propilei , i due templi uniti di Minerva Poliade e di Pandroso, il secondo dei quali adorna- to da ammirabili cariatidi, e il Partenone, che puos- si liberamente vedere da qualunque parte si giunga ad Atene, sono avanzi, che arrestano chiunque ma- ravigliato, e che attestano ancora a tutto il mondo Atene essere stata città maravigliosa. Ogni colonna , ogni frontone, ogni fregio, ogni capitello, qualunque bassorilievo, forma un lavoro perfetto: quivi l'artista ve^ nuto da lontane terre si arresja compreso da mara- viglia, e fra il cardo e l'ortica trova reliquie, cui stu- dia siccome modello di una artistica bellezza e per- fezione. Ma chi mai può presentarsi al pensiero l'A- cropoli, allora quando signoreggiava maestosa, ricca di templi e di statue, di dipinti e di mille altri ador- namenti , che si sarebbe potuta chiamare 1' Olimpo sulla terra ? Ora si compone di grandi e meschini ?ivanzi: ora in ogni sasso addita le vicende dei tem- pi, gli oltraggi della fortuna , e il vandalismo delle recenti guerre, che gettarono bombe e mitraglia con- tro gli stupendi lavori dell'arte greca. Chi si accosta a questa immortale cittadella, prima di entrare in es- sa, vede propriamente avanti di giungere ai propilei, dalla parte diritta, un muro in marmo pentelico sor- montato da una cornice; indi alquanto più oltre, ma a sinistra, un quadrato piedistallo dell'altezza di ven- tisette piedi, innalzato con pietre dell'Imelo, onde so- stenere una statua, la quale certamente dovea essere 256 Letteratura di colossale grandezza. I propilei non è guari so- stenevano il peso di musulmani edifici , i quali gli seppellivano : prostrati essi pure, come la Grecia, sot- to la barbarie, stavano nascosti alle ricerche dei viag- giatori e alle investigazioni della scienza, come tan- te altre meraviglie dell'arte antica, che ancora stanno nelle greche contrade sepolte. Egli non è molto che questo ammirabile monumento dell'arte venne disot- terrato , togliendolo di sotto alle informi fabbriche , che ascondevano allo sguardo cittadino e straniero la maestà delle sue proporzioni, che anco presentemente formano l'ammirazione di chiunque trae a visitare l'A- cropoli, e in certo modo l'animo predispongono a ri- cevere le impressioni , cui necessariamente debbono produrre gli altri monumenti. Tutte le colonne dei propilei sorgono ritte in piedi; ma dei loro capitelli non resta che qualche avanzo, rimasto come a testi- monio di loro bellezza. Di questo edificio fu archi- tetto Mnesicle, che lo conduceva a termine in cin- que anni : veniva incominciato al principiare della guerra del Peloponneso. La facciata dei propilei ab- braccia una lunghezza di 76 piedi , ha sei colonne formate ciascuna di otto pezzi, e parte a ineguale di- stanza le une dalle altre. Nel vestibolo sorgono al- tre sei colonne, collocate tre a destra e tre a sini- stra : 1' ordine loro è ionico. Le porte, praticate sul muro traversale, hanno ciascheduna una scala. All'in- gresso dei propilei, alla sinistra, sorgeva la pinacoteca, luogo in cui gli ateniesi mettevano in vaga mostra gli ammirabili lavori dei loro grandi artisti. Alla sinistra dei propilei fu ritrovato sepolto, sot- to una fortificazione del medio evo, il tempio della Vittoria Jpteros, cioè senz'ali, detto anche di Niche, A T K N E aSj Questo tempio innalzato alla memoria di Egeo, che, secondo Pausania, di qui precipitossi al basso, veg- gendo la nave del figliuolo Teseo che tornava di Can- dia tutta in abito bruno, è stato rimesso in piedi dal- l'attuale governo nel miglior modo possibile. Fu tro- vata una buona parte delle sue sculture, che si sono rimesse nell'antico loro posto; ma molte mancano e sono in Inghilterra, essendo divenute preda del rapi- tore lord Elgin, che barbaramente spogliava la Gre- cia de' migliori avanzi di arte antica , traendo pro- fitto dalle sventure di questa povera nazione. Oh ! l'Inghilterra avesse a sentire il rimorso di possedere tanti lavori di Atene: che allora gli restituirebbe, e il tempio della Vittoria senz'ali si farebbe conoscere al mondo, e precipuamente alla greca nazione, quale fu nel tempo di sua inaugurazione ! Si vedrebbe ri- piantato nell'antica sua sede un grazioso monumento di belle arti, il quale maggiormente sarebbe di ecci- tamento al greco ad animarsi a belle imprese, a spec- chiarsi nelle glorie de'padri suoi, a contemplare un avanzo del genio di Grecia antica. L'Inghilterra resti- tuiva alla Francia le ceneri del grande conquistatore; restituisca alla Grecia i monumenti dell' antica sua gloria: che più grande e universale sarà per lei l'am- mirazione. Questo tempio, dalla parte che guarda la fortez- za, ha un muro, vei'so dei propilei tre colonne , e verso l'altro tempio della Vittoria tre altre colonne con un bastione : all'ingresso poi ne aveva quattro e altrettante dalla parte orientale. Altro monumento rialzato nella moderna restau- razione si è l'Erelteo, perpetuo enimma della storia e dell'architettura, nel quale ai tempi di Pausania, G.A.T.XCIII. 17 a58 Letteratura come racconta egli medesimo, vedevasi la fonte, che Nettuno ( seguiamo il favoloso racconto ) fece scatu- rire con un colpo di tridente, quando disputavasi col- la dea Minerva la protezione di Atene. Questo tem^ pio, quantunque non affatto al medesimo livello, era strettamente unito ai due di Minerva Poliade e di Pandrùso. In quest' ultimo, così chiamato dalla ninfa Pandrosa, erano sei bellissime cariatidi , ma una fu portata via da lord Elgin : le cinque rimaste sono di una grandezza più che ordinaria, vestite di una tonaca che scende fino a' piedi , e sul capo porta- no un fardello, mentre con una mano sorreggono le vestimenta, e l'altra lasciano cadere penzolone. Oltre la tonaca haiAno una specie di mantello , i capelli sono cadenti sulle spalle, e 1' assieme dell' abbiglia- mento ha qualche diversità tra quello dell' una e quello dell* altra. Nello spazio che i propilei divide dal Partenone sorgeva una statua gigantesca della dea Poliade, la cui testa torreggiava sopra del Parteno- ne, ed era veduta dai navigatori provenienti dal ca- po Sunto, Fu dessa innalzata in memoria della vit- toria riportala dagli ateniesi sui persiani. Ultimamen- te , scavandosi a spese della società arcjieologica di Atene, fu trovato di questa statua grandiosa lo zoc- colo dalla parte nord-est del Partenone ; al sud-est del quale poi furono ritrovate quasi tutte le pietre , di che componevasi un piccolo tempio di stile ioni- co. Inoltre all'oriente del medesimo Partenone si è scoperto un altro suolo, dove, come si può argomen- tare da una iscrizione che esiste sopra uno degli ar» chitravi, esisteva il tempio di Roma e di Cesare. Ma il più grandioso monumento delle rovine dell'Acropoli ki è il tempio di Minerva, chiamato Par- Atene sSq tenone, denominazione presa dal greco vocabolo n«a fisvcj. ( la vergine ). Giace esso sulla parte più ele- vata della cittadella; veniva incominciato ai tempi di Pericle sotto la direzione di Fidia. Nel secolo set- timo dell'era cristiana fu convertito in una chiesa cat- tolica, dedicata al Dio sconosciuto predicato da san Paolo; ma caduta Atene in potere dei turchi, fu tra- mutato in una polveriera, finche nel 1687 una bom- ba slanciata dal Morosini lo fece saltare in aria in parte. E colle rovine , il musulmano nel mezzo di questo maraviglioso tempio innalzava una piccola mo- schea, che vedesi ancora, entro la quale ammirasi ora qualche avanzo di statua e di bassorilievo. Come po- ter descrivere le antiche bellezze di questo edificio ? Dove sono ora le centinaia di statue che conteneva ? Dove la maravigliosa statua di Minerva lavorata da Fidia, e che stante in piedi, dall'una mano teneva la lancia, dall'altra una vittoria ? Dove sono le diciotto statue di marmo rappresentanti i principali personag- gi , che presero parte alla contesa di Minerva e di I^ettuno ? Queste sono preda di Elgin , nome , che ael descrivere le rovine di Atene, mai sempre corre al pensiero, e si merita l'esecrazione di tutti coloro che amano la Grecia e i suoi antichi monumenti. Di queste statue , due mutilate veggonsi ancora nella loi'o prima situazione. La parte anteriore del Farte- ne è ancora ben conservata : conta otto colonne di ordini dorico , scandiate e senza base : mostra an- cora bassirilievi di una sorprendente bellezza. Sul frontone era scolpita la nascita di Minerva , agli an- goli opposti stavano due bighe ; ma tutte le statue, che quivi vedevansi a bello ornamento, furono diroc- cate dall'esplosione prodotta dalla bomba di Morosi- aGo Letteratura ni. I triglifi attorno ad esso sono novantasei e le me- topi novantadue, delle quali quelle che stanno dalla parte orientale rappresentano la battaglia degli ate- niesi nei campi di Maratona: quelle del mezzogior- no, tranne una esistente nel museo di Parigi, e due che ancora veggonsi qui nell'Acropoli, furono porta- le in Inghilterra dallo stesso vandalo Elgin, intorno al quale il suo concittadino Byron sopra una colon- na del Partenone scrisse queste parole, che leggonsi ancora : Quod non fecerunt gothi^ fecerunt scoti. Ma lasciamo la desolata Acropoli, a descrivere la quale Eliodoro occupò un intero volume, e che, secondo Plinio, conteneva da tre mila statue : lascia- mo il luogo, che a mirarlo mette maraviglia e arre- ca dolore; e poco curando di esaminare la fortezza fatta nel medio evo, torniamo ai propilei, che ne for- cano come l'ingresso , e scendiamo al piano , onde arrestarci ancora un momento ad osservare le rovine, che presenta la città di Alene. E prima di ogni al- tra cosa gettiamo uno sguardo alla grotta di Pane , tagliata nella roccia dell'Acropoli, e dagli antichi ate- niesi tenuta in grande venerazione, sì che credevano doversi prima di entrarvi purificare al fonte Clepri- dra. Indi moviamo al lu:)go, che gli antichi chiama- rono il Pnice, dove soleva radunarsi il popolo ate- niese , e dove vedevansi belle statue di moltissime ninfe. Esso guarda il mare e non sono interamente scomparse, quantunque in qualche parte sia solcato dall'aratro, le tracce di quella famosa tribuna, sulla quale sedettero uomini giusti e ingiusti, tiranni e ve- ri cittadini. Nel sasso veggonsi aacora diversi buchi j dalla parte settentrionale esso è tagliato perpendico- larmente, e vi si osservano molti gradini, su cui se- Atene 26 r (levano , e che da alcuni sono creduti i piedistalli delle statue che vi erano state collocate. Il luogo del- la tribuna non è interamente scomparso, ha una for- ma quadrilatera, e tre gradini tagliati sul vivo sasso ad essa conducono. Vicinissimo sorge la collina di Museo, dove il poeta dello stesso nome coi dolci ac- centi della sua lira dirozzava i feroci animi de'primi cittadini. Quivi veggonsi scavate nel sasso delle grot- te, le quali da taluni sono considerate le prigioni del- l'Areopago , e la più ampia si chiama il carcere di Socrate, il quale, ammettendo ch'ella sia tale, avreb- be ricevuto negli ultimi giorni di sua vita un picco- lo numero di scolari e di amici, onde con loro par- lare di filosofia; imperocché questa grotta non è più alta di sei piedi, né piià lunga di dieci. Queste grot- te sono nella parte superiore fornite di un foro piut- tosto largo. Qui presso, dalla parte sinistra, viene ad- ditato l'Areopago, luogo tutto sassoso, che anticamen- te venne chiamato campo di Marte. L' Areopago ri- corda un tribunale tremendo, e venuto in tanta fa- ma, che molti romani ambirono di essere ricevuti fra il numero degli areopagiti, i quali usavano raccoglier- si nel silenzio della notte, e avevano fatto divieto a' patrocinatori di ricorrere ai prestigi della eloquenza, onde difendere i loro clienti. Quante ingiuste sen- tenze pronunciate da questa tribuna ? Per quanti a- teniesi qui fu colpa la probità! Ecco un tribunale, che ricorda Venezia in tempo di sua repubblica. Il cristiano, che visita l'Areopago, tosto corre col pensie- ro a Paolo, che vi predicò un Dio sconosciuto, traen- do argomento dall'epigrafe, che leggevasi in fronte ad uno dei molti templi innalzali dagli ateniesi, i quali da tutte parti erano circondali da un grandissimo nu- 26a Lktteratura mero di divinità, rese ancor più venerabili, perchè la- vorate da famosi artisti. L'Areopago non aveva riso- nato mai di una voce si potente, come quella di Pao- lo , il quale non lasciossi imporre da quel terribile apparato. « O ateniesi, gridò egli, il Dio che io vi an- nuncio, è il Signore del cielo e della terra , e non, ha sua stanza nei templi fabbricati dall' uomo. Egli non ha bisogno di sue creature, egli è la vita e l'a- nima di tutte cose. Da un sol uomo fé' nascere la generazione, a cui diede per albergo tutta la terra , determinato avendo il succedersi delle stagioni e i confini a ciascuna nazione ec. » Ecco un uomo, che nella patria di Demostene giunse a sorprendere una dotta adunanza, la quale vinta dalla di lui eloquen- za rompe le statue dei suoi numi da valentissimi ar- tisti lavorate, onde adorare un Dio crocifisso sul Gol- gata. ÌMa l'opera di Paolo era l'opera di Dio. Sulla collina del museo non devesi lasciare inos- servato il monumento di Filopappo, così chiamato da un uomo siro, il quale in Atene portava anche il ti- tolo di re. Era questo monumento semicircolare: pre- senta ora due nicchie, dove vedesi una statua: al di sopra di esse ammirasi un bel bassorilievo, che rap- presenta il trionfo di Tiaiano, sopra un cocchio ti- rato da quattro cavalli. Da questo luogo l'occhio spa- zia liberamente e vede Munichia e il Pirt;o : i suoi ornamenti sono dalla parte che guarda Atene. Attraversando l'Ilisso , si passa a visitare il luo- go ove sorgeva lo stadio, dove la greca gioventù eser- cilavasi nella corsa e in altri giuochi di ginnastica. Sopra di un monte, che domina lo stadio, sorgeva il tempio della Vittoria, dove venivano incoronali i vin- citori. Finalmente, lasciando qualche avanzo delle an- Atene a63 tiche mura che accerchiavano Atene fino al Pireo , moviamo sulla collina dell'accademia. Sulle sue rovi- ne fu innalzata una piccola cappella, che accademia si noma ; quivi 1' aere è soave , quivi si sono for- mati i più grandi uomini dell'antichità; quivi la gre- ca gioventù riceveva tutte le impressioni dell'onore, della gloria, della virtù e del patrio amore. Un sa- luto al Cefiso e al Liceo, e noi compito avremo la nostra visita alle rovine di Atene. IV. DESCRIZIORE DELLA MODERNA ATENE. La capitale del nuovo regno della Grecia, di quel paese che dall'apogeo della civiltà e del sapere piom- bò quasi nella barbarie, sorge sui ruderi dell'antica Atene, di quella città famosa , dalla quale uscirono le arti, le lettere, le scienze e la civiltà, ond' essere disseminate a universale beneficio in tutto il mondo. Ma la moderna Atene non vanta sontuosi templi a- dorni di statue e colonne, non spaziose piazze cinte da maestosi palagi, non portici, non archi, che mo- strino la grandezza della città e la valentia degli ar- tisti ; la moderna Atene non ha finora innalzato al- cun grande monumento; essa si presenta allo straniero squallida, e al primo vederla si direbbe più una bor- gata, che la capitale di un regno. Ma ciò non deve certamente far maraviglia , se pochi lustri or sono era percorsa da qualche feroce gianizzero, governata da un agà : se non presentava, che la unione di mi- serabili capanne, entro cui torreggiava il minarelto, sul quale l'imano chiamava alla preghiera i figliuoli a64 Let TERATUnA di Maomeffo; se, or sono pochissimi anni, non am- miravansi che mucchi di rovine, case e chiese abbru- ciale, cittadini fatti schiavi od uccisi. Dal momento che il musulmano ha abbandonato il bel suolo del- l'Attica, dal momento che nella torre dei venti non più danzano i feroci dervissi , e sul Partenone non più sfolgoreggia l'odrisia luna, Atene è sorta dalle sue spaventevoli rovine. Una città tutta nuova si è co- strutta: e sembra incredibile, come presso un popolo ridotto alla povertà estrema , a cagione della lunga e sanguinosa guerra sostenuta per la sospirata indi- pendenza, in cinque anni siansi potute innalzare da tre mila case. Il piano della nuova Atene sembra al- quanto irregolare: veniva fatto da un architetto della Germania , e soffrì non poche osservazioni critiche fatte sui giornali. La larghezza della città moderna non è la metà dell'antica; una contrada, che la sol- ca per lungo , e una seconda per traverso , cioè quella di Eolo e di Mercurio, sono le vie principali: la prima comunica colla strada che mette al Pireo, e in mezzo di essa, nell'ingresso della città, vedesi un grosso palmiere , che al greco piace di conservare , quantunque sia d'impedimento. Esso avrà certamente adornato il giardino di qualche musulmano, quando abitava la città delle rovine. Questa contrada è fian- cheggiala da case di una piacevole costruzione : fi- nisce là dove sorge il nuovo palazzo del re, iminen- te ad essere condotto a termine. Egli si compone di bianchissimo marmo cavalo dal monte Pentelico, dal luogo ove furono estratti i marmi lavorati dallo scarpello di Prassilele, di Fidia, di Ictino, di Miro- ne e di allri. L'archiletlura non mi parve degna di gran lodej un architetto bavarese ne dava il disegno Atene aGS e ne flirige la costruzione. In un paese ove si am- mirano gli avanzi di tanti monumenti di una straor- dinaria bellezza, non è tenuto in considerazione qua- lunque altro monumento che sia appena mediocre. A un milione e ducentomila dramme fu calcolala la prima spesa di questo palazzo (i), il quale ora tro- vasi segregato interamente dal restante delle abitazio- ni, che a poco a poco, conforme al piano stabilito, saranno prolungale fino ad esso. La posizione non poteva essere più amena ; sorge sopra una piccola al- tura, di dove piacevolmente si domina e la moder- na città e gli avanzi dell'antica, che sorgono alla si- nistra. Vicino a questo nuovo palazzo si sta prepa- rando anche un giardino di mediocre grandezza, il qua- le servir deve pel re. L' attuale abitazione di Otto- ne è un piccolo palazzo situato a mezzogiorno della città, ed ha l'aspetto più di un casino di campagna, se lo si considera nella vastità e nella costruzione. Innanzi ad esso evvi un nascente giardinetto pubbli- co, ove suole condursi il cittadino a passeggiare, e ove giornalmente sul mezzogiorno si raduna la ban- da militare , che fa risuonare quei luoghi delle più grate armonie. Avuto riguardo alla moderna città, è esso un fabbricato alquanto considerevole quello de- stinato alle regie scuderie, e quello per la riunione dei ministri dello stato, non che l'ospedale militare , il quale sorge presso il Cefiso dalla parte orientale del- l'Acropoli. (i) Dna imperdonabile esagerazione sì è quella dell' Union catholique, giornale di Parigi, il quale dice che questo palazzo gareggia colla eterna bellezza del Partenone, e dietro i calcoli -verosimili, terminato che sia, rappresenterà il valore delle ren- dite di un anno dello stato ellenico. a66 Letteratura Mediante le operose cure del ministro della pub- blica istruzione si va terminando il bello e vasto fab- bricato destinato alla università: esso viene a costare trecentomila dramme (i), raccolte mediante una sotto- scrizione fatta dalla generosità di molti elleni e filel- leni, dietro un manifesto, che scritto in greco e in francese, veniva mandato in tutti i paesi di Europa. In brevissimo tempo fa raccolta una tal somma : il greco negoziante di Alessandria d'Anastasio inviava ventimila dramme: il granduca di Oldemborgo, padre della regina di Grecia, ne mandava due mila accom- pagnate da una gentilissima lettera (2). Nel nuovo edi- ficio della università, incrostato tutto di marmo pen- telico, saranno traslocate le scuole, che presentemente si tengono in un luogo angusto appiè dell' Acro- poli; indi la biblioteca , che conta circa venti mila volumi, e che va continuamente arricchendosi, mer- cè dei doni , che vengono fatti dai vari fdelleni. Il Piemonte, la società dei naufraghi a Parigi , il re- gno di Napoli hanno mandato e mandano libri; al- cune casse ne furono mandate dalla università di Pi- sa, da Firenze e dal Granduca di Toscana, le quali io ho vedute in un'aula dell'attuale università, e che finora a motivo della strettezza del luogo non sono (i) Fino al luglio del i84i si erano spese 228,^229 dramme, non compreso il portico, che ne costò 4 1*000. (a) In tutta la Grecia furono raccolte 92,382 dramme: pres- ^ ao l'estero 129, 717.- e un signore di Calcutta ha dato con testa- 1 mento 5^, 000 dramme. In tal maniera abbiamo la somma di 358, 099; alla quale aggiungendo le 4'> 000 pel portico, fatto a spese di S. M. il re Ottone, si ha la cifra di circa 3oo,ooo. Dal giornale officiale di Atene 184 1. Atene 267 per nulla smosse (i). Atene conta un piccolo gabi- netto di fisica, ove si osserva una bellissima macclii- na elettrica, e un grandioso canocchiale, dato in do- no dal banchiere Sina di Vienna : inoltre vanta un gabinetto numismatico bene provveduto, il quale ve- niva bene disposto da un giovane archeologo del Bel- gio, a cui il giovane monarca, vero mecenate delle arti e delle scienze, dava la croce d'onore, creandolo cavaliere. Questo gabinetto in parte veniva dato in dono dai fratelli Zosimas, ora sventuratamente mor- ti con grandissimo dolore della Grecia, la quale ri- conosceva in loro due dei suoi più grandi benefatto- ri. Evvi anche un piccolo museo anatomico e di sto- ria naturale : ma è appena nascente : ad esso accor- rono i giovani studenti di medicina, i quali movono a studiare clinica anche all'ospedale militare e civile. Tutti questi gabinetti saranno traslocati nel nuovo edificio della università. E dappoiché parlo di scienze. (i) Il cavaliere Papadopulos-Vretos, funzionario ellenico, in uno suo scritto, clie corre per le slampe, dice che la biblioleca di Atene contiene da 60, 000 e più volumi. Ella è questa una imperdonabile esagerazione: imperoccliè quantunque si abbiano i libri promessi dalle università di Oxford e di Cambridge, quel- li che si attendono dall'America, i quattro mila della biblioteca di Coray,i goo lasciati da Panagiotti Codrikas, la biblioteca del giovane medico Maurocordato morto nel i84o,i mille volumi dal governo comperati presso Postalacas di Vienna, la biblioteca dei fratelli Zosimas ( e questa è già compresa nella cifra da me in- dicata) e molti altri, non giungeremo mai a formare i 60, 000 e più volumi, che asserisce il cavaliere Papadopulos, il quale è greco, ma sembra male informato di sua patria. Né dice il vero il giornale francese il Moniteur J7««'erie/, quando asserisce che La bibliothéque de V université d'Alhénes compie dcia 36 a 4o» 000 voìumes. — Vedi il detto giornale del 12 novembre 1842. 268 Letteratura dirò che Alene, oltre la università, conta un ginna- sio , una scuola destinata a formare i maestri , due scuole elementari pei fanciulli ed una per le fanciul- le; la pensione diretta da madama Hill, e quella da madama di Volmerange ; una scuola festiva per gli artigiani, e la scuola finalmente per le fanciulle di civile condizione, formata dalla società ftXonoccdcvrfUr], la quale ha per iscopo di propagare la pubblica istru- zione. Ne sono senza istruzione i fanciulli cattolici: imperocché il curato della chiesa cattolica col suo vi- cario si occupa anche della elementare istruzione de' figliuoli soggetti alla sua giurisdizione. Una società poi degna di grandi encomi, e che va sempre più gua- dagnando, si è l'archeologica, avente per iscopo gli scavi nella Grecia, e della quale tutti possono esse- re soci, mediante l'annua contribuzione di quindici dramme ; né vi manca la società di medicina e di farmacia. , La seconda strada, e la più bella e spaziosa, si è quella di Mercurio, che mette capo là dove sorge la Torre dei venti. E fiancheggiata da belle case orna- te di balconi e di persiane, da negozi e da eleganti botteghe da caffé, tra le quali il Cajfè della nuova Grecia è cosi elegante da non temere il paragone di quelli, che si ammirano nelle principali città italia- ne. Esso è montato tutto alla europea, ha una sala da bigliardo, giornali greci , francesi e maltesi, non eccettuata la gazzetta di Augusta, che è il giornale il più diffuso e accreditato in tutta Europa. Attiguo a questo caffè sorge nel piano superiore un elegan- te casino, tenuto con assai lusso e mai sempre fre- quentato, e composto di 400 soci, i quali pagano an- nualmente 48 dramme: quivi leggonsi moltissimi gior- Atene 269 nali nazionali e stranieri, e ogni viaggiatore vi è am- messo, qualora sia presentato da uno del soci. An- che la guarnigione tedesca ha il suo casino. Ne la- scerò di ricordare un gahiuelto di lettura. In Grecia, e in Atene principalmente molto si studia, e magax- zini vi sono di libri francesi, tedeschi e inglesi: i prin- cipali sono tre, due sulla via di Eolo, l'altro sulla stra- da di Mercurio. Molto ancora si stampa, e la tipo- grafia reale si è quella in maggiore attività. Evvi an- che una litografia, diretta da un tedesco : nulla puos- si desiderare di così mediocre. In Atene non sono piazze considerevoli : il ba- zar è la piazza più frequentata: in esso, come sul- la piazza, in mezzo alla quale sorge la torre dell'o- rologio fatta innalzare da lord Elgin , forse per as- sopire il rimorso delle sue rapine commesse sui mo- numenti della Grecia, si vendono le cose mangerec- ce ; ed è bello recarsi colà nei giorni di mercato , imperocché vi si possono studiare i costumi dei cam- pagnuoli, i quali mostrano nella persona di condur- re una vita stentata. Il luogo più frequentato si è la passeggiata , che incomincia ove finisce la strada di Mercurio : quivi in un campo attiguo alla via sorgo- no due botteghe da caffè in legno, e sul verde pra- to veggonsi tavole e sedie. Il forestiere, che qui si con- duce, ne ha una grandissima soddisfazione. Qual cosa più grata di quella di trovarsi sotto un cielo sì pu- ro e sereno, nella città, che piena è di memorie, co- me la vita dei secoli; di trovarsi in mezzo d'un popo- lo, che va glorioso della ricuperata indipendenza, e che presenta un costume affatto pittoresco ? Quivi nei giorni di festa precipuamente sogliono radunarsi gli ateniesi, altri a piedi, altri a cavallo e altri in car- 270 Letteratura rozza. Vi si osserva il greco vestito all'albanese colla sua candida fustanella a mille pieghe , strettamente cinta a'fianchi da una serica fascia, con quel suo far- setto ricamato in oro od argento, col suo fez caden- te , e in mano la corona di cocco , che sorvegli di divagameuto. Quivi la bella greca dai capelli casta- gni, di cui una grossa ciocca vezzosamente cade da un orecchio, mentre dall'altro pende il lungo fiocco del fez galante ; quivi il greco soldato in nazionale costume, che cinge lucente e grossa spada , tra cui osservi e il veglio Calocolroni, carico di anni e di gloria, e il prode Tzavellas, a cui molte croci ador- nano il petto e altri valorosi, che hanno disperata- mente combattuto per la patria oppressa. Quivi final- mente il re Ottone colla sua bellissima sposa, ambi- due in greco costume, aggirarsi in un elegantissimo cocchio fra i saluti e l'amore de'suoi sudditi. La popolazione di Atene è eterogenea ; vi si ode il greco, il francese, il tedesco e l'italiano. Così va- ria il costume : chi veste alla greca, chi alla france- se. La maggior parte delle truppe sono bavaresi , e alloggiano in due belle caserme di nuovissima costru- zione, sorgenti tra la porta dell'Agora e i resti del Pecile. Ora si va organizzando un reggimento di lan- cieri greci: l'artiglieria è poca, ma si va aumentando. Per lo passato in Atene si contavano più di ses- santa chiese, le quali ora sono per la maggior parte in rovina : e il governo ha ceduto l'area, che occu- pavano, al comune, perchè vi fossero fabbricate del- le case. Per la qual cosa dovunque si osservano pic- cole piazzette tutte ingombre di rottami e di terra, fra cui biancheggiano belli avanzi di capitelli, di colon- ne , di fregi e altri adornamenti , che il greco non Atene ^jt lia ancora tlelermlnato di raccogliere in un sol luo- go- Presentemente il servigio si fa in dodici chiese, tra le quali non ve n'ha alcuna , che meriti qual- che considerazione : tutte sono piccole e povere. Man- ca finora una cattedrale: e intanto ne tiene le veci quella chiesa, che sorge sulla via di Mercurio, nel- la quale suole officiare il metropolita , che insieme agli altri vescovi costituisce il sinodo di Atene. In questo tempio si è innalzato un piccolo trono pel re, il quale non v'interviene tuttavia ; imperciocché egli è cattolico; quindi ha nel suo palazzo una cap- pella, e un'altra ve n'ha per la regina, siccome quel- la che è protestante. Ne vi manca la chiesa pei cat- tolici : essa sorge presso la porta dell'Agora , picco- la, e servita da due preti; ma il zelantissimo curato ha già comperata l'area per fabbricare una chiesa di maggiore larghezza , simile a quella che si vede al Pireo, terminata sono due anni soltanto. Atene conta anche un teatro di mediocre am- piezza, il quale sorge nella parte inferiore della cit- tà, lungi alquanto dalle abitazioni, perchè nel piano stabilito fino ad esso dovranno essere prolungati gli edifici. Ma questa determinazione d'innalzarlo là do- ve sorge, fu precipitata e quindi al presente è argo- mento di censura. Questo teatro è capace di cinque- cento persone e non più; costò cento quaranta mila dramme, e veniva ultimato nel 1840 : vi si rappresen- tano commedie e drammi in italiano ed in greco. Al- lorquando io mi trovava in Atene, eravi opera ita- liana in musica: vi furono eseguite le opere, la Son- nambula e il Furioso, dove dislinguevasi per la sua buona voce una prima donna piemontese, la Basso. Ma la compagnia comica, come quella dei cantanti. •aya Letteratura dovettero disperdersi qua e colà, perchè l'imprissario fallì , e molti di questi sciagurati ebbero un angelo benefico nell'ambasciatore austriaco, che passava loro giornalmente un soccorso. Quanto era compassione- vole la sorte del capo comico ! Aveva seco la moglie e nove figliuoli : colla sua famiglia componeva tutta la compagnia. Non vi sono mura che circordano Atene. Quel- le fabbricate dai turchi furono interamente distrutte, cosi che non se ne vede traccia alcuna : le mura di Cimone mostrano ancora qualche rudero , da cui si viene a conoscere che la moderna Atene non è una metà nell'estensione dell'antica, la quale conta- va una periferia di 619 stadi, corrispondenti a circa selle miglia e mezzo: la pianta attuale è di 1,929, 676 metri quadrati. Pochissimi sono i pozzi , nes- suna le fonti, in questa città : l'acqua viene condot- ta per mezzo di un antico acquedotto, ed è quella del Cefiso. Tre sono i bagni, de'quali due alla tur- ca, e assai frequentati : sorgono ai piedi dell'Acropo- li. La città è amministrata da un dimarca, il quale ha una mensile pensione di duecento cinquantacin- que dramme : è ben sorvegliata, così che puossi an- dare sicuro in qualunque ora della notte e del giorno. L'attuale popolazione è di ventimila persone, compresa la guarnigione e gli stranieri, che non sono pochi, se si considera, che la maggior parte delle arti e dei me- stieri, come sarto, calzolaio, fabbro , albergatore , è per lo più esercitata da stranieri , e precipuamente dai tedeschi, i quali vi sono assai protetti. Gli al- berghi sono quattro, e il principale è quello tenuto dal piemontese signor Bruno, che fu il corriere di ga- binetto nella presidenza del conte Giovanni Capodi- Atene ayS Siria : in esso ogni forestiere ha di che tenersi con- tento, trovandovi tulli quei comodi che desidera : il che non è piccola cosa nella Grecia. Tale è lo slato della moderna Atene, la quale, crescendo la industria e il commercio, andrà sem[)re piìi aumentando: e se tale si presenta sul principio , quale sarà mai dopo vent'anni, continuando a progredire colla slessa ope- rosità ? Giova dire però fino da questo momento aver ella bisogno dell' altrui soccorso : di per sé gli ate- niesi non potranno far grandi cose, essendo appo loro poche fortune, e i greci ricchi la maggior parte viven- do fuori della Grecia. V. IL PANORAMA DELL ACROPOLI. Era un bel mattino, già il raggio del sole in- dorava le rovine di Atene, quando in un coll'amico indivisibile , il marchese Massimiliano Trecchi , col quale in lutto il viaggio di un anno ho diviso i pia- ceri e i dolori, i pericoli e le gioie del mare, le spe- ranze ed i timori , io ascesi Tacropoli , la quale è forse lunga ottocento piedi e larga quattrocento. Ad un greco soldato, che gelosamente custodisce l'ingres- so, consegnai l'ordine di lasciarmi entrare; cosa che non ottennero mai i viaggiatori, quando Atene ge- meva sotto il dominio musulmano. Eccomi sulla som- mità della imponente cittadella, eccomi a mezzo il Partenone, forse nel luogo, in cui posava il piedi- stallo della statua di Minerva. Il cielo è senza nubi: dovunque spazia liberamente il mio sguardo : mi tro- vo ad un' altezza di centosettantolto metri sopra il G.A.T.XCm. i8 274 Letteratura livello del mare. AIT oriente veggo il monte Imeto, quindi il Pentelico; airoccitlenle il monte Icaro, E- galea, la sommità del Citerone; a mezzogiorno il ma- re, i Ire porli di Atene, il Pireo, Munichia e Fa- lere; indi Egina, la rocca di Corinto, Epidauro e le coste di Salamina, che mi richiamano al pensiero Ser- se e l'immensa sua flotta, i dieci mila greci e Temi- stocle che la disperde. Di qui mi veggo innanzi tutti i monumenti di Atene e le sue rovine : il museo col monumento di Filopappo, l'Areopago e il Pnice, il Licabeto e le alture che dominano lo stadio : ai pie- di della cittadella i ruderi dei teatri di Bacco e di Erode Altico , le imponenti colonne del tempio di Giove Olinipico, l'arco di Adriano, l'accademia, il grande bosco di olivi : quivi i due piccoli fiumi, che sperdonsi prima di giungere al mare, l'Illisso e il Ce- fiso , finalmente la moderna città. Alla vista di tan- te rovine, e di luoghi si famosi , quanti pensieri si risvegliano nella mente ? Quante memorie ? Questa è la rocca, nella quale entrarono i persiani e vi uc- cisero i vecclii ateniesi e i sacerdoti, alla cui custodia era stata aflidata, mentre intanto Temistocle stavasi nelle gole di Salamina con dieci mila de'suoi, atten- dendo di combattere il nemico, che era di un nu- mero sterminato. L' acropoli fu un tempo l'Olimpo della terra, un trono inghirlandato di statue rappre- sentanti tutte le divinità descritte nella teogonia di Esiodo , poeta il più grande fra greci dopo il can- tore di Achille. Quivi gareggiarono in loro valentìa i più grandi artisti dell'Eliade, paese che, appena per- cettibile sulla carta generale del mondo, ha riempiu- to l'universo dello strepito del suo nome e delle sue geste, nel tempo stesso che lo illuminò co' suoi ca- I Atene 2^5 po-lavori in lutli i generi. La Grecia , ricca di un suolo fecondo, abbellita da un cielo mai sempre se- reno, vide di buon ora il genio de'suoi abitanti vol- gersi alla coltura delle arti ilei diletto. In essa na- cquero l'architettura, la pittura e la statuaria, e fu- rono sollevate a tanta grandezza, che non fuvvi na- zione che valesse a superarla. Coli' architettura , sia dorica, sia attica, sia corintia fece stupire per ammi- razione e diletto i risguardanti la pompa e lo sfoggio di tanta leggiadria : e i monumenti furono collocati sulla cima dei colli e dei promontori , in mezzo a deliziosi boschetti , sulle rive incantatrici del mare egeo, onde da lontano gli ammirasse il navigante, e maravigliando ne raccontasse la grandezza, tornato ai patri focolari. Quivi le arti, non trovando pregiudizi da combattere, improvvisamente si avanzarono. Il tem- pio di Giove incominciato sotto Pisistrafo, quello di Teseo costrutto da Cimone, presentavano grandi mo- delli d'imitazione agli architetti. Dovun([ue Atene of- friva lavori stupendi : il Pecile era adorno dei capo- lavori di Paneno, che in un portico dipinse la bat» taglia di Maratona: e quel dipinto deslava tale sor- presa, che ad ognuno, il quale lo contemplava, pa- reva di assistere a quel grande combattimento, trion- fo immortale di Milziade. Ma II fratello di Fidia fu superato da Polignoto, da Apollodoro di Atene, da Zeus! di Eraclea e da Parraslo di Efeso, dipintori che riempirono di loro fama tutto II mondo. Polignoto fu il primo a variare il movimento della figura, e lasciò la maniera secca e servile de'suoi predecessori. Nel suoi personaggi improntò quella morale bellezza, che profondamente aveva nella mente Impressa. Apollo- doro fu più fortunato di Polignoto nella varietà del 276 Lkttkratura tono e del colorito ; seppe felicemente unire luce ed ombra, pregio che fu condotto a perfezione da Zeusi, il quale soleva studiare la natura con quella stessa cura, con che conduceva a termine i suoi lavori. Egli colla bellezza del colorito accelerò il progresso dell'ar- te, e con lui gareggiò Parrasio, che aveva la scien- za delle proporzioni, e con ciò venne in tanta fama, che gli artisti lo chiamarono il legislatore : egli nella grazia era il Raffaello della Grecia. Ma il più gran- de pittore fu Apelle , il quale sorpassò tutti i suoi antecessori. Ne minore fu il valore della Grecia nella scultu- ra ; Fidia e Policleto, Alcamene e Scopa e Prassi- tele sono nomi grandi in quest' arte , e popolarono Atene di loro ammirandi lavori. Per cui nella capi- tale dell'Attica tutto serviva a destare profonde sen- sazioni. Neir odeon, scrive un valente italiano, sor- montato da una aureola di colonne, a cui le spoglie persiane fornirono il bronzo , oralori e poeti si di- sputavano le palme; nel teatro di Bacco, Sofocle ed Euripide si contrastavano i primi onori della trage- dia. In qual parte di Atene taceva il reiterato assal- to d'inebrianti sensazioni ? Forse nell'Agora, ove A- spasia declamava 1' elogio funebre dei citladini pe- riti in guerra ? Forse in riva al Pireo, nelle traspa- renti acque del quale Frine diportavasi nuotando ? Forse in Olimpia, ove le muse di Erodoto strappa- vano a Tucidide le lagrime di una generosa emula- zione : o sullo scoglio di Leucade risonante del su- premo canto di Saffo, o nei campi di Mantinea ba- gnali del sangue di Epaminonda ? Il secolo migliore per Atene fu quello di Peri- cle , come per Roma quello di Leone X. Sotto di Atene 277 lui furono viste moltiplicarsi nel seno di Grecia le ' ricchezze e il fasto, gli artisti e i monumenti. Le fe- ste divennero più brillanti, gli spettacoli più comu- ni , i templi si coprirono di dipinti e di statue. Al minimo evento, alla minima fortuna, la nazionale va- nità pagava un tributo all'industria, suscitata da in- stituzioni, che riuscivano alle arti utilissime. Se si doveva decorare una piazza, un pubblico edificio, mol- ti artisti trattavano lo stesso soggetto, esponevano il loro lavoro 0 il loro progetto, e chi aveva maggior numero di voti dal pubblico veniva prescelto a pre- ferenza degli altri. A Delfo furono stabiliti concorsi più solenni intorno alla pittura e alla musica; così pure a Corinto, ad Atene e altri luoghi. Le città del- la Grecia, che non altro conosciuto avevano che la rivalità delle armi, cominciarono quelle a conoscere degli ingegni : ma Atene tutte le sorpassò nella ma- gnificenza. Pericle, volendo occupare un popolo tremendo a'suoi capi nei piaceri della pace, determinò consa- crare all'abbellimento della città una gran parte delle imposizioni, che pagavano gli alleati per sostenere la guerra contro i persiani, e che fino allora eransi te- nute in riserva entro 1' acropoli. Fece conoscere che col far circolare le ricchezze, in un subito procu- ravasi alla nazione abbondanza e gloria immortale per l'avvenire. Improvvisamente perciò furono vedute po- polarsi gli studi degli artisti, le pubbliche piazze e i luoghi di manifatture da un numero grande di gen- te, i cui lavori erano diretti da valenti artisti , ai quali tutti precedeva Fidia , che di tutte cose da- va i disegui, E tanti lavori, che uu potentissimo re non avrebbe osato intraprendere, e che pareva esi- 2^8 Letteratira gesserò assai tempo , furono condoni a termine da una piccola repubblica nello spazio di pochi anni, sotto l'amministrazione di un uomo solo, senza che una sì sorprendente diligenza portasse danno alla ele- ganza e alla solidezza. Queste opere ammirabili, che costarono nove milioni di franchi, suscitarono a Pe- ricle nemici, che lo accusarono di dilapidatore delle finanze pubbliche. Ma il savio uomo un giorno, per far tacere chiunque, disse che le spese di tali monu- menti sarebbero state a suo carico; che perciò in fronte ad essi avrebbe fatto incidere il proprio nome. Il che non volendo il popolo gridò, che fossero fatti a ca- rico del tesoro pubblico e che nulla si risparmiasse per condurli a termine. Il gusto delle arti s'intro- dusse tosto fra'ricchi cittadini; quindi cominciarono ad aversi in grande estimazione gli artisti, i quali fu- rono veduti accompagnati da un gran numero di di- scepoli e farsi ricchi. E alcuni divennero si orgogliosi, che non arrossirono di scrivere sui loro quadri : che sarebbe slato più facile censurarli, che imitarli. Quin- di fu visto Parrasio vantare una celeste origine, Zeu- si negli ultimi anni di sua vita dare in dono i suoi dipinti , perchè credeva che nessuno fosse in istato di comperarli. E tuttavia il pubblico sopportava in loro questo orgoglio e molli altri difelli. In quei tem- pi la Grecia fu suddita dell'arie, e quasi schiava, co- me nel secolo decimosesto l'Italia, dove a Michelan- gelo si sarebbe perdonato perfino un fralricidio ; a Benvenuto Cellini si perdonarono tante bulatc e ri- balderie; dove Carlo quinto raccoglieva il pennello di Tiziano, e il pontefice Giulio li sopportava gli sfoghi dell'animo altero di Buonarroti. Atene collo splendore delle sue feste, la dolcezza Atene 2-jcj tìelle sue leggi, il numero e il carattere de'suoi abitan- ti, chiamava fra le sue mura uomini avidi di gloria, e Pericle tutti se gli affezionava per la superiorità della sua riputazione, alla ([iiale si aggiungevano le attrattive del conversare di Aspasia di lui consorte, da- ma che fece maravigliare la Grecia per la sua elo- quenza , la profondità de' pensamenti e la genti- lezza. Socrate e Alcibiade , gli uomini di lettere e gli artisti i più rinomati godevano della conversazio- ne di questa donna straordinaria. In tal maniera for- mossi presso di lei la società più ammirabile , per- chè composta di sapienti; e formò il modello di qua- lunque altra società fondata di poi. L' amore delle lettei'e, delle arti e dei piaceri, che gli uomini rav- vicina e gli stati confonde, fé sentire il merito della scelta nelle espressioni e nei modi : tosto si venne a distinguere il tono della buona riunione. No, le arti non ebbero tempo più fortunato di Quello di Pericle: e a renderlo memorabile bastereb- be il nome di Fidia, i cui principali lavori stavano nell' acropoli. Ma di un tanto artista non rimane che la memoria: la sua statua di Minerva, che era la maraviglia di tutta la Grecia, non esiste più, ed è rovinato anche il tempio dove posava. Il santuario, dove gli artisti corsero a depositare i loro capi-lavori, fu cambiato in una rocca di guerra: soffri tutti i gua- sti dei conquistatori e degli uomini avari , che poi divennero esacrabili, perchè ardirono portar via ciò che non avevano guastato i barbari , e ciò che ri- spettavano i musulmani, i quali custodivano feroce- mente questa rocca immortale. INel 1822, scoppiata la rivoluzione, ì greci presero a valorosamente com- batere in Atene i musulmani, che in numero di pò- 280 Letteratura che centinaia si ritrassero nell'acropoli; ma dopo un assedio di sette mesi, durante i quali gli ateniesi ab- bruciarono tutte le moschee e le case abitate nella loro città dai turchi, dovettero arrendersi, mediante una capitolazione, la quale imponeva, che fosse data in potere dei greci l'acropoli, coi cannoni e le ar- mi in essa contenute; che dovessero consegnare tut- te le loro armi, rlserbandosi neppure lo stiletto; che fossero in due parti divise tutte le cose loro appar- tenenti, di cui una fosse data al governo greco; che tulli i turchi, i quali avessero voluto passare nell'A- sia, sarebbero stati trasportati a Smirne a spese del- l'ellenico governo. In tal maniera S!)tto il portico del Partenone e dei propilei risuonarono i cantici della vittoria alla croce, a'quali rispondeva l'eco dalla grot- ta di Pane, dal Pnice e dalla tribuna, ripetendo: Patria e libertà. Il clero preceduto dallo stendardo della croce intuonava inni sacri, mentre incammina- vasi verso i propilei , rendendo grazie al Dio degli eserciti. Entrato nella cittadella, purificato venne dal- l'arcivescovo il Partenone, il quale consacrossi alla Vergine. E presentemente questa cittadella, ancora am- mirabile, viene gelosamente custodita; ma non dal fe- roce gianizzero, che ne osservava con istupido sguar- do gl'imponenti ruderi; ma dal greco, il quale alla vista di tanti avanzi sente l'orgoglio di sua nazione, e senlesi inspirato nelle opere de'suoi maggiori. Nella guerra dell'insurrezione, il governo ellenico consumava nell'acropoli un atroce delitto, col farvi strangolare nel 1826 il famoso Odisseo, che scampato dalle mani del pachà di Giannina, il quale lo voleva far morire, divenne il terrore dei musulmani. Le sue ricchezze, il suo ardire e il suo intraprendente co- Atene 281 raggio lo fecero sospetto al governo , il quale inviò a lui due uomini, perchè 1' assassinassero ; ma sco- perti, furono appiccati; e da quel momento Odisseo non era più sicuro fra' greci. Per cui quanto prode, altrettanto vindicativo, giurò vendetta e passò a Ne- groponte, dove offrì i suoi servigi al pacbà , assicu- randolo, che se voleva dargli mille uomini, si sarebbe impadronito di Atene. Intorno alla qual cosa fu scrit- to a Costantinopoli , e il sultano temendo qualche tradigione da parte di Odisseo, die ordine di stran- golarlo; ma questi ebbe campo a fuggire e tornò nel- l'Attica, e dopo avere errato sui monti, ritirossi nella sua grotta situata sul Parnaso, difesa dalla natura e dall'arte. In essa abitavano la madre, la sposa, la so- rella, il cognato, sei amici fedeli, e vi teneva il te- soro : le provigioni erano bastanti per forse venl'an- ni. Quivi Odisseo avrebbe potuto vivere sua vita; ma avido di combattere, sentiva esser per lui una morte lo starsi inoperoso. Quindi abbandonò quella solitu- dine, scese al piano e tosto riunì da settecento sol- dati. Si sparse voce , ch'ei andava a dare in potere de'turcbi i suoi militi : e questi infelici , prestando fede alla menzogna, lo abbandonarono. Allora Odis- seo, fidando nel generale Gouras, che lo persuase a rimettersi alla discrezione del governo, assicurandolo, che nessun male gli sarebbe fatto, fu preso e con- dotto nella prigione dell'acropoli. Il governo non ar- diva condannare Odisseo, perchè questi era protetto da tutto il popolo di Atene; ma neppure volle ri- metterlo in libertà. In una tale irresoluzione passa- rono tre mesi: e quando il popolo cominciava a mor- morare della detenzione del valoroso guerriero , e ne domandava la libertà, fu annunciato un bel mal- 282 Letteratura tino, ch'egli erasi ucciso, mentre di notte aveva ten- tato fuggire dal carcere : e si fece vedere appiè della fortezza il cadavere e la corda, colla quale dicevasi ch'avesse voluto fuggire, ma che non ebbe forza di so- stenerlo. Così finiva miseramente la vita di un guer- riero, sì leggiero alla corsa, che non vi era cavallo che lo potesse raggiungere, e che alle Termopili ave- va rinnovato il valore di Leonida, tagliando a pezzi trentamila musulmani. Egli era di tutti i greci il più coraggioso ; nei combattimenti slanciavasi sul nemi- co sempre pel primo : era venuto in tanta fama, che il suo nome bastava per ispaventare il turco, come il nome di Buonaparte atteriva l'austriaco. Allevato alla corte di Giannina, aveva la ferocia di Ali; so- vente per una semplice parola dava morte chi gli sta- va attorno. Non ostante era amato da' suoi soldati. Se al coraggio suo avesse corrisposto l'educazione , egli sarebbe certamente divenuto il primo uomo del- la Grecia. ( Sarà continuato. ) D. Zanelli. 283 Delle arti del disegno coltivate dagli etruschi. on vi fu epoca nella quale i monumenti venis- sero in sì grande utilità della storia, com'è accaduto ne'tempi nostri, dove colle scoperte dell'antica Vitu- lonia, di Agilla, dell'acropoli di Tarquinia, di Cere e di altre città, si corrispose al desiderio del Winkel- mann, il quale diceva, non potersi meglio sostenere l'opinione dell'anteriorità nelle arti del disegno, fra gli etruschi a preferenza dei greci, quanto portando innanzi vasi trovati nella Toscana. E ciò in risposta pure al Lanzi, il quale voleva che mancassero all'Elru- ria bronzi, in cui ad un idolo si appoggiassero due o quattro ale, al pari di quelle dei fenici e dei maltesi. Se da questo lato pertanto si apre una via libera da ogni inciampo, per isciogliere una questione cotan- to vivamente agitata dagli eruditi; non per ciò rima- ne meno intricata ed oscura 1' altra dell' origine di questo popolo italiano , il quale fecero taluni deri- vare dal proprio suolo, come aboriglni : ed altri ne- garono che mai popolazioni straniere vi fossero ve- nute. E si disse che i primi a popolarla furono i fe- nici ed i settentrionali, ovvero un certo Tuschi fi- gliuolo di Giapeto. Ma lungi dall'opinione di un po- polo aborigine , e dalla questione secontlaria se a questo popolo in seguito si mescolassero altri elemen- ti stranieri, noi troviamo più legalmente discussa la provenienza della civiltà etrusca nei sistemi del Maz- zoldi e del Corcia. Conciossiachè il Mazzoldi ritro- a84 Letteratura vò neirocciJenle tutti i germi di perfezionamento : ed i nostri antichi popoli avrebbero posseduto sopra gli orientali tutte le anteriorità dei progressi poetici ed arlislici. Così avvalorata con ingegnosissimi argo- menti un'inversa origine, verrebbero a scemar di pre- gio tutti i racconti della passata storia, che riconob- be ncll' oriente la culla delle istituzioni europee. E trova il Mazzoldi assai argomenti da fondare questa anteriorità, riguardata singolarmente nelle arti dall' osservazione dei monumenti, non ha guari escavati: e questo gli fornisce un appoggio superiore a tutti quelli portati in campo dal suo competitore. Ma egli pare che il Mazzoldi abbia dissimulato un gravissi- mo argomento degno di rimovere tutti i lemmi del suo sistema. Coneiossiachè ei non poteva ignorare, es- ser^ il Genesi di Mosè il più antico libro del mon- do : sicché la sua autenticità ha resistito sopra tutti i contrasti , che una mal guidata critica le ha su- i scitati. Nel qual libro, che forma il più saldo cano- ne delle verità originali e della storia, è collocato un popolo primigenio nelle contrade dell' Asia : ed ivi cresceva e si moltiplicava, e sotto una diretta ema- nazione di Dìo si riduceva ad istituzioni civili, fon- date nel santo gius della natura. Che questo popolo stesso traeva grandemente a perfezionarsi, e le arti pullulavano intorno agli altari del Signore, e intor- no ai trofei del popolo di Dio. Che da questa culla asiatica mossero i popoli e si allargarono sopra la terra, e passando ad abitare in novelle contrade por- tarono gli usi e le istituzioni, in cui erano slati edu- cati. Fondandoci pertanto sopra all'autenticità della scrittura, noi miriamo a conoscere quello fra i popò- Arti etrusche del disegno 285 li dell'Asia che il primo si affidava all'incertezza del mare in fragile navicella, imparando in mezzo ai pe- ricoli l'arte della nautica, e piantava poscia un vicen- devole commercio fra nazione e nazione. Neil' arca noetica noi non vedemmo, che un prodigio del Si- gnore Iddio per salvamento dell' eletta famiglia del patriarca che doveva andare immune dall'universale catastrofe. E l'arte nautica, ridotta a condizione di scienza, si volse primieramente all'osservazione degli astri: scienza antichissima dei popoli pastori e dei sa- cerdoti interpreti della potenza del cielo. Quivi si ri- levano le cause, da cui movono i rivolgimenti della natura, le distanze che intercedono dall'uno all'altro pianeta, in una parola tutti i particolari della scienza astronomica, Dieronsi ad esperimentare la nautica i fenici , popoli che, come osservai in un altra mia disserta- zione ( Delle arti del disegno coltivate dagli ebrei ), era pivi di ogni altro per naturale postura portato al commercio, ed all'industria che nasce da quello. Dìf- fatti privo com'era d'ogni elemento adattato all'agri- coltura ed alla pastorizia, ove si addimanda feracità di terreno e larghezza di pascoli, egli è spontaneo che il naturale ingegno si desse ai tentativi del mare, e che primi navigatori si dirigessero ad aumentare la scoperta di novelle contrade. Ovunque pertanto fu loro concesso di penetrare, lasciarono colonie col dop- j pio intento di raccoglier fruito de' luoghi occupati, ! e di aprirsi con gli aiuti di nuovi compagni altre I vie per avanzare ed accrescere le proprie intraprese. I Di qui viene piano e facile l'argomento , che nella direzione del loro viaggio approdassero un giorno a questi lidi ; e trovando qui terre acconce ad ogni 286 Letteratura coltura, ci piantarono una colonia, da cui derivarono quei tuschi ed etruschi, che furono il più antico po- polo italiano , che si governasse a modi civili e ad ordinarie istituzioni. Quest'argomento, per se stesso semplice e natu- rale, fu difeso e sostenuto da uno dei piìi dotti com- mentatori della sacra scrittura, dall' ahate Bochart (Geografia sacra lib, I, p. 3o), il quale nella stessa parola Italia trovò una derivazione fenicia : poiché itaria in parlare fenicio denota terra della pace ^ come illisa t terra de^metalli, corrotto poi in Uba ed elba. Quindi a convalidare tale sua opinione fece ri- corso all'analogia fra i molti nomi de'paesi d'Italia comuni colla lingua cananea. Al chiarissimo Lanci avvenne parimente di trovare, pochi anni sono, in uno scavo praticato non lungi da Orvieto una lapi- de con mozza iscrizione, la quale apertamente dimo- strava gli elementi della lingua dei fenici: e così mol- te altre prove potrebbero addursi, che convertono ver- so di questa origine tutta fenicia. Potrebbe però ta- luno contrapporre, cbe sebbene fosse vera cotale pro- venienza, non devesi con tutto ciò considerare nei fenici cotanta perfezione di stabilimenti: giacche era questo popolo nascente ancor esso e fanciullo nelle arti, specialmente di gusto e di pubblica utilità. Tan- to più che simile pulitezza disconveniva agli uffici rozzi di gente nomada e marinaresca, avvezza nei pe- ricoli ed in tutti i disagi della vita. Ma egli è cosi spontaneo il rispondere, che le abitudini del commer- cio e delle peregrinazioni avvicinavano questo popolo intraprendente ad altre popolazioni: e che per gli spi- j riti innati di guadagno, di curiosità e d'istruzione si ' affratellavano gì' ingegni di tutte le contrade, sicché ciascuno contribuiva delle proprie idee e cognizioni, i Arti etrusche del disegno 287 Eravi pure TEgitto che vantava una civiltà an- tichissima, ne'cui reconditi misteri della religione si custodiva celatamente tutta la sapienza del tempo. Fra i l'e fenici ed i faraoni dell'Egitto regnò lunga e pacifica alleanza: onde si ripetono le molte analo- gie che troviamo fra questi due popoli, quasi premio ed arra di un reciproco e vicendevole aiuto. Ma l' approdare d' una colonia non era che il fissare una provvisoria dimora, dipendendo dalle cir- costanze 1' abbandonarla. Se al giugnere di essa in questi luoghi li trovassero privi affatto di abitatori, sarà una questione cui mi confesso incapace di scio- gliere. Siccome la dispersione dell'umana società, ch'eb- be luogo dopo il grande avvenimento di Babele, for- nisca favorevole argomento alla fondazione di molte Provincie, così la nostra Italia com'esse potè popo- larsi. Rifuggo dall' ingolfarmi fra il buio di tali ri- cerche: ma non voglio tacere che la situazione mon- tuosa de'paesi più antichi dell' Etruria è un indizio che quei popoli intesero di cercar sull'alto dei monti i luoghi forti prima senz'arte difesi dalla natura; e poscia li cinsero e fortificarono per isoherrairsi e difen- dersi dalla violenza dei vicini. Il che ci condurrebbe a ritenere popolata già l'Italia precedentemente all'ar- rivo delle colonie fenicie: e giunte che vi fossero tal- mente si concordassero, da indurre gli abitatori a pre- star loro aiuto a'pericoli in cui si trovavano nell'ab- bandonare le conquiste della Spagna. Per giugnere al mio scopo, che unicamente riguarda le arti, è ne- cessario ben compartire e distinguere le epoche : sic- ché quando ancora rimanesse qualche avanzo monu- mentale noetico, noi avremmo a i-intracclarlo in quel- le città italiche che si cinsero recidendo l' alpestre 28({ Letteratura roccia (lei monti, tagliandole a piombo con piccone o altro qualsivoglia istrumento, senza uopo di scien-' za meccanica. Tal modo di costruire, come primiti- vo ed anteriore ad ogni altro operato artificialmente, non fu, ch'io mi sappia, da veruno avvertito prima del chiarissimo professore Luigi Poletti. Sul fianco d'altissima rupe fu, dic'egli, eretta la città di Arce, cui sovrasta l'antico castello, che per mura di difesa non ebbe che il solo nudo sasso tagliato a picco. La cinta della cittadella del Tusculo fu, come ancora sì vede, di scoglio naturale similmente reciso. E la roc- ca d' Albalcnga, che si osserva tuttora a Palazzola, ebbe le mura non diverse dalle descritte. Volterra e Cortona furon pur esse così difese: e, al dire di Stra- bene e di Dionisio, si rinvennero ( lib. I, pag. 149 ) città fortissime alla riva dei Udii. Da questa costru- zione, nata più dal bisogno che dall'arte, si scende alla successiva: la quale presentando dei massi poli- goni ed irregolari, parte tagliati, parte rozzi collegati fra loro senza cemento né uso di corda o livello , non lascia dubbio ad un facile passaggio fra il pri- mo e il secondo modo di costruire le muraglie di cin- ta. Con questo sistema si rese indispensabile doversi tenere i muri larghissimi, dipendendo la loro solidità dalla riunione di molti massi che s'innalzavano so- pra un largo piano orizzontale. A Petit-Radel, che consacrò i suoi studi all'e- same di queste immense moli, non fu malagevole ri- conoscerne la varietà fra le due costruzioui : tanto che nel suo viaggio del 179» verificò, che le mura ciclopee della città di Fondi, e l' enorme differenza de'suoi massi dalle pietre della muratura in incerto che le rialzano, presentano due epoche di fondazio- Arti etrusche del disegno 289 ne e di ristorazione , lontauisslme 1' una dall'altra. Differenza che dal dubbio passò alla certezza, allor- ché confrontando le mura di Terracina , di Norba, di Cori, di Segni e di Alatri, le trovò rialzate e in parte ricostrutte anch'esse. Non andreino dunque in fallo considerando in questa seconda età un esempio preso dall'Egitto e da Babilonia, attribuendo alla com- parsa dei fenici questo miglioramento, il quale avan- zò poscia in alcune altre antichissime città dell'Etru- ria , ove si adoprarono a sostegno delle loro mura grandissime pietre quadrate, e fra loro connesse con ispranghe e cavigli di ferro. Le porte etrusche consi- stevano in una semplice apertura della gran mura- glia, ove ne stavano due, l'una rimpetto all'altra. La religione pure di questo popolo, che sente moltissimo dell'orientale, e che anche nelle variazio- ni di epoca ed epoca si lascia scorgere , mostran- do che le antiche tradizioni del culto religioso sono provenute dall'oriente, danno appoggio a questa cre- denza. Qualunque dubbio potesse insorgere intorno a ciò, viene tolto di mezzo da quello che ci ha la- scialo scritto Arunzio Volturno , e dai monumenti figurati che danno nna chiara idea della loro mito- logia. Tempio valeva presso gli etruschi quanto bosco, siccome la voce aruspice è fanum dei latini. Ciò che ora per noi indica un edifizio murato d'ingente mole con archi e colonne, era ne'primi tempi uno spazio sacro cinto d'alberi antichissimi, non tocco da piede profano. Ivi la divinità si ascondeva nel più folto allo sguardo della moltitudine: e la calda e fer- vida immaginazione trovava in quel cupo silenzio un piìi facile esaltamento. Ne' loro sacrifìci gli etrusclù G.A.T.XCin. ,9 200 Letteratura seguirono le istituzioni già comuni a tutto l'oriente' furono esse di sangue, perchè col sangue soltanto si stimava poter placare l'ira divina. Offrirono sangue d'animali : e quest'anima offerta per un'anima fu da- gli antichi chiamata antipsfche, come chi dicesse, anima per anìma^ o anima sostituita. Il dotto Go- guet spiegò assai hene, in questo dogma della sosti- tuzione, le prostituzioni legali conosciutissime dagli antichi. Gli elrusclii, persuasi anch'essi che una di- vinità irritata o malefica odiasse la castità delle loro donne, avevano predisposto di offrirle vittime volon-^ tarìe, sperando che gli dei, tutti attaccati alla preda, non turberebbero le unioni legittime, come quando ad una fiera si gettasse un agnello per isviarla da un uomo. Nei loro sacrifici anteposero gli animali più preziosi per utilità, più dolci ed innocenti , e vici- ni all'uomo per istinto ed abitudine. Le vittime era- no bruciate tutte o in parte, per attestare che la pe- na del delitto è il fuoco, e che la carne sostituita era arsa in luogo del colpevole. Sciaguratamente es- sendo gli uomini persuasi, che l'efficacia dei sacrifici sia proporzionata dalla vittima, non v'ebbe che un passo dal sacrificio del colpevole a quello del nemi- co; e mal non s'apporrà colui, che riconosce l'ori-- gine dei sacrifici umani (pur troppo dall'antichità ac- colti e praticati, al pari d'altrove, in Etruria ! ) dalla degradazione dell'uomo, il quale volle velar la colpa col manto della religione, I monumenti, che indicano i primi passi della civiltà, furono pur quelli che servirono al culto e al- l'adoi-azione dei sempiterni: imperocché lasciati i bo- schi, gl'idoli ed i simulacri ebbero più onorevole stan- ca entro il recinto dei templi. Mancando a noi i ne- Arti ktrusche del disegno agi cessar! monumenti, non ci è fatto di poter descrivere le forme è gli ornamenti degli antichissimi etruschi, i quali sebbene, al dire di Livio, si congregassero, men- tre ancora l'Eltruria era alle sole dodici città limita- ta, nel tempio di Volturno in Bolsena, ed ivi deci- dessero della pace e della guerra, pure non è da sup- pore che tanta ricchezza e magnificenza stesse in quel luogo raccolta, quanta ne potemmo rilevare dal- la moltitudine delle statue dai romani colà predate. Imperocché come avviene nelle nostre chiese, le quali per qualche pubblica o privata dissaventura , o per mutarsi di tempi o di circostanze, vengono dalla pri- ma forma o accresciute o riformate e di nuovi pregi arricchite , egli è a tenere per certo che colà pure ciò avvenisse : potendosi fondatamente supporre che ove sono eguali le cagioni, siano pure eguali gli ef- fetti. Per la qual cosa non è da prestare molta fede a coloro, che proclamano per antichissimo ogni avan- zo di tempio rimastoci. Onde conchiudo, che le de- scrizioni dei templi etruschi, che i Ialini ci hanno la- sciate, riguardano più le cosiruziunl du-i tempi tardi che le prime, e gli edilìzi quasi a loro contempora- nei e di stile più perfetto. Così doveva essere il san- tuario onorato in Plrgl non molto lontano da Agli- la, dai naviganti arricchito di splendide offerte. Era- no le colonne di questo tempio lavorate di finissimo marmo: e la differenza delle cave, da cui furono e- stratte, fanno manifesta prova che gli etruschi aveva- no commercio e relazioni coi popoli più lontani. Né si creda che questi templi non fossero pari in ele- ganza, in gusto, in ricchezza e solidità a quelli che più tardi resero sì belle le amene regioni della Gre- cia ; giacche in essi non solo trovai il capitello te- 202 Letteratura scano a capo delle colonne, ma ancora quegli ordi- ni stessi, che a taluni sembrano derivati di Grecia. Incontro alla quale opinione si fa il Passeri, distin- guendo il nome di ionico, di corintio e di compo- sito dati dai greci , dai caratteri e dagli ornamenti che innanzi dagli etr-uschi veggonsi usati. Il capitello dorico, che in non pochi lavori etruschi si vede ado- perato prima che dai greci, toglie il dubbio che quel- li l'abbiano da questi imitato, benché sia a noi per- venuto con greco nome. Leon Battista Alberti fece os- servare, che in quest' ordine spicca sensibilmente il costume etrusco di tirar tutto a religione, mettendo le patere frammezzo ai triglifi. S' aggiunga che Vi- truvio, attribuendo l'invenzione di quest'ordine ai do- ri, dice che fosse il primo fra i greci stabilito : quando all'opposto da Diodoro Siculo e da Strabene siamo fatti certi, che dai dori seguita venne la maniera e- trusca nelle opere delle arti loro. Superata la difficoltà che s'incontrava nell' attribuire il cosi detto ordine dorico agli etruschi, che in sostanza non è che una semplice modificazione del toscano, più facile riesce ravvisare nel corintio un' analogia coi capitelli che vedemmo praticati in cima alle colonne egiziane: per cui introdottosi quello stile in Etruria , ebbe a mi- gliorare nel suo avviamento in forza del gusto deli- cato che gli etruschi seppero imprimere a tutti que- gli oggetti, che presero d'altronde ad imitare trasfor- mandoli da copie in perfetti originali. Non avvenne però ugualmente degli archi che girano sopra le colonne , i quali non solo debbono distinguersi come invenzione italica, ma sibbene con- siderarli indizi di un avanzamento dall' architettura ottenuto. Imperocché fa d'uopo supporre che gli etra- Arti etrusche del disegno agS scili vi riuscissero per l'esperienza che acquistarono nella meccanica, la quale loro insegnò, come la forza si aumenti in ragione dei contrasti e degli attriti che soffre : le quali cose furono con somma dottrina e chiarezza spiegale dal chiarissimo Masetti nell'aureo suo libro sull'origine delle volte. I vantaggi di que- sta scoperta non furono meno allora conosciuti nella solidità e nella luce, che gli edlfizi acquistarono, quan- to di presente, in cui l'arco è divenuto parte essen- ziallssiraa delle moderne costruzioni. Havri ancor di piia : con esso le fabbriche manifestarono un' elegan- za e leggerezza ignota alle antiche, e gli edifizi che si costruirono dippoi furono conversi ad usi, a cui non avrebbero potuto servire quando delle volte e dell'ar- co si fossero ignorate le forme e gli effetti. Progresso nato dall'acquistata cognizione, che l'architrave au- menta la sua forza per l'ottusità degli angoli , e si rende capace a sostenere il timpano divenuto indi- spensabile alla pendenza delle acque: necessità, mag- giormente che altrove, sentita in occidente. Di qui nacque l'idea dei teatri e degli anfiteatri sconosciuta in oriente, e uscita dagli etruschi, die i primi li mo- dellarono. E quand'anche mancassero scrittori die loro accordassero questa invenzione, nulladimeno tali li direbbe la scoperta delle volte e degli archi: per- ciocché ne'leatri e negli anfiteatri non han luogo che archi sovrapposti ad altri archi e volte sopra volte, che dividono e distinguono i diversi ordini di cui so- no formati. Gli avanzi di un anfiteatro etrusco veg- gonsi a Volterra, e della sua magnificenza fanno fe- de le statue, le colonne ed i fregi ivi escavati , i di- segni dei quali ci conservarono Dempstero e Gori. Adria, città distrutta ne'primi secoli di Roma, ebbe il 2q4 Letteras^ura teatro: e Gori illustrò un bellissimo vaso dipinto e trovato in Adria , ove vedevasi il teatro co' reziari e altri attori galeati e combattenti ( Gori , Museo etrusco tom. II, tav. i80 ). Tito Livio ( lib. V) ac- cenna il teatro di Veio , quando dice : « Che i ve- » ienti, avendo creato per loro re Larte Talunnio, » irritarono le altre città toscane che perciò loro ne- » garono il loro aluto contro i romani, e che odia- » rono questa elezione , non solo perchè allora di- 1) spiaceva questo nome e titolo reale, ma perchè era » odiata ancora la persona dell'elelt«o, per aver egli » osato di guastare i sacri giuochi, e fatto uscire vio- » lentemente dal teatro gli artefici, o sia gli attori del- » lo spettacolo, » E chi avesse sospetta siffatta in- venzione degli etruschi si dia a consultare Livio, Ta- cito , Valerio Massimo e Tertulliano , i quali con- cordano nell'opinione, che i romani prendessero da- gli etruschi non solo gli spettacoli e gl'istrioni, ma ancora i ludi equestri e i combattimenti a cavallo che si facevano nel circo. Allorché concediamo a questo popolo l'invenzio- ne di quegli spettacoli che formarono poscia la delizia (lei greci e del romani, farà d'uopo ancora convenire, che avessero nozioni sufficienti di quelle arti che si hanno per necessarie a rendere imponenti, magnifici ed eleganti que'luoghi a tale ufficio disposti. L'ere- zione di questi edifici è a tenersi nata nella seconda epoca elrusca , allorquando si stimarono capaci ad avanzare nell'architettura. Così bassi ugualmente per fermo, che la plastica, sebbene fosse da' più remoti tempi conosciuta in Etruria, facendone fede Plinio, non si perfezionasse che dopo l'arrivo di Demarato in Italia. È opinione del chiarissimo Lanci che in- Arti etrusghe del disegno 2o5 torno a quest'epoca di tanto aumentasse il concorso dei greci in Etruria e degli etruschi in Grecia, che dall'idioma che ivi parlavasl , il quale comprendeva molte voci fenicie, si trasmutassero le lettere di que- ste due nazioni, e fuori ne uscisse una sola favella. Se quest'avviso, a cui non potrà negarsi un valore per la pratica di quello che la espose, fosse accolto senza contrasto, avremmo in esso un argomento per supporre nato in Etruria un rivolgimento generale di sistema : perciocché l'idioma è l'ultimo a variare, e non si perde che per grandi e successive vicende. Ma la congettura vien meno d' ogni vigore in fac- cia all' altra , che sostiene esservi stata una lingua comune fra i greci e gli etruschi d'origine pelasgi- ca. Ciò non ostante , senza dare a Demarato ed ai pretesi greci il pregio di aver insegnato agli etru- schi la plastica , mi si concederà aver avuto luogo un avviamento a perfezionare la statuaria in Etruria; e spiegando così il detto di Plinio ( lib. XXXV , cap. IV e XII ), lo avremo chiaro: quando all'oppo- sto per altre sue affermazioni verrebbe egli a disdire a se medesimo. Per quali vie poi cotanto questa si elevasse, si scor- gerà dal confronto dei lavori eseguili fra la prima e la seconda epoca. Si distinguono i primi per le fi- gure, non ben formate, ordinariamente in piedi e di- stese, e colle braccia allungate a contatto del corpo, e con visi lunghi e mal disegnati. Sebbene tali for- me allo stile egiziano si conformino, è da anteporsi la fede dei monumenti fenici, de'quali il museo di Ca- gliari fornisce la maniera nella sua doviziosa raccolta. Centocinquanta piccoli idoli dei fenici veggonsi ivi esposti, senza quelli che tutto giorno si escavano. 2q6 Letteratuiìa Queste piccole figure di bronzo, illustrate dal conte della Marmora, sono a riguardarsi come i primi saggi della scultura : rozzi, laidi, osceni, essi appaiono de- gni del culto al quale furono consacrati. Questo pri- mo stile si modificò e si perfezionò: e di tal vantag- gio andò debitrice l'Etruria alla religiosa e politica sua costituzione , e tant' alto progredì che le opere greche e romane facilmente con queste si confondo- no. Onde a noi sembra che quella divinazione, an- ziché spaventare gli etruschi per la troppo difficile esecuzione dei doveri, come avvisa il Winkelmann, piuttosto co'suoi vaticini e colle sue promesse di pre- ini e di pene servisse mirabilmente a portarli alla rap- presentazione delle arti imitative. Gli effetti, che ne'sanguinosl certami gli etruschi ricevevano, erano que'medesimi, che sogliono istillare nella nazione una tal fierezza, sorgente e base del- l' energia e della forza dell' animo. L' esperienza ci ammaestra che coloro, cui sta costantemente sotto gli occhi il sangue, sono meno suscettivi di quel sen- timento, che produr suole in chi non è a tal vista accostumato. INell' istituzione di questi spettacoli è manifesta la mira degli etruschi di bandire la lezio- sità e la mollezza : e mal si apporrebbe chi avvisas- se, che alla coltura delle belle arti influiscano e gio- vino il lezioso e il molle: anzi chiunque nella filo- sofia di queste si trovi mezzanamente istruito, è for- za che convenga, che presso le nazioni composte d' uomini di una tempra d'animo virile e risoluto, le medesime fiorir ponno e prosperare. Imperocché el- la è l'energia e la forza degli uomini, che capaci li rende a ricevere una maggiore impressione , a ser- barla quando ricevuta , ed a manifestarla altrui in Arti etrusche del disegno 297 tutta la sua pienezza ed estensione. Senza che poi chi non vede, che a misura che l'animo si trova in un minor numero d'affetti diviso, qual è il molle ed il rilasciato, egli è più suscettivo di sentimenti forti ed energici, dai quali agitato cerca i mezzi ed i mo- di più acconci di trasfonderli negli altri, nel che con- siste propriamente il sommo delle arti imitatrici? Da- gli animi di tal tempra e di siffatti sentimenti dota- ti, quella bellezza, soprattutto nelle opere delle arti, si apprezza e si cerca che deriva dalla proporzione, e più dall'espressione energica e forte : quindi quali leggi fondamentali dell' arte da lor si riguardano , quali mezzi e quali modi, quelli che lo studio del- l' animo umano e , per dir così , la metafisica dei sentimenti suggeriscono come migliori. Or tale ap- punto (al dire del Winkelmann lib. Ili, e. 3) fu il carattere intrinseco e peculiare, ch'ebbero le arti del disegno presso gli etruschi: col quale se viene pro- vata la conoscenaa del bello ideale, non si escludo- no alcuni difetti, che chiaramente si manifestano nel disegno talvolta angoloso, ma esatto: duro, ma ener- gico e risentito. Quelle mosse, al dire del detto au- tore, forzate , quell'esagerata espressione dei tratti , dei muscoli e delle ossa, quell'azione portata all'ec- cesso, annunziano, non v'ha dubbio, una vera e for- te espressione di passioni tentate da anime somma- mente energiche. Ne io vedo già che la bellezza, che deriva da un non so che di forte e di grande , sia da tenersi in minor pregio di quella, che nasce dal- la grazia e dall' amenità di un' immaginazione lieta e ridente. A questa prima causa d' avviamento alla perfezione nelle arti non offrì minor vantaggio l'al- tra preesistente nel sistema del loro governo demo- 2g8 Letteratura cratico; imperocché avendo ogni cittadino parte alle pubbliche deliberazioni, l'ingegno d'ognuno trovava un mezzo a distinguersi: e resa cosi attiva e fervida l'immaginazione del popolo, lo rendeva atto a colti- vare e ad apprezzare le belle arti. Ma poco avreb- be servito tutto questo, quando il bel clima dell'I- talia non avesse cooperato a quella bellezza indivi- duale, della quale parlando Ateneo dava agli etru- schi quel vanto, che Cicerone negava ai greci. Per la qual cosa fra le molte effigie che ci rimangono di questo popolo, ch'ebbe in tanta venerazione gli estin- ti, che la memoria ne serbava ne'rllratli, avemmo occa- sione d'accertarci della verità di Ateneo , e mante- nerci saldi in quel proposito, che le arti ebbero se- de , dove la natura prestò mezzi favorevoli ad imi- tarle, e la fervida immaginazione ad accrescere col- l'ideallsmo la loro bellezza. Le prove di quell'argomento sono nella maggior parte raccolte in quell'umile creta, che innalzossi per la potenza del genio singolare di questa nazione ani- mata a tramandare le espressioni dell'anima, a tener viva la fede, tenace l'amore della virtù. Ella si servì per esprimerle di questa materia: e ne'fittili dipinti è compresa la storia degli etruschi, perchè in quei vasi tu vedi rappresentati i costumi, i sacrifici, i ri- ti, gli spettacoli, i certami e le effigie di coloro, che per sapienza , per carità e per valore si distinsero. Non è ad aversi in conto di vero , che tanta dovi- zia di vasi, di tazze e di anfore, fosse solamente in- dizio dell'uso che di esse si faceva: ma sibbene que- sta usanza fu conseguenza dell'attività, e dell'onore in cui tenevansi le arti dagli etruschi; la qual cosa è provata dal vedersi diminuita ed esclusa, allorché Arti etrusche del disegno 299 queste arti passarono in dominio di altre nazioni. L'istituzione di un collegio di plastici e di artefici di vasellami fatta da Numa ( Plinio, lib. XXXV, e. 12 ) servì ad introdurre fra i romani questo genere di la- vori: ma essi scomparvero quando il lusso e la ma- gnificenza sostituì alla creta una materia più nobile ai lavori degli artefici , e si restrinse il numero di coloro che vi applicavano. Gli scavi di recente avvenuti nel luogo mede- simo, ove esisteva l'antica Vitulonia, sciolgono ogni dubbio suU' epoca remota dei vasi fittili in Etruria. Imperocché nei primi secoli di Roma , Vitulonia non esisteva più: la Grecia non fiorì per la pittura, che quattro secoli dopo la fondazione di Roma: dunque i capo-lavori ivi mirabilmente conservati avanzano, almeno di quattro secoli, il bel secolo della Grecia. Plinio ( lib. XXXV, cap. 12) nel commendare tali lavori soggiunge, esser quest'arte peculiare agli etru- schi. Marziale (lib. XIV , pag. 98) rammemora le officine d'Arezzo: ed il mentovato Plinio avverte, che le crete italicbe si trasportavano per mare e per ter- ra in ogni altra parte del mondo: colle quali paro- le viene a dichiarare, che i vasi e le tazze di Sici- lia e d'altrove non sono a tenersi per oggetti colà fabbricati, ma piuttosto da altri luoghi condotti. E quando si conceda essere essi stati imitali , s' avrà anche modo a distinguerli dagli etruschi, dal lavoro meno pregevole che presentano : avendosi da S Ira- bone ( lib. Vili, pag. 256 ), che le opere di bron- zo fuse in Corinto tenevansi per eccellenti , ma le figuline greche e siculo si giudicavano in Roma roz- ze ed imperfette : circostanza che si ripete ove tal genere di crete si trovino confuse fra le etrusche e 3oo Letteratura le greche. Né vale per accreditarle ricorrere alle iscri- zioni in greco idioma, che in questi vasi si riscon- trano : giacche le graffite o incise si hanno per na- te in queir epoca , in cui volevasi a tutte prove combattere la provenienza anteriore delle belle arti elrusche a petto delle greche. Ma ognuno distingue che all'artefice non conveniva lo scrivere in un va- so talvolta a danno delle figure dipinte e della ver- nice sovrapposta; e se avvenne, erano le lettere ri- levate e formate prima che il vaso passasse a cuo- cersi : benché non sia frequente 1' aversi in queste crete cotali scritti. Maggiormente insistettero a so- stenere la loro opinione i difensori della greca ante- riorità delle arti, allorché dieronsi a vedere rappre- sentati in que'vasi personaggi famosi nella greca isto- ria : e non ricordando l'origine etrusca di Ulisse, ma- ravigliarono come avessero dipinti avvenimenti riguar- danti la vita di quest'eroe, e così di Polifemo e di Cerere, nata certamente in Sicilia , come Cicerone ha provato. E non contenti di queste prime opposi- zioni, s'impegnarono a combattere, come tante cose che si riferiscono alla greca mitologia si trovino in que' vasi, in quelle olle e in quelle tazze raccolte. Ma è pur noto agli eruditi, che ai riti e alla litur- gia degli etruschi i greci attinsero, e che da que'pe- lasgi , comuni progenitori , un' origino tutta orien- tale, sebbene modificata, la religione adottò. E dove mai avrassi differenza fra le rappresentanze mitolo- giche, etrusche, greche e romane ? I nomi delle di- vinità sono pili o meno simili: gli attributi loro, al- trettanto: la scienza del santuario, sebbene più mi- stica in Etruria, fu la medesima che si propagò in Grecia ed a Roma ; e quantunque la metempsicosi ARTr ETRUSCHE DEL DISEGNO 3oi si simboleggiasse dai tusci nei maritaggi, nelle dan- ze, fra la smodata gioia, frammezzo ai cadaveri, ve- dendo in cosi fatta rappresentanza aggiogati alla vi- ta i simboli della morte , come alla morte accop- piati quelli della vita , concordavano nel medesimo principio gli altri due popoli, e la verità si restrin- geva nella materiale espressione. Ma, ripetiamolo pu- re , colla grande dovizia dei monumenti raccolti si sono omai dissipate quelle tenebre, che nell' incer- tezza avvolgevano gli eruditi del trascorso secolo; ed omai dai vasi fittili ottenuti negli scavi operati nei sepolcreti della Sabina, della Toscana e dell'Umbria, siamo venuti in tanta luce da potere francamente ri- spondere al Winkelraann, che la posizione ov'erano nascosti quesli vasi, e le circostanze della loro esi- stenza, non ci fanno più dubitare della priorità delle arti etrusche a fronte delle greche. Ed a convincer- cene venne in campo la classica opera del cav. In- ghirami, colla quale è giustificata la cagione, per cui gli etruschi tanto operarono in questo genere di la- vori: giacché dall'istante che il dotto cavaliere prese ad illustrare i loro dipinti e le sculture, classifican- do le epoche, tacitamente dichiarò, che per una lun- ghissima successione di tempo questo popolo non ebbe di mira, che di chiamare sopra di se l'occhio de'confinanti , perchè prendessero ad imitarne i co- stumi, i l'iti e la religione. Come fu generale a tutte le nazioni, ed antica la costumanza di onorare le tombe, così gli etruschi vieppiù l'accrebbero e la propagarono in occidente, dandosi a costruire sepolcreti, che accoppiando alla solidità delle forme la ricchezza degli ornati esteriori, e degli oggetti che vi si nascondevano, atieslano che 3o2 Letteratura come fu loro sacro di eternare con segni lungamente durevoli quella vita che nel corpo è si breve; e co- me fu tenero e consolante agli amici ed ai congiun- ti di spargere di fiori la tomba , che chiude le ce- neri dell'estinto, così mostra ancora un amore gran- dissimo verso le belle arti. Imperocché destinate que- ste a far pompa di loro stesse sotterra, si moltiplica- rono i lavori: e s'arresta in noi la maraviglia come tanti vasi, bronzi lavorati, ornamenti d'ogni maniera e d'ogni metallo vadano circolando: sapendosi essere comune l'officio loro tanto pei vivi, quanto per gli estinti. Non è però agevole rilevare il progresso che fecero le belle arti presso questo popolo col solo con- fronto di quegli oggetti, che ne'sepolcreti si ritrova- no; essendo generale l'opinione, che vi si contenes- sero i cadaveri d'intere famiglie, e colle ceneri degli avi si confondevano quelle de'nepoti: e da ciò na- sceva la varietà delle suppelleitili più preziose che loro avevano appartenuto. Ad accrescer fede a tale opinione possono prodursi le iscrizioni, che si leggo- no ivi scolpite : taluna delle quali, scritta in latino, prova che fu in quel luogo deposto alcuno di fami- glia tosca fatta romana. Escluso da questo lato il modo di rilevare il vero progresso di queste arti imitative, converrà in- vece appigliarsi all'altro che riguarda le forme di que- gli avelli, ne'quali un sistema tutto consimile s'ebbe, allorché s'imprese a costruirlo. Ivi il confronto na- scerà fra i primi e quelli eretti nelle epoche po- steriori, ove maggior magnificenza, ricchezza ed e- leganza si trovano insieme raccolte. Esempi di re- mota vetustà somministrano gì' ipogei recentemente scoperti nelle contrade di Tarquinia , di Cere e di Arti etrusche del disegno 3o3 Vulcla , tutti scolpiti nella roccia naturale del suo- lo. In questi sepolcri si scendeva costantemente per una scala esterna, anche essa tagliata nel basso: ed un gran lastrone di pietra ne chiudeva la porla ra- stremata, spesso scolpita in riquadri con emblemi di animali ed altri segai , che sembravano una specie di geroglifici, sebbene di maniera propria, siccome nel 1824 notò il professor Poletti in un ipogeo al- lora scoperto presso Tarquinia, del quale bassi que- sta descrizione. Si entrava in una o più stanze, che avevano in qualche lato le pareti non a piombo, ma inclinate, siccome usarono gli egiziani, con grandi sca- glioni di tufo incavati a foggia di avelli, per collo- carvi i cadaveri. Le soffitte erano piane o poligone di tre lati: due di questi inclinati, e quello di mez- zo più alto o orizzontale, modo primitivo somiglian- te in parte al fare egizio. Questi soffitti in alcuni se- polcri erano lisci, in altri ripartiti in quadretti in- cavati, come i lacunari dei latini ed i lunghi riqua- dri, che imitavano una tessitura di legnami, di tra- vicelli e di tavole : talché in ciò sembrava che gli etruschi mirassero alla capanna, là dove gli egizi imi- tarono senza dubbio le jnoli dei monti e gli spechi delle grotte. Le più ampie si reggevano sopra pilastri quadrati , come gli egizi su pilastri rotondi , perciò diversi solamente nella figura : ed erano collocati a varie distanze, ma sempre scolpiti nella roccia. Le sof- fitte, le pareti, ed anche i pilastri si ornavano di co- lori e di pitture. I colori erano vivissimi e semplici, di rosso, verde e giallo , oltre il bianco e il nero , distribuiti in istrisce come gli egizi. Ma ad una più diligente e precisa distinzione ci conducono gli etru- schi sepolcri da poco in qua escavati a Castel jNor- 3o4 Letteratura chia presso Viterbo , ove si trovano insieme riuniti i caratteri particolari dell' originaria costruzione de- gli ipogei con gli altri maggiormente ornati venuti dippoi : ed è singolare il trovarsi in essi introdotte le decorazioni dell'ordine dorico, che per essere sem- plicissime e tagliate nel vivo sasso risalgono ad un' epoca assai remota. Le varietà, che nascono fra le due parti di questo monumento, si rendono palesi, allor- ché si prendano a considerare gli alti rilievi, che de- corano un de'timpani: ove veggonsi figure parte gia- centi e parte collocate in forzosi scorci, dove le gam- be sono all'eccesso divarcate, le braccia tese ed i mu- scoli da vantaggio pronunziati. Quando nel timpano apposto, benché di tufo, vedi mirabile il disegno, ove specialmente fa bella comparsa nelle eleganti forme di un gruppo, che rappresenta un cadavere muliebre cui due persone tolgon su, abbracciandolo l'una alle ginocchia, l'altra sotto le ascelle; se pure non si vol- le espressa la moglie o la madre dell'estinto venuta meno pel dolore e condotta lungi dall'angosciosa sce- na. Non meno bella ed espressiva è una quarta fi- gura di guerriero sedente all'ultimo angolo, che colle mani si sorregge il volto, ed ha le spalle rivolte allo spettacolo a significato d'altissimo cordoglio. Che le arti poi fiorissero al sommo grado pres- so gli etruschi, è chiara prova l'altra scoperta peru- gina degli ipogei dei Volunni, dottamente illustrati dal chiarissimo cav. professore Gio. Battista Vermi- glioli. Questa famiglia, sebbene tosca d'origine, non si diede ad ornare le tombe de'suoi maggiori che nel- l'epoca in cui l'Etruria divenne quasi romana: epoca nella quale essendosi accoppiati insieme tutti que'fa- vorevoli elementi propri a perfezionarle, ingrandirono Arti etrusche del disecko 3o5 cotanto da non temere confronto veruno. Concludia- mo perciò, die essendo in Etruria costante il costu- me di onorare gli estinti, noi avemmo a rilevare in esso che i primi sepolcri escavali nella roccia presen- tano delle analogie cogli egiziani, le quali sono me- no visibili allorché perfezionandosi il gusto ogni ge- nere di decorazione prese un tipo suo proprio ed ori- ginale. La qual cosa non avvenne agli egizi irremo- vibili ne'riti e nelle liturgie del santuario, alle qua- li non rinunziando, mai sempre conservarono nel sim- bolo della piramide il religioso principio dell'immor- talità. Avremmo perciò costantemente in loro uni- formità di miti : dove questa non corrisponde in E- truria, che sebbene fedele nelle religiose dottrine, dif- ferisce dall'un'epoca all' altra nella rappresentazione del mito , e fa supporre che ivi si tenesse più alla comune intelligenza, che al mistero o alla tradizio- ne. Se talun esempio ci rimane che ai miti etruschi riguardi, è questo più che altrove manifesto ne'sepol- cri, i quali, come accennammo, furono anche di pit- ture fregiati : comprendendovi soggetti, che alla vita futura s'addicono, come animali, geni alati, mostri, cacce ed altre figure alleguriche alla religione, graf- fite ora in rosso ed ora in giallo, con fasce di orna- mento, che contengono le fave, i delfini, le così det- te greche, con cento altre simboliche e leggiadre fan- tasie. Una gran composizione di tal genere mista ad iscrizioni etrusche fu scoperta, non ha molto, in un sepolcro tarquiniense, che presenta non poche figure involte nel manto, dipinte mirabilmente, che sembra- no riferirsi ad una sacra cerimonia. La maggior par- te tengono istrumenti, mazze, fiaccole, punti spirali, serpenti ed emblemi allusivi alla loro divinazione. G.A.T.XCllI. ao 3o6 Letteratura Alcune hanno lunghe orecchie e sono dipinte di co- lore di bronzo, che si hanno per lari o penati. Se all'epoca, in cui viveva il Lanzi, simili pitture fossero slate al pubblico esposte, avrebbe egli ritorto il pen- siero descrivendole per divinità alate fenicie, e si sa- rebbe convinto che gli etruschi al pari dei fenici rappresentarono i geni, e che sebbene infrequente , non ne mancarono né i greci , ne i romani. Por- tando più innanzi le nostre osservazioni, esse c'in- vitano a leggere nelle iscrizioni scolpite nei sepol- cri le particolari laudi che destinavano a coloro, che con più di valore e di gloria o avevano sostenuti i diritti della patria, o a nuove e grandi conquiste coo- perarono. Per la qual cosa collegano quelle epigrafi colle costumanze guerriere del popolo, e manifestano come le belle arti, che vedemmo dirette a fortificare le città, e ad onorare i templi ed i sepolcri, s'im- piegarono con non minore impegno a fregiare d'in- tagli e d'intarsi quelle armi, che destinavano a mi» surare la loro forza con quella degli stranieri, co'quali si trovarono frequentemente a contendere. La forma dello scudo etrusco fu o tondo o ova- le: e da essa non si allontanarono i romani, i quali ne trassero l'origine da uno di quegli ancili, che venu- to in mano di Numa, fece ch'egli commise al tirreno Veturio Munazio d'imitarlo : e fusi che n'ebbe alcuni, si destinarono ai dodici sacerdoti salii. Semplici sono quelli dell'epoca più remota dell'Etruria: ma poscia come non vi fu oggetto di pubblica utilità o bisogno, meno che di lusso, dove non si avesse a manifestare il j)rogredire che le belle arti facevano nel paese , così, mantenendo la forma antica, si passò a coprire lo spazio dello scudo con ogni sorta di piacevoli fi- Arti etrusche del disegno Soy gurative decorazioni. In una tomba tarquiniense fu- rono, non ha guari, escavati alcuni frammenti di un ampio scudo di metallo tutto istoriato in giro di pic- cole figure, e certamente di lavoro etrusco, che è una maraviglia il vedersi tuttora esposto nel palazzo pub- blico del comune di Corneto. Praticarono gli etru- schi di onorare parimente il pileo , la cui origine , sebbene tirrena, è comunemente supposta frigia, dal- l'uso che da que'popoli se ne faceva: non fu questo frequente presso i romani, ed ignoto fu ai greci che an- davano a capo nudo anche nei sacrifici, come atte- sta Macrobio. Plinio ascrive ad origine tirrena Vasta velitare^ le falere, le finiture equestri. Lucio Flo- ro concede agli etruschi l'invenzione del carro aureo, nel quale squisiti lavori si prodigavano : dai tirreni provenne la tromba, testimonio lo stesso Sofocle in Snida. I sandali e calzari usati dai greci derivarono d'Etruria, e di questi Fidia ornò la sua Minerva. In- finiti sono gl'instrumenti guerreschi, che ne'paesi abi- tati da questo popolo si trovarono: ma di essi è igno- to per la maggior parte l'uso; imperocché col varia- re della militare strategia, dove non ne soccorrono gli scrittori contemporanei è vano di ricercare delle mazze, delle spranghe, degli uncini e di tante altre cose che vennero sopra terra, allorché predominò l'a- more delle cose antiche. Fra tante differenti armi, per la maggior parte ricche e con buon gusto lavorate, noi abbiamo argo- mento a considerare, che la varietà nasceva dall'esse- re allora l'arte della guerra manchevole di certi prin- cipii; per la qual cosa si cercava superare l'inimico colla qualità delle armi, piuttosto che con un piano di difesa, che garantisse le posizioni dell'esercito con 3o8 Letteratura minor saci'ificio di esso. La ricchezza aveva in ap- poggio il saggio fine di mantenere nell'apparente la stima del popolo e dell'esercito, il quale giudica tal- volta dalle esteriori rappresentanze il merito di chi lo guida e lo regge. Come questa massima fosse nel governo d'Etruria tenuta in pregio, un esempio ne somministra la magnificenza, in cui si tenevano i lu- cumoni, che guerrieri e sacerdoti, come i caldei, da* castellotti sulle alture tenevano in soggezione quei della pianura. Ciascuna città ne aveva uno che ren- deva ragione ogni nono giorno, e rappresentava gli altri nelle assemblee generali tenute a Volsinia. Fra questi lucumoni uno era scelto capo della federa- zione, avendo per insegna le vesti di porpora, la co- rona d'oro, lo scettro coll'aquila, le scuri, i fasci, la sedia curule e dodici littori, forniti uno da ciascuna città. Il buon gusto finalmente non era che la con- seguenza del loro esercizio nelle arti del disegno, le quali, come notammo, erano giunte a quel grado d'e- leganza, che volendosi superare s'incontrava il peri- colo che decadessero. Da questo genere di lavori veniamo facilmente a rilevare, che l'arte di fondere i metalli era antica in Etruria, in guisa da non contrastare l'anteriorità di questo popolo con la pretesa dai greci e non ne- gala dai romani. Contemporanea a questa fu l'altra della fusione del rame, favorita dalla posizione del paese che ne somministrava abbondante materia: per la qual cosa gli etruschi ne profittarono tanto per costruire le loro navi, quanto per altri oggetti alla guerra spettanti ; e Virgilio ce ne ha lasciata una bella descrizione. I greci non incominciarono a fondere statue di I Arti etrusghe del disegno 3o() bronzo, che dopo il quinto secolo di Roma. (>osì i romani non conobbero quest'arte che ai tempi di Mu- ma, che un collegio aprì all'unico scopo , che arti- sti esperii al lavoro de'metalli ivi si educassero. Se di maggiori esempi mancassimo, sufficiente sarebbe a provare l' operosità degli etruschi nella fusione del bronzo convertendolo in istatue, la ricca preda che sopra le due mila fecero i romani a 13olsena, poco dopo la guerra di Pirro nel 4^'9 ^i Koma. E pro- babile che il bottino venisse compartito fra le molte città all'Etruria soggette, e che taluna delle statue, considerate nei nostri musei per greche o romane , da artefici etruschi fossero slate lavorale. Ora che la passione spinta al di là del classicismo agita meno le menti degli eruditi, vien tolto di mezzo un gra- ve ostacolo ad apprezzare il vero loro merito. Di un beneficio così rimarchevole all'archeologia siamo sin- golarmente debitori al regnante sommo pontefice Gre- gorio XVI , il quale ai tesori che il Vaticano rac- chiude in ogni genere di antichi monumenti, volle aggiugnere ancor quelli che ai nostri progenitori spet- tavano, onde aprire una spaziosa via allo studio delle arti coltivate in Etruria. Furono da questo museo escluse quelle statue che per etrusche giudicò il Ficoroni, il quale, sebbene con qualche incertezza, vi ascriveva il gruppo di Lao- coonte, affermando che ai tempi in cui venne scol- pito non erano i greci giunti a quella perfezione , che nell' opera è manifesta. Non vi si comprese la Pallade capitolina con elmo frigio in testa , asta e scudo, che dai Paralipomeni del Passeri al Dempste- ro tene vasi per etrusca, dietro il confronto di un bas- sorilievo tirreno, escavato nel colombario dei liberti 3io Letteratura di Livia Augusta ( Roma antica e moderna fj/^S , tom. Il, pag. 271 al 374)' Non vi si considerava finalmente il Meleagro, che il Guarnaccl dubitò opera etrusca sul conosciuto sistema dei greci di non ef- figiare soggetti anti-toscani appartenenti a quegli eroi pelasgi, die per rispetto della loro nazione appella- vano barbari ( Origini italiche, tom. II, pag. 242 ). Le opinioni di questi eruditi si ebbero per in- gegnose, ma non si accettarono, considerandole trop- po ardite. Presentemente la critica c'impone di sot- toporre il giudizio ad un diligente esame sul luogo, dove il monumento fu escavato , sulla materia del lavoro, sull'oggetto che rappresenta; .e formare prin- cipalmente 1' attenzione sullo stile. Imperocché seb- bene le apparenze sieno di così poco momento, che vuoisi un occhio espertissimo a rintracciarle, nondi- meno lo studio e la pratica ci farà conoscere nelle statue etrusche, scolpite nelle epoche più gloriose del- la nazione , contorni che tengono maggiormente al lineare dei greci : ed un esempio non isfugge, con- frontando fra loro il Marte lodino con l'Apollo va- ticano , dove le linee del primo , sebbene condotte con grandissima morbidezza, tendon sempre ad essere rette e prolungate , quando all' opposto nell' Apol- lo tondeggiano , e nel riunirsi e collegarsi fra loro pervengono dolcemente al centro, dando alla statua quella grata movenza, a cui non è stato concesso ai competitori di giungere. È il confronto di una ma- niera con 1' altra che illumina ed avvalora i nostri giudizi, per ben determinare le epoche delle cose, e nel tempo stesso a dichiarare le cagioni che indus- sero quel popolo ad erigere il monumento che pren- deremo a descrivere e ad illustrare. Se Plinio non Arti etrusghe del disegno 3 r i avesse descritto con infinita diligenza il sepolcro, die alle falde della città di Chiusi avevano gli etruschi eretto al loro re Porsenna; come potremo noi ascri- vere ad opera della medesima nazione 1' altro degli Grazi e Curiazi al di là di Albano; non avendo al- tro fondamento per averlo tale, che le analogie del- le sagome, delle cornici , ed il vedervi al pari del primo adottati i dentelli, e le cinque piramidi o co- ni, ond'era sormontato il basamento riquadro di quel- lo del re Porsenna ? Avvertimmo di già che eli etru- schi in quell'epoca, in cui furono più felici nell'e- sercizio delle arti imitative, mantennero nel disegna- re la figura umana un gusto tutto loro proprio, non avvisandosi il loro progredire, che dalla maggiore di- ligenza e finimento dell'opera. Sotto questo medesi- mo aspetto migliorò ancora l'architettura; imperocché negli edifizi, che si costruirono da architetti etruschi nella pnma età di Roma , conservarono l'antico ca- rattere della loro architettura , e soltanto stimarono di ornarne maggiormente le pareti, facendo che tanto le sagome delle cornici, quanto gli altri abbellimenti manifestassero il buono stile intrapreso. Fra d quarto o quinto secolo di Roma venne innalzata quella tomba di Gaio Bibulo, che si vede a Macel de' Corvi, dov'è pronuncialo e deciso il ca- rattere dell' antico ordine etrusco , carattere non ismentito nel tempio di Cori, che dell'epoca repub- blicana sarebbe ad aversi , manifestandolo le lettere antichissime dell'iscrizione , e quel prenome dato a Manlio, che come osserva il Poletti, appoggiato alle testimonianze di Livio e di Tacito, fu vietato dopo il delitto di Manlio Capitolino, per avere tradita la pa- tria e dato in Roma accesso ai galli. La maniera del- 3 12 Letteratura l'edificio è tutta etnisca, poiché basato sulle sostruzìo- ni (li pietre quadrate di antichissimo modo tirrenico: la così detta dorica trabeazione è simile a quella, che vedemmo dapprima nata in Italia. Si distingue final- mente questo tempio per l' ordinanza delle colonne con basi e capitelli di un fare etrusco, e per la por- ta rastremata colle orecchie e colle ante uguali a quelle che si veggono negli antichissimi ipogei di A- gilla e di Tarquinia. Ma fra tutte le altre moli, nelle quali trionfò il valore etrusco, ha il primo seggio il circo massi- mo ordinato da Tarquinio. Le descrizioni degli an- tichi scrittori accendono la nostra immaginativa, e ci trasportano a considerare, come una città , la quale appena sorge, spiega già tanta grandezza, da far tene- re gli abitatori d'animo capace a pari azioni. Le pri- me impressioni, che si ricevono, sono quelle che agi- scono direttamente, e decidono degli avvenimenti fu- turi della vita. Roma deve all'Etruria la propria pos- sanza, e gli esempi della virtìi e del valore. Un po- polo che ricovera sotto meschino tetto, e che le pro- prie idee non può dilatare oltre gli oggetti che lo circondano, non può nemmeno prender parte ad a- zioni magnanime: e se talvolta vi s'induce, lo fa per- chè spinto dall'altrui impulso. I romani all'opposto, nudriti ed educati da una nazione che godeva tanta fama nel mondo , debbono all' esempio di questa i propri progressi e la propria gloria. Fu dall' Etruria che provenne la prima scintilla di civiltà nell'occi- dente, comechè dall'oriente le era stata tramandala: così noi perseveriamo nel proposito, che l'Etruria va- da debitrice dei lumi, delle ricchezze e della civiltà a quelle prime colonie, che vi posero il piede. Ten- Arti ktrusche del disegno 3i3 tammo di provarlo colle analogie dei monumenti , della religione e dei costumi. Il tipo orientale è ma- nifesto nelle prime costruzioni degli edifici eretti nel- l'Etruria; non vien meno questo carattere negli altri, che si elevarono negli ultimi tempi di questa nazio- ne, allorché gli etruschi si confusero coi romani. Con- servò la religione il mistero egiziano, la mitologia , i sacrifici: e se talune varietà vi si scorgono, sono esse tutte raccolte nella sola liturgia. Per le quali cose possiam venire a conchiudere, che l'Etruria nel mantenere l'antico tipo orientale non s'adoprò, che ad ampliare i suoi mezzi per correggere i difetti, per adattare le leggi , la morale , le costumanze ad un nuovo clima: cercando di emulare nella civiltà quei popoli, a' quali andava debitrice delle prime sue isti- tuzioni, coltivando la speranza che questi convenis- sero in quelle modificazioni , che reputassero com- portabili ai luoghi ove vivevano. March. Amico cav. Ricci. 3x4 Elogio del socio ordinario ca\>. Giuseppe Vala^ diev architetto , letto dal socio ordinario cav. Clemente Folchi , nelV adunanza tenuta il dì i3 di giugno 1889. Estratto dal tomo X de- gli atti della pontificia accademia romana di archeologia. Pdveduto e corretto dalVautore, riuseppe ValaJier romano, cavaliere della legione d'onore, mancato a'vivi il primo di febbraio 1839 , in età di anni 77, occupa un seggio particolare nel- la storia dell' architettura moderna. Il gran numero delle opere, che tutto empiero- no il corso della sua vita, lo ricorda uomo dedicato interamente all'arte: la varietà nella specie di esse lo dichiara uomo di genio; mentre l'abbondanza dei con- cetti architettonici, non che la facilità di esprimerli, lo dimostra uomo costituito dalla natura per l'arte. Se enumerar volessi le sue fabbriche eseguite e progettate , dacché ottenne il premio in architettura nel concorso dementino del 1775, dovrei presentar- ne una lunga serie. Ma essa con bell'ordine è slata già esposta nei pubblici giornali dal chiarissimo col- lega nostro sig. cav. P. E. Visconti ( nell'Album, an- no VI , n. 12 ). Solo dirò che è a stupirsi in leg- gere, come al Valadier , vissuto in tempi guerreschi e di generale deficenza, tante occasioni siensi presen- tate per l'esercizio dell'arte sua, e tanti sieno gli e- difici da esso innalzali in Roma e nello stalo pon- teficio : sicché è forza convenire, aver egli tenuto il Elogio del Valadier 3i5 dominio sulla opinione, ed essere stato un tempo in cui non s'intraprendeva fabbrica, della quale non fos- se sua o l'idea o il disegno o la direzione. Se quin- di tutte ricordassi le altre opere, sia per decorare son- tuose feste o per preparare magnifici funerali; sia per distribuire grandiose luminarie o disporre fuochi ar- tificiali; sìa per ripartire giardini e passeggiate; sia di ogni altro congegno meccanico, stancherei la vostra attenzione, ed esporrei cose appartenenti alle arti mo- derne, che propriamente si addicono alla romana ac- cademia di san Luca, della quale il Valadier fu so- cio professore fino dall'anno 1798. Ma poiché il genio del Valadier non conobbe né leggi, né confini , potremo da queste aule facil- mente ritrovarlo fra le antichità dell'architettura ro- mana in mezzo alle sue diligenti ricerche e misure. JE là dove coU'opera confermò l'esistenza dei più bei monumenti, profittando opportunamente delle occa- sioni dategli dal governo, allorché con magnanimità e consiglio determinossi al generale dissotterramento dei monumenti antichi, e si accinse alla restaurazione di essi. Acceso pertanto il Valadier dal desiderio di da- re opera alle illustrazioni arcbeologiche di essi, si as- sociò al chiarissimo Filippo Aurelio Visconti ( di fa- miglia e di memoria sempre pregevole per le arti ) ed airintelligentissimo Vincenzo FeoH per le incisio- ni, onde fare di pubblico diritto le diligenze, le fa- tiche e gli studi ila loro assunti. Fu del Valadier il commendevolissimo divisa- menlo di abbandonare l'antico metodo delle autorità e tradizioni, e di mettersi soltanto per la via delle ricerche e de'con fronti : talché la raccolta de'suoi mo- 3i6 Letteratura numentl non solo ci presenta la verità di quelle fab- briche e della loro architettura , ma ci somministra lo studio delle differenze coi magistrali precetti di Vitruvio, e la cognizione delle aberrazioni di colo- ro, che troppo seguendo le congetture, avevano im- maginato restauri e cose non applicabili ai ruderi slessi ed all'arte, la quale è la vera direttrice in que- sto ramo di perquisizioni antiquarie. Cinque sono i monumenti riuniti neirunìco to- mo in foglio, in diversi tempi dati in luce dal tipo- grafo De-Romanis. Nel iBio comparve il tempio di Antonino e Fau- stina , di cui si doleva il Valadier di aver ritrovato quasi del tutto mancante la cella pe' suoi confronti vitruviani, cui però potè stabilire per esastilo, pieno- stilo ed eustilo, a cagione della maggiore larghezza dell'intercolunnio di mezzo. Fra le molte osservazio- ni, la più rimarchevole si è quella della singolarità del cornicione coU'architrave a due fasce, del fregio alto e della cornice senza modiglioni e senza den- telli, dei quali crede egli di ritrovare l'intenzione in quella fascia che è tra l'ovolo e la gola diritta in- feriore. Nel i8i3 si videro pe' medesimi tipi i templi della Sibilla in Tivoli e di Vesta in Roma, dei quali ritenne le denominazioni comuni. Accagiona egli con giusto criterio alla situazione di una rupe eminente la doppia qualifica del tempio tiburtino in periptero e monoplero, che poi per la proporzione degl'inter- colunni è anche sistilo. Immagina, che per salire al tribunale ed al tempio vi fosse una scala a due bran- che, con ripiano in mezzo, avanti la porta del tem- pio addossate al basamento a seconda della sua cur- FXOGIO DEL ValADIER Si? vatura. Questa opinione però venne da qualcuno con- trastata, e si crede che la scala fosse d'una sola bran- ca diretta contro la porta del tempio. Quanto alla forma ed alle proporzioni generali, questo tempio si conforma alle leggi vitruviane. L'or- dine però, benché se ne allontani, apparisce elegante ed ammirabile. Così l'imponente ed alto piantato; la parsimonia stessa delle fronde nei capitelli; la incavata ed intesa frappatura di essi, ed il rilevato intaglio del fregio, sono bellezze da doversi attribuire, è vero, al luogo, ma che dimostrano con quanto giudizio adat- tavasi l'architettura e la scultura alle circostanze lo- cali. L'altro tempio di Vesta in Roma, rotondo, pe- riptero, picnostilo anch'esso ( come quello di Tivoli, che poggia il toro maggiore sopra il basamento) po- ne il toro sopra i gradi che girano d'intorno , e si approssima più che l'altro ai precetti di Vitruvio, Il capitello però è molto più alto con fogliami di oli- vo di sveltissima figura, a cui manca affatto il cor- nicione : ed è troppo insignificante il picciolo fram- mento di gocciolatoio con gola, che fu rinvenuto in quegli scavi, per dedurne o le proporzioni o le mem- brature. Comparvero quindi nel 1818, per gli stessi tipi, i templi in allora detti di Giove Statore e di Giove Tonante. Quanto al primo, che nomina tempio di Casto- re e Polluce, si conobbe, mercè degli scavi fatti, che le tre colonne superstiti visibili non appartenevano alla fronte, ma sibbene al lato del tempio : e che il prospetto era realmente di otto colonne, come lo in- dica Palladio, e non di sei come lo die il Labacco: 3i8 Letteratura onde si ritiene per un tempio periptero , oclastllo e picnostilo, poggiato sopra un alto basamento, e mu- nito di gradinata in parte continuata ed in parte a branche. Grandioso è Tordine, e nelFinsieme corrisponde alle proporzioni che assegna Vilruvio : sebbene parti- tamenfe più alto ne sia il capitello, basso l'architra- ve ed il fregio, ed alta la cornice. Sono di una squi- sitezza impareggiabile il capitello con fogliami di a- canto, di olivo e di lauro; la corrispondenza esatta dell'una membratura sull'altra; la composizione ele- gante degli ornati, il profilo e quegli intagli; ond'è che a ragione si nomina l'Apollo deirarchiteltura. E bene si avvisò il Valadier di estendersi in piìi esatti e numerosi dettagli, che tutto il suo gusto appalesa- no e lo studio che vi poneva. Altrettanto studio ed il sempre crescente impe- gno si manifestò anche più nella illustrazione dell'al- tro tempio di Giove Tonante octastilo , picnostilo , pseudoperiptero , egualmente prezioso e per le pro- porzioni dell'ordine e per la finitezza particolare de- gl'intagli. Vi ritrovò il podio e la gradinata : ma nel tutto poca corrispondenza alle regole vitruviane, spe~ cialmente nell' altezza veramente significante di un corintio di diametri undici e mezzo, e nella bassez- za dell'intavolato minore di un quinto delle colonne. Anomalie che in un giorno di nostre ordinarie visite al foro, colla commissione d'antichità, indusse- ro il Valadier ad esclamare : « Dover ogni architetto » seguire liberamente il suo genio ed il suo giudi- » zio.» Ma il formare questo giudizio è la grande ope- ra di difficoltà : ed io riputerei sommamente perico- loso il proclamare senza riserva questa massima ai Elogio del Valadier 3fQ giovani architetti, prima che avessero collo studio con- seguito il criterio dell'arte: giacche facilmente si pas- sa il confine del retto, e si cede alle seduzioni della libera maniera e del capriccio. Finalmente il nostro Valadier si occupò della colonna di Foca, fino allo- ra creduta un avanzo di tempio : e volle a questa applicare eziandio le regole di Vitruvio, dalle quali gli sembrò che non molto si discosti. Voleva proseguire sì bella ed utile intrapresa , ed aveva già in pronto i tre templi di san Niccola in carcere, l'anfiteatro Flavio, ed altri disegni che si conservano tuttora dal Feoli. Ma scioltasi la società, più non si vide in alcuni fascicoli seguenti né l'o- pera, né il nome del Valadier, il quale erasi già de- dicato a rivedere la pregiata opera di Desgodetz sul- le fabbriche anl;iche di Roma , allorché voleva farsi una nuova edizione colle tavole incise dal Feoli, e così colle correzioni ed aggiunte del Valadier rendere in certo modo la edizione romana superiore alla fran- cese. Nonostante sì lodevole disposizione, e quantun- que portati fossero a compimento i disegni e le in- cisioni, rimangono questi ancora inediti presso la cal- cografia camerale. Fra esse aggiunte e correzioni so- no rimarchevoli quelle fatte al Pantheon, all'anfitea- tro Flavio, al teatro di Marcello, agli archi di trion- fo di Tito e di Alessandro Severo, ed infine a quel- 1' edifizio denominato volgarmente i bagni di Paolo Emilio, discoperti in gran parte dopo il Desgodetz. E qui farò i più fervidi voti, perchè a benefizio del- l'arte siano pubblicate tali opere , non meno che i disegni dell'arena del Colosseo esistenti presso il oav. Luigi Canina, fatti in grande dettaglio, e misurati di- ligentemente dal Valadier nel poco tempo che resta- 320 Letteratura rono discoperte quelle sostruzioni ; oggetto ili tanto dubbio da prima e di tante discussioni da poi, e che determinano il modo con cui gli antichi conteneva- no entro sotterranei ricettacoli le fiere, che si desti- navano ai giornalieri spettacoli dell'anfiteatro; quan- tunque però di tale ritrovato comparissero nel i8ia le osservazioni suU' arena e sul podio , con disegni dell'architetto cavaliere Pietro Bianchi, e benché ne abbiamo ora una tavola incisa nella Roma del i833 del chiarissimo collega signor prof. Antonio Nibby. Con più trasporto ancora si rivolse il nostro in- defesso architetto alla parte esecutiva dell'arte, e si pose tutto a seguire le idee del governo dirette a ri- pristinare i monumenti colle riparazioni. Fu primo nell'anno 1821 il restauro dell'arco di Tito, di cui non restava che il basamento, la po- ca trabeazione dell'ordine sotto la gran pietra della iscrizione verso mezzo giorno, con due colonne, e l'intero archivolto sostenuto dai laterali piloni muti- lali e mancanti delle decorazioni. Indebolita la resistenza dei piloni contro la spin- ta dell'arco, i cunei di cui è composto esercitavano il loro sforzo meccanico contro di quelli, e l'indu- cevano a ruotarsi su loro stessi. I cunei posti in mo- vimento discendevano pe'letli, ne scollegavano il si- stema e si approssimava la ruina del monumento. Fosse provvidenza o caso, fu per noi fortuna che in tempi, in cui niun conto si faceva di tali cose, ve- nisse addossato all'arco nella parte orientale un gra- naio, e nella parte occidentale uno sperone a soste- gno dei grandi massi di travertino sovrapposti per for- mare una torre. Due metodi furono proposti nel 1820 per la riordinazione dei cunei spostati e discesi : il Elogio del Valadier Sai primo, del tutto meccanico, consisteva in rialzarli a forza di vitoui, e rialzati fermarli di sopra con ferri: ma questo, proposto ad una commissione di architetti I Scaccia e Martinetti , ai quali eljln l'onore di es- sere associato ancor io ), fu rigettato, siccome incer- to nell'esito e pericoloso nella esecuzione : e fu ab- bracciato l'altro del Valadier più semplice e sicuro, di disfare cioè l'intero arco, e quindi sopra una re- sistente e ben centrata armatura di legname ricom- porlo al posto con gli stessi cunei da prima nume- rati e poscia assicurati con perni impiombati : i qua- li perni ed impiombature con esempio raro non si trovarono praticate in questo arco. L'esito fu felicis- simo , ed il Valadier vi aggiunse poi il restauro in travertino senza intagli, per ben distinguere l'antico dal moderno. Fu riraarclievole in questo restauro la colonna angolare, della quale il Dcsgodetz ci aveva data una collocazione diversa , ponendola di faccia con aletta all'angolo. Ma dopo che se ne scoprì il basamento e la pianta, appari chiara e propria la col- locazione del Valadier. La sola cimasa dell' attico , di cui non si ritrovò reliquia, fu dal medesimo de- sunta dagli archi di Ancona e di Benevento, avendo questi un tipo simile al nostro di Tito. E nel mentre così si operava sulle alture della via sacra, si preparava una piìi interessante operazio- ne con un pili imponente lavoro. Minacciava da due I lati il colosseo. Quel Pio VII, che era di già accor- so a sostenerlo dal lato di levante con un gigante- . SCO sperone, lo volle assicurare da quello di ponen- te; e per mezzo dell' eminentissimo camerlengo ne affidò al Valadier la cura : il quale con bel divisa- mente immaginò di secondare rarchiteltura del graa G.A.T.XCIU. ai 322 Letteratura monumento, continuando le arcate stesse a numero disuguale in ogni ordine , cioè tre nel primo , due nel secondo ed uno nel terzo, delle quali la estre- mità in profilo formasse una figura piramidale : e così mentre in costruzione si fabbricava uno sperone, in architettura si rivendicava l'anfiteatro, e si dava un esempio ed eccitamento a seguirne il sistema. Imma- ginò pertanto il nostro architetto una colossale ar- matura di legname a castello, diretta più a comodo della lavorazione, che a sostenere quei grandi massi pericolanti. Si sbadacciarono i vani delle contigue ar- cate e finestre : si appuntellarono le pietre, e dopo tre anni si venne all'opera, la quale ha di traverti- no soltanto la metà dell'altezza dei primi piloni, le imposte degli archi, le basi delle colonne, i rispet- tivi capitelli e 1' ultima membratura dei cornicioni. Tutto il resto è in laterizio, col quale si sono fedel- mente imitate le antiche scorniciature ; il tutto pa- tinato a travertino, onde più si accostasse a quel co- lore. E quest' opera fu condotta con tale perizia ed esattezza, che mentre viene distinto l'antico dal moderno, non isfigura essa unita a quel monumento insigne per l'architettura, per la materia e per la gran- dezza. Quindi pregevole e di gran lode riuscì tanto per la solidità, quanto pel soddisfai-e che fece in par- te le concepite speranze di quella totale restaurazione. Altri minori restauri operò il Valadier, siccome uno dei componenti la commissione generale consul- tiva di antichità e belle arti , nel colosseo stesso , nel foro romano, nelle terme di Caracalla, nella ca- sa aurea, nel tempio di Bacco ed in altri luoghi : e per ultimo fece il modello e suggerì l'idea di sgom- brare il grande monumento di Claudio a porta Mag- Elogio del Valadier 323 giore : operazione eseguita poi dalla commissione sud- detta, che riscosse la vostra approvazione e la sod- disfazione di tutti gli archeologi ed arlisli si nazio- nali e sì oltramontani. Fu nel principio di questa operazione , che il cav. Valadier infermò : e fu nel tempo della prose- cuzione di essa che sopportò egli la lunga malattia, che lo condusse al suo fine. Ma quantunque infer- mo, ricercò sempre del monumento di Claudio ; ne parlava cogli amici ; e qualche volta negli intervalli di miglioramento si fece condurre a porta Maggiore per osservare con compiacenza quanto si eseguiva dai colleghi, e quanto si discopriva di quell'opera. Que- sta però fu l'ultima sua contentezza in terra : poi- ché piacque a Dio in que'giorni ( cioè il dì i di feb- braio 1839 ) di chiamarlo a se nel cielo. La sua me- moria ha monumenti stabili. L'instituto di Francia, l'instituto degli architetti di Londra, ai quali era ascritto : la società italiana e tutte le accademie di belle arti, a cui era addetto: gli stabilimenti pubblici e le particolari aziende che lo desiderarono , lo terranno sempre certamente in pregio come uomo di genio, come uomo dell'arte. La nostra accademia e la commissione di anti- chità riconosceranno nel Valadier l'archeologo bene- merito, degno dei nostri elogi e di quelli della po- sterità. C. FOLCHI. SulV antico tabularlo capitolino. Ragionamento recitato alle pontificie accademie riunite di san Luca e di archeologia il dì 28 di dicem- bre 1842, dal cavaliere Giovanni Azzurri, con- sigliere della classe delV architettura e profes- sore di geometria prospettiva ed ottica nella prefata accademia di san Luca. F. u sempre mia ferma opinione, eminenlisslmi prìn- cipi, illustri accademici dell'archeologia, onorandi col- leghi, che colui cui la volta toccasse del ragionare in questa solenne adunanza, ed in questa slessa sala, la quale come nelle riunioni che precedettero, così acco- glie oggi i più distinti scienziati, non meno che i più famigerati artisti, dovesse essere di tal sapere fornito da poter soddisfare degnamente alla commendevole istituzione. Mai quindi non poteva venirmi in pensiero, che l'onore ch'ebbero di favellarvi i miei colleghi, lustro e decoro delle arti italiane, e dottissimi neirarcheo- logia, potesse cader anche su di me, che fino dai più teneri anni travalicando dai letterari studi al com- passo ed alla matita, mi riconosco affatto insufficien- te a richiamare la vostra attenzione in questo lette-p rario esercizio. Ma poiché le mie preghiere, onde trar» mi da così grave assunto, non valsero, e che le istan- ze con cortesia e gentilezza esternate da chi invece poteva farmi un obbligo di assumere il per me diffi-. cile impegno, mi costrinsero a soddisfare agli altrui i w Tabulario capitolino 325 desiderii, nutro ferma fiducia che la vostra ben nota urbanità avrammi per iscusato, se le cose da me e- sposte non saranno né eloquentemente dette, ne at. tinte con profondità di sapere, nò con fino raziocì- nio dedotte, come altri avria potuto ben fare, ma si mostreranno rivestite unicamente di quella candidez- za di verità e semplicità, con cui un artista può al- trui esternare i propri concetti. A voi, i cui principali 8tudi consistono nell'accurato esame degli antichi mo- numenti, nella dichiarazione de' loro usi e nel deter- minare i gradi delle loro bellezze , non può essere Ignoto, come io dirigendo i lavori instituiti ad am- pliare e migliorare le insalubri carceri del moderno campidoglio, animato da quel vivissimo amore che fin dagh^ anni verdissimi mi tenne avvinto ai classici a- vanzi che onorano questo suolo, avidamente afferras- si la favorevole occasione offertami per liberare al- meno una delle dignitose arcate del tabulario roma- no da quelle luridezze, fra le quali rimanevasi av- volta fino dai ferrei tempi del medio evo. Avrei creduto che siccome ogni saggio, che ivi recossi attiralo dalla bellezza di quel brano di mo- numento, rimase estremamente soddisfatto dell'incan- tesimo de'suoi rapporti, della imponente sua dignità, non meno che della squisitezza della sua coslruzio, ne , così mi sarebbe stato permesso di sgombrare le rimanenti dieci arcate, che riunite alla prima già di- scoperta, avrian mostrata la intera parte dorica del monumento che sovranamente posa sul sottoposto ba- samento dì opera isdoma, costruito come il rimanen- te dell'edificio con pietra di Albano o gabina. Il VIVO piacere che mostrò in allora ogni sag- gio di quel discoprimento , la frequenza de' piiì di- SaS Letteratura stinti personaggi che recavansi ad osservare e ad am- mirare d'appresso la dignitosa maniera del monumen- to , e più ancora V acceso desiderio esternatomi da molti di averne il disegno, m' indusse a riirarla ed inciderla, accompagnata da una brieve descrizione, che io fregiai dell' illustre nome di questa pontificia ac- cademia di belle arti. Credeva in allora di poter proseguire con altre ricerche, ed era mio proponimento di pubblicarne il ristauro; ma incominciando a scorrere per me tem- po inimico , mi si parò innanzi funesto nembo che contrariò e distrusse ogni mio buon volere. Onde è che , con grande rammarico di tutti i leali amatori delle maravigliose opere de'padri nostri e di tutti i cultori delTarte edificatoria, per quattro anni conti- nui sepolto rimase il lodevole interesse che destato aveva quella classica opera, ed un profondo silenzio ricopri que'pittorici avanzi della romana grandezza. Tuttavia lo zelo istaucabile e le incessanti pre- ghiere del benemerito mio amico e compagno de'let- terari studi, sig. avvocato del Grande, indirizzate al rispettabilissimo protettore delle nostre accademie , all'eminentissimo principe cardinale Giacomo Giusti- niani camerlengo di santa romana chiesa, ottennero che venissero nuovamente ripresi gli sterramenti in pili luoghi interni dell'edificio. In questo modo si sono scoperte alcune altre parti di esso che prima erano sconosciute, poiché av- volte fra le macerie, e che mi porgono l'opportunità di ritornare a ragionarne in questo giorno solenne, illustrando, come per me si potrà il meglio, la parte slorica, non men che l'artistica. Persuaso che vi recherei grave noia, se facendo TabULARIO capitolino 32 7 USO d'inopportune erudizioni, vi descrivessi lo stato antico di questa parte del campidoglio, mi occuperò soltanto di ciò che è più strettamente congiunto col- la posizione topografica della fabrica di cui si tratta. Chi ora la riguarda dal basso del foro, la vede depressa fra due colli, che s'innalzano sopra i suoi due lati, l'uno settentrionale, ed è il Saturnio ora occupato dal convento di Aracoeli , l'altro meridio- nale , che ancor conserva i primitivi nomi di Tar- peo , rnpea tarpea o sasso dì Carnienta. Negli antichi tempi, in cui gli edifici sacri, non meno che le altre fabriche innalzate su i nominati due colli mostravansi nella loro integrità, il tabulario, che deve essersi sicuramente mantenuto nel plano che gli as- segnò il suo costruttore, doveva comparire assai più depresso. Ma più elle alle adiacenze conviene dirigere le osservazioni alla forma della curva data dalla sezio- ne de'due colli sovrastanti, e dall'altra che li con- giunge, e che ha, per così dire, detcrminate le sos- truzioni dell'eciificio. E ben verisimile, e ne abbiamo in natura altri esempi, che le acque che con grande empito dovevan precipitare da quelle cime laterali del campidoglio sulla cavità intermedia, e da ([uesta nella sottoposta valle del foro, e quindi nel prossimo velabro, aves- sero prodotte tali escavazioni d'aver quindi bisogno di rilevanti sostruzioni per ottenere la riunione delle .due parti, e per formare la base dell' edificio parti- colarmente sulla fronte per mezzo di archi continuati: l'una e l'altra di queste opinioni tanto più rendesi chiara, quanto più progrediscono gli sterramenti. Gli antichi a questa specie di ambienti, ricavati SaB Letteratura parte col suolo naturale e parte coll'opera artefatta, dettero il nome di criptoportici. Ora quelli testé scoperti sotto il portico del ta- bulano sono appunto di quella specie: e se non nuo- vi, né di una magnificenza eslraordinaria , sono pe- rò assai commendevoli e per la semplicità e per la esattezza della costruzione; sono infine vere criptae poiché soggiacciono al portico superiore, e ritraggo- no per cosi dire nella forma di alcuni archi il porti- co stesso. Nulla può dirsi con sicurezza del loro uso, poi- ché gli scrittori, che ci han lasciato delle memorie re- lative ai diversi usi della parte superiore, niente ci han detto della sotterranea. Però considerando la scarsezza de'raggi di luce che s'introducono, e non universalmente, dalle pic- cole feritoie che si aprirono nel magnifico basamen- to, è facile a persuadersi che esse non poterono ser- vire che ai comuni usi delle grotte. Scopertosi però fra quelle macerie non poche ossa umane, chi sa come ivi pergiunte, si accesero le truci fantasie de'romanzieri, di cui la nostra età più che le già passate è feconda: e piacque loro d'imma- ginare, che in tempi di barbarie fossero esse l'orrido carcere di vivi sepolti, e le crudeli bolgie, contro le quali i tirannclli del medio evo saziavano la inesau- ribil sete delle particolari vendette. Ma da queste grotte pregevolissime passiamo al m agnifico superiore edifizio, a cui servono esse di so- lido e dignitoso sostegno. L'area, in cui é compreso, è un trapezio. Il maggior de'suoi lati, che fa fronte sul foro, è lungo palmi romani 320 pari a metri 71, /jf); l'altro lato a questo parallelo, e che è posto sul Tabulario capitolino 32g canipidoglio, è lungo palmi 275 pari a metri 61, 43; onde l'uno dall'altro differisce di palmi ^5, ossia di metri io, 04. Il terzo lato poi, cui sovrasta il colle saturnio , e che si congiunge in angolo quasi retto colla fronte principale del monumento, estendesi per palmi 210 , pari a metri 4^, 91 j e per palmi a 14 pari a metri 47 > So l'ultimo lato che ha sopra di se il Tarpeo, 0 sasso carmentale. A me sembrerebbe non potersi porre in dubbio che le quattro linee, formanti l'esterno perimetro del- l'edificio, corressero in origine libere dall'un capo al- l'altro. Le torri, che a'nostri giorni osservansi risaltare in fuori come dall'angolo sopra il carcere mamerti- no, così dall'altro di cui ho io aperto il nuovo in- gresso al carcere civile, sono i soliti aborti, 0 detur- pamenti della barbarie. Poggio fiorentino, che ne'pri- mi anni del 1400 scrivendo intorno le vicende della fortuna , rammentava molti particolari tramutaraenti della umana grandezza, ci lasciò memoria di aver qui veduto l'archivio dell'antica Roma, ossia il tesoro più prezioso della storia e della diplomazia del più gran- de degli antichi imperi trasformato in magazzini di sale. Contemplava ad un tempo e compiangeva il cor- rodere che il sale veniva facendo delle pietre dell'e- dificio, e con grande difficoltà leggeva su i peperini in lettere arcaiche, e presso già ad isparire, l'autore di esso e l'uso cui venne destinato. Le parole di lui dedotte dall'iscrizione, sono le seguenti : « Extant in capitolio fornices duplici ordinis no- vis inserti aedificiis, publici nunc salis receptaculum, in quibus scriptum est litteris vetustissimis, atque adeo humore salis exesis^ Quintum Lutatium, Quinti Jì- 33p Letteratura lium^ Quinti nepotem^ Catuìum substructionem et tabularium de suo faciundum coeravisse. /> Questa iscrizione, e questo vile uso che facevasì del nobilissimo monumento, durava ancor due secoli dopo Poggio. Infatti Famiano Nardini lo testifica ove afferma , che 1' iscrizione di Quinto Lutazio Catulo leggeasi nella moderna salala capitolina sotto l'abita- zione del senatore. Di questa salala, ridotta di poi a stalle senato- rie, non giova far rimembranza: ed in luogo di usa- re aspre parole contro i ciechi autori di tante mise- rie, copriamo con velo di carità queste vituperevoli opere dell'ignoranza. E siaci anzi di dolce conforto il riandare col pensiero con quanto impegno sua ec- cellenza il signor principe don Domenico Orsini, at- tuale senatore di Roma, siasi degnato di frapporre l'ef- ficacia del suo rispettabil potere , non meno che la cortesia delle sue parole, affinchè fosse condotta a lie- to fine l' opera incominciala. Oggi V iscrizione non è più : essa o è del tutto perita, lo che mi sembra as- sai probabile, o rimane sepolta fra le macerie; ne ci viene apprestata luce veruna per rintracciarla, poiché ne il Poggio, né il Nardini c'indicarono il luogo pre- ciso, in cui fu da essi rinvenuta e letta (i). (i) Si è creduto da qualcuno, che le ultime escavazioni fat- te in quella parie del tabularlo che guardava il tempio di Gio- ve Capitolino, ora VAracoeli, abbian fatta rinvenire l'iscrizione, che io qui dico smarrita. E' vero in fatti che nel lato medesimo osservasi ( opera di tempi vandalici ) un parallelepipedo di tra- vertino, facente funzione di architrave , sulla parie esterna del quale è incisa una parte d'iscrizione , in cui leggesi il nome di Quinto Lutazio Catulo. Con una tale opinione però si distrug- Tabulario capitolino '33t Sappiamo però da essa con sicurezza , che qui fu il tabularlo e l'archivio prima della repubblica, e gerebbe ciò che asserirono Poggio fiorentino e Famiano Nardì- ui, della cui fede non si ha ragione di dubitare. Aniendue que- sti testimoni parlano in modo da doversi assolutamente credere, che la iscrizione fosse da loro veduta intera nel proprio suo luo- go, doi>e era la salata, e corrosa in parte dalla mordacità del sale. La iscrizione però, che ora presentasi a'nostri occhi, è fuor di luogo, dimezzata e per nulla corrosa. JNella iscrizione del Poggio e de! Nardini viene chiarissimamente indicata la sostru- zione ed il tabulario, e nulla dicesi della approvazione che ot- tenne la fabrica; in questa invece, che da taluno, come si è det- to, amerebbesi riconoscere per la smarrita, non si fa menzione veruna né della sostruzione , nò del tabulario, ma si fa unica- mente rimembranza di chi approvò l'innalzamento dell'edifìcio. L'iscrizione intei'a è la seguente : Q . LVTATIVS . Q . F . Q . N . CATVLVS . COS SVBSTRVCTIONEM ET TABVLARIVM S . S . FACIVNDVM COERAVIT Il frammento contiene ciò che siegue ; TATIV . Q . F . Q . N . C EN . SENT . FACIVNDV EIDEMQVE . PROB Il quale, se volesse ritornarsi alla sua integrità, dovrebbe forse leggersi cosi : Q . LVTATIVS . Q . F . Q . N . CÀTVLVS . COS EX . SEN . SENT . FACIVNDVM . COERAVIT EIDEMQVE , PROBAVIT Ora, secondo le due iscrizioni di questo tenore, mi determino vo- lentieri a credere, che esse appartengano al medesimo Lutazio ; ma non m'indurrò mai a confondere l'una coU'altra. E' ben pro- babile che un console romano innalzasse nel tempo stesso più fabbriche; ed il nostro Lutazio può aver bene avuti de' giusti motivi per situare quelle due pietre , tanto nella parte interna del tabulano, quanto in altro edificio, che elevato egualmente per di lui opera si rinvenisse in quelle adiacenze. 33a LsTTEnATURA quindi dall'impero. Ma i moderni nostri topografi , il Donati particolarmente il Nardini ed il Venuti , guidati dalla fede degli antichi scrittori , concorde- mente convengono nel riconoscere riuniti in questo stesso luogo una pubblica biblioteca ed un pubblico ateneo. Certo è che il tabularlo non potè nascere sen- za il portico, perchè questo serviva a quello di adito. Catulo d'altronde si dichiara autore dell'uno e noù dell'altro, non perchè non appartenessero a lui amen- due le opere, ma perchè quei generosi romani, che in tali imprese facevano tanto di più di quello ebe non possiamo e non sappiamo far noi, furono assai più modesti , e meno parolai di noi. Fra noi iscri- zioni, che son volumi, magnificano opere da nulla; fra quelli un modestissimo sasso portava impressi i cenni di portentose maraviglie; fra noi, lapidi gigan- tesche ricoprono della loro ombra la miseria de'no- stri sforzi; fra quelli un piccolo marmo annunciava la forza, il senno e il buon volere della nazione. liiraarrebbe a conoscere se Catulo , come tace di avere edificato il portico, così ricopra di un vir- tuoso silenzio di aver costruito la biblioteca e l'ate- neo. Lo scioglimento di questa quistione a me non apparisce difficilissima. La sostruzione e il portico su- periore, che era la parte dell'edificio che più delle al- tre doveva mostrarsi magnifica , come facente fronte al gran foro romano, sono costruite iu pietra gabi- na o di Albano, comunemente chiamata peperino: se si eccettuino alcuni membri interessanti di architet- tura, pei quali l'esattezza di costruzione richiede una materia più dura, e che sono di pietra tiburtina, co- me i capitelli, le imposte degli archi, la trabeazione ec. Tabulàrio capitolino 333 Dunque le parti più interne dell'edlfizio, come meno cospicue, non potevano ragionevolmente essere di un materiale più nobile. Ora l'angolo, die nella fabbrica di cui trattiamo più si avvicina al moderno palazzo de'senatori, è in travertino: e le arenazioni, che ora forman sostegno all'aula massima capitolina sono di opera laterizia. Poco rettamente giudicliereb- besi quindi, se si volesse riconoscere come opera di un solo autore e della stessa epoca l'edlfizio di cui ora si tratta: ed a me sembra che i diversi usi cui fu destinato, o gli aumenti co'quali progredì, debba- no ragionevolmente stabilirsi nel modo che vi espongo. La parte in peperino, che è di Catulo, sia as- segnata al 6*74 della città, nel qual anno Catulo res- se i fasci consolari : la parte in travertino opinerei che non potesse disconvenire ai tempi imperiali di Augusto, di Tiberio, o anche di Caligola e di Clau- dio: e farei giungere ai tempi di Vespasiano, o anche più innanzi, le arenazioni presso l'intermonzio di ope- ra laterizia. A ciò vuoisi aggiungere, che le memorie che ci pervennero della biblioteca e dell'ateneo, sono certa- mente posteriori a quelle del portico e del tabularlo; onde è che non mi sembra che si opponga il buon senso a persuaderci , che un secondo autore a noi ignoto edificasse una biblioteca: ed un altro, il cui nome non sia a noi pervenuto, aggiungesse l'ateneo al tabularlo ed alla biblioteca. Savissimo provvedimento fu quello di avvicina- re ai diplomi della repubblica e dell'impero i codici della greca e della romana letteratura, e agli uni e agli altri poi le sale pei letterari esercizi : ciò che pppunto significa la voce ateneo. 334 Letteratura Ma io ascolto che ognun di voi or mi diman- da ragionevolmente il dettaglio di ciascuna delle par- ti, dalle quali veniva composto l'edlGzio, ove avesse ì suoi ingressi, ove fosse posto il tabularlo , ove la biblioteca ed ove l'ateneo. Ben fortunato mi chiamerei, se soddisfar potessi a tutte queste assennate ricerche; ma lo stato delle osservazioni, che mi è stato finor permesso di fare, è cosi limitato, che mi vieta, per non avventurare opi- nioni poco fondate e prive di documenti, di tratte- nermi in simiglianti dichiarazioni: e voi stessi che sag- gi siete , e non accostumati a contentarvi di parole vaghe ed insussistenti , non potreste uniformarvi ai miei poco dimostrali ragionamenti. Tanto gli antichi scrittori , quanto i moderni conservano su questi particolari il silenzio: e per ma- la ventura l'edilìzio ha perduto il suo secondo ordi- ne, forse anche il terzo, che senza temere di sogna- re possiamo supporre sovrapposto a quei robusti avan- zi, che sempre noi ammiriamo, non solo per l'incan- tesimo de'loro rapporti, ma per la loro solidità. Esistendo queste divisioni in altezza in quella grande vastità di superficie, sarebbe stato ben facile l'assegnare de' luoghi ampi e magnifici per ciascuno degli usi , ai quali non è dubbio che abbia esso servito. Il portico occupava la sola fronte riguardan- te il foro, e serviva tanto a mettere in comunicazio- ne i due clivi per cui ascendevasi al campidoglio , quanto ad introdurre coloro che dovevano recarsi al tabularlo, alla bibholeca, e all'ateneo. Il portico adun- que era aperto in ambedue le estremità: mercechè è di recentissima data l'arte di edificar portici ciechi , e privi affatto tanto d'ingresso, quanto di uscita. TaBULARIO CAPItOLINO 335 Dalla parte del Tarpeo il clivo rasentava tutto il fianco del nostro edifizio . Tacito ce lo attesta con quelle chiarissime parole : Erant porticus in In- tere clivi dextra suheuntibus. Dal lato del carcere mamertino il clivo imbocca- va direttameate il portico. Il clivo poi, che a'noslri giorni dal fianco dell'arco di Settimio Severo mette sulla piazza del campidoglio, sembra che nuli' abbia di antico. Antichissimo poi è l'altro che gira ne'due fian- chi dello stesso carcere, e movendosi dal punto stes- so, d'onde si muove la salita detta di Marforio, s'in- nalza verso le mura di precinzione degli orli di Ara- coeli, piega quindi obliquamente a sinistra verso la parte centrale del campidoglio, e viene subito ad in- vestire il noslro portico. A me non sembrerebbe che un secondo diver- ticolo a destra ripiegasse verso l'interraonzio: e lascio intatta, polche estranea al mio assunto, la quistione de'clivi capitolini, i quali secondo il mio avviso sa- rebbero e due ed uno. Sarebbero due in quanto al punto della parten- za: poiché l'uno dal foro progredendo sotto l'arco di Settimio, passando sotto la Concordia, il tempio di Giove Tonante, ed i Conseati, montava fino a tocca- re sulla destra il nostro portico; l'altro elevandosi e girando attorno allo stesso carcere mamertino entra- va direttamente nel portico, ed attraversatolo in tut- ta la sua lunghezza, andava a confondei^si e a dive- nire un solo con quel primo , pel quale finalmente ascendevasi all'intermonzio. Abbracciando il portico tutto il lato maggiore dell'edificio , apriva un comodissimo adito a tutti gli 336 Letteratura ambienti, che componevano il piano corrispondente alle arcate doriche; ma ove saranno state le scale cor- rispondenti al dignitoso monumento, che avran con- dotto alle sujieriori arcate ioniche ed alle corintie ? Io immagino che non saranno state né chioccio- le, né mezze chiocciole , ne composte di rette e di curve; ma saranno slate ben degne di quel fortuna- to imitatore della greca severità, che seppe imprime- re al suo lavoro quel carattere di unità , di dignità e dì armonia, che invano si desidera in tante mise- rabili opere de'nostri giorni. Ma forse poterono quei piani superiori aver l'in- gresso dal lato, che giace sull'intermonzio nella for- ma che or vediamo. Io non mei posso persuadere: che anzi dal mo- do , con cui Tacito nel terzo delle storie racconta l'assalto dato dai vitelliani a quell' edifizio , in cui fortificatisi i soldati di Sabino, che combattevano per Vespasiano, gittavan dall'alto de'tetti [pietre e tegole sopra gli assalitori, parml di potere argomentare che alle scale non vi era accesso, se non dal portico. Im- perocché i vitelliani , che volevan farsi padroni del- la rocca, riunirono tutti i loro sforzi ai due sboc- chi dello stesso portico, i quali dovevano esser chiu- si da forti cancelli, o imposte di bronzo. Poiché noa avendo essi altre arme fuori che le spade, e non vo- lendo ricorrere alle machine ed ai proiettili che chle- devan tempo per essere colassu trasportati, ricorsero al fuoco. Vi glttarono quindi fiaccole ohe in poco tempo incendiarono le porte: ed avrebbero ottenuto l'intento, se Flavio Sabino, tolte come gli suggerì il militare entusiasmo da' loro piedistalli le statue rap- presentanti gli uomini illustri delle età che furono, TabULARIO CAPITOLIIfO SSy non le avesse insieme accatastate per formarne una barricata in luogo di muro, che non poteva in poco tempo costruire. Le parole di Tacito sono quelle che seguono : Erant antiquitus porticus in latore clivi de- xtra subeuntibiis^in quorum tectum egressi, sa- xis^ tegulisque vitelUanos abruebant^ neque illìs manus nisi gladiis armatae et arcessere tormen- ta aut missilia tela longum videbatur. Faces in prominentem porticum iecere ; et sequebantur i~ gnem , ambustasque Capitola fores penetrassent ni SabinuSt revulsas undique statuas, decora ma- iorum in ipso adita vice muri obiecisset. Ma che maggior forza avrebbero presso di voi questi miei raziocini, se cogli argomenti di fatto ad- ditar vi potessi i ruderi di queste scale ? Finora però non si sono potute scoprire che quelle , per mezzo di cui dal piano inferiore si può discendere al crypto portico: essendoci affatto ignote, perchè rimaste sepol- te fra le rovine dell'edificio, ricoperte quindi da or- rende moderne catapecchie, le allre magnifiche, che come innanzi si è detto, dovevan menare ai nobilis- simi piani superiori. Valutabili sono gli sterramenti finora eseguiti : ma molto rimane ancora a fare. La parte centrale del- l'edificio per la estensione di palmi romani i6o, pari a metri Sy, 74? ^ ^^ quasi cento palmi in larghez- za, eguale a metri 22, 34 > oltre due allre porzioni considerabilissime dalla parte del Tarpco, sono anco- ra fra le tenebre, ed impenetrabili affatto alle osser- vazioni ed agli studi degli amatori delle antiche cose. Questi unitamente agli esteri, come potrei mo- strare da urbanissime lettere pervenutemi dai lette- G.A.T.XCIII. 22 338 Letteratura rarii istituti, fan voti affinchè sia condotta a termi- ne la ben cominciata impresa: e si rivolgono a voi, eminentissiino principe, protettore delle nostre acca- demie , percliè quando che sia vogliale degnarvi or- dinare il proseguimento di un lavoro che tanto in- teressa la famiglia dei dotti, ed i cui risultati, men- tre a tutto il mondo colto ed istruito farebber pale- se quale intenso amore nutriate e per le arti del Lello e per coloro che le professano, coronerebbero di nuovi serti il nome illustre dell'eminenza vostra. Nò vi muovano punto dal generoso proponimen- to le ciance di certi pseudo-architetti , che alimen- tando ed accarezzando certe meschine favilluzze di particolari ingiusti rancori, all'aprirsi della nobile ar- cata del tabularlo incominciarono a gracchiare sulla futura rovina e della parte antica e del moderno pa- lazzo senatorio. Salde, saldissime si rimangono tut-r torà quelle imponenti rovine, che si fan beffe delle ingiurie de'secoli: e più salde diverranno quando in- teramente alleggerite da quegli inutili involucri, da cui sono ora gravate, si mostreranno nella primitiva lor forma al pubblico sguardo : e quando la vostra autorità e l'alto vostro senno in mezzo agli univer- sali plausi le avrà ricondotte all'antica lor dignità, ed al primo splendore. Sarà allora che con verità geometrica potrà di- mostrarsi quanto al presente convien dedurre dal ra- ziocinio, e sarà allora che si potranno per me adem- piere le promesse fatte dall'epoca dello scoprimento dell'arcata. Po trassi inoltre conoscere la interna distribuzio- ne degli ambienti: in qual modo prendessero la luce: se vi fosse nella parte centrale, come è probabiiiaat Tabulario capitolino 339 ma, un cavedio: e tante altre cose infine si dichiarereb- bero che sono ora avvolte fra le tenebre le più dense. Ed in fatti non è a supporsi, che arcliitetti di quel valore cadessero nell'imperdonabile balordaggine, che a'nostri giorni a taluni non fa gran senso, di co- struire sale, che per esser abitate, e per servire agli usi destinati, han bisogno di lumi artificiali: e tanto più poi nell'edificio di cui ragionasi, in cui dovevan- si leggere scritture, non impresse in nero su carte can- didissime, ma graffitte e tagliate con bulino sopra o- ficure tavole di bronzo , e pel quale eminentemente richiedevasi luce chiarissima ed abbondante. Mi rimane ora ad aggiungere alcuni schiarimenti intorno al modo del collocamento delle tavole pub- bliche custodite nel grande archivio, ed intorno all'ori- gine ed uso della biblioteca e dell'ateneo. Le tavole comprendevano i senatus-consulli, i trattati di con- federazione e di società, ed i privilegi conceduti sia ad intere comunità, sia a private persone. Il loro nu- mero era sì grande, che Vespasiano a riparare il danno dell'incendio, che nel momento in cui veniva saluta- to imperatore ne distrusse una parte, si trovò nella necessità d'inviare per ogni provincia dell'impero per- sone che le ritraessero fedelmente dagli apocrifi do- vunque esistessero. Afferma Svetonio che le copie, in tal modo raccolte, montavano a tre mila. Queste sole esigevano una grande ampiezza di luogo, se si vole- vano collocare in modo da potersi riscontrare a ogni uopo e consultare con facilità. Non eran carte, non eran membrane, delle quali in un piccol pluteo ne ordiniamo dugenlo senza pe- na erano : tria millia aerearum tabularum^ le qua- li non si potevano inserire per fianco ne'plutei, e ad- 34o Letteratura dossare l'una sull'altra a quel modo che noi faccia- mo de'nostri in quarto e de'nostri in foglio. Ora se ne fossero contate un solo migliaio della grandezza di quella, che tuttora serbasi nella stanza del Fauno nel museo capitolino, questo solo migliaio avrebbe richiesto per se pareti amplissime, sulle quali ciascuna tavola doveva esser posta, e formata di fron- te con scale e ringhierette in diversi ripiani, per la comodità di quei molti , che nelle frequenti occor- renze le dovevan leggere e interpretare. Se tolgasi adunque il portico, che non par ve- risimile che avesse tavole sulle sue parastate, il solo piano dorico non potè bastare al grand'uopo di allo- gare in giuste ordinanze questa immensa serie di pub- blici documenti, de'quali componevasi l'augusto codi- ce diplomatico di sì vasto e potente impero. Passerò ora a dir qualche cosa sulla biblioteca. Opinò Plinio, che la più antica delle bibliote- che di Roma fosse quella, che Annio Pollione aprì a pubblico uso. Ovidio (i), nell'inviare dall'esilio un suo libro a Roma, immagina che si presenti a tutte le biblioteche , che Roma aveva in quel tempo ; non ne rinviene però che tre, la palatina di Apollo , la Ottavia presso il teatro di Marcello, e quella di Asi- nio Pollone, che vincea nella età sua le altre due, e che posta era nell'atrio della libertà sull'aventino. Convenendo dunque co'moderni topografi , che congiunta al tabularlo fosse anche la biblioteca, che Orosio nel settimo narra incendiata da un fulmine che colpì il campidoglio, non possiamo però credere (i) Triatium lìb. Ili, elegia I. Tabulario capitolino 341 che la sua istituzione rimontasse ai tempi repubbli- cani, anzi neppure ai primi anni dell'impero. Conoscendo voi, come dottissimi in tutto ciò che riguarda le antiche cose, quanto han detto gl'istorici delle diverse biblioteche di Roma, stancherei la vo- stra sofferenza, se tornassi a distesamente narrarvelo; e tanto più sarebbe inopportuna questa mia inutile voglia di spacciare erudizione, quanto è men sicuro che ciò che han detto gli stessi storici possa con ve- rità applicarsi alla biblioteca annessa al tabulario, e non più tosto alle alti'e, che onoravano altri luoghi di questa immensa metropoli. Puerile divisamento poi sarebbe se volessi rammentarvi il modo, con cui gli antichi distribuivano i lor papiri e le lor pergame- ne, quando aperte e addossate Puna sull'altra alla ma- niera delle pagine de'nostri libri, quando convolte in se medesime per mezzo di un bastoncino cilindrico con due pomelli alla estremità o corni, come essi li chiamavano, con grazia impomiciati e verniciati; sic- ché conoscendo di avervi bastantemente e forse mal trattenuti, passo a dir rapidamente qualche cosa cir- ca la istituzione dell'ateneo. Nel modo stesso che Plinio stabilisce, che Pol- lione apri a pubblico comodo la prima delle roma- ne biblioteche ne'tempi di Augusto, così il retore Se- neca lo fa primo autore di numerose adunanze di uomini eruditi, ai quali recitava le proprie scritture. Asinius primus omnium romanorum advocatis ho- minibus scripta sua recitavit. Queste recitazioni non ebber luogo fisso in Roma finche Adriano non ebbe costruito un pubblico ateneo : ed il padre Alessan- dro Donati è quegli appunto che con plausibilissimi argomenti ed autorità vuole, che il luogo scelto da 342 Letteratura Adriano a quest'uso fosse quello stesso del tabularlo e della biblioteca. La quale sentenza al mio giudi- zio è sempre sembrala lodevolissima , si perchè im- provvida profusione sarebbe slata quella di far sor- gere dai fondamenti un edificio esclusivamente desti- nato per tali adunanze, in un tempo, in cui Roma ne abbondava, e che con nulla a ciò si prestavano; sì perchè , come io già vi accennava , la biblioteca meglio che qualunque altro luogo poleva prestarsi ai bisogni de'confronti da farsi fra le scritture dei vi- venti e le altre de'trapassati. Il nome poi di ateneo, o rainervale che è lo stes- so, lo derivò dalle esercitazioni di coloro che quivi si erudivano nelle dottrine di Minerva, come opina Dione. Lamprldio racconta che Alessandro Severo lo frequentava per udire i retori ed i poeti, e greci e latini (i). Capitolino narra di Pertinace, che differì un colai giorno 1' andata all' ateneo per un presa- gio (2): e di Gordiano, che nell'ateneo declamò cer- te sue controversie alla presenza de'capitani del suo esercito (3). Che vi si dessero lezioni, lo abbiamo da Sesto Aurelio Vittore nelle storie de' cesari , ove riferisce, che tornato Adriano in Roma, cominciò a prendersi (i) Ad athenaeura audiendoram et graecorura et latinoruni rheterum vel poetaruin caussa frequeater processit. Historiae augustae tom. i, (u) .... Et Pertinax eo die processionerà, guani ad altieaaeum paraverat ut audiret poetam, ob sagrificii praesagium dijlulisset, hi qui ad obsequiuin venei'ant redire in castra coe- pcruiit. Historiae augustae tom. I. ^3) Uhi ado'.evit in allienaeo controversias declamavit audiea» llbus eutn iiuperatoribus. Historiae augustae tom. i. Tabulario capitolino 343 cura delle cerimonie, delle leggi, de'ginnasl, de'mae- stri, fino ad istruire una pubblica scuola delle arti proprie degl'ingenui (i). Ed il secondo Teodosio, nel- la legge De siudiis liberalihus urbis Romae , fa menzione delle scuole capitoline, come delle migliori elle fossero in Roma , e dei privilegi conceduti ai maestri capitolini, con severa produzione che mai non avessero a rendersi comuni coi precettori degli altri luoghi. Ma sia ormai fine al mio dire: poiché forse tali rimembranze, clie la vostra estesa dottrina rende in voi stessi di tanto maggior valore, turba o almeno fa dolce violenza al vostro spirito , che a quei memo- randi tempi trasportasi. E già amereste che tali fos- sero quegl' interni avanzi del tabulario da potervi a vicenda indicare: Qui sono le magnifiche scale per cui ascendevasi ai portici superiori: ecco le nobili es- sedre che racchiudevano il fiore della romana giuris- prudenza ; sono ben queste le magnifiche sale , ove quei sommi ristoravano altrui colla lezione delle lo- ro letterarie fatiche ; ecco infine 1' incantesimo e la squisitezza dell'architettura romana, che punto non ismentisce il sublime dell'esterna ortografia, che già ricreò i nostri occhi. Ho ferma fiducia che gl'illustri vostri desìderii saranno appagati, ed auguro a me il consolante con- forto di essere il primo ad annunciarvelo. (i) Gynina'ia doctoresque curare occaepif; adeo quideni ut etiara ludutn ingenuarum artium, quod athenaeum vocant, con- stilueret. Historiae augustae toni. t. 344 Lezione intorno ad un sonetto di Vittoria Co" lonna sopra una sua impresa^ e si dichiara- no alcune imprese che al pubblico in Ro^- ma si veggono. Letta in Arcadia^ nelV adunan- za del 2 dicembre 1842, dal cav. F. E. Vi- sconti. s. 'ara questa mia presente lezione intorno ad un sonetto , che Vittoria Colonna marchesa di Pescara dettò in proposito di una sua impresa. Argomento , per quanto io mi stimo, non meno accomodato all' onorala adunanza vostra , arcadi preclarissimi , che grazioso a ciascuno. Imperciocché qual'altra cosa vor- rà dirsi così conveniente ad un'accademia, che gl'in- chinati studi della poetica facoltà gloriosamente re- staurò, come il tenervi discorso di poesia ? E a chi sarà da credere che non abbia a riuscire gradito il conoscere i concelti, e l'udir quasi le parole di va- lorosissima donna e di virtuosissima ? La quale col- l'altezza della mente e del cuore , operando e scri- vendo, le chiaro al mondo i magnanimi fatti e i su- blimi pensieri essere sopra il costume femminile, ma non sopra l'ingegno. E noi romani quanto più dolcemente e piìi in- tensamente commover deve la rimembranza della Co- lonnese nostra! Quando per merito di costei, eh' è la maggiore donna che giammai ci nascesse, la tanta luce di Roma si accresce di un nuovo splendore. E di splendor cosiffatto, che il simigliante se ne cer- Discorso del Visconti 345 cherebbe indarno in tulle le città, quante fioriscono questa terra privilegiata e fatale, che natura dell'al- pe e del mare cingendola, si direbbe aver voluto a- morosamente dalle altre separata e divisa. E ben tale surse la marchesa di Pescara fra le altre donne d'I- talia, quali fra le altre donne di Grecia Saffo e Co- rinna. Ma con questo di vantaggio : che non con una poesia di lascivia e di vezzi adoperò a piacere sedu- cendo; ma si fece venerabile e grande col porre in rima alti e severi concetti, cavati dal più profondo e dal più austero della filosofia. Cosa, che quanto è più malagevole ad ottenere, altrettanto fa il poeta più laudevole e più glorioso. Ne questa rinomanza di Vittoria è a que'simulacri sembiante, che in alto lo- cati fanno inganno allo sguardo di chi da lunge gli osservi, con sembrare di più accurata opera e di mi- gliore, che poi in effetto non sono. Ma trova parità nelle opere di assoluta eccellenza, che se da lontano recano maraviglia, da vicino danno stupore. E più si considerano, e più e meglio se ne ammira e cono- sce la bontà e il magistero. Questo posso io di me medesimo affermare : che le lunghe cure e lo studio, che ho posto intorno alle azioni e alle scritture di signora si egregia, molto maggiori cose mi scopersero e mi fecero di lei molto più alto intendere, di quel- lo che io ne andava divisando, o che mi avessi mai per lo passato letto o creduto (i). (x) La edizione delle rime di Vittoria Colonna, corredata della vita di essa, è stata da me posta in luce, intitolandola al- la eccellenza della virtuosissima principessa D. Teresa Torlonia nata Colonna, e con gli auspicìi del degnissimo principe D. Ales- sandro Torlonia di lei consorte. 346 Letteratura Per le quali considerazioni sono entrato in ispe- ranza, che vi piacerà ascoltarmi cortesemente : aiu- tando a render men grave la povertà del mio dire la grazia e il favore, onde questa rara donna si riveste e si fregia, che per verità son tali, Che qual di lei ragiona, Trae dal soggetto un abito gentile. E da poi che il sonetto, sul quale abbiamo a tener discorso, fu dalla Colonnese composto a dichiarazione di una sua impresa; non sarà stimato fuori di luo- go, che mi faccia a ricordar brevemente alcune cose circa l'origine e l'uso delle imprese. Dico di quegl'in- gegnosi trovati, per mezzo de' quali, quando con im- magini sole, quando con immagini e con parole in- sieme , attesero gli uomini stati sopra a noi a fare evidenti i reconditi ed alti loro concetti. Cosa pra- ticata già molto e molto avuta in pregio per tutta Italia, e nella corte romana massimamente : scaduta adesso per modo, che non solo è fuori dell'uso, ma quasi fuori delle menti degli uomini. E già è que- sta una assai strana cosa e insieme verissima, che le vetuste cose e le straniere sieno da noi e studia- te e conosciute ; le vicine e nostre ignorate e ne- glette ! Tornò il costume delle imprese in onore do- po la riscossa barbarie. Imperocché ben si ritrova es- ser quelle state antichissimamente. E quando per le parole degli scrittori non tralucesse, e le divinazioni del profondissimo Vico non si volessero accettare ; basterebber per tutto a provarlo le tante dipinture delle etrusche stoviglie, nelle quali sono le irrecusa- bili testimonianze di un blasone primitivo ed eroico. Discorso del Visconti 347 Ma, lasciando per ora di questo, certo è che i prin- cipi , i capitani e i cavalieri più segnalati , volendo o ne'governi, o nelle spedizioni, o nei torneamenti, porgere indizio dell'animo loro, trovarono aperta via di farlo per figure e per motti. E quella espressione figurata e scritta chiamarono impresa, quasi che in essa slesse l'intenzione e la mela di tutto quello, che o desideravano di conseguire, o speravano. Così le ban- diere, gli elmelli, i cimieri, gli scudi e le sopravve- sti, ricevettero impresa. Poi da questi arnesi di guer- ra, passarono ai fregi d'ogni maniera, scolpiti o di- pinti : passarono a rendere con be'significati più ri- guardevoli e illustri i rovesci delle medaglie : passa- rono agl'impronti delle monete eziandio ; che non così nudi e uniformi, come ora corrono, ma docu- mento della storia e delle arti vennero a noi trasmessi dalla greca, latina e italica civiltà. Parve poi questo delle imprese così vago modo ed acconcio a dinotare i propri desiderii 0 concetti, che presto da quelle prime eroiche significanze fu- rono adoperate ad esprimere privati pensieri. Venu- te alle mani de'genlili amanti, se ne valsero con leg- giadri ingegni a render fede de'loro diversi affetti. Poi le accademie vollero levare ancor esse un'impresa co- mune, che fosse espressione dell'intendimento di lor compagnia. Così, divenendo la materia delle imprese più pregiata ad un tempo, e ad un tempo più uni- versale, molti chiari intelletti si volsero a questo ar- gomento, e ne dettarono belli ed onorati volumi. Ne' quali o sono dichiarate le imprese più illustri, o si additano i propri e particolari caratteri, onde perfet- ta e lodata impresa si formi. Si trovarono allora e si stabilirono i nomi alle imprese appropriati , per 348 Letteratura meglio dinotarne le parli. E così la figura fa delta corpo dell'impresa: e la scrittura, che pareva avviva- re quel corpo , s' ebbe la denominazione di anima. Entrarono in questo arringo uomini di bellissima fa- ma: e formano una leggiadra ed util parie della let- teratura nostra i libri che ne posero in luce 1' Al- cìato, il Giovio, il Ruscelli, il Domenichi : e quan- to ne raccolse Camillo CamlUi, Scipione Ammirato, e il Largagli e il Caburano, e, con Ercole Tasso suo congiunto, il famoso Torquato. Nò dilettevole solo, ma profittevole molto si deve tenere la lettura di co- lesti autori. Poiché la qualità medesima del soggetto li fa entrare in particolari singolarissimi, e in certe più riposte ed occulte narrazioni delle cose e degli uomini. Malagevole poi senz'essi, e colai volta impos- sibile al tutto, riuscirebbe il dar buon conto di al- cune rappresentanze, intorno alle quali accade pure di avere a proferir sentenza. Ed io potrei recare la mezzo certi esempi d' uomini non mediocremente eruditi, che dieder nel falso di un mal modo in una e in altra occasione, solamente per esser digiuni af- fatto della cognizion delle imprese. Dirò solo alcuna delle molte cose che dir potrei; e ancora con questa legge, che se ne venga a dichiarare taluna di quelle imprese, che tuttavia durano in pubblico luogo della nostra città. Nel palazzo vaticano in più luoghi, e in alcuni fregi di quello che fu già dei Medici, ed è ora dei duchi Lante della Rovere, si vede scolpito o dipinto l'ornamento di tre anelli con diamanti, e quello di un anello con gemma simigliante, inserte in esso tre penne e aggiuntovi il motto semper. Usò la prima impresa Cosimo padre della patria : la seconda Lo- Discorso dei. Visconti 349 renzo il magnifico. L'una e l'altra si trova impressa nelle medaglie de'nominati personaggi. Or queste, per esser conservale nel museo Mazzucchelli , avendo a dichiarare Pier Antonio Gaetani, che in molte parti lodevolmente illustrò quella stupenda raccolta, cadde egli in povere ed ambigue conghietture, e pose il falso in luogo del vero, per non avere contezza alcuna del significato di quelle imprese, le quali tuttavolta non sono delle più ardue, e venner di più conosciute a preferenza di molte; per essersi mantenute continue nella famiglia de' Medici, e ne' pontefici ancora che di essa furono. Pensò dunque il Gaetani della prima : che i tre anelli incatenati col motto semper additar volessero l'immortalità del nome di Cosimo, ovvero la verace e sempre costante virtù del medesimo (i). Scrisse della seconda : a Nel rovescio si legge la pa- rola semper : e vi si vede un anello gemmato, ch'è l'antico slemma della casa Medici ... Quivi poi ag- gìungonsi tre pennacchi legati insieme , con ispezie di benda. » Né entra in altra dichiarazione. Donde s'abbia egli cavato, che l'anello fosse l'antico stemma di casa Medici, io non so comprenderlo. Ben 50 che mai l'anello non fu stemma di tal famiglia; ma sibbene un'impresa di Cosimo, che la porlo prima dei tre anelli intrecciati. Ed è da rammentare, che quel padre della patria, a significazione del divoto e saldo animo suo, levò da prima l'impresa del dia- mante , che interpretava dio amante. Poi , volendo ancor più allargare quel suo concetto, si compose i tre anelli incatenati con quel motto semper : ed era- .* • .. .■ (i) Miis. Mazzucchelli, voi. I a carte 98. 35o Letteratura no significativi , non già di alcuna immortalità del nome suo, secondo avete pur ora udito interpretarsi; ma delle tre virtù fede, carità e speranza, cbe quel semper legava al concetto .del divino amore. E que- sto medesimo recò a piià bella foggia il magnifico. Il quale ritenendo un solo anello col diamante, che al- l'uopo bastava « con gran galanteria (così il Giovio) insertandovi dentro tre penne di diversi colori; cioè verde, bianco e rosso; volendo che s'intendesse, che Dio amando fioriva in queste tre virtù : Fides, speSy charitaSi appropriate a questi tre colori : la fede can- dida, la speranza verde, la carità ardente, cioè ros- sa » (i). In verità la cosa porge in tal guisa ben altro si- gnificato di se, che quel dire un anello con tre pen- nacchi ! Ma avremo a vedere anche un' altra volta quanto il non conoscere affatto d'imprese e di scrit- tori di esse, tratto abbia il Gaelani fuor di sentiero. Ora che siamo nel particolare delle imprese di casa Medici, dirò di quella di Giuliano, che molti vedu- to avranno scolpita nel marmo oltre il ponte s. An- gelo e rimpetto alla cortina del castello. I quali pu- re, forse e senza forse, l'avran tenuta per cosa di di- sperata intelligenza. Né io dissimulei'ò che una siffat- ta impresa, formata di anima senza corpo, sarebbe di per se oscura e quasi impenetrabile a ciascuno. So- no dunque da scusare coloro che v' hanno immagi- nato tante spiegazioni d'attorno: fra'quali uno scrit- tore chiarissimo, ch'ebbe a tentarne la dichiarazione,^ volle considerarla come manchevole, e con supplire (i) Imprese a carte 4'- Discorso del Visconti 35 1 tre lettere nel mezzo vi lesse : gloria vis (i). Ma il Giovio solverà tutto l'enigma in queste parole: « Il magnifico Giuliano , uomo di buonissima natura ed assai ingegnoso, che poi si chiamò duca di Nemours, avendo presa per moglie la zia del re di Francia, so- rella del duca di Savoia , ed essendo fatto gonfalo- nier della chiesa, per mostrar che la fortuna, la qua- le gli era stata contraila, per tanti anni si comincia- va a rivolgere, fece fare un'anima senza corpo in uno scudo triangolare; cioè una parola di sei lettere che diceva Glo'y'ìs, e, leggendola al rovescio, Sii^olg^ co- me si vede intagliata in marmo alla chiavica traspon- tina in Roma » (a). Ecco pertanto tornare il tutto chiarissimo; e l'ira- presa, accomodata e opportuna al concetto di chi la volle, non arcana essere , ma volgare; non bisogne- vole di supplimento; ma intiera e compita in se. Ed io ho sempre tenuto per saldo , che innanzi di por mano all'aggiungere e al conghietturare, si debba per ogni via cercar modo a conoscere se sia mestieri di farlo: e ciò come in ogni monumento, così in que- sti de'nostri maggiori tanto più specialmente, quanto è più credibile , che si abbia pure in alcuno scrit- tore a ritrovare il certo ed il vero. Né questo così ha da essere inteso, che dove il significato di alcuna fi- gura non sembri opportunamente dichiarato, non si possa cercarne un altro che più appropriato riesca e (i) Si veda il libretto posto in luce dal eli. sig. cav- Luigi Cardinali: Rime italiane, jjubblicate in occasione delle nozze Del Drago e Massimi. Roma, tipografia De-Romanis 1821. 8. a car.4- (2) Giovio, Imprese a carte 16. 352 Letteratura migliore. Così a me pare di non consentire al detto del Giovio, colà dove scrisse della impresa di Fran- cesco I re di Francia : e vorrei che quella impresa, la quale tutti veggiamo scolpita in sulla fronte della chiesa de'francesi qui in Roma , così s' intendesse , che non riuscisse men degna di quel sacro edifizio. Affermò dunque il Giovio, avere il re Francesco levata cotesfa impresa: « Per significare che ardeva per le passioni d'amore ; e tanto gli piacevano, che ardiva di dire, che si nutriva in esse ; e portava la salaman- dra , che stante nelle fiamme non si consuma , col motto italiano che diceva: nutrisco et estinguo: es- sendo propria qualità di quell'animale, spargere dal corpo suo umore sopra le brage, onde avviene ch'e- gli non teme la forza del fuoco, ma piuttosto la tem- pera e spegne » (i). In verità io non so acquetarmi a quella senten- za che il Giovio,^ benché assai esperto di tali mate- rie, qui proferisce. Né tengo che questa del re Fran- cesco sia impresa di amore : né parmi che possa es- ser tenuta per tale, chi ponga mente a que'due con- trari : nutrisco ed estinguo. Perchè se il re si nu- triva nel foco amoroso , che cosa dunque estingue- va ? E se alcuno o volesse o potesse nutrire a sua posta od estingTiere un fuoco, quale quello di amore è, io lo dimando ad ogni cuore gentile. Altro dunque si vuol ritenere essere stato il senso di quella figura e di quelle parole. E, se l'opinion mia non m'inganna, l'impresa non è altrimenti amorosa, ma sì bene reale ed eroica. Mostrando con essa quel potente monarca co- me fosse in sua mano l'alimentare o lo spegnere il j^t II ■ I 111 (i) Giovio,, Imprese a carie ^o. Discorso del Visconti 353 fuoco della guerra, ch'egli valeva a sua posta a nu- trire o aJ estinguere : e allora torna bene la figura, e le parole si fanno evidenti. Nella quale stessa sen- tenza, a dimostrarsi arbitro dei sedare o del mover le cose d'Italia, usò senza motto Galeazzo Maria Sfor- za Visconti l'impresa de' tronchi ardenti , appese ad essi le seccliie : ch'era un dire ch'egli poteva nutrire o estinguer l'incendio: e ne volle l'impronto sulle mo- nete di oro e di argento; alcune delle quali io stes- so conservo , ed altre ho potuto vedere nella dovi- ziosa raccolta, che delle italiche e pontifìcie monete possiede sua eccellenza don Marino Torlonia duca di Bracciano, che queste degli Sforza ha ragionevolmen- te sull' altre tutte carissime , per esser documento dell'inclita stirpe di D. Anna sua consorte, donna di alto intelletto e d'alta virtù. Se pertanto è cosi vero il pensier mio, come a me par verisimile, si ve- drà che la nazione di Francia ha opportunamente collocato sulla fronte della sua chiesa un' impresa così reale e magnanima : la quale poi tanto per av- ventura di siffatta guisa spiegata a quel luogo si con- viene, quanto intesa nell'altro si disconverrebbe. Parran queste forse a taluno lievi cose, e di mo- mento non grande. Pure certo è che senz'esse si ri- marrebbero oscuri, non solo 1 begl'ingegni de'maggiori nostri , ma le cose dell'arte che furon mezzo a farli evidenti. E abbiam visto e tocco con mani , che la dottrina di eruditi uomini patì difetto dal non sapere queste, minute è vero , ma pur necessarie notizie. Laonde io non temerò di continuare nel mio propo- sito, dimostrando che non solo ad intendere le cose dell'arte , ma si pur quelle delle lettere ancora, è questa materia delle imprese giovevole. G.A.T.XCIII. 23 354 Letteratura Si trova in tutte l'edizioni delle opere di Lodo- vico Ariosto un sonetto, che incomincia : Perchè simili sieno e degli artigli. Che sarebbe se io dimostrassi quel sonetto non essere altririienti di quel poeta famosissimo, e doversi asso- ki lamenta restituire ad altri che ne fu l'autor vero : né alcuno degli editori aver mai sospettato di que- sto abbaglio ? Pure a me sarà facile il dimostrarlo, e agli altri il rimanerne convinti; solo che io riferisca quel tan- to che Girolamo Ruscelli narrò di Bernardo Accolti nel suo dialogo delle imprese; le cui parole son tali: « L'unico aretino (così chiamavano l'Accolti) il quale ne' tempi di Leone e di Ciemenle fu signore di molto conto , mentre stava nella bellissima corte d'Urbino ( siccome di lui fa così onorata menzione il conte BaUlassane nel Cortegiano ) amava e serviva una gran signora. E sempre eh' egli aveva comodi- tà di parlarle , o poco o molto , alla scoperta o in parlar mistico , le ricordava la sua servitù. Ed ella gli faceva intendere con bel modo, che per certo l'a- mava con tutto il cuore : e che di questo si stesse sicurissimo, come d'esser uomo. Ma il signor Unico, per mostrarle con destrezza, che dell'amor vero si vuol dare altro pegno che di parole , levò per im- presa un'aquila, che prendendo i figliuoli ad uno ad uno, affiggea loro gli occhi al sole. E così da princi- pio, perchè non fosse intesa se non dalla donna, la portò senza motto. Ma prendendosi quella gran si- gnora piacere di provocar l'ingegno suo, soleva dir- gli alle volte in presenza di ognuno : Signor Unico, Discorso del Visconti 355 questa vostra impresa dà di die pensare alle gerii , e vi fan sopra esposizioni diverse. Ma la più parte concorre in dire, che voi coU'aquila figurate altera- mente voi stesso, che con la perfezione del lume del vostro ingegno possiate penetrar fiao al cielo. Alle quali parole il signor Unico non diede altra rispo- sta, se non che la mattina seguente comparve a corte con la sua medesima impresa, alla quale aveva fatto scrivere sotto queste due lettere S. C. , cosi sole e puntate, e lontane l'una dall'altra. Di che pungen- dolo pur vezzosamente con diverse interpretazioni la sua signora; egli fece stendere il motto: Sic Crede ... Perchè poi quella signora, che, come ho detto, si pren- deva spasso di provocare il hellissimo ingegno del si- gnor Unico, per farne uscir sempre qualche hel frui- to, gli diceva, che né ancora con tutto il motto po- tea la gente comprendere, che cosa volesse egli in- ferir con quel suo non voler credere egli lece quel sonetto molto bello di pensiero e benissimo det- to, quanto all'intenzion sua, .... il quale hanno fal- samente attribuito all'Ariosto, e comincia : Benché simili sieno, e degli artigli, E dell'ali, e del petto, e delle piume, Se manca lor la perfezion del lume, lliconoscer non vuol l'aquila i figli (i). Questa composizione, ordinata tutta all'esposizione del- l'impresa dell'Accolti e affermata per sua dal Ruscel- (i) Ruscelli, Discorso sulle imprese. Milano, per Giovanni Antonio degli Antoni i555) a carte loi, b. 356 Letteratura li, e che sua per ogni cagione si riconosce, vuol dun- que esser tolta dalle altre dell' immortale autor del Furioso, che certo in tanta ricchezza non ha mestie- ri di serbar cosa che sua non sìa. Né solo per rileva- re questa trascuratezza degli editori, tanto che ven- ga emendata, sono io volentieri entrato in cosiffatto ragionamento ; ma perchè in quella narrazione del Ruscelli si è potuto conoscere il modo, col quale ai tempi di Vittoria Colonna si praticava dì assumere le imprese e di farne mostra. E similmente, che spes- so eran tali, che erano variamente intese dai riguar- danti: perocché quelle si pregiavano a preferenza delle altre, che tanto avessero dell'insolito e del peregrino, che non fossero ad un volger d'occhio comprese; o da alcuni soli lo fossero e non da tutti ; dico non da bassi e materiali uomini , ma da culti e gentili. Però avveniva ancora die per molto pensarvi non se ne penetrasse il concetto. Ne gP inventori volevan sempre compiacerne i curiosi. E Lodovico Ariosto fa di questo ninnerò. Il quale oltre alla sua impresa dello sciamo dell'api ingratamente caccialo dall'alvea- re , col motto PRO BONO MALUM , chc USÒ nella im- pressione del poema e nel rovescio di una sua me- daglia ; avendone levata una seconda di una penna nera in fregio d'oro, che portò trapunta in ogni suo vestimento, mai non ne volle rivelar l'arcano a per- sona. E ne scrisse il capitolo, che incomincia : Della mia negra penna in fregio d'oro Molti mi sono a dimandar molesti L'occulto senso: ed io noi vò dir loro. Yò che sempre nel cuor chiuso mi resti, Ne per pregar, o stimolar d'altrui, Giammai mi potrò indur ch'io'l manifesti. Discorso del Visconti 35 7 E conchiude : Dicovi ben, clie'l dritto lor non fanno Quoi che io studio e tutto il pensier loro Sol per volere interpretar posto hanno Questa mia negra penna in fregio d'oro. Ma la Colonnese nostra dimandata del motivo della sua impresa, a quanto io ne penso, dalla du- chessa di Francavilla, prontamente le soddisfece con quel sonetto, che mi è stato occasione a scrivere tut- te queste cose. E per esso sappiamo che l'impresa fu d'un ginebro scosso dai venti. E fu perfetta in se e senza bisogno di motto alcuno : ciò che ( a sentenza del Ruscelli ) non è vizio, ma virtù, nell'invenzione dell'impresa che per se stessa si faccia intendere, poi- ché non porta seco chi le dia aiuto da poter farlo. Con quale animo poi si eleggesse Vittoria questo sim- bolo, viene a dirlo essa medesima così, secondo la le- zione da me emendata sul codice casanatense : Quel bel ginebro, cui d'intorno cinge Irato vento, che né le sue foglie Sparge, né i suoi rami apre, anzi raccoglie La cima, e tutto in se stesso si stringe; Qual sia l'animo mio, donna, dipinge, Che fortuna combatte, e non si scioglie Dall'alte cure ed onorate voglie : E chi vincerlo pensa, addietro spinge; Perchè sicuro, sotto i gran pensieri Ristretto di quel sol ch'ama ed adora, Vincitor d'ogni guerra altero riede. A quell'arbor natura insegna i fieri Nemici contrastar; ed in me ancora Ragion vuol che nel mal cresca la fede. 358 JLETTEHATURA Cerio non è forse altra impresa inanimata, che più si avvicini all'intendimento pi-eso di mira, e me- glio per figure lo faccia evidente. Perciocché natura è del glnebi'o , che a differenza degli altri alberi si stringa e raccolga al soffiare dei venti, che suole di- videre i rami e portar via le foglie degli altri. E trat- to il significato al morale , quanto non è nobile e grande lo spettacolo di un animo, Che fortuna combatte, e non si scioglie Dall'alte cure ed onorate voglie, E chi vincerlo pensa, addietro spinge ? E medesimamente addimostra come ogni forza sia in noi dal potere di ragione dominante, e farsi per de- liberazione di essa, quanto la natura consentì di spe- ciale indole alle cose inanimate. Ma che vado io di- cendo della bellezza di questa invenzione e de'pre- gi di questa poesia, quando ne abbiamo il giudizio di un Pietro Bembo ? Egli è che scrivendo alla Co- lonnese si espresse in queste proprie parole : « Cari eziandìo mi furono gli altri due bellissimi sonetti del carro d'Elia e del ginebro, mandatimi di vostra ma- no insieme con l'ultimo che a me veniva : nell'uno de'quali a me pare che voi di gran lunga superiate e vinciate il vostro sesso, nell'altro d' alquanto voi stessa. » (i) Magnifiche lodi son queste, pronunciandole un uomo di sincerissirno animo , e che si ebbe per il maggiore in lettere che allora vivesse. Ma pure egli (i) Lettere a diverse illustri donne. Parte I a carte 96. Ve- nezia per Gio. Alberti \58-j. I Discorso del Visconti 35 9 scrìsse ancor più; anzi più ancora sperimentò clic non scrisse : se vero è , che per lo diletto e per la gioia di alcune lettere della nostra gran donna , con le quali era appunto il presente sonetto dell'impresa , si riavesse da un malore che lo aveva quasi ridotto al- l' estremo. Io non posso temperarmi dal narrare la cosa con le proprie parole del Bemho: massime che questo particolare, ch'egli scrisse al Giovio , non è ricordalo da nessuno di quelli che formarono l'isto- ria della sua vita. Pertanto le sue parole son tali : « Io mi stava nel letto malato di una gravissima febbre con molto mio travaglio, e con pensiero che quello avesse ad essere il fine della mia vita : quan- do mi vennero le vostre lettere : per le quali mi man- davate quelle che la marchesa di Pescara aveva scrit- to col suo giudizio delle mie rime, e con quell'altre molto dolci parole e piene di cortesia, ch'ella ag- giunto v'ha sopra al giudizio. Ciò fu d'intorno agli ultimi di del luglio varcato. Le quali lettere io mi feci leggere, ed ascoltai con maraviglioso piacer mio. Che perciò che v'è in esse una parte, dov'ella dice di me così : « Scriva pure egli e creda, che Dio gli darà molti anni di vita : » preso per me da quelle pa- role buon augurio, parendomi che venute a quel tem- po non potessero essere se non veraci , e i(;|uasi da cielo mandatemi per sua mano , cominciai a ricon- fortarmi di maniera, che da quella ora innanzi sletti sempre di migliore animo, e il male prese buona via, che s'andò rallentando e rimettendo : il quale in fino a quel di s'era sempre rinforzato : e davami incompa- rabile gravezza. Ne crediate, monsignor mio, che in queste lettere sia poeta, forse per rendere alla mar- chesa questa mercè e questo guiderdone delle lodi, 36o Letteratura ch'ella così grandi e tante mi dà: clic per Dio non sono ! Così mi conceda il cielo poter vivere quegli altri molti anni ch'ella dice : come io in ciò di nul- la non solo non mento , ma pure non accresco né giungo in parte alcuna alla pura e semplice verità! O benedette lettere, ed a me giovevoli, e veramente scritte con profetica mano, poscia che elle m'hanno la sanità, dalla quale io cotanto era lontano, recata con la loro dolcezza (i) ! Io non so che di altra donna, e neppure di ama- tissima, si potessero riferire cose simiglianti. Ne che alcuna operasse mai col prepotente fascino della bel- lezza, quello che questa nostra con la virtù. Così valga questo esempio nobilissimo, che or fra noi rifiorisce e rinverde, a confermar le magna- nime ed alte donne, che pur ci vivono , nel gene- roso loro proposito; e a commovere e infiammare i feminili ingegni ad egregi pensieri ! Ne sia indarno che all'alta colonna si appoggi Nostra speranza e il gran nome latino. (i) Lettere del Bembo. Venezia per Girolamo Scotto i562. 8. a carte i63, b. e seg. 36i Dialoghi filosofici con altre prose minori di For- tunato Cavazzoni Pederzini cittadino modene- se. Modena dai tipi della R. D, Camera 1842. ( Sono pag. 345 in 8. ) ^e il nome del Pederzini venne già in grido, sic- come di acuto critico, di filologo, di traduttor valente e di scrittore elegantissimo in nostra favella, per le edizioni da lui date e sì bene illusti'ate del Convi- to di Dante e della Vita civile del Palmieri-, per la Versione de'' libri del sacerdozio del Crisostomo ^ e per altre minori prose; assai più debbe venire per l'opera die s'annuncia tutta profondamente pensata, forbitamente scritta, e così ordinata da porgere una svariata e piacevol lettura , per quanto il comporta l'arida e sottile materia trattata. La grandissima im- portanza di essa per la gioventù, a cui provenne det- tata , parmi verrà meglio chiarita dal sunto che ne offre il eh. autore nella prefazione, di quello che dal- le mie parole che forse sarebbero non buone inter- preti delle sue sentenze. « All'aprirsi del libro adunque s'entra nella consi- derazione della mirabile varietà delle professioni , e de'modi della vita degli uomini : la quale varietà è bensì disposta, ma non imposta per forza dalla natura: cosicché propriamente è cagionata dalla volontà d'ogni particolare, il quale segna, costantemente o no, nella pratica del vivere quel tale sistema di principii regola- tori, che gli paiono doverlo condurre al conseguimen- 3G'2 Letteratura to del fine, cli'egli reputa per l'ottimo suo bene. Sic- come poi di fatto innumerabili uomini ci s'ingannano, e con danno proprio, per avere scambiato male con bene, o bene minore con maggiore; e con danno de' prossimi, ogni qnal volta il bene appreso e procacciato dall'individuo reca impedimento al bene del comune e dei particolari : cosi se ne avvisa la somma impor- tanza per tutti in ciò, cbe sia fatto possibile ad ogni privato di tendere ad impossessarsi d'un fine di bene durativo e compiuto, ed anzi il massimo; ed il quale nello stesso tempo incontri ad essere costituito in par- te, dove si convenga, o per lo meno non disconven- ga col bene massimo di tutti gli altri. In grazia di ciò si cerca di mettere in chiaro la suprema ed ul- tima idea del bene , che si riguarda sotto l' aspetto assoluto, e sotto il relativo : e così per l'uno come per l'altro modo di bene magnificasi molto la sorte dell'uomo, il quale ha di fatto, o può avere median- te l'uso delle sue facoltà, più e migliori beni d'assai, che non competono a tutte le altre nature d' esseri creati. Vero è nondimeno che tanta ricchezza di ca- pitale fruttifero convlen essere amministrala con ar- te, e dietro leggi , e per via di perpetui consigli e dirittissimi giudizi della intellettiva , a cui s'accom- pagnino fedelmente le elezioni della volitiva. Conse- guentemente dato pure un egoista epicureo , che si stimasse centro e termine dell'universo, a costui sa- rebbe necessario massimamente l'avere nell'atto su- premo di forza e di concordia le facoltà mentali, cioè l'intelletto e la volontà; per le quali sole tornereb- hegli noti impossibile di giungere al sommo grado di quella beatitudine, che si parrebbe rispondente al suo Dialoghi filosofici 363 sistema : in onta del quale poi per verità egli non sarebbe ne buono, ne glorioso, ne realmente felice. « Ma chi bene considera la cosa, un così fatto fornimento delle facoltà mentali riuscirebbe natural- mente distruttivo del sistema mostruoso d'esso egoi- sta: perocché l'uomo, che le si trovi d'avere, non può non riconoscere Dio esistente, ed in lui solo il prin- cipio ed il termine dell'universo; e sé medesimo co- me parte d'un immenso tutto, all'armonia di cui deb- ba servire con ogni potenza della sua entità. Resta ora a vedere come sopra questo fondamento di giu- dizio l'uomo medesimo si possa edificare un così fat- to sistema di principii regolatori, per cui debba es- sere portato ad un possesso dì beatitudine armoniz- zante coU'interesse delle altre creature, e sopra tutto colla pienezza de'discgni del divino piacimento. Toc- chiamone brevissimamente. « Ogni natura finita ha un suo grado d'entità e di pregio, ch'ella tiene dalla bontà di Dio, e per cui Dio medesimo l'ama per appunto, secondo esso grado d' entità e di pregio ad essa partecipato. E siccome dove sono più esseri, si danno tra loro necessarie ed eterne relazioni; cosi Dio non può non amare gli es- seri con tutto l'ordine delle relazioni loro : e dee vo- lere di necessità che queste ragioni d'ordine non sie- no da veruna cagione perturbale , ma piuttosto che sì pi'esti loro da tutte le nature la più compiuta e fedele osservanza. Questo è ciò che in Dio si chia- ma legge eterna; e fuori di Dio , legge naturale : a cui si convengono sommettere ugualmente le creatu- re tutte; le quali non potrebbero esserne da Dio dì- spensate, senza che in lui cadesse una specie di dop- pia contraddizione. 36-4 Letteratura « Siccome poi la osservanza di delta legge, che fosse prestata dagli esseri inanimati, qual cosa cieca, sembra non poter essere al tutto gradita all' eterno legislatore; così rendesi probabilissimo ch'egli vi tro- vasse compenso creando nell'uomo un essere, ad im- magine e similitudine di lui stesso , il quale com- prendendo in alcun modo e rappresentando in se tut- te le altre creature, potesse coll'opera sua quasi spi- ritualizzare il fatto degli agenti materiali e necessi- tati, e a conto loro altresì dare forma virtuosa ai na- turali uffici d'ubbidienza e di religione, rendendo pie- namente accettevole a Dio l'omaggio di lutto l'uni- verso. « Ma perocché pure questa faccenda nell'uomo aveva ad essere libera e meritoria, egli fu collocato fra un' infinita varietà d'esseri limitati, i quali dan- dogli occasione di rettissimi giudizi, proporzionati al- l'entità loro, e dandogli occasione di fedelissime ele- zioni ed atti amorosi, proporzionati alla bontà, che può allettarlo, ma non già fargli violenza, lo metto- no in condizione di conoscere e d'amare liberamen- te e meritoriamente il suo proprio soggetto, e gii es- seri tutti coU'ordine di Dio : ed anzi, d' elevarsi a conoscere ed amare nel suo proprio suggello e ne- gli esseri tutti lo stesso Dio, ch'è ogni realtà di me- rito, ed ogni fondamento obbiettivo di cognizione e d'amore. Dal qual fallo l'uomo medesimo coglie di presente tali frutti, e tali altri spera molto maggiori a dismisura nell'avvenire, che il suo bene felicitante se ne trova risoluto nel bene oggettivo universale, cioè nel bene onesto, in cui s'incontrano tulli i be- ni felicitanti , siccome quelli che non debbono po- ter essere stati discompagnali. Nelle quali cose final- Dialoghi filosofici 3G5 mente poiché si manifesta tanto palese l'incarico tut- to delle potenze intellettiva e volitiva, non si dubita di stabilire che anche l'uomo onesto ha sommo in- teresse di voler possedere altissime e potentissime, e di guardare e di coltivare le facoltà della mente : ed anzi per verità assai più di quello , che ne potesse convenire a qualunque egoista epicureo; siccome in- finlllvamente maggiore è il frutto della beatitudine, che ne possiede, e parte ha ragione d'attendere. « Ma quanto è poi di fatto comune agli uomini di qualunque sistema di principii , o per lo meno quanto è frequente 1' avere natura ed esercizio per- fetto dell'intelletto e della volontà ? E quali che sle- no queste medesime potenze, hanno elleno una rea- le padronanza sopra dell'altre, in guisa che sia po- sto nell'ai'bitrio dell'uomo l'impossessarsi per sé me- desimo né della beatitudine dell'epicureo , né della vera e degna felicità de'glusti ? « L'uomo da taluni é depresso eccessivamente, e da taluni eccessivamente magnificato; e sempre con danno. Ma il vero si è ch'egli, per conseguenza del peccato originale, rimase in uno stato d'infermità , di disordine e di sconcerto nelle sue facoltà, le qua- li s'urtano e s'impediscono insieme , ogni qual vol- ta per governarle e riordinarle non si ponga In ope- ra grandissimo sforzo di studi e di cultura. Basta ve- dere quello che possa la fantasia; e quello che per lei sola ci si richiegga. Da questo si riconferma che l'epicureo non riesce a conseguire il sommo cumulo de'beni, ch'ei si propone : né l'onest'uomo può, col- le sue forze naturali, pervenire a stato di giustizia, e perciò stesso né anche al conseguimento della sua propria beatitudine. Di là s'accenna come sarebbe il 366 Letteratura cammino d'assegnare le regole convenienti all'occor- renza d'ogni potenza particolare ; acciocché stante e non ostante la condizione attuale della natura no- stra, ognuno di loro colie sue azioni e colle sue pas- sioni fosse costretto a servire agli ottimi uffici delle potenze intellettiva e vilitiva, tanto nella professione dell'epicureismo, come in quella della onestà, per ot- tenere il più ed il meglio de'loro fini. Ma restrin- gendo, com'è dovere, il discorso all'interesse di que- st'ultima professione , si dimostra , col mezzo d' un esempio d'una certa generalità, ciò che si dee vole- re in ordine a tutte le altre particolarità che gli so- migliano, e delle quali per brevità si tace. « L'esempio è quello della parola, di cui si pro- va una stupenda potenza sopra dell'anima nostra, a rimetterla in condizione d'ordine e di felicità, come altresì in condizione di disordine e di miseria : ed ivi si chiamano ad esame gli effetti della stampa in rispet- to a governi, in rispetto a scienza, in rispetto a co- stumi, e con essi alla privata ed alla pubblica feli- cità. Dietro questo, ritornando nelle vedute generali, per prima legge si pone, che l'uomo debba lasciarsi passionare dalla parola con grandissima cautela e di- screzione, scegliendo le salutifere e fuggendo le con- trarie : per legge seconda si pone, che l'uomo debba astenersi col prossimo dalle parole corruttive, e spar- gere a più potere le buone e santificanti. ( Sarà continuato. ) G. F. Rambelli. 36- mm'^i^m mm'ti Antiche opere in plastica discoperte^ raccolte e dichiarate dal cavaliere Gio. Pietro Cunipuna. Roma 1842, in fol. pera gravissima agli sludi Jell'arclieologia e delle belle arli, non dirò italiane, ma europee, è questa che il eh. signor cav. Campana pubblica per fascìcoli in cento tavole. Egli possiede una classica collezione di antiche terre cotte, che pel numero e per la gran- dezza de' monumenti , per la singolarità delle opere e per l'importanza della scienza archeologica e delle arti del disegno, si deve riguardare come la prima in Europa. Non risparmiando fatiche e dispendi, si die- de egli liberalmente a raccoglierle, sceglierle e clas- sificarle colla più grande affezione 'ed intelligenza , Quindi a far pago il vivissimo desiderio degli artisti e degli archeologi , che da lungo tempo il pregava- no , si è finalmente indotto a pubblicare una parte della sua raccolta in modo molto insigne e generoso. Perchè non sappiamo come si possa far meglio per la magnificenza dell'edizione, per la bellezza delle ta- vole e per la dottrina delle illustrazioni. Che vera- mente in queste ultime si è tenuto in mezzo alla grave questione dell'antica civiltà italiana, così pon- 368 Belle Arti deralo e così prudente ne'suoi giudizi, che chiara- mente si dimostra di gran senno e valore nella let- tura dei classici e nella cognizione de' monumenti. Egli ne ha pubblicati quattro fascicoli con 18 tavole, a'quali ha premesso un dottissimo ragionamento ìn- torno alla plastica degli antichi ; sicché ognun sente quanta gratitudine gli debbano tutti coloro, che ama- no e meditano sull'antica sapienza de'nostri padri. L. POLETTI. — =»-sgs0^as*B»— 369 W M.'BIMT^^ Due discorsi inediti di Ennio Quirino Visconti, con alcune sue lettere e con altre a lui scritte, che ora per la prima volta vengono pubblicate. S.Milano per Giovanni Ilesnati (Uà voi. di carte V e i58. ) U, n bel regalo ha fatto il Resnati con questo libro alla lette- ratura : perciocché le cose de'grandi uomini non sono mai ab- bastanza conosciute e studiate: e veramente uomo grande, e da onorarsene l'Italia ed il secolo, fu Ennio Quirino Visconti. Vero è che non tutte le opinioni dell'insigne romano potranno essere ora accettate dai dotti; specialmente quelle che trovansi nel di- scorso sullo stato della letteratura in lloma nel i^85 : percioc- ché, lasciando anche stare altre cagioni, certo è che ancora non sì erano bene accorti gl'ingegni italiani ( salvo poche eccezioni ) della mala via che seguivano nella parte principale d' ogni bella letteratura, che è lo stile e la lingua. ìMé saprebbesi poi indovi- nare come un Visconti potesse allora scrivere cosi dell'immortale JVIorcelli; Poco più /elice autore d'iscrizioni (del Gioveaazzij è l'abate Morcelli, che le compone per lo più con troppo d'affet- tazione, quantunque il suo libro De stilo inscriptionum ne rac- chiuda i più veri, i più particolarizzati precetti, soggiunti a una moltitudine di scelti esempli d'antichi, ed illustrati da un dot- to, ameno ed elegantissimo commentario. L'altro discorso é un paragone fra l'Antigone di Sofocle e quella di Vittorio Alfieri; pieno generalmente, tranne alcune G.A.T.XCIII. 24 370 Varietà' piccole cose, di quello squisito giudiiio di cose greche, che già indusse il Monti a voler suo giudice Eunio Quirino della tradu- zione incomparabile dell'Iliade. Quattro sono qui le lettere inedite del Visconti: la prima importantissima a Gian-Girolauìo Carli; le altre tre al Canova, nella seconda delle quali dà egli al massimo artista la spiegazio- ne delle miliche, o cesti molli accennati da Pausania nelle arca- diche. Le lettere a lui indirizzate sono di Giovanni Andres, Giu- seppe Bossi , Carlo Botliger , Antonio Canova , Leopoldo Cico- gnara, Adamanzio Coray , Pietro Claudio Francesco Daunou , Giambattista Giuseppe Delambre , Domenico Vivante Denoa , Gian-Gherardo De-Rossi, Francesco Gianni, Cristiano Gottlieb Heyne, Enrico Carlo Ernesto de Koehler, Luigi Lamiierti, Luigi Lanzi, Pietro Enrico Larcher, Angelo Mai, Ferdinando Marescal- chi, Gaetano Marini, Vincenzo 31outi , Tommaso Puccini, Gio- vanni Schvreigliauseur , Giovanni Goffredo Schweighauseur . Dionigi Strocchi, Filippo Visconti, Giambattista Zannoui. Epigramma di Michele Ferrucci. XJa prima pietra posta da S. M. il re di Prussia con tanta so- lennità per la riedificazione della cattedrale cattolica di Colonia, è stato avvenimento famoso in Germania, e celebrato da tutti co- loro che hanno più a cuore cosi la religione santissima, come le arti belle. Né in Italia ( terra classica dell'una e delle altre ) si è festeggiato con minor piacere. Ed ecco fra le altre dimostrazioni di plauso un epigramma veramente aureo di Michele Ferrucci , professore chiarissimo di letteratura latina nell'università di Gi- nevra ; epigramma con tanta soddisfazione accolto dall' augusto monarca, che volle con lettera onorevolissima rimeritarne l'autore ornandolo della grande medaglia d'oro cosi detta delle scienze : Varietà' Syi Ad FRIDERICUM GULLIELMUM Illl regem Borussiae , pium , /elicem , augustum, quum is lapìdem sacrum auspicalem tempio maximo coloniensi absolvendo solle- mni ritu statueret prid. non. sept. ann. 3IDCCCXXXXII. Quod frustra optavit saeculis lahentlbus orhis, Quod spe complecti pectore vix licuit; Nempe aevo hoc dederunt felici a sidera nostro^ Hoc, rex magne, tuis ftet ab auspiciis, Ipse iubes [Deus o faveatl) : prior ipse potenlem Dextram adhibes operi; nec mora, surget opus. Hinc iure immensi laus prima Colonia Rheni Laeta sinu recipit te dom.in.uni atque patrem. Per te etenim augusti moles amplissima templi, Priscae ingens artis gloria teutonicae, Undique iam cunctis numeris perfecta moiiebit Quot placidae paces commoda, quanta ferent. Sic o sic regni haec pergas dementa beali Usque bonus Jaustis provehere ominibus. Ut praesens meritos aetas tibi reddet honores, Aetas ut te omnis posterà suspiciet. Michael Ferruccius doctor latinis litleris tradendis in academia genevensi. Dell'autorità nelle lettere. Prolusione alle lezioni di eloquenza italiana i842-i843. - 8. Pisa stamperia Nistri 1842. (Soao pag. 24. ) Al cav. Giovanm Rosimi nome chiarissimo ia Italia e fuori, aiu- ta potentemente nell'università di Pisa l'alta opera di tutti i più gentili spiriti della nazione : quella cioè di ricondurre alle ve- 3 73 V A n I E T a' uerande norme de'classici le depravazioni letterarie della pre- sente età- Egli qui tratta della ragione che vuol darsi all'autori- là nelle lettere; e il fa con quella filosofia eh' è propria di lui, e che già guidò il senno di tanti famosi, gloria immortale della mente italiana. Ijeggasi questa prolusione , e principalmente ne traggano profitto coloro, che nello scrivere rifiutano l'esperien- za del bene e del male, come se l'axte non men grande che ar- dua avesse incominciato ieri : coloro che bestemmiano , senza averli mai letti, Aristotele, Orazio, Quintiliano, il Vida, il Bol- leau.* coloro che col disprezzo dell' ignoranza , facendo uno o due spropositi di lingua in ogni periodo, parlano del tribuna- le della crusca e del suo vocabolario. Discorso sulle servila e sulla lìbera proprietà dei fondi in Italia, letto da A. Coppi nell'accademia tiberina il di iZ gennaio 1840. Seconda edizione con appendice, 8. Roma tipografia Salviucci 1842. (Sono pag. 52.) Xl«cco un'altra preziosa operetta del chiarissimo Antonio Cop- pi; operetta con tanto favore accolta in Italia e in Europa, al- lorché fu pubblicata la prima volta , che la gazzetta di stato prussiana, nel numero dei 3o di agosto i84o, credette far cosa utilissima di tradurla in tedesco. E veramente non sappiamo quale scritto possa in si poche pagine andarle del pari per l'accuratezza e l'intelligenza, ond'è trattato un argomento di ^i grande importanza alle ragioni economiche e civili della nazio- ne. Qui non sono ciance, ma fatti : qui non vanti, ma leggi : e tutto è poi rischiarato dalla face istorica, com'era degno dell'il- lustre continuatore degli annali del Muratori. Non v' è quasi parte d'Italia, che il Coppi abbia trascurata nelle sue investi- gazioni; stendendosi elle alla Savoia, al Piemonte, alla Lombar- dia, al Modenese, alla Toscana, allo stato pontificio, al regno Varietà' 3^3 di Napoli, alla Sicilia, alla Sardegna (perchè non anche alla Corsica, cli'è pur sempre una provincia italiana, henchè domi- nata dallo straniero?). Essendo perciò il libretto divenuto già raro, se n'è fatta una seconda edizione con appendice.- di che vogliamo assai ringraziar l'autore, assicurandolo che ove vogliasi discorrere in avvenire sulle nostre condizioni economiche, noa potranno dirsi che cose sommam,inte o vaghe o inesatte, se non si avranno dinanzi agli occhi sì questa e si altre opere, ch'egli con uguale amore, cognizione e giudizio va pubblicando suirin- dustria e sull'agricoltura italiana. V anima umana e suoi stati, principalmente V ideologico. Libri quattro. Trattazione filosofica dell'abate Marco Mastrofini. 8. Roma tipografia delle belle arti iZ^->. (Tomi due, il pri- mo di carte XIV e 452, il secondo di carte Vili e 349; col ritratto dell'autore.) VJuest'opera, di uno de'più potenti intelletti che ci fioriscano, farà gran fede all' Europa che gl'italiani non vanno secondi a niun altro popolo anche nell'innalzarsi alle più alte regioni del- la metafisica. No essi non hanno rinunziato mai l'eredità lascia- ta loro dalle scuole di Crotone e di Elea : essi che con s. Ansel- mo, con s. Bonaventura e soprattutto coli' angelo d'Aquino, in modo cosi sublime filosofarono, mentre tutte le altre genti giace- vano nelle tenebre dell'ignoranza: essi che col Nizolio e col Bru- no prevennero in tante cose il Cartesio e il Leibnizio: essi che nel passato secolo diedero alla scienza que' due giganti del Vico e dello Stellini : e che oggi, a chi fa mostra oltreraonte di chiu- der gli occhi sopra di loro (sia invidia, sia arroganza ), dir pos- sono alteramente se l'Europa ha menti più forti e sagaci di uà Galluppi, di un Mastrofini, di un Rosmini , di un Mamiani! Il nostro giornale parlerà di quest'opera in uno de'prossimi suoi volumi. 374 Varietà' p^ita del canonico don Giacomo Ricchehach , scritta da Filippo Gerardi. 8- Roma tipografia Sahiucci 1S42. (Un voi. di car- te 5i, col ritratto del Ricchebach, ed un rame che rappre- senta il suo sepolcro. ) Xl Ricchebach, nato in Roma nel 1776 e morto nel i84i , vuol nominarsi fra gli astronomi e matematici che, dopo il Fessali, col Calandrelli, coll'Oddi, col Conti, col Setteie più onorarono in patria la scienza nel secolo XIX. Ebbe egli cattedra da prima nel collegio romano, poi nella università : fu matematico della congregazione del censo, canonico della collegiata di s. Angelo in Pescheria, accademico linceo, corrispondente dell' iustltulo di Bologna, precettore delle LL. AA. RR. D. Carlo Luigi duca di Lucca e D. Francesco di Paola infante di Spagna. Il eh. signor Gerai'di, già suo discepolo, ha qui discorse le virtù sue con bel- lissimo affetto : e fatto altresì conoscere con assai intelligenza i pregi di alquante opere che l' uomo illustre compose, e che si leggono negli Opuscoli astronomici pubblicati in diversi anni dagli astronomi del collegio romano. „ Quello per altro ( egli di- „ ce a carte a5 ), in che il valente professore mostrò chiaro di ,, potere stare a confronto co'più rinomati astronomi del nostro ,, tempo, e per cui a buon diritto merita d'essere riverito e sli- „ malo non meu di questi, è il tanto ch'egli fece con indefesso j, zelo e con fatica di parecchi anni, affine di trovare, quanto ,, più esattamente potesse, la correzione da farsi agli elementi ,, ellittici dell' orbita solare , determinati d;il signor Delambre. „ Già egli col mezzo di una lunga serie di osservazioni circa le ,, distanze zenitali e le ascensioni del sole , osservazioni da lui ,, fatte e pubblicate, erasi convinto da un pezzo della necessità j, assoluta in cui si era di perfezionare le tavole. E ben gli tornò „ gradito il vedere , che i risultamenti delle sue prime ricerche „ fossero assai conformi a quanto altri astronomi di chiaro no- ,, me (i), senza saper l'un dell'altro, avevan dal canto loro rin- „ venato nel medesimo tempo. Acceso quindi il Ricchebach d'un (i) Sono il Brioschi, il Plana, il Bessel ed altri. Varietà' SyS „ ardentissimo desiderio di giovare alla scienza, non guardando „ affatto alla difficoltà dell'impresa, lunga in se stessa e faticosa „ al sommo, si diede con tutte le forze della monte a ricercare ,, gli esatti valori numerici di cui qui si tratta. L'esito felice co- ,, ronò l'opera: imperocché gli venne fatto trovarli colla più se- „ vera discussione sulle sue proprie osservazioni: e quantunque ,, sprovveduto di quella abbondante e sceltissima copia di mez- ,, zi, di che altri andavan forniti, potè gareggiare con tutti in ,, guisa, da lasciar quasi dubbio da che lato sia la vittoria. E ,, per rimanere convinti di questa verità, basta dare un'occhia- ,, ta ai nuovi elementi ellittici dell'orbita solare , proposti pres- „ sochè all'epoca stessa dal rinomato astronomo di KÓuisberga , ,, e in seguito universalmente adottati. Parmi però non bisogni „ fare un più lungo elogio all' opera del Ricchebach , giacché ,, tanti e si concordi le ne prodigarono i dotti italiani, non me- ,, no che i sapienti stranieri. Tuttavia si vuole accennare, che ad ,, alcuni sembra aver egli, forse più acutamente degli altri, sco- „ perti gli errori che iai que' primi elementi si nascondevano, e „ proposte alcune correzioni che meglio al vero si avvicinano. ,, E lasciando di ragionare di un cosi prezioso lavoro, non dis- ,, converrà ripetere ciò ch'egli medesimamente scrisse in propo- „ sito di se sul fine di esso, cioè .• Che nell'osservatorio del col- ,, legìo romano si poteron da liti istituire un copioso numero di ,, osservazioni tali, da stare sicuramente a fronte di quelle che ,,Jurono condotte a termine nelle pili famose specole di Europa. Se gli elogi dei letterati si scrivessero coll'accuratezza , di- gnità ed eleganza, con cui è scritto questo del Ricchebach , noi saremmo assai meno annoiati nel leggerne tanti ( e Dio sa di quali persone! ) che tutto dì escono alla luce. 376 Varietà' Cenno necrologico intorno Giuseppe Arifò , scritto per Filippo Gentiluomo. 11. Messina, stamperia Capra 1842. (Sono car- te 12}. VJ na vera perdita per la scultura è stata la morte del messine- se Arifò : perciocché educato Dell'accademia romana di san Lu- ca, sotto il magistero del celebre cav. Tenerani , vi aveva fatto tali progressi, che già componeva bene da se, e bene anche trat- tava il marmo. Messina aveva poste in lui, e meritamente, le più liete speranze; le quali con dispiacere universale mancarono il di 26 di luglio di quest'anno medesimo colla vita dell'ottimo e studioso giovane. Questa necrologia è dettata con molto affetto dal sig. Genti- luomo. Alcune lettere famigliari del cavaliere Giuseppe Compagnoni lughese, 8. Lugo per le stampe Melandri 1842, (Sono e. 1^.] i^ono sei lettere, le quali se non diremo importanti alla lette- ratura, diremo però esser tali, che ci rivelano gran parte degli affetti domestici e cittadini di quell'uomo dotto. Il perchè dell' averle pubblicate loderemo i signori Francesco Capozzi , Fran- cesco Pasetti ed Alberto Castellani di Lugo. Una visita al museo privato dei /rateili De Mìnicis in Fermò. A monsignore Carlemmanuele Muzzarelli , versi sciolti del conte don Serafino d'Altemps. 8. Fermo s tip- arcivescovile del Ci/erri iB^x ( Sono car. ^i. ) IVLolte cose diffìcili ha dovuto dire in questi versi il signor conte d'Altemps .- e generalmente le ha dette con felicità ed ele- j;anza. Certo non poteva egli descrivere maggior ricchezza prò- Varietà' 877 VÌncìale d'antichità, di codici e di belle arti , die sia forse da paragonarsi con quella clic signorilmente hanno raccolta in Fer. mo i chiarissimi fratelli De-MinIcÌ!>' né indirizzarsi a giudice più dotto e gentile dell'insigne monsignor Muzzarelli. I versi sono altresì accompagnati di molte note, che ci sembrano non meno erudite che importanti. Memoria intorno alla vita della beata Angelina de'conti di Mar' sciano, scritta dalVab. Giocondo Pettinari e dedicata a S. E. la signora contessa Marianna Papiani di Marsciano. 8. Roma dalla tipografia Marini \S^7.. ( Sono pag 22 ) Compendio della vita della venerabile donna Camilla Borghese , nata Orsini^ principessa di Sulmona, di poi suor Maria Vit- toria religiosa dell'ordine deW Annunziata. 8. Roma iS^'2 pel tipografo Alessandro Monaldi. (Sono pag. i^n. ) i^i leggeranno con piacere le memorie di due nobilissime dame, le quali colla santità della vita onorarono tanto le inclite loro famiglie. Delle memorie della venerabile Borghese-Orsini è au- tore il eh. P. Giuseppe GiacolettI, delle scuole pie, uno de* pro- fessori che più illustrano il collegio nazareno e l'ordine suo. Vita di Gaspare Landi scritta da Luciano ScarabelU. 8. di pag. 46- X ra i plttoi'i che più vennero in fama nel principio del secolo XIX, vuoisi certamente annoverare il piacentino Gaspare Landi, che fiorì per tanti anni in Roma e nell'accademia di san Luca , e tenne il triumvirato dell'arte col Camuccini e coU'Appiani. An- che altri hanno parlato della vita e delle opere di questo illu- stre maestro.- ma ninno per avventura lo ha fatto con più dili- genza ed amore del suo dotto concittadino Luciano Scarahelli. Non sappiamo però comprendere come avendoci egli data l'epo- ca della morte del Landi, che fu il di 24 di febbraio i83o , non ci abbia parimente data quella della sua nascita che fu il di 6 di gennaio ijSS. 378 Varietà' // ritratto del conte Guido de' Pepali, scolpito da Properzla de' Rossi. Memoria di Giovanni Marchetti. 8. Bologna 1842 ti- pografia Sassi e fonderia Amoretti. (Sono carte i5 eoa una lavala in rame. ) Xl fortunato ritrovamento"di un'opera insigne di Properzia de' Eossi ha dato cagione al celebre signor conte Marchetti di scri- vere e pubblicare questa memoria, la quale con piacere singola- rissimo sarà Ietta da ogni maniera di letterati e di artisti, cosi per le belle notizie che vi si danno della grande Properzia e del virtuoso Guido, come per la gentilezza e per l'eleganza. Noi sen- tiamo in tutto coli'autore, non pure quanto all'originalità dell'o- pera a grandissimo rilievo, ma sì quanto al significato delle pa- role ritrarre di naturale, usate dal Vasari .■ le quali da antichi e da moderni si adoprano, qual termioe proprio dell'arte, per ri- trarre in naturale grandezza, come fece appunto Properzia ri- traeiJdo Guido de'Pepoli. Biografia del dott. Ignazio Barzaghi, scritta dalla cugina sua Claudia Barzaghi T^esi. 8. Bologna pei tipi di Carla Gani- herini 1842. ( Sono pag. 67. ) JTovero Borzaghi ! Cosi buono, cosi savio e gentile, e con fama si chiara nello scriver de'classlci, finire la vita di soli quaranta- nove anni! Vero è che in tanti e si lunghi .suoi mali la morte gli fu quasi un beneficio : ma perdita somma fu agli amici, alla patria, alle italiane lettere. Bello il vedere come l'egregia sua cugina signora Claudia Borzaghi Vesi,che sempre gli fu te- nerissima, non gli abbia mancato di fede né pur di là dal sepol- cro ! Ed ecco infiliti una elegantissima prosa, ch'ella ha dedicato a narrarci le virtù e le opere dell'estinto : aggiuntale una sceka di alquante delle più schiette e nobili poesie , ch'escirono da quella bellissima fantasia. Memorie intorno a s. Maria Salame protettrice della città di Veroli. 8. Roma 1842. ( Sono pag. I2. ) X-i un'operetta erudita di un giovane principe, il quale è tanta speranza della romana letteratura, sia pel grave intelletto, sia pel patrocinio che da lui ricevono i dotti. Varietà' 879 Jhomae Vallaurii de studio antiquitatis ornilo hahita in regio taurinensi athenaeo III non. nocembres an. M. DCCC. XLII. 8. Taurini ex officina fratrum fa\>alium ann. 1842. ( Sono car- te 48.) jinche il signor Vallauri dalla cattedra di latina eloquenza, di cui è professore chiarissimo nell'università di Torino, grida il grandissimo grido dei dotti e gentili; che cioè le lettere sono andate sempre in ruina, quando hanno presuntuosamente devia- to dagli antichi esempi del vero e del bello. E questo è appunto cagione, dic'egli, che oggi la letteratura, salvo pochi elettissimi, sia caduta in si grande e vergognosa bassezza. Lode al sig. Val- lauri, che in tanta opportunità ed in luogo si celebre , innalza anch'egli la sua voce autorevole ! Né altro veramente doveva attendersi dal valente alunno di Carlo Boucheron, da chi n' ha la facondia, l'eleganza e i pensieri. Sopra la topografia fisico-medica della città di Sanseverino. Cenni di Cesare Barbieri dottore in medicina ec. Macerata tip. di Alessandro Mancini, in 8. di facce 3o. V^uesti cenai sulla topografia fisico-medica di Sanseverino ci fanno desiderare che l'A. pongasi a compilarne una più estesa e completa, come già fecero per Venezia Gaspare Federigo, per Napoli Salvatore De Renzi, per Milano Giuseppe Ferrarlo, per città di Penna Vincenzo Gentili , ed altri per altre città. Non possiamo biasimare bastantemente l'essersi sostituiti ai tubi di terra cotta, che conducevano le acque nella città, quelli di piom- bo, mentre è oggi a tutti notissimo qual pericoloso veleno sia questo metallo. V^è in fine una tavola dell'analisi praticata dal dott. Paolo Muratori di Bologna sui residui ottenuti dalla eva- porazione di 100 parli di acqua nelle diverse fontane esistenti nella detta città. E. C. B. 3&0 Varietà' Osservazioni e riflessioni sulla gangrena secca contro alcuni se* guaci delVarterite, del dottore Giuseppe Posta. Bologna, ti- pografia di Emidio dall'Olmo, 1842, in 8, di facce i5. XJue sono le osservazioni, cui seguono le riflessioni intorno alla flogosi che attacca gli arti nella gangrena secca, la quale vuoisi quasi del tutto esclusa : il che porta un metodo di cura opposto a quello più generalmente ricevuto, cioè l'antiflogistico. Elogio funebre del dottor Pietro Paolucci protomedico di Gub- bio, letto nella chiesa di s. Francesco della stessa città nel giorno 4 di giugno 1849. da Giuseppe Ignazio Montanari. Pesaro, stabilimento tipografico di A. Nobili, 1842, in 8, di facce 24. Xlira nato nella piccola terra della Scheggia nell'anno 1760; mo- ri a Gubbio il di 2 di aprile 1842, ove era protomedico fino dal i8o5. Il eh. Giuseppe Ignazio Montanari in quest'elogio funebre con ampiezza di non mentiti fatti eloquentemente provò , che Pietro Paolucci era un medico filosofo, un medico filantropo, un medico cittadino. Nel fine è l'articolo necrologico estratto dalla gazzetta pri- vilegiata di Bologna, numero 42 del giorno 8 aprile 1842, scrit- to dal sig. Domenico Pelrini. E. C. B. Memorie della vita e delle opere di Francesco Rosaspina inci- sor bolognese, scritte dal march- Antonio Bolognini Amori- ni. Bologna 1842, tipi govern- alla yolpe. Sono pag. i'j,in 8, con ritratto. U n bell'elogio del Rosaspina ha in queste carte dettato il eh. sig. march. Amorini, con chiarezza e disinvoltura mirabile di sti- le, e con quella intelligenza delle arti del disegno che è da lui. Sarebbe a desiderare che le vite degli artisti venissero de- scritte da chi, bea conoscendosi delle materie che spone, valesse a presentarle nel suo vero aspetto, non falsando i meriti per cui salirono in fama, e non empiendo le pagine di giudizi dati a ca- so, e che spesso ricordano il celebre motto di Apelle ad Alessan- dro quando ne visitò l'officina, G. F. R. Varietà' 3bi Anthologia graeca , seu graecorum scriptorum prosa et versa, oratione exempla selecta ab Aloisio Bado S. I. Cherii in subalpinis. Taurini ex typ. Hyacinthi Marietti typographl bibliopolae, 2 voi. in 12. 1842. Y adan'ora assai lodi ia Ghieri al p. Luigi Bado gesuita dell' aver composto una greca antologia di prose e versi elettissima : ne vadano anche in Torino allo stampatore Marietti dell" averla condotta correttamente. Ma di un libro, che è de'rari che oggi rendano onore ai presenti studi italiani , non si debbe ristrigne- re solo in due righe il buono e l'utile. Però vogliamo discorrer- ne più largamente in quel volume del giornale arcadico, che ver- rà dietro a questo. Si perchè le buone opere di lettere non se- gua il premio medesimo, che le mediocri e pessime, un comune elogio; si perchè essa antologia indurrà noi a volgere alcune pa- role agli studiosi, onde s'invoglino di lei e di quegli scrittori, che antichi e moderni popoli hanno incivilito , e a' padri nostri una vera dottrina e una verissima gloria poterono partorire. Giuseppe Spezi. Conghietture sopra un' iscrizione sannitica , lette all' accademia ercolanese dal cav. F. M. Avellino segretario perpetuo. 4. Napoli dalla stamperia reale 18^1. (Sono pag, 26.) AL SIG. PROF. SALVATORE BETTI. Di Viterbo 25 settembre 1842. JUe ritorno l'opuscolo dell'amico luo Avellino sull'iscrizione san- nitica, e ne la ringrazio. Sono pochi gli interpreti, che abbiano fa- cilità di tatto più sicuro di lui nel decifrare tali leggende. Pure, se me ne desse il permesso il dottissimo autore, una osservazione farei sulla voce VPSED, che pare a me, se non erro, che nou sia re- sa con tutta precisione nel hlìnofecit o posuit ; molto meno poi che abbia a derivare da opus, d'onde potè venire opso, come egli congettura, o upso verbo, di cui la terza persona nel perfetto sa- rebbe Vupsed della nostra lapida. 382 Varietà' Io credo al contrario che iipsed valga erex'it, avendo mani- festamente la sua origine dal greco u\|/o'j , altitudo, sublimitas ec; d'onde ù-i^óo), ex tallo; verbo solenne nelle antiche greche iscrizio- ni a determinare specialmente Tinnalzamento di un simulacro , di una statua, o d'altro monumento qualunque. Ed ella sa bene quanto di greco sentano questi antichi linguaggi d'Italia ( parlo sempre di quelli de' monumenti ) perchè non si abbiano più a schifare (quando la natura de' vocaboli lo consigli) coteste gre- che derivazioni; ad onta che alcuni, contro la manifesta verità de' fatti parlata da' monumenti stessi, si ostinino a predicare il contrario. Né le rechi maraviglia il vedere qui un verbo greco con ter- minazione latina. Cliè di tali esempi sono piene le antiche iscri- zioni italiche ; essendoché siano il tema e la terminazione presa talora da una lingua: talora quello da una lingua, questa da un' altra. Ma di quel grecismo, di cui poc'anzi le parlava, novella pi'ova ne somministra la iscrizione sannitica dell'Avellino nella voce EITIV, che altro non è che ITSiov, o rà ì'5ia de'greci, Vaes prò» priutn o suum de'latini. Perché ella troverà in greche lapidi an- tiche, siccome in quella p. es. ^pubblicata da Chandler ( Inscri- ptiones in Asia minori et Graecia P. I, XXII, I, Zi), ttjv 1/5 Tauro, SaTTOivriv ecto/^evijv EK TilN lAlQN avsSe^ayro Troirjcrwv (sumptum. in haec futurum EX PROPRIO se facturos susceperunt ); la qual voce tdtx, m , vale appunto quel proprio e particolare a- vere che costituisce rem Jamiliarem, o il privato patrimonio di un uomo. Perciò gli stessi greci, quando han voluto dirci che la tale o tale altra opera fu fatta a spese e a danaro proprio di uno o più particolari cittadini, aggiunsero sempre la voce «Siwnxd; ; siccome a questa opposero la voce Stj/ìoo-iò;, quando traltavasi di opera fatta a spese e con danaro del pubblico. Le mie occupazioni non mi permettono oggi di più esten- dermi in siffato argomento; ma tornerovvi sopra a miglior tem- po. Mi ricordi frattanto a'comuni amici, e mi creda ec. Secondiano Campanari. 383 CONTENUTE NEI TOMO XCm, VOLUMI 277, 278,279 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE. Tortolini, Memoria sulV applicazione del cal- colo de''residui ec pag. 3 Granetti, Cenni sulle terme d^ Acqui e sulla lebbra « 4' — Prospetto clinico-chirurgico della casa della divina provvidenza in Inorino. . a ^x Peretti^ Cenni sul valerianato di chinina . « 62 Tizzani^ Sul magnetismo animale ... « 65 NamiaSi Effetti delV elettrico sopra Vanimale economia « '72 Fornaciariy Dei poveri e delle figlie della ca- rità « yy Cecconi, Cenili suWab, Ottavio Sacco . « 85 LETTERATURA. Setti, Intorno alV edizione livornese della cro- nica del Malispini " 9<^ Mercuri^ Lezione prima sulla divina comme- dia « 209 Torricelli, Proposta di una nuova lezione in un sonetto di Dante «217 Colonna^ Rime, edizione del cav- Visconti. « 220 384 Mamiani^ Discorso agli alunni della scuola agraria di Pesaro « 228 Zanelli, Atene nel 1841. (Art. I.) . . o 283 Bicdy Delle arti del disegno coltivate dagli etruschi « 283 Folchi^ Elogio di Giuseppe faladier. . « 3 14 Azzurri^ SulV antico tabulario capitolino, a 824 Visconti , Lezione intorno ad un sonetto di Vittoria Colonna ec « 344 Cavazzoni Pederzini , Dialoghi fdosofici ed altre prose ( Art, I. ) u 36i BELLE ARTI' Campana^ Antiche opere in plastica , , « 867 Varietà. NIHIL OBSTAT Fr. Ioaa. B. Marrocu M. C Censor Theol, IMPRIMATUR JFr. A. V. Modena O. P. S- P. A. Mag. Soc. IMPRIMATUR Jos. Canali Aixliiep. Golosa. Vicesg. GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Voi. z$o, agi, aSa. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1843 1 -% GIORNALE ^i&€^BI€® D I TOMO XCIV. GENNAIO, FEBBRAIO E MARZO ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1843 in DIRETTORE DEL GIORNALE S. E. il sig. principe D. PIETRO ODESCALCHI, presidente della pontificia accademia di archeolo- gia, membro del collegio fdologico dell'università romana. BETTI SALVATORE, professore di storia e mito- logia e segretario perpetuo dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca , socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, accade- mico della crusca. BORGHESI cav. BARTOLOMEO, accademico della crusca, corrispondente della pontificia romana ac- cademia di archeologìa e del R. instituto di Fran- cia, membro delle RR. accademie delle scienze di Berlino, Torino ec. CAPPELLO prof. AGOSTINO, già medico consu- lente della san. mem. di Leone XII, membro della congregazione suprema di sanità. MAGGIORANI Carlo, professore sostituto di anato- mia, fisiologia, terapeutica generale e materia me- dica, patologia generale e semiotica, medicina teo- rico-pratica e medicina politico-legale nell'univer- sità romana. POLETTI cav. LUIGI, consigliere e professore di ar- chitettura pratica nell'insigne e pontificia accademia di s. Luca, professore ordinario di architettura nell' ospizio apostolico di s. Michele, professore onora- rio della R. accademia delle belle arti di Modena, architetto direttore della riedificazione della basi- lica di san Paolo , membro del collegio filosofico dell'università romana, socio ordinario della pon- tificia accaileinla di archeologia. TONELLl GIUSKPPE, dottore di medicina. VISCONTI cav. PIETRO ERCOLE, commissario delle antichità romane, presideule onorario del mu- seo capitolino, segielario perpetuo e socio ordina- IV rio della pontificia accademia di archeologia, mem- bro del collegio filologico dell'università romana. ONORARI CARPI PIETRO, professore di mineralogia, membro del collegio medico-cliiiurgico e derettore dei gabi- netto mineralogico dell'università romana. DE-CROLLIS DOMENICO, dottore di medicina. FOLCHI GIACOMO, professore d'igiene, di terapeu- tica generale e materia medica, membro del col- legio medico-chirurgico e direttore del gabinetto di materia medica nell'università romana, membro del- la congregazione suprema di sanità. GERARDI FILIPPO, dottore di leggi. Al lNTALDI inarcliese Antaldo, a Pesaro. ARMARGLI conte Leopoldo, giureconsulto, a Mace- rata. ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto a Bologna. BARLOCCI Saverio, professore di fisica sperimentale, membro del collegio filosofico e direttore del gabi- netto fisico dell'università romana, segretario del consiglio amministrativo degli acquedotti, in Roma. BARTOLINI monsignor Domenico, camerler d'onore di Sua Santità, in Roma, BIANCHINI Antonio , segretario della società degli amici delle belle arti, in Roma. BIOLCHINI Pietro, segretario del giornale, in Roma. BRIGHENTI Maurizio, ingegnere in capo, a Forlì. BHIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Modena. BRUNATI ab. Giuseppe, a Brescia. BUONAPARTE S. E. don Carlo, principe di Cani- no e di Musignano, in Roma. BUONCOMPAGNI LUDOVISI S. E. don Baldas- sare, in Roma. CAMILLI Stefano , giudice del tribunale di prima istanza, in Viterbo. V CAMPANARI avv. march. Secondiano, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli. CAPOZZI Francesco, a Lugo. CARDINALI cav. Luigi , socio ordinario e censore della pontificia accademia di archeologia, in Roma. CASSI conte Francesco, a Pesaro. CASTRECA BRUNETTI Enrico, dottore di medici- na, in Roma. CECCONI avv. Luigi, giudice delle mercedi, in Roma. CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, profes- sore nel collegio nazareno, in Roma. CIAMPI cav. Sebastiano, a Firenze. CICCONI ab. Tito, bibliotecario dell'Albani, pro-cu- stode generale coadiutore di arcadia, socio ordina- rio della pontificia accademia di archeologia, in Roma. CONTI dott. FILIPPO , medico a s. AnatogUa di Camerino. COPPI ab. Antonio, socio ordinario della pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma. CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, mem- bro della reale accademia, a Torino. DE-LUCA monsig. Antonino, camerier d'onore diSua Santità, vice-presidente dell'accademia ecclesiastica, in Roma. DE-MINICIS avv. Gaetano, a Fermo. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. FABI de'conti MONTANI cav. Francesco, camerier d'onore di Sua Santità, sotto-custode di arcadia, in Roma. FERRARI padre maestro Giacinto, dell'ordine de'pre- dicatori, prefetto della biblioteca casanatense, so- cio ordinario della pontificia accademia di archeo- logia, in Roma. FERRUCCI avv. Luigi Crisostomo, a Lugo. FERRUCCI Michele, professore, a Ginevra. FIORINI MAZZANTl Elisabetta, in Roma. FOLCHI cav. Clemente, presidente dell'insigne e pon- tificia accademia di san Luca, ingegnere ispettore VI membro del consiglio d'arte, membro del collegio filosofico dell' università romana , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. FONTANA cav. Pietro, a Spoleto. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Ginevra. GENNARELLI dottore Achille, a Roma. CIA COLETTI padre Giuseppe, delle scuole pie, pro- fessore nel collegio nazareno, in Roma. GRIFI cav. Luigi, consigliere e segretario della com- missione generale consultiva di antichità e belle arti presso il camerlengato della S. R. C. , socio ordinario della pontifìcia accademia di archeologia, in Roma. COZZONI DEGLI ANCARANI dott. Carlo, profes- sore nel collegio, a Trevi. LARUS cav. Giovanni, imperiale e reale epigrafista di corte, membro e segretario dell'insti tuto, a Milano. LOPEZ cav. Michele, prefetto del ducal museo, a Parma. MALVICA barone Ferdinando , socio ordinario del reale istituto d'incoi'aggiamento, a Vasto. MAMIANI DELLA ROVERE conte Giuseppe, cen. sore dell'accademia agraria, a Pesaro. MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesìi, professore nel collegio romano, prefetto del museo kircheriano, membro del collegio filologico dell'u- niversità, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. MARCOTULLI dott. Luigi, medico, a Sezze. MASETTI canonico Celestino, a Fano. MORDANI Filippo, professore, a Ravenna. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore nel colle- gio, a Osimo, MORICHINI monsignor Carlo Luigi, chierico di ca- mera, in Roma, MUZZARELLI monsignor Carlo Emmanuele, uditore della sacra rota, consultore della sacra congrega- zione de'rili, in Roma. PAOLI conte Domenico, a Pesaro. TIF PERETTI Pietro, professore di farmacia e direttore del gabinetto farmaceutico dell'università, in Roma. PKRL'ZZI monsignor Agostino, arciprete della me- tropolitana e rettore dell'università, a Ferrara. - PIAISCIANI padre Gio. Battista, della compagnia di Gesù, professore nel collegio romano, membro del collegio fdosofico dell'università, in Roma. PUCCINOTTI dott. Francesco, professore nell'uni- versità, a Pisa. POGGIOLI dott. Michelangelo, già medico ordinario della san, mem. di Leone XII, professore di bota- nica e membro del collegio medico-chirurgico della università, in Roma, PUNGILEONI padre maestro Luigi, min. conv., con- sultore delle sacre congregazioni de' vescovi e re- golari e de'riti, in Roma. RAGGI avv. Oreste, in Roma. RAMBELLI Gio. Francesco, professore, a s. Giovan- ni in Persiceto. RAMELLI Camillo, professore di filosofia e matema- tica, a Fabriano. RAINALLI Ferdinando, a Firenze. RICCARDI dott, Gregorio, medico, in Roma, RICCI marchese cav. Amico, a Macerata. ROSSI monsignore Stefano, prelato domestico di Sua Santità e delegato apostolico della città e provin- cia di Civitavecchia, SALVI cav. Gaspare, consigliere e professore di ar- chitettura teorica nell'insigne e pontificia accade- mia di s. Luca, ingegnere ispettore membro del con- siglio d" arte , architetto de' ss. palazzi apostolici , membro del collegio filosofico dell' università , in Roma. SANTARELLI dott. Michele, professore emerito di medicina, a Miacerata. SANTINI dott. Angelo , medico primario , a Mon- talboddo. SANTUCCI ab. Domenico, in Roma. SANTUCCI monsig. Loreto, cameriere segreto di Sua vili Santità, custode generale emerito di arcadia, mem- bro del collegio filologico dell'università romana, in Roma. SCLOPIS di Salerano conte Federico, membro della reale accademia delle scienze, a Torino. SECCHI padre Gio. Pietro, della compagnia di Ge- sù, professore e bibliotecario del collegio romano, socio ordinarlo e censore della pontificia accade- mia di archeologia, in Roma. SORGONI dott. Angelo, primo medico, a Montolmo. SPEZI Giuseppe, in Roma. STEFANUCCI ALA dottor Antonio, in Roma. TESSIERI padre Pietro, della compagnia di Gesù, sotto-prefetto del museo kircheriano, socio ordina- rio della pontificia accademia di archeologia , in Roma. TORTOLINI ab. Rarnaba, professore di calcolo su- blime nell'università, in Roma. TROMPEO cav. Renedetto, medico di corte di S. M. la regina vedova di Sardegna, in Torino. VACCOLINI Domenico, professore, a Ragnacavallo. VALDIUGHI conte Mario, a Modena. VALORI dott. Francesco, membro del collegio me- dico-chirurgico , professore di sanità nella sacra consulta, in Roma. VENTUROLI prof. Giuseppe, presidente del consi- glio d'arte pe'lavori di acque e strade, accademico di merito di s. Luca nella classe dell'architettura, membro del collegio filosofico dell'università , in Roma. VERMIGLIGLI cav. Glo. Rallista, professore nell'uni- versila, direttore del museo antiquario, a Perugia. VESCOVALI Luigi, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI doti. Carlo, professore sostituto di fi- sica sperimentale nell'università, in Roma. ZANELLI ab. Domenico, in Roma. a s^iiiir^^ V anima umana e suoi statì., principalmente Video- logico. Libri quattro. Trattazione filosofica delVah. Marco Mastrofini. Roma 1842 , tipo- grafia delle belle arti. ( Tomi due in 8., il pri- mo dipag. XIV e 4^2; il secondo di pag. Vili e 349. ) JL^opo pubblicate più opere di argomento gravis- simo , ulliniameiile 1' ab. Marco Maslrofmi lia fatto di ragion comune la trattazione qui sopra enun- ciala. L'opera riesce Importantissima per la sufficienza cbe somministra a capire ciò che è la cosa in se slessa, coU'esame diligentissimo II quale vi si eseguisce di ciò che è l'anima, e degli slati di essa anima nell' atto della congiunzione col corpo, nella durazione di que- sta congiunzione, e dopo Intervenuta la morte del cor- po, considerandovisi quello che dee seguitarne. A far tale esame ordinatamente , la esistenza deir anima e dei corpi e la diversità loro essenziale e stabilita evidentissimamente sin dal principio del trattato negli articoli vari del capo primo. Si può as- sicurare che poche analisi presentano e seguono l'ar- gomento con tanta diramazione e chiarezza, con quanta G.A.T.XCIV. I a Scienze la trattazione presente lo segue e rischiara in tutte le sue parti : massimamente in quelle che riguarda- no lo stato ideologico , sul quale, ornai da un se- colo, tanto si è scritto e si scrive. Da per tutto vi sono lampi inaspettali di scienza: da per tutto nuovi ingressi a procedere e scoprire, coU'incanto che chi legge sembra scoprire egli stesso coli' autore che gli è guida. Data così un'occhiata generale all'opera, io nor^ porrommi a far conoscere come sono dimostrate le sin- gole parti, e quel di più scienziato che vi è dentro, il quale attinto non può non dilettare un lettore filoso- fo. Ben si m'interesserò a far intendere uno de'punti, il qual è principalissimo e fecondissimo in tutta l'ope- ra, e che applicato, come si dee, non può non in- fluire largamente a vivificare le scienze che a questa si riferisconp. L'autore nell'articolo ter?o del capo secondo del libro primo dimostra, che realissima è la congiunzione dell'anima col corpo vivo: in guisa che da essa con- giunzione dell' anima viva col corpo vivo risulta la vita propria del composto umaìio^ ossia dell'uomo, detta VITA ANIMALE. E dimostra che non può l'anima non sentire se stessa in tal vita e nelle ^ue variazioni? Convintissimo però che se non si raggiunge e scopre e dimostra quale è lo stato e consorzio vero dell'anima cql corpo vivo e sue parti, si starà sem- pre nel desiderio di conoscere , ma sempre lontano dall'aver conosciuto , raccoglie tutto il potere della meditazione più viva a scorgere e seguire e far co- munque apparire questo arcano di stato nell'esser no- stro. Ardua impresa ! e tentata fin qui tante volte vanamente. Ma l'autore nostro, anzi che sgomentar- L' ANIM4 UMANA 3 sene, par come elevarsi e crescere verso Tintento. Egli dice: Nell'uomo due sono le sostanze vive consocia- te, l'anima ed il corpo. Semplicissima è l'una : ma composto, e non semplice è l'altro. Ora eccoci alla verificazione prima da fare. Quale di queste due ha propriamente bisogno della congiunzione PEI' ani- ma ? È il corpo ? ( lib. I cap. 2 art. 4 ) Chi fa pro- priamente questa congiunzione ? Fatta la discussione, si rinviene che il bisogno è del corpo : perchè senza l'anima, questo, anche na- to vivo per la vita sua vegetativa, non potrebbe con- tinuarla. Imperocché preso isolatamente in se stesso sarebbe incapace a far movimento alcuno da prender cibo, mutar posizione, e conservarsene. Donde è che sotto i disegni del creatore l'anima quando » infu- sa nel corpo per la congiunzione, ella è che soprav- viene i bisogni del corpo e lo investe, e lo rende, e lo tiene unito a se stessa, quanto lo tiene; cioè co- sì strettamente, quasi in un tutto con se medesima. Ella è propriamente la congiungitrice : il corpo è re- so e tenuto congiunto. Con che s'intende che sebbene una sia la con- giunzione dei due, anima e corpo fra loro; puro som- mo è il divario con cui l'uno si trova inverso dell'al- tro. L'anima tiene propriamente unito il corpo a se stessa : il corpo è tenuto unito. E questo è come il cardine della spiegazione che si dee determinare. Ma presupposto che l'anima congiunge e tiene a se congiunto il corpo, sottentra il chiedere, come e per quali mezzi 1' anima faccia e ritenga questa congiunzione. L'autore applicandosi a discuterlo di- ce : Due sono le vie che si presentano per la solu- zione : vale a dire : l'unione si fa perchè una sostan- / Scienze za si stempera, e s'insinua e s'inviscera coli' altra, co- me sarebbe dell'acqua col vino : o la congiunzione si fa col mezzo di una forza che l'anima emette, o con gli effetti ch'esercita sul corpo vivo e sue parti. La prima maniera, in tutte le immaginabili sue diversi- ficazioni, nel caso nostro è impossibile. Perchè essen- do l'anima un principio pensante, e però semplice, è affatto indivisibile, e insoggettabile a glutini e me- strui comunque. Resta dunque ( segue l'autore ) a con- cludere che l'anima, quando è infusa nel piccolo cor- po cresciuto da reggerlo, lo investe, ed a se lo con- giunge con una forza data propria della sostanza di essa : e di più resta che continui ad investirlo con questa in sino a tanto che il corpo è vivo : perchè se da questa forza è la origine , da questa pur deb- be essere la continuazione della congiunzione (§. 25 1 e seguenti.) E dunque fermo, i. che nell'ordinare lo stato del- l'uomo, l'anima sotto i voleri del creatore è propria- mente quella che la la congiunzione col corpo vivo; e lo riduce a tenersele unito: e 2., che fa questa con- giunzione con una forza propria di essa anima : co- se l'una e l'altra importantissime a dar principio. Questa forza poi, qualunque sia, comunque si effonda o manifesti, è sempre cosa immateriale secon- do le considerazioni nei §§. i55 aGS 3Go, couje già si concede amplissimamente intorno le forze. E di più è tale che non tralascia parte del corpo nella quale non s'interni, e si tenga ed operi (§. Soy). Al- trimente, informe e manchevole sarebbe la unione. Anzi questa forza operante la congiunzione è for- za naturale e necessaria , e non libera o volontaria per alcuna maniera (§. 259): trovando l'anima a se L' ANIMA UMANA 5 congiunto il corpo , prima che sappia di averselo a congiungere, e ritenendoselo così congiunto e non pe* liberi voleri suoi. Ma ciò che è più maraviglioso a conoscere , è che mentre i filosofi vanno, come ignari di se stessi, congetturando ove ricorrere per adombrare il mezzo e modo di questa congiunzione, negli scrittori sacri si vede assegnato e disposto appunto in una forza pro- pria e naturale dell'anima, colla quale investe e con- giunge e tiene a se congiunto il corpo suo. Per esem- pio secondo, che è notato nel libro primo del sig. Ma- strofini §. -264» Soy, S. Basilio tom. 2 delle opere, nella omelia In illud attende tibi §. 7 scrive su la forza con cui l'anima investe e tiene a se congiunto il corpo : Admirare opificein (Deum) quomodo ani- mae tuae vini ad corpus colligarit, et ut ad ex- trenias ipsius partes pervadens membra^ inter se multum dissita, ad unani eamdemque conspij'atio- nem et communionem adducat. Qui la forza del- l'anima è detta vincolata e maravigliosamente dal crea- tore al corpo : ed è pur detta che pcrvadit, pene- tra, scorre, cioè naturalmente a tulle le parli : seb- bene, distanti non poco fra loro, li riduce comuni- canti e cospiranti, onde l'anima operi con esse: e non vi si dice già che l'anima è quella che spande e dirige questa forza, come e quando le piace libe- ramente, per fare la congiunzione. Ed Ugone di s. Vittore, acutissimo canonico re- golare del secolo XII, pronunzia: Habet quoque ani- ma vires suas^ quibus covpori commiscetur: cioè s'insinua e lo tiene a se unito. Tale essendo il va- lore dì questa voce ne' padri su di argomenli somi- glianti. E possiamo notare qui pure, che l'anima prò- 6 S e I B N Z E priamenle è indicata come quella che spanile la sua forza universalmente per entro il corpo ad unirselo, non il corpo su l'anima. Per le quali cose, come si riferisce nel ^. 264» S. Tommaso alquanto posteriore a quel canonico in- segnava: Dlcendiirn qiiod ab anima huniana in quan- tum UNirUR CORPORI EFFLUVNT FIRES AFFIXAE ORGANI s^ in quantum vero excedit sua virtute cor- poris capacitatem, effluunt ab ea vires non affixae organis. Pe' quali detti s'intende non solo venir dal- l'anima una forza congiungitrice, ma tenersi questa affissa ancora , cioè perennemente , al corpo e suoi organi ; infanto che altre forze tien 1' anima che li signoreggia. E si può vedere nello stesso ^. 264 del- l'opera, come gli scolastici si accordano all'insegna mento del liu'si la congiunzione dall'anima propria- mente e per una forza naturale e non libera. Il trovarsi queste od altre autorità sparsamente in questo o quello scrittore, e non insistite , e via via applicate in dichiarazione, e non raccolte da in- gagliardirne l'una coll'altra, ed il poco intendersi ove propriamente mirassero , le ha ridotte quasi non si avessero; ma si ebbero e si hanno da scrittori gra- vissimi, e con senso non dubbio quando ben si con- templino. L'autore della trattazione filosofica su l'anima e suoi stati fa avvertire, che la forza, con che l'anima a se congiunge il corpo e sue parti, non ha punto che fare colla forza attraente tanto nota nelle scuo- le ; perchè questa per operare non esige la vita del- le masse, nelle quali opera : là dove la forza unien- te dell'anima esige vivo il corpo nostro per operar- vi, e tenerselo unito. L' ANIMA UMAKA 7 La forza, con cui l'anima tiene a se unito il Corpo e tulle le sue parti, si può chiamare uniente, ovvero unitrice, unitiva. Sant' Agostino, secondo che è nell'opera ^. 229, prese in globo spirito e forza scrivendo : Modus, quo corporibus JDBAErent spi- RiTus , et animantia fiunt, omnino mirus est. De Civit. Dei lib. 21 cap. io num. i. Non saprebbesi concepire 1' aderir degli spiriti al corpo , senza la forza di questi, la qual s'insinua ai corpi, e se gli unisce, e diclamo se gli appropria, presentandoli nel- l'operare quasi un tutto con essi spiriti. La forza uniente precede e stabilisce e fa con- tinuare la congiunzione sino a tanto che il corpo è vivo. Ma fatta e supposta la congiunzione, vi è l'ani- ma, quale è per se stessa, ornata di forza conosciti- va, o intellettiva che voglia dirsi, e di forza motri- ce : ciò che ninno potrà negare, coscio a se stesso di pensare indeficentemente, e che l'anima sua move il corpo maravigliosamente,come in un tutto con se stessa. Sono dunque nell'anima tre forze: la uniente, la pensatrice ossia conoscitiva, e la motrice. La pri- ma induce la congiunzione: le altre due la suppon- gono, e vi si spendono più 0 meno a reggere l'uo- mo, già composto e vivo, in vita animale. Osserveremo che se la forza unitiva dell'anima trae, come un vincolo, il corpo a tenerselo congiunto in tutte le sue parti; dee questa forza medesima, e non può non chiamare e tirare l'anima in sua forza conoscitiva ad accorrere e tenersi come accorsa per lutto il corpo, a conoscerne e tenerne costantemen- te come cognito il congiungimento, in sino a tanto che questo continua. Imperocché l'anima è posta a far colla sua forza unitiva la congiunzione affine di pos- 8 Scienze sederla già fatta, e governarla. Quindi l'autore scri- ve §. 466: Dunque una tal forza (conoscitiva) non può non seguire, abbracciare, pareggiare insie- me la forza unitrice, secondo che questa forma^ e dove forma i tocchi e i nessi della sua con- giunzione', cioè dovunque sono i tocchi e gli am- plessi della forza unitiva nel corpo e sue partii ed in ogni variamento, ivi pur sono gli atti dello apprenderli i quali si esprimono per la forza in- tenditrice nello spandimento suo, mentre è V anima che questo intende, dovunque intende ec. Ora lo essere la forza conoscitiva sempre come accorsa ed applicata dovunque è la forza unitiva ine- rente colle parli del corpo ; questa è die dà Tori- gine e stabilisce la sensibilità per tutto il corpo ■ non potendo nelle parti del corpo succedere modi- ficazione nella forza unitiva, senza che avvenga in- sieme nella forza conoscitiva e suoi atti : cioè l' es- sere noi investili in qualunque parte del corpo e co- noscerlo van congiunti , se non siavi impedimento. Ciò che è propriamente nell'uomo e negli animali V esser sensibile. Da tale ordine di cose risulta il fenomeno raa- ravigliosissimo, che quando ci accade una impressione in una parte data del corpo, per es. in una mano, sentiamo la impressione, o mutazione come doppia, cioè dentro l'anima e fuori nella parte ove accade. La impressione fatta su la mano vi agita pur la for- za unitiva: e cosi trovasene modificata la conosciti- va, applicata insieme ove è la unitiva. L'anima dun- que non può non sentire la variazione nella forza conoscitiva, ove è fatta. Ma perchè essa anima è che la sente* così questo sentire sarà come fuori dell'ani- L' ANIMA UMANA Q ma nella parte ove accade la variazione: ma sarà in- sieme dentro l'anima, perchè l'anima è che sente in questa sua forza. Vedi lib. 2 cap. i art. 2, e capo secondo art. I. E niun bisogno è qui degli spiriti detti animali: cresciuti di fama coli' antico e replicato nominarli , anzi che per essere stati trovati idonei a dare spie- gazione alcuna per la unione e comunicazione del- l'anima col corpo. Essi farebbero intendere l' inter- vento di un corso dalla parte variata del corpo fin presso l'anima; ma non il sentire duplicato, come lo proviamo nella parte ove accade la variazione, e den- tro l'anima insieme. Io tocco tali esposizioni e dichiarazioni come iu iscorcio. Ma ben vedo che compendiarle è scolorar- le : e far temere che servasi anzi ai concetti pura- mente mentali, che al rigido tenore dimostrativo, ed allo stato de'fatti, ai quali mira l'autore, principal- mente nel lib. I cap. 2 art. 6 ed 8, e lib. 2 cap. i art. 2, e capo 2 art. i. Serviranno però queste al- meno di slimolo perchè l'investigatore della maravi- gliosa natura s'induca a leggere per se stesso l'opera, e raccoglierne in sua precisione il meglio che vi è dentro, e come stia tale congiunzione realmente, se- condo i risultati più intirai delle investigazioni. Derivando e dipendendo la forza unitiva della sostanza stessa dell' anima ; seguita che se l'anima , comunque, è commossa o agitata e turbata nello stalo o maniera dell'essere suo, non potrà non risultarne agitazione su la forza unitiva, e nel corpo ove que- sta forza s'insinua e tiene ed opera per tenei'e. E di qua sono que' subiti tremori, agghiacciamenti, accen- sioni, slanci di tutta la persona a certi casi, a certe IO Scienze viste, o nuove inaspettate. Vaiiazioni naturali e ne- cessarie tutte, ne dipendenti affatto dai liberi voleri dell'anima (§. 3i6 e seg.). Operando la forza unitiva deiranima universal- mente come toccante per tutto il corpo e sue parti, come su'nervi, su le vene, su le arterie, su i fluidi stessi (§. 422); è facile a concepire che pur da que- sta forza dee dipendere, in gran parte almeno, la ori- ginale e perenne mozione del sangue e del cuore (§. 1256). Stald, medico insigne neìV entrare del secolo XVIII, insegnava (§. i256) che tutti i movimenti del corpo, quelli ancora del cuore e del sangue, dipen- dono dai liberi voleri dell' anima. Quanto abbiamo indicato convince che ciò non può essere: e che vi sono variazioni e movimenti dipendenti dall' anima in suo stato di commercio, naturalmente e senza in- terrompiraento alcuno dei voleri dell'anima stessa. Piìj consentanea parve la spiegazione che Haller dava ripetendola dalla irritabilità del cuore : perchè nell' ingresso del sangue veniente per le vene alle orecchiette del cuore, queste pel tocco, urto, stimolo se ne contraggono e poi si dilatano: nel contraersi spingono il sangue nei ventricoli, i quali al tocco ed urto o stimolo si contraggono anch' essi , e così spingono il sangue nelle arterie. Ciò che il sig. Ma- strofini descrisse distintamente nel §. i/^3. Ma tale perenne circolazione già presuppone il moto del san- gue nelle vene: e con ciò che la spiegazione non è intera, e che la origine sen debba cercare da una for- za anteriore e sopraggiunta al corpo stesso. Si dee però avverlire che Haller stesso vedea la necessità di un'altra forza ancora. Imperocché nell'opera sua, eia- L' ANIMA UMANA I f borala con anni cinquanta: De partìum corporìs hii- mani praecipuaruin fabrica et functionibus impres- sa Bernae Lausannae 1778, nel tomo secondo inti- tolato Cordis fabrica et motus p. 470 scrive: To- ties Clini irritationem prò caitssa motiiuni in cor- de obser^atoram proposuerim, omnino inonere te- neor caussam me excitantem et sollicitantem in- ielligere, quae ALìAM vjm mJtricem in corde ha- bitantem ad contractionem provocet. Questa forza abitante nel core stesso , questa è la forza unitiva dell' anima , forza inondante e toccante e premente per tutto il corpo e sue parti, fluide e non fluide, come il sig. Mastrofini esprime nel §. ia56. Fu tanto investigato, e per commentari lunghi tentato dichiarare come le anime umane e quelle delle bestie movano il corpo proprio, e le parti di esso. Ma riconosciuto ed ammesso che le anime ten- gano a se congiunto il corpo e tutte le sue parti per la forza unitiva, potremo intendere che ad eseguire tali moti basta che l'anima muova se stessa colla di- rezione che vuole e dove vuole; affinchè per naturale sequela di essa forza unitiva se ne trovi mossa la parte del corpo, e come, e quando si vuole (§. 809 e seg.). E quando sarà più universalmente conosciuto il modo della congiunzione fra l'anima ed il corpo, si troverà mancante per sempre fin l'apparenza a potersi dir l'anima materia o corpo. Imperocché si ravvi- serà che la congiunzione e suo esercizio si fa colle forze dell'anima; ritenendo l'anima totalmente distin- to lo stato suo d'immateriale e spirituale, proprio della sostanza sua. E quest'opera come un pieno vivaio, dalla considerazione diligente del quale aspettano e pren- deranno luce tante e tante altre applicazioni, svela- trici dello stato di eongiunzione in vita animale. 12 Scienze Stringiamo: Esiste l'anima, esiste il corpo: diver- sissime cose. L'anima propriamente a se congiunge e tien congiunto il corpo con la forza unitiva, natu- rale e non libera; ed a questa non può non accom- pagnarsi e tenersi come indisgiunta la forza conosci- tiva, sicché l'anima possieda tutto il corpo e sue par- ti. Donde sono le tante sequele clie abbiam detto , e quel tanto predominio che tiene l'anima su' liberi moti del corpo. Giunto l'autore a questi termini prende a trat- tare delle idee: ne considera le origini e qual parte di azione ci ha l'anima, e come essa è propriamente quella che forma e stampa le idee, avutane la causa pe' sensi. Egli esamina e pivi volte se in queste ab- bia luogo mai punto d'innato: e conclude non aver- visi, lasciando che altri grandissiùai pensino il con- trario. Nel libro III discorre amplissimamente della im- maginazione e della memoria. Egli consacra tutto il capo II di quel libro intorno alla memoria. E forse niu- no più di lui ha contemplato tanto e sì profondamente questo argomento. Eccone i titoli : articolo i. Memo- ria e sua natura', art. 2, Grandezza della memoria per parte delV anima e suoi ritardi per parte del corpo nello stato di vita animale. Dimenticanza e suoi gradi: art. 3. Stato mentale delle idee da ri- cordare: come si abilita la memoria a ricordare anzi le une che le altre cose: art. 4. Rapporti della meditazione colla immaginazione e colla memoria. Falsità deh'cstigi e delle attitudini rimaste nel cer- vello per uso della memoria: e convinzione ulte' inore die Vemporio della memoria è nelVanima' art. 5. Memoria delle idee considerate più special- L' ANIMA. UMAN.Ì l3 mente colle parole: art. 6. Commentario ulteriore su la memoria delle idee colle parole. A questo succede il capo III iscritto: Injluenza della imma- ginazione e della memoria negli abiti^ fissazione e sogni. Il capo IV lia per titolo: La ragione e sue prime mosse e metodi pel corso suo: ove rarlicolo sesto ha per iscopo: P^i è per la nostra ragione un criterio della verità ? e l'articolo Vili commove coli' essere iscritlo. Sommo ed universal proposito e frut- to e requie della ragione : e iicll' articolo IX si legge come possa essere liberala dalla opposizione la tanto coinbatlula dimustvazlone della esistenza di Dio della a priori. Il quarto libro è intitolalo: Stato morale delV anima in congiunzione col corpo e sua durazione. Vi si discorre del piacere del dispiacere, degli alletti, della volontà, della libertà e sue limitazioni, e della obbligazione inseparabile, colla quale dobbiamo rego- lare tulle le azioni. E qui lo scritto par come ria- nimarsi: e date le debile definizioni, volgesi a trattare della spiritualità, della immortalità, della risurrezio- ne ancora più volle: e da per tulio con tanta evi- denza e forza da non potervisi repugnare. Il trattato è cbiuso colla comparazione tra le anime umane e quelle delle bestie: se ne assegna il divario, escluse le audacie non meno die la soverchia timidezza. Si può concludere che questa filosofica ^trattazione del celebre nostro slg. ab. Mastrofini sopra l'anima uma- na e suoi slati, quanto riesce istruttiva, altrettanto ispira ossequio verso la tanto benefica religione di Gesù Cristo, che ad ora ad ora nelle sue discussioni egli illustra in punii delicati e sublimi. L. C. i4 Vomeopatìa schisata da Giovanni Fumasoni professor di medicina in Eoma. INTRODUZIONE. N. el fare succlnla analisi della omeopatìa, non al- tro ebbi di mira, che mostrare al colto pubblico cosa essa è in realtà, scevrando il vero dall'esagerato che vi si trovan confasi. Il dire, come molli si ostinano ad opinare, non essere che impostura interamente eù inganno, è ingiusto: il pretendere che essa sia il ta- lismano, la verga fatidica che sola guarda e conduce al polo delTarte di guarire , è una cecità dell'entu- siasta e del fanatico. E dessa nulla più che un ar- ticolo, una frazione del codice ippocratico, cioè di quel codice redatto sulla sola face dell'esperienza e di quel genio felice, che seppe sottoporre la ragione alla di lei direttrice potenza. E ben per questo di- visai porre in fronte di questo mio scrittarello il breve titolo di Omeopatìa schisata, che tutta la so- stanza ne accoglie. Difatto , se la omeopatìa è una frazione della medicina dei secoli, era necessario con- cretarla, e menomarla nella sua più semplice espres- sione ; essendo ben noto cosa sia lo schisar de'rotti nella scienza dell' algoritmo. Ho creduto necessaria questa spiegazione, acciocché resti giustificato un ti- tolo, che sembrar poteva a qualcuno stravagante ed astruso. Un destino crudele ha sempre attraversato il pa- Omeopatia schisata i5 cifico progresso dell'arte salutare, frapponendovi il fu- ror di sistema. Lungi però dall'essere scudo ai suoi detrattori , è un naturale e maleGco prodotto dello spirito umano , troppo facile a restar sedotto dalle lusinghe delle novità non solo; ma siccome la strada che conduce al santuario della medicina è oltremodo erta e scabrosa da non esservene una pari, guardato a traverso la incantatrlce lente del sistema , sembra facile e piana in modo, che egli è ben difficile ri- conoscerne subito l'inganno. Ed assai pochi son quel- li che han pronto ed acuto criterio per iscoprirlo ; essendo questo una gemma preziosa , di cui natura non è tanto prodiga dispensatrice. La turba cade in seduzione; e traviando si perde. Ogni autor di siste- ma immagina e si persuade aver trovato quel punto, da cui crede generati tutti gli altri, che constituiscono la periferia del circolo medico. Certo che ogni punto gli spetta; ed è legato per continuità con gli altri: come però con fondamento determinarsi qual sia l'e- sclusivo generatore di lutti? Son tutti provveduti di ragione uguale : bisogna studiarli e tenerli tutti a calcolo, Officio penoso, che pochissimi han forza di sostenere. Abbracciando però un sistema , un solo punto della medica circonferen-ia si sceglie , si stu- dia , e posto a tortura gli si fan partorire lutti gli altri, in forza della predilezione madre dell'entusia- smo e dell'errore. In tal guisa l'arte di guarire, quasi nodo gordiano, credesi bonariamente con poco stu- dio e fatica in un sol colpo sviluppato con la spa- da di Alessandro. Il sistema, ad esempio, di im fab- bro , ti misura col compasso da capo a fondo e in tutte le dimensioni ammalato e malattia, e con for- joaole dogmatiche le lo dimostra e fa palpare, come i6 Scienze se fosse geometria. Novità e facilità sono adunque ' mezzi di seduzione : per la qual cosa, pace e com- patimento ai sedotti, che si avvisano con poco inge- gno e fatica un tanto scopo raggiungere; e quel che è peggio agognare al premio, e spesso ottenerlo. I. Dar opera alla perfezione di una scienza, di un'arte, non è crearla. Qualunque fosse lo stato del- la medicina, allorché lo instancabile Hanhemann scris se il suo organo della omeopatìa, era già ricca de falli e dell'esperienza dei secoli; trionfava della bassa invidia fomenlata dalla letteraria gai'a, di cui nelle circostanze vcndicavasi colla compassione e l'obblìo: ed è impossibile non restar compreso da maraviglia e stupore ; allorché sul fine di una breve prefazione trovasi registica lo : a E siccome quesl'arte consiste so- n lamente nella grossolana imitazione di un pro- » cesso insufficiente o nocivo , con agevolezza mi 1) si concederà che la vera medicina prima di me » non si conosceva. » E nella pag. 26 della versione veneziana meglio spiega il suo concetto, allorché di- ce: « Nessuno sino al presente suggerì un metodo te- » rapeutico di tal fatta; ne pur anco lo mise ad ese- » cuzione. » 2. Per veder se meritamente siasi egli con tan- ta arditezza magnificato, sarà bene consultarne l'ora- colo del gran vecchio di Coo, del primo padre cioè della medicina, e dirò anche della filosofia, giacche V Organon scientiaruin del sommo Bacone non è che una esposizione dei precetti d'Ippocrale, riguardo al- le scienze, come rilevasi in quel passo dei Jlapxfjz- Xj«£ ; (( Bisogna^ dic'egli, dedurre le regole di pra- » tica^ non da un seguito di ragionamenti anterio- » ri, per quanto probabili possano essere'.;, ma dal" Omeopatia schisata 17 » Vesperienza diretta dalla ragione. Il giudizio è » una specie di memoria che riunisce e mette in or- » dine tutte le impressioni ricevute dai sensi; giac- » che, prima che il pensiero si produca, li sensi han- » no sperimentato tutto ciò che deve formarlo; e so- » no essi che ne fanno giungere i materiali all'in- » tendlmento. » E bene, ecco cosa stabilisce ed in- segna il grande di Coo ( il cui vasto genio, a senso di Cabanis, sembra che già fosse iniziato in tutti i secreti del metodo analitico ) nel suo trattato De Io- cis in homine: « Alius porro modus lue est, per si- » milia morbus fit, et per simllia adhibita ex morbo » sanantur. Velut, urinae stilicidium idem facit, si » non sit; et si sit, idem sedat. Et tussis eodem mo- » do, velut urinae stillicidiura, ab iisdem fit, et se- » datur. » 3. ISè qui si arresta; ma prosiegue per far meglio comprendere la propria dottrina. « Alius rursus mo- » dus hic est. Febris, quae propter tumefactionera » ex pituita fit, alìquando quidem ab iisdem Jit, et » sedatur^ aliquando autem a contrariis. Aliquan- » do enim si quis vult aqua calida lavare, et mul- )) tum poLum exbibere, sanus aeger fit; et iebris, quae » piopler tumeractionem facta est, piluitosis, ac tu- » melaclionem facientibus oblalis et adhibitis, sane- }) scit. Et si quis vult aiedicameulum bibendum dare; » alvum subducens, et vomitarium; eodem modo et a )) facientibus sedatur, et a sedantibus fit. Nam si quis » bomiul vomenti aquam multam bibeadam dare ve~ » lit, eluentur ea, propter quae vomit, una cum vo- ,» mitu. Et sic quidem per vomitum vomitus sedatur. » Rursus autem proptcrea quod sedatur , quia infer- )) ne procedere ipsi fecit, ex ilio id, quod intus est, G.A.T.XC1V. 2 i8 Scienze » vomitum facit, et ambobus contrariis modls homo » sanus fu. Et siquidem sic in omnibus baberet, sta- » ta sane ac certa medicina esset. Ita alia quidem con- » trarlis curare oportet, qualia tandem sint, et a qua » causa fiant : alia vero simillbus qualia tandem sint, » et a qua causa fiant » 4.. Dunque non è vero che prima del sig. Hanhe- mann non vi è stata vera medicina : giacché il suo principio omeopatico, il suo idolo similia similibus\ formava già una frazione delle dottrine ippocratiche. ]Nè saprei concepire, come esclusivamente debba egli solo essere il vero, e formare a di lui senso il perno e la base dell'arte di guarire. Frattanto è falso che prima di lui non vi fosse vera medicina : circa ven- ticinque secoli innanzi lo stesso elemento prediletto per similia era stato proclamato dal vecchio di Coo. Non gli si debbe però negare non esser picciol merito l'averlo scosso dall'obbljo, e richiamatavi con energia l'attenzione dei medici. Si aggiunga però con lealtà , con danno pubblico^ in vista del fanatico uso che se ne fa. 5. Non basta. Anteriormente ad Ippocrate surse in Grecia un certo Erodico, che da maestro del gin- nasio fatto medico, professò doversi contro i morbi non usar mezzi terapeutici, ma solamente igienici; e sceglier questi secondo la ragion de'' simili^ non già de'contrari. Né mancò col passar de'secoli che non si ponesse a scudo di tal massima generalmente derelit- ta. Lionardo di Capua procurò di sostenere che Ero- dico, come buon medico razionale, non già alle febbri, ma alla cagion di quelle riguardar dovesse; alla qual togliere que'medesimi argomenti senza dubbio si con- vengono, i quali Erodico adoperava; benché sul prin- Omeopatia schisata »g cipio se ne aumenti talora la febbre; ma poi senza fal- lo, rimossane la cagione, del tutto si vinca. La sola diversità che osservasi tra Erodico ed Hanbemann con- siste in ciò, che il primo servivasi di mezzi igienici, il secondo di terapeutici. Ippocrate però ci lasciò scrit- to su tal proposito, che « Erodicus febrientes inlerfi- » ciebat, cursibus, luctationibus, fotibus calidis. Fe- » bris enim .... iis utique omnibus est inimica. Labo- » rem igitur labore curabat .... Siti carentem os clau- » dere, tacere, ventura cum potu frigidum introdu- » cere. » ( De morb. popular. lib 6, secl. 3. ) 6. Hanbemann, per dare un distintivo al suo me- todo, lo vesti di una special divisa, e lo chiamò omeo- patìa', mentre che disse allopatìa la medicina comu- ne, la medicina filosofica. La chiamo filosofica, per la ragione che la vera medicina, il vero medico, non va dietro ad alcun principio esclusivo : egli è allopatico, omiopatico; è tuttociò che si vuole: ed abbraccia quel metodo, si serve di quell'arme, che l'esperienza gli ha insegnato come più adatta per giungere allo scopo che anela : « Quod bona similibus, et mala contrariis cu- » rantur .... Vomitas vomitu curatur ..:. Quo natura » vergi t, eo ducere oportet ... Dum natura inovet, no- » li movere tu ... etc. » Ma la citata divisione han- hemanniana è ella giusta? Io la credo un prodotto di error di logica : siccome l'una cura per similia, e l'altra per contraria, ragion vuole che non mai in- contrar si debbano nei mezzi curativi, che a vicenda da ognuna di esse si adoprano. Eppure è noto gene- ralmente, che la medicina dei secoli prima della omeo- patia si serviva della china nelle malattie periodiche, dello zolfo nei mali cutanei, del mercurio nei sifilitici, e cosi di lauti altri che vengono dall' Hanbemann ri- 20 Scienze feriti nel ^. 2 della sua Introduzione all'organo oraeo- pallco (i). Come va dunque che tanto l'omeopatico che l'allopatico si servano degli stessi farmachi nelle malattie medesime, mentre l'emhlema dell'uno è, non diverso, ma opposto a quello dell'altro; giacche l'uno cura per sliniUa, e l'altro per contraria ? L' eni- gma è facile a svolgersi; dipende dalla diversità di ra- gionare. L'omeopatico, ragionando per simìlia, vi di- ce, lo zolfo vince le malattie cutanee, perchè ha pro- prietà di farle nascere a chi n'è lihero; e così ragiona affidato sopra un principio a priori. .All'opposto l'al- lopatico non s'impaccia in tante cose, e ragiona a posteriori seguendo il semplice e puro fatto; e di» ce. L'esperienza costantemente mi ha dimostrato che, amministrando lo zolfo a chi ha mali cutanei, resta guarito : dunque lo zolfo è contrario ai mali cuta- (i) Sul mio conto lio memoria che nei primi tempi che eser- citavo medicina (e sono più di venti anni indietro ) ebbi in cu- ra una giovane donna afflitta da tosse secca ed ostinata , che a- veva il suo fomite d.i irritazione nel laringe Resistendo ad ogni rimedio ordinario, ebbi ricorso all'atropo belladonna, sommini- strandone la radice in polvere in un grano al giorno. Dopo otto prese restò guarita non solo, ma osservai altro fenomeno che ri- chiamò la mia attenzione. Essa era maritata, e benché giovane, erano vari anni che non faceva più figli. Sotto l'uso della bel- ladonna, eoa la guarigione della tosse , ebbe delle contrazioni uterine con qualche dolore seguito dalla espulsione di materie giallognole e di un fetore si grande, ohe dichiarava non averne inai sentito il simile. Dopo tale espulsione, immediatamente con- cepì; e fu quindi di bel nuovo madre. Da quell'epoca nei mali di gola mi sono spesso, a seconda dei casi, servito del detto far- maco: e così anche in questa parte sono stato, e sono omeopa-^ lieo, senza che Hahaemann me lo avesse suggerito ; poiché in allora manco per nome era qui nota l'omeopatia. E chi sa in quante altre circostanze Io sono stalo e lo sarò ancora! Omeopatia schisata hi nei. E lo dice contrario alla malattia per averla vista cancellata e vinta con il di lui uso. Conseguente- mente l'uno ragionando a priori e l'altro a poste- riori^ la distinzione hanbemanniana sulle due medi- cine non ha per fondamento che un errore di logica. Ne può addursi che il fatto posteriore non manca all' omeopatico: esso non lo conosce, ne gli vale cono- scerlo, percliè per esso ogni malattia è un essere spe- cifico, sui generis, che non ha mai esistito. 7. Amor del vero, e non di partito, mi fe'pren- der la penna per scrivere sulla omeopatìa; giacche sa- rebbe desiderabile che si verificasse in tutte le sue par- ti; e che a ragione se ne mostrasse quasi delirante il suo banditore. Sarìa essa nientemeno che la medicina degli specifici. Non basta; seduce per la facilità somma di apprendersi ed esercitarsi ; e della medicina non dovria più dirsi : ^rs longa, vita brevis etc; ma al- l'opposto : Ars brci'is, vita longa. E difatto, quando l'omeopatico ha fatto il suo ritratto del male, vale a dire, che ha registrato in un foglio, per maggior cau- tela e diligenza, tutti i fenomeni morbosi che lo com- pongono; non dee far altro che consultare la sua ma- teria medica pura, ed aver la sagacità di sceglier qtiel medicamento, che vede essere il rappresentante più prossimo della malattia che vuole abbattere ; vale a dire, che cagiona nell'uomo sano la stessa sindrome di sintomi , o più prossimamente simile a quella che compone il male che si vuol curare. Fatto ciò l'in- fermo può dirsi guarito; giacche quel farmaco è lo spe- cifico di quella tal malattìa, e perciò l'effetto deve es- sere indubitato e pronto, premessa una certa pertur- bazione, che io chiamerei critica, ma che in senso o- meopalico dipende dalla lotta che avviene tra la cau- 22 Scienze sa naturale del male, ed il medicamento, nell'atto che l'attacca e neutralizza. Per nulla si cerca o calcola su preventiva anteriore esperienza. Qualora poi non si avesse un faiinaco rappresentante esatto di tutti i sin- tomi, allora si andranno sbrancando ad uno, a due, a Ire successivamente fino alla distruzione del male. Grazie però alla prodigiosa quantità di farmachi, di che ora la omeopatia ridonda, questo incidente raris- sime volte occorre. A tanta facilità di curare per via sempre di specifici, altre cose la omeopatia promette pili interessanti ancora : ed è che nelle molte cen- tinaia de'medicaraenti fin qui studiati ed analizzali, non vi è certamente forma e fenomeno morboso che non abbia il suo rappresentante, voglio dire, il suo specifico : onde non più si cesserebbe di vivere per male acuto o cronico; ma bisognerebbevi la dolce pa- zienza di attendere il fine della vita dai soli effetti di una tarda e tremante vecchiaia. Per conseguenza ragionevolmente il suo autore se ne entusiasta; e con esso tutti quelli, che un fondo di buon cuore e di buona fede trasse nel dolce inganno di credervi. A tanta delineata facilità ed estensione di cura, molte altre cose si unirebbei"o più stupende ancora : come sarebbe non più affatto uso di sanguigne d'ogni spe- cie; non più uso di emetici, purganti, vessicanti, cau- teri : non più uso di medicamenti nauseosi , ribut- tanti; non bagni, e tutt'allro che suggerisce la medi- cina filosofica, e fin qui ha proposto la industria dei medici dell'universo : non più bisogno di tanti stu- di e di tante scienze che ora si esigono per esser ve- . ro medico : non necessità di conoscere ed attendere nei mali le crisi, ed aiutarle qualora se ne scorga la necessità ed il modo per l'insufficienza della natura: Omeopatia schisata a3 non periodi morbosi: non diagnosi; non prognosi: fi^ nalmenle non più esperienza massima nel medico ; ne piìi dottrina e cognizione somma dei polsi : ne tante altre cose che rendono l'uso della medicina dif- ficilissimo e scabroso. I soli granelli omeopatici, ac- compagnati da una commendata e rigorosa dieta a- datta a non disturbare Fazione del medicamento in- dicato, sono Valpha e Vomega. Riflettendo a tutti questi prodigli, chi ha senso, non può non ramma- ricarsi che non si verifichi quanto la omeopatia pro- mette. E vero però che il promettere ed il mante- nere sono due atti ben distinti, ovvero distanti fra loro : nel nostro caso , credo che sia in ragion in- versa doppia di quella della divisione e suddivisione che subisce un medicamento omeopatico per essere amministrato senza danno. Nondimeno mi auguro che considerata la cosa da medici di senno e non pre- venuti , qualche bricciolo di bene potrà col tempo ritrarsene. 8. Guardata la omeopatia nel suo lato seducen- te , siccome essa in realtà non è che una frazione del codice ippocratico, come venne nel ^. 2 chiari- to, e come meglio lo verrà in seguito ; altra gloria non resta all'Hanhemann che l'amministrare i medi- camenti in dosi infinitamente piccole. In questo sta il suo vero grande, la sua vera scoperta. Io non ho la pretensione di negarla. Confesso candidamente a- verne osservata qualche rara volta la efficacia : ma debbo egualmente dire che le più e più volte l'effet- to indarno si attende : vi è grande incertezza, vi è grande infedeltà. Amministrai vari anni indietro nel- lo stesso dì, e quasi nella stessa ora, lo stesso me- dicamento, nella stessa dose, e della slessa mia prò- 24 Scienze pria preparazione, a due donne epilelticlie ( e f u la belladonna ). La più forte, la più antica nel male , la più avanzata in età e meglio nudrita, me ne mo- strò potentemente il risultato : le convulsioni can- giarono forma ; ma non si estinsero. La più giova- ne, la più delicata, la più sensibile, la più estenuata di forze, non presentò alcun benché minimo segno di azione. Non senza fondamento può trarsene pa- ragone da ciò che tante volte avviene in qualche con- trada della città circa gli odori, che da qualche ca- sa o bottega si svolgono. Tutti più o meno del vi- cinato li sentono ; e tutti quelli che s' imbattono a transitar per quelle vicinanze. Fra centinaia, fra mi- gliaia di persone, se ne trova quell'uno o quell'ima, che ne prova il cattivo effetto; agendo in esso, quasi direi, veneficamente; occasionando mali acuti e spesso mortali: quando che per lutti gli altri, di numero strabocchevolmente maggiore, l'azione va perduta, o almeno è passeggiera e di ni un risultato. g. Leggo in alcune memorie ed osservazioni per servire allo studio e trattamento delle malattie men- tati del sig. professor Brandeis, uno dei più illustri allievi del celebre Esquirol , che nel i834 avendo sotto la sua direzione un signore inglese, ch'egli na- sconde sotto il nome di M. Cork, afflitto da una ma- nìa che da continua si cangiò in intermittente col tipo di terzana legittima : leggo che la sposa dell'in- fermo'manifestò desiderio di far, come suol dirsi, l'ul- timo tentativo, col provare la omeopatia, in un mo- mento, in cui in Francia, a senso del sig. Brandeis, Irovavasi all'apogèo del suo favore. Per maggior si- curezza di esito si condussero tutti a Coethen-Anhalt, dove lo stesso Samuele Hanhemann amministrò al si- Omeopatia schisata aS gnor Cork i medicamenti preparati con le sue mani, che credè più efficaci. Sentiamo lo stesso sig. Bran- deis come ci narra il fatto. « Les infinitésimales mi- » ses sur la langue de M. Cork par le fondateur de » la quasi-nouvelle doctrine, ne firent qu' exaspérer » les symptomes de mon malade-non pas par leur )) activilé ! le me gorderai bien d'accuser leur inno- » cence-personne plus que moi n' est convaincu de )) leur impossibllité de nuire. Parceque pnur obser- » ver des effets sensibles, raanifestes; je me fesais ad- » ministrer par Hanhemann lui-meme, des doses de » médicaments, qu'il régardait comme immanquables; » et j'ai la douleur de le dire : nous étions désap- M pointés tous les deux, e. a. d. moi homme pliisio- » logique, je ne dévenais nullement patliologique : » ainsi encore une fnis je répète , que je suis mo- » ralement et pliysiquement convaincu de leur en- » tière innocuité. Mais ces infinitésimales font du » mal, par leur inerlie d'action et parcequ'elles ex- » cluent l'usage simultané de nos moyens bygièni- » ques : les bains-administrer-quelque sels neutres )) jusqu'a produire des evacuations alvines-appliquer 9 six sangsues à l'anus-serait .plus qu'une fante, et 1) par consequent formellement défendu par le mai- » tre, sous peine d'étre excommunié. » IO. Io veramente sono d'avviso che l'esacerba- zione ed aggravio avvenuto al sig. Cork fosse vera- mente un prodotto della medicina omeopatica , alla quale è follìa negare una certa azione, specialmente nelle malattie nervose e cerebrali. Alla mia epiletti- ca, di cui sopra ho fatto cenno (5. 8), fu più che certa la sua azione. Dopo poche ore dall'aver preso il medicamento, sperimentò una vivacità di spirito , 26 S e I E N K E un'allegria affalto insolita, in modo che sentiasi pro- vocata al canto: poco dopo tornarono al solito le con- vulsioni con fierezza maggiore, e con sintomi diversi e più spaventevoli : e per molti giorni si sostennero in tal modo ; finche a poco a poco ripresero il loro antico andamento. II. Siccome l'azione de'raedicamenti omeopatici è diretta puramente contro i fenomeni sensibili del male, supponendo la teoria, che tolti quelli , è ne- cessariamente abbattuta anche la ignota causa che li provocava : ne potendomi persuadere che debba detta supposizione verificarsi, non vi trovando ragione plau- sibile; io credo che qualora detta azione pienamente si verifichi, giungerà a soffocare, qual calmante spe- cifico, i penosi sintomi; ma non per questo soppri- merà il fondo della malattia. Su tal conto osservo esser vari i casi che posson darsi in seguela dell'am- ministrazione di un medicamento omeopatico. Il pri- mo è che il farmaco, in luogo di annientare il ma- le, si unisca alla causa che lo produce per una loro scambievole omogeneità; lo raddoppi e rafforzi, in- vece di abbatterlo, come avvenne all'infermo del sig. Brandeis, ed alla mia. epilettica. D'altronde nella ma- teria medica pura si trovano molti medicamenti rap- presentare la stessa forma morbosa. Lo specifico ne sarà uno per un dato infermo, secondo vuole ragio- ne; qual sarà fra tutti quelli ? ed ecco difficoltà non piccola di scella. Il secondo caso è, che l'azione del medicamento sia stata troppo energica ; allora vinta -da esso la causa naturale del male, rimane a curarsi la malattia medicinale. Insorgono gli omeopatici, e mi dicono che hanno in pronto numerosi antidoti per moderarla. Ma qui si affacciano due difficoltà ; l'una Omeopatia schisata iy ili riconoscere il cangiamento del male, l'altra d'in- dovinare fra i tanti l'antidoto che più conviene alla specifica circostanza. L'esercente, qualora sia abbastan- za perspicace per riconoscere queste difficoltà, come farà per tersene d'impaccio ? altrimenti che avverrà dell'infermo ? 11 terzo caso si verifica, allorché l'in- sieme del male non consiste che in quei sintomi ap- parenti, sottratti i quali, resta anche nel conflitto neu- tralizzata la causa, da cui dipendevano; ed allora il male forza è che resti immediatamente soppresso e vinto : unico caso favorevole alla teoria , e che per necessità non può aver luogo che nei mali prettamen- te nervosi e di recente formazione. Il quarto caso ha luogo, allorché il medicamento omeopatico soffoca e fa tacere, qual calmante, il senso molesto che rappre- senta il male; mentre questo in sostanza persiste. Due cose possono allora aver luogo : l'una è che col si- lenzio de'sintomi si rafforza ed accresce il processo morboso che constituisce il male; e, dopo una infida calma, risorge con tutto il suo apparato fenomenolo- gico in mirabil modo accresciuto , senza piìi cedere ai consueti calmanti , per condurlo innanzi tempo agli estrerai; come più d'una volta ho osservato, so- prattutto nei tisici curati omeopaticamente : e lo stes- so Hahnemann nel §. i8 del suo organo vi convie- ne, riferendo il fenomeno al da lui detto metodo an- tipatico, enéantopatico; mentre è anche di sua piena l giurisdizione. L'altra cosa che può avvenire è , che ottenutasi la calma con lo specifico calmante omeo- patico, per opera della benefica natura a poco a po- co si distrugge quel lavoro morboso, da cui il male derivava. la. A questo ha provveduto con mollo giù- aS Scienze dizio il sig. Hanliemann, negando affatto, e gettando quasi al ridicolo le forze medicatrlci della natura, in opposizione alla sentenza ippocratica : Naturae sunt viedicatrices morborum. Ecco come espone su tal proposito la sua massima nella prefazione del suo or- gano. « Ma questa natura, che ci viene indicata co- » me un archetipo tanto perfetto, è solamente la for- » za vitale istintiva, priva di ragione, ed inetta alla » riflessione, che è inerente alle oi'ganiche leggi del » nostro corpo. Il creatore le diede per sola desti- )> nazione il regolare Fenergia e la sensibilità dell' » organismo con ammirabile perfezione, finche dura » la salute; ma essa non può ristabilire l' ordine e » l'armonia, quando la sanità è perturbata. Quando u alcuni agenti esterni offendono la sua interezza , » una forza istintiva ed automatica la spinge ad atti » disordinali, con cui crede sfuggire il pericolo che » la minaccia; ma lo sconcerto, che in tal guisa ec- » cita, constituisce da se solo una malattia; ed è un » nuovo malore aggiunto a quello ch'esisteva. » i3. Sembra che non possa dir di piìi per ne- gare alla natura ogni utile azione nelle malattie. Non v'ha dubbio che se la natura fosse da se sola utile a guarir tutti i mali, non vi sarebbe bisogno ne di medico, ne di medicina. Come sfuggire le tante po- tenze nocive in tutto ciò che ci circonda, che ten- dono a distruggerla, e superiori in forza ad ogni sua favorevole reazione ? Lo scopo, l'opera del medico è quella di abbatterle per quanto può e distruggerle , acciocché si renda alla natura la libertà sua di azio- ne; sottraendo l'impedimento che la opprimeva , ed aiutandola in tutti quei casi, che da se sola è inca- pace di superare. Evvi però un numero prodigioso di Omeopatia schisata 29 mali, che il solo metodo di espettazione guarisce : va- le a dire che debbono esser lasciali alla sola provvi- da azione della natura. Di questo metodo di aspet- tazione, raccomandato e seguito nei debiti casi da som- mi medici, ce ne ha lasciati esempi luminosissimi il celebre Cocchi. Si leggano i suoi consulti; sono una prova continuata di questa verità. Tutto il metodo ba per base un'appropriata dieta, secondo il caso. Vi si rinviene nell'uso de' medicamenti una parsimonia che sorprende. Il più gran medicamento è il siero di. latte preparato cui sugo di limone. Rarissimi sono gli esempi di altri medicinali; eccetto alcune volte l'uso di qualche sugo di erbe depurato. Eppure nei suoi consulti era ricercato da quasi tutta Europa. Era a- dunque interesse sommo del sig. Hahnemann spogliar la natura di ogni potere nella cura dei mali, per at- tribuire al suo metodo quello che è opera della detta natura; e con una vergognosa usurpazione moltipli- care agli occhi del credulo volgo guarigioni, come già dissi, alla provvidente natura usurpate. 14. Per cautelarsi da tal inganno, osservisi be- ne, se la guarigione è pronta; giacche tale deve es- sere in un metodo basato sopra specifici ; il cui fine è di abbattere il male con la maggior prontezza e giocondità. Qualora ciò non si verifichi; ed il male ad onta del medicamento omeopatico prosiegua il suo corso; sia allora sicuro che fu inefficace, ed il male è abbandonato al beneficio della natura : e che se ter- minato il suo periodo ritorna la salute, è indubitato che fu opera di essa e non di quello. Fra i jnolli fatti che potrei citare, piacemi riferirne uno di mia pertinenza. Nel 1887 avevo in cura un giuvanello di ,■ 1 circa dodici anni, afllitto da mule acuto. Nel aS gior- 3o Scienze no di male dovetti lasciarlo, essendo scoppiato il cho- lèra asiatico, per assistere i colerici. I genitori cre- dettero affidarlo ad un medico omeopatico ; non tra- scurai lasciar però detto in casa, che poco si operas- se, giacché la febbre ed il male aveva un necessario periodo di giorni quaranta. L'omeopata però non volle star ozioso : amministrò quel granello medicinale che credè opportuno. Disgraziatamente fece il suo effet- to; e quasi sul fatto ne avvenne un peggioramento, che nella notte credevasi di peixlerlo. La natura però fu abbastanza valida per superarne l'azione : il male proseguì costante, e non si ammansi che al quaran- tesimo giorno, dopo il quale lentamente ricuperò sa- lute e vigore. Non dubito che l'omeopata non avrà mancato di far credere alla bonomia de'genitori esse- re stata la guarigione opera del suo metodo : ma ci vuol poco per conoscere e convenir meco, essere sta- ta una usurpazione a carico della troppo benefica na- tura. i5. Trattenersi ancora un poco sull'ardita sen*^ tenza dell'Hanhemann , che la natura è un automa senza scopo, inerte affatto per ricomporsi a salute/-^ qualora malattia l'aggravi, non sarà vano. Fin dalla nascita tutte le parti, tutti gli ordigni che compon- gono la macchina umana, cospirano tutti ad un sol fine, alla salute cioè, al benessere dell'individuo. A | questa coordinazione ne siegue , che la malattia sia ' uno stato di violenza, contro il quale ogni possa vi» i tale deve necessariamente scagliarsi per liberarsi da quello stato penoso , contro natura , e contro tutto CIÒ che la constituisce. Siccome poi una delle leggi, sulle quali è foggiata, si è l'abitudine, avviene spes- so che a poco a poco si adatti ali' azione di quella I Omeopatia schisata 3i stessa potenza nociva, che pria la disturbava, e che gli fu causa di malattia fino al punto che non più la scuota, rendendosela in certo modo omogenea od impotente a conturbarla. Ed tognun sa che l'abitudi- ne ottunde il senso. Molti sono i mali che fan tre- no a questa teorìa; e stando così la faccenda, come lo sta di fatto, tutti questi mali non sono per inte- ro abbattuti dalle provvide forze e leggi, su cui è mo- dellata natura ? Vi è ancora di più. La macchina uma- na non ò come una macchina meccanica, nella quale il guasto di ogni e singola sua parte la getta tutta intera fuori d'azione. E un aggregato di vari visceri ed organi coordinati ad un fine comune, constituen- do il circolo di vita ed il ben essere dell'individuo. Ricevon tutti dai centri primitivi, formanti il tripo- de vitale, gli elementi necessari al loro modo di es- sere. In pari tempo però ognuno ha un apparato sui generis di nervi che gli prepara e distribuisce la po- tenza adatta per il giuoco delle singole affidategli fun- zioni. Tale e tanto è l'ufficio dei gangli e plessi ner- vosi. Quindi è che se per un canto possono esservi parti mancanti, organi e sensi mutilati, senza che per- ciò resti compromessa la vita universale ; dall' altro canto poi in forza del « consensus unus, consensien- tia omnia » se una parte, se un organo è ammalato; nel modo che di tal disordine ne partecipano tutte e singole le altre parti, cospirando all'universal di- sarmonìa : egualmente tutti gli altri visceri e parli, che trovausi nello stato fisiologico, cooperano conti- nuamente con la loro normale azione a richiamare all'ordine, sul quale è stabilita la vita, quella parte, quel viscere, che da nemica potenza fu strascinalo al male. Ecco, a mio sentimento, un'altra sorgente delle Si Scienze forze medicatrici della natura stabilita fra la lotta (in forza del mutuo consenso ) tra le parti sane e le am- morbate. 16. A che però mi affatico dar prove di una ve* rità fin qui da ogni ragionevole ad ogn'istante osser- vata e riconosciuta; non mai da alcun altro contrad- detta, e che si verifica anche fra gl'insensati elemen- ti ? Quante volte il mare non isconvolge i suoi flutti a tempeste spaventevoli; e quanti uragani, turbini , sconvolgimenti elettrici ed altre orribili meteore non si suscitano nel pelago dell'atmosfera, che sembrano minacciare l'intero pianeta di disfacimento e mina? Niente di ciò avviene: e senza il granello omeopati- co, dopo un certo periodo, e mare, ed aria, ed elet- trico si ricompongono a calma ed al loro naturale equilibrio. Né mi sembra l'immagine impropria : so- no ancor le dette meteore disordini, e quasi direi » malattie della insenslbil natura. ly. Ho creduto necessario rivendicare alla op- pressa natura le usurpazioni, che la omeopatia le fa- ceva ; per la ragione che facendo pompa di curar per via di specifici , qualunque guarigione , per quanto, istantanea e portentosa mai fosse, era sempre sua glo- ria ed opera; e non solo la natura spogliavasi de'suoi ordinari prodigi ; ma per necessaria conseguenza lo stesso autor della natura restava escluso da ogni posw sibil concorso nella guarigione dei mali. 18. Egli è utile il considerare un poco se possa la omeopatia esser di qualche utilità in quella classe di mali acuti, che secondo il comun metodo esigono sul principio una medicina attiva e ben diretta: par- lo cioè di quelli, che han per caratteristica un pro- cesso, un lavoro morboso sopra qualche viscere o par- j I Omeopatia schisata 33 te interna ; processo che avanzandosi e perfezionan- dosi, presto o tardi conduce alla tomba. L'omeopata non vede questo processo; non vede che i fenomeni sensibili che lo accompagnano; i quali fenomeni va- riano, e variar deggiono e in numero e in forza, se- condo l'età, costituzione, sesso, genere di vita, con- dizione, stagione e cose simili. Per esempio la stessa specie e grado di male presenterà un quadro di fe- nomeni molto più mile in un facchino, di quello che potrà osservarsi in una giovane nobile , di mirabile suscettività e mobilità nervosa, e nel puerperio. L'o- meopata, nel fare il ritratto del male in ambedue , troverà fra loro una gran diversità. Né il suo meto- do gl'impone il modo di fare una distinzione dei sin- tomi, per conoscere quali siano gli essenziali del ma- le, e quali gli accidentali dipendenti dalla delicatez- za e impressionabilità dell'inferma; e benché lo pro- curasse, tante volte il fenomeno incidente nasconde e signoreggia il primario. Somministrerà adunque a questi due individui medicamenti diversi; ed in en- trambi l'indicazione andrà in falso ; e resleranno in bfilia del male : molto più che non cura il processo morboso che si ordisce, e di cui è conseguenza. Se si trattasse di una risipola, ossia di un male ester- no qualunque, allora l'omeopata poco calcola e la febbre, e la gravezza di testa, e l'ambascia, e la lin- gua arida ... Ma fisso alla natura del male, esibisce al suo infermo un farmaco che abbia potenza di susci- tare in un sano un male esterno simile a quello che osserva : e ben si avvede che gli altri fenomeni sono .ombra ed incidenze del male, e non il male. Dun- que la omeopatìa non ha alcun potere nei mali acuti, che sono sequela di un morboso processo, che si or- G.A.T.XCIV. 3 34 Scienze disce in qualche interna parte : e questi casi sono per essa perduti ; come una dolorosa esperienza lia costantemente fatto vedere. Qualora nei mali acuti non si abbia un farmaco che fedelmente lo rappre- senti, si propone un metodo per me il più ridicolo e curioso che siasi potuto immaginare ; ed è di an- dare sbrancando i sintomi ad uno ad uno, a due a tre a tre come si può, fino alla distruzione di tutti e così del male. Non può far di più chi va a tento- ni, per dichiarare avanti ai veggenti la propria igno- ranza ed impostura. ig. Tali processi morbosi interni possono anco- ra aver luogo in un modo lento, ed essere la causa della gran caterva dei mali cronici, che presto o tar- di distruggono il paziente. In tutti questi casi si en- tra nello stesso laberinto. E ignoto all' omeopata il vizio interno, fomite degli accidenti esterni, che va- riano secondo la special costituzione dell'ammalato: ne egli se ne impaccia per riconoscerlo: gli bastano le apparenze esterne : ed anche nel caso che lo so- spetti o lo conosca, per quanto millanti, manca di mezzi per frastornare e distruggere la già esistente or- ditura patologica, come più volte si è veduto. In que- sti casi, quando farà assai, otterrà una lusinghevole calma per lo più passeggiera, per esser seguita da un aggravio sempre fatale. Questo per me è un fatto. Nei mali associati ad un vizio interno, se lo specifico o- meopatico ottiene il suo fine di sopprimere le appa- renze esterne, per quanto queste si mantengono oc- culte, altrettanto di forza acquista la interna orditu- ra morbosa , fondamento essenziale del male. Negli appopletici ed emiplegiaci quasi sempre si osserva che Omeopatia schisata 35 la perilita Jel moto induce altrettanlo aumento di senso nella parte paralizzata. 20. Ripeto adunque, che laddove il male, sia pur acuto o cronico, dipenda da un attivo processo mor- boso interno, è per la omeopatia perduto : la quale, se immaginasse lo specifico processo che alimenta il male, e che tende al guasto qualunque delle interne parti, che ha per sede, non somminibtrerehbe un me- dicamento per sopprimere le apparenze esterne spesso fallaci e proteiformi; ma sì bene quel tale che virtù avesse, per analisi fattane, di provocare un male pros- simamente simile in un sano. 21. Che spesso siavi fallacia nei segni esterni dei mali, ogni medico nella sua pratica ne ha prove ineccezionabili. Fra le molte volte che mi è occorsa anomalia di tal fatta , non dimenticherò mai quello che mi avvenne circa dodici anni indieiro nella per- sona di un già mio grande amico (i). Si ammala, e per sintomi non presentò che lebbre acuta , ed un polso così detto pettorale. Conoscendo il metodo di vita che seguiva, pronunciai subito, che trattavasi di mal di petto infiammatorio. L'infermo mi si oppose col dire, clie se lo sentiva sanissimo; giacche non om- bra di tosse, di affanno, di dolore lo molestava; e la giacitura liberissima. Io però, forte nel mio giudizio, volli che subito si estraesse sangue, il quale presentò una certa cotenna. Si proseguì nei giorni consecutivi a cavar sangue, nel quale in proporzione cresceva la cotenna in quantità e tenacità: e ciò si eseguiva fra continue discussioni coH'ammalato, che per le dette (i) II fu don Pietro Ganibini. 36 Scienze ragioni vi si opponeva. Finalmente al sesto giorno di male comparve tosse , affanno e dolor puntorio con sorpresa gpuerale; ed allora finirono le liti. AU'un- decimo giorno entrò in convalescenza. 2 2. Nel i83o in estate fui chiamato a curare un giovane di circa quindici anni , sanguigno e di ottima costituzione (i). Fino a quel momento aveva goduto di salute la più confermata. Non presentava che febbre violenta con polsi elevati e cefalici. Al primo giorno si purgò : al secondo fu estratto san- gue, che comparve sanissimo sotto ogni rapporto; e la febbre, invece di rimettere, aumentava. Giudicai che si trattasse di subcontinua perniciosa; e perciò ordi- nai subito la china ed in dose generosa, che fu am- ministrata, non ostante che la febbre fosse ardentis- sima. Il successo sanzionò il giudizio, ed al quinto giorno la febbre terminò con profuso sudore. Spes- sissimo casi simili mi sono nella pratica occorsi ; e potrei riferirne numero non piccolo. Come si sareb- be condotto ,'e come si regolerebbe un omeopata in anomalie tanto marcate ? Lo immagini, e lo deduca ognun da se. Egli nel suo metodo non ha mezzi e criterio per iscorgere la fallacia nella forma morbosa. Questo vero è stato riconosciuto e confessalo dallo stesso padre della omeopatia nei §§. io5 e io8 del suo Organo, e nel trattato delle malattie croniche to- mo I, parte i, ove dice: « La malattia, che gli si » presenta, non è tutta compresa in se stessa, cioè » nei soli sintomi apparenti , ossia nel quadro che » cade sotl'occhio. Se così fosse, dovrebbe cedere in (i) Il sig. Ulisse Sodanj. Omeopatia schisata 87 )) breve tempo e per sempre al trattamento omeopa- » tico. U esperienza però prova il contrario. » 23. Il nostro clima in ogni anno all'approssi- marsi dell'autunno è sempre più o meno fecondo di febbri periodiclie. Essendo esse di natura nervosa, so- prattutto nel principio, dovrebbe riuscire efficacissi- ma la omeopatia. E ponderando il suo modo di am- ministrar lo specifico a dosi tenuissime, a granelli ap- pena palpabili, sarebbe una provvidenza trascenden- tale, circa la povera gente in particolare, avuto in vi- sta la economia massima della spesa; die non resta- rebbe depauperata e rovinata; giaccliè nel metodo or- dinario, la china o i suoi preparati hanno un certo valore, ed arrecano un dispendio notabile. Ma la cosa non si verifica affatto ; e qualora anche la si verifi- casse per un solo centesimo, oh il romore e lo schia-i mazzo che avrebbe menato e menerebbe ! Un profon- do e tetro silenzio : non altro se ne sente. Così va la bisogna : tanto verificasi la efficacia del metodo. 24. Per mio passatempo ho voluto prendere un idea del bene che si otterrebbe, nel supposto che le divisioni hanbemanniane dei farmachi fossero efficaci. Dato, che la tintura madre per ciascuna goccia con- tenga la sostanza di un grano di china : esigendo do- dici diluzioni per essere efficacemente ed utilmente propinata : se di questa duodecima diluzione se ne dia una goccia al giorno ( dose stragrande ) ad ogni individuo che compone la nostra specie, e che vive I in tutta la estensione del pianeta da noi abitato : e dato che gli abitanti ascendano a mille milioni , ci vogliono nientemeno che 2. ySy, 85o. 787, 182 anni per consumare la sostanza di un solo grano di chi- 1 na. Si consideri il prodigio in quei medicamenti che 38 Scienze si portano a trenta diluzioni ! Non più le somme pressoché incalcolabili che si profondono da tutti i popoli per il bisogno e consumo delle tante droghe ed articoli medicinali che ci vengono dall' estero ! Qual uomo nella parte economica potrebbe vantarsi più benemerito del suo simile ? Altra considerazione è questa, che non verificandosi, ogni animo gentile restar ne debba amaramente rammaricato ; e porga voli, perchè il fato cangi il suo inesorabile decreto. 25. L necessario fermar per un poco l'attenzio- ne ad altro mezzo termine immaginato dall' autore della omeopatia per nascondere l'insufficienza del suo metodo, da aggiungersi all'altro già considerato, che è quello di negare e porre al ridicolo l'azione me- dicatrice della natura, per profittarne ed appropriarsi della di lei opera salutare. Allorché l'omeopata si av- vede che il male è ostinato , e resiste ad ogni suo tentativo; vagando inutilmente da medicamento a me- dicamento, sulla vana speranza di rintracciarne alfi- ne il vero rappresentante; allora suppone nella com- page del corpo un vizio psorico : ed a suo avviso , tutti lo hanno. Bisogna darsene pace ; siamo tutti ro- gnosi. Non importa che noi , e i nostri avi sia- no stati mai sempre liberi da questa labe: nella cir- costanza, come piace all'omeopata, dobbiamo averla. Ma non è questo vizio psorico, che gli si oppone nel- la cura che gli omeopatici si proponevano di effet- tuare, e che fingono voler correggere : questo è a me- glio dire un garbuglio, che per avere alle volte tro- vata utile una medicazione antipsorica, hanno affer- rato, per nascondere la infedeltà del metodo. 26. Può stare che il fomite del male interno dipenda da un processo morboso, da un vizio in qual- Omeopatia schisata Sg cuno dei visceri ed organi interni, che abbia rappor- to ed analogia con le malattie cutanee : in tal caso la cura antlpsorica potrà giovare; e così supplire ca- sualmente e con altro metodo alla fallacia dei segni apparenti e del loro metodo. Può slare ancora, che con la medicazione antipsorica, provocandosi una ma- lattia cutanea artificiale, che determina una irritazio- ne su tutta quanta la superficie esterna, la parte vi- ziata interna a poco a poco torni in salute , o per antagonismo vitale o per successione di malattia, tra- sportandosi nella cute irritata, quasi per attrazione, ogni morboso lavoro. Ed è ben conosciuto che la cu- te è la via regia, per la quale moltissimi mali in- terni con una crisi favorevole reslan guariti. Per con- seguenza il vizio psorico è una invenzione spiritosa, un sutterfugio, una supposizione immaginata per na- scondere la infedeltà del metodo; giacche , torno a dire, poche volte si avvera essere le apparenze ester- ne le rappresentanti fedeli dei mali interni. 27. Cadde pur sotto gli occhi d'ognuno, quale si fosse l'efficacia della omeopatia in occasione della invasione colerica nel iHSy in questa Roma avvenu- ta. Un anno circa prima dell' infortunio circolò un llbricciattolo reso a bella posta comunissimo, nel qua- le s'insinuava il modo ed i mezzi da usarsi per pre- venire e curare il colèra alla foggia omeopatica. Era al medesimo unito un quadro esemplare di cure ese- guito con quel metodo; ed i morti non compariva- no che alla ragione di circa un nove per cento : ra- gione tenuissima e sorprendente, stando alle relazio- ni che si avevano da tutti i luoghi che aveva per- corso, in quanto alla strage che aveva fatto una tan- ta pestilenza. Veramente io dubitai della fedeltà di 4o Scienze tal relato per vari riflessi: fra' quali aveva gran parte quello, che, giutlicando io il male nel suo principio una nevrosi ganglionare, come tale doveva col me- todo degli specifici vincersi immancabilmente e sull'i- slante : o almeno co'suoi preservativi specifici impe- dirsene lo svolgimento. Si è niente di ciò verificato ? Me ne appello al pubblico. Un profondo silenzio ha ricoperto e ricuopre il ripromesso prodigio. Credo che più di una volta avvenisse il caso da me notato; cioè che lo specifico omeopatico si unì coU'ente colerico per rendere il male più fiero ed indomabile. Fui in- caricato di esser presente alla sezione del cadavere di una donna di circa anni 28 , ed abitante al vi- colo delle orsoline num. 16, moria in compendio di colèra. Nei giorni avanti era stata, non so in qual grado, attaccata dal male e curala omeopaticamente. Sul principio sembrò guarita. Il male ricomparve, ed in poche ore chiuse la scena, benché non si tardas- se a sovvenirla omeopaticamente. Nella necroscopia osservai delle particolarità non comuni ai colerici mor- ti senza omeopatia. Il ventricolo era enormemente di- latato e ripieno di un fluido giallo sirailissimo a tor- lo d'ovo sciolto in brodo o in acqua ( forse ne ave- va preso ? ) •' i due orificii dello stomaco cardias e pi- loro rinchiusi in modo, che le membrane nel com- baciamento sembravano incollate ; nelle intestina era- vi un fluido eguale a quello rinvenuto nello stoma- co, ma non in tanta copia; né eran cosi dilatate. Si andò in traccia della vescica orinarla , e non si tro- vava. Finalmente in luogo di vescica si trovò un grup- po di membrane raggrinzato e duro; e della grandez- za minore anzi che no di una noce. L'abito esterno mancante di quelle oi'diuarie particolarità, soprattut- Omeopatia schisata 4' to nei tratti del viso , tanto comuni ad ogni altro estinto per colèra ordinario. Fra i molti ebbi a com- piangere un amico vittima di questo inganno : e fu il curato di san Pietro don Filippo Angeliili. Poco prima della epoca fatale lo incontrai, e mi parlò con calore a prò della omeopatia. Mi sforzai trarlo d'er- rore : sembrò persuaso delle mie ragioni : ma infatto noi fu. Deplorabil destino dell'uomo! Per quanto è facile ad esser tratto in inganno , altrettanto riesce difficile il ricbiamarlo al disinganno ! Scoppia il co- lera : fa uso dei preservativi omeopatici : contrae il male, cbe ha irreparabilmente un esito fatate. Io al- l'opposto mi dedicai alla cura dei colerici, seguendo il mio già conosciuto metodo. Chiamato generalmen- te nell'algore, i morti nondimeno sotto la mia cura giungono appena al dieci per cento (i). 28. Ora si affaccia un problema: vale a dire, se le analisi fatte dal pazientissimo Hanhemann e suoi seguaci siano esatte e meritevoli di fiducia. Non nni pare che si verifichi in ogni cimento l'effetto da essi stabilito nella loro materia medica pura. Il sig Bran- dèis già ci ha deposto (5. g) per fatto proprio la nul- lità dei tentativi, che sulla di lui persona fece lo stes- so Hanhemann, col dargli medicamenti dalle sue ma- ni preparati, e di un risultato il più immancabile , come esso credeva. Il sig. Porta, presidente di questo collegio medico-chirurgico, era visitato da un medico omeopatico napoletano, mentre anni indietro era af- flitto da un mal di fegato. Ogni giorno l' omeopata (i) Se gli omeopatici in ispecie ne desiderassero prova, ne Ilo in pronto i materiali per renderli anche di pubblico diritto. 42 Scienze lasciavagli una cartina di granelli, mostrando parti- colar interesse per il paziente. Questi gli faceva cre- dere di prenderla ; ma in fatto non la prendeva. Ne riunì fino a diciotto , che in una mattina prima di andare a pranzo prese tutte in una volta alla presen- za dell'omeopata che stava catechizzandolo; ed in tal guisa diedegli prova di fatto dell'opinar suo circa la omeopatia. Quegli, spaventato per gli effetti deleteri che ne attendeva, restò quasi fuori di senso. Il sig. Porta all' opposto pranzò con tutta tranquillità , e niente affatto di sinistro ne avvenne. Non tutti gli uomini adunque hanno la virtuale potenza di eseguir siffatte analisi. Se manca la generalità di effetto, non sembra che casi particolari valgano a stabilire una ba- se stabile e sicura ; molto piià che non è ancora de- ciso se un medicamento eserciti eguale azione tanto in un sano, quanto in un infermo. Se diasi , per esempio, della china ad un uomo vegeto e normale, ne sentirà vantaggio anzi che no. Se la stessa china diasi. ad un pleuritico, si aumenterà il male a dismisura. Egualmente in un uomo sano due grani al più di tar- taro emetico provocano considerevole vomito; mentre in un pneumonico non si ottiene vomito affatto, dan- done anche doppia e tripla dose, come più volte ho io stesso verificato anche in pubblico ospedale con sorpresa di tutti gli astanti. Giudico pertanto, chele analisi omeopatiche siano state eseguite sopra indivi- dui o di gracilissima e spossata costituzione più pros- simi allo stato patologico che fisiologico , o di una squisitissima sensibilità per natui'ale o acquisita mo- , bilità di nervi, nei quali la impressionabilità è tale, da non potersi affatto porre a calcolo, non che im- maginare. Conosco, fi'a le molte, una persona di una i Omeopatia schisata 43 tempra sì singolare, e di un senso così squisito, che trovandosi in camera chiuso ed all'oscuro, in tempo chiaro e tranquillo , come avviene in està nelle ore pomeridiane del sonno, si accorge se una nuvola an- che piccola passi sopra la sua testa, e chi sa a che altezza dell'atmosfera (i). Se le analisi dei medica- menti sono state eseguite e cimentate sopra individui di slmil natura, scorge ben ognuno quanto poco sia- no da valutarsi; giacche in questi casi la impressio- ne del farmaco varia e si amalgama con la natura di ciascuno; in modo che ad uno provocherà una sin- drome di fenomeni diversa affatto da quella che pro- durrà in un altro. 2g. ISel raccoglitore di Fano, giornale periodico, rilevasi che l'omeopatico truentino, il prof. Talianini, prucura di riunire la dottrina di Erodico a quella di Hanhemann, sapendosi che, seguendo entrambi lo stes- so principio del siniilla siinilibus , questi non ado- pra nel suo metodo che mezzi terapeutici, ed il pri-' mo non altro che mezzi igienici. Fin qui la cosa è semplice; e non vi è altro che ampliazione nel me- todo. Quando però dichiara che egli non dubita, in principio di male, fare una sanguigna, somministrare una purga, un emetico , allora veggo a chiare note che infrange il dogma omeopatico; dichiarasi scisma- tico; e fa tacitamente, ma col fatto, solenne dichia- razione della insufficienza del metodo, ravvicinandosi ai principii della medicina positiva; e ritrattandosi , (i) E' questi il sig. Francesco Vannarelli, uomo di mente svegliata, istruito e dotto, ed ora bibliotecaxùo della eccellentis- sima casa Borghese. l^l^ Scienze per aJesso in parte, dalla seduzione, in cui lo fe'ca- dere il grande che la omeopatia ripromette. 3o. Allorché poi s'ingegna riferire all'omeopatia la cura di un assidei'ato e di un affamalo, vi ritrovo molta sottigliezza e niente verità. La graduazione nell'aggiungere a poco a poco quel che manca, è una caratteristica di natura, che per qualunque lato si os- serva non opera mai a salii: i suoi passaggi si fan' tutti per gradi insensibili. Supponendo, com'egli fa, trovarsi l'assiderato nella temperatura di dieci gradi sotto lo zero, nell'assumerne la cura, portarlo a 9° sotto lo zero; quindi ad 8°, e così di grado in gra- do aumentando , finche si ritorni al calore di vita. E nel far ciò, per darne lode al suo metodo , dire che il y" sotto lo zero, da esso aggiunto è prossi- mamente simile al io" sotto lo zero, non ha che far niente con la ragione omeopatica : egli deve provare che quel 9° sotto lo zero, da esso aggiunto all'assi- derato, sia capace, applicato ad uomo in ottima sa- lute costituito, di renderlo assiderato. Così parimen- ti, che quel tenue brodo, con cui principia la cura dell'ipolrofico, ossia dell'affamato, dato ad un sano, lo renda ipotrofico. Ripeto adunque che stabilir la ragione omeopatica in questi e simili casi nella gra- duazione di aggiungere quel che manca, è tutta sot- tigliezza e niente verità. 3 1 . Cosa adunque pensarsi ? Che ne rimane del- la omeopatia ? Abbiam veduto essere una frazione della medicina ippocratica ( §. 2 e 3), e che è per un error di logica, che chiama allopatico il medico filosofo, che non ha per face che l'esperienza; giac- che è omeopatico quando gli fa al caso : e lo fu pri- ma di Hahnemann ( §. 6 ). Abbiam veduto quale e Omeopatia schisata 45 quanta sia la infedeltà e fallacia dei medicamenti omeopatici ( §. 8, 9 e 21 ). Abbiam veduto la scal- trezza di Hanhemann di negare e porre quasi al ri- dicolo le forze medicatrici della natura, sullo scopo di arricchire il suo metodo della di lei opera bene- fica (§. 12). Abbiam veduto la inutilità della omeo- patia nei mali acuii e cronici alimentati da un par- zial processo morboso ( ^. 18 e ig ). Abbiam vedu- to quanto le apparenze esterne dei mali, sulle quali è interamente basata la omeopatia, possano trarre in inganno anche il più veggente ( §. 21 e 22 ). Ab- biam veduto la nullilà di azione della omeopatia nel- le febbri di periodo, anche nel primo loro sviluppo ( §. 28 ). Furono pubbliche le millanfazioni sue nel- la cura del colera asiatico : e tutta Roma ne vide il fallimento nella invasione del iSSy ( §. 3n ). 32. Dal fin qui esposto sembra che nulla di be- ne, nulla di reale, rimanga all'omeopatia. Eppure non è cosi : qualche cosa per lei rimane : ed è, in po- che parole , quello di specificamente calmare. Ma il riuscirvi non è sì facile. Ci vogliono due cose ; delle quali, l'una dipende da una certa abilità nel medico omeopata in iscegllere e indovinare il vero far- maco rappresentante fedele del male. L'altra dipende interamente dal caso. Ed invero; siccome l'omeopa- tico ignora affatto la misura de'gradi che costituisco- no il male; e di quelli, che sono necessari per vin- cerlo, non dandone il metodo alcun lume o norma ; così bisogna raccomandarsi al caso per indovinare la giusta dose del farmaco , acciocché il male resti abbattuto, senza che ne siegua malattia medicinale, che subentrerebbe, se fosse eccessivo; o fallirebbe l'ef- fetto, se fosse troppo debole. Se questo specificamen- 46 Scienze to calmare sia sufficiente ; o perchè il male è una larva meteorica per giuoco de'nervi, esclusivamente af- fetti senza alcun riflesso sopra la vita organica, oc- culta ne'suoi lavori; o perchè è incipiente senza con- dizione patologica, la guarigione sarà stabile : altri- menti non sarà che ingannevole. 33. Ma non il solo specificamente calmare so- stiene la omeopatia : evvi ancora il treno di tutti quei mali che non vogliono esser turbati da una me- dicina attiva , come avverte Ippocrate nell' aforismo 29 della 2^ sezione; specialmente nel vigore dei ma- li. Sul qual proposito il Vallesio così dichiarasi : « Malie se ab indocto curari medico , qui sciat in » morbis quiescere, quam a docto qui nesciat. » la ciò sono compresi tutti quei mali , che esigono il cosi detto metodo di espettazione , tanto apprezzato dai nostri predecessori Bellini, Pasta, Cocchi ... e tan- to dimenticato dai moderni; cosa che ha molto favo- rito la omeopatia ; e ciò, cred'io, per il furor dei si- stemi che ne'nostri giorni han dominato e dominaa tuttora, e che han pretensione in fatto di comandare alla natura, e far che serva ai loro mal concepiti prin- cipii. Nel metodo di espettazione non altro richiedesi che consegnar la guarigione nelle mani della natura benefica , coadiuvandola però con adattata dieta ; e cautamente allontanando tutto ciò che disturbar pos- sa la di lei opera salutare. In silenzio, senza confes- sarlo, forse anche saperlo, questo è quello che fa l'o- meopatico in tutte le sue cure : ed in tali casi, nul- la facendo, la indovina. Solamente inganna l'ignaro volgo , facendogli credere essere opera sua quella , j che non fu^che della natura. Poco male: non vie in questa emergenza che usurpazione. Omeopatia schisata 4? 34' Vi 6 ancora qualche altra cosa, die accre- dita presso il popolo la omeopatia. Si è questa la cu- ra delle malattie finte. Chiunque, o uomo, o donna, che abbia interesse di comparire ammalato, o per ve- dute di famiglia, o per altra qualsiasi causa; nei no- stri tempi farà di tutto per servirsi di un omeopati- co, perchè sa che dalla di lui opera non riceve alcun disgusto. Che disgusto difatto può arrecare qualche granello di zuccaro ? Non è così in medico di altra sfera, il quale, qualunque medicamento somministri, sempre darà maggior incomodo di qualche granello di zuccaro, col pericolo di provocare un male che non v'è. Terminato poi l'interesse di sua finzione, collo aver ottenuto il suo intento, sorge all'istante per- fettamente guarito, attribuendone il prodigio all'omeo- patia, che presso gl'incauti ne prende sostegno e glo- ria. Ne si creda che questi casi sian rari : sono più frequenti di quello che pensar si possa. Lo dico per esperienza. 35. In realtà ripelo, che il vero pregio della o- raeopatia è quello di specificamente calmare. Per ot- tenere però questo ci vogliono tre cose. Primo, che il medicamento sia stato giustamente scelto; cioè che fe- delmente rappresenti il male. Secondo, che sia dal pa- ziente inteso, avvenendo spesso che nella dose infini- tesima manchi nell' infermo la capacità di sentirlo. Terzo, che sia amministrato nella sua giusta dose; poi- ché, se è in meno, non fa effetto; se è in più, pre- giudica. Onde il metodo sarà omeopatico nell'eserci- zio; eneantopatico negli effetti: non islandovi ragione alcuna o l'apporto, che tolta la sindrome dei fenomeni morbosi ( ciò che ordinariamente riesce inomenlaneo, checché ne dicano Hanhemann ed i suoi seguaci) debba 48 Scienze distruggersi anche la radice del male; come tutto gior- no la esperienza dimostra. Ma « Oaisquis amat ra- nam, ranam pulat esse Dianam », Sovente nei tessuti organici si ordiscono, in forza di potenze nemiche , morbosi processi in modo affatto occulto, senza cioè che la vita sensibile ne partecipi; e non ne sia avver- tita, se non quando il male è irreparabile; e qualche volta nell'atto estremo di esistenza. Sonovi adunque agenti che si dirigono in modo esclusivo o sulla vita organica o sulla vita sensibile senza assoluta necessità di consenso. Ciò posto, ripeto, non vi è di sicuro nel metodo omeopatico, die di specificamente calmare; pe- rò sempre con le già notate limitazioni; poiché i suoi agenti terapeutici non sono diretti che sulle materiali morbose apparenze. Qualora adunque il male sia li- mitato al solo disordine della vita sensitiva, senza es- sere un riflesso della turbata vita organica, il meto- do attingerà la sua meta; ma non altrimenti; come si è abbastanza adombrato. -=>^^O^iS*B- 49 JVofa sulle, proprietà di alcune espressioni alo-e- briche relative alla superficie di second' or- ^^ dine , e sulla riduzione di alcuni integrali multipli. È noto che V equazione delle superficie di se- cond'ordine (■) Ajs B'sx 2 M'x B> — D = o C"2 riducesi, riportando la superficie agli assi principali e l'origine delle coordinale al centro, alla forma (2) hx^ 4- M/^ -H Ns^* — S = 0. In questa , |(BC_A'^)A"- f(AA'— B'C')B"C" S=-D H--- (CA- B-)B;;-f. BB' - C'A' C"B" ^ |(AB - C'3)G''^ U j[(.c' _ A'B')A"B" U=ABC-f-2A'B'G'— iVA'^— BB'^— CC'^ = LMNH» ed L , M , N , sono le radici dell'equazione -G.A.T.XCIV. 5o (3) p^ Scienze Qtsen^ Zi Ksen Y, sen Z cosx'\ ^z Vt'sen Zi sen X* cosjS r^^ Csen Xi 5en Y^ co^z j (AA.'— B'C'jco^Xil XJ (BB' - C'A')co5 Y,> 9 — 7t,= 0, |cC'-B'A0co5Z.JH^ ^^ e qui X, , Y. , Z. , designano gli angoli yz, zx, XJ degli assi coordinati ; le lettere x, r, z, poste sotto i simboli trigonometrici, rappresentano nel trie- dro determinato dagli assi x f z gli angoli diedri, i cui spigoli sono rispettivamente gli assi x, /, z; ed H = sen Y, sen Z, senx. ( Si veda il saggio di geometria analitica stampalo in questo giornale an. iSSy e i^3B, t.LXXVI p. 3o e Gì.) Ciò posto, giova rilevare il seguente Teorema. Nell'equazione (3) ciascuno de'coef- fidenti di p\ p , p% conserva sempre lo stesso valore comunque si trasformino le coordinatele si mutino in corrispondenza i coefficienti A, B, C, A' B' C, nella (i). Dimostrazione. Le radici dell' equazione (3) , che non contiene A", B", C", non patiscono alte- razione , se sì suppone A' = o, B == o, C = o. Ma in questa ipotesi si ha S = D, e l'equazione (2) diventa hx^ -H W-j^ -t- Ns^ — D = 0. Ora è evidente che in questa, essendo fisso il ter- mine D, non possono variare, al variar delle coor- dinale primitive, i coefficienti L, M, N, radici del- Proprietà' algebriche 5i la (3) , senza che varii la superficie di secondo or- dine, che d'altra parte è già determinata per la (i). Da qui poi si deriva, che la quantità S con- serva sempre lo stesso valore comunque si can- gino V origine e le direzioni degli assi , e però comunque varino in corrispondenza i coefficienti A, B, C, A', B', C, A", B", C", D. Infatti si è provato, che per cotesti cangiamenti non si mutano nella Lx2 H- M/2 ^ Ns' — S = o i coefficienti L, M, N; dunque neppur S si deve mutare. Così , se Imn., l'mn\ l"m''n'' siano le direzioni degli assi principali rispetto ai primitivi (*), e si can- gino nelle principali le direzioni delle coordinate pri- mitive ; le A, B, C si convertiranno in L, M, IN, svaniranno le A', B', C, e le A", B ", C' si cange- ranno in A'Z-f-B"/?z-f-C'«, A"Z'-f.B''m'-hC"n , A'T'-H By?i 4-C «' , e però risulterà f*') Dairorjgine si tiri uua retta =» i parallelamente all' asse principale (ori, e sulla medesima presa per diagonale si costruisca un parallelepipedo , di cui siano spigoli tre segmenti deg^li assi primitivi x,y, z; le lettere l,ni,n designano colesti tre spigoli. Lo stesso significato geometrico hanno ifspelto agli assi princi- pali (j), (5), le lettere /' m n\ l" ni n". 52 Scienze S = Dh- i L ' M ^N Queste osservazioni, utili nello svolgere le pro- prietà delle superficie di second'ordine, giovano pure nella riduzione di alcuni integrali importanti. Dato l'integrale triplo j /U d'X dj dz , I supponiamo che per un cangiamento delle variabili - indipendenti , l'espressione U si cangi in Ui , e i differenziali dx, df, dz nei trinomii ldx'hl'df+'l"dz, mdx-^nidy-hm'dz, ndx-{'n'df'ìrn"dz. Fatto K == {mn- m'n) l"-h {nV— ni) m'-\- [Im- M n" , SI avrà fu dx dj dz =yKU. dx df dz, purché i limiti dell'integrale del secondo membro si determinino convenientemente riguardo ai limiti del- l'integrale del primo membro. Se il cangiamento delle variabili indipendenti si opera mediante il passaggio di un sistema di coor- dinate rettangolari in un altro sistema di coordinate pure rettangolari, il valor di K preso positivamente bi ridurrà = i, siccome è noto dalla geometria ana- litica, e si avrà Proprietà' algebriche 53 (A) /U dx df dz = jXJidx dj dz. Sostituiamo nelPuno e nell'altro membro X = ru , y = rv i 2 = rw , ove e per questa sostituzione U divenga V, ed \]y di- venga Vj. Al prodotto dx df dz converrà sostituire sotto il simbolo integrale r^ sen'^ dr dr^dQ. Quindi, se i limiti dell'integrale ( r o e co rispetto ad / cj siano o tt , ( Q o 2k: avremo (^) 1^''/''/^ 'Vr^^senr^ dr dr, dQ = P^ r f°^^i r^scìv^ dr t/w dQ. g-r f X y " \ ^ Sia ed m conseguenza 54 Scienze e~'' V=— -F {pu, p,v, p,w ) e ~ r p2{nu ■+• n\> ^- ii!'w) 3 . 6 Fatta l'integrazione rispetto ad r, avuto riguardo al- l'equazione / e-r f/r == — e-*» 4- e° = i , e posto pi == 0» ,/52 = o, pi := a, pi' = b, p l" = e, d'onde p* = a* 4- è^ 4- c^* , si otterrà f^^J F (aw 4- ^p 4- CTv) 5enw J(u S) f/jc J;^ f/r a"^b-^ c j (ABC)2 (a^x 4- ^-.j H- c,^)' V*^' -*-'^" ■+■ "^^ ^ Mutiamo le coordinate rettilinee nelle coordinate polari rw, rv^ rw. Posto Cui t»a w \ A SI avrà / / • — : F fpi) 5e72W dr dco dOy ' -^^ ■'° (ABC)* p' 16 Scienze ove yo, q sono ciò che diventano P, Q, quando alle coordinate x, y^ z si sostituisce w, t», W, e pi e ciò che diventa p^ quando ad a, è, e si sostituisce 1. B2 C^ Quindi fatto SI ottiene P^ABC)'■ Sia P =: ax -f. bj -j- cs , Q Ax^ \Ayz \ax essendo Bj-^ — 2 B'sx — oAbj =0, un'eqaazio- C;:* C'xj- \cz ne propria a rappresentare un'ellissoide. Se le direzioni degli assi si cangiano nelle prin- cipali Imn^ l'mn , l'ni'n della ellissoide , e si tra- sporta l'origine delle coordinate al centro , l'equa- zione della ellissoide prenderà la forma ove 8 = :. u Lx2 -f. Mj^ H- Ns= (BC _ A'3) a= ^ (CA — B'^) b^ (AB — C'^) c= S = o, |(AA' — B'C>c U (BB' — OM)ca (CC— A'B'ja^ (al >+• bm ^ cn)^ (al'-^bm'-^cn)" (al"-t-bm''--{^ cny ' _L 4- : _ ^ H- M N Proprietà' algebriche 5 7 eJ U=ABC-|-2A'B'C'— AA'^_BB'2-CC'^=LMN. Ciò posto, la formula (C) dopo il cangiamento delle direzioni delle coordinate nelle direzioni principali della nominata ellissoide, diventa nella fatta ipotesi r-nn r"^ ^f p\senrsìdc>ìd9 2n rn t^, ^^ senado 0-^0 \q J P [^{yJb^yJo ^ cos^a Se nella formula (A) la funzione sotto il sim- bolo integrale è j^e- P« Q3 (ly ed a + ^ ±= 3 , si troverà con lo stesso metodo / f ^ — F (t-, ] sena da dQ -^ o «^ o /J« <7P \9 J 27r /■JT I — F (cosa. l^S) sena dco , 0 "■ 1^{US'^) " o cos •nella quale formula sono contenute, come casi par- ticolari, oltre la riportata di Poisson, alcune dimo- strate dal sig. Cauchy nel V tomo de' suoi esercizi ■di matematica. D. Chelini delle scuole pie. 58 Seconda memoria sulV applicazione del calcolo dei residui alV integrazione dell'equazioni li- neari a derivate parziali^ di Barnaba Torto- lini professore di calcolo sublime nelV archi- ginnasio della sapienza, e di fisica matematica nel collegio urbano di propaganda fide. Applicazione del calcolo dei residui alV integrazione delV equazioni a derivate parziali lineari, ed a coefficienti costanti. A, tlcune memorie pubblicate nei precedenti volumi di questo giornale hanno avuto per oggetto di mo- strar l'utilità, che presenta il calcolo dei residui nel- l'integrazione dell'equazioni lineari a coefficienti co- stanti. Ora dopo la pubblicazione dell'ultima memo^ ria sull'integrazione dell'equazioni , a derivare par- ziali, essendo giunto per la considerazione diretta del calcolo dei residui a diversi risultati, che s'incon- trano iu certe importanti questioni della fisica mate- matica, mi son deciso a pubblicare una nuova memoria, nella quale tratterò delle seguenti questioni: i. Del- l' integrazione di certe particolari equazioni omoge- nee , o non omogenee a derivate parziali , e nelle j quali le derivate iniziali delle funzioni principali di- pendono solamente da una funzione omogenea di Applicazione del calcolo kc. 5 9 primo e di secondo grado delle variabili indipen- denti; 2. Dell' integrazione dei sistemi di equazioni a derivate parziali per mezzo del calcolo dei residui, ed in particolare dell'equazioni nelle quali le deri- vate relative ad una delle variabili indipendenti non superano il primo, e secondo grado , ove ci ferme- remo alquanto sull'integrali di quelle equazioni, die rappresentano le vibrazioni di un sistema isotropo di molecole, o di un sistema omogeneo: le diverse espres- sioni di tutti questi integrali saranno date sotto una forma simbolica; 3. Sulla trasformazione e riduzione di certi integrali definiti, e die si ottengono da una formola di Poisson data in una memoria del 19 lu- glio 1B19 e da altre formolo del medesimo genere; alle quali aggiungeremo anche la nota formola di Fourier ; che serve a trasformar una funzione qua- lunque in un integrale definito. 4- Sulla trasforma- zione degli integrali simbolici dell'equazioni a deri- vate parziali in integrali definiti; sia per alcune for- molo particolari, sia per la citata formola di Fourier. 66 Scienze Sulla funzione principale ^ che verifica un equazione caratteri- stica a derivate parziali j lineare^ ed a coefficienti costanti: determinazione delle funzioni principali di certe particolari equazioni _, nelle quali le derivate iniziali delle funzioni principali dipendono solamente da una funzione omogenea di primo j e di secondo grado delle variabili indipendenti. I. Sieno jc, j", z . . . t le variabili indipen- denti, e F (jc, j", z . . . t] una funzione intera delle medesime x, j", 2 . . i; e supponiamo che il coef- ficiente della più alta potenza di t sia ridotto all'uni- ta; in fine sia w la funzione principale , la quale verifichi l'equazione caratteristica (1) F(D^ , l\ , D. ... a) ói = o Come già abbiamo veduto nella precedente memo- ria, la funzione principale w sarà completamente de- terminala dalla doppia condizione di verificare qua- lunque sia t l'equazione (i), e per t = t^ le con- dizioni (ò) == f^ (x, j, s .. ) , D,w = f. (x, j, z .. ) (2) ] (D'w= f^ {x,f, z..) .... Dr'«= f(,...) (x,/, z..) ed avremo per la formola (7) della pag. 22 della I precedente memoria (ó) òi z^ >\ e ; (.•-l(a:,j,2..))(^(.)J Applicazione del calcolo ec. 6 1 jove per brevità (4) 5(.) = F(D.,D,, a., s) L' estrazione dei residui si riferisce alle diverse ra- dici s simboliche dell'equazione (5) F ( Dx , D, , D, .. O = o e si devono sostituire dopo lo sviluppo gli indici agli il esponenti di f ( x, j^, z .. ). Sia ora omogenea Vequazione caratteristica , e sleno u^ v^ w . . . altrettante quantità variabili, ed h una nuova caratteristica funzione delle prime variabili, in modo da sussistere (6) Dx =^ uh , Dy = p/i , Di = wh , .... è evidente che facendo (7) ^ = w/i , f (x, j, z ..) ^h^ { X, j, z .. ) l'espressione (3) si trasformerà in (8) ò = ^,e^ (w — .$(j:,/, 2..) ) (^(w)) La nuova caratteristica h riguarda le variabili jc, j-", ;; ..., e l'estrazione del residuo sarà relativo alle radici dell'equazioni 5^(&j) = 0,0 della (9) r ( u, V, \v ... w ) = o. 62 Scienze La seconda poi delle formole (7) darà luogo alle uguaglianze simboliche $0 {x,j,z .. ) = ^0 i^if^z •• ) io) <( ^ "^ ' h f(»-i) (-^O^^-) Nelle questioni della fisica matematica le variabili in- dipendenti oc , f , z . . . t sì riducano a quattro , cioè a tre coordinate rettilinee x,r, z, ed al tempo t; e le u, i>, w . . . saranno i coseni degli angoli che una retta forma coi tre assi ortogonali ; quindi dalle formole (6) risulterà M^ -J- V'^ -f- w^ = I (il) /i == (D^. + D^ H- D^ )^ Quando le variabili indipendenti si riducano a due X, i, allora abbiamo Bx^h , {(X)^ D.r $ (X) , $(0)) = F (I , w) e perciò dalla (8) avremo ^ ^ ^ (o)-a>(x))(F(i,w)) ovvero Applicaiionk dkl calcolo ec. 63 (i3) w = F^^^' (^)—'P{i,(^{x^a(t-^t^))) {CO — ^(x-ì-CO{t-.t^))) (F (!,«)) Tal'è l'espressione della funzione principale che ve- rifica l'equazione caratteristica omogenea (^4) F(D. ,D,)w = o ed alla quale di già arrivai alla pag. a5 della pre- cedente memoria. Mon dobbiamo poi dimenticarci di sostituire gli ipdici agli esponenti di $(x) per mezzo delle equazioni simboliche (i5) *o (^) = f, ^■^)' ^x (X) = -^= ff(X) Clx (X\==^^!dì^ ]^el caso che sia ^o= o, e per il medesimo valore w= o , D, di = o , Df di = 0 ... Dr' &> = f,,.o (x) si troverà dalla (12) (16) w = £, e^'-'^^ ^U-'l i^) Dr(F(i, «)) è4 Scienze La carateristica D'r' scomparirà coll'eseguire n derivazioni relativamente a t, e perciò (i^) Dr ^ = s, (^ftt;^ ^u-^) { ^ -h "O d'ond Questo valore verìfica l'equazione (14) qualunque sia i, e per i = o le enunciate condizioni. 2. Si sviluppi ora il secondo membro della (3) ■e per brevità si rappresentino con f^ , f i , f^ .. f/ _i) le diverse funzioni delle variabili x, r, z ... si avrà per la funzione principale Ao , Aj , A2 ,. sono funzioni intere della s , e delle caratteristiche Dx , Dy , D,- .. Quando V equazione caratteristica sia omogenea, anche le Ao , A, , A2.. sono funzioni omogenee di grado n — i, m— 2, «—3... della s , e delle Dx , D^, , D^ ,. ; quindi per le for- molo (6) e (7) si trasformerà in „o) - .J»„W,[''--B.f-+fr-B.f.+..H-f(,.-„] (20) „^lje fr.-. (F(»,^,.v..o)) B^ , B, 5 B2 . . . . sono funzioni omogenee di grado I Applicazione del calcolo ec. 65 n I , ji — 2 , n — 3 ... della « , e delle costanti u, i^, TV ..., e di più i coefficienti delle w"-', w"-', W'-^ nelle funzioni Bo , Bi , B^ ... sono eguali all'unità : ponendo adunque !Bo = «l'o (io), Bi = (//, («), B3 = 6^ (W) , ... e(^-^»>^'^-fU)(x,j,...) il valore della w si potrà rappresentare sotto h for- ma simbolica (22) « ='/'/^') 9» -1- ^{/^ j^'' ^' + '^{?')^'^ ?^ Le caratteristiche DJ , DJ .... D^ ' ... indicano al- trettante integrazioni relative a ^, e potrà anche aversi (23) w = ^o[ -p 190 + ^ < ^i -H -1 — 1 * ^ ' ^' D? 9z H- ... H- ^ 9(„.,) Dr (*j Per un errore tipografico nella precedente memoria sono stali tralasciati i denominatori h"'~^ , "''"' nel secondo membro delle formole (qo), e nell'ultima della (21); nel numeratore della quale deve esserci anche w"; come ho ritrovalo nel manoscritto. G.A.T.XGIV. 5 65 Scienze Queste due ultime espressioni verificano qualunque sia t un' equazione caratteristica omogenea , e per t = to le condizioni (2). 3.° Se, come accade nelle questioni della fisica matematica , le variabili indipendenti si riducano a quattro, cioè a tre coordinate Xy y^ z, ed al tempo ty allora supponendo che per £ = o si verifichi (24) (u = fo (?), a c5 = f. (?), ... Dr « = fu-x) (?) Z essendo un espressione della forma (aS) , <;, 6) ) ) e quindi (3i) 6i = Dr'*r_-_!!lL-_X(5H-"0 (^F(w, V, vv, w)) 68 Scienze Quando si supponga per £ = o w =^ o , D, w = o , D,^ w = o , . . . Dr'w=n (g) allora la forinola (3o) diviene 6) ,K-I (32) orci = E,rr. s n ( g-H«i ) e perciò (33) « = Dr ^, ,^^ "7 n ( g 4- «0 Queste due ultime forinole, alle quali giunsi nella precedente Memoria per considerazioni simili, sono d' accordo con quanto trova il sig. Cauchy in una sua Memoria (*). Le formole generali (29) 0 (3o) si ottengono egualniente dalla formola (8) : difatti ritenendo io = o, ^. = D? ^'(w) = F ( u, i^, vv, w ) abbiamo dalla medesima (34) " = 8 e'"°^ («_$(g)) (fe)) ove dopo lo sviluppo in forza della formola (io) do- vremo sostituire {*) Comptes rendiis, a.u semestre 1841, pag. n5. Applicazione dee calcolo ec. gq $o(0 = fo(.),$,(,)=^=y'f,(,) ,/, (35) $2(5) f^Cg) -^ gr- = ffi^ (?) dq^ , ... ff„-x) (?) Sotto questa condizione la formola (34) diviene (36) w = ^ ^(^) — 3^ (^ ( 5 -h wo ) (W— $(g-t_coO>(fc)) Lo sviluppo del secondo membro di questa equa- zione coinciderà evidentemente con la formola (3 1). 4." Ritenendo che le variabili indipendenti sie- no quattro, cioè tre coordinate ortogonali, ed il tem- po i, supporremo che F(^, jr, z, t) si riduca ad una funzione omogenea di ^ , e di F ( u^ Vi w, 0) ) sarà indipendente da u, ^, w per la cognita relazione. cosicché facendo, secondo il consueto yò Scienze l'equazione caratteristica sarà della forma (D? + a,T)rh2 -t- a, Dr^/i4 4- .. H- a^_, /i« ) w = o o più semplicemente (37) F (/i , Dt )w = o Il valore della funzione principale si dedurrà dalla formola (3), che ha la doppia proprietà di verificare qualunque sia t l'equazione caratteristica, e per t=^to le condizioni (2) : ed avremo per to = o ,30. _ _ o ,,F(/i.o^F(^,f(^,j,c)) ^ } "^ ^ (.__f(^,j,2)) (F(/i,o) Nel caso particolare in cui le condizioni (a) per i£ == o si riducano ad (89) Q=f„ (D, D, w=f, (r), D^ di=f, (r) ... Dr'w=f(.-o('') r, essendo (40) 7' =: ( J:a Hh J* •+• 2^ )* Il secondo memhro dell'equazione (38) si potrà espri- mere in termini finiti, come si vedrà da quanto ve- niamo ad esporre. Considerando la w come una funzione del rag- gio vettore r, noi ahbiamo Applicazione del calcolo ec. 71 (40 < e siccome dalla formola (4o) (42) D.r = - , Dyr=^, D,r = 1 -^ y r r COSI sarà (43) D.W = D,« i , D^« = D^ó-^ , D,w = D,« ^ r r ' Proseguendo la derivazione si trova DxW = D; w ^ -j- Dm I — I nella quale sostituendo il valore di D^ r , ed ese- guendo lo stesso per le altre derivate, otterremo y,2 r3 (44) V2 j:2-f-Z- V" le quali sommate porgeranno f^ Scienze (45) (D^ -h DJ -i* Dfjói^D,^ d, -f- -^^ r ovvero (46) ^»d)=;. Per dedurre ora le altre caralterlstiche /z4ài, h&u, ... si avverta che in forza della formola ultima trovata per h^ w , ricaveremo similmente r.DJ r^ Wr.v€> D? - —^ h^ ci = h^ = r r ovvero hi^=:. ed in generale avremo il seguito delle espressioni h^ ù = — , h't à =2 — (47) r I' h''" w = _ Si sostituiscano adesso questi valori nell' equazione caratteristica (3y): è evidente che essendo la r in- dipendente da t, potrà rappresentarsi sotto la forma Applicazione del calcolo ec. 78 ( Dr-H a, D"-=* Df. H- «, D'-4D^t ^ ,_ a,^., D'Arw = o ovvero (48) F (D, , D,) reo = o Dalle diverse formole (47), e dall'equazione (48) si deduce che sarà lecito di sostituire la caratteristica D^ invece della /i, quando si ponga riì invece di w; e perciò la formola (38) rappresenterà 1' integrale dell'equazione (48) ; purché si sostituisca non solo rw invece di «, ma ben anche rf„ (D , ri, (r) , rh (/') ... rf(„.,) (r) invece delle funzioni che rappresentano i valori iniziali di D'onde dalia citata formola (38) ricaviamo ^^y' ^ (s-rf(r))(F(D,., .)) nella quale dopo lo sviluppo dovremo alle potenze (rf(r))°, (rf(r))» , (rf(r))s .... sostituire 74 Scienze r fo ir) , r f I (r) , r f^ (r) Se dunque si ponga (5o) 5 = D^M , rf(r) = D/^ (r) avremo dalla (49) ( co _ (^ (;^) ) (F ( I , « ) ) ovvero per il teorema di Taylor Qui pure, secondo il consueto, dopo lo sviluppo si sostituiranno gì' indici agli esponenti di

^'' (52) '/'. (D = = jri^ (D ffr= , Un'altra espressione della funzione principale w, nel- Applicazione del calcolo ec. ^5 la quale compariscano immediatamente le funzioni fo (r) , fx (r) , fa (/') , f(„-,) (r) l'avremo dalla formola (20) e dalla (/^g). Difatti ese- guendo tutte le operazioni di già indicate per pas- sare dalla caratteristica h , alla caratteristica D^ , e ponendo per brevità X («, r) = BoDr' rfo(r) ^ B,Dr\rf.(r) -1- ... h- rf(,_,) (r) si otterrà utUr X ( w , r ) rw = £,e Dr (F(i,«)) ove facendo n — i derivazioni relative a £, per fare scomparire nel denominatore la caratteristica D""' , avremo (53) DrVw=r,-^iI X(M. r-HwO d'onde (54) ró = D'ri-^^l— X ( «, r H- «O (F(i,«)) Questa espressione deve necessariamente coincidere con la formola (5 1). Queste ultime poi racchiudono 76 Scienze non solo ma ben anche (56) « =Dr^ -^.f— ^^ \.^ ^ Nell'ipotesi in cui per £ = o si verifichi (57) w = o, D^ « = o, D' d)=o, ... Dr' w =r= n (O sarà dalla (5i) X(M, r)=rn(r) e perciò dalla (55) w (r -H &«) n (7- •+■ ut) (58) Dr«=^ (F(i,a,)) Supponiamo inoltre che F (i, cj) sia una funzione pa- ri della « : in quest'ipotesi avremo 't: X n-- e *""■' {r — a)n(r-'c^t) ^'9) ^^ ^=^i¥^;^y r quindi dalla somma delle due verrà ^ ""^ ' "" ^(F(i,«)y " 2/- ApPLICAriONE DEL CALCOLO EC. nn dalla quale ,a . ~ -n'-no <"""' (r-^««)n(r+««)-h(r—«i)n (/•-&)«) (òi) w=D. ^-— , Tal'è la funzione principale, la quale verifica qua- lunque sia t V equazione caratteristica (48) , e per f = 0 le condizioni (Sy). Queste due ultime for- raole coincidono con quanto il sig. Cauchy, per mez- zo di riduzioni d'integrali definiti trova alla pag. 119 dei Comptes rendus, secondo semestre 1841. Prima di venire a speciali applicazioni non mancheremo di notare, che la maggior parte dei risultati ottenuti in questo paragrafo si sarebbero potuti avere dalle formo- le (i3) (16) (17) e (18), riflettendo che nell'equazione caratteristica (48) la variabile principale rd) è fun- zione delle due sole quantità r, t. 5." Data per esempio l'equazione caratteristica del second'ordine (62) Dfd) = a. ( D^ H- DJ 4- D! > avremo F( I, w)=&)2 — a» per cui dalla (60) dopo 1' estrazione del residuo si ricava ,-,, T^ {r-\- at)U (r -hat) -h (r—at) TI (r—at) (OD) Ut à = ^ 2A' ovvero Scienze ^(r-h-aO n (r-hctt) •+■ (r — at) TI (r~~at) (64) ^ '^ J 2r Quest'espressione verifica qualunque sia t l'equazio- ne (62), e per t = o le condizioni Alla medesima conclusione giungiamo facendo uso dell' integrale generico della medesima (6a). Infatti, come è stato dimostrato alla pag. 3o della preceden- te Memoria, abbiamo 65) w = fo(x,/, z)H fxU,/, z) la quale si trasformerà in (66) rù = rio (r) H- rf 1 (r) a 2 ove eseguendo le operazioni indicate dalla caratte- ristica Dr , sarà (r -t- fli) fo (/• -H «0 -J- C^" — cit) ii (r — at) (67) rw = ' (r 4- at) fi (r H- af) — (r—at) f, (r— ««) -H , — . _ _ . 2aì)r Quando sia fo (/•) = o, f, (r)= n ir), si ridurrà ad Applicazione del calcolo ec. 79 (do; 7'W = / ■ (ir ^ , za Facendo una derivazione riguardo a t, ed integrando per rapporto ad r, i! risultato coinciderà perfettamente con la forinola (63). Nelle questioni di fisica matemati- ca, che riguardano le vibrazioni infinitamente piccole di un sistema omogeneo di molecole, siamo ridotti a dover integrar l'equazione omogenea del quarto ordine ossia (70) Dici _ {a^ H- a'^) B! h'à ^ a^ a'^ /i4 q = o ove sostituendoci per le formole (47) r r si trasformerà in (71) (D,^ — (a- -i- tt'2) Df . D^ '^a'^a^ D?. ) rw = 0 nella quale essendo (72) F ( I, w ) = K — a') («^ - a^) avremo dalla (60) per l'integrale della (71) 8o Scienze Facendo l'estrazione dei residui, e ponendo per bre- vità «2 (74) F- = «2 — a'2 a'2 — a= ricaveremo con facilità / 5V 1)3 ^ (/'+ìjO n (r^at) ■+■ (r—at) TL ir — at) (r-ha't) n (r+at) -f- (r—a't) n (7^—a't) 2r dalla quale si dedurrà il valore della funzione prin- cipale, che verifica qualunque sia i l'equazione (71), e per ^ ^= o le condizioni ó = o , D, w = o , Df w = o , D^cò =11 (/•) La medesima formola (yS) trovasi alla pag. 1 1 dei Coinptes rendiis^ primo semest. 1842. 6." Consideriamo ora certe equazioni a deriva- te parziali, uelle quali le derivate iniziali della fun- zione principale dipendono da una funzione omoge- nea completa di secondo grado delle tre variabili X, j, z. Su quest'oggetto premetteremo, che dato il polinomio (76) R^ = «X^-f-èY^-t-cZ^-t-2fZYZ-h2eXZ-i-a/XY o l'eguale Applicazione del calcolo ec. 8i R^=(flX+/Y4-eZ) X-H {fKr^bY-^dZ) Y-t-(eX-Hé/Y4-cZ)Z e si faccia ( uX-f-/YH-eZ = a:,/X-h6Y-f-£/Z=j f e\-^ dY -^ cZ ^ z sarà reciprocamente r aiX -^fif -+- e^z = X, y,j? 4- bijr •+• diZ = Y (78) ( CiX -H c^ij -f- c,z = Z nelle quali le nuove costanti «, , &i , e, .... sono bc — d^ {ac — e^) ^b—f^ (79) I e/" — aff yi/ — be de-^cf V essendo determinato dall'equazione (80) V == ( a^»c — rtJ^ — te» — e/ -»- atf?/ ) Nello stesso modo risolvendo di nuovo 1' equazione (78) rispetto ad x, j", z, troveremo G.A.T.XCIV. e ^2 Scienze biCi — d\ c^tti — e\ aj)^ — fi a -— . ^ V V V (8i) l ^^ ^' » Bifi — Uidi fidi — èiCi ^ diCi — Cifi d^-L—^ . e=' i ,/= H- V, V, V. ove V sarà come sopra (82) ^ i^{a^hiCi—aid\—hie\—Cxf\ 4- idiCif^ Y Le quantità V , Vi sono evidentemente unite dalla relazione Se dunque si compongono i due polinomi f axx"^ 4- èij^ H- CiZ^ -t- 2j,jz -1- leixz 4- of^xy (83)5 ( aX^ H- 6Y^ H- cZ^ -f- 2t/YZ "H 2eXZ -f- 2/XY e si chiami 0, una quantità determinata dalla for- mola ^ = ( abc — ad^ — be^ — ef^ •+■ 2def) ^ saranno l'uno e l'altro eguali fra loro, ed al pro- dotto ' ' xX -h/Y H- sZ Applicazione del calcolo ec. 83 quante volte le a, b, e, ... a, , b, , e, , .... sleno date dalle relazioni (79) ed (81), vaie a dire [ a, = {bc—d')Q^, b,={ca—e^)Q^, c,=(ab—f')Q^ (84) ^ i K J ) ( d,^{ef-.ad)Q\ e,={fd—be)e\f^=:{de—cf}Q^ ed insieme (85) b,c,—d\ c,a,—e\ a,b,~-f\ fc)* 02 02 0^ ' ^ 03 ' -^ "" ~~02 Ciò posto , denotiamo con h^ una funzione intera omogenea delle tre caratteristiche, D^, D^, D^; vale a dire pongasi (86) /^=(aD^^.^>D^-^-cD'^-2rfD,D,4-2eD,,D,^-2/D.D,)^ e proponiamoci d'integrare 1' ceduazione omogenea a derivate parziali della forma (87) (Dr +A.Dr/t^-i-A.Dr^/i4^+ ... + a„., . /». ) a> =.- o o dell'eguale (88) F ( /i , D, ) ò = o in modo cha per £ =: o si verifichi 8y) <^> = fo(/5), D/^ ^ f,^p), Dfw = f,(p) .... Dr'&i^f;,.,)f/3) 8^ Sciènze p essendo un polinomio omogeneo di secondo grado delle tre variabili x, j", s, cioè (go) p = [a^x^-i- bif^-h dz^^H- 2difz -f- aciXZ -j- zfiXf)^ I coefficienti a, Z», e, ... «,5^,» Cj, ... devono essere uniti fra loro per mezzo delle relazioni (84), (85). Ora sarà facile di poter trasformare l'equazione (88), in altra equazione fra due sole variabili indipenden- ti. Volendo considerare infatti la q come una fun- zione di p, avremo (91) Bxói = DpW D^p , Dycó == DpW Dyp , D^M = Dp« Dxp , e siccome dalle forraole (78) e (90) a,x H- CiZ +/ij X D.p (92) { D^p = f^x-^ b,f-^ fi?i2_ Y cosi ricaveremo le tre derivate parziali X Y Dxw = Dpi) . ^ j D « == Dpà . — (93) ^ ' ' p Appligazionk del calcolo ec. 85 Proseguendo nella prima, una nuova derivazione ri- guardo alla Xt abbiamo n2- iV- -^^ n -{P'^' — -XDxp) e sostituendoci il valore di D^p , sarà Nella slessa guisa si troveranno le altre derivate del second' ordine. Facendo adesso una derivazione ri- guardo ad y nella prima dell'equazioni (ga) ; otter- remo e sostituendoci il valore di D p, risulterà Ux JJyW = DpW — - — h DpW l^iJ- — ^ - e nello slesso modo si trovano le derivate successi- ve rispetto alle altre variabili: cosicché per le sei de- rivate, sussisterà "86 Scienze (94) D Q = DpW — -f- l'pW — ' ;; Dy U-W = Upw — -i- UpW ^ D;, D,cj = DpW — - H- Dpco ^ — P r UJJjW = Upo) -t- iJpw ^ I secondi membri di queste derivate parziali posso- no anche facilmente , e simmetricamente esprimersi per le sole variabili jc, j, z , e che per brevità ci dispensiamo di fare. Si moltiplichino respettivamente per «, b, e, 2d, 2e, a/", e si sommino: ed osservan- do l'eguaglianza dei due polinomi (83) ciascuno e- guale a p2 , e di più dall'equazioni (84) ed (85), che adi •+■ bbi H- cCi •+■ 2ddi -i- aeei -{- 2^1 = 3 verrà con gran facilità 2 aDpi) fi^à = Dpcò •+■ • — ^ Applicazione del calcolo ec. ovvero la quale essendo del tutto simile alla (46), dovremo avere necessariamente 7 ^p'P"^ i,r D^flW , , Dp'jocj m p p Dp'".p« Con questi valori 1' equazione caratterislica (87) si trasforma in (97) (D'I + dpd; 4. Ajyr'Bj + .. 4- A(,.,iD; )p« =. o ovvero in (98) F (Dp , D. ) pò) = o dalla quale si deduce, che per passare dalla caratte- rislica h alla caratteristica D , basterà porre pdj in- vece di p', la nuova equazione (98) essendo del tut- to simile alla (48), ne segue cte la funzione prin- cipale flj verrà espressa dalle diverse formole (49), (5i) col mutare solamente r in p; cosi supponendo per t = o (99) w =0» D,ù = 0 , D,'a)=o,... Dr'd) = n {fi ^8 Scienze ed insieme F ( i , w ) una funzione pari dì «, avremo dalla (6o) nella stessa ipotesi ( 100) Dr'cò = F """ (p-^'-^^Mp-i-C'ìt) H- (p—cùt)TI(p—o)t) dalla quale Questo valore soddisfa alla (98) qualunque sia iC, e per f = o alle condizioni (99). Così prendendo l'e- quazione del second'ordine (102) Bìci^h'ù la forinola (100) porgerà tip d'onde (io4) ■_ r(p-i-Qn»+t)+(f-on(p-t)^^ Tal'è integrale dell'equazione (102) assoggettando la funzione principale per £ = 0, a verificare « = 0 , D^« = n (p) 7.° Quando anche l'equazione caratlerlstica cessi di essere omogenea, ma della forma Applicazione del calcolo ec. 89 (io5) (D': -h a,T)T" h^ H- « J-)r M -f- .. 4- «„-i h^") (à=o o dell'eguale F ( /t , D, ) ó = o (106) ove sia /i = { D^ H- D^ -f. D„? ) ^ è suscetllbile delle medesime trasformazioni indicate negli antecedenti paragrafi. Se infatti si faccia (■'/■', . (107) 5* = /i^d) , f (x, j, z ) == h^.^ {■x,f, 2) avremo dalla (3) per l'integrale generico della (loo) / Q\ - e Mo>^2 F(l,0 ) — F (l, $(X,J, 2 ) ) (100; &) = > , e • — — . r- ^ ^ (w— $ [X, f, z})[b (I, w)) Dopo lo sviluppo alle potenze di $(x,^', 2) si de- vono sostituire gì' indici , ove per la seconda delle forraole (107) ( (109) / $0 ( X, J, 2 ) = fo ( JT, J, 2 ) $1 ( ^, J. s )= r^ ^u-i) C-^' J. -) = — ]^^ — QO Scienze Se per f = o, la funzione principale veririclii le con- dizioni ' ) (0 = fo (r) , D,w = f, (r) Dr" o5 = f(„_i) (r) allora, come già abbiamo veduto, la caratteristica h, si muterà nella caratteristica D^ , purché invece di co , fo (r) , fi (r) f(,^_,) (D si sostituisca rw , rio (r) , rft (r) rf(„_,) (r) la formola (102) si trasformerà in .'IfiL oms'ive (no reo = p, e'""'- — ^ -7-,=^ ;— ^ ' ^ (« — $(r))(F( I, 0))) ,, L'equazioni simboliche (109) diverranno, come nel- le (52) ■' ' - . ' i 9'iiuJÌJ803 ono7 rfi(r) .r-^ „ ,' $o(r) = rfo(r) , $i(r) = — — =y J rU (r) rfr^ (III) ^ ^- , Applicazione del calcolo ec. 91 Così, per esempio, data l'equazione (112) D,w = a (D^ -i- D^4-D^ ) w = o si ricaverà dalla (no) ( II 3) rw = e'^'D^ ;..f^ (;.) d'onde e«'^? . rfo (r) (ii4j «= r Questo valore soddisfa alla (112) qualunque vsia i, e per t =s o alla condizione (à = f o (r) = fo ( ( x^ -f-j^* 4- 22 )« ) Se nell' equazione (106) h^ indicasse una funzione intera omogenea e completa delle ti^e caratteristiche D. ^ , D , D^ , .... allora ritenendo tutte le denomi- nazioni adottate nell' antecedente parag. 6.° avremo ' ^ ^ («— $(j5)) (F(I,W)) Data, per esempio, l'equazione 1 1 6) D,di=A(«D^6D;4-cD!-i-2^D,D.-i-2eDxD,+2/D.vD,)fi3=o si ricaverà dalla (11 5) ("7) pòi = e^^/jf» (p) 9^ Scienze ossia ii8) e P .pfo (p) à = la quale espressione soddisfa alla (ii6) qualunque sia ty e per t = o alla condizione M = fo (p) p essendo un polinomio determinato dalla formola (qo). Noi vedremo in seguito come i secondi mem- bri delle formole (no), e (ii5) si trasformeranno in integrali definiti. ■i»»^* Applicazione del calcolo ec. 98 Integrazione di un sistema di equazioni lineari a derivate parzialij ed a coefficienti costanti di un ordine qualunque j il secondo membro di ciascun" equazione potendo essere 0 zerOj od una funzione qualunque delle variabili indipendenti. Sia dato un sistema di equazioni a derivale par- ziali fra un numero di variabili principali ? , >2 , ?» •-••• e diverse variabili indipendenti X, jr, z t Nelle questioni di meccanica , queste ultime si ri- ducono a quattro , cioè a tre coordinate rettilinee o", 7", z, ed al tempo t. Noi supporremo che i pri- mi membri di queste espressioni siano funzioni li- neari a coefficienti costanti delle variabili principa- li, e delle loro derivate, e che l'ordine delle deriva- te relative a t non superi n' per la variabile prin- cipale ^, come non superi ri' per la v; , e non su- peri n" per la C j e facciamo inoltre >j = n-hn H-n -f- .... I secondi membri poi saranno in generale funzioni qualunque delle variabili indipendenti x, j", z, ... t\ cosicché il sistema dato di equazioni potrà essere del- la forma simbolica n4 Scienze Ao I H- A,V7 H- A, ? H- .. = X Co ? -1- Cx >? ■+■ c, C -H .. = z Ao , Al , Aa .... sono funzioni delle caratteristiche Dx 1 Dy ) D. .... Di , e dove 1' ordine relativo a D^ non supererà n per la ? , n" per la vj , n"\ per la ?,.... Volendo assoggettare per t = to le variabili principali ?, >J, C» •••• e le loro derivate relative a ty di un'ordine inferiore ad uno dei numeri n\ n\ n''... a ridursi funzioni date delle rimanenti variabili X , r , s .... senza t, allora considerando la caratte- ristica Dt come una vera quantità sarà molto facile per mezzo dell'eliminazione dei valori di §, vj, C, .... a ridurre 1' integrazione proposta all' integrazione dell'equazioni differenziali a coefficienti costanti. Noi per mostrare i vantaggi dell'esposto metodo conside- reremo successivamente quei sistemi di equazioni a derivate parziali, nelle quali le derivate delle varia- bili principali relative a t , non superano il primo o second'ordine. Applicazione del calcolo ec. qS Integrazione di un sistema di equazioni a derivate parziah lineari j ed a coefficienti costanti : e nella quale le derivate reattive ad una delle variabili indipendenti non superano il primo ordine. 8.° Se, giusta le notazioni adottate |, >3, ^ ... , sieno le variabili principali, ed x,y^ z ... tic varia- bili indipendenti; se le derivate delle ^, vj, C ••• re- lative a t non superano il primo ordine, il sistema dell'ecjuazionì a derivate parziali sarà della forma Di? ■+■ tìto? H- ai>7 "+• aJ^ -t- .. = X D,v? H- 1}òc, -1- b.fì -H ^aC -f- .. = Y D(? -H Co? -t- Ci>3 -i- Ca? 4- .. = Z avverrà dalla simbolica (D, 4- tì!o) ? -{- tti>7 -h «2^ -H •• = X Z*o? + (D, -+-l>,)rì-^ b^<; + ..==¥ Co? -f- Civj -H (D, 4- e J e -H .. = Z Le a„ , rti , «2 •... saranno in generale funzioni in- tere delle caratteristiche Tix , D , D;; .... ed X, Y, Z... funzioni (qualunque delle x, j^ z ..., t. Se come ab- 96 Scienze biamo fatto in altre precedenti Memorie, ed in par- ticolare per 1' equazioni differenziali, si consideri De come una vera quantità, noi avremo dall'eliminazione , _ LX -f- MY -i- NZ -t- .. _ PX 4- QY -t- RZ ^ .. SX 4- TY -i- UZ -f- .. ? = F(Do F (Dt) sarà la risultante delle incognite date dall'e- quazioni (2), ed è evidentemente un polinomio in- tero della caratteristica .D< , e di un grado corrispon- te al numero delle variabili principali ?, >?, ^, e della forma (4) F(a)=(D,4-ao) (D.-i-bo) (D,-hCo)..— (D,-t-ao)c,è,..-i-aAc Le L, M, N, ... sono funzioni intere di tutte le ca- ratteristiche Dx , Dy , Ds ... D^ ed il grado della D^ è inferiore per lo meno di un unità al grado della ri- sultante; tali sono i coefficienti L, Q, U, .... delle funzioni X, Y, Z ... nei secondi membri delle for- mole (3). Oi'a è evidente, che prendendo D< , come una vera quantità , i secondi membri dell' equazio- ni (3) si potranno considerare come altrettante fra- zioni razionali, nelle quali il grado del numeratore è inferiore al grado del denominatore, e per conse- guenza denotando per Lo , Mo , No , . . . . ciò che Applicazione del calcolo ec. 97 divengono le caratteristiche L , M, N, .... per la so- stituzione di r, invece di D^ avremo da una formo~ la generale del calcolo dei residui, la quale serve al- la decomposizione delle frazioni razionali in frazio- ni semplici L,X -f. MoY -4- NoZ -H... >7 = & (D, ~ r) (F(r)) (5) ; (^^-r-) (F(r)) L3X H- M3Y ■+- N.Z H-... (D, — r) (F(r)) L'estrazione dei residui dovrà riferirsi a tutte le ra- dici dell'equazione h\r) = 0,0 della (6) (r-+.flo) (''H-^i) (''-hcj...— (r-f-ao) Cib^ ... ■+■ ajjja^ = o le radici di questa equazione sono funzioni delle ca- ratteristiche D^ , D^. , D. .... Ciò posto, è facile di riconoscere nei secondi raerahri dell' equazioni (5) , che i valori di ^, >j, ^, ... dipenderanno da integrali delle equazioni differenziali a coefficienti costanti; ed infatti le frazioni simboliche X Y Z (7) T. —: D,_r' D,-r' D. r rappresenteranno gl'integrali generali dell' equazioni differenziali del primo ordine G.A.T.XCIX. 7 g8 Scienze (8) (D,— r) ic = X, (D,-r) i^=Y , (D.— r) w = Z ... Le integrazioni dovendosi eseguire nell'ipotesi di X, y, z ... costanti , è chiaro che le arbitrarie co- stanti si rimpiazzeranno da tre funzioni arbitrarie delle medesime ^, j, z ... senza t, le quali funzio- ni variando al variare delle radici r dell' equazio- ni (6), noi avremo generalmente U = e" f (j3 ( 07,/, z ... r) •+■ /e-"^ X ^£ j (9) / v = e"" U ( ^,/, 2 ... r) -I- y^e-"' Ydtj La sostituzione di questi valori nell' equazioni (5) porgerà gl'integi'ali generali del sistema di equazio^ ni (2). Assoggettando le variabili principali ^, >?, ^,... alla doppia proprietà di verificare qualunque sia t l'equazioni (a), e per t = to le condizioni (io) ? = fi(a:,/, 2..), Y] = faCx, /, 2..), ? = f3(^,7, 2..). allora se gli integrali relativi a t del secondo mem- bro della (9) abbiano luogo a partir da i = ^o > ba- sterà che ai medesimi valori (io) si riducano le u^ y^ w .... Per cui prendendo Applicazione del calcolo ec. 99 9 (X, j, s ... r) = e-'<"- f, (x,7, 2 ...) ;^ (a:, j, 2 ... r) = e-'»'- fs (a:,/, 2 ...) le formole (9) si trasformeranno in u = eH")'- f, (x, r, s .. ) -H r eM-- X.Jt X, , Yi , Zi .... sono ciò die divengono X, Y, Z... per la sostituzione di r invece di f; le trovate espres- sioni di u, V, w... dovranno porsi nei secondi mem- bri delle (5) in luogo delle frazioni simboliche (7), ed allora le variabili principali verificheranno le (1) o (2) qualunque sia t, e per t=to le condizioni (io). Supponiamo nulli i secondi membri delle citate equazioni (i), o (2) ; e denotiamo per brevità con fi , fa , fa le funzioni delle variabili jjjj)', z ... a cui si riducono le |, vj, ? per i = („ , avremo per gl'in- tegrali delle nuove equazioni lOO (i3) Scienze Coi H- C,>? -h (D, 4- cj ^'-H .. = o = o le espressioni (4) (F(r)) vj ^ 5 eC-'o) [L,f.4-M,4 4-Nj3-f-..] ? = 8 (F(r)) ,^, [W-j- M.f. 4- N,f3 -*-..] t-tojr __2 (F(r)) le quali soddisfano a tutte le condizioni richieste. Riassumendo le caratteristiche L, M, N ... , le qua- li si riducono ad Lo , Mo , No , .... per la sostitu- zione di r invece di D^ , si ponga (i5) e (F(r)) è evidente che essendo (i6) 0L„ = L0 , 0Mo = Me , Applicazione del calcolo ec. loi I secondi membri dell' equazioni (i4) si trasforme- ranno in ^ = L 0 fx 4- M 0 4 4- N 0 fa -1- ... >j=:P0f,H-Q0f3 H-R0f3 4.... ^ = S 0 f, 4- T 0 f. H- U 0f3 -f- ... (17) Ognun vede che la 0 è una funzione delle sole ca- ratteristiche Dx , D , D. .... senza D^ ; e la sua for- ma è del tutto simile a quella che nell'equazioni dif- ferenziali chiamasi funzione principaley come anco- ra la (6) si potrà chiamare equazione caratteristica. Termineremo questo paragrafo coll'avvertire, che l'in- tegrazione dei sistemi di equazioni a derivate par- ziali dipenderà dallo svolgimento delle funzioni sim- boliche L0, M0, N0 ... e si eseguisce per l'estrazione dei residui , dipendenti dalla natura delle radici r dell'equazione (6). 102 Scienze Integrazione di un sistema di equazioni a derivate parziali lineari j ed a coefficienti costanti j e nelle quali le derivate relative ad una delle variabili indipendenti non superano il second' ordine. g.° Ritenute tutte le denominazioni anteceden- ti, sieno i, >j> e» — le variabili principali, e rappresentino HCt j, s ... * le variabili indipendenti; infine «„ , a^ , ... b^ > ^, v Co", Ci , ... altrettante funzioni intere delle caratte- ristiche D.r , D^ , D. ... senza D<; se la derivazione, riguardo alla variabile indipendente t, non sia cbe di second'ordine, noi avremo le equazioni (Df 4- rt^) ^ 4- a.vj -1- «^^ 4- .. = X Coi -H C>>3 -H (Df -H C2) ^ H- .. == Z ove i secondi membri saranno funzioni date delle variabili indipendenti .r, y^ z ... t. Proseguendo sem- pre con l'analogia delle potenze con le differenze, come si è praticato nelle precedenti Memorie , noi Applicazione del calcolo ec. io3 considereremo le caratteristiche «o » «i » 0.2. D^ come vere quantità : quindi facendo 1' eliminazione delle variabili principali ^ , >7 , ^ , . . . . si ricaverà in un modo del tutto simile esposto nell'anteceden- te paragrafo LX ^ MY -H NZ -h .. (2) V7== ? = F(D.) PX -H QY -f- RZ •+• •• F(D.) sx 4- TY -h UZ H- •• F(D.) In queste formole F(D,) è la risultante dell'equazio- ni (i): e se si sostituisca r invece di D^ , avremo (3) F(r)=(r2-i-aJ (r^+òj {r^-^c^) {r^'^ao)Crb^..,^aJjzC^ Le, L, M, N, ... sono funzioni intere delle caratte- ristiche D.r , Dj, , Dj ... D^ , ed il grado relativo a D< , è per lo meno inferiore di un unità al grado an della risultante; tali sono i coefficienti L, Q, U, ... delle X, Y, Z, ... nei respettivi valori delle ^, >j, ^, ... Se le medesime espressioni delle variabili principali si decompongono in frazioni semplici, otterremo dei risultati del tutto somiglianti a quei che trovansi svi- luppali al paragrafo 8.° in modo che sarà per gl'in- tegrali generali io4 Scienze ?^£. (FCD) LjM -+. Mj^» -4- NjW -f- .. (3) / " ^ (FW) L' estrazione dei residui dipenderà dalle radici dell' equazione F(r) = o, e dalla (4) (''"H-«o) (r^'-H^',) (r2-4-cJ...— (r^H-ao) CjZ'^ .-H- a/^Co=0 | Le 7É, e, tv ... sono espresse come le formole 9.° del paragrafo 8.*' cioè u = et'- l(^ ( Xjj, 2 .. /' ) -+- /'e-''^ Hdt | (5) 7 ì; = e" (i>[x,y,z ,.r)'\- fé-'"- Ydt j H* = e"' ( ;)i (X, j, s .. r ) H- Te""' Zt/i 1 Le radici r dell'equazione (4) essendo funzioni delle caratteristiche D^ , Dy , D? ... i secondi membri delle M, v^ w ... i e delle ? , >2 , ^ , ... saranno altrettan- APPLICAZIONEaDE CALCOLO EC. lo5 te forme simboliche, ove le operazioni dovranno ese- guirsi sopra le sole variabili x, j", z ... senza t. IO." Supponiamo adesso che le variabili princi- pali abbiano a verificare qualunque sia t l'equazio- ni (i), e per t = to le condizioni (6) ^ u =j = <^, (x,j, 2 .. ) allora basterà che a ^questi stessi valori si riducano le quantità u, i^, w .... Quindi se gli integrali re- lativi a t, nei secondi membri delle medesime zi, v, tv... abbiano origine a partir da i = io , è evidente, per quanto si è dimostrato nell'antecedente Memoria sul- l'integrazione dell'equazioni a derivate parziali , che per le funzioni arbitrarie della r {x,fyz ..r) , y^ {x,jr, z .. r) dovremo prendere 9 (X, j, z..r) = 6-'°'- {(f, {x,jr, z..) -t- r(fo (x,/,s..)) (7) ^ (p (x,j, z..r) = e-'"'- [<\>,{x,jr, z..) + nb, {x,f,z ..)) X (^, J, z..r) = e-'o'- (;^, (x,/, z..) -i- r^o (x,jr,2..)) Se per brevità ci rappresenteremo per ipo , 9, , ... le io6 Scienze funzioni delle x,f, z ... e si chiamino Xj, Y,, Z, ... ciò che divengono le X, Y, Z, ... per la sostituzio- ne di T invece di £ , i valori delle u, p-, w, .... si trasformeranno in (8) •^ to w La sostituzione di questi valori nell' equazioni (3) somministrerà le variabili principali, le quali soddi- sfano a tutte le enunciate condizioni; cosicché fatto per brevità (9) 9'i-+-''?o =^> <^i H-'-'/'o =i^ . Z. -Hr/^ = v, troveremo evidentemente (IO) +8 >7 = ^e /' e^'*''" L LoX,H-MoY,4.N,Z,H-..j Jt (F(r)) / e^'-'^' [ L,X.+M,Y.+N.Z,-H..]^T •/ io (F(r)) /'e ^'-'^^ l L.X,-f-M,Y,4-N.Z.-H..]ÌT Applicazione del calcolo ec. 107 Le diverse radici r dell'equazione (4) sono tutte fun- zioni delle sole caratteristiche D^c ? D^ , D. ... e per conseguenza i secondi membri delle (io) sono rap- presentati sotto formole simboliche. Chiamiamo inol- tre 0 , V , due nuove caratteristiche determinate dal- l'equazioni Q[t-tc,]r g(t-T)r (F(r)) ^ (F(r)) come anche sieno di nuovo L, M, IS ... ciò che di- vengono Lo , Mo , No .... per la sostituzione di D^ invece della r ; è evidente che i valori delle |, >j, ^ prenderanno le nuove forme simboliche ^ = L0X4-M0^-t-N0v-f-... 4. r (LVX, H- MVY. 4- NVZ. 4- .. ) rfr >,==P0X-hQ0/^-f-R0y H-... -H r (PVXr -^ QVYx 4- MZ, 4- .. ) J = P0 9. 4-Q0(//. 4-R0X2H-- (15) • + a (P 0 5,„ 4- Q e .p, -{- R 0;;^„ 4- .. ) i e = S 0 9, 4- T 0 (//, 4- U 0 ;^, 4- .. 4- D, (S 0 9., 4- T 0 (|/o 4- U 0 Xo 4- •• ) Applicazione del calcolo ec. lOg Le diverse funzioni 90, 91, delle sole variabili x^y^ z... sono, come abbiamo di già indicato, i valori iniziali di ? , D, ? , .... 11° Un'importante applicazione degli integrali dell'equazioni (i3) s' incontra nella determinazione dei movimenti infinitamente piccoli di un sistema omogeneo di molecole. In questo caso le medesime si ridurranno a tre della forma (16) < -f-5'?=o ove ^ , .')]L , c)To , f , ^, ^ sono funzioni in- tere delle caratteristiche D;c , D , D, ; eliminando I, >j, ^, e sostituendo r invece di D^ , avremo per la risultante (17) F(r) = (r^ -. .P ) (r---OTL ) (r-— Dlt) - 5^-(r.-- (^ — ^ {r^-^DIl ) — Si^ (/.=»— S^ ) — 2 ^^ ^^ Volendo integrare le (16) in modo che per t = o si verifichi !| = 90(^,7, s) = ©0 > D,? = 7 = R0A-f.M0fx-HPev ( ?=O0X-t-pe^. -hNOv Infine sostituendo i valori di X, /Ji, y, ricaveremo co- me per le formole (i5) I = D, (L 0 9o 4- R 0 «/-o -H Q 0 Xo ) H-L0 9j4-R0t//. 4-Q0;^, >7 = a (R09, H- M0^„ -{- PO/o) 4- R 0 9x -i- M 0 ci/r H- P 0 7,1 ^ =:= D, (Q 0 9,, -+- P 0 ciò -H N e Zo ) 4-Q0 9, -HP0tl'i-hN0Xt I valori simbolici di ^, yj, ^ trasformati in integrali definiti per mezzo del teorema di Fourier dovranno (25) 112 Scienze coincidere con quei che trova il signor Cauchy alla pagina 97 degli Esercizi di analisi e di fisica mate- matica. 12." Le precedenti equazioni sono suscettive di una trasformazione rimarcabile , quando si tratti di un movimento infinitamente piccolo di un siste- ma isotropo di molecole. In questo caso, come fa ve- dere il sig. Cauchy alla pag. 119 degli Esercizi di analisi, chiamando con E ed F due funzioni intere della caratteristica DI -i- D^ + D.! e che generalmente sono composte di un numero in- finito di termini, abbiamo ^ E-t-FD^, ^=E-hFD^, ^ = E-hFD| (26) \ ( ^ = FD,D, , ^= FD.D. , Si = FD.D^ quindi l'equazione (16) a derivate parziali diverranno r (E-^D,=) ^ + FD, (D4 -H D,v7 -+■ D,0 = o (27) < (E— D,^) yj -H FD, (D4 H- D/^ -+- D.C) = o ^ (E -D,^) ? 4- FD, (L\? + D,v7 H-. D,? ) = o le quali hanno la proprietà di non subire cangia- mento, quando si cangi la direzione degli assi coor- dinali. Prima di giungere per mezzo delle formolo (21), (24) o (25) agli integrali di queste equazioni, osserveremo che ponendo (28) u ^ D,,? -H D/^ ^ D.C Applicazione DEL CALCOLO Ec. 1,3 Le (27) diverranno ( (Df — E) ? = FD.y le quali moltiplicate respettivamente per D , D,, D e sommate, avremo per la determinazione delk fun- zione V l'equazione caratteristica (3o). (Df-E-F(D^H-D^ + D?))u = o e per conseguenza le variabili principali 2, „ ^ di penderanno dall'integrale di questa. La risultante F(r) dell' equazioni (27) dopo di 1^ aver sostituito r invece di D. dovrà coincidere con Il secondo membro dell'equazione (17), quando nel- la medesima si pongano i valori ài J^ , DIL , m, ed otterremo dopo brevi ridiizioni (3 0 F(n = C^-^-E)^ (r^-E-F (D^.-hD^n-D:)) I coefficienti L', M' , N" , ... dati dalle formole (rq) SI calcoleranno dopo la sostituzione dei valori di \ » J/L , wl^ j ... e SI ricaverà V = (r- -_ E) (r2— E - F (D^ H- D?)) M' _ (r^ -_ E) (/.._ E — F (DJ + D?)) K = (r^ -_ E) (,-- E — E (D,^. 4- D^.)) P'= (r3_E) FD, D. , Q'_ ^,._ E) FD.D. ll'=(r'__E)FD,D, G.A.T.XCfV. o (32^ ii4 Scienze Con la sostituzione delle espressioni (3i) e (32), e col fare per brevità ( ^t = D^ , i, = Dy , TV == D, (33) \ , ( h = {DI -i- DJ H- D,^ ) 2 gli integrali (21) diverranno (r2— E) [r^'— E— F((^2H-Tv^)>4-FttP f/.-HF?wy3 ^=^e^ ((r^ — E)^ (r^ — E — F/i^)) (34) ^ >J=8e"' (-(^. __ E)- {r- — E - F/i^T) (^z—E) [^F?6TvXH-Frwp--f-(r2_E— F(ti2+(^2) )y] ((r> — E)^ (r^ — E — F/i^)) Togliendo adesso il fattore comune r^ — E, e facen- do inoltre Ì$ (r) = r^* — E — F/i^ , $1 01 == r^ — E n = D;c X -+• Dj, |x 4- D. y , ossia n==D... (^-hr^J -H D, ((^,4-rx(r)) ^ ( $ (r) 0, (D ) Applicazione del calcolo ec. ii5 Se queste espressioni simljoliche di ?, jj, ^, si tra- sformassero in integrali definiti, dovranno allora coin- cidere con quelle che il sig. Cauchy trova alla pa- gina 209 degli Esercizi di analisi. L'equazioni (26) potranno servire ancora a determinare le vibrazioni dei corpi solidi elastici, quando le due caratteristi- che E, E, assumano la forma particolare E = l'(D^+D^-HDn, F = i a. a essendo una costante; così invece delle (27) otter- remo tre equazioni a derivate parziali, quali Poisson ha integrato , in due memorie inserite nei volumi 8.° e io.° dell'accademia delle scienze. Quando iu luogo di un corpo solido elastico si consideri un si- stema omogeneo di molecole, si ottengono per l'equa- zioni (27) , e per gl'integrali (34) dei risultati più generali, e simmetrici ; quindi è che noi ci ferme- remo alquanto sopra questa importante applicazione. i3.° In un sistema omogeneo di molecole le due caratteristiche E , E si esprimono per (37) E = aa(D^-hD^-HD^) , F = a'a — «. a, a' essendo due costanti determinate. Ritenuto per- tanto le prime due formole (35) diverranno (38) $ (r) = r^ — a'^ h^ , $, (^ ^ ^j _ ^2 ^12 ^ perciò gl'integrali (36) si trasformeranno in ii6 Scienze ?=8e"- ((r^ «2 /i2j ^p2 ^^'2 /^2^^ (38)^ >7 = £,e" p^. _^. /i.^(^a_^'2/,3]) ((r^ — «== /i") (r^ — «'^ /i^ )) nelle quali separando il residuo della somma in due residui parziali, si avrà D^n ((lr^—a%-)j '^ (ir^-a'h^) dr^-u'h^j) (39) \>? = Sg ,.^, ..?.,.^ + (^ — ^)o: e^'^ D^ n eseguendo adesso l'estrazione dei residui relativamen- te alle radici (4o) ri = ah , /'2= — ah , rs = a'h , r4 = — ^'^ e chiamando JIi » Ha » Ils , 114 ciò clie diviene E per la successiva sostituzione delle quattro radici ri , 7\ , '"s » 7^4 » e ponendo iri fine (46) H = ea'th jj^ _ e-a'rt jj^ (e"'/' n, — e-"<^' n^) 2 a '/ì^ 2a /i3 Applicazione del calcolo ec. ii' otterremo senza difficoltà C, = — (Po H- - — -, 7 , ? , S, si potranno eliminare it8 Scienze coll'eseguirc una o più derivazioni relative a t. Così | per una prima derivazione riguardo a t, noi abbiamo — ^ '^ Y' t ^. 1*. Osservando adesso che i coefficienti delle fj , iLj , Xi » ^o » ^» svaniscono per i = o , ricaveremo evi- dentemente Qalh I Q-alh 1? = — z — '^'^ "^^ y„ ^ — -7 — j^i -*- D0.8 (45) L = '^o'^JM ~ l'i'. -HD,a -alh ^, f gai/j _^ Q.alh \ 8 sarà determinato dall'equazione (44) » che diverrà anche essa (46)D^~=/ ^ -L $, -H r r ^ i 1 Z L$, «/ 0 •■' O O Appucazioite del calcolo ec. un Oltre le precedenti trasformazioni non sarà inutile d' indicare brevemente quelle che provengono dalla sostituzione della caratteristica k[/' — i in luogo del- la h\ vale a dire (47) /i = ( DJ ^- D^ H- D=, ) 2 _ A- I/--I Le formole (4i) diverranno sen (atk) ^ = cos {atk) 9, H — 9, h- D^S sen (atk) (4«) < n^cos (atk) (^oH -~ 3 = cos (atk) (i^ ~i- r dt cos (atk) <^j -j- D^a e la 8 determinata dalla (5o) porgerà D,8 = f^ dt( ri'2 cos [a'tk) — a^ ^^^ (arf^)) $0 •i- f 1 dt (di (a'2 C05 (a'^A-) _ a^ cos (atk)) ^ $j Q Vieste diverse formole, ed in particolare le ultime (5i) e (Sa), sono pienamente d'accordo con quelle, che il sig. Cauchy per altre considerazioni trova al- la pag. 40 dei Comptes rendus, primo semestre 1842. Tutti gl'integrali siraLolici, ottenuti nei diversi para- Applicazione del calcolo ec. 121 grafi di questa Memoria, si trasformeranno in inte- grali definiti per mezzo di certe formole dovute a Poisson ed a Fourier, e che dai medesimi geometri e da altri , ed in particolare dal sig. Cauchy, sono state adoprate assai vantaggiosamente per rappresen- tare gl'integrali dell'equazioni lineari a derivate par- ziali. Così riducendosi a quattro le variabili indipen- denti, la funzione principale che verifica un'equazio- ne caratteristica a derivate parziali sarà espressa per la formola di Fourier con un integrale definito se- stuplo, e che si ridurrà ad un integrale definito qua- druplo se sia omogenea l'equazione caratteristica, ed in alcune circostanze particolai'i ad un integrale de- finito doppio. Noi per completare questa Memoria ci fermeremo in alcuni dei seguenti paragrafi sopra que- ste differenti formole , per trasformare in seguito la funzione, e le s'ariabill principali^ in integrali de- finiti. — »a9-^^O^i&«=- 132 Storie di febbri perniciose^ e cenni sulle medesime y del prof. C. Maggior ani. Ei li v'ha poche malattìe che per la prontezza dell' insorgere, per la varietà de' fenomeni che l'accompa- gnano, pel gravissimo pericolo in che mettono la vita dell' infermo e per la maravigliosa virtù del rimedio capace a debellarle , sian così adatte a stimolare la curiosità del patologo , quanto le febbri perniciose. Per ciò fior di scrittori hanno impreso ad arricchirne la storia, ad investigarne la natura, a stabilirne con salde prove il metodo curativo: tuttavia non è sciolta ogni difficoltà, non è tutto ridotto a chiarezza il dub- bioso. Cosi per esempio : quando un sintoma o un gruppo di sintomi concomitanti una febbre periodica le imprimon carattere di perniciosa, e quando non la sollevano dal novero delle intermittenti benigne? La febbre periodica acquista forse natura di perniciosa pel solo fatto del congiungersi ad essa un altro pro- cesso morboso ? La flogosi costituisce spesso un ele- mento delle perniciose ? Perchè le soporose abbon- dano sopra le altre ? Donde avviene che alcune pe- riodiche non degenerano mai in perniciose, quantun- que mal curate o neglette, ed altre invece vi si con- vertono sì facilmente ? In che relazione trovansi que- ste febbri colle cause remote ? La china le tronca for- se per un'azione specifica, o è rimedio al periodo ? E perchè questo farmaco non è sempre valevole ad es- pugnar tali febbri, comecché non si trascurino i sin- Febbri perniciose I23 tomi o le complicazioni morbose ? Per qual ragione la milza trovasi costantemente ammollita in seguito delle perniciose, mentre le periodiche benigne v'in- ducono piuttosto ostruzioni e induramenti ? Quali al- terazioni presenta il sangue in queste febbri, e clie parte gli si dee attribuire nella patogenia delle me- desime? Ecco altrettanti punti, alcuno de' quali non ancor tocco, ed altri meritevoli pure di nuovo stu- dio; talché, non ha molto, insigni accademie ne trae- vano argomenti, sui quali si avessero a far gare d'in- gegno. Parecchie storie di febbri perniciose, raccolte la più parte nell'ospedale di s. Spirito, ini porgeran- no occasione di ragionare sui temi proposti. I. Un contadino assai giovane, di tempra biliosa e di color terreo, proveniente dalle campagne di For- mello , dopo essersi esposto all'aria fresca col corpo riscaldato e sudante, ai 2 di luglio, previo un senso di freddo ai piedi, fu assalito da febbre accompagnata da generale lassezza e vertigini caduche. Il giorno se- guente fu libero da ogni incomodo , in maniera da ripigliare i lavori campestri. Il /^ nuovo accesso di febbre preceduto da brividi, e colla medesima giunta di capogiri tenebrosi e caduchi; questa volta più per- tinaci e con maggior disordine dei sensi. Il 5 senza febbre e senza alcun travaglio di capo, ma pallido e malinconico entrò all'ospedale, ove gli fu amministra- to un purgante di cremor di tartaro e rabarbaro. Il 6 segue il terzo parosismo nella mattina con profondo sopore, squallidezza del volto, decubito supino, estre- mità inferiori divaricate, polsi molli , respiro tardo. 124 Scienze L'infermo non risponde alle clomantle e se apre gli occhi torna subito a chiuderli ( si estraggono otto once di sangue). La febbre si sciolse nella sera con sudore, dopo il quale non rimase che un pò di fre- quenza ne' polsi e un certo stupore ( si presci'ive il solfato di chinina alla dose di quattro grani ogni due ore ). Il 7 apiressia, ma con qualche sonnolenza. TSel dì seguente ritorna l'accesso più mite dell'altro ( si ripete il solfato) ; e questo fu l'ultimo. Il malato è debole, squallido: e quantunque i sensi avessero ri- cuperata la lor virtù, pur gli rimase una stupefazio- ne, che parecchi dì il tenne stordito. II. Uno studente, dopo aver commesso nell'agosto qualche disordine nel vitto, fu assalito sul mezzodì da febhre a freddo che nel suo declinare lo travagliò con un molesto capogiro, ond'egli non sapea muo- ver la testa , che gli oggetti della camera non gli girassero intorno. L'accesso si sciolse con sudore, la- sciandolo libero della febbre e della vertigine. Il gior- no dopo prese un purgante , e al terzo si ripetè il parosismo collo stesso sintonia. La sordidezza della lingua e il senso di peso allo stomaco consigliaron l'emetico, il quale però non impedì un terzo acces- so accompagnato pure da capogiri, sebbene men for- ti e meno frequenti. Allora si die mano alla china che troncò subitamente febbre e sintoma, senza che ne l'ìmanesse traccia veruna. E chiaro come in questi due casi lo stesso sin- toma abbia diverso significato e valore diverso. Nel primo la vertigine è foriera della congestion cerebra- Febbri perniciose i25 le, che va poi a stabilirsi , e presagisce una perni- ciosa: nel secondo è fenomeno innocente, suscitato da gastrica colluvie , e per legge di abitudine man- tenuto in parte anclie dopo emendata la condizione del ventre. Un sintoma estraneo, che si coneiunsa al- le periodiche, basta a taluni per designarle quali per- niciose e gridare al pericolo: ma che una febbre en- tri con movimenti convulsi della persona o che sia accompagnata da delirio o da vomito; questi disordi- ni non sono ancor sufficienti a caratterizzarla come perniciosa, se non vi si associno quella prostrazione di forze , quell'abbattimento mortale , quella facies lurida che, secondo il detto di P. Frank, a medico dignoscitur quìdem, sed calamo describi non potest {Interpr. din.); o se in fine non concorrano tali se- gni, che mostrino un grave patimento della vita. Al- cuni individui delirano per lievissime cagioni e, non che un impeto febbrile , basta un dolore, un salasso per farli alienar della mente. Altri si convellono ad ogni piccolo disordine della macchina , ne per l'ag- giunta di tal sintoma incorrono maggior pericolo nel- le malattie, da cui sono travagliati. Lo stesso discorso potrebbe tenersi per molti altri fenomeni morbosi che possono collegarsi alle periodiche, senza perciò com- municargli nota di estrema gravezza. Potuìssem, no- tava Senac, nonnulla re/erre quae ad eiusmodife- bres proxime accedunt, et quae tamen mali om- nino non sunt moris; somnum v. g. veluti lethar- gicum in quibusdam argris observavi, licei nul- lum intentar etur discrimen; colici dolores simili- ter et in quibusdam mulieribus praecipue mihi occurrerunt, uti et dolores per artus sparsi (De recoud. febr. interm. natur.). E P. Frank che ci ave- 126 Scienze va già ammoniti , non paucos medicos vel nimiae culpa formìdinis, vel captandis sanationis gloria et lucro denominat'ione perniciosarum abuti (ibid.), ci ha lasciato le storie di una febbre algida e di una lipotimica , immeritevoli del titolo di perniciose. Il sintoraa adunque che accompagna le intermittenti, a ben pesarne il valore, vuol essere studiato d'accordo agli altri fenomeni della malattia , e alle cause che la produssero. Ce ne porge esempio la storia seguente. III. Un conladino di anni 3o, di sana costituzione, proveniente da Fiumicino, fu condotto all'ospedale il 20 agosto con febbre accompagnata da calore uren- te, volto acceso, dolor di capo, afonia^ senso di strin- gimento alla gola, respiro frequente , ansietà , basso ventre teso e dolente sotto la pressione (una libbra di sangue dal braccio: sangue naturale). Poco dopo il salasso, e sei ore dopo l'ingresso della febbre, l'in- fermo ricuperò voce e favella , anche prima che si sciogliesse il parosismo : ciò che segui la notte con dirotto sudore (Solfato di chinina ec. ). La mattina seguente era perfettamente apiretico: e richiesto sul- la storia del suo male, narrò di aver sofferto un al- tro accesso dì febbre , ma senza quella tormentosa privazione della voce, di cui non aveva mai patito. Continuò per qualche giorno nell'uso della china, e la febbre scomparve. La sola afonìa non basterebbe altrove a dichia- rar la febbre mail moris^ come quella che, d'accor- do allo stringimento della gola, può indicare uno spa- smo di genio ipocondriaco, e per ciò di natura men Febbri perniciose 127 grave. Aphoniasnovi diversas habitu foeminas tam acquali tenore invasisse^ ut eodem prorsus, quam pridie, momento levis horror^ lassitudo universa- liSi celeritas pulsuum calorque vagus , interdum vehemens cum dyspnoea sub intra reiit', eadem fe- ra hora dissipatis febriculae satellitibus, vox da- rà , sonora rediret ; acquali temporis intervallo iterum disparitura ( De periodicarum affect. ordi- nandis famil. ). E quel che P. Frank asserisce delle isteriche, si ripeta anche degl'ipocondriaci. Ma nel ca- so nostro, in cui la febbre periodica riconosce ben altri natali che la condizione isterica o ipocondi'ia- ca, e in cui l'accensione del volto e la cefalea mo- stran bene l'incominciata flussione al capo, l'afonia non può riguardarsi come innocente fenomeno di rap- porti consensuali, ma come segno anch'essa di con- gestione nelle parli superiori, e per ciò atto ad istruir- ci sulla gravezza della febbre e sulla sua tendenza a divenir perniciosa, ove non fosse slata prontamen- te combattuta. IV. Un soldato di bianca carnagione, occhi vivaci, proveniente da Termini, fu condotto all'ospedale, ove presentò febbre con polsi validi, calore urente, mol- ta sete, volto acceso, respiro frequente, corpo irre- quieto in modo che appena si riusciva ad esplorar- gli il polso ( Si prescrive un salasso e la limonea tartarizzata). Un profuso sudore dissipò ogni slnto- ma, e die luogo all'amministrazione della cliina. Il giorno seguente tornò l'accesso più mite e senza in- quietudine : il terzo fu totalmente apiretico. Questo 128 Scienze malato aveva sofferto un altro accesso con eguale in- quietudine' innanzi di entrare all'ospedale , per cui era già statò praticato un salasso. Dopo tre settima- ne vi ritorna con' febbre accompagnata dagli stessi sintomi , e si oi'dinano nuovamente il salasso e la cbina : ma il terzo giorno, dopo aver mangiato del pane recatogli di soppiatto, la febbre ringagliardì, e alla solila smania si aggiunsero contrazioni tetaniche di tutti i muscoli estensori del collo, del dorso, delle estremità, con straluuamenlo di occhi e soppression del respiro. Questi insulti duravan pochi secondi, do- po i quali tornava la calma, e cessava pure un do- lor larcinante che soffriva alla regione ombelicale, e da cui sembrava aver principio 1' attacco , come da un'aurea epilettica. L' ombelico era avvallate anche fuor degli insulti, che duraron circa una mezz'ora; ^ quindi andò scemando la febbre che al solito finì col sudore. E questo fu il primo ed ultimo parosisrao di febbre accompagnato da spasmi tonici. Ci narrò poi rinferrao che, già da sei anni, egli pativa due o tre Volte il mese di mal caduco, i cui accessi comincia- van sempre da un senso di molestia alla regione ombelicale. Un cuciniere di rosea carnagione, capelli bion- di, occhi cerulei, alito asciutto, soffriva da molto tem- po insulti epileltici, che si ripetevano una o due vol- te il mese senz^ ordine costante. Sul finir di luglio si fece trar itsangue pé-r liberarsi da- un dolor di ca- po che il molestava : ciò non ostante il primo di ago- sto fu assalito da febbre e caldo , che ( secondo la Febbri perniciose laq sua narrazione) ne'glorni seguenti esacerbava sul mez- zodì, senza lasciarlo mai del tutto apiretico. Il 3 e 5 si aggiunsero alla febbre movimenti convulsi con ismarrimenti momentanei dell'intelletto : ed il 7 si presentò all'ospedale con poca febbre, polsi tesi, do- lor di capo, lingua bianchiccia e panìosa ( salasso di once 8 : sangue naturale ). Non molto dopo estratto li sangue l'infermo è sorpreso da un vivo dolore alla forcella del petto e senso di tensione all' addome ; comincia indi un gemito, la respirazione si rende cor- ta, difficile, sonora, gli si serra la gola, chiude forte- mente gli occhi , increspa la fronte verso la radice del naso, perde i sensi, si contorce , getta la testa all'indietro : poi torna a gemere, sospirare, e finisce coll'espeller saliva spumosa dalla bocca. Terminato il parosismo epilettico, gli si amministrò un purgante d'olio di ricini, che produsse nella giornata molte evacuazioni e con gran sollievo dell'infermo. La mat- tina seguente, essendo la febbre in declinazione, si prescrisse il solfato che impedi il ritorno dell'insul- to epilettico, ma lasciò riprodurre qualche altro leg- gero accesso di febbre, che fu poi vinto colla perse- veranza nell'uso della china. In questi due casi la febbre periodica ha risve- gliata una malattia abituale, il cui germe esisteva già nella macchina : ne son quindi risultati accessi più gravi, ma non perciò da annoverarsi fra i perniciosi. I principali sintomi aggiunti alla febbre appartene- vano all'epilessia riprodotta , la quale non fu nem- meno più forte e di maggior durata di quel che so- lesse innanzi le febbri. Tre parosismi accompagnati da convulsioni epilettiche e trascurari non minaccia- ron la vita, non consumaron le forze, né seeuinne G.A.T.XGIX. g i3o Scienze alla maccìiina quella squallidezza, quello sfinìrnenlo^ quella facies consìmiUima moritiwo, che già Salia Diverso aveva segnalato nelle intermittenti maligne. Pronta e facile erane pure la guarigione, e breve la convalescenza. Si distinguano adunque le periodiche divenute più imponenti, dal riaccender che fanno un altro processo morboso, da quelle che son micidiali per loro stesse. Un individuo affetto da aneurisma del cuore o dell'aorta, soprappreso da febbre periodi- ca, offrirà un quadro spaventevole di sintomi; affan- no, ambascia, sincope : egli ne sarà vicino a morire. Un illustre personaggio di alta statura e petto angU' sto, slato soggetto a vizio erpetico e reumatismo ar- ticolare, offriva da qualche tempo negli accessi d'as- ma, nel valido impulso del cuore , nelle soffermate del polso, negli sputi sanguigni, non dubbie prove di un' offesa precordiale; allorché nel mese di marzo fu assalito da febbre preceduta da freddo intenso, e che si dileguò con copioso sudore. Incredibili furono il tumulto della circolazione e le difficoltà del respira e l'inquietudine e l'anelito e le trafìtiure alla regio- ne del cuore, che travagliaron l'infermo ne'due paro- sismi seguiti Con tipo di terzana : pure soli dodici grani di chinina bastarono a vincerla totalmente. E chiaro che in lai caso la vita è minacciata, non dal genio della febbre, ma dall'aggravar ch'essa fa il vi- zìo strumentale, traendo a maggior disordine il circo- lo. Avviene il contrario delle vere perniciose, le quali insidiano la vita per intrinseca loro malvagità, sen- za bisogno che altro principio morboso le si con- giunga ad aggravarle. Non già che le perniciose va- dano esenti da complicazioni ; non vi ha infermità che goda di tal privilegio : ma in queste l'elemento Febbri perniciose i3i complicante o si aggiunge in progresso del male, o oe costituisce un effelto, o rimane almeno subordi- nato alla causa principale, e serve solamente a mo- dificare la forma della malattia. Questa seconda categoria, cioè delle perniciose propriamente dette, mi sembra ben distinta dall'altra, cioè dalle periodiche associate ad un altro processo morboso, per tutte le ragioni onde si valgono i pa- tologi a contrassegnare le differenze delle malattie. Così notasi in esse qualche particolarità nelle cause atte a suscitarle. Tutti sanno che alcune provenien- ze sono più sospette che altre per la generazione di tali febbri, e che alcuni individui vi son più che al- tri sottoposti. Che occorrono raramente nella prima- vera , essendo frequenti in autunno : che l'influen- za della costituzione epidemica non è la stessa per le intermittenti semplici o complicate, che per le ve- re perniciose; di maniera che in alcuni anni, in mez- zo ad una grande epidemia di periodiche, appena è che si vegga qualche perniciosa: e altre volte le feb- bri di questa fatta eguaglian quasi di numero le sem- plici intermittenti. Caratteristico è il loro aspetto; la faccia lurida e tetra, il color plumbeo, subilterico, ci- nerognolo; costante la prostrazion delle forze : Ma- xime omnium virium iunctam habent prostratio- nem eminentiorem ( Hoffman, Med. rat. ). Breve n'è il corso; pochissime oltrepassano il terzo accesso. Il metodo curativo, salvo il riguardo a qualche sinto- ma, non dee soddisfare a più indicazioni; uno è il rimedio , e di questo si esige più larga dose ; mag- giore d'assai è la tolleranza di esso nell'infermo, il quale liberato dalla febbre non ne rimane però del tutto illeso, ma ne conserva per qualche tempo i ve- I i32 Scienze sligi. Le offese locali, che ci mostrano i cadaveri, son per lo più il fruito di congestioni stabilitesi durante gli accessi febbrili , non indizi di primitive compli- cazioni. Le lesioni infatti, che più frequentemente s'in- contrano ne'morti di perniciose cefaliche, si trovano proporzionate alla lunghezza degli accessi soporosi , cioè alla stasi che vi fece il sangue; e sono assai me- no cospicue nel cranio di quegl'individui, in cui la morte giunse prontamente. Eccone qualche esempio. VL Un contadino di circa anni 3o, di costituzione attiva, si recò all'ospedale il 24 luglio senza febbre, ma con dolore di capo, lingua sordida, color terreo (Cremor di tartaro e rabarbaro. ). La sera fu assali- to da febbre, che declinò la notte, in cui si comin- ciò ad apprestargli la china. I giorni aS e 26 la feb- bre non presentò che lievissime remissioni, e si con- tinuò nell'uso dello stesso rimedio. La mattina del 27 parosisrao di febbre con tutti i sintomi delPappo- plesia, che in poche ore il battè morto.- La cavità del cranio non offri alcuna lesione notabile, tranne qual- che stria rubiconda. nella dura meninge, e poca inie- zione ne'vasi della pia madre. L'intestino tenue era spalmato di un denso muco giallastro; l'ileo conte- neva lombrici in buon numero , e mostrava rubori della mucosa intorno ad essi ; questo intestino pre- sentava qua e là non pochi ristringiraenti. Il colon era quasi tutto stivato di fecce durissime. La milza spappolata. Febbri perniciose i33 VII. Un vecchio contadino, di debole cosliluzione e linfatico, abitante le sponde del lago INemi, fu con- dotto all'ospedale il dì 8 agosto, ove presentò febbre con polsi e cute molli, perdita totale de'sensi e del moto, faccia lurida , respirazione slertorosa e inter- rotta ( senapismi alle piante de'piedi.) Un profuso e general sudore sciolse lo stato appopletico nella not- te, in guisa che alla visita della mattina seguente po- tè rispondere alle interrogazioni, e informarci ch'egli era malato da i5 giorni di febbri periodiche, non sa- pendone precisare il tipo , e allegandone per causa l'umidità della notte ; disse pure non aver fatto uso di alcun rimedio, e non aver reso escrementi da più giorni. Conservava ancora un qualche stupore de'sen- si, la lingua sordidissima, il ventre tumido, ma non dolente ( Due once di china nel vino. ). Nella visita pomeridiana continuava nel medesimo stato; e aven- do ingollato tutta la china, si aggiunse una dose di solfato; ciò però non tolse che prima di sera non si ripetesse altro accesso di febbre appopletica che lo ri- dusse a morte il dì seguente, malgrado dei dirotti su- dori che usciron la notte, e che avevan fatto sperare lo scioglimento del nuovo parosismo.- I vasellini del- l'aracnoidea minutamente iniettati; poco siero fra la pia madre e il cervello : vasi maggiori ingorgati di sangue, ed alcuni ( presso la sella turcica e sotto i lobi anteriori ) obliterati. Cervelletto ammollito. Pol- moni flaccidi di color verdognolo , poco crepitanti ; qualche aderenza fra le pleure. Pareti del cuore flac- cide e assottigliate con manifesta dilatazione delle si- i34 S e I E I» K E nistre cavità. Fegato bruno che si sfracella fra le di- ta, premendolo. La milza è un sacco ripieno di una poliiglla , color feccia di vino , che scorre fuori aU lorchè viene incisa. Moki gruppi di lombrici nell'ileo, ai quali corrispondono altrettanti rubori nella mu- cosa. Parecchi ammassi di fecce durissime nel cieco, in tutto il tratto del colon, e specialmente uel retto» La vescica distesa da molta orina. vm. Un contadino di anni presso a 6o, cute bruna, rugosa e robusta costituzione, fu portalo all'ospedale il 20 ottobre , ove accusò febbri periodiche gìorna* liere, ma non seppe precisarne il numero. Gli fu da* to un purgante. La sera accessione di febbre con vol- to acceso, agitazione , vaneggiamenti ( sì estraggono IO once di sangue che è naturale ) ; notte inquieta e con obblìo de'naturali bisogni. Alla visita della mat- tina seguente ci presentava i polsi deboli, molli, fre- quenti, la cute umida e non più calda del naturale, faccia squallida con pomelli e palpebre rossastre, as- sopimento , occhi fìssi , congiuntive di color giallo- gnolo, decubito supino, ventre tumido, la cui com- pressione mostrava di esser molesta all'infermo, boc- ca aperta che lascia vedere la lingua riarsa e di co- lor roseo ( Non si riesce a fargli inghiottire il sol- fato e si amministrano clisteri di china ). Sul far del- la sera esacerbazione di febbre con volto acceso, so- pore più profondo, perdila totale de'sensi, respiro afr- fannoso e sonoro (Sanguisughe alle terapie e sena- pismi ai piedi ). L'infermo si è mantenuto in questo slato per due altri interi giorni, lincile n'è seguita la Febbri perniciose i35 morte, senza offrire altra varietà di fenomeni che i sudori nelle ore in cui soleva declinare la febbre. Due cucchiaiate di siero sanguinolento fra le lami- ne deir araciioidea e nel quarto ventricolo ; la pia madre molto iniettala. Il cervello, ovunque si taglias- se, appariva sparso d'innumerevoli minutissime mac- chie di forma ovale, altre di un rosso vermiglio, al- tre di un color più cupo; il cervelletto offriva la stes- sa apparenza. Alzando i lobi anteriori del cervello, si osservarono i vasi maggiori turgidi di sangue. Nul- la di rimarchevole nel petto. Il fegato ammollito e la milza intieramente disfalla. La mucosa dello sto- maco e del tenue offriva qua e là degli arrossamenli arboriformi, ed era spalmata di un denso muco gial- lastro che abbondava in ispecie nell'ileo, ove si fa- ceva nido di grossi lombrici. Il colon trasverso im- mensamente disteso dall'aria, il discendente ed il ret- to stivati di scihale cretacee e durlsaime. La vescica piena di orina. Si paragonin fra loro queste tre ultime storie, e chiara emergerà la relazione fra la gravez/a delle offese rinvenute nel cranio , e la durata della stasi sanguigna ne' vasi meningei e cerebrali. Nel primo caso, quantunque si trattasse di un accesso appopleti- co, lievissime pur sono le alterazioni che ci presen- ta la testa; non versamenti, non punteggiature, non trasudamenti sanguigni: una leggera iniezione della pia madre costituisce tutto il disordine cerebrale; poi- ché la prima flussione al capo estinse la vita, e poco vi durò in conseguenza l'ingorgo sanguigno. Lesioni più rimarchevoli ci offre il vecchio della seconda sto- ria, in cui la morte avvenne dopo il secondo paro- sismo; e finalmente il maggior numero di offese rin- i36 S e I E w z e viensi nel terzo esempio , ove la congestione cere- brale fu permanente piìi di tre giorni. Ne vorrà op* porsi che la differenza delle alterazioni nei tre casi narrati, oltre la durata diversa della stasi sanguigna, potesse anche dipendere dalla natura diversa del pro- cesso morboso; poiché le iniezioni vascolari, i versa* menti di siero sanguigno , e i minuti stravasi nella sostanza del cervello, che lo fan parere picchiettato di rosso, non sono certamente fenomeni che trascen- dano i limiti della pura congestione. Cade anzi in acconcio il notare, che non si allontanano da tal na- tura anche le offese del capo di quegl'individui, in cui gli accessi febbrili vesti van forma delirante o fre- netica. Così nel caso che siegue. IX. Un giovane contadino di bruna carnagione, sta- tura elevata , abito asciutto , complessione robusta , che non aveva sofferto altre febbri di periodo nell' anno, dopo essere entrato in forti collere ed escan- descenze, ammalò di febbre, che riferì esasperarsi ogni sera e declinar la mattina con sudori. Dal tenimento di Maccarese fu trasferito all'ospedale il 20 novem- bre con fehhre, tosse, volto acceso , guardatura in- certa, lingua sordida, ventre leso. La mattina seguen- te remissione di tutti i sintomi in seguito di sudore. Passati così tre giorni, sopraggiunge il delirio che ces- sa la mattina e torna la sera coll'ingrandir della feb- bre. Il delirio è quasi sempre mite , ma in. alcuni momenti divien feroce e offensivo. Dopo tre giorni d'intermittenza esso diviene continuo. Non parla, fis- sa gli occhi sugli astanti, gesticola in modi ridicoli Febbri perniciose 187 alzando le braccia vei'so la testa e movendo le dita in istrane guise : questi moti si succedono rapida- mente e con sorprendente regolarità. Cessano le ge- sticolazioni e incomincia a garrire sconnesso, lascian- do uscire spesso una schiumosa saliva dalla bocca: ra- ro è che inghiotta qualche stilla di liquido. A que- sto stato, che ha persistito 36 ore, è succeduto un breve intervallo di tempo, in cui risponde alle inter- rogazioni, inghiotte liberamente, fa vedere la lingua, che si è mantenuta sempre sordida: cade quindi in un profondo sopore e in poco sen muore. Fu curato con un salasso, applicazioni di sanguisughe alle tem- pia, purganti, vescicatori e china.- Furono riuvenuti i seni della dura madre assai turgidi di sangue, in- iettata l'aracnoidea, punteggiato il cervello, con qual- che effusione di siero sanguinolento alla base del era-* nio. Il basso ventre offriva le stesse apparenze, che s'incontrano ne' casi di perniciose cefaliche : inoltre la cistifellea era enormemente distesa da una bile te- nace di un verde cupo, che inondava anche lo sto- maco, e di cui era spalmato tutto il tratto intestinale. Or chi , dopo lungo delirio febbrile e attacchi maniaci, non si sarebbe aspettato a trovar maggiori alterazioni nel cranio di quelle che sogliono rinve- nirsi nelle semplici comatose ? E la stessa leggerezza di offese ebbe ad osservare il prof. Folcili in quel- l'uomo che fu assalito da febbre cum insania adeo veheìnenti, ut eum valetudinarii ministri vinculis coercere debiierint\ e pure le indagini fatte sul ca- davere non isvelarono che i vasi della pia meninge appartenente al sinistro emisfero aliquanto turgidio- re et magis cospicua^ praecipue ad lobi niedii par- tem inferiorem : ibi etiam levia apparebant seri i38 Scienze gelatinosi vestigia ( Exercitat. patliolog.). Perciò non seppi intendere come in uno scritto, che meritò pu- re di essere inserito fra le memorie dell' accademia di medicina, Itard togliesse a sostenere che una flo- gosi cerebrale acuta o cronica debba riguardarsi co- me la causa delle febbri perniciose, deliranti , sopo- rose, convulsive ec. Ecco un caso che egli allega a sostegno della sua tesi. « In seguito di forte percossa alla testa, accesso di febbre gagliarda con brividi, do- lor di capo , delirio che alterna col sopore , accen- sione del volto , dolore acutissimo al collo. Questi sintomi scompaiono la mattina seguente per quindi riprodursi lo stesso giorno ; otto accessi si succedo- no collo stesso ordine , ma dopo il nono i sintomi divengono permanenti e il malato muore comatoso. 'Aperto il cadavere, trovansi le meningi infiammate con trasudamento puriforme, la sostanza del cervello corrispondente alle ferite annerita e liquefatta, frj^t- turata la terza vertebra del collo, e la membrana del midollo spinale leggermente infiammata nel luogo cor- rispondente. » Clìi ci guida qui a riconoscer la per- niciosa ? E qual medico, a cui sia familiare il sem- biante di tal febbre, ne applicherebbe il nome ad una malattia , che ha origine da causa traumatica , fa il corso ordinario di una infiammazione, durando an- che più di nove giorni e termina con gli esiti ordi- nari della medesima ? Se delle esacerbazieni quoti- diane più distinte del consueto, e a forma di accessi, costituissero altrettante perniciose, una metà almeno della piretologia entrei'ebbe nel loro dominio. Il ca- so di otorrea riferito dallo stesso autore, e tratto dal Comparetti , prova solo che la febbre periodica può associarsi ad altre malattie; ma se in questo esem- Febbri perniciose 189 Y)lo la febbre ebbe bisogno di china, 1' otorrea non si sciolse appresso che mediante lo scolo di materia purulenta. Se però il princìpio generale , che una flogosi acuta o cronica generi le perniciose cefaliche, è as- sai lungi dal tenersi a salde e ben fondate ragioni, e trovasi anzi in aperta ripugnanza coi fatti, non è poi egualmente definita la questione: Se talora il pro- cesso flogistico^ legandosi alle febbri periodiche, non valga ad acquistar loro natura di perniciose: di che prendo volentieri a far qualche cenno, Che nel corso di alcune periodiche s'avvengano i medici in sintomi d'infiammazione ; che incisa la vena, il sangue si rinvenga talor cotennoso; che, do- po febbri giudicale perniciose, i cadaveri possano of- frirci indizi di pregressa flogosi : questi sono fatti no- tissimi. Rimane a vedersi se da essi discenda netto il corollario, che l'aggiunta del processo flogistico par- tecipi in tali casi alle intermittenti natura di perni- ciose ; 0 in altri termini, se abbiansi perniciose ri* sultantl da una semplice periodica congiunta ad in- fiammazione di qualche organo o tessuto. Vari e di natura assai differente sono i modi, onde si effettua la suddetta complicazione : cioè : 1.'° Il processo morboso dominante è la flugosi. La fibra dell'individuo non ha patito l'azione del cli- ma palustre, non è sfata modificata da reiterale in- termittenti; ma la stagione, il luogo, la costituzione regnante partecipano alla malattia l'andamento perio- dico, o aggiungono loro una febbre di tal natura. II suo corso è qual si conviene ad una infiammazione: il metodo antiflogistico mostra di giovar sopra ogni altro. L'uso precoce della china aggrava il male. Do- iz^o Scienze mata la flogosi non si rende più manifesto e più gra- ve l'elemento periodico. L'abito dell'infermo non pre- senta il solito squallore di chi ha sofferto una per- niciosa. 2.° Il processo morboso dominante è la flogosi, la quale però, accendendosi in una fibra profonda- mente alterata dal clima palustre , si diffonde poco all'universale, e si accompagna più tosto a fenomeni di atonia che di orgasmo arterioso. La colluvie ga- strica, inseparabile dalla dimora in detto clima, fa- vorisce la tendenza alla forma soporosa. L'infiamma- zione toglie la vita all'individuo con alcune delle sue fatali terminazioni, ed egli intanto offre l'aspetto di chi muore di perniciosa. 3° Il primo processo morboso in ordine di tem- po è il flogistico, il quale, attaccando organismo già maltrattato da lunghe e gravi periodiche, le sveglia nuovamente sul finir del suo corso, o durante il me- desimo , sia pel metodo deprimente usato a vincere l'infiammazione, sia pel cattivo suo esito, viziante la fabbrica di organi nobili. /|..° La flogosi è complicata fin da principio al processo delle periodiche; e a misura che si usano i mezzi opportuni a domar la prima, si fa più palese il secondo; ma la morte è cagionata dal sinistro esi- to dell'infiammazione. 5° La malattia dominante è la febbre periodi- ca, durante i cui accessi, in forza di peculiari dispo- sizioni, si stabiliscono congestioni in qualche viscere e specialmente al capo , le quali giungon talora a mostrarci nel cadavere alcuni fra i segni anatomici attribuiti alla flogosi, come le aderenze e i trasuda- menti gelatinosi : quantunque per questo stato non Febbri peiiniciose t4i fosse ingrandita la febbre, né aggiuntone esaltamen- to di forze all'organismo, ne cambiata in somma la condizione vitale dell'infermo. 6.° La febbre intermittente è complicata a scal- damenti superficiali della mucosa gastrica o enterica, che ne raodifican la forma , dando origine a nuovi gruppi di sintomi indipendenti dalla febbre: ma non ispiegano chiaramente il suo passaggio in perniciosa. 7.° La febbre intermittente assalisce individui afflitti altre volte da tal malore, e di più sottoposti a croniche infermità del polmone, del fegato, degl'in- testini ec. Essa vi giunge al grado di perniciosa, sen- za che queste offese si possano con certezza accagio- nare dì tal conversione. I casi seguenti serviranno a sparger luce sulle enunciate proposizioni. X. Un portiere olandese di mezzana età , costitu- zione robusta, tempra sanguigna, dimorante in Fra- scati, dopo errori nella dieta e abusi di vino fu assa- lito il primo di agosto da febbre, che, secondo i cen- ni trasmessine dal medico locale, offrì per otto gior- ni andamento quotidiano con esacerbazioni vesperti- ne e larghe remissioni al mattino. Convien dire che essa fosse accompagnata da qualche sin toma d' irri- tazione gastro-enterico, se il sudetto scriveva: « Che si era avuto motivo di sospettare qualche lesione del- la membrana mucosa delle prime vie. >» Fu pratica- to un salasso: indi premesso un emeto-catartico , si amministrò la chinina e il decotto di china rabarba- rato. Il dì g fu condotto all'ospedale con febbre, fac- cia accesa, sonnolenza, stupidità, respirazione tarda, i^a Scienze ipocondri tumidi, basso ventre dolente sotto la pres- sione, diarrea ( i6 sanguisughe alle tempie, fomenta- zioni emollÌLMitl, lìmonea vegetale). La notte recò su- dore e remissione, sicché fu ripreso l'uso della chi-- na a larga dose. io. Esacerbazione di febbre e dei sintomi cerebrali , onde si torna all'applicazione di x6 mignatte alle tempie, dalle quali si ottiene moU tissimo sangue. Remissione e sudore nella notte (Sol- fato di chin. g. 28). Il, Nuova esaltazione di febbre, con faccia accesa e vaniloquio {16 sanguisughe alle tempie ) : sudore e remissione nella notte t solfato di chin. g. a6), la, i3, 14. Continua la sonnolen- za, un movimento febbrile sul far della sera, ventre sciolto, sudori nutturni ( Emulsioni e fomenti), i5, i6. E scomparsa la febbre, ma persiste una certa stu- pidità; la lingua è sordidissima. L'olio di ricini pro- vocò molti scarichi di ventre. Dopo due giorni di apiressia, si è manifestata una risipola, che cominciò dall'occupare il solo naso; indi gradatamente si an- dò estendendo sui lati fino alle orecchie , che ne furono le più affette. La faccia era assai gonfia e la lingua copeiia di una pania giallo-brunastra con pro- fonde fendilure. Una nuova febbre con cute e polsi molli, e andiimenlo remittente, accompagnò la risipo- la in tutto il suo corso , finché giunse la convale- scenza. E noto che, essendo in vigore una costituzione epidemica di febbri periodiche, le maialile intercor- renti partecipan di loro forma, e quelle che in altra stagione e sotto altro clima avrebbero corso i loro stadi con andamento conlinuo, si mostrano allora più inclinate a larghe remissioni e generali sudori. Hoc in primis saepissime ucciditi cimi fehres interinit- Febbri perniciose i^3 tentes epidemice pervagaiitur vel salU'in morbam pru edominante m et stationarlum efficiunt. Nam tum omnes fere morbi aliquid simiUtadlìUs cum intermittendibus habent, vel quaecwnque etiam a- liae febres sporadicae aut intercurrentes cum in- termìttentlbus ipsis complicantur ( Burser. ). Nel caso nostro la natura delle cause manifeste, cioè gli errori nel vitto e l'abuso del vino, la durata di tre settenari, l'apparizione di sintomi cerebrali non pri-* ma del nono giorno, il benefizio corrispondente più alle deplezioni sanguigne e alle evacuazioni, che aU l'uso della china , dopo la cui terza dose comparve all'undecimo la più grave esacerbazione, la crisi per metastasi alla pelle, come suole talora avvenire nelle vaghe flogosi membranacee, la febbre erisipelatosa so- pravvenuta e non degenerata in periodica, il florido colorito dell'infermo non deturpato mai dallo squal- lore che inducono le perniciose; tutto indica che il fondo della malattia era una gastrica inflammatoria con diffusione al capo, a cui la costituzione regnan- te aveva aggiunto una febbre periodica. XI. La mattina del primo di settembre fu condotto dalla torre di s. Severa all' ospedale un soldato di anni presso a 4^» pelle bruna e costituzione robu- sta. Poco rispondeva alle interrogazioni, né altro potè ricavarsene, se non che egli era malato da 5 giorni, e senza notabile interruzione. Presentava la faccia di color terreo e alquanto gonfia, i polsi molli e fre- quenti, la cute umida e non più calda del consueto, il respiro affannoso, la lingua pallida con solco bian- i44 Scienze co nel mezzo, gli ocelli pesanti , decubito supino , sonnolenza. Fu praticalo un salasso e il sangue si mostrò cotennoso; indi si die mano al solfato; ma sul mezzodì la respirazione divenne stertorosa, la sonno- lenza si convertì in profondo sopore, e in poche ore sopraggiunse la morte.- Nulla di rimarchevole si rin- venne alla cavità del cranio. Il cuore e i grossi vasi, e specialmente le iugulari interne, contenevano gru- mi di sangue tutto fibrina. La superfìcie esterna di questo viscere era sparsa di macchie di un rosso vi- vo. Il pericardio era cosi aderente allo sterno, che a mala pena potè distaccarsene. Il polmone destro in- tieramente epatizzato, e in parte aderente anch' esso allo sterno. Il fegato voluminosissimo e di un rosso vivo: ove fosse tagliato lasciava stillar molto sangue. La milza di color grigio. La mucosa degl' intestini offriva qua e là delle strie rubiconde : l'ileo conte- neva molti lombrici. In questo frammento di storia ci rimane pure di che giudicare , che la morte dell' individuo fosse principalmente dovuta alla violenta infiammazione dei visceri del tox-ace. Pure la stagione, la provenienza da luogo malsano, lo squallore dell'infermo, l'assopi- mento osservato in fine del male, potrebbero insinua- re l'idea di un attacco pernicioso ; e non si avreb- bero dati bastanti per dimostrarla insussistente. Ad ogni modo è chiaro che in quest' individuo, oltre i danni prodotti dal processo flogistico, esisteva un'al- tra condizione morbosa; ed era quella che suol pro- vocare il clima palustre. Dello stesso tenore è il ca- so seguente. Febbri perniciose 1/5 XII. Un contadino di anni presso a 3o, bianca car- nagione, corporatura magra, proveniente dalla cam- pagna si presentò all'ospedale il 28 ottobre con feb- bre, dolore al destro lato del petto, che si esacerba- va sotto gli urti della tosse, respiro appena frequen- te, polsi tesi ma non duri, cute molle, faccia squal- lida, smunta, giallognola, occhi languenti. Questo sta- to, secondo egli narra, continuava da quattro giorni senza intervalli. Si ordina un salasso , ed il sangue non ha cotenna, ma densità maggiore del solito. La se- ra, morì inaspettatamente , senza offrire i segni che precedono la morte polmonale. - Il cranio non fu aperto. Il polmone destro era sparso nella sua faccia anteriore di macchie di un rosso vivo, e la sostanza ne era epatizzata. Alcuni fiocchi di linfa coagulata lo separavano dalle coste. Il pericardio conteneva più siero che all'ordinario. Fegato e milza apparentemen- te sani. Deli' omento non esisteva che una piccolis- sima lacinia. Gl'intestini assottigliati e distesi nascon- devano una quantità enorme di grossi lombrici e di gialle mucosità fetidissime. La mucosa era notabil- mente ammollita si nello stomaco che negl'intestini, 1 quali mostravano anche intensi rubori nei punti ove i vermi annidavano a gruppi. La vessica piena di orina. In questi due ultimi casi, e in altri che andre- mo annoverando appresso, è da notare la poca corri- spondenza fra le offese presentale dal cadavere, e il grado de'sintomi onde s'era manifestata la flogosi. Egli e un fatto costante che, ove un processo inflamma- G.A.T.XCIV. ,0 1^6 Scienze torio accendasi in organismi profondamente alterati dalle gravi periodiche, o congiungasi ai parosismi del- le medesime, esso si annunzia con forma più ristret- ta', si dipinge al di fuori con tinte assai più langui- de, raggia meno sulle altre parti che non soglia fa- re nelle macchine sane e in sane regioni. Perciò nel- le pneumoniti degli abitatori delle paludi, e di quelli che hanno più volte e recentemente patito le gravi intermittenti, non troverai facilmente i polsi grandi, validi o duri, il calore urente, la pelle e lingua sec- che, il caldo anelito, l'ambascia, gli occhi lucenti; in fine quel complesso di fenomeni che caratterizza la febbre acutissima compagna di una genuina infiam- mazione de'polmoni : ma in vece ti abbatti in polsi molli, calor moderato o cute fredda e madida , lingua paniosa, alito freddo, apatia, squallore, occhi languì: di; in fine quell'apparato di segni che dà il cattivo abito delle periodiche autunnali. Di questa forma più angusta, di tal fiacchezza di colorito, onde si mani- festa la flogosi negl' individui maltrattati dalle intetr mittenti, ci rende qualche ragione la forza debilitan- te, che le potenze nocive del clima palustre dispie- gano sull'organismo; e se una perniciosa, che non ab- bia altra malattia a compagna, ci offre per carattere principale la somma prostrazione delle forze, è chia- ro che, associandosi alla flogosi, o mcschiandovì i suoi elementi, dovrà renderla men diffusiva , abbassando il momento vitale. XIV. Un soldato di anni 4o» ^li robusta costituzione, cor:po magro , carnagione bianca, dopo aver sofferto Febbri perniciose 147 più volle le febbri periodiche nell'estate', fu distac- cato nel principio di novembre a Palo , ove soffri umido e freddo, e ammalò di febbre e dolor di gola. Dopo due giorni fu condotto all'ospedale, in cui pre- sentò febbre discreta , dolor come sopra , deglutizione difficile, voce rauca. La febbre esacerbava la sera con rubori alla gole, ma senza esasperamento de'sintomi locali. Furono praticati due salassi, e applicale san- guisughe al collo in buon numero : il sangue parve naturale. Intanto la sera del terzo giorno dopo l'in- gresso gli si accende ad un tratto il volto, ritrae le braccia , nel volergliele estendere per 1' esplorazione del polso, delira, raccoglie festuche; indi cade in un profondo sopore e muore in poche ore. - La dura ma- dre presentava delle macchie di un rosso scarlatto. La volta degli emisferi cerebrali era coperta da un sottile strato di materia puriforrae, che occupava spe- cialmente gl'intervalli delle circomvoluzioni, mentre i solchi di queste eran cospicui per una vivissima in- iezion vascolare. Lo strato puriforme era interrotto dai vasi, che apparivano ingorgali di un sangue nerastro e coagulato. La stessa materia si osservava alla base del cervello, ed anche più densa sui lobi posteriori, e nelle cavità ove s'introduce la pia madre. La su- perficie del cervelletto n'era anch' essa ricoperta. La superficie interna dell'epiglottide, la faccia posteriore del laringe e i ventricoli della glottide eran tinte di un rosso acceso. I tronchi contenevano una mucosi- tà spumeggiante. I polmoni ingorgati di sangue e in più luoghi aderenti alle coste. La milza disfatta, il fegato ammollito e di color terreo. La mucosa dello stomaco sparsa di macchie rubiconde e assottigliata i48 Scienze nel sacco cieco, e più densa dell' ordinario verso il piloro. Vescica urinaria piena. Non si potrebbe asserir con franchezza che l'ul- timo periodo di questa malattia fosse costituito da una complicazione di perniciosa alla flogosi menin- gea, né l'abito dell'infermo presentava di che fondar- ne il sospetto. Peraltro si può sostenere che la con- dizione morbosa indotta nel suo organismo dalla di- mora in clima palustre e dalle felibri sofferte contri- buisse grandemente all'esito fatale della malattia, me- nomando la resistenza e i poteri vitali, e favorendo 1' ingorgo del vasi cerebrali , come è costume delle gravi intermittenti. XIV. Un contadino di anni 4o , bruno di pelle , di costituzione attiva, temperamento bilioso, dopo aver sofferto più volte le febbri periodiche nell' estate, si condusse all'ospedale sul finir di novembre con feb- bre, tosse, respiro affannoso , dolore al sinistro lato del petto che inaspriva sotto gli urti della tosse ; i polsi però nò duri, ne validi, ma piuttosto molli. Nel corso di sette giorni , in che presentò questi segni , furono praticali cinque salassi , e il sangue mostrò nei tre primi sottilissima cotenna. La sera del setti- mo i polsi divennero irregolari e contratti, e si ma- nifestò una certa stupidità accompagnata da qualche tremore ( vescicanti alle sure ). La mattina seguente questi sintomi erano scomparsi; ma la faccia dell'in- fermo, invece di essere un po' colorita come ne'glor- ni antecedenti, mostrava lo squallore delle pernicio- se. La sera nuova stupefazione e nuovi tremori, bas- Febbri perniciose i^q so ventre dolente sotto la pressione, trafitture all'ipo- condrio sinistro, prostrazione di forze. Gli fu ammi- nistrata una pozione anodina. La mattina appresso tor- nò a migliorare, continuando però il pallore e la de- bolezza. La sera ebbe a patire un lungo svenimento con estremità fredde, occbi semichiusi , squallidezza mortale, indi sopore. La mattina aveva ricuperato i sensi, ma sul far della notte tornò l'accesso con mag- gior violenza e ne segui la morte. - Il cadavere pre- sentava nella cavità del cranio e del ventre la stessa apparenza di que'che soccombono alle perniciose co- matose. Il polmone sinistro era tenacemente aderen- te alle coste in modo, che ve ne rimase appiccato un brano facendo prova di staccamelo. La sostanza di questo viscere era densa, nerastra: e premuta, lasciava gemere della linfa spumosa. XV. Un contadino di anni 3o, carnagione bianca e tempra robusta, che aveva lavorato in autunno nelle vigne fuori di porta Angelica, si recò all'ospedale il 10 dicembre con febbre discreta ma continua, tos- se , rubori alle gote, decubito supino , svogliatezza. Fu curato con pozioni solutive e bevande pettorali. Al settimo, essendo apiretico, fu aumentato un poco il vitto. Intanto la sera dello stesso giorno venne as- salito improvvisamente da nuova febbre con perdita di sensi, volto acceso, occhi immobili, respiro corto e frequente, articolazioni rigide, basso ventre teso , che, palpandolo, provoca gemiti e contorcimenti: poco dopo sudore generale e profuso. Fu ordinato un salas- so e poi il solfato ( sangue coperto da pellicola j. La l5o Scienze inaltina seguente l'infermo aveva ricuperato l'uso dei sensi, e non gli rimaneva che poca stupidezza e frequen- za de'polsi. Nella visita pomeridiana andava già cre- scendo di nuovo lo stupore, che fu al suo colmo la sera unitamente agli altri sintomi febbrili. La con- tiimazione nell' uso del solfato , le sanguisughe alle tempie, i senapismi ai piedi non bastarono ad impe- dire l'esito fatale di questo accesso. Morì il giorno appresso. - Anche qui il cadavere presentò nella ca- vila del cranio e del ventre le stesse alterazioni, che più volte abbiamo descritto ne'casi di perniciose co- matose. Il torace offriva alcune aderenze fra la pleu- re che sembravan recenti, parecchi lobuli polmonari profondamente ingorgali e qualcuno carnificato. Potrei narrare altre storie dello stesso tenore , se le due ultime non bastassero a mostrare, che pa- rosismi del lutto simili a quelli delle perniciose au- tunnali sieguono talora d'inverno , sul terminar di malattie inflammatorie, in soggetti travagliali recen- temente da periodiche di cattiva indole. Il corso di una grave infermità, comecché non sia stata assalita con validi mezzi , logora sempre le forze : e questa circostanza è valevolissima a far risorgere una inter- mittente perniciosa, ove ne esista il seminio. Ei non è il fatto della complicazione che ne provoca gli ac- cessi, poiché in tal caso avrebbero dovuto manifestarsi in principio ; ma il rapido scadimento delle facoltà vitali, avvenuto per opera di un altro male, che in- sorge in macchine già profondamente offese nelle lor condizioni dinamiche e organiche ; al modo istesso, che una sinoca può degenerare in putrida o tifoide, ove assalisca individui, in cui sian viziali i processi di nutrizione o prostrate le forze. Febbri perniciose i5i Andrebbe intanto, a mio credere, assai lungi dal vero chi da lai falli volesse universalmente conclu- dere, clie il genio pernicioso sia tutto riposto nelle interne condizioni dell' organismo , e punto nulla nell' indole delle cause esteriori , per la sola ragio- ne che in inverno e nel corso di una malattia non potevano esser presenti tali cause. Esse però agirono in principio, allorché indussero febbri periodiche mali moris , più alte cioè a offendere i visceri assimila- tori, a viziare il sangue, e snaturare la fibra; e que- ste offese rimangono poi come seminio di nuovi in- sulti, che qualunque disordine della macchina è po- tente a riprodurre. Se certi luoghi e tempi, se il con- corso di certe cause remote contribuiscono a produr- re febbri più proclivi a divenir maligne, convien cre- dere che le interne predisposizioni non sian le sole bastanti a generarle. Non passi qui inosservato il fenomeno, che ap- parisce in ambedue gli ultimi casi, e che a me si è presentato spessissimo, cioè che il senso doloroso del ventre, non accusalo in tutto il cor^o del male flo- gistico, si palesa poi all'insorgere del parosismo per- nicioso. XVI. Un contadino di anni 4^ , cute bruna , abito pieno e carnoso, dopo aver sofferto più volle le pe- riodiche neirautunno, e mal concio dalle medesime, fu condotto il i6 dicembre all'ospedale, ove presen- tò la febbre con faccia accesa, congiuntive giallogno- le, tosse , dolore al destro lato del petto , decubito costante sul sinistro, respiro affannoso , lingua sor- i52 Scienze elida. La febbre declinava ogni sera con profusi su- dori, si esacerbava sul mezzodì con brividi, e gl'in- comodi del petto ingrandivano talmente coll'aumen- tar della febbre da farla rassembrare un accesso. Fu- rono praticali sei salassi, il cui sangue si mostrò co- tennoso , e fu amministrata anche una dose di sol- fato di chinina. Al quarto giorno dopo l'ingresso si gonfiò il braccio destro, crebbe a dismisura l'affanno, e in un momento di forte anelito l'infermo passò di vita. -Il cadavere offri un copioso versamento di siero purulento nei sinistro lato del petto, il polmone del- lo stesso lato contratto, epatizzato e coperto da uno strato gelatinoso, che si ripiegava sopra le coste, il polmone destro edematoso. Sierosità esisteva anche nel cavo del ventre, il fegato molle e di coior terreo, la cistifellea come atrofizzata, la milza disfatta. Come lo stato antecedente dell'infermo e l'an- damento del male, e i profusi sudori, e la condizio- ne de'visceri addominali indicano, che il genio delle periodiche era presente in questa infermità; cosi l'ap- parato sintomatico , il genere di morte e le lesioni del polmone mostran chiaro, che la principal malat- tia era l'infiammazion polmonare, e che il solo esi- to di questa ha cangionato la morte. Adunque non trattasi qui di una perniciosa pneumonica, ma di una pneumonite complicata alla condizione delle perio- diche. XVII. Un contadino sessagenario, di tempra linfatica e gracile costituzione, che non aveva sofferto altre feb- bri periodiche nell'estate, erasi esposto all'aria fred- Febbri perniciose x53 da e umida, lavorando nella campagna di Formello. Ei fu condotto all'ospedale il 6 novembre, ove pre- sentò una febbre di andamento continuo con qual- che stimolo di tosse e respiro frequente. La sera del quinto giorno furono avvertiti i tremori e alquanta stupidità , il basso ventre si rese dolentissimo sotto la pressione. La mattina seguente tali sintomi erano scomparsi: ma la sera scoppiò un distinto accesso di febbre comatosa, che nella notte si sciolse con pro- fusi sudori. La sera appresso il parosisrao si ripetè con maggior violenza, né valse a scioglierlo il sudo- re, dopo il quale segui la morte. Fu curato in prin- cipio con due salassi, in seguito con applicazioni di sanguisughe alle tempia e all'addome, foraenlazioni, vessicanti e mollo solfato di china. - Ingorgo de'vasi della pia madre ; sostanza cerebrale punteggiata di rosso, e poco siero alla base del cranio. Mucosa bron- chiale arrossata. Iniezioni arboriformi nella mucosa dello stomaco. Fegato e milza ammolliti. Un inva- ginamenlo nell'ileo e molti gruppi di lombrici, con rubori dell'intestino corrispondenti ai medesimi. Gran parte del tubo enterico stivato di una melma gialla- stra. La vessica piena di urina. I casi di perniciose all'approssimarsi dell'inver- no, senza antecedenza di altre periodiche, non sono frequenti. L'andamento continuo de'primi cinque gior- ni, indotto forse da complicazione reumatica e dal- lo scaldamento della mucosa bronchiale e della ga- strica, consigliò i due salassi, i quali non impedirono che al terzo periodo terzanario si formasse la conge- stion cerebrale, rendendosi più netti gli accessi, quan- tunque fosse allora diminuito 1' orgasmo vasale. La congestione nelle perniciose non corrisponde al solo tS4 Scienze impeto della febbre, poiché sion è effetto eli questa unica causa , ma concorrono a provocarla altri ele- menti , sono a mio credere la morbosa venosità , e l'alterata natura del sangue, divenuto incapace a man- tenere i processi vitali. XVIII. Un soldato in virile età, di gracile costituzione, che aveva sofferto più volte le periodiche, entrò al- l'ospedale il i5 settembre con abito malaticcio e co- lor terreo-giallognolo , presentando ogni giorno ac- cessi di febbre pomeridiani con forte aumento di gial- lore alla cute e con singhiozzo frequentissimo. Al quarto giorno vi si aggiunse una certa sonnolenza, e nel quinto il parosismo fu appunto quello di una febbre comatosa, che lo tolse di vita. - Il cranio non fu aperto. Il fegato molle e nerastro, bile picea. La milza liquefatta. La mucosa dello stomaco offriva qua e là delle macchie rubiconde, e le più notabili era- no intorno il cardias : essa era inoltre spalmata di un rauco tenace e lucente. Gl'intestini contenevano la solita mucosità e offrivano esternamente un color brunastro. XIX. Nello stesso giorno del precedente entrò altro soldato, di abito più tosto pingue e fibra flaccida, sof- frendo accessi giornalieri di febbre, accompagnati da gagliardi dolori di ventre, ch.e scomparivano al ces- sare del parosismo febbrile. Il terzo giorno dopo l'in- gresso l'insulto si fò soporoso, e con esso terminò la Febbri perniciose i55 vita. - Iniezione della pia madre e ingorgo de'grossi vasi cerebrali. Solito ammollimento del fegato e della milza. Molti e lunghi invaginamenti nell'ileo. Mu- cosità, lombrici, rubori intensi nella superficie inter- na degPintestini, e tinta leggermente bruna all'esterno. Non è dubbio che in questi due ultimi casi la morbosa condizione del tubo gastro-enterico abbia contribuito ad aggravare il male , e a renderne più complessa la forma : ma si può dubitare se tal cir- costanza avrebbe bastalo essa sola a indurre il per- nicioso sopore , ove altri elementi malefici non fos- sero stati presenti nell'organismo; cioè, ove il perver- so stato del sangue e de^ poteri vitali non avessero cooperato a tal fine. Con che si viene a professare i! principio, che le condizioni generali della macchina, più che le locali complicazioni, sian potenti a gene- rare le perniciose. Abbiamo a far tante volte con pe- riodiche congiunte a riscaldamenti del canal digesti- vo; pure non vanno esse a funesto esito, se lo stato fisiologico dell'infermo non sia scaduto e non pecchi- no i processi dell'ematosi. Sanno anzi i medici, co- me in tali casi, quando cioè siano intere le forze, 6 lodevole la crasi del sangue, sia necessario di correg- gere la flogosi intestinale , innanzi di combattere la malattia periodica; indugio innocente, ov'essa non sia mali moris^ come suole piti spesso accadere fra i cit- tadini; fatale ove si trattasse di vera perniciosa, co- me avvien facilmente ne'campagnoli. La penultima storia conferma la nota coinciden- za del singhiozzo colla morbosa condizione dello sto- maco , e particolarmente del cardias. Ramazzini ed Haller, citati a tal proposito da Morgagni, ce ne of- frirono esempi, e due lucidi casi ne ha recali ulti- i56 Scienze mamente il prof. Folchi nell'opera prelodata. Del re- sto la connessione di questo fenomeno nervoso coi patimenti del superiore orifizio del ventricolo non era sfuggila alla diligenza degli antichi, e trovasi indica- ta già da Galeno. In appresso Dolco vi fondò una sua teoria del singhiozzo. XX. Un soldato in età virile, di statura bassa, pelle rosea, occhi vivaci, soffrì le periodiche semplici nel mese di luglio; poi avendo disordinato nel vitto , e fatta la sentinella notturna al Colosseo, fu assalito da febbre preceduta da freddo e terminata con sudore, e che si ripeteva ogni giorno alla stessa ora pome- ridiana. Al quarto vi si aggiunge uno stato letargi- co : stupore de'sensi, fisonomia contratta, fronte cor- rugata. Scosso apre gli occhi, guarda fisso e acciglia- to, non risponde, non apre la bocca : le labbra sem- brano incollate fra loro. A quando a quando si ran- nicchia, contorcesl, porta le mani sul ventre e man- da gemiti. Decubito laterale, polsi lenti, calore quasi naturale, cute secca. L'accesso ha declinato dopo tre giorni, comparendo il madore alla cute, e scioglien- dosi la parola. É stato curato con un salasso, vessi- canti, fomentazioni sul ventre, clisteri e generose dosi di china e chinina. Nella convalescenza lagnavasi di frequenti martellate al capo. XXI. Un soldato in età giovanile, di alla statura e tem- pra linfatica , dopo aver fatto la guardia notturna ,1 Febbri perniciose iSy nella piazza d'anni in Castello, fu preso da febbre a freddo che si sciolse con sudore , rinnovandosi con tipo terzanario. Al terzo accesso il dolor di capo, che aveva accompagnato i primi due, si cambiò in sopore così profondo da non poterne riscuoter l'infermo per qualunque mezzo si adoperasse. Il giorno dopo feb- bre e sopore eran dissipati, rimanendo solo un cerio stupore de'sensi e frequenza de'polsi. Segui il quarto parosismo con assopimento men grave, e non mancò il quinto anch'esso più mite del precedente. Fu cu- rato con una missione di sangue dal piede e forti do- si di china. Nella convalescenza non ricordava i gior- ni del sopore. XXII. ■■"' Un contadino dì anni 35, cute bruna e tempe- ramento bilioso , si presentò all'ospedale dichiarando di aver già sofferti tre accessi di febbre a freddo ter- minata con sudore, con andamento di terzana sem- plice. ÌNelle ore vespertine tornò il parosismo con do- lore di capo e svanì col sudore. Il dì seguente, de- corso tutto senza febbre, fu purgato di buon matti- no, e quindi si amministrò la cliina, il cui uso fu continuato anche il giorno appresso. Ciò non ostante dopo il mezzodì entrò il nuovo attacco, e questa vol- ta con ansietà, delirio, movimenti disordinati, sinto- mi che cessarono la sera all'apparir di lieve sudore: ma la notte esasperò la febbre, e le si aggiunse un profondo sopore che in breve lo privò di vita. - La cavità del cranio non offrì che una minuta iniezione della pia madre. - Il cuore era molto flaccido. Il fe- gato di color nerastro si disfacea facilmente premen- i58 Scienze dolo fra le dita; la cistifellea piena di una bile pi- qe^. La roilza voluminosa e spappolata del color della feccia del vino. Lo stomaco presentava nel fondo del suo lato splenico una larga macchia di un rosso vi- Yo, ove la mucosa distaccavasi agevolmente dalle al- tre membrane : era essa interrotta da punti bianca- stri diafani, ove le tuniche musculare e cellulosa sem- bravan mancanti. La porzione pilorica offriva un a- spetlo mammillare. La mucosa del duodeno era ru- biconda e sparsa di tubercoli; il resto del tenue co- lorato in giallo, che ripetute lavande non valsero a toglier via. Esso poi era tutto stivato di una polti- glia come tuorlo d'uovo. L'ileo conteneva enormi lom- brici ed invaginamenli di più che quattro dita tra- sverse. Il colon trasverso era molto disteso dall'aria. II discendente ed il retto eran pieni di fecce globu- lari durissime. La vescica turgida d'orina. I tronchi venosi addominali esan dipinti all'intorno di uu bel roseo. E un fatto notissimo nella storia delle perniciose, che l'attacco minaccevole non piomba mai di repente sull'infermo, ma si fa precedere da qualche altro ac- cesso, in cui il pericolo che sovrasta alla vita, non sì rivela ancora a chiarissime note , quantunque il perito ve ne scorga già non di raro il preludio. Egli è spesso al terzo accesso che manifestasi jl' apparato pernicioso, il quale spiegasi in molti casi coi segni di una congestione al capo, che persistendo oltre i termini del parosismo, o accrescendosi per nuovo or- gasmo febbrile , offende gravemente le funzioni del cervello. Ma la frequenza della foi-ma soporosa nelle febbri, di cui ragioniamo, esige qualche schiarimento. Gli abitatori di regioni malsane, tra pel molto I Febbri perniciose i5() vapore acquoso, che vi si mescola all'atmosfera, e tra pel gas estranei di che vi è imbrattata, e tra final- mente per la rarefazione indottavi dal caldo estivo, respirano un'aria che racchiude una minor copia di sua parte vitale, che non sia necessaria a mantenere illesi i processi della sanguificazione. Se al predomì- nio di venosità, suscitato da tali circostanze, si ag- giunga il rilasciamento che la condizione caldo-unii- da dell'atmosfera, e il dominio de'venti australi in- ducono nelle vene , avrem di che intendere la for- mazione d'ingorghi sanguigni, di stasi venose. Avvie- ne poi che la congestione si stabilisca con maggior prontezza nel cranio , il cui viscere riempie esatta- mente tal cavità; il cui sistema vascolare si ricovera dal potere immediato del peso atmosferico. L'esposi, zione del capo ai raggi di un sole ardente e le ra- pide vicende di temperatura, cause nocive che pre- cedono spesso la nascita delle perniciose, concorrono anch'esse a provocare la congestion cerebrale. Bagli- vi e Lancisi annotarono già la forza di questa secon- da cagione nel produrre l'appoplesla , e le attribui- rono la frequenza di tal malattia in alcuni anni. Ma la causa che più d'ogni altra sembra favo- rire lo stato comatoso nelle periodiche gravi, si rin- viene nelle relazioni , che il tubo cibario mantiene col cervello. La proclività al sonno, il turgore della faccia, l'ottusione di capo, che succedono non di rar- ro al pasto, mostran chiaro che la pienezza dello sto- maco fa raccogliere una quantità maggiore di sangue nella testa; ciò che gli antichi solcano spiegare colle fumosità che dal ventricolo salissero a portar ingora- bero al cerebro. Gran parte delle appoplesie assali- sce durante la digestione ; e se un lieve saggio di i6o Scienze pletora cerebrale consegue già all' esercizio regolare delle funzioni gastriche, l'effetto dovrà essere più di- stinto, ove, in forza di morbose condizioni, bile, mu- cosità, iecce, lombrici si raccolgano in quel canale, da che in fatti procedono vertigini, sonnolenze , sva- nimenti di capo, cefalalgie e vere affezioni soporose. Sono familiari a tutti i medici gli esempi di malat- tie cerebrali da gastrica derivazione, e ve ne ha non pochi di periodico andamento. Valga per tutti il bel caso riferito da P. Frank nelle sue interpretazioni cliniche di un Carus periodicus a vermibus , fu- gato coi soli antelmintici. Al qual proposito ei riflet- te che, Si visceralia haec animalcuì a ^ ex primis viis in Tier\^os longinquos, his amico s, agendo i, et vocom puerorum , et visum prò tempore aholere aueunt', cur sensus illa plures sopire^ hominemque in somnos prosternere non possint, non perspici- mas. Or fra i disordini più frequenti, che ci offrano i cadaveri di quei che muoiono di intermittenti coma- tose, si annoverano appunto le gastriche zavorre, come i casi precedenti ce ne hanno ammaestrate. Una pol- tiglia giallognola (che alla chimica analisi si offre com- posta di albumina e materia colorante della bile), che tutto riempie il tenue e parte del crasso, è nido di co- piosi lombrici , i quali punzecchiando 1' intestino e traendolo a movimenti disordinati, son forse causa di que'curiosi invaginaraenti, che talora fino a tre o quat- tro, e pel tratto di parecchie dita trasverse inchiudono una porzione d'intestino nell'altra. Il resto del crasso è sovente ripieno di scibale, e la mucosa gastro-ente- rica sparsa di rubori; stati anch'essi sorgente di ir- ritazione capace di trasmettersi simpaticamente al cervello e alle sue membrane. Febbri perniciose i6r La condizione gastrico-verminosa preparata dal- l'azione disturbatrice , che il clima palustre induce sugli organi digestivi , e promossa da perversi cibi ed acque lutulente, milita adunque come causa po- tissima a favorire lo stato soporoso nelle gravi inter- mittenti autunnali ; ciò che viene pur confermato dal fatto più volte avvertito dell'accompagnarsi al paro- sismo i segni di patimento nella cavità addominale o accusato dallo stesso infermo, o fatto palese dalla viva espression di dolore sul suo volto, palpandone il ventre. A intender poi come avvenga , che nelle affe^ zioni comatose e appopletiche delle nostre febbri, an- corché i loro parosismi siansi protraiti a piìi giorni, e risolutisi poi felicemente, rarissimi porgansi i mali consecutivi; cioè le insensività e le paralisi, che son sì frequenti per le comunali appoplesie; voglionsi ri- durre a memoria le apparenze che sogliono offrirci nella lesta i cadaveri di que'che soccombono alle feb- bri suddette. Eccone il sunto. I seni della dura ma- dre sono ingorgati di sangue: e distesi da tal fluido son pure i capillari che serpeggiano sotto la lamina sierosa di tal membrana. I vasi della pia madre sono iniettati. I vasi arteriosi del cervello sono anch'essi gonfi di sangue, il eguale ne sfugge per innumerevoli goccioline, tagliando la sostanza cerebrale, che dicesi allor punteggiata. Non si osserva mai che l'iniezio- ne sanguigna si estenda anche alle parti esterne del- la testa ; ai seni ossei del cranio, ai vasi della cute capillafa e del collo, come suole avvenire nelle ap- poplesie genuine. In altri casi alla congestione san- guigna si aggiunge un de'suoi effetti; l'aumento cioè di quella sierosità che umetta S'^mpre i ventricoli e G,A.T,XC1V. n i62 Scienze le maglie della pia madre. Raro è che i ventrìcoli siano allargati da questo fluido, e che conservino la ca- pacità aumentata dopo uscito l'umore. Effetto anche pili raro della congestione sanguigna è il trasuda- mento del sangue. Tre sole volte in ben sessanta casi di soporose mi toccò di vedere sanguinolento il sie- ro effuso fra le lamine dell'aracnoidea, ed una sola mi si offriron segni di emorragia avvenuta fra gl'in- terstizi del cervello, che si mostrava infiltrato di san- gue in più punti. S'incontrano talvolta aderenze e tra- sudamenti di siero gelatinoso fra le lamine dell'ara- cnoide e le maglie della pia madre. Finalmente il cervello e il cervelletto si rinvengono in alcuni casi alquanto ammolliti. Ora a questi generali disordini corrisponde la natura de'fenomeni morbosi , i quali non son quasi mai distintamente circoscritti ad al- cune parti, ma si palesano con una generale cessa- zione o diminuzione del senso della percezione del moto, che non lascia quasi mai infermità consecu- tive oltre i parosisml, per la leggerezza delle offese da cui fu prodotta, e per la mancanza di anteceden- te organica disposizione. Al contrario nelle appople- sie idiopatiche, i parziali versamenti sierosi, le par- ziali emorragie, le lesioni parziali della fabbrica ce- rebrale che vi si formano, strascinan seco parziali per- dite di sensibilità, di facoltà intellettuali, di forza mo- tiva; superstiti quasi sempre al primo insulto per la gravezza delle offese da cui nacquero, e per l'orga- nica disposizione da cui furono precedute. xxm. Un soldato in età di 35 anni, di alta statura, Febbri perniciose i63 torace angusto, costituzione gracile , di color giallo brunastro, proveniente da Terracina , aveva sofferto pili volte le febbri di periodo ne' mesi di luglio ed agosto , e vi ricadde sul finir del settembre , in se- guito di disordini commessi nel vitto. Recatosi all'o- spedale vi presentò una febbre, cbe entrava ogni gior~ no con poco freddo alle ore pomeridiane, e scioglie- vasi la notte con sudore, lasciando negl'intervalli svo- gliatezza ed abbattimento. Al quinto giorno dopo 1' ingresso si aggiunse alla febbre un profondo stu- pore de'sensi. Si rannicchiò sul lato destro, non ri- spose più alle domande, cessò d'inghiottire e la cute si fece madida e gelata. A questo stato successe il decubito supino con occhi fissi e perdila d'ogni fa- coltà sensitiva e motiva. Poco prima della morte la respirazione divenne rantolosa. Quest'ultimo accesso durò per due giorni. Fu curato con un purgante in principio, indi chinina, clisteri di china e vessicanti alle sure. - Il cadavere, esaminato dopo 24 ore, non si era irrigidito e spandeva un insopportabil fetore. Il cranio non fu aperto. Il polmone destro infiltrato tutto di un siero giallognolo e ovunque aderente alla pleura costale : il sinistro , infiltrato anch' esso alla base, era poi sparso nella sua metà superiore di grossi tubercoli ammolliti e puzzolenti. Il fegato indurito e di color bigio: la cistifellea con le pareti ingros- sate e senza bile. Milza voluminosa e liquefatta. Il canale gastro-enterico, di un color rosso-brvino uni- forme, era pieno della solita melma giallastra e feten- tissima. Un invaginamento nell'ileo. Ì64 Scienze XXIV. Lo stesso dì fu accolto un altro soldato, di tem- pra linfatica, capelli biondi, giallastro e macilente, che disse venir da s. Paolo, ed esser malato da quattro giorni con febbre quotidiana pi-eceduta da poco fred-i do. La prima mattina del suo ingresso presentò son- nolenza, colore itterico, polsi molli e frequenti, cute umida e fredda; e nelle ore pomeridiane febbre nuo- va con volto acceso, giallore diminuito, lingua secca e solcata di bruno, respiro corto e frequente, sete , ansietà , basso venire dolente sotto la pressione. Il giorno seguente, assopimento , occhi fissi , itterizia , cute gelata , singhiozzo, prostrazione di forze, moti tremuli delle membra, alito freddo. La sera profondo sopore e respirazion stertorosa, che lo soffocò nella notte. - Cadavere giallo, consunto e flessibile. La du- ra madre e i plessi coroidei di color giallognolo. Al- quanto siero fra le maglie della pia madre. Piegato inscirrito e stridente sotto il coltello, e che offriva al taglio una massa brunastra sparsa di granulazioni di color giallo. La sua parte convessa più alla peri- feria che nel centro nascondeva molti tubercoli di consistenza fibro-carlilaginea , e di grandezza come avellane. Un d' essi, il maggiore, posto alla superfi- cie del viscere e prominente, aderiva talmente al dia- framma da non potersene distaccare. Oltre queste piìi strette, vi eran poi altre aderenze fra il diaframma e il fegato , senza intervento di tubercoli. La cistifel- lea conteneva bile sierosa e nerastra. La mucosa dello stomaco e del duodeno offriva alcune strie di color iosco. L'ileo e il digiuno eran pieni di materia giaUc\ l^EBBRI PERMICIOSB i65 somigliantissima a tuorli d'uovo. La milza di enorme volume e in parte ammollita. Il pancreas duro. Le glandule mesenteriche stenuale. La vessica piena di urina. Che le morbose condizioni del polmone contri- buissero nel penultimo esempio ad accelerare il fa- tale esito della malattia, ninno è che volesse dubi- tarne. Non vi è offesa di organo nobile, che non ag- giunga la sua parte ad alterare i processi della vita: ma al credere che dalla complicazione di quelle of- fese colla febbre periodica derivasse la perniciosa, osterebbe la forma della malattia che non fu la ca- tarrale o pulmonica , ma bensì la soporosa ; cioè la più facile a svolgersi , ove preesistano gli elementi della congestione. Furon desse le magagne del fegato che acquistaron malignità alla febbre? Ed anche que- ste, specialmente nell'ultimo caso, dovettero aver lor parte nel tristo fine del morbo : ma quante inter- mittenti ribelli o trascurate non inducon profonde alterazioni di fegato, e con esse frequentissime reci- dive, senza pure divenir perniciose? Raccogliendo ora il discoi'so sulla complicazione della flogosi alle perniciose: si può dedurre dai fatti allegati che, se un tal processo accompagna talora, o precede, o siegue coleste febbri ; non sembra poi eh' esso valga ad infonder loro maligna natura. Se così fosse, noi vedremmo allora le cavate di sangue ridurre la malattia alla semplice condizion periodica, e perciò esente da pericolo : ciò che è contraddetto dall'esperienza, la quale ci ammaestra farsi più gravi i parosisml dopo il salasso, ove al tempo istesso non siasi potuto amministrare la china , e soccombere prontamente gl'infermi che soltopongonsi alle deple- i66 Scienze zioni sanguigne, e ricusano ostinatamente la cortec- cia peruviana ; come avveniva non di rado a' conta- dini innanzi la scoperta del suo alcaloide. Se cosi fosse, perchè mai quella rapidità di corso insolita a infiammazioni non terminate in cancrena , e donde quella solenne prostrazion delle forze fin dal princi- pio del male? Per qual ragione infine la primavera e l'inverno, la prima ferace di periodiche primitive, la seconda non iscarsa di recidivanti , non ci mo- stran più spesso le perniciose di complicazione flogi- stica, quando anzi l'indole inflammaloria è assai più propria di tali stagioni e alle periodiche più frequen- temente si associa? {Sarà continuato). 167 Origine, progresso e stato attuale della istitu- zione dei sordo-muti. Discorso accademico re~ citato alla tiberina di Roma il i3 marzo i843. J^e io getto uno sguardo sul numero dei molti in- felici, che trovansi continuamente fra mezzo a noi, una delle maggiori e più affliggenti sventure trovo esser quella, che pesa sul capo de' miseri nostri fra- telli , ì quali hanno orecchio e non odono , lingua e non favellano. La condizione del sordo-muto at- tentamente considerata colpisce , stringe il cuore e strappa le lagrime; onde nel nostro cordoglio, ado- rando sempre gli eterni decreti di Dio , le cui vie non sono le vie degli uomini , siam costretti escla- mare: Oh! quanto è infelice il sordo-muto! Per lui il passato non ha una storia , incompreso è l'avve- nire, confuso e incerto il presente, dove il fioco lu- me del di lui intelletto non vede che una larva, e il suo cuore non apprezza alcuno dei molti beni , che rendono cara la esistenza al restante degli uo- mini. Per lui è tutto silenzio, e tristo silenzio ; la natura non ha un eco, e l'arte un'armonia, che ri- suonando al di lui orecchio, gli faccian gustare una qualche dolcezza. Il sordo <-muto non vede a se in- torno che un deserto, ove invano o con somma fa- tica ei va cercando le orme , che segnano la cono- scenza de'grandi attributi di Dio, ed il fine pel qua- le fu creato. Privo dei mezzi, con che si conversa con tutta l'umana famiglia, si acquistano molte idee, X j68 Scienze e si sentono ed apprezzano gli altrui pensieri, gli af- fanni e le gioie, le amarezze e le consolazioni, di die è sparsa questa vita mortale, egli, orfanello della natura , si trova come da tutti abbandonato, e tal- volta da'medesimi parenti, i quali lo ascondono allo sguardo umano, perchè si credono disonorati d'esser padri di un infelice ; e se provvidenza a lui die una madre pia e sommamente amorosa , questa in- vano se lo reca fra le braccia , dolcemente gli sor- ride, e invano parole, che sono l'espansione del più grande affetto, gli va sussurrando all'orecchio; il mi- sero stassi mai sempre tristo e melanconico : non comprende esser quello il linguaggio dal materno amore. E quante volte la pietosa genitrice volge al- trove lo sguardo, per ascondere il pianto, alla pre- senza di un figlio , a cui non può far conoscere quant'ella lo ami! Condizione miseranda, o signori, e tale che strappò il pianto perfino all'Uom-Dio, il quale se pianse sulla tomba di Lazzaro, fu al con- siderare che l'imminente prodigio della risurrezione dell' estinto amico non avrebbe scossa dalla sua in- credulità l'astante moltitudine ; se pianse sopra Ge- rusalemme, fu al pensiero dell'eccidio orrendo, che soprastava alla forsennata città; se finalmente pian- se, come ne avverte Paolo, sul Golgota, quando pen- dea dalla croce , era quel pianto la preghiera del perdono, ch'egli dall'eterno divin Padre invocava sui capo de'miseri, che ciechi in lor furore il mettevano a morte. Ma quando pianse sul muto, che gli venne presentato sulla via , mentr' ei passava per Sidone , nelle circostanze del lago di Galilea, fu al solo con- siderare il lagrimevole stato di chi ha chiuso le orec- chie all'udito, e le labbra ha impotenti alla favella. Istituzione dei sordo-muti 169 Ma quel Dio, che con sapienza infinita gover- na gli umani destini, e fa splendere il suo sole sul fertile campo e sulla micidiale maremma; quel Dio, che abbatte i potenti, e dalla polvere solleva il mi- sero, nell'animo di alcuni generosi inspirava il gran- de pensiero di togliere coll'arte umana il sordo-muli da una tanta miseria, di rivendicarlo, così dirò, da- gli oltraggi della natura ; e in tal maniera sorse 1' ammirabile instituzione dei sordo-muti , una delle opere piìi grandi , che onorino l'umanità. E poiché voi, o signori, in quest'oggi me chiamaste all'onore

  • ile, per insegnar a parlare a' muti; e mi è sembralo lauto importante. Applicazione del calcolo ec. lyS 1 vari movimenti e le diverse posizioni dell' organo vocale, fatte necessarie, onde ottenere i vari suoni : propose l'alfabeto manuale, che di poi in parte ven- ne seguito dal grande de l'Epée. A quest'alfabeto il Bonet univa la pronuncia, ad ottener la quale eser- citava il sordo-muto a disporre la lingua, i denti, le labbra in determinata posizione, atta all'emissione di ogni lettera , e facevagli emettere il fiato necessario a produrre quella voce. Quest'opera, quantunque non contenesse che i semi di tanta istituzione , fu tut- tavia da'posteri con troppa ingratitudine dimenticata. Intanto l'Italia, quasi dolente di aver negletta la col- tura di un' arte tracciata da uno de' suoi cittadini , essendo nelle sue contrade risuonata la fama del mo- naco di Ogna, in mezzo al grandissimo suo bollore per le arti e le scienze che rinnovarono il secolo di Pericle per Atene, volse un pensiero anche alla istruzione dei sordo-muti. E Fabrizio di Acquapen- dente, medico valentissimo nella università di Pa- dova, in un'opera che in brevissimo tempo fu stam- pata più volte nei dominii della potentissima veneta repubblica e anche oltre Alpe (i), descriveva i grandi cTie l'autore non solo è degno di aver la permissione di darlo in luce, ma sarebbe bene ordinargli di pubblicarlo, e di dargli anche una gratificazione, essendo lo scopo di altissima importanza, difficilissima 1' esecuzione e ardentemente e universalmente desi- derata nella Spagna, dopo che il nostro religioso Pietro Ponce di Lione incominciò questa maraviglia di far parlare i muti: il quale perciò fu in gran celebrità fra tutti i suoi compatriolti e gli stra- nieri curiosi, come genio portentoso, quantunque agli altri non abbia insegnato quest'arte: ed è notissimo essere in una profes- sione più degna cosa far maestri, die di esserlo ,, (i) Vedi Opera Omnia di Fabrizio d'Acquapendente, in un solo volume- li barone Degeraudo ricorda un Àffiaate, italiano^ il quale 176 Scienze fenomeni della visione , della voce e dell'udito , e trattava della parola e suoi stromenti per ammae- strare i sordo-muli. Giovanni Bonifacio scriveva VArte dei cenni , ooll'aiuto de' quali visibile si rende la parola; e il padre Lana, uno de'molti sapienti che altamente onorano la compagnia del Lolola, genio prepotente, ardito investigatore dei misteri della na- tura, primo tentatore dell'arte aereonautica, a' tempi nostri portata a tanta altezza: il padre Lana, citta- dino da Brescia e maestro di umane lettere nella città di Terni , in uno scritto dato alle stampe in sua patria e Prodromo intitolata (i), occupandosi de'mezzì che usar si debbono per ammaestrare nel leggere e scrivere i ciechi, passò ad indicare ancor f|uelli che potrebbero servire per la istruzione dei sordo-muti; e indicava come sìa mestieri esaminare le posizioni e le mosse degli organi per formar le articolazioni, come questi si debbano tosto imitare, e di poi in altri pel movimento delle labbra rico- noscere. Non v'incresca udire le sue parole: « Niu- no, ch'io sappia, ha scritto del modo che si deve te- nere per apprendere quest'arte veramente mirabile; ond'lo ho stimato che non sia per ispiacere, se io dicesi, cosi egli, che pul)blicasse un ti-attalo sulla maniera di far parlare i sordo-muli. Dopo molte ricerche ho potuto trovare quest'opera, la quale venne stampala in Venezia nel 1601 j ma non vi ho trovato una parola sui sordo-muli. Essa è esclusiva- mente ascetica, e porla questo titolo- // muto che parla, dialogo,, ove si traila delle eccellenze e dei difetti della lingua umana, e si spiegano più di 190 concetti scritturali sopra il silenzio , dato in luce da fra Giacomo Affinati di Acuto romano. (i) Vedi il capo IV del Prodromo , ovvero saggio di alcune invenzioni nuove, premesso all'arte maestra, che prepara il pu, Francesco Lana bresciano. - Brescia 1670. Istituzione dei sordo-muti. lyy qui ne dirò ciò che sento. Devesi dunque conside- rare, che nel proferire ciascuna lettera deiralfabeto, tanto italiano, quanto latino, greco, ebreo, o di al- tra lingua, necessariamente si fa diverso moto, o nelle labbra, o nella lingua, o nei denti, o in tutti assieme, or aprendo più la bocca, come nell'^, ora meno, come nel E ; ora più stringendo le labbra e poi aprendole, come nel B; ora aprendo e strìngendo i denti, come nei C, e così delle altre. Ciò che succede nelle let- tere solitarie, succede parimente nelle lettere accom- pagnate, cioè nelle sillabe, poi nelle parole intere. Se dunque alcuno si avvezzerà a conoscere tutte le differenze di questi moti , potrà parimente inten- dere ciò che vien detto da un altro, benché non oda la voce: e per conseguenza imparare a proferire le medesime parole , procurando di imitare tali moti di labbra, di denti, di lingua: il che non si deve stimare tanto difficile, come a prima vista rassem- bra ». Che se costoro ragionavano con semplici teo- rie, altri italiani ne fecevano l'applicazione. Pietro di Castro (i) ammaestrava il figliuolo di Tommaso (i) Non ostante le mie ricerche non ho trovato di questo benemerito italiano altra opera, in cui parla de' sordo-muti , tranne un discorso detto il Colostro, stampato a Venezia nel 1626 in unione ad un libro intitolato la Comare- Quivi a pagine 335 Pietro di Castro cosi scrive: " Il modo, col quale questi (i bambini muti) si possono curare, è miracoloso; ma però reussibile all' ingegno umano : si trovano esempi numerosi in Spagna di figliuoli muti o per natura o per accidente . . . i quali parlano volgarmente e chiaramente, restando però sordi ; ma non muti. Un figliuolo del serenissimo principe Tommaso di Savoia, il marchese di Frigio, il marchese di del Fresno, fratello del eoa- G.A.T.XCIV. 12 178 S e I E jr z E di Savoia: e Antonio da Ravenna cistercense ad un determinato numero di sordi muti insegnava a leg- gere e scrivere e le cose più necessarie della reli- gione. Ma colla morte di questi benemeriti l'Italia non ha più una voce, che faccia echeggiare la pa- rola istruzione del sordo-muto. Ond'io, laraentanda questo silenzio, condurrò l'attenzion vostra sulle al- tre nazioni; e prima mi si presenta in ordine al tempo l'Inghilterra , dove fino dalla metà del se- colo decimo settimo Giovanni Bulwer pubblicava in Londra V Amico dei sordo-muti^ e come mezzi alla istruzione di questi infelici proponeva i segni mi- mici , il manuale alfabeto e l'attenzione al movi- mento delle labbra , mentre si favella. Ma siffatte teorìe furono meglio sviluppate e messe alla pratica dal Wallis, il quale a due sordo-muti non solo ap- prese a distintamente pronunciare , ma anche ad esprimere i pensieri della loro mente col mezzo della parola o collo scritto, e a leggere e intender ciò che scrivevasi da altri. La scrittura e la lettura, l'al- fiibeto manuale, l'induzione logica sviluppata col soc- corso degli esempi e il gesto constituivano gli ele- menti del metodo dell'ingegnoso Wallis, al quale si testabile di Castiglia , clie erano muti, parlano oggidì senza difi flcoltà oè esitazione alcuna, e solo si conosce il difetto della sor- dità; e molti altri esempi di persone private, che hanno ricevuto questo singolare beneficio dal valore di Emmanuele Ramirez di Carione. Questo raro segreto ho io imparato parte discorrendo collo stesso inventore, e parte filosofando con straordinaria per- severanza, fi mi è riuscito assai bene; ma non lo rivelerò qui, per farne discorso a parte , piacendo a Dio , nelle mie varie le- zioni ,,. Pietro di Castro però non lo rivelava ; imperocché noa ftbbiamo aicua'opera sua, in cui ne favelli. Istituzione irct sordo-muti i^g volle far disputare il vanto della invenzione da Gu- glielmo Hokler , perchè questi aveva ammaestrato a parlare un sordo-muto, il quale, perduta poi rartifi- cial favella, recossi dal Wallis per riaverla. Ma io non mi arresto a sentenziare sul merito della inven- zione fra questi due benemeriti, perchè lo scopo pro- postomi esìge che rapidamente discorra i diversi luo- ghi e tempi , in che fu coltivata la istruzione dei sordo-muti; e con tale rapidità vi ricordo in Olanda Pietro Montano, che nel secolo decimo settimo mo- strava a' suol concittadini la possibilità di istruire i sordo-muti: e Van-Elmont, uomo sommamente ope- roso, il quale stranamente credette i sordo-muti do- versi istruire nella parola mediante la lingua ebrai- ca, perchè creduta da lui la più naturale, e perchè le forme de'suoi caratteri diceva dipintura delle mo- dificazioni , che sperimenta 1' organo vocale , allor- quando le lettere corrispondenti si pronunciano. E con siffatto sistema di istruzione egli pretendeva di mettere il sordo-muto, entro il troppo breve tempo di tre settimane, in istato di rispondere a qualunque domanda , purché fosse fatta lentamente e a bocca aperta ; e ne ricorda che uno de'suoi scolari sordo- muto in breve spazio di tempo apprese l' ebraico , avendo imparato innanzi a leggere. Ma siccome i vaneggiatori non sono pochi fra gli uomini, nessuna maraviglia che uno di loro fosse Van-Elmont, le cui idee in qualche parte furono seguite dal suo conna- zionale Aman, che dalla stessa natura di Dio pretese trarre la necessità della parola nelle creature formate a di lui immagine. Per la qual cosa nel suo mec- canico processo di insegnar a parlare non soltanto trovava un semplice mezzo atto ad associare parole i8o Scienze articolate alle idee, ma anche la restitnzione di un privilegio misterioso e sacro della voce, nella quale principalmente risiede , scriss'egli , quello spirito di vita, che ci anima, e di cui ella al di fuori ne tra- smette i raggi; voce, che è l'interprete naturale del cuore, e l'animo solleva dal peso che l'opprime, òhe è viva emanazione di quello spirito immortale di vi- ta, cui Iddio soffia, creandolo, nel corpo dell'uomo; stromento, che gli stessi sordo-muti, non sapendolo, sono in necessità di usare nelle vaste emozioni del- l' anima. Per il che, venendo a conclusione, Araan e Van-Elmont, fra le loro stranezze, la essenza della istruzione dei sordo-muti facevano consistere nel re- stituire coli' opera dell'arte l'uso della voce ; e co- storo si ebhero non pochi seguaci, tra' quali Wito e Niederroff ; e il primo faceva anche costrurre una macchina, che tutti eseguiva i movimenti dell'orga- no vocale nell'uomo, e ciò nell'intendimento di me- glio conseguire il modo di dare a'sordo-muti la pa- rola artificiale. jNè 1' Aleniagna si stette indietro a queste na- zioni: essa, quantunque mai sempre lenta nelle sue intraprese, venne rapidamente a conoscere l'opera di Fabrizio di Acquapendente , stampata nell'Annover, pochi anni dacché vide la luce in Italia ; e molti giovani tedeschi frequentavano la scuola di un si' grande professore, il quale però improvvisamente si vide da loro abbandonato, perchè la loro pronuncia volle deridere. Tuttavia l' applicazione delle teorie già in assai luoghi conosciute sulla istruzione de'sor- do-muti veniva fatta in tempi posteriori: e come pri- mo si presenta Herger, il quale i principii ricordando di Cardano scrisse che ogni sordo-muto , ridotto al Istituzione dei sordo-muti i8i semplice senso della vista , ma fornito del naturale intendimento, poteva esser messo in istato di scrivere e intendere ciò che legge , quantunque non venisse ammaestrato a parlare. E coli' aiuto della sorella si accinse all'impresa, educando alcuni sordo-muti col mimico linguaggio. Ma clii maggiormente fé progre- dire nelle contrade alemanne la istruzione de'sordo- muti fu Giorgio Raffeglio, valente ellenista, cliiamato a coltivar quest' arte ammirabile non tanto per ge- nio , quanto per necessità , trovandosi padre di tre fanciulle, tutte e tre sordo-mute. Dolente di vedersi mai sempre innanzi quelle infelici , cui sviscerata- mente amava, formò in suo pensiero divisamento di rivendicarle da un tanto oltraggio : le istruì, e il fece con tanta fortuna, che giunse a farle parlare: la prima precipuamente , che a vent' anni non si distingueva da chi non era sordo-muto. Ma questo tesoro del paterno amore veniva da invida morte tolto al Raf- feglio, che alla sua patria lasciava uno scritto, dove a bene de' padri di famiglia espose il metodo usato nel dare alle proprie figliuole l'artificiale pronuncia. E qui, se non mi avvedessi di passar tropp'oltre col mio dire , dopo questo generoso ricordarvi dovrei Buchner, Baumer e Torison, i quali lodevolmente occuparonsi dell'arte di educare i sordo-muti; Ar- Jioldi che introdusse l'uso dei disegni; ed Heiniche di Sassonia, il quale, come promulgò egli stesso, in sei settimane conduceva il sordo-muto a rispondere in iscritto ad ogni fatta interrogazione. Io certamente non so indurmi a prestar fede a questo pomposo pro- mettere, perchè aveva molta rassomiglianza con quello che fanno sulle pubbliche piazze certi uomini, che amano con mercede ingannare il pubblico; dirò tut- i82 Scienze tavia , che l'elettore di Sassonia chiamò Heiniche a Lipsia e lo fece direttore del primo instituto dei sor- do-muti: carica, che dipoi veniva occupata da Pet- chke, uomo in quest' arte assai benemerito e man- cato alla vita sono pochi anni. Ma intanto che faceva la Francia ? La nazione che per bocca di alcuni de'suoi figli si vanta di essere stata la prima ritrovatrice dell'arte d'istruire i sordo- muti, la Francia in tempo che traeva a se lo sguar- do di tutta Europa, perchè Molière, Bacine e Cor- neille con invidiata fortuna dipingevano sulle scene teatrali e virtù, e delitti, e grandi avvenimenti delle storie; perchè un Bossuet stancava la fama col suo genio, che mai non abbandona e lascia illanguidire la ragione, sempre grande e potente, e quando fulmina sulle tombe de'regnanli la vanità della umana gran- dezza, e quando flagella i vizi , e quando abbatte i miscredenti ; perchè un Bourdaloue e un Massilon sollevarono alla sua maggior altezza la eloquenza del pergamo, l'uno col maneggiare a prò della fede e dei costumi una logica vigorosa e stretta, a cui nlun re- siste; l'altro dolce, tranquillo, soave, col dominare i cuori, strascinandoli ove meglio gli talenta; la Fran- cia , ne'tempi che mostrava la maggior sua grandezza dell'umano sapere, non volse mai un pensiero a mi- gliorare lo stato infelice de''sordo-muti : e Pereira e Vanin non si presentano che in tempi a noi poco lontani. A questi tenner dietro Deschamps, che alla istruzione de'sordo-muti consumava tutta la sua vila e le sue fortune; ed Ernaud , che in quest' arte ebbe poca gloria e molti contrasti. Ma alla Francia , ul- tima fra le nazioni a coltivare la istruzione del po- vero sordo-muto , la provvidenza aveva serbato il Istituzione dei sordo-muti i83 vanto di portarla al maggiore splendore, e di diffon- derla mirabilmente in tutta Europa; e ciò faceva per opera del grande sacerdote de TEpée, nome il più ca- ro che nelle sue pagine immortali abbia registrato la storia dell'umanità. Con questo benemerito la istru- zione dei sordo-muti segna la seconda sua epoca , nella quale si sono veduti prestamente fondare insti- tuti in diverse parti di Europa. Non spirito di am- bizione , che alcuni ascondono sotto il manto della filantropia: non desiderio di fortuna, che molti sedu- ce : ma sentimento di compassione , gettava 1' abate de 1' Epée nell'ancora sterile campo della istruzione dei sordo-muti. Egli raccoglieva l'estremo anelito del P. Vanin, che sul letto di morte continuamente fa- ceva sentire il grave dolore nel dover abbandonare a se stesse due orfane sordo-mute , caro oggetto delle operose sue cure. Il de 1' Epée ascoltò la preghiera del morente, e in quel momento giurava in cuor suo di assumere la cura di quelle infelici. E poiché gli affanni e le miserie, le sventure e la povertà non si credono se non si sperimentano , o si ravvicinano , cosi il pio sacerdote nel trovarsi con quelle due sor- do-mute ne sentì tanta compassione, che pianse. Ma quel pianto era il considerare che in Parigi , nella Francia, in liluropa, grandissimo si è il numero dei sordo-muli , e che nessuno gode il beneficio della educazione. Il perchè da quel momento egli ideava la più nobile impresa : quanti sordo-muti aver pote- va, raccoglieva a se intorno, gli ammaestrava, e in tal maniera apriva il primo istituto, cui resse colle proprie fatiche, e colle sue non ricche fortune. E il pensiero di questi miseri il teneva sì occupato , eh' egli fu visto per loro ridotto alla estrema povertà , iB4 Scienze privo fin'anco d'un focherello, con che scaldare le ir- rigidite e stanche membra nel rigore del verno. Ma ogni sua privazione era temprata al piacere incompa- rabile di vedere quelle sue creature aprire i lumi dell'intelletto, acquistare come una seconda vita, pro- strarsi dinanzi alla maestà di Dio, del quale prima ignoravano la grandezza, la giustizia , l'onnipotenza e tutti gli altri attributi. E talmente crebbe nell'ani- mo del de l'Epée l'amore di questi infelici abbando- nati a se stessi , che desideroso di poter giovare a tutti, vecch'io com'egli era, col soccorso di gramma- tiche e dizionari apprese le principali lingue : e al- lora aprì una scuola per formare istitutori, che pro- venienti dalle diverse parti di Europa potessero farvi ritorno e divenirvi maestri de' loro concitladini sor- do-muti. Cosi mentre Pereira in Francia e Heini- che nella Sassonia facevano mistero dell' arte loro ; mentre il secondo vendeva a peso d' oro il proprio segreto allo stesso suo principe; il ministro di Dio, l'uomo veramente grande, l'abate de l'Epée , sudava nello studio delle lingue, onde facilmente manifesta- re a tutto il mondo l'arte benefica , eh' egli andava esercitando a bene di tanti orfanelli della natura. A tanto, o signori, è potente nel petto dell'uomo la vo- ce della carità, quella soprumana virtù, che piange all'altrui pianto, si affanna o si consola alla vista degli altrui dolori o delle altrui gioie, che dimentica di se stessa getta le sue vestimenta per coprire l'ignudo , spalanca la sua porta al misero senza tetto, si assi- de al letto del sofferante; che come sole spande in ogni dove i benefici suoi raggi ; che non vana, ma docile, amorosa, benigna, umile, tutto tollera e sof- fre ! E soffrir non poco dovette il pio nostro sacer- Istituzione dei soroo-ihuti i85 dote, contro del quale armossi la calunnia, percli'egli assai compiacevasi che principi regnanti , ministri e diplomatici visitassero il suo istituto. Ma ei di ciò aveva desiderio , e mostrava diletto , perchè in que' personaggi vedeva tanti benefattori a' suoi orfa- nelli , e a quei molti che si stavano in abbandono nelle diverse provincie :-. nei vari regni. Quella com- piacenza non era orgoglio, non era ambizione: e quan- to ambizioso fosse il magnanimo istitutore ben lo si potè comprendere quando Catterina, la Semiramide delle Russie, nella sua ambizione di affezionarsi tutti gli uomini grandi, faceva offrire per mezzo del suo ministro doni e onori all' abate de 1' Epée. Questi mostrossi grato alle offerte dell' imperatrice : e fra i tanti doni, uno straordinario egli ne chiese, un sor- do-muto fra i molti dispersi nelle Russie , che am- maestrato glielo avrebbe restituito. Così son fatli gli uomini dominati dallo spirito della carità evangelica; e coloro che si vanno decantando nel secolo fdan- tropi ( che la fdantropia si è sostituita alla carità , perchè credula voce troppo antiquata), chieggo a voi, o signori, se avrebbero fatto altrettanto ! Ecco che il de l'Epée ha già istruito molti sor- do-muti in Francia, e formava maestri per le altre parti di Europa. Così per la città dei sette colli am- maestrava Silvestri, per Vienna Horck, per l'Elvezia Ulrick , per le Spagne Darigolo ed Alea, per 1' 0- landa Dole e Gayot, i quali tutti divennero benefat- tori grandi della loro patria. In tal maniera per cura di un sol uomo ecco diffusa quasi in tutta Europa la istituzione dei sordo-muti : ecco princìpi e monar- chi fondare nei loro stali scuole per questi miseri. Per cui il nome del sacerdote dell'Epée risuonerà il i86 Scienze più grande nella storia dell'istruzione pel sordo-rauìo: e se la Francia gl'innalza monumenti, e se a Parigi ne celebra ogni anno l'anniversario della morte, non fanno che rendere un giusto tributo al merito di un tant' uomo. La sua perdila veniva riparata dall'abate Si- card, che perfezionò il metodo del suo maestro; par- tendo d'onde questi erasi fermato , riformando il si- stema de'segni metodici. Così 1' arte di ammaestrare i sordo-muti toccò quasi la sua perfezione. E quando favelliamo di per- fezione, subito ci corre al pensiero il nome del gran^ de Assarotti, onore delle scuole pie, che in Genova sua patria fondava un instituto, il qual divenne mo- dello a tutti gli altri. Ma un tanto maestro non la- sciava memorie scritte del suo metodo d'insegnamento: e si sarebbe questo interamente perduto, se qualche generoso, avido di apprendere una si nobil arte, non fosse andato ad udire continuamente le lezioni del maestro, o a raccogliere i brani degli esercizi pratici rimasti fra le mani de'scolari. E dietro l'esempio di Genova furono aperti instituti a Torino , Milano , Cremona, Modena, Parma, Pisa, Verona e Siena: veniva restaurato dalle sue rovine quello di Roma , la cui prosperità è dovuta precipuamente all'emincn- tissimo principe cardinale Brignole , e al sacerdote Ignazio Ralli, che siede ora fra' primi italiani maestri dell'arte d'istruire i sordo-muti. Ma a somma sven- tura le opere, che additano il progresso morale e ci- vile dei popoli, non sono dalla comune degli uomini osservate. Quanti stranieri avranno in Verona visita- ta la supposta tomba di Giulietta e Romeo, e pochi lo stabilimento ammirabile de'sordo-muti diretto dal sapiente istitutore Antonio Provolo, mancalo , sono Istituzione dei sordo-muti 187 pochi mesi, alla patria e all'Italia con universale cor- doglio ! Quanti stranieri movono a contemplare i ru- deri delle terme di Diocleziano, e nessuno la scuola dei sordo-muti, che vi sorge accanto! Ma ora che tracciai con rapida corsa la storia dell'arte d'istruire i sordo-muti, è mio dovere che mi arresti alquanto a farvi conoscere la istruzione, dove meglio di me vi favellerebbe chi n'è maestro. Se io dovessi numerarvi tutti i metodi usati nella istruzio- ne dei sordo-muti, mi gitterei in una vasta e assai difficile impresa; imperocché, e lo dirò con dolore ! altrettanti sono i metodi quanti gì' istitutori ; e ciò con gravissimo danno di un' arte sì benefica e ne- cessaria. Oh ! quanto desidererei che regnasse confor- mità ! Imperocché se non buona cosa ella è Tuilire in Italia tanti dialetti, quante sono le provincie; egual- mente non è bene il vedere ne'maestri de'sordo-muti tanti metodi, quante sono le scuole. Nondimeno am- mettendo che tutti vanno a riunirsi come in uno soltanto , simili a' raggi del sole che partono da un sol centro, dirò che i vari metodi, che nella loro mol- liplicità ad alcuni sono sembrati novella Babele , si possono ridurre a cinque principali, non essendo gli altri che una emanazione. F-ssi sono la scrittura sim- bolica o il disegno, il linguaggio di azione, mediante segni metodici, la scrittura posta a fronte delle cose che voglionsi indicare, la dattilologia o alfabeto ma- nuale, e finalmente la pronuncia artificiale. E questi abbracciano due elementi soltanto: quello delle idee e quello delle parole. Il primo e principale elemento viene costituito da'primi due metodi, siccome quelli che intendono presentare al pensiero l'idea delle cose; gli altri tendono a formare idee col sussidio della pa- i88 Scienze rola artefatta. E se noi vediamo un numero sì gran- de di metodi , forse avvenne dall' aver voluto i mae- stri tentare d'istruire con uno di essi soltanto, non riflettendo che questi metodi ad una compiuta isti'u- zione , sono come fra loro indivisibili ; imperocché l'uno è di aiuto all'altro, e l'uno non può andar dis- giunto dall' altro. Dlffatti il disegno esprimere non può che cose reali e sensibili; e il linguaggio di azio- ne non conduce a conversare cogli uomini, che han- no una scrittura e la parola; ma ne anco la cogni- zione della parola scritta e della parola artificiosa- mente emessa basterebbe; imperocché con essa tutto si riferisce ai segni delle idee, non alle idee stesse, le quali si acquistano co'primi metodi. Il perchè na- sce la necessità di adoprare come collelivamente tutti questi metodi, i quali insieme soltanto possono por- tare a bene istruire. Da ciò facilmente si comprende quanto sia sca- brosa e difficile l'arte dell'ammaestrare i sordo-muti; carriera piena di privazioni; onde nessuna maraviglia se dagli antichi fu collocata tra le cose impossibili. E l'ardua Impresa, che assume un maestro de'sordo- muti, parmi vederla raffigurata nel vangelo. Cristo , volendo sanare un misero sordo-muto (che il poteva in un istante, come fece con Lazzaro, col figliuolo del centurione, colla cananea, co'leprosi, e con quei mille e mille che lo andavano chiamando Salvatore d'Israel- lo) Cristo prima di restituire al sordo-muto, presen- tatogli sulla via di Sidone , i' udito e la favella , il contempla attentamente, lo divide dalla moltitudine, gli pone il dito nell'orecchie , colla saliva gli tocca la lingua, solleva al cielo lo sguardo, piange e final- mente pronuncia la voce : ephpheta ; cioè , apriti. Istituzione dei soudo-muti i8() Quanti stenti per un maestro de'sordo-muti prima di pronunciare sugli scolari suoi questa taumaturga paro- la ! quante fatiche ! quanta rassegnazione ! Essendo il sordo-muto nella stessa condizione , in che si trova un fanciullo che sente, prima di aver imparato la lingua materna, il rassegnato institutore compie le funzioni di una madre, che va ammaestran- do dalla culla i suoi pargoli. Mancando ne'suoi sco- lari il senso dell'udito, onde insegnar loro la lingua, egli ricorre ad un altro mezzo; in vece di far pi-onun- ciare le parole, le scrive e fa scrivere. E come la lin- gua parlata non ha si grande vantaggio sulla scritta, cosi puossi direttamente insegnar la lingua mediante i segni, e far colla scrittura quello che si farebbe a viva voce. E dappoiché le parole non si fanno inten- dere per loro natura, il maestro presenta con disegni le immagini, ch'elleno esprimono, o gli oggetti me- desimi in loro natura : metodo usato anche dalla ma- dre co'suoi bimbi, quando loro insegna a parlare. Ma essendo la scrittura non sempre pronta nella istruzio- ne, il maestro eccolo ricorrere alla dattilologia, che dello scritto potrebbesi traduzione appellare, come pel fanciullo che ha udito è la scrittura traduzione dei suoni , che hanno colpito a lungo il suo orecchio. Quindi coll'alfabeto manuale si esprimono parole, e nell'uso delle dita associando il linguaggio pantomi- mico, allora si caratterizza la natura del soggetto, di che si parla. Ma finché col Jisegno, colla scrittura e colla dattilologia il sordo-muto ha imparato ad applicare alle parole l'idea che esprimono, ei trovasi nella con- dizione di chi imparasse un dizionario. Come dun- que lo studio della lingua associar potrà ai bisogni, agli interessi ed alle azioni della vita ? Come della igo Scienze sua scrittura potrà formare un linguaggio atto ad e- sprimere le proprie idee, i suoi pensieri ? Ecco dun- que che l'institutore, giunto ad aver insegnato a'suoi scolari moltissimi nomi collocati gli uni dietro gli al- tri, non ha del suo edificio gettate che le fondamenta: egli è un artefice , che non ha preparato se non la materia pel grande lavoro. E per innalzare la fabbri- ca bisogna che a'suoi allievi insegni la grammatica. E accintosi all'impresa, eccolo presentar loro semplici e brevi proposizioni, cui svolge per mille maniere; da proposizioni esprimenti idee materiali passare a quelle esprimenti idee astratte e spirituali; dalle semplici alle composte; quindi queste unire insieme e formare de' periodi. Così, messo in loro mani lo stromento con che si ragiona, ei li va ammaestrando allora nel ca- techismo, nella storia sacra, e in qualunque altro ra- mo di sapere ; imperocché sta loro aperta la via a tutto apprendere. Ma qui non si arresta l'impresa del maestro dei sordo-muti ; altro incarco gli resta, come compimento di sì nobile istruzione: quello d'insegnare a'suoi al- lievi a parlare. E da quanto io dissi credo che voi non maraviglierete di questa intrapresa; quando fino dai primordi dell' arte i sordo-muti vennero ammae- strati a pronunciare a viva voce. E sappiamo che l'im- mortale Pio VII essendosi degnato, in tempo che tro- vavasi a Parigi per incoronare colai , che dal trono venne balzato sugli scogli di s. Elena a passare una vita angosciosa , di visitar l'istituto dell'abate Sicard, videsi complimentato ad alta voce da'bilustre fanciulla sordo-mula, che commosse al pianto il grande pon- tefice e chi gli faceva corteggio. Sappiamo che il ge- novese Assarolti, dopo tre anni di penosa e centra- j Istituzione dei sordo-muti 191 stata istruzione in sua patria, invitava i propri con- cittadini ad un pubblico sperimento , dove uno dei suoi allievi con alta voce lesse una commovente in- troduzione, che svilluppava l'idea : Che cosa erava- mo noi tre anni sono ? E in Italia presentemente come e quanto siano istruiti a parlare i sordo-muti, ne danno bell'esempio la scuola di Verona, dove l'ora estinto Provolo faceva uso del canto, con maraviglia di tutti; e quella di Roma, in cui, sono ora due an- ni, un giovanetto sordo-muto fu visto presentarsi di- nanzi al felicemente regnante Gregorio XVI , e su di un libro, che teneva in mano, leggere ad alta voce un ringraziamento fatto a nome di tutti i suoi con- discepoli al clemente pontefice, perchè erasi degnato assistere a quel pubblico saggio de'loro progressi. £ nessuno atterrir si deve dinanzi a quest'impre- sa, ne considerarla portento : l'arte di far parlare il sordo-muto è più agevole dell'istruirli nel leggere e scrivere. Voi sapete che il fanciullo è muto, perchè sordo; privo della regola che l'udito dà alla parola ar- ticolata, non resta però impotente a produrre intatte le parole, cui non intende. Ond'è che l'istitutore , mancando ne'suoi scolari l'udito, fa passare loro per gli occhi ciò che ne'fanciuUi non sordi passa per l'o- recchio. Egli abitua i suoi allievi a leggere col suo labbro, come noi leggere possiamo un libro di lingua straniera e non intesa : e siccome il sordo-muto co- noscere non può quali voci esprimono i diversi mo- vimenti delle labbra, dei denti, della bocca; così il maestro, nel momento che proferisce una data voce, fa sul proprio petto posare la mano del fanciullo, il quale se non sente un suono, sentir deve una oscil- lazione. Indi questi la medesima mano posando sul ig2 Scienze suo petto, emettendo una voce, si avvede dell'oscil- lazione che sente , se dessa è la medesima proferita dal maestro. Certamente l' esercizio sembra penoso, e le prime voci eniesse dal sordo-muto avranno poca dissomiglianza da quella del bruto; ma colla ripetizio- ne continuata e con un'assidua esperienza si variano, si perfezionano; e finalmente il sordo-muto giungerà senz'altro bisogno a prestamente leggere sulle labbra del suo maestro, come un fanciullo che ha udito leg- gere sopra di un libro e pronuncia le parole ivi lette. ' Ma questa fatica presso taluni sarà creduta inu- tile, presso altri dannevole alla salute di questi infe- lici. Ma io faccio osservare a'primi, che il sordo-mu- to, giunto ch'ei sia a leggere sull'altrui labbro e pro- nunciare, è restituito alla società, dalla quale era co- me esiliato; e qualunque sia la sua condizione, sem- pre troverassi a contatto col sup simile, sarà attore e spettatore, e col linguaggio potrà intendere e farsi intendere a tutte l'ore, e alla mensa e al lavoro e al passeggio, in casa e fuori : laddove non potrebbe col- la semplice scrittura: le sue idee si moltiplicano, e le acquistate si rettificano. E ben disse un sordo-muto, quando interrogate) sulla condizione sua rispose : Prima che appretta dessi a favellare io era morto, ma ora sonò vii>ò^ A' secondi poi ripete ciò che insegnato hanno i ftiae- stri delle scienze mediche col noto adagio*. Exerci- tium magnificat membrum. Un organo quanto più è messo in esercizio, tanto piìi si fortifica: così pi Ci del braccio sinistro è forte il destro. Nel favellare il petto prova un esercizio più forte, che nella ordina- ria respirazione; e come molta utilità si ripete dàlia ginnastica , ia cui sono attribuite raaravigliose cure, Istituzione dbi sordo-muti iq3 così dall'articolazione, vera ginnastica del polmone , s'impediscono molte malattie; e c'insegna una dolo- rosa esperienza, che i sordo-muti non toccano mai, privi di tale esercizio, una avanzata età. E a che vado io favellando di artificiale linguag- gio, quando taluni non prestano fede neppure al re- stante della istruzione dei poveri sordo-muti, dicendo gli uni che nulla possono intendere, gli altri essere cosa affatto materiale, non dissomigliando dal bruto, che si conduce a fare una data azione col continuo far- gliela ripetere ? Finalmente evvi chi ammettendo di una tanta istituzione la utilità , persuadersi non sa come a'sordo-muti si possano comunicare idee astrat- te e spirituali. E siffatti pensamenti furono e sono non soltanto della gente del volgo, ma anche di uo- mini dotti: e l'ignaziano Davalos ad un valente mae- stro de'sordo-muti diceva, sono molt'anni, che in Ro- ma era una scuola per questi infelici , ma che le persone le piìi stimate per lettere e per dottrina non erano persuase ch'essi intender potessero le cose di Dio e della fede, cui alcuno ha negata nel sordo-mu- to, riportando la sentenza di Paolo: Fides ex aiulitii. Ma r apostolo voleva dire, che non dall'udito vie- ne la fede, ma che per l'udito si manifesta. Il sor- do-muto venne al mondo colle intellettuali facoltà co- muni a tutti gli uomini; il suo intelletto non è ne pordo, ne muto; quantunque privo di un senso, è ca- pace di attenzione, d'immaginazione, di riflessione, di giudizio e di memoria : gli mancano soltanto i mezzi per esercitare queste facoltà interamente. Del resto per distruggere qualunque opinione, io credo non po- ter addurre miglior prova della esperienza. Siano fre- quentate le scuole dei sordo-muti, siano gli allievi a G.A.T.XCIV. i3 iq4 Scienze talento interrogati , e si verrà a conoscere quanto hanno essi potuto apprendere. Le prove non saran- no illusione, non inganno, ma verità: per negar le quali bisogna aver perduto il bene dell'intelletto. Ma se da una parte si nega la utilità della istru- zione, so che da un'altra la si va predicando vana, perchè il sordo-muto intende anche senza di essa : egli mostra divozione nei sacri templi, esercita diverse opere di pietà , fa conoscere in breve di essere cri- stiano baste volmente istruito. I sordo-muti non istrui- ti danno prove di aver conoscimento della religione; ma quanto sono siffatte prove ingannevoli ? Interro- gatene gì' istitutori , e vi diranno quali idee hanno trovato ne' loro allievi la prima volta che presenta- ronsi alla loro scuola. Io intanto vi ricorderò un gio- vanetto sordo-muto, ma di assai intendimento, il qua- le, indi ad alcuni giorni dacché trovavasi nell'istitu- to, osservando alcune immagini rappresentanti la pas- sione di Cristo, chiese al maestro, se il flagellato , I' incoronato di spine e il crocefisso , era un ladro. Una fanciulla ricorderovvi, della quale era pubblica- mente lodata la molla divozione nel tempio : istruita «he fu ebbe a dire, che assai volte contemplando la croce in sua mente pensava : Tu sei in croce, in- dizio che fosti malvagio. E quel benemerito di Pro- volo narra di altra giovanotta , che mostravasi non ignorante in cose di religione : ma ammaestrata da quel grande sacerdote , assai meravigliossi in sapere che dopo la vita attuale esiste un inferno pe'malvagi e un paradiso pe'buoni, perchè non ne aveva avuta alcuna idea ; e quando per indicarle il primo se le additava un luogo sotto terra, e si facevano le corna, ella credeva le volessero indicare, non l'inferno , ma Istituzione dei sordo-muti iq5 il luogo (love si conserva il vino; e quando per far- le conoscere il secondo le additavano col dito il cie- lo , disse che con quel segno non mai comprese si volesse indicare il paradiso, perocché non aA'eva pensato mai che uomo o donna potessero lassù montare. Vede- te, o signori, le false o nessune idee del sordo-mu- to che non sia educato ! Per lo contrario quanto so- no consolanti gli esempli, che hanno dato i fanciulli istruiti ! Non è illusione, non inganno; essi franca- mente collo scritto vi rispondono ad ogni domanda del catechismo, vi raccontano molti avvenimenti della sacra istoria, le azioni loro giornaliere, i loro pensie- ri ; e imparata che abhiano una idea , non importa che voi la presentiate loro con queste piìi che con altre parole : essi vi risponderanno egualmente su co- se materiali e concrete, spirituali e astratte. Il perchè altissima debb'essere la nostra gratitudine a que'ge- iierosi, veri fdan tropi, i quali la lor vita consacrano a bene dell'infelice sordo-muto; e ringraziar dobbia-. mo la provvidenza, che una sì grande istituzione sia giunta a tant'altezza, E io ch'ebbi fortuna di vedere gl'istituti pe'sordo-muti a Milano, Verona, Napoli, Roma, Vienna e Parigi, vado lieto nell' annunciarvi non essere Italia alle altre nazioni inferiore. Se non che un pensiero mi rattrista, ed è al considerare che in mezzo al grandissimo progresso, che si è fatto nella istruzione dei sordo-muti , un numero straordinario di essi si rimane ancora in un totale abbandono. Mille e più di questi infelici sono dispersi negli stati pontificii , e soltanto sessantatrè sono istruiti nella scuola di Roma ; ventimila sordo-muti sono in Ita- lia, e ne'suoi tredici istituti non ne sono educati che seicento : più che un mezzo milione vive in tutto igS S e I E N Z K il mondo, e sappiamo dagli statisti più recenti che non più di cinque mila ricevono educazione nei i44 istituti che esistono, quelli non compresi deirAme- rica (i). Per cui quanti miseri abbandonati a se stes- si , ludibrio degli uomini e della sventura ! Quanti cristiani, che non hanno giuste idee di Dio, e igno- rano le cose necessarie a salute ! Ma la divina giu- stizia, si va gridando, non vuol perderli: imperocché sono collocali da essa nel numero degli esseri , che toccato ancor non hanno l'uso della ragione. Io , o signori, sono entrato in una quistione, che non a me, ma a' maestri in divinità si spetta di sciogliere; tut- tavia se mi doveste costringere a favellare, dovrei dir- vi non essere la condizione del sordo-muto simile a quella dell'infante, a cui manca l'uso della ragione; (i) Secondo la gazzella di Francia vi sarebbero in Europa 28, 667 sordo-muli soltanto; ma se noi con altri calcoliamo uno di questi infelici ad ogni due mille abitanti, l'Europa colla sua popolazione di 260 milioni e più, ne avrebbe più che i5o, ooo. Sappiamo dalie statistiche officiali , che l'Annover , nella popo- lazione di 1,722, 107 abitanti, ha i,o84 sordo-muli, cioè uno ad ogni 2, io5 abitanti ; il Belgio i, 900, in una popolazione di 4,000,000 circa, cioè uno sopra 2, io5. Il che fa conoscere il sordo-mutismo variare secondo le località. Dei 144 istituti, che vanta l'Europa, 32 sono in Francia e i4 in Italia.- i primi istituti fondati in ordine al tempo sono quei di Parigi, di Angers, di Lipsia, di Vienna, di Karloruhe e di Roma. E secondo lo specchio statistico presentato dal cav. Roselli e se- guito dal Balbi, in uno scritto che si legge nel tomo 89 della Biblioteca italiana, anno i838, il numero dei sordo-muti che ri- ceve istruzione sarebbe soltanto di 4, 197- Ma questi due valenti fanno ascendere gl'institutori di Europa a io3 solamente: men- tre, se non c'inganna la statistica pubblicata nel iSSj a Bruges, sono i44- Il Balbi poi fra gl'istituti italiani non ricorda Parma , Pisa, Verona e il secondo istituto di Torino. Istituzione dei sordo-muti iqj imperocché se troviamo un sordo-muto non educato ignorante nelle cose spettanti a religione, non lo tro- veremo mai privo della idea di bene e di male; egli sente il pudore, arrossisce delle azione ripugnanti a natura, conosce il dovere di rispettare ciò che è d'al- trui; ma questi sentimenti naturali sono soffocati ben tosto dalle passioni, a domar le quali torna necessa- ria la religione. E poiché la provvidenza divina ha fatto sì che sorgesse questa santa istituzione, ha im- posto anche il dovere di giovarsi della medesima. E in un secolo come è il nostro, dove vediamo cresce- re le opere risguardanti il sollievo della sventui'a ; dove abbiamo veduto nascere e prosperare le casse di risparmio, in cui l'artigiano depone i civanzi di sue fatiche, moltiplicarsi il numero de'fratelli della dot- trina cristiana, destinati alla istruzione del poverel- lo, e il numero delle figlie della carità , vera e in- comparabil gloria del cattolicismo; in un secolo, co- me è il nostro, dove abbiamo veduto nascere la so- cietà di s. P^incenzo de' Paoli a sollievo del pove- ro, e quella grande della propagazione della fede', dove finalmente al cuore de' credenti scende conso- lante la voce della carità e della compassione, quan- to è a desiderarsi che sia moltiplicata e diffusa , in mezzo la pace di Europa, sospiro dei monarchi, be- neficio dei popoli, anche la istruzione dei sordo-mu- ti ! E a desiderarsi ch'ella non sia limitata soltanto entro i recinti degli istituti; ma che allarghi i suoi confini. Io vorrei che ogni provincia , avendo ospe- dale, monte di pietà e scuole gratuite , avesse an- co l' istituto per questi infelici ; vorrei che le ani- me generose, dominate dallo spirito di carità evan- gelica, avessero a seguire il bello esempio del vostro ig8 S e I E K K E concittadino Di Pietra, il quale al letto dì morte si ricordava di questi poverelli, e con testamento prov- vedeva ai bisogni di alcuni. E se la mia voce non fosse circoscritta entro queste pareti, dove parla all'orec- cliio di pochi ; s'ella fosse polente, vorrei farla do- vunque risuonare, e persuadere ogni vescovo ad oc- cupare, nello apprendere questa sì nobil arte, alcu- no de'suoi ecclesiastici, onde di poi farlo maestro de' sordo-muli sparsi nella diocesi afGdata alle pastorali sue cure. Alle anime che hanno spirito di vera ca- rità e al clero io mi rivolgo, non all'ambiziosa filan- tropia , che continuamente va sonando la tromba delle opere sue. E se dovessi seguire i desiderii del mio cuore, e il voto del dotto e pio professore dei sordo-muti in Vienna , Ermanno Czech (i) , vorrei dire che ogni zelante ecclesiastico è in dovere di ap- parar quest'arte, onde istruire il picciolissimo nume- ro dei sordo-muti, che trovasi sotto la spirituale sua giurisdizione. Fosse anche uno soltanto; questi deve ricordargli essere la pecorella smarrita del vangelo , che mai non tornerà all'ovile, se il pastore non la cerca e la conduce. Ne questa pietosa cura richiede scien- za, ma amore e pazienza; né comanda assai tempo; bastano poche ore per settimana. Io raddoppio, è ve- ro, le fatiche nel sacro ministro; ma il sacerdote di Dio non abbisogna essere da me istruito per cono- scere che il suo ministero è carriera di privazioni ; ch'egli ha consacrata la sua vita agli affanni e al do- (i) Verzinliche Denk-und Sprachlere mit AnwendiiDg auf die religions und Sittenlehre , und auf das Leben, fon Fr«ncc- Hermanri Czccli ec. Wien, i836. IstÌTUIIONE dei sordo-muti »()() lore; che tutto, la mente, il cuore, la persona, le for- tune deve occupare a beneficio degli altri. Egli non è più padrone di se stesso; in mano di Dio depone- va la sua volontà , onde usarla a bene della chiesa e degli uomini. Qual conforto il poter dire ad un sordo-muto: « Tu eri come morto, e ora sei vivo; tu prima avevi in odio la vita, ed ora l'ami; dapprima ignoravi la tua destinazione, e ora segui le vie che ad essa conducono ! » Voi intanto, o maestri di giu- risprudenza, cancellate dai vostri codici : Surdiis et miUits piane indisciplinabilis : che è un insulto a tanti miseri vostri fratelli. Ma perchè si moltiplichi la istruzione dei sor- do-muti, giova che sia apprezzata da lutti, e da tutti conosciuta; e ciò non si potrebbe meglio conseguire che mediante un giornale tutto consacrato alla istru- zione ed educazione di questi miseri. Dall'alpi alle parti estreme di Sicilia veggo un numero grandissi- mo di fogli periodici; giornali hanno le scienze sta- tistiche ed economiche; giornali il foro e la medici- na; giornali le lettere, le arti, il commercio e l'in- dustria; giornali hanno Euterpe, Tersicore e Talia , divinità, a cui il nostro secolo ha innalzato un alta- re, come nell'antica Grecia, e tributa quelle ovazio- ni, che in tempi migliori sarebbero giusto compenso a'grandi intelletti ; perchè non v'ha un giornale per i sordo-muti , il quale comprendesse tutto che aver può relazione con questi infelici, aprisse il campo a esporre i buoni metodi induttivi, a esercizi pratici di grammatica, a quadri sinottici di nomenclatura ? Un giornale, che fosse di guida alle famiglie , nel cui se- no vivono sordo-muti, che desse della istruzione ed educazione di questi infelici i più importanti av- 200 S C I E N Z S venimenti , e presentasse opportuni esempi di utile lettura ? In siffatta maniera gl'institutori non resle« rebbero stranieri gli uni agli altri ; esporrebbero le speciali loro esperienze, sarebbero sciolte molte con- troversie, si stabilirebbe ragionato parallelo dei diversi sistemi. Così l'arte sarebbe diffusa ; e fincbè essa sia concentrata nel cercbio di clii l'applica, non saranno mai grandi i suoi progressi. Ella abbisogna di un giu- dice imparziale, che colle critiche e cogl'incoraggiamen- ti avverta i difetti ed encomi il merito. E senza dì questo soccorso , il pubblico destinato ad essere un tal giudice, non potrà mai esser illuminato; e se la curiosità giornalmente conduce spettatori a' pubblici sperimenti de'sordo-muti, dalla sorpresa dell'ammira- zione giudicar puossi come la maggior parte di loro assai poco supponga l'esistenza dei principii, che pre- siedono a questa sì nobile istruzione. L'arte dell'istrui- re i sordo-muti chiede un mezzo atto a farla uni- yersalraente conoscere e apprezzare : esige che siano cancellate tutte le contrarie prevenzioni. Questo è il voto de'saggi istitutori, questo un grande beneficio che si porta a'miseri sordo-muti, i quali ci tendono pie- tosamente le braccia, e nel loro silenzio sembra che vadano dicendo : Soccorreteciy che siamo fratellll 201 Tentativo di rettificazione medica di un brano in- teressante di medicina legale , letto ali" acca- demia volsca di F'ellefri nella tornata del i5 dicembre 1842 dui socio dott. Giuseppe Tonelli. I, MJa graduazione delle pene ai delitti è tutta opera dei savi legislatori, è tutta rinchiusa nella sfe- ra dei lumi scientifici, che regolano e guidano i me- desimi al retto giudizio. I codici penali antichi e re- cent i, modellati sui principii di una sana filosofia , han saputo proporzionare la pena ed il gastigo alla varietà immensa dei reati. Anzi nello stesso delitto ancora hanno essi graduato le pene in riguardo ora alla qualifica delle persone contro le quali è stato commesso, ora al modo con cui è stato consumato, ora agli effetti da esso ingenerati. Ma se per la gra- duazione delle pene una scala proporzionata alle de- linquenze venne in tal modo sancita dai principii di diritto pubblico, civile e penale, ha pur contribuito grandemente a questo scopo l'opera ausiliaria dei pe- riti dell'arte per il ramo della medica giurisprudenza. Nell'odierno declinarsi per altro del rigore dei prischi tempi, introdottosi pur anco nelle decisioni delle ma- terie medico-forensi un certo indulgente mitismo, si travaglia, direi quasi, troppo indefessamente in colti- varlo affin d'impartire alle delittuose violenze le più ricercate sembianze di attenuazione. I periti stessi del- l'arte medico-chirurgica, spingendo tropp'oltre la sot- tigliezza di certe disquisizioni loro, si sono ognora ga- 202 S C r E K Z K reggianJo adoperati pur essi a largheggiare nello scio- rinatnento delle attenuanti cagioni per tentar d'impri- mere alle offese istrumentali un grado sempre più ri- flessibile di leggerezza di reato. II. Posero già vari classici scrittori di medi- co-forense argomento un sommo studio nella distin- zione della mortalità delle ferite, chiamandone alcune assolutamente o necessariamente mortali, altre letali individualmente, altre letali dependenti da circostanze estrinseche al ferito e simili. L'immortale Paolo Zac- chia riparli le ferite mortali ed indi/ferenti, abbrac- ciando nelle ultime quelle che possono avere sinistro o favorevole esito a norma dell' abilità del curante , secondo la costituzione dell'infermo, l'età , il vigore e la docilità sua, e secondo la stagione dell'anno, la temperatura del clima ed altre circostanze. Suddivise le prime in necessariamente e non necessariamente letali : « Et lethalium porro alia sunl. de necessitate )> lethalia, quod omnino naturaliter occidant: alia non » necessario, sed ut plurimum occidunt » (i). Ma questa ripartizione di quell' uomo sommo fu rimar- cata, indi a poco, insufticiente a chiarire l'animo dei magistrati, che sempre in forse rimanevansi ed anci- piti nell'applicare ai casi particolari quella troppo ge- nerica espressione ut plurimum^ onde imprimervi in- violabile il giudizio. Surse però la necessità d'imma- ginare e proporre al foro altre fogge di divisioni, che pur si moltiplicaron d'assai: e volle Plouquet far co- noscere In ispecial modo , che non sempre le ferite sono per se stesse assolutamente mortali, potendo be- (i) Lib. 5, sect. a, quaest. 2, num. 5o. Medicina legale 2o3 nìssimo divenir tali per cagione propria inerente al- l'individuo vulnerato, o per sopraggiunta causa acci- dentale. Arrisero in genere a tal distinzione, in di- verse epoche susseguenti di tempo , Haller , Stoll , Malion, Fodere, Tortosa, Barzellotti, Mlglietta, Or- fila, Puccinotti: sebbene in alcuni di essi rifulga di- screpanza di qualche principio, come per es. in que- st' ultimo egregio scrittore , che volle determinare i gradi delle lesioni dal lato della sanabilità di esse. All'avviso del Plouquet si studiò singolarmente Mahon concedere un estesissimo sviluppo; che anzi evitar vo- lendo i vizi annessi alle partizioni dettate dai suoi predecessori, si sforzò procurare il primato per la sua: « Voici celle que je préférerois à toutes les autres, » parce qu'elle me parott plus conforme à la raison » et à l'équité, et plus mèdico-legale que toutes les u autres, principalement en ce qu'elle n'impute aux » auteurs des blessures , que ce qui doit conslituer » leur délit. » III. Nel carattere pertanto delle ferite neces- sariamente mortali si statuì per ferma base da molti, doversi nel vulnerato supporre sempre una sana com- page dell'organismo, cioè quella costituzione naturale che ogni uomo sano ritiensi aver portato fin dalla nascita, quella conformazione di parti solide, quelle qualità e proprietà di fluidi, quelle ordinarie funzio- ni di sistemi, organi, tessuti, tali quali la medica fi- siologia ce le offre ad esame. Il minimo grado dì aberrazione da alcuna delle memorate condizioni di stato in una delle singole parti e visceri dell'organi- smo si rende quindi bastevole per somministar mo- tivo ad islabilire, che non più abbiano in simili in- dividui a risguardarsi le ferite come necessariamente 204 S C I K W Z K mortali, ma die rilegar se ne debba la specie ad una delle altre preconcette distinzioni. Sembrando però sotto un tale aspetto potersi dire a ben poclii riser- valo quel privilegio complessivo di favorevoli condi- zioni, quel grado d'impasto di fisiologica perfezione, che seco trasse il solo Adamo uscito perfettamente formalo dalle mani del Supremo Artefice ; ne segue che, seguendo le idee di questi chiarissimi scrittori, cancellar quasi dovrebbesi dal catalogo delle memo- rate distinzioni la specie delle ferite assolutamente mortali : poiché in chi più in chi meno avrebbe luo- go a rinvenirsi ed afferrarsi qualche declinazione da quello stato di normale fisiologica perfezione. Eppure con tanta sollecitudine ed impegno si è sostenuta e tuttavia sostiensi cotesta dottrina, fino a credersi es. ser la medesima la più conforme ai principii di uma- nità, la dottrina più in accordo coi principii del di- ritto di natura, e con quelli altresì di una sana me- dicina ! IV. Or su questa pretesa conformità ed ar- monìa imprendo ora a favellare: squittinare osando, se coi principii del diritto di natura e con quei di una sana medicina trovisi realmente in accordo co- tal sì accarezzata dottrina della troppo general distin- zione delle ferite in assolutamente mortali ed in ac- cidentalmente o individualmente letali : ovvero se sot- to questa foggia di classificazione qualche segnalalo erramento ascondasi, a cui fia d'uopo portare una più giusta rettificazione. Mio assunto non è tener discor- so di quelle circostanze , le quali nel loro insieme rendono più o men grave il delitto ( indipendente- mente dalla gravità dell'offesa ), e che rientrano nel- la sfera della sola parte morale delle ferite. Titolo Medicina Legale ao5 egli è desso, la conoscenza ed importanza di cui al solo giudice si appartiene. Neppur è mio intendi- mento l'assumer parte sulla precisione ed uniformità del linguaggio dei relatori denunzianli il grado , la qualità ed i caratteri dei ferimenti. Parlò su tal su- bietto con fior di senno l'ili, prof. Buzoni di p'erra- ra , ai divisamenti del quale ninno può ricusare di soscriversi. Permettetemi bensì, onoratisslmi soci, che varie riflessioni io vi presenti intorno al valore im- partito alla seconda parte della mentovata distinzio- ne, intorno alle ferite cioè che si dissero individual- mente o accidentalmente letali, per cosi quindi deci- dere quali sieno in realtà le attenuanti cagioni, che assister possano il reo, e quali non debbano favorir- lo; vale a dire in quali casi l'attenuazione di reato al vulnerante possa coscienziosamente promuoversi e sia conforme ai principii di una sana medicina , ed a quelli del diritto di natura; onde poter determinare più rette norme alla formazione dei giudizi. Eccitar così bramando i colleghi a ponderare delle mie ani- madversioni il valore , ho in animo di sottopori'e il tutto alla perspicacia dei veri dotti, allo spirito im- parziale degli equi legisti, ed alla sapienza di voi , ornatissimi soci. E se questo mio informe scritto non sarà degno dei plausi di sì illustre consesso, cui ho l'onor di presentarlo, si augura almeno ricevere un benigno compatimento e da voi e dal pubblico. V. Un rapido analitico sguardo convien che io vi premetta agl'istessi principii del diritto di na- tura. A questi per comun consentimento riduconsi la fuga del male , la pratica del bene , il non fare ad altri ciò che a se non piace. Ma qual legame havvi di armonia fra questi assiomi ed il tentativo di giù- ao6 S e I X N z E atificare un delinquente o mitigargli almeno a tutta possa la pena? Reclamasi forse ciò dal precetto dì non fare altrui quel che in se niuno vorrebbe? Ma e non viene per tal modo a conculcarsi nel vulnerato il di- ritto di natura , la conservazione cioè della propria vita, con cui si obbedisce al precetto della ordinala dilezione di se stesso ? Ed il precetto di non fare ad altri ciò che a se non piace , non è stato esso già trasgredito dall'inquisito che attentato ha o rapito la esistenza al suo simile ? E la punizione proporzio- nata di colali attentati avrebbe da chiamarsi contra- ria ai diritti di natura ? Ed il dissimulare o neglige- re in quell'emergenze la punizione, potrà dirsi con- seguenza persuasiva e legittima di aver abbracciato una dottrina in armonia coi princlpii medesimi del diritto di natura ? Non sarà in vece un indizio di aver accordato un premio al misfatto ed al delinquen- te; un indizio perciò luminoso della caducità, della disarmonia, ed anzi , direi meglio , della fallacia di celesta dottrina ? Mi si dirà forse, che anche il reo ha per diritto di natura il diritto della conservazio- ne della vita. Si , egli è vero. Ma questo diritto è inerente al reo egualmente che all' ofteso ; e 1' eve- nienza del ferimento porta quindi con se un tal cam- biamento di cose , che presentando o estinta o resa almeno assai periclitante la vita del vulnerato, rompe l'equilibrio e la reciprocanza di questi diritti mede- simi. Il reo con operar contro altri ciò che in se non avrebbe gradito , vale a dire coli' uccisione o coli' tentato omicidio , ha violato il diritto di na- tura nel suo simile , e perciò ha perduto col rea- to il diritto di fruirne in suo favore. Anzi sotto il rapporto di relazioni sociali ha egli, il delinquente, Medicina legale 207 perduto anche ogni privilegio che competer gli può, per il cosi chiamato diritto delle genli: avendo posto in oblivione e calpestato i doveri di mutua alleanza. Dunque tal dottrina si oppone ai diritti di natura e delle genti. VI. Né la commiserazione verso il trasgres- sore deve far tacere il sentimento di quella a prò del vulnerato od estinto ; poiché è d'aggiugnersi, che ri- sparmiandosi la pena capitale, o altra di esemplar gra- duazione ai rei per non cancellarli dalla società, ne segue, che con tanti escogitati titoli di attenuazione viene a porgersi incoraggiamento ai facinorosi, ed ec- citamento alla moltiplicazion dei delitti. Cosicché pel crimine quasi autorizzato a passeggiar piìi libero per le contrade, preparasi nel delittuoso risparmiato il sa^ grifizio della vita in un numero maggiore d' indivi- dui, che con nuovo oltraggio al diritto di natura ven- gono all'audacia e ferocia del mal intenzionato espo- sti e compromessi. Che anzi , favoreggiandosi sover- chiamente la sorte di costui, sarabra non aversi altro scopo dai periti medico-forensi se non quello di di- stinguersi presso il pubblico o per assunto di colli- sione acre contro qualche altrui volo, o per ardente mania di celebrità, a cui si aneli salire a spese altrui facendo pompa di finezza d'ingegao e di una più o men viva penetrazione. INon avveggonsl per altro i medesimi, che dubbielà sempre maggiori sorgono nel- l'animo dei retti giudici, ai quali talvolta si conse- gnano divergenze parlanti di opinioni, che dando chia- re note di non partir dalla verità, destano anzi in que- sti ambiguità ed incertezza: reclamando così la biso- gna di far ricorso a voli periziori più decisivi, onde sottrarsi dalle indecenli incoerenze di certi medico- 2o8 S e I E tr Z E cbli'urgici pareri. E quante volte imbarazzi ancor mag- giori emergono pur da questa misura, vedendosi più fiate rinnovellato l'avvenimento riferito da Littmann, ove leggiamo, che una lesione dello stomaco venne giudicata di sua natura mortale dalla facoltà di Li- psia , e non letale dalle facoltà di Helmstad e di Vittemberga I VII. Soggiugner qui potrà taluno, che infra le pene inflitte nei codici criminali è stata bene spes- so un subietto di controversia la pena capitale: es- sendosi questa in un secolo esclusa, in un altro ri- posta in ordinanza per impeto di quelle varie vicen- de dei tempi, nei quali or si è fatta servire la legi- slazione alla forza morale , ed ora questa a quella. Ingenuamente però rispondo e mi esprimo non in- tendersi da me, che nel foro il terrorismo alla man- suetudine prevalga; ma sarei bensì di avviso, che la pena applicata dai codici ad un delitto non debba nella penna del medico-chirurgo fiscale , che tante volte, come dissi più sopra, ama segnalarsi arditamen- te per gli sfoi"zi d' ingegno non sempre validi ; non debba, ripeto, trovare un fulcro di pretesti ed arlifi- ziosi cavilli per opporre un obice al retto parere dei giudici, ed estorcere della pena istessa l'attenuazione. Mi verrà nuliadimeno apposta da molti la menda di seguace dell'opinione dell'austero Farinaccio; ma per quanto sia spinosa e difficile la tremenda questione Circa sanguinem profusum et profundendum in reo , non posso desistere dal confermarmi nel mio opinamento, il quale trovo più consono ai principii del diritto di natura ed a quelli di una sana medicina, non che più idoneo a rimuovere ogni ombra d'imba- razzo o di esitazione dalle menti dei giudici discer- Medicina t.egale 2og nitori nell'equa dislrlbuzion delle pene. Ed a questo scopo infatti saranno meglio e con più di semplicità guidati i giudici dai periti forensi , ove con verità di rapporti, con chiarezza e precisione si muova il passo dal contemplare le accidentalità nella forma, che da me verrà fra poco distinta. Compiendo po- termisi pur anco opporre il divisamento di non po- chi ed autorevoli scrittori di medicina legale, che ri- stringono la definizione del vocabolo ferita, ligandola come effetto alla causa. Così Tortosa (i) lasciò re- gistralo: a INella generica denominazione di omicidio » per ferita si comprendono lutti gli atti di ostile » violenza in qualunque maniera e con qualunque » mezzo commessi nel corpo di un vivo, ai quali sia » succeduta dello stesso la morte, come effetto indi- » pendente da ogni altra causa. » Ma e chi non ve- de che per tal modo viene soverchiamente , e ( per quanto sembrami ) ingiustamente ampliato il campo delle ferite, che appellaronsi individualmente letali? Chi non ravvisa, che della fruizione dei diritti di na- tura viene orbato il ferito per rivestirne interamente il solo delinquente? E sarà poi questo un ragionare conforme ai principi! del diritto di natura, ed a quelli di una sana medicina ? Ben saviamente fu riprovata questa incongruenza dal chiar. prof. Buzoni di Fer- rara (2). Recata ch'egli ebbe la definizione delle fe- (i) Istit. di med. fon, voi. "2, pag. i43. (2) Si propone un linguaggio uniforme e comune si ai me- dici legali e si ai giudici crimiaalisti per la denunzia delle fe- rite. Seconda memoria medico-legale , letta nell'ordinaria adu- nanza dell' accademia medico-chirurgica di Ferrara ec. ec. dal prof Luigi Buzoni. Ved. giornale arcadico, primo trimestre del i83i. G.A.T.XCIV. 14 2ro Scienze ri te eia doversi designare come assolutamente mor- tali^ perchè in qualsivoglia anche più favorevole con- dizione non lasciano, ne lasciar possono, alcuna spe- ranza di guarigione e di vita , soggi ugne : » E sia » poi che queste ferite cadano sopra di un viscere » o di un organo preternaturalmenle situato , o su » di una parte già precedentemente inferma, o in un » corpo di soverchia sensibilità di nervi, di pessimo » impasto e di quasi fracida tela, per cui vi abbia » ragion di credere, che senza sfavorevoli circostan- » ze la persona ferita non sarebbe morta : pure se » in queste ferite si rinverranno i caratteri che io » dissi propri di questa prima specie, tutte si avran- » no a dire assolutamente mortali. Queste, che io » chiamarei scolastiche sottigliezze, forse non sono ne » ragionevoli, ne giuste : e sono poi per lo manco )) fonti di non mai decise questioni. Il perchè mi sem- » brano da bandirsi, siccome affatto contrarie al va- » lore di così fatti delitti, e alla colidiana pratica del )) foro, quelle ferite che da alcuni comechè dotti scrit- » tori di medicina legale si appellano assolutamente » ma ìndivldualmpute mortali. » Vili. Piacerà forse a taluno promuover doglian- za , perchè vengano per tal modo soverchiamente a circoscriversi in angusto novero le accidentalità a fa- vor dell'imputato ; ma non sarei qui lontano dall'im- prontare dallo stesso Mahon una risposta. Sciorinan- do egli energicamente a prò del vulnerante le atte- nuanti cagioni, non dubitò rispingere le animadver- sioni accampate per le vittime di ferimento indebita- mente trattato in alcuni luoghi per imperizia di certi cultori dell'arte, dicendo : « Mais que ceux, qui ont » i'huraieur querelleuse, envisagent ies suites terribles Medicina legale 2ii » qu'elle enlraine après elle, qu'ils profitent des e- » xemples de sévérité qii'ils ont sous leurs yeux, et » qu'ils s'etudient à reprimer leurs inclinations ineur- » trières » (i). Sciorinando anche con maggior zelo ed impegno il sagacissimo Puccinotti a prò del vul- nerante le altenuanti cagioni dal lato della insana- bilità accidentale , volle sotto tre aspetti risguardar- le (2), cioè : « O come derivanti dal ferito : o co- » me derivanti dal prof, della cura, o come derivanti » da esterne cause con che il ferito per caso si tro- » vi in relazione. » Non v' ha dubbio che i primi due aspetti, da lui egregiamente trattati, debbano in tutta la loro estensione concedersi; ma quelle del ter- zo aspetto d'insanabilità accidentale ritengo incapaci di potersi a favor del reo calcolare per il peso delle ragioni che sarò per addurre. Per lo che piacemi con^ fermarmi nel sentimento, che già altra volta palesai (3), del mitisnio soverchio che campeggia in quel lavoro del prof. Puccinotti. E per conseguenza sembrami , anzi ritengo come dimostrato in genere, esser la dot- trina, elle vado impugnando, contraria e non confor- me ai diritti di natura, né in armonia coi principii di una sana medicina. IX, Ma per dimostrare poi questa verità in mo- do più speciale nei singoli casi, vengo a ripartire il mio assunto in vari articoli, proponendomi lo scopo (1) De la médecine legale ec. Tom. Il, pag. i3. (1) Lezioni di mediciua legale , ec. Edizione 3, ec. cap. I, par IO. (5) Giorn. arcad., giugno 1829, in cui fu inserito un sunto del trattato del medesimo „ Delle ferite, come argomento di me- dicina legale. ,, 212 Scienze (li novella distinzione che bi-amerel sì portasse alle fe- rite ed offese accidentalmente letali. Oso quindi sta- bilire, che onde V accidentalità venga più rigorosa- mente semplificata , purificata riesca da imbarazzi e dubbiezze, ed abbia pur l'impronta della rettitudine presso i giuristi, vedrei necessar^io distinguere in due uniche specie soltanto tutte le ferite accidental- mente mortali. Nella prima specie riporrei tutte (fuelle che favorir non ponno e non debbono il reo della offesa, come allorquando consti: Artìco- lo i: Della malsana costituzione del vulnerato^ a della preesistenza di altra morbosità in lui capa- ce per se di condurlo a presto o tardi alla tom- ba: Art. 2 : O che dietro la morbosità indotta per la violenta cagione traumatica abbia quindi avuto luogo lo sviluppo di alcuna delle malattie domi- nanti: Art. 3 : O di avversa costituzione di aria 0 di clima, o di coincidenza di alcune estrinse- che cagioni: Art. 4: O che pretender vogliasi aver a benefizio di attenuazione di reato il tempo tra- scorso fra la creazione delVoffesa e la distruzio- ne della vita : o la pretesa fruizione vogliasi cal- colar del benefizio di certi casi segnalati e spe- cialissimi di guarigioni disperate per le sole for- ze di amica natura. Farei nella seconda specie comprendere le altre tutte, che assister ponno e debbono il reo delVoffesa, come tutte quelle: Art. 1 ; JSelle quali siasi verificato, che avesser luo- go una semplice inavvertenza , uno scherzo , un atto insomma involontariamente eseguito senza om- bra di facinorosa tenzone: Art. 2; O nelle quali risulti, che le persone circondanti Vindividuo of- feso abbiano negletto senza imperiosa necessità , Medicina legale 2t3 o per turpi fini impedito^ Vaccesso dei mezzi in- dispensabili ad un pronto soccorso : Art. 3; O nelle quali può aver parte il dolo, la malizia, Vindo- cilità del vulnerato : Art. 4; O nelle quali abbia signoreggiato V intrigo, V ignoranza, la nequizia , o qualsiasi altro esecrando fine del curante. X. Art. I. Della prima specie. - E per muo- ver dalla prima, rappresentiamoci alla mente un in- dividuo, che con piìi o men paziente rassegnazione sopporta gli sconcerti ed i languori che gli proma- nano dal proprio organismo per avversa sorte male impastato : altri che paga di già con la sua più o men penosa esistenza il fio di colpa da se commessa o dai suoi genitori ereditata. Or se quivi un ferimento avvenga , e se ahbia questo il suo esito in morte , perchè di malsana tempra siasi il vulnerato; e se mi- nor colpa rifonder si debba sul reo, atteso che og- getto del suo sdegno si fu un individuo di costilu- zione non sana : ne segue che questa classe di vul- nerati sarebbe sventuratamente orbata della fruizione di quei diritti che concedonsi a chiunque altro for- nito sia di vegeta robusta ed erculea costituzione. Par- rebbe in tal caso, che il misero vulnerato, sol per- chè malsano , fosse decaduto in faccia alle leggi da ogni diritto al pacifico prolungamento de'suoi giorni, cosicché debba vedersene arrestato o troncato presso che impunemente il corso da mano omicida. Parreb- be ch'egli, perchè malsano, avesse perduto il carat- tere inerente alla condizione sociale dell'uomo, e che meritevol fosse per il suo stalo infermiccio di venire assimigliato agl'insetti i più vili, che tuttodì schiac- cia coll'attrito sul sentiero la ruota di un carro senza ombra di colpa. E sarà questa una dottrinale deter- 2i4 Scienze minazione consona ai prlncipii del diritto di natura, del diritto delle genti e della più sana medicina ? XI. Ne applicabile vedrei, a mitigazione del rea- to di ferimento, la preesistenza nel vulnerato di un morbo già bastevole per se a condurlo alla tomba. Analizziamone per maggior dilucidazione qualche esem- pio. Per il caso raccolto dall'immortale Morgagni, e riferito dal eh. Barzelletti (i), della donna epilettica che soffrì un colpo nella testa, uniformandosi al pri- mo il secondo scrittore esclude la letalità della ferita pel trovamento necroscopico di piccola prominenza ossea, che pigiandosi col dito il pungeva. Al che po- trebbe a prima giunta rispondersi, che, quantunque tenue si fosse, pur si riferisce essersi rinvenuto mu- tamento di colore nella interna superficie della cai- varia ; e che nei pochi giorni, in cui visse dopo la percossa, dovette aver luogo un processo suppurativo addimostrato dal muco purulento ivi rimarcalo. D'al- tronde , se la notata condizion patologica dell' osso aveva reso tollerabile la vita infra gl'insulti epilettici, ai quali era la donna iaindiit obnoxia, come depo- ne il Morgagni ; se cotal morbosa circostanza dovè aggravare la condizione e l'esito della percossa, non sarà lecito inferirne, che avrebbe forse senza questa potuto ancora sostenersi la vita della paziente per al- tro o men breve spazio di tempo ? Ed anco il più breve troncamento di giorni non potrà con buona ra- gione riguardarsi come omicidio ? Giustissima non vi sembra, chiarissimi soci, siffatta animadversione ? Ma ciò non è tutto. (i) Quistioni di medicina legale, tomo III, pag. 48, $. 849, caso 5. Medicina legale 2i5 XII. In chi opinò sul proposito sostenere con- trario avviso, palese bene spesso scorgiamo una con- traddizione di concetti, per cui fiancheggialo ne re- sta il mio divisamento. Favellando infatti il Barzel- letti dei ferimenti del pericardio, del cuore, dei precor- di, e de'grandi vasi ad esso appartenenti, fa menzione di un caso (i) registrato dal Morgagni (2), ove leg- gasi , che in esso i trovamenti necrotomici manife- starono varie croniche condizioni patologiche nei vi- sceri toracici. Mentre poi col merito di queste ulti- me ragionar volle il defunto prof, pisano sulla leta- lità della ferila, inclinò a proclamarla non letale, ma tale addivenuta per accidente in virlù degl'incomodi nuovi che essa suscitò in parli già malate ed infet- te. E spingendo ancor piìj oltre le sue discussioni, si propose due quesiti, ai quali fe'succedere un' afori- stica ma concludente risposta nei termini che seguo- no: « Senza colai ferita, il paziente poteva vivere an- » Cora ? Senza meno » : Egli rispondeva ; a E per » la sola ferita, senza le preesistenti affezioni, sareb- » b'ei morto ? Noi credo. » Nella qual duplice in- chiesta e successiva risposta è ben luminosa ed evi- dente la contraddizione, in cui cade concedendo ora, che il paziente poteva vivere ancora senza la indicata ferila. Necessaria anzi ne segue la illazione da Irar- sene, che nel superiormente narralo caso del Mor- gagni della donna epilettica il vulnerante fu reo di omicidio con aver troncato la vita a chi poteva an- cor prolungarla. Non trattasi dunque di semplice reità (i) Num. 5, §. 885. (2) De sed. el caus. ec. Epist. 53, cas. 9.g. 2i6 Scienze di ferimento, ma bensì di omicidio; anzi non di dub- bio omicidio, ma di ben constatato omicidio, tostochè poteva la misera donna protrarre più a lungo la vita; siccome prolungar la poteva il secondo vulnerato , quantunque in braccio già fosse di un vizio preesi- stente ed insanabile, cbe lentamente gli logorava la vita stessa. XIII. \h\ contegno non dissimile sembra cbe te- nessero recentemente i valenti scrittori doti. Fdippo Marini (r) e Fabbri (2), ritenendo cbe il feritore non dovea reputarsi reo di omicidio. In quelle sagacissi- me discussioni luminoso rifulge l'erramento dei pe- riti fiscali: ma spontanea perciò non ne fluisce la or riferita concblusione, cbe dedur se ne volle dagl'il- lustri censori. Glie se ivi la vita del vulnerato si as- serisce venuta meno, non a caglon della ferita « ma » per un aumento di quelle morbose condizioni, cbe » lo affliggevano da molto tempo: » e cbi non vede qui manifesta una contraddizion di dettali ? Se fu per opera delle vicende del ferimento , cbe nacque 1' aumento di quelle morbose condizioni , ne segue cbe senza quelle occorse vicende del ferimento, che cotal aumento procacciarono, poteva forse prolungare i suoi giorni il vulnerato, che da oltre quattro anni innanzi avea presentato sintomi di grave malattia di petto, da cui non era mai giunto a risorgere. Noa era forse probabile cbe quella vita infelice si fosse an- (i) Dissertazione fisico-legale sopra un colpo di coltello ce. del dolt. Filippo Marini chirurgo a Loreto, e socio ec. - Vedi opuscoli di medicina e chirurgia ce. Bologna, marzo 1802. ("2) Voto medico-legale intorno la dissertazione ec, dello sles- so dott. Marini ce - Vedi opusc- cit- I. cit. pag. i25 e seg. Medicina legale 217 cor sostenuta, almen per un altro sol giorno, se non avessero avuto luogo le vicende del ferimento in di- scorso ? E cotale, benché lievissima, anticipazione di morte non sarà da caratterizzarsi per omicidio ? Non sembrami questa dottrinai determinazione dei medici forensi potersi ricevere per buona, consona non es- sendo ai principii del diritto di natura, né ai prin- cipii della più sana medicina. Da che un aggressore fatto sordo alla commiserazione , all'aspetto funebre di morte, che già dipinta offre nel volto un indivi- duo oppresso dal peso dei suoi cronici malori, avrà a dirsi reo sol di ferita e non di omicidio ? XIV. Art. 2. Della prima specie. Nel dominio di alcune locali morbose costituzioni, e sotto l' im- perio di certe o epidemiche o contagiose infermità , egli è notissimo che non tutti gl'individui aggrediti vengono dalle medesime. Egli è perciò nella sfera dei possibili, che colui, il quale incontra la sventura di un ferimento, potesse trovar luogo nel novero di co- loro che risparmiati sono dal disastro di aggressione di alcuna di esse. Or siccome dobbiam tener per fer- mo, che per lo svolgimento di ciascuna delle mede- sime una certa opportunità richieggasi; così non do- vrà certamente impugnarsi, che opportunità ad esser- ne invaso, e quindi preda pur divenirne , impartita venga ad un vulnerato dalle vicende del ferimento, da queir insieme che valenti scrittori nominarono morale delle ferite, e dalle offese qualsivoglia avve- nute in virtù del novello pervertimento di qualche funzione dell'organismo. Così può dirsi con probabi- lità di ragione,, a mo' di esempio , che l'Ansovino , di cui parla l'insigne medico giurisperito Zacchia, fe- rito sulla testa, avrebbe forse potuto, 0 essere per 2l8 S e I E N Z E buona ventura nel novero dei risparmiati dall'aggres- sione del contagio pestilenziale allora crassante in Roma ( siccome sostiene il Fodere ) ; ovvero risanar- ne, qualora la evenienza del ferimento non gli avesse impartito la opportunità a contrarlo ed operarne lo svolgimento; o non gli avesse nella complicanza im- presso condizioni Ji maggior gravezza, II quale av- venimento non sembra giusto, checché ne abbia det- to il Barzellotti, il quale giudicò che dovesse correre a sgravio della pena dovuta al feritore. Non vedo quindi come possa ritenersi consona alla sana medi- cina, ed ai principii del diritto di natura, la da me impugnata dottrina : non consona ai principii di una sana medicina, la quale nella sua parte iginica pren- de di mira la rimozione e la fuga delle cause occa- sionali ancora e delle remote di una regnante cosli- tuzion morbosa; ne consona ai principii del diritto di natura , da cui sembra escluso il vulnerato soltanto e per rivestirne unicamente e sempre il vulnerante. XV. Art. 3. Della prima specie. Si volle al- tresì trovar eccezione per attenuare la delinquenza del reo nella costituzione dell'aria , nelle atmosferi- che vicissitudini , nella influenza dei climi. Sia pur vero, che una possanza modificatrice spieghino que- ste circostanze sugli esiti delle ferite, e specialmente di alcune specie di queste: sia pur fermo, che in un clima rigido, in una fredda stagione, possano ancora per le lievi ferite del capo insorgere encefaliti, tri- smo, tetano, e morte, laddove in altri climi a tanto esempio non conducono queste ferite stesse : sia pure inconcusso ciò che neppure il Barzellotti osa total- mente negare, che le ferite cioè della testa non gra- vissime sieno più letali a Firenze ed a Bologna, che II Medicina, legale 2ig a Roma ed a Ragusi, ed in opposto senso le lesioni dell'estremità. Sia pur incontrastabile quel che talvol- ta avvenuto si legge (e che neppur manca a' di no- stri ancora verificarsi per altri generi di malattie) , che in un medesimo clima, ma sotto diverse costitu- zioni, diversi sieno i risultati delle ferite : « lam agi- « tur (depone Mahon così trovar registrato nelle ope- « re di Donato) quartus aut quintus annus , quod « in civitate nostra mantuana quicumque in capite « vulnerabantur , licet leve admodura vulnus ipsis « inflictum esset, quovis administrato auxilio sanari « minime petuerant: qui tamen influxus post tertium « vel quartum annum penitus abolitus fuit , ita ut « nunc fere nullus in eadem parte sauciatus moria- « tur )) (i). Ma che perciò? Non è forse ripugnante ai principii del diritto di natura ed a quelli di una sana medicina l'opinare, che a siffatte accidentali ca- gioni abbia a darsi il valore di mitigare del delitto la gravezza, e togliere per esse al reato dell'aggres- sione delittuosa la qualifica di omicidio, quasiché per le menzionale cause cessasse di esser criminosa la violenza, la offesa, il ferimento che tragge al sepol- cro il paziente? XVI. Ne in opposizione del mìo asserto si re- chi in campo la necessità d' isolare gli effetti nudi dell'offesa traumatica dalle altre conseguenze mediate di certe avverse circostanze (come le accennate nel num. precedente, ed altre presso a poco somiglievo- li) che vi hanno potuto coincidere, onde conoscasi, secondo gli oppositori, la parte di danno recalo dalla ferita , e sceverarla dalla parie di danno cagionato (i) Mahon, toni, second. 1. cit. pag. 24. 220 Scienze dalle ultime, per cui addebitare la sola prima al reo, e non le seconde. Poiché se il vulnerante non è delle ultime imputabile, perchè niuna parte vi ha avuto; e qual parte potrà dirsi che vi abbia 1' offeso onde doversene caricare? Se questi non sarebbe per quelle sole avverse circostanze incorso in quella infermità ed in morte senza il ferimento ( il quale in oggi pre- senta un nesso medialo con quelle ), sembra chiaro che della gravezza maggiore e dell'esito della offesa debba essere incolpato il reo, il quale , se non im- mediatamente , è stato almeno la causa indiretta, o mediata della gravezza della ferita, e della morte del vulnerato: poiché egli fu la prima cagion movente, che abbia dato occasione d'impulso a rendere attuo- se le cagioni predisponenti, e concorrer quindi con la prima al risultato di un morboso prodotto nell'indi- viduo offeso. Il dissentir dal vero di quest'argomen- tazione ripugnerebbe ed assolutamente ripugna ai di- ritti di natura : tanto più che il vulnerato, oltre il | male ed il pericolo della ferita semplice, verrebbe pur solo sovraccaricato della tolleranza dei nocivi effetti delle contemplate evenienze che resero e rendono le- tale 1' offesa , senza dividerne il danno col vulne- rante, che già ha leso i diritti medesimi di natura. Volle, è vero, con altri il Barzellotti, nelle ferite che designaronsi accidentalmente mortali^ riferir quelle in discorso a sgravio della pena dovuta al feritore ; ma non sembra che così la pensasse il prof. Buzo- ni (i) per quelle ferite non mortali, ma che pur mor- tali addivengono per la sopraggiunta di una quat- ti) L. cit. MEDICINA LEGALE 221 che iiìfennità , come di una cancrena così detta da ospedale^ di uìì! affezioni^ che regni epidemi- ca o di qualunque altro accidentale infortunio , come quella dirottissima pioggia e quella tempe- stosa notte che rendono impossibile ogni soccorso di addottrinata persona . . . quelVinsieme di ai>~ verse circostanze, per le quali mia ferita facil- mente sanabile diventa mortale. Non accenna qui egli a pronunziare attenuazione di pena, né invocar sembra per queste accidentali evenienze una propor- zionata moderazione. Non imputabili quindi al vul- nerante sembra clie non restar possano le da me ri- legate al num. IX nella seconda specie. Starà pur bene il distinguere tali ferite col nome di acciden- talmente mortali, finché questa parte di metodica di- visione serva soltanto alla maggior esattezza del lin- guaggio medico-legale dei periti, onde per lor conto incertezza alcuna o inganno mai non avvenga, e sia pei periti medesimi e pei giudici eguale il valore di quelle espressioni che racchiudono un importante giu- dizio. Ma se il dare a tutte le menzionate offese un tal nome (a riserva di quelle da me racchiuse nella seconda specie del num. IX) importasse lo sgravio della pena dovuta al feritore, siccome opinò il Bar- zellotti, non vi scorgerei reltitudine di pensare, né consono vedrei il dettato ai principii del diritto di natura, né a quelli di una sana medicina. I quali prin- cipii tutti verrebbe il medico stesso a conculcare , perchè con provocare attenuazione di reato verrebbe a rinunziare all'onesto officio d'imparzialità che gl'in- combe, ed assumere la divisa d'ingiusto patrocinato- re. Da questi principii di rettitudine declinò pure il profondo scrittore pisano , il prof. Puccinotli , stu- 222 Scienze diandosi adottar novella divisione per giudicar de' gradi e qualità delle ferite dal lato dello stato loro sanabile o insanalnle: e non sembrandomi aver egli rimosso gli errori o incougruenze, di cui intendo par- lare, dirò elle non ba egli, a mio parere, raggiunto lo scopo die proponevasi. Cbè di vero , se non avesse avuto luogo per parte del reo 1' attentato del feri- mento , neppur luogo avrebbero le tante distinzioni di sanabilità o di insanabilità, die in ultima analisi riduconsi alle moltiplici coincidenti conseguenze che air aggressione preceduta nel vulnerato conseguono. XVII. Art. 4- Della prima specie. Non man- carono dotti periti forensi , che accordar si compia- cquero gran peso a certe disperale guarigioni di al- cuni gravi ed anche gravissimi ferimenti avvenute o per sole forze della natura, ovvero piìi per essa che per impotenti soccorsi dell'arte. Si volle dalle mede- sime prendere un punto di partenza per quindi ar- gomentarne, che la simiglianza del fatto condur po- tesse e dovesse a simigliauza di evento in altri casi: cosicché all'uopo sempre di sgravio del reo valutar non si dovesse l' evenienza di cimtrario risultato. E cosi da certe, per dir così, prodigiose eccezioni si è tolta la base per erigervi canone di perpetua e co- stante sanabilità: parere che ancìie da famigerati me- dici dei nostri tempi si è creduto sostenere. Esem- pio ne sia il caso , che die un giorno occasione di lunghe e ragionate dispute agitate fra le facoltà me- diche di Giessen e di Francfort nel ferimento, che tratto dall'opera del Valenlini riferisce Mahon, e piià diffusamente espone l'italiano traduttore di questo in apposita nota (i). Trattavasi di ferita nello stoma- (i) "Voi. II edizione di Milano, i8o4, p.ig- ti8. Medicina legale aa3 co, il quale all'autopsia si rinvenne forato dall'una parte all'altra a tre diti di disianza dall'orifizio su- periore. An vulnus hoc curari nequirerlt^ vel sim~ pUciter lethale fuer'it^ fu la inchiesta che propose il magistrato: a cui la risposta della facoltà medica di Francfort fu contraria a quella pronunciata dal- l'altra di Giessen, cioè vulnus hoc curari non po~ tuisse, sed sinipliciter lethale fuisse. Ma la facol- tà medica di Basilea, cui pure si rivolse il foro in siffatta disparità di opinioni: « Responsa giessenia )) non tantum approbavit, sed ex pluribus exemplis » confirmavit . . . Inquisitus a poena ordinaria post- » modum absolutus fuil ». XVIII. A generalizzare somigllevoli casi di sa- nabilità arride fra gli altri anche l'ili. Puccinotti, da cui declinar di parere mi fia lecito, con risguardare certi casi sorprendenti come scherzo di fortuna. Dis- se già il traduttore di Mahon, che codeste guarigio- ni vennero dall'Eistero considerate come miracolose. Lo stesso Bohnio su tal subietto si esprime come ap- presso : (( vlpparet quod ventriculi vulnerum conso- » lidationes aut naLurae favoris singularis, aut caecae » fortunae opus fuerunt » (2). Così anche il villi- co, di cui parla Schenkio, risanò coll'aiuto della na- tura, stante che i soccorsi dell'arte non avrebbero po- tuto consolidare la ferita. Lungi però dal prender norma di giudizio da questi esempi d'inaspettate gua- rigioni estranee al naturale ed ordinario andamento delle cose, sarei di avviso, che l'imputato esser do- vesse responsabile del luttuoso fine in tutti quei casi (i) De vuluer. renuut- pag. 140. 224 Scienze da me contemplati al num. IX nella prima specie , senza invocare in soccorso gli straordinari e capric- ciosi esempi di sanazioni. Giacché per qual ragione mai cotesii singolari favori della cieca fortuna, cote- sti Lent-fizi ( e non troppo comuni ) delle forze me- dicatrici della natura avranno a considerarsi in tanto vigore, da far piegare la bilancia di Astrea in favor dell'inquisito, anche ove dato non sia ad altro vul- nerato il fruire di quelli ? E quali sono i criteri per imprimere con ragionevolezza l'impronta di una mas- sima generale ed inconcussa a coleste peculiarissime eccezioni alla regola presso che comune ed ordina- ria ? Andrà pur bene, conchiudo, che nei felici in- contri il reo fruisca del dono di prospera straordina- ria ventura ; ma non vedo giusto che nei casi di per- dita del vulnerato abbia l'inquisito a fruirne, come se risanalo fosse l'offeso per la ragione di non comune possibilità di guarigione, di cui ricusò esser dispeii- salrice la spesse volte volubil fortuna o avara naltu'a. XIX. Né monta la quistione del tempo più o men lungamente decorso fra la ricevuta offesa e l'infausto suo esito finale. « Nascerà il dubbio (scri- » ve (i) il Barzelletti) se cotal processo morboso, anche » motivato dalla causa vulnerante, sia stato la conse- » guenza immediata di essa; o se sia o possa essere » stato complicato da disposizioni individuali, dal tera- » peramento, dalla stagione e dallo stesso metodo cu- » rativo adoperato. » Elementi son questi, che il Bar- zelletti pone sempre a calcolo in favor dell'inquisi- to : ma la vita ( già per me altrove (2) dicevasi ) di (1) Loc. cit. §. DCCCCLXXTX. (2) Annali univers. ec del fu Omodei, voi. LXXIII , feb- braio i83o, pag. 4i5. MbdICWA legale 225 un incllvìdao sanissimo, estinto per ferita, non vai me- no di quella di un infermiccio, di un valetudinario, il quale in mezzo ed in faccia alla società gode dei medesimi diritti dell'uom sano, per non vedersi im- punemente aggredita o rapita la sempre per se pre- ziosa sua esistenza. Soggiugner per altro qui mi gio- va, che in onta delle individuali disposizioni, del tem- peramento ec, ove fosse mancata l'azione della cau- sa violenta, o vulnerante che sia, non sarebbe il fe- rito incorso ( o non per allora almeno ) nella ma- lattia che incontrò mercè della riportata lesione. Tal si è senza dubbio il nesso di relazione fra causa pre- disponente ed occasionale; cosicché rimane autorizzata la presunzione a carico della causa traumatica e del vulnerante, che distrugger si vorrebbe dal tempo che ha diviso gli estremi della offesa e della morte. XX. Ma dirò anche di più. Il Barzelletti, favo- reggiando per tal modo il reo, non si avvide che an- dava a contraddirsi a quel che piìi sopra (num. XII) annotammo parlando della letalità della ferita nel ca- so del Morgagni relativamente ai morbi preesistenti; ma veniva pur anco a contraddirsi a quanto poco in- nanzi avea scritto (i) nell'introdursi a risolvere il ca- so della questione del tempo trascorso fra la creazio- ne dell'offesa e la distruzion della vita. Ivi egli di- ceva, che « il tempo debb'esser continuo ; cioè dal » momento del colpo a quello della morte; e gl'in- )) comodi debbono esser continuati o non interrotti )) fino ad esso, malgrado i soccorsi apprestati in tem- » pò debito ed in tutta regola di arte. In tal modo (i) Loc. cit. $. DCGCGLXXVIII. G.A.T.XC1V. i5 226 S C I E N Z E )) ( prosegue il Bavzellotli ) risolveva colai questione V relativa al tempo il celebre giureconsulto Masnar- )) di, dicendo , che se dopo la ferita sia stato il » paziente sempre e continuamente infermo, e po- » scìa sia venuta la morte , in tal caso la pre- )) sunzione di essa sta sempre per la ferita, cioè » che per tal cagione sia derivata. » E tali con- cetti non si oppongono ora a quel che del Barzellotti riferimmo al num. XII ? Un esempio da me osser- vato, or sono quattro anni, potrà lumeggiare la veri- tà di quanto io asseriva ; non potersi cioè aver pre- sunzione di sgravar di colpa il reo per l'esito sini- stro di un' offesa recata molto tempo innanzi all'av- venuta morte. Un giovane di abito stitico di corpo, ma pur fruente di ordinaria salute, riportò una feri- ta leggermente penetrante in cavità loracia. Gl'insorti morbosi fenomeni dierono suspicione di offesa mite del polmone. Cicatrizzò dopo un mese la esterna le- sione, rimanendo bensì superstite una lieve tosse con insensibile dolor toracico sul punto corrispondente alla eslerior risanata offesa. Andò quindi la malattia progredendo ( per non andar per le lunghe con la narrazione del suo corso ben lento ), finche assunto un carattere cronico di tisi polmonare fece dopo un anno fuggir la vita dell'infermo. Eseguita non venne l'autossia cadaverica, perchè, mentre stava il reo in condanna per co tal delitto di ferimento (cosi giudi- cato semplice in grazia della prematura ed inoppor- tuna fede di guarigione indebitamente rilasciata da un chirurgo di quel tempo), trapassò per malattia nel- le prigioni stesse. Or qui io ripiglio : la morte del vulnerato non avvenne direttamente per cagion della causa occasionale della ferita? Se ciò mi si voglia ne- Medicina legale 237 gare, dirò che almeno indirettamente per essa ebbe luogo. E sembrandomi che in parità di grado stia il delitto, o sia stato il polmone offeso con perdita dì \ita per andamento acuto di morbo , o lo sia stato con distruzion di vita per corso cronico d' indotta morbosità, non v'ha dubbio che alla genesi del mor- bo die impulso la ingenerata ferita. Accede così in fulcro del mio asserto il nesso che congiunge la ca^ gion occasionale alla predisponente. Che se oppor si volesse, che per individuale indisposizione abbia avu- to luogo il passaggio della offesa polmonare acuta in morbo cronico , e così la manifestazion della lisi, e che perciò cotesta circostanza non sia imputabile al reo: lungi dal rispondere mi ristringo a soggiugnere, che ho già superiormente (num. XI e seg.) risposta su tal subietto. Poiché essendo la causa occasionale legata alla cagione predisponente, rimansi lutto impu- tabile al reo l'evento , per quanto remoli ed allon- tanati sieno dal tempo i due controversi estremi, la ferita cioè e la morte. XXI. Remotissimi anzi ponno anch'essere colali estremi, e sempre corrisponder ne dovrà il reo, qua- lor si tratti di azione delittuosa, né vi abbia il con- corso di alcuna delle vere attenuanti cagioni da me racchiuse nella seconda specie (num. IX). Un esem- pio di ben lunga distanza fra l'offesa craniense (non però criminosa) e la morte lo abbiamo in Morga- gni (i), « Mulier per marmoreas scalas retrorsum « ruens , occiput vehementer alliserat ; sed praeter « brevem levemque adeo stuporem . . . raodicam- (i) Epist. LII iium. 58. 228 Scienze » que , quae cito evanuit, sugillationem, nìhll tum » mali inJe retulit. Post aliquot tandem menses in » percussa capitis sede tiimor apparuit avellana haud » maior: qui cum dolorem afferrai nullum, a mulie- » re neglectus sensim increvit, ut tertio circiter iam ì) exacto anno esset magnus: quo tempore a chirur- » gìs quibusdam prò cystico subcutaneo tumore ha- » bitus, ut qui ncque eutis colorem mutasset et sine » dolore premi posset, ab ipsis, nisi mulier renuis- )) set , fuisset exsectus. Paulo post doloribus aegra » torqueri coepit, qui a tumoris sede inciplentes per n cranium ferme universum ita extendebanlur , ut )) hoc funibus quasi quibusdam sibi constringi vide- )) retur . . . Per haec ad annum a casu ventura est » sextum. Quo elapso, ecce de improviso apoplexia « ingruit, paucasque intra horas mulierem perimit. » Piene di atro sangue in denso grumo rappreso tro- vossi alla necroscopia il sacco del tumore avente prin- cipio dal punto dell'offesa riportata in caduta, dalla superior parte dell'occipite cioè al lato sinistro; ma' la carie occupava ancora porzione del sincipite al sinistro e destro lato ; ed infra gli altri mutamenti della dura meninge e vasi ebbe pure a riscontrarsi no- tevole distensione vascolare del plesso coroideo , e qualche porzione di siero effuso sotto la base del- l'encefalo. Or se questo fatto isterico del nostro som- mo Morgagni avesse appartenuto ad azione delittuo- sa, se cioè l'offesa riportata in fortuita caduta fosse stata per atti o stili provocata, avrebbe l'esito infau- sto dovuto interamente caricare il reo in onta del- l'enorme intervallo di tempo di sei anni. Altrettanto sarebbe a dirsi del caso ecclatante, che trovasi regi- strato negli annali universali di medicina del fu Omo- Medicina ttcale 229 ^ei (t), in cui il ferito dopo una guarigione porten- tosa, e più perfetta di quanto si aspettava, mori ap- poplelico dopo sei anni e mezzo dalla grave lesione sofferta. Ben dunque dissi superiormente (nura. XIX), che a nulla monta la questione del tempo che in- tercorrer può fra la creazion dell'offesa e la distruzion della vita; e ben vero egli è che in contraddizion sia caduto il prof. Barzellotti, siccome accennai. XXII. Avvisò recentemente nel suo animo il sig. dott. Levino Piccirilli (2) all'appoggio di legge no- sogenica spargere novità di riforma. Non fece egli per altro, che uniformarsi al precetto del Barzellot- ti , di proporzionare cioè la ferita alle sue conse- guenze ligandola come effetto alla causa; e mentre adoperavasi a dilucidar l' argomento , non fece che più avvolgerlo fra le oscurità delle tenebre. Ecco le parole di questo fisico napolitano sul conto delle le- sioni accidentalmente mortali : « ... E d'uopo, che » l'accidente raffiguri da causa predisponente, e da » causa occasionale la ferita: vale quanto dire, che » la offesa debba avere la idoneità a spiegare la sua » influenza l'accidente, e questo dall'altra parte deb- » ba rinserrare la suscettività, ovvero l'attitudine, a » risentirne l'influenza per modo da reagire e da im- » partire gravezza alla offesa : dovendo nel caso in » locuzione aver vigore la legge nosogenica, non dar- (i) Voi. LXVII luglio i835. " Storia di grave ferita d'arma „ da fuoco, che lia condotto a morte l'individuo per appoplesia ,. fulminante sei anni e mezzo dopo la riportata offesa; di Pietro „ Mazzola ec: ee. „ (2) Filiatre-Sebezio di Napoli , aprile i84i. " Frammento „ medico-legale del dott. Levino Piccirilli. „ 23o Scienze » si malattia senza i due raomenli causali, causa cioè » predisponente e causa occasionale ; dappoiché pe- )) ricolo non può darsi senza malattia, avvegnaché pos- » sa questa aver luogo senza di quello. A vece dun- j) qua d'intendere in questa classe di offese anche le N lievi, segneremo quind'innanzi tutte quelle offerenti » certa intensità da valere a svolgere il male, a cui » l'organismo inchinevole si mostra, o a dare incre- » mento al preesistente, talché nella sua reazione con- » tro di esse muovasi tale alterazione da rendersi pe- » ricolose, » Lasciando per ora nella sua integrità e valore siffatti principii dottrinali, rilevo fiancheggiarsi con essi il mio assunto da un lato, e vi rimarco dal- l'altro una contraddizione di concetti del medesimo, che anche in ciò ha voluto imitare il celebre profes- sor pisano defunto. Persuadere infatti ci possiamo con piena convinzione , che tutte le circostanze da me contemplate ( num. IX, specie prima ), e che o riu- nite o disgiunte concorrer possono nella evenienza di un ferimento, hanno agito ed agiscono come cagion predisponente, mentre la ferita ha operato ed opera come occasionale. Con questa legge nosogenica dun- que roborato viene il mio assunto, come più uniforme ai principii di una sana medicina, e viene ad accor- darsi il più giusto valore alle lesioni che si procla- marono accidentalmente mortali. Poiché se la lesione ha agito come causa occasionale alla manifestazione o sviluppo di un morbo, in cui l'organismo inchinevole si mostrava; o se ha agito come causa occasionale a dare incremento al preesistente malore, rendendosi cosi per cimile alterazione pericolose le ferite; chiaro emer- ge, che responsabile abbia a dirsi il reo di siffatte ri- sultanze. Medicina legale aBi XXIII. Gli elementi però di questa legge noso- genica vengono dallo stesso sig. Piccirilli dimenticati in quei casi, nei quali ascoudansi e siano perciò igno- rabili alcune subiettive circostanze aggravanti. Ed ec- co rimarchevole contraddizione di dettati : nel che il fisico napolitano seguendo il parere di Malion, di Bar- zellotti e di altri, mostra pur seguirne gli errori (se tali, come io ritengo, fia lecito appellarli ), e distrug- ge perciò lo stabilito vincolo delle cagioni predispo- nente ed occasionale. Ed in vero, ove dicasi che al- cune offese, valutate di niun pericolo, perigliose di- ventano, mercè della sopravvenienza di certe causa" lità, o per altri motivi spettanti alla indivi dualità ^ ma occulti, pe''quali il reo non è punto responsa- bile .... si recide e non si scioglie il nodo : e cessa di esistere il vero rapporto fra la cagion predisponente e la occasionale , che foi'mavano gli elementi della legge nosogenica in discorso. E non è egli questo uà contraddirsi ? E siffatta contraddizione non è figlia di quel malinteso entusiasmo, con cui si va in traccia di cavilli per proclamare mitigazioni di reato in fa- vor dell'umanità, ma io direi contro l'umanità slessa, poiché tutto sempre volgesi a carico del misero vul- nerato ? Fxl è questo il benefizio del frammento me- dico-legale del sig. Piccirilli, con cui egli lusingavasi forse aver fissalo nuova era di pomposa riforma? Una pressoché somlglievole contraddizione da me altra volta rimarcata, in cui cadde il Barzellotti (i), pre- cipitar singolarmente lo fece nell'errore da me con- futato per il fatto della legge mosaica (2). Né giova (i) Giorn. arcad. 1. cit. pag. && e seg. (2) Gioru. arcad. 1. cit. pag. 58 e seg. 232 Scienze il dirsi, che il reo non è responsabile che di quanto è strettamente ligato alla causa, di quanto cioè ab- bia uno stretto nesso colla qualità della ferita. Poi- ché allora cesserebbe di aver vigore la precitata leg- ge nosogenica ; cesserebbero di aver peso le cagioni predisponenti : e d' altronde accordare a queste un valore in alcuni incontri, ed in altre evenienze negar- glielo e negligerlo, sarebbe lo stesso che affibbiare la nota d'incostanza ad una legge, la quale come legge non deve andar soggetta ad eccezioni, a cambiamene ti , a modificazioni. Così il ritenersi il delinquente non responsabile di quelle complicanze che non co- nosca allignarsi nel vulnerato, olire che non sembra giusto, perchè nel sostenersi il diritto di natura del- l'inquisito si lede quello del vulnerato, sarebbe an- cora in opposizione questa massima coi prìncipii di una sana medicina : non apprezzandosi gli elementi della stessa legge nosogenica, che suppone l'azione della causa occasionale sulla predisponente. XXIV. Inoltre, e perchè mai dal dominio di que- sta legge avrebbero ad escludersi come non predispo- nenti alla letalità, per es. certe parziali o complete trasposizioni dei visceri; o almeno una differenza di situazione assai notabile per fare un'eccezione all'a- bituale ordine della natura; gli scherzi di questa nella distribuzione o corso di qualche vase considerevole, insomma una qualunque deviazione fisiologica; una vomica, 0 altri depositi purulenti e talvolta appena sensibili allo stesso paziente; malattie croniche gravi, ma che non obbligano gl'infermi a letto; le differenti specie di cacochimie , e tante altre circostanze , le quali, come ignorate dal reo, o anche perchè im- possibili a prevedersi , vorrebbero non imputarsi al Medicina legale 2 33 vulnerante quali dirette cagioni della letalità delle offese ? La conoscenza o la ignoranza delle enunciate anomalie e cause , die avrebbero nel caso nostro a dirsi predisponenti, ove ammetter si volesse ( e che io non concederei), esigerebbe nell'imputato il più delle volte una coazione a confessarla, che bene spes- so, onde pervenire allo scopo di conseguirne indul- genza o esonerazione, verrebbe spinta al mendacio : esigerebbe nell' inquisito un raziocinio per l'oggetto di limitare l'offesa nell'atto della tenzone, e presce- gliere nell'aggressione medesima il luogo e la parte o non o meno essenziale alla vita. Ma, salvi gl'in- contri di concepita premeditazione ( ed anche in que- sti casi può pur l'eseguimento dall'atto non sempre corrispondere al volere ) ben numerosi saranno gli av- venimenti, nei quali pel calor di una zuffa si debba presumere l'oblio di sano e retto raziocinio, per ri- sparmiare alcuni individui dall'insulto, per escludere alcune località dell'organismo dall' offesa , per misu- rare il colpo ed il grado di forza di esso. XXV. Affinchè per altro gli elementi della me- morata legge nosogeniea non incontrino talvolta op- posizione, fa d'uopo che l'argomento sia maneggiato con sana e rigorosa logica medica: ed allora si per- verrà a svelare il nesso, che havvi fra cagioni predi- sponente ed occasionale , il legittimo rapporto cioè che congiunge alla violenta lesione i suoi prodotti. Volle in questa indagine ben distinguersi , non ha guari, il sig. dott. Fedi in un sensato Consulto me- dico-forense (i); ma siccome per mala ventura ad- (f) Registrato negli annali medico -chirurgici del chiar. Me- taxà, per il mese di ottobre 1842. 234 Scienze diviene talvolta, che questo nesso o non è lumino- samente chiaro, ovvero osservato a traverso di qual- che prisma di falsa prevenzione viene a presentarsi travisato; così nel caso in discorso, quantunque dot- tamente scritto ne sia il lavoro, pur francamente as- serisco che non ahbia egli raggiunto lo scopo che pre- fisso sì era. Riferisce ivi il Fedi, con una piuttosto oscura brevità, che un uomo ( di cui non si accenna né costituzione, ne temperamento, ne età), il quale stava continuamente esposto ai raggi solari , riportò una ferita poco dopo il mezzodì del 28 luglio, per mezzo di un sasso { di cui non si espone, siccome pur dovevasi, ne mole, ne figura ) scagliato dall'alto, )» fra la regione frontale e la sincipitale nella loro » parte sinistra, lacerata e contusa, estesa circa un » pollice e mezzo, interessante tutt'i tessuti del ca- » pillizio, con scopertura dell'osso sottoposto (cui non » si dichiara qual fosse ) e con distacco del lembo » inferiore. Nei primi quattro giorni non si presentò » alcun fenomeno che stesse a far sospettare una qual- » che lesione del contenuto craniense : poi sorsero » fenomeni d'infiammazione encefalica, e sul finir del » settimo giorno morì l'infermo. Alla sezione cada- » verica i medici periti rinvennero una rima dell'os- » so ( di cui non si annunzia il nome ) posto di- » contro la ferita delle parti molli, avente presso a » poco la lunghezza della ferita esterna. Constata- » rono l'esistenza di una meningilide, la quale aveva » dato luogo ad una effusione puriforme in alcuni » punti (si tace quali fossero questi punti ), in altri » (senza nominare precisamente quali ), ed anche ia » corrispondenza della rima, ed effusione di linfa coa- » gulata : cervello sano. Essi giudicarono la menià- Medicina legale 23 S » gìtide effetto della ferita. » Si studia qui il cen- sore dimostrar con varie ragioni, die quella menin- gitide non fu produzione del ferimento: che falsissima fu perciò l'opinione dei medici periti in dichiararla ef- fetto del ferimento stesso, poiché mancava il nesso, il rapporto di connessione fra ferimenti e meningite. So- no di qualche peso, non v'ha duLhio, le ragioni del cen- sore per escludere la ninna connessione e dependenza della meningite col ferimento: « i. Perchè l'azione del )) corpo vulnerante fu consumala nella produzione » della ferita delle parli molli e dell'osso » .... e che ninna lesione meccanica soffersero le meningi e neppure il cervello; a 2. Perchè la lesione ossea, non )) dando luogo ad effusione di sangue , non distac- » cando la duramadre dalla volta craniense , ed in » grazia della sua piccolezza impedendo che sulla » duramadre fluisse o sangue o marcia , non reagì » menomamente sugl'involucri cerehrali ; 3. Perchè » il processo morhoso delle feri fé non dette svllup- » pò ad alcun fenomeno accidentale, che potesse por- » re in rapporto patologico il ferimento colla infiam- » mazione meningea; 4- Perchè l'infiammazione delle » mennigi fu maggiore in lontananza della ferita del- » l'osso e delle parti molli; la qual circostanza to- » glie di poter considerare quelle ferite siccome cen- » tro di flogistica diffusione. » In onta però degl'in- gegnosi raziocini addotti con sagacità dal critico, di- rò esser vero che limitandoci al finquì esposto sem- bra mancare il nesso fra meningite e ferimento; ma dirò esser vero altresì, che spingendo più oltre con più scrupolosa sagacia le indagini sull'argomento, si perverrà a rinvenire questo nesso , e risulterà con- fermata l'opinione, che si tenne falsissima, dei medici 236 Scienze '' periti. Ed in vero se non s'impugna l'esistenza della meningite; se dessa fu maggiore in lontananza della ferita dell'osso e delle parti molli: è a dirsi che la meningite fu creata dall'azione dell'istrumento offen- sivo, che in distanza dalla ferita agì per contro-col- po: la qual condizione patologica non venne dal cen- sore affatto avvertita. Ed ecco il perchè maggior si ri- marcò l' infiammazion meningea in lontananza dalla parte vulnerata. Ne questa maniera di vedere in sen- so ledente e patologico è nuova o inammissibile. Do- vizia di questi fatti è conosciuta nella medica isto- ria ; e per ragion di brevità ne rimando il lettore all'opera di Barzelletti, il quale ne riferisce un esem- pio tratto da Uionis (i). Chiaro dunque risulta il nesso fra meningite e ferimento ; per la prima l'in- solazione agi come predisponente cagione, ma come causa occasionale la potenza ledente. Dunque dalla potenza dell'istrumento offensivo fu creata la menin- gite per contro-colpo , e perciò riman vera e ferma la opinione dei periti: dunque è fulgidamente eviden- te, con la spiegazione da me recata di contro-colpo, quel legame di congiungimento fra morte e ferita, ch'è la causa finale di tutte le nostre investigazioni. Che anzi stabilita così pel disivato modo la mutuila e legittima dependenza dei fatti patologici e necroto- mici, risulta luminosa la esistenza del nesso congiun- gente la offesa all' alterazione organica letifera , la morte al ferimento. XXVI. Or dopo le cose finquì discusse (num. X e seg.) sembrami poter chiamare dimostrato con qual- (i) Barrellottì 1. cit. §. DCCCLII, caso 4> lom. terzo, pag. 55. Medicina legale 287 che rigore di prove , che per le accidentalità tutte nella prima specie comprese (num. IX) niuna miti- gazione di responsabilità debba in favor del delinquen- te provocarsi dai medici periti con referti analoghi alle circostanze contemplate. Poicbè il dichiarare di queste non imputabile il reo abbiam veduto quanto ripugni ai principii del diritto di natura , e quanto SI opponga ai principii di una sana medicina. Non avendo poi il vulnerante, per le accidentalità nella seconda specie rilegate (num. IX), alcuna colpa, fruir potrà e dovrà l'imputato di quei gradi di attenua- zione di pena che vorrà stabilirgli la legge. XXVII. Art. I. Della seconda specie. Vari avvenimenti possono per verità aver luogo, ne'quali senza veruna criminosa idea si rechi o per ischerzo, O per semplicissima inavvertenza una offesa apparen- temente leggiera, la quale poi per imprevedute cir- costanze vada a rendersi cagione di gravi conseguen- ze e perfm della morte. Di esempi di tal genere è ben fornita la medica istoria. Piacemi toglierne dallo Swieten (i) un caso registrato nelle opere d' Ippo- crate, o almeno ad Ippocrate attribuite : « Pulchra n virgo, Nerei filia, annorum viginti, ab amica mu- » liercula Indente lata manu sinciput percussa est, » ac tunc tenebrlcosa vertigine prehensa est, nec re- » spirabat. Cumque domum pervenisse!, illam statim » febris prehendit , et caput doluit , et rubor erat » circa faciem: septima die ad aurem dextram pus )) prodiit graveolens, subrubrum, cyatho amplius; et (i) Comment. in Herm. Boer. . . ., tom. I. yulnera capitis $• 274* •«• pag. 219. 238 S e I E N 25 E )) videbatur melius se liabere, et levata est, ec. . . ,, » nona die periit. » Sareblje stato egli questo, o si- gnori, un caso idoneo a reclamar punizione, ad in- vocar dai foro rigorose misure contro la misera don- na, che in iscberzo colpì? No certamente; e pari sa- rebbe il giudizio da formarsi ancora ( purché man- casse il concorso di criminosa intenzione ) nella eve- nienza, non difficile a potersi presentare, di un er- nioso che in lotta o per equivoco ricevesse un cal- cio dal pie di un uomo che al pretuberante sacco erniario il colpisse. Potrebbe (siccome scrivevami un rispettabile e sapiente medico dopo la lettura di que- sto mio informe lavoro al memorato accademico con- cesso) potrebbe, ripeto, l'offesa indurre locale infiam- mazione con intensità di sintomi concomitanti fino alla cancrena e quindi alla morte dell'individuo. Ma di questa dir non si dovrebbe responsabile il reo , tostochè non partiva da delittuosi motivi la leggiera offesa, benché letale quindi addivenuta. XXVIIl. Art. 2. Della specie seconda. Egli è d'altronde ugualmente l'agionevole, che, qualora possa essere stato dai circostanti inibito, o senza imperiosi motivi negletto, l'accesso dei mezzi necessari di soc- corso, non debba all'inquisito imputarsi la colpa di letale evento. Ciò è per se così luminosamente chia- ro, che d'uopo non vi sarebbe di corroborarne con documenti e raziocini la proposizione, o congregarvi degli esempi per illustrarla. Ed infatti, se nel ferimen- to di un uomo, che assiduamente vivesse in opposi- zione e discordia con la sua moglie, fosse questa ul- tima negligente in reclamare o la opera chirurgica o gli occorrenti presidli d'apprestarsi al vulnerato ma- rito, poiché con gli effetti di tale oscitanza si au- Medicina legale 2?g gura vedersi privata della compagnia dell' inviso e dissenziente marito : potrebbe il vulnerante dichia- rarsi reo di omicidio nel caso di perdita dell' offe- so? Non già: Si \>ulneratus fuerit servus non mor-^ tifere , negUgentia autem perierit , de vulnerato actio erit, non de occiso. Così abbiamo nella leg- ge aquilia. Ingiusta interpretazione per altro sareb- be quella di estendere il vocabolo negUgentia or memorato a tutte le accidentalità , che ho divisato escludere nella seconda specie in discorso ed abbrac- ciare nella prima (num. IX) : poiché la vera negli- genza corrisponder debbe assolutamente ed opportu- namente alle accidentalità della seconda soltanto. Che anzi la necessità di non doversi in lato senso assu- mere la negligenza, di cui è parola, verrà senza dub- bio vieppiù lumeggiata da una interessante animad- versione, che somministratami dal fatto vengo a pro- muovere. XXIX. Raccolse il Barzellotti nella sua grand' opera fra gli altri il caso narrato dall'Eistero (t) di una donna, che abitando fuori della città di Brun- swic fu percossa verso sera da un legno sulla testa, per cui caduta in terra priva di sensi, rimase ivi per tutta la notte senza soccorso e nel dì seguente mo- rivasi. La sezione del cadavere palesò una fessura nel sincipite , e sotto la duramadre un grande stravaso di sangue coagulato. 11 giudizio dei periti fu per un caso assolutamente letale, ed anche l'Eislero fu della stesso avviso : ma il foro giudicò il delinquente reo di ferita e non omicida , appunto perchè la donna non fu soccorsa, siccome dovevasi, dalle persone del- (i) Iiistit. chir., tyiu. 1 p. I lib. I cap. I pag, 5o, nota. Q^O Scienze l'arte. Assumer qui sembra il Barzellotti le difese del reo, poiché non « giova ( egli soggiugne (i) ) il di- » re che la paziente trovavasi fuori di città, e che » le porte erano chiuse. Queste circostanze (egli pro- » siegue) sono a danno della paziente, ma non a ca- » rico del reo; così clie se si fosse voluto un perito D di città o di campagna, sarebbesi ottenuto; ed al- » lora solamente che tutte le pratiche dell'arte fos- » sero riuscite inutili , si sarebbe potuto giudicare )) della letalità della suddetta ferita. » Rlserbandomi per altro di tener proposito in appresso di una magni- fica contraddizione, in cui con le ora vergate espres- sioni cadde intorno questo fatto medesimo il Barzel- lotti, per non deviar per ora dal subietlo in discor- so, dirò che in onta del divisalo rispettabil giudizio non posso convenire nell' oracolo del cel. defonto prof, pisano: poiché non istimo di lieve peso le ri- flessioni, che vengo a spargervi in conferma del non doversi in lato senso assumere la dizione negligentia della legge aquilia. XXX. INon sarebbe infatti questo il caso da por- re a scrutinio e calcolo le circostanze tutte che cir- condavano la persona offesa, per decidere se la negli- genza del soccorso fu realmente prodotta da oscitan- za o da frode, ovvero se fu una conseguenza d'im- periosa necessità? Che non vi era di chi servirsi per invocare l'aiuto di alcun perito dell'arte: narrandoci Eistero, che « nemo, nisi maritus et tres parvi liberi 1) sive infantes aderant » : che anzi il misero con- sorte non potè rinvenir soccorso per riporre sua mo- glie in letto: «... quaerebat homines, qui ipsum (i)L. cit. DCCCCLXXXm. Medicina legale a4i » iuvarent uxorem, quae valde gravis et robusta erat, » elevare, eamque e solo in lectum reponere: verum » propter noctem ingruentem neminem, qui hoc fa- » cerei, invenire, multo mlnus aliquern, qui ex ur- » be ( si noti bene ) chlrurguin accersiret. » Tali emergenze, sagacemente avvertite dall' Eistero, lo in- dussero forse a pronunciare il parere di letalità al- lorché ne venne interpellato. « Quoniam vero hoc » in casu chirurghi obtineri non patuerunt , aegra )) non ex negligentia aut culpa vel circumstanlium » vel chirurgorura , sed unice oh vehementem pla- » gam perpessam morlua est, idcirco vulnus hoc le- » thale pronunciandum esse iudicavi. » Dunque se fuvvi mancanza di soccorso, non fu per opera di col- pevole negligenza; e perciò non doveva l'esimio Bar- zelletti decidere, che nel caso presente non fosse la colpa a carico del reo. Al che un' altra riflessione giovami aggiugnere. Fiancheggia il prelodato prof, il suo parere proclamando non esser « questo il primo w caso di ferite della testa con stravaso , che colla » trapanazione del cranio si sono salvati i feriti. » Né io ardisco negare cotesta verità; oso bensì invi- tare i miei colleghi a dar giudizio se con tale as- serzione siasi quel grand'uomo contraddetto a quan- to aveva precedentemente registrato (i). « Le ope- » razioni (ei ne avverte) istituite per le lesioni del- » la testa e della spinai midolla, se bene indicate e » rettamente eseguite, mentre non comprometteranno » i chirurghi, anche nell' esito disgraziato, non al- (i) Neil' Vili dei suoi teoremi medico-legali ec: al J. DCCCLXIIl I. cit. G.À.T.XC1V. 16 242 Scienze » leggeriranno al reo la pena della lesione letale » creata. » XXXI. Più magnifica però, e che somma ara- Hiirazione mi arreca, è la contraddizione in cui quel dotto professore precipita (i) in designare essenzial- mente mortale questo caso medesimo dell'Eistero, di cui ora ( num. preced. ) ho tenuto ragionamento. E tale instabilità di opinione oserei dichiarare estre- mamente scandalosa. « Ne meno letale (son sue pa- » role, che originalmente trascriverò: cioè letale di n sua natura ed essenzialmente mortale, siccome scri- )) ve nella lin. preced.) era 1' altro caso , o quello » della donna di Brunswic , percossa sulla testa da » un bastone, che come morta distendevala per ter- » ra; la quale, trovandosi fuori della città, non potè « esser soccorsa tosto dall'arte, e nella notte mori- » vasi; perchè la sezione del cranio mostrò una fes- » sura nel sincipite, ed uno stravaso di sangue co- » pioso nella parte destra cerebrale ; ostacolo che » non sarebbesi potuto rimuovere, ancora che l'arte » avesse adoperata la trapanazione , se il chirurgo » avesse potuto in una malata priva di sensi com- » prenderlo e determinarlo; essendo ormai cosa di- )) mostrata, siccome apparirà in seguito , che anche » le commozioni cerebrali conducono esse sole e )) spesso alla morte. Con ragione quindi questo som- )) mo maestro (1' Eistero) mortale assolutamente di- » chiaravalo; ed a gran torto del candore chirurgi- » co alcuni periti altrimenti la giudicavano, per sgra- » var senza meno la pena al reo ; e letale per ac~ )ì cidente reputatala, nel loro intento riuscivano. » (I) AI 5. DCGGXXVII pag. 19 tomo terio. Medicina legale a4^ Ma qui, ponendomi in silenzio sulla reluttante con- venienza de' riferiti concetti del eh. Barzellotti, mi starò pago a conchiudere: che in casi identici a quel- lo della donna di Bruaswic il reo è sempre omici- da , siasi o non siasi praticata la perforazione del cranio ; che tal proposizione ben ristringe le acci- dentalità , rimovendo lo scopo di alleviamento del misfatto ai delinquenti con un parere più consono ai principii del diritto di natura ed a quelli di una sana medicina; che quella mancanza di soccorso, di cui si favellò, includerebbe un ingiusto interpretarsi della dizione negligentia della legge aquilla, se non venisse distinta e circoscritta entro quei limiti, che debbono l'equità, il buon senso, ed una sana logi- ca medica statuirle. XXXII. Art. 3. Della seconda specie. Ragio- nevolissimo egli è, che di ninna responsabilità abbia ad onorarsi l'inquisito in tutte quelle altre emergen- ze, nelle quali apparisca aver avuto gran parte, per l'infelice risultanza di morte, il dolo, la mali/.ia, Tin- docilità del vulnerato, siccome già mi espressi altra Tolta (i). Debbe anzi sotto simili condizioni esser- ne avvertito il foro, onde possa nell'applicazione della pena da infliggersi al reo proporzionarsi il grado di modificazione di essa. Il togliersi, a mò di esempio, bruscamente l' apparato della medicatura e lasciare una ferita all'impressione dell'aria libera; l'impru- denza di rifiutare i primi soccorsi dell' arte ; l'uso , benché moderato, ma molto più l'eccedente di spu-i- tosi liquori; l'abuso di cibi, e più dei nutrienti; l'ap- porre sulla ferita sostanze irritanti, e più le venefi- tj»" " III (i) Gioia, arcad. loin. LXXV pag- 65. 244 S e 1 E ir 2 E che o contagiose: son circostanze ben atte a dar luo- go ad un tal mutamento di natura nella ferita istes- sa , che da semplice o non letale a questo afferma- tivo stato trasmigri e degeneri. Sopravvenendo quin- ci per alcuno di questi erramenli e relative conse- guenze la febbre 1' infiammazione, la cangrena o lo sfacelo del membro vulnerato, e per esso la morte, si avranno bastevoli elementi per conchiuderne che niuna colpa della morte debba in somiglievoli in- contri all'aggressore attribuirsi. E siccome co' prin- cipi! sistematici di altri scrittori è sommamente arduo il determinare le azioni delle cause indipendenti dal- la volontà dell'inquisito; cosi alle basi della mia pro- posta distinzione semplicissima (num. IX) vedo age- vole appoggiare il più equo e luto giudizio. Rimansi in oltre per tal modo confortata e sostenuta la ne- gligenza avvertita dalla legge aquilia , e perciò nel- le emergenze di questa seconda specie de vulnerato actio erity non de occiso. Un esempio relativo al discorso proposito cel somministra la decisione della facoltà medica di Lipsia per il caso della fantesca , che tratto da Bohn si riferisce pur da Mahon. Cad- de la medesima sotto violenti colpi di bastone nel i3 marzo, ed acerbi dolori sperimentò al dorso, agl'ip- pocondri ed ai femori fino al 2y aprile, in cui tra- passò. Affissa era già in letto da un mese per dolore al sinistro lato del torace , che l'autossia cadaverica testificò ingenerato da una vomica ai polmoni. Ma sebbene le ricevute percosse e la viva emozione del- l'animo avessero aumentalo e sollecitato la congestio- ne del sangue nel polmone, ed indotto per necessaria conseguenza la suppurazione di questo viscere; pur ù dichiarò che la imprudenza della inferma n^ll' e- Medicina legale 245 sporsi dopo l'occorso accidente alla neve ed all'umi- do, non che la sua negligenza nel non prevalersi di alcun rimedio per lo spazio di 14 giorni, aveano mol- to contribuito alla sua morte. E cosi de vulnerato actio fuit, non de acci so', e ben con ragione, poi- ché doveva la paziente evitar con ogni possa l'influen- za delle vicissitudini atmosferiche, e tentare in pari tempo 1' uso di ogni dovuto soccorso. E siccome i giudici , rifletteva altrove con fino discernimento il eh. cav. prof. Speranza, onde proporzionare la pena al delitto altra bilancia non hanno che la coscienza ed i lumi degli uomini dell'arte , cosi interessa che questi rappresentino col rigore della possibil evidenza la distinzione delle ferite, donde proviene la indicata graduazione. Ma un tal passo non può meglio ese- guirsi, che attenendosi e gli uni e gli allri alla di- stinzione, di cui esposi ( num. IX ) il quadro delle accidentalità così dette delle ferite. XXXin. Art. 4» Della seconda specie. Impu- tabili finalmente al reo neppur debbono considerarsi gli eventi letali di quelle offese, che, quantunque per se non mortifere , pur letali addivengono per grave fallo o turpe o involontario d'imperito curante: che son quelle da me comprese nell'ultimo articolo della seconda specie. Che il curante o per suo deliberato volere trascuri apprestar soccorso al vulnerato, o per idiotismo di grosso pelo non sappia valersi di un op- portuno curativo trattamento, o per fraudolenta ne- quizia faccia uso di una impropria terapia ; egli è sempre giustissimo che esonerato venga il reo della responsabilità di esito letale che sopravvenir vi po- tesse; e che perciò reo sol di ferimento, e non già di omicidio, venga in simili incontri designato. Cosi la 246 Scienze pensò, e con tanto buon senno , 1' egregio scrittore sig. dott. Filippo Marini (i), per tacer di molti al- tri , che fiancheggiato da sode autorità e da robusti ragionamenti potè assai rettamente conchiudere, che nella contusione, di cui trattavasi nel subìetto del suo argomento, la morte più che ad ogni altra causa, doveva attribuirsi alla imperizia del professor cu- rante. XXXIV. Quasi non dissimile, sebbene in senso opposto a quella d'imperizia, fu l'opinamento del eh. Speranza nel caso di cui imprese a ragionare (2). Poi- ché il vulnerato, che forma ivi lo scopo delle sue dot- tissime animadversioni, non avendo presentato in ista- to di vita i fenomeni morbosi propri e concomitanti le gravi e pericolose ferite dell'epate, ne avendo of- ferto positive e manifeste patologiche alterazioni mor- tali prodotte immediatamente dalla ferita, non poteva dirsi estinto per opera della lesione , che dai periti fiscali dichiarossi assolutamente e necessariamente le- tale. Rifletteva quindi il prelodato professor parmense, colla sua ben conosciuta sapienza e sagacia, ai con- corso di varie circostanze capaci di peggiorare Io stato locale e generale dell'infermo senza colpa del ferito- re , ed alla omisione dei periti medesimi in squit- tinare se altre cagioni fossero concorse a danno e pe- ricolo del paziente in vista dei limitati e non mor- (i) Nella sua dissertazione medico-legale sopra la percossa nella region temporale sinistra ec. Opuscoli di medicina e chi- rurgia ec. Bologna, marzo i832, pag. i54 e seg. (a) Riflessioni critiche sopra un giudizio medico-legale per ferita di fegato. Lettera del cav. Speranza al eh. dott. Odoar- do Linoli prof, ec Ved. Annali universali di medieina ec. voi. XGVI. Milano, ottobre 1840. Medicina legale 247 tali effetti dalla necroscopia appalesali. Modestamente perciò, senz'animo di offendere l'abilità e cognizione dei suoi colleghi periti, si mostra inclinato ad opi- nare, che il ritardato terapeutico soccorso ( indugio non minore di ore dodici ) avesse influito ad aggra- var la malattia; che i salassi praticali per combattere il creduto ordito processo infiammatorio del fegato e diffuso al peritoneo; i drastici rimedi ripetutamente amministrali ; i clisteri di uguali sostanze, e pur di nicoziana, impiegali per aprire il ventre, e tanti altri mezzi profusi per rintuzzare direttamente la temuta flogosi peracutissima ( che d'altronde i^on esisteva ) , sotto l'uso dei quali crescevano piuttosto che scema- re tutl'i sintomi morbosi a segno di credere passata la infiammazione all'esito per cangrena ( d' altronde smentita dalla sezione cadaverica ), non fossero stali proporzionali alla gravezza della ferita, o spinti forse troppo oltre, senza colpa però del chirurgo curante, ma colla sola intenzione di prevenire un temuto esi- to funesto. Reo quindi di ferimento e non di omici- dio era a dirsi il vulnerante, che di ninna colpa do- vea imputarsi per la perdita in un caso che smenti- va la preconcetta diagnosi e contrastava alla energica intrapresa cura. XXXV. Più luminosa bensì fu la colpa del prof, curante nel caso a me noto, che posso dispensarmi dal riferire a sostegno del mio assunto. Animatasi una rissa sul tramonto solare dei 7 luglio in un paese di questo mondo fra due ineguali individui, rimaneva fe- rito da picciolo istrumenlo incidente, nella interna re- gione media del braccio sinistro, un uomo facinoro- so, e posto fra il quinto ed il sesto lustro dell' età sua. Vigoroso egli era nella costituzione, erculeo nel- 248 Scienze la statura, pingue e toroso nell'abito del corpo, san- guigno e florido nel temperamento. La ferita dicevasi lunga cinque dita trasverse , larga mezzo pollice , e penetrante un pollice e mezzo obliquamente in alto. Asserivasi dal chirurgo relatore essere state recise due vene, la cefalica cioè e la basilica, e dichiaravasi punta l'arteria brachiale per i modi diversi di egresso del sangue più florido, rutilante e fluente insieme a parabola ed a getti. Dichiaravasi praticata l'allaccia- tura un' ora all'incirca dopo la riportata ferita : im- mediatamente cioè dopo il seguito trasporlo del pa- ziente al pubblico spedale, mentre contemporanea si fu l'applicazione del torcolare nell'omero presso l'a- scella. Manifestavansi il gioi'no dopo tremori convuU sivi e sensazioni dolorose nell'articolo infermo , che quindi diffondevansi al petto. Si accendeva nel terzo giorno la febbre, che designavasi di carattere infiam- matorio, ed apparivan dappoi segni d'incipiente can- crena. Ricusavasi dal paziente la ingiunta amputazio- ne delle braccia sullo scopo di salvare la vita ; ma tal rifiutata proposizione aumentava l'inquieto tumul- to dello spirito. Rapidamente intanto proseguiva la cangrena a dilatarsi, fino a presentarsene aggredito nel dì seguente 1' intero articolo toracico con riflessibile tumefazione di esso e con l'appariscenza di negricanti flittene qua e là disperse. Rallentavasi nel secondo giorno alquanto il torcolare: ma poi rinserrar dove- vasi tantosto, per arrestar l'emorragia che non cessa- va di riprodursi. Che anzi, per deposizione dello stes- so curante, risultava che obbligato egli trovavasi di stringere vieppiù nella giornata istessa il torcolare, le prime costrizioni di cui rendevansi d'ora in ora viep- più insufficienti ad inibire nuova uscita al sangue Medicina legale 249 In mezzo ad uno stato di violenta agitazione dell'in- fermo, mantenuto dal disperato sentire intorno alia pro- pria esistenza e situazione, eransi serbate più o men libere le facoltà intellettuali; ma queste oscuravansl pienamente, allorché appressavasi il paziente all'ulti- ma ora , eh' egli vide sulle dieci antimeridiane del giorno 1 1 dell'indicato mese , in cui compiuto non era, a calcolo di ore, 11 quarto giorno dallo sventura- to ferimento. Due salassi riferivansi istituiti ! E nel- l'uso di alcuni deprimenti narravasi in genere essersi fatto consistere l'interno curativo trattamento. XXXVI. All'atto legale della ispezion cadaverica passavasi dopo tale referto, che richiedevasi ad istru- zione del medico fiscale e di altro chirurgo provocato a presenziarla ad istanza del padre del vulnerante. Dalle necroscopiche indagini istituite sul sinistro ar- ticolo ( omettendo per brevità la narrazione delle altre tutte di niun interesse e valore per il discorso) veniva singolarmente a risultare il processo cancre- noso della parte vulnerata per le caratteristiche del tessuto dermico e per la sanie icorosa, di cui erano velati i fascetti delle fibre muscolari dell' arto , non che dell'intero lato sinistro della regione toracica. I muscoli brachiale interno e tricipite del braccio era- no stati più degli altri interessati e compromessi dal- l'indicato processo morboso. Sbrigliati pazientemente dalle naturali aderenze colle altre parti i vasi asserti, recisi e punti, e messi a nudo, si rinveniva longitu- dinalmente incisa la vena mediana per il tratto di circa dieci linee nella faccia interna corrispondente al ferimento; intatta si trovava la basilica e la cefa- lica; che anzi, per gìugnere a quest'ultima, non erasi dischiuso alcun sentiero dall' istromento incidente. 25o Scienze Punta realmente rimarcavasi l'arteria brachiale , sic- come dimostravanlo e lo specillo e la uscita di san- gue coagulato per il piccolo forame dell'arteria, che alla verificazione del fatto venivasi premendo dall'al- to in basso. Questa ultima circostanza di egresso del sangue dal foro dell'arteria punta indicava per se ad evidenza, che l'arterioso vase brachiale non fosse sla- to allaccialo. Ma ciò non basta, poiché meglio il di- mostrava il non essersi rinvenuto alcun filo di allac- ciattura nel decorso dell'arteria stessa, dal luogo della puntura verso l'omero: mentre all'opposto si rinvenne un tal filo al di sotto della ferita, cioè verso il cu- bito. Errore il più grossolano ! Reato il più scanda- loso ! In siffatta evenienza trovavasi inquietissimo il medico fiscale: poiché mentre doveva nel puro aspet- to di verità presentare al foro il referto dei necro- tomici trovamenti e il rispettivo giudizio, animato d'al- tronde da spirito di una dignitosa convenienza ane- lava di non denigrare sì apertamente il decoro del cu- rante. Faceva stima perciò di riferire nudamente il di già descritto , e con artificioso silenzio omettere la circostanza dell' allacciatura non praticata superior- mente alla puntura, né il rinvenimento di quella al di sotto della puntura medesima : tanto più che tali condizioni potevano anche dal misterioso silenzio me- desimo arguirsi e dedursi, o potevano almeno nella oscurità del vacuo lasciato dalla penna provocare la inchiesta del foro ad una dilucidazione, XXXVII. Denunziava cosi esser la morte del vulnerato avvenuta per la validissima permanente com- pressione del torcolare, che indusse il triste risulta- niento del rapido processo cancrenoso, e ridusse per tal modo a condizione letale una ferita, che non era Medicina legale z5i per se stessa assolulamente mortale. Approfondlvasi per altro dall'almo collegio medico la debolezza del medico fiscale , e rimarcavasi 1' intrinseca verità del fatto dal tribunal criminale della provincia, che nella relativa seduta dimetteva il reo, il quale già aveva tol- lerati i8 mesi di detenzione. Savissima misura di quel tribunale ; poiché tutta ed interamente sull' imperi- tissimo curante rifonder dovevasi la colpa della per- dita dell'estinto, e non già sopra il vulnerante. E co- sì de vulnerato actio fuit^ non de occiso. XXXVIII. Ma tempo egli è oramai di racco- gliere in epilogo le cose fin qui discusse, e por fine al tedio, che recato vi ho, onoratissimi soci, con que- sta ben prolissa tiritera. Amor del pubblico bene mi sospinse unicamente a vergar queste carte, onde me- glio tutelata sia la sorte della società, meglio guaren- tita quella dei vulnerati colla restrizione degli atte- nuanti motivi, e meglio raffrenati i facinorosi citta- dini dalla moltiplicazion dei crimini. Non credasi poi essere in me e di me tanta opinione, ripeterò cioc- ché in altro argomento scriveva il ferrarese Buzoni, sì che io porti speranza di piacere a tutti, non che a molti dotti. Sarebbe temeraria cosa il prometterlo, obbrobriosa il presumerlo : ma non dispero che la sa- pienza dei miei colleghi , e di quegl'integerrimi che alle cose del foro criminale presiedono , non vorrà averla per nulla. Comunque però siasi, sembrami, se non erro, aver soddisfatto all'assunto propostomi, ed aver con quella evidenza, che meglio per me pote- vasi, dimostrato essersi soverchiamente e ( fia lecito il dirlo ) abusivamente largheggiato sul conto delle ac- cidentalità neir indole dei ferimenti , onde promo- verle in attenuazione di pena ai delinquenti. Sem- 252 Sciente brami perciò aver con buone ragioni provato, che il valore del vocabolo accidentalità merita di esser con- templato con più sana e retta distinzione : che le due specie, nelle quali ho creduto espediente doversi re- stringere delle accidentalità il primario aspetto , mi parvero conformi ai principii del diritto di natura ed a quelli di una sana medicina guidata pur dalla leg- ge nosogenica : che non potrebbe quindi la mitiga- zione di reato per l'inquisito reclamarsi in tutti quei casi, nei quali il ferimento sia divenuto letale: o per malsana costituzione dell'offeso : o per grave morbo in esso preesistente: o per simultanea o susseguente ingruenza di alcun morbo dominante: o per manife- stazione di morbo consecutivo dalla potenza vulne- rante distinto, ma però da essa ingenerato, non ostan- te lunghezza di tempo frapposto fra gli estremi della ferita e della morte: o per l'avversa costituzione di aria o di clima: o per la negligenza necessaria, per dir così, e non colpevole di qualche interessato alla vita dell' estinto : o per l'esempio di certi decantati prodigi di alcune non comuni e straordinarie sana- zioni, che sembra autorizzino ad ingiustamente esclu- der sempre gli esiti fatali : o per la coincidenza di alcun'altra delle tante estrinseche cagioni poste fuori del voler della persona offesa, e delle quali tenem- mo proposito. Niun peso quindi conceder debbesì a queste cagioni tutte o altre somiglievoli, individuali appellate, perchè fisicamente inerenti all'individuo: ne alle altre al vulnerato estrinseche, perchè non era in libertà di lui l'evitarle. XXXIX. Dimostrato egualmente mi sembra, che provocar debbano mitigazione di pena quelle sole cir- eostanze di ferimenti trasmigrati in letali, qualora per Medicina ledale 253 essenza noi fossero, in cui la praticata lesione abbia avuto luogo o per semplice inavvertenza, o per ischer- zo, o per atto qualsiasi involontariamente eseguito sen- za ombra di criminosa tenzone; in cui l'offeso siasi abbandonato a dietetici disordini, o siasi opposto al retto metodo di cura; o in opposizione a questo sia il curante trascorso in più o men gravi falli. Posta così ove fosse, per uniformità di massima^ in pratica questa semplicissima divisione d'attendersi, avrebbesi un più sicuro sentiero da calcarsi , se mal non mi appongo; ne più scorgerebbesi quella varianza di pa- reri, cbe frequentemente sorgeva per la fallacia della norma, da cui era per lo innanzi il punto di par-^ tenza. Sembrava infatti che essa, spargendo quasi in ogni caso speciale dubbi ed incertezze nell' animo dei giudici, richiedesse bene spesso la necessità d'in- vocare dai periti fiscali una dilucidazione per il caso attuale, onde riferirlo più ad una che ad un'altra clas- se e legge , per applicarvi quindi una piuttosto che un'altra designazione o graduazione di pena. XL. La divisata fallacia di norma , che teneva così talvolta in ondeggiante perplessità gli animi dei giuristi nelle forensi loro decisioni, fu , se non er- ro, una delle cause delle lamentazioni fra noi spar- se dal cel. cav. Meli (i) sullo scopo di cercar di cor- reggere quanto era manchevole e viziato nel provve- dimento della giustizia criminale. A tal uopo forse ancora l'egregio cav. Speranza, dopo aver pubblicato un discorso sulla dignità della medicina legale (2), ri- (i) Sul sangue e sul modo di riconoscere le macchie sulle tele ec. ec. Milano, iS^g. (2) Parma, i853. 254 Scienze pete varie avvertenze utili e desiderii di veder pro- mossa a generale vantaggio una qualche riforma (i). Un voto di presso che somiglievole e necessaria ri- forma era già stato da me (2) fin dal i838 tracciato per quello risguarda il ramo peculiare delle autossie cadaveriche medico-giudiziali, per conseguirne miglio- ramento di risultanza. E se tema di noia in voi, o chiarissimi soci, per l'ulterior prolissità delle mie paro- le non mi vietasse, ardirei qui porvi sott'occhio quel tanto che in allora io scrissi su tal subietto, ma che nulladimeno intendo che faccia parte integrante dell' attuai mio tentativo di rettificazione medica di un bra- no interessante di medicina legale, della distinzione cioè delle ferite ed offese accidentalmente letali. (i) V. Annali univ. di medicina ec. di Milano , voi. XCVI, ottobre i84o- (2) Giorn. arcadico voi. LXXV pag. 68; Varie riflessioni ec. che fanno seguito al sunto ivi inserto delle Questioni di medicirut legale ec. ec. del prof. Barzelletti. a?5 Eé'MTTMWkM.T'SRSk Memorie istoriche di Accumoli. Continuazione, CAPITOLO VI H- Felici risultamenti per le Sicilie sotto il governo di Carlo III. Sue beneficenze agli accumolesi. Peste di Messina circoscritta e distrutta. Ri- flessione sui pestilenziali contagi. Si rinnova la guerra. Sforzata neutralità del re di Napoli^ che è obbligato a romperla. Suo trionfo a VeU tetri. Dopo continuata guerra si stabilisce pa- ce durevole. Aspre contese e rappresaglie fra Accumoli e Norcia. Carlo III sostiene di pro- posito le ragioni accumolesi. Dopo 34 anni si rinnovano rappresaglie, ma hanno fine per su- prema convenzione. Continui provvedimenti per le Sicilie di Carlo ///, e sontuosi monumenti da esso innalzati. X^I di là di ogni ben fondata speranza gloriosis- simo divenne il regno di Carlo III. Prima cura di questo monarca si fu quella di porre un ordine per la felicità de'suoi popoli: felicità impossibile non me- no a raggiungersi cbe ad immaginarsi sotto i viceré. Nel governo de' quali abbiam quasi sempre discorsa le indicibili calamità e le vessazioni di ogni genere giornalmente accresciute. Cliè se cotanto oppressivo (*) Mei corrente anno i843 do fine a queste memorie, la cui prima parte fu pubblicata nel iSiS, e sei capitoli delia se» conda parte veggonsi inseriti nell'Arcadico (1827-29). 256 Letteratura era stato il dominio di Spagna , sotto la borbonica dinastia si accorse con valorose milizie e con im- mense somme di danaro al sollievo e risoj^gimento del reame delle due Sicilie. Il che vuoisi soprat- tutto ripetere dalla italiana sapienza, della quale era altamente nutrita la mente di Elisabetta Farnese gloriosa regina delle Spagne. Madre essa tenerissima de'figli, spiegò sopra ogni altro grande affetto al suo primogenito Carlo, che alla regale nascita univa le pili affabili e prudenti maniere non disgiunte da re- ligione, clemenza, generosità, magnificenza, ferma co- stanza e valore ; le quali doli dinotavano il di lui grand'animo ed acuto ingegno. Oltre le accennate acclamazioni, gli abitanti del- le due Sicilie prestarono in più luoghi man forte al loro liberatore (i), che, nel redimerli dalla lunga schia- vitù straniera, uno de'suoi primi pensieri fu di alleg- gerirli non poco da quella dei baroni che esercitava- no sopra i medesimi il diritto di vita e di morte. Le quali parole da noi prese da un autore di nobi- lissima e polente famiglia (2), mostrano quali e quan- ti fossero i ribaldi procedimenti di colesti signori. Il continuatore difatti del gran Muratori^ conoscitore profondo del regime feudale, ricorda, che se una par- te della sovranità risiedeva presso i baroni, moderati erano i loro usi nel Piemonte e nei dominii della chiesa : grandi abusi all' opposto ne derivavano nei regni delle due Sicilie (3). Questi oppressori mol- li) Murai, an. 1734.- (a) Elogio di Carlo III di Onorato Gaelani dei duchi di Ca- serta, pag. 3o. {3; Coppi, Annali d'Italia, tom. I, png. n. Memorie istoriche di Accumoli aSj tiplicavano appunto le angherie e sevizie di ogni sor- ta per la mancanza di un proprio re : molto quindi a proposito scrisse un istorico di Carlo III: « Che i » baroni, in ispecie nei piccoli feudi, divenuti tanti » despoti conculcavano senza soggezione della corte, » che lontana e forestiera lasciava loro, per tenerseli » piti ben affetti che fosse possibile, libero il freno » sul collo di commettere impunemente qualunque 1) eccesso (i). » Dal quale flagello se rarissime città andavano immuni, la nostra patria godeva di un tanto bene- fizio (2). Ma il governo scomposto degl'ispani domi- natori l'avevan condotta, come tutto il regno, a ro- vina,come chiaramente rilevasi dagli officiali documenti che abbiam sopra riferiti (3). Procedendo anzi di ma- le in peggio il reggimento straniero, Accumoli avreb- be forse subito il giogo baronale, se i suoi abitanti nella supposizione di sì indicibile enormità non aves- sero virihnente manifestato di morire piuttosto che di portare l'abborrito nome di vassalli. La quale dimo- strazione commosse talmente l'animo de'suoi più il- lustri cittadini, che vedemmo quattro di essi accori^e- re generosamente in deputazione in Napoli, peroran- do appo il vicereale governo la gravità della sinistra impressione, oltremodo incomportevole ad una popola- zione, che fedelissima sempre ai suoi re, aveva im- mensamente sofferto per la fedeltà serbata alla regnan- (i) Storia di Carlo III dell'aliate Bccaltini. Venezia 1790, pag. 84. (2) Soli cinquanta comuni erano nel regno di demanio regio. (5) Pag. 7'2-8^; e giorn. arcadico lom, 42-3. .G^A.T.XC1V. 17 a5& Letteratura le dinastia. Perlochè il solo reddito delle regie col- lette suH'accumolese, pagate in ragion de'fuochi, fu venduto ai Medici, che né un bricciolo di terra, né dominio di sorta, eccetto la percezione delle mede- sime, esercitaron mai sulla nostra patria (i). La quale assuefatta a chiedere soventi grazie per la diminu- zione delle regie tasse, non umiliossi mai a doman- darla ai Medici , quantunque saliti fossero a seggio regale. Morto nel di g luglio 1787 Giovanni Ga- stone, ultimo gran duca di Toscana della medicea fa- miglia , tosto gli accumolesi umiliarono istanze al re per la diminuzione delle imposte. Oravano che non poche famiglie avevano emigrato, e seguivano ad emigrare per la gravezza delle medesime , le quali all'epoca dell'acquisto fattone dai Medici erano stra- bocchevoli, siccome in tutto il regno, per la diffici- lissima posizione di Spagna (i 643). Né tralasciavano di rappresentare umilmente gli antichi loro privilegi. Il benefico re, nel rinunciare ai sovrani dritti della Toscana, e di Parma e Piacenza, erasi replicatamente riservati, come si è detto in fine del precedente ca- pitolo, i beni medicei e farnesiani feudali, ed allo- diali eziandio: onde prendeva di questi, appena mor- to il gran duca, l'ereditario titolo e possesso di quei esistenti nel regno. Decretava quindi che il residuo di collette di quell'anno ( 1787 ) si versasse a be- nefìzio dello stato di Accumoli (2) : che in futurum (i) Nella compilazione di questo capitolo documenti irrefra- gabili hanno chiarito sempre più questa verità. (2) Contado o stato vedonsl chiamali ne' reali dispacci i co- muni, cui erano aggregati ab origine de'villaggi o castelli- Io cre- do che il primo nome derivi dalle centee longobarde, in cui era dlviia r Italia ; e la nostra contrada costituiva precisamente una aigaoria longobarda. Più a proposilo è oggi il nome di comune. Memorie istoriche di Accumoli aSg diminuito fosse in ogni anno il terzo delle medesime: che il regio economo dell'allodiale patrimonio accu- molese ritirasse annualmente ducati 5o per dote di due oneste e povere zitelle della città di Accumoli da conferirsi in occasione della sua incoronazione al trono; che in fine si desse in questo solenne giorno un carlino ad ogni povero della medesima : altrettan- to si praticasse nel santo natale (i). Dalle indagini piìi accurate, questa è la prima volta , che vediamo officialmente Accumoli onorato col titolo di città, quantunque alcuni autori glie lo avessero tribuito alcun secolo prima: ma fin da prin- cipio fu per noi dimostrato ad evidenza il loro equi- voco (2). L'augusto monarca inoltre ascollò di pro- posito le accumolesi laraentanze per le incessanti con- tese co'norcini, delle quali terrem discorso dopo aver narrati i maggiori avvenimenti del suo regno fino ad una stabile pace. Riandando perciò brevemente gli accortissimi provvedimenti di Carlo ne' suoi reali dorainii, fassi ancora manifesto, che se i popoli solennizzavano l'e- saltazione al trono e l' ingresso nella capitale dei passati re con feste non disgiunte da'tributi sovente gravissimi sotto il vicereale governo, il contrario av- (i) Dai registri del regio economato, che abbiamo sott'occhìo, noa oltrepassò mai il numero ^o de'poveri cbe fruirono quest'e- lemosine. Il che onora il comune: perchè i suoi abitanti poveri , superiori di certo al detto numero , furon sempre amanti della fatica. Le dette beneficenze dopo la morte di Carlo III pratica- ronsi nella pasqua e nel natale, ed ebbero fine sotto l'occupa- zione militare. (2) Osservazioni geologiche e memorie istoriclie di Accumoli parte i pag. 6-7 nota. Giorn. arcadico iSaS volume di dicembre- ;^ Go , Letteratura veniva nell'esaltazione, di Carlo III (i). Nel suo trion- fale ricevimento in Napoli non solo spargevasi dana- ro al popolo (siccome praticossi al di là del Faro), non solo ringraziò la città del dono di loo mila du- cati, ma ordinò ancora di pagare del suo peculio le maggiori spese occorse nell'augusta cerimonia (2)* Av- veduti furono poi sempre i suoi generosi soccorsi, e copiosissimi si videro nelle eruzioni del Vesuvio ver- so i vicini abitanti (3). Il geloso gabinetto di Madrid, per la gagliarda potenza ed istraordinario valore mostrato sotto l'Os- sima dalla marina napolitana (4), l'aveva a poco a poco ridotta a zero. Cominciò essa a risorgere per opera del borbonico re, clie mirò primamente a reprimere l'ingordigia e barbarie de'pirati affricani; e la s. Sede concorse al salutevole scopo col privilegio della cro- ciata nel 1788 (5). Nel qual anno rallegrossi la po- polazione delle due Sicilie pel matrimonio del re con ^aria Amalia figlia di Federigo augusto re di Po- lonia, elettore di Sassonia. Nel viaggio prodigaronsi alla regina nobilissime feste nel veneziaiio e negli stati del pontefice: e l'augusta viaggiatrice corrispose con lasciare ovunque memorie di gentili cortesìe, e di sovrana grandezza e generosità. Napoli pel fausto avvenimento offrì grandioso spettacolo da secoli non (i) Il re prese il titolo di Carlo terzo, sebbene vi fosse slato- Carlo III di Durazzo, die non reputò tanto usurpatore, quanta- odioso, per la morte da esso data f|lla regina Giovanna prima. (2j Gaetani op. cit. (5) Becattini id. pag. 1^78, Muratori id pag. 1737. (4) Pag. 100-6 parte 2; e giorn- are. toiu. 4* P*»S' 94"^- (5) Bucaltini id. Muratori id. Memorie istoriche di Agcumoli 261 mai più veduto, cou spleudiJissime feste raddoppiate da maestosa pompa e magnificenza nel dì del so-, lenne ingi-esso della regia coppia ( 2 luglio 1788 ).' In quest'augusta festività il re istituì l'inclito real or- dine di s. Gennaro. Universale fu il giubilo provato soprattutto in Italia per la pace generale conchiusa a Vienna nel di 18 ottobre (1738). Perlochè il genio di Carlo III, secondato dal talento de' suoi ministri, si volse con maggiore alacrità allo sviluppo delle sagge sue pre- videnze. Fino dal 1785 aveva egli riformato il col- laterale consiglio (subalterno sotto i vice re al gabi- netto di Madrid) col sostituirvi il supremo tribunale di s. ChidT-a: ovdi [i'j3q) creò un supremo tribunale di commercio, e nel ij/^i un tribunale misto com- posto anche di ecclesiastici, dappresso il concordato conchiuso in quest"anno colla s. Sede. Malgrado dell' attivissima indole degli abitanti delle due Sicilie, e malgrado dei due mari dai quali è bagnato il regno , il commercio pel letargico go- verno di Spagna era totalmente caduto, Napoli stessa non offriva che lo smex'cio di tabacco in polvere, sa- pone e calzette di stame : tirannica legge vicereale ((637) aveva vietata l'arte della seta, che il re abolì. Fece inoltre un reclusorio aperto ai poveri di tutto il i-egno, la maggior parte de'quali vivesse d'ora in avan- ti, in vece, dell'accattonaggio, col lavoro delle mani. Ma perchè florido veramente risorgesse il commercio, dopo avere col mezzo del suddetto tribunale libei-ato i negozianti dagl'interminabili ragiii del foro, istituì an- cora una cattedra di commercio e di pubblica econo- mìa, coperta la prima volta dal dottissimo Genovesi. Più avanti mirarono i sagaci provvedimenti pel com- aèa Letteratura mercio , onde incontrasse i minori possibili ostacoli per la barbarie de'terapi. Perciò, a maggior freno de* barbareschi, conchiuse un trattato di commercio colla sublime Porta, in onta di tanti intrighi per contra- riarlo dell' Inghilterra e dell' Olanda. Colla quale poc'oltre due lustri fu stabilito commerciale trattato, eguale a quello delle più favorite potenze (i): sic- come lo stesso praticossi poi con tutte le altre più incivilite nazioni. Si era creduto, per lo scopo di cui parliamo, chiamare nel. 1740 con gran favore gl'israe- liti nel regno per l'attivissimo loro trafficare; ma la decisa antipatia de'napolitani contro questi ospiti, gli obbligò ad abbandonare di giorno in giorno un suolo ad essi totalmente sterile (2). Ma il provvido andamento del governo di Car- lo III vien frastornato da due gravissimi flagelli, ^e^f e e guerra. Noi abbiamo narrato anche in queste me- morie i funesti risultamenti per bubonica peste deri- vati dall'ignoranza e malgoverno di alcun viceré (3); ma ora fra' benefizi di Carlo di Borbone vi fu quello di statuire un supremo tribunale di sanità. Perlochè es- sendo approdato a Messina nel dì 20 marzo (1743) un bastimento genovese carico di lana ec. procedente da Missolungi, il suo capitano esibì invece falsa paten- te di provenienza da Brindisi. Prima vittima di peste fu lo stesso capitano: ed importato il male colle mer- ci in città, cominciò a modo sporadico, dilatossi poi epidemicamente. I medici, siccome si è rinnovato a' dì (x) Coppi id. pag. ai. (1) Murat. ìd. 1740. (3] Palle 2 pag. i/^6f e gioru. arcadico tom. 44 P^g- J73-4* Memorie istoriche di Accumou 263 nostri, talora per buona fede, tal'altra per malvagia e temeraria presunzione, dichiararono la malattia non contagiosa, nò pestilenziale. Ma propagandosi essa sem- pre più, ed essendo penetrata ancora di qua dal Faro a Reggio e circonvicini luoghi , fu per attivissima cura del governo circoscritta e distrutta (i). L'Ita- lia , al contrario de'passati tempi , fu debitrice del- l'attuale salvezza a Carlo III: come lo fu circa un secolo dopo all'augusto Ferdinando IV suo figlio (pe- ste di Noia 18 15). Io benché non abbia avuto campo di osservare il bubonico contagio, pure avendo fino dalla prima gioventù medica dovuto per esperienza intertenermi a parlare dei febbrili contagi, fui persuaso della sen- tenza di gravi medici, di essere cioè in mano dell' uomo non solo di arrestarli, siccome è accaduto le mille e mille volte, ma totalmente distruggerli. Di che ho potuto pienamente convincermi, non con teo- rici ghiribizzi e metafisiche astrazioni, ma co'medici lumi per più lustri acquistati da'reiterati sanitari of- fici, e per debito di alto ministero ampiamente po- scia chiariti. Il mio lavoro sulle contagiose pestilen- ze , promesso ancora ultimamente al pubblico (2) , racchiude tanti luminosi fatti, quanti bastano, se mal non avviso, a mostrare all'evidenza la verità dell'ar- gomento. Né vuoisi negare , che se i migliorati co- stumi, la pulitezza nel vivere e conversare, hanno re- so ai nostri giorni meno micidiali di un tempo le pestilenze , tuttavia non lasciano di flagellare più o (t) Miirat. Jd. 1743. (aj Raccoglitore medico voi. IX, pag. 3o5 (1842). 264 Letteratura meno gli stessi popoli inciviliti. Laonde lo scopo, cui mira il mio ragionamento, non pò trassi mai raggiun- gere , fincliè i materiali interessi prevarranno sopra il bene solido e permanente del pubblico, finché non cesseranno le politiche turbazioni e le guerre. Per la guerra appunto, di cui ora diremo, vidersi ridestare indigeni contagi negli stali di Parma ed in Genova (come qui rinnovossi nel 1799). Nò la postileiiza limltossi alla specie umana: ma gli animali bruti e- ziandio , soprattutto la specie bovina , fu qua e là nell'Italia superiore pressoché distrutta da pestilente contagio. Narrasi, che nel solo slato di Milano peri- rono in un anno 180 mila bovi (i). Maggiore però della messinese pestilenza era stato nel 174^ i^ ^i*^- novato flagello della guerra, da cui abbiamo veduto risorgere indigeni contagiosi morbi. L'austriaca eroina (Maria Teresa regina d'Un- gheria ) dal massimo abbattimento, in cui era caduta, si rialza con animo più che virile contro i suoi ne- mici. Il perchè Carlo III, obbligato dal suo genitore, si arma, e colle sue milizie rafforza in Pesaro (feb- braio 1 742 ) l'esercito di Spagna capitanato dal Mon- temar. Il quale con generale sbalordimento, eccetto alcuna leggerissima dimostrazione, indietreggia sem- pre posando a Spoleto, non ostante l'ardore di com- battere de'suoi soldati, e le insistenze de'comandanti modenesi che cercano indarno il suo aiuto in difesa di quel ducato collegato con Spagna. L'inerzia del Montemar è cagione di solleciti progressi degli austro- sardi, che s'impadroniscono degli stati di Parma e di (i) Muraloi'i, id. 1745. MtlMORIK ISTORICHE DI AcCUMOLI sGj Modena. Coteslo diportarsi del duca di Bitonto ci conferma il favore delle popolazioni per la borboni- ca dinastia, nel conquisto delle Due Sicilie, avvenu- to sotto il militar comando di questo generale, che cade in disgrazia, e gli vien sostituito il general bel- ga conte di Gages. Gl'inglesi frattanto, alleali di Austria, con nume- rosa flotta danno improvvisamente fondo avanti Na- poli nel dì 19 agosto di quest'anno: e nel dì seguen- te fanno intimare al re, che entro le due ore assi- curi un trattato di neutralità, ritirando le sue trup- pe: altrimente bombarderanno la capitale. Il re sotto- scrive l'atto di neutralità, promette e ritira le sue mi- lizie per la necessità indotta dalla nessuna fortifica- zione, in cui si trovava la napolitana riviera; al che energicamente e subito ripara, per non soggiacer mai pili a siffatte minacce. Il generale spagnuolo di Spoleto avanza l'esercito a Bologna, mentre l'infante don Filippo di Provenza occupa la Savoia; ove frettolosamente accorrendo il re, l'infante si ritira, ma con maggior forza torna ad occuparla. Quando stassi guerreggiando sulle alpi, fie- ro conflitto avviene sul Panaro, ove gli austro'sardi combattono valorosamente gli spagnuoli, che invano, per la sottoscritta neutralità , volgonsi a Carlo per aiuti, sebbene alla spicciolata portinsi a campeggiarvi napolitani guerrieri. Filippo V nel 1743 dichiara generalissimo del- l'esercito il duca di Modena, che ne prende possesso in llimino. La regina d' Ungheria sostituisce al suo generale supremo d'Italia, chiamato a guerreggiare in Germania , il principe di Lobkowitz. Gli spagnuoli dagli siali del pontefice, combattendo sempre, valica- 266 Letteratura no nel 1744 i^ Tronto, e posano le stanze nel pri- mo Abruzzo ulteriore, mentre gli austriaci le pren- dono nel Piceno. Il re, oltre i comandi di Madrid, ebbe prove di fatto delle pratiche tenute negli Abruz- zi per ribellarli; perciò, vedendo non istarvi più scam- po alla guerra, con assennato ragionamento al pub- blico rompe le neutralità , statuisce un consiglio di reggenza, fa assicurare la regina a Gaeta , e portasi ai 29 marzo ( 1744) ^^ Abruzzo coli' esercito che congiunge con quello di Spagna. Ordina che i pri- mi baroni delle province aprutine lo seguano; dacché per avere abbassata l'alterigia, e i soperchianti loro mo- di, erangli note le suddette pratiche per cambiare di stato (i). A ribocco di fatto eransi sparsi manifesti a ribellione con promessa di nuove concessioni, e di amplissima conferma degli antichi privilegi nei con- fini degli Abruzzi. D'altronde le popolazioni ammi- ravano le virtù di Carlo, ed erano troppo ricordevoli de'governi vicerealì e delle baronali prepotenze. Di- modoché, sebbene due volte gii austriaci occupassero varie città aprutine, in taluna delle quali si gridasse per Austria, e dubbiosissimo fosse l'esito della guer- ra, pure gli abruzzesi tennero la debita fede al re. Al qual proposito ci piace di riportare le parole del Becattini: « Postosi in marcia per quelle parli un » grosso distaccamento di soldati delle guarnigioni di » Pescara ed altre piazze dell'Abruzzo, le truppe au- )) striache ( guidate dai generali Novali e Gorani, » ed entrate in ambe le provincie dell'Abruzzo ul- » teriore ) ebbero gran pena a raccogliersi, e ridursi )» per metà, ritirandosi inseguite e maltrattate senza (i) Beeatiui, id. Memorie istoricite di Accumuli 267 » aver colto altro vantaggio, die di aver lascialo sui » confini del regno una gran quantità di copie di » manifesti. Questa spedizione, non avendo corrispo- » sto all'espettazione del generale austriaco, dedusse M subito il mondo su quali deboli fondamenti era ap- » poggiato, e cosa doveva sperarsi dal progetto d'in- » vadere il regno di Napoli (i). » Vano riuscito il tentativo di sollevare gli x\bruz- zi, altrove volse il Lobkowtiz i suoi pensieri. Di che avvedutosi il re, dall'Abruzzo ripiega coll'arraafa in terra di Lavoro, ed occupati vari luoghi limitrofi del pontefice, riducesi finalmente a Vellelri , ove i due eserciti l'uno in faccia all'altro sono separati da pro- fonda valle. Se non che gli austriaci essendosi im^^ possessati del monte Paiola dominante il convento de'capuccini di Velletri, munito dal regio esercito, con gagliardi assalti ed estremo valore ne sono cacciati il di 17 giugno. Per altro ambi i campi essendo ben fortificali, guardavansi i guerreggianli senza grandi of- fese: quando il Lobkowitz, assicurato in Memi di al- cuni passi inosservati dal reale esercito per la diffi- cilissima posizione, nella notte del di 1 1 agosto pone in marcia per due separate vie due grossi corpi di truppa. L'uno dei quali comandato dai generali No- vali e Dolon^ dopo aver fatto un giro sulla sinistra del campo napoHspano, coglie all'improvviso tre reg- gimenti, de'quali parte fa prigione, parte taglia a pez- zi, e mette il resto in fuga. In questo scontro una sola brigata irlandese resiste; ma sopraffatta dai vin- citori , questi co' vinti entrano in città, ed i primi appiccano fuoco in più punti per incutere maggior (ij Op. cit- pag. i44-5. 268 Letteratura terrore non meno al reale esercito, che alla sventu- rata città. Il re, il duca di Modena, l'ambasciatore di Fi-ancia, i generali balzano di letto, e con istento salvansi ai cappuccini. Gli austriaci, lungi dall'inse- guire i fuggitivi , si danno al saccheggio. I napoli- spani,^er virtù del re soprattutto, rannodansl, pren- dono l'offensiva, uccidono, imprigionano e cacciano l'inimico da Velletri. Lo slesso Lobkowitz, andato al- l'assalto del mon\.e Artemisio^ ivi sempre gagliarda- mente respinto. Istorici gravissimi fanno sommo elo- gio del coraggioso valore, della fermezza e costanza del re, spiegate in mezzo a grandi disagi e pericoli. Per le quali cose il generale austriaco, calcolando che il continuare in quel soggiorno sarebbe senza frutto e con perdila di gente per la sinistra stagione, leva il campo il dì i novembre alla volta di Roma, seguito passo passo dai napolispani. Giunte ambe le armate in Roma, sono l'una rimpetto all'altra separate dal Tevere. Ansiosissimo era il re di presentarsi divotamente al gran pontefice Benedetto XIV^ che lo accolse af- fettuosamente, e s'intrattenne a lungo ragionare con reciproca salisfazione. Il re tornò poscia trionfante in Napoli, accoltovi colle più giulive dimostrazioni di gioia e di amore. Non poca certamente fu la gloria sua per aver preservato il regno dalla presenza della' guerra, che più minacciosa era contro esso diretta ; poiché l'oste penetrata in Abruzzo non era apparsa, che era messa in dileguo. I napolispani dopo alcuna dimora in Viterbo , ' rinforzati, inseguono il Lobkov^'itz, che combatte in- ritirata. 11 duca di Modena, tornato alla testa dell' e-r seBcito, occupa non solo gli stati, che erau perduti, Memobie istoriche di Accumoli 269 di Modena e di Parma, ma eziandio la città di Mi- lano. Il Gages, dopo aver superate non poche difficol- tà, congiungesi co'gallo-ispani in Genova alleata de' Borboni. Ma avvenimenti favorevoli ad Austria, pri- ma di finir l'anno , migliorano P anno seguente la fina posizione. Dopo la morte dell'imperatore Carlo VII elet- tore di. Baviera, che aveva perduti quasi tutti i suoi stati per alleanza con Francia, con miglior senno dassi il suo figlio ad Austria. La elezione del nuovo im- peratore cade sopra Francesco di Lorena, augusto con- sorte di Maria Teresa. Finalmente la Prussia, che di vittoria in vittoria aveva posto in gravissimo pensie- ro l'imperatrice, per la mediazione dell'Inghilterra pre- stasi a conchiudere un trattato di pace sul cadere dell'anno ( 1745). Laonde l'anno vegnente arride a favore degli austro-sardi, che ricuperano quanto erasi l'anno innanzi perduto. Al che contribuì ancora l'im- matura morte di Filippo V, avvenuta nel dì 9 luglio (^74^)5 che recò dolore acerbissimo al cuore di Car- lo. Ma non lieve conforto gli porse il rispetto ma- iiifcsfato alla propria madre Elisabetta dal nuovo re Ferdinando VI, nato dal primo letto da una princi- pessa di Braganza. Ferdinando mostrò ancora grande tenerezza pe'suoi fratelli, soprattutto pel re di Na- poli. Difatti se i gallo-ispani sgombralo avevano il suo- lo Italiano, il re di Spagna accorse con ogni aiuto per le nuove minacce contro Carlo ìli. La sola re- pubblica di Genova, essendo da tutti abbandonata, do- vette comprare la pace a condizioni assai severe. Le quali rese più dure dagli austriaci comandanti, s'ina- sprirono talmente gli animi de'popolani che dispera- tamente diedero mano alle armi. All'empito di geno- ujo Letteratura \ese plebe riunendosi poscia ogni cittadino, dopo du- rati e replicati conflitti , i genovesi mettono in dì- sordine l'esercito imperiale, e lo cacciano dal terri- torio della repubblica sul finire dell'anno ( 1746). Quest'inaspettato avvenimento non solo fa retrocede- re gli austro-sardi, che prosperavano in Provenza, ma i gallonapolispani ancora ( l'j/^j ) vengono con aiuti di ogni sorta a Genova, minacciata pel ritorno di for- te imperiale esercito assediante impetuosamente la città, tribolata eziandio da epidemico morbo , come sopra si disse. L' isterico di Carlo III narra che il re nella genovese calamità a credette suo decoro so- » stenere quella cadente repubblica, e vi mandò uo- » mini, viveri e danaro (i). » In questo stesso anno ( giugno 1747 ) la reggia di Napoli, i popoli delle due Sicilie e quei de'pre- sidii di Toscana festeggiarono con pompa la nascita di un maschio. Grande ancora fu la gioia provata dai reali di Spagna, dappoiché appariva certo che Ferdi- nando VI sarebbe senza prole. Dopo le tante europee tribolazioni nella supe- riore Italia specialmente sofferte, spuntava il giorno della desiderata pace , che segnavasi in Aquisgrana (ottobre 1748), a cui davasi compiuto termine Tan- no appresso. La real casa di Borbone acquistò Par- ma e Piacenza per l'infante don Filippo. Carlo III consolidavasi nel regno delle due Sicilie: e le diffi- coltà durate alcun tempo per gli allodiali de' Me- dici furono finalmente sciolte , ed ebbero lietissimo fine per le raddoppiate parentele colTiraperiale austria- ca famiglia. (i) Becatliui, id. p. 146. Memorie istoriche di Accumoli 271 Per sì fausto avvenimento Carlo III, dopo aver liberato di peste e di guerra il suo reame, si diede con alacrità a rendere più felici i suoi sudditi. Di che diremo di volo in appresso , per discorrere ora le continuate sue benificenze ad Accumoli in occa- sione delle rinnovate contese co'norcini. Molte rap- pressaglie e civil sangue si sparse nel 1740» fra le due limitrofe popolazioni: con maggiore accanimento e vituperio risorsero nell'estate del 1744 (*)• ^^ 1^®* sto tempo abbiamo veduto la critica posizione del re- gno, per la riaccesa guerra, per la quale penetrò l'au- striaca oste negli Abruzzi. Il confine della parte mon- tuosa sul Tronto non ebbe presenza di nimico; però i manifesti a ribellione superiormente accennali vi- dersi affissi di notte in più luoghi dell' accumolese , ma dappertutto furono immediatamente lacerati dai suoi abitanti. Fattasi quindi dai cittadini di Accu- muli ogni diligenza per .rinvenirne gli autori, ven- nero in cognizione di emissari vaganti nel loro ter- ritorio. Uno de'quali fu colto in Poggio d'Api, che assai malmenato ebbe salva la vita per sola cristia- na carità di quel parroco (a). Gli accumolesi rad- doppiarono le ascolte, e tutte le persone capaci all' armi furono vigilanti non meno pel buon ordine, che per serbare la debita fedeltà al loro re. Ma quando appunto agitavansi le sorti della guerra a Velletri, i norcini improvvisamente incen- diando in più punti le biade di Accumoli, menaron via quantità di bestiami. Disperato furore accese gli animi degli accumolesi, che trovandosi colle armi in (i) Meni, cit., e Tommasi id. pag. XXXIV. (2) Memorie, id. e processo cit. saya Letteratura pronto penetrarono nel territorio limitrofo: e qtlei di CapoJacqua, danneggiati piia di ogni altro, diedero in eccessi maggiori di quelli eoinmessi dai norcini, e ne ebbero lode da'regii ministri. Il governo, che dopo il trambusto del 1740 aveva in nome del re imperato, che intatto si serbasse l'allodiale territorio, al pre- sente ricercò dal governatore di Accumoli minuta in- formazione sul!' origine della controversia. Ma per- venuta essa in Napoli , du])itossi di esagerazione ; onde fu spedito sulla faccia del luogo l'uditore Del Tufo^ il quale avendo confermato quanto dal regio governatore erasi riferito, con reale dispaccio si in- culcò d'invigilare contro i norcini, Se osassero tor- nare alle offese. In questo stato di cose la città di INorcia riclamò alla s. Sede, onde corsero fi'a le due corli diplomatiche note nel ly/i-^'J- Il re, fidanclo nell'inlegrilà e scienza di un suo ministro marchése don Carlo Mauri presidente di Som- maria, decretò che si portasse (1747) ^^^ Accumoli a spese del regio eraino accompagnato da subalterni mi- nistri, acciò con ogni esattezza e scrupolosità racco- gliesse e riferisse , perchè sciolta fosse una volta la quistione. Il municipale archivio di Accumoli, ricco allora di originali documenti, diede largo campo di perscrutare e raccorre j)iù di quello che fosse noto agli slessi abitanti. Esaminate quindi le pergamene ed altri originali documenti risguardanti il territorio in quistione , e fattane comparazione su' luoghi in presenza degli avversari , siccome ne aveva istruzio- ne , fece elevare dal tavolarlo Michelangelo Porzio topografica pianta. La quale con apposita relazione umiliò al real trono, asseverando che sette miglia di lerri Iorio, pertenuto un tempo alle terre sommatine, Memorie istoriche di Accumoli 278 non le aveva tultavia compresi.; nella detta pianta. Avuto quindi il Mauri officiale riscontro di Napoli, mise in nome del re in possesso gli accumolesi del territorio contrastato e racchiuso in detta pianta, con geloso ordine di conservarlo, e di respingere qualun- que norcina aggressione, invocando in caso di biso- gno aiuto dal preside della provincia, che con reale dispaccio ne era slato avvertito. Accompagnò il Mau- ri la sua relazione con deposizioni ancora di vari contadini di Norcia a prò degli accumolesi: la città però tornò a riclaraar fortemente al sommo pontefice. Avanti di proseguire in questo disgustoso con- trasto , e' incombe fare una digressione relativa a quest'epoca. Il magistrato di Accumoli vedendosi ric- co di documenti, alcuni de'quali per esso stesso igno- rati , quantunque apertamente ricordati nelle patrie croniche , pregò il Mauri d' implorare dal re mag- giori favori, e la conferma di alcuni privilegi. Il pre- sidente di Sommaria portò in Napoli i documenti più interessanti, la maggior parte de'quali fu perduta (qua- rantadue). Lungo sarebbe di riportare le querele e le ricerche incessantemente praticate, ma indarno, per ricuperarli. Fin da principio di queste memorie ab- biamo dato alcun cenno di questa perdita (i). In con- ferma di che voglionsi qui riportare due lettere ori- ginali, del Mauri l'una, del procuratore del comune l'altra, esistenti tuttora presso di noi, e legalmente riportale nel citato processo. « Signori miei padroni osservantissimi. Soddisfa- » cendo di risposta alla lettera delle SS. W. de'3o » del caduto marzo, capitatami in questa settimana, {i) Parie i pag 89, e giorn. arcadico toni. XXX pag. ig3. G.A.T.XCIV. 18 2^4 Letteratura » sono a prevenirle, che li privilegi sono in mio po- » tere, e fa d'uopo che elleno eliggano qualche per- » sona , o pure un procuratore a chi possa conse- » guarii , per assistere ancora a tutto ciò che fa di » bisogno per ottenerne la conferma, potendo viver » sicure della volontà che ho di servirle per quanto » dipende dal canto mio nei termini del giusto. In- » tanto pregando le SS. VV. a darmene frequenti aper- » ture, resto con perfettissima stima » Napoli 20 aprile 1748. » Delle SS. VV. illustrissime, signori governan- » ti di Accumoli, » Devotissimo ed oblìgatissimo servitore » Carlo Mauri u. » Illustrissimo signore, e padrone colendissimo. » A causa delle correnti ferie il signor marchese » Mauri ritrovasi fuori della città a villeggiare , e » per l'assenza del medesimo non ho possuto nuo- » vamente accudirlo per farmi consegnare gli altri » quarantadue privilegi che V. S. illustrissima dice » ritrovarsi in di lui potere: ma subito che sarà re- » slltuito in città non mancarò di assisterlo per far » ritrovare detti privilegi , e consegnarmeli per poi » darne a V. S. illustrissima la notizia. » L'attuario Cardamone anche da più giorni ri- » trovasi fuori della città, onde non ho potuto fare » presso del medesimo la diligenza, se tenga presso » di se il dispaccio del mercato, siccome la farò su- » bito che se ne sarà ritornato. » Essendo stato ieri a fare una visita al signor Memorie istoriche di Accumoli ayS » marchese Mauri in villa, non lasciai di parlargli » ancora intorno all'esigenza del consaputo raanda- » to , e mi disse che si accudisse presso del signor » Ciaraorretli, a cui aveva già dato gli ordini con- » venienti. » E restando inteso di quanto mi scrive intor- » no all'onorario, la prego di altri comandi, e mi » confermo per sempre » Di V. signoria illustrìssima, » Sig. D. Piccola A.ntonio Camerari » capo priore di Accumoli. » Napoli 8 ottobre 1749' » Divotissimo servitore obbligatissimo » Gio. Antonio Sarcone. » Pei riclami adunque di Norcia ebbero corso no- velle comunicazioni fra le due corti. Per le quali nel i^So si convenne d'inviare sul contrastato terreno due ministri. Per Roma fu monsig. Bernardino Giraud (indi cardinale), e da Napoli destinossi D. Angelo marchese Cavalcante luogotenente di Sommaria (i). Il quale prima di partire conferì più volte col Mau- ri, dopo aver consultata e seriamente esaminata la of- ficiale posizione dal medesimo compilata. Giunto in Accumoli, dopo replicate informazioni praticate an- cora co' contadini di Norcia , e dopo attento esame locale, fece elevare una pianta più accurata di quella (i) La camera di Sommaria giudicava, come tribunale supre- mo, le cause civili de'coiuuai e delle pubbliche amministrazioni. 276 Letteratura del Porzio. Fu essa eseguita dall' astronomo Felice Sabatelli e Costantino Manni tavolano del sacro re- ^io consiglio , e vi si designarono opportuni richia- mi che chiariti fossero in nota colle officiali stipula- zioni fra Norcia ed Accumoli. Il Mauri che tre an- ni prima aveva rigettate le ragioni de' norcini con- trarie ad Accumoli, perchè non sorgevano da docu- menti originali né autentici, affacciate ora al Caval- cante, le predicava apocrife. Per contrario monsignor Giraud le reputava ve- re: mentre se apparivano in semplici copie antiche, le istruzioni per esso avute le mostravano indubita- te. Bisognava ancora l'ammentarsi che alcuni origi- nali documenti furon perduti per la sventura di Nor- cia subissata due volte dal terremoto in principio di questo secolo: nella qual'epoca funesta andarono in perdizione molte memorie che avevano illustrata quel- la vetustissima città umbro-sabina: il possesso inol- tre se non costante, per molti anni però della mag- gior parte del territorio preteso dagli avversari , fa- ceva d'uopo soprattutto valutare. L'accordo solenne dopo la metà del secolo XV, accompagnato da tante shigolari circostanze, metteva in chiara luce le ragio- ni di Norcia ; di manierachè 1' oppugnarle era una (;avillosa ostinazione. L' accordo , diceva il Giraud , fu conchiuso nel 1472 mediante due scelti arbitri, che furono D. Giovacchino Da Narni per comanda del pontefice Sisto //^, e di D. Francesco Pagano di Cittàducale per ordine di Ferdinando re di Si- cilia. La convenzione fu accettala da ambe le parti con pubblico istromeuto e con apposizione di ter- mine eseguita dall' alemanno Nicolò Staci. Ma non andò guari che il termine fu tolto dagli accumolesi: Memop.ie istoriche di Accumou 2- 7 onde il re Fealinando , per mezzo di D. Antonio d'Aragona duca di Amalfi giustiziere deputalo della provincia, comandò nel 1476 ad Andrea De Doclo- nbus bolognese, regio consigliere e commissario della provincia d'Abruzzo, che s'intimasse la gente d'Ac- cumolo di rinnovare l'affissione del tonnine. Il qua- le fu rimesso lungo palmi cinque e tre largo , con sotto mattoni , e monete di rame di cavallucci di regno. È vero bensì che gli accumolesi si negarono di essere presenti all'operazione: ma dal De Doclo- ribus fu loro intimato a nome del re, che chiunque avesse osato di torre il nuovo termine , sarebbe in- corso nella pena di mille ducati. L' allo , sebbene particolarmente conservato in semplice copia, fu ro- gato dal notaio Matteo de Furiis di Norcia. Che nul- la ostante per la buona vicinanza i norcini tollera- vano, che in una porzione del territorio di loro spet- tanza si abbeverasse e pascolasse. Aggiungeva il Gi- raud , poiché i ministri regii avevano latte elevare piante, il medesimo si era da esso ordinato: facendo tn-areuna pianta a seconda di dell'accordo, pel qua- le annullavansi chiaramente le pretensioni di Ac- cumoli. Rispose il Cavalcante, che se il Mauri aveva per apocrifa tenuta quella convenzione, molta più la di- veniva per lui. Primiera.nente dopo le più diligenti ricerche non si era trovato nel rollo ne per impie- go, ne per commissione , Francesco Pagano di Città ducale. Nò copia, ne alcuna notizia di simile accor- do crasi rinvenuta in Napoli , e nel comunale ar- chivio di Accumoli , i cui abitanti godevano e se- guirono a godere favore grandissimo dal re Ferdi- 278 Letteratura nando, siccome risultava da originali documenti tut- tora esistenti (i). 2. Più apertamente manifestavasi apocrifo slmi- le accordo , perchè in tutte le officiali stipulazioni posteriori fra Accumoli e Norcia non si fece mai pa- rola del medesimo; delle quali stipolazioni si pre- sentavano originali documenti. Fra questi uno più solenne fu stipolato nel i563 da due notai: il pri- mo in Accumoli nel gennaio di detto anno dal nota- io Prospero Pasqualoni : il 2 fu stipolato nel mag- gio in Norcia per ratifica del primo dal notaio Tul- lio Raii. I deputati eletti pel primo istromento fu- rono D. Prospero Carastano , e Silvio di Norcia, e Geronimo Cipriani della villa Frascaro contado della medesima : per Accumoli furono deputati Gualtiero Censurino e Pierangelo Gentile (sindaci del quarto di s. Lorenzo) e Andrea Colangelo di Capodacqua contado di Accumoli. Il consiglio di Norcia , dopo aver approvata la convenzione per gli atti del Pasqua- Ioni, autorizzava di ratificarla il suddetto Carastano e D. Marcello Tebaldisco, siccome praticossi per gli atti del Raii. Al cui istromento per Accumoli in- tervennero il detto Censorino, ed i massari di Capo- dacqua. (Noi crediamo annoiare il lettore se doves- simo riportare la convenzione che si trova originale, e quasi per intero pubblicata dal Tommasi. ) In 3 luogo, proseguiva il Cavalcante, se esistes- se l'accordo del 1472, il castello di Capodacqua, as- sai più popoloso di oggi nella sua origine (2) , sa- (1) Parte i pag. i^^o-SZ e giorn. arcad. tom. XXXI pag. 78-gi. ('2) Col nome di castello ricordasi, Ughclli Ital. sacr. tom. l pag. /|65; Aiulreanlonelii Tlist. sagr. ascul. pag. 274' Memorie istoriche di Accumoli 279 rebbe stato per così dire senza territorio. Il che op- ponesi alla natura delle cose, la quale dimostra che la sommità de'monti, ed il corso delle acque, l'uno verso Norcia , l'altro verso Accumoli, dinotavano il vero limite del confine. Come tale riscontrasi nel trat- tato del 1255 tra i vescovi di Spoleto e di Asco- li (i) , quando le terre sommatine per alto tradi- mento, e per ribellione fomentata da'norcinij furono da essi restituite. Che se gli accumolesi in occasio- ne del vespro di Sicilia furono dagli angioini mul- tati del territorio, questo castigo non istendevasi a nessuna parte confinaiite col norcino. In 4 luogo il catasto di Accumoli del i544 che mette per proprio il territorio preteso da Norcia, la possidenza nel medesimo della parrocchia di Capo- dacqua , l'avere gli accumolesi ab immemorabili pa- sciuto ed abbeverato in una parte del territorio che secondo il supposto accordo del 1472 sarebbe pro- prietà di Norcia, le capanne finalmente in occasione di peste collocate al di là del preteso territorio, con- fermavano pienamente la falsità della convenzione (2), (i) Id. Id.; e Memorie istoriche di Accumoli parte i pag. g7, e giorn. are. tom. XXX pag. 201. (2) Avendo noi sott' occliio una cronica originale intitolata Historie dell'antica città di Norcia di D. Fortunato Cinui mona- co celestino (MDCXL), l'abbiamo tutta percorsa. Relativamente a coleste municipali discordie se ne dà cenno in parlando del ca- stello di s. Marco confinante colle ville di Accumoli s. Giovanni, e Terracino, ne' quali territori! si ebbero minori contrasti che ia altri punti. Noi riportiamole parole del cronista, che dopo aver fatti grandi elogi del valore guerriero , e de' privilegi di questo castello ec. dice" che gli abitanti di s. Marco difesero sempre i „ confiui della loro città ; che però si legge una lettera nell'ai"- 28o Letteratura In mezzo ai dibattimenti ed ai congressi corte- semente tenuti dai due ministri, nulla si concliiuse, ed ognuna delle parti credette stare dalla ragione. 1 norcini nel primo anno fecero qualche leggerissima rappresaglia: imperocché il re di Napoli rinnovò or- dini positivi di rintuzzare forza con forza, se i nor- cini ardissero offendere gli accumolesi nel territorio in cui erano stati messi in possesso da' suoi ministri Mauri e Cavalcante, e per maggior sostegno vi fu spedito un distaccamento militare. Parrebbe quindi che non per amichevole composizione, ma per via di fatto, tenessero gli accumolesi il contrastato territorio. Corse per altro verisimile fama che Roma non ap- provasse il procedere del Giraud. Dice il Tommasi: « L'augusto Carlo III, che tutto ben pensava e con- » duceva a fine, prescelse alla liquidazione delle ra- » gioni che stavano per il regno i due celebri e non » mai abbastanza lodati marchesi Mauri e Cavalcante: » e quindi fidando interamente nelle di loro esatte » e ragionate relazioni , si compiacque di volerne » gli adempimenti, e col fatto volle rimettere gli ac- » cumolesi nel possesso di quei territori , senzachè » si frapponesse a questa sovrana deliberazione la )) buona armonia che passava col sommo regnante » pontefice Benedetto XIV (i). » ,, chivio de'consoli dell'eminenlissimo cardinal Borghese, diretta ,, al governo di Norcia, che s'intrometta colla sua autorità di far „ seguire la pace per le differenze fra questo castello e quei di „ Accumolo , data nel iGi-ì : e molto più auticaiuoute nel i477 ,, s'intromette per detl'effetto il re di Sicilia , e poi l'eminentis- ,, simo cardinale Aldobrandini scrivendo a questa comunità nel „ 1598; ed essendovi seguili molli delitti, si legge in detto luogo ,, una remissione tra Norcia e Accumolo data nel 1478 ,,. {.] Pag. XXIV. Memorie istoriche di Accumou 281 Noi, per non tornar mai più in questo triste ar- gomenlo , diremo che dopo 34 anni di perfetta caU ma e di pacifico possesso degli accumolesi, in occa- sione di mal umore fra le due corti, i norcini de- vastarono improvvisamente la semente delle orzole di Capodacqua, menando via una quantità di bestia- me bovino guardato da tre fanciulli. Volevasi suo- nare a stormo dai convicini villaggi: ma fu impedito dal governatore di Accumoli, che si volse benigna- mente a monsignor prefetto di Norcia, perchè si re- stituissero gli animali, e si rifacesse il danno per la devastata semente. Il governo di Napoli con reale di- spaccio replicò le stesse dimando , ma invano. Gli animali furono ricuperati collo sborso di scudi due- cento a titolo di multa e di danno , perchè giusta eslimossi la rappresaglia fatta nel territorio di Nor- cia, secondo la pianta Giraud contraria a quella de'regnicoli. Entrambi i governi mandarono forza ar- mata per sostenere i propri dritti. I contadini di Nor- cia per altro portaronsi in Accumoli, e pinttostochè contendere, presero in affìtto le erbe del contrastato terreno per pubblici istromenti , che nel 1826 noi abbiamo avuto sott'occhio, e citati ancora nell'opera del Tommasi (i). Finalmente deliberossi di rinno- vare una commissione che fu composta per parte di Roma di monsignor D. Lorenzo Litta (indi cardina- nale), per Napoli di Gio. Battista Salomone gran giu- dice di vicaria, caporuota della provincia (indi con- sigliere di stato). I commissari giunsero sulla faccia del luogo in settembre lySS. Dopo vari accessi e ripetuti congressi , il Litta mostrossi favorevole agli (i) Pag. xxvm-ix. 282 Letteratura accumolesi: ma i cittadini di Norcia adopraronsi che venisse meno l'accordo, il quale la Dio mercè ebbe compimento l'anno appresso (1786), in cui la slessa commissione aveva avuto l' incarico dalle rispettive corti. Nel chiudere quest'articolo di municipale di- scordia durata per secoli, ci è ad evidenza parato che la sua rinnovazione derivò costantemente dai norcini, i primi alle offese, cogliendo generalmente l'oppor- tunità di locale o generale calamità nel regno, o di poca armonìa fra i due governi. Ma tornando alle glorie di Carlo III, osservia- mo che sebbene durasse la guerra nell'alta Italia, esso tuttavia intendeva di proposito al buon governo de* sudditi. Le collette di sopra discorse pesavano inte- ramente sul povero ; ed il censo territoriale era, a modo di dire, ignoto nel regno, giacché i catasti, in- clusive quello del i5445 eransi formati in pochi luo- ghi senza alcun pubblico vantaggio. Perlochè il re decretò nel 1748 un catasto generale per regolar me- glio le imposte. Lo scopo fu alquanto raggiunto in onta d'infiniti ostacoli. La prammatica, risguardante il rendiconto degli amministratori municipali in fine della loro gestione, erasi totalmente obliata fino dal- l'estinzione degli ultimi aragonesi. Poiché essi l'a- vevano statuita , e da Carlo fu richiamata in pie- no vigore. Conseguita che fu durevole la pace, or- dinò una commissione (i75i) d'intelligenti ed one- ste persone in ogni provincia , acciò si occupasse de'bisogni generali della medesima, e speciali di cia- scun comune, affine di porgere al governo tutti que' lumi tendenti a migliorare l'agricoltura, ad agevolare il commercio, l'industria e le arti. Migliorò il re gli studi nor^ solo per nuove cattedre, ma per iscelta an- Memorie istgriche di Accumoli 288 cora di dotti uomini. Le scoperte di Ercolano (lySB), e ài Pompei (lySo) sollecitarono attentissime le sue cure , talché egli stesso prese più volte parte negli scavi. Unica puossi dire la raccolta degli oggetti rin- venuti, vie sempre pel zelo de'suoi successori accre- sciuta, in quelle città seppellite nella prima esplosio- ne del Vesuvio ( 79 dell'era cristiana sotto l'impero di Tito J^esp asiano). Forma la medesima il rino- matissimo museo borbonico creato dal benemerito Carlo, che per maggior incremento delle arti belle e delle archeologiche discipline fondò 1' accademia er- colanese. Le rovine quindi della romana grandezza, che qua e là cadevano sotto i suoi occhi, gli risve- gliavano gloriosa emulazione. Ai pubblici stabilimenti superiormente accennali, sen videro sorgere altri uti- lissimi e maravigliosi. Il molo di Napoli , le acque ivi portate per un acquedotto di 2y miglia, i due ponti, l'uno sul F'olturno presso Venafro , 1' altro assai maestoso nella valle di Macldaloni, le molte strade aperte nelle province e nella capitale, fra le quali la Mergellina e la Marinella divenute deli- zioso passeggio, mentre in avanti eran sorgenti di mor- bi per sinuosità palustri, mostrano la gran mente di Carlo III. Ne da meno scorgesi la reale magnificen- za in altri sontuosi edifizi. Il teatro di s. Carlo, i palazzi di Portici e di Capodimoìite, l'incantata reg- gia di Caserta, destano estatica ammirazione. Utili istituzioni novelle era il re per fondare , ed i por- tenti della capitale mirava a far sorgere anche nelle province, quando per la morte di Ferdinando VI sen- za successione fu chiamato al trono delle Spagne (lySg). Quanta sia stala ivi la gloria per esso acqui- stata, appena fu al caso di approfondire il genio ed 284 Letteratura i veri bisogni della nazione, basta solo accennare che immensi paesi deserti furono popolati di nuovi co- loni e ridotti a coltura. Un canale di comunicazio- ne nei centro delle Spagne fra l'Oceano ed il Me- diterraneo ravvivò l'illanguidito commercio spagnuo- lo. Il suo navilio, che era abbattuto, risorse in fine con istrepitosa gloria; di modo che fu rispettato dal- l'istessa regina de'mari , l'Inghilterra. Se con mal au- gurata sorte riuscì l'impresa di Algeri per invida di- scordia de' capi, acquistossi per altro l'isola di Mi-" norìca, e la Florida orientale. Fondò Carlo uni- versità, accademie, protesse quindi le lettere e le ar- ti. L' infante D. Gabrielle per cura del padre fu si avanti nelle lettere, che tradusse in ispanica lingua il sommo isterico Sallustio. A solo ricordo della protezione spiegata per le belle arti vuoisi dire l'emo- lumento di scudi sei mila annui, oltre molti como- di, accordato al Mengs. Di Napoli non solo non portò via nulla , de- positò anzi nella sua partenza al borbonico museo un anello di nessun valore portato sempre al suo dito, che col travaglio delle proprie mani aveva rin- venuto a Pompei : e fii ancora sempre memore de* suoi abitanti. Oltre copiose largizioni al popolo man- date di Spagna con medaglie appositamente coniate in occasione della prima prole di Ferdinando suo fi- gliuolo (i), proseguì ad inviare generosi doni al me- (i) Le medaglie nel diritto avevano scolpilo il busto di Car- lo III, e nel rovescio leggevansi le parole; Ob primam regiain prolent , gratulai io , missilia populo neapolit. 1772. Becattini id. pag. 171. Memorie istoriche di Accumou 285 dèsimo, perchè più sempre crescesse 1' attaccamento de'napolltani alla borbonica dinastìa. L'istoria severa rimprovera Carlo III di sover- chio amore per la cacciar ma la stessa storia ricorda che questo divertimento non lo distolse mai dalle cure del regno. Taluno ha scritto il troppo spen- dere nelle fabbriche da esso erette. Ma se sono co- tanto lodati i secoli di Augusto e di Leone X, noi siamo altamente sorpresi, come possa affacciarsi cri- tica alle opere stupende di Carlo IH. Le quali per ogni titolo non solo eran degne del paese , in cui stavansi del tutto neglette per le note calamità, ma elevavansi ancora co'tesori incessantemente rimessi- gli dagli augusti suoi genitori. {Sarà continuato). A, Cappbllo. ■=»*^8SO^SaieB-w a86 Antologia greca del padre Luigi Bado gesuita. A MKCESCO SPEZI GIUSEPPE SUO FRATELLO Mando a voi questa mia prosa; perchè in essa, ragionandosi d'una greca antologia^ e del dovere o no affissarsi nelle antiche le nostre lettere, tro- verete certe quistioni, che voi studiosissimo sole- te muovermi, conversando meco di umani studi. Io ho procurato di aprirle, secondo il modo mi- gliore eh* era da me. Laonde spero di aver qui sciolto la vostra mente di alcuni dubbi , da cui prima si legava intorno a qualche opinione lette- raria. Nondimeno se questo non mi sarà succe- duto, pregherò voi di avere tale discorso, sicco- me segno di quello amore, onde strettamente mi vi congiunge il comun sangue nostro, e la molta nostra somiglianza di vita, di pensieri e' di for- tune. State sano. Di Roma a' 12 di marzo i843. Antologia greca 287 D una greca antologìa di prose e versi, che sull* uscire del corso anno fu pubblicata in Torino , da me qui favellandosi, temo che molti opineranno di aver'io seguito il costume di que'giornali , che non letto de'nuovi libri altro che i titoli e gli scrittori, usan di commandarne lo stile e la dottrina. La qua- le opinione impedirebbe a quest' antologia d' essere avuta in onore dagli studiosi. E perciò innanzi di ra- gionarne, mi conviene sgombrare d'un tal giudicio i lettori, che ne fossero occupati : affinchè eglino, vuoti di lui , prendano alcuna utilità da questo ragiona- mento. Poicchè toccate le intenzioni , che il padre Luigi Bado gesuita rivolse in comporre l'antologia , discorrerò gli autori che ivi s'incontrano; e se di stu- dio e imitazione sien'oggi degni quegli antichissimi: onde far saggio chi intende alle umane lettere di at- tenersi solamente a quelli scrittori, su cui potrà edi- ficare a sé e alla patria sua tale una gloria, che le ignoranze e stoltezze de' tempi non sanno abbattere. E intorno alle intenzioni del Bado paleserò, eh' egli ha mirato a porre in mano di chi usi alle scuole gesuitiche 1' antologia. E pertanto balla ordinata in modo, che le difficoltà della lingua e dello stile a ma- no a mano vi si succedano : affinchè i giovani , sa- lendo dell'una all'altra scuola, si rendano sempre più esperti anche del greco; e ben si addentrino massi- mamente ne'suoi dialetti ionico, dorico ed attico de' più celebrati poeti, oratori, stoinci e filosofi. Il per- chè essa antologia manda un odore soavissimo di ele- ganza greca : essendovi raccolto tutto il fiore di que- sta letteratura. Fu pure intendimento del gesuita, quel aSB Letteratura di nettare d'ogni morale immondizia la sua raccolta ; perchè gli studiosi, collo apprendere una lingua, non perdessero i costumi loro. Finalmente i due suoi li- bri, quantvuique assai bastevoli ad occupare in molti e cuntinuali studi nel greco i giovanetti, son tutta- via in sì basso costo , che vi può arrivare comoda- mente la più ristretta facoltà d'uno studiante. Per le quali mire di questo padre, amiamo che gli ritornino nuovi ringraziamenti e nuove lodi dalla studiosa gio- ventù. E qui benché il discorso mi condurrebbe dirit- tamente a dire dell' educamento presente de'nostri gio- vani nelle antiche lingue, e quale utile possano ripor- tarne; pure mi son proposto di non muoverne parola: rimettendo però , chi ne mostrasse desiderio in suo prò, a quello che il più savio ed eloquente scritto- re de' nostri di giù scrivea nella italiana biblioteca, quando vi parlava de'frammenti plautini e terenziani pubblicati in Milano dal dottissimo cardinal Mai. Ma quanto a'greci scrittori di quest' antologia, dicendo che ne' due libri del Bado giacciono i versi di Omero, Esiodo, Sofocle, Euripide, Pindaro, Teo- crito, Mosco, Bione , Aristofane , Callimaco e Ana- creonte; non che le prose d'Isocrate, Demostene, Li- sia, Iseo, Erodoto, Tucidide, Senefonte , Platone e Luciano, dovrei tacere subitamente : perchè ntun lu- me polrebbono recare le mie parole a quei cliiaris- simi nomi, che risplendono anche a coloro di ogni lettera oscuri. Quantunque io dubiti, che eglino sien noti non altrimenti che le piramidi egizie, o le are- ne d'oro del Gange, di cui favellano tutti, e non le vide ninno. Il qual mio dubbio si fa maggiore, con- siderando che le scritture presenti sono lontane di -avere in sé qualche immagine delle antiche, e por- Antologia greca 289 tano anzi molti segni di sviamento da quel bello di arte, a cui conducono i greci. Ma qui forse alcuno si leverà contro a me per sostenere, che prose e poe- sie di antico tempo, non essendo imitabili a questa età, non debbono le nostre lettere somigliare alle gre- che; ne raccogliere niun utile da cosi fatta antologìa. Perciocché come addiviene, ei parlerà, che per ap- parare le scienze andiamo ai nostri filosofi, che or le professano ; e per apprender le lettere ci dobbiamo accostare ad antichissimi uomini, che le trattarono ? Forse che gli umani studi non crescono e fanno mi- gliori frutti, quando noi raettiam più d'arte e giu- dicio a coltivarli ? Laonde se gittati via dalle mani i libri del Galluppi, del Nobili e del Tommasini, e tolti in vece quei di Aristotile, Empedocle e Galeno non udiremo vagire, anziché ragionare la filosofia; e se rifiutati i moderni poeti e prosatori, e accolti In luogo gli antichi, non troveremo le lettere pargoleg- giare ? Queste ragioni non son le stesse : che quanto nelle scienze gli ultimi, che lor pongono mano, su- perano i primi, tanto nelle lettere quelli sono avan- zati da questi. Poiché le scienze, a chi le guardi non già partite e sciolte in diverse vie, ma ristrette e le- gate insieme come in un capo di quelle, appariranno essere somma delle osservazioni e de'giudicii degli uo- mini filosofi. Sicché elle saran più intere, quanto me- glio si aggiugnerà ad essa somma. Il che é virtù pro- pria de'tempi : i quali portando a'nuovi filosofi i ri- trovati degli antichi, non solo mettono innanzi loro una guida a entrare e correre ne'segreti della sapien- za, ma eziandio porgono un modo a crescere i te- sori di lei. E pertanto io somiglio questo umano sa- G.A.T.XCIV. 19 2qo Letteratura pere a grande nave, che faccia i suoi viaggi col tor le merci dai porti, a cui si appressi; sicché de'primi ella terrà poca mercatanzia, de' secondi e terzi una maggiore, e andrà carica ognora più come agli ulti- mi sia pervenuta. Così le scienze, a cui i nuovi se- coli appongono nuove ricchezze, giungono all'età ap- presso più facoltose. Ed ecco le cagioni perchè i tem- pi di Pittagora e di Plinio ehher minori notizie di quei di Bacone e di Galileo; questi hanno meno saputo, che quei del Rosmini e del Puccinotti; e questi si mostre- ran meno scienziati incontro a quelli, che dietro li seguiranno. Perocché se certo è, che quanto più por- remo mente a noi e a ciò che ne circonda, tanto più passi daremo nella sapienza; è ancor vero, che l'ono- re e il patrimonio di lei non muove solo da uno, o a lui si debbe interamente ; ma è comune gloria e crescente eredità, che gli uomini si trasmettono , e lascian più copiosa ai futuri loro. Adunque nelle scien- ze gli ultimi, che ad esse intendano , si troveranno più ricchi e superiori ai primi : ma nelle lettere la cosa è di altro modo. Imperocché noi non seguitiamo il comune pa- rere di chi tiene esser delle lettere, come delle arti, fine principale il diletto. Ma ingenuamente confessia- mo, che da quel sapientissimo uomo di Luigi Maria Bezzi ( cui qui vogliara nominare per gratitudine e per onore ) , il quale suol erudire non nelle forme estrinseche del bello, ma nella filosofia di lui, i suoi discepoli; abbiamo imparato, che tutti gli umani stu- di, perchè sien degni dell'uomo, debbano mirare aU l'educazione del cuore e dell'intelletto nostro. E per* ciò qui sosteniamo, che benché le lettere, quanto al fine a cui procedono, mai non si scostino dalle scien-* Antologia greca agi ze, pur quanto al modo, con che vi si portano, si dilungan da esse. Conciossiachè il fine loro è 1' i- struzione degli uomini, il modo acconcio è il dilet- to : e perciò rispetto al primo sono scienza anch'el- le, rispetto al secondo si fanno arte, e sciolgonsi in tutto dalla filosofia. Perchè dove questa si volge solo all' intelletto per insegnarlo , le lettere si dirigono alla volontà per piegarla ad abbracciare i veri, che le propongono. E siccome la nostra volontà s'inchi- na sempre là dove il piacere la invili; perciò le let- tere si accompagnan con esso a prendere, e menar lei alla scuola delle utili verità. Ora cotal diletto na- sce da immaginate bellezze della natura, che spiegate a'nostri sensi, gli empiono di grate immagini. Impe- rocché esse bellezze, composte ad arte in somigliare il vero , ci partoriscono il piacere , che sentiam di tale artificio; vivamente noi dilettandoci in queste in- venzioni, e nella nostra facoltà di fabbricarle. Per lo che questo piacere, che è dal bello ideale, è il vero ed efficace piacere , che ne producan le lettere , di molto superiore a quello, che germogli dal bello na- turale, dove ne ha luogo l'invenzione, né il nostro sentimento di averlo saputo immaginare. Questo di- letto adunque, che si deriva dalla sensitività e fan- tasia nostra, proprio a tutti gli uomini di tutt'i tem- pi, perchè fondato nella natura, è quasi amo, cui le lettere glttano a pigliarsi i nostri animi e ammae- strarli. Perchè poi un tal piacere è tutto riposto nel- le somiglianze del vero, o sia nelle imitazioni della natura, di necessità quegli nelle lettere sorgerà esem- pio ad altrui, che l'avrà meglio rappresentata. Ma per bene imitare la natura fa d'uopo recar- si a lei; e osservatala nelle sue opere, esporla tale, aga Letteratura qual fu veduta operare. Che siccome ognuno loda ì fiamminghi e il lorenese di avere condotto lei nelle tele, come la trovavan giacersi ne'paesaggi, cosi bia- sima coloro, che nel ritrarla mettono gli occhi nelle pitture di questi, anzi che ne'belli e variati campi, ov'ella si dimora. Or quello fecero gli scrittori anti- chi, e i greci massimamente, nel presentar la natu- ra. Eglino trovandosi in quella prima gioventù del mondo, e in poche notizie intorno agli obietti fisici, come ogni esterna sensazione li commovea , così in ogni atto della lor mente teneano solo della natura: ma l'esperienza e l'arte poiché andava a mano a ma- no lisciando le loro natie ruvidezze, pure sformava il lor discorso di quelle prime sembianze naturali. Siccome è a veder l'uomo nella età sua nuova del mondo; nella quale ad ogni fatto, in cui s'avvenga, sentendo più gagliarda la fantasia, lo espone con più veraci e significanti modi; ma dopo che egli ha mol- te volte assaggiate quelle conoscenze, cadutagli la forte intenzione d'immaginarle, e sorta in lui l'osservazio- ne e il giudicio, ne discorre con minore vivezza: ia questa guisa gli scrittori antichi , esercitate gagliar-. demente le loro fantasie, dovelter significare con più verità le naturali cose. Come non fecero, ne potea- no fare i loro imitatori; i quali più puliti e scaltri dall'arte, sentirono meno le forze della immaginati- va, e con verità minore espressero la natura. E in vero i latini scrittori la dipinsero di men vivi e par- lanti tratti, che i greci ; e i primi italiani in ciò ven- nero ai greci più da vicino. Laonde i principli delle nostre lettere portano grande immagine di quei delle greche. Imperocché morte le lettere, e tutto il sapere con esse da molti secoli innanzi, i trecentisti , che II Antologia greca 2q3 primi a vita le tornarono, furon nel medesimo sta- to, che i greci antichi, quanto al dover espor la na- tura ingenuamente. E di qui procede quella tanta vi- vezza, e poesia, e verità, e natura delle antiche ope- re, da sorpassare i tempi seguenti ch'ebbero lettere. Ma forse altri moverà contro a me un'opposi- zione per confermare non essere imitabili gli antichi greci; e dirà queste parole. Dalle ragioni, che ora tu hai recate in mezzo, dovrà seguire, che noi imitando gli antichi autori, diverrem copie loro, della natura non mai. E come bene lia ciò mostrato 1' esempio , che hai tolto dalla storia delle lettere ; il mostrerà pure un altro, che or io piglio da quella delle arti: e sarà questo. Quando le belle arti tornarono in lu- ce, la scultura che si abbattè in molte ed eccellenti opere antiche, tolse a imitarle; e certamente s'innal- zò a molto grido in essa imitazione ; ma la pittura non trovata innanzi agli occhi niuna grand'opera di quel tempo, creò da se i dipinti , e salì a più alta rinomanza che la scultura. Poiché questa, fissando lo sguardo nelle copie, ridusse, come in certi confini, l'ingegno dello scultore; quella per contrario, non ri- stretta a niun termine d'imitazione, camminò più cer- ta e libera a maggior fama. E però la scultura non addita un Sanzio, uno Allegri e un Tiziano, come de'suoi fa la pittura. Adunque l' imitazione sia pur de' grandi, facendo servo lo ingegno e copia dell'arte, non della natura ; gli antichi artisti sì nelle arti, sì nelle lettere, non dovrebbono porsi mai davanti agli occhi degli studiosi loro. Allorché noi abbiam detto, che i greci debbano esser maestri di scrivere, non si vuol credere , che rendano schiavi gl'ingegni de'lor discepoli. E qui sta 204 Letteratura l'errore de'presenti oppositori al classicismo; i quali pensano, che la imitazione de'grandi autori, sia ia servire a'pensieri di questi. Noi ben diciamo, che la imitazione de' greci consiste in andare a pingere la natura nella medesima via, ch'eglino; e di esprimer- la secondo la propria, e non l'altrui facoltà di sen- tire e immaginare. E in ciò non dimora ninna ser- vitù, ma intera libertà ; e per questo la imitazione de' greci suona imitar la natura, come adoperavano i greci. I quali se la palesaron di più veraci maniere de'latini, che più che la natura manifestarono l'arte, non perciò le lettere mancarono ai latini, o posson mancare a quelli, che posti i piedi su le orme dei greci, non valgono a trapassarli. Che noi qui non conlrastiam solamente di chi s'abbia maggior valore e fama di queste arti di scrivere , affin di porgerlo com'esemplare, ma discorriamo ancora della essenza delle lettere. Perchè il primo dipende dallo stato par- ticolare d'un popolo, quanto alla maggiore o minore sua condizione d'esprimere la natura; il secondo poi dal tener fermi i principii delle lettere; posti i qua- li, colui dee riportarne maggior nome, che abbia me- glio accomodato loro le sue fantasie. E siccome quel- li son tutti stabiliti sulle somiglianze della natura, colui avrà voce di scrittore eccellente, che meglio lei somiglierà, o si metterà in quella via, che meni ad esse somiglianze o imitazioni. E però se la pittura ha vinto la scultura ne'tempi, in che rivissero; non per questo e Michelangelo e il Canova non furono som- mi scultori , come Virgilio e Tasso poeti singolari. Poiché questi furono grandi in essa imitazione, e in tener forti i principii dell'arte loro. Sicché noi con- chiudiauao, che i modelli delle lettere dovranno es- Antologia greca sgS sere sempre nelle mani degli studiosi ; i quali con più certezza otterran fama di scrittori valenti, quan- to meglio si studieranno in quelli. Perocché quanto più i tempi pel grande loro incivilimento sieno più lungi dal presentar la natura, tanto maggior bisogno ci è, se vogliamo che non si mutin le lettere dallo esser loro , di stare continuamente presso a quegli scrittori, i quali con maggior verità poterono lei ma- nifestare. Noi dunque raccogliamo da ciò, che poi- ché la sustanza delle lettere è nello imitar la natu- ra, gli scrittori antichissimi hanno passato i moderni nell'averla saputa meglio somigliare; e che perciò quel- li debbono essere imitati da chi brami vera e dura- bile gloria da esse lettere. Ma inoltre i greci non son da seguire da chi si volti alle lettere, quanto alla imitazion solamente della natura, ossia al bello di arte; ma eziandio quan- to al fine e officio di scrittori. Poiché le lettere in Grecia non furono ozioso trattenimento d'uomini sfac- cendati, ma sedetter maestre, e operose maestre, di ci- TÌltà al popolo greco. E però con saviezza grande parlò nel suo convito Plutarco, che le muse si sde- gnerebbono contro a colui, che le dicesse d'aver com- poste le tibie, e non informati gli uomini ne'bei co- stumi coli' armonia di quelle. In fatto ecco Omero portare innanzi la Iliade e Odissea, da cui tutta Gre- cia toglieva a educarsi : l'una mostrare i danni, che slan sul capo a città e a popoli discordanti ; l'altra insegnare, come i savi possano vincere ogni intoppo, che si attraversi loro in giungere a qualche nobile fine. Ecco i tragici, ecco i comici; quelli recar nelle scene i fatti palrii, per inanimare il popolo a seguir- ne gli esempi, o farlo accorto degli immutabili desti- ^9^ Letteratura ni della umana vita ; questi poi i vizi de' cittadini, per meglio comporli a civiltà. Ecco i lirici cantare in lode de'numi e degli eroi , per mantenere la patria nella virtù e religione. Ecco gli storici, metter sotto gli occhi delle greche repubbliche le cagioni, ond'elle vennero e forti e savie, e onde inferme e senza men- te. Cosi abitaron le lettere in mezzo ai greci; così do- vrebbono essere fra coloro, che vogliano professarle degnamente, e con pubblica utilità. Per la qual cosa i greci sì nel bello artistico, sì nell'officio di scrit- tori, sono e saran sempre modello a tutti gli uomini di ogni età, che amino di esercitare le lettere. Il per- chè ho fermissimo, essere segno certo di cadimento di questi umani studi lo accogliere quelle mutazioni, non già intorno a lievi particolari, voluti dai diversi tempi, ma intorno alla sustanza loro : e che quei se- coli, i quali abbianli sviati dai veri principii, daranno esempio ai venturi, non mica d'ottime prose e poesie, ma di solenni deliramenti. E qui vorrei, se la mia voce tenesse alcuna autorità, che andasse ella per molte parti d'Italia a gridar questo vero a'miei cittan dini; perchè eglino, che dai padri loro hanno redato una gloria invidiabile pur nelle lettere, non lascino invece un obbrobrio sommo a' più filosofi nipoti. I quali leggendo ( se pure arriveranno loro e il tempo ci sarà tanto nimico da conservarne questa infamia di lettere ) le opere presenti, non solamente gitteranno in fondo coloro, che or l'infinito e ignorante volgo pone in cima degli scrittori, ma li metteranno in riga cogli Achillinl, co'Pi^eti e co' Marini; corruttori famo- si delle nostre lettere, perchè ancor'essi di stupende pazzie furono già inventori. Adunque finito questo discorso col ricordare, ♦ Antologia greca 297 a'giovani italiani dì fuggire ogni imitazione eli lettere, se non sia quella de'greci e de'più insignì scrittori, che loro andarono dietro. La quale ricordanza voglio che si leghi nelle lor menti coli' osservare ; che le lettere sono sempre immagine della indole e civiltà de'popoli , che le coltivano. Per la qual cosa allor- ché un popolo ricco di bellissime fantasie, e pieno di dottrina e gentilezze, lascia di esprimere se me- desimo per imitare sol chi è da meno di lui in que- ste doti, si rende stolto, e perdesi l'opera dello suo ingegno. ISe videro, o italiani, il primo esempio già i nostri avi; e il ciel non voglia, che vediamo oggi noi rinovellato il secondo: e con grave dolore e vi- tuperio ci confermiamo , che i rei mulamenli delle lettere non ci son mai nati in casa; ma che di fuo- ri solamente mossi, noi gli abbracciammo ! Giuseppe Spezi. 298 Dissertazione sopra un codice membranaceo del secolo XV relativo alVarte tipografica e pit- torica^ esistente nella casanatense: del P. M. Giacinto De Ferrari de^ predicatori prefetto della biblioteca casanatense. JLi interesse attivissimo, che prende questa illustre accademia , onorandi colleglli, per ogni genere del- Turaano sapere, m'invita a trattenervi sopra un og- getto positivo ed artistico. INè fìa chi schifiltoso si di- mostri in accogliere nel palladio delle muse di si- mili prodotti estetici siccome aridi e vieti monu- menti: poiché sono sempre circondati da importanti rapporti, che alle lettere e alle scienze intimamente si aggruppano in guisa, che queste senza l'appoggio di quelli cadono spesso in un vasto e immaginario idealismo. Io porto sentenza, che lo studio della sto- ria monumentale sia fondamento al vero sapere , e che ì voli della immaginazione temperati dall' este- tica siano cause del progresso filosofico e letterario: laddove un opposto effetto ritrovisi nei troppo au- daci pensamenti dell'ecletismo. Per tal motivo preci- pitarono tanti prestantissimi ingegni ; come il Ma- raiani, cui piacque di troppo la illusoria indipenden- za dell'intelletto umano stabilita da Pietro Pompa- nacci; il Bruno, che dicea di andare a caccia della ve- rità; così Ruggeri, Vanini, Campanella ed altri, che pur avean sortito di natura non ordinarie doti. Il perchè il gran Bacone si avvisava di ridurre lo scibi- Antico codice membranaceo oqn le alla storia , alla poesia , alla filosofia per ordine alle tre potenze dell'anima memoria, immaginazione, e intendimento. E se in tal guisa il metodo empiri- co si maritasse col razionale, si comporrebbero a pace al fine le umane intelligenze, le quali, al dire del Galilei , quasi organo scordato danno da lunga età suoni acerbi ed ingrati; onde la favilla del genio, se- condo Vico, è riposta nell'equa combinazione de'prin- cipii, elle ci aprono ampia e sicura via a percorrere le relazioni, che hanno le verità intellettuali e rea- li. Per tali ragioni ad argomento di questo mio ac- cademico discorso tolgo a disamina un codice mem- branaceo di un secolo non tanto rimoto dal nostro; la cui posizione cronologica fissa un punto lumino- sissimo nella storia , quando cioè la moribonda ca- ligrafia traeva al suo occaso , e l'aurora della tipo- grafia sorgeva , a recare un giorno più splendido , e durevole alle lettere. Principalmente la pittura rin- viene in esso un'epoca ed un trionfo, che tuttavia ignora, essendo sfuggito alle ricerche degli stessi scrit- tori nazionali di Francia, a cui appartenne si ricco e raro monumento. Mi limiterò a discorrerne i più importanti pregi: che il tutto dirne non sarebbe nò dei tempo, né del mio ingegno; spero perciò, che porgerò alla benevola vostra attenzione ordine e ma- teria conveniente al vostro profondo e imparziale cri- terio. La paleografia, che veglia e suda nello svolgere le antiche pergamene, che contengono il deposito ori- ginale del sapere, rimira in questo volume i carat- teri più eleganti, e gli ornamenti più pregevoli, che formano la ricchezza delle membrane vetuste. Scrit- to a doppia colonna, con margini proporzionali nel 3oo Letteratura sesto eli un libro in ottavo, contiene in cenqnaran- tolto fogli tutti i vangeli del tempo, e de'santi del- l'anno liturgico; e quantunque, prima che lo acqui- stasse la casanatense, caduto in barbare mani ne sia ritornato mal concio e mutilo, nulladimeno conser- va la natia nitidezza e integrità, se ne accettui al- cuni fogli mancanti. La forma dei caratteri non è èwsiva , ma rotonda, staccata, e pienamente simile alla più nitida stampatella , e quasi sembrerebbe a prima vista imitazione della stampa, che però è po- steriore e figlia. Le sigle , le abbreviature sono del secolo ; i dittonghi non vi han luogo ; il puntino sull'i (i) assai di raro incontrasi : il bi (b) mutasi frequente in vu (v), come octabis^ per óctavis\ mi- chi e nichil hanno un e avanti l'h; il ci (e) invece del ti, come lercia^ ociosum^^ex ter tia^ olio sum ec. Tre soli punti ortografici, cioè (. » : » ?) il punto finale, i due punti medii, e l'interrogativo; ne que- sti stan sempre a'ior luoghi; vi sono alcune parole mancanti , alcuni errori in latinità ed altre inesat- tezze, di cui poco scrupolo si fanno gli amani>ensi. Non vi essendo altri rimarchevoli aggiunti pa- leografici, passiamo immediatamente alla età del co- dice, oggetto rilevantissimo dell'arte diplomatica. Que- sta non può ottenersi dalla figura de'caratteri , per- chè di genere stampatello rinvengonsi manoscritti in secoli anteriori e posteriori alla tipografia; ma ci rinfranca lo stemma gentilizio di Luigi XI dipinto in molte pagine, ove i fiordalisi e i ricurvi delfini sembrano indicare in quel sovrano il tempo , l' au- spice, e il possessore del codice. Ho diligentemente confrontato quest'arma con quella, che di Luigi un- decimo riporta il Monlfaucon nel suo tesoro di an- Antico codice membranaceo 3oi liehità della corona di Francia , ove parla del me- desimo sovrano (i), e ne riconobbi la identità. Ora sappiamo, che l'arte araldica è sicura guida al ritro- vamento degli autori, o signori degli antichi oggetti. Con tal mezzo si volle improntare il diritto di pro- prietà e pertinenza nelle cose medesime ; dal quale principio partono i canoni del blasone, come dimo- strano il Bartoli , il Curulli , Gregorio Tolosano , Marco di Wlson, ed altri. Cotale emblema splende particolarmente in una miniatura , che è delle più grandiose e belle , di cui parleremo in seguito. In essa, oltre che nella base del quadro stanno dipinti due angeli alati , che reggono l'arma suddetta , mi- rasi anche negli ornati del magnifico solecchio, sotto cui è portato processionalmente il santissimo Sacra- mento ; anzi 1' asta a destra e più nobile probabil- mente è sorretta da tale personaggio , che al reale paludamento e da altri aggiunti riconosceresti lo slesso Luigi XI: e ti viene in pensiero, aver lui re- galato alla chiesa di Reims si magnifico baldachino ornato delle sue impronte, e aver commesso al va- loroso pennello, che ornò tal codice, perpetuarne la memoria, con aggiungere il dono di questo evangelia- rio a quelli, che fece alla basilica remense, in cui fu incoronato e consacrato. Chiunque non ignora i costumi liturgici di quel secolo, conoscerà come adoperavansi gli evangeliari, gli epistolari, i collettari, gli antifonari, ne'quali per comodo delle ecclesiastiche funzioni scrivevansi i soli evangeli, le sole epistole, antifone, collette, e simi- li) Tom. 2 plaach. 177,0. 3. 3o2 Letteratura li: il che praticasi in parte anche oggigiorno. Il Bo- na, il Gavanto, Le Brun, il Cassito a lungo discor- rono di ciò; e nella casanatense si conservano mol- tissimi di simili codici di sacra liturgia , principian- do dal secolo undecimo fino al decimosesto, i qua- li vengono opportuni a confermare , come l'evange- liario, di cui favello, rappresenta il costume di quel- l'epoca, e addita il rito gallicano, che da poi fu no- tabilmente variato. Il Mabillon arreca diffusamente la liturgia francese (i) molto conforme alla orienta- le, che vi durò fino a'tempi di Pipino e Carlo Ma- gno (2). Le grandi relazioni che questi avea col sommo pontefice Stefano ITI, e quindi con Paolo I, gl'inspi- rarono di cangiar rito , e d' introdurre in tutta la Francia il canto romano. Il che ottenne nel 764 > come narra il Baronio (3) : allora co'pontificii can- tori inviò il papa Stefano 1' antifonale e il respon- sale; e Carlo Magno ebbe in dono anche il sacra- mentario di s. Gregorio, per cui leggonsi ne'libri ca- rolini composti nel 790 tali memorandi avvenimenti dello zelo di Carlo Magno che spiegò nell'inlrodurre nella sua dominazione l'ordine romano: e a tale effetto avea ordinato ne' capitolari di Francia: Unusquisque presi) jter missam ordine romano . . . celebre t. Si- mile ordine ha rinnovato in questi giorni il vescovo di Renne, come i-iferisce il celebratissimo foglio fran- cese VUnwers sotto il quattro gennaio i843, dicen- do: Leveque de Renues a defendu expresseiiient [i] De liturgia gallicana libri tres. Luletiae paris, t685. (2) Le Bruu, Explication de la messe, lom. 2 dissert. 4 pag* 228 et seg. ^3} Baroa. ad au. 754 n. 6 Epist. ad Pep. Antico codice membranaceo 2o3 dans V Orcio de i843, de changer le rit romain dans les paroisses oit il existe encore. La distri- buzione de'vangeli nel nostro codice combina mira- bilmente colia esposta liturgia gallico-romana, come era in vigore sotto Luigi XI, il quale perciò volle re- galar la chiesa di Reims con si ricco evangeliario. Ma in quale anno fu scritto e dipinto il codi- ce? Non poca difficoltà porge questo cronologico pro- blema, alla cui soluzione giova scorrere rapidamente la biografia di Luigi undecime. Egli nacque a Bourges nell'anno 1428. Collo sviluppo degli anni, dominato potentemente dall' ambizion di regnare, giunse a ri- bellarsi contro Carlo VII suo genitore: col quale ri- conciliatosi poi , si ritrovò all' assedio di Tarras in Guascogna nel \/^l^i. L'anno seguente passò nell'Al- sazia , e disfece diecimila svizzeri presso la città di Basse. Inviatosi quindi nella Guicnne e nel Delfina- to, si diede in preda a delitti che lo impegnarono a novella rivoluzione contro del padre, la cui ira te- mendo, nel 1456 riparò nel Brabante, da dove nel 146 1 per la morte del genitore recossi a Reims, e qui a' i5 di agosto del medesimo anno fu consacra- to dall' arcivescovo louvenes des Ursin (1). Questi cenni istorici rischiarano l'epoca del codice , che io non farei anteriore di molto, ne di molto posteriore alla solenne inaugurazione di lui: di che è non oscu- ro argomento la pittura già indicata di sopra, che è, a parer mio, una vera istoria. Ora questo punto cen- trale del secolo decimoquinto j-isveglia i primi prò» gressi della stampa, colla quale ha tante linee il no^ (i) V. Moreri, Diction. toni. 7 pag. 425. 3o4 Letteratura stro codice, che conviene dirne alcun che, per indi- carle almeno lievemente. Il più probabile racconto, che abbiamo sull'ori- gine della tipografia, ci venne trasmesso da France- sco Irenico erudito scrittore del secolo XV (i), che il primo si occupò di questo portentoso ritrovato , intorno a cui si mossero innumerevoli opinioni, che forse servirono piij ad oscurare, che a chiarire la sto- ria. I primi tentativi di quest' arte si fecero in Ar- gentina o Strasburgo da Giovanni Gutenberg circa il 1440 : quindi si progredì da Gio. Mentel in Ar- gentina, e in Magonza dal Guttenberg in società eoa Gio. Fust; e coll'aiuto di Pietro Schoeffer dal i45o fino al 14^7 • "sl qual tempo rotta la società mo- guntina dai ministri del Guttemberg , si divulgò la stampa fino allora tenuta in segreto, e fu portata in altre città (2). xill'apparlre dell'arte tipografica si atu- tirono i caligrafi, e si commosse il regno delle let- tere alla virtù di questo mostro, di cui come di Egeo- ne si cantò: Centum cui brachia dicunt, centenas- que manus. Imprimit Ma die quantum vix seri-' hitur anno. Ma per quello spetta alla Francia, la ti- pografia vi fu introdotta per opera del re Luigi XI, quando i tre tedeschi Martino, Michele e Ulrico (3) nell'anno 1/1.70 recatisi in riva alla Senna stamparo- no il primo libro, che ha per titolo : Speculum vi- fi) V. Germaniae exegeseos Hagenae i5i8. (2) V. Gamba, Blbliot. portai, toni. 2, pag. XXXIII. Vene- zia 1793. (3) Supplement aux memoir. de Philippe de Comiaes, pag. i3g. Bruxelles 17 13. Antico codice membranaceo 3oS tae humanae Roderici zamorensis episcopi (i) ; dedicandolo al re stesso , al cui regno non so con quali fonJamenli i nazionali apposero l'ingiurioso no- me di barbaro, di oscuro, d'ignorante. Certamente per riguardo alle azioni personali di quel monarca, come scrive in questi nostri tempi Henrion, sono un di- sonorato tessuto di delitti e di poche virtù; ne sia- mo già per farne inopportuna apologia; ma per rispet- to alla tipografia, alla pittura, che seco chiamano mol- te arti e scienze, non può negarglisi gran vanto. II che dimostrasi col nostro codice , che sparge ampia luce su tal punto di storia; e il genio italico, nato al regno universale della letteratura, non si limita ai lidi tirreni o adriatici, ma gode anche di portar al- trove lume ed aiuto per lo scliiarimento del vero , di cui unicamente prende interesse. Né il mondo an- tico sentì mai gravoso di vedersi romano, e di ap- plaudire al lampo delle vittoriose spade latine , che seguendo i voli dell'aquila, preparar doveano alla re- ligione i popoli a concentrarsi in una sola famiglia; fine che conseguì la religione , la quale in Roma , come da centro, stende all'immensa circonferenza del- l'orbe i puri raggi di celeste ed umano sapere. Or qui a pericoloso certame mi avanzo, nel pas- sare alla illustrazione del codice riguardo all'arte pit- torica, giacché della tipografica basta il già detto. Im- perciocché mi si domanderà : A quale scuola e arti- sta appartengono le centodieci miniature , di cui è (i) Questo libro fu ristampato in Roma nel i473, in Argen- tina nel i5o7, e in Parigi nel i5io. Tutte queste edizioni esi- stono nella casanuteuse. G.A.T.XC1V. 20 3o6 Letteratura arricchito questo insigne volume ? Dopo le faticose ricerche, che ho fatto su gl'italiani e francesi scrit- tori, assai languide notizie potei raccogliere. Infatti sappiamo, che il risorgimento della pittura è poste- riore al nostro codice, i cui dipinti, come diremo , sentono il miglior gusto, e mostrano maraviglìosa per- fezione di arte, la quale fino al Ghirlandaio, maestro del terribile Michelangelo, cominciava a scuotere il giogo delle gotiche forme sul fine del XV secolo ; verso il quale periodo Pietro Perugino preparava nel suo allunno Raffaele, come aurora il sole della scuo- la romana. In allora fiorivano in Lombardia e in Ve- nezia i Giorgioni , i Tiziani , i Bellini , i Carpac* ci , i Mantegna , i Palma , i Marconi ed altri. In Alemagna la pittura rinasceva sotto di Alberto Du- rer, nella Svizzera sotto Holbens , in Olanda sotto Luca di Leyde. Il Moreri, nel vasto suo dizionario raccolto dagli autori più accreditali rispetto alla scuo- la francese, confessa non essersi conservato il nome de'pittori più valenti: e ignorarsi anco quelli, che di- pingevano prima che Francesco I facesse venire dal- l'Italia il maestro Rosso nel i53o: dopo il quale nu- mera Corneil, Cousin, Breiell, Varin, Vouet, Blan- chard , Poussin ed altri. Nulla pertanto ritrovando ne'libri stampati, mi rivolsi ai manoscritti, e giunsi a rintracciare una nota scritta da illustre viaggiatore moderno, che cosi dice ; « Ho ritrovato in una tra- )) dizione francese della storia degli ebrei di lose- )) phus, che sta nella biblioteca reale a Parigi, il no- )) me di un pittore chiamato lean Fouquet natif de }) Tours, bon peintre du roi Louis XI » (i), (ij Vedi nella pagina avaali il codice stesso segnato oei ma- posciiui, e- IV. |. Antico codice membranaceo 3oj Questa importante notizia ci somministra plau- sibile congettura intorno al pittore anonimo del co- dice: e facendo ulteriori indagini , potrà un giorno agli scrittori francesi porgere ignorato argomento di patria gloria. A noi per ora basta di aver indicato almeno la via: perchè la materia del nostro ragiona- mento si è più l'opera, che l'autore, del quale non possiamo con tutta certezza ancora narrar cosa alcu- na. Ma qualunque ne sia il nome, è certissimo eh' ei fosse un de'più valorosi pittori del suo secolo. E bramerei di avere il profondo criterio del Zannetti, che pose severamente a cribro i parti più classici del- la veneta scuola, per rinfrancare il mio vacillante giu- dizio intorno a tali pitture, che, per interessare gl'in- telligenti artisti, non vò passar sotto silenzio, quan- tunque ignaro dell'arte. Questi dipinti rappresentano i fatti evangelici , o i santi, secondo il vangelo del giorno corrente. Ivi splende tale una maestrìa nella invenzione e nella esecuzione, che non saprei adequatamente parlarne. Immaginazione feconda nelle differenti scene, in cui alla varietà va congiunta la difficile intelligenza del- l'unità, nella quale consiste il bello, giusta l'opinio- ne di Hutcheson nelle sue ricerche metafisiche. Qui- vi solo in alcune miniature, in cui volle effigiar più fatti ricordati dal vangelo occorrente, scapita alquan- to il canone dell'unità, il quale richiede che ogni di- pinto sia un tacito poema, in cui unità di luogo, di tempo e di azione dee conservarsi più rigorosamente che nella stessa epopea, giacche il luogo nel quadro è immutabile, il tempo indivisibile e l'azione momen- tanea. Contro tal precetto dicono gl'illustratori della pinacoteca veneta, che peccassero talvolta i più chìai- 3o8 Letteratura ri maestri, come Raffaele nell'Eliodoro, Tiziano nel miracolo della donna del taumaturgo di Padova, Pao- lo neirorazione all'orto, Andrea del Sarto nel s. Fi- lippo, Alessandro del Barbiere nel Sebastiano, Boni- facio nel Cristo che discaccia i profanatori del lem- pio. Tolti adunque simili difetti ed altre imperfezio- ni, che miransi nel disegno di poche vignette, in cui forse lavorò qualche discepolo, generalmente vi trion« fa la maestria del pennello franco e sicuro, la giusta e ragionata movenza delle figure, il ricco e natura- le panneggio , 1' ebraico costume, la magnificenza, la dovizia di ornali, di suppellettili, di fabbriche, di vesti auree ondeggianti e di ricchi accessorii. Vedi il bel- l'ordine tanto ove rappresentasi la semplicità di uu mistero, quanto la frequenza di un popolo; ciò de- riva dall'equa distribuzione delle masse, che lasciano a tempo i ricercali riposi dell'occhio, e dalla saggia proporzione della luce e delle ombre , che sono in armonia colla effusione delle tinte, che giusta Tea- geo pittagorico danno vita e verità alle morte imma- gini. ]Sè per ombre intendo io quell'ahuso del chia- roscuro : perchè natura non soffre nella contrapposi- zione degli oggetti quelle nerissime tinte, che talo- ra s' incontrano nelle opere classiche. Ma vi rimiro tenerezza artificiosa e un sapor di calore, che tanto distinguonsi nei Vivarini, nei Bellini, ne'Carpacci. Sem- bra che il magico pennello pari ad un alito scorra fluido e padrone sulla superficia ad animare i volti, secondo i propri caratleiù esterni ed interni. Niente di più augusto e sublime del volto del Redentore , quando schiude i labri alla sovrumana eloquenza ; niente di più angelico e suave del sembiante di Ma- ria, sulle cui virginee guance splende un misto co- -^NTICO CODICE MEMBRANACEO 3oq lor dì rose e di ligustri , onde direbbe il cigno di Valcliiusa : )) Vera amica di Cristo e d'onestade, » Santa, saggia, leggiadra, onesta e bella. S. Pietro apparisce sempre caratteristico, sparso il ca- po di iemal brina; gli apostoli e i celesti si appale- sano in tali forme , che il Vasari direbbe , non al- tre convenire all'empireo stesso : e Dante canterebbet » Or veggo visi a carità suadi, » D'altrui lume fregiati e del suo riso, » Ed atti ornali di tutte onestadi. Arroge la feracità d'ingegno, che si spiega nel con- corde legamento de'campi colle figure nella dolce pi- ramidazione di esse, onde seppe evitare il pesante e il confuso, e far riposar l'occhio del risguardante, es- sendo la vista un senso delicatissimo, che plìi degli altri fatica e si stanca. Il pittore possedea per fermo la poetica dell'ar- te , per cui seppe accendersi a maschi concetti , ed esporli felicemente in modo che ognun li conosce e sente; nel che è riposto, al dir di Cicerone, il più elevato valore dell'oratore, quando giunga a imprime- re anche negli idioti i pensieri della mente. Duolmi soltanto, che a dirne tutte le lodi sarebbe necessario posalo studio, scritto lungo: quell' ingegno e quella splendidezza, che a me manca, e conven^ebbe che non fosse sfuggito alle valorose penne del copioso Vasari, del corretto Ridolfi, del diligente Zanetti, del meta- fisico Boschini, del Lomazzo, del Tassi,- del Lanzi, 3ió Letteratura un monumento si ricco e pregevole: allora assai pii» chiara rifulgerebbe la valenzia del gallico artista. Que- sti sì avrebbero potuto descriverne la novità e vaghez- za delle fantasie, lo splendore degli ornamenti, la in- telligenza dei piani e degli edifici; la regolarità degli ornali, la sagacità degli episodi, la familiarità de'mo- vimenti, la espressione degli affetti, l'incarnato delle carnagioni, la natura iste^sa trasportata sulla perga- mena. !Nel tempo medesimo non avrebbero dissimu- lato, per giustizia di critica, alcune inesattezze nel disegno, che in poche vignette apparisce, alcune ir- regolarità nelle azioni e nella condotta anatomica del nudo : difetti che ne' migliori secoli emendaron- si. I dotti e valorosi artisti, a' quali ho fatto con- siderare tal codice, restarono oltremodo maravigliati, e dietro il loro sentimento tracciai il mio discorso: in conclusione del quale raccoglierò le sparse idee so- pra una sola pittura, che rappresenta la solenne ce- rimonia della purificazione di Maria Vergine. Apresi la religiosa scena nel famoso tempio di Gerosolima, che ora, giusta la profezia di Aggeo, ri- ceve il migliore suo ornamento, perchè vi entra l'aspet- tato delle genti. Una modesta luce si spande soave- mente per l'ampio delubro, e fa rilevare la prospet- tiva degli archi e delle colonne; ondeggia sulle vesti aurate e su i sacri arredi con ingegnosa proprietà, e con giudizioso compartimento sulle figure. Seguendo la opinione popolare il giusto vecchio Simeone è ve- stito in sacerdotale costume; vedesi quindi tutto ri- verenza ed amore, conscio dell'alto personaggio, si prò- stra umilmente, stendendo le sue braccia, per rice- vere l'oggetto de'suoi caldi yotl, e pare che schiuda al profetico cantico le labbra; nell'alto che la graa Antico codice membranaceo 3ii Vergine Madre gli offre il divino Infante alleggiata a duplice emozione di gaudio e di dolore per 1' a- cerbo vaticinio, che già già ascolta, di quella spada che un dì l'anima le trafiggerà. Un gruppo di fan- ciulli levitici assiste con cerei a destra dell'altare om- brato da splendido baldachino: al qual gruppo dal- l'opposto lato fanno armonia quelli che si affollano nel tempio, cui precede Anna profetessa; intanto che s. Giuseppe, tenendo in viminea cesta le candide tor- torelle alla destra di Maria, fa contrapposto a Simeo- ne. Così queste quattro masse si collegano con mol- ta industria in un sol centro occupato da Maria col s. Bambino ; e vedi tutte le figure armoniosamente piramidale senza confusione alcuna partecipare del- l'azìon principale con semplice espressione, con ec- cellente disegno, con ammirabile verità, con sorpren- dente metafisica. Tali sono gli alti concetti , che inspira all'arte la vera religione, dalla quale perciò dipende il vero bello e il divino; e appunto all'ap- parir di sì celeste raggio « le scienze e le arti si » accesero , come la favilla del sacro fuoco, ricor- » data dalle pagine della rivelazione , che nascosta » in mezzo al loto della caldaica cisterna, attende- » va la man sacerdotale di Neemia per divampare » in fiamma vorace ». 3ia Seconda lezione sulla divina commedia. Lo rege^ per cui questo regno pausa In tanto amore ed in tanto diletto ^ Che nulla volontade e di pia ausa^ Le menti tutte nel suo lieto aspetto Creando a suo piacej' di grazia dota Diversamente ; e qui basti Veffetto. E ciò espresso e chiaro vi si nota Nella scrittura santa in que^gemelli^ Che nella madre ebber Vira commota. » Però, secondo il color de^ capelli, n Di cotal grazia Valtissimo lume » Degnamente convien che sHncappelli. Farad. Canto XXXII. ^^ueslo è pasto da messer Trifone citarista , di- rebbe il Tassoni : ch'^egli è sì oscuro questo luogo, che la sibilla cuinea vi gitterebbe gli occhiali nel pozzo, e non so se Navio padre degli auguri ne ca- verebbe il significato. Tanto è ciò vero, che gli espo- sitori o saltarono a pie pari il fossato, o non ne pe- netrarono fino al midollo. 10 non biasimando ciò che dissero i più rag- guardevoli, riferirò fedelmente le loro opinioni. 11 Landino interpretando questi versi dice, che « Dio re dell'universo^ per lo quale beato regno Divina commedia 3i3 pausa e posa in tanto dilettevole amore ^ che nessu- na volontà è ausa, è ardita di pia desiderare, do- ta creando nel suo lieto e divino aspetto tutte le menti diversamente di grazia : e questo afferma il maestro delle sentenze nel primo, ove dice : « Animae non sunt aequales ab origine, sed inae- quales quantum ad perfectiones gratuitas , quia cum hae perfectiones dependeant ex sola libe- ralitate divina , comunicat eas quibusdam , et quibusdam non comunicat, ut placet et quibus co- municat, equaliter vel inequaliter secundam suum beneplacitum: et per hunc modum anima Cliristi ab origine excelluit omnes animas in donis spiri- tualibus ; ab instanti enim suae creationis, perfe- cta fuit donis gratiae et gloriar, quod nemìni al- teri concessum est:n e qui basti l'effetto a senza ri- cercar la cagione , perchè nel dotarle usi tal diversità e non le doti egualmente tutte ad un modo : e questa diversità ci si mostra espressa- mente nella sacra scrittura in quei gemelli, cioè in Esaù e in Giacobbe figliuoli e?' Isac , nati ad un medesimo parto, perchè Esaù fu odiato e Gia- cobbe amato da Dio, onde rivelò al padre, dicen- do: « Duo fdii, duo populi sunt, maior minori ser- vici et cet. )) Intendendo per il maggiore di Esaà^ perchè fu il primo ad uscire del ventre materno^ nel quale ebber Vira commota, perchè immedia- te che furon conceputi , cominciarono a quistio- nare. » Giunto poi all'ultimo terzetto, cli'è il sog- getto della nostra dichiarazione, ecco ciò che ci di- ce : « Pej'ò secondo il color dei capelli. » Così come i capelli sono di diversi colori , onde veg- liamo Vuno averli bianchi, Valtro neri e V altro 3r4 Letteratura rossi et cet., così diversamente conviene che Val- tissimo lume di cotal grafia degnamente s^ inca- pelli, cioè sHncoroni, prendendone ciascuno tanta parte, quanta glien^è conceduta da Dio. » Il Venturi comentando quelle parole « ^ suo piacer di grazia dota diversamente » aggrava il poe- ta di colpa di eterodosso, e dice : « Qui Dante met- te in bocca di s. Bernardo una dottrina falsa e perversa, e però lontanissima dai retti sentimenti di tanto dottore.)) Né contento di ciò, sponendo che i due gemelli Giacobbe ed Esaù, per divin benepla- cito indipendente da ogni loro merito, furono l'uno, cioè Giacobbe, amato da Dio, l'altro Esaù , odiato , secondo sta scritto in Malachia ed in s. Paolo , lo rende sospetto all'inquisizione, dicendo: « Il poeta miseramente si è ingannato deducendo da questi sacri testi un sentimento mal conforme al dogma e misterio del peccato originale. » Bona verba , messer Venturi. Venendo poi al verso : Secondo il color dei capelli , ecco ciò che dice : « ji misura di cotal grazia, essendo metafora fatta acconciamente, e perchè ai capelli corrisponde Valtra metafora in- CAPPELLI', e perchè i capelli nella sacra cantica più volte significano i doni e le grazie dello Spi- rito Santo : dice dunque che Valtissimo lume con- viene che sHncappelli e incoroni , irradiando se- condo il color de^capelli, di tal grazia: cioè secon- do che tal grazia pia e meno adorna e abbelli- sce questa e quelV anima, vien loro da Dio comu- nicata maggiore o minor gloria : così se in cam- bio di dire s^incappelli, figuriamo che avesse det- to sHncastri, avrebbe potuto dire^ secondo il prez- Divina commedia 3i5 zo delVanello di cotal grazia^ conviene che il lu- me qual gioia s'incastri. » Devo fare però i miei ringraziamenti al Venturi, die mi rispaimia di cita- re il Lombardi; giacché la nota è tolta al Lombardi; ed egli non v'ha aggiunto del suo che l'imputazio- ne del peccato originale. Vediamo l'edizione di Roma. Ma buon per Dante, che l'editore romano non tanto sollecito di dichiarar l'Alighieri, quanto di sgra- varlo dalla eresia, lo salva dall'accusa ingiustamente appostagli dal Venturi, rispetto ai sentimenti contra- ri «/ dogma e misterio del peccato originale , e lo salva ( lo credereste ?) col citare una dissertazione del teologo Gian Lorenzo Berti. Ma non fu più felice di lui a spiegarne il concetto riguardo ai capelli. Ec- co su tal soggetto ciò ch'egli dice: « Allusivamente ^ credo ^ alV incappellarsi^ cioè inghirlandarsi^ ador- narsi le donne il capo con abbigliamenti di quel colore^ che il colore de^capelli risultar faccia: in- vece di dire^ conveniente e degna cosa è, c/ze, se^ condo la varietà della donata grazia, facciasele dalV altissimo divino lume corona^ superillustra- zione\ dice^ degnamente conviene, che Valtissimo lume s'' ine appelli, secondo il color de^capelli di cotal grazia. » F ecisti probe : multo sum incertior quam antea. Nulla di meglio ci presentò il Tomasseo: « Ca- pelli, Ott. « Secondo che Dio vuole largire la sua grazia, si fa diversità, così in lume, come in iscan- no .... / quali colori denotano le complessioni dell'uomo e per conseguente la inchinazione del suo animo. Accenna al color vario de* capelli di 3i6 Letteratura Esaù e di Giacobbe. L'uomo nasce con la disposi- zione a tale o tale altro color de^capelli: così^ dice Dante^ è la grazia, e secondo la grazia viene la gloria. Il costrutto è : Secondo il colore de''capelli il lume della grazia convien che degnamente s'in- cappellif si faccia cappello, ghirlanda agli spiriti.» Vaquatù, o babbuasso, che avea gli occhi fode- rati di panno, vedrebbe la stravaganza di tale opi- nione. Se crediamo al Borghi , ecco le sue parole ; « Pej^ò secondo etc. Intendi : Però conviene che il lume di Dio circondi e glorifichi diversamente quelle anime, secondo la diversità della grazia ch^ è in esse : in quella guisa che di diverse ghirlan- de, convenienti alla diversità de^ capelli, si soglio^ no incoronare le donne quaggiù nel mondo. » Displicet exemplum litem quod lite resolvit. Senliarno il Cesari : « Però etc. Importa un dire, che la corona della gloria dee corrispondere alla qualità della prima grazia che ha detto. In- cappellare vedemmo già essere inghirlandare, co~ ronare. Avendo dunque preso la metafora di que- sta ghirlanda, la compie pigliando il color dei ca- pelli, a che dee risponder la grillanda, che forse era l'uso d'allora, cioè, convenne che Dio con giu- sto ragguaglio coronasse i suoi doni. Ma forse Dante introdusse qui il diverso color de^capellij alludendo a' due gemelli di sopra, delV un de^ quali, Esaù, dice la scrittura, eh'' era eufus e tutto pe- loso. » Ma non sta qui il punto, disse Lippotopo. L'acuto signor Costa, dal quale tolsero gli al- Divina commedia 317 tri e il Tomasseo V osservazione della diversità dei capelli rossi e neri d'Esaù e di Giacobbe, senza pur nominarlo, si studiò di portar qualche luce maggiore a questo passo, e modestissimamente espone la sua opinione. E di fatti egli per il primo portò ( come io credo ) la distinzione dei capelli neri e rossi , ma nulla vi aggiunse di più: e ciò non baslava. E sia det- to con tutta la venerazione che io ho al sig. Costa, dalla maniera perplessa e dubbiosa, con cui egli par- la, nulla se ne può concludere: e il passo resta ugual- mente oscuro, e noi più perplessi ed incerti di pri- ma. Ecco le sue parole : « Questo luogo è oscuris- simOi e le cagioni delle oscurità sono queste. Il genitivo « di cotal grazia » può riferirsi ai capelli: de^capelli di cotal grazia. Così opinarono molti spositori. Può riferirsi ad altissimo lume: « altissi- mo lume di cotal grazia:» al verbo: « sHncappelli » s'incappelli di cotal grazia ». V altissimo lume poi o può significare Iddio, come molti comcntano, o la luce della grazia, o le luminose anime, o il para- diso. Qual maraviglia, che da tante perplessità di significati nascano interpretazioni sì diverse ? Io, per esser breve, esporrò dei molti solo quel senso che mi pare pia ragionevole. Il P. ha detto, che Iddio dota di grazia le menti, secondo il piacer suo, e che di ciò dee bastarci Veffetto, senza pre- sumere di scoprirne la cagione. Per accertarci che la cosa è così, ci basti, dice egli, Vesempio dei ge- melli d^Isacco. Se Dio preferì Giacobbe, pari di merito ad Esaù e diverso nel color de^ capelli, con- vien dire che, Valtissimo lume, la schiera delle lu- minose anime de beati, sHncappelli, sHnghirlandi di cotal grazia degnamente, giustamente, secondo 3i8 Letteratura il color de'capelli^ cioè non secondo il grado dei meriti di ciascuno, ma per qualsivoglia altra qua- litài secondo il piacere di Dìo. Se il senso è que- sto, costruirai i detti versi così: Però convien che Valtissimo lume degnamente sHncappelU di cotal grazia secondo il color de'' capelli. Se per V altis- simo lume si vuole intendere Iddio, converrà cre- dere che sHncappelli, sia error di copista'^ impe- rocché Vinterpretare che Iddio incoroni se stesso di cotal grazia, per poi diffonderla sopra le ani- me de'' beati, par mi stravaganza. Chi sa che non si debba leggere etc. » Quodcumque ostendis mihi sic, incredulus odi. Conobbe la difficoltà di tal passo il sottilissimo Dionigi, e disse qualche cosa, ma non tanto quanto bastava per bene interpretarlo : ed ecco come si e- sprime : « Mi lusingo e?' aver eseguito finora la parte mia : ma hoc opus, hic lahor, che per far riflettere sulla scienza di Dante e per illustrarla, bisogna che n''abbia alcun raggio chi dà Vedizio- ne. A mostrarla, per mo d^ esempio, nel paradiso XXXII, 58, conviene che dia Veditore per certa, com''è veramente, questa tal puntatura e lezione : E però questa festinata gente A vera vita, non è sine causa Intra se qui piìi e meno eccellente. Poi dichiarar dee la cagione, per cui questi bam- bini sien tra di lor differenti^ di qual grazia parli fautore di lor trattandOf e Vesempio recando di DlVrim COMMEDIA 3ig Esaù e di Giacobbe^i che questa tal grazia non pregiudica niente al peccato originale, né alla grazia per Christum : ne sHncontra colle proposi- zioni dannate dalla chiesa : che Dio finalmente co- rona i doni suoi, e che non è dottrina falsa e per- versa quella, che Dante mette in bocca di s. Ber- nardo, come asserisce taluno che si crede, ed è forse laureato in teologia : Non ho tempo a met- tere in chiaro tutte queste cose, ma darò la chiave ad aprirle, ed è : che fautore in questo luogo per grazia ( ch^ei chiama ancora primiero acume ) in- tende egli i doni naturali. Questa chiave non fu ad uso degli espositori di Dante: e pur la mostra egli in vari luoghi del suo convito, ed anche V ac- cenna qua e là nel poema. » Egregiamente il Dionisi ci ha spiegato la gra~ zia, egregiamente il primiero acume. Ma che cosa sono i capelli ? Nulla di più soddisfacente lo ritrovo nella edi- zione di Udine, o della Minerva di Padova, o in quel- la del Portirelli, o in quella del Biagioli. Che ne dice il Biagioli ? Adotta di buon grado la cattiva puntatura « Però, secondo il color de'' capelli di cotal grazia » togliendo la virgola dopo i capelli, senza renderne ragione ne ben ne male, come fa il Venturi ed altri, e ci lascia nella sfessa incertezza, in cui ci lasciano gli altri comentatori. E che sono, i capelli di cotal grazia, mio caro messer Biagioli ? Vi perdonerò questa, perchè siamo nel paradiso, e non siete teologo: ma non potrò mai perdonarvi che nel XII dell'Inferno, dove sono i violenti contro il prossimo, prendiate la riviera di sangue per il fiume 320 Letteratura Flegetonte, che ha tanto a fare questo con quella co- me il Tevere col Nilo. Consolatevi però che non sie- te solo; che questo è errore comune a molti altri in- terpreti. Eppure, chi non ha le traveggole, deve co- noscere che passa qualche differenza tra il bollar del- l'acqua rossa del Flegetonte del canto XIV, e la ri- viera del sangue del canto XII. Ma più bella di tutte è quella che trovasi nel canto XXII al verso Né già con si diversa cennamella : dov'egli ( io non so veramente se vaneggi o parli da senno) spiega la voce diversa in senso di differente, diversa da quella del diavolo. Tutti sanno, che la voce diversa prendesi molte volte in mala parte, di strano, cattivo, e credo inutile arrecarne esempi del Petrarca e dello stesso Dante per provarlo. » Entrammo giù per una via diversa : » Ahi genovesi uomini diversi : » Lamenti me saettaron diversi: » Di serpenti e di sì diversa mena ; dove, prendendolo come vorrebbe il Biagioli, in sen- so di differente, ne verrebbe veramente il più diverso senso del mondo: glaccbè, in sentenza del comenta- tore, gli aretini userebbero nei loro torneamenti una trombetta non diversa da quella, che usò nel canto precedente Barbariccia. Risum teneatis amici ! Viva il Biagioli ! La vostra spiegazione non verrebbe in te- sta a Cacasenno, il quale da se pandeva alla mamma sua quante uova aveva involate dal nido delle galline, Divina commedia Sai quantunque sapesse benissirao di doverne aver per tal fallo malconce o le spalle o le natiche. Questo è ciò che ne dissero gli espositori più ri- putati. Ora vediamolo meglio da noi stessi con qual- che particolare osservazione: e intanto tu, o lettore, potrai osservare, se ne riuscirà mijglio spiegato il con- cetto di Dante. La virtù della divina grazia figuravasi , giusta il sentimento de'padrl, nei capelli di Sansone ( avvertenza finora non mai fatta da verun commenta- tore): e di ciò scrisse s. Agostino, Semi, to'] de tem. Samson qualem fortitudinem hahuerit de gratia Dei, non de natura propria, iam audivistis; nam sifortis esset natus, quum ei capillus dinunuere- tur i fortitudo non adimeretur: et ubi illa potentis- sima fortitudo ^ nisi in eo quod scrivtura dixit: In- cedebat cum ilio spiritus Domini ? E similmente ne discorsero Origene in Matt. hom. XXXV, e s. Am- brogio cap. II, De spirit. prolog. E chi ne volesse un esempio in un poeta italiano d'ottanl'anni posteriore a Dante, l'avrà nel celebra- tissimo autore del Quadriregio. Il Prezzi, nel cap. XIV del libro II del suo poe- ma, cosi cantò : Or sappi di Cupido, che 'l gran foco E l'amor de'congiunti tanto lega, E l'amor della borsa e d'ampio loco: Ch'è raolfo forte che ragione il rega; Se gran virtù non rompe il gran legame Che tanto forte inver l'amato piega. E benché Dio ne dica che ognun l'ame Ciascuna d'esle ("un si forte tiene. Che a lui non lascia ir, benché vi chiame : G.A.T.XCIV. 2 1 322 Letteratura E perciò nel vangelo si contiene , Che amiate Dio col cuore e colla forza Si come il primo e più sovrano bene. E se avvien che altro amor vi torza, Rompete quella fun, che altrove tira, Colla virtù che giammai non s'ammorza. Slate, come Sanson, commosso ad Ira Quando li fé" la moglie il grave laccio, Cioè l'amor carnale a chi ben mira. E così Dio amando senza impaccio, Colla virtù, che sta nelli capelli, E non sta nella carne, ovver nel braccio. D'amor carnai non si senlon flagelli. Mi pare abbastanza chiaro pei sopraccltali passi, che i capelli non devono intendersi per i capelli par- ticolari, ma per i capelli in genere, come figura della virtù della grazia. Non sono adunque i capelli di diverso colore, secondo il Landino^ non i capelli di cotal grazia^ secondo il Fenturi; non i capelli delle donne, se- condo Veditore romano; non la disposizione a tale o tale altro colore di capelli, secondo il Tomasseo; i quali colori denotano le complessioni delVuomoy e per conseguente la inclinazione del suo animo ( che qui non trattasi né di complessione, né d'inchi- nazlone dell'animo, ma solamente di grazia ); non i capelli delle donne, secondo il Borghi , giusta la diversità de'quali di differenti ghirlande si sogliono incoronare; non i capelli particolari d'Esaù e di Gia- cobbe, secondo il Cesari^ del quale se non fosse la gravissima oscurità del luogo , io mi maraviglierei , perchè teologo, come egli era, non abbia penetrato Divina commedia SaS il vero senso dei capelli ; non il color de'' capelli del Costila che tentò di proporci una migliore spie- gazione, e quantunque giudiziosamente costruisse le parole meglio di tutti gli altri, tuttavia non aggiun- se ancora al vero senso dei capelli', ma i capelli^ in- tesi in senso generalissimo, sono, secondo s. Agosti- no ,> s. Ambrogio, Origene ^\di virtù della divina grazia, figurata, giusta il sentimento de'padri, nei capelli di Sansone , nei quali la grazia si manifestava per la forza: e nel caso nostro, per l'allusione vicina ai ca- pelli d'Esaù e di Giacobbe, si particolarizza e si di- stingue dal poeta per il colore ( il quale deve pren- dersi ancora in senso metaforico e figurato di grado o misura ) ; talché in sostanza il color de'capelli al- tro non significhi che il grado^ la misura della for- za e della virtù della grazia; avvegnaché la forza o la virtù è significata nei capelli, e il grado o la misura di questa grazia è espressa nella voce colore. Ed ecco a mio avviso, se non vaneggio, come va e- sposto questo luogo. Però ( secondo il color dei capelli ) cioè a mi- sura della infusione o distribuzione della virtù e for- za della divina grazia (la cui forza è figurata nei ca- pelli in genere, e relativamente ai capelli di Sansone); [di coiai grazia), cioè di tai doni naturali di quella grazia, di cui Dio a suo piacere di grazia dota di- versamente, e di cui nascendo chi più, chi meno sia- mo da lui dotati ( Valtissimo lume degnamente con- vien che sHncappelli ), cioè a dire, lo splendore, la luce divina conviene che s'incoroni, o formi attorno ( alle menti umane ) una più o meno luminosa co- rona di luce. Il degnamente pare che corri.sponda alla qualità e virtù delia grazia. L'ordine poi delle parole è questo : « Però V 324 Letteratura altissimo lume, secondo il color dei capelli, con- viene che degnamente s^incappelli di cotal grazia, n Del resto niuna maraviglia io ho, se discordano gli spositori in dichiarare ciò che intendesse con quel- la metafora e con quella figura il poeta: e han ra- gione di discordare : perchè bisogna farla più da in- dovino o da edipo, che da interprete ; e comunque poi s'indovinasse, se non fosse s. Agostino, per ve- rità io non vedrei mai buona analogia tra il color de^caprlli e la grazia divina. Chiuderò poi questo mio articolo dichiarando Dante con Dante medesimo col riportare altro luo- go a questo parallelo ( la qual cosa bramerei sem- pre che facessero i comentatori, come si usa di fa- re negli autori greci e latini ),il quale dà molta lu- ce al sentimento del poeta, ed è nel XIV della stes- sa cantica : . . . . Quanto fia lunga la festa Di paradiso, tanto il nostro amore, Si raggerà d'intorno cotal vesta (cioè la luce). La sua chiarezza seguita l'ardore, L'ardor la visione, e quella è tanta Quant'ha di grazia sopra suo valore. Come la carne gloriosa e santft Fia rivestita, la nostra persona Più grata fia per esser tuttaquanla; Perchè s'accrescerà ciò che ne dona Di gratuito lume il sommo bene; Lume che a lui veder ne condiziona : Onde la visione esser conviene ; Crescer l'ardor, che di quella s'accende; Crescer lo raggio che da esso viene. Filippo Mercuri. 325 Lettere inedite di Pietro Metastasio. A S. E. re verendissima monsignor Carlo Emmanuele Muz zarelli uditore della sacra romana rota. Ne el viaggio, che per le marche fece l'eccellenza vo- stra reverendissima nelle scorse ferie autunnali (i), molto fu il plauso levatosi, molta la gara degl'Ingegni e degli animi gentili nell'attestarle stima ed affetto, e molta pure la valentia cli'ella mostrò nel dettare poesie a lode dei nostri piceni (2) , e nel cercare (i) Osservatore dorico n. 53 del la novembre 1842, lodan- do la raccolta di prose e poesie pubblicate in Ferino pel Ciferri tip. arciv. ed intitolata : Manifestazione di ossequio e di stima alla eccellenza reverendissima di monsig. Carlo Emmanuele Muz- zarelli: ha pure aggiunto un elegante sonetto, con che il chiaris- simo R. Martelli dava in Ancona l'addio aquesto prelato, ed ove si ricordano le gentili epigrafi latine , colle quali il chiarissimo monsignor Gio. Carlo Gentili ( Sanctiseverini 1842 ex typogra- phia Herculana) lo salutava nella villa del valente conte Severino Servanzi Collio in Sanseverino. (2) Il cliiarissimo autore le pubblicò in Fermo pel Ciferri nelle Reminiscenze di un viaggio nel Piceno l'estate del 1842, in- titolandole ai chiarissimi Gaetano e Raffaele De-Miiiicis, che be- ne a ragione appellò concittadini di Gio. Bertacchini e Michele Catalani nella giurisprudenza e nelle archeologiche dottrine emuli celebrati. Vedi anche l'Osservatore dorico n. 4^ e 5o, ove si ri- produssero due sonetti di monsignore , di cui al n. 48 di quei giornale abbiamo pure altro sonetto (ricorrendo il dì natalizio di N. S. Gregorio XVI mentre si ritrovava in Civitavecchia) ove richiamasi bellamente il di lui viaggio nel Piceao fallo nel pre- cedente anno 1841. 326 Letteratura degli autografi ed inediti loro scritti. E benché io sia slato frodato dell'onore per lei impromesso di ac- coglierla in questa mia patria ancora, ove una ma- no de' miei cari discepoli le andavano già meco in- lessendo ossequiosa ghìrlandetla, voglio tuttavia far- le tener copia di alcune inedite pistole dell'italiano drammatico, quali avrebbe potuto con altre coserelle, che spigolai nel settembre, osservar qua nei loro au- tografi presso il nob. sig. Romualdo Bufera , nipote ed erede del chiaro mio concittadino , cui furono esse indirizzate. Era questi Francesco Bufera, che nato di Gio- vanni Battista in Fabriano nel 12 febbraio 1698 si recò assai giovine ancora a Roma per dare opera al- la giurisprudenza, siccome fece sotto la disciplina del celeberrimo Gravina , cui venne accellissimo per i talenti non meno , che per le virtuose ed amabili maniere , e di cui fu sempre amantissimo a modo , che le istituzioni civili e la dissertazione sulla cen- sura romana (i), lavori lasciati inediti da quel va- lentissimo isterico del dritto, vennero a noi per di lui cura serbati. Fu tra le domestiche pareli di tan- to severo giureconsulto , che il nostro Bufera sorti condiscepolo ed amico il prediletto alunno ed ere- de del Gravina Pietro Metastasio; che salite appres- so con tanta gloria le più difficili vette di Elicona, serbò costante fino alla tomba amore e stima pel no- stro fabrianese , siccome è manifesto per le pistole (i) Vedi r avviso al lettore nella prima edizione fattane a Roma nel '744 ( Typis Generosi Saloinoiii ), ove ciò si accerta , chia Piando il Bufera CI. virum nob'dem fabrianen. scientiarum aniaritis.siinum. Lettere del Metastasio 827 seguenti, che corredate per me di qualche noterella pregherei vostra eccellenza a rendere di pubblico di- ritto in qualche giornale. E per esse che si appale- sa ancora, come partito il Metastasio da Roma per Vienna, silenziosa rimanesse, ma non fredda , tanta amicizia fino al lyGS, in che il Bufera, tornato già in patria, saliva nel 1784 lo scanno priorale nel ca- pitolo del duomo. Il nostro priore, uomo di chiesa piissimo e dot- to, zelò la musica per tutti modi il perfezionamen- to , il decoro: ridusse a nuova forma nel 1740 le canonicali costituzioni : ed ordinò non solo , ma ar- ricchì de'propri libri la capitolare biblioteca, non o- bliando le patrie cose , e fra queste una eletta di epistole latine , nella più parie inedite , dettate nel XVI secolo da' fabrianesi, e da chiari uomini di quel- l'età; siccome dall'altro lato, giureconsulto probo ed esperto, fu vicario generale di tre vescovi per la cit- tà e diocesi, tutelò i dritti di ognuno, e più quelli del pupillo, del negletto e dell'orfano : e nel com- pianto de'buoni, nel desiderio di ogni ordine, tornò a Dio nel 2 dicembre 1781 nelle stanze stesse prìo- rali, ove soggiornato avea per molti anni. Ma io me ne vado troppo per le lunghe. Lascio adunque la penna per non tediarla, quantunque mai non lascerò di essere quale con ogni modo di pro- fonda distinta stima, ed ossequioso affetto me racco- mando, Di vostra eccellenza reverendissima Fabriano 24 novembre 1842. Umo drao serv. ed amico obbmo Camillo Ramelli. 328 L|tTTEI\ATURA 1. Caro e degn. amico, Vienna i6 maggio lyCS. Non saprei spiegarvi qual tumulto di piacere mi abbia destato nell'animo l'inaspettato carissimo vostro foglio, del 2 dello scorso aprile, recatomi tre giorni sono dal padre del nostro sig. Luchino (i). Ha messe questa lettera tutte in attività le gratlssime idee, che ho sempre conservate di voi. Ho veduto il mio caro sig. Bufera nel suo amabile ed avvenente contegno: ho ascoltata la sua voce : mi sono rappresentate le sue dolci maniere, l'illibato suo costume, e tutte le al- tre sue così poco comuni qualità , che giustificano il mio amore e la mia stima per lui. Sarebbe stato il piacer mio in ogni parte perfetto, se non mi aveste amareggiato anche l'interno della vostra lettera, con un rigore di cerimonia così poco analogo all'antica, familiare e tenera nostra amicizia. Che cosa resta mai a questa cara consolatrice del tormentato genere uma- no, se le togliete la confidenza ? Se avete creduto che io esiga uno stile tanto ufficioso , avete fatto gran torto a me : se ve l'hanno suggerito le vostre interne disposizioni a mio riguardo, l'avete fatto a voi stesso. (i) Luca Fabbri, valente soprano fabrianese, die levò bella fama di sé nei primi teatri di Europa, ma Jcbe troppo vago di avventure amorose, o fatto segno, come altri vogliono, agli strali dell'invidia venne sui lidi delia bella Partenope fieramente bat- tuto, a modo da esser fratto per lenta lisi a morte nel 3o giu- gno 1769, in seno alla patria, nella fiorente età di circa 38 anni. Lettere del Metastasio 829 I vostri raccomandati non han bisogno della mia debole assistenza, essendo molto più vantaggiosamen- te appoggiati : ma dovunque io possa essere loro di profitto, non risparmierò mai l'opera mia con lo sti- molo di secondare la premura di cosi caro e cosi de- gno intercessore. Sarei più lungo, se i miei troppo frequenti viag- gi in Parnaso mi lasciassero la disposizione di me slesso. Addio. Non vi stancate di riamarrai : e se vi dà l'animo di scoprirmi utile a qualche cosa, onora- temi dei vostri comandi : sicuro di trovare sempre in me , se non facoltà per ubbidirvi , amicizia almeno e tenerezza per dimostrarmi Il vostro dmo, obbmo servo ed amico Pietro Metastasio. lUmo 8Ìg. Francesco Bufera, Fabriano. I I. Amico dilettissimo, Vienna 21 ottóbre 1765. Dallo stile e dai sentimenti dell'affettuosa vostra lettera del 3o dello scorso settembre mi confermo , mio caro sig. abate , che voi siete sempre lo stesso, che io ho avuta la sorte di conoscere, d'amare e di stimare in Roma : e mi compiaccio sempre più del giudizio che allor formai del vostro bel cuore, della vostra probità e delle vostre amabili maniere. Mi so- 33o Letteratura no tante volle ingannato giudicando così di molli e molli altri, che non mi par vero d'aver così bene in- dovinato il vostro carattere , il quale ( per rendere soave l'umana società ) dovrebbe esser quello di tutti i viventi. Non so che i due musici (i), de'quali siete sol- lecito, abbiano sofferta altra disgrazia, se non quella d'aver perduto l'impiego d'un anno in questo pub- blico teatro , obbligato a tacere nel lutto universa- le (2). Per altro essi sono stati pagati per tutto lo (i) Chiarisce la cosa il seguente brano di lettera, che il Bu- fera scriveva nel 3o settembre i^SS: ,, Qui si è sparsa (così egli) ,, venendo da Roma una funesta nuova del musico Luca Fab- „ bri, che ha posto tutti in grandissima afflizione, e vuoisi che „ si trovi involto nella stessa calamità l'altro musico Porfirio. ,, Siccome sono essi patriolti allievi di questo maestro di cap- ,, pella, ed allevati in questa cattedrale, della quale io sono in- ,, degno priore e dignità, cosi non vi paia strano, che io ne „ prenda tanta pena. Vi prego pcitnnto a dirmi , se abbia sus- ,, sistenza, e se in caso che si possa al secondo prestarsi qual- ,, che soccorso. ,, Del primo già dicemmo abbastanza; il se- condo era l'altro valentissimo soprano fabrianese , conosciuto sotto il nome di Gaspare Pacchiarotti, celebre padre del reci- tativo cantato, che trasse a sua posta come dalle sensibili, co- si dalle severe anime lagrime ed emozione , che nelle angustie di una nota non può essere abbastanza lodato ( Vedi Arteaga , Rivoluzioni del teatro italiano j Licheathal , Dizionario della musica ec. ) : che mori poi a Padova coronato di molti allori nel "28 ottobre 1821, in età di yy anni , e che sebbene al fon- te battiesimale togliesse il nome di Porfirio, sappiamo tuttavia con certezza averlo cangiato appresso nell'altro di Gaspare ad evitare lo scherno di perfidia, con che alcuni concittadini suoi volevano la di lui astuzia proverbiata. (•2) Per la morte che avvenne improvvisa in Tspruck, nella nelle antecedente il 19 agosto dello stesso anno 1765, di France- sco Stefano I imperatore di Austria, già duca di Lorena e di Bar, quindi gran-duca di Toscana , e poi consorte della unica figlia ed erede di Carlo VI, della celebre iVIaria Teresa. Lettere del Metastasi© 33 i scorso mese di settembre. Sono di qua da lungo tem- po partiti in ottima salute, e non insieme, ma cia- scuno con compagnia diversa : ne fin ad ora si è qui risaputa alcuna cosa di loro ne infausta né felice. Pro- babilmente a quest'ora voi ne sarete molto più infor- malo di me. Sono mortificatissimo di non trovarmi alcun e- semplare delle opere mie, che mai non potrei impie- gare con maggiore piacere di quello, che proverei de- ponendole in mani così amiche come le vostre (i). Ma le moltissime impressioni, che se ne sono fatte, sono tutte del estabili, a riserva di una di Parigi, ed un' alira di Torino. Ui questa ( non avendo io mai fatto mercimonio degli scritti miei con alcuno stam- patore ) ebbi sei ese iiplari in ringraziamento di qual- che cosetta inedita che la impinguava. Ma questi e- semplari mi furono rapiti nel giungere : ed io non godei del dono, che il dispendio del porlo , de'dazi e delle legature. Se mai o per nuova ristampa, o per altro accidente potrò uccellare alcun esemplare d'edi- zione corretta, siate certo, che io non negherò a me slesso il vantaggio d' inviare appresso di voi chi mi vada tenendo presente alla vostra reminiscenza , ed affermandovi sempre, ch'io sarò eternamente Il vostro dmo obbmo servo ed amico Pietro Metastasio. Illmo sig. ab. Bufera, Fabriano. (i) 11 Bufera avevagli scritto nella lettera citata; „ Quando „ a soite vi ritrovaste un duplicalo delle vostre opere immor- ,, tali, al sommo le gradirei, per arricchirne la biblioteca di que- ,, sta cattedrale, che io con altri andiamo ristorando ed amplian- ,, do. Intendo però quando ciò possa farsi senza il menomo vo- „ stro dispendio. „ Oh! bello amore di patria .' oh! imitabile esempio ! 332 Letteratura III. Illma sig. sig. e padna colma, Vienna del 1782. Dal vivo inferno dolore da me provato , nella lettura dell'inaspettata lettera di vostra signoria illu- strissima, misuro quello che avrà ella provato nell' esacerbare il suo comunicandomi la sempre deplora- bile perdila del degnissimo sig. priore suo zio, che do- veva essere immortale , perchè esistesse frai viventi sempre un vivo esemplare di bontà, d'onore, di can- dore e di tutte le virtìi cristiane e sociali. Io l'ho ama- to ed ammirato fin da' suoi anni più floridi : e sarà egli fin che io viva fra le mie più care ed onorate memorie. Mi consolerà in gran parte vostra signoria illustrissima, volendo considerarmi quindi innanzi, co- me la supplico, nel numero dei suoi veri servitori , e di permettermi d'incominciare a protestarmi intanto con la più ossequiosa stima, Di vostra sig. illma, Dmo obbmo servo vero Pietro Metastasio. Illma sig. Eleonora Cristiani Bufera, Fabriano. "■^«•C^ggQO^*^ 333 Art, XVIL Del bello nella sentenza del padre André. K e'mìei studi sul bello, avendo avuto occasione di esaminare le opinioni di vari autori su tale argomen- to (*), non poteva sfuggirmi il saggio sul bello del padre Andre. E sonorai incontrato in due versioni ita- liane : la prima delle quali si enunzia così : Saggio sul bello. Nuova edizione riveduta e corretta di- ligentemente , accresciuta di sei discorsi intorno al modus, al decorum, alle grazie, alVamor del hello e alVamor disinteressato , opera del padre Andre preceduta di alcune notizie circa alV au- tore, traduzione italiana di R. Z. Macerata i83i, presso Alessandro Mancini in 8, di pag. 4^9- Se- condo particolari nolizie il traduttore si fu lo stu- dioso giovane fabrianese signor Raffaele Zucchi. Le note però e le versioni metriche qua e là sparse nel- l'opera sono del sigaor conte Cesare Gallo, in arca- dia Boriilo Megarense, il quale assistette con molta cura il lodalo giovine in tutta la traduzione del Sag- gio sul bello, e non volle essere nominato; se non che le versioni metriche hanno l'indicazione Dor., al- lusivo al suo nome arcadico. Ho voluto notare tutte queste particolarità della mentovata traduzione ; pe- rocché un'altra diversa e più letterale uè usci due an- (*) Gli altri artìcoli sul bello trovansi nei tomi 82 , 8i, e precedenti di questo giornale. 334 Ll^TTE RATURA ni dopo, dandosi vanto di prima, quando in realtà è posteriore. Eccone 1' indicazione : Saggio sul bello del padre Jndrè. Prima tradazione italiana fatta nelVultima edizione di Parigi del 1820, accresciu- ta di sei discorsi sopra il modo ^ sopra il deco- ro^ sopra le grazie^ sopra V amore del bello ; e due discorsi sopra V amore disinteressato. Firen- ze presso Celli e Ronchi in 12, MDCCCXXXIII^ di pag. 364. Dopo fermata l'anteriorità dell'edizione macera- tese, e dato l' onore debito al traduttore ed al cor- tese spirito che lo assistette nel nobile lavoro , è da considerare, secondo l'istituto mio, se nelle sue ve- dute il padre Andre si scontrasse nell'idea dell'ordi- ne, che io tengo principio di ogni bellezza. Ecco ciò che egli dice nel secondo discorso, che tratta del bel- lo nei costumi : « Ogni uomo ragionevole conviene ») facilmente, che il bello nei costumi, nei sentimen- » li, nelle maniere, nella condotta, suppone una leg- » gè che ne è la regola : che questa regola del bel- » lo nei costumi è un certo ordine , che esiste fra » gli oggetti delle nostre idee , a misura che più o » manco di perfezione essi racchiudono: che quest' » ordine degli oggetti ci addita ne' diversi gradi di » perfezione , che li distinguono, la traccia naturale » della stima e dell'amore, dei sentimenti del cuore » e delle considerazioni effettive, che noi dobbiamo » avere per essi; in una parola, che Videa delV or- ni dine necessariamente ha luogo nella nozione del » bello morale. Senza dubbio ( continua l'autore , » che io riporto nella versione del Zucchi ) non si » dà cosa in tal genere , che non la si apprenda a » primo colpo d'occhio. Io m'intendo dire, il ripeto. Art. XVII sui, bello 335 )) essere evidente che nel morale^ come nel Jìsico^ » egli è Vordine^ che sempre e il fondamento del » bello Io distinguo ( prosegue ) rispetto ai co- » stumi tre specie di ordini, che ne formano la re- » gola; un ordine essenziale, assolulo e indipendente » da ogni istituzione, anche divina; un ordine na- » turale, indipendente dalle nostre opinioni e dai no- )) stri gusti, ma che dipende essenzialmente dalla vo- » lontà del creatore; infine un ordine civile e poli- » tico, istituito dal consentimento degli uomini, on- » de mantenere gli stali ed i particolari, ciascuno nei » loro diritti naturali od acquisiti. » Nel morale, come nel fisico, egli è adunque evi- dente, per confessione dell'autore, che l'ordine è sem- pre il fondamento del bello. Ma che dire del hello nelle opere dello spirito ? « La base { egli dice nel » terzo discorso ) ne sia sempre la verità, l'ordine, » l'onestà e la decenza; che su questa base del hello » essenziale si diffondano, secondo l'esigenza delie ma- » terie, le immagini, i sentimenti, i moli convene- )) voli, tutte le giazie del bello naturale; che la e- » spressione, il giro, lo stile rilevino inoltre allo spi- » rito ed all' orecchio queste bellezze fondamentali » del discorso, ma con un'arte che imiti così bene » la nalura, che non per altra la si prenda che per » essa stessa; finalmente che tutto questo formi un » corpo di opera legato, seguito, animato, sostenuto; » e nel quale non siano pezzi distaccati, che ne lur- )ì bino l'unità. « Che vuol altro dire con queste mol- te parole, se non se indicare , che tutto bebba esse- re in ordine, cioè nella retta disposizione delle cose al fine proposto ? Ecco adunque , come quell' acuto giudizio del padre André fosse condotto a confessare 336 Letteratura apertamente, od almeno sotto il velo di molte pa- role : che 1' ordine è il fondamento del bello intel- lettuale, fisico e morale. E volendo o non volendo, in ciò gli è forza convenire esplicitamente o implici- tamente; allorquando sviluppa il piano generale del suo disegno, mostrando; i, che vi è un bello essen- ziale e indipendente da qualsiasi istituzione; 2, che si (.là un bello naturale e indipendente dall'opinione degli uomini; 3, che avvi una specie di bello d'isti- tuzione umana, il quale va soggetto all'arbitrio sino ad un certo segno. Basterà questo cenno agli spiriti avvezzi a riflettere sulle cose della bellezza. D. Vaccolini 33' Elogio storico di Francesco Gianni, letto nelV accademia tiberina il dì 25 di aprile iB^a dal cav. Francesco Fabi de^conti 3/ontani. K ella immensa moUitudìne degli uomini sorgono tratto tratto taluni, i quali per lo straordinario in- gegno rendonsi chiari per modo, da formare lo slupor de'viventi, l'ammirazione de'posteri, l'onore delle na- zioni. Questi esseri così privilegiati, su cui, per va- lermi di frase di ben noto vivente poeta, volle il nu- me stampare un' orma più vasta del genio suo crea- tore , se non li veggiamo nascere sì spesso , non li troviamo circoscritti, ne ad una sola facoltà o con- dizione, ne ad un solo tempo o luogo. Allorquando uno di essi è mandato sovra la terra, non v'è argi- ne che lo ritenga, non v'è opposizione che lo freni, non v'è difficoltà che lo abbatta. Deve mostrarsi quale egli è, deve interamente adempiere la sua missione : anzi quanto più questa sembrerà a prima vista dif- ficile , tanto più velocemente la eseguirà. Pitlagora era destinalo ad essere il padre della filosofia: e all' udire Ferecide , lasciato il mestiero di atleta , ab- bandonerà la patria e i congiunti, scorrerà per con- trade straniere, e famosi legislatori usciranno dalla sua scuola. Raffaello doveva co'suoi dipinti emular la na- tura, e far l'arte italiana gareggiar colla greca: e quan- tunque dura povertà lo governi, gittate via le maioli- che, studierà sopra i cartoni di Leonardo, Bramante glorierassi di presentarlo al secondo de'Giuli, e col qua- dro della trasfiguraziane supererà sé medesimo, e sgo- menterà i futuri. Il Metastasio, per non moltiplicare esempi in fatto sì noto, dovrà essere il principe de' G.A.T.XGIV. 23 338 Letteratura drammatici, e da umile bollega passerà alla scuola di un grande giureconsulto, sarà l'amor del suo se- colo, il poeta del cuore. E somiglievole appunto al Metastasio, benché in allro genere di poetare, fu l'im- provvisatore Francesco Gianni, del quale prendo oggi brevemente a discorrere. Io ben so che le azioni di costui non furon tutte in ugual modo lodevoli; ma se a tempo ravveduto si volse a quei che volentier perdona', se detestò que' versi inspirali solo da bol- lore di giovinezza e da inesperienza di cose politi- che : se con una pia vita continuala per olire dieci anni espiò i suoi falli, e preparossi a morte veramen- te cristiana: porto fiducia, che ninno vorrà rimpro-. verarmi, se oggi tolsi in modo a favellare di lui, che, per quanto le mie deboli forze il consenlino, gli fruiti laude ed onore. Il 14 di novembre lySo da Pietro di Casti- glione in quel di Como e da Anna Bertollini di Man- dovì , onesti per costume , umili per nascimento e sforniti di beni di fortuna , vide in Roma la luce Francesco Gianni. Sua prima palestra fu l'officina di un carrozziere, da lui abbandonala quando il rozzo e indiscreto mastro, forse perchè il garzone più che del lavoro placcasi di leggere alcun libro, venuto a contesa, e presolo a batter con rabbia, non si rimase, finche non gli ebbe rotto due costole : danno, di cui per tutta la vita risentissi, e causa di quella deforme gibbosi- tà, per la quale venne poi tanlo molleggiato da co- loro, che non polendone emulare l'ingegno, vilmente il derideano per difetto, che desiar anzi dovea la lo- ro commiserazione. Il genitore, che solo pensava al modo di provvedere al figliuolo, resogli per quella di- savventura più caro, per generosità del cardinale Fran- Elogio del GuNNr 33g cesco d'Elei fiorentino, venne a capo di fornirgli nel- la via del corso una bottega , ove lavorasse e spac- ciasse guarnelli per femmine. Ma qui appunto fu do- ve Francesco diede palesemente a vedere, non esser nato, né per lavorar cocchi, né per vender guarnelli, ma sì per ispaziare ne' vasti campi della immagina- zione, e per dissetarsi alle limpide fonti d'Ippocrene. Venneglì per fortuna nelle mani un volume dell'Or- lando furioso, l'aperse, lo lesse, il gustò. Quel ger- me, che in esso lui finora era slato occulto, si fé' ma- nifesto: fu la scintilla sprigionata dalla pietra, capa- ce per se sola del più vasto incendio: desiderò imi- tare l'Ariosto , e sentendosene in se la forza , ^0.9- sunt, quia posse videntur: cosa maravigliosa a dirsi! cominciò a corapor versi con tale facilità ed amore, che sembrava quello essere sempre stato il suo uni- co studio. Il fatto in breve propalossi, e la sua bottega divenne il convegno di quanti amavan le muse , p che tratti da curiosità voleano di per sé slessi essere testimoni di cosa tanto straordinaria. Ma il Gianni era il poeta della natura e non dell'arte : e la sola natura di per se stessa non bastò mai a fare i gran- di poeti. Tra coloro che mossero ad udirlo fuvvi pure Francesco Battistini, uomo di antichi costumi, divoto quant'allri mai alle muse, amantissimo della lettera- ria istituzione de'giovani, e nel 18 14 presidente del- la nostra accademia. Visto il Gianni nato fallo per la poesia, credette di rendere all'Italia quel servigio me- desimo, che nel principio del secolo rendulo le avea il Gravina coll'islruire il Metastasio: per la qual cosa il confortò a lasciar quel mestiere, e a dedicarsi a tut- t'uomo allo studio de'classici, di cui gli si esibì cor- 34o Lbttkratura tese maestro. Consiglio né più opporluno, ne pììi grato udir poteva il giovinetto. Eccolo dunque passare alla scuola del Battislini, il quale non è a dire con quan- ta cura togliesse gratuitamente ad erudirlo, e come tutto si adoperasse a renderlo un giorno valente. Ma indocile era il fervido animo del Gianni, ne mai potè indurlo, siccom'egli voleva, ad un ordinato corso di studi. Usava, è vero, all'arcadia, e all'accademia de'Forli: udiva i precetti di un monsig. Leopoldo Tangerini, che dichiaratosi suo mecenate, avealo provveduto di mezzi a vivere: ascollava volentieri que'dolti, da cui imparare poteva: cimentavasi col Berardi, col Rocchetti, col De- Kossi e col suo maestro medesimo nello improvvisare; ma pure assai di frequente, spinto dalla manìa di com- porre estemporanei versi, conduceasi alle taverne e ai trivi in mezzo alla pivi oscura plebaglia. Qualunque soggetto bastava ad eccitar la sua vena, tutto per lui era poesia: e narravano i vecchi, che appiccatosi fuo- co ad un vasto palagio, mentre tra il fumo e lo stre- pito del popolo, da tutte bande sopravvenuto, le fiam- me simili a vulcano al cielo si ergevano, il solo Gian- ni, corso ad ammirar lo spettacolo, cominciasse ad im- provvisare ottave con voce così elevata, e con tanto entusiasmo, che ne rimanesser tutti storditi. Una immaginazione così vivace non potè con occhio indifferente vedere quanto operavano i fran- cesi : e pieno la mente dogli eroi della romana re- pubblica, tutto infiamtnossi a chimeriche idee di li- bertà. Ne fu dunque sedotto per modo, che avvenu- ta in Roma nel 1798 la morte di Basville, sdegnalo e sconoscente ai beneficii, ond'era stato ricolmo, la notte medesima in compagnia dello scultore Giusep- ' Elogio del Gianni 34 1 pe Ceracclii s'indirizzò per Genova, ove la marchesa A-nna Pieri Biignole, coltissima dama , e il celebre Luigi Corvetto furono i novelli suoi proteggitori. Fu ivi accolto qual nuovo Simonide: che appun- to come quel filosofo potea dire, di portar lutti con seco i suoi beni. Il eh. marchese Gio. Carlo di Ne- gro gli schiuse la sua casa; ed in bella ospitalità seco il trattenne per più di due anni, pago solo di averlo nel verseggiare a maestro. Anche colà incominciò su- bito ad improvvisare, e furono i suoi versi uditi con istupore, cumulati di lodi, pubblicali colle stampe; e quantunque taluni parteggiassero pel duca Mollo, già suo competitore nell'accademia de'Forti; e pun- genti scritti ancora dall'una parte e dall'altra si man- dassero in luce (i); nondimeno fu la vittoria dell'im- provvisatore romano, il quale raccomandato dal di Ne- gro al dotto marchese Gio. Carlo Serra suo cugino, che dimorava allora in Toscana, andò a cercar nuove palme in Firenze, in Pisa, in Siena ed in altre città dell'Elruria. Ma ivi pure trovò contraddittori, né potè appieno degli avversari trionfare, come nella Liguria. Intanto Buonaparle, le cui gesto avea così spesso can- talo, e che con piacere avealo in Genova udito, nomi- nollo consigliere della repubblica cisalpina a Mila- no, ed in quella capitale dell'Insubria lo seguirono i medesimi applausi. Ma poco durò sua fortuna: impe- (i) Lettera ad uaa dama, sul ragionamento che precede le poesie estemporanee del sig. Francesco Gianni: Genova '795, dalle slampe di Giambatista Caffarelii. Agli autori della lettera «ulla prefazione degl' improvvisi di Francesco Gianni: Genova 1795, dalle stampe di Angelo Tessera. All'autore della risposta sulla prefazione alle poesie estemporanee di Francesco Gianar.- Geaova 1795, dalle stampe di Angelo Tessera • 34a Letteratura rocche tornati nel 1799 a dominarvi gli austriaci, il Gianni, acerbo repubblicano e detrattor dei tedeschi , fu racchiuso nella fortezza di Cattaro, finche ne fu li- beralo per la battaglia di Marengo. Corse allora a Pa- rigi a ritrovare la sua proteggi trice Anna Brignole; ed il primo console, continuandogli la sua predile- zione , lo invitò alle solenni feste , e gli die largo campo a tutto addimostrare il suo poetico fuoco. Ap- pena poi divenuto imperatore, lo creò cavaliere della legione di onore, gli assegnò sei mila lire di provvisio- ne, e nominollo improvvisatore di corte. Presso quella Senna, ove un Tasso, un Marino, un Alamanni e tanti altri chiarissimi poeti italiani aveano avuto onorata stanza, e dove in allora Napoleone caldissimo proteg- gitore delle scienze e delle lettere , erasi con bella gloria piaciuto di adunare il fiore degl'ingegni direi quasi europei, fu il cavaliere Gianni in altissima no- minanza. Il Gagliuffi in latino, il Gianni improvisava in italiano; non v'era azione dell'imperatore che non venisse da lui nobilmente cantata: ed ogni novello lau- ro, di cui quel capitano cingevasi, era una corona di più sul capo del romano poeta. Nell'autunno flel 18 io dovendo la marchesa Bri- gnole tornare per alcun poco in Genova, indusse il Gianni ad accompagnarla. Fu allora che allo scender delle alpi e al veder dell'Italia invitato al canto, proruppe in que'bellissimi versi, ne'quali descrisse il passaggio, che fatto ne avea Buonaparte. Giunto nella città di Giano tra le più liete accoglienze, fecero per quattro mesi a gara que'cortesi gentiluomini ad istrap- parselo, ad onorarlo. La villa ispirogli i Saluti del mattino^ la città ben molti improvvisi (j). (i) Dei Saluti del mattino e della sera, e d'altri canti improv» Elogio del Gl4mni 34^ Restituitosi in Parigi, seguitò a far di se bella mostra: né vi era forasliero illustre, specialmente ita- liano, che non si pregiasse di visitarlo , o di usare con esso lui, siccome tra gli altri molti fu il eh. con«- te cav. Giuseppe Alberghetti, già nostro presidente, e che a motivo di onore merita esser qui ricordato. Egli è ben vero, che se il Gianni non era più co- me in avanti sì propenso ad improvvisare , ne con tanta facilità vi si prestava, non meno piacevole riu- sciva la sua conversazione, sì per lo scelto numero del- le dotte persone, che a letterari discorsi presso lui adunavansi, principe delle quali era il Visconti : sì perchè essendosi una volta dato interamente alla let- tura de'classici poeti greci, latini ed italiani, ne re- citava spesso i più eleganti squarci, e con maestria ragionava delle loro più riposte bellezze. Ma l'astro di Napoleone eclissossi e tramontò col- la rapidità del baleno. Tornarono i Borboni sul tro- no di Francia: e Luigi XVIII, per la mediazione del Corvetto ritenuto a ministro di finanze, conservò al Gianni colle provvigioni imperiali le insegne cavalle- resche. O che la caducità delle umane cose avessegli già molto tempo innanzi fatta la più viva impressione nel- l'animo, o che cominciando a declinar nell'età pren- visati dal sigf. Francesco Gianni, poeta pensionarlo di sua mae- stà l'imperatore e re, nella sua ultima dimora fatta in Genova 1811. Genova, stamperia della marina imperiale e della gazzet- ta'. Il libro è'intilolato al celebre Ennio Quirino Visconti, dal profess.D Francesco Bocci, il quale assai a lungo descrive le fe- ste e i temi dal poeta improvvisati. Vi sono aggiunte cinque la- tine elegie di Giovanni Cambiaso , che posson dirsi altrettante estemporanee versioni di quegl'improvvisl. 344 Lktteratura desse a pensar seriamente a se stesso, vldesi a poco a poco allontanarsi dalle consuete conversazioni, e an- dare spesso per luoghi deserti riconcentrato e solo. Tras- se ad udire le conferenze religiose, che con tanto frut- to in Parigi faceva il Frayssinous, di poi vescovo di Er- mopoli e fido compagno di Carlo X. I suoi sermoni gli piacquero, più non gli tralasciò: e vinto dalla gra- zia divina finalmente si arrese per modo alle soavi sue ispirazioni, che sarebbesi forse anche detto eccedere nella stessa pietà. Ma uopo gli era di riparare con pub- blico esempio ai traviamenti della sua giovinezza. Si propose di più non improvvisare, e di consecrare la musa solo ad argomenti di religione , siccome fece. Non raancaron di coloro che il motteggiassero : ma egli tennesi fermo, non già per uno o due anni, ma fino al fermine del viver suo. E ben parve ch'egli si avesse presentimento della vicina sua morte ; impe- rocché nel 1822 scriveva in Roma al suo fratello Gaetano amorevolissime lettere (i), in cui esortavalo (i) Non sarà discara la pubblicazione dì due di esse inedite, indirizzate al suo fratello, gentilmente a noi favorite dalla cor- tesia del eh. nionsig. Muzzarelli , e che valgono a conferma di quanto si è da noi detto. „ Al sig. Gaetano Gianni. Roma. - Carissimo fratello. - Parigi ai settembre i8"it. - In questo momento ricevo la vostra , e .ia questo vi rispondo. Sono contento, che vi siale procurata ìa in- troduzione alla vita divota, ma voglio che la leggiate un capitolo per volta, e che mettiate in esecuzione quanto avete letto. Quan- to ai capitoli più necessari vi parlerò in altre lettere. Non sono contento della risposta che mi date di inousignor Isoard. Io vo- leva sapere l'ultima conversazione che teneste con lui ; se foste Voi che gli parlaste del nipote Costantino, o se monsignore v'in- terrogò sulla vostra cristian.i condotta. Ciò voglio assolutamente $apert per mia regola. Io potrei costringervi innanzi di mandar- Elogio del Gianni 345 alla dilezione de'nemici e al penliraento spirituale : incuorandolo a slar preparato alla morie, alla quale anch'agli si sentiva ornai per le sue infermità sì vi- vi la somma di fr. ^o, ossia quattordici piastre francesi, seppure il banchiere caritatevole vorrà incaricarsi di si piccola cambiaie: dico costringervi potrei a mandarmi i certificati del parroco e del vostro confessore, sulla vostra cristiana condotta e sulla fre- quenza de'sacramenti, certificati col sigillo della parroccliia e del convento : ma riflettendo che Dio non vuole essere servito per forz» ma di cuore amato, come ne ha amato ed ama, e vuo- le amarne in eterno, io non vi costringo. Lo rimetto alla vostra coscienza. Se non fate ciò che mi dite, la coscienza sarà il vo- stro severo accusatore, e giudice nella vicina ora della vostra morte. Quanto alla mia nipote, non curo più sue lettere, se pri- ma non si confessa della disobbedienza fatta al medico e al pa- dre. Se confessata se ne fosse, è impossibile che il confessore non 1' avesse obbligata ad obbedire, tantopiù che trattandosi della vita, che non è nostra, ma a noi da Dio donata per impiegarla nel suo santo servizio, non possiamo esporci a pencolo di per- derla; e ciò è grave peccato. Mi risponderete subito su questo, e sulla conversazione antecedente con monsignor Isoard , se ha avuto luogo. Di Costantino non ne ho uuove ; ma voi non do- vete per ciò nudrlrc mal umore contro di esso; dovete scusar- lo ed amarlo egualmente come innanzi. Salutatemi vostra mo- glie. Sono al solito vostro affczionatissimo fratello Francesco Gianni. P. S. Vado a cercare il banchiere ; se il troverò e vorrà farmi questa carità, troverete la cambiale qui acclusa. Farete celebrare il sagrìfizio di una santa messa in suffragio dell'ani- ma di Luigi Corvetto vostro benefattore, e mi risponderete su- bito, perchè ho molle cose a dirvi, che ho omesse per ispedirvi la cambiale di franchi 70 più presto. P. S. Torno dal banchiere, e non l'ho trovato , perchè sta in villeggiatura : non ostante il cassiere, di mia antica conoscen- za, mi ha promesso al suo ritorno, che sarà lunedi , inviarmi la cambiale a casa, per risparmiarmi questa gita, perchè egli ;ibita da me lontano. Appena la riceverà, la metterò alla posta. Vede- te, che Dio vi provvede, anche malgrado tante difficoltà. Corri- spondetegli adunque con uu cuore grato e riconoscente; ringra- 346 Letteratura cino. In fatti ricevuti con grande esemplarità I soc- corsi della religione, il 17 di novembre di quel medesi- mo anno 1822 stese le braccia a quella conforlatnce ziatelo del beneficio, servendolo fedelmente, perchè nelle opere consiste la gratitudine, e non già nelle parole. Al sudd. - Carissimo fratello. Parigi 9 marzo 1822. Coll'ul- tìma vostra mi avete recato un vero disgusto, e vi rispondo in- cominciando dal rigettare con orrore tutto il male, che mi dite dell'infelice defunto B..., perchè acconsentendo a si grave mor- morazione diverrei con voi complice di un peccato mortale. Voi mi scrivete aver sofferta una lunga e pericolosa malattia , e tale che vi siete confessalo in letto. Ma caro fratello , se ben confes- sato vi siete, dovevate pur dire al vostro confessore quella bile, che vi ardeva nel cuore contro lo sventurato defunto, onde ca- deste malato; e se ciò confessato avete, il confessore doveva aver- vi pure esortato a perdonargli di buon cuore, altrimenti non a- vrebbe potuto egli darvi l'assoluzione. E se taciuto l'avete, la vo- stra confessione è sagrilega. in tal caso ringraziate Iddio di tutto cuore, che vi ha preservato dalla morte temporale, per darvi an- cor tempo, ond'evltare l'eterna. Ringraziatelo di tutto cuore, vi dico, e dir voglio, che vi sforziate di ripar.nre al male che avete commesso pregando pel defunto, e soccorrendo, come potrete, la sua misera famiglia. Confessatevi di nuovo, confessatevi della mal fatta confessione, che tanto piii'Hii affligge e con ragione, perchè veggo nella detestabile lettera vostra , che non avete avuto ri- brezzo di qualificare il povero defunto col titolo infame di bric- cone. Circa poi la vostra malattia rifletto, ch'essendo voi si spes- so malato non potrete conservarvi lungamente nel vostro im- piego: e che diverreste allora ? che diverrebbe la vostra famiglia? Cercate dunque di conservare la salute, non mettendovi in agi- tazione e rabbia per le contrarietà, che accader sogliono a tutti più o meno in questa vita mortale.- ma abbandonatevi in lutto alla santa volontà dell'Altissimo, poiché sappiamo, che quanto ne accade, e ciò ch'egli vuole, è tutto per nostro bene, quantun- que noi ciechi comprendere noi possiamo Vi prego di non scri- vermi più mai, se avete a dirmi male di alcuuo. Vi prego di ac- cludermi nella risposta di questa mia un certificato del confes- sore, chi vi ha confessato in letto, sia o prete o frate. Se prete Elogio del Gianni 347 eternità , che dalle burasche del mondo io invitava alla calma del cielo. Anno per verità funestissimo alle arti e alle lettere, per la perdita del Perticari, del Ca- nova e dell'improvvisatore Sestini, che pvecedelle il nostro poeta di soli sei giorni. Avea egli fin dal 6 di giugno fatto il suo testamento, lasciandone esecutore il cav. Sigismondo Visconti, figlio al celebre antiqua- rio di cui era stato amicissimo. Poco prima erasi com- posta questa epigrafe : di apporvi il suggello delli» parrocchia; se frale, quello del con- vento, ed espriaia nel ceHificato avervi confessalo in letto. Ciò mi servirà di regola per la ulteriore coiidolta, che dovrò tenere verso di voi, altrimenti è inutile che mi scriviate. Vedrò che co- sa mi dirà Costantino , se risponderà esattamente a quanto vi scrissi per lui, e dalla sua risposta giudicherò se più di me si curi. Salutatemi gli amici soliti, vostra moglie e figlia. La mia salute sempre più declina, e mi avverte esser vicino- il mio cor- so al termine- Abbandonalo quale io mi sono alla infinita mise- ricordia del mio Dio, l'attendo questo termine tranquillamente, malgrado la ripugnanza della natura, nella speranza di una san- ta morte. Chiudo la presente col dolore di conoscere la' vostra conversione incerta, o vacillante almeno. Su questo punto, ch\è tutto, vi ho detto quanto ho saputo, quanto Iddio mi ha ispira- to , onde non ho altro a dirvi. Vòstro affezlonatissimò fratello Francesco Gianni. ,, Questo fratello teneramente amato dal poeta, e cui avea ot- tenuto, per le raccomandazioni del primo ministro di Luigi XVIII al card. Consalvi, un impiego, benché egli non sapendo appro- fittare dell'occasione, ne richiedesse con assai curioso annedoto uno ben infimo, mori cristianamente il io settembre i83i;e pe- rò l'espressioni di queste lettere debbono, in gran parte , at- tribuirsi a quel rigido lènor di vita e a quello scrupolo, cui si era dato il nostro poeta. • ,'iu»3jii.-*u.iiu t» Bionda la chioma, pallido il colore, » La pupilla loquace, il labbro acceso, » E privo il mento del crescente onore : » Sul Pincìo nato, sul Parnasso asceso» » Di lignaggio plebeo, nobil di cuore, » Di sorte sprezzator, di gloria vago : » Eccoli espressa la mia viva immago. E per verità nel moralp e nel fisico fu quale si dipinse. Se non ambì giammai onori , se non cara- biossi al cambiare de'tempi, se non cantò che le sue ispirazioni; non può per altro negarsi, che uno smo- dato amore di gloria non fosse la sua passione. Tutto ad essa sagrificò: e questa sola fecegli incontrare feroci inimicizie col Monti, colla Bandetlini, colla Fanta- stici, col duca Mollo, con chiunque altro contendes- segli il primato nella poesia. Dirò a conferma uno de' molli falli ingenuamente narrati dalla Bandettini, in una sua inedita lettera al marchese Antinori di chia- ra memoria. Nel 1796 il Gianni all'accademia fiorenti- na, presieduta dal senator Mozzi, recitò un improvviso già da lui detto in Siena. Il celebre cav. Giovanni Ro- sini, amico ed ardente sostenitore della lucchese poe- tessa, ivi presente, declamò quindi ad alta voce al- cune ottave oltre modo applaudite. Avendo dichiarato essere state già cantate dalla Bandettini, si addoppia- ron gli applausi. Sdegnato il Gianni, balzò in piedi, e furiosamente gridò : Non è vero: e scegli è pur verOi venga ora la Bandettini ad improvvisare con me. La disfida mosse alle risa , da tutti sapendosi , che non poteva ivi accettarsi senza il permesso del gran duca: e però proseguissi la recita di altri com- 35o Letteratura ponitrienti. Il dì appresso stampò il Rosiai le ottave, e addimandò soddisfazion dell'affronto : ma si frapposer gli amici, e a visitar la rivale persuasero il Gianni, il quale si volle con essolei per iscusato, attribuendo la imprudenza alle usate sue convulsioni, e al mal umore che avea col Rosini. Sì, non v'ha dubbio: egli si tenea, e volea esser da tutti creduto e stimato il più grande poeta de'suoi tempi, e degno del secolo di Napoleone. Ne avea egli buon diritto ? Facciamo- ci con brevità ad osservarlo, mentre compiuta la vita del Gianni passo a dire alcun che de'suoi versi. Tutte le poesie di Francesco Gianni possono di- vidersi in due classi: quelle che medilo e quelle eh' estemporaneamente compose. E per portare più sicu- ro giudizio, egli è mestiere il far qualche non inu- tile considerazione sulla poesia, che più era in voga in quel secolo, tutto che ferace di grandissimi inge- gni. Il Gianni era nato nella metà del settecento, e però più che al XIX appartenne egli al secolo XVIII. Ora specialmente in tal tempo, comparso poco prima col Ricciardetto l'ultimo de'poemi romanzeschi, era in .grandissimo uso la mitologia, e cantavansi le dolcez- jze dell'amore: non essendovi poeta, che vera o im- maginaria non si avesse una Laura. Guerre, la Dio mercè, non vi erano: e però non uopo che con forti sensazioni si scuotessero le menti. Il Melastaaio , il Rolli, il Zappi, il Pompei, il Savioli, per lacere di altri, cantavano o avean canlato di amori: e la scuo- la degli arcadi con sacro zelo mirava ognora a tener lungi le ampolle del secenlo, che paventava di ve- der sempre qual novella idea rinascere. Lo studio di Dante non era sì universale, ne a rimetterlo in vo- ce bastavano gli sforzi di un Leonarducci, di un Goz- V Elogio »ki- Gianni 35 i zi, di un Betti e di un Varano. Lo stile, ad eccezio- ne di pochi, era guasto anzi che no: confondendosi la robuslez,za col sonoro, facilmente andavasi al tur- gido: poca cura nella scelta delle parole, pochissima in quella de' costrutU. Slavan così le nostre lettere, quando apparve il Gianni: ma impaziente di freno, ritroso a un regolato carso di studi, spregiator di pre- celti , e credendo che la poesia potesse così bella uscir dal suo capo, come già Minerva tutt'armata uscì da quello di Giove, cercò non il plauso de'pochl che sanno, ma de'raoltl che ignorano. Piacevano le molli anacreontiche ; ed eccolo porre ogni suo sforzo in esse, e studiarsi perchè fossero brevi , di poche sil- labe, ed assai spesso rimate. Amore medico , amore astronomo, amore astrologo, amore pittore; il labbro, il neo, il capello, il bagno ed altri soggetti anacreon- tici erano i graditi suoi temi. Soleva offrirli a qual- che dama: ed anche questo faceva con laconica pro- sa epigrammatica, in cui per lo più vedevasi il con- cetto non già naturale, ma studiato. Elevava, non vi ha dubbio, talora i suoi pensieri. I sonetti sopra Giu- da, sul nuotatore di Abido, e sulla caduta di Troia: i poemetti sciolti, intitolati la madre ebrea, le tene- bre, la morte del genitore ec, sono poesie tutte, che se lecito mi fosse, vorrei dir tizianesche: tanta è la evidenza che in esse si pare. E Tistesso Buonaparte in Italia, considerato solo per ciò ch'è poesìa, e co- prendo di un velo quanto ivi ha contro la religio- ne e il trono, appalesa tutto il fuoco del ghibellino poeta, e può con verità dirsi una delle più forti can- tiche del secolo passato. I versi poi di sacro argomen- to, e quelli in ispecie composti in sul finir dell'età, benché in pochissimo numero pubblicati, al dir di co- 352 Lbtteratuka loro che gli hanno uditi o letti, mostrano al certo più sludio dei primi; ma è mestieri pur confessare, che sono di Gianni ornai veccliio e logorato di forze. Esso dun- que, come poeta che mediti, bencliè si levi dalla schiera comune, è somiglievole a molti, è spesso nella lingua negletto, ed assai inferiore a quel Monti, che sebbene da lui odiato, pur gli rese bella giustizia, quando in Milano alla presenza- di ventinove membri dell'isti- tuto e di molte altre ragguardevoli persone, interro- gato sul merito del Gianni, candidamente e con in- tima persuasione, siccom'egli stesso ci attesta in una sua lettera al Bettinelli, rispose che la natura dal can- to suo avea fatto di tutto per formarne un grande poeta (i). (i) Il Monti avendo stampato La spada di Federico, ed il Gianni gl'improvvisi sulla battaglia di lena, fu da un tal Filebo inserito in Parigi nella Revue lilteraire un sanguinoso articolo , in cui biasimavasi il poeta ferrarese, e portavasi a cielo l'ImproT- vlsalore romano. Rispose il Monti nel 1807 <^on lunga lettera al Bettinelli, divisa in due parli, l'una giocosa e l'altra seria, giu- stificando sé stesso, e preudendosela contro gli autori dell" arli- colo. Non lasciò di narrare quanto avvenne tra lui e il Gianni, del cui merito letterario , dopo le parole di sopra riferite, cosi prosegue, non senza molta bile : „ Se qui feci punto, il mio silenzio fu prova della mia mode- razione; e anche in questo momento io rendo al Gianni quello ch'è suo, perchè non ho tarli nel cuore, che m'impediscano d'es- ser giusto. Ma il solo fondamento della natura senza il concorso dell'arte non farà mai un sommo poeta. Aggiungo però che se il Gianni rinunziando alia sua ciurmerla dell'improvvisare, siccome io stesso molle volte lo consigliava, si fos.«.e dato allo studio dell'i- dioma latino, primo elemento del linguaggio nostro poetico, on- de formarsi uno stile casto e severo i se mandando al diavolo quello strano suo loung, in cui erasi innamoralo perdutamente, si fosse accostato alquanto alle scienze: a quelle particolarmente, che hanno immediati contatti coU'eloquenza, e senza le quali i voli della fantasia non riescono che deliri ; il Gianni conforta- Elogto del Gianni ' 353 Il Gianni però lu principalmente improvvisatore, e come tale non la cede ad alcuno de'suoì predecessori. Ne questa è piccola gloria; imperocché non si vorrà dai discreti giammai bandita arte sì bella, e che sem- bra esclusivo dono degl'iraliani, Kd invero se per im- provvisatore intendasi colui, che fa estemporaneamen- te versi comunque, chi si conosca della Toscana avrà talora udito i pastorelli dell'Arno e dell'Arbia can- tar versi improvvisi senza esser per questo poeti. Nò veri improvvisatori chiamar devonsi coloro , i (mali abbenchè estemporaneamente cantino argomenti" of- ferti in iscritto, e favoriti mai sempre dall'amica sor- te, con destrezza vi appiccano quelle studiate descri- zioni, dell'aurora che limpida sorge, della notte che il fosco suo velo distende, di Cinzia che col mesto suo raggio invita al silenzio, del fulmine che scro- scia iracondo, di Bellona che accende la face di Mar- te di buona filosofia e di stile non convulso, non malto, avreb- be potuto cogliere senza contrasto uno de' più scelti allori del Parnasso italiano. L'unica cosa che in mezzo alle sue iunghinne vertigini e alla mania d'improvvisare potei ottenere dal Gianni, fu di addomesticarlo un poco con Dante. Ma poteva e può e-IJ compenetrarsi delle bellezze di quello stile tutto latino, senza saper sillaba di Ialino? E altronde vi par egli che lo siile dan- tesco, stile meditato e ponderalissimo, possa entrare nel capo di un improvvisatore? E intanto il sig. Filebo mi manda alla seno- la del Gi;inni per impararlo. Converrà dunque credere che il Gianni abbia messo finalmente i miei consigli ad effetto. Ma le sue battaglie, ultime produzioni, io le ho lette con attenzione • e si 10 che i molti scomunicati che veggono e pensano al modo mio, a riserva di alcuni buoni versi, non vi abbiamo trovato che una cattiva battaglia del cattivo gusto col buono, e la perdita di quest'ultimo. „ Opere di Vincenzo Monti, voi. III. Italia 1821. G.ud,j;io per verità troppo acre , a cui tutti non couverranao per eerto. G.A.T.XCIV. 23 354 Letteratura te , della pace che cinta di olivo rallegra la terra , duiramanle che disperato si uccide, del vecchio pa- store che placidamente morendo benedice la povera sua famigliuola. No, questi non è il vero improvvi- satore, ma si il cerretano. Il primo scopo che devesi prefiggere l'improvvisatore si è il sorprendere la im- maginazione colla nobiltà e novità delle idee, il pe- netrare ne'piia occulti nascondigli del cuore umano, ed acquistarne per modo il dominio da muoverlo poi ove più gli talenti. Il poeta dev'esser filosofo , deve ancor egli dare precetti : la sola differenza che pas- sa tra l'uno e l'altro, come ben sapete, si è questa: cioè, che il primo li detta dalla cattedra, il secondo li mette in azione: il primo parla all'intelletto, il se- condo al cuore. Sì, il poeta dev'esser filosofo, lo dis- se già il Venosino, quando addimostrò ai Pisoni la necessità di studiar le dottrine di Socrate . Questa legge è comune a chi improvvisa, e a chi fa medi- tati carmi. Nella rapidità del dire è riposto il pre- gio di un improvvisatore valente, cui è del pari uo- po di svariata e scelta erudizione, e di non passag- giero studio sui classici. Ora non può negarsi che di tali doni fogse il Gianni in molta parte fornito; e ba- stava vederlo, allorquando toglieva ad improvvisare, ri- concentrarsi in se stesso, infuocarsi nel volto, accender^ si negli occhi, guardar torvo, arruffarsi nel crine, di- stendere impetuosamente le braccia, e metter tutta la persona in un vero stato convulsivo, affine di persua- dersi che queste cose non erano già fatte ad arte, ma che veracemente investivalo un nume simile a quello, che domava la pitonessa descrittaci da Virgilio. Non cantava i suoi versi, siccome tutti gli altri aveano co- stumato, declamavali e con tanta velocità da potersene Elogio del Gianni 355 talora seguire appena i concetti. « Abbiamo in Siena ( cosi il IO agosto del 1795 scriveva in Roma al mar- chese Antinori il Lampredi ) l'improvvisatore Gianni, che ci sbalordisce co'suoi versi estemporanei del mede- simo colore de'già stampali. Ieri mattina fui presente ad una prova che convinse i più increduli. Eravamo undici, ed ognuno in giro dava la prima rima del- l'ottava: e non credasi che fosser tutti discreti. Egli cantò quaranta ottave in due ore con tutti i riposi sulla favola di Leda, che non isdegnerebbe quasi di- rei di aver fatto l'Ariosto. Vi accludo un suo improv- viso sui vasi linfatici : il poeta nulla o poco sapeva riguardo ai medesimi , e si stette a quanto in cin- que minuti gliene disse il Mascagni. » (1} Forse gli amici e i giornali, anche oltramonta- ni (2), col troppo lodarlo in voce e in iscritto, gli (i) Questo canto estemporaneo fu stampato in Firenze nel 1795, in 8, col ritratto dell'autore, e in 16. Nella prefazione a- nonima, ma che si conosce esser dell' ab. Pietro Sarti, si fa una lunga apologia dell'improvvisatore romano, e assai conciasi un altro, che si suppone il duca Gaspare Mollo. Nelle annotazioni si dice, che il gentiluomo Francesco Gagnoui propose il tema, e ctie le rime furon date dai cav. Mario Bianchi, Antonio Borgo- guini, don Francesco Bocci, cav. Pier Antonio Gori , Francesco Cagnoni suddetto, padre Urbano Lampredi, dottor Paolo Ma- scagni, dottor Jjuigi Malegari, padre Massimiliano Ricca, mar- chese Giovanni Cario Serra e ab. Pietro Sarti. Molte altre ri- stampe se ne fecero in appresso. {2) Carlo Luigi Toruow in una sua dissertazione sull' arte d'improvvisare, inserita nel 1806 in Zurigo nella seconda parte di un' opera periodica intitolata Studi romani , parlò anche a lungo di esso; e fra le altre cose diceva, richiedere il Gianni del- l'arte sua molto più di quello, di cui » suoi compagni erano usi a contentarsi, ed aver questo maraviglioso improvvisatore vitto- riosamente confutalo co'suoi versi l'invalso pregiudizio, che l'ar- te d'improvvisare non fosse capace di produrre cose al disopra della mediocrità. 356 Letteratura nocquero: uè gli mancaron malevoli ed invidiosi, i quali diffidassero della verità de'suoi improvvisi, o tut- to ponessero in opera per iscreditarll. E quanto ro- more mai non menarono, allorché improvvisando con ineiro obbligalo sulla morte di Sofonisba, collocò nel- l'Africa il Metauro? Errore in cui confessò essere sta- to tratto da una terzina di Antonio Bruni, che par- lando di Sofonisba avea quell'italico fiume colà situato. A viemmeglio convincere i suoi detrattori, erasi prescritto quegli otto canoni di legislazione poetico- estemporanea, che veggonsi fin dal lygS quasi sem- pre innanzi ai suoi versi. Consistono essi nell' im- provvisar di frequente, nell' evitare i lunghi riposi , neiraccettare qualsiasi onesto tema, addimandandone spiegazione se ignoto, nel lasciare agli uditori la scelta de'metri da lui posseduti, nello sfuggire le inutili in- vocazioni cogli episodi, e finalmente nello scriver su- bito i vei'si cantati. Queste leggi, tutto che savissime e a torto criticate in quell'acre lettera ad una dama stampata in Genova nel lygS (i), furono sempre reli- giosamente osservate dal nostro poeta, i cui versi il più delle volte vennero in Italia trascritti dall'avv. Nic- cola Ardizzoni, che cultore anch'esso delle muse, e dotato di singolare memoria, faceasi ammirare per la felicità, con cui senza mutar sillaba ripeteva i canti dell'improvvisatore romano. E qui mi è vano il dire, che se dalla tenera ana- creontica alla sublime ottava trattò il Gianni ogni ar- gomento, fu veramente grande nell'eroico, sia che gli si dessero soggetti tolti dalle antiche istorie, sia che cantasse le vittorie di Marengo, diFriedland, d'Auster- (i) Yeggasi la nota alla pag 5^5, Elogio del Gianni 35y liz, di Iena, la presa d'Uluiu o di Vienna. Ma per me- glio addimostrare con qualcli'escmpio la cosa, piacciavi udire un breve saggio dei suoi versi, e prendiamolo dai più antichi. Invitato in Roma nel 1791 dall'ambascia- trice di Venezia a cantare l'incontro dell' ombra di Enea coti quella di Didone , incominciò con questi bellissimi versi. » Abbialo in pace l'epico di Manto )) Se calcando dell'Erebo i sentieri ), Io non lo invoco a reggermi nel canto, » Come invocollo il massimo Alighieri : ; ,, Ma quale sarà la ispiratrice sua musa ? Udite con. quanto garbo e con quanta naturalezza lodi la illustre dama, che gli avea dato il tema. » L'adriaca donna, che sull'altre ha il vanto, » Sol co'lampi degli occhi lusinghieri .'■') » Tutta disveli a quest'alma dircea ., » La strada che segnò l'ombra di Enea. » Non temo io no di quella belva rea, » Che tre bocche fameliche spalanca, » Donde le piove ognor schiuma letèa » Giù per gl'ispidi velli in fino all'anca : » Poiché la scorta mia, anzi mia dea, )) JNon teme carezzar colla man bianca » L'indomito leon, che col ruggito » L'Asia sgomenta sull'opposto lito. » Già dell'ombre tra il popolo infinito » L'ombra giugneva del guerrier troiano: » Caron, che l'attendea sull'altro lito, » Da quando il ramo d'or gli scorse in mano 358 Letteratura M Surse, e del remo lurido munito, » Rompendo il pigro flutto a mano a mano, » Con un pie sulla barca un sulla riva: » Salve, e passi, gridò, l'ombra che arriva. Ugualmente nobile è il principio del canto sull'elet- tricità. » Veggo il sicuro genio americano, » Che la folgore un dì tolse al Tonante, » E che propizio mi porge la mano, » E l'elettrico volo intollerante » Meco dispiega sull'immensa sfera ''"^ ' » Col nembo indietro e la saetta innante, » A ricercar l'origine primiera » Di questo fluido incognito mi reca » Fin dove mena il sol la sua carriera ec. Chi non sentesi infiammato a questa vivissima ottava di Orazio al ponte ? » Guerriei* di libertà, Coclite invitto, » Io ti ravviso sul confin del ponte, » Siccome rupe immobilmente ritto » Col ferro in alto e le minacce in fronte : » Mugge d'intorno l'orrido conflitto, » Scorre di sangue uman tepido un fonte, » E in quelle luci furibonde inchina » La vendicata libertà latina. Né le sole invocazioni , ma tutto appieno si corri- sponde : e vi si trovano ad ogni passo similitudini evidentissime e pensieri sublimi, specialmente allor- Elogio pel Gianni SSg quando, come dissi, cantava le trionfalrici arme ita- liane e francesi. INon posso passarmi dal riferire la morte di Fernando nella battaglia di Iena : » Pur d'illustrar l'inevitabil ora » Del suo morire Fernando si attenta, » E col ferro e la voce i suol rincora : » Stretto in siepe d'acciar qua e là s'avventa )) Trafiggendo, e trafitto nella sabbia » Alfin stramazza e pallido diventa. » Risurge e poscia ricade, e le labbia » Morde imprecando la sua stella prava » Con accenti affogati dalla rabbia. » Tal fischia e soffia vomitando bava » In caldo vetro il livid'angue chiuso » Dal sicul ciurmadore in ardua cava. » E a torme si traboccano laggiuso » Gli altri serpi, che incesi dal colono » Sguizzan sepulti in cumulo confuso. Può forse meglio di così plngersi vaga e gentile don- na ? )> La statura di amazzone e l'aspetto, » Occhi soavi, capigliera bruna, » Florida guancia, e labbro tumidetto, » E un sen che vince nel candor la luna : » Difficil core e limpido intelletto, » Che i tesori del ver tutti raduna. )) Così Giove fe'Silvia, e parve allora » La sua Pallade aver la terra ancora. Ma benché alcuni improvvisi del nostro poeta fos- 36o LSTTBRATURA sevo tradotli in latino, ed in francese volgessero il Domenjoud i saluti del mattino e della sera (i), il Courbillon l'ultima guerra dell'Austria, ed il Blaa- villain , Leda e Giove , suole pur nondimeno darsi tra essi meritamente la palma all' assedio di Geno- va nel 1799 e alla battaglia di Marengo , cui ben volentieri si vorranno aggiugnere gli eroi francesi in Irlanda; tanta è la bellezza di questo canto, in cui si leva a cielo la generosità di tre francesi, i quali per liberare dalla morte tre irlandesi fatti prigionieri dai britanni nella spedizione d'Irlanda , sostituironsi ad essi in mentite vesti, nell'ora del cambio, e con eroico coraggio subirono l'ultimo supplizio; andando quindi i loro spettri, al sorgere dell'aurora, ad atter- rir l'anglo monarca die nel sonno poltriva. Ma troppo lungo sarei, se tutti esaminar voles- si i luoghi più belli del nostro impiT)vvisatore, di cui il Salfi fece un elogio forse alquanto esagerato nella rivista enciclopedica (2), Più moderati son quelli, cbe ne dettarono i due nostri accademici Enrico Lovery, di chiara memoria (3), ed il professor Vaccolini (4). (1) Genova i8i i. (■2) Tomo XVI- Egli il dice tialo nel ìjBg: ma è abbaglio seguito pure nel supplemento della biografia universale dal sig. MicliHud, il giovine. Noi ci siamo attenuti al Lovery, si perchè romano, sì perchè diiigentissinio nel ricercare le notizie. (3) V. fllbum, giornale letterario e di belle arti. Anno III, vo- lume 3, 1837. (4) Biografia degl'italiani illustri del secolo XIX, e de' con- temporanei, compilata da letterati italiani di ogni provijQcia, e pubblicala per cura del prof Emilio De Tipaldo. Voi. IX. Ve- nezia, dalla tipografia di Alvisopoli iSS^. Mi si è asserito che al- tro elogio ne componesse il professore Gavotto ; ma per quante indagini abbia praticate, non mi è venuto fatto di averlo. Anche Elogio del Gianni 36 i Il marchese GIo. Carlo di Negro sparse poetici fiori sulla sua tomba, e mise in luce una visione in ter- za rima ricordara con onorevoli parole nel presente giornale (i), ove a lode del nostro poeta dicesi « che iiiuno giunse a sì alto grado di perfezione a quanto esso pervenne, improvvisando cose tanfo belle e pre- gevoli in fatto di poesia, la più parte delle quali leggcsi tuttora con piacere e con ammirazione » (2). Che io «11 sappia altri di lui non iscrissero, e ben poco del- la sua morte si parlò ne'glornali. De'suoi manoscritti nulla avrei a dire: e pur troppo saranno miseramente perduti, non essendo giunti in Italia! Forse una bene scelta raccolta delle sue lettere non sarebbe discara, e assai meglio ci porrebbe in chiaro della sua vita (3). il Ticozzi, nella conti, uazione de'secoii delln letteratura del Cor- niani", ne diede la bi'ogralia, molto per verità inesalta. (1) Tomo XLVI. (2) Anche dopo la morte del Gianni si ristamparono più vol- te le sue poesie. (5) In prova di ciò pubblichiamo due altre lettere che dob- biamo alla somma cortesia dal sopranominato sig. conte Alber- ghetti, a cui sono dirette, e che valgono anche a meglio confer- mare quanto abbiamo scritto in questo elogio. „ A. C. Parigi II febbraio 1810. Il tuo felice arrivo in Ro- ma mi ha colmato di una somma consolazione , perchè mi an- nunzi che presto ci rivedremo. Quanto al decreto per la ristam- pa delle mie battaglie, sembra che S. A. abbia credulo meglio di procurarmi cosa più rilevante; onde si farà una scelta edizione di tutte le mie rime. Ciò ancora non è stato realizzato, ma tanto S. A. quanto i ministri lo sperano dopo la certezza in cui sia- mo, che l'imperatore ha ricevuta e gradita l'ultima delle mie battaglie con una mia nota. Lavora dunque di buon animo , e non dubitare di alcun sinistro. Nella odissea ho trovalo due passi che sono necessarissimi alla lua dissertazione: il primo è quando Ulisse nell'isola de' feaci , oggi detta Corfù , incontrandosi alla mensa di Alcinoo, s., ben mi ricordo, sente cantare a Demodoco le cose di Troia, ed Ulisse gli dice: Poiché sai con bene le vicende 362 Letteratura Legò la sua eredità all'unica figlia del suo fratello, la quale maritatasi nel 1824 in Bocchignano in Sabi- na a Mario Guadagni, è in oggi insieme al marito defunta, avendo però lasciata numerosa prole. di quella, cantami l'aguato del cavallo. Ciò è una specie d' im- provviso, ma limitato ai fatti troiaui soltanto, come gl'improv- visi di Lorenzi che non trattavano che soggetti filosofici. Il se- condo è Femia, il quale avendo sempre cantato alla mensa de' proci nel momento , che questi furono uccisi , egli abbraccia le ginocchia di Ulisse, pregandolo che gli perdoni, ed aggiugnendo esserne meritevole, perchè non ha studiato la poesia, ma è stalo unicamente formato poeta dalla natura; e cosi gli viene dall'eroe perdonato. Questi passi vanno riscontrati , esaminati e discussi profondamente, perchè orneranno di bellissima luce il tuo lavo- ro. Io gli ho comunicati a Visconti, che n'è meco convenuto. Ma a proposito di battaglie, dimmi se IVlioIlis ha fatto stampare la mia ultima affinchè io possa regolarmi. Egli mi scrive una gen- tilissima lettera, ma nulla mi dice di questo. L'amico, il cui pa- ragrafo ti ho trascritto, non è capace di mentire: e però come tu. dici il contrario , converrà credere ch'egli siasi trovato in qual- che compagnia di titolati ignoranti, i quali ignorano che un mo- mento d'ispirazione può fruttare alle volte secoli d'immortalità; e siccome tutto il male non viene per nuocere, un momento d'in- dignazione contro costoro mi ha dettato il seguente sonetto, che qui risuona nelle bocche di tutti gl'illuminati italiani, e risuone- rà spero assai lungamente. Il genio della poesia estemporanea. „ Dunque al genio febee, che me sublima ec. ec. ,, j, Tu darai a questo sonetto la massima pubblicità, come gli sarà data in tutte le città d'Italia : poi lo ristamperò in fronte della nostra raccolta. Mi ero dimenticato di dirti, che quel De- modoco essendo cieco, e trattando delle cose troiane, io suppon- go che Omero abbia sotto quel nome voluto disegnare se stesso. Visconti è convenuto nella mia opinione. Dimmi se mi hai tu sa- lutato Battislini, madama Arnaud, e gli altri amici. Ricordali di portare quando vieni le divine opere dell'arcidivino Sperandio , affinchè ridiamo qualche sera con Visconti. Credimi a tutte pro- ve sempre il tuo amico Francesco Gianni. ,, „ Mio caro amico. Parigi 24 giugno 18 11. Non ti so espri- mere il piacere che hanno prodotto nell'animo mio i tuoi ca- Elogio del Gianmi 363 La vita del nostro poeta parmi che potrebbesi in molte cose assomigliare a quella del Metastasio. Ambedue nati in Roma di padre forestiero, ambedue caratteri sospirali da un si lungo tempo. Il termine fortunato de'tuoi combattuti amori, l'annunzio di rivederti qui unitamente a colei che forma l'adempimento de' tuoi più caldi voti, ed il tuo ritorno alle muse, sono immagini che destano a vicenda tutta la tenerezza della mia amicizia per te, ed il fuoco della mia im- maginazione, che non contenta del presente, slanciasi a contem- plare il tuo avventuroso avvenire. Ond' è che, assai più di tutto ciò che hai fatto per mio fratello, io ti ringrazio di avermi date le tue nuove congiuntamente alle tue non vane speranze. „ La contessa BrIgnole,la più rispettabile per non dire ado- rabile di quante dame vanti l'Europa, mi condusse improvvisa- mente in Genova, che può dirsi la mia patria poetica. Quivi sti- molato ad improvvisare quasi fino dalle pietre medesime, in poco ho composto uu libriccino che sarà cred'io cosa nuova in- tutte le letterature dell'universo. Non ridere di grazia, perchè questo elogio, seppure è tale, non si deve a me, essendo tale opera uà puro effetto del caso. Mi spiego. Partito di qui col proponimen- to di mai più non improvvisare, poiché quest'arte divina è ancor profanata inltalia dalla impostura e dalla mediocrità encomiate e protette a dispetto del buon senso e dei pochi inspirati da Febo, fui invitato dalla mia conduttrice a darle in versi improvvisi al- meno la buona sera. Ella stessa scrisse questo saluto poetico ia presenza di vari amici, che mi applaudirono oltre il dovere, for- se per eccitarmi a cose maggiori, come di fatto avvenne. Il mat- tino seguente fui da essi invitato a dare il buon giorno alla da- ma: e siccome eravamo tutti alloggiati nel suo magnifico palazzo alla campagna di Voltri in riva del mare. Io profittando delle sce- ne, che la natura del luogo offriva ai miei occhi, feci all'improv- viso per dodici giorni, dodici saluti il mattino e dodici la sera , variando metro e stile secondo la vena che mi apriva 1' impeto dell'estro. Cosi furono scritti ventiquattro saluti, che i più seve- ri giudici di poesia, che dimornvan con noi, o che ne udirono in seguito la lettura , condannarono irrevocabilmente alla stanipa ; e non potendolo io impedire, tentai di renderli almeno rispetta- tili, se non per il loro merito, almeno ornandoli ciascuno di un' epigrafe che tolsi dal divino Dante. Il titolo di questo libretto si è; „ I saluti del mattino e della sera improvvisati da Francesco 364 Letteratura poverissimi : in una vile bottega la prima loro edu- cazione : r udirli fanciulli improvvisare, principio di fortuna : 1' uno gratuitamente istruito dal Gravina , Gianni ad una gentil donna. ,,N allo bel salutar fra noi si tacque. Dante,, A tutlociò si aggiunge una lettera storica del mio viaggio e della mia dimora in Genova diretta dal professore Bocci ad E. Q. Visconti; ed in essa vi sono alcuni squarci di altri miei gran- di improvvisi epici o lirici: dico grandi non per il loro valore , ma perché ciascuno di essi è durato tre ore, o tre ore e mezza ancora: di maniera che se nnn ero ricondotto dalla mia musa a Parigi, sarei ben tosto crepato sul parnaso ligure, come Epami- nonda sul campo della gloria marziale. Il eh. sig. avv. Caniblaso ne ha composta quasi estemporaneamente un analisi od estratto in versi bitini, che saranno unitamente stampati alla lettera sto- rico-critica al comune amico Visconti, come ti ho delio. ,, Il mio poemetto anacreontico per la nascita del re di Ro- ma è stato qui stampato, per decreto del governo , col massimo lusso tipografico; e Marescalchi deve averlo invialo a S. E. il governatore, cui scrissi ringraziandolo di quanto avea fatto per mio fratello: sicché mi sembra inutile di spedirtelo, e tanto più che io non ho l'onore di conoscere questi personaggi romani, che dovrei pregare ad incaricarsene. Quanto al libro stampato a Genova, scriverò affinchè te se ne spedisca copia con qualche occasione per evitare il dispendio della posta. Se tu frattanto, o qualche tuo amico, volesse estrarre da questa un articolo lette- rario da inserirsi nella gazzetta romana, mi farebbe cosa gratis- sima, richiamandomi per tal mezzo alla memoria de'miei concit- tadini, che spero e desidero di rivedere ardentissimamente, ma non so ancora in qual tempo. ,, Quanto io abbia parlato e parl(;r(^ di te con questi grandi, lo vedrai al tuo arrivo in Parigi; la loro accoglienza te lo pro- verà meglio di ciò che potessi io mai scriverti con questo foglio. M'incresce molto di sentire Battistini, uomo di vero merito, non caro alla fortuna, la quale se fugge da chi la segue, molto più si allontana da chi la sprezza. Se io potessi impegnare qualcu- no de'personaggi che conosco in suo favore, non hai che ad in- dicarmelo, che farò ogni sforzo possibile per giovargli. Cosi po- tessi farlo direttamente come vorrei ! Ma tu conosci la scarsezza delle mie facoltà. Salutami caramente questo degno amico, ed apri ad esso i sentimenti del mio animo a suo riguardo. FxoGio DEL Gianni 365 raltro 3al Baltistini : per quello la Gerusalemme li- berata, per questo l'Orlando furioso, sprone a poetare: ambedue celibi, amati da principi, giunti a tarda vec- chiezza, teneri della lor patria, morii con dovizie fuori d'Italia, ove da piìi tempo aveano fermato lor domici- lio, ambedue di famiglia poco dopo lor morte estinta. Onorò quello la corte di Maria Teresa, questo la reg- gia di Napoleone. E a dolersi clie il nostro secolo, si abbondevole di uomini dotti, sì ferace di utili trovali, si amante del progresso, e di quanti più preziosi beneficii ar- ricchir possano l'umanità, non sia si vago della poe- sia, e specialmente della estemporanea: sebbene pur veda cultori chiarissimi delle muse, nel bel numero de'quali siete ancor voi, o illustri accademici. Rin- savirà, però ne son certo: e dai tradimenti, dalle car- neficine, dai patiboli e da quelle altre scene di or- rore, di cui vediamo oggidì riboccar molti libri, tor- nerà a gustare le bellezze della vera poesia italiana. Rileggendo allora i versi del Gianni, spento ogni par- tito, e al lume di quella verità che fedelmente vie- „ Eccoti un'iscrizione da incidersi sull'urna, che racchiude il cuore di una bambina morta alla duchessa d'AIbergli mia amica. Già sul materno petto Con tenero diletto Questo cor pulpito sovente, ed ora Teneramente ancora Sembra di morte a scherno Che palpiti di duolo al duol materno. Salutami intanto la tua dolce compagna, Marconi, Piranesi e gli altri comuni amici. 11 tuo afleziouatissimo amico F. Gianni.,, 366 Letteratura ne discoperta dal tempo, vedrà ch'egli fu il più gran- de improvvisatore de'giorni suoi, e che a ragione si promise l'immortalità in quel sonetto contro i suoi detrattori, che inedito fu stampato in Napoli nel 1824, e che divenuto rarissimo , servirà ora di chiusa alle naie disadorne parole. Dunque al genio febèo, che me sublima Fra gl'itali cantor, verrà negato Ch'orma profonda sul parnasso imprima, Perchè scorrere lo suol con piede alato ? E al cauto senno, che più certo estima Poggiar lassù con passo meditato, fia sol concesso nell'eccelsa cima Stampar vestigio che resista al fato ? Torvo il genio mi guata, e l'ali ahi ! quassa, E dice: O vate, del tuo lume interno Lo splendor non offuschi idea si bassa. Ve'come ratto il folgore superno Scoppia in fronte alle rupi: eppur vi lassa Del suo rapido volo un segno eterno. -^«G^SSSOeB^ 367 Brillili AWLTl Discorso recitato alla premiazione del concorso scolastico delV insigne e pontificia accademia romana di san Luca , il dì 22 di dicembre 1842, dal casfaliere Ferdinando Cavalieri, pro- fessore ^ consigliere e censore della medesima , membro della reale accademia albertina di To- rino, delVI. e R. di Firenze e di altre d'Ita- lia, pittore di gabinetto di S. M. il re di Sar^ degna, direttore degli studi darte in Roma ec. JT ocbi sono gli argomenti, i quali possano così fa- cilmente deviarsi da'principii riconosciuti una volta per istabili, come quelli che sulle arti belle si ag- girano: essendone la base il mobile pensare degli uo- mini, e le circostanze dei tempi più o meno favore- Voli allo sviluppo 0 alla conservazione di essi prin- cipii. Laonde, erainentissimo e reverendissimo princi- pe, illustri accademici, valorosi alunni, se in tal gior- no dedicato all'incoraggiamento di esse mi fo a pre- mettere alcune mie riflessioni , ciò sarà brevemente in questo disadorno siile, e con la sola speranza che poche verità incontrastabili ripetute ( intendo dire di quelle medesime che servirono di base ai sommi ingegni per elevarsi alla sublime altezza del secolo XVI, a cui non si giunse più mai ) potranno far argine alle pe- 368 Belle Arti ricolose innovazioni , onde da alcuni si vorrebbero limitare le odierne facoltà agli esempi che ne tra- mandarono quegli artefici che, sorgendo in mezzo al- le barbarie di rozzo secolo, non potevano al certo far- ci vedere il rinascimento delle aili come il porten- to di Minerva che uscì tutta armata e compiuta dal capo di Giove. Questi incitamenti trovar potrebbero un eco tan- to più favorevole nella mente della studiosa gioven- tù, che a tal nobile carriera è rivolta, quanto che to- gliendo essi alla pittura la parte predominante, che è di parlarci alla mente per mezzo degli occhi (non con la rozza semplicità dei secoli primitivi dell'arte, ma con tutti quei prestigi senza riserva, che possa- no contribuire a renderne completa l'illusione), cre- derebbero forse più facile, senza questi necessari re- quisiti, di salire alla gloria ed alla rinomanza. Perciò è dovere di chi veglia alla conservazio- ne di questo palladio sacro alle arti belle, il pronun- ciarsi fortemente contro tali dottrine , incoraggiate dall' avversione che oggi si nutre di acquistar fama con sudori e fatiche , come 1' acquistarono i nostri antecessori ; anziché con salde ragioni o , che me- glio sarebbe , con operazioni in pratica che reggere potessero al paragone di tanti egregi lavori da essi o simulatamente sprezzati, o in apparenza vilipesi, far- ci toccare con mano quale fosse la pratica, che an- teporre si vorrebbe alle opere insigni dall'antica Gre- cia tramandateci, oppure di quelle che giunte al lo- ro apogeo nel secolo dei Medici, ci attestano il va- lore dei Michelangeli, dei Raffaelli, dui Vinci, e del Correggi. Dissi farci vedere in pratica ; poiché non manchiamo al certo di tante discussiorà in iccritto. Discorso dei, Cavalleri 369 a legger solo le quali si nchiederebbc tutto il tem- po prezioso che ci conviene a ben migliori fini in- dirizzare. Che se taluno dei nominati artefici egregi prese talvolta la penna per avvalorare con le proprie sentenze quanto già dimostrato avea con le opere , fu solo suo scopo 1' internarci vieppiù nelle arcane discipline dell'arte coi consigli dettali dalla esperien- za. Essi il facevano con la filantropia di chi , sce- vro da qualunque ragione estranea al vero avanza- mento di queste arti belle , fa generosamente dono di ciò che con vigilie e sudori acquistò pel bene de' suoi simili. Quindi era speculativo, non mai specu- lazione volta ai propri interessi, il loro dire. Potrem- mo noi dare ai tanti opuscoli, alle tante dissertazio- ni, alle tante disparate opinioni, con che tuttodì ve- niamo e nelle biblioteche e nei nostri gabinetti e nei pubblici caffè inondati, la stessa benevola derivanza? Ohimè nò ! E allorcliè in questa vaga penisola, che un poeta inglese nomò parte di cielo caduta in terra, io veggo per islraniere utopie turbarsi l'armo- nia delle arti sorelle con le interminabili quistioni , e co' sofismi proposti dall'inerzia e fomentati dallo spirito di parte : compiango le ore che si perdono in sì sterili allettamenti ; e mi rattrista l'animo il ve- dere tanti giovani, speranze della patria, smarrirsi die- tro vane teoriche, mentre il tempo si vola: sicché nel rivolgersi che faranno i nostri nipoti a ciò che noi lasceremo loro in retaggio con queste oziose discus- sioni, ci paragoneranno ai greci di Costantinopoli , i quali stavano dibattendo le più astruse disquisizio- ni metafisiche, piuttosto che difendersi dalle saraci- nesche scimitarre, che già sovrastavano alle mura di G.A.T.XCIV. 24 370 Belle Arti quella inerme città per definire i loro sofistici ragio- namenti. Ma ognuno già conosce come si eludino que- sti incitamenti al maggiore operare. I tempi contra- ri (ci si dice) al progredimento delle arti, le poche occasioni, gli scarsi amatori; ecco i motivi, secondo alcuni, per cui la gioventù non si curva, come per lo passato , al grave carco delle faticose discipline. Ma no, che le occasioni, o giovani, non possono pre- cedere lo studio: sì bene con questo ci bisogna con- quistar quelle. Né il porgere orecchio ad insinuazio- ni di nuova maniera , che ci risparmi un bel tratto di tali sludi col dirigere esclusivamente le nostre fa- coltà intellettuali alla estetica dell'arte, più che a su- perarne in pratica le difficoltà, sarà fonte di maggio- ri occasioni all'opei'are, o di maggiori incoraggiamen- ti; che, la Dio mercè, pochi protettori avranno sem- pre quelle maniere sprovviste degli allettamenti di un' arte, che se deve nella sua purità istruirci, deve an- che con le sue bellezze innamorarci ; perciocché è natura dell'uomo, non guasto da sofismi di parte, il cercare in ogni tempo il bello, il grande , il subli- me, ed il piacevole. Intanto non raccogliamo noi già il frutto di queste lamentevoli teorie, e con le scarse oppor- tunità che ne vengono offerte di premiare le odier- ne opere, e con 1' inci^edibile confusione che viene ad invaderci sin nell'asilo sacro delle arti belle ? E facile il comprendere come un egregio professore avrà forse trovato qualche menda da apporre , supponia- mo, all'Apollo di Belvedere. Or ecco venir dopo al- cuno, che per farsi saccente accresce tale pecca; al- tri in seguito la raddoppiano; finché questa statua , che fu sino al dì d'oggi unica e sublime, diviene un Discorso del Cavalleri 37 i modello di convenzione non più atto ad essere stu- dialo nò imitato. Ma che dirò poi degli strani raziocini e della logica, con che si ragiona sugli antichi dipinti ? Se- condo taluni si dovrebbe tirare una linea di divisio- ne alla metà del secolo XV : e quanto si operò do- po, gettarlo caritatevolmente alle fiamme. Altri, più ragionevoli, approvano qualche cosa in Raffaello (ve- di generosità! ), ma trovano ammanierato il Buonar- roti; goffo il Zampieri; Guido stucchevole; accademi- co, e non piìj, Annibale Caraccio del Correggio poi non giova parlare, che questa è la vittima espiato- ria su cui si gettano tutte le abbominazioni del ma- nierismo. Ma prendano animo i detrattori di tali so- vrumani ingegni; poiché questa non è già la prhna volta che facciasi sfregio alla loro memoria, né che la fama di opere maravigliose sia soggetta alla insta- bilità dei nostri gusti: ed io ad essi ne fornirò un esempio di più in uno degli scrittori, del quale tut- ti conosciamo le opere ed i precetti, voglio dire del- l'Armeninl. Odansi le sue ingenue parole. )) Ci sono alcune tavole e quadri lavorati ad » olio di mano di Tiziano, di Correggio e di Par- » migianino, per quanto passando ho io potuto ve- » dei-e per l'Italia, i quali sono bellissimi, ma si veg- » gono poco apprezzati a questi tempi. (Precet. di piti. » lib. II cap. I ).» Così noi vediamo come l'allonta- narsi dai sani principii dell'arie produca in varie epo- che i medesimi effetti. Ora ritorniamo a questo manierismo tanto ab- borrito da quella parte piia pura de' moderni amatori del bollo, e vediamo un poco qual sarebbe lo stile che vorrebbero ai dispregiati artefici sunnomali ante- 372 Belle Arti porre. La risposta è ovvia : / pittori quattrocenti- sti. Ora lo stile di essi che (giova pure il dirlo) giac- que per quattro secoli sconosciuto, o non prezzato, o almeno non mai imitato da lutti i grandi artisti senza eccezione, non è pur sempre uniforme e poco allo alla imitazione del sublime e del grande, come ce lo dimostrò il genio dell'urbinate, quando lo ri- pudiò dopo la sua venuta in Roma ? Non è questo stile privo d'ogni risorsa nelle arcane maraviglie del chiaroscuro ? E non è desso limitalo alle angustie di un freddo e timido pennello, lungi dal superare le gravi difficoltà della possente illusione colla magVa del colorire ? Di più, non è desso ignorante, o finge di esserlo, per ciò che risguarda il costume dei popoli, i loro riti, e la varietà delle loro fisonomie ? Se dunque manca di cotanti necessari requisiti, non dovrà questo stile riconoscersi per una operazione convenzionale, la quale non solo non tende alla scel- ta imitazione della natura, ma non giunge a poterla imitare in ogni sua parte ? E tale convenzione che cosa è, se non un pretto manierismo ? Che poi sia più da apprezzarsi la maniera, che ]>ropenda alla mo- notona semplicità, anziché al troppo vario e al trop- po ricco, è una di quelle controversie che non è mio fine il discutere; bastandomi di avere 'accennalo, che pure è maniera , e tale che richiede minori sussidi dall'arte d'imitazione. Aggiungerò per altro, che nel- la ricchezza e ridondanza vi è varietà da potere oc- cupare le menti ed il genio di questo o di quell'arte- fice, che possa aver sortito inclinazione o per il gran- dioso nei dintorni, o per il chiaroscuro, o per il co- lorito; mentre dirigendosi ad una sola qualità, o al- meno a ben poco verso le altre, tutte le nostre facol- Discorso del Cavalleri 373 là, ne verrebbe in conseguenza una raonolonla di ope- rare in tutti, cbe sarebbe bastante a spegnere qua- lunque entusiasmo, ed in conseguenza qualunque fa- villa di genio. Appunto da questa rotaia d'imitazio- ne ci vuol preservare Longino, allorché ci disse nel suo trattato del sublime : «Essere dall'Onnipotente » impresso nel cuore dell'uomo il desiderio di erau- » lazione, e quel nobile sentimento , che alla vista » di opere grandi e maravigliose ci accende di desi- » derio di sorpassarle; e ciò affinchè non fossimo , » come i bruti, sempre rinchiusi in uno stesso cir- » colo d'idee, senza migliorare la nostra condizione ». Spiegò il gran retore in tal guisa come ad in- credibili avanzamenti nelle arti dell'incivilimento pog- giare si possa con fermo volere, non già d'imitare, ma di superare altrui. Che poi lungi da tale esalta- zione, cosi confacente allo slancio del genio, il gu- sto del presente secolo tenda alla realtà ed al posi- tivo , ninno il contrasta. E che perciò ? Vorremmo noi dire che esso sia favorevole alla poesia o alle ar- ti, la cui sorgente nasce solo dall'illusione ? Non vedemmo noi, negli scorsi anni , con un tratto di penna da erudito scrittore oltramontano can- cellarsi tre o quattro pagine dell'antica romana isto- ria ? Or benché sia basato sulla sola verità il domi- nio di quella , pure a chi di noi non rincrebbe il veder perdersi tante aggradevoli memorie de' nostri primitivi studi ? Le quali or più non esistono né per noi, né per le generazioni avvenire. Non l'abbiamo noi veduto, questo spirito ana- litico e positivo, bandire la greca mitologia dai no- stri poemi, dai nostri quadri, per dar luogo invece alle ispirazioni malinconiche armonizzale alla cetra 374 Belle Arti (lei più moJei'ni bardi scandinavi e caledonii ? E come se fosse pregio di questo secolo il far cadere ad una ad una tutte le nostre più care illusioni, tut- ti i prestigi, non viene adesso, da una parte alme- no dei cultori delle arti belle , proclamato , che ci siamo troppo inoltrati negli allettamenti di un'arte, che deve solo ispirarci nozioni metafisiclie ? Quindi addio, incantesimo del colorito ; addio, prestigi del chiaroscuro; addio, spazi creali dal magistero dell'aerea prospettiva. Ma dove mi trasporta l'immaginazione ? Non sono io qui nel tempio delle arti, che l'egida di un augusto Gerarca, che la sapienza di un eminentis- simo principe, proteggono, e che il valore d'illustri professori mantengono con istituzioni, che furono sem- pre il distintivo della romana scuola ? Scuola del bel- lo, del grande e del sublime, basata come ella è sag- giamente sul detto di quel filosofo greco, che; « L'av- » veduto artefice ingannerà lo spettatore con simu- » lata vastità , mentre non è che di mente triviale » il concepire oggetti grandi soltanto per la loro di- » mensione; ne opera in arte può nominarsi gran- » diosa, se non inganna l'occhio del riguardante ». Alla quale inappellabile sentenza, o giovani eletti , mi permetterò di aggiungere un solo avviso , che se è seguito , vi dai'à possanza di rivolgervi in fine a quello stile , che più negli anni vostri maturi sarà da voi trascelto: Operate^ operate^ operate. Il i9 liiitiDO^^tJ * " 375 irM,WLtMTM,^ La dìes ìrae volgarizzata dal conte Giovanni March i2tli. la. Bolo- gna tipografia SaSài e fonderia Amoretli i843. (Sono carie ii.) JCTrova non piccola del gran magistero die il conte Marclictti ha in ogni genere di poesia è il volgarizzamento bellissimo della sequenza cattolica del di de'morti. Bellissimo abbiamo dello: e dovevamo anzi dire incomparabile. Noi qui ne onoriamo le no- stre carte. Ahi che il giorno dell'ira di Cristo, Quel gran giorno da'vati previsto. Arso il mondo e consunto farà! Quando austero il divin giudicante L'opre umane a librar tuttequante Infralì muto spavento verrà. Una tuba, inaudito tremendo Suon per tutte le tombe spandendo, Trae le genti universe al suo pie. Gualan Morte e Natura stupite Trepidanti risorger le vile A dar conto all'Eterno di se. Quel volume ivi aperto vedremo. Ove quanto al giudizio supremo I'"ia materia, vergato starà. Dio sedente nell'aureo suo scanno. Senza velo le cose parranno, Senza schermo la colpa sarà. Quale allor farò prego o lamento? Chi m'affida in quell'ora, che a stento Potrà il giusto fidanza serbar? Re tremendo, e pur fonte d'amore, Se qual vuoi per tua grazia non muore, Per tua grazia me degna salvar. 376 Varietà' Te guidò, Gesù dolce, il mio bene Sull'iiniano cammin de le pene; Deh pietoso il rimembra in quel dì 1 Tu col sangue e co'strazi rapilo Hai quest'alma agli abissi: patito Avrà indarno clii tanto pati ? O tu, giusto in tuo vindice sdegno, Me rimonda pria ch'odasi il segno Di tua santa terribil ragion. Vo qual reo, come vedi, piangendo, Di vergogna nel volto m'accendo, A te chieggo, e tu dammi perdon. Se Maria di sue colpe solvesti. Se benigno al ladron ti volgesti. Tu di speme fidasti pur me. Io con prece non degna t'invoco; Ma tu, pio, fa ch'io scampi a quel foco, Cui ristoro, cui termin non è. Me discevra da'capri rubelli, E alla destra fra'candidi agnelli Tu ripommi, o divino pastor. Tu, confusa la reproba gente, Fulminata nel baratro ardente, Con gli eletti me chiama, o signor- ie di me supplichevole al suolo, E qual cener contrito, a te solo Raccomando l'estremo destin. Nel gran giorno di pene e mercedi Tu alla polve risorta concedi Quella pace che mai non ha fin. Delle nozze di Costanzo Sforza con Camilla cT Aragona celebra- te in Pesaro l'anno i^']S , autografo del conte Giulio Perti- cari. 4. Pesaro dalla tipografia degli eredi Nobili i843. (So- no carte 12.) Oiano grazie alla gentilezza d'animo del conte Gordiano Perti- car!, il quale ci ha fatto il bel regalo di questa operetta tro- vata fra'manoscritti del celebre suo fratello. Essa è una gemma di più per l'istoria delle pompe e cortesie italiane di una età , in cui tutto fra uoi voleva tergersi dal fango del medio evo. Varietà' 877 Al professore di lingua e letteratura greca e di storia profana Massimiliano Angelelli,gli uditori dell'una e dell'altra scuo- la con animo grato e lietissimo D. D. l'anno iS/f^. 4- Bolo- gna tipi governativi alla yolpe 1842. (Sono carte 16, col ri- tratto dell' Angelelli;. JLi età ridicola, che ha per suprema letteratura i romanzi, e che va fin oltre alle alpi ad imbrattarsi nelle lordure degli Ugo , dei Balzac, dei Dumas, e degli altri polifemi della cosi detta poesia francese , non può mai dileggiarsi abbastanza da un animo ge- neroso. E ciò ha fallo un italiano dei più dotti e gentili che ci fioriscano, il marchese Massimiliano Angelelli, in un sermone al suo degno amico e collega professor Valorani : sermone elegan- tissimo , che gli alunni della scuola di lingua greca e di storia dell'università di Bologna hanno pubblicato per riverenza dei- riusigae loro maestro, e per esempio ed utile dell'Italia. Notizia di un busto di Demostene con greca epigrafe , letta al- l'accademia ercolanese dal cav. F. M. Avellino segretario perpetuo. 4- Napoli dalla stam,peria reale 1841. (Sono car- te 19.) Al busto di Demostene, illustrato colla solita dottrina dal cele- bre cav. Avellino, fu trovato in Canosa nel iSZj, ed è possedu- to da monsig. arcivescovo Rossi accademico ercolanese. Esso è massimamente pregevole per l'epigrafe metrica , cioè io un bel seuario, che gli si legge sul petto, e che dice : , 0Ec . A0ANA AYNAMIOI AAMO20ENHN interpretata così dall'Avellino; Deae Minervae Dynamius Demo- sthenem : cioè Demosthenis effigiem dedicavit. 378 Varietà' AVVISO VJi sono state inviate (perchè se ne parli nel giornale arcadico) le boriose biografie che alcuni hanno scritto, o finto di scrivere (prestando il proprio nome in servigio dell'altrui burbanza ) di viventi persone di lettere. Noi non solo non parleremo di tali miserie : ma sì diciamo fin d'ora, che più svergognata ciarlata- neria non potrebbe presentemente disonorare l'italiana lettera- tura. Esperienze sopra un nuovo antagonismo del midollo spinale nelle rane. Di Lionello Paletti, in 8. ,,X ondò lo e sostiene tutt'ora l'antagonismo de'cordonl del midol- lo spinale un celebre italiano, Carlo Bellingeri. Ma un altro anta- gonismo fra la metà superiore e la inferiore, lo ha non è molto pro- clamato l'illustre Engelhardt da lui scoperto nelle rane. Questo fatto lo annunziava egli nella Rivista britannica del luglio del 1841, dove è scritto e con esperienze dimostrato, che le lesioni della midolla dalla prima alla quarta vertebra eccitano negli ar- ti la flessione; dallo spazio tra la quarta e la quinta, fino alla fi- ne della colonna, eccitano la estensione. ,, ( Vedi, Annali Omo- dei-Calderini, novembre e dicembre iS.ji, pag. &'ìQ). Ignaro delle sperienze di Engelhardt il dott, Lionello Po- letlì a Ferrara praticava sperimenti sulle rane , e confermava alcune opinioni del nominato professore, ed altre ne rendea più chiare, distruggendo le restanti. Ecco le conseguenze che in fi- ne di questo suo dottissimo scritto l'autore ne trae: ,, I. La porzione superiore della midolla spinale delle rane, sino all'intervallo Ira la qurirta e quinta vertebra artificialmente irritata , eccita negli arti inferiori i moti di flessione con abdu~ zione: irritata la porzione inferiore da quell'intervallo inclusiva- mente all' ingiù, eccita i moti di estensione con adduzione. Que- sto avea io prima osservato sin prima che in Italia si divulgas- sero i lavori di Engelhardt. Ciò è conforme a quanto egli pub- blicava, se togliamo quella lieve ammenda sulla natura del mo- vimenti provocati. Varietà' Syq „ a. La porzione conisponente dalla seconda e terza verte- bra eccita negli arti superiori i moli di adduzione: tutto il resto i moti di abduzione. Lo che corregge due errori di Engelhardt, per Io quale, come si è detto, anche in ordine a questi, 1' anta- gonismo sarebbe fra le due metà , ed avrebbe ugualmente rap- porto colla estensione e colla flessione. ,, E poiché l'abduzione per gli arti superiori, la estensione con adduzione per gl'inferiori, sendo que'moti, con che le rane sospingono, proiettano il tronco nel salto, sono anche J più ga- gliardi, i prevalenti, così può conchiudersi ancora : „ 3. Che la midolla irritata artificialmente nella metà infe- riore , eccita negli arti inferiori: irritata in corrispondenza alla seconda e terza vertebra, eccita ne'superiori i moli di forza pre- dominante. ,, 4- irritata fuori della seconda e terza vertebra, eccita nei superiori: irritala nella metà superiore, eccita negl'inferiori i moti di minore energia. ,, Poiché in fine i moti, che si risvegliano negli arti inferiori, imitando la metà inferiore sono gli slessi, che si ottengono irri- tando i nervi crurali : quelli che si ottengono irritando la parte della midolla vinta dalla seconda e terza vertebra sono gli stessi che si risvegliano irritando i nervi brachiali , così può conchiu- dersi da ultimo': ,, 5. Esservi uniformità d'influenza tra la metà inferiore del- la midolla, e i nervi che ne procedono. ,, 6. Esservi uniformità d'influenza fra il segmento di mi- dolla abbracciato dalla seconda e terza vertebra ed i suoi nervi.,, Segue a questa bella memoria uua lettera al prof. Alessan- drini Intorno ad alcuni fili articolari del ramo profondo della branca palmare del nemo cubitale. É un filo nervoso che dalla concavità della curvatura del ramo profondo della branca pal- mare del cubitale, salisce alla faccia anteriore del carpo, scor- rendo sotto i tendini dei flessori. Era di fatto cosa strana, che mancasse l'apposito nervo per l'articolazione de'metacarpi, tutte le altre articolazioni essendo- ne fornite. La sua grossezza è come quella dei filamenti nervosi destinati ai lumbricali. L'autore promette di darne un'ampia de scrizione, quando avrà meglio studiato questo nervo. 38o Varietà' DeirArcelln di Padova. Notizie storiche raccolte e descritte dal p. Bernardo dott. Ganzati m. e. Padova coi tipi del semina- rio, 1842,»» 8, con due litografie, dijacce 35. Del beato Giordano Forzate padovano , elogio sacro con anno- tazioni storielle . Padova coi tipi della Minerva, i843, in 8., di facce 32. XJa cosa che più ci ha resa gradita la lettera di questi due li- bretti , si è stata la erudizione storica per entro sparsavi eoa senno e giudizio grandissimo. Il eh. A. ha svolti assai codici, e collo studio di questi ha rettificato e posto in luce novelli fatti. Con questo saggio ha dato prova che egli è tale da sobbarcarsi ad opere di maggior lena: e ciò lo diciamo per intimo convinci- mento, abbeuchè ad alcuno sembri poco aggiustato lo epitetare nell'elogio del beato Forzate; il che non sapremmo contraddire. Notizie sulla vita e sulle opere di Gio. Filippo Ingrassia da Rtt~ galbuto con annotazioni critiche per Antonino Insenga dot- tore infdosofia e medicina della facoltà medica di Catania, socio corrispondente della società economica della provin- cia, dell'accademia gioenia ec. Catania, stamperia di Pie- tro Giuntini, 18^1, in 8, di facce gS. il prof, di fisiologia ed anatomia comparata in Pavia, dott. Ar- cangelo Spedalieri, disse pel rinnovamento degli studi il giorno 12 di novembre del 18 16 l'elogio storico di Gio Filippo Ingras- sia, celebre medico e anatomico siciliano, che fu nobilmente stampato in Milano dall'I. R. stamperia nel 1817, con un bel ri- tratto disegnato ed inciso da Luigi Meazzi. Ora il valente signor Antonino Insenga di nuovo si è accinto a si beli' opra , e certa- mente ci ha dato conto del famoso anatomico siciliano, con tan- ta maggiore esattezza e quantità d'interessanti notizie; quindi è che non possiamo che altamente encomiarlo , sembrandoci che nulla sia da aggiungere a questa sua operetta. E. C. B. Varietà' 38 i Indice degli articoli del museo di anatomia fisiologica e patolo- gica umano-comparata dell I. R. università di Pisa a tutto dicembre i8^i, pubblicato dal dott. Filippo Civinini pisto- iese, pubblico professore di anatomia umana, e direttore de- gli stabilimenti anatomici di detta università , chirurgo del reale istituto dei sordo-muti di Pisa ec. Lucca dalla tipo- grafia ducale 1842, in 8, di facce i3i. V^iiest'elenco, lunga pezza desiderato, è stato finalmente dato in luce dal eh. sig. prof. Civinini, con quella esaltezza e laco- nismo d' espressioni , che noi daremmo a modello di somiglian- ti lavori. Questo museo è tutt'opera delle sue fatiche e degli uf- fici di gentilezza praticati con valenti anatomici italiani viven- ti, che si sono privali di oggetti preziosi per la scienza, per cor- rispondere degnamente alle richieste di sì valente anatomico. Il modo con cui è distribuito questo museo, l'additammo al tomo LXXXVIII, pag. 368 di questo giornale. E. C. B. Discorso letto dal dottore Onorato Bacchetti di Pistoia ad una società di studenti medicina nell'I, e R. università di Pisa , ponendo termine ai privati esercizi di patologia e d' anato- mia patologica nell'anno accademico 1841-42. Pisa , stam- peria Pieraccini; in 8, di facce 24. U lilissimo e commendevole riputiamo l'uso di convenire in va- ri studenti, per ascoltare un giovane medico fresco di sludi, che loro rammenti e sponga tutte le regole e cognizioni , che ebber già dai professori. Il sig. dott. Bacchetti ( e questo è per lui un elogio) fu a tal uopo destinato dagli studenti di Pisa: e sul fine dell'anno scolastico pose termine alle loro conferenze con que- sto discorso, in cui espone tutto Tandamenlo dei loro studi, che ci è sembrato molto ragionevole. Il valentissimo sig. prof. Civi- nini soccorreva d'opera e di consigli quella società, ed essa a pa- lese testimonianza di grato animo il giorno 12 luglio 1842 reve- renlemente offeriva. NIHIL OBSTAT Fr. Ioan. B. Marrocu M. C Censor Theol. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR los. Canali Archiep. Coloss. Vicess. 383 CONTENUTE rVEL TOMO XCIV, VOLUPII 280, 281, 282 DEL GIORNALE ARCADICO. Nota de' compilatori e de' collaboratori del giornale pag, ,„ SCIENZE Mastro/ini, L'anima umana e suoi stati . » i Fiunasoni, L'omeopatia schisata ...» lA, Chelini,Nota sulle proprietà di alcune espres- sioni algebriche ec „ Tortolìni, Seconda memoria sulV applicazio- ne del calcolo dei residui alV integrazione delle equazioni lineari a derivate parziali. » 58 Maggiorani, Storia delle febbri perniciose n 122 Zanelli, Origine , progresso e stato attuale della istituzione dei sordo-muti. . . » 167 Toìielli, Tentativo di rettificazione medica di un brano interessante di medicina legale.» 201 LETTERATURA Cappello , Memorie isteriche di Jccumoli ( Continuazione ) » 255 Bado, Antologia greca „ 286 De-Ferrari , Dissertazione sopra un codice membranaceo del secolo XV relativo alV arte tipografica e pittorica . . . . ,,298 49 384 Mercuri^ seconda lezione sulla divina com- media » 3l2 Metastasio, Lettere inedite » 3 25 ì^accolini , Art. XVII del bello nella sen- tenza del padre André » 333 Fabi-Montanii Elogio storico di Francesco Gianni » 33j BELLE ARTI Cavalieri^ Discorso recitato alla premiazio- ne scolastica delV accademia di s. Luca.» 36 7 Varietà, EltROBI CORKEZIONI Pag. 58 lia. 16 derivare „ si legga ,, derivate Pag. 80 formola (yS) r -i- ut „ si legga „ r-t-af Pag 95 nel titolo derivate realtive „ si legga ,, derivate relativ Pag. 95 lin. i4 avveri'à dalla ,, si legga „ ovvero della Pag. 96 formola (4) F{D,)=(D,-j-ao) (D,H-^o) (D,H-Ce).. — (D,-i-«o) c^bi..'i-a^b^c^ si legga F(D,)=(D,H-«o) (D,4-é.) (D,4-c,)..— (T>,-\-a,)c,b^..H'Ci2b^c^